Onorevoli Colleghi! - È ben noto a questa Camera che presso il Tribunale di Palermo e in corsa nei confronti dell'onorevole Marcello Dell'Utri, ed altri, un procedimento penale per i delitti di estorsione tentata ed aggravata e di calunnia aggravata. In relazione a tale procedimento il G.I.P. di quel Tribunale ha disposto la custodia cautelare in carcere dell'onorevole Dell'Utri e di altre sette persone. A tutti è noto, peraltro, che l'arresto dell'onorevole Dell'Utri non è stato autorizzato dalla Camera. In data 2 aprile 1999, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in relazione al medesimo procedimento, ha avanzato la richiesta di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni telefoniche. Infatti, l'Autorità giudiziaria di Palermo, con vari decreti, aveva autorizzato, nel corso delle indagini relative alle ipotesi delittuose di cui prima si è detto, l'intercettazione delle utenze telefoniche intestate ad Antonio Fedele ed in uso a Giuseppe Chiofalo, all'avvocato Bruno Giosuè Naso, a Jaqueline Monterosso ed in uso a Yvette Denise Andrée Grut. Dalle conversazioni intercettate su tali utenze è emerso che ad esse ha preso parte l'onorevole Dell'Utri. Il P.M. palermitano, preso atto del fatto che il G.I.P., nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'onorevole Dell'Utri aveva ritenuto non utilizzabili le intercettazioni de quo (rectius parte di esse, e più precisamente quelle intercorse con il coindagato Giuseppe Chiofalo) perché la loro utilizzazione non era stata autorizzata dalla Camera di appartenenza, chiede ora che questa si pronunci in merito a tale autorizzazione, con riferimento a quelle intercettazioni il cui contenuto egli ritiene manifestamente rilevante ai fini processuali.
Il tempo accordato allo svolgimento di questa relazione non consente di riportare l'integrale trascrizione delle conversazioni suddette, di cui pertanto si rende necessario riassumere il contenuto.
Un gruppo di intercettazioni (complessivamente otto) riguarda conversazioni intercorse tra l'onorevole Dell'Utri e Giuseppe Chiofalo che, come si ricorderà è insieme al primo imputato del delitto di calunnia aggravata nei confronti di alcuni collaboratori di giustizia che hanno deposto a carico dello stesso onorevole Dell'Utri in relazione al processo che contro di lui si svolge, sempre in Palermo, e che lo vede imputato di associazione mafiosa. Le conversazioni intercettate precedono e seguono l'incontro avvenuto in data 31 dicembre 1998 tra i due coimputati presso il domicilio protetto del Chiofalo. In particolare, quelle che precedono l'incontro mirano a fissarlo e organizzarlo, mentre quelle che lo seguono, a pochi minuti dal termine di esso, esprimono la preoccupazione del Chiofalo, il quale era consapevole di essere sorvegliato, che l'incontro medesimo si fosse svolto senza che il servizio di protezione fosse stato avvertito e senza la presenza di un avvocato.
Altre intercettazioni (complessivamente due) riguardano conversazioni intercorse tra l'onorevole Dell'Utri e Yvette Denise Andrée Grut. Tali conversazioni, secondo l'accusa hanno rilevanza probatoria in ordine al tentativo che sarebbe stato compiuto dall'onorevole Dell'Utri di inquinare le prove.
Altre intercettazioni ancora (complessivamente due) riguardano conversazioni tra l'onorevole Dell'Utri e Bruno Giosuè Naso, avvocato in Roma, coimputato con Dell'Utri del delitto di calunnia pluriaggravata; esse dimostrerebbero come l'onorevole Dell'Utri sia autore, in realtà, del piano calunnioso posto in essere da Chiofalo e Cirfeta.
Quale possa essere il valore processuale del contenuto di tali conversazioni è questione che non attiene alla nostra decisione, essendo per noi sufficiente costatare che la materia a cui si riferiscono non è estranea al processo di cui si tratta.
In primo luogo, deve essere rilevato che le intercettazioni sono state disposte legittimamente; riguardano utenze terze, diverse da quelle del parlamentare o da quelle da lui normalmente usate; riguardano utenze di soggetti indagati o di soggetti che hanno comunque un ruolo nel processo in corso.
A tal proposito bisogna dire che da qualche parte, anche nel corso delle discussioni svoltesi nella Giunta per le autorizzazioni si è sentito affermare che i magistrati che hanno disposto le intercettazioni sapevano che l'onorevole Dell'Utri avrebbe potuto essere uno degli interlocutori su quelle utenze. Di qui si vorrebbe dedurre la maliziosità delle disposte intercettazioni e la volontà, da parte dei magistrati, di eludere la richiesta di autorizzazione preventiva di cui all'articolo 68, comma 3, della Costituzione. L'argomento appare davvero eccessivo. A parte che l'identità del soggetto conversante con gli intercettati viene, nella fattispecie, conosciuta dagli intercettanti solo al momento della conversazione e, in molti casi, addirittura successivamente, sarebbe veramente singolare se si stabilisse che l'Autorità giudiziaria, nel disporre intercettazioni necessarie alle indagini che conduce, debba tener conto delle relazioni sociali del soggetto su cui si indaga. I 945 parlamentari di questo Paese hanno in genere intense relazioni sociali, per non dire di quelle che intrattengono in ragione del proprio ufficio; in molti casi tali relazioni sono perfettamente conosciute, se i magistrati dovessero tenerne conto, il numero dei casi nei quali dovrebbe essere richiesta l'autorizzazione preventiva diverrebbe inverosimile.
Osservo che, allo stato attuale della legislazione, non vi è alcuna norma che prescriva l'autorizzazione per l'utilizzazione di intercettazioni su utenze terse dalle quali si evinca la partecipazione di un parlamentare. Sia in sede parlamentare, sia da parte della dottrina si è in più occasioni messo in evidenza il pericolo di un'interpretazione che postuli il contrario, giacché il solo fatto che si scopra che alle conversazioni intercettate partecipi un deputato o un senatore potrebbe bloccare le indagini o perfino annullare mezzi di prova già formati.
Naturalmente so bene che le decisioni di questa Camera si sono orientate in senso contrario a tale opinione; per parte mia auspico un mutamento d'avviso, ma quand'anche il precedente affermatosi venga riconfermato, come lascia intendere il progetto di legge già approvato da questa Camera, ritengo che si debbano fissare alcuni criteri.
Intanto, mi pare si debba dire che la ratio dell'articolo 68 della Costituzione non consiste nella tutela della riservatezza del parlamentare. Il diritto alla riservatezza è relativo alla sfera personale di ciascuno e, nei limiti in cui la protezione è accordata, essa e uguale per ogni cittadino. Anzi, si rifletta sul fatto che se una differenza di tutela è rinvenibile in questa materia in relazione a soggetti diversi, essa è semmai a svantaggio dei personaggi pubblici, nella accezione più larga di questa espressione, nel senso che in qualche caso, com'è stato chiarito dalla giurisprudenza prevalente, il diritto alla riservatezza si attenua in chi è maggiormente esposto alla valutazione e al giudizio del pubblico, rispetto a quanto possa pretendere il cittadino meno esposto. Comunque la si voglia pensare su questo punto, l'argomento connesso alla riservatezza non è utilizzabile per un evidente vizio logico: nel caso dell'autorizzazione successiva la riservatezza è già stata violata; se fosse questo il fine dell'eventuale diniego dell'autorizzazione, esso non potrebbe in alcun caso raggiungere il suo scopo. Coloro che pensano che il bene tutelato dalla norma costituzionale sia la riservatezza dovrebbero riflettere sulla contraddizione che vi sarebbe nel fatto che il mezzo esperibile per ottenere tale tutela porterebbe gli elementi che si pretenderebbe di tenere riservati a godere di una pubblicità clamorosa e straordinariamente diffusa. Basti pensare che, in questo preciso momento, stiamo parlando di intercettazioni, del loro contenuto, di chi abbia parlato e con chi, del perché e in quali circostanze. Che rimane di riservato, a questo punto? Solo una cosa, in verità, che quegli elementi, da tutti conosciuti, sarebbero inibiti solo alla cognizione del giudice. Questa contraddizione insanabile non può essere fatta risalire alla norma costituzionale.
Dunque, anche a voler ammettere che l'utilizzazione delle intercettazioni incidentali delle conversazioni dei parlamentari debbano essere autorizzate, occorre trovare un altro fondamento giuridico e questo non può essere che quello relativo alla tutela della funzione parlamentare. Ciò si evince, del resto, chiaramente dalla lettura dell'articolo 68 della Costituzione. L'autorizzazione che deve essere richiesta per sottoporre membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni è analoga (come dice la norma costituzionale) a quella richiesta per la perquisizione o per l'arresto. Ma perquisizione e arresto sono sottoposti ad autorizzazione preventiva perché, se così non fosse, uno dei poteri costituzionali potrebbe interferire e pesantemente limitare un altro potere dello Stato. In altre parole, le Camere devono poter verificare autonomamente che le misure richieste nei confronti dei loro membri non abbiano un intento politico solo per questa ragione, e non per accordare un privilegio, la tutela della libertà (lato sensu) del parlamentare e rafforzata rispetto a quella del cittadino non parlamentare.
Seguendo il filo di questo ragionamento, bisogna concludere che l'autorizzazione alla utilizzazione di intercettazioni incidentali può essere negata solo quando si ravvisi - ma di ciò si dovrebbe dare dimostrazione obiettiva - che le intercettazioni in questione siano state disposte al fine di attentare o, comunque, limitare la funzione parlamentare.
Nei confronti dell'onorevole Dell'Utri sono in corso a Palermo alcuni processi penali che niente hanno a che vedere con la sua attività politica. Tutti sanno di che si tratta e non voglio per niente insistere su questo punto. Personalmente mi auguro come credo ciascuno di voi, sia per Marcello Dell'Utri, sia per l'autorevolezza e la dignità delle istituzioni parlamentari, che la vicenda processuale dimostri alla fine la sua estraneità ai fatti che gli vengono ascritti, ma voi nel contempo ammetterete con me che in ordine a quei delitti, quali in nessun modo riguardano la funzione parlamentare, niente debba fare questa Camera che esorbiti dai limiti della stretta tutela delle proprie funzioni e che possa, perciò, ingenerare il sospetto che si vogliano sottrarre surrettiziamente al processo dei mezzi di prova, mezzi che, per di più, sono stati già in parte ammessi dal G.I.P. nei confronti di altri coimputati.
Per l'onorevole Dell'Utri la magistratura ha ritenuto di dover richiedere la misura della custodia cautelare in carcere. La Camera, nella sua autonomia, ha deliberato di opporre un diniego a tale richiesta ed io ricordo bene che molti fra quanti hanno sostenuto quella decisione hanno affermato non esservi bisogno dell'arresto di Dell'Utri perché si sarebbe comunque celebrato il processo, con il quale si sarebbe conosciuta la verità. Ma se oggi, a distanza di qualche giorno, prendessimo una decisione che limita in quel processo la utilizzazione dei mezzi probatori che l'accusa ritiene dl possedere e che saranno comunque sottoposti alla libera valutazione del giudice del dibattimento, secondo le regole del diritto, allora anche quella decisione apparirebbe fortemente inficiata, giacché essa si porrebbe come il segmento di una sequenza di atti miranti a garantire ad un membro del Parlamento un'immunità a cui in alcun modo ha diritto.
Non è questo che serve al Paese, non è questo che serve al Parlamento: non vogliate incappare nel rischio di rafforzare nel cittadino la convinzione, già significativamente presente, che la giustizia, quando si tratti di titolari di cariche politiche già ostacolata nel seguire il suo corso naturale. I cittadini e - se mi consentite - in primo luogo noi, che siamo cittadini investiti della delicatissima funzione di rappresentare tutti gli altri, abbiamo interesse che la giustizia né sia, né appaia deviata da decisioni politiche o da un malinteso spirito di difesa corporativa.
Sulla base del ragionamento che ho tentato di svolgere, propongo, a nome della Giunta per le autorizzazioni, che su questo punto ha votato - non è mia intenzione nasconderlo - dividendosi in parti uguali, che l'Assemblea autorizzi l'utilizzazione in giudizio delle intercettazioni di cui parliamo. Paradossalmente, colleghi, a me pare, nell'avanzare questa proposta e proprio in relazione al ragionamento fatto, di nutrire nei confronti della capacità dell'onorevole Dell'Utri di dimostrare la propria innocenza maggiore fiducia di quanta ne venga espressa da chi si sentirebbe meglio garantito, forse, da un intervento esterno sul processo.
Giovanni MELONI, Relatore.
![]() |