Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Mercoledì 28 febbraio 2001


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ALLEGATO

Relazione sulla Sardegna (relatore: onorevole Franco Gerardini)

1) L'attività conoscitiva della Commissione.
Al centro del programma di questa legislatura, la Commissione si è posta l'obiettivo di monitorare le varie fasi del ciclo dei rifiuti su tutte le realtà regionali presenti nel territorio nazionale, al fine di conoscere le tecnologie adottate e lo stato degli impianti, la qualità dei servizi, l'impatto sull'ambiente e la salute pubblica, l'impegno delle amministrazioni pubbliche competenti, i comportamenti dei produttori dei rifiuti, la presenza di anomalie di mercato e le eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nei vari cicli produttivi. A completamento di quel programma, che ha espresso finora articolate analisi su tutte le regioni (ad eccezione della regione Marche, per la quale sono in corso analoghe attività conoscitive), la Commissione si è recata in Sardegna al fine di esaminare le molteplici situazioni e le problematiche in atto in quel territorio relativamente ai vari processi produttivi ed ai servizi connessi alle diverse fasi del ciclo dei rifiuti.
È appena da ricordare che l'interesse della Commissione per le specifiche situazioni regionali è sorto assai prima della visita sopralluogo; esso si è concretizzato in una serie di attività consistenti nell'acquisizione di documentazioni, nell'audizione di varie personalità, in missioni di singoli membri della Commissione e di consulenti su questioni specifiche, in analisi e comparazione di dati compiute in sede. La visita sopralluogo, quindi, ha rappresentato il momento di sintesi dell'articolata attività conoscitiva preparatoria ed ha costituito occasione di conferma delle rilevazioni già operate, approfondimento sugli sviluppi di questioni generali e specifiche, acquisizione di nuovi elementi per ulteriori analisi ed approfondimenti.
Gli elementi di maggior rilievo che hanno formato oggetto dell'attività preparatoria sono consistiti nella promozione di attività conoscitive dirette al recupero dei rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo. 22/1997; al transito di rifiuti pericolosi, anche mediante accessi di consulenti della Commissione presso gli uffici doganali e le capitanerie di porto; ai traffici illeciti di rifiuti pericolosi; al ritiro ed al trattamento dei rifiuti radioattivi ed ospedalieri; al funzionamento del consorzio per gli oli usati; ai programmi regionali per lo smaltimento dei rifiuti e per la raccolta differenziata; al censimento degli impianti ed all'adeguatezza delle tecnologie utilizzate; alle politiche aziendali in materia di ambiente, sicurezza e sostanze pericolose poste in essere dai maggiori stabilimenti industriali presenti nell'isola; all'esame delle istanze prodotte dalle associazioni ambientaliste.
Non si è mancato dal prendere in esame anche gli atti relativi all'attività giudiziaria che ha formato oggetto di specifiche indagini di settore e dall'analizzare gli elementi tratti dalle relazioni dei procuratori generali delle corti di appello sarde, al fine di trarne elementi generali circa l'impegno della magistratura e delle forze dell'ordine nella specifica tutela penale dell'ambiente.
Da ultimo, hanno formato oggetto di attenta analisi i dati ufficiali prodotti dal Ministero dell'ambiente e la normativa regionale di settore: ciò soprattutto al fine di verificare lo stato di attuazione nel territorio sardo delle prescrizioni del decreto legislativo. n. 22 del 1997.
Con il supporto di tale bagaglio conoscitivo, è stata organizzata la missione della Commissione: si è svolta nei giorni


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29, 30 e 31 gennaio e, partendo da Olbia, ha toccato varie località del nord, del centro e del sud dell'isola.
Sono state effettuate visite sopralluogo presso: la discarica di Tempio Pausania (SS); la discarica SIGED, località Scala Erre (SS); l'impianto Condea Augusta di Porto Torres (SS); l'area Saica ed ex cotonificio di Alghero (SS); la discarica di Mores (SS); l'impianto di Ottana (NU); l'area industriale di Portoscuso (Portovesme - CA), con particolare riguardo agli impianti Enichem ed Enel ed al deposito dei fanghi prodotti dall'Euroalluminio; la raffineria Saras di Sarroch (CA).
Hanno partecipato, oltre il presidente onorevole Massimo Scalia, gli onorevoli Francesco Carboni e Pier Luigi Copercini nonché i senatori Giovanni Iuliano e Giovanni Pietro Murineddu. Hanno accompagnato i commissari alcuni consulenti per i necessari supporti per specifici approfondimenti di carattere giudiziario e tecnico su singoli profili dell'inchiesta.
Nel corso della missione sono stati incontrati i responsabili dei singoli impianti visitati nonché sindaci ed amministratori locali dei comuni di Alghero, di Mores e di Portovesme.
Presso la prefettura di Cagliari, sono stati sentiti: il prefetto di Cagliari, dottor Efisio Orru; il procuratore distrettuale antimafia, dottor Carlo Piana; il sostituto procuratore della Repubblica di Tempio Pausania, dottor Valerio Cicalò; il sostituto procuratore della Repubblica di Sassari, dottoressa Roberta Pischedda; il responsabile del settore gestione dei rifiuti della regione Sardegna, Franca Leuzzi; l'assessore all'ambiente della regione Sardegna, Emilio Pani; il signor Stefano De Liperi, rappresentante degli Amici della terra; la signora Antida Sassu, rappresentante di Ambiente e/è vita; il signor Vincenzo Tiana, presidente di Legambiente regionale.

2) La situazione regionale.
In ottemperanza al disposto di cui all'art 22 del decreto legislativo. 22/1997, la regione ha approvato (deliberazione giunta regionale del 17 dicembre 1998), dopo una fase di concertazione con le amministrazione provinciali, il piano regionale della gestione rifiuti, strumento che contiene gli indirizzi e gli obiettivi riguardanti l'intera materia e che prevede, tra l'altro, la predisposizione di appositi piani provinciali per i dettagli sull'organizzazione e la definizione dei sub-ambiti, la localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento, i criteri per l'organizzazione della raccolta differenziata da attuare da parte dei comuni con finalità di autosufficienza di ciascun ambito, la previsione degli impianti di compostaggio.
Si tratta del documento centrale per la gestione dei rifiuti regionali. La sua elaborazione, da parte dell'assessorato della difesa dell'ambiente, risale al 1998 ed è stata preceduta da un'intensa attività di monitoraggio, che ha interessato tutte le realtà locali dell'isola e che viene continuamente aggiornata sicché, tuttora, costituisce la base per l'attività programmatoria di competenza della regione. La fase di elaborazione è stata preceduta dall'attività di validazione dei dati acquisiti dalle amministrazioni comunali, incrociando le informazioni con le comunicazioni provenienti dagli impianti di smaltimento rifiuti e con i dati delle dichiarazioni MUD delle società di raccolta.
La risposta e la collaborazione delle amministrazioni comunali è stata rilevante, anche se deve porsi in rilievo che per l'anno 1999 la percentuale di risposte (64 per cento) è scesa rispetto a quella dell'anno 1998, rilevata per il 79 per cento sul totale dei comuni interessati.
Lo strumento di cui si discute non prevede ovviamente interazioni con l'Arpa, in quanto tale ente ancora non è stato istituito nella regione, e neppure fa cenno all'attivazione di accordi di programma con soggetti privati.
Prima di tale provvedimento, in Sardegna era in vigore la disciplina di cui alla legge regionale n. 41/87 contenente previsioni che hanno consentito l'erogazione di contributi per il recupero di scarti ferrosi, di carta, di materie plastiche e di vetro.


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Tuttavia, come anche ha riconosciuto la stessa giunta regionale (relazione del 22 febbraio 1999 resa dall'assessore difesa all'ambiente alla Commissione, doc. n. 380/11), la ricaduta dei finanziamenti a tali attività di recupero è stata inferiore alle aspettative, perché il sistema della raccolta differenziata non è decollato. Per altri profili, le imprese non hanno potuto usufruire di finanziamenti per l'ammodernamento dei cicli produttivi per mancanza di adeguata informazione e sensibilizzazione sulle necessità di intervenire nel settore. Sulla base della normativa statale, l'amministrazione sta riscuotendo il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi ed è stato predisposto un apposito provvedimento normativo regionale per la regolamentazione del tributo.
Riguardo alla produzione indifferenziata dei rifiuti urbani negli anni 1998 e 1999, i dati sono stati acquisiti incrociando le informazioni del questionario trasmesso dalle amministrazioni comunali e dai rapporti di gestione degli impianti di smaltimento autorizzati esistenti nel territorio regionale e sono state anche stimate le proiezioni provenienti dagli impianti non autorizzati in esercizio ai sensi dell'articolo13 del decreto legislativo. 22/97.
Come primo elemento, questo segmento del monitoraggio ha fatto emergere che la produzione di rifiuti indifferenziati si attesta attualmente nell'ordine di 730.000 t/a., con un continuo incremento annuo compreso tra 1,0-1,5 per cento. L'incremento è superiore per gli ambiti C e D (province di Oristano e Sassari) e non sembra derivare dalla presenza turistica.
La produzione da fluttuanti incide globalmente per il 6,6 per cento, con un'aliquota maggiore per il subambito di Olbia (26 per cento). La produzione pro-capite della sola componente dei residenti è intorno a 420 Kg/ab.anno [1,15 Kg/ab.giorno].
Per quanto riguarda la ripartizione territoriale, la produzione è concentrata per quasi il 50 per cento nella provincia di Cagliari e per il 30 per cento nella provincia di Sassari.
Circa le modalità di raccolta indifferenziata, i comuni hanno scelto per circa il 90 per cento di affidare il servizio in appalto con tecnica di raccolta a cassonetti. La frequenza giornaliera è adottata da quasi il 40 per cento dei comuni. In talune realtà (ad esempio in provincia di Oristano) sono presenti forme consortili tra comuni per la raccolta: attualmente sono 62 i comuni organizzati in 12 consorzi.
Riguardo le modalità di smaltimento dei rifiuti urbani indifferenziati, nel triennio 1997/1999 viene ancora di gran lunga privilegiata la discarica controllata, ancorché sia in atto un processo di accelerazione verso gli impianti di incenerimento. Assai arretrati i processi di compostaggio.

Modalità di smaltimento
Anno 1997 Anno 1998 Anno 1999
Quantità (Kg/a) % Quantità (Kg/a) % Quantità (Kg/a) %
Incenerimento132.043.000 18,1 168.842.083 22,8 158.323.463 21,1
Compostaggio 20.847.000 2,9 15.485.732 2,1 18.717.423 2,5
Discarica Controllata508.784.000 69,6 493.447.830 66,7 531.753.687 70,8
Discarica Mono-Comunale 69.216.000 9,5 61.969.743 8,4 41.830.245 5,6
Totali730.890.000 100 739.745.388 100 750.624.818 100

Rispetto al 1997 si riscontra un dimezzamento della percentuale di rifiuti urbani smaltita in discarica non autorizzata ed un incremento dell'incenerimento di qualche punto percentuale (dal 18 al 22 per cento). La leggera flessione avuta nel 1999 per quanto riguarda l'incenerimento è dovuta alla fermata prolungata dell'impianto di Cagliari a seguito di una manutenzione straordinaria. La discarica


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controllata permane la modalità di smaltimento maggiormente in adozione con circa il 70 per cento dei rifiuti coinvolti.
Passando ora all'analisi della situazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani negli anni 1998 e 1999 sui dati acquisiti dall'amministrazione regionale sia presso i comuni che presso le principali società di raccolta operanti in Sardegna, emerge che di gran lunga il materiale per il quale il processo è più avanzato è il vetro mentre la carta, plastica e lattine sono scarsamente considerate.

Totale Regionale 1998 Totale Regionale 1999
Categoria merceologicaNoComuni % NoAbitanti Serviti % No Comuni % No Abitanti Serviti %
Vetro
137 36 822.279 50 158 42 1.044.662 63
Carta
47 12 433.764 26 75 20 689.106 42
Plastica
24 6 355.671 21 39 10 551.046 33
Alluminio
8 2 82.241 5 7 2 57.632 3
Ingombranti-Ferrosi
59 16 679.272 41 69 18 853.569 52


Si nota tuttavia un promettente aumento del coinvolgimento dei comuni nella raccolta differenziata tra il 1998 ed il 1999. Per quanto riguarda la disaggregazione provinciale, si nota che nelle province di Cagliari e Oristano la raccolta del vetro supera il 70 per cento degli abitanti serviti, mentre per carta e plastica nelle province di Cagliari, Oristano, Sassari sono coinvolti tra il 40-50 per cento del totale abitanti. La provincia di Nuoro appare in netto ritardo.
In via generale, i dati denunciati dal monitoraggio regionale raffrontati a quelli raccolti nel corso della missione pongono in evidenza che, nell'intera regione, l'incidenza rispetto al totale rifiuti prodotti è molto modesta (1,3 per cento) rispetto non solo alle prescrizioni del «decreto Ronchi», ma anche rispetto alle situazioni in atto di altre regioni parimenti in ritardo. Ciò nonostante sia in corso un'intensificazione del servizio. Ma ai ritardi registrati nella raccolta debbono sommarsi anche quelli che derivano dalla mancanza di impianti idonei al trattamento del materiale differenziato.
Le modalità gestionali adottate per le raccolte differenziate sono sostanzialmente riconducibili all'affidamento del servizio in appalto esterno con l'adozione di contenitori stradali (campane/cassonetti); sono ancora rare le iniziative di raccolta differenziata domiciliare, auspicate dal piano regionale di gestione rifiuti, in grado di migliorare l'efficienza della raccolta.
Riguardo alle bonifiche, è stato predisposto un piano ai sensi del decreto ministeriale 16 maggio 1989, avente soprattutto la finalità di individuare le aree interessate dai processi e le priorità di intervento. La relativa deliberazione (n. 11/9 del 26 marzo 1998) riporta il dettaglio del piano illustrando il censimento e la mappatura delle aree potenzialmente ed effettivamente riconosciute come contaminate; la valutazione dei rischi sanitari ed ambientali con indicazione delle priorità di intervento; il programma preliminare dei piani di intervento a breve termine e l'elaborazione del relativo progetto. Nell'ambito del piano vi è uno stanziamento da parte del Ministero competente di 580.520.000; la regione Sardegna viene individuata quale soggetto realizzatore e la società Ansaldo come soggetto esecutore.

3) Gli impianti visitati.
Impianto di compostaggio di Tempio Pausania (Sassari).

Tale impianto ha come bacino di utenza quello della comunità montana n. 3 della Gallura ed è sito nel territorio di Tempio Pausania. Si tratta di una piattaforma integrata di trattamento dei


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rifiuti solidi urbani e di rifiuti solidi assimilabili e fangosi biologici, questi ultimi derivanti dal depuratore di acque civili prodotti nel bacino di utenza di Tempio Pausania. Tale impianto è stato progettato in ATI da Depurimpianti di Parma e De Bartolomeis di Milano nel 1993. La struttura comprende un sistema di ricevimento e selezione, una sezione di compostaggio ed una sezione finale di depurazione del compost. L'area totale dell'insediamento è di circa 45 mila metri quadrati, di cui circa 4100 coperti. I rifiuti solidi urbani in arrivo possono essere accumulati nelle fosse per circa 1250 metri cubi, ossia per un totale annuo di circa 375 tonnellate. Le fosse possono anche contenere un totale annuo di sovvalli di 150 tonnellate, mentre la linea di trattamento è unica ed ha una potenzialità di 10 tonnellate/ora. La composizione merceologica prevista in arrivo all'impianto consiste del 40 per cento di frazione combustibile (carta e plastica), del 30 per cento di frazione organica e per il rimanente di inerti, metalli e sottovaglio. Il processo, in particolare, prevede che i rifiuti in arrivo vengano prima pesati e in seguito scaricati nelle fosse di ricezione da cui, dopo un determinato tempo di accumulo, vengono prelevati a mezzo di benne per essere avviati al processo di vagliatura, da cui originano tre flussi: uno scarto fine classificabile inerte e avente diametro inferiore a 15 millimetri, una frazione prevalentemente organica detta Forsu e avente diametro compreso tra 15 e 80 millimetri, infine una terza frazione di sovvalli con diametro superiore a 80 millimetri e consistente in carta, legno, plastica, stracci, metalli. Le frazioni inerte fine e sovvalli vengono avviate attualmente in discarica controllata, mentre la Forsu è trattata nell'impianto di compostaggio. Tutto il sistema di fosse e macchinari di movimentazione è mantenuto sotto leggera depressione tramite un impianto centralizzato di aspirazione e depurazione dell'aria. La fase di compostaggio consiste di una preliminare deferrizzazione, con avvio del ferro in discarica, e di una fase successiva di fermentazione in area coperta per 28 giorni. Una macchina rivoltacumuli permette di rimescolare la massa organica e di trasporla in fondo verso il trattamento finale. Al materiale compostabile si può aggiungere fango biologico per mantenere un certo grado di umidità, specie in estate quando le temperature sono più alte. Il processo è aerobico. Il compost dopo 28 giorni di fermentazione è avviato ad ulteriore vagliatura in vaglio rotante, da cui si ottiene un sottovaglio (contenente inerti, vetro, ceramiche, sassi, ecc.) che va in discarica ed un compost che viene poi depositato in aie all'aperto per completare la maturazione. I problemi che pone tale impianto sono quelli dei cattivi odori. L'esistenza di un unico biofiltro non è in grado di assicurare un'aria esterna salubre. Numerosi sono stati finora i casi di malore accusati dagli addetti ai lavori di un vicino sugherificio e le proteste hanno raggiunto livelli preoccupanti. In considerazione delle masse d'aria in gioco nel processo di compostaggio, si ritiene che la sezione di abbattimento degli odori sia da potenziare fortemente con l'aggiunta di altre unità biofiltranti; le continue lamentele della popolazione che abita nei pressi dell'impianto stanno anche suggerendo la possibilità di delocalizzarlo. La situazione quale oggi si presenta è anche causa di deprezzamento dei valori immobiliari e paesaggistici. La Commissione ritiene, al di là di una serie di motivi (tra cui anche quelli occupazionali) addotti dalla proprietà dell'impianto, che non siano più prorogabili i potenziamenti impiantistici in ordine al sistema di aspirazione, depurazione dell'aria ed abbattimento degli odori.

Condea Augusta di Sassari.
La società Condea Augusta spa è proprietaria dell'impianto LAB, che produce alchilbenzene lineare, materia base per l'ottenimento di sostanze tensioattive detergenti. Il sito, operativo dal 1968 al tempo della Sir, a seguito del fallimento della stessa, venne conferito alla società Chimica Augusta, costituita nell'ambito del gruppo Eni. La Condea si trova


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pertanto all'interno dello stabilimento Enichem di Porto Torres, in cui insiste anche lo stabilimento evc (European Vinyls Corporation), dove si produce policloruro di vinile a partire dal cloruro di vinile monomero. Nel 1995 la società Enichem Augusta è stata ceduta dal gruppo Eni/Enichem al gruppo RWE/DEA e nel 1996 ha assunto la denominazione di Condea Augusta spa. I prodotti derivanti dai processi sono: detersivi per biancheria sia liquidi che in polvere, detersivi per stoviglie, detergenti per sanitari e per pavimenti, shampoo per auto. I materiali di base per i processi sono: le olefine e le paraffine, il benzene, il cloro, l'acido solforico, la soda, l'alluminio metallico e le terre decoloranti. I reflui idrici pretrattati sono avviati ai collettori fognari consortili per la depurazione nell'impianto gestito dal consorzio per l'area di sviluppo industriale di Porto Torres. I reflui idrici del processo ABL (alchil-benzene-lineare) nel 1998 ammontavano a 414.960 mc; rifiuti tipici di tale impianto sono le terre esauste, le terre decoloranti, le terre decolorate, i setacci molecolari.

Enichem di Porto Torres (Sassari).
L'impianto sorge nella zona industriale «La marinella» di Porto Torres. I processi installati nel sito riguardano la produzione di intermedi (fenolo, cumene, acetone),le olefine e gli aromatici (etilene, propilene, buteni, benzene, toluene), il polietilene, gli elastomeri (gomme acriliche), i poliuretani, il cloro e la soda. L'impianto è dotato di un sistema di pretrattamento delle acque industriali e di zavorra delle navi, che poi confluiscono al depuratore consortile Asi di Porto Torres. Lo stabilimento è anche dotato di un inceneritore di rifiuti industriali pericolosi liquidi e solidi, nonché di discariche interne per rifiuti pericolosi e non pericolosi. Nel 1998 la produzione di rifiuti dell'impianto cloro-soda è stata di 304 tonnellate, quella dell'impianto cumene di 152.9 tonnellate per i rifiuti solidi e di 15.8 tonnellate per i rifiuti liquidi avviati all'incenerimento.

Discarica Siged (Sassari).
La discarica Siged, di tipologia 2B, è sita in località Scala Erre nella zona industriale di Sassari. In essa possono essere smaltiti rifiuti speciali non pericolosi, nella prima parte del modulo autorizzato della discarica lato nord. L'autorizzazione all'esercizio è stata rilasciata con delibera n. 2607 del 3 novembre 1998 dalla regione autonoma Sardegna alla società Siged srl, con sede legale in via Galassi 2, Cagliari. L'impianto è provvisto di un sistema di raccolta del percolato e di due pozzi spia per il controllo della falda idrica sottostante. Da una relazione tecnica consegnata alla Commissione e datata 20 gennaio 2000, risulta che, nel periodo 8 marzo 1999-31 dicembre 1999, sono stati conferiti in discarica 28.167.447 chilogrammi di rifiuti speciali non pericolosi. Il sistema di controlli attivato dai gestori della discarica è consistito in analisi del percolato ogni 15 giorni e in controlli delle acque di falda nei pozzi uno e due ogni due mesi. Dalla relazione risulta pure che, per ogni partita di rifiuti accettata in discarica, sono state eseguite analisi di caratterizzazione ed omologhe per l'accettazione stessa. Il percolato, nel periodo marzo-dicembre 1999, è stato smaltito presso il depuratore del consorzio della zona industriale di Macomer, per un totale di 38.540.00 chilogrammi; la discarica è stata oggetto di sequestro giudiziario in data 19 ottobre 2000 a seguito dei fatti di seguito descritti.
La capitaneria di Porto e la polizia marittima di Porto Torres, il 10 marzo 2000, ponevano sotto sequestro 54 containers di rifiuti industriali provenienti dal nord-est e destinati alla discarica Siged srl. Dall'audizione, presso la prefettura di Cagliari, della dottoressa Pischedda incaricata delle indagini, è risultato che fu ordinato il sequestro ed in seguito le analisi chimico-fisiche, in quanto si riteneva che i rifiuti trasportati potessero contenere sostanze nocive non dichiarate e comunque pericolose per l'ambiente. I successivi campionamenti e le analisi chimico-fisiche evidenziavano infatti, per 29 containers, la presenza di sostanze pericolose,


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mentre per i restanti non furono riscontrate situazioni di pericolosità. Intanto venivano sottoposti a sequestro, ed a successiva analisi, altri 9 containers depositati nell'area del porto di Cagliari: anche questi ultimi venivano poi classificati come non pericolosi. D'altro canto, esistevano almeno otto formulari di trasporto di rifiuti che, a seguito delle omologhe, erano stati respinti dall'impianto perché non conformi alle caratteristiche richieste. Nel maggio 2000, il dottor Giuseppe Cabizza depositava una prima consulenza, nella quale affermava l'esistenza di «...un accumulo di vapori infiammabili, dovuto sostanzialmente alla presenza in varie concentrazioni di solventi organici allo stato liquido che, evaporando, hanno dato origine ad un'atmosfera infiammabile». Nell'ottobre 2000 si procedeva, come sopra detto, al sequestro preventivo della discarica Siged, sottolineando che in essa fossero stati conferiti rifiuti classificabili come pericolosi e misture di rifiuti con all'interno alcune componenti pericolose. Tale provvedimento di sequestro non fu mai preceduto da campionamenti, né tantomeno da analisi chimiche del suolo, del percolato o dei rifiuti già conferiti in discarica. D'altra parte, la mancanza in discarica di sostanze pericolose è attestata dalle analisi chimiche eseguite e firmate dal dottor Cabizza, odierno consulente della procura; a seguito di perizia tecnica ordinata dalla magistratura (28 dicembre 2000) e relativa allo stato dei luoghi della discarica, ai pericoli potenziali derivanti dallo stato delle opere e delle possibili azioni di ripristino, la proprietà della discarica, a mezzo del proprio legale, ha presentato alla magistratura un piano di manutenzione straordinaria in data 25 gennaio 2001. A tutt'oggi, non risulta alla Commissione che i lavori di manutenzione siano iniziati, pur essendo stata data dal pubblico ministero l'autorizzazione ad intervenire in tal senso; è' stato dichiarato dalla proprietà della discarica, al momento della visita della Commissione, che i controcampioni di tutti i carichi conferiti in discarica sono disponibili per eventuali ulteriori accertamenti da parte della magistratura.

Area Saica di Alghero.
La Saica sorgeva in via Garibaldi ad Alghero su una superficie totale di circa 16 mila metri quadrati, di cui 4000 coperti. Un'ispezione dei nucleo operativo dell'Arma dei carabinieri ha appurato la fatiscenza delle strutture e dei tetti in eternit (miscela cemento-amianto). Alcune sezioni del tetto sono pericolanti e rischiano di crollare da un momento all'altro. Presso la Saica si produceva un solvente, il furfurolo.
Un altro sito, oggetto anch'esso di ispezione del nucleo operativo dell'Arma die carabinieri oltre che della Commissione, è un ex cotonificio e si trova in via Marconi ad Alghero. In entrambi i siti, hanno sequestrato una documentazione riguardante l'attività delle aziende dismesse, soprattutto in riferimento alle miscele di cemento-amianto. Dai tetti di eternit , abrasi ed erosi, possono essere rilasciate nell'aria fibre libere di amianto provocando gravi rischi per la salute della popolazione esposta; le aree sorgono in pieno centro abitato e quindi i rischi di esposizione a fibre di amianto sono assai alti.
La Commissione ritiene che sia urgente ed improrogabile un intervento di messa in sicurezza (date le condizioni di fatiscenza dei luoghi) propedeutica ad un'attenta operazione di bonifica. Esisterebbero, a detta degli amministratori locali, indagini epidemiologiche che attesterebbero livelli preoccupanti di patologie ascrivibili alla presenza in zona di polveri di amianto; l'ex cotonificio (le cui coperture in eternit ammontano a duemila metri quadrati) fino a qualche tempo fa è stato occupato da una cooperativa di falegnami. L'area delle due aziende dismesse, una volta bonificata, potrebbe essere restituita alla fruizione dei cittadini in termini di arredo urbano e di servizi per la collettività (parcheggi), fatti salvi, ovviamente, i diritti della proprietà.


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Discarica abusiva di Mores (Sassari).
Trattasi di una discarica abusiva di rifiuti ingombranti, sfalci di erba, elettrodomestici, residui cimiteriali, rifiuti ingombranti metallici, beni di consumo, rottami ferrosi in genere, inerti da scavo e demolizioni. In tale discarica sono stati finora conferiti da operai del comune i rifiuti abbandonati che vengono trovati sulle strade. Al momento della visita della Commissione, ampie zone del sito apparivano con molta evidenza ricoperte con materiali vari (terre, inerti, sfalci ecc.), per nascondere i deposti abusivi di rifiuti anche pericolosi. Di recente sono state anche interrate carcasse di pecore colpite da un morbo denominato «morbo della lingua blu», come risulta da sopralluoghi del nucleo operativo dell'Arma dei carabinieri di Cagliari e della ASL di Ozieri, sezione di veterinaria. Prima della visita della Commissione, avvenuta il 30 gennaio 2001, è stato documentato e filmato da un'associazione ambientalista, che ne ha dato comunicazione alla Commissione il 25 gennaio 2001, un trasferimento da parte degli operai comunali, di alcune tipologie di rifiuti (rottami e ingombranti) presso un'area definita «vecchio mattatoio». La pretesa richiesta di bonifica da parte del sindaco di Mores alla provincia di Sassari non trova una valida giustificazione, non essendo stata mai dichiarata l'area compresa nelle previsioni di cui all'articolo 13 (ordinanza sindacale contingibile e urgente) del decreto legislativo n. 22/97: tale discarica, pur utilizzata illegalmente dal comune, sorge su terreno privato. Nel corso dell'audizione resa dall'associazione Ambiente e/è vita presso la prefettura di Cagliari il 31 gennaio scorso, sono stati forniti particolari inerenti la scoperta di due fosse profonde tre metri, in cui sono state interrate le carcasse di pecore di cui sopra. Il rilevamento è stato effettuato dalla sezione veterinaria del comune di Ozieri con apparecchiatura GPS.

Impianto Montefibre di Ottana (Nuoro).
Nell'area industriale di Ottana insistono i siti multisocietari Enichem, che comprendono gli impianti di Enichem, quelli della ex Landa-Montefibre, quelli della Inca-Dow, della Loricasud, della Minitow e della Sacesv. La società Montefibre produce fibre sintetiche e l'impianto è stato realizzato negli anni 1972-1973 su licenza della Monsanto. Tale impianto utilizza il depuratore consortile delle acque reflue per il trattamento dei reflui di processo; le unità prevalenti operative della Montefibre si riferiscono alla produzione del polimero , alla produzione ed al recupero del solvente, alla produzione della soluzione di filatura e del recupero dei cascami, alla produzione del fiocco. La fibra acrilica (polimero) ottenuto, a partire dal monomero acrilonitrile e dall'acetato di vinile, viene filata da un materiale viscoso (detto dope) ottenuto sciogliendo il polimero in un solvente organico (dimetilacetammide). I reflui liquidi, per come detto, vanno al depuratore, alcuni residui liquidi vengono autosmaltiti per termodistruzione nell'inceneritore presente nel sito multisocietario, mentre i residui solidi da smaltire all'esterno consistono prevalentemente di rifiuti assimilabili agli urbani, scarti di plastiche e sfridi di lavorazione.

Impianti nell'area di Portoscuso (Cagliari).
L'area del comune di Portoscuso, visitata dalla Commissione il 31 gennaio scorso, unitamente a quella dei comuni di Carbonia, Gonnesa, Sant'Antioco e San Giovanni Suergiu, fa parte del territorio del Sulcis-Iglesiente per il quale, già dal 1993, fu emanato un DPCM (23 aprile 1993) relativamente al «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio». Per la bonifica (parziale) di tale territorio devastato per anni da decenni di attività industriale e mineraria, il ministro dell'ambiente Bordon si è impegnato ad inserire il sito nella legge n.426/98, con uno stanziamento di 40 miliardi. Nell'area insistono numerose aziende industriali, che con la loro attività hanno contribuito al grave degrado ambientale in termini di contaminazione dell'aria e delle acque, nonché alla contaminazione dei suoli all'interno


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ed all'esterno dei siti operativi. Le aziende che vi operano sono l'Enel con due centrali, l'Euroallumina ora Alcoa, la Nuova Samim ora polo integrato Enirisorse di Portovesme e San Gavino, altri impianti (Sardamag, Carbosulcis ecc.) e piccoli insediamenti dell'indotto. La centrale Enel del Sulcis opera a carbone ed olio combustibile; con una potenza installata costituita da tre sezioni a vapore da 240 MW; la centrale Enel di Portoscuso opera con olio combustibile ed ha due sezioni a vapore da 160 MW. I residui delle due centrali sono costituiti da ceneri da olio, ceneri da carbone e da rifiuti pericolosi (oli trasformatori con pcb e amianto). Presso gli impianti della Alcoa si raffina l'alluminio; sono assai estese le aree esterne alla Alcoa che ospitano i fanghi che residuano dalla raffinazione dell'alluminio. La situazione è assai preoccupante per il prossimo esaurimento di tutti gli spazi disponibili.
Nel polo integrato Enirisorse si recupera il piombo e lo zinco dai rifiuti che lo hanno contenuto ed in particolare dai residui grezzi di ossido di zinco provenienti dalla Pertusola di Crotone. I cicli industriali dell'area di Portovesme attengono al ciclo termico piombo-zinco, al ciclo dello zinco elettrolitico, a quello del piombo termico ed al ciclo dell'acido solforico. Quelli dell'area di San Gavino attengono invece al ciclo della raffinazione del piombo, al ciclo dei metalli preziosi e al ciclo dei sottoprodotti per produrre piombo grezzo che viene inviato alla raffinazione. In generale, le capacità di smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi nel cagliaritano non sono più sufficienti ad ospitare i residui prodotti dalle aziende di cui sopra. La discarica Ecoserdiana (di tipologia 2B per rifiuti speciali) non può quindi far fronte a tutte le necessità.
La Commissione, attraverso appositi questionari inviati alle aziende, ha avuto modo di constatare quanto sopra detto con particolare riferimento alle aziende Enel di Portoscuso ed Alcoa. Nell'area industriale di Portoscuso, per come detto, il problema dei fanghi rossi pone la necessità di allargare la capacità dell'attuale discarica realizzando il quinto anello. Oggi tale problema è prioritario; l'area di Portoscuso è apparsa alla Commissione molto degradata ed appaiono rilevanti i danni inferti all'ambiente, al territorio ed alla salute dei cittadini, per cui si sollecita un intervento urgente di risanamento ambientale che renda possibile la difficile convivenza fra le molteplici attività industriali e la vita quotidiana dei cittadini: sarebbe auspicabile un'attenta ed accurata indagine epidemiologica ad ampio spettro, in relazione ai danni temuti per la salute in conseguenza di pregressi smaltimenti. Non è da escludere, ad esempio, una stretta connessione tra l'inalazione di particelle di piombo ed una serie di danni all'organismo che sono ben noti: vi è infatti un'ampia letteratura sui danni che derivano all'organismo dalla presenza del piombo.
Sono all'attenzione della Commissione alcune segnalazioni pervenute in merito a smaltimenti illegali di rifiuti delle industrie dell'area, che avrebbero utilizzato due siti: la montagna delle scorie derivanti dal trattamento delle batterie esauste provenienti dall'attività dell'ex Nuova Samim, montagna che sarebbe stata ricoperta per evitare lo spolverio che ha inquinato di piombo vigneti e campagne circostanti e che, data la sua grande mole, potrebbe essere stato appunto il luogo ideale in cui smaltire clandestinamente rifiuti pericolosi. L'altro sito, utilizzato anch'esso per smaltimenti illegali, sarebbe stato lo stesso bacino dei fanghi rossi derivanti dalla produzione di alluminio, che, negli ultimi anni, è stato rialzato di otto metri rispetto ai dieci metri di spessore precedenti. Oggi lo smaltimento dei fanghi rossi appare sotto controllo e vengono seguite tutte le prescrizioni previste dalle relative autorizzazioni. Nel corso delle audizioni avvenute presso la prefettura di Cagliari il 31 gennaio scorso, si è fatto riferimento ad indagini, nell'area di Portoscuso, in materia di inquinamento atmosferico prodotto dalle emissioni, di inquinamento del


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suolo e del sottosuolo per effetto del deposito dei rifiuti, con possibilità anche di inquinamento delle acque.
Per ciò che riguarda la produzione di rifiuti speciali, l'assessore all'ambiente della regione Sardegna, Pani, ha riferito che essa, per la gran parte, è localizzata in due o tre siti. Il primo è quello del Sulcis Iglesiente, il secondo è quello intorno all'area di Porto Torres, il terzo è quello del perimetro industriale di Ottana. Quanto al primo, è in corso la preparazione finale di una discarica 2B, che già da tempo ha avuto le autorizzazioni richieste, ma per la quale non si è arrivati nemmeno alle fasi preliminari di collaudo. Il problema principale rimane però quello dei fanghi rossi derivanti dalla lavorazione della bauxite. Date le quantità in gioco e la continua produzione, è opportuno arrivare in primo luogo ad una riqualificazione del rifiuto. In tal senso la regione, in accordo con l'amministrazione provinciale , sta operando soluzioni per una riduzione del pH (alcalino). Di recente, ha riferito l'assessore Pani, è stato presentato alla regione un progetto innovativo di essiccamento del rifiuto, in modo che possa essere utilizzato e reso disponibile in discarica con un costo e con un volume inferiore a quello attuale.
Un altro progetto, ormai in fase avanzata di realizzazione, è quello che riguarda l'utilizzo dei fanghi rossi come mezzo assorbente delle emissioni acide di anidride solforosa dagli impianti di combustione dell'olio combustibile. La tecnologia utilizzata è quella giapponese e il «progetto Sumitomo» è stato, a detta delle autorità regionali, ampiamente sperimentato in Giappone su impianti più piccoli. In Sardegna sarebbe la prima sperimentazione su impianti di più larga scala; l'impianto è stato realizzato in parte con fondi del Ministero dell'ambiente nell'ambito delle risorse messe a disposizione per il risanamento dell'area a rischio di Portoscuso. Il processo prevede che una corrente alcalina di fanghi rossi incontri un flusso di anidride solforosa e che ciò provochi la formazione di solfato di calcio, che viene rimosso sotto forma di fango con caratteristiche meno basiche di quelle iniziali. Con tale processo verrebbero sottoposte a trattamento quantità intorno al 50 per cento dei fanghi rossi e ciò non sposterebbe di molto i termini del problema. La Commissione, in merito a tale processo, ritiene che si debba approfondire, sulla base della documentazione pervenuta, il chimismo di assorbimento fanghi rossi/correnti acide di combustione e che venga sottoposto a caratterizzazione completa il fango derivante dalla rimozione del solfato di calcio. Nelle condizioni operative dell'impianto, non si può infatti trascurare la presenza , in tale fango, di metalli pesanti quali il nichel e il vanadio, contenuti di per sé nell'olio combustibile di partenza, e che verrebbero assorbiti durante la reazione di neutralizzazione e assorbimento. La Commissione ritiene anche prioritario il risanamento ambientale relativo alla rete stradale, interessata dall'utilizzo di scorie provenienti dalla ex Nuova Samim, quindi ricche di piombo, zinco e calcio. Si auspica pertanto che tutti i processi autorizzativi in itinere per l'autorizzazione di nuove discariche abbiano una corsia preferenziale per la loro emanazione. La Commissione ritiene inoltre che si debba percorrere, nell'ambito delle aziende, un'innovazione dei cicli tecnologici atta a ridurre la produzione dei rifiuti in linea con le direttive comunitarie; occorre inoltre ricercare forme di riutilizzo credibili dei rifiuti prodotti, che siano tecnologicamente percorribili. Un maggiore collegamento con le risorse umane locali, impegnate nella ricerca presso gli atenei isolani in collaborazione con atenei esterni, potrebbe fornire un valido strumento per la soluzione , nel medio termine, dei numerosi problemi di cui soffre l'area industriale del Sulcis.

Raffineria Saras di Sarroch (Cagliari).
La capacità annua di lavorazione della raffineria Saras di Sarroch è di circa 18 milioni di tonnellate. Il capitale sociale è detenuto per l'85 per cento dal gruppo Moratti e per il 15 per cento dall'Agip


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Petroli spa. I prodotti della raffinazione sono prevalentemente gpl (gas di petrolio liquefatto), benzine, jet fuel (carburante per aerei), gasoli, oli combustibili e cariche per gli impianti petrolchimici. All'interno del sito di raffineria opera un gassificatore del tar della società Sarlux, frutto di una compartecipazione tra Saras (55 per cento) e Enron Corp.(45 per cento). Gli impianti di processo consistono in tre topping, in due vacuum, in un reformer, in un cracking catalitico, in un impianto di alchilazione, in uno di eterificazione, in un visbreaking da cui residua il tar, in due impianti detti mild hydrocracking, in quattro impianti di idrodesolforazione, e in tre unità di recupero zolfo (impianto Claus). Rifiuti tipici della raffineria sono prevalentemente i fondami di serbatoio, i catalizzatori esausti e le terre contaminate da scavo. Tali rifiuti vengono attualmente trattati ed inertizzati all'interno del sito produttivo dall' azienda Ecotec, con un sistema che utilizza silicati liquidi quali agenti inertizzanti. In tale unità di trattamento (uno dei rari esempi di innovazione tecnologica nel nostro Paese) vengono trattati fondami di serbatoi: gli impianti prevedono una preliminare centrifugazione con centrifughe orizzontali o verticali a due o tre vie, per mezzo delle quali dal fondame si separa quasi tutto l'olio libero che viene rilavorato in raffineria e che contiene non più dell'uno per cento di acqua. La fase solida che residua dalla centrifugazione, detta cake è prevalentemente costituita da componenti inorganici con una parte minima di olio assorbito: essa viene sottoposta a trattamenti di inertizzazione con silicati liquidi. Il prodotto dell'inertizzazione , dopo un periodo di maturazione all'aria nel corso del quale subisce anche processi di carbonatazione, viene sottoposto a test di cessione ed avviato in discarica di tipo 2B. Come la Commissione ha avuto modo di appurare, nel corso del sopralluogo in raffineria, la società Ecotec impiega anche un'altra tecnologia, detta tor, molto simile a quella di inertizzazione dei fondami oleosi, ma che fa anche ricorso a particolari additivi chimici per il trattamento , tra l'altro, dei catalizzatori esausti a base di metalli come il cobalto e il molibdeno. L'impianto di gassificazione del tar, consiste nel trattamento termico di un residuo pesante detto tar che in virtù di una favorevole delibera, la CIP 6/92, viene attraverso la riclassificazione considerato materiale assimilabile alle fonti rinnovabili. Dal trattamento termico del tar origina un gas di sintesi, che viene lavato per rimuovere polveri e metalli: la gassificazione permette l'ottenimento di energia elettrica che viene venduta all'Enel.
Il tar è classificato «rifiuto pericoloso» al punto 11 Annex 1A della direttiva europea n.91/689/CEE e dall'allegato D al decreto legislativo n.22/97 alle voci 050601 (catrami acidi) e 050603 (altri catrami). La pericolosità del tar deriva dalla presenza di idrocarburi policiclici aromatici cancerogeni, tra cui il benzo-a-pirene. Le classi di pericolosità sono H5 (nocivo), H6(tossico), H7 (cancerogeno); il tar contiene inoltre metalli tossici quali il nichel e il vanadio, sotto forma di miscele di sali e ossidi. Altri idrocarburi policiclici del tar sono sospetti di essere teratogeni (classe di pericolosità H10) e mutageni (classe di pericolosità H11). Sia il tar che il filter cake (ricco di nichel e vanadio) che residua dalla gassificazione non sono considerati rifiuti dalla raffineria, che quindi non ha richiesto alle autorità regionali l'autorizzazione prevista per gli impianti di smaltimento di rifiuti pericolosi. La procura di Cagliari, anche a seguito di un'ispezione dei Noe, ha ritenuto che i filter cake esportati all'estero per il recupero del vanadio siano rifiuti e che si configuri quindi uno smaltimento illecito, non essendo stati tali materiali dichiarati rifiuti nei documenti di trasporto. Essa pertanto ha proceduto al sequestro dell'area di infustaggio dei filter cake in big bags. Tale area, a seguito del ricorso della Saras, è stata successivamente dissequestrata dal tribunale della libertà: la procura di Cagliari ha fatto ricorso avverso tale decisione alla Corte di cassazione, chiedendo nel contempo un parere al ministro dell'ambiente in merito alla classificazione del tar e del filter cake. Secondo


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le dichiarazioni dell'azienda che lo produce, il filter cake sarebbe destinato agli Stati Uniti d'America dove, attraverso una particolare lavorazione, si dovrebbero poter estrarre da esso alcuni metalli, tra cui sicuramente il vanadio e verosimilmente il nichel.
Nel corso di un'audizione resa in Commissione il 20 febbraio scorso dal ministro dell'Ambiente Bordon, è emerso che la nuova lista rifiuti, approvata con decisione 2000/532/CE, chiarisce la classificazione del tar, inquadrandolo nell'elenco dei rifiuti pericolosi. Infatti, nell'ambito del gruppo 05 (rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone), la suddetta decisione individua un sottogruppo 01 (residui oleosi e rifiuti solidi) contenente 0107 catrami acidi e 0108 altri catrami; un sottogruppo 06 (rifiuti del trattamento pirolitico del carbone) contenente: 0601 catrami acidi e 0603 altri catrami; un sottogruppo 08 (rifiuti della rigenerazione dell'olio) contenente 0802 catrami acidi e 0803 altri catrami. Ne consegue che il tar è attualmente incluso in modo chiaro nella lista dei rifiuti pericolosi. Inoltre, ha spiegato il ministro che è da ritenere che le scorie e le ceneri prodotte dalla co-combustione del tar debbano essere classificate come rifiuto pericoloso qualora dalla caratterizzazione analitica (con particolare riferimento al nichel ed al vanadio) del rifiuto in funzione delle modalità operative di gestione dell'impianto risultino possedere le caratteristiche di pericolosità di cui alla decisione 2000/352/CE e suo successivo emendamento.


4) Le acquisizioni raccolte nel corso delle audizioni.

Si è già fatto cenno che, nel corso della visita agli impianti, la Commissione ha incontrato specifiche realtà locali (responsabili degli impianti di produzione, conduttori degli impianti di smaltimento, rappresentanti delle amministrazioni locali ed altri soggetti esponenziali delle specifiche realtà locali visitate). Con le audizioni presso il capoluogo di regione, la Commissione si è proposta invece di sentire i soggetti più rappresentativi delle varie realtà istituzionali presenti nel territorio regionale aventi competenze più ampie di quelle precedentemente esaminate. Sono stati, pertanto, sentiti gli organi istituzionali a competenza generale (il prefetto, l'amministrazione regionale, la magistratura, la rappresentanza dell'utenza) e ad essi è stato richiesto di riferire sulle problematiche riguardanti il contesto di competenza.
Ne è scaturito un profilo di realtà che, riguardo alla situazione generale, ha posto in evidenza che la peculiare situazione geografica della regione (la cosiddetta «insularità») si pone come un elemento che dovrebbe consentire maggiori controlli e rendere più difficile lo smaltimento clandestino di rifiuti su larga scala. È stata registrata una viva attenzione da parte delle forze dell'ordine, soprattutto del nucleo operativo ecologico dei carabinieri, sia verso l'esterno (i porti), sia verso i siti di discarica. Ciò nonostante, non mancano casi di traffici illeciti di rifiuti industriali provenienti dal nord Italia e dalla zona del casertano. Ciò sembra causato anche dall'assenza di organi professionalmente attrezzati a controllare la qualità dei rifiuti (l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, come si dirà meglio in seguito, ancora non è stata istituita); il problema, quindi, si sposta alla qualità dei controlli ed alla capacità di leggere correttamente le code dei processi produttivi. Parallelamente, occorre però individuare sistemi di controllo che consentano di superare le attuali difficoltà di vigilare sulla qualità delle merci trasportate a mezzo containers. È un problema che non riguarda, ovviamente, la sola regione Sardegna e che richiede riflessioni, direttive ed interventi da parte degli organi centrali. Sotto altro profilo, il rilevante divario rilevato dalla Commissione tra le cifre sulla produzione di rifiuti pericolosi e la capacità di smaltimento presente nel territorio regionale potrebbe derivare, almeno in parte, secondo


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l'opinione del prefetto di Cagliari, dal progressivo processo di deindustrializzazione che ha interessato l'isola. Sono in corso verifiche.
Il fenomeno delle discariche abusive, ancorché presente, non appare particolarmente diffuso. Tuttavia, la rilevata carenza nella qualità dei controlli non consente di prevenire e di reprimere tempestivamente casi di smaltimenti di materiali pericolosi in discariche non abilitate, ancorché autorizzate per altre tipologie di rifiuti.
Per quanto concerne i profili di carattere giudiziario, nel corso delle audizioni, sono stati sentiti il procuratore distrettuale antimafia ed i rappresenanti delle procure di Tempio Pausania e di Sassari. In merito, pur essendo stati acquisiti elementi di interesse, le audizioni non hanno fatto emergere la strategia complessiva di contrasto della magistratura e delle forze dell'ordine sulle specifiche tematiche ambientali. A fronte dell'impegno delle singole procure, la Commissione non è riuscita a cogliere un disegno di contrasto complessivo che interessi l'intera regione. Le inchieste in corso ed i risultati finora conseguiti denunciano con chiarezza comportamenti illeciti da parte delle imprese produttrici di rifiuti ed interessi della criminalità organizzata; tuttavia, tali comportamenti ed interessi non sembrano ancora aver trovato chiavi di lettura che consentano di formulare ipotesi certe di fatti penalmente rilevanti ascrivibili a presenze, collegamenti o collusioni con le organizzazioni mafiose. Le indagini in corso certamente forniranno elementi di informazione e giudizio di maggiore rilievo.
La puntuale ed impegnata azione della magistratura, secondo quanto riferito dal procuratore antimafia, si è esplicata attraverso alcune inchieste che hanno dato luogo a procedimenti che interessano la società Saras e la sua collegata società Sarlux, aventi sede a Sarroch, che produce, utilizzando residui della trasformazione degli idrocarburi pesanti, gas di sintesi miscelati con ossigeno e vapore un prodotto denominato singas, che viene sottoposto ad un lavaggio durante il quale rilascia sostanze che vengono poi pressate venendo a costituire i cosidetti filter cakes aventi, secondo le prospettazioni e le indagini effettuate dal nucleo operativo dell'Arma dei carabinieri e la procura di Cagliari, contenuto pericoloso). Alla fase di sequestro ha fatto seguito l'annullamento del provvedimento cautelare, a causa di incertezze circa la qualificazione del rifiuto come pericoloso. Altre indagini di attività giudiziaria meritevoli di essere ricordate e tuttora in corso riguardano il sequestro di 54 containers a Porto Torres, nonché i sequestri di 9 containers al porto canale di Cagliari e di altri 6 containers a Cagliari, tutti provenienti da, nord Italia. Secondo i magistrati auditi, vi sono difficoltà nel concretizzare ipotesi delittuose, perché la normativa oggi esistente prevede semplici ipotesi contravvenzionali. Le modalità e le dimensioni dei traffici fanno ritenere che vi siano interessi ed ispirazioni da parte della criminalità organizzata, ma non appare possibile costruire un'ipotesi indagatoria (che investe anche delicati profili di competenza all'interno della magistratura) con l'attuale sistema penale. Peraltro, il livello della qualità dei controlli e le risorse disponibili non consentono adeguati approfondimenti di indagini.
Tuttavia le semplici azioni promosse dalla magistratura spesso si rivelano inutili in quanto, il più delle volte, le ipotesi dannose alla salute e di danno all'ambiente si misurano con provvedimenti autorizzativi perfettamente regolari, che legittimano ogni effetto: questo è il caso dello smaltimento dei fanghi rossi, che è stato controllato molte volte senza alcun risultato. Il problema, quindi, deve spostarsi più a monte per verificare, con parametri che non possono certo essere messi a punto dalla magistratura, la congruità dell'attività autorizzativa.
Le audizioni dei magistrati di Tempio Pausania e di Sassari sono scese nel particolare delle vicende che hanno interessato i sequestri dei containers contenenti rifiuti industriali provenienti dal nord Italia (in particolare dal Veneto),


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destinate alle discariche di Porto Torres e di altre località in provincia di Sassari. Le ipotesi sulle quali si sta concentrando l'attenzione degli inquirenti riguardano l'area della discarica abusiva in quanto, anche in virtù della nuova normativa, appare più complesso formulare ipotesi di fattispecie delittuose legate a conferimenti difformi in discariche autorizzate. La sanzionabilità penale, per ciò che riguarda tali ipotesi, concerne semplici fatti contravvenzionali ed alcune violazioni hanno natura amministrativa. Al momento le ipotesi più concrete perseguibili penalmente secondo quanto ha riferito il magistrato di Sassari, riguardano la difformità nelle tipologie di rifiuti prelevati dai containers e l'effettuazioni di falsi nelle dichiarazioni e nelle analisi chimiche. Il procuratore di Tempio Pausania ha fatto anche cenno alla dispersione di polveri di amianto derivata da una nave in corso di smantellamento, nonché al caso dell'inceneritore dell'ospedale di Olbia, realizzato con un forte investimento finanziario e di fatto mai utilizzato a causa della non economicità della gestione. Da parte della procura di Sassari è in corso uno scambio di informazioni con la procura di Caserta per verificare l'esistenza di possibili interessi della camorra nei traffici di rifiuti registrati in Sardegna.
Riguardo agli impegni programmatori e gestionali dell'amministrazione regionale, le audizioni con i rappresentanti della regione hanno fornito un quadro realistico; non sono stati celati i gravi ritardi nell'attuazione delle prescrizioni del «decreto Ronchi», soprattutto per quanto concerne la raccolta differenziata, ma è anche emersa la ferma e propositiva volontà della giunta di accelerare il processo di omologazione e di messa a regime di un sistema di piena tutela agli interessi ambientali. L'assessore all'ambiente ha confermato che il piano regionale dei rifiuti elaborato nel 1998 già richiede una decisa revisione; storicamente tale documento nasceva da impegni di natura comunitaria e non poteva essere rinviato. Non ha potuto, pertanto, recepire in pieno le novità e le prescrizioni intervenute con l'allora recentissimo «decreto Ronchi». L'attività di riesame da parte dell'amministrazione regionale è al momento concentrata sulla ricerca delle compatibilità e sull'osservanza dei parametri della normativa statale, una situazione complessiva fa registrare situazioni di ritardo e di crisi. La termovalorizzazione dei rsu è concentrata in un grande impianto ed in uno di dimensioni più ridotte in prossimità di Cagliari e di Macomer; quando entrerà a regime la terza linea dell'inceneritore Tecnocasici (attualmente 180/200 tonnellate al giorno), potrà essere smaltita l'intera raccolta dell'ambito cui questo si riferisce. I pesantissimi ritardi e l'arretratezza dei programmi di raccolta differenziata generano gravissimi punti di crisi nel sistema discariche, quasi del tutto esaurito. Il reperimento di nuove discariche non ha potuto trovare operatività, a causa delle resistenze della popolazione locale a consentire gli insediamenti nel proprio territorio. Per altri profili, il giudice amministrativo ha disposto la sospensiva di taluni provvedimenti relativi alle discariche, sicché i problemi sono irrisolti. Altri problemi connessi ai rsu riguardano la pur bassa percentuale di raccolta differenziata: ad esempio, per il vetro il consorzio che dovrebbe ritirare il materiale non ha disponibilità sufficienti per tale adempimento, né le quantità prodotte rendono economica l'operazione.
Per quanto riguarda i rifiuti speciali, il rappresentante regionale ha confermato la loro concentrazione nei siti del Sulcis Inglesiente, di Porto Torres e di Ottana, ed ha riferito sulle sperimentazioni in atto (»progetto Sumitomo», finanziato dal Ministero dell'ambiente) per rendere meno violento l'impatto ambientale causato dal deposito dei fanghi rossi derivante dalla lavorazione della bauxite. Nella fase di studio è anche il processo per l'utilizzazione dei fanghi rossi, composti per lo più di sodalite e di argille. Si sta tentando di trovare un sistema economicamente conveniente per essiccare, miscelare ed abbattere il ph presente nei fanghi, al fine di una loro posa e riutilizzo in aree minerarie dismesse, ovvero per la costruzione


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di mattoni per l'edilizia. Rimane fermo il problema delle grandi quantità dei depositi, che al momento non è apparso trovare altra soluzione se non con la concessione di consentire la posa di un ulteriore «anello» di deposito (verrebbe a costituire il quinto strato).
La Commissione ha anche offerto ampi spazi di intervento alle associazioni ambientaliste operanti nel territorio regionale. Le rappresentanze di queste realtà sociali hanno fornito importanti elementi di informazione e spunti di riflessione. Sono stati uditi i rappresentanti di Ambiente e/è vita, Amici della terra e Legambiente. Sono state poste all'evidenza le tematiche concernenti la discarica di rifiuti ingombranti di Mores, l'impianto di cogenerazione della raffineria Saras di Sarroch e la miniera di Furtei, in provincia di Cagliari, dove avviene l'estrazione dell'oro con il cianuro di sodio. Complessivamente, dalle audizioni emerge la presenza di un tessuto sociale vivo e propositivo, capace di elaborazioni più ampie della ricerca di soluzioni per singoli problemi; un rapporto con le istituzioni locali vivace ma non conflittuale; un controllo del territorio puntuale e non delegato alle sole informazioni provenienti dai soggetti pubblici ovvero dai produttori e gestori degli impianti.

5) Le tematiche emerse dall'attività d'inchiesta.

Più sopra è stato riportato, pur se in modo assai succinto, tutto il bagaglio conoscitivo estratto dalla documentazione acquisita dalla Commissione, dalle rilevazioni fatte nel corso delle visite agli impianti e dalle audizioni tenute a Cagliari con i soggetti istituzionali e le realtà sociali operanti in Sardegna. Occorre ora fornire un quadro di sintesi dell'attività svolta e tentare alcune considerazioni conclusive per le grandi tematiche emerse.
L'inchiesta ha fatto emergere quattro distinti profili di interesse: il primo riguarda gli impianti, la tecnologia regionale e lo stato di attuazione del «decreto Ronchi»; il secondo riguarda la politica locale, nonché la presenza il livello e l'intensità dei controlli; l'ultimo profilo attiene alla risposta delle forze dell'ordine e della magistratura sui fatti aventi rilevanza penale in materia ambientale.
Riguardo al primo profilo, occorre riconoscere che la regione Sardegna, nonostante la persistenza di punti di crisi e di ritardi nell'attuazione delle nuove direttive in materia di rifiuti, sembra che stia recuperando, sia in sede di programmazione che in fase esecutiva, alcuni elementi che interessano fondamentali fasi del ciclo, quali quelli che concernono la raccolta differenziata, la tecnologia degli impianti, le responsabilità dei produttori, il coinvolgimento dell'utenza e delle rappresentanze ambientaliste nelle scelte gestionali. L'amministrazione regionale appare aver preso coscienza delle delicate tematiche connesse al ciclo dei rifiuti ed ha in corso di revisione il piano generale regionale per la regolamentazione dei rifiuti speciali prodotti nell'isola. I processi per la raccolta differenziata sono stati avviati in molti comuni, ma in altrettante realtà locali il programma deve ancora essere iniziato; le difficoltà derivano soprattutto dal fatto che su quasi tutto il territorio regionale la raccolta differenziata non aveva mai formato oggetto di progetti compiuti; attualmente gli impianti esistenti sono sottoutilizzati per la mancanza di materia prima da lavorare.
Circa il più specifico aspetto dell'azione normativa dell'amministrazione regionale, è da porre in rilievo che, pur riconoscendo la delicatezza e la complessità dei problemi derivanti dalla specialità dell'autonomia regionale, sembra sia finora mancata una ferma volontà politica diretta a rimuovere gli ostacoli che ancora si frappongono alla costituzione dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. Tale mancanza è causa della riscontrata debolezza dei controlli in atto e di imbarazzo per le province, che continuano ad esperire le attività di controllo loro ancora istituzionalmente affidate, ma che mancano di una strategia complessiva e di


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adeguati supporti tecnici. Ciò genera incertezze nella stessa attività autorizzatoria di competenza regionale, che in taluni casi non riesce ad approfondire realtà di processi produttivi complessi che, pur se legittimati sul piano meramente formale, finiscono con il provocare danni alla salute ed all'ambiente. La costituzione dell'Arpa potrà promuovere una nuova fase di osservazione e di direzione della produzione industriale, offrire garanzie del rispetto delle normative, nonché dare certezza ed uniformità ai complessi processi produttivi presenti nella regione.
Sul piano meramente ricognitivo, risulta del tutto evidente che il livello degli impianti appare ancora arretrato rispetto alle prescrizioni del «decreto Ronchi». Ancora diffuso è il ricorso indiscriminato alle discariche; la raccolta differenziata è partita, ma ancora fa registrare gravi ritardi rispetto alle previsioni di legge. Mancano discariche autorizzate per i rifiuti di tipo 2C, nonostante la regione produca rifiuti pericolosi dell'ordine di circa 200 mila tonnellate; né la capacità di autosmaltimento di talune industrie riesce a coprire le necessità derivanti da quella produzione.
In tema di bonifiche, si registrano ritardi. La regione sta predisponendo un piano di priorità, ma ancora sono indefinite le risorse che intende attivare, quali siano i piani di risanamento ambientale, su chi effettivamente saranno posti i costi delle bonifiche.
L'attività di monitoraggio continuo esplicata dalla regione ha indubbiamente generato un nuovo coinvolgimento dei comuni nelle attività dirette alla gestione dei rifiuti. Ma il 1998, anno in cui la regione ha predisposto il piano di gestione dei rifiuti, sembra segnare l'anno zero per la regolamentazione del sistema dei rifiuti: nessuna disciplina organica per i rifiuti speciali ed industriali, poche regole per i rifiuti solidi urbani, raccolta differenziata inesistente. Prima di quell'anno è sembrata regnare in Sardegna la sola preoccupazione di non intralciare il processo di progressiva industrializzazione della regione. Ora, a processo consolidato (anzi indebolito per la registrata recente deindustrializzazione dell'isola), assieme alle regole occorre procedere alle grandi (e piccole) bonifiche, la cui effettuazione appare ancora lontana.
Sui livelli dei controlli si è già detto che, attualmente, è stata registrata una sufficiente intensità delle relative attività. Queste si esplicano per lo più nei confronti delle formalità burocratiche che attengono la fase autorizzativa e concessiva. Non riescono tuttavia ad approfondire gli aspetti qualitativi dei controlli, soprattutto per quanto riguarda la qualità dei rifiuti e la corretta esplicazione dei processi di trattamento ed inertizzazione, attività che richiedono professionalità al momento non adeguate alla realtà regionale. L'esplicazione dei controlli finisce quindi, in taluni casi, con il legittimare attività dannose per l'ambiente e la salute pubblica. Riguardo al controllo sui traffici illeciti di rifiuti, questo si è indubbiamente intensificato soprattutto nei porti, ma tuttora permangono movimenti di merce di dubbia provenienza, che in taluni casi fanno presumere collusioni ed interessi collegati alla criminalità casertana. Le inchieste in corso denunciano anche un movimento di rifiuti provenienti dal nord Italia (Veneto e Lombardia), ma tuttora non sono chiari gli interessi e le implicazioni delle realtà imprenditoriali produttrici.
Anche in Sardegna, come per tutte le altre realtà visitate, la debolezza del contrasto giudiziario denuncia la carenza della normativa penale. Le più rilevanti indagini di attività giudiziaria attualmente in corso (illecito smaltimento di rifiuti che interessa la Saras e la Sarlux di Sarroch, il sequestro di 54 containers a Porto Torres, il sequestro di 9 containers al porto canale di Cagliari e di altri 6 containers a Cagliari, tutti provenienti dal nord Italia) trovano difficoltà nel concretizzare ipotesi delittuose, perché la normativa oggi esistente prevede semplici ipotesi contravvenzionali. Peraltro il livello dei controlli e le risorse disponibili non consentono adeguate indagini e, per di più, l'attività di controllo e di tutela


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dell'ambiente si deve ancora misurare con una politica autorizzativa che tuttora consente e rende legittime attività censurabili secondo i parametri del «decreto Ronchi».

6) L'inchiesta giudiziaria sui «filter cakes»: un profilo regolamentare da approfondire per la disciplina sui rifiuti speciali.

Si è già fatto cenno all'inchiesta che ha interessato l'impianto di gassificazione della Sarlux srl sita a Sarroch, con il sequestro di 62 big bags contenenti filter cakes, per un quantitativo di circa 50 metri cubi di materiale. Sul punto è stato sentito, presso la sede delle Commissione, il magistrato della procura di Cagliari, che ha illustrato il dettaglio della complessa vicenda per ora conclusasi, com'è noto, con l'annullamento da parte del tribunale di Cagliari del provvedimento di sequestro e con un'impugnativa della procura alla Corte di cassazione e un quesito rivolto al Ministero dell'ambiente.
La vicenda merita una particolare segnalazione, non tanto per le implicazioni di carattere penale e per le decisioni che in proposito verranno adottate (le ipotesi di reato su cui poggiava il provvedimento di convalida del sequestro richiamavano gli articoli 51, comma 1, e 53 del «decreto Ronchi» per mancanza di autorizzazione per lo stoccaggio e per inosservanza delle procedure previste per la spedizione di rifiuti transfrontalieri), quanto piuttosto perché dai fatti emergono spunti per valutare non solo la congruità dello strumento normativo che regolamenta i rifiuti pericolosi ma anche l'efficacia e l'esperibilità degli stessi strumenti penali posti a tutela dell'ambiente e della salute pubblica. Rinviando il dettaglio della vicenda giudiziaria agli atti in possesso della Commissione, si richiama l'attenzione sulla circostanza che, nella sostanza, l'azione della magistratura inquirente è stata posta in forse (e potrebbe essere definitivamente vanificata) dall'insufficienza e nebulosità dell'attuale normativa statale e comunitaria in materia di rifiuti, che prevede elenchi di sostanze pericolose: la mancata inclusione in detto elenco, di fatto, vanifica ogni intervento diretto a colpire e reprimere le attività pericolose. In effetti, nel caso di cui si discute, il provvedimento di dissequestro poggia sulla constatazione che, sulla base delle indicazioni normative e dei chiarimenti ministeriali, il materiale sequestrato non può essere considerato «rifiuto» e, pertanto, non può formare oggetto delle contestazioni mosse dalla procura. Sembra cioè che, in presenza di fatti che indubbiamente producono effetti dannosi, i parametri di valutazione della pericolosità debbano essere ricercati unicamente (o, quanto meno, principalmente) nelle previsioni regolamentari: esse, peraltro, fanno riferimento a concetti a volte equivoci e non definiti, che consentono distinzioni a secondo che le operazioni compiute sul materiale siano dirette all'eliminazione definitiva del rifiuto ovvero ad una fase di trattamento per ottenere da esso un'ulteriore materia prima od altro derivato. Da questo indirizzo discende, a prescindere dall'inclusione dei filter cakes e del tar (materiale proveniente dalla gassificazione dei residui degli idrocarburi pesanti che dà poi luogo, mediante processi chimici e fisici, alla creazione dei pannelli di fanghi filter cakes) negli elenchi dei rifiuti pericolosi (il ministro dell'ambiente ha assicurato che nella nuova direttiva, che entrerà in vigore nel 2002, questi materiali sono inclusi tra i pericolosi), che lo stesso materiale, sempre potenzialmente pericoloso, venga assoggettato a regimi diversi e che conseguentemente diverse siano le implicazioni e le fattispecie configurabili anche dal punto di vista penale.
Nel caso di specie, dunque, non appare tanto censurabile questo (il sequestro) o l'altro (il dissequestro) provvedimento della magistratura, quanto l'equivocità di un orientamento che non affida a parametri certi ed oggettivi la valutazione della pericolosità di un prodotto. Nella sostanza, la Commissione è del parere che, come nel caso di cui si tratta, la valutazione e l'accertamento in concreto della pericolosità del materiale considerato non


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possano essere affidati esclusivamente a previsioni regolamentari o di altra natura.

7) Conclusioni.

A chiusura dell'attività di inchiesta, la Commissione deve osservare come la peculiarità della situazione regionale (caratterizzata al momento da trasformazioni di rilievo che, per un verso, riguardano gli insediamenti industriali e le modalità di produzione e, per altro verso, la presa di coscienza e l'impegno dell'amministrazione regionale a rivedere radicalmente il sistema dei rifiuti) non consenta di trarre valutazioni e giudizi definitivi.
La situazione in atto è ora conosciuta; la Commissione ritiene di aver compiuto una prima fase di indagine e si impegna a seguire con attenzione, a breve, gli sviluppi delle varie questioni trattate. Un primo momento di verifica e di testimonianza delle nuove volontà politiche espresse dall'amministrazione regionale potrà essere rappresentato dalla rapida conclusione dell'iter normativo per la costituzione dell'Agenzia regionale per la protezione ambiente, con la nascita, cioè, dell'organo specificamente preposto alle attività di controllo nella regione.
Un ulteriore momento di verifica dovrà essere diretto verso la lettura dei risultati che saranno conseguiti nel processo di raccolta differenziata di recente avviato e che ancora presenta livelli inadeguati ai parametri stabiliti dal «decreto Ronchi».
Da ultimo, la Commissione seguirà con attenzione l'esecuzione dei progetti di bonifica per verificare, con riferimento soprattutto alle grandi aree impegnate dalle concentrazioni industriali, se l'opera di risanamento venga concretamente realizzata e se i costi delle relative operazioni vengano posti a carico della collettività ovvero dei soggetti responsabili dei danni ambientali.