così composto:
dottor Giovanni Lo Turco, Presidente;
dottor Tommaso Sebastiano Sciascia, Giudice;
dottor Federico Sorrentino, Giudice relatore;
riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente:
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 50015 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1993, posta in deliberazione all'udienza collegiale in data 12 gennaio 1996 e vertente tra
Santacroce Giorgio,
elett.te dom.to in Roma, lungotevere dei Mellini 24, presso lo studio del procuratore professore avvocato Giovanni Giacobbe, che lo rappresenta e difende per delega in atti
e Pannella Giacinto detto Marco, elett.te dom.to in Roma, via Gualtiero Serafino 8, presso lo studio del procuratore avvocato Gian Domenico Caiazza, che lo rappresenta e difende per delega in atti
e RAI-Radiotelevisione italiana SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elett.te dom.ta in Roma, piazza delle Muse 8, presso lo studio del procuratore professore avvocato Alessandro Pace, che la rappresenta e difende per delega in atti
e FININVEST SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elett.te dom.ta in Roma, viale Angelico 92, presso lo studio del procuratore professore avvocato Romano Vaccarella, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Vittorio Dotti del Foro di Milano per delega in atti
e Fortuna Audiovisivi srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elett.te dom.ta in Roma, via Luigi Settembrini 16, presso lo studio dei procuratori avvocati Giorgio e Francesca Paola Assumma, che la rappresentano e difendono per delega in atti
Ritenuto che con il procedimento civile di cui all'epigrafe Santacroce Giorgio ha chiesto a questo Tribunale la condanna dei convenuti Pannella Giacinto Marco, RAI, Fininvest e Fortuna Audiovisivi, in solido tra loro, al risarcimento del danno (patrimoniale e morale) non inferiore a complessive lire 700.000.000, oltre interessi e rivalutazione, in relazione a dichiarazioni rese dall'onorevole Pannella nel corso di trasmissioni televisive e reputate lesive della dignità, dell'onore, della reputazione e della identità personale dell'attore;
che in particolare sono state evidenziate le seguenti affermazioni:
1) «il giudice Santacroce si è comportato sull'assassinio di Giorgiana Masi, nel contesto di un chiaro tentativo eversivo che veniva dal Ministero degli interni in quel momento, si è comportato in modo che l'inchiesta va riaperta perché grida vendetta davanti a Dio»; - a seguito di un intervento di altro interlocutore (ospite della trasmissione) circa l'inchiesta sulla tragedia di Ustica - «Santacroce, ma vedi... sai cosa ha fatto? Un anno dopo Giorgiana Masi, nel primo anniversario scrivo: un magistrato che si è comportato come Santacroce e D'Angelo, che era l'altro, avrà presto dei buoni incarichi di regime. E infatti dopo un anno gli hanno dato Ustica e hanno fatto quello che hanno fatto... chiedi a Santacroce quanto sono stato diplomatico questa sera» (trasmissione televisiva Il rosso e il nero, Rai-Tre, 8 aprile 1993);
2) «vorrei chiedere ai magistrati quando avranno, quando l'ordine giudiziario troverà il modo, io ho fatto nomi, non di sospetti, io ho accusato la vicenda di strage, non di tentata strage che non esiste, quella di Giorgiana, io sono un lento, quella di Giorgiana Masi e ritengo che il magistrato Santacroce, non a caso poi destinato a Ustica, per i suoi servigi ignobili di regime, venga incriminato e venga fatta la revisione di quel processo nel quale il giudice Santacroce coprì le responsabilità dell'allora Ministro dell'interno Cossiga e dell'intero Governo» (trasmissione televisiva su Canale 5, Maurizio Costanzo Show, di proprietà della Fortuna Audiovisivi srl, 7 maggio 1993);
3) «non si sono scoperti gli autori dell'assassinio di Giorgiana Masi, una possibile strage di 40 persone, perché un magistrato, Santacroce, falsificò gli atti dell'inchiesta»... «l'ho già detto al Costanzo Show e in altra trasmissione della RAI che Santacroce, dopo Giorgiana Masi, ottenne, come premio, Ustica» (trasmissione televisiva Spazio 5 in onda su Canale 5, 9 giugno 1993);
che l'onorevole Pannella Giacinto Marco si è costituito in giudizio, deducendo in primo luogo il difetto assoluto di giurisdizione dell'a.g.o.; ha inoltre sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell'articolo 18 cod. proc. civ., in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, e ha concluso per l'inammissibilità della domanda con riferimento all'articolo 68 della Costituzione e, in subordine, per la sua infondatezza;
che la RAI, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda, ricorrendo l'ipotesi di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione e, comunque, non rinvenendosi alcuna responsabilità ad essa addebitabile;
che la Fininvest Spa e la Fortuna Audiovisivi si sono costituite ritualmente in giudizio, con distinte comparse, deducendo entrambe il difetto di legittimazione passiva e l'infondatezza della domanda;
che all'udienza di precisazione delle conclusioni, sollevata da parte attrice eccezione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24 e 104 della Costituzione, del decreto-legge attuativo dell'articolo 68 della Costituzione, le parti si sono riportate alle rispettive richieste e la causa è stata ritenuta in decisione all'udienza collegiale in data 12 gennaio 1996;
considerato che la presente fattispecie di risarcimento del danno da fatto illecito (costituente, si assume, reato di diffamazione aggravata) è stata regolarmente sottoposta alla cognizione del giudice ordinario;
che la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dell'articolo 18 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevede diversamente da quanto invece previsto, nella identica situazione, dall'articolo 11 del codice di procedura penale la deroga alla competenza territoriale del giudice investito della cognizione di un giudizio civile nel quale figuri, come parte danneggiata, un magistrato svolgente funzioni nel medesimo distretto di corte d'appello», appare in radice irrilevante nel presente giudizio, giacché non è stata sollevata formale eccezione di incompetenza territoriale - come è noto, sotto tutti i profili - (e non potendosi necessariamente configurare come inderogabile la competenza prevista dall'impugnato articolo 18 del codice di procedura civile nel testo risultante dall'invocata pronunzia additiva da parte della Corte);
che preliminarmente il Collegio deve prendere in esame l'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione trattandosi di fattispecie concernente dichiarazioni rese da un parlamentare; va rilevato per inciso che l'articolo 68 della Costituzione trova sicura applicazione in materia civile, come ritenuto dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza già formatasi sul previgente testo e come rilevabile anche dalla modifica apportata dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 al primo comma del citato articolo 68 della Costituzione, nel quale l'espressione riferita ai membri del Parlamento, quale «non possono essere perseguiti» (più propriamente penalistica) è stata sostituita da quella «non possono essere chiamati a rispondere»;
che deve quindi trovare applicazione l'articolo 3 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 (recante disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione), disciplinante in particolare i poteri del giudice in materia e i rapporti tra il procedimento giudiziario e la Camera di appartenenza del parlamentare convenuto;
che devesi, di conseguenza, affrontare pregiudizialmente la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 (in particolare l'articolo 3, sollevata, come dedotto anche nella comparsa conclusionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 25, 77, 101, 104, 111, 138 della Costituzione;
che innanzitutto l'articolo 3 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 è impugnato in radice, assumendosi che alla legge ordinaria sarebbe preclusa, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, l'interpretazione costituzionale (nella specie dell'articolo 68 della Costituzione); tale profilo appare manifestamente infondato, giacché la norma di legge ordinaria non «interpreta» l'articolo 68 della Costituzione, limitandosi a disciplinare norme procedimentali in attuazione del principio di cui al primo comma del citato articolo 68 (alla stessa stregua delle norme, adottate ugualmente con legge ordinaria, regolanti il funzionamento della Corte costituzionale e, tra l'altro, il procedimento di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale - legge 11 marzo 1952, n. 87 -);
che inoltre è palese l'insussistenza della violazione del parametro di cui all'articolo 3 della Costituzione, invocato in relazione al più favorevole trattamento goduto dai parlamentari «in materia di diritto privato non incidente sulle funzioni rappresentative»: tale trattamento trova infatti fondamento in altro principio costituzionale (articolo 68 della Costituzione), oltre che concreta applicazione solo nel caso di opinioni espresse «nell'esercizio delle funzioni» di parlamentare;
che possono essere presi in same gli altri profili di incostituzionalità vertenti più propriamente sul secondo comma dell'articolo 3 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 (concernente la cosiddetta pregiudizialità parlamentare), giacché, dato il luogo e il tenore delle affermazioni da parte dell'onorevole Pannella, non sembra ricorrere l'ipotesi «evidente» di applicabilità del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione, come richiesto dal primo comma dell'articolo 3 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 per l'immediata dichiarazione di tale esimente da parte del giudice (con conseguente applicazione del secondo comma dell'articolo 3 del citato decreto-legge);
che è irrilevante la questione sollevata sotto il profilo secondo cui l'articolo 3 citato decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9 non consentirebbe, davanti alla Camera cui eventualmente fosse rimessa la questione, l'esercizio del diritto di difesa: ai fini della rilevanza, la questione di legittimità costituzionale deve essere circoscritta solo alle norme che il giudice è tenuto ad applicare, e quindi fuori dell'ambito delle norme regolanti la partecipazione delle parti avanti ad altri organi (successivamente ed eventualmente investiti;
che l'attribuzione alle Camere del potere di valutazione della ricorrenza dell'immunità parlamentare (definito da parte attrice come potere «propriamente giurisdizionale») non viola i parametri di cui agli articoli 25, 101, 111, 104 della Costituzione, giacché la Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 1150 del 1988, ha ritenuto che l'articolo 68, primo comma, della Costituzione «attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità», pur rilevandosi che tale potere non è illimitato non potendo essere né arbitrario, né soggetto ad una regola interna di self-restraint, essendo sogetto ad un controllo di legittimità operante con lo strumento del conflitto di attribuzione (cfr. anche C. cost. n. 443 del 1993);
che infine non può non emergere la manifesta infondatezza della questione relativa alla violazione, da parte del suddetto decreto-legge, dell'articolo 77 della Costituzione per la dedotta carenza dei requisiti di necessità e urgenza richiesti per l'adozione di un tale provvedimento legislativo da parte del Governo, requisiti invece ravvisabili nella impellente e necessaria esigenza di rendere pienamente operante una norma costituzionale;
che pertanto va ritenuta l'irrilevanza e manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevate;
che appare invece non manifestamente infondata la questione circa l'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione al caso di specie (come sinteticamente riportato in narrativa), tenuto conto che l'onorevole Pannella ha documentato di aver criticato in sede parlamentare l'operato dei magistrati inquirenti sul caso di Giorgiana Masi (cfr. proposte di legge n. 104 del 20 giugno 1979 e di inchiesta parlamentare n. 15, Doc. XXII, in data 12 settembre 1987);
Il Tribunale di Roma - Prima sezione civile:
1) dichiara irrilevanti e manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 18 del codice di procedura civile e 3 del decreto-legge 8 gennaio 1996, n. 9;
2) dichiarata la non manifesta infondatezza della relativa questione, trasmette gli atti alla Camera dei deputati perché deliberi se il fatto per il quale è in corso il presente procedimento concerna o meno opinioni espresse dall'onorevole Giacinto Marco Pannella nell'esercizio delle sue funzioni;
3) dispone la sospensione del processo per novanta giorni.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del Tribunale di Roma in data 13 gennaio 1996.
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