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Doc. XXIII n. 38


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5. Le attività illecite.

I lavori svolti dalla Commissione hanno evidenziato come in Calabria si registrino diverse forme d'illegalità relative al ciclo dei rifiuti. Innanzitutto a) la regione continua ad essere, insieme alle altre regioni meridionali, meta di destinazione finale di ingenti quantitativi di rifiuti anche pericolosi provenienti dal Nord e dal Centro del Paese nonché dall'estero; in secondo luogo b) - non senza connessione con questo flusso illecito di rifiuti - vi è un grave fenomeno di abusivismo nelle discariche; in terzo luogo c) su tutto, vi è una preoccupante penetrazione 'ndranghetista nel settore dei rifiuti che vengono smaltiti in discariche non autorizzate, costituite da cave, da specchi d'acqua, da grosse buche scavate in fondi anche agricoli, sulle quali, una volta ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture.

5.1. a) e b) Il fenomeno dei traffici illeciti verso la Calabria era stato già posto all'attenzione del Parlamento dalla Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che operò nella XII legislatura ed ha trovato ulteriori, allarmanti riscontri nelle vicende giudiziarie connesse ai traffici e allo smaltimento illegale che vedono coinvolte regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, la Campania, per le quali si rimanda alla trattazione contenuta nelle rispettive relazioni territoriali.
Basti qui citare l'inchiesta in corso presso la procura di Monza, che ha portato al sequestro di circa 120mila metri cubi di rifiuti


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pericolosi in relazione all'attività di una società - la Ecobat - che assorbe circa il 60 per cento del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste e a quelle dell'Enirisorse, azienda del gruppo Eni. Secondo l'ipotesi al vaglio dell'organo inquirente, uno dei canali illegali di smaltimento degli enormi quantitativi di sostanze che l'Enirisorse si è trovata a gestire alla dismissione dell'attività (anni 1996-1997), sarebbe stata la ditta Meca di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica di I categoria A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili (cfr. la relazione sulla Lombardia, approvata il 16 dicembre 1999, Doc. XXIII, n. 39, p. 33).
A rendere l'affaire rifiuti appetibile per le imprese sono i rischi assai modesti connessi a tale pratica illegale che assicura costi di smaltimento inferiori a quelli praticati dal mercato legale, nonché le garanzie di «omertà» assicurate da trasportatori e smaltitori, grazie anche all'opera fattiva svolta dalle organizzazioni criminali, specie nelle aree depresse del paese come la regione Calabria, dove la 'ndrangheta si è mostrata pronta ad orientare la sua azione di controllo e gestione del territorio nel settore dei rifiuti, investendo il suo patrimonio in iniziative assai lucrose e di più agevole realizzazione a fronte di una sostanziale assenza di rischi penali connessa alla natura prevalentemente contravvenzionale delle fattispecie illegali rispetto ad illeciti tradizionali come estorsione, usura, traffico di armi e stupefacenti, puniti dal legislatore nella forma delittuosa e con pene particolarmente severe.
Così, se da un lato continuano a registrarsi nella regione casi di discariche attivate dai sindaci con procedure d'urgenza e gestite in modo carente, tanto da aver fatto rilevare al Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri una situazione di illegalità diffusa che va dalla mancanza dei requisiti tecnici a gravi omissioni amministrative, a smaltimenti abusivi di rifiuti provenienti da varie regioni in violazione anche del divieto di esportazione transregionale (vedi Ordinanza del Ministero dell'Interno n. 2696 del 21 ottobre 1997 - «Immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione Calabria», doc. 318/1 dell'archivio della Commissione); dall'altra, l'aspetto che desta maggiore preoccupazione è quello relativo alla progressiva penetrazione nel ciclo dei rifiuti della 'ndrangheta, che ha esteso le proprie attività illegali dallo smaltimento dei rifiuti anche pericolosi in discariche illegali, fino al controllo del settore degli appalti e subappalti, sia pubblici che privati.
Sotto il primo profilo, si segnala che nel corso del 1997 vi sono stati ritrovamenti di diversi terreni adibiti a discariche abusive, specie nel territorio della provincia di Cosenza.
A Corigliano Calabro, ad esempio, è stata rinvenuta una discarica dove confluivano i rifiuti urbani e speciali provenienti dai comuni di Corigliano Calabro, Crosia e San Giorgio Albanese, che è risultata attivata senza l'autorizzazione da parte della regione Calabria e gestita in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente; nel procedimento penale avviato dalla locale procura e tuttora pendente, sono coinvolti a titolo di concorso nella condotta illecita oltre il titolare della discarica, i sindaci dei comuni che hanno consentito e ordinato il


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conferimento presso la discarica abusiva dei rifiuti prodotti nel territorio di propria competenza.
Nel comune di Acri, nell'estate del 1997, è stato ritrovato un camion abbandonato, che portava numerosi fusti contenenti rifiuti pericolosi, ma, purtroppo, come in altri casi analoghi, le indagini non hanno consentito di individuare l'esatta provenienza e la destinazione finale del carico.
Sempre ad Acri, le forze dell'ordine hanno svelato un'attività di trasporto e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi (in particolare, miscele di solventi polari e di sostanze organiche ad alta concentrazione di cromo e materiale solido costituito da cuoio), effettuata nel corso del 1997.
I rifiuti, trasportati su un autotreno, in parte venivano scaricati su un terreno sito in località Serra Cavallo del comune di Bisignano, in parte smaltiti presso la discarica di Rsu del comune di Acri, pur in assenza delle prescritte autorizzazioni regionali al trasporto e allo smaltimento di tali rifiuti pericolosi (il procedimento è attualmente in fase dibattimentale).
Va ricordata, ancora, la recente operazione che ha portato all'arresto dei gestori di un impianto di smaltimento di rifiuti ospedalieri di Crotone: gli imprenditori realizzavano truffe in danno di aziende sanitarie locali, dichiarando quantità di rifiuti smaltite superiori a quelle effettivamente trattate.
Una vicenda analoga ha interessato la provincia di Reggio Calabria, dove, a seguito di un controllo effettuato dai Carabinieri su un furgone della ditta «Salvaguardia Ambientale» di Crotone, è emerso che i colli di rifiuti ospedalieri, che dai documenti di viaggio risultavano trasportati dal mezzo, erano in numero inferiore a quelli effettivamente stipati sullo stesso.
Dalle ulteriori verifiche condotte dai militari sulla documentazione di accompagnamento dei colli contenenti i rifiuti, è risultato che ciò si era ripetuto per numerosi trasporti, consentendo alle ditte incaricate del servizio di trasporto e smaltimento di tali rifiuti dalla ASL 11 di Reggio Calabria di lucrare con tale condotta truffaldina dalla notevole differenza tra il caricato ed il documentato, grazie anche al comportamento compiacente di alcuni funzionari dell'ente ospedaliero che, peraltro, avevano incaricato la ditta del trasporto del materiale di scarto delle strutture sanitarie della città con provvedimenti di proroga rispetto ad un precedente incarico ormai scaduto.

5.2. I traffici internazionali. La Commissione monocamerale della XII legislatura ebbe ad occuparsi del preoccupante fenomeno dei traffici e degli smaltimenti illegali di scorie e rifiuti radioattivi in mare, nell'ambito di alcune inchieste avviate dalle procure di Matera, Reggio Calabria e Napoli relative all'affondamento di navi che si sospetta fossero cariche di scorie e rifiuti radioattivi, principalmente nel mar Mediterraneo, cui si accompagnava la consumazione di una serie di truffe alle compagnie assicurative con la riscossione dei premi previsti per i sinistri marittimi. Secondo la ricostruzione offerta dagli organi inquirenti il progetto prevedeva il lancio dalle navi di penetratori caricati con scorie radioattive, racchiuse in contenitori di acciaio inossidabile dotati di sistema sonar (sì da renderli rilevabili ai fini di


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un eventuale recupero), che si depositavano sino a 50-80 metri al di sotto del fondale marino; in alternativa, si affondava la nave con l'intero carico pericoloso, simulando un affondamento accidentale e lucrando, così, anche del premio assicurativo.
Nell'ambito del fenomeno che si è descritto, l'inchiesta di maggiore interesse rimane quella avviata dall'ufficio di procura della pretura di Reggio Calabria e poi trasmigrata per competenza alla locale procura distrettuale antimafia, anche in considerazione degli elementi che essa ha offerto sulle relazioni con presunti traffici illegali di armi su scala internazionale, che hanno determinato l'avvio di ulteriori indagini, tuttora pendenti, presso le procure competenti di Milano e Brescia.
L'indagine calabrese, avviata nel 1994, ha per oggetto alcuni affondamenti sospetti di navi nel Mediterraneo, al largo delle coste ioniche calabresi (le cosiddette navi a perdere, utilizzate per l'affondamento di rifiuti radioattivi), in particolare quello della motonave Rigel, che sarebbe affondata il 21 settembre 1987 a 20 miglia da Capo Spartivento, e vede in ruolo chiave tale Giorgio Comerio, personaggio in contatto con noti trafficanti di armi e coinvolto anche nella fabbricazione di telemine destinate a diversi paesi, come l'Argentina. L'organo inquirente ha prospettato la partecipazione di clan della 'ndrangheta a siffatti smaltimenti illeciti, motivo per cui si è radicata la competenza nell'ufficio distrettuale.
A prescindere dagli esiti strettamente processuali del procedimento penale pendente a Reggio Calabria, permane la più viva preoccupazione per tutta una serie di elementi offerti dalla stessa indagine e dagli altri dati acquisiti.
Anzitutto, va evidenziato che gli accertamenti condotti dagli investigatori unitamente all'ANPA, tendenti alla localizzazione e al recupero della motonave in Rigel, nonché al rilevamento della presenza dei rifiuti radioattivi in mare, se pure hanno dato esiti infruttuosi muovevano, però, da coordinate geografiche assai incerte circa il luogo del presunto affondamento della nave e dalle oggettive difficoltà delle operazioni di rilevamento della presenza di rifiuti radioattivi in navi affondate in tratti di mare con fondali particolarmente profondi. La grande profondità dei fondali marini esplorati e la loro sconnessione, d'altra parte, vanificavano in sostanza l'attività di rilevamento con la strumentazione radiometrica, poiché questa, a causa della pressione marina, avrebbe potuto individuare la presenza di radioattività solo in prossimità estrema al relitto.
È evidente che tale incertezza dei dati ha compromesso il percorso dell'indagine e la correttezza dei suoi esiti, non contribuendo di certo a fugare seri dubbi sulla natura quantomeno pericolosa del carico portato dalla Rigel, attese le «strane» circostanze del suo affondamento e la provenienza di parte del carico che essa portava.
Infatti, secondo i giornali di bordo, la motonave sarebbe affondata a causa di un'infiltrazione d'acqua nel motore, ma il consulente del PM ha contestato che ciò soltanto poteva portare all'affondamento e, tantomeno, creare una situazione di pericolo tale da giustificare l'immediato abbandono da parte dell'equipaggio senza l'avvio delle usuali azioni intese ad ottenere l'intervento di rimorchiatori o altri mezzi di soccorso per tentare il salvataggio della nave e del suo carico.


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Altro dato particolarmente interessante, evidenziato dalla consulenza, è che gran parte delle merci ufficialmente caricate sulla Rigel proveniva da ditte in difficoltà economica; talune partite erano rappresentate da merci (materiali-macchinari) fuori produzione o di recupero per i quali mancava la dovuta congruità tra valore assicurato e valore effettivo, come del resto dimostrato nel procedimento per truffa aggravata ai danni delle assicurazioni svoltosi presso il tribunale della Spezia, che si è concluso con la condanna degli imputati per avere, appunto, organizzato l'affondamento al fine di lucrare dei premi assicurativi dal sinistro.
Non può, dunque, escludersi che alcuni caricatori consapevoli abbiano caricato anche prodotti pericolosi, specie se si tiene conto di alcune merci particolarmente sospette, che ben avrebbero potuto celare scorie tossiche. Inquietanti sono, poi, gli elementi di analogia tra l'affondamento della Rigel ed altri affondamenti di motonavi, che la consulenza pone in rilievo.
Ben 39, infatti, risultano i casi di affondamento di navi riferiti al mar Ionio, verificatisi tra il 1979 ed il 1995, secondo i dati tratti dall'archivio STB Italia di Genova e Milano, e da varie compagnie assicurative, fra cui la Lloyd's Register of Shipping, sede di Genova. In particolare, va ricordato l'affondamento della motonave «Barbara», avvenuto nei pressi dell'isola Zante il 26 giugno 1982, che presenta aspetti del tutto simili a quello della Rigel: la nave, che portava un carico di manganese in fusti (circa 1200 tonnellate), presso l'isola di Zante pativa una infiltrazione d'acqua nel motore ed il progressivo allagamento determinava il suo abbandono da parte dell'equipaggio. È risultato però che la nave, mentre era ferma nel porto della Spezia, era stata urtata da un'altra motonave battente bandiera greca, ma - fatto davvero strano - non era stata avvisata dal comandante né la locale Capitaneria di porto né il Registro italiano navale.
Insomma, il carico di minerali in fusti, la rotta seguita, la circostanza che alla Spezia non sia stato dato alcun avviso dell'incidente occorso a tutela degli stessi interessi armatoriali ed ai fini della convalida della Classe della nave, rende la vicenda certamente sospetta.
Vi è poi la motonave «Rosso», incagliatasi il 14 dicembre 1990 nei pressi di Vibo Valentia ed abbandonata dall'equipaggio, la quale - quando era ancora denominata «Jolly Rosso» - era stata utilizzata dal governo italiano per il trasporto di 2.200 tonnellate di rifiuti tossici dal Libano alla Spezia; dopo che i rifiuti erano stati scaricati, la nave veniva bonificata; successivamente l'Armatore ne modificava la denominazione e la metteva in vendita, e subito dopo si verificava l'incaglio a Vibo Valentia.
Ancora: si rammenti la vicenda relativa all'affondamento della motonave Marco Polo, già affrontata dalla Commissione monocamerale nella XII legislatura ed oggetto di indagine da parte della stessa procura presso la pretura di Reggio Calabria, verificatosi nel mese di maggio 1993 all'altezza del Canale di Sicilia. In questo caso, si è riscontrata la presenza di radioattività da torio 234 su campioni di alghe e materiale ferroso prelevati a seguito del rinvenimento in mare (nell'aprile 1994), al largo delle coste della Campania, di alcuni containers persi dalla citata nave.
Notevoli sono le analogie di questo affondamento con quello della motonave Koraline, avvenuto al largo di Ustica (sono stati, infatti,


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rinvenuti anche in questo caso alcuni containers con la presenza di forti concentrazioni di torio).
Merita ancora segnalare la sparizione della motonave «Nicos 1» e del suo carico: nel periodo 3 luglio '85-16 novembre '85, mentre essa caricava nel porto della Spezia, ne veniva arrestato il Comandante e disposto il sequestro conservativo e del carico e della stessa motonave; quando, infine, riusciva a partire, dichiarava quale porto di destinazione quello di Lomè (Togo) dove non è mai arrivata, ed anzi risulta che avrebbe scalato in porti assolutamente fuori rotta (Cipro, Libano, Grecia). Secondo la documentazione ufficiale, i caricatori erano rappresentati da alcune ditte italiane per materiali vari (come legname, contenitori di metallo, macchine per la lavorazione del legno, sanitari, fotoriproduttori) che erano stati imballati in containers, gabbie e cartoni. A fronte di siffatte circostanze quantomeno anomale, si ritiene, invece, che la motonave in oggetto, una volta sbarcato il carico in Libano e sostituito il personale di bordo, abbia cambiato denominazione («Haris») per essere rintracciata in porto greco.
Ancora, l'affondamento della motonave «Alessandro I», avvenuto il 1o febbraio del 1991 nei pressi di Molfetta, attribuito dall'Autorità marittima ad imperizia del Comandante, mentre i dati tecnici consentirebbero di affermare che la stabilità della nave fosse tale che essa era predisposta alla possibilità di ingavonamento e, comunque, la causale del sinistro non potrebbe farsi dipendere dalla sola imperizia del comandante. In ogni caso, la parte più inquinante del carico portato dalla motonave è stata recuperata.
Ebbene, il numero, la natura e le forti analogie dei casi interessati al fenomeno delle cd. navi a perdere rendono del tutto probabile l'ipotesi, tuttora non suffragata da idonei riscontri, che la Rigel e le altre motonavi portassero carichi di merci quantomeno pericolose, se non di rifiuti radioattivi, e confermano la necessità di mantenere viva l'attenzione verso il fenomeno da parte della Commissione.

5.3. c) L'azione della criminalità organizzata. Sotto il profilo delle connessioni tra criminalità organizzata e traffici illeciti di rifiuti, particolarmente significative appaiono due inchieste condotte dalla procura di Catanzaro.
La prima - nell'ambito della quale è stato anche arrestato l'allora assessore regionale all'ambiente - riguarda l'illecita gestione di circa 30mila tonnellate di rifiuti pericolosi, precisamente ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola sud di Crotone, azienda del gruppo ENI, da parte di un'organizzazione criminale collegata ad organizzazioni criminali mafiose della provincia di Cosenza, che avrebbe avuto come finalità specifica proprio l'illecito smaltimento di tali rifiuti mediante la simulazione di operazioni di recupero e successivo occultamento degli stessi, avvalendosi della complicità di funzionari della regione, previamente «contattati» dall'organizzazione, e dell'attività di reperimento dei siti ove scaricare le ferriti di zinco posta in essere da alcuni soggetti. Il materiale pericoloso veniva infatti miscelato con rifiuti inerti, e quindi interrato in aree a vocazione agricola della Calabria, come i territori circostanti Cassano Ionio o la Piana di Sibari.
Secondo quanto riferito alla Commissione dal magistrato titolare dell'indagine, Luigi De Magistris in sede di audizione, l'accordo


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commerciale della Pertusola sud con due società - Imichimica ed Ecoitalia - per lo smaltimento dei rifiuti, era stato reso possibile da un'autorizzazione illegittima rilasciata nel 1995 dall'assessorato all'ambiente della regione, in base alla quale erano stati stipulati una serie di accordi con ditte di autotrasporto per portare questi rifiuti da Crotone alla zona di Cassano Ionio. Dagli accertamenti effettuati sarebbe emerso che l'accordo non avrebbe potuto riguardare le ferriti di zinco, le quali, comunque, non venivano trattate in modo da formare dei conglomerati cementizi così come concordato, ma ci si era limitati a miscelarle ed a produrre del sottofondo stradale.
La procura ha prospettato le fattispecie del delitto di associazione per delinquere (articolo 416 del codice penale) finalizzata allo smaltimento illecito dei rifiuti pericolosi, e del disastro ambientale (articolo 434 del codice penale), chiedendo il rinvio a giudizio di ben 23 persone, tra cui amministratori e rappresentanti di diverse società, anche l'intermediazione, nonché del dirigente del settore inquinamento dell'assessorato all'ambiente della regione Calabria che aveva rilasciato l'illecita attestazione, che autorizzava allo smaltimento delle ingenti quantità di ferriti di zinco nei modi sopra descritti.
La seconda indagine avviata dalla procura di Catanzaro - attualmente pendente dinanzi al GUP - riguarda, invece, gli appalti per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti nei comuni di Catanzaro, Rossano e Reggio Calabria. La regione, per la realizzazione degli impianti, aveva in un primo momento ottenuto un finanziamento statale di 67 miliardi, che sono stati spesi senza realizzare le opere; è seguito un ulteriore stanziamento di 23 miliardi e un terzo di altri 10 miliardi.
Tali finanziamenti non hanno conseguito il loro obiettivo, cioè la realizzazione di impianti per un efficiente smaltimento dei rifiuti, come dimostra il recente commissariamento della regione Calabria per l'emergenza rifiuti.
Dei tre siti individuati dalla stessa regione su delega del Governo per la realizzazione degli impianti, quello di Rossano Calabro non è stato completato e non è mai entrato in funzione; quello di Catanzaro Lido-Alli ha operato solo come centro di raccolta e non di trattamento dei rifiuti, mentre l'impianto di Reggio Calabria è una struttura fatiscente che ha creato notevoli problemi di inquinamento. Solo di recente gli impianti di Catanzaro Lido-Alli e di Rossano sono stati completati, mentre quello di Reggio Calabria è stato riattato, grazie all'intervento dell'ufficio del Commissario per l'emergenza, potendo finalmente entrare in funzione.
Il procedimento penale vede coinvolti l'assessore regionale ai lavori pubblici all'epoca dei fatti, il presidente pro tempore della giunta regionale, il dirigente dell'assessorato all'urbanistica e all'ambiente della regione, unitamente ad amministratori e rappresentanti di numerose società (tra cui la De Bartolomeis, già nota alla Commissione per altre indagini su appalti in materia di rifiuti - v. al riguardo la relazione sulla Sicilia (Doc. XXIII-34, p. 39), la Bonifati s.p.a., la SNAM Progetti s.p.a., la Termomeccanica italiana s.p.a., la Castagnette s.p.a.), per una serie di truffe e falsificazioni di atti pubblici poste in essere nel periodo 1994-1997 per gestire i cospicui finanziamenti statali, al fine di favorire i propri interessi e quelli di determinate imprese, che


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dall'operazione hanno conseguito ingiusti profitti per circa 90 miliardi complessivi.
Precisamente, secondo la prospettazione accusatoria, la procedura di gara pubblica ormai quasi perfezionata con la proposta di aggiudicazione degli appalti relativi alla costruzione dei tre impianti per lo smaltimento dei Rsu di Catanzaro, Reggio Calabria e Rossano Calabro, previsti dal finanziamento FIO '84 di 67 miliardi, veniva annullata senza legittima motivazione e contro il parere sia del responsabile dell'ufficio legale che dell'organo tecnico della regione, così vanificando i requisiti essenziali del finanziamento, individuati nella presenza di una «progettazione esecutiva» e «immediata cantierabilità dei lavori» entro 120 giorni dalla delibera autorizzatoria del CIPE del febbraio 1985, per l'immediata ricaduta occupazionale dell'intervento pubblico. L'annullamento della procedura consentiva di favorire determinate imprese, nonché di gestire le nuove gare d'appalto da parte dello stesso assessorato regionale ai lavori pubblici, anziché dai comuni o loro consorzi come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 82, allora in vigore. Si procedeva, quindi, alla nomina di nuove commissioni esaminatrici composte da personaggi previamente «contattati» e la seconda gara d'appalto si concludeva con aggiudicazioni a favore delle stesse imprese che avevano partecipato alla prima, anche se associate in modo diverso o attraverso il meccanismo dei subappalti (dove maggiormente si è registrata la presenza della criminalità organizzata), in tal modo garantendo una distribuzione delle ditte fra i tre siti, ma per importi notevolmente superiori alla prima gara e senza che vi fosse alcuna «progettazione esecutiva», come richiesto dalla procedura FIO, tanto che al momento della gara non esisteva ancora una sicura «area di sedime» degli impianti, lacuna, questa, che è alla base del dispendio di fondi pubblici e dell'allungamento a dismisura dei tempi di realizzazione degli impianti, mai terminati secondo quella procedura. Non era stato neppure acquisito il parere preventivo dell'organo tecnico regionale, intervenuto solo successivamente, e per l'impianto di Reggio Calabria l'aggiudicazione da parte della regione avveniva contro il parere espresso dalla stessa commissione aggiudicatrice.
In fase di approvazione dei progetti degli impianti di Rsu, veniva abilmente prospettata una situazione diversa agli organi preposti alla verifica dell'attività: al ministero del bilancio, infatti, si riportavano l'avvenuto perfezionamento della gara e l'utilizzo del finanziamento entro i limiti assegnati, mentre all'organo di controllo sugli atti regionali si comunicavano computi economici maggiori al solo scopo di ottenere l'esecutività dell'atto.
Negli anni successivi, le ulteriori somme FIO venivano ottenute ricorrendo all'artificiosa e falsa rappresentazione di costi maggiori negli stati di avanzamento dei lavori per la realizzazione degli impianti, nonché mediante l'approvazione della delibera regionale n. 909 del 1993, con la quale - in violazione della delibera CIPE del 1985 - si prevedevano nuovi fondi nella rimodulazione del P.R.S. ex lege n. 64 del 1986, al fine di ulteriormente spesare a favore delle imprese aggiudicatarie i costi di realizzazione di detti impianti, sottacendo tale rimodulazione al ministero dell'ambiente competente per la sua ratifica, mentre il Consiglio regionale approvava la rimodulazione del


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P.R.S. nel 1993, ignorando che l'Ente attuatore degli appalti per gli impianti era lo stesso assessorato ai lavori pubblici della regione e non già i comuni interessati o loro consorzi. Tale operazione consentiva di fruire di oltre 90 miliardi spesi dall'ente regionale per gli impianti, a fronte dei 67 previsti dal FIO '84.
Le vicende giudiziarie illustrate mettono chiaramente in luce la forte penetrazione nel ciclo dei rifiuti delle organizzazioni malavitose, il cui raggio d'influenza si è esteso dal controllo degli impianti finali di smaltimento sino alla gestione e controllo degli appalti, sia pubblici che privati, attuato nei modi più svariati. Tale controllo è storicamente iniziato caratterizzandosi in termini di un mero, ma efficacissimo, controllo di fatto, ma si è sempre più concretamente esteso nel senso dell'acquisizione diretta della titolarità degli impianti, attraverso imprese direttamente legate alle organizzazioni criminali.
Per questo verso, i dati dell'esperienza giudiziaria dimostrano come, anche per questa regione, vi sia stato un mutamento nella strategia di infiltrazione dei clan, i quali non intervengono nelle attività produttive e, in particolare, nel ciclo dei rifiuti, in funzione essenzialmente «protettiva» delle imprese, con imposizione di tangenti, intimidazioni, finanziamento, prestiti usurari, ma si propongono sul mercato degli appalti e subappalti come «soggetto impresa», grazie all'enorme potere economico di cui godono in un territorio afflitto da un'endemica disoccupazione, che genera ancora, purtroppo, un vasto consenso sociale tra varie fasce di popolazione, essenziale per costruire un sistema di collusioni e per favorire comportamenti omertosi funzionali al mantenimento e rafforzamento del controllo sulle attività economiche.
Illuminante di tale modus operandi della criminalità organizzata è un altro procedimento avviato dalla procura di Catanzaro, che vede coinvolti numerosi titolari o rappresentanti, o entrambi, di imprese di pulizie e smaltimento di Rsu operanti nella regione, per il delitto di associazione per delinquere, finalizzato alla turbativa delle gare bandite da molteplici enti pubblici nella regione Calabria e relative al settore delle pulizie, tra cui la licitazione privata per l'affidamento del servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro negli anni 1995-1996-1997.
L'organizzazione criminale - secondo l'ipotesi accusatoria - realizzava il controllo delle gare d'appalto, da un lato attraverso la creazione artificiosa di una serie di società satelliti, tutte riconducibili all'impresa capofila facente capo al gruppo criminale, in grado di proiettarsi nelle gare con diversi ribassi percentuali al fine di prevenire le cosiddette offerte «scheggia» o quelle provenienti da ditte non controllabili in anticipo; dall'altro, ponendo in essere un'attenta politica di contatti finalizzata all'imposizione delle offerte e dei ribassi, sfruttando la propria potenza economica e la propria posizione dominante. Solo quando tale duplice modus operandi non consentiva di raggiungere gli esiti prefissati, interveniva l'attività di coazione e minaccia sugli altri imprenditori del settore, per obbligarli ad una partecipazione alle gare sottoposta alle condizioni stabilite dall'organizzazione, ovvero al ritiro dalla gara.
Così, nel caso della licitazione privata per l'affidamento del servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro, è emerso che


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sono rimaste aggiudicatarie le ditte che avevano, sì, presentato il ribasso prezzi più consistente, ma a fronte di pochissime offerte (se non, addirittura, di un'unica offerta, come per l'anno 1997) da parte di imprenditori previamente contattati dall'organizzazione, e secondo un capitolato d'appalto che appariva stilato su misura per le caratteristiche di tali imprese.
L'inchiesta in corso mostra uno spaccato allarmante del controllo operato dai gruppi criminali nel settore delle gare pubbliche, in particolare quelle relative alla gestione dei rifiuti, in cui il fortissimo clima di omertà e la fitta rete di collusioni con gli apparati amministrativi rendono, peraltro, estremamente difficile a forze dell'ordine e magistratura l'attività di individuazione di fonti testimoniali e di identificazione di tutte le imprese coinvolte nella spartizione illecita degli appalti, nonché delle responsabilità in capo ad amministratori pubblici.

5.4. Le attività illecite ed il ruolo della pubblica amministrazione. Appare necessario sottolineare, a questo punto, come l'incremento delle possibilità di influenza delle organizzazioni criminose nella complessiva attività di gestione dei rifiuti sia necessariamente favorito dall'atteggiamento non sempre limpido e corretto che le amministrazioni pubbliche assumono di frequente nel momento in cui vengono a confrontarsi con le delicate problematiche connesse al ciclo di smaltimento.
Anche per questa regione, le vicende giudiziarie illustrate, nella gravità delle condotte tenute da alcuni amministratori locali, sono esemplificative di quel coinvolgimento, a vario titolo, di funzionari del settore, che la Commissione ha dovuto più volte registrare nel corso della sua attività, in particolare nelle aree del mezzogiorno e del sud, ma da cui non sono risultate affatto immuni regioni più progredite del centro e del nord del paese: si passa - e le vicende calabresi ne sono un esempio - dai comportamenti disinvolti o di mera compiacenza di alcuni amministratori, ai casi in cui la loro attività è pesantemente condizionata dalla forte carica intimidatoria che promana dalle organizzazioni criminali operanti sul territorio, sino alle ipotesi di vere e proprie attività corruttive.
Questi casi si verificano soprattutto con riguardo ad appalti aggiudicati da amministrazioni comunali (come per il servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro), rispetto alle quali le possibilità di influenza della criminalità organizzata sono notoriamente maggiori; ma non mancano fattispecie in cui le amministrazioni pubbliche procedono all'affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti, anche attraverso la realizzazione degli impianti, a società a capitale misto ovvero ad imprese private, senza procedere ai necessari e dovuti controlli, come è avvenuto per la gestione dei Rsu presso le discariche abusive di Corigliano Calabro ed Acri, dei rifiuti ospedalieri a Crotone e a Reggio Calabria o per lo smaltimento delle ferriti di zinco presso la «Pertusola sud» di Crotone o, ancor più grave, nella vicenda relativa alla individuazione e costruzione degli impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti di Rossano Calabro, Reggio Calabria e Catanzaro Lido-Alli, dove, peraltro, è mancato ogni controllo sia da parte del ministero del


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bilancio sull'effettivo, corretto utilizzo delle somme FIO da parte delle regioni, sia da parte di queste ultime sull'operato dei comuni.
Del resto, proprio l'assenza dei dovuti, necessari controlli delle amministrazioni pubbliche - per le ragioni svariate che si sono illustrate - favorisce e rafforza l'intromissione delle organizzazioni criminali, aprendo il campo alla possibile attività di imprese prive di specifica organizzazione ed esperienza nel settore dei rifiuti e magari costituite artatamente, per lucrare degli enormi guadagni connessi agli smaltimenti illeciti. Si assiste perciò, sovente, alla presentazione di offerte anomale o comunque non fondate su una reale analisi del rapporto costi-profitti, ovvero alla partecipazione alle gare di una pluralità di ditte che sono, tra loro, direttamente collegate, al di là della titolarità formale, in quanto fanno capo alla medesima compagine, che è solita operare con modalità illecite; in alcuni casi, addirittura, le imprese aggiudicatarie dell'appalto si servono, per l'intero svolgimento del servizio, di altri soggetti, che operano in modo illecito, dando luogo a smaltimenti incontrollati, con gravissime ripercussioni sulla situazione ambientale e danno per la salute pubblica.

5.5. Il ruolo dell'imprenditoria. Non va d'altra parte sottaciuto che dalle numerose inchieste giudiziarie riguardanti il ciclo dei rifiuti che si sono illustrate, accanto a questa patologia nel funzionamento del sistema amministrativo, emerge con altrettanta chiarezza - come la Commissione ha dovuto più volte registrare - l'esistenza di un'imprenditoria, anche di medie e grandi dimensioni, che assume spesso comportamenti non corretti nella gestione dei rifiuti, ispirati esclusivamente ad una logica di profitto e forti della carenza di controlli e dei rischi penali assai modesti che derivano dal compimento di attività illecite nel settore.
Un esempio significativo in tal senso è offerto dalla vicenda relativa alla gestione dei rifiuti dello stabilimento di Crotone della «Pertusola-sud», all'epoca dei fatti appartenente al gruppo ENI, certamente rappresentativo sul mercato nazionale, e che è risultato coinvolto in altri procedimenti penali pendenti presso la procura di Venezia, di Matera e di Monza, sempre per fatti relativi ad una scorretta gestione dei rifiuti (per una trattazione puntuale degli stessi si rimanda senz'altro alle relazioni territoriali dedicate alle diverse aree del territorio nazionale).
Le possibilità di lucrare profitti dalle attività di smaltimento dei rifiuti aumentano in relazione alla riduzione dei costi di smaltimento e, dunque, alla decisione di procedere a forme di smaltimento irregolari ed incontrollate, come tali sgravate dall'assolvimento degli ordinari oneri economici, fra cui viene in rilievo, anzitutto, la forte riduzione degli oneri di trasporto che deriva dal conferimento dei rifiuti in siti abusivi o su terreni che vengono poi, talvolta, destinati a culture agricole, ovvero dal loro occultamento in pozzi minerari esauriti, grotte e caverne, specchi lacustri e altro.
Ma tali possibilità si espandono notevolmente nei casi in cui gli appalti vengono aggiudicati da imprese non dotate di risorse ed esperienza specifica; o quando, nelle gare d'appalto, specie nelle aree del mezzogiorno, si assiste alla presentazione di accordi preconfezionati


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tra ditte, tutte facenti capo a un solo soggetto, che agisce in sostanziale regime di monopolio e si aggiudica il contratto con l'offerta del massimo ribasso, cioè con un'offerta che è frutto dei pregressi accordi fittizi e dell'attività di coazione, anche mediante violenza e minaccia, svolta dalle organizzazioni criminali sulle altre imprese concorrenti.

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