Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Mercoledì 19 gennaio 2000


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ALLEGATO

Relazione sulla Calabria.
(Relatore: senatore Franco Asciutti)

TESTO INTEGRATO CON LE MODIFICHE APPROVATE NELLA SEDUTA DEL 19 GENNAIO 2000

Premessa.

Nell'esercizio delle funzioni attribuitele dalla legge istitutiva, la Commissione - come noto - ha proceduto alla stesura di rapporti territoriali sulla situazione del ciclo dei rifiuti.
Quanto alla Calabria, oggetto della presente trattazione, informazioni sono state assunte sia mediante apposite missioni in loco, sia attraverso l'audizione di esponenti di enti vari sia pubblici che privati, sia ancora attraverso l'acquisizione di documentazione scritta.
La Commissione ha proceduto alla verifica dei livelli di attuazione della legislazione inerente alla gestione del ciclo dei rifiuti, all'acquisizione di conoscenze relative alla situazione reale del territorio regionale e alle problematiche inerenti a specifici siti, nonché all'accertamento di eventuali nessi tra l'attività degli operatori del settore e attività illecite.
Se le risultanze di tale attività conoscitiva e ispettiva sono di lettura piuttosto complessa e sollecitano in futuro ulteriori approfondimenti, si può tuttavia asserire che il quadro d'insieme è ancora degno di massima attenzione e di più d'un allarme e sembra - purtroppo - inserirsi, sia pure con talune lodevoli eccezioni, in un generale contesto di approssimativa applicazione della legge e di non ancora sufficiente livello di consapevolezza dei problemi del governo del territorio. Ad analoghe conclusioni, del resto, era giunta già la Commissione monocamerale d'inchiesta istituita presso la Camera dei deputati nella XII legislatura (cfr. la relazione conclusiva, pubblicata nel volume Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, Roma, 1996, pp. 392 e seguenti, 431 e seguenti).
Già nel settembre 1997 è stato dichiarato lo stato di emergenza per i rifiuti solidi urbani nell'intera regione (cfr. l'ordinanza emanata con Dpcm del 12 settembre 1997). Con ordinanza del 21 ottobre 1997, il Ministro dell'interno ha conferito al presidente della giunta regionale i poteri di commissario delegato dotato dei poteri straordinari derivanti dallo stato d'emergenza. Questi atti sono stati la conseguenza della presa d'atto del Governo della Repubblica di una situazione grave, dovuta all'insufficiente sensibilità per la portata del problema dei rifiuti. Sin d'ora occorre dire, tuttavia, che la gestione commissariale si sta rivelando produttiva di lenti ma significativi miglioramenti.

1. Le audizioni e le missioni.

Una delegazione della Commissione, guidata dal Presidente Scalia e composta sia da parlamentari (il senatore Iuliano e il deputato Copercini) che da consulenti, si è recata in Calabria nel settembre del 1998.
Il giorno 24 settembre la delegazione ha effettuato dei sopralluoghi presso l'impianto di compostaggio di Sambatello (Rc), l'impianto di selezione di Lamezia Terme (Rc), l'impianto di compostaggio di Catanzaro Lido e lo stabilimento della ditta «Pertusola Sud» (Kr).


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Nel corso della medesima giornata si sono svolte delle audizioni presso la prefettura di Catanzaro. Sono stati ascoltati, per le istituzioni pubbliche il dottor Vincenzo Gallitto, prefetto di Catanzaro, Pietro Fuda, assessore regionale all'ambiente con funzioni vicarie del commissario delegato per l'emergenza, l'avvocato Italo Reale, presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto alla gestione commissariale, Franco Caglioti, assessore all'ambiente del comune di Catanzaro, Nuccio Barillà, assessore all'ambiente del comune di Reggio Calabria; in rappresentanza del mondo imprenditoriale il dottor Rolando Salvatori, responsabile regionale della Confartigianato; il dottor Antonio Argentieri Piuma, vice-presidente regionale della Confindustria; Stefano Zirilli, segretario regionale della Cna; Claudio Liotti, vice-presidente della Lega Coop in Calabria; e infine, per le associazioni ambientaliste, Lorenzo Passaniti, segretario regionale della Legambiente; Pierluigi Mancuso, rappresentante regionale di Ambiente e/è vita e Giuseppe Chiaravallotti, presidente regionale di Italia Nostra.
Quanto all'attività conoscitiva svoltasi presso la Commissione, il plenum della stessa ha ascoltato in audizione formale il 25 settembre 1997, il dottor Alberto Cisterna, sostituto procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria; l'8 luglio 1998 il dottor Luigi De Magistris, sostituto procuratore presso il tribunale di Catanzaro; il 23 novembre 1999 Luigi Meduri (1), presidente della giunta regionale calabrese e commissario delelgato all'emergenza; infine il 2 dicembre 1999 è stato nuovamente ascoltato l'avvocato Italo Reale, presidente della commissione tecnico-scientifica di supporto alla gestione commissariale.

(1) Al riguardo si ricordi che a seguito delle elezioni amministrative dell'aprile 1995, era stato eletto presidente della giunta regionale l'on.Giuseppe Nisticò al quale è succeduto, per un breve periodo (dall'agosto 1998) l'on.Battista Caligiuri, appartenente al medesimo gruppo (Fi) e poi, per un cambio di maggioranza avvenuto nel gennaio del 1999, l'on.Luigi Meduri (del gruppo del Ppi), che - quale consigliere dell'opposizione - si era precedentemente interessato della materia dei rifiuti, risultando anche firmatario di un'interrogazione datata 15 gennaio 1996.

Si sono poi recati in Calabria in diverse altre occasioni i consulenti incaricati dalla Commissione per raccogliere informazioni ed effettuare sopralluoghi.

2. La normativa regionale, gli atti di programmazione e la congruità dell'azione amministrativa.

2.1. La disciplina regionale. La gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Calabria non è disciplinata in modo organico e razionale. Non v'è alcuna legge regionale approvata sotto il vigore del decreto presidenziale n.915 del 1982, né tanto meno una fonte analoga emanata sotto il vigore del «decreto Ronchi». La modalità «normale» di governo del problema è stata quella dell'autorizzazione di discariche in emergenza ai sensi dell'articolo 12 del Dpr n.915 del 1982.
Per la sola emergenza del sito di Sambatello è stata emanata una legge regionale di finanziamento degli interventi; (2) mentre giacciono presso il consiglio regionale alcune proposte di disciplina organica della materia.

(2) Si tratta della legge regionale n. 31 del 1996.

Lo stesso si deve dire per quel che riguarda i rifiuti speciali.
Durante la consiliatura che sta per scadere, in consiglio regionale sono state avanzate diverse proposte, esaminate dalla competente commissione consiliare e attualmente all'esame del plenum. Si tratta di un progetto di legge regionale relativo alla disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi; e di un progetto relativo al divieto d'importazione di rifiuti.
Va sottolineato altresì che, nel luglio del 1996, è stata presentata dal gruppo


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consiliare di Alleanza nazionale una proposta di delibera per un progetto di legge nazionale d'iniziativa regionale, volta a introdurre nella materia del danno ambientale il principio della responsabilità oggettiva.

2.2. Altre iniziative regionali. La materia dei rifiuti è stata oggetto, nell'autunno del 1997, anche di una mozione del gruppo di Rifondazione comunista in consiglio regionale, volta a impegnare la giunta ad adottare il piano regionale per la gestione dei rifiuti. La mozione tuttavia non è mai stata discussa, anche perché al momento della presentazione era stato dichiarato lo stato d'emergenza e perché successivamente è stato adottato il piano.
Numerosi consiglieri regionali hanno inoltrato interrogazioni alla giunta, anche dopo l'adozione del piano da parte della gestione commissariale.

3. La situazione del territorio.

3.1. Lo stato d'emergenza. Lo stato d'emergenza per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Calabria è stato dichiarato il 12 settembre 1997, ed il 21 ottobre 1997 è stato nominato Commissario delegato il presidente della giunta regionale. La dichiarazione dello stato d'emergenza è stata successivamente confermata per gli anni 1998 e 1999, sempre indicando il presidente della regione quale Commissario delegato.
Nel maggio 1998 l'ufficio del Commissario delegato ha emanato il «Piano degli interventi di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili». Si è trattato del primo strumento di pianificazione in materia per la regione Calabria, giacché - come già accennato - sino a quella data non vi era stato alcun intervento normativo della regione, ciò che aveva evidentemente contribuito a determinare la situazione d'emergenza.
La considerevole quantità delle discariche attive sul territorio calabrese (delle quali si dirà appresso) è la testimonianza della completa assenza di programmazione in materia.
Il piano emanato nel maggio 1998 dall'ufficio del Commissario delegato è stato redatto tenendo conto dei criteri e degli obiettivi imposti dalla normativa nazionale - il decreto legislativo n.22 del 1997 - e della disponibilità regionale di impianti di smaltimento o trattamento esistenti in regione. Su questo punto occorre però sin d'ora evidenziare come molti di questi erano inattivi o inadeguati, o addirittura realizzati in maniera tale da rendere assai difficile l'attivazione: per tutti valgano i casi dell'inceneritore di Cosenza-Rende (di tecnologia obsoleta e di forte impatto sull'ambiente) e dell'impianto di compostaggio di Reggio Calabria-Sambatello.
L'ufficio del Commissario delegato ha suddiviso il territorio regionale in cinque «ambiti territoriali ottimali» (d'ora in avanti: Ato), ciascuno dei quali dovrà essere dotato di un impianto di selezione secco-umido e di produzione di «combustibile derivato da rifiuti» (Cdr) da inviare ai due impianti di termovalorizzazione di cui è prevista la realizzazione. È opportuno fornire una sintetica descrizione della composizione dei cinque ambiti e delle rispettive dotazioni di impianti secondo il Piano:
Ato n. 1: comprende 90 comuni della provincia di Cosenza (incluso il comune capoluogo), localizzati essenzialmente nella fascia interna e montuosa. In quest'ambito è previsto l'adeguamento e il potenziamento dell'impianto di Rende, da trasformare in centro di selezione secco-umido (con una capacità di trattamento di 70.000 tonnellate per anno) e compostaggio (dalla capacità di 40.000 tonnellate per anno); un altro impianto di selezione secco-umido (con una potenzialità di 50.000 tonnellate per anno) e compostaggio (potenzialità 25.000 tonnellate per anno) dovrà essere realizzato a Castrovillari; è infine previsto l'adeguamento delle discariche di Lungro, Paterno, Celico, Rogliano e del Consorzio Val Bisirico.


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Ato n. 2: comprende 47 comuni, 19 della provincia di Cosenza (area jonica) e 28 della provincia di Crotone. Per quest'ambito si prevede la realizzazione di un impianto di selezione secco-umido (potenzialità 40.000 tonnellate per anno) e compostaggio (potenzialità 25.000 tonnellate per anno) a Crotone; il potenziamento dell'impianto di compostaggio (capacità 20.000 tonnellate per anno) a Rossano; il potenziamento delle discariche di Scala Coeli, Cassano Jonico, Scandale e Pallagorio, nonché la realizzazione di una discarica consortile a Crotone.
Ato n. 3: comprende 45 comuni della provincia di Cosenza (area tirrenica). In quest'ambito è prevista la realizzazione di un impianto di selezione (dalla potenzialità di 56.000 tonnellate per anno), di compostaggio (potenzialità di 50.000 tonnellate per anno) e di termovalorizzazione (capacità 120.000 tonnellate per anno); si prevede inoltre il potenziamento delle discariche di San Sosti, Aiello Calabro e San Marco Argentano).
Ato n. 4: comprende 127 comuni, e raccoglie l'intera provincia di Catanzaro e la provincia di Vibo Valentia, salvo tre comuni compresi nell'Ato n. 5. È qui previsto il potenziamento dell'impianto di Catanzaro-Alli, portando la linea di selezione secco-umido ad una capacità di 20.000 tonnellate per anno e quella di valorizzazione della raccolta differenziata a 40.000 tonnellate per anno; il potenziamento dell'impianto di Lamezia Terme (con capacità identiche a Catanzaro-Alli); il potenziamento delle discariche di Capistrano, Petrizzi ed Isca sullo Jonio.
Ato n. 5: comprende 100 comuni, e raccoglie l'intera provincia di Reggio Calabria oltre a tre comuni della provincia di Vibo Valentia. Per quest'ambito è previsto il potenziamento dell'impianto di Reggio Calabria-Sambatello, portando la linea di compostaggio ad una capacità di 45.000 tonnellate per anno; la realizzazione di un impianto di selezione secco-umido (potenzialità 40.000 tonnellate per anno) e compostaggio (45.000 tonnellate per anno) a Siderno-Locri; la realizzazione di un impianto di selezione secco-umido (potenzialità 40.000 tonnellate per anno) e termovalorizzazione (120.000 tonnellate per anno) a Gioia Tauro; il potenziamento delle discariche di Siderno, Casignano e Oppido Mamertino.

3.2. La produzione di rifiuti. Nel 1997 in Calabria sono state prodotte 697.210 tonnellate di rifiuti solidi urbani, pari a 0.92 chilogrammo per abitante al giorno; la raccolta differenziata ha riguardato appena lo 0,6 per cento degli Rsu prodotti. Circa il 90 per cento dei rifiuti prodotti sono stati smaltiti in discarica, il resto è stato inviato all'impianto di selezione e incenerimento di Rende, e all'impianto di selezione di Catanzaro-Alli.
Quanto ai rifiuti speciali, secondo i dati più recenti in Calabria nel 1997 sono state prodotte 884.968 tonnellate di rifiuti speciali, 106.803 delle quali classificate come «pericolosi». Per quanto riguarda il trattamento, circa 3.400 tonnellate sono state incenerite presso l'impianto di Reggio Calabria, 2.288 tonnellate presso l'impianto di Crotone, 108.269 tonnellate sono state smaltite in discarica mentre 45.020 tonnellate sono state trattate per il recupero di materiali. La regione Calabria non ha fornito informazioni in merito alle quantità non smaltite o trattate nei modi sopra descritti. Va a questo proposito rilevato come la Commissione è a conoscenza di indagini relative a illeciti smaltimenti di rifiuti speciali prodotti in Calabria. Ma su questo specifico punto si rimanda a quanto verrà detto nel capitolo dedicato alle attività illecite.

3.2.1. Provincia di Catanzaro. Nel 1997, in questa provincia sono state prodotte 124.620 tonnellate di RSU pari a una produzione pro capite annua di 324,12 chilogrammi. La raccolta differenziata ha intercettato solo lo 0,74 per cento dei rifiuti prodotti: questa ha riguardato essenzialmente il vetro, che ha rappresentato il 99,4 per cento dei materiali raccolti separatamente. Lo smaltimento è avvenuto principalmente nelle 7 discariche


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esistenti in provincia. All'impianto di selezione di Catanzaro-Alli sono state inviate complessivamente 49.164 tonnellate di rifiuti.

3.2.2. Provincia di Cosenza. La produzione di RSU in provincia di Cosenza è stata, nel 1997, di 229.500 tonnellate pari a una produzione pro capite annua di 305,22 chilogrammi. La raccolta differenziata ha rappresentato l'1 per cento, concentrandosi sulla carta (55 per cento dei materiali raccolti in maniera differenziata) e sul vetro (28,7 per cento). Lo smaltimento dei rifiuti è avvenuto nelle 34 discariche della provincia, mentre 19.825 tonnellate di rifiuti sono state trattate dall'impianto di Rende.

3.2.3. Provincia di Crotone. Nel 1997 sono state prodotte 69.410 tonnellate di rifiuti con una produzione pro capite annua di 390,9 chilogrammi. Il dato della raccolta differenziata è nullo. Lo smaltimento è avvenuto nelle 5 discariche esistenti nel territorio provinciale.

3.2.4. Provincia di Reggio Calabria. In questa provincia, nel 1997, la produzione di RSU è stata di 221.130 tonnellate, pari a una produzione pro capite annua di 382,43 chilogrammi. La raccolta differenziata si è fermata allo 0,4 per cento dei rifiuti prodotti, concentrandosi sul vetro (55,6 per cento dei materiali raccolti separatamente) e sulla carta (41,9 per cento). Lo smaltimento è avvenuto nelle 10 discariche della provincia.

3.2.5. Provincia di Vibo Valentia. La produzione di RSU nel 1997 è stata di 52.560 tonnellate, con una produzione pro capite di 293,91 chilogrammi. La raccolta differenziata ha intercettato lo 0,5 per cento dei rifiuti prodotti; carta (58,7 per cento dei materiali raccolti separatamente) e vetro (37,5 per cento) sono i materiali che hanno inciso in misura maggiore su tale raccolta. I rifiuti sono stati smaltiti essenzialmente nelle 7 discariche della provincia.

3.3. La congruità dell'azione dei pubblici poteri e le realizzazioni di piano. È stato rilevato come il piano degli interventi di emergenza emanato dal Commissario delegato nel maggio 1998 sia il primo atto di programmazione in materia di rifiuti in Calabria. Si tratta di un elemento che evidenzia chiaramente come l'inattività in materia della regione abbia di fatto determinato l'attuale situazione di emergenza. La Calabria, al momento della dichiarazione dello stato emergenziale, era disseminata di una miriade di discariche, la maggior parte delle quali aperte ricorrendo all'articolo 12 del Dpr n.915 del 1982 e - successivamente - all'articolo 13 del decreto legislativo n.22 del 1997. Tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta - inoltre - erano stati realizzati alcuni impianti di trattamento, senza tuttavia alcuna organicità, e in buona parte si trattava di impianti non funzionanti per gravi carenze progettuali. In sostanza, la dichiarazione dello stato d'emergenza è calata in una situazione di assai grave arretratezza, per non dire di totale assenza di strumenti, tecnici e programmatori.
Gli stessi dati relativi alla raccolta differenziata per l'anno 1997 (il commissariamento è intervenuto solo nel mese di ottobre) evidenziano l'assenza di quell'attività della pubblica amministrazione tesi ad una gestione del ciclo dei rifiuti diversa dal mero ricorso alla discarica.
Come è stato riferito alla Commissione, all'inizio del 1998 in Calabria erano attive circa 350 discariche, talune aperte ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n.22 del 1997, altre del tutto abusive. Tali siti sono stati tutti chiusi ed è stato redatto anche un Piano di bonifica, che riguarda tuttavia un numero pressoché doppio di discariche poiché comprende anche quelle attivate negli anni precedenti al commissariamento. Secondo quanto riferito alla Commissione, della bonifica dei siti più rilevanti è stato interessato l'Enea. Ciò che preoccupa è che 180 dei 350 siti chiusi continuano ad essere utilizzati - anche se non tutti in maniera costante - dagli enti locali competenti per territorio: esiste insomma una grave responsabilità anche da parte dei comuni, che pongono in atto


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comportamenti davvero al di fuori della legge, rendendo in molti casi vana qualsiasi attività di recupero ambientale.
Per quanto riguarda invece gli impianti tecnologici di trattamento o smaltimento, risulta attivato il centro di selezione di Lamezia Terme, mentre con riferimento al forno esistente nello stesso sito è in corso di valutazione l'opportunità di utilizzo per l'incenerimento dei rifiuti ospedalieri. Sono in corso i lavori di ampliamento per il potenziamento del centro di selezione e di compostaggio di Catanzaro Alli, mentre risulta in fase di adeguamento l'impianto di selezione e compostaggio di Sambatello (Reggio Calabria). È importante segnalare a questo proposito che le carenze progettuali originarie di tale impianto determineranno una capacità di trattamento inferiore rispetto a quanto programmato (200 tonnellate al giorno). Si tratta di un elemento che la Commissione intende sottolineare, giacché l'impianto di Sambatello pare appartenere ad un'intera generazione di centri progettati unicamente per ottenere i finanziamenti pubblici, senza alcun interesse per il concreto funzionamento degli stessi (a questo proposito si rimanda a quanto detto, nella relazione sul Piemonte, in merito al digestore di Novara - Doc. XXIII-13, p. 65 - e, nella relazione sulla Sicilia, sul centro di compostaggio di Trapani - Doc. XXIII-34, p. 21). Infine, risulta redatto il progetto di adeguamento dell'impianto di selezione e compostaggio di Rossano.
Secondo quanto riferito alla Commissione, inoltre, l'ufficio del Commissario ha attivato cinque stazioni di trasferenza per i rifiuti, ed è stato realizzato il sistema delle discariche previsto dal piano d'emergenza. Infine, sono in corso le procedure per la valutazione d'impatto ambientale dei due termovalorizzatori previsti a Gioia Tauro e a Bisignano. A questo proposito la Commissione ha appreso che gli appalti non riguarderanno solo questi due impianti, ma l'intero ciclo di trattamento e di smaltimento (oltre ai termovalorizzatori anche gli impianti di compostaggio e quelli per la produzione del Cdr). La strada scelta dall'ufficio del Commissario è quella del concessione-contratto: il privato che si aggiudicherà l'appalto realizzerà il suo guadagno in un arco temporale di quindici anni. Con tale sistema, in pratica, si vuole evitare quanto accaduto - nella stessa Calabria - ad esempio per l'impianto di Sambatello, dove è accaduto l'impresa aggiudicataria ha incassato il compenso dell'appalto senza dare in cambio una struttura funzionante. Si tratta di un metodo che la Commissione valuta positivamente, mentre qualche perplessità suscitano le motivazioni addotte alla scelta di indire bandi di così notevoli dimensioni. Infatti, alla valutazione che solo in questo modo si è certi che il termovalorizzatore brucerà esclusivamente Cdr di qualità (come affermato dal commissario) si può anche replicare che il vincitore dell'appalto potrà preferire di inviare all'impianto di incenerimento rifiuti non trattati adeguatamente, in modo da ridurre i costi di preparazione del materiale.
La Commissione auspica pertanto il massimo controllo sul rispetto di tutte le clausole contrattuali e sugli standard di qualità del Cdr e delle emissioni in atmosfera; nonché - naturalmente - su tutte le imprese che parteciperanno agli appalti all'interno delle diverse cordate, o assumeranno lavori in subappalto. Come è stato più volte dimostrato, infatti, dietro il volto rispettabile della grande azienda si possono accodare imprese legate alla criminalità organizzata, quando non gestite direttamente da questa. Allo stesso modo, particolare attenzione va prestata nel momento in cui verranno costituite le società miste che dovranno gestire i servizi di raccolta e smaltimento nei comuni calabresi: è facile infatti prevedere che - come per ogni altro tipo di appalto pubblico - la criminalità organizzata cercherà di governare il business, inserendosi in maniera sempre più pervasiva con proprie società nel ciclo dei rifiuti.
Ad avviso della Commissione, l'attività dell'ufficio del Commissario appare congrua rispetto ai compiti assegnati, ed in linea con le previsioni del decreto legislativo n.22 del 1997. In particolare la


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Commissione nota positivamente come il sistema della raccolta differenziata e del recupero di materiale sia stata centrata principalmente sulla separazione secco-umido e sulla produzione di compost di qualità. Tuttavia lo sviluppo del sistema appare ancora in ritardo, giacché le attrezzature per la raccolta differenziata (compresi gli automezzi) di cui la regione si sta dotando serviranno a coprire il 40 per cento del fabbisogno. Un ritardo che comunque deriva dalla ricordata assenza di interventi e di programmazione precedenti alla dichiarazione dello stato d'emergenza.
A questo proposito è inoltre opportuno aggiungere come anche in Calabria gli aspetti più problematici dell'azione del commissario attengono all'effettività dei poteri del delegato del Governo. È stato infatti evidenziato come molti degli interventi disposti dal commissario necessitano di passaggi burocratici nelle strutture ordinarie, il che comporta un allungamento dei tempi necessari alla realizzazione degli interventi stessi. Esiste insomma la necessità di rimodulare lo strumento del commissariamento, tema al quale la Commissione - come già segnalato nella Relazione sull'attività svolta (Doc. XXIII-35) intende dedicare grande attenzione nei prossimi mesi, con un'indagine dedicata proprio alle realtà territoriali in emergenza per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti.

4. L'impiantistica presente in regione.

4.1. L'impianto di selezione e compostaggio di RSU di Sambatello (RC). Al momento della visita della Commissione, avvenuta in data 24 settembre 1998, l'impianto era incompleto, inattivo ed esattamente nelle condizioni constatate dalla Commissione monocamerale nella XII legislatura.
La progettazione della struttura risale al 1985. I lavori di costruzione, iniziati nel 1990, con fondi Fio, furono quindi sospesi dal novembre 1991 al maggio 1993 e in seguito fino al 1998, a seguito del fallimento della ditta De Bartolomeis. Grazie al commissariamento per l'emergenza-rifiuti, è stato possibile attivare i lavori a partire dal 1998 e per buona parte del 1999. Questi sono consistiti nel completamento o nel ripristino delle opere per la messa in esercizio dell'impianto nel revamping delle sezioni esistenti per riportarle ove possibile nella condizione di montaggio ultimato.
Il dimensionamento originario dell'impianto è stato concepito per accogliere circa 230 tonnellate al giorno di RSU (pari a tutta la potenziale produzione di Reggio Calabria) e circa 19 tonnellate al giorno di fanghi di depurazione con una umidità del 85 per cento. La composizione merceologica di progetto ha le seguenti caratteristiche: 45 per cento di frazione organica putrescibile, 23 per cento circa di plastica e materiali cellulosici, 4,5 per cento di vetro e ceramica, 2.4 per cento di legno, 2.5 per cento di metalli con un sottovaglio di circa il 22 per cento.
L'impianto, da progetto, dovrebbe assicurare una produzione di circa il 49 per cento di compost maturo in linea con i requisiti della delibera interministeriale del 27 luglio 1984, del 2.3 per cento di ferro sporco, del 18.3 per cento di Cdr fluff trasformabile in 15.3 di Cdr pellettizzato e del 15 per cento di sovvalli da inviare in discarica. Il ciclo tecnologico inizia con la pesatura dei mezzi e la ricezione dei rifiuti in fosse a depressione servite da benne e gru. Speciali estrattori alimentano quindi i rifiuti alle linee di trattamento. Ne segue una preliminare classificazione dei rifiuti con separazione della parte organica compostabile. I fanghi di depurazione invece vengono stoccati in apposito bunker. La frazione secca costituita da pile, vetro, inerti, materiale ferroso, viene quindi opportunamente separata dalla frazione leggera compostabile. Le frazioni compostabili e i fanghi vengono quindi miscelati ed omogeneizzati ed inviati al parco di stabilizzazione aerobica accelerata e posta sotto controllo per quattro settimane.
Il parco è munito di rivoltatori automatici in cumuli. Il compost stabilizzato è inviato, tramite nastri trasportatori, al


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gruppo di rimozione delle impurezze costituite da vetri, metalli, pietre, ceramiche e delle frazioni più leggere quali spaghi, etichette, plastiche leggere, tappi eccetera. Il compost depurato è quindi inviato al sito di stoccaggio e maturazione definitiva. I sovvalli che si sono separati dal classificatore rotante, vengono inviati ad apposita fossa e separati in seguito dai residui ferrosi, frantumati e separati dalle frazioni leggere combustibili. Anche le frazioni leggere vengono triturate addensate ed essiccate per ottenere un Cdr pellettizzato e raffreddato. I pelletts sono poi stoccati in magazzino. I rigetti dei sovvalli sono conferiti in discarica ed il ferro recuperato inviato all'utilizzo dopo eventuale pressatura. Le opere realizzate, nel periodo 1998-1999, a fronte del progetto iniziale, sono consistite in lavori civili, installazioni elettromeccaniche (macchinari), realizzazione di impianti elettrici di comando e di controllo e installazione di un biofiltro a tecnologia Engitec, già sperimentata con successo nell'impianto di Colfelice (Lazio) in grado di abbattere le emissioni odorose dell'area di compostaggio e di tutte le aree di selezione e di movimentazione dei rifiuti. L'aria depurata incontra le caratteristiche della normativa vigente in tema di emissioni gassose. La linea di pellettizzazione prevista è stata esclusa in corso d'opera, dato il rilevante costo energetico conseguente alla necessaria modifica di alcuni macchinari. I macchinari per la pressatura del ferro sono stati altresì dismessi.
Attualmente la gestione provvisoria riguarda il collaudo e circa il 30 per cento della portata di progetto a causa del deterioramento di alcune apparecchiature installate. L'impianto, cosi come realizzato, non è in grado di trattare le quantità di progetto iniziali, a meno che non si intervenga con nuovi investimenti. La potenzialità annua della linea di compostaggio dovrebbe arrivare a 45.000 tonnellate all'anno. La discarica di Fiumara che avrebbe dovuto essere a servizio di Sambatello è ora chiusa in quanto già utilizzata in emergenza nel recente passato. Essa pone rischi sanitari e idrogeologici, essendo situata in una gola, alla confluenza delle acque di dilavamento della montagna soprastante.

4.2. La piattaforma di trattamento di RSU e depurazione acque civili di Lamezia Terme. La piattaforma di trattamento consiste di un depuratore di acque civili, di un impianto di selezione di RSU e di un impianto di incenerimento. L'impianto tecnologico di trattamento di selezione RSU, fermo da anni, è stato attivato per intervento della struttura commissariale, completato e messo in funzione nel luglio 1999.
Rispetto alle potenzialità di progetto esso tratta il 60 per cento e si prevede entro la metà del 2000 che arrivi alla potenzialità vicina al 100 per cento e identica a quella dell'impianto di compostaggio di Catanzaro Lido-Alli. Il forno di incenerimento è ancora fermo in quanto è stato progettato facendo riferimento a tecnologie ormai obsolete e inadeguate alla nuova normativa soprattutto per ciò che riguarda le temperature di esercizio del forno, i sistemi di abbattimento dei fumi e delle polveri che non garantirebbero per esempio gli stringenti limiti alle emissioni di prodotti furanici e diossinici. Un futuro prospettabile per tale impianto è quello di utilizzarlo, previa modifica e adeguamento ai nuovi standard ambientali, per la termodistruzione di rifiuti speciali e ospedalieri.
Il progetto commissariale della piattaforma prevede la selezione dei RSU, il compostaggio e l'incenerimento dei sovvalli unitamente ai fanghi di depurazione. Un'alternativa di progetto ipotizza l'invio dei fanghi di depurazione ad un biotunnel e il compostaggio insieme alla frazione organica dei RSU, previa installazione di un biofiltro in grado di abbattere gli odori derivanti dalla biodegradazione della frazione umida organica.

4.3. L'impianto di compostaggio di Catanzaro Lido-Alli. Al momento della visita della Commissione, l'impianto era già in produzione ed in parte risolveva i problemi dei RSU della città di Catanzaro.


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A seguito dell'intervento della struttura commissariale esso è stato ampliato, potenziato e adeguato ai nuovi standard normativi anche se si ritiene necessaria l'attivazione di un sistema di abbattimento degli odori. La linea di selezione secco-umido è stata portata a 20.000 tonnellate per anno, quella della valorizzazione della RD a 40.000 tonnellate per anno. Nel 1997 sono state trattate nell'impianto circa 50.000 tonnellate di rifiuti. L'adiacente discarica di RSU asservita all'impianto di compostaggio non ha tuttavia grandi capacità residue di stoccaggio, tant'è che, per evitare un suo rapido esaurimento, già nel 1998 una delibera regionale imponeva che non fossero conferiti alcuni materiali quali quelli provenienti dalla triturazione del legno ed altri ancora per non occupare eccessivi spazi. Nell'impianto si realizza la selezione, il compostaggio e l'ottenimento di RDF. Inizialmente era previsto che i sovvalli andassero alla termodistruzione nell'inceneritore di Lamezia Terme per evitare eccessivi accumuli nella discarica asservita all'impianto di Alli. Ciò non si è poi realizzato a causa della inadeguatezza dell'inceneritore di Lamezia agli standard ambientali vigenti. Essendo già stata avviata la raccolta differenziata dei RSU nella città di Catanzaro con prospettive di recupero delle varie frazioni secche, è presumibile che la discarica di Alli, se oculatamente gestita, possa ancora per qualche tempo assolvere al compito di «discarica di servizio» dell'impianto di compostaggio senza eccessivi sovraccarichi.

4.4. L'impianto della società Pertusola Sud di Crotone (società Enirisorse). L'impianto è stato progettato nel 1928 ed attivato nel 1932. Fino al 1991 è stato gestito da una società francese per poi passare, nel 1991, alla Nuova Samim che l'ha tenuto fino alla metà degli anni '90 quando nella gestione è subentrata la società Enirisorse, attuale proprietaria.
L'impianto, tecnologicamente antiquato, tratta le blende (solfuro di Zinco) provenienti dal Canada, dall'Australia e dall'Irlanda per la produzione primaria dello zinco. Nel processo produttivo il minerale è inviato alla flottazione da cui si ottiene un concentrato con circa il 50 per cento di zinco. Tale concentrato contiene anche il 4-5 per cento di ossido di ferro e il 25-30 per cento di zolfo mentre il resto (ganga) è costituto da silice e ferro piritico. Il materiale proveniente dalla flottazione è inviato ad un forno di arrostimento dal quale si ottengono ossidi di zolfo (utilizzati per la produzione di acido solforico), calcina di zinco (ossido di zinco, zolfo residuo, e ferriti di zinco). Nelle ferriti è presente ancora circa il 15 per cento di zinco e il 3-4 per cento di piombo. L'acido solforico è utilizzato per sciogliere l'ossido di zinco della calcina la cui soluzione va al processo elettrolitico per ottenere zinco metallico. L'ottenimento dello zinco elettrolitico, avviene di norma a Portovesme in Sardegna.
Le ferriti che contengono piombo, zinco, cadmio rame non vengono recuperate presso l'impianto ma sono inviate allo smaltimento. Il loro recupero richiederebbe infatti impianti con tecnologie più moderne di quelle esistenti. La produzione di zinco pone l'impianto di Pertusola al secondo posto dopo Porto Vesme (Sardegna) con 100.000 tonnellate per anno. La resa del processo è del 70 per cento. Durante la visita ispettiva, il management dell'azienda ha riferito che le ferriti venivano inertizzate e smaltite in discarica tramite accordi con la società Imichimica e con la Ecoitalia utilizzando un'autorizzazione regionale del 1995. La descrizione del processo di inertizzazione e le modalità di smaltimento non hanno convinto del tutto la Commissione, soprattutto in relazione ai chimismi di reazione rifiuto-chemicals descritti.
Le ferriti che erano presenti nei vasconi dell'impianto già nel 1997 ammontavano a 380.000 tonnellate, secondo un rapporto redatto dalla provincia di Crotone. I dubbi espressi dalla Commissione sulla validità del sistema di inertizzazione e smaltimento trovano conferma dalle recenti risultanze di due indagini avviate dalla procura di Catanzaro che ha accertato che circa 30.000 tonnellate di ferriti non sono state inertizzate per fare conglomerati


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cementizi ma solo miscelate con terra per ottenere sottofondi stradali. In altri casi si simulava il recupero delle ferriti e si smaltivano in terreni agricoli nell'area di Cassano ionico e di Rossano Calabro. A fronte di tale situazione di grave compromissione ambientale, l'ufficio del Commissario per l'emergenza rifiuti ha incaricato l'ENEA di effettuare tutte le indagini tecniche che portino ad una concreta possibilità di bonificare i siti contaminati. La società Enirisorse ha deciso di vendere a privati l'azienda Pertusola Sud e il progetto di acquisizione sta coinvolgendo anche aziende internazionali tra cui la Outokumpu finlandese che opera nel settore della metallurgia. La Pertusola produce circa 80-100 tonnellate per anno di rifiuti da collocare in discarica previo trattamento, a meno che non si voglia tentare un concreto recupero dei metalli. Essendo comunque previsto il raddoppio della produzione, al di là delle operazioni di vendita dell'azienda, conseguentemente raddoppierà la quantità di rifiuti prodotti con il risultato che, essendo la discarica del nucleo industriale di Crotone prossima ad esaurimento, vi è la necessità di un suo ampliamento per almeno altri 200.000 metri cubi. A tale scopo è stata chiesta alle autorità regionali la relativa autorizzazione, facendo presente che il raddoppiamento della produzione comporterà un investimento intorno a 1000 miliardi e che tale operazione quindi ha necessità di certezze amministrative affinché i rifiuti che verranno prodotti in quantità doppia rispetto a quella attuale, vengano smaltiti correttamente.

5. Le attività illecite.

I lavori svolti dalla Commissione hanno evidenziato come in Calabria si registrino diverse forme d'illegalità relative al ciclo dei rifiuti. Innanzitutto a) la regione continua ad essere, insieme alle altre regioni meridionali, meta di destinazione finale di ingenti quantitativi di rifiuti anche pericolosi provenienti dal nord e dal centro del Paese nonché dall'estero; in secondo luogo b) - non senza connessione con questo flusso illecito di rifiuti - vi è un grave fenomeno di abusivismo nelle discariche; in terzo luogo c), su tutto, vi è una preoccupante penetrazione «ndranghetista» nel settore, con smaltimenti in discariche non autorizzate, costituite da cave, specchi d'acqua, grosse buche scavate in fondi anche agricoli, sulle quali, una volta ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture.

5.1. a) e b) Il fenomeno dei traffici illeciti verso la Calabria era stato già posto all'attenzione del Parlamento dalla Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che operò nella XII legislatura ed ha trovato ulteriori, allarmanti riscontri nelle vicende giudiziarie connesse ai traffici e allo smaltimento illegale che vedono coinvolte regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, la Campania, per le quali si rimanda alla trattazione contenuta nelle rispettive relazioni territoriali.
Basti qui citare l'inchiesta in corso presso la procura di Monza, che ha portato al sequestro di circa 120mila metri cubi di rifiuti pericolosi in relazione all'attività di una società - la Ecobat - che assorbe circa il 60 per cento del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste e a quelle dell'Enirisorse, azienda del gruppo Eni. Secondo l'ipotesi al vaglio dell'organo inquirente, uno dei canali illegali di smaltimento degli enormi quantitativi di sostanze che l'Enirisorse si è trovata a gestire alla dismissione dell'attività (anni 1996 - 1997), sarebbe stata la ditta Meca di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica di I categoria A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili (cfr. la relazione sulla Lombardia, approvata il 16 dicembre 1999).
A rendere l'affaire rifiuti appetibile per le imprese sono i rischi assai modesti connessi a tale pratica illegale che assicura costi di smaltimento inferiori a quelli


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praticati dal mercato legale, nonché le garanzie di «omertà» assicurate da trasportatori e smaltitori, grazie anche all'opera fattiva svolta dalle organizzazioni criminali, specie nelle aree depresse del paese come la regione Calabria, dove la ndrangheta si è mostrata pronta ad orientare la sua azione di controllo e gestione del territorio nel settore dei rifiuti, investendo il suo patrimonio in iniziative assai lucrose e di più agevole realizzazione a fronte di una sostanziale assenza di rischi penali connessa alla natura prevalentemente contravvenzionale delle fattispecie illegali rispetto ad illeciti tradizionali come estorsione, usura, traffico di armi e stupefacenti, puniti dal legislatore nella forma delittuosa con pene particolarmente severe.
Così, se da un lato continuano a registrarsi nella regione casi di discariche attivate dai sindaci con procedure d'urgenza e gestite in modo carente, tanto da aver fatto rilevare al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri una situazione di illegalità diffusa che va dalla mancanza dei requisiti tecnici a gravi omissioni amministrative, a smaltimenti abusivi di rifiuti provenienti da varie regioni in violazione anche del divieto di esportazione transregionale (vedi ordinanza del Ministero dell'interno n.2696 del 21 ottobre 1997 - «Immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione Calabria», doc. 318/1 dell'archivio della Commissione); dall'altra, l'aspetto che desta maggiore preoccupazione è quello relativo alla progressiva penetrazione nel ciclo dei rifiuti della ndrangheta, che ha esteso le proprie attività illegali dallo smaltimento dei rifiuti anche pericolosi in discariche illegali, fino al controllo del settore degli appalti e subappalti, sia pubblici che privati.
Sotto il primo profilo, si segnala che nel corso del 1997 vi sono stati ritrovamenti di diversi terreni adibiti a discariche abusive, specie nel territorio della provincia di Cosenza.
A Corigliano Calabro, ad esempio, è stata rinvenuta una discarica dove confluivano i rifiuti urbani e speciali provenienti dai comuni di Corigliano Calabro, Crosia e San Giorgio Albanese, che è risultata attivata senza l'autorizzazione da parte della regione Calabria e gestita in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente; nel procedimento penale avviato dalla locale procura e tuttora pendente, sono coinvolti a titolo di concorso nella condotta illecita oltre il titolare della discarica, i sindaci dei comuni che hanno consentito e ordinato il conferimento presso la discarica abusiva dei rifiuti prodotti nel territorio di propria competenza.
Nel comune di Acri, nell'estate del 1997 è stato ritrovato un camion abbandonato, che portava numerosi fusti contenenti rifiuti pericolosi, ma, purtroppo, come in altri casi analoghi, le indagini non hanno consentito di individuare l'esatta provenienza e la destinazione finale del carico.
Sempre ad Acri, le forze dell'ordine hanno svelato un'attività di trasporto e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi (in particolare, miscele di solventi polari e di sostanze organiche ad alta concentrazione di cromo e materiale solido costituito da cuoio), effettuata nel corso del 1997.
I rifiuti, trasportati su un autotreno, in parte venivano scaricati su un terreno sito in località Serra Cavallo del comune di Bisignano, in parte smaltiti presso la discarica di RSU del comune di Acri, pur in assenza delle prescritte autorizzazioni regionali al trasporto e allo smaltimento di tali rifiuti pericolosi (il procedimento è attualmente in fase dibattimentale).
Va ricordata, ancora, la recente operazione che ha portato all'arresto dei gestori di un impianto di smaltimento di rifiuti ospedalieri di Crotone: gli imprenditori realizzavano truffe in danno di aziende sanitarie locali, dichiarando quantità di rifiuti smaltite superiori a quelle effettivamente trattate.
Una vicenda analoga ha interessato la provincia di Reggio Calabria, dove, a seguito di un controllo effettuato dai


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carabinieri su un furgone della ditta «Salvaguardia Ambientale» di Crotone, è emerso che i colli di rifiuti ospedalieri, che dai documenti di viaggio risultavano trasportati dal mezzo, erano in numero inferiore a quelli effettivamente stipati sullo stesso.
Dalle ulteriori verifiche condotte dai militari sulla documentazione di accompagnamento dei colli contenenti i rifiuti, è risultato che ciò si era ripetuto per numerosi trasporti, consentendo alle ditte incaricate del servizio di trasporto e smaltimento di tali rifiuti dalla ASL 11 di Reggio Calabria di lucrare con tale condotta truffaldina dalla notevole differenza tra il caricato ed il documentato, grazie anche al comportamento compiacente di alcuni funzionari dell'ente ospedaliero che, peraltro, avevano incaricato la ditta del trasporto del materiale di scarto delle strutture sanitarie della città con provvedimenti di proroga rispetto ad un precedente incarico ormai scaduto.

5.2. I traffici internazionali. La Commissione monocamerale della XII legislatura ebbe ad occuparsi del preoccupante fenomeno dei traffici e degli smaltimenti illegali di scorie e rifiuti radioattivi in mare, nell'ambito di alcune inchieste avviate dalle procure di Matera, Reggio Calabria e Napoli relative all'affondamento di navi che si sospetta fossero cariche di scorie e rifiuti radioattivi, principalmente nel mar Mediterraneo, cui si accompagnava la consumazione di una serie di truffe alle compagnie assicurative con la riscossione dei premi previsti per i sinistri marittimi.
Secondo la ricostruzione offerta dagli organi inquirenti il progetto prevedeva il lancio dalle navi di penetratori caricati con scorie radioattive, racchiuse in contenitori di acciaio inossidabile dotati di sistema sonar (sì da renderli rilevabili ai fini di un eventuale recupero), che si depositavano sino a 50-80 metri al di sotto del fondale marino; in alternativa, si affondava la nave con l'intero carico pericoloso, simulando un affondamento accidentale e lucrando, così, anche del premio assicurativo.
Nell'ambito del fenomeno che si è descritto, l'inchiesta di maggiore interesse rimane quella avviata dall'ufficio di procura della pretura di Reggio Calabria e poi trasmigrata per competenza alla locale procura distrettuale antimafia, anche in considerazione degli elementi che essa ha offerto sulle relazioni con presunti traffici illegali di armi su scala internazionale, che hanno determinato l'avvio di ulteriori indagini, tuttora pendenti, presso le procure competenti di Milano e Brescia.
L'indagine calabrese, avviata nel 1994, ha per oggetto alcuni affondamenti sospetti di navi nel Mediterraneo, al largo delle coste ioniche calabresi (le cosiddette «navi a perdere», utilizzate per l'affondamento di rifiuti radioattivi), in particolare quello della motonave Rigel, che sarebbe affondata il 21 settembre 1987 a 20 miglia da Capo Spartivento, e vede in ruolo chiave tale Giorgio Comerio personaggio in contatto con noti trafficanti di armi e coinvolto anche nella fabbricazione di telemine destinate a diversi paesi, come l'Argentina. L'organo inquirente ha prospettato la partecipazione di clan della ndrangheta a siffatti smaltimenti illeciti, motivo per cui si è radicata la competenza nell'ufficio distrettuale.
A prescindere dagli esiti strettamente processuali del procedimento penale pendente a Reggio Calabria, permane la più viva preoccupazione per tutta una serie di elementi offerti dalla stessa indagine e dagli altri dati acquisiti.
Anzitutto, va evidenziato che gli accertamenti condotti dagli investigatori unitamente all'ANPA, tendenti alla localizzazione e al recupero della motonave in Rigel, nonché al rilevamento della presenza dei rifiuti radioattivi in mare, se pure hanno dato esiti infruttuosi muovevano, però, da coordinate geografiche assai incerte circa il luogo del presunto affondamento della nave e dalle oggettive difficoltà delle operazioni di rilevamento della presenza di rifiuti radioattivi in navi affondate in tratti di mare con fondali


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particolarmente profondi. La grande profondità dei fondali marini esplorati e la loro sconnessione, d'altra parte, vanificavano in sostanza l'attività di rilevamento con la strumentazione radiometrica, poiché questa, a causa della pressione marina, avrebbe potuto individuare la presenza di radioattività solo in prossimità estrema al relitto.
È evidente che tale incertezza dei dati ha compromesso il percorso dell'indagine e la correttezza dei suoi esiti, non contribuendo di certo a fugare seri dubbi sulla natura quantomeno pericolosa del carico portato dalla Rigel, attese le «strane» circostanze del suo affondamento e la provenienza di parte del carico che essa portava.
Infatti, secondo i giornali di bordo, la motonave sarebbe affondata a causa di un'infiltrazione d'acqua nel motore, ma il consulente del PM ha contestato che ciò solo poteva portare all'affondamento e, tantomeno, creare una situazione di pericolo tale da giustificare l'immediato abbandono da parte dell'equipaggio senza l'avvio delle usuali azioni intese ad ottenere l'intervento di rimorchiatori o altri mezzi di soccorso per tentare il salvataggio della nave e del suo carico.
Altro dato particolarmente interessante evidenziato dalla consulenza è che gran parte delle merci ufficialmente caricate sulla Rigel proveniva da ditte in difficoltà economica; talune partite erano rappresentate da merci (materiali - macchinari) fuori produzione o di recupero per i quali mancava la dovuta congruità tra valore assicurato e valore effettivo, come del resto dimostrato nel procedimento per truffa aggravata ai danni delle assicurazioni svoltosi presso il tribunale della Spezia, che si è concluso con la condanna degli imputati per avere, appunto, organizzato l'affondamento al fine di lucrare dei premi assicurativi dal sinistro.
Non può, dunque, escludersi che alcuni caricatori consapevoli abbiano caricato anche prodotti pericolosi, specie se si tiene conto di alcune merci particolarmente sospette, che ben avrebbero potuto celare scorie tossiche. Inquietanti sono, poi, gli elementi di analogia tra l'affondamento della Rigel ed altri affondamenti di motonavi, che la consulenza pone in rilievo.
Ben 39, infatti, risultano i casi di affondamento di navi riferiti al mar Ionio, verificatisi tra il 1979 ed il 1995, dati tratti dall'archivio STB Italia di Genova e Milano, e da varie compagnie assicurative, fra cui la Lloyd's Register of Shipping, sede di Genova. In particolare, va ricordato l'affondamento della motonave «Barbara», avvenuto nei pressi dell'isola Zante il 26 giugno 1982, che presenta aspetti del tutto simili a quello della Rigel: la nave, che portava un carico di manganese in fusti (circa 1200 tonnellate), presso l'isola di Zante pativa una infiltrazione d'acqua nel motore ed il progressivo allagamento che determinava il suo abbandono da parte dell'equipaggio. È risultato però che la nave, mentre era ferma nel porto della Spezia, era stata urtata da un'altra motonave battente bandiera greca, ma - fatto davvero strano - non era stata avvisata dal comandante né la locale capitaneria di porto né il Registro italiano navale.
Insomma, il carico di minerali in fusti, la rotta seguita, la circostanza che a La Spezia non sia stato dato alcun avviso dell'incidente occorso a tutela degli stessi interessi armatoriali ed ai fini della convalida della classe della nave, rende la vicenda certamente sospetta.
Vi è poi la motonave «Rosso», incagliatasi il 14 dicembre 1990 nei pressi di Vibo Valentia ed abbandonata dall'equipaggio, la quale - quando era ancora denominata «Jolly Rosso» - era stata utilizzata dal Governo italiano per il trasporto di 2.200 tonnellate di rifiuti tossici dal Libano alla Spezia; dopo che i rifiuti erano stati scaricati, la nave veniva bonificata; successivamente l'armatore ne modificava la denominazione e la metteva in vendita, e subito dopo si verificava l'incaglio a Vibo Valentia.
Ancora: si rammenti la vicenda relativa all'affondamento della motonave «Marco Polo», già affrontata dalla precedente Commissione ed oggetto di indagine da


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parte della stessa Procura presso la pretura di Reggio Calabria, verificatosi nel mese di maggio 1993 all'altezza del Canale di Sicilia. In questo caso, si è riscontrata la presenza di radioattività da torio 234 su campioni di alghe e materiale ferroso prelevati a seguito del rinvenimento in mare (nell'aprile 1994), al largo delle coste della Campania, di alcuni containers persi dalla citata nave.
Notevoli sono le analogie di questo affondamento con quello della motonave Koraline, avvenuto al largo di Ustica (sono stati, infatti, rinvenuti anche in questo caso alcuni containers con la presenza di forti concentrazioni di torio).
Merita ancora segnalare la sparizione della motonave «Nicos 1» e del suo carico: nel periodo 3 luglio 1985- 16 novembre 1985, mentre essa caricava nel porto della Spezia, ne veniva arrestato il comandante e disposto il sequestro conservativo e del carico e della stessa motonave; quando, infine, riusciva a partire, dichiarava quale porto di destinazione quello di Lomè (Togo) dove non è mai arrivata, ed anzi risulta che avrebbe scalato in porti assolutamente fuori rotta (Cipro, Libano, Grecia). Secondo la documentazione ufficiale, i caricatori erano rappresentati da alcune ditte italiane per materiali vari (come legname, contenitori di metallo, macchine per la lavorazione del legno, sanitari, fotoriproduttori) che erano stati imballati in containers, gabbie e cartoni. A fronte di siffatte circostanze quantomeno anomale, si ritiene, invece, che la motonave in oggetto, una volta sbarcato il carico in Libano e sostituito il personale di bordo, abbia cambiato denominazione («Haris») per essere rintracciata in porto greco.
Ancora, l'affondamento della motonave «Alessandro I», avvenuto il 1o febbraio del 1991 nei pressi di Molfetta, attribuito dall'autorità marittima ad «imperizia» del Comandante, mentre i dati tecnici consentirebbero di affermare che la stabilità della nave fosse tale che essa era predisposta alla possibilità di «ingavonamento» e, comunque, la causale del sinistro non potrebbe farsi dipendere dalla sola imperizia del comandante. In ogni caso, la parte più inquinante del carico portato dalla motonave è stata recuperata.
Ebbene, il numero, la natura e le forti analogie dei casi interessati al fenomeno delle cd. «navi a perdere» rendono del tutto probabile l'ipotesi, tuttora non suffragata da idonei riscontri, che la Rigel e le altre motonavi portassero carichi di merci quantomeno pericolose, se non di rifiuti radioattivi, e confermano la necessità di mantenere viva l'attenzione verso il fenomeno da parte della Commissione.

5.4. c) L'azione della criminalità organizzata. Sotto il profilo delle connessioni tra criminalità organizzata e traffici illeciti di rifiuti, particolarmente significative appaiono due inchieste condotte dalla procura di Catanzaro.
La prima - nell'ambito della quale è stato anche arrestato l'allora assessore regionale all'ambiente - riguarda l'illecita gestione di circa 30mila tonnellate di rifiuti pericolosi, precisamente ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola sud di Crotone, azienda del gruppo ENI, da parte di un'organizzazione criminale collegata ad organizzazioni criminali mafiose della provincia di Cosenza, che avrebbe avuto come finalità specifica proprio l'illecito smaltimento di tali rifiuti mediante la simulazione di operazioni di recupero e successivo occultamento degli stessi, avvalendosi della complicità di funzionari della regione, previamente «contattati» dall'organizzazione, e dell'attività di reperimento dei siti ove scaricare le ferriti di zinco posta in essere da alcuni soggetti. Il materiale pericoloso veniva infatti miscelato con rifiuti inerti, e quindi interrato in aree a vocazione agricola della Calabria, come i territori circostanti Cassano Ionio o la Piana di Sibari.
Secondo quanto riferito alla Commissione dal magistrato titolare dell'indagine, dottor Luigi De Magistris, in sede di audizione, l'accordo commerciale della Pertusola sud con due società - Imichimica ed Ecoitalia - per lo smaltimento dei rifiuti era stato reso possibile da un'autorizzazione illegittima rilasciata nel


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1995 dall'assessorato all'ambiente della regione, in base alla quale erano stati stipulati una serie di accordi con ditte di autotrasporto per portare questi rifiuti da Crotone alla zona di Cassano Ionio. Dagli accertamenti effettuati sarebbe emerso che l'accordo non avrebbe potuto riguardare le ferriti di zinco, le quali, comunque, non venivano trattate in modo da formare dei conglomerati cementizi così come concordato, ma ci si era limitati a miscelarle ed a produrre del sottofondo stradale.
La procura ha prospettato le fattispecie del delitto di associazione per delinquere (articolo 416 c.p.) finalizzata allo smaltimento illecito dei rifiuti pericolosi, e del disastro ambientale (articolo 434 c.p.), chiedendo il rinvio a giudizio di ben 23 persone, tra cui amministratori e rappresentanti di diverse società, anche d'intermediazione, nonché del dirigente del settore inquinamento dell'assessorato all'ambiente della regione Calabria che aveva rilasciato l'illecita attestazione, che autorizzava allo smaltimento delle ingenti quantità di ferriti di zinco nei modi sopra descritti.
La seconda indagine avviata dalla procura di Catanzaro - attualmente pendente dinanzi al GUP - riguarda, invece, gli appalti per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti nei comuni di Catanzaro, Rossano e Reggio Calabria. La regione, per la realizzazione degli impianti, aveva in un primo momento ottenuto un finanziamento statale di 67 miliardi, che sono stati spesi senza realizzare le opere; è seguito un ulteriore stanziamento di 23 miliardi e un terzo di altri 10 miliardi.
Tali finanziamenti non hanno conseguito il loro obiettivo, cioè la realizzazione di impianti per un efficiente smaltimento dei rifiuti, come dimostra il recente commissariamento della regione Calabria per l'emergenza rifiuti.
Dei tre siti individuati dalla stessa regione su delega del Governo per la realizzazione degli impianti, quello di Rossano Calabro non è stato completato e non è mai entrato in funzione; quello di Catanzaro Lido-Alli ha operato solo come centro di raccolta e non di trattamento dei rifiuti, mentre l'impianto di Reggio Calabria è una struttura fatiscente che ha creato grossi problemi di inquinamento. Solo di recente gli impianti di Catanzaro Lido- Alli e di Rossano sono stati completati, mentre quello di Reggio Calabria è stato riattato, grazie all'intervento dell'ufficio del Commissario per l'emergenza, potendo finalmente entrare in funzione.
Il procedimento penale vede coinvolti l'assessore regionale ai lavori pubblici all'epoca dei fatti, il presidente pro tempore della giunta regionale, il dirigente dell'assessorato all'urbanistica e all'ambiente della regione, unitamente ad amministratori e rappresentanti di numerose società (tra cui la De Bartolomeis, già nota alla Commissione per altre indagini su appalti in materia di rifiuti - v. al riguardo la relazione sulla Sicilia (Doc. XXIII-34, p. 39), la Bonifati spa, la SNAM Progetti spa, la Termomeccanica italiana spa, la Castagnette spa), per una serie di truffe e falsificazioni di atti pubblici poste in essere nel periodo 1994-1997 per gestire i cospicui finanziamenti statali, al fine di favorire i propri interessi e quelli di determinate imprese, che dall'operazione hanno conseguito ingiusti profitti per circa 90 miliardi complessivi.
Precisamente, secondo la prospettazione accusatoria, la procedura di gara pubblica ormai quasi perfezionata con la proposta di aggiudicazione degli appalti relativi alla costruzione dei tre impianti per lo smaltimento dei RSU di Catanzaro, Reggio Calabria e Rossano Calabro, previsti dal finanziamento FIO 1984 di 67 miliardi, veniva annullata senza legittima motivazione e contro il parere sia del responsabile dell'ufficio legale che dell'organo tecnico della regione, così vanificando i requisiti essenziali del finanziamento, individuati nella presenza di una «progettazione esecutiva» e «immediata cantierabilità dei lavori» entro 120 giorni dalla delibera autorizzatoria del CIPE del febbraio 1985, per l'immediata ricaduta occupazionale dell'intervento pubblico. L'annullamento della procedura consentiva


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di favorire determinate imprese, nonché di gestire le nuove gare d'appalto da parte dello stesso assessorato regionale ai lavori pubblici, anziché dai comuni o loro consorzi come previsto dal Dpr n.915 del 1982, allora in vigore. Si procedeva, quindi, alla nomina di nuove commissioni esaminatrici composte da personaggi previamente «contattati» e la seconda gara d'appalto si concludeva con aggiudicazioni a favore delle stesse imprese che avevano partecipato alla prima, anche se associate in modo diverso o attraverso il meccanismo dei subappalti (dove maggiormente si è registrata la presenza della criminalità organizzata), in tal modo garantendo una distribuzione delle ditte fra i tre siti, ma per importi notevolmente superiori alla prima gara e senza che vi fosse alcuna «progettazione esecutiva», come richiesto dalla procedura FIO, tanto che al momento della gara non esisteva ancora una sicura «area di sedime» degli impianti, lacuna, questa, che è alla base del dispendio di fondi pubblici e dell'allungamento a dismisura dei tempi di realizzazione degli impianti, mai terminati secondo quella procedura. Non era stato neppure acquisito il parere preventivo dell'organo tecnico regionale, intervenuto solo successivamente, e per l'impianto di Reggio Calabria l'aggiudicazione da parte della regione avveniva contro il parere espresso dalla stessa commissione aggiudicatrice.
In fase di approvazione dei progetti degli impianti di RSU, veniva abilmente prospettata una situazione diversa agli organi preposti alla verifica dell'attività: al Ministero del bilancio, infatti, si riportavano l'avvenuto perfezionamento della gara e l'utilizzo del finanziamento entro i limiti assegnati, mentre all'organo di controllo sugli atti regionali si comunicavano computi economici maggiori al solo scopo di ottenere l'esecutività dell'atto.
Negli anni successivi, le ulteriori somme FIO venivano ottenute ricorrendo all'artificiosa e falsa rappresentazione di costi maggiori negli stati di avanzamento dei lavori per la realizzazione degli impianti, nonché mediante l'approvazione della delibera regionale n.909 del 1993, con la quale - in violazione della delibera CIPE del 1985 - si prevedevano nuovi fondi nella rimodulazione del PRS ex lege n.64 del 1986, al fine di ulteriormente spesare a favore delle imprese aggiudicatarie i costi di realizzazione di detti impianti, sottacendo tale rimodulazione al ministero dell'ambiente competente per la sua ratifica, mentre il Consiglio regionale approvava la rimodulazione del PRS nel 1993, ignorando che l'ente attuatore degli appalti per gli impianti era lo stesso assessorato ai lavori pubblici della regione e non già i comuni interessati o loro consorzi. Tale operazione consentiva di fruire di oltre 90 miliardi spesi dall'ente regionale per gli impianti, a fronte dei 67 previsti dal FIO 1984.
Le vicende giudiziarie illustrate mettono chiaramente in luce la forte penetrazione nel ciclo dei rifiuti delle organizzazioni malavitose, il cui raggio d'influenza si è esteso dal controllo degli impianti finali di smaltimento sino alla gestione e controllo degli appalti, sia pubblici che privati, attuato nei modi più svariati. Tale controllo è storicamente iniziato caratterizzandosi in termini di un mero, ma efficacissimo, controllo di fatto, ma si è sempre più concretamente esteso nel senso dell'acquisizione diretta della titolarità degli impianti, attraverso imprese direttamente legate alle organizzazioni criminali.
Per questo verso, i dati dell'esperienza giudiziaria dimostrano come, anche per questa regione, vi sia stato un mutamento nella strategia di infiltrazione dei clan, i quali non intervengono nelle attività produttive e, in particolare, nel ciclo dei rifiuti, in funzione essenzialmente «protettiva» delle imprese, con imposizione di tangenti, intimidazioni, finanziamento, prestiti usurari, ma si propongono sul mercato degli appalti e subappalti come «soggetto impresa», grazie all'enorme potere economico di cui godono in un territorio afflitto da una endemica disoccupazione, che genera ancora, purtroppo, un vasto consenso sociale tra varie fasce di popolazione, essenziale per costruire un sistema di collusioni e per favorire comportamenti


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omertosi funzionali al mantenimento e rafforzamento del controllo sulle attività economiche.
In tale contesto, l'azione delle organizzazioni criminali si è caratterizzata, da un lato, in termini di influenza diretta e coattiva sulle imprese titolari degli impianti e, dall'altro, attraverso il controllo dell'attività della pubblica amministrazione, relativa sia all'affidamento della gestione di impianti pubblici che alla programmazione dei tempi e dei siti di localizzazione dei nuovi impianti, come testimonia la vicenda della realizzazione dei tre impianti di smaltimento dei rifiuti di Rossano Calabro, Catanzaro Lido-Alli e Reggio Calabria.
Illuminante di tale modus operandi della criminalità organizzata è un altro procedimento avviato dalla procura di Catanzaro, che vede coinvolti numerosi titolari o rappresentanti, o entrambi, di imprese di pulizie e smaltimento di RSU operanti nella regione, per il delitto di associazione per delinquere, finalizzato alla turbativa delle gare bandite da molteplici enti pubblici nella regione Calabria e relative al settore delle pulizie, tra cui la licitazione privata per l'affidamento del servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro negli anni 1995-1996-1997.
L'organizzazione criminale - secondo l'ipotesi accusatoria - realizzava il controllo delle gare d'appalto, da un lato attraverso la creazione artificiosa di una serie di società satelliti, tutte riconducibili all'impresa capofila facente capo al gruppo criminale, in grado di proiettarsi nelle gare con diversi ribassi percentuali al fine di prevenire le cosiddette offerte scheggia' o quelle provenienti da ditte non controllabili in anticipo; dall'altro, ponendo in essere un'attenta politica di contatti finalizzata all'imposizione delle offerte e dei ribassi, sfruttando la propria potenza economica e la propria posizione dominante. Solo quando tale duplice modus operandi non consentiva di raggiungere gli esiti prefissati, interveniva l'attività di coazione e minaccia sugli altri imprenditori del settore, per obbligarli ad una partecipazione alle gare sottoposta alle condizioni stabilite dall'organizzazione, ovvero al ritiro dalla gara.
Così, nel caso della licitazione privata per l'affidamento del servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro, è emerso che sono rimaste aggiudicatarie le ditte che avevano, sì, presentato il ribasso prezzi più consistente, ma a fronte di pochissime offerte (se non, addirittura, di un'unica offerta, come per l'anno 1997) da parte di imprenditori previamente contattati dall'organizzazione, e secondo un capitolato d'appalto che appariva stilato su misura per le caratteristiche di tali imprese.
L'inchiesta in corso mostra uno spaccato allarmante del controllo operato dai gruppi criminali nel settore delle gare pubbliche, in particolare quelle relative alla gestione dei rifiuti, in cui il fortissimo clima di omertà e la fitta rete di collusioni con gli apparati amministrativi rendono, peraltro, estremamente difficile a forze dell'ordine e magistratura l'attività di individuazione di fonti testimoniali e di identificazione di tutte le imprese coinvolte nella spartizione illecita degli appalti, nonché delle responsabilità in capo ad amministratori pubblici.

5.5. Le attività illecite ed il ruolo della pubblica amministrazione. Appare necessario sottolineare, a questo punto, come l'incremento delle possibilità di influenza delle organizzazioni criminose nella complessiva attività di gestione dei rifiuti sia necessariamente favorito dall'atteggiamento non sempre limpido e corretto che le amministrazioni pubbliche assumono di frequente nel momento in cui vengono a confrontarsi con le delicate problematiche connesse al ciclo di smaltimento.
Anche per questa regione, le vicende giudiziarie illustrate, nella gravità delle condotte tenute da alcuni amministratori locali, sono esemplificative di quel coinvolgimento, a vario titolo, di funzionari del settore, che la Commissione ha dovuto più volte registrare nel corso della sua attività, in particolare nelle aree del mezzogiorno e del sud, ma da cui non sono


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risultate affatto immuni regioni più progredite del centro e del nord del paese: si passa - e le vicende calabresi ne sono un esempio - dai comportamenti disinvolti o di mera compiacenza di alcuni amministratori, ai casi in cui la loro attività è pesantemente condizionata dalla forte carica intimidatoria che promana dalle organizzazioni criminali operanti sul territorio, sino alle ipotesi di vere e proprie attività corruttive.
Questi casi si verificano soprattutto con riguardo ad appalti aggiudicati da amministrazioni comunali (come per il servizio di nettezza urbana del comune di Catanzaro), rispetto alle quali le possibilità di influenza della criminalità organizzata sono notoriamente maggiori; ma non mancano fattispecie in cui le amministrazioni pubbliche procedono all'affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti, anche attraverso la realizzazione degli impianti, a società a capitale misto ovvero ad imprese private, senza procedere ai necessari e dovuti controlli, come è avvenuto per la gestione dei RSU presso le discariche abusive di Corigliano Calabro ed Acri, dei rifiuti ospedalieri a Crotone e a Reggio Calabria o per lo smaltimento delle ferriti di zinco presso la «Pertusola sud» di Crotone o, ancor più grave, nella vicenda relativa alla individuazione e costruzione degli impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti di Rossano Calabro, Reggio Calabria e Catanzaro Lido-Alli, dove, peraltro, è mancato ogni controllo sia da parte del Ministero del bilancio sull'effettivo, corretto utilizzo delle somme FIO da parte delle regioni, sia da parte di queste ultime sull'operato dei comuni.
Del resto, proprio l'assenza dei dovuti, necessari controlli delle amministrazioni pubbliche - per le ragioni svariate che si sono illustrate - favorisce e rafforza l'intromissione delle organizzazioni criminali, aprendo il campo alla possibile attività di imprese prive di specifica organizzazione ed esperienza nel settore dei rifiuti e magari costituite artatamente, per lucrare degli enormi guadagni connessi agli smaltimenti illeciti. Si assiste perciò, sovente, alla presentazione di offerte anomale o comunque non fondate su una reale analisi del rapporto costi - profitti, ovvero alla partecipazione alle gare di una pluralità di ditte che sono, tra loro, direttamente collegate, al di là della titolarità formale, in quanto fanno capo alla medesima compagine, che è solita operare con modalità illecite; in alcuni casi, addirittura, le imprese aggiudicatarie dell'appalto si servono, per l'intero svolgimento del servizio, di altri soggetti, che operano in modo illecito, dando luogo a smaltimenti incontrollati, con gravissime ripercussioni sulla situazione ambientale e danno per la salute pubblica.

5.6. Il ruolo dell'imprenditoria. Non va d'altra parte sottaciuto che dalle numerose inchieste giudiziarie riguardanti il ciclo dei rifiuti che si sono illustrate, accanto a questa patologia nel funzionamento del sistema amministrativo, emerge con altrettanta chiarezza - come la Commissione ha dovuto più volte registrare - l'esistenza di un'imprenditoria, anche di medie e grandi dimensioni, che assume spesso comportamenti non corretti nella gestione dei rifiuti, ispirati esclusivamente ad una logica di profitto e forti della carenza di controlli e dei rischi penali assai modesti che derivano dal compimento di attività illecite nel settore.
Un esempio significativo in tal senso è offerto dalla vicenda relativa alla gestione dei rifiuti dello stabilimento di Crotone della «Pertusola-sud», all'epoca dei fatti appartenente al gruppo ENI, certamente rappresentativo sul mercato nazionale, e che è risultato coinvolto in altri procedimenti penali pendenti presso la procura di Venezia, di Matera e di Monza, sempre per fatti relativi ad una scorretta gestione dei rifiuti (per una trattazione puntuale degli stessi si rimanda senz'altro alle relazioni territoriali dedicate alle diverse aree del territorio nazionale).
Le possibilità di lucrare profitti dalle attività di smaltimento dei rifiuti aumentano in relazione alla riduzione dei costi di smaltimento e, dunque, alla decisione di procedere a forme di smaltimento irregolari ed incontrollate, come tali sgravate


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dall'assolvimento degli ordinari oneri economici, fra cui viene in rilievo, anzitutto, la forte riduzione degli oneri di trasporto che deriva dal conferimento dei rifiuti in siti abusivi o su terreni che vengono poi, talvolta, destinati a culture agricole, ovvero dal loro occultamento in pozzi minerari esauriti, grotte e caverne, specchi lacustri e altro.
Ma tali possibilità si espandono notevolmente nei casi in cui gli appalti vengono aggiudicati da imprese non dotate di risorse ed esperienza specifica; o quando, nelle gare d'appalto, specie nelle aree del mezzogiorno, si assiste alla presentazione di accordi preconfezionati tra ditte, tutte facenti capo a un solo soggetto, che agisce in sostanziale regime di monopolio e si aggiudica il contratto con l'offerta del massimo ribasso, cioè con un'offerta che è frutto dei pregressi accordi fittizi e dell'attività di coazione, anche mediante violenza e minaccia, svolta dalle organizzazioni criminali sulle altre imprese concorrenti.

5.7. Brevi considerazioni sull'argomento. La Commissione deve rilevare come anche per la regione Calabria rappresenti un serio ostacolo alla realizzazione di una corretta politica di gestione dei rifiuti una serie svariata di elementi, tutti concorrenti tra loro, che vanno: dall'arretrato stato di attuazione della pianificazione relativa all'individuazione dei siti di smaltimento (solo di recente, in regime di commissariamento, la regione si è dotata del piano regionale di smaltimento dei rifiuti) all'inadeguatezza del sistema dei controlli; alla fitta rete di collusioni di esponenti di amministrazioni pubbliche e imprenditori del settore con le organizzazioni criminali operanti sul territorio; sino alle difficoltà di esplicare una concreta azione preventiva e repressiva connesse alla scarsa incisività delle sanzioni penali che puniscono le condotte illecite, essendosi in presenza di fattispecie prevalentemente contravvenzionali, punite con pene modeste ed entro termini brevi di prescrizione che non consentono, peraltro, l'utilizzo di alcuni preziosi strumenti d'indagine (come le intercettazioni telefoniche).
A tale proposito, la Commissione rinnova il suo impegno a sollecitare l'introduzione nel sistema penale di nuove fattispecie di reato ambientale ed il rafforzamento degli strumenti d'indagine, rinviando ai lavori dell'apposito gruppo di studio che ha formulato nel marzo 1998 un documento trasmesso al Parlamento.
Ciò senza voler trascurare la necessità - da più parti denunciata dinanzi alla Commissione da esponenti della magistratura e delle forze dell'ordine - di una serie di interventi tesi al rafforzamento dell'attività di controllo del territorio della regione, la cui utilità è evidente nei riguardi del fenomeno criminoso in esame, ma che è risultata fino ad oggi gravemente lacunosa; nonché a dotare la Calabria, come, in particolare, le altre regioni del meridione, di organici sufficienti alle varie forze di polizia giudiziaria e alla magistratura impegnate in materia di reati ambientali (oltre che di mezzi e strutture adeguati), che siano capaci di operare in stretto raccordo fra loro e con gli altri organismi preposti alla salvaguardia dell'ambiente (è di recentissima istituzione l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente), sì da poter incidere efficacemente su una realtà territoriale così complessa.