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Doc. XXIII n. 50


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PARTE SECONDA
Le indagini dei carabinieri

Il fascicolo della procura della Repubblica di Palermo relativo alla morte di Giuseppe Impastato é aperto, il 9 maggio 1978, come «atti relativi al decesso di..., avvenuto in territorio di Cinisi nella notte dall'8 al 9 maggio 1978, a seguito di scoppio di ordigno esplosivo».
Il procedimento prende il numero n. 1670/78/C (76).
Giuseppe Martorana, all'epoca procuratore capo reggente (77), delega per la trattazione del procedimento il sostituto procuratore Domenico Signorino.
Dopo centottantuno giorni di «istruzione sommaria» (78), il 6 novembre 1978, il pubblico ministero, dispone l'iscrizione del processo contro ignoti (al n. 33379/78/B) per i reati di omicidio premeditato di Giuseppe Impastato e di detenzione e porto in luogo pubblico di esplosivo. Quindi trasmette gli atti al giudice istruttore «per il formale procedimento contro ignoti cui darà carico: a) del delitto previsto e punito dagli artt. 110, 575, 577 n. 3 c.p., per avere, in concorso tra loro, cagionato, mediante esplosione di dinitrotoluene la morte di Impastato Giuseppe, commettendo il fatto con premeditazione; b) del reato previsto e punito dagli articolo 2 e 8 della legge 14.10.1974, n. 474, per


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avere detenuto e portato illegalmente in luogo pubblico materiale esplosivo (In Cinisi, il 9.5.1978)».
Prosegue l'indagine il giudice istruttore Rocco Chinnici.
Dopo l'assassinio (79) di Chinnici, il CSM nomina al vertice dell'Ufficio Istruzione del tribunale di Palermo (novembre del 1983) Antonino Caponnetto, che assume la titolarità del processo.
Il 19 maggio 1984, Caponnetto emette sentenza di «non doversi procedere in ordine ai rubricati delitti di omicidio volontario sulla persona di Impastato Giuseppe e porto illegale di materiale esplosivo, per essere rimasti ignoti gli autori del reato». Con questa pronunzia, a poco più di sei anni di distanza, termina la prima saliente - e per molti versi essenziale - fase del procedimento penale relativo agli eventi di quella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978.
Dopo il 1984, il processo per l'omicidio di Peppino Impastato, come è noto, subirà altre vicende, con riaperture delle indagini, un'archiviazione nei confronti di ignoti e, infine, il rinvio a giudizio di Badalamenti Gaetano e Palazzolo Vito.
Attualmente è nella fase del dibattimento di primo grado, dinanzi alla Corte di Assise di Palermo.

Le vicende della prima fase dell'inchiesta: ricostruzione e analisi critica.

Nelle pagine che seguono verranno rivisitati gli accadimenti che segnarono la prima fase dell'inchiesta penale.
Oggetto dell'analisi è la ricostruzione dell'andamento delle investigazioni e della loro adeguatezza, per verificare - su un piano di rigore obiettivo e testuale - la paventata esistenza di fatti e comportamenti che potrebbero averne condizionato tempi, modalità di svolgimento e risultati. In sostanza, un rilettura di quella vicenda investigativa per tentare di dare una risposta a quanti - a cominciare da Felicia Bartolotta, una madre che più di ogni altra persona al mondo ne ha titolo - ad oltre vent'anni di distanza, legittimamente chiedono di sapere se vi furono «deviazioni» che sviarono il regolare corso della giustizia; che impedirono l'individuazione della causale della morte, un corretto sviluppo investigativo, la raccolta e la valutazione di reperti e prove; che determinarono la diffusione di notizie non veritiere; che non consentirono di dare un nome agli assassini. E se sì, perché ciò accadde.
È questo un compito complesso e delicato, che impone una metodologia di lettura approfondita ed analitica delle carte processuali, delle risultanze delle numerose audizioni compiute e dell'ampio materiale documentario raccolto.
Una ricostruzione basata dunque su fatti e non mere ipotesi, per enucleare criticamente le eventuali anomalie delle investigazioni e per analizzarne gli effetti.


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La Commissione, con questa relazione , intende infine tentare non solo una analisi storico-politica di quelle vicende ma anche ricercare, individuare e collegare i dati e le circostanze necessari per una esatta descrizione dei ruoli e dei comportamenti dei protagonisti di quelle indagini. Il tutto nei limiti dei compiti assegnati dalla legge istitutiva, nel rispetto pieno dell'autonomia e dell'indipendenza delle autorità giudiziarie - che furono e sono impegnate su questa vicenda - e senza, in nulla, interferire con l'accertamento delle responsabilità penali dei singoli, il cui vaglio resta per intero affidato all'esclusivo lavoro dei giudici.

L'inizio dell'inchiesta.

Il fascicolo 1670/78/C della procura della Repubblica di Palermo risulta formalmente aperto a seguito della segnalazione trasmessa dal pretore del mandamento di Carini. Avvertiti dai carabinieri, il dr. Martorana, nella qualità di procuratore della Repubblica facente funzioni, e il sostituto procuratore della Repubblica «di turno» (addetto ai cosiddetti atti urgenti ed esterni), dr. Signorino, si portano sul luogo dei fatti lo stesso mattino del 9 maggio, senza tuttavia porre in essere attività processuali. Sul posto essi delegano il compimento degli «atti urgenti» al pretore del circondario di Carini, dr. Giancarlo Trizzino. Conseguentemente l'attività di indagine (i cd. atti preliminari all'istruzione, o, più esattamente, le «Sommarie indagini» di cui all'articolo 225 del codice abrogato) è svolta tutta dai carabinieri e - in minima parte - da personale della Polizia di Stato.
I carabinieri agiscono alle dipendenze del maggiore Antonio Subranni, all'epoca comandante del Reparto Operativo del gruppo di Palermo, anch'egli giunto in Cinisi assieme al suo vice, il capitano Basile, comandante del Nucleo Operativo del Reparto Operativo. Quel 9 di maggio del 1978, risulta presente - ed operante sempre alle dipendenze del maggiore Subranni - anche personale della Stazione di Cinisi, intervenuto per primo sul luogo dell'esplosione, e della Compagnia di Partinico (con il capitano Del Bianco ed altri sottufficiali e militari). Da atti di formale istruzione del Giudice Chinnici - e solo da essi - si può inoltre evincere la presenza sul posto di personale del Nucleo Informativo del gruppo dei carabinieri di Palermo. Infatti, il 19 dicembre 1978, il giudice Chinnici assume la testimonianza del maresciallo capo Giovanni Riggio, appartenente a quel reparto. Il Riggio è infatti cofirmatario del verbale della perquisizione eseguita (ai sensi dell'articolo 224 CPP abrogato) nei locali adibiti ad emittente Radio Privata Aut, ubicati in Terrasini, via Vittorio Emanuele 100 (80).


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Secondo quanto riferito dal Riggio, che a suo dire in quella occasione si limitò ad eseguire la perquisizione alla sede di Radio Aut a Terrasini, «nella tarda mattinata del 9 maggio» si recò «sul posto ove si era verificata l'esplosione» anche tale «maggiore Frasca», verosimilmente comandante del Nucleo Informativo. Entrambi trovarono «soltanto una Giulia dei carabinieri», in quanto «erano andati via sia il pretore che gli altri ufficiali e sottufficiali che avevano eseguito il sopralluogo e le indagini» (81).
Il maggiore Frasca non è stato mai ascoltato nel corso dell'istruzione del processo.
Il questore Alfonso Vella, all'epoca dirigente dell'ufficio Digos della questura di Palermo ha riferito nel corso della sua audizione davanti al Comitato Impastato sulla presenza di personale della Polizia di Stato (82). In tale circostanza, il Vella ha precisato:

Ebbi notizie del fatto in questione intorno alle ore 8 del 9 maggio del 1978. Mentre mi stavo recando in ufficio in macchina, la centrale operativa, alla quale forse era arrivata la notizia, mi disse che si era verificato un fatto di sangue a Cinisi. Ero insieme al collega - se non ricordo male - Salerno, con il quale ci stavamo recando in questura per iniziare la nostra giornata. Ricordo che c'era traffico e che dovemmo mettere in funzione le sirene per svincolarci e recarci a Cinisi. Poiché non conoscevamo il posto dove si era verificato effettivamente il fatto e non sapendo come comportarci di conseguenza, andammo direttamente nel centro di Cinisi, alla caserma dei carabinieri, per avere indicazioni precise. Tutto questo comportò che andammo a Cinisi, alla caserma e... Verso le 8 e mezza arrivammo a Cinisi paese Abbiamo trovato il piantone e nessun altro. Tutti si trovavano sul posto dove era avvenuto il fatto. Avute le indicazioni (aggiungo che nessuno ci accompagnò), qualche minuto prima delle ore 9 arrivammo sul luogo. [...]. Sul posto non trovammo niente, perché avevano già smobilitato tutto. Vedemmo solo il pretore che se ne stava andando; i resti dell'Impastato erano stati già raccolti e portati via. [...]. Vidi soltanto che il pretore aveva concluso gli atti e che se ne stava andando. Non trovai niente di particolare da vedere. Non vidi com'era il luogo del fatto [...] Arrivato in quel luogo ripeto che vidi quasi niente, neanche i resti del povero Impastato perché erano stati già raccolti; vidi soltanto il pezzo di binario mancante. [...]. Ricordo che il pretore stava finendo di verbalizzare con il cancelliere; se non ricordo male, stavano firmando un documento. Questo è quello che ricordo. Dopo di ciò, per circa una decina di minuti, curiosammo in giro e rivolgemmo delle domande; poi andammo in caserma. Non ricordo con precisione, ma penso che verso le 10 - diventa difficile ricordare i tempi tecnici - stavamo in caserma. In quella circostanza mi fu chiesto che cosa pensavo del fatto avvenuto. Risposi che non sapevo che dire in quel momento non avendo visto niente; tra l'altro, mi si disse che si trattava di una bomba, ma non sapevo di quale tipo. Giunti in caserma - se non ricordo male - mi si disse che era stata eseguita dai carabinieri una perquisizione in casa dell'Impastato a seguito della sua morte,


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nel corso della quale era stata trovata una lettera. Secondo le interpretazioni che si davano, si trattava di una specie di testamento per un suicidio, una cosa di questo genere. Questo fu il discorso che mi venne fatto ... dai carabinieri, perché loro avevano questa specie di... [...]. L'unica cosa che consigliai fu quella di sentire qualche amico dell'Impastato, di fare magari qualche perquisizione per trovare qualcosa di diverso. Pertanto, da Palermo feci arrivare qualcuno, più i carabinieri, e furono fatte delle perquisizioni in casa di alcuni giovani, che ci erano stati indicati dai carabinieri dal momento che noi non li conoscevamo, non sapevamo chi erano gli amici [...]. Nelle prime ore del pomeriggio, arrivò la notizia del ritrovamento del cadavere dell'onorevole Moro a Roma. Dal momento che si prevedevano manifestazioni e una serie di problemi, rientrai a Palermo, poiché eravamo impegnati in prima persona. La competenza sulle indagini era dei carabinieri e a loro è rimasta. [...]. Di questo caso non ho saputo più niente, perché non mi venne chiesto di compiere accertamenti di alcun genere in seguito ai fatti che si sono verificati. Non ho saputo niente né sulla perizia né su come sono andate le cose e, successivamente, non mi è stato mai chiesto niente al riguardo dalla procura o da altri, neanche su situazioni o fatti di altro tipo. Tra l'altro, anche se l'ufficio avesse voluto occuparsi di queste indagini, non avrei potuto seguirle, perché era implicata la mafia; invece io facevo parte della DIGOS, quindi ci occupavamo degli attentati e dei fatti politici. Questo è quanto ricordo di tutta la vicenda [...].

FIGURELLI. Poiché ha detto che partecipò - mi corregga se dico male - agli interrogatori - non so se a tutti o solo ad alcuni - di persone segnalate non dal suo ufficio ma tutte dai carabinieri, vorrei sapere se su questi interrogatori o, comunque, rispetto a questa partecipazione o cooptazione, diciamo così, alle indagini, fece altre relazioni alla questura o al Ministero.

VELLA. No, su questo no.

FIGURELLI. ...oppure al magistrato?

VELLA. No, solo i verbali. Probabilmente, anzi sicuramente qualcuno dei miei della DIGOS ha partecipato a questi interrogatori e avrà sottoscritto il verbale. Chi materialmente aveva fatto la perquisizione, poi ascoltava anche questi ragazzi.

FIGURELLI. Lei ne ha sentiti alcuni direttamente?

VELLA. No, li ho sentiti mentre erano nella caserma, perché venivano interrogati da qualcuno, ma non intervenivo personalmente. Eravamo là, stavamo discutendo; se non ricordo male, c'era anche il colonnello comandante del gruppo dei carabinieri. [...] Non ricordo il nome, ma era il comandante del gruppo; c'era anche il comandante del nucleo operativo, Subranni (non so se allora era capitano o maggiore).


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FIGURELLI. E il capitano Basile era presente?

VELLA. Mi pare di no. Ricordo che c'era sicuramente Subranni, perché dirigeva le operazioni [...]. Quando siamo arrivati là, i carabinieri erano già arrivati alle conclusioni. Si disse che era stata trovata la lettera, si parlò di «incidente sul lavoro»: tutto era già pianificato.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Mi scusi, ma vorrei capire bene questo punto perché è importante. Lei sta dicendo che, quando arrivò alle ore 9,50 nella caserma dei carabinieri, trovò già tutto pianificato?

VELLA. Nel senso che avevano trovato la lettera...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei ha detto che era già tutto pianificato.

FIGURELLI. No, lui ha parlato proprio di conclusioni.

VELLA. No, era stata trovata la lettera...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Quindi lei vuol dire che erano arrivati già a delle conclusioni?

VELLA. Perlomeno si erano formati un'idea.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Un'idea certa?

VELLA. Un'idea certa non lo posso dire; si erano formati un'idea.

RUSSO SPENA COORDINATORE. E avevano parlato di «incidente sul lavoro»?

VELLA. Chiamiamolo così. [...] Siccome l'omicidio è avvenuto a Cinisi, i carabinieri hanno iniziato le indagini. Noi saremmo intervenuti se avessimo avuto delle notizie di natura diversa, ma su quello stesso fatto continuavano ad indagare i carabinieri ed il magistrato colloquiava con loro. [...] Abbiamo cercato di cominciare a capire, anche dopo, se ci fossero state situazioni che portavano al terrorismo, ma a noi non è risultato niente. [...] Il rapporto è stato fatto dai carabinieri. Gli atti firmati dai miei sono stati lasciati ai carabinieri, i quali li hanno trasmessi al magistrato. [...] Ribadisco che non so che cosa ha scritto il professor Del Carpio. Non so che cosa è stato scritto durante il sopralluogo. Sarei riuscito anche a capire se avessi saputo qualcosa. [...].


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Alle 9,45 del 9 maggio giunge (83) per fonogramma alla procura di Palermo la seguente informativa, a firma del pretore Giancarlo Trizzino:
Informo la S.V. che in contrada «Feudo» (84), territorio di Cinisi in zona adiacente alla linea ferrata Palermo-Trapani, Km. 30+180, è stato rinvenuto cadavere irriconoscibile di persona di sesso maschile che allo stato sembra identificarsi con IMPASTATO Giuseppe, nato a Cinisi il 15.1.1948. Il cadavere è stato dilaniato da esplosione; pezzi si rinvengono in un raggio di 300 metri dalla linea ferrata. Indagini in corso. Intervenuto sul posto ho proceduto agli atti di rito e disposto trasporto resti obitorio di Carini. Resto in attesa disposizioni che la S.V. vorrà Impartirmi.
Firmato Pretore Trizzino.

Per gli atti urgenti di sua competenza, già alcune ore prima i carabinieri hanno avvisato il pretore del mandamento di Carini. Questi, alle prime ore del mattino del 9 maggio lascia la sua abitazione in Palermo e si reca a Cinisi a bordo della sua autovettura privata (85).
Le pagine che seguono sono dedicate appunto alla ricostruzione delle primissime fasi dell'indagine.

La notizia dell'interruzione del binario all'altezza del km. 18+180 della linea ferroviaria Palermo-Trapani e l'accesso dei carabinieri sul luogo dell'esplosione.
L'arrivo sul luogo dell'esplosione del pretore Trizzino.
L'intervento della polizia ferroviaria.

Per il piccolo treno, formato dal solo locomotore, che collega Palermo ad Alcamo, partito da Palermo alle ore 0,26 (con 21 minuti


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di ritardo (86)), quella del giorno 9 maggio 1978 non è una corsa come tutte le altre. Il macchinista Sdegno Gaetano e il suo aiuto Finazzo Salvatore, giunti in prossimità del Km. 30, tra le stazioni di Carini e di Cinisi, avvertono un forte sobbalzo. Così lo ricorda Sdegno (87): «Quando avvertii il sobbalzo del locomotore pensai: 'si è divelta la rotaia e siamo a terra!' e invece il locomotore continuò regolarmente la marcia». Passato indenne quel tratto di binario rettilineo, il treno 59413 arresta la corsa all'incirca 550 metri dopo, al passaggio a livello posto al Km. 30+745. Qui il personale viaggiante informa dell'accaduto il guardiano di turno (88), cui preannunzia un'ulteriore fermata, per un controllo alla macchina, nella stazione di Cinisi-Terrasini, raggiunta all'1,40 circa.
In precedenza il treno 735 partito da Palermo per Trapani é arrivato alla stazione di Cinisi-Terrasini alle ore 0,16, con sette minuti di ritardo, senza che siano state rilevate anomalie (89).
Questo particolare, essenziale per collocare esattamente nel tempo il momento dell'esplosione, si desume dall'indagine effettuata dalla Polfer di Palermo, e, in particolare dal tempestivo interrogatorio dei macchinisti dei due convogli. I tre verbali redatti dalla polizia ferroviaria il 10 e l'11 maggio non risultano inoltrati direttamente al PM, ma pervengono in procura accompagnati da una nota (90), a firma del maggiore Subranni, datata 12 maggio 1978.
Le dichiarazioni dei macchinisti erano state trasmesse al reparto operativo dei carabinieri, con una laconica nota (91) (dell'11 maggio) firmata dal dr. P. Ferro, all'epoca dirigente del commissariato di pubblica sicurezza presso la direzione compartimentale delle ferrovie di Palermo. Nota che ha ad oggetto «Impastato Giuseppe - decesso a seguito deflagrazione ordigno esplosivo al km. 30+180 della linea Palermo-Trapani».
In essa non c'è alcun riferimento ad un attentato terroristico.
Va detto che la polizia ferroviaria - per i suoi specifici compiti d'istituto - effettua un accesso sul luogo dell'esplosione (peraltro in una fotografia pubblicata sul Giornale di Sicilia martedì 10 maggio1978 (92) si nota la presenza sui binari di personale della Polfer): ciò logicamente comporta l'esistenza di atti rituali (verbali di ispezione


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del luogo e relazioni di servizio), redatti verosimilmente dagli stessi sottufficiali, Tartaglione e Faranda, che si occuparono subito dopo degli interrogatori dei macchinisti dei treni 59413 e 735. Ma - al di fuori degli interrogatori dei macchinisti - non risultano nel processo altri atti, rilievi tecnici o relazioni di servizio della polizia ferroviaria. Né risultano richiesti. E i verbalizzanti Tartaglione e Faranda non sono stati mai esaminati.
Nell'immediatezza del fatto non sono esperite altre indagini per collocare nel tempo l'evento, né vengono interrogati i guardiani di quel passaggio a livello 30+745, poco distante dal luogo dell'esplosione. Passaggio verosimilmente attraversato da chi si addentrò nella trazzera di «Feudo Orsa» e da chi si allontanò da quei luoghi dopo l'esplosione. Di questi accertamenti - intrinsecamente urgenti - se ne occuperà solo il giudice istruttore Chinnici, a distanza di qualche mese.
Ulteriori particolari sulla scoperta delle conseguenze di quell'esplosione al km. 30.180 si desumono dai risultati dell'inchiesta amministrativa delle ferrovie (acquisita al processo a seguito di un'espressa richiesta del giudice istruttore) (93): il custode del passaggio a livello, Benedetto Salamone, interrogato il 1o settembre 1978 dal geometra delle ferrovie Vajarelli, si limita a dichiarare che, alle ore tre di quella notte, alcuni operai, che avevano appena completato l'ispezione dei binari, gli avevano riferito che «la rotaia era stata rotta a seguito di un presupposto attentato dinamitardo», senza aggiungere altri dettagli.
Sulla posizione del casellante, che di seguito sarà richiamata più estesamente, appaiono necessarie, già a questo punto, quattro considerazioni:
1) Fino al 9 gennaio 1979 nessuno esamina sugli accadimenti di quella notte il casellante Salamone.
2) Non viene considerato il particolare che quel casellante aveva intrapreso il suo servizio solo alle ore 22 dell'8 maggio e che, conseguentemente, un altro casellante avrebbe potuto rendere informazioni su quanto era accaduto in precedenza e, in particolare dall'ora della scomparsa dell'Impastato (successiva alle 20 dell'8 maggio).
3) Solo otto mesi dopo la morte di Impastato, risulta in un atto processuale che la casellante di turno fino alle 22 del giorno 8 maggio al casello 30+745, tale Vitale Provvidenza «da Cinisi» (non è neppure compiutamente identificata), si trova «emigrata in USA». E sebbene ne fosse atteso il rientro in Cinisi alla fine del mese di gennaio del 1979, non vi è traccia in atti del verbale delle sue dichiarazioni testimoniali, che il comandante della stazione dei carabinieri di Cinisi si era espressamente riservato di assumere e trasmettere al giudice istruttore.
4) Vitale Provvidenza è mai rientrata in Italia? E perché quell'impiegata delle ferrovie «emigra» - dopo i fatti dell'8 maggio 1978 - negli Stati Uniti?


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La prima persona a raggiungere il luogo ove era stato segnalato dal macchinista un «forte angolo» del binario è l'operaio delle ferrovie Vito Randazzo. È lui che, in corrispondenza del km. 30+ 180, si accorge della mancanza di un tratto di circa 40-50 cm. «sulla rotaia di sinistra rispetto alla direzione Trapani». E informa prima il casellante Salamone e poi l'operaio specializzato delle ferrovie Andrea Evola. Quest'ultimo, recatosi subito sul posto, individua il cratere dell'esplosione, rendendosi conto che «non si tratta di un semplice mancanza di binario, bensì di un fatto dovuto all'esplosione di un ordigno»; e in tal senso fa rapporto al suo capo squadra, Antonino Negrelli. Negrelli ed Evola si recano subito alla stazione dei carabinieri di Cinisi. Approssimativamente alle ore 4 del 9 maggio il maresciallo Travali e l'appuntato Pichilli giungono sul posto insieme ai due tecnici delle ferrovie (94). Entrambi i militari notano l'autovettura di Impastato e due sandali a circa un metro dall'interruzione della rotaia. Poi, tutto intorno, resti umani: di ciò, via radio, informano la centrale operativa della compagnia di Partinico. Questa, a sua volta, provvede ad avvertire il pretore di Carini (95). Prima ancora di incontrarsi con il pretore, il maresciallo Travali e il suo collega Di Bono, del nucleo operativo di Partinico, sopraggiunto sul luogo dell'esplosione, con altri carabinieri di quella compagnia, tra cui il brigadiere Carmelo Canale, si portano a casa dell'Impastato, in corso Umberto di Cinisi (96). Qui Travali apprende che Peppino Impastato di solito dorme dalla zia, in piazza Stazione. Poco dopo Travali accompagna Trizzino sul punto dello scoppio. Il maresciallo Di Bono, con altro personale, avvia accertamenti a Cinisi e, innanzi tutto, la perquisizione domiciliare nell'abitazione di Bartolotta Fara, zia dell'Impastato, ove quest'ultimo abitualmente dimora.
Mentre si svolge l'ispezione dei luoghi condotta dal dr. Trizzino, i carabinieri hanno già in corso un'attività operativa che prende le mosse dalla perquisizione iniziata alle ore 7 - secondo quanto risulta


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dal verbale - presso la casa di piazza Stazione. Nel corso di tale atto, «conclusosi alle ore 8 circa», sono rinvenute, depositate in un cassetto del comodino della camera di Giuseppe Impastato, 6 lettere ed un manoscritto composto da tre pagine, che, come si legge nel verbale, «mette in chiara evidenza il proposito suicida dell'Impastato». Lettere e manoscritto vengono sequestrati e consegnati al personale del nucleo investigativo dei carabinieri di Palermo (97).
Di questi accertamenti, posti in essere in Cinisi, si parlerà più innanzi. Nella pagine che seguono verranno esaminati gli elementi emersi sul luogo dell'esplosione o comunque ad esso riferibili.

Il sopralluogo del pretore di Carini: la descrizione (delle parti) del cadavere, il sequestro dei resti di binario e di una chiave Yale. In particolare: la descrizione dei resti e la complessità del loro rinvenimento.

Il Pretore Giancarlo Trizzino alle ore 6,45 dà inizio alla stesura del processo verbale di descrizione e ricognizione di cadavere, assistito dal maresciallo dei carabinieri, Alfonso Travali, che lo scrive di suo pugno (98). Alle operazioni partecipa Salvatore Di Bella, settantenne medico condotto di Cinisi.
Occorrono sei pagine di verbale per descrivere le condizioni dei frammenti dei resti visibili del cadavere, e in particolare i resti degli arti inferiori, rinvenuti circa cento metri uno dall'altro.
Il pretore evidenzia immediatamente che: «il cadavere è dilaniato e si possono descrivere i frammenti rinvenuti sparsi nel raggio di circa 300 metri».
La scena che si presenta alla vista del magistrato, e così rappresentata nel verbale, indica le concrete difficoltà incontrate nell'individuazione


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e nella raccolta dei resti dell'Impastato. Ecco come il dr. Giancarlo Trizzino ricorda e ricostruisce il suo intervento sul luogo dell'esplosione, nel corso dell'audizione del 25 novembre 1999 dinanzi al Comitato di lavoro:
Vorrei precisare innanzitutto che, in qualità di pretore, mi sono limitato all'effettuazione degli atti di mia stretta competenza, relativi cioè alla ricognizione del cadavere (se di cadavere in quella circostanza si poteva parlare), alla sua identificazione. Questo era un problema essenziale e non facile da risolvere proprio per le condizioni in cui si trovava il defunto. Non ho partecipato ad alcun atto di indagine, perché quella stessa mattina, appena tornato in caserma, a distanza di un paio di ore dal fatto, intervennero alla stazione di Cinisi il sostituto di turno, dottor Signorino, ed il procuratore della Repubblica facente funzioni, che all'epoca era - se non ricordo male - il dottor Martorana. Ero un giovane pretore, quindi il dottor Signorino mi delegò immediatamente il compimento degli atti di identificazione e mi incaricò di sentire alcuni congiunti di Impastato (infatti, il problema principale era quello dell'identificazione certa del cadavere e di questo si preoccupava il collega). Ricordo in particolare il fratello, al quale mostrai un paio di occhiali semidistrutti (mi torna in mente questo flash), e una donna che aveva praticato delle iniezioni alla vittima (l'unico pezzo intero era una gamba). I due colleghi, invece, si chiusero nella stanza del comandante di stazione, dove nel frattempo erano sopraggiunti numerosi ufficiali - anche di alto grado - dei carabinieri. Mi sembra di aver visto l'allora maggiore Subranni, che credo comandasse il nucleo operativo. .... Questi sono gli atti a cui partecipai. Tengo a precisare che non feci nessun tipo di investigazione; anzi, proprio perché ero impegnato in questi adempimenti di natura urgente, non partecipai neppure a quella riunione che vidi tenersi nella stanza del comandante di stazione.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Vorremmo chiederle di fornire degli approfondimenti su alcune questioni che per noi sono importanti. Con chi e a che ora è giunto sul posto e chi l'ha avvertita?

TRIZZINO. Ho ricevuto una telefonata dalla stazione dei carabinieri di Cinisi nella prima mattinata. Abitavo a Palermo, a poca distanza da Cinisi, e mi muovevo con la mia auto privata.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Quindi è intervenuto da solo?

TRIZZINO. Sì. Mi sono recato alla stazione dei carabinieri di Cinisi, perché non sapevo dove fosse il posto in cui era accaduto il fatto. Peraltro, se ben ricordo, chi mi telefonò non specificò il luogo; mi fu solo detto che vi era un morto sui binari. Quindi andai alla stazione di Cinisi, dove mi fecero aspettare un po' di tempo. Poi arrivò un pulmino dei carabinieri, con il quale mi portarono sul posto. Lì trovai il medico, il dottor Di Bella (non so se era l'ufficiale sanitario o il medico condotto di Cinisi), una persona anziana. Non avevo molta esperienza di ispezione cadaverica, perché ero al mio secondo


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mese di servizio in pretura; se avessi potuto prevedere la scena che mi si sarebbe presentata dinanzi, forse mi sarei fatto accompagnare sul posto - come poi ero solito fare - da un medico dell'Istituto di medicina legale. Quindi trovai sul posto questo medico. [...]. Ricordo l'estrema complessità e difficoltà del sopralluogo, proprio perché - come ho già detto - non vi era un cadavere da identificare, da sottoporre a ricognizione, ma solo brandelli sparsi - una scena veramente raccapricciante - oserei dire a centinaia di metri, alcuni dei quali furono trovati anche sui pali della luce; sulle prime non si riuscì a reperire una parte consistente del corpo. Ricordo anche un altro particolare. Mentre stavo ultimando il sopralluogo, proprio perché non c'era più nulla da fare, mi posi il seguente interrogativo: può il corpo di una persona ridursi in quel modo, senza la possibilità di trovare una sua parte più consistente? Mi rivolsi, quindi, ad un ufficiale superiore dei carabinieri che stava sul posto, pregandolo di attivarsi per far intervenire un gruppo di militari per scandagliare la zona al fine di trovare un qualcosa di più considerevole. Proprio nel momento in cui stavo per andare via da quel luogo, fui richiamato perché fu trovata una gamba intera.[...]. Ricordo - ripeto che si tratta di flash a distanza di tanto tempo - che la ferrovia era interrotta perché alcune traversine dei binari erano saltate. In prossimità della ferrovia vi era una macchina, una Fiat 850 o qualcosa del genere, che mi fu segnalata come appartenente all'Impastato. Dal cofano anteriore di tale macchina fuoriusciva una specie di filo elettrico. Proprio in relazione al ritrovamento della gamba intera - non ricordo se a posteriori o sul momento - supposi che l'Impastato si trovasse in posizione curva o prona sui binari e che l'esplosivo fosse collocato sotto il torace, cosa che poteva dare adito a perplessità sulle reali causali del fatto.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei ipotizzò una causale?

TRIZZINO. No, perché non era mio compito ipotizzarla. Posso dire soltanto che il maresciallo dei carabinieri di Cinisi, con il quale ebbi contatti prima di arrivare sul posto, mi ventilò la possibilità che si potesse trattare di un suicidio, perché nel corso di una perquisizione - mi fu detto - avevano trovato una lettera nella quale l'Impastato formulava propositi suicidi. Successivamente mi fu anche detto che l'Impastato era un extraparlamentare di sinistra. Tuttavia, devo dire che non era mio compito formulare ipotesi, ma in cuor mio potevo soltanto immaginare possibili...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Consigliere, mi faccia capire bene. Nel corso del suo spostamento con il pulmino dei carabinieri dalla stazione di Cinisi...

TRIZZINO. Ora non ricordo se a bordo del pulmino c'era il maresciallo o un carabiniere; in ogni caso, prima di arrivare, non so se trovai il maresciallo...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Le parlò di una lettera?


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TRIZZINO. Sì. Ripeto, però, che si tratta di ricordi. Non mi ricordo se me lo disse nel corso del sopralluogo nel quale mi assisteva.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Consigliere, le rivolgo un'ultima domanda. Risulta dagli atti che nei pressi, [...] vi era una casa rurale diroccata o, comunque, delle mura in piedi. Vorrei sapere se lei ha fatto delle ispezioni all'interno di tale casa.

TRIZZINO. Non l'ho né vista né mi fu segnalata. Al riguardo posso dire soltanto che qualche giorno dopo, quando forse avevo già trasmesso gli atti urgenti alla Procura della Repubblica, mi recai - non so per quale motivo - presso gli uffici della Procura, dove incontrai il sostituto dottor Scozzari, che probabilmente aveva preso la direzione delle indagini. Il dottor Scozzari, parlando del caso Impastato, mi disse che nel corso di un sopralluogo, probabilmente - se non ricordo male - su segnalazione di alcuni amici dell'Impastato, era stato trovato il casolare nel quale furono rinvenute delle tracce di sangue. Tuttavia, devo dire onestamente che, nel corso del sopralluogo, non notai traccia. Peraltro, nelle immediate vicinanze non vi erano casolari, ma solo alberi e muretti a secco. Non vidi, quindi, casolari - almeno ricordo di non averli visti - né alcuno me li indicò. In ogni caso, debbo dire che il sopralluogo si svolse... La mancanza di personale e di militari mi spinse a sollecitare l'ufficiale superiore ad attivarsi maggiormente[,,,] (99).

Sulla «casa rurale abbandonata», i ricordi del pretore divergono da precedenti dichiarazioni del maresciallo Travali. Infatti, il comandante della stazione di Cinisi, rispondendo alle domande di Chinnici rivolte a ricostruire i dettagli di quella ispezione, ricorda, tra l'altro, di essere entrato unitamente al pretore nel corso dell'ispezione «nella casa rurale ... che si trova a circa 50 metri dal punto in cui mancava la rotaia (100)».
Dalla descrizione effettuata dal Pretore nel suo verbale di ispezione dei luoghi, può desumersi che il resti dell'Impastato erano dispersi in un'area di circa 2800 mq.. Tale situazione, rendendo oltremodo difficile l'opera di individuazione e di raccolta, determina il giovane pretore di Carini, da appena due mesi al suo posto, a sollecitare i carabinieri (e precisamente l'«ufficiale superiore» presente sul posto) a mobilitare più uomini per effettuare ricerche adeguate.
Sollecitazione sostanzialmente inevasa, visto che vari altri rinvenimenti di resti e materia organica umana vengono effettuati anche nei


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giorni successivi nell'ambito di una pietosa ricerca intrapresa dai giovani amici dell'Impastato (101).
Secondo quanto risulta in atti, nel corso dell'ispezione nessuno trovò mai tracce di miccia o di innesco elettrico o a tempo, o altri oggetti che potessero condurre all'identificazione dell'esplosivo. Ma quel mattino del 9 maggio 1978 anche tracce, resti e reperti ben visibili e di sicuro interesse investigativo furono trascurati o subirono le vicende singolari, che di seguito saranno ricostruite e descritte.
Il dato della dispersione dei resti del corpo dell'Impastato, appena richiamato, non rileva solo sul piano descrittivo, ma, come si vedrà, concorre significativamente alla ricostruzione delle circostanze dell'esplosione e, quindi, dei profili modali dell'azione.
È certo che le operazioni condotte dal dr. Trizzino, iniziate come si è detto alle ore 6,45, non sono né brevi né prive di difficoltà. Il pretore lascia il luogo all'incirca un'ora dopo l'inizio della ricognizione, autorizzando il ripristino (102) della linea ferroviaria Palermo-Trapani.
Sostituita la rotaia rotta, alle ore 9,30 la linea viene riattivata (103).

Il necroforo comunale.

In tutta questa fase delle operazioni magistrato e medico condotto sono coadiuvati dal necroforo di Cinisi. La sua presenza sul posto, risulta documentalmente da alcune fotografie, scattate da un operatore dei carabinieri, che lo ritraggono impegnato a recuperare alcune parti del cadavere. Ma viene anche confermata dal dr. Trizzino, che nel corso della sua audizione dinanzi al Comitato di lavoro il 25 novembre 1999, ricorda:
« ... C'era un necroforo, un addetto al cimitero che collaborava in queste occasioni. Egli aveva con sé dei sacchetti di cellophane (104). Noi lo seguivamo; man mano che rinvenivamo i brandelli, il medico li descriveva e il necroforo li metteva nei sacchetti. Invece la gamba fu ritrovata a notevole distanza dai binari, se non ricordo male. Infatti non ce ne eravamo accorti sul momento, fu trovata solo successivamente ...».


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Infine questa presenza - apparentemente inconferente - è desumibile dallo stesso verbale di descrizione del cadavere, che, infatti, termina con l'autorizzazione alla rimozione dei resti («... A questo punto il pretore dispone la rimozione dei resti del cadavere e dispone che gli stessi vengano trasportati all'obitorio presso il cimitero di Cinisi per gli ulteriori accertamenti»): adempimento di norma spettante al necroforo comunale.
Non vi è alcun riferimento all'ora esatta in cui terminò la verbalizzazione della ricognizione del cadavere. Quindi il momento in cui furono portate via i resti dell'Impastato può ragionevolmente farsi coincidere con l'allontanamento del magistrato dal luogo dell'esplosione. Consegue che il necroforo prestò ininterrottamente la sua assistenza al magistrato fino a al momento in cui si occupò del trasporto dei resti presso l'obitorio del cimitero di Cinisi, ove sarebbe stata eseguita, di lì a poco, l'autopsia.
Egli fu quindi un teste diretto di tutte le fasi del rinvenimento e della descrizione dei resti, per avervi personalmente partecipato, durante tutta l'ispezione condotta dal pretore Trizzino. Ma nella ricostruzione dell'andamento delle indagini sulla morte dell'Impastato, questo personaggio, impegnato in un'opera pietosa ed oscura, e di norma irrilevante in un'istruttoria penale, assumerà via via una particolare importanza, e un ruolo di protagonista.
Nel «Promemoria all'attenzione del giudice Chinnici», un documento della Redazione di Radio Aut, ricco di circostanziati spunti investigativi, fatto pervenire al giudice istruttore nel novembre del 1978 - cioè all'inizio dell'«istruzione formale» -, al punto 3), si legge:
La mattina del 9 maggio i carabinieri di Terrasini si presentavano alla redazione di Radio Aut aprendo con una chiave, che affermavano essere quella di Impastato. Siamo tutti certi che Peppino teneva questa chiave nella tasca destra dei pantaloni, separata dalle altre. Come mai non è stata danneggiata dall'esplosione? Come mai i carabinieri sapevano che quella chiave isolata era quella della radio? Inoltre la persona che ha raccolto i resti, tal Liborio, necroforo comunale, disse in giro che i carabinieri gli avevano detto di cercare in un determinato posto, dove, tra le pietre, egli avrebbe trovato la chiave. Riteniamo opportuna una verifica.

Verifica che ha luogo. Il giudice istruttore esamina, in primo luogo il maresciallo, Travali, che, rispondendo ad una specifica domanda, riferisce quanto segue: «in prossimità del luogo in cui mancava la rotaia, a breve distanza, cinque metri circa, rinvenimmo un chiavino del tipo Yale, perfettamente pulito. Il chiavino fu trovato sul lato destro della rotaia, rispetto alla direzione Trapani, nei pressi di un cespuglio tra la parte sterrata e la massicciata ... (105)».


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Chinnici raccoglie la testimonianza del necroforo il 20 dicembre 1978, citato con il soprannome di Liborio, perché le sue generalità non risultano espressamente in alcun atto del processo. In un certo senso, quello di Chinnici é un atto a sorpresa, la cui motivazione va ricercata senz'altro nel promemoria di Radio Aut: di quel verbale del 20 dicembre è bene trascrivere integralmente il contenuto delle dichiarazioni di «Liborio» a Rocco Chinnici:
«D.R. Sono spesso chiamato dai carabinieri per rimuovere cadaveri che si trovano nelle strade in occasione di incidenti stradali o di altri avvenimenti delittuosi. Quando vengono a fare le autopsie io pulisco i cadaveri. Quando morì Giuseppe Impastato il maresciallo mi chiamò e mi disse: Dobbiamo andare a prendere quello che è rimasto di un picciotto che è scoppiato nella ferrovia» (106). Io ci andai. Quando ci andammo c'erano pure il Pretore e l'Ufficiale sanitario. Io giravo assieme a tutti e trovai sotto gli alberi di ulivo dei pezzetti del corpo e precisamente pezzi di pelle del torace, in tutto potei trovare circa tre chili del corpo dell'Impastato.Trovai inoltre la montatura degli occhiali senza i vetri e tre dita della mano compresi «i nervi del braccio». Mentre io cercavo i resti di Impastato, il brigadiere dei carabinieri di Cinisi mi disse di cercare una chiave. Io trovai tre chiavi vicino alla macchina di Impastato e precisamente accanto alla portiera di destra, cioè accanto al lato di chi si trova vicino al guidatore. Le tre chiavi erano l'una vicina all'altra. Il brigadiere, dopo che io trovai le tre chiavi, mi disse: «Ma se ne deve trovare un'altra!». Io allora cercai altri pezzi del corpo di Impastato perché il brigadiere mi disse che l'altra chiave la cercava lui». Di fatti poco dopo il brigadiere ritrovò la chiave a circa tre metri, «un poco più avanti dove ci fu lo scoppio». La chiave se la prese il brigadiere e se ne andò subito alla Caserma. Di altro non so più nulla. Io mi chiamo Giuseppe , ma a Cinisi mi chiamano Liborio».

Dai particolari acquisiti dal Chinnici circa il rinvenimento della chiave di tipo Yale discende una circostanza del tutto nuova.
Per la prima volta, a poco più di sette mesi dalla morte di Giuseppe Impastato, si scopre l'esistenza di un reperto «le tre chiavi», di cui fino a quel momento non vi era traccia negli atti del processo.
Un reperto finito nel nulla!
Ma Liborio conferma anche un altro particolare: la vicinanza della chiave al luogo dell'esplosione. Circostanza difficilmente spiegabile se la chiave si fosse trovata in una delle tasche del pantalone, considerato che gli arti furono trovati a grande distanza dai binari. La chiave Yale - perfettamente pulita, oggetto di una specifica (quanto inspiegata) ricerca da parte di un sottufficiale di Cinisi - verosimilmente non si trovava nelle tasche dell'Impastato al momento dell'esplosione. Nell'inchiesta penale quel «brigadiere di Cinisi» che andava alla ricerca di questa chiave non è stato mai esaminato.


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L'appuntato Pichilli, sentito da Chinnici il 10 dicembre 1978, riferisce di non sapere nulla «di chiavi rinvenute sul luogo» (107). Pichilli fornisce però un particolare non irrilevante e inedito: ricorda che «il pretore eseguì l'ispezione assieme al maresciallo, [a me] e al brigadiere Antonio Esposito (108)». Agli atti del processo non risulta alcuna testimonianza dell'Esposito, sottufficiale in forza alla stazione di Cinisi all'epoca dei fatti (109). All'atto della sua citazione dinanzi al Comitato di lavoro della Commissione, l'Esposito è risultato in missione all'estero.
L'importanza delle testimonianze di Giuseppe Briguglio, nato a Cinisi il 10 febbraio 1944 - è questa l'esatta identità del necroforo - sarà resa ancora più evidente dal tenore delle sue dichiarazioni nell'intervista resa a Felicia Vitale (110). Di questa intervista si parlerà nell'ambito delle vicende delle tracce di sangue.

La descrizione analitica dei resti.

Tra le parti del cadavere individuate e raccolte, il Pretore indica, in primo luogo, un pezzo costituito da materia cerebrale «con ossa della volta cranica e un tratto di cuoio capelluto, un pezzettino d'osso della volta cranica che si rinviene a poca distanza, un pezzo di pelle ... commista a frammenti di tessuto molto probabilmente del collo. Un pezzo d'osso che si identifica come un tratto della colonna vertebrale del lato cervicale. Pezzi sparsi ovunque di tessuti molli di cui non si riesce a stabilire la parte del corpo a cui appartengono». E ancora «un pezzo d'arto inferiore troncato, con insieme delle parti muscolari: l'arto (destro) appare integro dal terzo superiore in giù».
A questo punto il verbale dà atto dell'impossibilità di rilevare altre parti del corpo e conclude parlando di «sconquassamento di tutto il corpo prodotto da esplosione». Di seguito la descrizione riprende e si legge che «alla distanza di quasi cento metri da primo arto si rinviene ... il resto dell'arto di sinistra pure integro dal terzo superiore della coscia fino al piede e alla radice dilaniato», che evidenzia «parti molli e la testa del femore scoperchiata». Segue la descrizione del rinvenimento di frammenti di stoffa «sparsi tutto intorno alla zona in questione e particolarmente nel tratto vicino alla linea ferrata».
In presenza di un cratere al suolo, la circostanza che gli arti inferiori siano stati rinvenuti integri, contrariamente alle ossa della


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scatola cranica, esclude che il corpo dell'Impastato al momento dell'esplosione potesse essere in posizione accovacciata o eretta, e già in sé fa dubitare che lo stesso fosse animato.

L'autopsia sui resti del cadavere dell'Impastato.

Alle ore 13,50 del 9 maggio 1978, presso l'obitorio del cimitero di Cinisi, il pretore Trizzino dà ingresso alle operazioni di autopsia sui resti del cadavere. È presente in qualità di perito il dr. Antonio Caruso dell'Istituto di medicina legale dell'università di Palermo, al quale vengono proposti i rituali quesiti sulla «causa della morte, i mezzi che l'anno prodotta, l'epoca presumibile a cui essa risale ed ogni altra circostanza utile ai fini di giustizia». La descrizione dei resti che si trova nel verbale delle operazioni della perizia autoptica fornisce utili dettagli. Essa pertanto va riconsiderata nel contesto della relazione.
L'attenzione del medico legale è - ovviamente - rivolta ai due arti inferiori, raccolti nella cassa metallica mortuaria portata nell'obitorio del cimitero di Cinisi, di fatto gli unici resti di una certa consistenza. Il perito osserva che «i due arti inferiori» si presentano:
ricoperti da abbondante peluria di un soggetto di sesso maschile, con unghie che oltrepassano le estremità delle dita. Tali arti risultano irregolarmente disarticolati in corrispondenza delle anche. Il rivestimento cutaneo è irregolarmente frastagliato ed affumicato sulla fascia anteromediale delle cosce stesse. L'affumicatura si estende alla cute integra per una decina di centimetri ed ai muscoli della radice delle cosce per un'estensione pressocché analoga. Sulla fascia mediale della coscia sinistra la pelle presenta delle lacerazioni a forma di V con apice in basso. In corrispondenza della lacerazione più interna (delle due anzidette) si rinviene una parte dello scroto, un testicolo e il pene ampiamente lacerati ed affumicati. Integre le parti restanti delle cosce, delle gambe e dei piedi».

Segue un interessante descrizione di alcune lesioni ai piedi:
Sulla faccia destra dei piedi e delle dita rispettive, piccole ferite lacero contuse a lembo, il cui bordo libero è rivolto verso l'alto (verso la tibiotarsica) (111). Integre le ossa delle cosce, delle gambe e dei piedi».

L'autopsia descrive poi i «frammenti della mano destra (112) costituiti dagli ultimi tre metacarpi e dalle ultime tre dita, a confine assai irregolare, la cui superfice palmare è interamente affumicata e


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decisamente nerastra sui polpastrelli. Significativi particolari sono riferiti a parti anatomiche riferibili al cranio «... si notano altresì frammenti di cuoio capelluto, di ossa craniche (ogni frammento, di forma triangolare, quadrangolare o pentagonale, ha il diametro massimo di 6-8 centimetri)». Segue una sintetica descrizione delle ulteriori parti: «frammenti di muscoli, di rachide cervicale, di ossa tra cui è riconoscibile solo un largo frammento dell'osso iliaco destro, di cute, di encefalo e di intestino».

Il rinvenimento delle calzature, di frammenti di stoffa e di pezzi di rotaia.

Sempre nel tratto vicino alla linea ferrata, e precisamente sulla massicciata adiacente alla stessa, il pretore Trizzino individua e descrive frammenti di stoffa, «due zoccoli di tipo Scholls» in legno con cinghia in cuoio di colore bianco, e «sparsi nella zona soprastante la linea ferrata, 3 pezzi di rotaia, che vengono posti sotto sequestro». Detti frammenti del lato sinistro della rotaia, come precisa il maresciallo Travali nel suo verbale di sopralluogo, sono rinvenuti «alla distanza di circa 100 metri lato monte». Il sottufficiale precisa che «detti pezzi in conseguenza dello scoppio hanno assunto delle forme irregolari».

La descrizione dell'auto «parcheggiata».

Il verbale dato atto che «a ridosso di detto tratto della strada ferrata» a «circa 5 metri dalla interruzione sopra descritta nei pressi di un cespuglio di agave viene rinvenuta una chiave di tipo Yale [...]unita ai reperti precedenti ...», prosegue evidenziando che «nello spiazzale antistante una casa rurale abbandonata ... si rinviene parcheggiata un'autovettura targata PA 142453 Fiat 850, color bianco, non chiusa a chiave con deflettore aperto lato sinistro e vetro leggermente abbassato... Dal cofano fuoriesce un filo della lunghezza di circa un metro ... tipo telefonico. Nel lunotto posteriore si trova un rotolo di detto filo. Per precauzione l'interno dell'autovettura non viene ispezionato «in attesa dell'arrivo degli artificieri tempestivamente avvertiti».
Alle ore 12,15 nella stazione dei carabinieri di Cinisi, il pretore Trizzino, assistito dal cancelliere della pretura di Carini, redige un processo verbale di descrizione e ricognizione dei «brandelli degli indumenti indossati dalla vittima a momento dell'esplosione». Alle 13,50 «su delega dl P.M. di Palermo, stante l'assoluta urgenza, il Pretore dispone procedersi all'autopsia sui resti del cadavere rinvenuto in contrada Feudo di Cinisi» ed identificato da Impastato Giuseppe e da Impastato Simone. Viene richiesto in qualità di perito il dr. Antonino Caruso dell'Istituto di Medicina legale dell'Università di Palermo, cui vengono posti i rituali quesiti in ordine alla causa della morte e ai mezzi che l'avevano prodotta. Nel corso dell'esame autoptico il perito preleva frammenti di encefalo, di intestino e di cute affumicata per poter espletare i necessari esami chimico tossicologici


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e di ricerca delle polveri da sparo. Per questi accertamenti gli viene associato il dr. Paolo Procaccianti dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Palermo.

Le caratteristiche del «cratere» e le tracce dell'esplosione.

Non si apprezzano negli atti della polizia giudiziaria molti particolari sulle caratteristiche del «cratere» formatosi nel punto dello scoppio (113).
Il maresciallo Travali così sinteticamente lo descrive: «Al km. 30+180 della ... linea ferrata si nota la mancanza di circa 30-40 cm. di rotaia, lato sinistro rispetto alla direzione Palermo-Cinisi nonché un fosso sottostante da cui manca la traversa di legno». Delle tracce dello scoppio e delle misure del cratere non vi è alcuna menzione nei verbali redatti dai carabinieri, che si limitano a menzionare il reperimento di tre pezzi di binario. E ciò malgrado la palese importanza di questo elemento per la individuazione delle caratteristiche dell'esplosivo e delle modalità della sua collocazione.
Fa eccezione il rapporto giudiziario del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo, datato 10 maggio, in cui, alla prima pagina, testualmente si legge che «in sede di sopralluogo (all. 1) si constatava che: la rotaia del binario (unico) lato monte per un tratto di circa 40 centimetri era tranciato e divelto e sotto di essa si sera formata una grossa buca con spostamento delle traverse ...».
L'approfondimento della conseguenze dell'esplosione è affrontato per la prima volta nel corso dell'istruzione formale condotta dal giudice Chinnici il 19 ed il 21 dicembre 1978 in occasione degli esami testimoniali del maresciallo Alfonso Travali, comandante della stazione di Cinisi, e del brigadiere Antonio Sardo, artificiere del reparto operativo dei carabinieri del gruppo di Palermo. Ne parla per primo al giudice istruttore il maresciallo Travali, che ricorda la circostanza: «sul punto indicato dal ferroviere notai che effettivamente sul binario di sinistra, in direzione di Cinisi, e, quindi, di Trapani, per un tratto di circa 30-40 centimetri mancava la rotaia. In corrispondenza del punto in cui mancava la rotaia c'era un piccolo buco, del diametro di 30-40 centimetri, profondo circa 10-15 centimetri».
Il 20 dicembre 1978 il brigadiere dei Carabinieri Carmelo Canale, allora in servizio a Partinico, esaminato dal giudice istruttore Chinnici circa le tracce lasciate dall'esplosione, parla di un cratere del diametro di circa mezzo metro e della profondità di 30-40 centimetri (114).


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Infine il brigadiere dei carabinieri del reparto operativo del gruppo di Palermo Antonio Sardo, esaminato il 21 dicembre del 1978 da Rocco Chinnici, precisa che essendo sopraggiunto sul luogo dell'esplosione solo alle ore 10 del mattino, trovò la linea ferrata «ripristinata perfettamente». Sardo ricorda invece che «fu il comandante della stazione, assieme ad altri, che ci descrissero come fu trovato il tratto di strada ferrata»... in particolare ci dissero che al momento del loro arrivo mancava uno spezzone di binario di circa 70 centimetri e nel punto in cui mancava il binario c'era una buca [...] Non ricordo se mi fu precisata la dimensione di detta buca». Il teste Antonio Sardo dichiara che sostanzialmente si limitò «solo ad esaminare gli spezzoni del binario che [gli] furono mostrati e ad aprire il cofano della vettura Fiat 850». Questa precisazione comporta una «rilettura» della relazione di servizio redatta da lui alle ore dieci del giorno 9 maggio (115), in cui si legge: «si suppone che la carica esplosiva fosse composta da esplosivo ad elevato potere dirompente, verosimilmente esplosivo da mina comunemente impiegato nelle cave di pietra e per sbancamento di terreno quantitativamente rappresentato da Kg. 4-6 circa».
Di tenore sostanzialmente analogo la relazione di servizio del sergente maggiore Longhitano dell'11 direzione di artiglieria (116). Il militare, «richiesto di intervenire da parte del comando di gruppo carabinieri di Palermo», a sua volta, dopo aver precisato che al momento del suo arrivo il tratto di strada ferrata era stato ripristinato, «stante quanto riferito dai carabinieri», quindi de relato «presume che l'esplosivo fosse ad elevato potere dirompente, verosimilmente esplosivo da mina comunemente impiegato nelle cave di pietra e per sbancamento terreni». «La carica esplosiva, considerati gli effetti dirompenti, poteva essere di kg. 4-6 circa».
La relazione del brigadiere Sardo risulta redatta in Palermo, presso il Reparto operativo dei Carabinieri, in data 9.5.1978, cioè lo stesso giorno del sopralluogo.


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Nessun altro particolare consente oggi di risalire a chi - fra i carabinieri di Cinisi - descrisse gli effetti dell'esplosione, consentendo tali conclusioni circa il tipo e il quantitativo dell'esplosivo impiegato.
C'è allora da interrogarsi su come entrambi questi testi siano giunti a tali «presunzioni». Né una riposta all'interrogativo sembra potersi desumere dal tenore delle dichiarazioni rese dal generale Antonio Subranni alla Commissione Antimafia in occasione della sua audizione dell'11 novembre 1999. In tale circostanza all'audito viene chiesto di riferire in ordine alle caratteristiche dell'esplosione. Di seguito si riportano i passi del resoconto sommario nei quali è trattato l'argomento.

RUSSO SPENA COORDINATORE. E in base a quali atti tecnico-scientifici? Finora abbiamo parlato di contesto. Io le ho chiesto di farci capire gli aspetti tecnico-scientifici, e non soltanto di contesto o soltanto di commento. Cioè, vi sarà stata un'indagine su come era stata uccisa, o come era morta, o come si era suicidata una persona ...

SUBRANNI. Tecnicamente c'è poco; c'è polvere da cava, ce n'era molta in quella zona. [...]. ... io parlo sempre delle prime indagini. Al di fuori della buca formatasi per effetto dell'esplosione non c'era traccia di miccia, ad esempio. Questo l'ho detto anche a Del Carpio, che mi disse che lui effettivamente non si intendeva di queste cose. La lettera di Impastato per me era valida, nei termini in cui ne ho parlato.

RUSSO SPENA COORDINATORE. La lettera viene dopo, generale, parliamo della miccia, della polvere, e poi parliamo della lettera, di cui abbiamo peraltro già parlato.

SUBRANNI. Gli elementi tecnici erano questi: l'assenza di una traccia di miccia che andasse oltre la buca creatasi per effetto dell'esplosione; in secondo luogo, la dinamite usata era quella comune delle cave, e lì ci sono tantissime cave. Questi sono i pochi aspetti tecnici, il resto era tutto legato alle indagini, si trattava di sentire le persone, se qualcuno aveva visto qualcosa, perché la macchina circolava, se qualcuno aveva visto quando era stato aggredito: in questo caso, certamente avremmo preso un indirizzo diverso [...] (117)

Come si vede, il generale Subranni richiama due aspetti tecnici: l'assenza di una traccia di miccia e il tipo di esplosivo adoperato: dinamite comune da cava. Quanto alla mancata individuazione dei resti della miccia non può non rilevarsi che è di comune scienza il dato che i resti del detonatore o della miccia vengono dispersi in lontananza dall'esplosione.
In ordine al tipo di esplosivo, anche alla luce del tipo di indagini tecniche effettuate dai periti e in assenza di specifici elementi identificativi, l'indicazione data Subranni alla Commissione deve ritenersi


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priva di adeguato riscontro a meno che essa derivi da elementi allo stato non agli atti nella disponibilità della Commissione (118).
Alcuni altri particolari in merito alle tracce lasciate dall'esplosione, si traggono dal verbale delle dichiarazioni rese al giudice istruttore dal teste Andrea Evola, operaio specializzato delle Ferrovie dello Stato nella tratta Cinisi-Carini e addetto alla manutenzione dei binari (119). Questi riferisce al giudice Chinnici, di avere - al lume della lanterna - individuato il luogo dell'interruzione e constatato che esso era di circa 55 centimetri e di aver notato «un fosso profondo circa 30 centimetri e largo non più di 30 centimetri». Sostanzialmente analogo l'assunto di Antonino Negrelli (120), casellante delle ferrovie, che a sua volta riferisce al magistrato di aver notato «un fosso profondo circa 20 centimetri e largo circa 40 centimetri», e aggiunge che, quasi nel punto in cui mancava il binario, c'era un sandalo di legno.
Come si è già osservato, durante i sopralluoghi i verbalizzanti non effettuano alcuna esatto rilevamento delle dimensioni del «cratere» né più approfondite ispezioni.
I resti (si parla nel verbale di sequestro di tre pezzi (121) del binario non vengono nemmeno misurati, e non vengono allegate fotografie che li ritraggono.
Ma soprattutto né dai verbali (Trizzino e Travali) di sopralluogo, né da altri atti vi è menzione degli eventuali resti dell'innesco dell'ordigno, rectius del detonatore oppure degli eventuali resti di una miccia. È notorio che il detonatore, di qualsiasi tipo esso sia, può essere proiettato in frammenti lontano dall'onda d'urto dell'esplosione. E altrettanto vale per la miccia.
L'assenza in atti di elementi relativi al ritrovamento di queste tracce non consente la formulazione di ipotesi attendibili circa le modalità dell'accensione dell'ordigno esplosivo, né ovviamente di più precise conoscenze sulla natura e sulla quantità della sostanza o delle sostanze con cui esso era stato preparato: pertanto non si vede come da tale quadro possa essere stata desunta la consumazione di un'azione dinamitarda da parte della vittima.


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Sul punto si riportano le argomentazioni del perito Pellegrino:
Su un frammento di stoffa repertata sul luogo, sono state rinvenute tracce di binitrotoluene (o DNT - dinitrotoluene). Il binitrotoluene fa parte dei nitroderivati aromatici della serie nitrotolueni [...]. Questi tre nitrotolueni, ed, in particolare, quelli di 2-4 e 2-6, danno luogo ad una famiglia di esplosivi detti, per l'appunto, a base di bibitrotoluene. Oltre a ciò essi vengo impiegati per inumidire, e quindi fiemmatizzare leggermente, alcuni esplosivi a stato di aggregazione fisica pulverulenta. Gli esplosivi a base di binitroluene fanno parte dei così detti esplosivi dirompenti, o da mina, e quindi vengono utilizzati anche nelle nostre cave. Stante le risultanze ottenute si può quindi affermare che l'ordigno esplosivo col quale è stato ucciso (ammesso che non fosse già morto prima) Impastato Giuseppe era composto di esplosivo a base di binitrotoluene. Purtroppo non è stato possibile stabilire quale degli esplosivi appartenenti a questa famiglia è stato impiegato. Di conseguenza non è stato possibile stabilire quali caratteristiche fisiche è [...] aveva l'esplosivo impiegato. Di conseguenza non è possibile stabilire, seppure con approssimazione sufficiente, la quantità dell'esplosivo impiegato. Stante il mancato reperimento di elementi indicativi, non è possibile neanche dedurre come era stato innescato l'ordigno: se con detonatore elettrico o se con detonatore a miccia o a tempo.

Segue il rinvenimento delle calzature della vittima.

L'appuntato dei carabinieri di Cinisi, Carmelo Pichilli (122), dopo avere riferito al G.I. di avere partecipato, unitamente al maresciallo Travali e al brigadiere Antonio Esposito all'ispezione condotta dal pretore Pizzillo, precisa: «per terra, quasi nel tratto in cui mancava il binario, notai un sandalo «tipo farmacia» di colore bianco, un altro era nel lato opposto, e quasi a contatto con il binario». Mentre «a tre metri di distanza circa dal sandalo, che si trovava nel punto in cui mancava il binario, c'erano gli occhiali. Intatti o - non ricordo - se mancava un vetro».
Di questi tre reperti non si sa altro. Certo è veramente strano che gli occhiali siano rimasti sostanzialmente intatti a circa un metro dal punto ove mancava il binario, mentre la volta cranica sostanzialmente esplose, dispersa in un ampio raggio. Le indagini nemmeno preciseranno se sui sandali siano state rinvenute tracce dell'esplosione.

Gli accertamenti sul veicolo Fiat 850 da parte dei carabinieri:
a) la constatazione dell'assenza di tracce di esplosivo a bordo.

Accertamenti sull'autovettura Fiat 850 di Peppino Impastato risultano effettuati dal vice brigadiere dei carabinieri Squardo Antonino


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«artificiere-antisabotaggio» presso il reparto operativo dei carabinieri di Palermo. «Per ordine del Comandante del Reparto Operativo», il sottufficiale giunge sul luogo dell'esplosione alle ore dieci del mattino del 9 maggio e rileva che dal cofano anteriore, «chiuso», dell'autovettura, nella parte destra, fuoriusciva un cavo telefonico con i due fili, uno di colore rosso e l'altro trasparente, già agguainata all'estremità. Supponendo l'esistenza di una trappola esplosiva, l'artificiere con «tutti gli accorgimenti del caso» procede all'apertura del cofano. «Appena aperto il cofano» constata trattarsi di una cavo telefonico, della lunghezza di circa metri 2,80, collegato con i morsetti della batteria.
Il dato più significativo consiste nel fatto che l'ispezione di tutto il veicolo «alla ricerca di esplosivo o di trappole esplosive» non dà esito: di essi non si riscontra «alcuna traccia». Viene soltanto rinvenuta sul piano lunotto una matassa di cavo telefonico della lunghezza di circa 28 metri.

b) I mancati atti di polizia scientifica.

Non si cercano le impronte digitali sul veicolo dell'Impastato. Non vengono effettuati rilievi planimetrici. Non si procede ad un idoneo setacciamento del terreno per individuare tracce dell'innesco.
Non vi è alcun riferimento negli atti ad indagini di polizia scientifica indirizzate ad evidenziare a bordo dell'auto impronte digitali recenti dei possibili compartecipi all'azione criminosa ascritta all'Impastato. Non risultano effettuati rilevi planimetrici atti a indicare il luogo esatto ove l'auto fu ritrovata e le distanze relative con altri reperti e i manufatti presenti in quel contesto. Né risulta alcuna specifica ricerca di tracce di esplosivi, inneschi o di qualsiasi altra cosa servita o destinata alla consumazione della presunta azione dinamitarda.
Queste carenze appaiono tanto più inspiegabili se si tiene conto della presenza in loco di personale di polizia giudiziaria idoneo a tali rilievi, desunta dalla circostanza dell'avvenuto rilevamento fotografico dello stato dei luoghi da parte di personale della compagnia di Partinico.
Tuttavia, inspiegabilmente, nessuno sembra avere proceduto ai rituali rilevamenti planimetrici o quanto meno ad allegare agli atti di polizia giudiziaria un estratto di mappa catastale utile a fornire una rappresentazione dei luoghi stessi. E nemmeno, nel cratere provocato dall'esplosione, a prelievi di inerti (terra, pietrame, ecc.) utili ad eventuali analisi chimiche per l'individuazione dell'esplosivo e del relativo innesco.
Inoltre, senza una plausibile spiegazione, mancano agli atti del procedimento reperti fotografici essenziali, quali, ad esempio, le immagini del luogo dell'esplosione, i particolari del cratere e del binario interrotto, ecc.
In sostanza, occorre prendere atto che gli atti della polizia giudiziaria versati alla procura di Palermo producono una sorta di oscuramento dello stato dei luoghi.


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Il verbale di sopralluogo redatto dai carabinieri il 9 maggio 1978.

Alle ore 10 del 9 maggio 1978, il maresciallo Travali redige un proprio «processo verbale di sopralluogo» (123) (compilato «per essere allegato al rapporto giudiziario»). L'atto è intestato «Verbale di sopralluogo effettuato in località «Feudo», agro di Cinisi, (PA), ove sono stati rinvenuti i frammenti del cadavere di Impastato Giuseppe ..., celibe, studente universitario f.c. [leggasi fuori corso] , nullafacente».
Dal sopralluogo eseguito, si addiviene ai medesimi rilievi descrittivi del processo verbale redatto in presenza del pretore Trizzino. In particolare si evidenzia, iniziando la descrizione dei luoghi, che la località Feudo è raggiungibile dalla strada comunale che costeggia la recinzione - lato monte - dell'aereoporto di Punta Raisi: «Dopo avere percorso 4-5 chilometri dall'abitato di Cinisi, sulla destra si perviene ad una trazzera che termina ad una casa rurale, abbandonata ed aperta, con antistante un piccolo piazzale in terra battuta, ove si rinviene l'autovettura ... in possesso di Impastato Giuseppe. Detta autovettura «non chiusa a chiave» presentava il cofano socchiuso, da cui fuoriusciva un filo - presumibilmente di corrente elettrica - della lunghezza di circa un metro, con la estremità sguainata. L'autovettura non è stata ispezionata all'interno a scopo precauzionale, in attesa dell'intervento dell'artificiere richiesto».
Nel verbale di sopralluogo redatto dal maresciallo Travali si fa espresso riferimento al rinvenimento di un chiavino del tipo Yale, a distanza di circa 5 metri dalla interruzione dei binari, nei pressi di un cespuglio di agavi.
Manca ogni elemento utile a configurare le distanze e la posizione relativa del punto dello scoppio rispetto all'autovettura e alla casa rurale prospiciente. Proprio quell'edificio semiabbandonato che, stranamente protetto da un servizio di piantonamento di carabinieri anche dopo il sopralluogo del 9 maggio, diventerà scenario di importanti sviluppi investigativi solo per iniziativa di alcuni amici di Impastato e di un anziano medico legale, noto per il suo impegno civile. Il verbale Travali si chiude dando atto che «sul posto sono state scattate delle fotografie», senza indicare chi vi ha proceduto.
Nessun riferimento al rinvenimento delle tre chiavi nei pressi della Fiat 850, nessuna menzione di una pietra insanguinata.


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Il rapporto giudiziario n. 2596/2 del 10 maggio firmato dal maggiore Subranni, comandante del reparto operativo del gruppo di Palermo non menziona la «casa rurale abbandonata», indicata solo in un allegato.

Come si è appena rilevato, nel verbale di sopralluogo predisposto dal maresciallo Travali ed unito al Rapporto giudiziario 2596/2 del 10 maggio 1978 (di cui costituisce l'allegato n. 1) , non si trovano altri riferimenti a questa «casa rurale abbandonata ed aperta». Eppure l'interesse investigativo dell'immobile era stato palesato dai rinvenimenti di tracce effettuati fin dalle prime battute delle indagini, e addirittura dal reperimento di una pietra recante evidenti tracce di sangue, consegnata nelle prime ore del mattino del giorno 9 ai carabinieri e portata via in un sacchetto di plastica.
Nelle 18 pagine del rapporto giudiziario del 10 maggio del maggiore Antonio Subranni, Comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Palermo, non vi è alcun cenno a detta costruzione. Nemmeno nella parte iniziale, ove Subranni pure richiama le risultanze del sopralluogo e, in particolare, il punto dell'esplosione, la disseminazione dei brandelli del corpo dell'Impastato, e, con maggiore dovizia di particolari, l'ubicazione dell'auto del giovane (posta a circa venti metri da punto dello scoppio) e la presenza a bordo di una matassa di filo «di circa 20 metri» (124). Una coincidenza di distanza, invero, utile a suffragare l'ipotesi della destinazione del cavo rinvenuto a bordo dell'auto all'innesco dell'esplosivo (125).


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Tra gli allegati al rapporto del 10 maggio non vi sono rilievi planimetrici.

Nemmeno tra i numerosi allegati al rapporto giudiziario risultano rilievi dai quali desumere l'esatta posizione dei reperti e, in particolare, la distanza della Fiat 850 dal luogo dell'esplosione e dalla casa rurale aperta e abbandonata.
Questa carenza non appare priva di significato, trattandosi di un tipo di rilievo del tutto usale, anche in un semplice incidente stradale e che inspiegabilmente risulta omesso. Non è dubitabile che la esatta rappresentazione dello stato dei luoghi avrebbe evidenziato l'interesse e il potenziale investigativo della casa abbandonata nel contesto dei fatti che determinarono la morte dell'Impastato.

Il fascicolo fotografico.

Quanto osservato per i rilievi planimetrici vale ancor più per il cosiddetto fascicolo fotografico che, a tutt'oggi, appare addirittura mancante agli atti del procedimento penale (126).
Eppure da una pluralità di fonti si desume che molte fotografie vennero scattate fin dalle prime ore del mattino del 9 maggio:
a) Si è già detto della esistenza di specifici reperti fotografici effettuati dai carabinieri sul luogo dell'esplosione e non risultanti negli atti processuali: si tratta delle «fotografie scattate dai carabinieri subito dopo il fatto» esaminate (127) dal perito Pietro Pellegrino, ma non allegate alla sua relazione.
b) Lo stesso maresciallo Travali nel processo verbale di sopralluogo a sua firma del 9 maggio dà atto che «sul posto sono state scattate delle fotografie».
c) La Commissione ha acquisito ed esaminato copia di un «fascicolo fotografico a seguito della morte di Impastato Giuseppe classe 1948 da Cinisi», realizzato dal Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Partinico. Ma questo fascicolo, a firma «Il Maresciallo Ordinario Comandante del Nucleo Operativo Francesco Di Bono», privo di indice e di relazione, consta di sole 9 (nove) fotografie, tutte prive di legenda e mancanti di qualsiasi elemento descrittivo, che ritraggono da più posizioni i resti degli arti inferiori di Impastato Giuseppe.

In questo «fascicolo fotografico» non vi è alcuna inquadratura del binario interrotto dall'esplosione, dei frammenti di rotaia (v. sub a), della posizione degli altri reperti individuati e descritti nei verbali di sopralluogo (chiavi, zoccoli, ecc.), né dell'autovettura fiat 850 parcheggiata


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in uno spiazzo poco distante dal luogo dell'esplosione, nei pressi di una casa disabitata.
Tantomeno risultano presenti in questo fascicolo (trasmesso anche all'A.G.) fotografie di campo largo, idonee a documentare l'area dell'evento e dell'intervento della polizia giudiziaria, che ordinariamente vengono effettuate in occasione di qualsiasi sopralluogo.
Queste anomalie non meritano ulteriori commenti.
d) Ancora in argomento va rilevato che tra le copie degli atti processuali acquisite dalla procura della Repubblica di Palermo non è stata trovata traccia delle fotografie di cui è fatta menzione nel «processo verbale di ispezione dei luoghi» redatto alle ore dieci circa del giorno 13 maggio del 1978 dal sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Scozzari, in occasione del sopralluogo condotto dallo stesso magistrato unitamente al maggiore Antonio Subranni ed al capitano Emanuele Basile, a periti di ufficio e di parte e con l'assistenza di «elementi della Squadra scientifica dei carabinieri del reparto operativo di Palermo».
L'atto istruttorio condotto dal Pubblico Ministero Scozzari nell'economia della relazione merita una autonoma e specifica trattazione. Sul tema specifico della carenza di idonei reperti fotografici negli atti processuali, merita di essere sottolineata una circostanza che riconduce immediatamente al «sopralluogo Scozzari».
Quattro giorni dopo lo scoppio dell'ordigno, in quel mattino del 13 maggio, nel corso della «ispezione del caseggiato in prossimità del quale fu rinvenuta in sede di primo sopralluogo l'autovettura Fiat 850 di pertinenza di Impastato Giuseppe» vengono individuati e asportati importanti reperti recanti tracce ematiche, che successivamente i periti indicheranno dello stesso gruppo dell'Impastato.
Il magistrato nel procedere all'ispezione del caseggiato evidenzia innanzitutto che esso si presenta composta da due distinte unità immobiliari «non comunicanti». E, relativamente alla prima di esse, verbalizza che «nel vano descritto è stato fatto un minuzioso rilevamento fotografico con particolare riferimento alla traccia lasciata dalla asportazione della pietra che si assume macchiata di sangue, alla pietra che i periti hanno ritenuto portante traccia di materia verosimilmente organica ed al sedile». Quindi dà atto che «... eseguiti i rilevamenti fotografici la pietra, dai periti come sopra notata, viene asportata per costituire reperto».
Anche nella seconda unità immobiliare, con ingresso a lato nord, il Pubblico Ministero Scozzari dispone che si proceda «all'accurato rilevamento fotografico dei vani». Altrettanto dicasi per uno straccio individuato all'esterno del caseggiato.
L'accurata verbalizzazione dell'ispezione evidenzia il rilievo che a questo atto processuale attribuisce il magistrato, che conseguentemente avverte l'importanza di una particolareggiata repertazione fotografica dei luoghi.
Ma tali fotografie non risultano tra gli atti pervenuti nella disponibilità di questa Commissione. Va sottolineato che i rilievi del giorno 13 risultano effettuati da elementi della Squadra scientifica dei carabinieri del reparto operativo di Palermo, e cioè da personale alle dirette dipendenze del maggiore Subranni, che partecipò personalmente


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all'ispezione Scozzari, ed ebbe pertanto una diretta percezione dell'esistenza di tracce ematiche all'interno del casolare.
e) Sempre in tema di rilievi fotografici - ma questa volta in riferimento alla presenza e all'operatività, il giorno 9 maggio, in Cinisi, di carabinieri addetti a rilevamenti fotografici - deve essere tenuto presente il contenuto della ricostruzione degli avvenimenti del 9 maggio effettuata da Giosué Maniaci, Faro Di Maggio, Andrea Bartolotta e altri compagni di Giuseppe Impastato, e riportata nello scritto «Testimonianze dei compagni di radio Aut» (128):
Faro Di Maggio: «Erano le otto e già avevano fatto tutto, già alle otto i carabinieri sono andati via, hanno portato via la macchina di Peppino e sono andati in caserma».
Andrea Bartolotta: «Io e Faro tentavamo di avvicinarci al binario perché ci avevano detto che era saltato sul binario. C'era tutto lo spiegamento di pubblica sicurezza, siamo stati subito additati dalla gente ... e ci hanno bloccato subito. Il tono fin dalle prime battute era molto perentorio: «non vi potete avvicinare, non si può avvicinare nessuno», e c'era altra gente che era vicina ai binari, mentre noi non potevamo avvicinarci. Gente di Cinisi, persone qualunque che non si capiva perché potevano stare lì. Siamo stati trattenuti almeno una cinquantina di metri dalla casa che c'è prima dei binari. Oltre il muretto. Ci hanno detto: «voi non avete dove andare, dovete presentarvi subito in caserma». Il tono era chiarissimo».
Faro Di Maggio: «Siamo andati in caserma e c'era la macchina di Peppino posteggiata davanti. Io l'ho aperta, ed ho guardato che cosa c'era: c'era un pezzo di filo che pendeva, quello che hanno detto che era servito per fare l'attentato, avrò lasciato le impronte, poi è venuto un carabiniere che ha detto che la macchina non si poteva toccare, era sequestrata. Ma l'avevano già toccata tutti ...».
Giosué Maniaci: «Prima di entrare in caserma abbiamo sostato nella piazzetta e c'era un carabiniere che aveva una 6x6 e avrà scattato migliaia di foto a noi».

Per quanto sopra evidenziato, deve ritenersi che le rilevate anomalie ed omissioni nella rituale documentazione fotografica di luoghi, reperti e tracce, concorrendo in maniera non trascurabile alla dissimulazione di un quadro indiziario univocamente orientato ad un evento omicidiario volontario, ebbero una significativa e indubbia rilevanza nella rappresentazione della morte di Giuseppe Impastato quale conseguenza di un «incidente sul lavoro» di un presunto terrorista.


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La singolare vicenda di un reperto descritto dai carabinieri come «pezzo di stoffa» con attaccature di materiale solido color piombo.

Tra le vicende relative a reperti che subiscono un destino singolare, tale da oscurarne del tutto l'importanza, oltre a quella delle «tre chiavi», già descritta, va menzionato il rinvenimento di un pezzo di stoffa colore nocciola sporco delle dimensioni di cm. 40 x 60 circa che presenta attaccature di materiale solido color piombo ad un angolo e in altre parti due macchie [di colore] nero probabilmente di catrame ed una certa quantità di catrame attaccata.
La stoffa in questione, malgrado le dimensioni, non viene individuata nel corso del primo sopralluogo. È consegnata ai carabinieri di Cinisi alle 19,10 del 13 maggio da Faro Di Maggio, Benedetto Manzella e Gaetano Cusumano che dichiarano di averla rinvenuta nello spiazzo antistante la casa rurale di contrada «Feudo» lì «dove ... poco più avanti era stata lasciata parcata l'autovettura appartenente a Impastato Giuseppe» (129).
Solo dopo dieci giorni, nella nota n. 4304/22-3 di prot. «P» datata 23 maggio 1978 della stazione dei carabinieri di Cinisi, indirizzata al PM Signorino e, per conoscenza, al reparto operativo del gruppo di Palermo e al comando compagnia di Partinico, si menzionano «alcuni reperti» presentati da Di Maggio Faro, Manzella Benedetto e Cusumano Gaetano. In essa si legge, in particolare, che n. 2 pezzi di stoffa rinvenuti vicino alla casa rurale abbandonata (e, come si è detto, a disposizione dei militari dal 13 maggio) - unitamente ad altri reperti - verranno depositati presso la cancelleria della procura di Palermo.
Fra gli atti acquisiti dalla Commissione parlamentare presso gli uffici del Reparto operativo del gruppo dei carabinieri di Palermo è stata rilevata corrispondenza tra quel reparto e il comando della stazione dei carabinieri di Cinisi (cfr. la nota n. 25/9) datata 25 maggio 1978, pertinente «n. 2 ricevute relative ai reperti versati in data odierna presso la cancelleria del locale tribunale». Tra gli atti la missiva all'ufficio reperti, datata 25 maggio 1978, relativa a reperto costituito da: «un pezzo di stoffa a fiorellini bleu, bianchi e verdi che presenta tre piccoli buchi prodotti da bruciature ed un pelo attaccato all'orlo di uno dei buchi; un pezzo di stoffa color nocciola misurante cm. 40 x 60 che presenta tracce di materiale solido color piombo nonché due macchie di catrame e con catrame attaccato; n. 4 frammenti di pietre che presentano tracce nerastre rinvenute all'interno della stalla Venuti da giovani compagni, in atti generalizzati, del deceduto Impastato Giuseppe ...».
Altri resti organici - unitamente ad una pietra con apparenti tracce di sangue - vengono ritrovati da amici dell'Impastato il pomeriggio del 12 maggio, ma questo ritrovamento sarà oggetto di separata ed approfondita trattazione nell'ambito della vicenda relativa al reperimento di pietre insanguinate.


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La missiva di trasmissione del reperto di stoffa con una macchia di colore piombo risulta formata dal Reparto operativo del gruppo di Palermo e reca la firma del maggiore Antonio Subranni. Essa, come si è detto, è datata 25 maggio 1978.

Un reperto dal destino singolare.

Il destino di questo reperto è singolare: nessuno se ne occupa e nessuna analisi e nessun specifico accertamento viene su di esso effettuato. Nessuno deve avere preso in considerazione l'opportunità di verificare se quella sostanza gelatinosa potesse fornire tracce interessanti per l'individuazione di esplosivi e per l'eventuale accertamento della loro provenienza. Nella perizia balistica disposta dal Pubblico Ministero non vi é alcun richiamo al reperto di tela di sacco rinvenuto e consegnato ai carabinieri il 13 maggio.
Come perso nel nulla, esso non é preso in debita considerazione da alcuno. Nemmeno dopo che, nel corso della formale istruzione, Faro Di Maggio con una lunga testimonianza, riferisce nuovi particolari sia in ordine al sopralluogo effettuato nel casolare, sia in ordine alle fotografie scattate alle macchie di sangue ivi rilevate, sia, infine, alla consegna ai carabinieri di «un telo di sacco imbevuto di sostanza solidificata argentata» (130).
Eppure la testimonianza Di Maggio evidenzia le sostanziali diversità nelle descrizioni di questo reperto . Di Maggio descrive al giudice istruttore un telo di sacco «imbevuto di sostanza solidificata argentata». I carabinieri nel verbale del 13 maggio descrivono il reperto come «un pezzo di stoffa di colore nocciola sporco che presenta attaccature di materiale solido colore piombo». Poi nella nota al PM Signorino parlano genericamente di «alcuni reperti presentati da Di Maggio Faro ed altri», riservandosi di trasmettere in cancelleria «n. 2 pezzi di stoffa».
Una modalità di verbalizzazione che ha una rilevanza superiore al dato meramente descrittivo, tenuto anche conto del fatto che l'informativa 4304/22-3 viene redatta il 23 maggio, cioè dopo dieci giorni dalla ricezione del «telo di sacco» e perviene in Procura solo il successivo 27 maggio, per essere inutilmente allegata agli atti (sull'incarico peritale all'esperto di esplosivi, vedi supra).
Sulla tela di sacco imbevuta di sostanza solidificata argentata non sarà mai effettuato alcun accertamento.
E ciò anche se con la «richiesta di indagini» datata 11 maggio 1978 indirizzata al Sig. comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo (leggasi il maggiore Antonio Subranni), il Pubblico Ministero procedente aveva espressamente richiesto l'accertamento della provenienza del materiale esplodente (131).


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Questa richiesta resterà infatti inevasa (e mai più rinnovata).
E la stessa sorte toccherà ad alcuni pezzi di pietra con tracce apparentemente ematiche raccolti dagli amici di Impastato e consegnati ai Carabinieri, sui quali non risulta mai effettuata alcuna indagine tecnica.

Gli accertamenti di interesse balistico.

Come risulta dal fascicolo processuale, l'incarico di «perizia tecnica di ufficio» (132) conferito dal PM Signorino al perito balistico Pietro Pellegrino risale al 19 maggio.
Il Pm propone tre quesiti: 1) Tipo di esplosivo usato nella morte di Impastato Giuseppe; 2) La ricostruzione della dinamica della morte; 3) Quant'altro risulta utile alle indagini. Il perito accetta l'incarico e chiede 40 giorni per rispondere per iscritto ai quesiti (ma depositerà la propria consulenza il 28 ottobre 1978).
Nel verbale di incarico nulla si legge circa i reperti oggetto di perizia. Essi non vengono neppure indicati, nemmeno per relationem. In sostanza, da quell'atto non è dato comprendere su cosa lavorerà il perito. Solo all'atto del deposito della Relazione (28 ottobre 1978) si saprà che il sig. Pietro Pellegrino «allo scopo di acquisire elementi utili per l'indagine», aveva consultato i carabinieri della caserma Carini, sede del comando provinciale, il perito prof. Paolo Procaccianti, incaricato di svolgere esami chimici sui reperti, ed aveva esaminato (133) le fotografie scattate dai Carabinieri subito dopo il fatto.
Quanto alle «fotografie scattate dai carabinieri subito dopo il fatto» nulla di più è dato conoscere, perché non furono allegate dal perito alla propria dissertazione, né se ne hanno altre tracce, eccezion fatta per quelle già indicate.
Ci si deve pertanto attenere ai brevi riferimenti effettuati dal Pellegrino, che pertanto vanno integralmente riportati: «Dalla documentazione fotografica si evince inoltre che un tratto di binario ferroviario è stato divelto dall'esplosione ed asportato di netto, tra le due traverse di legno. Dalla modalità di come il binario è stato tranciato e dalle tracce che si possono osservare sulla fiancata di una delle traverse di legno, si può dedurre che doveva trattarsi di esplosivo ad alto potere dirompente e ad elevata velocità di detonazione».

Una perizia sugli atti!

Una perizia sugli atti dunque, atteso che in essa non vi è alcuna menzione di rilievi o analisi su reperti di interesse per gli accertamenti di natura chimico-balistica, quali ad esempio, gli spezzoni di rotaia,


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l'area interessata all'esplosione, oltre al citato «pezzo di stoffa color nocciola recante tracce di sostanza color piombo».
Né il sig. Pietro Pellegrino - che, come si legge dalla carta intestata allo Studio Pellegrino, si dichiara oltre che «consulente tecnico del tribunale di Palermo, Membro della Confédération internationale des associations d'experts, aggregata all'ONU» - riferisce di diretti sopralluoghi o ispezioni di reperti.
In sostanza la perizia Pellegrino si riporta agli esiti del lavoro del perito chimico, e, in particolare, alle analisi effettuate «su un frammento di stoffa repertata sul luogo» ove erano state rinvenute tracce di binitrotoluene (o DNT - dinitrotoluene) e trae delle ulteriori deduzioni dall'osservazione di reperti fotografici che non risultano agli atti!
Le conclusioni della «perizia» Pellegrino saranno di seguito esaminate.
Allo stato è necessario evidenziare che nella relazione di perizia Caruso-Procaccianti (depositata anch'essa il 28 ottobre 1978) si legge che la ricerca per le polveri da sparo allo scopo di evidenziarne «residui incombusti» fu effettuata sul frammento della mano destra di Impastato attraverso il metodo del guanto di paraffina e «su un frammmento della camicia di lana (a piccoli scacchi verdi e marrone chiaro, su fondo beige) sottoposto ad esame con una miscela di acetone: metanolo 1/1 e con successiva analisi cromatografica su strato sottile e gas-cromatografica. Tale accertamento aveva consentito di rilevare tracce di dinitrotoluene (DNT). Con la stessa metodica i periti Caruso e Procaccianti avevano poi proceduto sullo straccio di tessuto «fantasia» per abito da donna con tracce di materia nerastra, rinvenuto e repertato durante il sopralluogo giudiziario del 13 maggio 1978. Detta ricerca aveva dato esito negativo.

Il primo ritrovamento di una pietra con tracce di sangue.

All'esito delle risultanze acquisite agli atti della Commissione è possibile affermare che il primo ritrovamento di una pietra con evidenti tracce di sangue risale alla primissima fase degli accertamenti, allorché i carabinieri si portarono per la prima volta sul luogo dell'esplosione.
La circostanza non solo è in sé rilevantissima, ma fornisce una plausibile chiave interpretativa di plurime anomalie investigative e, al tempo stesso, costituisce una netta smentita alle soluzioni investigative proposte nel rapporto giudiziario del 10 maggio, redatto già all'indomani dell'evento.
Di tale (prima) pietra insanguinata non vi è traccia negli atti processuali. Tuttavia la sua esistenza può, al di là di ogni ragionevole dubbio, essere desunta innanzi tutto da due indipendenti testimonianze: le dichiarazioni del maresciallo Travali rese in sede di audizione dinanzi alla Commissione e quelle del necroforo comunale, raccolte e registrate da Felicia Vitale.
Entrambe le fonti - allo stato non comprese tra quelle oggetto di specifica attività processuale - si palesano precise, particolareggiate e


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concordanti e trovano, come si vedrà, riscontri sia di natura obiettiva (per esempio il successivo rinvenimento di ulteriori reperti dello stesso genere nello stesso luogo), sia di natura logica (desumibili dalle medesime cennate anomalie investigative).

a) La testimonianza del necroforo di Cinisi circa il ritrovamento di una pietra insanguinata.

La prima di queste è quella del necroforo comunale, e si ritrova nelle dichiarazioni rese a Felicia Vitale. Per la sua particolare importanza il testo dell'intervista riportato in una registrazione audio, la cui copia è stata acquisita agli atti della Commissione (134), va integralmente riportato (135).

F. Che mestiere fai?
L. Il mio mestiere è... di spostare i cadaveri.
F. Cioè sei necroforo comunale?
L. Sì, sì. Giusto.
F. Da quanto tempo fai il necroforo?
L. Quarant'anni.
F. Conoscevi Peppino Impastato?
L. Sì, conoscevo Peppino Impastato. Quannu c'era d'appizzari [appendere] i manifesti... U venerdì, mi retti [diede] i manifesti pi essiri pronti u sabatu, chi c'era u fattu du comiziu, ai si purtava Pippinu Impastato. Perciò... Poi sintivi stu fattu, mi vinniru a chiamari... là... .u dutturi...
F. Parli del 9 maggio?
L. Il 9 maggio, quannu fu... Pippinu Impastato...
E. Quando fu assassinato Peppino Impastato...
L. Sì, e mi vinniru a chiamari, u dutturi Di Bella, compreso il Comune di Cinisi, pi spustari... «(Sai, ci fu stu buottu...». Poi di chiddu c'era sei chila di robba, sei chila...
E. Cioè del corpo di Peppino hai recuperato...
L. L'occhiale e compreso chiddu chi c'era vicino ai zabbari [alle agavi], giustu? ... Nu murettu c'era una amma [gamba] di Pippinu Impastato.
Pu fattù di chiavi, truvai nella ferrovia, 'nsemmula [insieme] cu maresciallu, chi era e ... truvammu sti chiavi nella ferrovia.
F. Le hai trovate tu o... ti ha detto...?
L. U maresciallu mi rissi: «Amu a truvari sti chiavi». E circammu 'nsinu chi truvammu sti chiavi nella ferrovia. A ferrovia era già staccata, du scoppiu [per lo scoppio].
F. Ti ha indicato lui il posto dove cercare?
L. Sì, sì, pi circari sti chiavi, ca i chiavi un si putevanu truvari unii eranu e i truvammu na ferrovia. Tuttu bellu... I truvammu e ci retti all'autorità. «Ccà


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ci sunnu i chiavi». Poi arrivannu na cosa... truvammu sta pietra... Sta pietra era... E si la purtaru iddi...
F. Dove?
L. Ni lu casularu.
F. Dentro il casolare...
L. Dentro il casolaro e truvammu sta pietra e s'a purtaru iddi 'n Palermu, pi i fatti soi, pi indagini.
F. La pietra era sporca di sangue?
L. Sì inchiappata [sporca] di sangue era.
F. Era sporca di sangue...
L. Sì, e s'a purtaru, tranquilli.
F. Che grossezza poteva avere?
L. Un cuculuni i mari [un ciottolo di mare], tantu poteva essiri, massimu.
F. Un...
L. Chi dicu, mittemu, menzu chilu, chiossà... su per giù ddocu si batti.
E. Ed era sporca... questa pietra?
L. Inchiappata era...
E. Sporca di sangue...
L. E s'a purtaru iddi, a misiru n'un sacchiteddu e s'a purtaru.
F. E tu l'hai notato che dentro il casolare c'era il sedile di pietra, quello che noi chiamiamo la ricchiena?
L. Sì, la ricchiena dda c'era, a manciatura parrannu in sicilianu.
F. Sì e poi dall'altra parte il sedile... E tu l'hai notato che era sporco di sangue?
L. Puru tuttu inchiappatu era dda. Picchi quannu truvammu... truvai a pietra, era propria in terra, accusciata a ringhiera era, unni c' era sta manciatura, e a truvai. A pigghiaru e ci dissi: "Purtativilla". Era chissu, su cuculuni i mari.
E. E l'hai consegnato alle autorità?
L. E a cunsignai ai carrabinieri chi c'eranu.

Le dichiarazioni del Liborio derivano la loro importanza dal fatto che esse conducono a riferire con certezza il ritrovamento del «cuculuni i mari» al contesto delle prime indagini, e in particolare alla raccolta dei resti del cadavere di Giuseppe Impastato. Non v'è dubbio, infatti, che solo in tale circostanza si ha la presenza sul luogo del necroforo, che, espletato il suo compito, provvede al trasporto delle poche spoglie recuperate all'obitorio, dove, come si evince dal relativo verbale, si procede alle operazioni autoptiche. Secondo la precisa testimonianza del Liborio, una pietra insanguinata fu consegnata ai carabinieri, conservata in un sacchetto e portata a Palermo: ma di tale reperto non vi è traccia in atti.
Si tratta quindi del primo rinvenimento di reperti con tracce ematiche, avvenuto il mattino del giorno 9 maggio, e pertanto antecedente alla stesura del primo rapporto giudiziario. Un fatto certamente idoneo ad ancorare ad elementi concreti la tesi dell'omicidio, potendo da esso ipotizzarsi un evento lesivo in danno della vittima, riferibile ad uno scenario (uno dei vani della casa rurale) peraltro


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interessato da altre simili tracce. La circostanza che la testimonianza rivelatrice del Liborio sia stata raccolta al di fuori dell'impianto istruttorio ne ha determinato una sorta di eccentricità rispetto agli elementi processuali.
Di Liborio non vi è traccia agli atti fino alla improvvisa citazione da parte di Chinnici. Né risulta che tale testimonianza sia stata oggetto di successivi approfondimenti (ad esempio con l'esame della Vitale sulle modalità e il contesto di quella intervista, peraltro resa pubblica). Peraltro, anche al di fuori del processo, il rinvenimento della pietra da parte del Liborio ha dato adito a diverse ricostruzioni del suo contesto, non risultando di essa costituito alcun reperto (136).
Deve essere sottolineato che - in base agli elementi testé esaminati - il ritrovamento del «cuculuni i mari» non va confuso né con la pietra insanguinata fatta pervenire al professore Ideale Del Carpio dagli amici dell'Impastato il 12 maggio (e cioè la sera precedente all'ispezione condotta dal pubblico ministero Scozzari, avvertito e, veromilmente, richiesto dal Del Carpio), né con i reperti asportati nel corso dell'ispezione condotta dal pubblico ministero Francesco Scozzari (iniziata alle ore 10 circa del 13 maggio), né, infine, con il prelievo di altri reperti (137) (tracce di macchie ematiche sulla «panca in muratura» all'interno di uno dei vani della casa abbandonata) effettuato alle ore 17 del giorno 13 maggio 1978 dall'appuntato Pichilli e dal maresciallo Travali, a seguito delle «pressanti richieste» di Faro Di Maggio, Benedetto Manzella e Gaetano Cusumano.

b) L'audizione del maresciallo Travali dinanzi al Comitato «Impastato» dell'11 novembre 1999.

A seguito dell'audizione (138) del maresciallo Alfonso Travali, effettuata giovedì 11 novembre 1999, l'inchiesta si arricchisce di nuovi


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particolari circa l'andamento delle prime indagini dei carabinieri e in particolare circa il rinvenimento di tracce che potevano e dovevano orientare gli inquirenti a ritenere la fine dell'Impastato riconducibile ad una azione dolosa di terzi.
Il racconto del sottufficiale al Comitato ricostruisce con precisione l'avvio degli accertamenti:
ricordo che la mattina del 9 maggio 1978, alle prime ore del giorno, intorno alle 3,45-4, bussò alla porta della caserma dei carabinieri un impiegato delle ferrovie. Costui ci riferì che il personale macchinista di un treno - giunto alla stazione di Vergara di Cinisi - lo aveva informato che il convoglio nei pressi di una località, il cui nome in questo momento non ricordo, aveva subito uno sbalzo per poi proseguire nella sua corsa. A seguito di questa notizia l'impiegato delle ferrovie aveva provveduto ad ispezionare quel tratto di linea ferrata ed ad un certo punto aveva riscontrato l'esistenza di una buca e la mancanza di un pezzo di binario, inoltre, nelle immediate vicinanze aveva rinvenuto un sandalo della marca dottor School's. Immediatamente, accompagnato da due carabinieri (139) e dall'impiegato delle ferrovie, mi recai sul posto dove effettivamente, alla luce dei fari, potei constatare l'esistenza sia della buca sulla linea ferrata, sia del sandalo; nei pressi, inoltre rinvenimmo l'automobile di Giuseppe Impastato, una Fiat 850.... Sul posto, ripeto, alla luce dei fari constatammo quanto già detto e notammo un'automobile parcheggiata poco distante, accanto ad una casa diroccata, che riconoscemmo essere quella di proprietà di Giuseppe Impastato. ... distante circa 10-15 metri... A quel punto detti l'allarme a seguito del quale sono intervenuti reparti speciali, il nucleo operativo di Palermo, comandato dall'allora maggiore Subranni. ... Ripeto, a seguito del mio allarme, intervennero dei reparti speciali che condussero tutte le operazioni ritenute necessarie».

Secondo il Travali, tramite il Comando Compagnia di Partinico, l'allarme venne inoltrato tra le 4,30 e le 5, subito dopo che erano stati rinvenuti alcuni pezzi di cadavere. Nel frattempo, si era fatto giorno, e alla luce si delineò lo scenario del delitto e vennero rinvenuti altri frammenti del cadavere di Impastato sparsi nei dintorni. Alla specifica domanda, avente ad oggetto l'interesse investigativo rappresentato dall'esistenza in un punto assai prossimo al luogo dell'esplosione di un edificio («lei ha dichiarato che l'auto Fiat 850 era parcheggiata nell'area antistante un casolare, vi siete recati sul posto?»), il Travali risponde affermativamente, e ricorda subito la circostanza che nulla impediva l'accesso all'interno di quell'edificio («Sì, il casolare era aperto»).
L'argomento viene focalizzato dalle domande e dalle risposte che seguono:

RUSSO SPENA COORDINATORE. Che cosa avete trovato nel casolare?


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TRAVALI. Poche cose, quasi niente. Ripeto, ricordo che non abbiamo trovato niente, poi non so se nel verbale...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Non avete osservato dei segni di violenza, ad esempio delle pietre insanguinate?

TRAVALI. Credo che sia stata rinvenuta qualche pietra con tracce di sangue. A proposito del casolare torno a ripetere che si trattava di un edificio malandato disabitato da molto tempo.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Maresciallo Travali, precedentemente, a mia precisa domanda, lei ha risposto che il casolare era stato perquisito e che non avevate rinvenuto nulla, adesso però afferma che in quell'edificio vi erano delle pietre insanguinate...

TRAVALI. Mi sembra di ricordare che all'interno di quel casolare disabitato e fatiscente rinvenimmo qualche pietra con tracce di sangue.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Avete dato importanza al fatto di aver trovato queste pietre insanguinate nel casolare? Inoltre ci può descrivere il casolare?

TRAVALI. Era un edificio con mura fatiscenti, senza porte e quindi accessibile a tutti, forse veniva utilizzato come ricovero da qualche pastore dal momento che era completamente aperto.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Il sopralluogo nel casolare l'avete effettuato immediatamente, non appena compresa la gravità dei fatti verificatisi?

TRAVALI. Certamente, nella stessa mattinata e siamo rimasti sul posto fino a tardi.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Quindi presumo che il sangue sulle pietre fosse ancora fresco?

TRAVALI. Questo non lo so dire.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Immagino che abbiate esaminato queste pietre, non sa dirmi quindi se si trattasse di sangue fresco?

TRAVALI. Noi abbiamo rinvenuto delle pietre con qualche schizzo di sangue.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Non avete toccato le pietre per verificare se si trattasse di sangue fresco?

TRAVALI. No, non l'abbiamo fatto perché toccandole avremmo potuto alterare delle prove. Successivamente, provvedemmo a comporre in una cassa i frammenti del cadavere dell'Impastato che rinvenimmo nei dintorni, addirittura sugli alberi considerato che la deflagrazione era stata di una certa violenza. A quel punto tornammo in paese dove altri gruppi stavano effettuando


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indagini, accertamenti e perquisizioni a cui non partecipai perché - ripeto- rimasi sul posto dove stilai il verbale di sopralluogo».

La questione del ritrovamento veniva ulteriormente approfondita nel corso della medesima audizione:

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei ha parlato poco fa di reperti e vorrei sapere qualcosa sulle pietre insanguinate e sulle tracce di sangue trovate nel casale.

TRAVALI. Anche le pietre venivano repertate.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei ha detto che non bisognava alterare le pietre perché avevano macchie di sangue. Poche ore dopo l'avvenimento, quindi quando ha albeggiato, lei è entrato nel casolare e ha trovato pietre con macchie di sangue, tant'è vero che ha detto che non bisognava alterarle (verbo che lei ha usato e che risulta dai nostri resoconti stenografici). Agli atti non vi è traccia di reperto sulle pietre insanguinate. È sicuro che sono state repertate?

TRAVALI. Tutto quello che veniva rinvenuto sul luogo o che ci veniva portato dai giovani di Cinisi...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Mi riferisco a quello che avete rinvenuto nel casolare; i giovani svolgevano attività di volontariato nelle indagini le quali però spettano alla stazione dei carabinieri. Avete repertato le pietre con macchie di sangue rinvenute nel casolare?

TRAVALI. Tutto ciò che veniva rinvenuto veniva repertato e quindi anche queste pietre.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Il ritrovamento di pietre insanguinate nel casolare sarebbe stato utile anche per le vostre indagini.

TRAVALI. Tutto quello che veniva rinvenuto veniva repertato e consegnato presso la cancelleria della procura.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei ha detto di aver visto pietre insanguinate e tutto ciò che è stato rinvenuto sul posto veniva repertato. Di conseguenza, anche le pietre insanguinate sono state repertate. Quale ufficiale di polizia giudiziaria curava la repertazione?

TRAVALI. Lo facevo io con altri militari della stazione. Dopo vent'anni non mi ricordo i loro nomi ma mi facevo dare una mano a repertare da chi era presente; i reperti venivano poi portati alla procura di Palermo.

Le precisazioni del Travali circa l'esistenza di tracce di sangue su pietre rilevata fin dal primo sopralluogo costituisce un riscontro pieno


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all'attendibilità delle dichiarazioni del necroforo, che, come si è visto, con dovizia e precisione di particolari aveva parlato di una pietra insanguinata, trovata la mattina del 9 maggio, consegnata ai militari e dalli stessi portata via (...e s'a purtaru iddi 'n Palermu, pi i fatti soi, pi indagini).
Tuttavia - malgrado la contraria affermazione del maresciallo Travali sopra riportata (Tutto quello che veniva rinvenuto veniva repertato e consegnato presso la cancelleria della procura) - della consegna e della repertazione del «coccoluni» non vi è traccia nel verbale di sopralluogo dattiloscritto, redatto dal Travali «nell'ufficio Stazione dei Carabinieri alle ore 10 del 9 maggio» e nemmeno in altri atti.
Né di una o più pietre insanguinate repertate quella mattina si fa menzione nella nota inoltrata dallo stesso Travali in data 12 maggio 1978 al magistrato dr. Signorino (e per conoscenza alla Compagnia di Partinico e al reparto operativo di Palermo) con la quali si provvedeva a trasmettere 4 verbali di perquisizione, i verbali di sequestro e di affidamento della Fiat 850 e 4 reperti (precisamente: i tre pezzi di rotaia ed una chiave tipo Yale; alcuni oggetti di vestiario; i due cavi telefonici rinvenuti all'interno della Fiat 850; i tre cavi telefonici rinvenuti nei locali di radio Aut in Terrasini).
Tornando agli accadimenti della mattinata del nove maggio, deve rilevarsi che il particolare sottolineato dal pretore Trizzino, circa la mancata ispezione della costruzione rende evidente che la scoperta dei carabinieri dovette essere precedente alle operazioni del sopralluogo da lui condotto.
Poiché il magistrato non assistette al rinvenimento del «cuculuni i mari», il fatto va ascritto ad una fase immediatamente antecedente al suo arrivo o successiva al suo allontanamento.

Le pietre insanguinate scoperte dagli amici di Giuseppe Impastato.

L'arrivo di amici e compagni di Giuseppe Impastato sul luogo dell'esplosione va collocato ad un lasso di tempo compreso tra le ore 7,30 e le ore 9,30.
I giovani giungono alla spicciolata sul luogo dell'esplosione. Vito Lo Duca ricorda (140) di essere arrivato sul posto insieme ad Antonio Giannola fra le 9 e le 9,30 e di essere stato tenuto a distanza dai carabinieri, che ne annotano il nome. Alle 11,10 di mercoledì 10 maggio vengono raccolte a verbale le sue dichiarazioni nella stazione dei carabinieri di Cinisi, ai quali spiega che il filo più lungo trovato sull'auto di Impastato veniva adoperato in occasione dei comizi per collegarsi all'impianto elettrico del bar Munacò. Lo Duca nel corso delle sue dichiarazioni a Chinnici precisa di essere ritornato uno o due giorni dopo sul luogo dell'esplosione e di essere entrato con altri in una stalla e di avere notato sul pavimento di pietra tre gocce che sembravano di sangue. In quella occasione una delle pietre macchiate


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viene estratta e consegnata a Faro Di Maggio e poi, insieme ad alcuni resti del corpo, fatta pervenire al prof. Ideale Del Carpio. Il luogo dell'esplosione è raggiunto anche da Giovanni Riccobono (141) ma neanche a lui è consentito avvicinarsi.
Giovanni Impastato «a riprova che le indagini non furono condotte con la necessaria solerzia» riferisce al giudice istruttore (142) che «quando Faro Di Maggio si presentò al maresciallo dei carabinieri per dire che nel casolare vicino al luogo erano state trovate macchie di sangue, il maresciallo quasi non voleva andare. Dopo reiterati tentativi fu costretto ad andare [...]» e aggiunge di avere appreso che «i ragazzi amici del fratello avevano notato tali macchie fin dal primo momento, e in tal senso avevano informato il maresciallo, il quale però solo a distanza di giorni accettò la richiesta di accedere sul posto».

Faro Di Maggio (143) così ricorda la mattina del giorno 9 maggio: «sul posto dove furono trovati i resti di Peppino ci recammo in sei o sette compagni e in un primo momento però non fu consentito di avvicinarci». E precisa, a sua volta, che «i resti del corpo di Impastato erano tutti bruciacchiati ed erano misti a parti di indumento [...]», aggiungendo di essere successivamente ritornato sul luogo (assieme a Gaetano Cussumano, Paolo Chirco, Pino Manzella e Vito Lo Duca ) e di avere notato macchie di sangue sul pavimento di un casolare accanto alla strada ferrata». Ricorda pure che in tale occasione erano


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state scattate varie foto: «...Compresa l'importanza del fatto prima abbiamo fatto delle fotografie sia alle macchie sul pavimento, che a quelle sulla panca in muratura [...] quindi anche ad uno straccio che fu rinvenuto dalla zia di Peppino che era lì a portare dei fiori...».
Queste foto non sono agli atti del procedimento penale.
Due di esse sono state acquisite agli atti della Commissione al termine dell'audizione di Pino Manzella avvenuta giovedì 27 luglio 2000.
Felicia Vitale riferisce al giudice istruttore (144) di essersi recata nel luogo dove si era verificata l'esplosione assieme alla cugina venuta dagli USA. Questa la sua testimonianza sul punto: «fui io che assieme ad altre persone, Faro Di Maggio, Gaetano Cusimano, notai delle macchie di sangue nel casolare che si trova a pochi metri dal luogo dell'esplosione. A seguito della scoperta abbiamo avvertito i Carabinieri».
Quindi «spontaneamente» la Vitale riporta al dr. Chinnici un particolare di sicuro interesse, temporalmente riferibile ad una fase successiva delle indagini, sul quale sarà necessario soffermarsi in seguito: «Spontaneamente: ho sentito dire che nel casolare sarebbero stati rinvenuti dei pannolini igienici per donna. Posso affermare, avendo partecipato personalmente alla ispezione del casolare, che questo si compone di due vani. In quello in cui abbiamo rinvenuto macchie di sangue non c'era traccia di pannolini. I pannolini li abbiamo notati nel secondo vano, si trattava però di pannolini per bambini, e non già di assorbenti igienici da donna» (145).
In relazione a quest'ultima dichiarazione, non può non rilevarsi che il 15 maggio 1978, cioè due giorni dopo l'ispezione nel casolare fatta dal Pubblico Ministero Scozzari, il quotidiano «Il Giornale di Sicilia» pubblica un articolo, non firmato, intitolato «Sfuma la pista delle macchie di sangue» che svilisce la portata della scoperta di tracce ematiche all'interno del casolare.
Auditi dinanzi alla Commissione parlamentare la stessa Felicia Vitale ed anche Giovanni Impastato ribadiscono quanto riferito al giudice Chinnici in ordine alla circostanza che i carabinieri erano stati messi subito al corrente dell'esistenza di tracce di sangue nel casolare [circostanza, come si è visto, verbalizzata nella frase «...A seguito della scoperta abbiamo avvertito i Carabinieri», senza ulteriori dettagli utili a collocare nel tempo il fatto e a individuarne le modalità ] con ulteriori e nuovi particolari, dai quali si apprende - per la prima volta - di un piantonamento del casolare da parte di personale non appartenente alla stazione di Cinisi (146):

RUSSO SPENA COORDINATORE. Voi, come parenti, amici e compagni di Peppino andaste sul posto?


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VITALE. È successo un paio di giorni dopo. Con alcuni compagni eravamo andati sul posto per vedere. Non ero andata subito perché stavo con mia suocera, la madre di Peppino. Cercavamo noi stessi di indagare, di vedere se fosse sfuggito loro qualcosa. Quando siamo entrati nel casolare c'era il sedile in pietra. Nello spigolo del muro c'era una traccia di sangue, una macchia con delle gocce di sangue sul pavimento tutto in pietra. Ho chiamato i compagni mostrando loro cosa avevo trovato. Quindi chiamammo i carabinieri per far vedere loro il sangue e far sì che le pietre insanguinate fossero rimosse e il sangue analizzato. Non ricordo chi fu il compagno che andò a chiamare il carabiniere che piantonava il casolare.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Questo accadeva due giorni dopo?

VITALE. Uno o due giorni dopo, non lo ricordo esattamente. Certamente non fu la mattina stessa perché sul posto non facevano avvicinare nessuno. Chiamammo il carabiniere - una persona piuttosto robusta - per far rimuovere le pietre. Egli, però, ci disse che probabilmente si trattava di sangue mestruale e che non dovevamo pensare a cose del genere. Ci guardammo allibiti.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Era un carabiniere di Cinisi?

VITALE. No, sicuramente non era di Cinisi. Infatti, dal momento che mio padre gestiva un bar vicino alla caserma conoscevo quasi tutti i Carabinieri del paese. Allibiti per la reazione del Carabiniere decidemmo di prelevare noi stessi le pietre e di portarle a Del Carpio.

MICCICHÈ. Se non sbaglio le avete portate prima ad un avvocato. Potreste dirci il nome?

IMPASTATO. In quel periodo il nostro avvocato di parte civile era un certo Tullio Lombardo, ma ci seguiva anche l'avvocato Michelangelo Di Napoli.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Dagli atti risulta che vi recaste nel casale il pomeriggio del giorno successivo alla morte di Impastato. Ci rendiamo conto di quanto possa essere penoso per voi ricordare certi fatti e comprendiamo anche che, probabilmente, la lontananza nel tempo rende difficile ricordare con precisione come andarono le cose, tuttavia è proprio per questo che cerchiamo di approfondire ogni aspetto e di trovare dei riscontri. È questo il nostro compito, il nostro dovere. Quindi, quando voi vi recaste in quel luogo il casolare era già piantonato da un Carabiniere?

IMPASTATO. È stato piantonato per un paio di giorni dalle forze dell'ordine. I compagni di Peppino però hanno insistito, sono entrati, hanno fatto i rilievi di cui i Carabinieri non volevano proprio saperne. Era evidente la precisa volontà di non tener conto di quegli elementi.


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RUSSO SPENA COORDINATORE. I compagni quindi hanno insistito per entrare nel casolare piantonato perché hanno incontrato una certa resistenza?

IMPASTATO. Sì. La resistenza maggiore c'è stata il giorno del fatto. Tutti cercavano di avvicinarsi, ma non appena qualcuno si identificava come compagno o amico di Peppino era evidente la reticenza dei Carabinieri a farlo entrare nell'area recintata del casolare dove era stata trovata la macchina. Il giorno dopo i compagni di Peppino, che insistevano per vedere cosa c'era lì dentro, si recarono nuovamente sul luogo. Ancora una volta fu posto loro un rifiuto, ma essi continuarono ad insistere finché non riuscirono ad entrare. Una volta entrati nel casolare, dove nel lato in cui era avvenuta l'esplosione non c'erano finestre ma solo una porta sul lato opposto (questo per dire che le macchie non potevano essere entrate a seguito dell'esplosione), hanno trovato le pietre insanguinate. Nel colloquio che avemmo in loco con i Carabinieri, costoro, trattandosi di un luogo isolato dove a loro dire le coppiette andavano a fare l'amore, insistettero sull'ipotesi del sangue mestruale. Per noi era un'ipotesi assurda. I compagni allora presero la pietra e la consegnarono agli avvocati che poi la diedero ad Ideale Del Carpio. Costui in seguito ad un esame accertò che si trattava proprio del gruppo sanguigno di Peppino. Si tratta, tra l'altro, di un gruppo sanguigno molto raro, zero negativo. Non so se a quei tempi esisteva già l'esame del DNA.

MICCICHÈ. Esiste una documentazione relativa a questi esami?

IMPASTATO. Sì, dovrebbe esistere.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Vorrei capire una cosa legata a quanto ha affermato poc'anzi la signora Vitale. La signora ha detto che era visibile un sottile filo di sangue che scorreva sulla panchina, cui a terra corrispondevano delle macchie. In qualche modo, quindi, era sangue abbastanza fresco, non ancora completamente coagulato. Era ben visibile questo rivolo?

VITALE. Sì. Nello spigolo c'era una macchia di sangue che scendeva a terra.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Il casolare era buio e siete entrati con una torcia?

IMPASTATO. No. Era giorno ed era sufficiente aprire la porta per vedere questo rivolo di sangue.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Rivolgiamo queste domande perché quando ci risultano cose diverse da quelle contenute negli atti cerchiamo di approfondire la questione. Quindi voi siete entrati dalla porta e con la luce che filtrava dalla stessa era possibile vedere il rivolo di sangue e le macchie a terra ...».


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Quanto appreso nel corso dell'audizione dà significato all'iniziativa degli amici di Impastato di consegnare la pietra insanguinata (ed altri reperti organici) ad un esperto indipendente, il professore Ideale Del Carpio, un noto docente palermitano, che il magistrato Martorana ha ricordato dinanzi a questa commissione come «un eccellente medico legale, sul quale credo non si possa avanzare alcuna ombra».
Ideale Del Carpio, la sera stessa in cui gli furono consegnati i reperti - e cioè il 12 maggio 1978 - dopo aver immediatamente tentato di avvertire il Pubblico Ministero Signorino - si mette in contatto telefonico con il sostituto procuratore Francesco Scozzari e gli riferisce l'accaduto (147).
Ecco come questo illustre medico ricorda l'episodio, nelle dichiarazioni rese il 13 maggio 1978 al pubblico ministero Scozzari:
«Così come comunicato telefonicamente ieri alla S.V. ed integrando tale comunicazione, dichiaro quanto segue: Ieri alle ore 16,30 si è presentato a me nell'Istituto di medicina legale in Palermo persona da me conosciuta con il cognome di Carlotta ... studente presso la facoltà di medicina, che mi ha consegnato un sacchetto di plastica contenente una mano umana e altro materiale organico presumibilmente umano, nonché un sasso del tipo usualmente usato per le massicciate stradali che presenta su una delle facce una macchia rotonda che io giudico essere di sangue. Il Carlotta mi ha dichiarato che la mano e o l'altro materiale organico erano stati rinvenuti da alcuni giovani di Cinisi che avevano effettuato una ispezione nel luogo ove il 9 maggio decorso è morto Impastato Giuseppe [...]. Ho fatto rilevare al Carlotta che sarebbe stato opportuno che dei rinvenimenti avesse informato i CC, ma il Carlotta mi rispose che i CC erano stati informati ma che essi avevano trascurato l'informazione [...] (148).

All'indomani della comunicazione telefonica con Del Carpio, il Pubblico Ministero Scozzari, effettua personalmente una rituale ispezione dell'«abitazione abbandonata» in prossimità della quale fu


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rinvenuta l'autovettura Fiat 850, «al fine di accertare la esistenza di ulteriori tracce, ed in particolare, delle asserite tracce di sangue che sarebbero state rinvenute da taluni giovani che, eseguita una loro ispezione, effettivamente rinvennero una mano umana ed altri frammenti organici e ritennero di avere rinvenuto nell'interno del caseggiato predetto caseggiato tracce di sangue umano (149)»
Nel procedere all'ispezione del caseggiato, il Pubblico Ministero dà subito atto che si tratta di un unico corpo di fabbrica che si compone di due vani o gruppi di vani, tra loro non comunicanti, che hanno ingresso, l'uno dal lato nord, l'altro dal lato sud. L'ispezione ha inizio con l'unità immobiliare che ha ingresso sul lato sud, che consta di un unico vano di circa 24 metri quadri.
In esso è descritto un sedile di pietra, «che presenta una patina di cemento in parte abrasa, palesemente impolverato ed è cosparso di minutissimi detriti pietrosi e fa presumere, per tale sua condizione, di non essere stato di recente usato [...] . In prossimità del suo spigolo esterno, a circa 15 centimetri, viene indicata dai testi [Vito Lo Duca e Pietro La Fata] la traccia della asportazione della pietra che si assume macchiata di sangue, pietra che faceva parte della pavimentazione del vano».
Quindi, a circa 40 cm da tale traccia, viene descritta un'altra pietra saldamente infissa nel terreno con una traccia rossastra, che viene asportata e consegnata ai periti (su tale pietra i periti Caruso e Procaccianti con la relazione depositata il 28 ottobre 1978 - cioè oltre 5 mesi dopo il sopralluogo, a fronte dei 50 giorni concessi nell'incarico peritale (150) - evidenzieranno la presenza di tracce di sangue dello stesso gruppo di quello dell'Impastato (151)).
Nella seconda unità immobiliare, quella con ingresso dal lato nord, consistente in un vano di circa 16 metri quadrati, viene descritta una


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scala costituita da blocchi di tufo che conduce ad una terrazza alla quale si accede da una porta. In questo vano non vengono rilevate presenze di sospette tracce ematiche.
Il Pm nel verbale dà una descrizione comune del «pavimento di tutti i vani ...Costituito da terra battuta e pietre infisse e conci di tufo lungo il colatoio; tale pavimento è cosparso di sterco, paglia secca si notano frammenti di carta», quindi «precisamente nel sottoscala» dà atto della presenza «di due tamponi usati, chiaramente del tipo igienico per donna».
La precisazione che questi tamponi si trovano «nel sottoscala» ne fissa la presenza nella seconda unità immobiliare, altra rispetto a quella in cui si trovava il sedile di pietra e dalla quale i periti avevano asportato una pietra del pavimento recante tracce ematiche.
Particolare non secondario, tenuto conto anche che i due vani non sono comunicanti.
Nel corso di questa ispezione - come si è già rilevato - gli «elementi della squadra di polizia scientifica dei carabinieri del nucleo operativo di Palermo» (di cui non si conoscono né le generalità né il grado), su espressa disposizioni del Pm, eseguono accurati rilievi fotografici.
Tali fotografie, tuttavia, non risultano a disposizione della Commissione, perché non comprese negli atti processuali acquisiti in copia.

Il rinvenimento di altre pietre con tracce di sangue da parte degli amici dell'Impastato. Strane effrazioni all'abitazione di campagna di Pino Manzella e di altri amici di Impastato.

La sera del 13 maggio alle ore 19,10 Faro Di Maggio, Benedetto Manzella e Gaetano Cusumano esibiscono ai carabinieri della stazione di Cinisi «due pezzi di stoffa», «a loro dire» rinvenuti nello spiazzo antistante la casa rurale di contrada «Feudo».
Tra questi quel pezzo di stoffa colore nocciola, di cui si è già detto in precedenza. Tutti e tre i giovani (precisa il verbale - con una significativa limitazione - «nella circostanza»... (152)) riferiscono vano di avere notato «alcune macchie probabilmente di sangue che si trovano sulla panca in muratura nell'interno della stalla con ingresso verso Cinisi». Nel corso di un ulteriore sopralluogo Travali e Pichilli asportano una pietra e tre pezzi di tufo facente parte della panca «ciascuno dei quali presenta macchie rossastre con delle sbavature».
L'atto viene trasmesso al PM dieci giorni dopo.
I pezzi di stoffa - come si è già detto non sono stati oggetto di alcun accertamento. Su delega (evidentemente verbale) del Pubblico


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Ministero Scozzari, quella stessa sera (è il 13 maggio) i carabinieri assumono a sommarie informazioni Benedetto Manzella. La verbalizzazione ha luogo alle 19,30 del tredici ed è pertanto successiva al sopralluogo effettuato dal pubblico ministero e alla esibizione di reperti di cui si è detto in precedenza. Fino al 13 maggio non era stata raccolta la testimonianza del Manzella. L'atto riporta in sintesi le circostanze dell'individuazione di tracce di sangue su di una pietra del pavimento di una stalla con ingresso che si affaccia verso Cinisi «che fa parte di una casa abbandonata distante pochi metri dalla strada ferrata». Ma non precisa che si tratta della stessa casa rurale abbandonata indicata nel verbale di sopralluogo dinanzi alla quale fu rinvenuta l'auto di Peppino Impastato.
Ad una specifica domanda del maresciallo Travali, Manzella dichiara di aver consegnato la pietra ad un giovane per farla giungere a Del Carpio e aggiunge: «in quanto non sapevo che potevo consegnala alla caserma dei carabinieri».
È del tutto evidente che questa affermazione contrasta con quanto riferito dal Del Carpio ( e con quanto sarà ribadito successivamente da altri), e cioè al fatto che «i carabinieri erano stati informati ma che essi avevano trascurata la informazione».
Per il resto la verbalizzazione non raccoglie alcun elemento utile o nuovo.
La ricostruzione di questi fatti si arricchisce però di nuovi particolari nell'audizione del Manzella dinanzi alla Commissione antimafia:
Vent'anni fa è successo questo: Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia. Come facciamo a saperlo? Eravamo un gruppetto di ragazzi dai venti ai trent'anni e ci è stato detto: «Il vostro compagno è saltato in aria perché stava mettendo una bomba». Noi naturalmente non ci abbiamo creduto e abbiamo cominciato a girare lì attorno, dove vi è un casolare nel quale abbiamo ritrovato macchie rosse che poi è risultato fossero di sangue dello stesso gruppo di quello di Peppino Impastato. Quando abbiamo ritrovato queste macchie di sangue, che tra l'altro erano su un sedile di cemento all'interno della stalla (anticamente sopra questo sedile di cemento veniva posto un giaciglio di paglia sul quale si riposava il vaccaro, il pastore), abbiamo avvertito i carabinieri dicendo loro «guardate che abbiamo trovato queste cose all'interno di una casupola»; per tutta risposta sono venuti (prima non volevano neanche venire) e ci hanno detto «ma è probabile che questo sia sangue mestruale...».


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Va comunque rilevato che, nelle sommarie informazioni rese la sera del 13 maggio Pino Manzella nulla riferisce circa le fotografie da lui scattate all'interno della casa rurale (le due fotografie qui pubblicate - con immagini di particolare importanza - sono state acquisite agli atti della Commissione al termine della sua audizione il 27 luglio 2000).
Né in quel verbale è fatta menzione della strana circostanza che la sua abitazione di campagna era stata oggetto di una anomala effrazione la sera in cui vi aveva riposto i poveri resti dell'amico.


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Strane effrazioni.

Eppure Manzella sostiene di avere denunziato questo accadimento. Ma di certo nel verbale che riporta le sue dichiarazioni, datato 13 maggio, non ve ne è traccia. E neppure nella nota 4304/22 del successivo 23 maggio, che «fa seguito al rapporto giudiziario 2596 del 10 maggio». Di tenore e contenuto ben diversi - rispetto alle risultanze dei verbali appena richiamati - sono le dichiarazioni che Manzella farà di seguito su quei fatti. Il testo del racconto del Manzella era stato riportato da Giuseppe Casarrubea nell'introduzione al libro di Salvo Vitale Nel cuore dei coralli (153):
L'argomento è stato ripreso nel contesto dell'audizione del Manzella dinanzi alla Commissione:

RUSSO SPENA COORDINATORE: No. Comunque la aiuto rivolgendole delle domande specifiche; infatti, avendo già svolto molte audizioni su tutta la questione del sangue e delle pietre insanguinate, abbiamo centinaia di atti. Con lei vorremmo invece indagare su alcuni punti che sono un po' inediti. Leggo a pagina 15 della ricostruzione di Salvo Vitale: «La notte del 12 - racconta Pino Manzella - la mia casa di campagna, dove la notte precedente si erano custoditi i resti di Peppino, fu «visitata» da ignoti che scassarono la porta e misero tutto sottosopra. Evidentemente gli assassini avevano seguito tutte le nostre mosse. Denunciai il fatto ai carabinieri perché ero sicuro che, essendo in corso le perquisizioni, qualcuno avrebbe potuto occultare delle armi per confermare le tesi dei mafiosi locali. Ma può darsi che volessero semplicemente ammonirmi o sapere cosa avevamo trovato. Tutto il gruppo fu tenuto sotto controllo dalla mafia per qualche tempo. Ricordo che una macchina targata Modena (si diceva che don Tano» - si intende, credo, don Tano Badalamenti - «avesse delle fabbriche di ceramica in provincia di Modena) attraversava la strada al momento in cui andavo a chiudere la mia macchina nel garage. Oppure ricevevamo delle telefonate e non rispondeva nessuno; volevano accertare se eravamo dentro e darci la sensazione che ci controllavano». Questo forse è l'aspetto che ci interessa di più conoscere da lei.

MANZELLA : Il discorso della borsa piena dei resti di Peppino deriva dal fatto che il medico legale, che allora era Ideale Del Carpio, se non ricordo male, ci disse di andare a cercare lì attorno a dove era successo il fatto e di raccogliere tutto quello che potevamo trovare, cioè i resti di Peppino, perché da quello che dopo risultò a noi i resti di Peppino furono raccolti velocemente, i pezzi più visibili. Le altre cose, molte cose, credo che alla fine di questo lavoro molto triste...purtroppo mi viene la pelle d'oca anche a parlarne, perché abbiamo riempito tre sacchetti di plastica in diverse volte di resti di Peppino. Credo che molte altre cose siano rimaste lì attorno, perché il corpo fu completamente sfracellato, poche cose rimasero intere. Poiché abbiamo finito tardi questa raccolta, eravamo un gruppetto e non sapevamo a chi affidare queste cose, naturalmente non potevamo portarcele a casa. Ci siamo chiesti «dove lasciamo queste cose?». Ed io, avendo questa casa in campagna, ho detto «le lasciamo qui, in questa casa, e domani le veniamo a prendere e le


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portiamo dal professor Del Carpio». Ecco da dove nasce questo discorso dei resti. Infatti, poi la casa fu visitata, nel senso che ... ma non solo la mia: anche in altre case vi furono delle effrazioni. Non hanno preso niente, però con l'atmosfera che c'era allora io e tutti gli altri avevamo paura che potessero mettere armi, droga o tutto quello che volevano dentro le case e dopo una settimana dire «andiamo a cercare...

RUSSO SPENA COORDINATORE: In cosa consistevano le effrazioni?

MANZELLA: Trovare le porte aperte, dentro tutto sottosopra.

RUSSO SPENA COORDINATORE: E nella sua casa in particolare?

MANZELLA: Nella mia casa, che era chiusa a chiave, ho trovato la porta scassata, con un piede di porco o qualcosa del genere, in maniera forzata per aprirla, e dentro i cassetti ...c'era una cassettiera con tutto sottosopra. Si vedeva che qualcuno aveva cercato, non si sa che cosa, però avevano cercato qualcosa lì dentro.

RUSSO SPENA COORDINATORE: Questo quando è avvenuto esattamente?

MANZELLA, Questo è avvenuto qualche giorno dopo. Il libro dice il 12; credo due o tre giorni dopo il fatto.

RUSSO SPENA COORDINATORE: Voi depositaste i resti la sera precedente.

MANZELLA: Sì, l'indomani mattina li abbiamo consegnati e la sera è successo il fatto.

RUSSO SPENA COORDINATORE: Quindi la sera del giorno della consegna.

MANZELLA: Sì. Probabilmente qualcuno li ha avvertiti che c'era stato movimento attorno alla casa: «sono andati alla casa di Pino Manzella, non si sa cosa hanno fatto».

RUSSO SPENA COORDINATORE: Quindi l'effrazione ha riguardato anche altre case di amici del gruppo «Impastato»?

MANZELLA: Sì, ricordo un certo Bartolotta, Cavataio, credo...

RUSSO SPENA COORDINATORE: Voi denunziaste questo episodio ai carabinieri?

MANZELLA, Sì, io sono andato dai carabinieri.

RUSSO SPENA COORDINATORE: Quando?


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MANZELLA: Devo essere sincero: malgrado non avessi ...allora non avevo nessuna fiducia nei carabinieri; oggi ho un atteggiamento molto diverso, anche perché oggi i carabinieri a Cinisi sono molto ...io sono amico del maresciallo. È un'altra cosa rispetto a ventidue anni fa. Ma allora, malgrado non avessimo nessuna fiducia, più che altro era per mettere ...

RUSSO SPENA COORDINATORE: Perché non aveva fiducia allora?

MANZELLA: Perché vedevo questi carabinieri che molto spesso - ed era una cosa che a me dava un fastidio enorme - andavano a prendere il caffè con i mafiosi. Si dice «ma non vuol dire niente», però per me era una cosa palese, rispetto anche alla gente, questo fatto di andare a prendere il caffè al bar assieme ai mafiosi, persone che tutti sapevano che erano mafiose, i Trapani, i Finazzo e compagnia.

RUSSO SPENA COORDINATORE:. Quindi si sapeva che erano mafiosi? Le chiedo questo perché dalle indagini che abbiamo svolto, ma anche da atti e fascicoli, a noi risulta che praticamente per quella zona non ci sono fascicoli di presenza di mafiosi all'epoca.

MANZELLA: Cioè non risulta niente?

RUSSO SPENA COORDINATORE, Vorrei precisare: sto dicendo che non risulta agli atti che vi fossero presenze mafiose. In secondo luogo, le dico che abbiamo svolto numerose audizioni in cui i carabinieri (anche la DIGOS) presenti all'epoca in quelle zone sostengono che vi poteva essere qualche sospetto vago su qualcuno, ma sostanzialmente non avevano conoscenza di mafiosi.

MANZELLA, Allora ha ragione l'attuale sindaco di Cinisi, che dice ... ho pubblicato un libro fotografico su Cinisi, dove c'è la famosa foto, che credo sia anche qua, del gruppo di mafiosi, che poi sono anche quelli che organizzavano la festa di Santa Fara.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Per chiarezza, lei parla di una fotografia che è contenuta anche nel libro di Salvo Vitale Nel cuore dei coralli, in cui ci sono ...

MANZELLA, Ci sono il padre di Peppino, Cesare Manzella, Gaetano Badalamenti, Sarino Badalamenti, Nichi Impastato e così via.

RUSSO SPENA cOORDINATORE: Riprendiamo il filo del discorso, anche se questa parentesi era importante per capire il contesto. [...] Lei stava dicendo che ha denunciato l'episodio dell'effrazione nella sua casa di campagna ai carabinieri. Com'è avvenuta la denuncia, a voce?

MANZELLA: A voce, ma anche per ...a me interessava mettere nero su bianco.


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RUSSO SPENA COORDINATORE, Chi ha redatto l'atto? Dove ha sporto denuncia?

MANZELLA: Alla caserma dei carabinieri.

RUSSO SPENA COORDINATORE, C'era il comandante della stazione?

MANZELLA. C'era un carabiniere che ha scritto ...ora non ricordo chi fosse allora il comandante.

La questione delle effrazioni, delle numerose e strane effrazioni poste in essere dopo la morte dell'Impastato, è rimasta sostanzialmente inesplorata in sede processuale. Essa fu comunque esplicitamente sollevata dalla Redazione di Radio Aut, nel citato «Promemoria per il giudice Chinnici (154)» ove, al punto 15 testualmente si legge:
«[...] 15) Prendere atto delle strane effrazioni ad opera di ignoti, in cui niente è stato portato via, verificatesi giorni dopo l'omicidio, nelle case di campagna di Benedetto Cavataio, di Giuseppe Manzella, di Ferdinando Bartolotta e, per ben cinque volte, a casa della signora Fara Bartolotta, presso la stazione, domicilio abituale di Peppino. Con ogni probabilità chi ha scassinato cercava qualche eventuale dossier, sulla cui esistenza a Cinisi si era sparsa la voce».

Questi fatti, rimasti senza spiegazione e del tutto trascurati dagli inquirenti, costituiscono un aspetto ulteriormente anomalo della vicenda Impastato. È logico supporre che le effrazioni siano state poste in essere nel contesto di una attività diretta al recupero di atti e documenti: una vera e propria «bonifica».

Cala il silenzio sulle conseguenze del ritrovamento di tracce di sangue.
«Per quanto riguarda le indagini di primo tempo io ed io soltanto ritengo di essere il più rappresentativo per gli investigatori di quel momento.
... l'indagini di primo tempo che ho svolto e di cui sono responsabile per intero è di quelle che io definisco complete, avvedute, tormentate»

(dall'audizione del generale Antonio Subranni al Comitato «Impastato»
in data 16 novembre 1999)

La concordanza tra quanto dichiarato dal Travali alla Commissione e quanto la Vitale raccolse dalla viva voce del Liborio consente


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di individuare nella stessa mattinata del 9 maggio un momento particolare delle indagini, segnato dalla scomparsa del reperto, raccolto dal Liborio e consegnato ai carabinieri, e dal conseguente «silenzio» degli atti della polizia giudiziaria circa l'esistenza di tracce di sangue all'interno del casolare e circa il ritrovamento della pietra insanguinata.
Un silenzio che, come si vedrà, va coniugato sia al «piantonamento» del casolare effettuato da carabinieri (non appartenenti alla stazione di Cinisi) sia alla successiva resistenza dei militari a prendere atto dell'avvenuto ritrovamento da parte degli amici dell'Impastato di altre tracce di sangue all'interno del casolare.
Un silenzio che va inoltre coniugato con la divulgazione giornalistica di notizie volte a sminuire la portata dei ritrovamenti di tracce ematiche e ad esaltare la vocazione suicida e terroristica di Giuseppe Impastato.
Un silenzio, infine, che trova riscontro nelle dichiarazione rese al giudice istruttore dal maggiore Subranni, quando il processo aveva nettamente imboccato la via dell'omicidio.
Ancora in data 25 novembre 1980 l'ufficiale «conferma» a Rocco Chinnici il suo rapporto giudiziario del 10 maggio, con la seguente testuale precisazione «nel momento in cui ho redatto il rapporto non erano state ancora rinvenute le macchie di sangue all'interno del casolare...». L'assunto del Subranni sembra trovare un riscontro formale nelle risultanze degli atti ma, come si è visto, resta nettamente smentito dalla ricostruzione degli accadimenti finora svolta:
Il primo rapporto del comandante del reparto operativo porta la data del 10 maggio, liquida la tesi dell'omicidio usando come chiave interpretativa di un presunto gesto terroristico e suicida il contenuto di uno scritto reperito nel comodino della camera da letto di Impastato.
È lo stesso Subranni, in sede di audizione, a fornire una spontanea spiegazione di tanta tempestività: «Il mio primo rapporto datato 10 maggio, cioè il giorno successivo al decesso di Impastato: sto parlando, ovviamente, delle indagini di primo tempo, non dell'inchiesta giudiziaria. Si tratta, quindi di un rapporto fatto a distanza di un giorno e adesso a tanti anni di distanza mi chiedo come ho fatto a redigerlo in così breve tempo: evidentemente ero divorato dall'ansia di venirne a capo, c'era un clima particolare, storico, di terrorismo... (155)».
Dopo l'intervento di Ideale Del Carpio, il Pubblico Ministero Scozzari effettua il sopralluogo il 13 maggio. Fino a quel momento, secondo plurime fonti, i carabinieri sebbene avvertiti dell'esistenza delle tracce ematiche avevano rifiutato di constatarne l'esistenza.
Successivamente a tale data, e precisamente nel rapporto giudiziario n. 2596/12 del 30 maggio 1978 il maggiore Subranni


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riferisce gli esiti di indagini delegate dal Pubblico Ministero Signorino l'11 maggio (156).

Come è stato ampiamente chiarito dall'audizione del procuratore Martorana (157), dopo l'intervento di Del Carpio e la conseguente ispezione di Scozzari la Procura sembra orientata ad approfondire l'ipotesi dell'omicidio e decide di delegare urgenti indagini sul contenuto di un esposto di persone vicine all'Impastato in cui la tesi dell'omicidio era apertamente prospettata.
Il rapporto giudiziario in questione non dedica neanche una parola alla richiesta di accertamenti sulla provenienza dell'esplosivo (a dispetto dell'esplicita delega sul punto).
Quanto alla tesi omicidiaria - oggetto dell'esposto a firma Barbera ed altri, su cui la procura aveva chiesto indagini urgenti -, prescindendo completamente anche dagli spunti investigativi conclamati dall'ispezione Scozzari nella casa abbandonata, il Subranni, tra l'altro, scrive: «...I residui motivi sui quali si basa l'ipotesi di omicidio, sostenuta dai compagni di Impastato, sono riferiti a due circostanze. La prima è che Impastato Giuseppe era uscito alle ore 20,15 dalla sede della radio Aut di Terrasini e non aveva raggiunto la sua abitazione di Cinisi ove erano giunte lo stesso giorno 8 maggio sua zia e la di lei figlia provenienti dell'America. La seconda è che Impastato avrebbe ricevuto lettere di minaccia. [...]. Relativamente alle lettere di minaccia


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[...] non risulta che in casi di «scomparsa» (e ce ne sono molti, moltissimi) ad opera della mafia, le vittime designate abbiano avuto (magari!) lettere minatorie. [...] se si volesse insistere in un'ipotesi delittuosa (non corroborata finora da alcun serio elemento), bisognerebbe concludere che Impastato Giuseppe è stato ucciso (in maniera laboriosa) da persone o ambienti comunque diversi dalla mafia o dalle SAM (158). [...] Dalle ulteriori indagini svolte e dalle risultanze di cui si è parlato si ritiene che siano stati acquisiti altri univoci elementi che confermano l'ipotesi già prospettata secondo cui Impastato Giuseppe si sia suicidato compiendo scientemente un attentato terroristico, così come si ritiene che non sia emerso alcun serio elemento che conduca ad una diversa conclusione. F.to. Il maggiore comandante del reparto. Antonio Subranni».

Gli articoli di stampa sulle macchie ematiche.

Se vi fu una politica di ridimensionamento dell'importanza della scoperta di tracce di sangue nella casa rurale di contrada Feudo situata a pochi metri dal luogo dell'esplosione essa indubitabilmente si attuò - al di fuori delle pagine processuali - anche attraverso la diffusione di notizie orientate in tale direzione. Il già richiamato articolo del Giornale di Sicilia del 15 maggio 1978 sembra confermare pienamente questa ipotesi.
L'articolo si apre con una affermazione virgolettata: «Anche gli ultimi accertamenti non hanno modificato la nostra prima ricostruzione, secondo cui Impastato si è tolto la vita. E prosegue: «lo ha dichiarato uno degli ufficiali dei carabinieri che partecipano alle indagini per fare luce sul giallo di Cinisi cominciato all'alba di martedì scorso quando Giuseppe Impastato, 30 anni, candidato alle elezioni di Democrazia Proletaria, saltò in aria insieme con 6 centimetri di binario ferroviario, ucciso dall'esplosione di cinque chili di tritolo. I carabinieri sono convinti che l'unica pista «seria e conducente» sia quella del suicidio ..... In Procura è stato già consegnato un rapporto che proverebbe la tesi. Gli investigatori dell'arma hanno tenuto anche a sottolineare come poco conducente sia un'altra pista, quella delle macchie di sangue trovate in una stalla poco distante dal luogo in cui avvenne l'esplosione. Le macchie sono oggetto di perizia, se si trattasse del sangue dell'Impastato la dinamica dei fatti verrebbe ricostruita in modo ben diverso: non vi sarebbero dubbi sull'omicidio.
Ma in proposito gli investigatori hanno detto di avere trovato accanto a quelle macchie degli assorbenti igienici femminili e sono convinti che l'indagine ematologica non sposterà il «quadro» già delineato».
Questo pezzo intitolato «UNA PIOGGIA DI QUERELE PER IL "GIALLO" DI CINISI - SFUMA LA PISTA DELLE MACCHIE DI SANGUE» è pubblicato dal quotidiano palermitano senza la firma del suo autore.


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È del tutto superfluo osservare che ogni particolare descritto nel verbale dell'ispezione dei luoghi condotta dal Pubblico Ministero Scozzari era coperto dal segreto istruttorio mentre va sottolineato che il magistrato adottò perfino specifiche modalità nella stesura del verbale «sottoscritto da tutti gli intervenuti all'atto e per la parte che ciascuno riguarda, dandosi atto che soltanto tale parte è stata a ciascuno letta (159)».
Il successivo martedì 16 maggio 1978 il quotidiano «Il Giornale di Sicilia» pubblica un altro articolo, anche questo non firmato, intitolato «Cinisi - Lo sconvolgente «testamento» di Impastato, il candidato D.P. dilaniato dal tritolo - «Medito sulla necessità di abbandonare la politica e la vita».
In esso, tra virgolette, il testo, sostanzialmente integrale, del manoscritto rinvenuto dal brigadiere Carmelo Canale nell'abitazione di Impastato. Manoscritto, secondo l'articolista, ricostruito «nelle sue linee essenziali» con l'aiuto dei compagni di Impastato, «con le frasi che ricordano». Annotazione quest'ultima che, se ritenuta accettabile, evidenzierebbe una circostanza nuova: la conoscenza da parte di terzi dell'esistenza e del contenuto del manoscritto in questione..., (come sembra doversi desumere anche dalla testimonianza della zia convivente).
Bartolotta Fara, il 7 dicembre 1978, dichiara infatti al giudice istruttore: «Confermo che mio nipote negli ultimi tempi era sereno e tranquillo; era anche contento perché l'attività politica gli dava soddisfazione. Sono a conoscenza di una lettera da lui scritta parecchio tempo prima, in un momento in cui non era d'accordo con alcuni del suo partito. So che in detta lettera, che io conoscevo, egli manifesta molta sfiducia e il proposito di suicidarsi. Escludo nel modo più assoluto che mio nipote avesse avuto dei propositi suicidi».
Rocco Chinnici non verrà mai a sapere dell'esistenza di un'altra stesura del manoscritto oggetto del suo interesse.
Delle due versioni del manoscritto parla Salvatore Vitale, amico e compagno di partito di Impastato nella biografia di quest'ultimo pubblicata nel 1995 con il titolo Nel cuore del corallo, rivelando il ritrovamento, dopo la perquisizione, di un secondo testo sostanzialmente analogo al manoscritto citato nel rapporto giudiziario, di cui appare un'edizione autografa, riveduta e corretta, scritta a stampatello.
Nel capitolo intitolato «Crisi di identità e riscoperta dell'entusiasmo politico», si legge:
La mattina del 9 maggio carabinieri e agenti della Digos fecero irruzione nella casa della zia di Peppino, presso la stazione Cinisi-Terrasini, dove solitamente Peppino dimorava e pernottava. Portarono via sacchi di materiale, libri, appunti e altra roba. Di tutto questo non venne redatto, per quel che sappiamo, un dettagliato verbale né fu possibile prenderne visione, tanta era in quel mattino la confusione e il senso di smarrimento. Tra le cose sequestrate venne trovata la famosa «lettera» che sarebbe il presunto testamento, con il quale Peppino dichiarava di «abbandonare la politica e la


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vita» [...] quella lettera avrebbe dovuto essere l'elemento probante del suicidio. Cercando accuratamente tra le poche cose scritte rimaste e sfuggite al sequestro, sono state trovate le note autobiografiche, che abbiamo trascritto, e una seconda copia autografa della lettera . [...] Nel secondo testo é scritto: «medito sull'opportunità di abbandonare la politica»: si noti, «la politica» e non «la vita»; manca inoltre l'ultima parte relativa ai funerali e alle «ceneri».

Di questo secondo manoscritto si parla specificamente il 28 settembre 2000, nel contesto dell'audizione di Salvo Vitale dinanzi al Comitato della Commisione antimafia (160):

FIGURELLI. Nel memoriale inviato a Chinnici, forse al punto 8, Vitale ricordava lo zucchero e la nafta messe nel serbatoio della benzina di Peppino Impastato dieci giorni prima del delitto. Questo episodio, anche rilevante, come fu avvertito in quel momento, come fu visto e vissuto da Impastato, dallo stesso Vitale, diciamo da tutto il gruppo? Come fu letto? Fu denunziato? Cosa di concreto si fece dopo quell'atto? Inoltre, questo stesso fatto dello zucchero e della nafta, come è stato da voi ripensato dopo il delitto? Tanto è vero che Vitale ha sentito la necessità di metterlo nel memoriale per Chinnici.

VITALE. Per quanto riguarda questo fatto, io non l'ho saputo al momento, l'ho scritto lì perché me lo hanno riferito i compagni dopo la morte; ovviamente quello che mi hanno riferito i compagni era che questo era già stato un segnale molto chiaro di tenere Peppino a piedi per evitare che facesse una campagna elettorale attiva, una sorta di minaccia; lo avevano visto tutti come un avvertimento.

FIGURELLI. Nel medesimo memoriale inviato al giudice Chinnici si parla delle effrazioni di casa e in altre case e - si aggiunge - alla ricerca di un dossier scritto da Impastato di cui...insomma correva voce, di cui si parlava. A riguardo vorrei sapere due cose: come si parlava di questo dossier, che tipo di dossier e su che cosa? E più in generale, a parte il dossier (non lo dico solo per le effrazioni ma anche le perquisizioni ufficiali fatte dai carabinieri) c'era dell'altro materiale ricercato? Noi abbiamo sentito da vive testimonianze - faccio solo un esempio - che Peppino amava anche fare fotografie e che si era divertito o avrebbe potuto fare, del resto faceva parte anche delle sue caricature alla radio, delle sue rappresentazioni, figurazioni di Tano seduto o altro, delle foto di mafiosi a braccetto con i carabinieri.

VITALE. Mai sentita una cosa del genere.

FIGURELLI. Questo ci è stato detto nel corso della nostra attività istruttoria. La domanda è volta anche a verificare.

VITALE. La foto pubblicata a pagina 112 del mio libro con Badalamenti e Alfano è stata scattata da Peppino dall'alto, dalla finestra di una casa vicino


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al bar di Palazzolo. Altre fotografie che facevano parte di questa serie... Forse a casa ne dovrei avere una su un funerale scattata in occasione della morte di Savino Badalamenti, il cugino di Gaetano Badalamenti. Sempre foto di questo tipo, di mafiosi, e fatte di nascosto. Per il resto, di Peppino non abbiamo trovato quasi niente di scritto, tranne pochissimi appunti in un quaderno. Se il dossier c'era, se esistevano appunti o altre cose penso siano stati sequestrati dai carabinieri quando hanno fatto la perquisizione. Il fatto che non sia stato trovato quasi niente se non pochissime righe, per me che sapevo che Peppino scriveva spesso anche qualche articolo sul Quotidiano dei lavoratori, mi ha sempre lasciato molto perplesso. Sull'esistenza di qualche cosa non posso che ipotizzare che vi sia stata ma che non sia venuta fuori perché probabilmente imboscata da chi ha fatto le perquisizioni. Ripeto comunque che si tratta di una mia illazione.

FIGURELLI. Al punto 15 si dice che con ogni probabilità chi ha scassinato cercava qualche eventuale dossier scritto da Peppino sulla cui esistenza a Cinisi si era sparsa la voce. In che modo si era sparsa la voce, quando, ad opera di chi e quale voce era?

VITALE. Non sono in grado di aggiungere niente di particolare, senatore. Erano voci che circolavano...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Conferma però che circolava la voce. In un piccolo paese, si diceva che vi fosse questo dossier.

VITALE. Si, era una cosa abbastanza nota.

FIGURELLI. Si diceva anche qualcos'altro, su cosa fosse il dossier? Spesso la voce popolare dice cose vere.

VITALE. No, non sono in grado di aggiungere altro. Mi viene in mente ora che il volantino di Lotta Continua che ho citato prima finisce con le parole «abbiamo materiali sufficienti per un vostro definitivo sputtanamento».

RUSSO SPENA COORDINATORE. C'era evidentemente del materiale raccolto.

VITALE. Doveva pur esserci qualcosa che Peppino raccoglieva e che non abbiamo trovato.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Per chiarezza può riassumerci il contenuto di quel volantino e leggere la frase a cui fa riferimento?

VITALE. Il volantino parla di una serie di progetti e di finanziamenti con cui venivano fatti i lavori pubblici a Cinisi, soprattutto da mafiosi tipo Giuseppe Finazzo, che era una prestanome di Badalamenti. Sono citate la strada Siino-Orsa, la strada «Purcaria» e il silenzio complessivo delle forze


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di sinistra rispetto alla questione. Ecco perché il volantino termina: «Di fronte ad una simile situazione noi diffidiamo questi partiti cosiddetti di sinistra e li richiamiamo alle loro responsabilità». Continua poi: «Abbiamo materiali sufficienti per un vostro definitivo sputtanamento». Presumo - ripeto che è un pensiero che mi è venuto in questo momento - che Peppino potesse avere altre cose oltre alle poche note autobiografiche che abbiamo trovato. Posso aggiungere qualcosa anche sulla nota autobiografica?

RUSSO SPENA COORDINATORE. Si.

VITALE. Mi riferisco alla presunta lettera di Peppino di cui abbiamo trovato una copia con la quale contesto quella prima «copia originale» usata dai carabinieri...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Parlando di presunta lettera si riferisce a quella...

VITALE. In cui si dice «medito di abbandonare la politica e la vita» [...] Quello che mi ha sempre lasciato perplesso è che un atto del genere abbiamo dovuto conoscerlo in un primo momento esclusivamente da Il Giornale di Sicilia del 16 maggio; un atto che penso avrebbe dovuto essere segreto istruttorio, che viene spiattellato come prova del suicidio. Chi ha fornito questa lettera ai giornalisti? Così come il giorno prima, il 15 maggio, sullo stesso giornale c'era scritto che il sangue ritrovato dai compagni di Peppino era sangue mestruale. Chi ha fornito questo tipo di notizie? Se dobbiamo individuare responsabilità, dobbiamo metterci su questa strada. Per esempio, la fotografia su Cronaca vera, fatta a Peppino durante il servizio militare...

RUSSO SPENA COORDINATORE. Ci dica meglio. Ricorda più o meno in che periodo?

VITALE. Il 31 maggio. È stata pubblicata una fotografia fatta a Peppino quando è andato a fare il servizio militare. La foto di schedatura che abitualmente viene scattata.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Era quindi una fotografia che poteva essere contenuta solo nell'archivio dell'esercito?

VITALE. Sì.

FIGURELLI. Vitale ci ha lui stesso risposto con una domanda. Chi ha fornito quella versione, chi ha dato subito la lettera, chi ha detto del sangue mestruale, chi ha dato la fotografia? Potremmo controllare chi abbia firmato gli articoli in questione e compiere un accertamento sul punto; non si tratta di grandi ricostruzioni, ma di sapere dagli autori di questi pezzi chi e come.


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RUSSO SPENA COORDINATORE. Questo è un lavoro di approfondimento che dovremo fare. Tornando alla domanda precedente abbiamo forse interrotto il signor Vitale mentre stava descrivendo, se ho ben capito, le differenze esistenti tra la lettera che voi conoscevate e quella che era stata pubblicata.

VITALE. Ho trovato alla stazione, dove Peppino dormiva in una casetta con sua zia, degli appunti tra i quali c'era una copia di questa lettera. Non era però la lettera che ho letto sul giornale; era un po' riveduta e corretta.

RUSSO SPENA COORDINATORE. La lettera è battuta a macchina?

VITALE. No, era scritta a mano e l'originale si trova al Centro Impastato.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Quando parla di copia intende una fotocopia?

VITALE. No, era una lettera scritta a mano. Un secondo originale nel quale, per esempio, non era riportato «Medito di abbandonare la politica e la vita». Il riferimento alla vita era stato tolto, era un po' diversa. Nel libro riporto integralmente il testo mentre l'originale, lo ripeto, dovrebbe essere ancora al centro Impastato.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Quando ha trovato questa seconda lettera, simile alla prima, dopo la perquisizione dei Carabinieri?

VITALE. Sì, l'ho trovata alla stazione dove dormiva Peppino.

FIGURELLI. Ed erano cancellate le parole «la vita»?

VITALE. No, era una copia pulita e ben scritta, non nervosa. Era dentro il cassetto di un armadio...

RUSSO SPENA COORDINATORE. La lettera non era nascosta, lei la trovò facilmente?

VITALE. Sì.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Era in un cassetto nella casa dove dormiva? Quindi abbiamo una lettera, quella pubblicata da Il Giornale di Sicilia..

VITALE. Nel mio libro, a pagina 121, sono messi a confronto i due testi.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Cosa evince dal fatto che la lettera pubblicata da Il Giornale di Sicilia contenesse richiami al togliersi la vita e


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la lettera trovata dopo la perquisizione riportasse un testo di contenuto analogo ma in parte diverso? Cosa ha pensato quando ha trovato questa lettera?
VITALE. Ho pensato che Peppino avesse avuto un momento di grande crisi politica dopo che nel 1977 si era diffusa la concezione del «riprendiamoci la vita». I suoi rapporti con i cosiddetti creativi di cui parlavo prima, gente che ormai si era spoliticizzata e di cui non voleva sentire parlare penso lo abbiano indotto in questa fase di forte depressione. Non dimentichiamo che è anche il momento in cui viene sciolta Lotta continua e vengono meno i punti di riferimento politico. Penso tuttavia che questa fase, anche con l'avvio di Radio Aut, l'abbia superata perché successivamente non troviamo scritto nella lettera che abbiamo trovato frasi come «voglio che le mie ceneri siano buttate in una latrina». Non c'è più questa voglia suicida. Penso si sia trattato di un momento di sconforto, politicamente superato senza problemi. Questo è anche uno dei motivi per cui Peppino ad un certo momento occupò simbolicamente la radio, per protestare contro questi personalisti.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Sempre nel suo libro, a pagina 139 scrive che gli esiti della perquisizione operata dai Carabinieri nell'abitazione della madre di Giuseppe Impastato portarono al sequestro di cinque sacchi di materiale e presso la sede di Radio Aut di altro materiale. Può precisare questo punto? Sa quale fosse il contenuto di questi sacchi? Come lei sa è una delle questioni mai chiarite, nemmeno dalle indagini successive.
VITALE. Non sarei in grado di dirlo. Bisognerebbe chiederlo alla madre di Peppino che era presente. Per quanto ne so erano giornali, libri, quaderni.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Appunti autobiografici o appunti politici...
VITALE. Avranno portato via tutto, credo.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Come lo sa?
VITALE. La madre e anche Giovanni.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Il fatto che non sia rimasto... Lei sa dai più stretti congiunti che avevano portato via tutto.
VITALE. Sì.

Una copia di questo secondo manoscritto (161), privo di riferimenti alla morte o a intenti suicidari, ritrovato da Salvatore Vitale, dopo le perquisizioni, in un cassetto dell'armadio di Giuseppe Impastato, é stata acquisita agli atti della Commissione. L'originale é conservato presso il Centro siciliano di documentazione.


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La perquisizione nei locali di Radio Aut.

La chiave di tipo Yale rinvenuta nei pressi di un cespuglio di agave ricompare alle ore 11,10 del 9 maggio nelle mani dei carabinieri che procedono alla perquisizione dei locali adibiti ad emittente Radio privata Aut in Terrasini alla via Vittorio Emanuele, n. 100.
Il verbale della perquisizione dà preliminarmente atto che essa viene effettuata «nella immediatezza dell'evento diretto presumibilmente a provocare un disastro ferroviario, allo scopo di ricercare ogni possibile elemento per far luce sul fatto». I militari scrivono che «nel corso dell'operazione, considerato che i locali erano chiusi e che non era possibile reperire alcuno dei responsabili in loco, stante l'urgenza [...] abbiamo provveduto ... ad aprire la porta di ingresso facendo uso di una chiave marca Yale rinvenuta nella mattinata nel corso del sopralluogo effettuato in località Feudo del comune di Cinisi in prossimità del cadavere del predetto Impastato». Alla perquisizione (162), veniva chiamato ad assistere tale Palazzolo Salvatore, un sarto residente in uno stabile vicino. La perquisizione termina alle ore 11,30 e consente ai carabinieri di sequestrare un cavo, molto verosimilmente telefonico, in tre spezzoni, della lunghezza di mt. 30 «molto simile a quello rinvenuto nel corso del sopralluogo sulla linea ferrata ...», così descritto nel verbale di sequestro debitamente formato.
Il maresciallo Riggio riferirà, esaminato da Chinnici, che la chiave adoperata per aprire la porta di ingresso della radio, gli era stata consegnata dal comandante della stazione di Cinisi, che riteneva fosse appunto quella della radio. L'interesse del giudice istruttore a ricostruire il ritrovamento e il successivo impiego della chiave Yale nella perquisizione della sede della radio derivò certamente dal punto n 3 del promemoria della redazione di radio Aut, tutto dedicato a questi particolari. E - come si è detto - è proprio tentando di ricostruire questi fatti che Chinnici esamina Liborio e apprende dell'avvenuto ritrovamento di altre tre chiavi vicino alla Fiat 850.
Altri particolari su questo specifico episodio sono riferiti da Salvatore Vitale, nel corso dell'audizione del 28 settembre 2000 dinanzi al comitato:

l'indomani, dopo la morte di Peppino, intorno alle ore 10, io da casa mia vidi dei carabinieri che stavano andando alla sede di Radio Aut; sono andato; insieme a me c'era un dirigente del PCI di Cinisi, si chiama Vincenzo Puleo, e i carabinieri avevano una chiave con cui hanno aperto la sede della Radio. Sia il Puleo che io gli contestammo che non potevano entrare senza un mandato di perquisizione, gli chiedemmo cosa fosse quella chiave. Ci risposero che era la chiave dell'Impastato. Com'è che i carabinieri potessero avere la chiave della Radio è rimasto sempre un mistero.


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RUSSO SPENA COORDINATORE. Vorremmo sapere se il fatto che Peppino Impastato avesse un mazzo di chiavi e la chiave di Radio Aut separata dal mazzo fosse un fatto notorio in paese, per cui lo potessero sapere anche i carabinieri.

VITALE. No, era qualcosa che potevano sapere esclusivamente quelli che lavoravano alla Radio, non era un fatto per nulla noto.

Alla domanda di un commissario che chiedeva di sapere se era possibile che i carabinieri l'avessero addirittura avuta già prima del delitto, Salvo Vitale risponde:
«Teoricamente è possibile perché se io trovo una chiave nella sua tasca, non è che vado ad individuare che chiave è, quindi potrebbe anche essere. I carabinieri in quella fase alla Radio vennero solo a cercare una matassa di filo, un cavo telefonico, per dimostrare che era dello stesso tipo di quello che c'era nella macchina di Peppino Impastato».

Quindi, richiesto «se i carabinieri conoscessero il fatto che a Radio Aut c'era del filo» Vitale osserva: «Nessuno esclude che abbiano potuto trovarlo occasionalmente. Loro andarono a cercarlo... fra l'altro era in uno stanzino, non dove era la Radio, ma ad un piano superiore. Andarono a cercarlo e lo portarono... [...], non mi hanno fatto entrare nella Radio, mi hanno tenuto fuori».

Le perquisizioni presso l'abitazione dell'Impastato e i cosiddetti sequestri informali.

I primi atti della polizia giudiziaria sono state le perquisizione domiciliari presso la casa familiare di Giuseppe Impastato, al corso Umberto 220, ove abitava la madre Felicia Bartolotta e presso il suo domicilio di piazza stazione 12, ove il giovane viveva ospite della zia Fara Bartolotta. La perquisizione al corso Umberto si concludeva, secondo il verbale alle ore 8,30 circa con esito negativo. Il relativo verbale porta la firma del solo maresciallo De Bono.
Viceversa presso l'abitazione della zia Fara i carabinieri rinvenivano e sottoponevano a sequestro 6 lettere e un manoscritto, ritenuti di interesse investigativo. Detto manoscritto, secondo gli inquirenti, attesta la volontà dell'Impastato di porre fine ai suoi giorni con un gesto eclatante, o meglio, una vera e propria azione terroristica...
Di seguito alcuni passi del rapporto dell'11 maggio 1978, sull'argomento:
«Nel corso della perquisizione domiciliare eseguita nell'abitazione di Bartolotta Fara, nella camera da letto di Impastato e precisamente nel cassetto del comodino, venivano rinvenute sei lettere e un manoscritto composto di tre fogli a firma di Giuseppe (Impastato) ... Di rilievo ... appare lo scritto autografo ... in esso è manifestato il proposito di suicidio ed è manifesta anche la motivazione che lo ha indotto a tale grave decisione. Egli dice infatti: «Il parto (ossia la decisione non è stato indolore (ossia gli è costato), ma la decisione è presa ... (ossia non revocabile) - Proclamo pubblicamente il mio fallimento


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come uomo e come rivoluzionario! Non voglio funerali di alcun genere». La motivazione che è già dato rilevare nella frase «il mio fallimento come uomo e come rivoluzionario» acquista contorni ancor più precisi laddove egli critica aspramente «coloro» i quali propugnano «il personalismo», il «riprendiamoci la vita» e la «creatività», finendo col dire che costoro sono le persone peggiori che ha conosciuto e che a loro preferisce «criminali incalliti, ladri, prostitute, stupratori, assassini e le canaglie in genere». Da queste frasi traspare per intero la macerata delusione per avere speso tanti anni in una intensa ed appassionata attività politica, non compresa da molti compagni del suo gruppo e dagli stessi frustrata con attività meno impegnate politicamente.... Alla stregua delle su esposte considerazioni è dato ritenere che egli il giorno 8 maggio , uscito dalla sede della radio AUT verso le ore 20,15, abbia rinunciato a partecipare alla riunione fissata intorno alle ore 21 e che dopo avere riflettuto ancora una volta su quello che egli stesso ha definito un fallimento, abbia progettato ed attuato l'attentato dinamitardo alla linea ferrata in maniera da legare il ricordo della sua morte ad un fatto eclatante ...»

L'alto grado di inverosimiglianza del costrutto rende difficile accettare l'ipotesi che esso possa avere costituito la struttura portante di un rapporto giudiziario relativo ad un evento così grave e complesso. La contemporaneità tra risoluzione suicidaria, coniugata ad un intento «terroristico» e l'attuazione del progetto palesa profili di evidente illogicità tenuto solo conto della necessaria predisposizione di particolari mezzi (esplosivi, inneschi, ecc.), di cui peraltro non è rinvenuta traccia dagli stessi artificieri chiamati a ispezionare il veicolo.
A tali conclusioni del tutto eccentriche rispetto alle concordanti deposizioni dei compagni dell'Impastato ed al comune sentire, che lo vedevano strenuo oppositore degli interessi mafiosi, il verbalizzante sembra poter pervenire senza tenere conto degli esiti negativi delle perquisizioni e dell'assenza di qualsiasi sia pur minima traccia o sospetto di terrorismo.
Invero, va evidenziato che in occasione di un grave evento delittuoso che vide due carabinieri misteriosamente trucidati all'interno di una caserma dell'arma la notte del 27 gennaio 1976 (163) (la cosiddetta strage della casermetta di Alcamo Marina), vennero orientate dai carabinieri indagini nei confronti di militanti di organizzazioni politiche di sinistra, rivelatesi del tutto prive di risultati e, in tale contesto, anche l'Impastato subì una perquisizione domiciliare, con esito negativo (164).


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A Cinisi, tra l'altro, c'era un'assoluta mancanza di qualsiasi fenomeno riconducibile a presenze terroristiche.
Quanto al riferimento, pure presente nel libro Nel cuore dei coralli, a sequestri di documentazione presso l'Impastato senza la redazione di un dettagliato verbale, dall'esame degli atti del fascicolo «P» (permanente) del reparto operativo - acquisito in copia presso il comando provinciale dei carabinieri di Palermo nell'ambito dell'attività preparatoria all'elaborazione di questa relazione - é stato possibile individuare un cospicuo elenco di materiali e documenti di pertinenza dell'Impastato, oggetto di un «SEQUESTRO INFORMALE», nonché ulteriore corrispondenza fra comandi dipendenti dal gruppo di Palermo relativa a questa documentazione.
Così, con una nota del 1 giugno 1978, a firma del maggiore Enrico Frasca, il nucleo informativo del gruppo di Palermo scriveva alle stazioni di Cinisi e Terrasini e al comando della compagnia di Partinico, trasmettendo un «elenco, sequestrato informalmente nella abitazione di Giuseppe Impastato nel corso delle indagini relative al suo decesso» e richiedendo l'identificazione delle «persone in esso indicate».
Pertanto è provato che, dopo i sequestri informali eseguiti, cioè senza il rispetto delle formalità di legge, di materiale documentario di proprietà di Giuseppe Impostato, sono stati posti in essere ulteriori accertamenti di cui agli atti processuali non vi é alcun riscontro.
La macroscopicità di questa violazione della legge processuale costituisce una anomalia di intrinseca e indiscutibile gravità. Essa comporta la ideologica falsità degli atti descrittivi delle operazioni di perquisizione e sequestro nei domicili di Giuseppe Impastato, ove venne omesso qualsiasi riferimento a tale documentazione.
Infatti, nel processo verbale di perquisizione domiciliare eseguita ai sensi dell'articolo 224 c.p.p. nell'abitazione di Bartolotta Fara - ove dimorava l'Impastato - firmato, nell'ordine, dall'appuntato Abramo Francesco, dal brigadiere Carmelo Canale e dal maresciallo Di Bono Francesco - non si legge alcun riferimento a documenti diversi dalla sei lettere e al manoscritto, «ritenuti utili per la prosecuzione delle indagini, e in particolare il manoscritto che mette in chiara evidenza i propositi suicidi dell'Impastato» e «opportunamente sequestrati». Mentre é il solo maresciallo Di Bono a firmare il processo verbale della perquisizione domiciliare ai sensi dell'articolo 224 c.p.p. presso l'abitazione di Felicia Bartolotta, conclusasi alle ore 8,30 del 9 maggio «con esito negativo». Detto atto «fatto, letto confermato e sottoscritto in data e luogo di cui sopra» (e cioè alle ore 21 del 9 maggio presso la stazione di Cinisi) non reca la firma della Bartolotta.
E lo stesso Chinnici sembra aver dubitato delle modalità di verbalizzazione degli atti della polizia giudiziaria, come si evince dall'ultima domanda posta al maresciallo Travali nel lungo esame testimoniale del 19 dicembre 1978. Il tenore della risposta (165) - dal significato evidentemente «relativistico» - fu il seguente: «Di tutti gli


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atti ai quali io partecipai fu redatto regolare processo verbale che io sottoscrissi e trasmisi alla procura della Repubblica e che confermo».

La costruzione della tesi terroristica.

«C'era la sensazione che non si volesse cercare la verità,
almeno come primo tentativo.
Anche noi l'abbiamo notato subito.
Ripeto che nessuna domanda è stata fatta su altre cose,
si diceva solo che noi eravamo attentatori e basta».
(dall'audizione di Salvatore Riccobono fatta dalla Commissione in Palermo il 31 marzo 2000)
"c'erano Subranni e Basile, il capitano che poi è stato ucciso ed era l'unico che ascoltasse,
l'unico con cui sono riuscito a dialogare.
Dicevo che non si trattava di un attentatore
ma di una persona che portava avanti una battaglia
ed era stato ucciso.
Dissi che c'era stata una simulazione.
Mi fu chiesto in che modo potessi dimostrarlo,
ma io risposi che non potevo dimostrare niente.
Però erano dieci anni che lo frequentavo.
Mi si contestò che lì c'erano i fili, c'era la macchina, c'erano i cavetti telefonici ma erano quelli che servono per attaccare le trombe all'amplificatore
e al megafono.
L'unico che avesse dei dubbi era il capitano Basile
si diceva solo che noi eravamo attentatori e basta.

(dall'audizione di Piero La Fata, fatta dalla Commissione in Palermo il 31 marzo 2000).

In questo contesto viene profilata la nota tesi dell'attentato terroristico coniugato ad un proposito suicida.
Tesi che resiste agli esiti negativi di un grande numero di perquisizioni nei domicili di giovani compagni di Impastato alla ricerca di armi e esplosivi e che resiste anche agli esiti negativi dei rilievi effettuati a bordo della Fiat 850, ove, come si é visto, non viene trovata alcuna traccia di esplosivo.
Tesi , infine che resiste agli esiti del tutto divergenti, degli esami testimoniali degli stessi amici di Giuseppe Impastato, proseguiti incessantemente fino alla stesura del rapporto del 10 maggio. Esami che indicavano la matrice mafiosa dell'evento e fornivano evidenti spunti investigativi, evocando con chiarezza i contenuti salienti dell'impegno politico dell'Impastato nella denuncia dell'esistenza di un traffico internazionale di stupefacenti, nella denuncia degli interessi economici e delle attività criminali facenti capo ai mafiosi operanti nella zona, dal capofamiglia Gaetano Badalamenti, a Finazzo ai proprietari del camping Z 10 ( tra i quali tale Giuseppe Lipari) e ad altri, nella denunzia di campi paramilitari fascisti nel territorio di Cinisi, nella


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denuncia di rapporti tra personaggi mafiosi ed esponenti delle istituzioni, compresi carabinieri.
Giovanni Impastato, nel corso della sua audizione ha ricordato che:
«... In quel periodo c'era un buon rapporto tra i mafiosi locali e i carabinieri della caserma di Cinisi. Pare che lo stesso Badalamenti fosse molto stimato dai carabinieri in quanto persona precisa, tranquilla, che amava il dialogo. Sembrava quasi che facesse loro un favore giacché a Cinisi non succedeva mai niente e poteva ritenersi un paese tranquillo. Semmai eravamo noi i sovversivi che rompevano le scatole. Era questa l'opinione dei Carabinieri. Quando mi capitava di parlare con qualcuno di loro - cosa che non accadeva spesso perché non avevo troppa fiducia - mi rendevo conto che l'opinione diffusa era che Tano Badalamenti fosse un galantuomo e che noi invece fossimo quelli che rompevano le scatole.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Perché non aveva fiducia in loro?

IMPASTATO. Perché determinati fatti non mi portavano ad avere fiducia nei loro confronti. Vedevo che spesse volte andavano sotto braccio con Tano Badalamenti e i suoi vice. Non si può avere fiducia nelle istituzioni quando si vedono i mafiosi a braccetto con i carabinieri.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Praticamente i Carabinieri camminavano nel corso del paese a braccetto con Badalamenti.

IMPASTATO. Sì, lo posso confermare. Non so se posso portare delle foto. Forse esiste qualche foto di Peppino che lo confermi. In ogni caso i rapporti con la caserma dei carabinieri erano molto evidenti. Lo dicevano loro stessi. Badalamenti aveva rapporti diretti con il capitano dei carabinieri Russo, perciò si figuri se un maresciallo non doveva stimare Badalamenti. Desidero solo chiarire la situazione. Ma anche Peppino denunciava questi fatti nei comizi. Affermava che esistevano rapporti diretti fra mafia e carabinieri anche a Cinisi».

Eppure le indicazioni dei giovani erano state esplicite e coraggiose:
Marcella Adriolo Stagno aveva ricordato le denunce dei mafiosi locali fatte dall'Impastato e, in particolare la circostanza che quest'ultimo «indicava Gaetano Badalamenti quale capo della mafia locale, nonché in privato quale corriere della droga» e pubblicamente citava «tale Finazzo, costruttore edile del luogo», quale «speculatore edilizio».
Fara Iacopelli aveva definito le frasi del manoscritto «come uno sfogo puramente personale». Concetto approfondito da Giuseppe Maniaci, che aveva spiegato il fraseggio adoperato in esso come espressione di una «posizione critica [...] in seno all'area del collettivo», aggiungendo che «nonostante la crisi di sconforto che l'Impastato aveva» di non ritenerlo fallito. E Maria Fara Vitale e Graziella Iacopelli, a loro volta, avevano ritenuto «di nessun valore e


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di nessun peso le frasi scritte», e, dopo avere ricostruito il senso politico esistenziale delle divergenze insorte in passato nel gruppo facente capo a Radio Aut, erano state concordi nell'escludere qualsiasi proposito suicida.
«La lotta aperta alla mafia locale ... sul piano dell'informazione e della controinformazione, consistente nella pubblica denunzia dei danni derivanti al territorio dalle speculazione edilizia» e il «preciso riferimento» a Gaetano Badalamenti e ai due ex sindaci Orlando e Pandolfo erano stati poi richiamati da Andrea Bartolotta.
Mentre Giovanni Impastato aveva parlato esplicitamente di omicidio mascherato da evento terroristico.
Questi appena citati - come tutti gli altri giovani amici dell'Impastato - indicano ai carabinieri la pista mafiosa, contribuendo anche a chiarire taluni particolari, come quello dei cavi rinvenuti nell'auto, comunemente adoperati per collegarvi un impianto di amplificazione della voce nel corso della campagna elettorale.
E tutti concordemente evidenziano la circostanza, non secondaria, che quella tragica sera dell'8 maggio avevano inutilmente atteso Giuseppe Impastato nella sede di Radio Aut per le 21, ove era stata fissata un'assemblea in vista dell'importante e atteso comizio di chiusura della campagna elettorale che il loro amico avrebbe dovuto tenere l'indomani.
Ma dal successivo ricordo dei giovani di quegli interrogatori emergono anche elementi che ne descrivono la tensione:
Vitale Maria Fara, ricorda «un senso di sfiducia» per la conduzione delle indagini.
Piero La Fata, dinanzi al Comitato Impastato, dice testualmente:
«L'interrogatorio fu così forte e duro che non ressi. Mi contraddissi ma, di fronte a quella lettera, non avrei potuto reagire che in quel modo: la lettera era di Giuseppe, non l'avevo mai letta e non sapevo nemmeno della sua esistenza. L'impatto emotivo fu forte» [...] furono piuttosto duri e pressanti. L'interrogatorio durò più di tre ore, da circa le 10 del mattino fino all'una [...] Non posso negare che in quel particolare contesto quell'interrogatorio abbia avuto una sua logica. Dovete anche tener presente che non si può sottostare ad un interrogatorio pressante per troppe ore parlando di tutto: o si parla di cetrioli o si parla di fave. Loro misero tutto insieme. Sottostando a molte ore di interrogatorio - non so se a voi è mai capitato - ad un certo punto si perde lucidità e non si riesce più a capire nulla, non si è più in grado di riflettere. Non ero e non sono un robot. Ho i miei limiti (166)».

E Salvatore Riccobono, a sua volta ricorda:
«All'indomani della morte di Peppino, gli inquirenti portarono me e altri amici di Giuseppe in caserma dove fummo tutti tartassati e trattati da terroristi», e, richiesto di precisare il contenuto di tale affermazione, aggiunge: «Ho usato il termine «tartassati» perché una


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stessa domanda ci fu rivolta frequentemente ed è la seguente: «Perché stavate facendo l'attentato?». Noi dovevamo affermare per forza che avevamo fatto l'attentato, o che lo stavamo facendo e che era andata male avendo Peppino perso la vita. Questo è il senso. La domanda venne rivolta parecchie volte».

Le affermazioni del Riccobono impongono al Comitato un approfondimento, e nuovi particolari vengono alla luce:

MICCICHÈ. Del famoso biglietto scritto da Peppino Impastato, con cui avrebbe fatto capire in qualche maniera che si sarebbe potuto suicidare, lei ne era a conoscenza?

RICCOBONO. No, l'ho già detto, ma credo anche nessuno dei miei amici o compagni. Era una cosa scritta tempo prima. Si sarà trattato di un momento di sconforto come ne abbiamo avuto tutti noi ragazzi che abbiamo fatto una certa militanza. Lui l'ha scritto, noi no, ma credo che non si debba dare molto peso ad una cosa del genere.

MICCICHÈ. In quel momento lei ritiene che gli inquirenti attribuirono troppo peso a quel biglietto?

RICCOBONO. In un secondo tempo si.

MICCICHÈ. No, chiedevo all'inizio dei fatti.

RICCOBONO. Certo, hanno dato molto peso a quel biglietto. Noi diciamo che per non indagare in una direzione si è trovato il modo per indagare su altre strade.

MICCICHÈ. La sensazione era che si trattasse fin dall'inizio di una forma di depistaggio? L'idea che vi siete formati man mano che uscivate dall'interrogatorio, dopo aver parlato tra voi, era che si trattasse di un depistaggio immediato?

RICCOBONO. C'era la sensazione che non si volesse cercare la verità, almeno come primo tentativo. Anche noi l'abbiamo notato subito. Ripeto che nessuna domanda è stata fatta su altre cose, si diceva solo che noi eravamo attentatori e basta.

RUSSO SPENA COORDINATORE. Lei intende dire che non hanno posto domande sulla mafia locale?

RICCOBONO. L'unica domanda sulla mafia è stata fatta quando il carabiniere voleva i nomi.

RUSSO SPENA COORDINATORE. In sostanza solo quando lei ha affermato che poteva trattarsi di un attentato di stampo mafioso le hanno chiesto di dire i nomi.

RICCOBONO. Io - come tutti gli altri - feci loro presente che Peppino aveva diffuso volantini, presentato denunce e fatto comizi contro la mafia. In


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qualche modo tutti noi invitavamo gli inquirenti ad indagare in quella direzione. Fu allora che il carabiniere che svolgeva l'interrogatorio, piuttosto arrabbiato e sbattendo una mano sulla scrivania, ci chiese di fare i nomi.

MICCICHÈ. Quindi si passò immediatamente alla tesi di un attentato da parte del vostro gruppo e poi a quella del suicidio. Da quel momento aveste la sensazione che la pista della vendetta mafiosa fosse del tutto accantonata e non venisse neppure sfiorata come ipotesi?

RICCOBONO. Sì.

FIGURELLI. Ricorda qualche testimonianza di quei giorni circa le perquisizioni effettuate in paese? In sostanza, ricorda se, quanto e in quale direzione, subito dopo la morte di Impastato, la stazione dei Carabiniere indagò tra i mafiosi o tra quelli che in paese erano ritenuti fiancheggiatori della mafia o comunque uomini legati ai capi mafia?

RICCOBONO. Le uniche perquisizioni furono fatte in casa mia, in quella di La Fata, di Giovanni Impastato e nella casa in campagna di Manzella Benedetto. Sull'altro versante non furono fatte perquisizioni. Furono perquisite solo le case dei compagni di Peppino (167)».

Nessun atto di polizia giudiziaria risulta infatti indirizzato nei confronti di soggetti a qualsiasi titolo riconducibili agli ambienti mafiosi oggetto delle denunce di Giuseppe Impastato e dei giovani facenti capo a Radio Aut.
E ciò anche se, già all'indomani dell'evento mortale, era emerso un quadro netto e distinto dell'importanza dell'opera di «controinformazione» svolta dall'Impastato e del livello delle sue denunzie.
Dovranno purtroppo passare da allora ancora molti anni per conoscere l'entità degli interessi criminali denunziati da Giuseppe Impastato, a partire dal fenomeno del trasporto dello stupefacente a mezzo di corrieri e dall'insediamento territoriale delle raffinerie dell'eroina che a far tempo dal 1977/78 consentirono a Cosa nostra di lucrare centinaia di miliardi l'anno. Così come per conoscere e valutare l'importanza degli investimenti di Cosa Nostra nel settore turistico e alberghiero e nella gestione delle cave.
Con il deposito del rapporto giudiziario del 30 maggio del 1978 a firma del maggiore Subranni, viene ribadita l'ipotesi che «Impastato Giuseppe si sia suicidato compiendo scientemente un attentato terroristico, così come si ritiene che non sia emerso alcun elemento che conduca ad una diversa conclusione. E ciò malgrado i conclamati rinvenimenti nel casolare, la totale assenza di indizi circa l'esistenza di attività terroristiche in Cinisi, la mancanza di ogni traccia circa la disponibilità e l'attitudine all'impiego di esplosivi da parte della vittima e la perfetta consapevolezza della portata dell'attività di denuncia degli


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interessi mafiosi effettuata dall'Impastato e rievocata anche dagli organi di stampa dopo la sua morte.
Nessuna perquisizione nei confronti di mafiosi.
Nessuna richiesta di intercettazioni telefoniche.
Né il pubblico ministero, durante i centottantuno giorni in cui tratta direttamente l'inchiesta, effettua o delega approfondimento o un'indagine sulle persone, sui fatti e sulle specifiche circostanze che prima Peppino Impastato e poi i suoi amici avevano avuto il coraggio civile di denunciare.
E dopo il 30 maggio nessuna attività investigativa del reparto operativo dei carabinieri di Palermo sulla morte di Giuseppe Impastato viene riferita all'autorità giudiziaria, tanto meno quella, espressamente delegata e rimasta senza esito, volta a ricostruire natura e provenienza dell'esplosivo.
Solo, e inaspettatamente, il 9 gennaio 1979 il comandante della stazione dei carabinieri di Cinisi trasmette al giudice Chinnici una nota avente ad oggetto «Cinisi - decesso di Impastato Giuseppe» (168).
Il maresciallo Travali, venti giorni dopo avere reso testimonianza al giudice Chinnici, invia il verbale delle «sommarie informazioni testimoniali» da lui acquisite dal tale Salamone Benedetto, «operaio delle ferrovie addetto al servizio di passaggio a livello sito al km. 30+745, distante dal punto dove avvenne l'episodio circa 750 metri».
Due osservazioni devono precedere l'esame delle informazioni rese dal Salamone. In primo luogo, non vi è traccia in atti di alcuna delega da parte del giudice istruttore all'assunzione di questa testimonianza. Sicché - almeno formalmente - l'atto va ascritto all'iniziativa investigativa del Travali, così come l'espresso riferimento ad una potenziale utilità di questa nuova testimonianza all'inchiesta, anzi «ai fini dell'inchiesta» in ordine al decesso dell'Impastato. Nell'iniziativa sembra implicita una apertura inusitata a direzioni dell'indagine diverse da quelle perentoriamente affermati nei rapporti presentati ai magistrati dal comandante del reparto operativo del gruppo dei Carabinieri di Palermo.
In secondo luogo, anche nei suoi contenuti, l'esame del Salamone appare di sicuro interesse perché focalizza l'attenzione sul passaggio a livello del km. 30.745 poco distante dal luogo ove Impastato saltò in aria, posto, come si sa al km. 30.180. Cioè a poco più di 500 metri di binario.
Un punto che potenzialmente poteva o doveva essere attraversato per giungere alla trazzera ove fu ritrovata la Fiat 850 dell'Impastato.
Salamone ricorda che, rispettivamente alle ore 22,30 e alle 24 circa, due treni passeggeri erano transitati senza inconvenienti e che fino alla mezzanotte nessuno aveva segnalato problemi alla linea (169).


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Ed esclude di avere notato quella notte qualcosa di anomalo nel presidio del passaggio a livello, le cui sbarre restavano abbassate - particolare interessante - per circa sette minuti ad ogni transito.
Su questo il Salamone sembra preciso: «Durante le operazioni di apertura e chiusura delle sbarre non ebbi modo di notare persone o macchine che si trovassero dietro le sbarre stesse in attesa che venissero riaperte». Solo al passaggio del locomotore delle 1,35 del 9 maggio, diretto da Palermo a Trapani era accaduto qualcosa di inconsueto. Il locomotore dopo aver superato il casello per circa 50 metri si era fermato ed era tornato indietro e il conducente lo aveva informato che sulla linea ferrata aveva notato qualcosa di anormale, tanto da indurlo ad ispezionare al lume di lanterna circa 100 metri di binario, rimasta senza alcun esito. Solo alle 3 di quella notte l'operaio specializzato Vito Randazzo aveva rilevato sulla linea «l'ammanco della rotaia e nessun altro oggetto».
Ad una specifica domanda dei verbalizzanti (brigadiere Esposito e maresciallo Travali), il casellante Salamone riferisce di non aver udito «alcun rumore da attribuire a qualche esplosione» e di «non avere visto aggirarsi nei paraggi del casello o sulla strada vicina comunale ... persone di Cinisi, di Terrasini o estranei». Quanto alla mancata percezione dell'esplosione, il Salamone fa presente che «quella notte, sino all'una circa, vi era un forte vento di scirocco che soffiava da Trapani versoi Palermo», che aveva allontanato l'eco o altri rumori».
L'effetto che il Salamone intende - o meglio pretende - descrivere è quello di un mascheramento acustico dell'esplosione a causa della forte sciroccata. L'assunto non appare supportato da alcun valido riscontro: basta considerare che quella notte il traffico aereo non aveva subito intralci per le condizioni atmosferiche, come dimostra la ricostruzione del traffico aereo in arrivo e in partenza da Punta Raisi richiesta dal giudice Chinnici (170).
Il teste Salomone non viene mai più interrogato su queste circostanze.
Ma durante la sera dell'8 maggio e la notte tra l'8 e il 9 maggio 1978 Benedetto Salamone non era stato l'unico ad essere in servizio in quel passaggio a livello. Alle ore 22 aveva dato il cambio alla collega Provvidenza Vitale. Fino a quel momento quindi il passaggio a livello era stato presidiato dalla Vitale, la quale secondo il Salamone, non segnalò alcuna «anomalia inerente al servizio di vigilanza al passaggio a livello».
Ma - come riferisce il Travali a Chinnici riservandosi di trasmettere il verbale dell'esame della Vitale - questa casellante, nata a Cinisi, aveva lasciato il paese perché emigrata verso gli Stati Uniti. Come si


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è detto in precedenza, non si conoscono i motivi di tale trasferimento né risulta alcun atto istruttorio che abbia coinvolto la Vitale, potenziale teste oculare. Anzi, fatta eccezione della nota di trasmissione del verbale delle sommarie informazioni testimoniali rese dal Salomone, il nome della Vitale non comparirà mai negli atti processuali.

I rapporti tra il reparto operativo e la scala gerarchica.

Un ultimo, ma non meno significativo, profilo della ricostruzione delle vicende delle indagini sulla morte di Giuseppe Impastato é dato dall'analisi dei rapporti tra il reparto operativo, dipendente, nel maggio del 1978 del maggiore Subranni e i comandi superiori dell'arma dei carabinieri.
Quei fatti sono stati al centro di un fitto scambio di corrispondenza tra il Reparto operativo dei carabinieri di Palermo e la scala gerarchica, che evidenzia circostanze meritevoli di approfondimento.
Va premesso che si tratta di una corrispondenza che prosegue per lungo tempo con aspetti e particolari inediti e che essa, sulla base degli atti disponibili, può essere ricostruita solo in parte.
Come si evince dai documenti acquisiti, il comando della legione più volte richiese e sollecitò al reparto operativo informazioni sull'andamento delle indagini. E tali richieste si fecero insistenti e frequenti dopo la formalizzazione del processo contro ignoti per omicidio volontario Dopo vari solleciti, in data 26 aprile 1979, il maggiore Subranni riferisce alla scala gerarchica dell'avvenuta contestazione con mandato di cattura ad Amenta Giuseppe del reato di falsa testimonianza. E, il successivo 5 maggio, il comando legione, attraverso le vie gerarchiche, gli richiede ulteriori notizie con cadenza mensile. Di tali sviluppi non si é avuta contezza, non disponendosi del relativo carteggio. Tuttavia tra gli atti esaminati dalla Commissione, appare meritevole di citazione la nota n. 2596/31, a firma del comandante pro-tempore del nucleo operativo, il maggiore Tito Baldo Honorati, datata 20 giugno 1984 e indirizzata al comando del gruppo di Palermo, di cui si riporta integralmente il testo:
«Le indagini molto articolate e complesse svolte all'epoca da questo Nucleo operativo hanno condotto al convincimento che l'Impastato Giuseppe abbia trovato la morte nell'atto di predisporre un attentato di natura terroristica. L'ipotesi di omicidio attribuito all'organizzazione mafiosa facente capo a Gaetano Badalamenti operante nella zona di Cinisi è stata avanzata e strumentalizzata da movimenti politici di estrema sinistra ma non ha trovato alcun riscontro investigativo ancorché sposata dal Consigliere Istruttore del tribunale di Palermo, dr. Rocco Chinnici a sua volta, è opinione di chi scrive, solo per attirarsi le simpatie di una certa parte dell'opinione pubblica conseguentemente a certe sue aspirazioni elettorali, come peraltro è noto, anche se non ufficialmente ai nostri atti, alla scala gerarchica. Lo stesso


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Magistrato peraltro, nell'ambito dell'istruttoria formale condotta con molto interessamento, non è riuscito a conseguire alcunelemento a carico di esponenti della mafia di Cinisi tanto da concludere con un decreto di archiviazione per delitto ad opera di ignoti. A parte il complesso di elementi a suo tempo forniti da questo Nucleo a sostegno della tesi prospettata dall'Arma, si vuole fare osservare, e ciò è di immediata intuizione per chi conosca anche superficialmente questioni di mafia, come una cosca potente, ed all'epoca dominante, come quella facente capo al Badalamenti non sarebbe mai ricorsa per l'eliminazione di un elemento fastidioso ad una simulazione di un fatto così complesso nelle sue componenti di natura ideologica, ma avrebbe organizzato o la soppressione eclatante ad esempio e monito di altri eventuali fiancheggiatori dell'Impastato, o la più sbrigativa e semplice eliminazione con il sistema della lupara bianca che ben difficilmente avrebbe comportato particolari ripercussioni. Si aggiunge, con riserva di fornirne dimostrazione, che l'indagine è stata svolta con il massimo scrupolo e la possibile completezza ed, allo stato non sussistono ulteriori possibilità investigative.

F,to Il comandante del nucleo, maggiore Tito Baldo Honorati».

L'unico commento che può farsi alle osservazioni dell'ufficiale sulla persona del consigliere Chinnici riguardano le date. La nota Honorati è del giugno del 1984. Il magistrato era stato ucciso dalla mafia il 23 luglio 1983. Ed é proprio questo particolare a rendere oltremodo stigmatizzabile lo stile adoperato e la spiegazione data delle iniziative intraprese dal giudice Chinnici.
Oltremodo significativa appare poi la successiva presa di posizione del comandante della legione di Palermo, con la nota 27 giugno 1984. Su essa si sottolinea che l'esito (sentenza di non luogo a procedere contro ignoti per il delitto di omicidio) dell'inchiesta giudiziaria, «che ha dato luogo a sfavorevoli commenti ed apprezzamenti, ampiamente pubblicizzati dagli organi di informazione, con particolare riferimento all'Arma, la quale, titolare delle indagini, inizialmente aveva attribuito il decesso a suicidio, impone ora che tutta la complessa vicenda venga ripresa e con convinto e fervoroso impegno per conseguire concreti risultati. In altri termini si tratta di un impegno d'onore che deve riscattare la serietà e professionalità degli operatori portando chiarezza sull'intera vicenda. In tale quadro prego fare riprendere, fin dall'inizio, gli accertamenti i quali devono tenere conto delle risultanze acquisite in sede processuale e delle ipotesi formulate dagli organi di stampa...».
L'iniziativa dei vertici siciliani dei carabinieri appare di segno completamente opposto alla ricostruzione proposta dal maggiore Tito Baldo Honorati e, al tempo stesso, si pone come una netta presa di distanza dalle interpretazione di quest'ultimo degli indirizzi dati al processo durante l'istruzione formale.
Ulteriori tracce di corrispondenza, risalenti addirittura all'anno della morte di Impastato, si possono rinvenire tra gli atti pervenuti alla


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commissione il 23 novembre 2000: si tratta di varia corrispondenza interna all'Arma (171).
Il colonnello comandante della legione, Mario Sateriale, nell'immediatezza sollecita «approfondite indagini per far luce sul fatto»; richiede successivamente «notizie» tramite il comando gruppo (il 13 maggio 1978) e quindi, dopo la redazione dei rapporti giudiziari del 10 e del 30 maggio, fa sapere di considerare non concluse le indagini ed anzi di restare «in attesa delle determinazioni dell'autorità giudiziaria e delle eventuali possibili ulteriori risultanze da ricercare ed acquisire per fare definitiva luce sull'episodio» (è il 7 giugno 1978).
Ed ancora il 7 dicembre 1978, lo stesso comandante della legione di Palermo, richiamando una propria precedente nota, sollecita l'espletamento di «ulteriori investigazioni per fare piena luce sul fatto».
Solleciti e richieste seguono la via gerarchica e vedono quale destinatario finale il comando della stazione di Cinisi, cui vengono «girati» dal comandante della compagnia di Partinico, capitano Ernesto Del Bianco.
Questa circostanza appare di difficile interpretazione, perché la direzione delle indagini era stata assunta fin dal primo momento dal reparto operativo del maggiore Antonio Subranni.
E, all'epoca dei fatti, il reparto operativo era un'articolazione diretta del comando di gruppo.
Tuttavia, quando il comandante della legione restituisce al comandante del gruppo i rapporti giudiziari del 10 e del 30 maggio, gli «ulteriori risultati» richiesti tramite la compagnia di Partinico, vengono sollecitati al comando della stazione dei carabinieri di Cinisi, da una laconica nota a firma del capitano Del Bianco datata 23 maggio 1978.
E lo stesso accade sia quando il comandante della legione fa sapere di non considerare concluse le indagini e di essere in attesa di ulteriori risultanze «da ricercare ed acquisire per fare definitiva luce sull'episodio», sia quando successivamente dispone «ulteriori investigazioni per fare piena luce sul fatto». In tali circostanze il comando del gruppo dei carabinieri di Palermo, primo destinatario delle iniziative della legione, investe della questione la compagnia di Partinico.
E quest'ultima, a sua volta, la stazione di Cinisi.
In ogni caso, per molti anni, nessuna «nuova luce» chiarirà la vicenda della morte di Giuseppe Impastato.


(76) All'epoca dei fatti era vigente l'abrogato codice di procedura penale (R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399). Tutte le indagini di questo primo procedimento (come si vedrà ve ne saranno altri) sono assoggettate alle forme del vecchio rito. Dopo la prima fase, delegata al PM Signorino, sono proseguite in istruttoria formale - in relazione alle imputazioni di omicidio aggravato e detenzione e porto in luogo pubblico di ordigno esplosivo - dal G.I. Rocco Chinnici, e successivamente definite dal giudice istruttore Antonino Caponnetto, con sentenza di non doversi procedere perché «ignoti coloro che hanno commesso il reato» (19/5/1984). Al fascicolo, in data 17 maggio 1978, viene allegato il proc. n. 2103/78 della Pretura di Carini, comprendente i verbali degli atti processuali «urgenti» (ispezioni del cadavere ed altro) effettuati (anche su delega di Signorino) dal pretore di quel mandamento, Giancarlo Trizzino. L'articolo 231 del codice penale abrogato (Atti e informative del pretore) prevedeva, infatti, che il pretore «procede ... in ogni caso agli atti urgenti di accertamento e di assicurazione delle prove, ivi compreso l'eventuale sequestro di cose che si trovino nel territorio sottoposto alla sua giurisdizione ...».
(77) All'epoca c'era il reggente non essendosi ancora insediato il dr. Gaetano Costa, nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura procuratore della Repubblica nel febbraio 1978 (il dr. Costa assumerà la guida della procura palermitana nel luglio del 1978).
(78) Cfr. il titolo III (Dell'istruzione sommaria, articolo 389 ss.) del libro II del codice di procedura penale di rito abrogato.
(79) Il magistrato é ucciso il 23 luglio 1983 sotto la sua abitazione di via Pipitone Federico ove viene fatta esplodere una carica di esplosivo occultata in un'auto. Nell'attentato perdono la vita anche due agenti di scorta e il portiere dello stabile.
(80) Il verbale, firmato dal maresciallo Riggio, appartenente al Reparto Informativo del gruppo CC di Palermo, dal maresciallo Francesco Di Bono e dal brigadiere D'Arena Agostino della Compagnia Partinico è in DOC n.1349, p.783151. I documenti contrassegnati dalla dicitura DOC sono tutti conservati presso la sede della Commissione e appartengono alle acquisizioni dell'attuale legislatura, la XIII.
(81) Sul punto, cfr. Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Giovanni Riggio, in data 19 dicembre 1978, in DOC 1349, p. 783565 e ss.
(82) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul caso «Impastato», Resoconto stenografico della Riunione di giovedì 25 novembre 1999, p. 12 ss.
(83) Verosimilmente dagli uffici della stazione dei carabinieri di Cinisi, dove l'appuntato dei carabinieri Meli, che ne cura la spedizione, prestava servizio e dove si era recato il pretore di Carini per il compimento di atti urgenti.
(84) Leggasi località «Feudo Orsa», come precisato nel processo verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Benedetto Mangiapane ai carabinieri: v. DOC 1349 p. 783193. Come si vedrà non risultano agli atti del processo planimetrie o estratti catastali idonei a indicare esattamente i luoghi e ad individuare le costruzioni che vi insistono e le vie di accesso alla località.
(85) V. l'audizione del magistrato G.Trizzino, all'epoca pretore di Carini in Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul caso «Impastato», Resoconto stenografico della Riunione di giovedì 25 novembre 1999, p. 1 ss. Questo il ricordo del Trizzino sul suo arrivo a Cinisi: «... Ho ricevuto una telefonata dalla stazione dei carabinieri di Cinisi nella prima mattinata. Abitavo a Palermo, a poca distanza da Cinisi, e mi muovevo con la mia auto privata.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Quindi è intervenuto da solo?
TRIZZINO. Sì. Mi sono recato alla stazione dei carabinieri di Cinisi, perché non sapevo dove fosse il posto in cui era accaduto il fatto. Peraltro, se ben ricordo, chi mi telefonò non specificò il luogo; mi fu solo detto che vi era un morto sui binari. Quindi andai alla stazione di Cinisi, dove mi fecero aspettare un po' di tempo. Poi arrivò un pulmino dei carabinieri, con il quale mi portarono sul posto. Lì trovai il medico, il dottor Di Bella (non so se era l'ufficiale sanitario o il medico condotto di Cinisi), una persona anziana [...]».
(86) Come precisato dal macchinista alla squadra di polizia giudiziaria della polizia ferroviaria di Palermo il giorno 11 maggio 1978, cfr. DOC 1346 p. 783165.
(87) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Gaetano Sdegno in data 16 dicembre 1978, in DOC n. 1349 , p. 783546.
(88) L'addetto al passaggio a livello Benedetto Salamone effettuava il servizio con il turno 22-24, 0-6.
(89) In questo senso le dichiarazioni dei macchinisti Michelangelo Capozza e Baldassarre Purpura alla Polfer, loc. ult. cit. 783166-167. Entrambi precisano di non avere notato persone nelle adiacenze della strada ferrata.
(90) Trattasi della nota 2596/5-1 del Reparto operativo del gruppo carabinieri di Palermo.
(91) Questa nota del compartimento Polfer di Palermo inviata al reparto operativo è stata rinvenuta nel fascicolo «P» (permanente) n.2596 dei carabinieri, relativo al decesso di Impastato, acquisito in copia dalla Commissione.
(92) La medesima fotografia sarà poi pubblicata sia dal settimanale «Cronaca vera», il 31 maggio 1978, sia dal settimanale «Sette» del Corriere della Sera, il 19 ottobre 2000.
(93) Cfr. la nota della Direzione compartimentale di Palermo delle ferrovie dello Stato e i relativi allegati, trasmessi al giudice Chinnici l'11 gennaio 1979, «in esito alla sua richiesta», in DOC n.1349, p. 783323 ss.
(94) Sul punto, cfr. Relazione sugli accertamenti esperiti all'interruzione della linea Palermo-Trapani, a firma Giuseppe Vajarelli, redatta in data 11 dicembre 1978 e trasmessa in allegato alla Nota direzione compartimentale FF.SS, ult. cit., p. 783324 e le dichiarazioni rese dal Travali al G.I. , cit., , p. 783548.
(95) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Alfonso Travali, cit., p. 783553.
(96) Dagli atti acquisiti dalla Commissione e in particolare dai MEMORIALI DI SERVIZIO dei mesi di maggio e di giugno del 1978 del Nucleo Operativo della Compagnia di Partinico (v. DOC n. 1923 RIS) si evince che - almeno in quel periodo - presso quel comando, a fronte di una «forza organica» di 6 unità se ne trovavano in servizio 7. Si potrebbe desumere che il brigadiere Canale fosse colà in soprannumero, in quanto nel prospetto del memoriale di servizio del mese di giugno 1978 del nucleo operativo il suo nominativo risulta iscritto a penna al settimo rigo. Peraltro, in riferimento ad una richiesta di questa Commissione, rivolta a conoscere l'entità e la composizione degli organici dei comandi di Cinisi e di Partinico all'epoca della morte di Impastato, nell'aprile 2000 la compagnia di Partinico dei carabinieri comunicava comando gruppo di Monreale le generalità incomplete dell'ex sottufficiale, Canale Carmelo, classe 1947, «non meglio potuto identificare per mancanza di atti giacenti presso quel comando».
È lo stesso brigadiere Canale a precisare al G.I. di essersi recato subito sul posto, di essersi successivamente portato presso l'abitazione per compiervi la perquisizione ove rinvenne «unitamente a dei documenti...», una lettera in cui il giovane parlava «del suo ipotetico suicidio»: cfr. Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Carmelo Canale, in data 28 dicembre 1978, in DOC 1349, p. 783582-583.
(97) Il processo verbale di perquisizione domiciliare eseguito ai sensi dell'articolo 224 cpp nell'abitazione di Bartolotta Fara risulta compilato alle ore 20 del 9 maggio. L'atto è firmato dall'appuntato Francesco Abramo, in forza alla caserma di Cinisi, dal brigadiere Carmelo Canale e dal maresciallo Francesco Di Bono della compagnia di Partinico. A rinvenire i documenti è il brigadiere Carmelo Canale, come lui stesso riferisce al giudice istruttore.
Il verbale non risulta firmato da Fara Bartolotta.
Stessa sorte per il verbale della perquisizione domicilare eseguita (secondo il verbale) alle ore 8 del 9 maggio presso l'abitazione della madre di Giuseppe Impastato, che reca la firma del solo maresciallo Francesco di Bono.
Fara Bartolotta dichiara a verbale di essersi recata presso l'abitazione della sorella alle ore 5,30 e di avervi trovato «i carabinieri che stavano perquisendo la casa» ( cfr. le sommarie informazioni testimoniali rese dalla zia di Giuseppe Impastato il 9 maggio 1978 alle ore 8, in Doc n. 1349, p. 783087).
Secondo la versione ufficiale, quest'ultima perquisizione avrebbe avuto esito negativo e pertanto nulla sarebbe stato sottoposto a sequestro.
Altre fonti, raccolte dalla Commissione, fanno però ritenere avvenute significative asportazioni di documenti.
Per quanto attiene al rinvenimento delle 6 lettere e del manoscritto va evidenziato che non risulta formato un autonomo verbale di sequestro delle lettere e del manoscritto.
Sui «SEQUESTRI INFORMALI» di atti e documenti di Giuseppe Impastato - la cui esistenza è stata acclarata nel corso dell'inchiesta condotta da questa Commissione -, dei quali non fu mai data notizia all'autorità giudiziaria, si dirà nel prosieguo della relazione.
(98) Pretura di Carini, Processo verbale di descrizione di cadavere, Atti relativi alla morte di Impastato Giuseppe avvenuta il 9/5/1978 in Cinisi a seguito di scoppio di un ordigno esplosivo (proc. pen. n. 2103/78/C), in DOC 1349, p.783030 e ss.
(99) Cfr. l'audizione. Trizzino, in Resoconto stenografico della Riunione di giovedì 25 novembre 1999, cit., p. 1 ss.
(100) Cfr. DOC. N.1349, p. 783561. Le domande rivolte al Travali dal giudice istruttore in ordine ai particolari dell'ispezione furono molte e non trascurarono le modalità di repertazione, che, secondo il maresciallo di Cinisi, riguardò: «....tutto quello che fu trovato, e cioè oltre ai sandali, ai pezzi di stoffa, i frammenti del corpo umano, gli arti inferiori, che furono trovati ad una distanza di circa 300 metri dal punto in cui mancava la rotaia. Man mano che venivano rinvenute parti o frammenti del corpo umano il pretore disponeva che venissero collocati in un sacchetto di plastica...».
(101) Il 12 maggio Francesco Chirco, Bartolotta Ferdinando e Giovanni Riccobono raccolgono in un sacchetto di plastica resti umani e li consegnano all'indomani ai carabinieri di Cinisi. Si tratta diresti rinvenuti fino a circa 170 metri di distanza dal luogo dell'esplosione.
(102) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Andrea Evola in data 28 dicembre 1978, in DOC n. 1349 , p. 783625. Il teste riferisce che «dopo la ispezione fatta dal Pretore ci fu data disposizione di ripristinare il binario», senza aggiungere altri particolari.
(103) Sul punto, v. Direzione Compartimentale FS di Palermo, Relazione sugli accertamenti esperiti in merito all'interruzione della linea Palermo-Trapani verificatasi il giono 9 maggio 1978 in corrispondenza della progressiva Km. 30+180 fra le stazioni di Carini e Cinisi per la rottura di rotaia causata da carica esplosiva, in DOC n.1349, p. 3783234.
(104) Il particolare della disponibilità di quei sacchetti di cellophane, richiamati dal magistrato Trizzino, costituisce un elemento di riscontro alle dichiarazioni del Liborio nel corso dell'«intervista» registrata da Felicia Vitale: cfr. la nota che segue. Un riscontro ulteriore va individuato nelle dichiarazioni del maresciallo Travali al G.I. relative alle modalità di conservazione dei reperti, riportate alla nota 107.
(105) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Alfonso Travali, cit., p. 783559.
(106) Picciotto in dialetto siciliano vuol dire piccolo, ragazzo; ed è in questo senso che il termine viene usato in questa occasione.
(107) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Carmelo Pichilli, in data 28 dicembre 1978, in DOC n. 1349, p. 783635.
(108) Loc. ult. cit. p. 783634.
(109) Va evidenziato che il brigadiere Antonio Esposito nemmeno figura firmatario del processo verbale di sopralluogo redatto dai carabinieri di Cinisi. L'atto reca la firma del solo maresciallo Travali. Si tratta dell'allegato n. 1 al rapporto giudiziario del 10 maggio 1978 del maggiore Subranni.
(110) L'intervista di Felicia Vitale Impastato a Giuseppe (Liborio), fu Liborio Briguglio e Iacobelli Rosalia, necroforo comunale di Cinisi è pubblicata in U. Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1998, p. 405-406. La copia della registrazione audio di questa intervista, acquisita da uno dei consulenti della commissione il 13 ottobre 2000 presso il Centro Impastato, è agli atti della Commissione.
(111) In merito a queste particolari lesioni (riconducibili ad una traslazione o immobilizzazione degli arti inferiori con attriti «sulla faccia destra dei piedi») va ricordato che il pretore Trizzino evidenziò sia a proposito dell'arto destro sia a proposito del sinistro che i piedi erano coperti da calza («levata la calza si accerta che trattasi dell'arto anteriore destro»).
(112) Il rinvenimento della mano è menzionato nel Verbale di sopralluogo redatto dal maresciallo Travali, cit., ove si legge che «... Successivamente, occultata dal pietrame della linea, è stata rinvenuta una mano»...
(113) Una descrizione, sia pure non univoca, delle caratteristiche del cratere dell'esplosione si evince principalmente dalle dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso della istruttoria formale dal G.I. Chinnici.
(114) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Carmelo Canale, in data 28 dicembre 1978, in DOC 1349, p. 783622. In tale occasione il Canale afferma: «nelle prime ore del mattino del giorno 9 maggio, i Carabinieri di Cinisi ci avvertirono che lungo la strada ferrata nei pressi di Cinisi, c'erano i resti di un cadavere. I carabinieri della compagnia che ebbero la notizia, mi informa [...] unitamente ad altri militari della compagnia stessa, mi recai subito sul posto. Venne pure il maresciallo Di Bono. Sul posto trovai il brigadiere di Cinisi che stava effettuando una ricognizione lungo la strada ferrata ed altri militari della stessa stazione. Io e il maresciallo Di Bono, assieme al comandante della compagnia Del Bianco, ci unimmo agli altri per effettuare la ricognizione. Io personalmente ispezionai un tratto della strada ferrata e tutta la zona circostante alla ricerca della testa dello sconosciuto per potergli dare un nome. Rinvenni diversi frammenti di cadavere sparsi per un raggio di 30-40 metri e più. Null'altro io vidi. In caserma a Cinisi notai un paio di sandali e pezzi di indumenti maschili. Sul posto, come gli altri ufficiali e agenti di PG, avevo constatato che un tratto di binario per circa 50-60 centimetri era divelto e che in corrispondenza della mancanza del binario c'era una fossa profonda 30- 40 cm., del diametro di circa mezzo metro ...».
(115) Dalla relazione del vice brigadiere Sardo risulta che al momento del suo intervento (10 AM) la linea ferrata «era stata già riattivata e tutto riportato allo stato normale». Pur non potendo effettuare ulteriori e specifici rilievi «da quanto riferito dai Carabinieri della stazione di Cinisi» sugli effetti dell'esplosione, l'artificiere dell'Arma conclude che la carica esplosiva era composta da esplosivo ad elevato potere dirompente, verosimilmente esplosivo da mina comunemente impiegato nelle cave di pietra e per sbancamento di terreno , quantitativamente rappresentato da Kg. 4-6 circa.
(116) Alle ore 17,30 del 9/5/1978 «a seguito di intervento da parte del Comando Gruppo Carabinieri di Palermo», il sergente maggiore Longhitano Salvatore, artificiere dell'11 direzione di artiglieria di Messina, ispezionava - nella stazione dei carabinieri di Cinisi - la Fiat 850 di Impastato e riferiva in un'apposita relazione di servizio che i cavi telefonici già decritti «presentavano le estremità conformate in modo tale da essere pronte ad essere collegate tra di loro o con altri congegni elettronici (anche capsule elettriche)» e aggiungeva che «il tipo di cavo in questione è percorribile dalla corrente elettrica».
(117) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico della Riunione di giovedì 11 novembre 1999 - Audizione del generale dei carabinieri Antonio Subranni, p. 10 ss.
(118) In tema di cd. esplosivi da mina vi è letteratura circa il modo di distinguerli. Si evidenzia infatti che essi sono di solito confezionati in cilindri e avvolti in carta paraffinata per proteggerli dall'umidità e si precisa che essi di solito vengono distinti dal colore della carta dell'involucro (cartuccia in carta gialla per quelli deflagranti da cava, in carta rossa per quelli detonanti per uso sotterraneo).
(119) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Andrea Evola in data 28 dicembre 1978, in DOC n 1349, p. 783622-783625.
(120) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Antonino Negrelli, in data 28 dicembre 1978, in DOC n. 1349, p. 783626-783629.
(121) Una descrizione delle condizioni dei binari dopo l'esplosione si ritrova anche nella relazione presentata in cancelleria l'11 gennaio 1979. dalla Direzione Compartimentale delle FS di Palermo su richiesta del giudice istruttore Chinnici. In essa il geometra delle ferrovie Vajarelli scrive che: «il tratto di linea al Km. 20+180, dove si riscontrava la mancanza di 0,54 metri lineari di rotaia, si svolge in curva di raggio di 200 metri lineari. Il tratto di rotaia mancante è stato riscontrato nella fila interna della curva, senza alcun altro danno né alle traverse né alla massicciata, che in corrispondenza del tratto di rotaia mancante, presentava soltanto un lieve avvallamento. Il pezzo di rotaia di ml. O,54 asportato dall'esplosione risultava ridotto in numerosi frammenti di piccola pezzatura. Nel tratto in cui è avvenuto l'inconveniente la sede ferroviaria si trova pressocchè alla stessa quota delle circostanti campagne». Come si vede i tecnici delle ferrovie parlano di numerosi frammenti di rotaia, i carabinieri ne sequestrano tre.
(122) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Carmelo Pichilli, in data 28 dicembre 1978, in DOC n. 1349, p. 783630-783636.
(123) Stazione dei Carabinieri di Cinisi, Processo verbale di sopralluogo in contrada Feudo ... (a firma A.Travali), in Doc 1349, p. 783085: questo verbale costituisce l'allegato n. 1 al rapporto giudiziario n. 2596/2 del 10 maggio 1978, a firma Antonio Subranni.
(124) Nel verbale di ricognizione del pretore Trizzino viene solo dato atto che la casa abbandonata si trova nei pressi della strada ferrata.
(125) La matassa di filo repertata sul lunotto della Fiat 850 misurava m. 28 circa, mentre lo spezzone di filo collegato alla batteria m. 3,60, così come risulta dalla relazione di servizio redatta dal vice brigadiere Sardo. Nel verbale di sequestro della Fiat 850 redatto alle ore 18 del 9 maggio dai carabinieri della stazione di Cinisi (maresciallo Travali e brigadiere Antonio Esposito) il veicolo viene indicato a circa trenta metri dal punto dell'esplosione.
(126) Ad esso dedica un generico richiamo il Subranni a pagina 17 del rapporto del 10 maggio 1978, ove si legge che «Il comando della compagnia CC di Partinico è pregato di trasmettere direttamente al Sig. Procuratore della Repubblica in indirizzo e qui per conoscenza il verbale di sequestro e i relativi reperti, il fascicolo fotografico ed eventuali altri atti relativi al caso per il quale si procede».
(127) In ordine all'esame delle fotografie la relazione Pellegrino non fornisce alcun dettaglio, né indica in quali circostanze e da chi le ottenne.
(128) Le «testimonianze» sono state raccolte da Anna Puglisi e Umberto Santino nel dossier «Notissimi ignoti», a cura del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1986. Successivamente sono riportate in L'assassinio e il depistaggio, cit., p. 96 e ss.
(129) Cfr. Carabinieri Stazione di Cinisi, Processo verbale di ricezione di numero due pezzi di stoffa esibiti da Di Magio Faro ed altri, in data 13 maggio 1978 in DOC n. 1349, p. 783177.
(130) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Faro Di Maggio, in data 7 dicembre 1978, in DOC 1349, p. 783517-783626.
(131) Cfr. Procura della Repubblica di Palermo, Richiesta di indagini di polizia giudiziaria: Missiva al comandante del reparto operativo dei carabinieri di Palermo in data 11 maggio 1978, in DOC. 1349, p. 783022.
(132) Cfr. Procura della Repubblica di Palermo, Verbale di incarico al perito Pellegrino Pietro, di anni 45 da Palermo, in DOC 1349, p. 783226.
(133) Il sig. Pietro Pellegrino, esperto balistico nominato dal Pm Signorino dopo avere rassegnato le proprie conclusioni scritte con la relazione depositata il 28 ottobre non sarà mai esaminato nel corso dell'istruttoria.
(134) Una copia della registrazione contenente l'intervista del Liborio è stata acquisita presso la sede del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato - dove era conservata - da un consulente della Commissione e versata agli atti.
(135) Nella trascrizione del dialogo Felicia Vitale Impastato è indicata dalla lettera (F.) e Giuseppe (Liborio) Briguglio, fu Liborio e Iacobelli Rosalia, necroforo comunale a Cinisi, è indicato dalla lettera (L.).
(136) Cfr. da ultimo il Promemoria inviato alla Commissione dal centro impastato in data 13 aprile 2000 (in DOC n.1876, p. 2 ss) ove si legge che «Dall'intervista a Giuseppe (Liborio) Briguglio, necroforo comunale, pubblicata nel volume L'assassinio e il depistaggio (pp.405-406), risulta che lo stesso consegnò ai carabinieri un sasso macchiato di sangue, trovato nel casolare vicino al tratto di binario divelto dall'esplosione. I carabinieri e gli altri investigatori non hanno ritenuto di dovere indagare sulla base di tale reperto, dato che solo in seguito alla scoperta di altri sassi macchiati di sangue da parte dei compagni di Impastato, che li consegnarono al prof. Ideale «Del Carpio (come risulta dal verbale di ispezione dei luoghi in data 13 maggio), si è avviata una ricostruzione del fatto diversa da quella sostenuta dagli investigatori. [...] L'appuntato Carmelo Pichilli, nel corso dell'esame testimoniale davanti al Consigliere istruttore Rocco Chinnici, del 28 dicembre 1978, dichiara «fui io che assieme al Maresciallo (Travali) asportai un tratto del sedile in muratura e una pietra dove si notavano appena delle tracce». La dichiarazione conferma quanto affermato dal necroforo Briguglio: i carabinieri rilevarono subito dopo il fatto reperti che avrebbero dovuto utilizzare per indagini adeguate, al di fuori della pista terrorista-suicida». Appare evidente che questa ricostruzione non tiene conto della circostanza che non vi è traccia del cosiddetto reperto Liborio negli atti processuali.
(137) La repertazione del tardo pomeriggio del giorno 13 risulta peraltro oggetto di una strana verbalizzazione, essendo stata richiamata nel corpo di un atto di polizia giudiziaria intestato «processo verbale di ricezione di numero due pezzi di stoffa» esibiti da Di Maggio Faro ed altri. Cfr. Stazione di Cinisi, Verbale di ricezione, cit., in DOC 1349 , p. 783177. Il verbale in questione risulta redatto alle ore 19,10 del 13 maggio e attiene ad una repertazione effettuata alle ore 17 del giorno 13 maggio, successiva all'ispezione dei luoghi effettuata dal PM Scozzari lo stesso giorno.
(138) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico del sopralluogo a Palermo di giovedì 31 marzo 2000 (audizione del meresciallo dei carabinieri Antonio Travali), p. 30 ss.
(139) Uno di questi è l'appuntato Carmelo Pichilli, effettivo della stazione di Cinisi. Sul punto cfr. Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Carmelo Pichilli, cit., p. 783631.
(140) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Vito Lo Duca, cit., p. 783481 ss.
(141) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Riccobono Giovanni, in DOC 1349, cit., p. 783494, ove si legge: «Quando si seppe della morte di Peppino Impastato io e gli altri compagni ci portammo sul luogo dove erano stati rinvenuti i resti ... Nessuno però ci consentì di avvicinarci al luogo ove fu trovata parte del corpo».
(142) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Impastato Giovanni, in DOC 1349, cit., p. 783509.
(143) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Faro DI Maggio, in DOC 1349, cit., p. 783520.
(144) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Felicia Vitale, in DOC 1349, cit., p. 783609.
(145) Il riferimento deve intendersi all'articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia in data 15 maggio 1978 senza firma.
(146) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico del sopralluogo a Palermo di giovedì 31 marzo 2000 (audizione della signora Felicia Bartolotta e del sig. Giovanni Impastato, accompagnati dalla signora Felicia Vitale), p. 21 ss.
(147) In argomento si riportano le dichiarazioni rese alla Commissione dal dr. Gaetano Martorana, all'epoca dei fatti procuratore della repubblica f.f. di Palermo, audito dalla Commissione il 19 dicembre 1999: «... L'Istituto di medicina legale in quel periodo era retto da un eccellente medico legale, il professor Ideale Del Carpio, sul quale credo non si possa avanzare alcuna ombra. Egli informò immediatamente l'autorità giudiziaria. Venne dato ad un secondo collega l'incarico di andare a fare un'ispezione e controllare da dove fosse spuntata questa pietra.
RUSSO SPENA COORDINATORE. Perché non lo fece il dottor Signorino?
MARTORANA. Credo che intervenne il collega Scozzari.
RUSSO SPENA COORDINATORE. È esatto, dottore, lei ricorda bene poiché dagli atti risulta che intervenne il dottor Scozzari, al quale aveva telefonato il professor Ideale Del Carpio.
MARTORANA. Sì. L'Istituto di medicina legale avvertì - come era suo dovere - il magistrato. Può darsi che avvertì il dottor Signorino oppure...
RUSSO SPENA COORDINATORE. Avvertì il dottor Scozzari, che fece anche il sopralluogo.
MARTORANA.
Il dottor Scozzari andò sul posto ...[...] Quando furono rinvenute le pietre, intervenne il dottor Scozzari che in quel giorno era presumibilmente il magistrato in servizio. Il dottor Scozzari si recò nel casolare, in quella piccola costruzione dove furono rinvenute le pietre, fece il sopralluogo e poi coadiuvò il collega Signorino nell'assumere le testimonianze ... ».
(148) Procura di Palermo, Verbale delle sommarie informazioni rese dal prof. Ideale Del Carpio in data 13 maggio 1978, in DOC 1349, p. 783205-6.
(149) Come si vede nella premessa del verbale del Pubblico Ministero Scozzari non è menzionato il rinvenimento di una pietra con tracce di sangue, citata nella parte finale del medesimo verbale, ove «si fa obbligo al prof. Ideale Del Carpio di consegnare ai [periti di ufficio] la mano, i frammenti organici e la pietra che si assume macchiata di sangue a lui ieri consegnata da taluni giovani allo stato non identificati ...».
(150) Cfr. Procura di Palermo, Verbale di incarico ai periti A. Caruso e Paolo Procaccianti del 29 maggio 1978, in DOC 1349 p. 783027, che integrando l'incarico conferito in sede di autopsia del 9 maggio ed in seguito al sopralluogo giudiziario effettuato dal PM Scozzari proponeva ai periti i seguenti quesiti:
« 1. Causa della morte di Impastato Giuseppe;
2. Ricostruzione dinamica della morte dell'Impastato ed, in specie, la posizione del corpo dell'Impastato al momento dell'esplosione;
3. Natura, tipo e quantità dell'esplosivo adoperato.
A tal fine noi S. Procuratore
[dr. Signorino] autorizziamo i Periti a compiere tutti gli accertamenti sull'eventuale esistenza nella "mano" rinvenuta di tracce di polvere pirica (cosiddetto guanto di paraffina) e gli accertamenti ematologici sulle pietre reperite durante il sopralluogo giudiziario. I periti [...] riferiranno con relazione scritta nel termine di 50 giorni».
(151) Cfr. A. Caruso-P.Procaccianti, Relazione di perizia necroscopica e di esami di laboratorio d'ufficio relativi alla morte di Impastato Giuseppe, in DOC 1349, p. 783237 ss., ove descritto il reperto b) Pietra grossa, i periti rilevano che «in prossimità del contorno [essa] presenta una macchia rossastra di circa cm. 2x2, a contorno molto sfumato e leggermente frastagliato. Una parte della macchia è stata trattata con l'antiglobulina anti-uomo, che l'ha assorbita. Il che dimostra che trattasi di sangue umano (diagnosi specifica). L'altra parte della macchia è stata sottoposta all'assorbimento inibizione (come sopra); non assorbe l'anti-A né l'anti-B; assorbe l'ant-H, l'anti-C e l'anti-D. Gruppo presunto: O CD».
(152) Stazione dei carabinieri di Cinisi, Processo verbale di ricezione di numero due pezzi di stoffa esibiti dal Di Maggio ..., cit., in Doc n. 1349, p. 783177, ove dato atto dell'esibizione dei pezzi di stoffa, la verbalizzazione prosegue con le seguenti parole: «I predetti [leggasi Di Maggio ecc.] nella circostanza, facevano presente di avere notato alcune macchie probabilmente di sangue che sui trovano sulla panca in muratura...». Siffatta indicazione collega la notizia della esistenza delle macchie di sangue sulla panca al momento della produzione di pezzi di stoffa, cioè ad un accadimento del 13 maggio.
(153) S. Vitale, Nel cuore dei coralli, cit., p.15.
(154) Il «promemoria all'attenzione del giudice Chinnici» della Redazione di Radio Aut, in 17 punti, è integralmente riportato in L'assassinio e il destaggio (a cura di U. Santino), cit., p. 43 ss.
(155) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico della Riunione di giovedì 11 novembre 1999 (audizione del generale Antonio Subranni) p. 3.
(156) L'oggetto di tale delega era duplice. Da un lato la procura richiedeva «urgenti indagini» sul contenuto di un articolato esposto presentato da amici e da formazioni politiche vicine all'Impastato, in cui veniva esposta la tesi dell'assassinio. Dall'altro, veniva disposto l'accertamento della provenienza del materiale esplodente «a mezzo del quale è morto il predetto Impastato».
(157) V. Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico dell'audizione del dottor Gaetano Martorana, già procuratore della Repubblica aggiunto di Palermo (giovedì 15 dicembre 1999, p. 3 ss in cui il magistrato richiama esplicitamente l'orientamento dell'ufficio da lui diretto a verificare l'ipotesi dell'omicidio dell'Impastato: «...Io ritenni strano che un soggetto, con l'intenzione di compiere un attentato, avesse collocato un esplosivo su un tratto di binario ferroviario lontano 500 o 600 metri. Cosa voleva dimostrare? Questa fu la mia riflessione. PRESIDENTE. Questa sua riflessione è contenuta in qualche atto? MARTORANA. No, ufficialmente non feci nulla. [...] Una persona che compie un attentato deve mirare a qualcosa di particolare e non era particolarmente grave far saltare un tratto di binario ferroviario, peraltro di una linea di scarsa percorrenza. [...] Il rinvenimento di quella lettera, pertanto, fuorviò tutte le indagini perché effettivamente sembrò che la morte di Impastato fosse dovuta ad un suo atto disperato, ad un suicidio. [...] Nei giorni immediatamente successivi [Signorino] sentì tutti i compagni ed i parenti dell'Impastato. Vorrei aprire ora una parentesi. Qualche giorno dopo questo avvenimento, alcuni giovani di Democrazia proletaria o di «Radio Aut» - ma comunque credo fosse la stessa cosa - rinvennero una pietra su cui c'era qualche macchia di sangue e la portarono all'Istituto di medicina legale, non ai carabinieri, perché credo che ci fosse qualche prevenzione per quanto riguardava le stazioni dei carabinieri. Tenga presente, Presidente, che su alcuni aspetti potrei non essere del tutto preciso poiché sto compiendo uno sforzo notevole per ricordare. L'Istituto di medicina legale in quel periodo era retto da un eccellente medico legale, il professor Ideale Del Carpio, sul quale credo non si possa avanzare alcuna ombra. Egli informò immediatamente l'autorità giudiziaria. Venne dato ad un secondo collega l'incarico di andare a fare un'ispezione e controllare da dove fosse spuntata questa pietra. [...] Io feci una riunione con i colleghi per vagliare la situazione cinque o sei giorni dopo, all'incirca, quando fu presentato qualche esposto (alcuni di questi furono fatti proprio dai compagni di Democrazia proletaria) e furono pubblicati sulla stampa alcuni articoli in cui si cominciava a profilare l'ipotesi dell'omicidio. Allora convocai i colleghi Signorino e Scozzari e organizzai una riunione, nel corso della quale dissi al dottor Signorino che era necessario che egli invitasse i carabinieri ad approfondire le indagini proprio su quell'aspetto [...].
(158) La sigla SAM - acronimo di Squadre armate Mussolini appariva in alcume missive di minaccia pervenute all'Impastato.
(159) Procura della Repubblica di Palermo, Processo verbale di ispezione dei luoghi, in data 13 maggio 1978 (PM Francesco Scozzari), in DOC n. 1349, p. 783168.
(160) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico dell'audizione di Salvatore Vitale del 20 settembre 2000, p. 16 ss.
(161) Cfr. DOC: n. 2195. Il testo del manoscritto autografo «medito sull'oppurtunità o forse sulla necessità di abbandonare la politica» é riportato in S. Vitale, Nel cuore del corallo, cit., p.120 ss, ove l'autore evidenzia le sostanziali differenze con il testo allegato al rapporto giudiziario del 10 maggio.
(162) Il verbale della perquisizione a Radio Aut reca la firma del maresciallo Di Bono, del brigadiere D'Arena dei carabinieri di Terrasini e del maresciallo Riggio del Nucleo Informativo del gruppo di Palermo.
(163) Cfr. Corte di Assise di Trapani, Sentenza nel procedimento penale contro Mandalà Giovanni + 3, in DOC 2145/5.
(164) Si legge nella sentenza Mandalà che l'Arma «fra l'altro, nel presupposto di una matrice politica del grave delitto aveva indagato anche su un gran numero di persone della zona di Castellammare del Golfo appartenenti a movimenti dell'ultra sinistra i quali peraltro, con esposti alla Procura della Repubblica di Trapani avevano dimostrato il loro malcontento e la loro protesta» denunziando il difetto di imparzialità degli organi di polizia per il senso unidirezionale delle indagini.
(165) Non risulta verbalizzata la domanda. Secondo una prassi invalsa all'epoca la risposta è preceduta dalla formula di stile «D.R.», da intendersi come «domandato risponde».
(166) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico della Riunione 31 marzo 2000 (audizione di Piero La Fata), p. 16 ss.
(167) Commissione Parlamentare Antimafia - Comitato di Lavoro sul «Caso Impastato», Resoconto stenografico della Riunione 31 marzo 2000 (audizione di Rosario Riccobono), p. 7 ss.
(168) Cfr. la NOTA n. 4304/23-12 della stazione dei carabinieri di Cinisi e l'allegato processo verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Salamone Benedetto, in DOC 1349, pag.783333-783334.
(169) Va rilevato che la notte del 9 maggio 1978 alle ore 0,47 effettive (con un ritardo di sette minuti sull'orario previsto) si registrava la partenza del volo AZ 018 per Roma (cfr. la nota che segue).
(170) Tribunale di Palermo, Ufficio di Istruzione (G.I. dr. R. Chinnici), Esame del testimone Ugo Soro, in data 20 dicembre 1978, in DOC 1349, p. 783570. Il teste, direttore dell'aereoporto civile di Punta Raisi, produceva un riepilogo analitico del traffico aereo in arrivo e in partenza dallo scalo palermitano dall'8 al 9 maggio 1978.
(171) Non può non rilevarsi che di tutta la corrispondenza transitata attraverso il comando della compagnia di Partinico non era stata trovata alcuna traccia tra gli atti trasmessi dal comando provinciale alla Commissione il 15 febbraio 2000. E ciò sebbene il precedente 25 gennaio 2000 fosse stata richiesta la copia integrale dei fascicoli relativi a Impastato Giuseppe «tenuti dai dipendenti comandi». Va inoltre evidenziato che la «copia integrale dei fascicoli relativi ai rilievi di polizia scientifica, formati nel corso delle indagini sulla morte del predetto Impastato e, all'epoca trasmessi alla competente Autorità giudiziaria», parimenti richiesta lo stesso 25 gennaio 2000, non è stata trasmessa alla Commissione, ad eccezione di un fascicolo costituito da poche foto raffiguranti il ritrovamento degli arti inferiori dell'Impastato.

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