Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Giovedì 21 dicembre 2000


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ALLEGATI

Documento sull'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti.

Premessa.

Nel settembre 1999, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, nel corso della propria attività d'indagine, rilevava come, nonostante una maggiore «tensione» di natura ambientale riscontrata in molte regioni dopo l'entrata in vigore del «decreto Ronchi», le situazioni di emergenza connesse al ciclo dei rifiuti andavano progressivamente moltiplicandosi e come, in alcune situazioni, le emergenze di natura ambientale andavano assumendo formule sempre più stabili, fino a rappresentare modalità di governo caratterizzate da una sorta di «straordinaria normalità» delle gestioni. Deliberava, pertanto, di procedere ad un'analisi delle realtà territoriali colpite da provvedimenti di commissariamento, disposti in relazione ad eventi connessi alla produzione, raccolta, trasporto o smaltimento dei rifiuti solidi urbani o speciali.
L'attività d'inchiesta si è concretizzata nell'acquisizione di atti e documentazione; in audizioni in sede; in visite sopralluogo a vari impianti con audizioni in loco dei soggetti coinvolti nelle singole situazioni; in iniziative seminariali promosse in tutte le regioni interessate da provvedimenti di commissariamento; in altri incontri ed indagini condotte su singoli aspetti dell'indagine.
In sintesi, l'attività d'inchiesta si è proposta:
di analizzare le cause che hanno generato le singole situazioni di allarme e di fare emergere le eventuali responsabilità di carattere amministrativo e di natura politica;
di controllare se i rimedi adottati avessero effettivamente inciso sulle situazioni a rischio eliminando le cause che avevano determinato le emergenze;
di valutare l'impatto nell'ambiente e nel tessuto economico e sociale di ogni singola emergenza;
di verificare la congruità della normativa che disciplina l'istituto del commissariamento;
di verificare se l'istituto del commissariamento rappresenti, o no, strumento idoneo ed attuale ad affrontare e risolvere gli eventi nascenti dalle emergenze rifiuti;
di formulare proposte per eventuali modifiche di carattere normativo ed amministrativo.

1. Lo strumento normativo del commissariamento.

A tutt'oggi, provvedimenti di commissariamento causati da emergenze connesse al ciclo dei rifiuti hanno interessato le regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia e le province di Milano e di Roma.
Lo strumento normativo che ha consentito il ricorso all'istituto del commissariamento lo si rinviene nell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n.225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile), che testualmente recita:
«(Stato di emergenza e potere di ordinanza) 1. Al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lett.c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone la durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi. Con


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le medesime modalità si procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti.
2. Per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel quadro di quanto previsto dagli artt. 12, 13, 14, 15, e 16, anche a mezzo di ordinanze, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico.» (omissis)
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, il ministro per il coordinamento della protezione civile, può emanare ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone e cose. ......
4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, il ministro per il coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, può avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio.
5. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate».

Gli «eventi» cui fa cenno il primo comma, sono le «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari». Ed è a tali eventi, dunque, che deve essere rapportata ogni iniziativa del Governo.
Trattandosi di una previsione esplicitamente rientrante nella materia della «protezione civile», la Commissione si è trovata, preliminarmente, nella necessità di approfondire la pertinenza dello strumento utilizzato alle fattispecie connesse all'emergenza rifiuti al fine di verificarne, le ragioni delle rilevanti peculiarità emerse nel corso dell'indagine, il suo corretto ricorso e la sua congruità rispetto agli eventi evocati.
Occorreva, infatti, rinvenire nel sistema individuato dal Governo una lettura della norma che potesse raccordarsi organicamente con le specifiche situazioni legate alle tematiche attinenti ai rifiuti, perché l'interpretazione letterale della norma sembrava escludere la pertinenza del mezzo utilizzato. Peraltro, un lavoro di esegesi si rendeva necessario perché dubbi similari avevano, anche, trovato riscontri in sede contenziosa davanti alla magistratura amministrativa e davanti alla stessa Corte costituzionale (vedasi il caso della regione Puglia).
In effetti, non può essere sottovalutato il fatto che, tutte le ipotesi fin qui esaminate sono significativamente dissimili da quelle disciplinanti i casi della protezione civile e che le emergenze sulle quali si è intervenuti, sono state determinate più dalla difficoltà di reperire, con i normali mezzi legislativi e di amministrazione di cui sono dotati i poteri locali e centrali, soluzioni adeguate al problema dello smaltimento dei rifiuti, che provocate da «eventi naturali». Un'impossibilità - riconosciuta dal Governo e concertata con i soggetti interessati - di dare adeguate risposte a fatti di gestione complessi. Ai commissari delegati per le emergenze rifiuti, vengono, infatti demandati, oltre che interventi di carattere immediato, veri e propri atti di programmazione e di organizzazione dei servizi.
Sul piano strettamente procedurale, la ricostruzione analitica del sistema delineato dalla legge n.225 del 1992 , porta a fare ritenere del tutto pacifico che la dichiarazione dello stato di emergenza costituisce il presupposto legittimante per adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare le situazioni di allarme derivanti dagli eventi calamitosi descritti dalla norma. Con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300, concernente la riforma dell'organizzazione del Governo, quel potere di emanare ordinanze è riconosciuto, ora, in capo al ministro dell'interno. E con quest'ultimo provvedimento normativo è stata anche costituita (articoli 79 e seguenti) l'Agenzia della protezione civile che costituisce l'organo operativo cui sono ora anche demandati i compiti di predisporre le ordinanze che saranno poi emesse dal ministro dell'interno.


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Rinviando ad un momento successivo l'esame dei problemi che sorgono in dipendenza del fatto che per una materia che rientra nella esclusiva competenza del Ministero dell'ambiente, intervengono poteri dispositivi di altra articolazione governativa, preme qui fare notare che, per i casi di specie, il ricorso al potere di ordinanza di cui alla legge n.225/1992, è reso possibile soltanto da una interpretazione estensiva di questa norma. Ed infatti, sostanzialmente, tutte le gestioni commissariali, sia pure con modalità diverse e con presupposti e scelte politiche diverse, hanno preso avvio, da atti di volontà delle amministrazioni regionali competenti che, in presenza di gravi situazioni d'allarme per la salute pubblica e per la continuità di servizi essenziali, hanno invocato l'intervento di altri poteri (o meglio, «mezzi e poteri straordinari») per porsi in grado di adottare i necessari provvedimenti. Manifestazioni di volontà spesso «concertate» con le autorità competenti alla proclamazione dello stato di emergenza ed all'esercizio del potere di ordinanza.
Una situazione complessa che, in disparte ogni giudizio sulla congruità dell'azione amministrativa dei poteri locali e sulle connesse responsabilità di natura politica, legittima l'opinione che, in assenza di chiavi di lettura diverse da quelle di stretta ermeneutica giuridica, il ricorso allo strumento del commissariamento ex articolo 5 della legge n.225/1992, effettivamente appare, improprio.
Non è interesse della Commissione entrare ulteriormente negli approfondimenti di natura tecnica. Ma i suoi compiti istituzionali d'inchiesta e di indagine, non possono trascurare i problemi, tuttora non risolti, derivanti dall'utilizzo dello strumento improprio. Perché, se è certo che la apprezzabile azione compiuta dal Governo per affrontare le situazioni di cui si discute ha offerto - con quella espansione interpretativa, tuttora in fase di ulteriore evoluzione, dell'istituto del commissariamento - alcune soluzioni, altrettanto certo è che le soluzioni adottate, hanno creato preoccupanti alterazioni al sistema istituzionale della ripartizione delle competenze; hanno sviato i riferimenti della responsabilità dell'attività amministrativa; hanno generato risultati, a volte deludenti ed in tempi così lunghi da non potere essere considerati quali prodotti della straordinarietà e dell'emergenza; hanno creato imbarazzanti intrecci di competenze allo stesso interno della struttura governativa.
Con il presente referto saranno analizzati risultati e problemi. Ora, ci si limita a considerare che, è parere della Commissione, che per le fattispecie collegate allo smaltimento dei rifiuti, la evoluzione e la espansione dell'istituto del commissariamento disciplinato dalla legge n.225/1992, sia stata principalmente generata dalla preminente volontà del Governo di offrire (in assenza di previsioni normative più proprie) ai poteri territoriali e locali uno strumento più agile per fare fronte alle oggettive e riconosciute emergenze generate dalla difficoltà di trovare soluzioni gestionali per le vie ordinarie.
In definitiva, l'istituto del commissariamento è apparso essere stato interpretato ed utilizzato più quale azione di supporto all'attività dei poteri locali che come misura per fronteggiare specifici eventi calamitosi. Una scelta politica, dunque, che ha superato letture più restrittive della norma.
Per tali profili, può concludersi che le soluzioni legittimanti i singoli commissariamenti e le evoluzioni giurisprudenziali non rappresentano, né hanno inteso rappresentare, interventi espropriativi del potere locale, né implicano, o hanno inteso implicare, valutazioni o giudizi (almeno da parte del Governo) sulla capacità di amministrare il fenomeno emergenza rifiuti né su singoli fatti di gestione.
I provvedimenti di commissariamento non hanno, perciò, natura sanzionatoria o surrogatoria nei confronti del potere locale. Ne è ulteriore conferma il fatto che, dopo le prime esperienze e più mature riflessioni, il Governo sembra definitivamente orientato ad affidare, dopo un informale procedimento di concertazione


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con le autorità locali, le gestioni commissariali non più ai prefetti (circostanza, questa, che avvalorerebbe una interpretazione della misura commissariale a carattere sanzionatorio) ma ai presidenti delle regioni ed ai sindaci e cioè a quegli stessi organi che avrebbero dovuto provvedere nell'ambito delle loro ordinarie competenze. Le deleghe prefettizie sono state, per lo più, disposte per affrontare le tematiche connesse al controllo della criminalità organizzata sui servizi di raccolta dei rsu e sugli impianti di discarica, nonché per risolvere condizionamenti collegati alla difficoltà di localizzare nuovi impianti di smaltimento. Peraltro, con tali scelte il Governo sembra avere raccolto anche taluni orientamenti che raccomandavano di affidare i poteri ed i mezzi straordinari alle stesse rappresentanze elettive (presidenti delle regioni e delle province, nonché i sindaci) titolari delle competenze e delle prerogative loro assegnate dal decreto legislativo n.22 del 1997. In tal modo, con il conferimento della straordinarietà della gestione ad un commissario, appare essere maggiormente garantito il mantenimento dell'assetto istituzionale.
In tali sensi, dunque, sembrano essere stati superati dal Governo i dubbi inizialmente sorti intorno alla pertinenza del richiamo legislativo ed all'esercizio del potere di ordinanza per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dalla gestione dei rifiuti. Peraltro, un conforto a tale orientamento lo si ritrova, latu sensu, anche nella sentenza n.127/1995 della Corte costituzionale, la quale ha avuto modo di interpretare la norma che individua la tipologia degli eventi che giustificano la dichiarazione dello stato di emergenza (articolo 2, comma 1, lettera c, della legge n.225/1992) ricomprendendo tra gli altri eventi anche le «situazioni di particolare rilievo sotto il profilo socio-economico-ambientali».

2. Le realtà commissariate e le questioni generali.

Si riportano, di seguito, alcuni prospetti che elencano i vari provvedimenti (dichiarazioni di emergenza e nomina dei commissari) di volta in volta emanati per ciascuna delle realtà commissariate.

Campania
19 gennaio 1994 - Nota del presidente della giunta regionale della Campania con cui si richiede un intervento straordinario (cit. in OPCM del 11 febbraio 1994).
11 febbraio 1994 - Dichiarazione dello stato di emergenza (DPCM del 11 febbraio 1994 - pubb. GU n.35 del 12 febbraio 1994) fino al 30 aprile 1994; proroga al 30 settembre 1994 con DPCM del 16 aprile 1994; proroga al 31 dicembre 1995 con OPCM del 07 ottobre 1994; proroga all'approvazione del piano regionale e non oltre il 31 dicembre 1996 con DPCM del 29 dicembre 1995; proroga al 31 dicembre 1997 con DPCM del 30 dicembre 1996; proroga al 31 dicembre 1998 con DPCM del 23 dicembre 1997; proroga al 31 dicembre 1999 con DPCM del 23 dicembre 1998 (GU n.7 dell'11 gennaio 1999); proroga al 31 dicembre 2000 con DPCM del 3 dicembre 1999 (GU n.289 del 10 dicembre 1999).
11 febbraio 1994 - Commissario di governo per la gestione dell'emergenza rifiuti (il prefetto di Napoli) - OPCM dell'11 febbraio 1994; proroga al 30 settembre 1994 - OPCM del 31 marzo 1994; estensione al settore dei rifiuti speciali - OPCM del 16 aprile 1994; proroga al 31 dicembre 1995 - OPCM del 7 ottobre 1994; impegno di 21 mld-decreto del 13 luglio 1995; proroga al 31 dicembre 1996 - OPCM del 18 marzo 1996; proroga di sei mesi a partire della O M Int. del 2 maggio 1997; proroga al 31 dicembre 1997 con O M Int. del 2 maggio 1997; proroga al 31 dicembre 1998 con O M Int. del 31 marzo 1998; proroga al 31 dicembre 1999 con O M Int. del 25 febbraio 1999 (GU n.50 del 2 marzo 1999); proroga al 31 dicembre 2000 - OPCM del 21 dicembre 1999 (GU n.1 del 3 gennaio 2000).
18 marzo 1996 - Commissario del governo per la redazione del piano regionale


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(il presidente della giunta regionale) - OPCM del 18 marzo 1996 - fino ad approvazione del piano regionale e non oltre il 31 dicembre 1996; proroga al 31 dicembre 1997 con O M Int. del 2 maggio 1997; proroga al 31 dicembre 1998 con O M Int. del 31 marzo 1998; proroga al 31 dicembre 1999 con OM Int. del 25 febbraio 1999; proroga al 31 dicembre 2000 - OPCM del 21 dicembre 1999 (GU n.1 del 3 gennaio 2000); firma di contratti per cdr - OM Int. n.3060 del 2 giugno 2000 (GU n.135 del 12 giugno 2000).

Puglia
23 settembre 1994 - Nota del prefetto di Bari con la quale si chiede un intervento straordinario.
8 novembre 1994 - Dichiarazione di emergenza ambientale con particolare riferimento al settore idrico ed al settore di smaltimento dei rifiuti solidi urbani - DPCM dell'8 novembre 1994 (fino al 31 dicembre 1995); proroga al 31 dicembre 1996 - DPCM del 1o aprile 1996; proroga al 31 dicembre 1997 - DPCM del 30 dicembre 1996; proroga al 31 dicembre 1998 - DPCM del 23 dicembre 1997; proroga al 31 dicembre 1999 - DPCM del 23 dicembre 1998; proroga al 30 giugno 2000 - DPCM del 29 dicembre 1999 (GU n.2 del 4 gennaio 2000, insieme alla regione Calabria); proroga al 31 giugno 2001 - DPCM del 16 giugno 2000 (GU n.146 del 24 giugno 2000, insieme alla Sicilia ed alla Calabria).
8 novembre 1994 - Commissario delegato all'emergenza (il prefetto di Bari) - OPCM dell'8 novembre 1994; estesa la competenza ai rifiuti speciali, assimilabili agli urbani, industriali, tossici e nocivi, ospedalieri - OPCM del 4 gennaio 1995; prorogato con OM Int. del 27 giugno 1996 (esclusi gli urbani); proroga al 31 dicembre 1997 con OM Int. del 30 aprile 1997 (GU n 104 del 7 maggio 1997); proroga al 31 dicembre 1998 - OM Int. del 31 marzo 1998; proroga al 31 dicembre 1999 con OM Int. del 31 maggio 1999; proroga al termine commissariamento con OM Int. del 3 marzo 2000.
27 giugno 1996 - Commissario delegato con il compito di predisporre un piano di interventi urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza - OM Int. del 27 giugno 1996 proroga al 31 dicembre 1997 - OM Int. del 30 aprile 1997 (la proroga prevede l'adeguamento al decreto legislativo n.22/97 e la verifica dei risultati ottenuti in materia di riciclaggio e recupero); proroga al 31 dicembre 1998 - OM Int. del 31 marzo 1998; proroga al 31 dicembre 1999 - OM Int. del 31 maggio 1999; OM Int. del 3 marzo 2000 che proroga le funzioni del prefetto fino al termine del commissariamento ed esclude il presidente della giunta regionale; OM Int. del 2 agosto 2000 che nomina il commissario (il presidente della giunta regionale).

Calabria
12 settembre 1997 - Dichiarazione dello stato di emergenza - DPCM del 12 settembre 1997 fino al 31 dicembre 1998; proroga al 31 dicembre 1999 - DPCM del 23 dicembre 1998; proroga al 30 giugno 2000 - DPCM del 29 dicembre 1999 (GU n.2 del 4 gennaio 2000, insieme alla regione Puglia); proroga al 31 giugno 2001 - DPCM del 16 giugno 2000 (GU n.146 del 24 giugno 2000, insieme alla Sicilia ed alla Puglia).
21 ottobre 1997 - Commissario delegato all'emergenza (il presidente della giunta regionale) - OM Int. del 21 ottobre 1997; «si avvale come vicario dell'assessore all'ambiente» - OM Int. del 7 novembre 1997; estensione alla gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, alla bonifica dei siti industriali ed alla tutela delle acque - OM Int. del 30 novembre 1998; proroga al 31 dicembre 1999 - OM Int. del 31 maggio 1999; proroga fino alla cessazione dello stato di emergenza - OM Int. n.3062 del 6 luglio 2000 (GU n.164 del 15 luglio 2000).

Sicilia
DPCM del 22 gennaio 1999 - Dichiarazione dello stato di emergenza fino al 30 giugno 2000.


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DPCM del 16 dicembre 1999 - Estensione al sistema dei rifiuti speciali e pericolosi, ed alle bonifiche.
DPCM del 16 giugno 2000 - Proroga al 31 giugno 2001 (GU n.146 del 24 giugno 2000, insieme alla Puglia ed alla Calabria).
OM Int. del 31 maggio 1999, n.2983 - Commissario delegato all'emergenza (il presidente della giunta regionale).
OM Int del 31 marzo 2000 - Estensione al commissario delegato delle competenze in materia di rifiuti speciali e pericolosi e di bonifiche.
OM Int del 21 luglio 2000 - Proroga dei poteri al commissario delegato fino alla fine dell'emergenza e contestuale proroga dei poteri conferiti al vice-commissario, al subcommissario ed ai prefetti delle province siciliane.

Una prima analisi dei provvedimenti porta ai seguenti punti comuni di attenzione.

2.1. Sul regime di concertazione.

Scorrendo rapidamente il complesso iter che ha portato alla decretazione delle varie emergenze (in particolare dai carteggi intervenuti tra i rappresentanti delle amministrazioni interessate, i prefetti, i commissari del Governo, i Ministeri dell'ambiente e dell'interno e la Presidenza del Consiglio dei ministri), si pone subito all'evidenza che l'iniziativa che ha portato al riconoscimento della gravità delle diverse situazioni che hanno giustificato gli interventi straordinari, pur se risulta di volta in volta dei presidenti delle giunte regionali, ovvero del ministro dell'ambiente, dei prefetti o dei sindaci, di fatto appare quale frutto di un'ampia concertazione tra i vari soggetti istituzionali. In taluni casi l'iniziativa è stata concordata (ancorché separatamente manifestata) da più organi, avvalendosi dell'opera del Ministero dell'ambiente, che si è fatto portavoce delle preoccupazioni e delle richieste pervenute dalle realtà locali. Trova, pertanto, conferma l'opinione sopra espressa che l'istituto del commissariamento per il settore rifiuti presenta caratteri di peculiarità tali che lo discostano in maniera significativa dallo spirito e dalle finalità dettate dalla legge n.225 del 1992.

2.2. Sui contenuti delle ordinanze.

Trattandosi sostanzialmente di atti amministrativi sia pure atipici in quanto contenenti deroghe a norme di legge al fine di disciplinare casi concreti e specifici (da ultimo C.C. n.127 del 14 aprile 1995), i provvedimenti debbono avere un'efficacia limitata nel tempo, un'adeguata motivazione, nonché appropriate forme di pubblicazione e conformità ai princìpi dell'ordinamento giuridico. La tutela giurisdizionale, come per tutti gli atti amministrativi, è assicurata dal giudice amministrativo, il quale accerta la conformità delle disposizioni alle finalità che l'atto si propone, tenendo ovviamente conto che la situazione straordinaria comporta scelte altamente discrezionali.
In via generale, pur con alcune differenze legate alle singole realtà territoriali, le ordinanze prevedono:
la nomina di un commissario straordinario, assistito da vice e sub commissari;
l'attribuzione al commissario del compito di redigere il piano per la gestione dei rifiuti e per le bonifiche;
la definizione di un programma di interventi urgenti;
la costituzione di organismi istituzionali di ambito e la costituzione di società miste all'interno di ciascun ambito;
la realizzazione e la gestione pubblica di discariche per rifiuti urbani sotto lo stretto controllo dei prefetti;
la realizzazione della raccolta differenziata e la valorizzazione di quanto raccolto separatamente;


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la produzione di combustibile derivato dai rifiuti per quella frazione che residua dopo la raccolta differenziata;
l'utilizzo del combustibile prodotto dagli impianti industriali in sostituzione di combustibili fossili nonché - per la parte di combustibile che non trova capienza - la realizzazione di impianti dedicati per l'utilizzo del combustibile derivato dai rifiuti nella produzione di energia;
alcune misure specifiche per l'approvazione di progetti di discariche di rifiuti speciali e pericolosi e per la loro autorizzazione;
previsioni di limitazioni all'importazione dei rifiuti.

In merito ai contenuti delle ordinanze, la Commissione osserva come, in talune ipotesi, queste prevedano adempimenti assai onerosi assegnando ad alcuni soggetti obiettivi da considerarsi irrealizzabili, non solo nei tempi brevi di validità dei provvedimenti, ma anche in tempi relativamente più lunghi. Così, ad esempio nell'ultima ordinanza del 21 luglio 2000 riguardante il commissariamento della regione Sicilia, viene prevista la realizzazione (ponendo l'onere del servizio a carico del CONAI) di una percentuale di raccolta differenziata pari al 50 per cento entro la fine del 2000 e del 65 per cento entro la fine del 2001. Tale previsione, tenuto conto di una situazione di partenza che evidenzia all'attualità percentuali minime di raccolta differenziata in tutte le province siciliane, non solo appare di difficile realizzazione, ma può risolversi in un non giustificato spostamento delle responsabilità, per il mancato conseguimento dell'obiettivo, dalle istituzioni competenti al CONAI.

2.3. Sui commissari delegati.

In occasione del contenzioso sorto in talune realtà, è stata sottolineata dal Governo l'ampia discrezionalità dell'autorità delegata a nominare i commissari.
Tale potere è stato esercitato nominando per la Campania dapprima (dall'11 febbraio 1994) il commissario di Governo, poi il prefetto di Napoli e, successivamente (dal 18 marzo 1996) ed in aggiunta al commissariamento prefettizio, il presidente della giunta regionale.
Per la Puglia, commissario delegato all'emergenza è dall'8 novembre 1994 il prefetto di Bari e, dal 27 giugno 1996 e con compiti diversi, il presidente della giunta regionale (si è visto che l'OM Int del 3 marzo 2000 ha escluso, poi, la delega a detto presidente, ma a tale rinomina si è poi provveduto con l'OM Int. del 2 agosto 2000 quando, cioè, a seguito delle elezioni, è stata costituita la nuova giunta).
Per la Calabria, commissario delegato all'emergenza è designato direttamente il presidente della giunta regionale; così per la Sicilia. Con gli ultimi provvedimenti di nomina dei commissari (Calabria, Puglia) il Governo sembra orientato a dimensionare gli incarichi fino alla cessazione dello stato di emergenza: in tal modo sarebbero superati i problemi scaturenti dai ritardi talvolta intervenuti nell'emanazione delle ordinanze.
Anche per la provincia di Roma, quale commissario straordinario viene designato il presidente della giunta regionale. Per tale ultima realtà, è appena il caso di fare cenno che la situazione d'emergenza scaturisce soprattutto dal fatto della previsione per l'anno giubilare di un sensibile aumento della produzione di rifiuti a causa del forte afflusso di pellegrini. Si tratta pertanto di un'emergenza dalle caratteristiche diverse rispetto a quella registrata nelle regioni meridionali, dovuta al forte incremento di rifiuti piuttosto che alla gestione ordinaria degli stessi. Un provvedimento di programmazione, dunque, più che una misura censoria.
I provvedimenti di designazione, anche se non omogenei nelle singole scelte e nei contenuti, in quanto adottati nel corso di progressivi approfondimenti da parte del Governo sull'evoluzione dell'istituto del commissariamento, tuttavia manifestano che, pur se l'attività dei soggetti delegati


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viene svolta nell'ottica di rappresentanza del Governo delegante, la finalità politica perseguita non è di espropriare una funzione all'organo istituzionalmente competente, ma quella di dotarlo di potestà e poteri straordinari per risolvere crisi di gestione che in parte derivano anche da anomalie e rigidità di sistema. I commissari, quindi, hanno il compito di provvedere, in deroga alle normali procedure, non solo ai più urgenti interventi di emergenza, ma anche all'attività progettuale, alla programmazione degli interventi futuri, alla verifica della validità delle soluzioni adottate nel regime precedente, al collaudo delle opere. Compiti che, certo, appaiono non compatibili con le assai ristrette previsioni di durata dei periodi commissariali.
Ma proprio per la peculiarità delle gestioni straordinarie, a parere della Commissione, i commissari delegati avrebbero dovuto interpretare il loro ruolo anche in chiave politica ricercando - in incontri con le istituzioni locali, con le rappresentanze dell'utenza, con le associazioni ambientaliste e con la stessa cittadinanza - coinvolgimenti e consensi alla propria attività programmatoria. Ruolo che tuttavia non appare essere stato sufficientemente coltivato in alcuna delle realtà interessate, ad eccezione della regione Calabria, dove si è fatto carico di questi compiti il presidente del comitato scientifico, sub commissario della gestione commissariale.
La distinzione dei ruoli nella volontà governativa appare di maggiore evidenza se si considera che, non a caso, le ordinanze assegnano ai prefetti (e non ai presidenti delle regioni) i compiti gestionali più immediati e condizionati dalle delicate realtà locali (vale la pena ricordare che i commissariamenti sono stati disposti per tutte e quattro le regioni cosiddette a rischio di presenza mafiosa). Significativamente, a queste autorità sono stati generalmente assegnati soprattutto gli incarichi di risolvere i più urgenti problemi connessi al reperimento di siti per lo smaltimento ed alla gestione delle discariche esaurite e non autorizzate, e sono stati lasciati, ai presidenti delle regioni i compiti (da assolvere con strumenti straordinari ed avvalendosi di espresse deroghe alla legislazione ordinaria) di predisporre e di approvare i piani di interventi urgenti e gli altri atti di programmazione del settore rifiuti. Peraltro, si tratta di una volontà manifestata in più occasioni anche dagli stessi responsabili governativi (v., da ultimo, l'audizione in data 13 luglio 2000 del ministro dell'ambiente, Willer Bordon, che si è reso interprete anche della posizione del Ministro dell'interno e dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri), orientata nel senso di conferire i poteri commissariali alla stessa autorità elettiva di governo regionale o locale.

2.4. Durata.

Secondo l'indicazione legislativa, le ordinanze debbono manifestare i loro effetti per un periodo limitato di tempo ed all'interno di un territorio ben definito.
Dopo le prime esperienze della Campania, che inizialmente hanno previsto tempi assai brevi, la prassi, dopo avere previsto (fino al marzo 2000) rinnovi della durata di un anno, sembra ora orientata nel senso di prevedere nomine dei delegati indefinite nel dies ad quem, che viene indicato soltanto nella data della fine del commissariamento (v. le ordinanze del ministro dell'interno 3 marzo 2000 e 6 luglio 2000 relative, rispettivamente, alla Puglia ed alla Calabria).
Resta fermo il fatto che la Campania è commissariata da circa sette anni; la Puglia da sei anni; la Calabria da oltre tre anni; la Sicilia quasi da due anni. Non vi sono segnali che facciano presumere l'imminente cessazione delle gestioni commissariali. Anche per tale aspetto, a prescindere da ogni altro giudizio di natura politica, appare improprio il ricorso alla legge n.225 del 1992, il cui spirito è improntato alla straordinarietà delle gestioni ed alla loro conseguente limitata durata. Tanto più quando si tratta di


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assolvere a compiti «ordinari», che rientrano nella competenza istituzionale di pubbliche amministrazioni.
Peraltro, il protrarsi delle gestioni commissariali per così lunghi periodi pone anche il problema, in disparte la pertinenza dello strumento legislativo utilizzato, se venendo di fatto meno, con il decorso del tempo, le motivazioni di emergenza possano ancora considerarsi costituzionalmente legittimate gestioni eccezionalmente giustificate dalla sola straordinarietà e temporaneità.

2.5. Rinnovi.

La Commissione ha avuto modo di rilevare che spesso all'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, portanti la proroga dello stato di emergenza relativo alle varie regioni, non ha fatto tempestivamente seguito la proroga o la nomina ex novo dei commissari straordinari. Ciò avrebbe comportato, secondo quanto lamentato da alcune delle realtà esaminate, problemi collegati alla legittimazione ad agire dei commissari cessati e non ancora rinominati. In alcuni casi il vuoto di legittimazione del commissario delegato ha generato ricorsi davanti ai tribunali amministrativi regionali con il rischio, quantomeno, di produrre sospensioni a provvedimenti riconosciuti urgentissimi ed emanati in regime di emergenza.
Il prospetto che segue riporta, nel dettaglio, le date dei singoli provvedimenti di proroga e di nomina dei commissari, evidenziando i relativi ritardi (fino a sette mesi).


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Nel corso dell'audizione del 19 luglio 2000, il direttore dell'Agenzia della protezione civile, Franco Barberi, ha chiarito che secondo l'interpretazione di quell'organo «la proroga dello stato di emergenza rende legittima l'ordinanza precedente e la mantiene in vigore». Il generale principio di continuità dell'azione amministrativa farebbe superare qualsiasi censura per difetto di competenza o legittimazione ad agire. A giustificazione dei ritardi, ha posto in evidenza come non sempre i provvedimenti di rinomina dei commissari possono seguire automaticamente ai rinnovi delle dichiarazioni di emergenza. Le regioni o gli altri soggetti interessati spesso richiedono modifiche dell'impalcatura e dei contenuti dell'ordinanza precedente, sicché sono necessarie ulteriori valutazioni e verifiche. Peraltro, vi sarebbero anche delicate questioni per la copertura finanziaria degli interventi (in qualche caso, in aggiunta al finanziamento a carico del Ministero dell'ambiente, è stato previsto l'impegno di risorse degli enti locali). La questione, che ha creato in talune realtà non pochi problemi, sembra ora in fase di superamento perché, come si è visto, le ultime proroghe dei commissari sono disposte fino alla fine dell'emergenza.
La tematica dei rinnovi ha formato oggetto di particolare attenzione della Commissione, la quale in varie occasioni è dovuta intervenire per sollecitare i provvedimenti di rinomina dei commissari e per censurare i ritardi del ministro dell'interno nell'adempimento. Le ragioni esposte dai rappresentanti del Governo appaiono certamente valide, ma una maggiore tempestività avrebbe sicuramente evitato di creare ulteriori momenti di crisi visti i già precari equilibri presenti nelle anomale gestioni condotte dai commissari.

2.6. Sull'intreccio di competenze tra Ministero dell'ambiente e Ministero dell'interno.

La questione dei rinnovi e dell'emanazione dei relativi provvedimenti rappresenta un'ulteriore occasione per esaminare, sotto altri profili, la congruità dell'utilizzo dello strumento normativo di cui alla legge n.225/1992. Infatti, è stato posto in evidenza, nel corso delle audizioni dei rappresentanti delle articolazioni governative interessate, che la procedura che attribuisce al ministro dell'interno il potere di ordinanza per le calamità e gli accadimenti di cui alla legge medesima appare del tutto impropria per i casi di specie, in quanto la materia rientra per intero nell'esclusiva competenza del ministro dell'ambiente. L'intervento del primo appare del tutto strumentale per consentire il ricorso al regime eccezionale della norma dettata per la protezione civile. Un'anomalia che, a parere della Commissione, richiede un pronto intervento legislativo.
Peraltro, l'attuale confusione di competenze non assegna precisi compiti e responsabilità di controllo e di verifica sull'attività dei commissari e sui risultati delle gestioni; né il Ministero dell'interno, né quello dell'ambiente hanno esercitato reali poteri di vigilanza e di controllo. Le gestioni commissariali non sembrano essere state supportate da adeguate azioni di coordinamento e di indirizzo, mentre i provvedimenti di rinnovo appaiono rituali e non motivati.

2.7. Sull'ambito di applicazione dei provvedimenti.

Circa i contenuti delle riconosciute emergenze e della straordinarietà dei poteri affidati ai commissari, occorre prendere atto che, per tutte le realtà, la decretazione ha inizialmente riguardato i soli rifiuti solidi urbani. Scorrendo, poi, i singoli provvedimenti si evince che i motivi che hanno promosso gli interventi del Presidente del Consiglio dei ministri si sono sostanziati tutti nell'impossibilità di disporre di discariche capaci ed idonee allo smaltimento dei RSU, anche in presenza dell'incapacità da parte degli enti locali di trovare soluzioni ai conflitti di interesse tra le popolazioni residenti, pressate dalle talvolta inconciliabili esigenze di richiesta di servizi efficienti e la


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non vicina localizzazione degli impianti di smaltimento.
È il problema delle discariche, quindi, che ha dato avvio alle gestioni straordinarie. Successivamente, sono stati fatti emergere anche i ben più gravi, ancorché meno manifesti, problemi dei rifiuti speciali tossico-pericolosi ed i provvedimenti di commissariamento sono stati estesi anche a questo settore. Quantomeno, il regime commissariale è valso a porre all'attenzione delle amministrazioni regionali e locali questioni da sempre irrisolte ed emarginate.

2.8. Sulla gestione delle discariche provvisorie durante il regime commissariale.

Nel corso dell'indagine è emerso che durante il regime commissariale, in talune realtà, si è continuato a fare ricorso a gestioni del servizio dello smaltimento dei rifiuti in discariche aperte con provvedimenti sindacali d'urgenza, come previsto dall'articolo 13 del decreto legislativo n.22/1997. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di discariche illegali successivamente legittimate ad operare in via provvisoria in attesa di soluzioni definitive. La gestione di tali emergenze spesso si risolve in concessioni di proroghe, senza indicazione di altre soluzioni. I commissari delegati (la delega per tali fattispecie è affidata nella quasi generalità dei casi ai prefetto) davanti all'estensione del fenomeno ed in carenza di altre soluzioni di carattere immediato, il più delle volte hanno perpetuato il regime di deroga autorizzando o sanando situazioni irregolari.
La Commissione - pur comprendendo i motivi che generano le ordinanze autorizzative ex articolo 13 - deve tuttavia manifestare perplessità e preoccupazione in ordine al perseverare di tali percorsi procedurali, che sembrano alimentare «pigrizie» ovvero incapacità di governare siffatte questioni. Peraltro, le soluzioni adottate non sembrano compatibili con lo spirito del ricorso al regime di commissariamento che viene invocato e disposto proprio per uscire definitivamente da queste emergenze.

2.9. Sul coordinamento con i diversi livelli delle istituzioni locali.

Si è già fatto cenno che un punto di crisi sembra percorrere in via generale le ordinanze: il mancato previsto coordinamento tra i poteri affidati ai commissari, nonché le competenze e le responsabilità dei diversi livelli delle istituzioni locali. Su tale tema, la Commissione - pur apprezzando la cura posta dal Governo nel non esasperare le insufficienze dello strumento normativo, conferendo i poteri straordinari ai presidenti delle giunte regionali (venendo in tal modo ad attenuare l'ulteriore grave anomalia di contemplare a carico dei commissari anche compiti di programmazione difficilmente compatibili con un regime eccezionale avente brevissimi tempi di validità) - osserva che il Governo non appare aver predisposto adeguate analisi. In particolare, ritiene che non abbia tenuto nel debito conto il fatto che le attività programmatorie e gestorie non potevano non misurarsi con l'impianto generale delle prerogative e delle competenze tracciato dal «decreto Ronchi». Il conferimento dei poteri straordinari a soggetti delegati dal Governo avrebbe, cioè, dovuto tenere in maggiore evidenza il sistema istituzionale delle articolazioni locali e contemplare, in uno con i compiti del presidente della regione, il conferimento di compiti e poteri anche ai presidenti delle province ed ai sindaci, seguendo il regime delle competenze delineato nel decreto.

3. Le realtà commissariate.

3.1. Regione Campania.

3.1.1. Cause ed iter dell'emergenza.

Le premesse per la dichiarazione dell'emergenza rifiuti e per la nomina dei


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commissari straordinari nascono da una serie di denunzie del presidente della regione che in data 10 novembre 1993, formalizzava la richiesta di «provvedimenti straordinari atti a fronteggiare con tempestività le situazione di grave rischio igienico, sanitario ed ambientale venutasi a creare a seguito della chiusura o saturazione delle discariche esistenti sul territorio campano». È seguita un'iniziativa del commissario di Governo della regione Campania (nota n.65409/CG del 19 gennaio 1994) il quale, sulla base di apposite segnalazioni dei prefetti delle varie province, riferisce sulla «grave situazione di emergenza ambientale venutasi a creare nella regione per l'impossibilità di smaltimento dei rifiuti solidi urbani». In effetti, nella delibera del 17 dicembre 1993 della giunta regionale della Campania, veniva fatto presente che circa «i 2/3 della produzione di rsu ed assimilabili vengono smaltiti presso discariche gestite da ditte private i cui impianti di smaltimento, ubicati in provincia di Napoli e Caserta, sono in via di esaurimento delle capacità autorizzate e del periodo temporale di validità delle autorizzazioni temporali».
In data 11 febbraio 1994, il Consiglio dei ministri (relazione del ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie e gli affari regionali, d'intesa con il ministro dell'ambiente) ha deliberato lo stato di emergenza dall'11 febbraio al 30 aprile 1994, autorizzando il Presidente a nominare un apposito commissario delegato e ad emettere la relativa ordinanza. In effetti, con DPCM 11 febbraio 1994, è stato delegato per tale emergenza, il commissario di Governo regionale, prefetto di Napoli, incaricato di fronteggiare la situazione sopra descritta d'intesa con il ministro dell'ambiente. Tale provvedimento contiene l'elenco di tutte le norme, statali e regionali, cui il commissario può derogare (in particolare norme sulle competenze delle amministrazioni locali, sugli appalti di forniture pubbliche e sulla gestione dei rifiuti) ed il conferimento di straordinari poteri per ordinare l'attivazione di nuovi impianti e di raccolte differenziate: finanziamento previsto otto miliardi, da prelevare sul conto residui del Ministero dell'ambiente.
Con successivo DPCM del 16 aprile 1994, la dichiarazione dello stato di emergenza è stata estesa anche ai rifiuti speciali e sono stati conferiti i relativi poteri allo stesso commissario nominato per i rsu.
A tali misure hanno fatto seguito altri provvedimenti di proroga della dichiarazione dello stato di emergenza e di nomina di commissari straordinari, secondo il prospetto che segue.
19 gennaio 1994 - Nota del presidente della giunta regionale della Campania con cui si richiede un intervento straordinario (cit. in OPCM dell'11 febbraio 1994).
11 febbraio 1994 - Dichiarazione dello stato di emergenza - DPCM dell'11 febbraio 1994 (GU n.35 del 12 febbraio 1994) - fino al 30 aprile 1994;
proroga al 30 settembre 1994 - DPCM del 16 aprile 1994;
proroga al 31 dicembre 1995 - OPCM del 7 ottobre 1994;
proroga all'approvazione del piano regionale e non oltre il 31 dicembre 1996 - DPCM del 29 dicembre 1995;
proroga al 31 dicembre 1997 - DPCM del 30 dicembre 1996;
proroga al 31 dicembre 1998 - DPCM del 23 dicembre 1997;
proroga al 31 dicembre 1999 - DPCM del 23 dicembre 1998 (GU n.7 dell'11 gennaio 1999);
proroga al 31 dicembre 2000 - DPCM del 3 dicembre 1999 (GU n.289 del 10 dicembre 1999).
11 febbraio 1994 - Commissario di governo per la gestione dell'emergenza rifiuti (il prefetto di Napoli) - OPCM dell'11 febbraio 1994;
proroga al 30 settembre 1994 - OPCM del 31 marzo 1994;


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estensione al settore dei rifiuti speciali - OPCM del 16 aprile 1994;
proroga al 31 dicembre 1995 - OPCM del 7 ottobre 1994;
impegno di 21 mld-decreto del 13 luglio 1995;
proroga al 31 dicembre 1996 - OPCM del 18 marzo 1996;
proroga di sei mesi OM Int. del 2 maggio 1997;
proroga al 31 dicembre 1997 - OM Int. del 2 maggio 1997;
proroga al 31 dicembre 1998 - OM Int. del 31 marzo 1998;
proroga al 31 dicembre 1999 - OM Int. del 25 febbraio 1999 (GU n.50 del 2 marzo 1999);
proroga al 31 dicembre 2000 - OPCM del 21 dicembre 1999 (GU n.1 del 3 gennaio 2000).
18 marzo 1996: Commissario del governo per la redazione del piano regionale (il presidente della giunta regionale) - OPCM del 18 marzo 1996 - fino ad approvazione del piano regionale e non oltre il 31 dicembre 1996;
proroga al 31 dicembre 1997 - OM Int. del 2 maggio 1997;
proroga al 31 dicembre 1998 - OM Int. del 31 marzo 1998;
proroga al 31 dicembre 1999 - OM Int. del 25 febbraio 1999;
proroga al 31 dicembre 2000 - OPCM del 21 dicembre 99 (GU n.1 del 3 gennaio 2000);
consente la firma di contratti per cdr - OM Int n.3060 del 2 giugno 2000 (GU n.135 del 12 giugno 2000).

Da quanto sopra si evince che il Governo ha proceduto, in data 18 marzo 1996, ad un secondo commissariamento della regione Campania, conferendo al presidente della giunta regionale poteri straordinari per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza. Tale commissariamento era ed è complementare a quello affidato tuttora al prefetto di Napoli: a questi spetta, infatti, l'individuazione dei siti di smaltimento in attesa del varo e dell'entrata in vigore del piano regionale d'emergenza, di competenza del commissario presidente della regione. In tal senso si è concretizzata, in questo come in altri casi, la linea di azione adottata dal Governo nazionale di conferire poteri di intervento immediato sulla gestione delle discariche (attività spesso controllate dalla criminalità organizzata) ai prefetti, meno pressati da condizionamenti locali, e di mantenere, invece, in capo alle rappresentanze elettive (ancorché con strumenti e poteri straordinari) la competenza istituzionale per la redazione e l'approvazione dei piani regionali. Ciò ad ulteriore conferma di quanto considerato dalla Commissione circa la natura non sanzionatoria dei provvedimenti di commissariamento, né espropriativa dei poteri locali.

3.1.2. I risultati delle gestioni.

Il piano regionale degli interventi è stato promulgato il 31 dicembre 1996 e successivamente (la pubblicazione è del 14 luglio 1997) è stato rivisitato e coordinato con la nuova normativa di cui al decreto legislativo n.22/97, nel frattempo intervenuta. In merito a tale piano, la Commissione ha già avuto modo di osservare (si veda la relazione territoriale sulla regione Campania, doc. XXIII n.13) come questa iniziativa non sia valsa a far superare la situazione emergenziale, in quanto nell'elaborato erano presenti elementi che di fatto rendevano inapplicabili le previsioni ivi contenute. Tra l'altro, veniva prevista una meccanica trasposizione degli obiettivi nazionali di raccolta differenziata, basata non già sulla reale situazione regionale ma sulle semplici indicazioni legislative. Non venivano concretamente indicati gli strumenti e le modalità per conseguire le quote di raccolta differenziata e neppure erano sempre indicati i


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siti dove localizzare gli impianti. L'indeterminatezza del piano ha portato all'attivazione di nuove discariche, in aperto contrasto con la normativa nazionale e comunitaria. In via più generale, ancorché attualmente vi siano segnali di mutamento di linea, la gestione commissariale non sembra avere ravvisato nella raccolta differenziata il perno della gestione integrale dei rifiuti, posto come obiettivo dal legislatore nazionale. Le indicazioni programmatiche del piano, che prevedevano ben cinque impianti termodistruttori (ora ridotti a due a seguito delle pressioni del Ministero dell'ambiente e della Commissione), hanno di fatto distolto l'attenzione dei comuni dalla raccolta differenziata, ritenuta come un aggravio di costi, da sostenere significativi finanziamenti aggiuntivi.
Oggi le gare in corso per la conduzione e la posa in opera degli impianti di compostaggio e le prime esperienze pilota (vedasi il caso di Pomigliano d'Arco, che produce il 17 per cento di raccolta differenziata e che vende il compost 20 lire al kg.) fanno ritenere che l'inversione di tendenza porterà a risultati soddisfacenti. Ciò risulti che a tutt'oggi mancano ancora la localizzazione di un impianto per la termodistruzione e quella definitiva degli impianti di produzione di cdr delle province di Avellino, Benevento e Salerno. Di recente (8 luglio 1999) è stato stipulato, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n.22/1997, un accordo di programma tra il presidente della regione Campania, il ministro dell'ambiente, il ministro dell'industria e la Confindustria campana, avente ad oggetto il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti industriali prodotti nella regione. Successivamente, per ridurre il conferimento alle discariche, il presidente delegato ha stipulato una convenzione con il Conai, con la quale il consorzio si è impegnato a ritirare, in centri di conferimento, gli imballaggi primari, secondari e terziari prodotti, nonché le frazioni nobili provenienti dalla raccolta differenziata. Tali misure, ancorché adottate dopo ben cinque anni di commissariamento, rappresentano, a parere della Commissione, un importante risultato per il superamento dell'emergenza e costituiscono un segnale che, con un'adeguata programmazione, il sistema rifiuti può raggiungere, anche in una regione così problematica come la Campania, livelli di gestione paragonabili a quelli europei.
Sul tema delle bonifiche, invece, la situazione appare ancora priva di qualsiasi iniziativa di rilievo. Permangono, nonostante il forte impegno della magistratura, i simboli (le torri del villaggio Coppola di Castelvolturno) degli abusi edilizi che hanno fatto scempio del litorale campano.
Per quanto concerne l'attività commissariale prefettizia, la Commissione ha già avuto modo di rappresentare che al conferimento dei poteri straordinari per il reperimento di siti per le discariche non hanno corrisposto adeguate soluzioni operative. Anzi, sottolineava come con la mancanza di concrete risposte si corresse il rischio di dare continuità e legittimazione alla «straordinarietà» delle gestioni. Il decorso di ben sette anni di attività avrebbe dovuto produrre risultati di gestione anche al di là della straordinarietà dei poteri e strumenti conferiti e delle deroghe concesse.
Sta di fatto però che, anche a causa di una non coordinata azione di intervento tra i due uffici commissariali, ancora è in atto l'emergenza rifiuti ed il problema delle discariche non è stato avviato a soluzione.
Il commissario prefetto, nel corso di un'audizione tenutasi il 21 settembre 1999, nel ricordare che le discariche per quanto riguarda la loro capienza e capacità ricettiva avrebbero cessato la loro attività rispettivamente il 31 marzo 2000 (Napoli, Caserta e Benevento), il 31 agosto 2000 (Salerno) e alla fine del 1999 (Avellino), ebbe a riconoscere che «ad oggi, malgrado le iniziative ed i tentativi di costruire altre discariche, per la ferma, rigida e preconcetta opposizione delle popolazioni locali, sostenute anche dagli enti locali, non sono riuscito a realizzare alcun progetto». Si tratta di un'affermazione


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che appare particolarmente preoccupante, ove si consideri che la designazione a commissario di un'autorità espressione del Governo, qual è il prefetto, sarebbe dovuta servire per rimuovere, con i poteri straordinari e derogatori conferiti nella delega, proprio quelle resistenze di cui sopra è cenno. D'altra parte, sono comprensibili gli imbarazzi e le difficoltà incontrati dal prefetto, che avrebbe dovuto assumere responsabilità di scelte di stretta natura politica, di esclusiva competenza delle rappresentanze elettive. Occorre ancora interrogarsi se, ed in quale misura, uno strumento quale quello disegnato dalla legge n.225/1992 sia idoneo a risolvere crisi di gestione in materia. Interrogativo che lo stesso prefetto si è posto da ultimo rappresentando (nota del 21 dicembre 1999) ai ministri dell'interno e dell'ambiente l'inopportunità di proseguire in regime di commissariamento, «attesa l'impossibilità .... di realizzare nuove discariche per il generale rifiuto opposto dalle popolazioni interessate, non appare né utile, né produttiva di concreti effetti, l'eventuale proroga dei poteri al prefetto di Napoli nella qualità di delegato all'emergenza rifiuti».
In merito c'è però ancora da dire che - sebbene la Campania continui a privilegiare di fatto l'attività di posa in discarica - l'attività commissariale prefettizia è riuscita in questo arco di tempo a sottrarre al controllo dei privati la quasi totalità degli impianti di discarica. Oggi tutti gli impianti rsu (ad eccezione di quello di Avellino, a gestione mista) sono gestiti da consorzi pubblici, secondo le previsioni della legge regionale n.10 del 10 febbraio 1993; risultato che non può non essere considerato positivo, tenuto conto delle risultanze processuali in ordine agli enormi interessi della criminalità organizzata sulle discariche.
Sul tema va aggiunto che l'allora prefetto di Napoli, Giuseppe Romano, evidenziò - prima nell'audizione davanti alla Commissione e poi nel citato seminario pubblico organizzato nel capoluogo campano - che se la gestione commissariale delle discariche aveva di fatto estromesso i privati, e dunque anche le aziende in vario modo legate alla criminalità organizzata, da tale fase del ciclo, non era possibile fare lo stesso discorso per le fasi della raccolta e del trasporto. Di più, lo stesso prefetto Romano denunciò che, sulla base di un censimento della prefettura, il 90 per cento delle ditte operanti nelle fasi della raccolta e del trasporto presentavano elementi di preoccupazione in questo senso.
Ed inoltre, il commissariamento prefettizio è valso a sancire il principio della provincializzazione dello smaltimento in ambito provinciale, con ciò addirittura anticipando le previsioni del «decreto Ronchi».
Per contro, se pure non può ignorarsi che l'attività prefettizia era da intendersi prevalentemente diretta a risolvere (anche avvalendosi di poteri ablativi) i problemi più urgenti della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, tuttavia il commissario delegato disponeva (e dispone) di ampi poteri derogatori per coprire anche momenti di programmazione e di avvio alle nuove politiche di gestione integrata. In proposito, è bene ricordare che il prefetto, in base all'OPCM dell'11 febbraio 1994, tra l'altro poteva ordinare raccolte differenziate e disporre altre misure di contenimento all'indiscriminato smaltimento in discarica.
Da ultimo, sul tema delle discariche la Commissione ha acquisito ulteriori testimonianze nel corso delle audizioni, in data 12 dicembre 2000, dei prefetti di Napoli e di Salerno, nonché del commissario e del subcommissario per l'emergenza rifiuti della regione Campania. In tale occasione, si è preso atto che il monitoraggio fatto eseguire dai commissari ha posto in evidenza il quasi totale esaurimento delle possibilità di utilizzo di tutte le discariche campane. Peraltro, la gestione commissariale, in quest'ultima fase di accelerazione dei lavori, ha previsto un potenziamento del patrimonio campano con nuovi impianti per la termovalorizzazione e per la produzione del combustibile derivato dai rifiuti. Per questi impianti - di cui è prevista l'entrata in


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funzione in tempi relativamente brevi - l'attivazione non è certamente compatibile con i termini fissati dall'attuale regime delle ordinanze. I soggetti auditi hanno denunciato che in Campania si versa in una vera e propria «emergenza nell'emergenza» ed hanno richiesto l'emanazione di una nuova ordinanza diretta a prorogare i poteri straordinari ed a consentire che l'attivazione dei nuovi impianti coincida con la prevista chiusura delle discariche. La Commissione segue con molta attenzione ogni ulteriore sviluppo della vicenda e sollecita il Governo perché eserciti tempestivamente il proprio potere di ordinanza, tenuto anche conto che, in carenza di quel provvedimento, nessuna autorità sarà abilitata a stipulare gli appalti per le realizzazione dei nuovi impianti di cdr.

3.1.3. L'attività d'inchiesta della Commissione.

La Commissione ha avuto modo di occuparsi delle gestioni commissariali in varie occasioni.
Un primo sommario esame della legislazione di emergenza e del piano di interventi si ritrova nella relazione territoriale sulla regione Campania, approvata l'8 luglio 1998 (doc. XXIII n.12).
Hanno fatto seguito specifiche attività d'inchiesta dirette ad acquisire elementi di informazione e giudizio, sia di carattere generale, sia su singoli segmenti delle tematiche commissariali e sugli atti di gestione.
In data 21 settembre 1999 è stato sentito il commissario delegato all'emergenza rifiuti, il prefetto di Napoli dottor Giuseppe Romano, nonché il presidente del comitato tecnico-scientifico di supporto ai commissari delegati, dottor Mario di Carlo. In tali audizioni sono state acquisite notizie sullo stato delle discariche (tutte in via di esaurimento) delle province campane e sulle resistenze incontrate nella propria attività dal prefetto, nonché è stata illustrata l'attività di supporto svolta dal comitato tecnico-scientifico nei confronti del commissario presidente della regione, soprattutto per quanto riguarda proposte di soluzione per la realizzazione di impianti mediante gare internazionali.
In data 26 novembre 1998, è stato sentito il vicecommissario per l'emergenza rifiuti, Ettore D'Elia, ed il presidente della giunta regionale della Campania. In data 23 settembre 1999, è stato poi sentito il commissario delegato all'emergenza rifiuti della regione Campania, Andrea Losco, presidente della giunta regionale, che ha illustrato l'attività regionale sottolineando le difficoltà connesse sia alla vetustà della crisi nel settore rifiuti, privo da decenni di seri atti programmatori, sia la scarsità di risorse per finanziare i progetti.
Sono state acquisite le periodiche relazioni sullo stato di attuazione delle due gestioni commissariali del prefetto e del presidente della giunta regionale, nonché un'altra relazione del sindaco di Napoli e quelle del commissario delegato per gli interventi di emergenza connessi al consolidamento del sottosuolo e dei versanti della città di Napoli (ordinanze del ministro dell'interno nn.2509/97, 2808/98 e 2949/99). In merito a tale ultimo commissariamento, occorre ricordare che, pur non essendo legato alla specifica emergenza rifiuti, è connesso al più complesso problema delle strutture a servizio del sistema igienico-sanitario del capoluogo campano.
L'attività di audizione e di acquisizione degli atti ha trovato un momento di sintesi generale e di confronto nel seminariotenutosi a Napoli il 18 febbraio 2000, il cui resoconto stenografico si trova in allegato agli Atti Parlamentari che riportano il resoconto stenografico n.150 della seduta della Commissione ciclo rifiuti del 2 marzo 2000. A tale seminario, tenutosi presso la sede della giunta provinciale di Napoli e che ha dato avvio ad analoghe iniziative nelle regioni Puglia e Calabria, hanno partecipato oltre che il Presidente Scalia ed il Vicepresidente Specchia, il presidente del consiglio provinciale di Napoli, Enrico Pennella; il prefetto di Napoli, Giuseppe Romano; il


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rappresentante dell'ENEA, dipartimento ambiente, Claudio de Cecco; il sub commissario con incarico per la raccolta differenziata, Giulio Facchi; il direttore dell'Arpa Campania, Antonio Tosi; il vicecommissario delegato per l'emergenza, Raffaele Vanoli; Anacleto Busà, consulente tecnico della Commissione; il sindaco di Villaricca, Nicola Campanile; il vicepresidente della provincia di Avellino, Nicola Cecchetti; Massimo Mendia, in rappresentanza dell'Unione industriali di Napoli; Vincenzo Panico, capo di gabinetto della prefettura di Caserta; Gennaro Volpicelli, docente di impianti chimici alla facoltà di ingegneria di Napoli; Donato Ceglie, sostituto procuratore presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere; Giovanni Russo, sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli; Enzo Ciaccio, redattore del quotidiano Il Mattino; il coordinatore regionale del Corpo forestale dello Stato per la Campania, Fernando Fuschetti; Marianne M. Myles, console generale degli Stati Uniti d'America a Napoli; Clemente Santillo, comandante provinciale della Guardia di finanza di Napoli; Elio Toscano, comandante della regione dei carabinieri della Campania.
L'attività seminariale si è articolata in sessioni di lavoro che hanno affrontato, in singoli blocchi di discussione, le tematiche generali sul funzionamento e sull'efficacia dell'istituto del commissariamento, le questioni connesse al supporto tecnico alle gestioni commissariali ed i risvolti dell'emergenza collegati agli interessi della criminalità organizzata. Ha fatto seguito un dibattito, che ha fatto emergere anche singole questioni locali, nonché una tavola rotonda, che ha raccolto le posizioni e le proposte delle realtà istituzionali intervenute. Le conclusioni del Presidente Scalia sono state, ovviamente, interlocutorie in quanto solo con la presente relazione, che conclude questa fase dell'inchiesta, la Commissione è in grado di formulare giudizi definitivi sull'istituto del commissariamento e sulle risultanze delle singole gestioni esaminate.

3.2. Regione Puglia.

3.2.1. Cause ed iter dell'emergenza.

L'iter dei provvedimenti che hanno decretato l'emergenza rifiuti, e la connessa designazione di commissari delegati per la regione Puglia, risulta dal seguente prospetto.
23 settembre 1994 - Nota del prefetto di Bari con la quale si chiede un intervento straordinario.
8 novembre 1994 - Dichiarazione di emergenza ambientale con particolare riferimento al settore idrico ed al settore di smaltimento dei rifiuti solidi urbani - con DPCM dell'8 novembre 1994 - fino al 31 dicembre 1995
proroga al 31 dicembre 1996 - DPCM del 1o aprile 1996;
proroga al 31 dicembre 1997 - DPCM del 30 dicembre 1996;
proroga al 31 dicembre 1998 - DPCM del 23 dicembre 1997;
proroga al 31 dicembre 1999 - DPCM del 23 dicembre 1998;
proroga al 30 giugno 2000 - DPCM del 29 dicembre 1999 (GU n.2 del 4 gennaio 2000, insieme alla regione Calabria);
proroga al 31 giugno 2001- DPCM del 16 giugno 2000 (GU n.146 del 24 giugno 2000, insieme alla Sicilia ed alla Calabria).
8 novembre 1994 - Commissario delegato all'emergenza (il prefetto di Bari) - OPCM dell'8 novembre 1994;
estesa la competenza ai rifiuti speciali, assimilabili agli urbani, industriali, tossici e nocivi, e ospedalieri - OPCM del 4 gennaio 1995;
prorogato con OMint. del 27 giugno 1996 (esclusi gli urbani);
proroga al 31 dicembre 1997 - OMint. del 30 aprile 1997 (GU n.104 del 7 maggio 1997);


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proroga al 31 dicembre 1998 - OMint. del 31 marzo 1998;
proroga al 31 dicembre 1999 - OMint. del 31 maggio 1999;
proroga alla fine commissariamento - OMint. del 3 marzo 2000.
27 giugno 1996 - Commissario delegato (il presidente della giunta regionale) con il compito di predisporre un piano di interventi urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza - OMint. del 27 giugno 1996;
proroga al 31 dicembre 1997 - OMint. del 30 aprile 1997 (la proroga prevede l'adeguamento al decreto legislativo n.22/97 e la verifica dei risultati ottenuti in materia di riciclaggio e recupero);
proroga al 31 dicembre 1998 - OMint. del 31 marzo 1998;
proroga al 31 dicembre 1999 - OMint. del 31 maggio 1999;
OMint. del 3 marzo 2000 che proroga le funzioni del prefetto fino alla fine del commissariamento ed esclude il presidente della giunta regionale;
OMint. del 2 agosto 2000 che nomina il presidente della giunta regionale.

Il regime di emergenza prende, dunque, formalmente avvio dall'iniziativa del prefetto di Bari, che rappresenta al Governo situazioni di rischio igienico-sanitario per il settore del ciclo delle acque e dello smaltimento dei rifiuti, settori entrati in ulteriore stato di crisi a causa della pressione sulle coste pugliesi della massiccia immigrazione clandestina proveniente dall'Albania. Nel DPCM dell'8 novembre 1994 viene ricordato che per la predisposizione del piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti si era già giunti alla nomina di commissari ad acta nella persona dei prefetti di tutte e cinque le province pugliesi. Lo stesso provvedimento richiama anche la deliberazione con la quale la regione Puglia denunzia l'esistenza di condizioni igienico-sanitarie del tutto inadeguate e rappresenta la necessità del ricorso ai finanziamenti aggiuntivi e poteri speciali «che solo lo Stato può esercitare con la dovuta competenza funzionale e finanziaria». Conseguentemente, l'emergenza è stata dichiarata con riferimento all'approvvigionamento, adduzione e distribuzione idrica, nonché allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Commissario delegato è designato il prefetto di Bari, incaricato di predisporre (d'intesa con il Ministero dell'ambiente e sentite le amministrazioni interessate) un programma di interventi e di realizzare le iniziative necessarie per fronteggiare lo stato di crisi.
Avverso tale decreto ed alla correlata ordinanza di nomina del commissario, la regione Puglia ha promosso ricorso davanti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione lamentando, tra gli altri motivi di censura, il non pertinente ricorso alla legge n.225/92, non ricorrendo nel caso di specie le calamità e gli altri eventi richiamati, a presupposto del regime speciale, dalla lettera c) dell'articolo 2. La regione argomentava facendo anche presente che, anziché promuovere un regime commissariale, il Governo avrebbe dovuto assegnare all' amministrazione regionale risorse finanziarie adeguate per fronteggiare la crisi e per avviare una politica coordinata di risanamento del territorio. Non si sarebbe così attuata «l'espropriazione» ai danni della regione delle attribuzioni costituzionalmente garantite dagli articoli 117,118 e 119 Cost.
È ben noto che la Corte costituzionale, con la sentenza n.127/1995, non ha accolto il ricorso della regione, almeno per la parte in cui questa lamentava l'illegittimità del richiamo al regime della legge n.225/1992. Ha ritenuto, invece, fondate le censure che la regione ha mosso al decreto di commissariamento nella parte in cui veniva previsto, tra commissario delegato ed amministrazione regionale, non un regime d'intesa ma la semplice acquisizione di pareri.
Non è certo questa la sede per disquisire sulla giurisprudenza costituzionale, né


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appare opportuno prendere parte alla diatriba giuridica. Appare, però, utile notare che, al di là di ogni soluzione giuridica, rimane la responsabilità dell'agire politico dell'Amministrazione regionale la quale, per un verso, richiede essa stessa «misure straordinarie di accelerazione degli interventi.... anche tramite l'uso di poteri speciali che appartengono esclusivamente alla competenza funzionale e finanziaria dello Stato» (delib. giunta regionale n.6957 del 18 ottobre 1994), e, per altro verso, rivendica autonomie e lamenta invasione di attribuzioni.
La vicenda, a giudizio della Commissione, sollecita valutazioni di natura politica, sia sull'operato dell'Amministrazione che non riesce con le normali competenze e strumenti istituzionali a dare congrue risposte a servizi pubblici essenziali, sia sulla pertinenza (politica non giuridica) del ricorso per lunghi periodi di tempo a regimi di emergenza che finiscono con il sacrificare sine die le autonomie regionali e locali. Il Parlamento, a giudizio della Commissione, dovrà assumere tali delicate tematiche e ricercare nuovi strumenti normativi che, nell'assegnare poteri speciali in ragione delle emergenze di cui si discute, salvaguardino e garantiscano le autonomie nonché le attribuzioni regionali e locali.
I successivi provvedimenti di proroga dell'emergenza confermano, anche per la Puglia, quel regime di concertazione tra amministrazione regionale e Governo di cui si è già detto e che prevedono l'attribuzione dei poteri speciali di commissario straordinario allo stesso presidente della giunta regionale. L'ultima OMint. (3 marzo 2000), mentre proroga le competenze del prefetto fino alla fine del commissariamento, esclude il rappresentante regionale. Su questo punto, vi è un preciso impegno del ministro dell'ambiente (v. audizione del 13 luglio 2000) a «ricondurre nuovamente in capo al presidente della giunta regionale i poteri già inizialmente a lui affidati e poi trasferiti al prefetto, fermi restando i poteri riguardanti il controllo delle discariche che rimangono, come per tutte le altre regioni, in capo ai prefetti» medesimi. A tale impegno il Ministro ha fatto fede nominando nel successivo mese di agosto il presidente della giunta regionale quale delegato all'emergenza. Allo stato attuale coesistono, con funzioni e compiti diversi, le due strutture commissariali. Per l'attuazione degli interventi il prefetto delegato dispone ora di una struttura che si avvale, tra l'altro, dei presidenti delle province in qualità di sub commissari e di altro sub commissario individuato ai sensi dell'ordinanza n.2450/1996. Amplissimi i poteri che, di fatto, riguardano la programmazione e la gestione di tutte le fasi del ciclo dei rifiuti, oltre alla realizzazione ed alla localizzazione dei relativi impianti.

3.2.2. I risultati delle gestioni.

La prima fase dell'emergenza, dal novembre 1994 al maggio 1997, ha prodotto la realizzazione di un unico impianto di smaltimento rifiuti (la discarica controllata di Cerignola, che ha consentito di provvedere allo smaltimento dell'intera provincia di Foggia). Nel dicembre 1996 è stato anche definito un primo programma di emergenza orientato soprattutto a fronteggiare le emergenze mediante la localizzazione di siti di discariche controllate.
Nonostante i risultati finora conseguiti siano ancora da considerarsi insoddisfacenti, l'ultimo periodo commissariale fa registrare un significativo aumento della raccolta differenziata. I pur bassi valori (4,9 per cento di raccolta differenziata rsu nell'ottobre 1999 rispetto al 3,4 per cento del trimestre precedente) fanno presumere un impegno più deciso ed un nuovo sistema che comincia ad andare a regime. Degno di rilievo è il fatto che interessati alla raccolta differenziata sono ora il 76 per cento dei comuni pugliesi con una popolazione di oltre l'80 per cento del totale regionale.
Ancora non sono state fornite congrue risposte all'interrogativo se (ed in quale percentuali) il materiale proveniente dalla raccolta differenziata finisca poi in discarica.


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Per ciò che concerne la produzione di compost di qualità sono state ultimate (31 dicembre 1999) le procedure di gara per l'affidamento della realizzazione di otto nuovi impianti che vanno ad aggiungersi ai tre esistenti di cui, però uno in esercizio provvisorio, uno in fase di avviamento ed uno in fase di adeguamento. La situazione, pertanto, è ben lungi dall'essere ancora dal rappresentare un servizio a disposizione della collettività. Così per gli impianti pubblici di cdr per i quali è stata appena completata la fase di localizzazione.
In ogni caso, va ricordata che ogni risultato conseguito non può non essere misurato con i tempi del commissariamento. In un periodo di tempo di oltre sei anni sarebbe stato lecito attendere le realizzazioni di cui sopra anche da una gestione ordinaria, priva di così ampi poteri speciali e di così diffusi strumenti derogatori.
Per quanto riguarda in particolare la gestione prefettizia, va sottolineato che per il settore acque il commissario ha proceduto ad un accorpamento dei finanziamenti (circa 900 miliardi) provenienti dalle diverse erogazioni governative, dei fondi europei, dei mutui comunali e di stanziamenti precedenti mai utilizzati. Nel corso del seminario organizzato a Bari, il prefetto ha reso noto che a tutto il marzo 2000 sono state impegnate somme per 800 miliardi e che i programmi del settore acque sono da considerarsi completati in quanto pronti i depuratori, le reti fognanti ed i collegamenti (mancano i recapiti finali delle acque ed il loro utilizzo, ma tale materia non era fino allo scorso anno di competenza del commissario (è stata aggiunta con l'odierna ordinanza per consentire l'entrata in funzione degli impianti. In tale situazione, secondo il Commissario «avremmo sostanzialmente esaurito i compiti assegnati al commissariamento delle acque».
In tema di raccolta e smaltimento dei rsu, la politica commissariale è andata nella direzione di promuovere la formazione di consorzi tra comuni; ciò anche al fine di rompere l'attuale sistema gestionale controllato quasi totalmente da potentati imprenditoriali che, non avendo interessi a modificazioni strutturali e convenzionali, creano rigidità e regimi sostanzialmente oligopolistici. Tale politica gestionale, indubbiamente, viene favorita dalla nuova ordinanza del 3 marzo 2000 che, nel conferire al prefetto di Bari tutti i poteri per la gestione dell'emergenza rifiuti già attribuiti al presidente della giunta regionale, a creato a latere del commissario delegato, una nuova struttura composta dai presidenti delle provincie in qualità di sub-commissari. In tale modo è stata possibile un'azione programmatoria che ha consentito di non fare indiscriminato ricorso, in nome dell'emergenza, a concessioni per la posa in funzione di nuove discariche. In ogni caso, sembra ancora lontano una cultura di gestione integrata che non privilegi la soluzione discarica e termodistruzione indiscriminata senza attività di recupero.
Per quanto concerne la gestione commissariale del presidente della giunta regionale, partita come già è stato ricordato, nel giugno del 1996 ed inizialmente avente a contenuto soprattutto la definizione del piano di interventi urgenti per fronteggiare le situazioni di emergenza, occorre ricordare che essa ha avuto inizio quando ancora non era stato emanato il decreto legislativo n.22/1197. In tale stato di cose, l'impegno del commissario presidente della giunta, confermato fino all'ordinanza del marzo 2000, si è esplicato soprattutto per rendere compatibili le opzioni dell'iniziale piano di emergenza con le successive prescrizioni del «decreto Ronchi», in particolare alla gestione integrata dei rifiuti orientata al recupero ed al riciclaggio. In effetti, nel luglio 1977, quel commissario delegato e la sua straordinaria struttura, hanno definito il nuovo programma ed acquisito la preventiva intesa del ministro dell'ambiente. L'azione commissariale si è esplicata soprattutto nella promozione di iniziative finalizzate a porre in essere accordi di programma con consorzi ed associazioni di categoria per lo sviluppo ed il conferimento della raccolta differenziata. In questa direzione,


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sono stati finanziati progetti di enti locali e di altri soggetti consorziati, finalizzati anche alla produzione di compost di qualità, a linee di produzione di combustibile da rifiuti (cdr) da utilizzare prioritariamente in impianti industriali già attivi. Nella sostanza la gestione si è mossa nella logica di non promuovere nuove discariche ma, anzi, di ridurne il numero e di controllarne l'attività.

3.2.3. L'attività d'inchiesta della Commissione.

Già con relazione territoriale sullo stato delle attività connesse alle varie fasi del ciclo dei rifiuti nella regione Puglia (doc. XXIII, n.19 approvato nella seduta del 17 dicembre 1998) la Commissione rendeva noto di avere dato, nel quadro dell'indagine generale programmata sul tutto il territorio nazionale, all'inchiesta su quella regione, proprio in ragione del fatto del persistere del regime commissariale instaurato nel 1994. Nel corso dell'audizione del 18 novembre 1998, la Commissione aveva udito sugli specifici temi dell'emergenza il presidente della giunta regionale, Salvatore di Staso, ed il presidente della commissione scientifica per l'emergenza socio-economico-ambientale, Walter Ganapini. Successivamente sono stati nuovamente auditi (seduta del 6 ottobre 1999) i commissari delegati all'emergenza, Salvatore di Staso (presidente della giunta) e Giuseppe Mazzitello (prefetto di Bari).
Nel corso della missione in Puglia tenutasi nel gennaio 1998, per ciò che concerne i profili d'interesse per la questione emergenza, sono stati sentiti anche l'assessore regionale all'ambiente, Mattia Mincuzzi; il subcommissario delegato all'emergenza, Biagio Ciuffreda; Salvatore Sechi, coordinatore del settore smaltimento rifiuti della regione; Luca Limongelli, coordinatore dell'ufficio del commissario all'emergenza. Le audizioni tra, l'altro, hanno fatto emergere una situazione di sostanziale oligopolio nella gestione della quasi totalità delle discariche pugliesi e, conseguentemente, un regime tariffario estremamente oneroso e produttivo di interessi così rilevanti da impedire, di fatto, qualunque modificazione sullo stato di fatto e normativo. Anche tale circostanza, avrebbe generato l'esigenza di provvedere al riordino del settore con mezzi straordinari.
L'attività seminariale, parallela a quella promossa per la regione Campania, si è tenuta il 7 marzo 2000 a Bari, presso la sede del consiglio provinciale. Anche in questo caso la peculiare situazione regionale è stata occasione per un generale esame dell'istituto del commissariamento correlato al settore dei rifiuti.
I lavori, coordinati dal Presidente Scalia ed avviati con la relazione del Vicepresidente della Commissione Gerardini, sono stati articolati in sessioni di lavoro aventi rispettivamente ad oggetto «riflessioni sull'istituto del commissariamento, suo funzionamento ed efficacia»; «il supporto tecnico alla gestione commissariale»ed un dibattito su queste tematiche generali. È seguita una seconda fase, dove sono stati affrontati i temi dei «risvolti criminali dell'emergenza». Al termine, prima delle conclusioni del Presidente Scalia, si è tenuta una tavola rotonda con gli interventi dei rappresentanti di tutte le forze dell'ordine impegnate nell'azione di contrasto, controllo e tutela ambientale.
Sono intervenuti, il Vicepresidente della Commissione Specchia nonché nell'ordine: il presidente del consiglio provinciale di Bari, Alfonso Pisicchio; Vito Leccese, assessore all'ambiente della provincia di Bari; Luca Limongelli, collaboratore della struttura commissariale per l'emergenza dei rifiuti della regione Puglia; Giuseppe Mazzitello, prefetto di Bari e commissario delegato per l'emergenza rifiuti; Franca Ferri, dirigente dell'ENEA, dipartimento ambiente; Luciano Galeone, presidente di Tecnopolis; Walter Ganapini, presidente dell'ANPA e presidente del comitato scientifico di supporto al commissario delegato; Angelo Colagione, assessore all'ambiente e territorio della provincia di Foggia; Antonio di Santo, docente di infrastrutture idrauliche del politecnico


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di Bari e responsabile dell'area ambiente e territorio dei democratici di sinistra della provincia di Bari, Augusto Lagasta, esperto e consulente su questioni ambientali; Antonio Luca, assessore all'ambiente della provincia di Lecce; on.Lucio Marengo, segretario dell'ufficio di Presidenza della commissione parlamentare sui rifiuti; Giovanni Pluchino, presidente della commissione ambiente della Confindustria Federpuglia; Salvatore Sechi, coordinatore del settore rifiuti della regione; Dario Stefàno, Vicepresidente dell'associazione industriali di Lecce; Salvatore Valletta, rappresentante dell'associazione culturale ANARRES; Marcello Vernola, presidente della Giunta provinciale di Bari; Raffaele Gorgoni, cronista della RAI, T3-Puglia; Riccardo Bitonto, procuratore della repubblica di Bari; Giovanni Giorgio, sostituto procuratore presso la DDA di Bari; Col, Edoardo Centore, dell'arma dei carabinieri; Giulio Cocca, coordinatore regionale del Corpo forestale dello Stato, Puglia; Franco Malvano, questore di Bari; Nicola Armando Romito, coordinatore delle capitanerie di porto in Puglia; Renato Zito, comandante del nucleo regionale di polizia tributaria.
Tutti gli interventi sono pubblicati tra gli atti parlamentari in allegato al resoconto stenografico n.158 della seduta della Commissione d'inchiesta tenutasi il 18 aprile 2000.

3.3. Regione Calabria.

3.3.1. Cause ed iter dell'emergenza.

La dichiarazione dello stato d'emergenza è stata acclarata con DPCM del 12 settembre 1997. Si tratta di un provvedimento del tutto peculiare in quanto, più che richiamare gli attuali accadimenti che determinano le emergenze, si limita a prendere atto che «il sistema di smaltimento dei rifiuti solidi urbani della regione Calabria si è caratterizzato nel tempo, anche a causa dell'inadeguatezza strutturale delle discariche esistenti, come una situazione straordinaria che presenta peculiarità tali da potersi considerare estremamente pericolosa per l'ambiente e la salute...». Il decreto, cioè, accerta una la crisi generale del sistema ed enuncia che questa non appare superabile con i mezzi ed i poteri straordinari. Si tratta, è evidente, del riconoscimento di una incapacità, passata e presente, di provvedere al servizio con i normali strumenti normativi e legislativi. Peraltro, il decreto medesimo richiama le manifestazioni di volontà con le quali sia la Regione, sia il ministero dell'ambiente, sollecitano la dichiarazione d'emergenza. Allo stesso modo, la giunta regionale, con la delibera n.4640 del 2 ottobre 1998, chiede l'estensione della dichiarazione d'emergenza anche al settore dei rifiuti speciali specificando nelle premesse che la crisi è dovuta soprattutto ad errori di progettazione, alla vetustà degli impianti, ad insufficienze strutturali, alla inesistenza di strutture tecniche-amministrative preposte ai servizi. È manifesto, in questo caso più che negli altri, che il regime di emergenza e di commissariamento è frutto di una concertazione tra i vari livelli di responsabilità locali e centrali e che il ricorso alla straordinaria e derogatoria disciplina di cui alla legge n.225/92, più che ad oggettivi riscontri dei fatti descritti dalla norma, rappresenta un mero (e forse improprio) strumento per dare corpo a quanto concordato.
I vari provvedimenti di proroga e di successive nomine dei commissari sono avvenuti secondo il seguente prospetto.
12 settembre 1997 - Dichiarazione dello stato di emergenza con DPCM del 12 settembre 1997
fino al 31 dicembre 1998;
proroga al 31 dicembre 1999 con DPCM del 23 dicembre 1998;
proroga al 30 giugno 2000 con DPCM del 29 dicembre 1999 (G. U. n.2 del 4 gennaio 2000, insieme alla regione Puglia);
proroga al 31 giugno 2001con DPCM del 16 giugno 2000 (G. U. n.146 del 24 giugno 2000) (insieme alla Sicilia ed alla Puglia).


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21 ottobre 1997 - Commissario delegato all'emergenza il presidente della regione con OMint.
del 21 ottobre 1997
«si avvale come vicario dell'assessore all'ambiente» con OMint. del 7 novembre 1997
estesi alla gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, alla bonifica dei siti industriali ed alla tutela delle acque con OMint. del 30 novembre 1998
proroga al 31 dicembre 1999 con OMint. del 31 maggio 1999
proroga fino alla cessazione dello stato di emergenza con OMint. n.3062 del 6 luglio 2000 (G. U. n.164 del 15 luglio 2000).
Commissario delegato è stato nominato lo stesso presidente della giunta regionale, incaricato di attivare, con ampi poteri derogatori, gli interventi necessari per fronteggiare, dapprima, le emergenze connesse allo smaltimento dei rsu e, successivamente (v. ord. del ministro dell'interno n.2984 del 31 maggio 1999) di tutte le attività di gestione e di programmazione connesse all'intero ciclo ivi compreso quello dei rifiuti speciali.
A supporto della gestione commissariale per i rifiuti solidi urbani è stato costituito un comitato tecnico-scientifico, con presidente Italo Reale, nominato anche subcommissario dell'emergenza rifiuti nella regione.

3.3.2. I risultati delle gestioni.

Il presidente del comitato tecnico scientifico, nel sottolineare i pur rilevanti risultati conseguiti, ha osservato, in via generale, come possano generarsi ulteriori difficoltà quando gli strumenti e le risorse poste a disposizione della straordinarietà si confrontano con strutture istituzionali e burocratiche che lavorano con i tempi dell'ordinarietà. Così, per il caso Calabria la gestione commissariale ha dovuto fin dall'inizio superare gli imbarazzi generati dai ritardi nell'emanazione delle ordinanze di nomina e proroga dei commissari (al 1o giugno 2000, data del seminario di Reggio Calabria, non era stato ancora nominato il commissario per l'emergenza decretata con il DPCM del 29 dicembre 1999 e scadente il 30 giugno 2000); problema particolarmente sentito nella regione anche a causa della sostanziale carenza di legittimazione nei confronti soprattutto dei comuni che a volte mostrano di mal tollerare il regime commissariale. Successivamente al seminario tenutosi a Reggio Calabria in data 1o giugno 2000, tuttavia, è intervenuta la OMint. n.3062 del 6 luglio 2000 che ha prorogato il conferimento dei poteri delegati al presidente della giunta regionale fino alla cessazione dello stato di emergenza. Il problema, quindi, sembra, ora definitivamente risolto.
Relativamente alla raccolta differenziata, sono stati attivati sei dei quattordici sub ambiti in cui il piano degli interventi suddivide il territorio regionale. e sono stati acquistati, con l'impegno di risorse finanziarie pari a circa 21 miliardi, mezzi ed attrezzature per il conseguimento degli obiettivi del piano medesimo.
Per ciò che concerne il sistema delle discariche, occorre sottolineare, come elemento di rilievo, che la gestione commissariale a disposto la chiusura di 340 discariche abusive ed il ripristino di 30 discariche debitamente autorizzate.
L'ultimo provvedimento di proroga dell'emergenza (DPCM 16.10.2000) affida al prefetto di Catanzaro uno speciale ruolo di commissario vicario con poteri di vigilanza.

3.3.3. L'attività d'inchiesta della Commissione.

Oltre le considerazioni di carattere generale sulla situazione complessiva della regione contenute nella relazione territoriale sulla Calabria (doc. XXIII n.38, approvato il 19 gennaio 2000) e nella relazione alle Camere sull'attività svolta dalla Commissione (doc. XXIII n.35), la


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Commissione medesima ha raccolto elementi di informazione e giudizio mediante audizioni in sede e nel corso di apposite missioni in loco.
Da ultimo, sugli specifici temi dell'emergenza e delle attività dei commissari delegati sono stati sentiti Luigi Meduri, presidente della giunta regionale della Calabria e commissario delegato all'emergenza (audizione del 23 novembre 1999) ed il dottor Italo Reale, presidente del comitato tecnico scientifico di supporto alla gestione commissariale per i rifiuti solidi urbani in Calabria (audizione del 2 dicembre 1999).
Inoltre, anche per la Calabria, nel quadro del programma generale d'inchiesta a suo tempo deliberato dalla Commissione, si è tenuta, il 1o giugno 2000, a Reggio Calabria, sede del consiglio regionale, un seminario pubblico avente ad oggetto «L'istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti».
Alla pari delle precedenti iniziative di Napoli e Bari, gli approfondimenti sono stati organizzati con la medesima articolazione per sessioni di lavoro tenutasi nelle altre occasioni. I lavori sono stati coordinati dal Presidente on.Scalia e sono stati avviati, dopo gli indirizzi di saluto, da una relazione del senatore Specchia. Nell'ordine sono intervenuti: Angelo Barillà, assessore regionale all'industria ed attività produttive del comune di Reggio Calabria; Italo Reale, sub-commissario delegato per l'emergenza rifiuti; Antonio Catanese, procuratore della Repubblica dei Reggio Calabria; Francesco Curcio, dirigente del Corpo forestale dello Stato per la Calabria; Vincenzo Gallitto, prefetto di Catanzaro; Domenico Basile, componente della commissione tecnico- scientifica di supporto al commissario delegato; Aldo Alessio, sindaco di Gioia Tauro; Silvio Cangemi, assessore all'ambiente della provincia di Reggio Calabria; Carlo Ferrigno, prefetto di Reggio Calabria; Filippo Italiano, assessore all'ambiente del comune do Rosarno; Ortensio Longo, assessore all'ambiente del comune di Cosenza; Giacomo Saccomanno, presidente del centro di azione giuridica di legambiente della Calabria e componente dell'ufficio di presidenza nazionale; Alberto Cisterna, sostituto procuratore della Repubblica presso la dda di Reggio Calabria; Franco Piglieci, consigliere regionale; Paolo Pallichieni, cronista della Gazzetta del Sud; Emilio Borghini, comandante della regione carabinieri, Calabria; Angelo Cardile, comandante della Guardia di finanza della regione Calabria; Rocco Marazzitta, questore di Reggio Calabria. Il presidente della Commissione ha concluso i lavori.

3.4. Regione Sicilia.

3.4.1. Cause ed iter dell'emergenza.

In data 22 gennaio 1999, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d'emergenza nella regione Sicilia fino al 30 giugno 2000 ed in data 31 maggio 1999 è intervenuta l'ordinanza del ministro dell'interno portante la nomina del presidente della giunta regionale quale commissario delegato all'emergenza. Con il DPCM del 16 giugno 2000 lo stato d'emergenza è stato prorogato fino al 30 giugno 2001.
L'iter dei provvedimenti finora adottati risulta dal prospetto che segue.
DPCM del 22 gennaio 1999: Dichiarazione dello stato di emergenza fino al 30 giugno 2000
DPCM 16 dicembre 1999:
estensione al sistema dei rifiuti speciali, pericolosi ed alle bonifiche
DPCM 16 giugno 2000:
proroga al 30 giugno 2001 (G. U. n.146 del 24 giugno 2000) (insieme alla Puglia ed alla Calabria)
OMint. 31 maggio 1999: Commissario delegato all'emergenza il presidente della regione
OMint. 31 marzo 2000: estende al commissario delegato le competenze in materia di sistema dei rifiuti speciali, pericolosi ed alle bonifiche


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OM Int del 21 luglio 2000: Proroga dei poteri al commissario delegato fino alla fine dell'emergenza e contestuale proroga dei poteri conferiti al vicecommissario, al subcommissario ed ai prefetti delle province siciliane.

Gli originari provvedimenti riguardavano il solo settore dei rifiuti solidi urbani, ma poi l'emergenza ed i corrispondenti poteri delegati sono stati estesi anche ai rifiuti speciali ed alle bonifiche.
L'ordinanza di nomina incarica il commissario delegato della predisposizione di un piano di interventi di emergenza e della realizzazione dei necessari interventi esecutivi. In particolare, avvalendosi di un subcommissario, deve perseguire l'obiettivo del superamento della crisi mediante lo sviluppo delle azioni di contenimento della produzione dei rifiuti, di raccolta differenziata, di selezione, di valorizzazione, di recupero -anche energetico- nel sistema industriale.
La stessa ordinanza, nella considerazione che gran parte delle discariche site nella regione risultano attivate con procedure d'urgenza dai sindaci e che è diffusissimo il fenomeno dello smaltimento abusivo, affida ai prefetti delle varie provincie il censimento delle discariche autorizzate e non, il controllo sulla loro attività, la competenza e le autorizzazioni ai sensi degli artt. 13, 27 e 28 del D. Lgs. 22/1997. Tali poteri risultano conferiti nella direzione dell'obiettivo di contenere il fenomeno dell'abusivismo e di realizzare un sistema di discariche gestite e controllate da strutture pubbliche.
Quanto alle cause che hanno generato il regime commissariale, il decreto presidenziale, in maniera molto vaga, richiama una «inadeguatezza infrastrutturale delle discariche preesistenti tale da poter essere considerato estremamente pericoloso per l'ambiente e per la salute della popolazione residente, costretta a convivere in un contesto di particolare degrado». In ogni caso, il provvedimento - a testimonianza del regime di concertazione che governa queste particolari tipologie di commissariamento - richiama le istanze prodotte dal presidente della regione siciliana e dal ministro dell'ambiente, che evidenziano lo stato di necessità connesso al sistema di smaltimento dei rifiuti urbani. Nella sostanza, dagli atti consultati si evince che l'emergenza, come sostiene la regione nella propria sintetica nota del 2 dicembre 1998, viene invocata in ragione del fatto che «rispetto al piano regionale di smaltimento del 1989 risultano realizzate ed in esercizio soltanto pochissime discariche, mentre gli altrettanto esigui impianti a tecnologia complessa richiedono interventi di adeguamento ai requisiti tecnici».
Anche nel caso Sicilia, dunque, lo sforzo ermeneutico, per riconoscere il ricorrere dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 5 della legge n.225/1992, è stato davvero rilevante.

3.4.2. I risultati delle gestioni.

L'emergenza Sicilia risale ad appena ventidue mesi fa e quindi, rapportata ai tempi lunghi degli altri commissariamenti, era ragionevole non confidare in significativi risultati. In effetti, le stesse motivazioni che hanno generato il regime commissariale denunciano la non legittimità ad attendere risultati in tempi brevi. Lo stesso commissario delegato, nella relazione ricognitiva del primo anno di attività, riconosce che gran parte di tale periodo è stato sostanzialmente impiegato nella messa a punto della struttura commissariale. Il sub commissario delegato alla predisposizione di un piano generale di interventi ha messo a punto un documento programmatico, il quale però non è stato ritenuto, dalla commissione scientifica e dal ministero dell'ambiente, rispondente alle prescrizioni del «decreto Ronchi» e, pertanto, non è stato ancora approvato. Prevede ancora, a detta dei competenti organi ministeriali, un numero eccessivo di discariche. Quanto al problema delle discariche, a seguito dell'audizione del procuratore della Repubblica dottor Pietro Grasso, il quale ha fatto


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presente che ancora (alla pari del regime ante commissariamento, dove i comuni provvedevano a dare legittimazione formale a discariche non rispondenti alle prescrizioni normative) risultavano autorizzazioni per la posa in opera di numerose discariche d'urgenza, il presidente della giunta ha precisato che, in base alla disciplina dell'emergenza siciliana, la competenza all'apertura ed alla chiusura delle discariche non appartiene al commissario delegato ma ai prefetti. A prescindere, però, dalla questione della competenza a provvedere in tema di discariche, resta però il fatto che ancora non appare avviata la fase del loro superamento e dell'avvio di una significativa percentuale di raccolta differenziata, compito questo dapprima affidato ad un sub commissario (il prefetto a riposo dottor Piraneo), poi dimissionario, per assumere l'incarico di commissario del comune di Catania.
Attualmente, nelle more della ridefinizione del piano generale, il commissario ha dato incarico alla commissione scientifica di predisporre un «documento di priorità», che consentirebbe di dare definitivo assetto alla localizzazione degli impianti di compostaggio e di produzione del cdr.
Quanto ai rifiuti speciali, l'ordinanza del marzo 2000 ha esteso i poteri commissariali anche a questo settore; è stato nominato un sub commissario anche per tale emergenza. Come primi provvedimenti, sono intervenute disposizioni per la pesatura e per il controllo di provenienza dei rifiuti tossico-pericolosi. Ancora non risultano attivate congrue strutture e procedure di controllo, assolutamente carenti, anche a prescindere dai problemi connessi all'istituzione nella regione dell'ARPA.
Con la nuova ordinanza di proroga, i rappresentanti regionali ed i responsabili della struttura commissariale confidano di poter passare alla fase operativa anche per la parte che concerne le bonifiche, in ordine alle quali la gestione dell'emergenza non è neppure riuscita a riunire tutti gli interlocutori del processo.

3.4.3. L'attività d'inchiesta della Commissione.

Già nella relazione approvata il 29 settembre 1999 (doc. XXIII n.34) la Commissione si era fatta interprete delle preoccupazioni delle rappresentanze delle varie categorie socio-economiche sentite nel corso delle varie missioni tenutesi in Sicilia. In quel documento sono già presenti gli allarmi e le considerazioni che hanno portato alla dichiarazione dell'emergenza ed al regime commissariale.
Sullo specifico punto dell'emergenza rifiuti, in data 14 luglio 1999, la Commissione ha audito l'onorevole Angelo Capodicasa, presidente della giunta regionale e commissario delegato all'emergenza, che, in quell'occasione ha reso un'informativa ricognitiva sui problemi in atto, primi tra tutti quelli delle discariche (oltre 150, e cioè la quasi totalità, escluse quelle abusive) autorizzate ex articolo 13 dai prefetti, nonché della divaricazione, tra il piano regionale del 1989 a suo tempo approvato (e mai applicato) e le previsioni del «decreto Ronchi».
In data 12 luglio 2000, la Commissione ha poi proceduto all'audizione del procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Pietro Grasso, il quale ha confermato la presenza di rilevanti interessi della criminalità organizzata siciliana nel settore dei rifiuti ed ha denunciato come, nonostante i poteri straordinari conferiti ai commissari per il superamento dell'emergenza, di fatto si è continuato a procedere con le ordinanze contingibili ed urgenti di cui all'articolo 13 del «decreto Ronchi», consentendo gestioni improprie di discariche lontane dalle prescrizioni normative.
Sono seguite, in data 20 luglio 2000, le audizioni del presidente commissario Capodicasa, nonché del presidente della commissione scientifica per l'emergenza rifiuti, Aurelio Angelini, e del responsabile della struttura di supporto, Nicola Scialabba. Sostanzialmente, ancorché sia stato chiarito che la competenza a rilasciare le autorizzazioni ex articolo 13 citato è dei prefetti e non del commissario delegato, presidente della giunta regionale, non è


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stato smentito che nella regione tuttora è dominante il sistema delle discariche non controllate.
Da ultimo, anche per Palermo, come per le altre regioni commissariate, si è tenuto in data 19 ottobre 2000, presso la sede dell'assemblea regionale, l'iniziativa seminariale sull' «Istituto del commissariamento per l'emergenza rifiuti». Si è trattato di un'iniziativa che, come sottolineato dal Presidente, ha assunto particolare rilievo perché, chiudendo il ciclo di questa fase dell'attività conoscitiva della Commissione, è stata occasione di approfondimento anche delle tematiche generali dell'istituto e di verifica delle evoluzioni gestionali ed interpretative compiute dai soggetti implicati nell'iter di riconoscimento delle emergenze e di nomina dei commissari.
Al seminario, che si è articolato per sessioni, oltre al Presidente Scalia che ha tenuto la relazione introduttiva ed agli onorevoli Nicola Cristaldi, presidente dell'assemblea regionale siciliana, e Alberto Mangano, assessore ai rapporti istituzionali del comune di Palermo, che hanno rivolto indirizzi di saluto, hanno partecipato:
- nella prima sessione (Riflessioni sull'istituto del commissariamento: funzionamento ed efficacia) lo stesso Presidente Scalia, l'onorevole Vincenzo Leanza, presidente della regione Sicilia e commissario delegato all'emergenza rifiuti, ed il dottor Renato Profili, prefetto di Palermo;
- nella seconda sessione (Aspetti tecnici della gestione commissariale): Aurelio Angelini, presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto al commissario delegato, e Nicolò Scialabba, subcommissario per la raccolta differenziata;
- nel dibattito previsto per la terza sessione Antonio Battaglia (AN), Anacleto Busà, consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta, Bartolomeo Falla, sindaco di Scicli (Ragusa), Giuseppe Lo Curzio (CCD) Lucio Marengo (AN), Mario Milone, assessore all'ambiente e territorio, protezione civile, rapporti con l'ateneo palermitano, della provincia di Palermo, Pietro Giovanni Murineddu (DS-U), Giuseppe Raddino, direttore generale della Smari Giuseppe Zaso, capo della segreteria regionale di Legambiente;
- nella quarta sessione (I risvolti criminali dell'emergenza): Mario Busacca, procuratore della Repubblica di Catania, Salvatore Cusimano, inviato RAI di Palermo, Pietro Grasso, procuratore distrettuale antimafia di Palermo;
- alla tavola rotonda conclusiva, hanno partecipato: Antonino Colletti, vicedirettore dell'Azienda foreste demaniali della regione siciliana, Salvatore Cusimano, inviato RAI di Palermo, Giulio Patanè, vicequestore di Catania, Giorgio Piccirillo, comandante dei carabinieri della regione Sicilia, Giorgio Toschi, capo di stato maggiore del comando regionale della Guardia di finanza della Sicilia, Giacomo Venezia, direttore della divisione anticrimine della questura di Palermo, Giuseppe Venuti, direttore marittimo di Catania, Giuseppe Zaccaria, comandante in seconda della capitaneria di porto di Palermo.

3.5. Provincia di Roma.

3.5.1. Cause ed iter dell'emergenza.

Si è già accennato alla peculiare situazione di crisi che ha portato alla dichiarazione di emergenza della provincia di Roma. Con lettera del 4 febbraio 1999, il presidente della giunta regionale, Badaloni, rendeva nota la volontà di quell'organo di poter disporre di strumenti e poteri straordinari per fronteggiare l'enorme impatto sul sistema rifiuti che sarebbe derivato dal Giubileo dell'anno 2000. Nel richiedere la dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente della giunta sottolineava che gli importanti risultati conseguiti dall'amministrazione regionale e dal comune di Roma - il quale, in tempi brevi, avrebbe potuto contare su un completo ed efficiente sistema integrato per la gestione dell'intero ciclo, rischiavano di essere compromessi se non si fosse riusciti a realizzare, con procedure


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derogatorie e semplificate, impianti idonei a fronteggiare lo straordinario prossimo evento.
Con DPCM del 19 febbraio 1999, il Presidente del Consiglio ha prontamente corrisposto alle esigenze come sopra prospettate ed ha dichiarato lo stato di emergenza per il territorio di Roma e provincia.
È seguita l'OMint. n.2992 del 23 giugno 1999, che affida la redazione di un piano straordinario di interventi al presidente della giunta regionale e, ad un sub commissario, l'attuazione degli interventi ivi previsti. L'ordinanza richiama l'esigenza che la redazione del piano corrisponda alle prescrizioni del «decreto Ronchi» e prescrive che il delegato riferisca ogni due mesi sull'attuazione dell'ordinanza. L'articolo 5 dell'ordinanza affida al prefetto della provincia la vigilanza sulle attività di conferimento e di gestione delle discariche, nonché il rilascio delle autorizzazioni di cui al decreto legislativo n.22/1997 e riserva al commissario delegato le competenze di cui all'articolo 13 del medesimo decreto.

3.5.2. Il risultato della gestione.

In data 27 luglio 1999, il commissario delegato ha trasmesso al ministro dell'ambiente, per l'acquisizione della preventiva intesa, il piano per gli interventi d'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti della provincia di Roma. In data 9 agosto 1999, si è rilevata una discordanza tra le previsioni di piano e le disposizioni previste all'articolo 2 dell'ordinanza.
Il 27 ottobre 1999, la gestione commissariale ha trasmesso una nuova versione del piano d'emergenza per la provincia di Roma, recependo in via sostanziale e formale le osservazioni formulate dall'organo ministeriale. A tale ultimo testo sono state suggerite alcune integrazioni.

3.5.3. L'attività d'inchiesta della Commissione.

Nella seduta del 26 luglio 2000, la Commissione ha convocato Massimo Sessa, assessore all'ambiente della provincia di Roma, nonché Marco Verzaschi, assessore all'ambiente della regione Lazio, per conoscere l'evoluzione delle iniziative intraprese dalla gestione commissariale per i rifiuti.
Le audizioni non hanno mancato di sottolineare la peculiarità della situazione romana, che di fatto ha creato una nuova tipologia di emergenza, nata non tanto per porre rimedio ad un accadimento già avvenuto, quanto per prevenire un prevedibile stato di crisi.
È stato anche ricordato che, a seguito delle elezioni e della conseguente costituzione della nuova giunta regionale, la struttura commissariale è stata modificata. Il commissario delegato ha richiesto un inserimento nella nuova struttura dell'assessore provinciale all'ambiente. Il che ha costituito un indubbio ritardo dei lavori, ripresi, secondo quanto riferito dal rappresentante regionale, solo dopo la metà del mese di luglio. Attualmente la gestione commissariale è costituita, oltre che dal delegato, dal prefetto di Roma per l'aspetto dei controlli e dagli assessori all'ambiente del comune e della provincia. Al momento dell'audizione, fermi restando i provvedimenti più urgenti in tema di discariche e di organizzazione dei grandi eventi giubilari, la gestione commissariale è impegnata nell'individuazione dei siti per realizzare i termovalorizzatori. Altra questione centrale all'esame è quella degli autodemolitori, da allocare in terreni che richiederanno provvedimenti ablativi.
Circa i tempi del commissariamento e la durata dell'emergenza, l'assessore regionale ha previsto tempi non lunghissimi, ritenendo comunque necessaria una proroga, almeno di altri sei mesi.

3.6. Lo stato di emergenza della città di Milano ed il commissariamento nella vicenda di Cerro Maggiore.

Nonostante la dichiarazione dello stato d'emergenza a suo tempo disposta per la città di Milano si sia da tempo risolta, la Commissione ritiene di dover ricordare


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quella vicenda che storicamente ha segnato l'avvio del ricorso a regimi straordinari per il superamento di crisi nel settore rifiuti e, nel contempo, ha indicato vie di soluzione, soprattutto quella della raccolta differenziata, poi adottate per tutto il territorio nazionale. Infatti, il provvedimento che proclama la dichiarazione dello stato di emergenza risale al novembre 1994 (DPCM dell'8 novembre 1994) ed anch'esso richiama la disciplina di cui all'articolo 5 della legge n.225/1992. A quanto risulta alla Commissione, in quell'occasione è stato fatto ricorso a quella normativa.
La Commissione ha avuto modo di occuparsi in più occasioni di questa emergenza, da ultimo richiamata nella relazione territoriale sulla Lombardia (doc. XXIII n.39, approvato il 16 dicembre 1999).
La situazione delle emergenze, sorte fin dal 1989 ed esplose nel 1995 con i commissariamenti del settore rifiuti nella regione e nel comune di Milano, ha consentito di valutare lo strumento commissariale, l'operato delle amministrazioni regionali e locali e di giudicare la congruità della normativa nel periodo interessato. A tale proposito, è d'uopo ricordare che l'emergenza rifiuti in Lombardia può farsi risalire alla fine degli anni ottanta, con l'entrata in vigore della legge regionale n.42/89. Tale norma, infatti, non prevedendo alcuna partecipazione dell'ente locale alla localizzazione degli impianti, sostanzialmente introduceva una gestione meramente privatistica delle attività connesse allo smaltimento rifiuti, consentendo di fatto il formarsi di cartelli monopolistici per la gestione delle varie fasi del ciclo, l'alterazione dei prezzi di mercato, nonché resistenze ad individuare e realizzare nuove soluzioni alternative alla mera discarica, quali quella della raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio dei materiali valorizzabili, al compostaggio delle frazioni organiche ed alla termocombustione con recuperi energetici delle frazioni secche non riciclabili.
Occorre riconoscere che - dopo le battaglie ambientaliste dei primi anni novanta ed i gravi conflitti sociali determinati dalle continue emergenze nascenti dai puntuali esaurimenti delle discariche e dalla continua minaccia di apertura di nuove discariche, localizzate senza le necessarie verifiche di impatto ambientale e di salute per la cittadinanza, nonché dalle inchieste sui grandi movimenti di denaro che si muovevano intorno all'affare rifiuti - il governo regionale subentrato nel dicembre 1992 (in pieno stato di emergenza) si è immediatamente attivato sia per tamponare le situazioni di crisi, sia per dotare la regione di un nuovo strumento normativo che consentisse programmazioni ed interventi più adeguati. In effetti, nonostante la bocciatura della politica dell'incondizionata localizzazione di nuove discariche cominciasse a produrre forti tensioni di mercato con richiesta -atteso lo squilibrio tra domanda ed offerta - di maggiori prezzi, l'amministrazione regionale appena insediata è riuscita a contenere i disservizi, senza irragionevoli aumenti dei costi e, nel contempo, ad approvare in tempi assai brevi la nuova legge n.21 del 1o luglio 1993 che, come si è già avuto modo di valutare, ha rappresentato, fino all'entrata in vigore del «decreto Ronchi», la punta più avanzata delle legislazioni regionali in tema di rifiuti. Con tale norma, infatti, la pianificazione in tema dei rifiuti veniva delegata alle province; gli impianti tornavano ad essere a titolarità pubblica e veniva introdotto un diffuso sistema integrato di raccolta differenziata e smaltimento; veniva sviluppato il compostaggio e promossa la tecnologia complessa degli impianti; soprattutto veniva abbandonato il sistema delle discariche. Nonostante il mancato adeguamento di tale disposizione al «decreto Ronchi», a tutt'oggi la Lombardia si presenta come la regione che, in virtù del sistema posto in essere con la ripetuta legge n.21/1993, ha la maggiore percentuale di raccolta differenziata del Paese.
In tale contesto va giudicata anche la grave emergenza determinatasi con la crisi della discarica di Cerro Maggiore e con le collegate vicende giudiziarie. In


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proposito, occorre notare che la precedente legge regionale n.42/89 aveva individuato nel sito di Cerro Maggiore l'unica discarica disponibile per la città di Milano, costituendo di fatto una situazione di monopolio non facilmente risolvibile né dal punto di vista della resa del servizio, né dal punto di vista giuridico, considerato anche il non chiaramente definito regime dei prezzi da applicare, sostanzialmente demandato ad una improbabile e squilibrata contrattazione tra le parti interessate (una in posizione di monopolio e l'altra pressata dall'emergenza). In questa chiave di lettura debbono essere giudicati, ad avviso della Commissione, i provvedimenti contingenti di conferimento, fino all'esaurimento, dei rifiuti nella discarica di Cerro Maggiore e le conseguenti più onerose condizioni contrattuali applicate.

4. Conclusioni e proposte.

Completato l'esame del contesto normativo che a tutt'oggi caratterizza le situazioni emergenziali collegate a crisi nel settore dei rifiuti ed osservate le singole realtà che hanno formato oggetto di dichiarazioni dello stato di emergenza e di provvedimenti di commissariamento, la Commissione può ora procedere ad una valutazione sulla congruità dell'azione governativa posta in essere per contrastare le emergenze, sullo strumento normativo utilizzato e sull'impatto nel sistema istituzionale delle competenze e delle responsabilità del conferimento dei poteri in deroga ad organi straordinari.

4.1. Necessità di adeguare la normativa.

È stato già anticipato come lo strumento normativo utilizzato, cioè il regime speciale previsto dalla legge n.225 del 1992, sia improprio. Si tratta, è bene ricordarlo, del ricorso ad uno strumento ideato per gli accadimenti inquadrabili nella «protezione civile» e governati da sistemi giuridici che pongono il Ministero dell'interno al centro di poteri decisori e di intervento; poteri che invece, nei casi di specie, non vengono esercitati da quel dicastero perché privo di competenze funzionali. A parte il contenzioso giuridico sorto e le evidenti forzature ermeneutiche risolte con un certo imbarazzo dalla Corte costituzionale (sarebbe interessante verificare in che modo la Consulta valuterebbe il ricorso alla decretazione ex legge n.225/1992 nel caso della «emergenza preventiva» di Roma), è certamente fuori dubbio che l'attuale articolazione delle attribuzioni ministeriali non consente al ministro dell'interno di svolgere le funzioni ed i compiti propri del Ministero dell'ambiente. I rappresentanti del Ministero dell'interno e della protezione civile hanno denunciato come l'attuale sistema dell'emergenza rifiuti releghi quegli organi a funzioni meramente notarili di emanazione di provvedimenti ideati ed istruiti da altri. Peraltro, il Ministero dell'interno, non avendo né attribuzioni funzionali né compiti, non si sente neppure coinvolto nelle responsabilità che conseguono l'espletamento della funzione. Allo stato attuale, sembra rappresentare un mero passaggio procedurale che deve solo impegnarsi a non costituire occasione di ritardo nell'emanazione dei pareri e provvedimenti di competenza.
Ancora, il frazionamento (o, meglio, il sovrapporsi) delle competenze in capo ai due dicasteri non indica con chiarezza a quali organi spetti la valutazione dell'operato dei commissari e sulla base di quali parametri debbano essere misurati i risultati, anche al fine della cessazione dello stato di emergenza ovvero della sua proroga. Infatti, il perpetuarsi del regime di proroga, che per alcune regioni dura ormai da ben sette anni, denuncia in modo evidente come sia inconsistente il ricorso allo strumento straordinario di cui all'articolo 5 della legge n.225/1992. È da aggiungere, poi, che lo stesso articolarsi dei compiti affidati ai commissari delegati (soprattutto ai commissari presidenti delle giunte regionali) sembra confliggere con attività caratterizzate dalla necessità ed urgenza. Si tratta, come si è visto, per di più di compiti di programmazione e di


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predisposizione di piani; di compiti quindi assai complessi, che prevedono concertazioni e lunghi iter procedurali, e che appartengono all'attività di programmazione e di amministrazione complessiva della giunta e del consiglio regionale. Non a caso, i poteri straordinari sono stati assegnati a quegli stessi soggetti che avrebbero dovuto provvedere in base alle ordinarie competenze istituzionali.
In presenza di tali anomalie che, come sopra è stato dimostrato, non si risolvono in meri aspetti formali ma generano vere e proprie disfunzioni nella stessa gestione e controllo delle crisi sulle quali si è intervenuti, la Commissione è del parere che il Governo debba procedere ad un'approfondita verifica sulla congruità dello strumento normativo cui finora ha fatto ricorso, richiedendo, laddove lo ritenga necessario, che il Parlamento fornisca uno strumento più rispondente alle emergenze rifiuti del tipo di quelle citate. Peraltro, il nuovo impianto, nel conferire i poteri straordinari ad organi monocratici, se pure in via di principio dovrebbe ispirarsi ai modelli istituzionali esistenti sì da non produrre traumi al regime delle competenze e delle prerogative istituzionali presenti nelle realtà locali (e, quindi, ancora privilegiare i presidenti delle regioni e coinvolgere anche i presidenti delle province ed i sindaci secondo lo schema del «decreto Ronchi»), nel contempo dovrà considerare, per ogni singola realtà interessata, con la massima attenzione i problemi di consenso che, realisticamente, gravano sugli organi elettivi, perché tali problemi non finiscano con il condizionare le delicatissime ed a volte impopolari scelte che debbono porre in essere i commissari. Parallelamente, dovrà contemplare precisi momenti di verifica ed indicare parametri oggettivi per misurare i risultati delle gestioni, predisponendo anche adeguate misure (quali quella dell'apposizione di termini ben precisi e della revoca degli incarichi) per il mancato conseguimento degli obiettivi. Ovviamente, nel caso di revoca, potranno essere rimosse le riserve e le cautele che debbono ispirare la prima fase commissariale ed il Governo dovrà assumere dirette responsabilità gestionali per il superamento delle emergenze.
Nelle singole ordinanze, poi, occorrerà procedere, caso per caso, ad un'accurata ricognizione del patrimonio impiantistico presente in ogni realtà commissariata e, quindi, attivare adeguate risorse tecniche e finanziarie per promuovere, coinvolgendo anche risorse, iniziative e responsabilità dei produttori e dell'imprenditoria privati, tecnologie complesse che coprano, nello spirito del «decreto Ronchi», le varie tipologie e le varie fasi del ciclo dei rifiuti. A tale proposito, la Commissione ritiene che dovranno riconsiderarsi le scelte finora effettuate nell'esercizio del potere di ordinanza, che attualmente esclude l'imprenditoria privata dal concorrere alla realizzazione ed alla gestione degli impianti connessi al ciclo dei rifiuti; una tematica assai delicata se rapportata alle note capacità di controllo del settore da parte della criminalità organizzata nelle regioni a rischio. Per questo, l'apertura nell'affidamento degli appalti anche ai privati dovrà essere curata con estrema cautela, prendendo a riferimento le soluzioni e le analisi già affrontate in via generale e specifica sia dalla Commissione sul ciclo dei rifiuti sia dalla Commissione antimafia. Ma, proprio in quelle difficilissime realtà, non possono essere ulteriormente penalizzati l'imprenditoria sana ed il libero mercato.
In ogni caso, il nuovo impianto legislativo non potrà prevedere la possibilità, di fatto oggi presente, di protrarre sine die il regime commissariale, mediante il meccanismo dei rinnovi. Su tale punto, occorre che vi sia un costante monitoraggio da parte del Governo sulle gestioni, nonché capacità e forza per sanzionare ritardi e gestioni inconcludenti.

4.2. Le alterazioni al sistema istituzionale ed il momento di sintesi politica sul commissariamento.

L'improprietà del sistema giuridico su cui poggiano le emergenze porta anche ad


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alcune considerazioni di natura politica. Indubbiamente, ferma restando sempre la necessità di tenere distinti i due piani dell'efficacia dello strumento commissariale e della capacità di saperlo gestire, è indubbio che il regime commissariale, con le sue deroghe e con il conferimento di poteri straordinari, rappresenta una grave anomalia al sistema delle attribuzioni costituzionali e delle autonomie. Pur essendo generate come si è visto in un regime di sostanziale concertazione, rimane fermo il fatto che regioni ed autonomie locali sono espropriate (con tale termine la regione Puglia ha censurato i provvedimenti governativi) di competenze e prerogative istituzionali. Non è in dubbio che le soluzioni adottate, hanno creato preoccupanti alterazioni al sistema istituzionale della ripartizione delle competenze hanno sviato i riferimenti della responsabilità dell'attività amministrativa hanno generato risultati, a volte deludenti ed in tempi così lunghi, da non poter essere considerati quali prodotti della straordinarietà e dell'emergenza ed hanno creato imbarazzanti intrecci di competenze all'interno della struttura governativa.
Peraltro, in tutte le realtà visitate la Commissione ha riscontrato (tanto risulta dalla lettura dei singoli decreti presidenziali) che le amministrazioni regionali che hanno richiesto lo stato di emergenza, di fatto, più che sollecitare una verifica del ricorrere degli oggettivi presupposti per l'avvio del regime commissariale, denunciano ritardi e carenze delle passate gestioni nell'adozione di strumenti programmatori adeguati, nonché rigidità ed inadeguatezze del sistema normativo generale che impediscono la corretta gestione del servizio. Ancora, denunciano le difficoltà a localizzare impianti di smaltimento nei territori comunali, a causa delle resistenze opposte dalla popolazione locale e dalle rappresentanze ambientaliste.
In tale situazione, risulta del tutto evidente che lo stato di crisi che determina l'emergenza non sembra possa ascriversi a fatti eccezionali che superano le competenze e la normalità delle gestioni amministrative. Si tratta di vere e proprie crisi politiche, causate da problemi antichissimi ai quali gli amministratori locali non hanno saputo o potuto dare risposte adeguate. Nel corso delle iniziative seminariali, è stato efficacemente affermato che i commissariamenti delle regioni interessate sono intervenuti dopo che, nel settore rifiuti, per decenni ha governato un vero e proprio «regime da far west»; ed in tale chiave di lettura debbono essere valutati i ritardi, le connivenze, le disattenzioni e le omissioni, evitando di concentrare sulle sole amministrazioni commissariate le responsabilità che hanno portato al regime commissariale.
A ben vedere - fermi restando i problemi connessi all'annoso problema delle discariche, per lungo tempo amministrate con provvedimenti contingibili ed urgenti, ovvero in un regime di tolleranza degli abusi generalizzati che hanno caratterizzato tutte le regioni commissariate - le crisi governate dalla legislazione d'emergenza paradossalmente (ancorché più antiche) sono divenute più acute e più manifeste quando finalmente è intervenuto il «decreto Ronchi», che ha dettato parametri e criteri per stabilire i confini tra l'autorizzabile ed il non autorizzabile; tra il lecito e l'illecito; tra il compatibile ed il non compatibile e tra questo ed il possibile. In presenza di tali parametri, sono saltati gli equilibri precedenti, fondati in gran parte sull'improvvisazione nonché sugli interessi dei privati (spesso imprenditori collegati alla criminalità organizzata), sull'ignoranza dei problemi gestionali da parte delle amministrazioni locali, sull'impossibilità e sull'inesistenza di controlli
Le dichiarazioni d'emergenza ed i connessi commissariamenti, dunque, non hanno fatto altro che far emergere le crisi politiche delle gestioni passate e presenti nonché l'incapacità di governarle con gli ordinari strumenti. Per uscire da tale preoccupante situazione, certamente non addebitabile interamente a questa o quella amministrazione, lo strumento che è sembrato più agevole da adottare, perché non comportante giudizi o responsabilità, né


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di natura politica, né amministrativa, è parso essere quello del commissariamento. Il regime di concertazione tra amministrazioni regionali, Ministeri dell'interno e dell'ambiente, e Presidenza del Consiglio dei ministri, ha evitato che i provvedimenti correlati all'emergenza assumessero natura sanzionatoria o surrogatoria e, quindi, che implicassero giudizi di natura politica sull'operato delle amministrazioni. Di qui il sostanziale accordo sulle procedure ed il regime di concertazione. Ciò, tuttavia, non esonera il Governo dalle responsabilità di controllo e dall'onere di valutare i risultati delle gestioni. Il regime di concertazione non può esaurirsi nella dichiarazione d'emergenza e nella nomina del commissario; occorre anche seguire le gestioni, impegnare adeguate risorse finanziarie ed impiantistiche, valutare l'azione dei commissari, verificare i risultati ed adottare, ove necessario, altri provvedimenti, ivi compresa la revoca del mandato per i delegati troppo deboli o incapaci.
La Commissione ritiene che complessivamente l'operato del Governo sia stato responsabile, non strumentale e quindi da condividere. L'obbiettivo perseguito era quello di porre le basi per dare un assetto ad un settore trascurato, compromesso da interessi non sempre leciti, particolarmente delicato per le implicazioni sulla salute pubblica e per la tutela del territorio. La straordinarietà della situazione sembra giustificare la straordinarietà dei poteri. Tuttavia, è fuori dubbio che l'emergenza sembra essere avviata verso l'ordinarietà della gestione. Consegnando il problema a soggetti monocratici straordinari, sono state indubbiamente alleggerite le responsabilità collegiali degli organi regionali e delle amministrazioni locali, ma non sembra sia stato dato avvio a significative fasi di superamento dei delicati problemi a suo tempo posti.
In tale stato di cose, sembra alla Commissione che occorra portare sostanziali cambiamenti di rotta all'attuale sistema, che non solo risolve la straordinarietà in ordinarietà, ma priva, sine die, le assemblee elettive delle prerogative connesse al mandato ricevuto. Se vuole mantenersi un regime di «concertazione» per contrastare le emergenze del tipo esaminato, occorre che tale sistema trovi un'adeguata disciplina che, quantomeno, contempli anche i parametri e le responsabilità di verifica, i tempi della straordinarietà delle gestioni e gli eventuali ulteriori rimedi, nel caso le misure adottate non abbiano raggiunto gli obiettivi proposti.
Se, poi, un più complessivo esame della situazione generale e delle cause che hanno portato una così significativa parte del territorio nazionale a porre la questione dell'emergenza rifiuti dovesse portare a concludere che le procedure e gli adempimenti legislativamente previsti per la redazione e l'approvazione dei piani di programma risultano eccessivamente onerosi, tali da non consentire il rapido espletamento, occorre ancora che il legislatore intraprenda una paziente azione diretta a superare alcune rigidità ed appesantimenti burocratici che rendono più difficile la piena attuazione del «decreto Ronchi».
Resta però fermo il convincimento della Commissione che la vicenda dei commissariamenti costituisce un chiaro segnale, non solo dei gravissimi ritardi di cultura ambientale nelle amministrazioni locali, ma anche un inequivoco allarme sui fortissimi condizionamenti che gravano sui settori imprenditoriali che si occupano delle varie fasi del ciclo. Inoltre, la carenza e l'inconsistenza dei controlli rappresentano una riprova di come quei condizionamenti pesino anche sulle amministrazioni locali e di come, nelle realtà esaminate, sia vero e presente quell'intreccio tra criminalità, politica ed imprenditoria cui i magistrati più volte hanno fatto riferimento.
Gli enormi profitti che derivano dalle gestioni di tutte le fasi del ciclo dei rifiuti costituiscono infine elementi fortissimi di resistenza a cambiamenti ed alla ricerca di soluzioni. Le alterazioni di mercato che conseguono tale modo di operare finiscono inevitabilmente, come la Commissione ha avuto in più occasioni modo di


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denunciare, col procurare l'allontanamento dell'imprenditoria sana dal settore e, quindi, con il rappresentare un ulteriore elemento di rigidità del sistema.
A tale proposito, non può essere ignorato - come la Commissione ebbe a sottolineare nel corso di un forum sulle ecomafie organizzato a Napoli - in quali particolari contesti si sono determinate le emergenze di cui questo referto si è occupato. Già nel febbraio del 1999, la Commissione ebbe ad evidenziare come, con l'allora recentissima dichiarazione d'emergenza per la Sicilia, tutte le regioni a tradizionale presenza mafiosa si trovavano commissariate per l'emergenza rifiuti. Una situazione che non poteva certo considerarsi dovuta al caso, esistendo cioè un'evidente correlazione tra azione criminale e arretratezza anche nel ciclo dei rifiuti. Da tale oggettivo riscontro sorge l'ulteriore interrogativo sul quale la Commissione confida di poter dare, non appena possibile, risposte supportate da più diffusi riscontri giudiziari, se le gestioni commissariali abbiano consentito (od almeno abbiano intrapreso un percorso in quella direzione) di estromettere la criminalità organizzata dal ciclo dei rifiuti ovvero siano, almeno, valse a ridurne significativamente la presenza. Nella situazione normativa attuale, che ancora non contempla nel sistema penale ipotesi di reato ambientale, tali riscontri purtroppo non sono così manifesti, come invece sono manifesti gli intrecci di interessi tra parte dell'imprenditoria del settore e la criminalità organizzata. La Commissione confida che, anche sulla base delle risultanze emerse nell'inchiesta sui commissariamenti, il Parlamento finalmente rimuova ogni indugio affidando alla magistratura ed alle forze dell'ordine più efficaci strumenti di contrasto.
Ricordando l'allarme che l'allora prefetto di Napoli, Giuseppe Romano, ha lanciato davanti alla Commissione, pare opportuno suggerire che nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ove sottoposte a provvedimenti di commissariamento per l'emergenza rifiuti, finché non saranno raggiunti gli obiettivi di legge e le discariche - in contrasto con la legge - resteranno l'elemento portante del sistema, le discariche stesse siano poste sotto il diretto controllo dei prefetti e le altre attività afferenti ai diversi segmenti del ciclo - in particolare quelle di raccolta e trasporto - siano oggetto di appositi osservatori delle prefetture, per prevenire le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata.
Su questa specifica e delicata tematica, alla quale la Commissione ha dedicato apposite sessioni di lavoro in tutte le iniziative seminariali, i dati finora raccolti offrono un panorama assai poco rassicurante. Ma sul punto non si può certamente arrivare a troppo pessimistiche conclusioni perché, nonostante i problemi tuttora irrisolti, la Commissione ha tratto complessivamente, in tutte le realtà esaminate, la convinzione che l'azione dei pubblici poteri locali sia animata da una più forte tensione di contrasto all'operare mafioso e che sia in atto una più attiva e cosciente azione di governo per la tutela del bene dell'ambiente e della salute pubblica, mediante una sempre più cosciente gestione dei servizi connessi al ciclo dei rifiuti. Per tali profili può affermarsi che, in disparte ogni altra valutazione e misurazione di risultati, i regimi commissariali hanno certamente prodotto una maggiore attenzione ai temi dell'ambiente.


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Documento sui traffici transfrontalieri di rifiuti.

Premessa.

Nell'esercizio delle funzioni attribuitele dalla legge istitutiva, la Commissione ha ritenuto necessario avviare un'indagine specifica sul problema dei traffici di rifiuti, intesi come attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, sia per terra (su gomma e su rotaia) sia per mare.
Si tratta di un settore di estremo interesse, da un lato, per le opportunità di pervenire ad una razionale soluzione di molti problemi e per le occasioni di lavoro che offre; dall'altro, per le preoccupazioni che esso desta, per il fatto di non essere accuratamente seguìto dalle autorità preposte, con i connessi rischi che delle predette occasioni di guadagno si avvantaggino soggetti non affidabili, quando non direttamente le organizzazioni malavitose.
Per avere un'idea di quanto possa essere redditizio il trasporto incontrollato di rifiuti, si consideri che il costo di smaltimento (ivi compreso il costo del trasporto) per chilogrammo di rifiuti urbani va dalle 60 alle 350 lire; quello per chilogrammo di rifiuti ospedalieri è di circa 4000 lire
(1); quello dei rifiuti industriali va dalle 500 alle 5000 lire (2). È chiaro pertanto che queste somme, che i produttori committenti s'impegnano a corrispondere alle imprese di trasporto e stoccaggio, sono in grado di assicurare un certo profitto, ove gli appaltatori seguano tutte le prescrizioni normative nel trasporto e nel trattamento dei materiali; ma ne assicurano uno molto maggiore ove alla regolare procedura essi sostituiscano condotte illecite e, dunque, meno costose.
La questione, peraltro, non desta interesse e preoccupazione solo per gli appetiti che intorno ad essa gravitano, ma anche per le negative ripercussioni che essa ha sull'ambiente, dal momento che le «scorciatoie gestionali», che imprese inaffidabili escogitano per trarre miglior profitto dalla propria attività, sono essenzialmente scarichi abusivi o comunque non conformi alle prescrizioni sanitarie. Ne deriva pertanto un danno all'ambiente ed un considerevole pericolo per la salute delle persone.
Il problema, invero, è già stato affrontato a varie riprese dalla Commissione, sia pure sotto aspetti particolari, relativi a specifiche indagini giudiziarie legate a realtà territoriali determinate (3). In questa relazione si dà conto dei segmenti esaminati, con particolare riguardo al traffico transfrontaliero di rifiuti ed ai connessi problemi normativi e di controllo.
Se le risultanze dell'attività conoscitiva ed ispettiva sono di lettura piuttosto complessa e sollecitano in futuro ulteriori approfondimenti, si può tuttavia asserire che il quadro d'insieme è degno della massima attenzione e di più d'un allarme.

1.1. Le audizioni e le missioni.

Salvo quanto sarà esposto in seguito circa il metodo di lavoro seguìto nell'analisi dei dati raccolti e nella verifica «sul campo» degli stessi, può essere utile fin d'ora ricordare che la tematica è stata affrontata anche con l'aiuto di taluni esperti ascoltati dalla Commissione.
Il 2 giugno 1999, è stata ascoltata Loredana Musmeci (4), ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità ed esperta di questioni inerenti ai codici doganali ed OCSE dei rifiuti.
Il gruppo di lavoro sui traffici di rifiuti, costituito nella Commissione e coordinato dal Presidente Scalia, si è riunito per affrontare questa specifica tematica l'11 gennaio, il 15 e 22 febbraio, l'1, 2 e 16 marzo 2000.
In diverse occasioni, poi, su delega del Presidente, consulenti della Commissione si sono recati fuori sede, per compiere


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sopralluoghi presso aziende importatrici di materiali di sfrido, nonché per incontrare magistrati titolari di indagini su fatti connessi al traffico illecito di rifiuti.
Il 20 settembre 2000 è stato anche ascoltato il ministro per le politiche comunitarie, Gianni Mattioli, il quale ha svolto una serie di considerazioni sulle iniziative governative in sede europea per completare le direttive e le norme tecniche finora emanate, nonché su un eventuale intervento in ambito interno, qualora siano proposti atti in contrasto con il diritto comunitario.

2. Il quadro normativo della materia e gli organi preposti al controllo.

2.1. Indicazioni delle fonti del diritto.

Concorrono a disciplinare il settore del traffico dei rifiuti, inteso come trasporto e smaltimento o recupero, diverse fonti, a livello sia comunitario che statale.
La principale fonte è senza dubbio il regolamento del Consiglio della Comunità europea 259/93 del 1o febbraio 1993. Tale regolamento, abrogando la direttiva 84/631, ha tenuto conto di convenzioni internazionali, quali quella di Basilea del 22 marzo 1989 (sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e del loro smaltimento), e di Lomè del 15 dicembre 1989, articolo 39 (sul divieto di esportazione di rifiuti pericolosi dalla Comunità europea ai Paesi ACP - Africa, Caraibi, Pacifico), nonché della decisione dell'OCSE del 30 marzo 1992 (sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti destinati ad operazioni di recupero).
L'articolo 32 del regolamento prevede, inoltre, il rispetto di quanto disposto dalle convenzioni internazionali sui trasporti, elencate nell'allegato I del regolamento stesso.
Integrano il regolamento 259/93 la decisione della Commissione del 24 novembre 1994, relativa al documento di accompagnamento standard, previsto dallo stesso regolamento, e la decisione della Commissione n. C (1999) 3880 def. del 24 novembre 1999, che adegua alcuni allegati del regolamento, conformemente all'articolo 16, par.1, ed all'articolo 42, par. 3, relativi alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità, nonché in entrata ed in uscita dal suo territorio.
Altra fonte notevole è il regolamento CE 120/97 del Consiglio, del 20 gennaio 1997, che modifica l'articolo 16 del regolamento n.259, introducendo il divieto, dall'1 gennaio 1998, di esportazione di rifiuti destinati al recupero al di fuori dei Paesi OCSE.
Occorre poi tenere presenti il regolamento CE 99/1420 del Consiglio, del 29 aprile 1999 (5); il regolamento CE 99/1547 della Commissione del 12 luglio 1999 (6); il decreto legislativo n. 22 del 1997 (come integrato dalle successive modifiche). Come è noto, esso recepisce le direttive 91/156/CE sui rifiuti, 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi, abrogando, ha tra l'altro, l'articolo 9-bis della legge n. 475 del 1988.
Sul piano della normativa secondaria, vale la pena segnalare il decreto ministeriale 3 settembre 1998, n. 370 (regolamento concernente le modalità di presentazione delle garanzie finanziarie per il trasporto transfrontaliero di rifiuti), che ha abrogato i precedenti decreti ministeriali n. 457 del 1988, 26 aprile 1989 e 28 giugno 1989; nonché il decreto del ministro della marina mercantile, di concerto con il ministro dell'ambiente, 31 ottobre 1991, n. 459 (norme sul trasporto marittimo dei rifiuti in colli).

2.2. I princìpi generali della disciplina.

Il regolamento CEE 259/93, entrato in vigore il 6 maggio 1994, istituisce un sistema di supervisione e di controllo relativo alle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata ed in uscita dal suo territorio.
Fondamentalmente, esso si pone i seguenti obiettivi: ridurre al minimo i trasporti;


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tendere ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti in impianti il più possibile vicini al luogo di produzione; tendere all'autosufficienza dei Paesi appartenenti all'Unione europea (sia come comunità che singolarmente).
Stabilisce, inoltre, l'obbligo di: riprendere i rifiuti, smaltirli o recuperarli secondo metodi ecologicamente corretti, se le spedizioni non possono essere eseguite conformemente alle clausole previste dal documento di accompagnamento o dal contratto; riprendere i rifiuti, smaltirli o recuperarli correttamente, se le spedizioni sono state effettuate in modo illecito. Se non vi provvede il soggetto che si è reso responsabile dell'illiceità, dovrà farsene carico l'autorità competente di spedizione o di destinazione.
Il trattato di Schengen, entrato in vigore in Italia il 26 ottobre 1997 ma già adottato da altri Paesi dell'Unione europea nel 1993, nel dare esecuzione quasi completa al principio comunitario della libera circolazione delle persone e delle cose, ha dato ulteriore impulso al libero mercato delle merci in genere ed ha stabilito di applicare «controlli relativi ai trasporti di merci pericolose e di rifiuti», dichiarando che «le parti contraenti devono rafforzare la loro cooperazione allo scopo di effettuare i controlli del trasferimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi attraverso le frontiere interne».
Parallelamente, il regolamento 259/93, seguendo tali indicazioni, applica le procedure di controllo dei rifiuti diversificandole in base alla tipologia degli stessi rifiuti ed alla loro destinazione: per i rifiuti non pericolosi destinati al recupero (allegato II/lista verde), infatti, vengono adottate procedure semplificate per il trasporto ma si prevede un'attività di controllo al fine di un corretto recupero; per le spedizioni di rifiuti «mediamente» pericolosi destinati al recupero (allegato III/lista ambra) sono previste procedure autorizzatorie con il «tacito consenso», trascorsi i trenta giorni dall'accusa di ricevimento da parte dell'autorità di destinazione; per i rifiuti pericolosi destinati al recupero (allegato IV/lista rossa) e per tutti i rifiuti destinati allo smaltimento sono previste procedure autorizzatorie scritte; per le esportazioni di rifiuti pericolosi destinati al recupero e per quelli destinati allo smaltimento è altresì previsto il deposito di una cauzione.
Ogni Stato membro può stabilire sotto quale forma il notificatore debba prestare la garanzia finanziaria e quali procedure di controllo adottare, al fine di soddisfare quanto richiesto dagli articoli 27 e 30 del regolamento.
In buona sostanza, da quanto esposto emerge che i controlli alle frontiere sui transiti di rifiuti sono di natura essenzialmente cartolare.
D'altro canto è necessario sottolineare come esistano difficoltà ermeneutiche sul concetto stesso di «rifiuto», e per la definizione del campo concettuale di applicazione della normativa e per le specifiche regole che distinguono appunto i rifiuti da altri materiali o merci. A partire dalla definizione che l'Unione europea dà ai rifiuti come contenuta nelle direttive di settore sino alla 91/156/CE, passando attraverso anni di normative statali e di giurisprudenza interna e comunitaria, il punto di arrivo è tuttora un quadro di forte incertezza e di valutazione necessariamente attenta al caso per caso del singolo materiale, nel contesto in cui il soggetto detentore appunto «se ne disfi, intenda o abbia l'obbligo di disfarsene».
Sul punto è bene ricordare che non si è ancora giunti a definizioni pacifiche e condivise sia tra i vari Stati membri dell'Unione, sia tra i diversi attori, soggetti, e destinatari dei precetti.
A livello di giurisprudenza comunitaria, di recente la Corte di giustizia europea con le sentenze ARCO del 15 giungo 2000 C-418,419/97 e FORNASAR del 22 giugno 2000 C-318/99, ha avuto modo di ribadire che non spetta agli Stati membri fissare in via generale cosa sia o non sia un rifiuto, essendo la definizione in fattispecie astratta della nozione di rifiuto contenuta in atti normativi di rango primario dell'Unione, mentre la qualificazione delle fattispecie concrete sarà compito


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delle autorità amministrative e giudiziarie che tali norme sono chiamate ad applicare al fatto storico.
La definizione di rifiuto, infatti, non deve essere intesa nel senso che essa escluda sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, in quanto l'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della legislazione europea va accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia e , se necessario, ponendo la questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Sempre la Corte ha quindi rimarcato che non è possibile che vengano introdotti elementi rigidi di interpretazione autentica che, in forma di presunzione assoluta juris et de jure, diano per provata la destinazione di una sostanza e l'intenzione del detentore sulla base di comportamenti astratti o qualità merceologiche o industriali, così da escluderla ab origine dalla normativa sui rifiuti.
Tale impostazione del giudice delle leggi comunitario, inserito in una linea costante che parte dalle sentenze Zanetti del 28 marzo 1990 C-359/88 e Tombesi del 25 giugno 1997 C-304/94, se pure rigorosa e particolarmente attenta a garantire il massimo rispetto delle finalità di tutela ambientale e pertanto pienamente condivisibile, indubbiamente non facilita la definizione di un quadro normativo di riferimento certo in cui si svolgono le concrete attività di gestione, in particolar modo quelle legate alle fasi del recupero e riutilizzo dei materiali provenienti dal ciclo dei rifiuti; tema noto che, almeno nel nostro Paese, è legato alla definizione delle cosiddette MPS, materie prime seconde, ed alla normativa ad esse applicabile da ultimo con riferimento a quanto previsto dal decreto ministeriale del febbraio 1998 sulle operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi assoggettabili a procedura semplificata di cui al decreto legislativo n.22 del 1997.
Parallelamente il Parlamento è stato ed è impegnato a dare il proprio contributo alla soluzione della complessa ed ormai annosa questione, in particolare nell'ambito della discussione delle modifiche del decreto legislativo n.22 del 1997 contenute nel progetto di legge n.6316 della Camera dei deputati, già approvato dal Senato della Repubblica; anche attraverso tale via potrebbero giungere elementi interpretativi utili alla certezza del diritto applicabile al settore, da affiancare all'ineludibile azione in sede comunitaria per la definizione di un quadro normativo certo in tema di rifiuti che, nella chiarezza ed uniformità europea, tolga spazio alle attività illecite promuovendo l'economia sana.
A fronte di ciò, la Commissione ha avuto modo di constatare che l'Italia ha di recente avviato un'azione in sede comunitaria per recare un contributo di chiarezza e di maggior definizione valida per l'intero mercato interno su alcune specifiche categorie di materiali recuperati da rifiuti, in particolare i residui di lavorazione del settore tessile, della concia e dei metalli: ciò per considerare tali materiali come materie prime seconde, concedendo la possibilità di utilizzare - per il loro trattamento - le procedure agevolate. Si andrebbe così a riconoscere il ruolo delle filiere industriali che da tempo riutilizzano tali prodotti, migliorando nel contempo il coordinamento tra le amministrazioni del settore in vista di una maggiore coerenza ed incisività del ruolo del «sistema Paese», come il ministro per le politiche comunitarie ha avuto modo di esporre nell'audizione del 20 settembre 2000, richiamando peraltro un preciso indirizzo in tal senso espresso dalla Commissione ambiente della Camera con la risoluzione n.7-00525 approvata il 29 settembre 1998.

2.3. Gli organi competenti per il controllo.

Secondo la normativa vigente, le autorità preposte ai controlli sui trasporti transfrontalieri dei rifiuti sono:
- le regioni e le province autonome. Si tratta di autorità competenti di spedizione e di destinazione transfrontaliera


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dei rifiuti individuate dal combinato disposto degli articoli 36 del regolamento 259/93 e degli articoli 16 e 19, punto f), del «decreto Ronchi»;
- le province. Queste sono indicate quali autorità competenti dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 22 del 1997 a svolgere controlli su tutte le attività di gestione dei rifiuti, inclusi i trasporti transfrontalieri. Per l'esercizio delle attività di controllo le province possono avvalersi, tra l'altro, delle ARPA;
- le capitanerie di porto. Queste, ai sensi del citato decreto ministeriale n. 459 del 1991, sono preposte a rilasciare l'autorizzazione all'imbarco ed il nulla-osta allo sbarco nei porti nazionali di rifiuti pericolosi e non pericolosi. Per lo svolgimento di tali attività possono eventualmente avvalersi del chimico di porto;
- il Ministero dell'ambiente. È l'autorità competente al transito nel territorio nazionale dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto del regolamento 259/93 e dell'articolo 16 del «decreto Ronchi»;
- gli uffici doganali. Ai sensi del testo unico delle leggi doganali.

3. Metodo dell'indagine.

Per verificare l'effettività del quadro normativo testé delineato nelle sue linee essenziali, la Commissione ha in primo luogo assunto una notevole quantità di dati, chiedendoli (principalmente con l'invio di questionari) alle varie amministrazioni competenti e ad alcuni impianti campione.
In particolare, le prime informazioni sono state fornite dalle regioni e dalle province, dall'amministrazione doganale, dall'Istituto per il commercio con l'estero (ICE) e dal Ministero dell'ambiente.
Nella prima fase dell'indagine sono stati chiesti alle regioni ed alle province autonome i dati relativi alle importazioni ed alle esportazioni di rifiuti effettuate dalle società poste nell'ambito della propria giurisdizione negli anni 1997 e 1998.
Successivamente, è stato chiesto alle amministrazioni provinciali il numero e l'esito dei controlli effettuati in merito negli anni 1997-1998 (quindi ancora in regime di vigenza del decreto ministeriale n. 457 del 1988).
Per una verifica incrociata dei dati forniti da regioni e province, sono stati chiesti all'ICE i dati relativi all'import/export di alcune tipologie di rifiuti inseriti nella lista ambra (in quanto soggetti ad autorizzazione da parte delle autorità competenti), per gli anni 1997 e 1998. I dati dell'ICE vengono forniti dall'ISTAT che elabora, a sua volta, i dati forniti dal dipartimento delle dogane del Ministero delle finanze. I dati doganali provengono: dalle informazioni desunte dai documenti doganali per le operazioni effettuate presso le dogane ove vengono espletate le formalità doganali; dalle informazioni desunte dai modelli INTRA presentati periodicamente da operatori commerciali nazionali.

4. Analisi dei dati.

Dall'esame delle risposte fornite dalle regioni sono risultati principalmente, come rifiuti importati negli anni 1997 e 1998, notevoli quantitativi di legno trattato, ceneri e residui di alluminio, accumulatori al piombo ed altri (7); come rifiuti esportati, miscele di vario tipo, ceneri e scorie metalliche varie (8).
Dai dati trasmessi dalle province si evince che sono stati effettuati pochi controlli, e quei pochi si sono basati quasi esclusivamente sull'esame della documentazione disponibile presso le ditte, in particolare sui registri di carico e scarico.
Nella richiesta dei dati all'ICE è stato necessario, come già evidenziato, restringere il campo di informazione alle sole tipologie di rifiuti - di seguito riportate - per cui esiste l'armonizzazione tra il codice doganale ed il codice OCSE, come specificato nelle liste allegate al regolamento n. 259/93: rifiuti da metallurgia


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dello zinco; rifiuti da metallurgia dell'alluminio; rifiuti da metallurgia del rame; rifiuti da metallurgia del piombo.
Dal raffronto dei dati forniti dall'ICE e da quelli trasmessi dalle regioni è stato riscontrato che: per le importazioni, le regioni hanno comunicato di aver autorizzato l'ingresso in Italia di circa 150.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio a fronte di un quantitativo notevolmente inferiore - circa 21.000 tonnellate - comunicato dall'ICE; tale situazione si rovescia quando vengono presi in esame i dati concernenti le ceneri di zinco e di rame. Infatti, alle regioni non risultano importazioni di tali rifiuti, mentre risultano 10.392 tonnellate di ceneri e residui di zinco nonché 4.213 tonnellate di ceneri e residui di rame comunicate dall'ICE; per le esportazioni, si nota la stessa situazione riscontrata per le importazioni. A fronte di circa 120.000 tonnellate di ceneri e residui di alluminio esportate secondo le regioni, l'ICE comunica che sono state esportate circa 20.000 tonnellate degli stessi rifiuti. Differenza meno marcata per le esportazioni di ceneri e residui di zinco, avendo le regioni comunicato l'esportazione di circa 5.000 tonnellate in meno rispetto all'ICE. Per le ceneri e residui di piombo le regioni hanno comunicato che non sono state effettuate esportazioni, mentre l'ICE ha comunicato che sono state esportate circa 18.000 tonnellate. Anche per i rifiuti della metallurgia del rame le regioni hanno comunicato un dato inferiore a quello fornito dall'ICE di circa 13.000 tonnellate.
Da evidenziare, inoltre, 2.000 tonnellate circa di rifiuti di zinco esportate verso Paesi al di fuori dell'OCSE.
Al fine di individuare il motivo di un così evidente divario tra i dati forniti dalle regioni e quelli ricevuti dall'ICE, in special modo relativamente ai rifiuti di alluminio, sono stati presi in considerazione anche i dati in possesso del Ministero dell'ambiente, desunti dai certificati di avvenuto recupero relativi ai due anni in esame, considerato che, come noto, i rifiuti appartenenti alla lista ambra sono soggetti alla presentazione di una garanzia finanziaria che fino al novembre 1998 veniva accettata da quel Ministero e liberata dopo aver ricevuto dal destinatario i certificati di avvenuto smaltimento o recupero.
Al Ministero dell'ambiente risultano esportate 10.515 tonnellate di ceneri e residui di zinco e 38.100 tonnellate di ceneri di alluminio (un ulteriore dato, diverso rispetto a quello delle regioni e dell'ICE).
Una spiegazione plausibile a questi dati non concordanti potrebbe essere data individuando i documenti da cui tali dati sono stati desunti. Infatti le regioni, negli anni 1997 e 1998, avevano disponibili i documenti (notifiche) con i quali le società, che intendevano esportare in Italia o esportare dall'Italia, chiedevano l'autorizzazione; è plausibile che la richiesta risulti superiore rispetto al reale quantitativo inviato, anche se la differenza riscontrata dai dati appare comunque eccessiva.
Questa motivazione sembra non essere attendibile quando si confrontano i dati relativi all'importazione ed all'esportazione di ceneri di zinco e di alluminio. In tal caso si potrebbe avanzare l'ipotesi che i rifiuti importati siano classificati verdi, quindi esenti da autorizzazione e pertanto non riscontrati nei dati delle regioni.
L'utilizzo dello stesso codice doganale, che individua sia i rifiuti appartenenti alla lista verde che quelli appartenenti alla lista ambra, può essere all'origine dell'equivoco.
Il dato fornito dal Ministero dell'ambiente, che abbiamo visto avere un valore intermedio rispetto ai dati degli altri enti, è desunto dai certificati di recupero delle esportazioni effettuate nel periodo in esame. Non è chiaro come possano divergere tanto i valori riscontrati dal Ministero da quelli delle dogane. Se non fosse previsto, da procedure consolidate del Ministero, che i certificati di recupero debbano essere notificati alle autorità competenti di destinazione, si potrebbe ipotizzare che alcuni trasporti non siano stati effettuati.


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Le 2.000 tonnellate di rifiuti di zinco che risultano essere esportate al di fuori dell'OCSE potrebbero rappresentare, molto verosimilmente, un traffico illecito in quanto: dal 1o gennaio 1998 è assolutamente vietata l'esportazione a scopo di recupero di rifiuti appartenenti alla lista ambra al di fuori dell'OCSE (v. il regolamento CE 97/120); i rifiuti appartenenti alla lista verde possono essere esportati al di fuori dell'OCSE solamente verso i Paesi terzi che hanno comunicato alla Commissione europea di accettare tali rifiuti e con quali procedure (articolo 17 del regolamento CE 259/93).
Quest'ultimo caso apre la problematica della definizione di rifiuto. Infatti, nel 1998 le scorie e ceneri di zinco erano definite «mercuriali» e in quanto tali non soggette alla normativa sui rifiuti. Sebbene disciplinate dal regolamento 259/93, il produttore o il commerciante potrebbe essere stato indotto in errore nell'effettuare le esportazioni al di fuori dell'OCSE.
La mancanza di correlazione è stata riscontrata inoltre tra i codici CER ed i codici doganali, nonché tra gli stessi codici CER ed i codici OCSE (si evita di approfondire l'argomento «codici CIR» in quanto quasi esclusivamente sostituiti dai CER).

4.1. L'armonizzazione dei codici CER.

Per la problematica legata alla mancanza di correlazione tra i codici (OCSE, CER, doganali e della convenzione di Basilea) ed al fine di conoscere lo stato dei lavori del comitato per l'adeguamento tecnico-scientifico in materia di legislazione sui rifiuti, ex articolo18 della direttiva CE 91/156 sull'armonizzazione delle liste, la Commissione ha svolto degli approfondimenti presso varie sedi istituzionali, nell'ambito dei quali è stata sentita anche la dottoressa Loredana Musmeci, ricercatrice dell'Istituto superiore di sanità e rappresentante italiana nel predetto comitato.
Il problema delle liste di rifiuti elaborate in contesti internazionali, quali Commissione europea, OCSE, UNEP (United nations environment program), e della loro armonizzazione è enorme ed è ormai sentito come tale anche a livello comunitario.
In tale sede la posizione italiana è stata quella di sostenere che, essendo già state elaborate in sede OCSE liste di rifiuti da avviare a recupero, sarebbe stato comunque opportuno partire da queste liste o tenerle almeno presenti al fine di inglobarle in qualche modo nel catalogo europeo dei rifiuti.
Tale posizione è stata sempre minoritaria, in quanto le liste dell'OCSE sono state create con lo specifico obiettivo del recupero, mentre in Europa era necessario fare un elenco di rifiuti che rendesse pienamente operativa la definizione di rifiuto della direttiva, la quale, come è noto, consta di una componente oggettiva e di una soggettiva. Inoltre, va sottolineato che le liste dell'UNEP, recepite nella convenzione di Basilea, hanno un'ulteriore finalità, cioè di limitare o controllare il movimento transfrontaliero verso Paesi terzi di certe specifiche tipologie di rifiuti che possono rappresentare un rischio.
Ne deriva, secondo quanto sopra, quanto sia difficile l'armonizzazione delle liste se le finalità da raggiungere sono diverse.
Successivamente, con la creazione dell'annesso V al regolamento 259/93 si è riaperto il discorso della differenziazione delle liste, in quanto si è constatato che, a fronte di tipologie di rifiuti non molto differenti tra loro, risulta estremamente difficoltoso determinare una corrispondenza tra gli stessi. Infatti, anche per ciò che concerne le liste OCSE e quelle del catalogo europeo, o non vi è corrispondenza o a una voce delle prime ne corrispondono cinque o sei delle seconde e viceversa.
A ciò si aggiunga che: gli Stati membri hanno l'obbligo di recepire solamente la parte del catalogo europeo riguardante la lista dei rifiuti pericolosi; la direttiva di cui sopra dà facoltà agli Stati membri di aggiungere altre tipologie di rifiuti pericolosi all'elenco e le eventuali aggiunte devono essere comunicate attraverso una


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ben definita procedura (comunicazione ufficiale ai sensi della direttiva 91/689) alla Commissione europea; contrariamente agli altri Stati membri, l'Italia è l'unico Paese che ha recepito in modo rigoroso l'elenco dei rifiuti pericolosi. Un esempio per tutti è quello della Francia, che per riconoscere un rifiuto utilizza un codice che arriva ad otto campi, anziché quello comunitario a sei campi; il 15 dicembre 1999 sono state apportate modifiche alla lista europea dei rifiuti pericolosi aggiungendo ceneri volanti, polveri di caldaia, rifiuti di pirolisi, fluff-frazione leggera, polveri e altre frazioni provenienti dalla macinazione dei veicoli a fine vita contenenti sostanze pericolose. La nuova lista entrerà in vigore il 1o gennaio 2002. Si sta ancora discutendo dell'inserimento o meno dei veicoli a fine vita non drenati dei liquidi, inseriti nella lista ambra dell'OCSE.
Infine, vi è da considerare che per ciò che concerne i codici OCSE c'è l'orientamento di eliminare dalle tre liste (verde, ambra e rossa) il codice doganale, al fine di utilizzare esclusivamente il codice specifico della lista OCSE. Infatti, potrebbe verificarsi che un rifiuto, trasportato con lo stesso codice doganale utilizzato per un prodotto, non sarebbe di facile identificazione.
Rimane, tuttavia, il fatto che, pur eliminando il codice doganale, resta aperto il problema della disomogeneità tra il codice europeo e quello OCSE, per come sopra detto.
Attualmente, i codici OCSE dei rifiuti destinati al recupero hanno trovato un'armonizzazione con quelli doganali in una percentuale che si aggira intorno al 60/70 per cento; in un futuro prossimo sono destinati a scomparire e saranno sostituiti da quelli creati a seguito dell'accordo di Basilea (ratificato da circa cento Paesi), in quanto per mancanza di fondi l'OCSE a breve terminerà la propria attività.

5. Verifica sul campo.

Da quanto emerso sin qui, è agevole comprendere come fosse necessario un supplemento d'indagine, che non si limitasse al controllo cartolare. È per questo che, ai sensi dell'articolo 13 del regolamento interno, la Commissione ha deliberato lo svolgimento di talune visite ispettive, incaricandone ufficiali di polizia giudiziaria.
Tali visite sono state eseguite presso due società che trattano rifiuti di alluminio e presso tre società che lavorano gli scarti del legno. In alcuni degli stabilimenti visitati sono stati prelevati dei campioni, che poi la Commissione ha fatto analizzare.

5.1. Imprese che trattano alluminio.

Dall'analisi dei dati doganali e regionali (per la parte relativa alle esportazioni), risultava che la società Fonderie Riva di Parabiago (MI) importava ed esportava la stessa tipologia di rifiuto contraddistinto dal codice doganale 26204000.
Dalle informazioni avute dalla società Fonderie Riva, sono risultate importate dalla Slovenia schiumature di alluminio (individuate nella lista verde dei rifiuti e quindi non soggette ad autorizzazione) ed esportate ceneri di alluminio (inserite nella lista ambra e soggette quindi ad autorizzazione), entrambe col codice doganale 26204000.
Poiché le schiumature di alluminio sono sprovviste di un corrispondente codice doganale, la società ha ritenuto di utilizzare il codice doganale più affine ai rifiuti importati, come è risultato anche dai formulari prodotti.
Quindi, ciò che si sarebbe potuto configurare come traffico illecito in mancanza della richiesta di autorizzazione alla regione Lombardia e una non giustificata importazione/esportazione della stessa tipologia di rifiuto, si configura invece come un utilizzo improprio del codice doganale, giustificato dall' impossibilità di disporre dell'equivalente specifico codice doganale.

5.2. Imprese che trattano legno.

Il controllo presso le società che riciclano legno è stato effettuato al fine di


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conoscere la tipologia e le tecnologie di trattamento di tali rifiuti che - dai dati forniti dalle regioni - sono stati importati negli anni 1997 e 1998 per una quantità massiccia (circa 1.800.000 tonnellate).
Sono state visitate tre società (9) che producono pannelli truciolari. La maggior parte del legno utilizzato è costituito da rifiuti di legno non trattato (lista verde). Il legno trattato (lista ambra) - autorizzato ad essere importato dalle regioni competenti - è costituito da rifiuti di costruzioni e demolizioni.
Sono state effettuate anche analisi di tale legno trattato rinvenuto presso le predette ditte, che confermano la non pericolosità del rifiuto da sottoporre a recupero.

5.3. Risultati delle analisi di campioni di alluminio e legno prelevati presso le aziende.

Nel corso delle visite di cui sopra sono stati prelevati alcuni campioni sia di legno che di residui di alluminio, ambedue tipologie provenienti dall'estero.
Dalle risultanze analitiche si è constatato che tali rifiuti sono da classificarsi speciali non pericolosi e come tali possono, quindi, essere riciclati nelle aziende sopracitate ai sensi del decreto ministeriale 5 febbraio 1998.
In qualche caso, parte dei materiali legnosi o di sfridi di lavorazione del truciolare viene adoperata come combustibile per l'alimentazione di un termodistruttore per la generazione di vapore, utilizzato dall'azienda. Le ceneri di tale combustione sono da classificarsi come rifiuti pericolosi e, come tali, dati i valori di cessione dei metalli nell'eluato, devono essere adeguatamente sottoposti a processi di inertizzazione prima di essere conferiti in discarica di tipo 2B, oppure possono essere avviati, con costi più elevati, a discarica di tipo 2C senza subire trattamenti di inertizzazione.

6. Problematiche riscontrate sulle attività degli organi di controllo.

Tra gli organi di controllo precedentemente menzionati (regioni, Ministero dell'ambiente, eccetera) le attività ispettive e di analisi, secondo la normativa vigente, vengono attribuite alle province che possono utilizzare le strutture ARPA.
Dall'esame dei documenti pervenuti in Commissione, dalle informazioni ottenute per le vie brevi e dai sopralluoghi effettuati presso le diverse aziende, sono state riscontrate le seguenti problematiche: le informazioni che sarebbero dovute pervenire alle province da parte delle regioni o dei notificatori non giungevano a queste a causa della poca chiarezza della normativa di riferimento (decreto ministeriale n. 457 del 1988); le poche informazioni giunte non erano sufficientemente tempestive da consentire un efficace controllo; quando il controllo veniva effettuato, quasi sempre si trattava di controlli cartacei.
Attualmente, con l'introduzione del decreto ministeriale n. 370 del 1998 - che attribuisce alle autorità regionali tutte le competenze sull'importazione e sull'esportazione dei rifiuti - dovrebbero essere superati tutti i problemi legati al flusso di informazioni ed alla tempestività delle stesse, in considerazione del fatto che le province potrebbero a loro volta attivare le ARPA.

7. Conclusioni e proposte.

La mancanza di armonizzazione tra i codici doganali, OCSE, CER e Basilea, non permette al momento un'adeguata conoscenza dei flussi in ingresso ed in uscita dei rifiuti dal nostro Paese, né dalla Comunità europea. La Commissione in proposito ha rilevato un'evidente difformità nei dati in materia a seconda dei soggetti che hanno fornito gli stessi (regioni, province ed ICE) con differenze che in alcuni casi superano di cinque volte il tonnellaggio rilevato per lo stesso materiale (120 mila tonnellate di residui di


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alluminio esportate secondo le regioni, a fronte delle 20 mila rilevate dall'ICE). A tal fine, alla luce del fatto che in questo periodo si sta discutendo il passaggio dei codici OCSE nelle liste Basilea, la Commissione è orientata a chiedere al Governo di assumere una posizione ufficiale per far definire l'appartenenza dei rifiuti della lista verde in maniera univoca, tanto da non consentire che i rifiuti appartenenti alla lista ambra possano transitare in lista verde; nonché di far individuare il maggior numero possibile di codici doganali da abbinare ai codici rifiuti della lista di Basilea. Occorre poi seguire in via di campione per una o due tipologie di rifiuti i vari passaggi dal Paese produttore a quello destinatario. Tra l'altro, l'appartenenza di un rifiuto ad una lista verde spesso comporta una scarsa conoscenza del reale riciclo e del sito finale dove questo avviene. Ciò a causa dell'eccessiva semplificazione della norma che, come è noto, per tale lista non prevede l'autorizzazione per il trasporto.
Va qui valutata positivamente l'iniziativa del Governo volta ad una nuova definizione per alcuni materiali recuperati da rifiuti - quali i residui delle lavorazioni del tessile, della concia e dei metalli - che consenta di ricomprendere questi nella categoria delle materie prime seconde, agevolando quindi le attività di recupero di queste filiere industriali.
Alle problematiche sopra evidenziate va aggiunta - non secondaria - quella relativa alla definizione di rifiuto, di cui si è già ampiamente trattato nella relazione alle Camere della Commissione per il primo biennio d'attività svolta (doc. XXIII, n.35, pagg. 44-46). L'attuale testo in discussione alla Camera, oltre a definire il significato del «si disfi», «abbia deciso di disfarsi» e «abbia l'obbligo di disfarsi», precisa che le prime due ipotesi perdono il loro significato quando una sostanza o un oggetto ed il suo utilizzo soddisfano le seguenti condizioni: la sostanza o l'oggetto deve avere le caratteristiche merceologiche delle materie prime o delle materie prime secondarie (...); l'eventuale trattamento della sostanza o dell'oggetto deve corrispondere ed essere analogo al normale trattamento industriale delle materie prime o delle materie prime secondarie (...); la sostanza o l'oggetto deve essere destinato in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo in un ciclo produttivo; l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto in un ciclo produttivo deve essere effettivo ed oggettivo e non deve comportare pericoli per la salute o per l'ambiente maggiori di quelli propri delle normali attività produttive.
A dimostrazione di quanto sia urgente ed importante un chiarimento sulla definizione di rifiuto, valga per tutti il seguente esempio: si supponga che vengano importati da Paesi europei (ad esempio, dalla Germania) rifiuti di plastica provenienti dalla raccolta differenziata. Tali rifiuti, qualora fossero identificati con il codice OCSE GH 010, potrebbero arrivare in Italia senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità competenti di spedizione e di destinazione in quanto appartenenti alla lista verde (allegato II del regolamento 259/93). Una volta giunti in Italia, la semplice certificazione che ne attesti le caratteristiche previste per le materie prime secondarie (UNIPLAST-UNI 10667), comportando di fatto l'uscita dall'ambito della normativa sui rifiuti, permetterebbe di colmare interi fatiscenti magazzini di tali materiali, che in realtà non sempre potrebbero essere facilmente riciclabili e si potrebbero quindi prestare ad operazioni dolose quali incendi di capannoni. Su questa problematica, per episodi già verificatasi, si è pronunciata la Corte di giustizia europea, IV sezione, il 25 giugno 1998.
La Commissione si rivolge con determinazione a Governo e Parlamento affinché pongano in essere tutti gli sforzi per favorire in sede europea la conclusione dell'iter procedimentale connesso alla definizione giuridica di rifiuto. In tal modo si potrà offrire un quadro normativo certo ed uniforme all'amministrazione, alle imprese, al sistema dei controlli ed agli operatori di giustizia.
La Commissione inoltre auspica che siano rafforzati i controlli presso i presìdi doganali, sia da un punto di vista quantitativo


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che qualitativo: si possono, infatti, attivare specifici accordi di collaborazione tra il personale dipendente dei Ministeri e quello delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
È anche necessario che si investano maggiori risorse e si utilizzino nuove tecnologie (informatiche, telematiche, satellitari, ecc.) per garantire controlli più estesi e più efficaci, in particolare per i rifiuti pericolosi e/o radioattivi.
Più in generale, si può concludere che l'analisi - che ormai la Commissione ha svolto molte volte - sulle norme e sulla tenuta organizzativo-gestionale delle amministrazioni chiamate ad applicarle ha mostrato livelli eterogenei di efficacia. Vi sono regioni e province i cui apparati sono al corrente delle proprie specifiche competenze e che le esercitano con un qualche risultato. Ve ne sono altre che sono del tutto carenti sul punto. Tra i controlli svolti dagli enti territoriali e quelli statali, inoltre, c'è una totale difformità metodologica, sicché i dati disponibili sono spesso divergenti e difficilmente comparabili.
Ne deriva che gli operatori privati che operano correttamente non hanno come interlocutrice un'amministrazione che segue indirizzi precisi e univoci, mentre quelli che operano scorrettamente trovano assai agevole inserirsi nelle maglie della normativa, avendo per di più di fronte un'amministrazione spesso impreparata.

Note:
(1) Al riguardo si pensi che, nella sola Sicilia, ogni anno si produce un chilogrammo di rifiuti ospedalieri per degenza giornaliera, per un totale di circa 3 milioni di degenze giornaliere annue.
(2) Al proposito si consideri che la produzione, nel 1997, di rifiuti del comparto industriale, strettamente inteso, ammonta in Italia a circa 21 milioni di tonnellate.
(3) Si vedano ad esempio i documenti XXIII-16 sul Lazio, p. 18; XXIII-23 sull'Abruzzo, p. 45; XXIII-34 sulla Sicilia, p. 45; Relazione alle Camere sull'attività svolta (doc. XXIII-35), p. 37 ss.
(4) V. il resoconto stenografico della seduta, p. 2.
(5) Esso riporta, negli allegati A e B, rispettivamente l'elenco dei rifiuti appartenenti alla lista verde per cui esiste il divieto di esportazione verso alcuni Paesi non appartenenti all'OCSE, nonchè l'elenco dei Paesi verso cui possono essere esportate alcune tipologie di rifiuti della lista verde applicando, tuttavia, le procedure di controllo previste per i rifiuti destinati allo smaltimento.
(6) Tale regolamento stabilisce la procedura di controllo cui sono soggetti alcuni rifiuti appartenenti alla lista verde nel caso in cui essi vengano esportati verso taluni Paesi ai quali non si applica la decisione dell'OCSE nell'allegato A, figurano i Paesi che hanno accettato alcune tipologie di rifiuti a condizione che vengano rispettate le procedure previste per i rifiuti appartenenti alla lista ambra; nell'allegato B, i Paesi che accettano alcuni rifiuti verdi con le procedure previste per i "rifiuti rossi"; nell'allegato C, i Paesi che desiderano ricevere alcune tipologie di rifiuti seguendo le procedure previste per i rifiuti destinati allo smaltimento.
(7) Più in dettaglio, si tratta di: legno trattato individuato dai codici 170201, 030103, 150103, 200170 per un quantitativo pari a 1.784.082 tonnellate; ceneri e residui di alluminio individuati dal codice 100300 per un quantitativo pari a 152.450 tonnellate; accumulatori al piombo individuati dal codice 160601 per un quantitativo pari a 3.800 tonnellate; residui di centrali termiche e altri impianti individuati dal codice 100100 pari a 15.500 tonnellate; rifiuti di oli esausti individuati dal codice 130100 per un quantitativo pari a 24.000 tonnellate (vedi tabelle allegate).
(8) Più in dettaglio, si tratta di:?miscele di solventi alogenati individuate dai codici 070107, 070703, 130301, 140502, AC 240, RA 010 per un quantitativo pari a 48.400 tonnellate; miscele di solventi non alogenati individuate dai codici AC 210 per un quantitativo pari a 29.660 tonnellate; scorie e ceneri di alluminio individuate dal codice 100300 per un quantitativo pari a 120.000 tonnellate; scorie e ceneri di zinco individuate dal codice 100500 per un quantitativo pari a 18.000 tonnellate (vedi tabelle allegate).
(9) Si tratta delle società Sit (Società industria truciolare) di Mortara (Pavia), Falco spa di Codigoro (Ferrara) e Saib spa di Caorso (Piacenza), le quali hanno mostrato peraltro livelli tecnologici e qualitativi assai elevati.


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