Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Mercoledì 20 ottobre 1999


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ALLEGATO

PROPOSTA DI RELAZIONE ALLE CAMERE SUL BIENNIO DI ATTIVITÀ SVOLTA

(relatori: Franco GERARDINI per i paragrafi 1, 2, 5, 6 e 10 e Giuseppe SPECCHIA per i paragrafi 3, 4, 7, 8 e 9).

1. Premessa: istituzione della Commissione e sua organizzazione.

Con larghissimo consenso parlamentare, la Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sugli illeciti connessi è stata istituita nella XIII legislatura con legge dopo che nella precedente legislatura la Camera dei deputati aveva dato vita a un organismo inquirente monocamerale1. I motivi di rilievo e di allarme, che avevano mosso la Camera dei deputati nel 1995, sono stati ritenuti non solo ancora validi nell'attuale legislatura dall'intero Parlamento, ma anche meritevoli di ulteriori approfondimenti sui punti più problematici, vale a dire l'analisi della legislazione sui rifiuti e della sua effettività, la capacità delle amministrazioni pubbliche e delle imprese private di adeguarvisi e la preoccupante attenzione che al settore hanno da tempo rivolto le organizzazioni criminali.

1 Gli atti di questa Commissione sono stati pubblicati nel volume della Camera dei deputati, Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, Roma, 1996.

La legge n. 97 del 1997 prevedeva che la Commissione svolgesse i suoi compiti per un periodo di due anni. Tuttavia, con la legge n. 184 del 1999, tale periodo è stato prolungato sino alla fine della legislatura.
La Commissione, essenzialmente a causa dell'alto tasso tecnico della materia trattata, ha deciso di darsi un'organizzazione che consentisse di affrontare con efficienza ed efficacia l'oggetto dell'indagine. Accanto alla sede plenaria, sono stati costituiti pertanto alcuni gruppi di lavoro deputati ad affrontare specifiche tematiche e sono stati nominati diversi consulenti, esperti nelle varie discipline coinvolte nell'inchiesta. I gruppi di lavoro sono dedicati allo studio dell'impatto sulla pubblica amministrazione e sulle imprese del decreto legislativo n. 22 del 1997; all'introduzione della figura del delitto ambientale; alle problematiche connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi; alle problematiche concernenti i traffici illeciti; allo studio delle normative regionali di gestione dei rifiuti; alle problematiche connesse all'area di Pitelli (SP). In seno alla Commissione è stata costituita anche una banca-dati in cui sono state raccolte numerose informazioni relative agli operatori privati del settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti.


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1.1. Il metodo di lavoro.

La Commissione ha svolto sinora le sue funzioni essenzialmente attraverso un metodo conoscitivo che contasse sullo spirito di collaborazione degli interlocutori. Generalmente non ha sentito il bisogno di avvalersi appieno dei poteri dell'inchiesta giudiziaria, salvo che in alcuni episodi di particolare rilevanza.
Le informazioni sono state assunte mediante apposite missioni in loco, attraverso l'audizione di esponenti di enti vari sia pubblici che privati (sia a Roma che nei vari luoghi visitati) e attraverso l'acquisizione di documentazione.
Attraverso l'invio a organismi pubblici e privati di questionari, sono stati anche acquisiti notevoli volumi di dati relativi a settori (quali quelli dei rifiuti ospedalieri e quelli delle industrie a rischio di incidente rilevante) sui quali in Italia non sono stati svolti negli anni più recenti studi organici e completi.
Sono state anche deliberate missioni di consulenti, volte essenzialmente all'acquisizione di documentazione scritta e fotografica.
L'esito delle diverse attività della Commissione ha comportato quasi sempre la stesura di relazioni. Tali relazioni, predisposte da relatori (di volta in volta nominati dal Presidente) coadiuvati all'occorrenza dai consulenti, sono state esaminate sull'arco di tre sedute plenarie, in modo da consentire a tutti i componenti la più ampia possibilità di intervento. Sinora, tutti i documenti sono stati approvati all'unanimità.
Complessivamente la Commissione ha approvato - compreso il presente - 14 documenti, di cui 7 relativi a indagini territoriali2; sono stati inoltre approvati documenti tematici relativi all'introduzione nel codice penale dei delitti contro l'ambiente, alla realizzazione di un sistema industriale nella gestione dei rifiuti, a incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile, all'area di Pitelli (SP) e a strategie di intervento per la gestione dei rifiuti radioattivi3. La Commissione ha svolto 15 missioni4 e 348 audizioni formali di persone5.

2 Cfr. la tabella 1.
3 Cfr. la tabella 2.
4 Cfr. le tabelle 3 e le relative piantine.
5 V. l'elenco allegato di seguito alle tabelle 3.

2. Uno sguardo d'insieme.

2.1. L'attuazione del «decreto Ronchi» a due anni dalla sua emanazione. È opportuno fin da subito esporre i lineamenti principali dell'azione della Commissione e delle sue conclusioni.
Essa ha avviato un'analisi sui vari momenti del ciclo dei rifiuti e sulle fasi produttive disciplinate dal «decreto Ronchi». Sono state visitate molte realtà territoriali e sono state esaminate soluzioni di impianti per il trattamento o lo smaltimento delle varie tipologie di rifiuti. Nelle relazioni (territoriali e tematiche) già approvate è stato dato ampio conto delle varie problematiche riscontrate; in questa


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sede si rinvia a quanto verrà esposto nelle parti dedicate alle attività della Commissione, e nel contempo si sottolinea che il motivo ricorrente emerso dall'indagine è l'ancora insufficiente stato di attuazione delle previsioni del «decreto Ronchi».
Si tratta di carenze ed approssimazioni presenti, sia pure in diversa misura, pressoché in quasi tutte le realtà regionali. Mancanze ed approssimazioni che toccano sia la programmazione e la realizzazione degli impianti e delle tecnologie previste dalla legge, sia le attività più direttamente di competenza delle pubbliche amministrazioni, ivi compresa la costituzione degli organismi preposti al controllo ed in primo luogo le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
Al riguardo, occorre osservare che taluni ritardi sono ascrivibili alla responsabilità del Governo nazionale, che non ha ancora emanato tutti i decreti attuativi del decreto legislativo n. 22 del 1997. Si tratta tuttavia di ritardi dovuti anche alla complessità delle materie oggetto di disciplina6 e alla necessità di procedure concertate tra vari ministeri.

6 Si pensi solo alle norme tecniche per il calcolo su base annua dell'energia utile ottenuta dai rifiuti nell'incenerimento (articolo 5, comma 4) o alle norme tecniche sulle caratteristiche degli impianti di demolizione (articolo 46, comma 10).

Nella rilevazione di tali inadeguatezze la Commissione non si è limitata a svolgere una mera funzione notarile delle varie inadempienze delle pubbliche amministrazioni. Ha voluto invece capire i motivi dei ritardi e delle resistenze, analizzando i comportamenti dei vari soggetti interessati al ciclo dei rifiuti. Si è quindi interrogata e confrontata con le diverse esigenze di tutti i protagonisti del settore (produttori, gestori, imprenditoria pubblica e privata, pubbliche amministrazioni, utenti, associazioni). Ha cercato di interpretare e comprendere gli interessi di tali soggetti, ricavandone un quadro degli interessi concreti portati da ciascuna categoria; interessi che, dove non trovano un momento di sintesi nella capacità di programmazione dei pubblici amministratori, possono sfociare in attività illecite e favorire lo sviluppo di economie parallele e di mercati deviati.
In questa fase di attività la Commissione ha in corso una serie di iniziative dirette ad acquisire ulteriori elementi di valutazione sulle varie previsioni del decreto legislativo n. 22 del 1997, che attengono a tutti i momenti del ciclo. Si dà conto delle attività in corso in altra parte della relazione. Qui basterà ricordare che la Commissione ha sempre ritenuto importante la piena attuazione della normativa7 e che pertanto ritiene doveroso richiamare l'attenzione del Parlamento oltre che sulle responsabilità dei ritardi anche sulle oggettive situazioni di difficoltà in cui si muovono regioni, enti locali ed imprenditori.

7 Per l'attuazione delle norme relativa alle agenzie regionali di protezione dell'ambiente v. le tabelle 4.

2.2. Segue: le emergenze e le realtà commissariate. Prima ancora di valutare l'impatto di tali emergenze nell'ambiente e nel tessuto economico e sociale delle varie zone interessate, occorre interrogarsi sul perché, in presenza di una normativa puntuale, che prevede


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controlli rigorosi, il problema dei rifiuti non sia stato ancora assorbito ma, anzi, in talune aree del territorio nazionale sia improvvisamente esploso, quasi che prima tali situazioni di pericolo per l'ambiente e la salute pubblica non sussistessero, e si sia dovuti giungere alla dichiarazione dello stato d'emergenza.
Vale la pena riportare, qui di seguito, il quadro aggiornato dei vari provvedimenti governativi d'emergenza, adottati ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225:

REGIONE
Data delle dichiarazioni
dello stato d'emergenza
e della loro proroga
e loro durata
Nomina di
prefetti quali
commissari
delegati
Ritardo
Nomina di
presidenti di
giunta regionale
quali commissari
delegati
Ritardo
CAMPANIA 11/02/94 fino al 30/04/94 11/02/94
16/04/94 fino al 30/09/94 31/03/94
07/10/94 fino al 31/12/95 07/10/94
29/12/95 fino al 31/12/96 18/03/96 3 mesi 18/03/96 3 mesi
30/12/96 fino al 31/12/97 02/05/97 5 mesi 02/05/97 5 mesi
23/12/97 fino al 31/12/98 31/03/98 3 mesi 21/03/98 3 mesi
23/12/98 fino al 31/12/99 25/02/99 2 mesi 25/02/99 2 mesi
PUGLIA 08/11/94 fino al 31/12/95 08/11/94
01/04/96 fino al 31/12/96 27/06/96 (non RSU) 2 mesi 27/06/96 2 mesi
30/12/96 fino al 31/12/97 30/04/97 4 mesi 30/04/97 4 mesi
23/12/97 fino al 31/12/98 31/03/98 3 mesi 31/03/98 3 mesi
23/12/98 fino al 31/12/99 5 mesi 5 mesi
CALABRIA 12/09/97 fino al 31/12/98 21/10/97 1 mese
23/12/98 fino al 31/12/99 5 mesi
SICILIA 22/01/99 fino al 30/06/00 08/06/99 4 mesi


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Da un esame rapido del complesso iter che ha portato ai commissariamenti, rimane evidente che spesso l'iniziativa è partita dalla stessa sede locale (cfr. i casi del Presidente della giunta regionale per la Campania, del Prefetto di Bari per la Puglia e della regione congiuntamente al ministero dell'ambiente per le regioni Calabria e Sicilia) 8.

8 Si noti, pertanto, che l'emergenza-rifiuti riguarda circa 17 milioni di cittadini italiani, esclusa la provincia di Roma.

Commissari delegati all'emergenza sono stati nominati: il prefetto di Napoli e il presidente della regione, in Campania; il prefetto di Bari e successivamente il presidente della regione in Puglia; i presidenti delle rispettive giunte per Calabria, Sicilia e provincia di Roma. Per tale ultima realtà è appena il caso di accennare che la situazione d'emergenza scaturisce soprattutto dal fatto che nel prossimo anno giubilare è previsto un sensibile aumento della produzione di rifiuti a causa del forte afflusso di pellegrini. Si tratta pertanto di un'emergenza dalle caratteristiche diverse rispetto a quella registrata nelle regioni meridionali, dovuta al forte incremento di rifiuti piuttosto che alla gestione ordinaria degli stessi. Un provvedimento di programmazione, dunque, più che una misura censoria.
Circa i contenuti delle riconosciute emergenze e della straordinarietà dei poteri affidati ai Commissari, occorre prendere atto che per tutte le realtà (tranne che per la Campania dove il provvedimento è stato successivamente esteso ai rifiuti speciali) la decretazione ha riguardato i soli rifiuti solidi urbani (d'ora in poi RSU). Scorrendo poi i singoli provvedimenti si evince che i motivi che hanno mosso le ordinanze di commissariamento si sono sostanziati tutti nella impossibilità di disporre di discariche capaci ed idonee allo smaltimento dei RSU, soprattutto a causa dell'incapacità da parte degli enti locali di trovare soluzioni alle richieste delle popolazioni residenti, pressate dalle talvolta inconciliabili esigenze di richiesta di servizi efficienti e della non vicina localizzazione degli impianti di smaltimento.

3. L'attività conoscitiva e l'analisi delle realtà territoriali.

Come previsto dalla legge istitutiva, la Commissione ha avviato un'ampia ricognizione per verificare lo stato di attuazione della normativa vigente in materia di rifiuti, sia a livello nazionale che locale.
Per quanto riguarda in particolare l'azione degli enti territoriali e locali, la Commissione ha strutturato la propria azione su due distinti livelli: da un lato è stato creato un gruppo di lavoro dedicato allo studio delle normative regionali in materia di rifiuti; dall'altro si sono svolte missioni di delegazioni della Commissione in singole realtà territoriali. Fino al momento di questa relazione, le missioni hanno riguardato dieci regioni italiane: per otto di queste (Piemonte, Liguria, Campania, Puglia, Lazio, Abruzzo, Emilia Romagna e Sicilia) sono state già approvate le relative relazioni al Parlamento.


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La Commissione, all'avvio dei suoi lavori, elaborò un programma di missioni nelle singole realtà territoriali dettato dalle situazioni esistenti nonché dai risultati della Commissione monocamerale della XIII legislatura. Rifacendosi a quelle conclusioni, nonché alle situazioni d'emergenza esistenti in gran parte delle regioni meridionali, si decise di dedicare la prima tornata di missioni conoscitive alle regioni già da anni in stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti, alle aree di maggior produzione di rifiuti nonché a quelle per le quali l'attività delle forze di contrasto indicavano un sensibile aumento delle attività illecite in questo specifico settore.
Le missioni delle delegazioni della Commissione si sono anch'esse strutturate su due distinti livelli di conoscenza: i sopralluoghi diretti e le audizioni. I sopralluoghi hanno riguardato siti di particolare rilevanza per l'attività della Commissione: sono pertanto stati oggetto di visita impianti di trattamento o smaltimento dei rifiuti di elevata capacità o di nuova tecnologia, grandi produttori di rifiuti (in particolare gli impianti petrolchimici), aree sottoposte a provvedimento di sequestro giudiziario per illeciti nel ciclo dei rifiuti, siti per i quali erano giunti alla Commissione esposti apparsi fondati dopo una prima fase di riscontro.
Nel corso delle audizioni le delegazioni della Commissione hanno invece avuto modo di formarsi un quadro più generale di conoscenza, incontrando prefetti, assessori regionali all'ambiente e quelli delle provincie più rilevanti, assessori comunali all'ambiente delle aree metropolitane.
Dove nominati, sono stati ascoltati i commissari delegati all'emergenza rifiuti; dove opportuno i rappresentanti dell'autorità giudiziaria, nonché i rappresentanti delle associazioni industriali e delle associazioni ambientaliste.
È opportuno, a questo punto, fornire un quadro di sintesi di quanto emerso dalle missioni svolte nelle diverse realtà territoriali, suddividendo la trattazione in tre tematiche: la normativa e gli atti di programmazione delle regioni; una sintesi sulla produzione di rifiuti solidi urbani, sugli operatori del settore e sulla situazione dell'impiantistica; e infine una sintesi sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali.

3.1. L'adeguamento della normativa e gli atti di programmazione delle regioni: un'ampia gamma di situazioni. Da quanto esposto si comprende come sia stato possibile formare un primo quadro di conoscenze sufficientemente dettagliato, ancorché parziale, in base al quale è plausibile affermare che esiste un'evidente disomogeneità per quanto riguarda l'azione delle regioni in tema di gestione del ciclo dei rifiuti.
Ad esempio, tre delle otto regioni per le quali si è già riferito al Parlamento (Campania, Puglia e Sicilia) si trovano in stato di emergenza per il ciclo dei rifiuti. Pur rinviando ogni valutazione sui momenti attuativi della programmazione a successive analisi, la Commissione ha tratto, invece, un giudizio positivo per quanto riguarda la capacità programmatoria delle regioni Piemonte ed Emilia Romagna.


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In Piemonte la programmazione è legata ad una discreta cultura ambientale nella gestione del ciclo dei rifiuti; inoltre quest'ultima è sostenuta da approfondite indagini sul territorio regionale per valutare l'esistente, i bisogni e le possibili emergenze future. La regione si era dotata di un piano di smaltimento già nel 1988, cui era seguito nel 1995 un intervento normativo per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti. Le norme sono state infine aggiornate nel luglio 1997, alla luce dei criteri dettati dal decreto legislativo 22 del 1997. Il territorio regionale è stato così suddiviso in 18 bacini d'utenza, per i quali esiste un'autonomia di smaltimento tale per cui gli interventi programmati in favore del riciclaggio e del riuso fanno ritenere il Piemonte in grado di gestire in tranquillità per i prossimi anni il ciclo dei rifiuti.
Ugualmente di buon livello è l'attività amministrativa in Emilia Romagna dove - peraltro - è stata scelta una strada diversa rispetto al Piemonte. Qui, infatti, la regione ha fissato le linee generali del ciclo dei rifiuti nel 1994, delegando tuttavia la stesura dei piani di smaltimento alle singole province.
La legge regionale manca ancora di un adeguamento alla normativa nazionale, ma tale passaggio potrà essere compiuto solo con il completamento dei piani provinciali. In via generale l'attività di programmazione delle province appare consona ad una gestione moderna ed efficiente del ciclo dei rifiuti, con la rilevante eccezione della provincia di Parma dove la Commissione ha riscontrato una situazione assai carente dal punto di vista impiantistico, il che comporta l'esportazione verso altri territori provinciali dei rifiuti prodotti in quell'area. Paradossalmente il buon numero di impianti di trattamento o smaltimento esistente in diverse provincie della regione comporta una situazione tale per cui esiste una capacità di ricezione assai superiore alla produzione dei singoli ambiti: ciò sta trasformando tali aree - ad esempio il ravennate - 3 in possibili poli di attrazione per rifiuti prodotti anche fuori della regione, contravvenendo in questo a quanto previsto dal decreto legislativo 22 del 1997.
Anche il Lazio, nel 1998, ha varato la disciplina regionale di riferimento adeguata alla nuova normativa nazionale, con la quale ha delegato alle singole province la potestà di pianificazione. In questa regione però - diversamente dalle precedenti - la situazione impiantistica appare ancora lontana da un generale stato di ideazione: Roma, che produce circa il 10 per cento dei rifiuti solidi urbani italiani, smaltisce ancora la quasi totalità dei suoi rifiuti in discarica (Malagrotta). Sulla gestione dei rifiuti a Roma sono in corso alcune inchieste giudiziarie: la regione ha poi richiesto la dichiarazione dello stato d'emergenza per la provincia anche in previsione del grande afflusso di pellegrini per il Giubileo del 2000. Solo la provincia di Frosinone può vantare un impianto di trattamento - quello di Colfelice - che serve l'intero ambito; l'impianto però non ha ancora raggiunto la completa efficienza per quanto riguarda la selezione di alcuni materiali. Nelle altre province del Lazio la destinazione pressoché unica dei rifiuti resta la discarica.
L'attività di programmazione in adeguamento alla normativa nazionale appare più problematica negli altri territori regionali. In


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Liguria non è stato ancora del tutto adeguato il piano regionale (del 1992) alla nuova normativa nazionale, e ciò si riflette in maniera negativa sul sistema di smaltimento e sull'attuale gestione assai lontana da criteri di efficienza e modernità. Alla Commissione risultano, in Liguria, 14 discariche autorizzate ed un inceneritore; per quanto concerne le previsioni, dovrebbero essere aperte altre 10 discariche e realizzati altri quattro inceneritori. Ciò dà un'idea della distanza esistente tra la situazione attuale e quanto viene valutato, in termini impiantistici, come adeguato alla soluzione del problema dei RSU.
La situazione appare più precaria per quanto riguarda l'Abruzzo: il piano tuttora vigente in questo territorio risale al 1988, e di questo non sono state neanche adottate tutte le previsioni. Una situazione che - come la Commissione ha osservato - riguarda in maniera particolare i due capoluoghi più importanti della regione, cioè Pescara e L'Aquila. Solo la discarica di Cerratina (CH) appare tecnologicamente idonea, e, per via delle carenze impiantistiche delle altre province, qui smaltiscono i rifiuti circa il 50 per cento dei comuni abruzzesi. Ciò comporta, tra l'altro, anche un riempimento della discarica assai più rapido rispetto alle previsioni di piano: pertanto, per tamponare delle emergenze, il rischio concreto è crearne a breve delle nuove. Nel 1996 la regione ha approvato le linee guida per la predisposizione del nuovo piano di smaltimento; tale però risulta essere l'ultimo atto normativo in materia, con una situazione regionale che sta dando luogo anche a perduranti conflitti sociali, e che rischia di favorire l'infiltrazione di interessi illeciti che - come si è verificato in altre aree del Paese - sono sempre pronti a sfruttare le eventuali situazioni emergenziali.
Puglia, Campania e Sicilia sono in stato di emergenza per quanto concerne il ciclo dei rifiuti. Va però naturalmente sottolineata la diversa durata della fase emergenziale: in Puglia e Campania questa dura ormai dal 1994, mentre in Sicilia è stata dichiarata nel gennaio di quest'anno. Del tutto simili comunque le ragioni per cui il Governo si è visto costretto ad adottare tale provvedimento, vale a dire l'assenza di interventi programmatori da parte degli enti territoriali e locali che hanno portato tali territori a non avere più possibilità di smaltimento se non grazie a provvedimenti coattivi che solo lo stato di emergenza può consentire.
Sia in Puglia che in Campania l'azione commissariale ha portato all'emanazione di piani per uscire dalla fase emergenziale; tuttavia anche quest'attività di programmazione risente di ritardi e di insufficienze tali per cui - nel concreto - permane la forbice tra l'emergenza e la normalità, rendendo sempre più difficile (specie in Campania) l'individuazione di siti ove smaltire i rifiuti quotidianamente prodotti. Peraltro - soprattutto in Campania - è particolarmente grave il fenomeno degli smaltimenti illeciti (ad opera della criminalità organizzata): ciò comporta anche contrasti sociali dovuti alle resistenze dei cittadini ad ospitare impianti di smaltimento senza concreti interventi di recupero delle aree inquinate9.

9 Cfr. tabella 4-bis.


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Come detto, la Sicilia solo dal gennaio di quest'anno è in stato di emergenza, e non è pertanto possibile giudicare l'attività del Commissario delegato (nominato peraltro con rilevante ritardo: solo a maggio). La situazione presenta aspetti di sicura gravità, visto che in regione sono attive circa 150 discariche aperte in base all'articolo 13 del decreto legislativo 22 del 1997, in assenza quindi di qualsiasi programmazione. A ciò si aggiunga il fatto che la regione, al momento dell'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, si è rivolta all'Avvocatura dello Stato per sapere se tale fonte era o meno direttamente applicabile al territorio siciliano, ricevendone risposta positiva.

3.2 I rifiuti solidi urbani: la produzione e gli impianti esistenti. La situazione, per quanto riguarda la produzione di rifiuti solidi urbani, viene sintetizzata nelle tabelle allegate10, relative alle regioni per le quali la Commissione ha già approvato relazioni.

10 Cfr. le tabelle 5, ordinate secondo la cronologia delle rispettive relazioni.

L'universo esaminato riguarda oltre 31 milioni di abitanti, pari quindi a circa il 60 per cento della popolazione nazionale ed è rappresentativo, inoltre, delle diverse aree geografiche. Peraltro i dati in possesso della Commissione relativi alle Regioni non ancora visitate confermano quanto viene qui appresso rilevato.
Emerge anzitutto in maniera abbastanza netta la disomogeneità esistente tra le diverse aree del territorio nazionale; se Piemonte ed Emilia Romagna appaiono in grado di centrare gli obiettivi previsti dalla legge, le altre regioni sono assai distanti da tali limiti, con la Sicilia che presenta una raccolta differenziata ridotta a livelli decimali.
È peraltro evidente come il miglior andamento della raccolta differenziata è ottenuto in quelle regioni dove è più puntuale l'attività programmatoria degli enti territoriali e locali. Tale stretto parallelismo esiste naturalmente anche ove si consideri la tipologia degli impianti esistenti per lo smaltimento o il trattamento dei rifiuti solidi urbani nei diversi territori regionali. Anche per quanto concerne questo aspetto è opportuno, per una migliore chiarezza, fare ricorso a una descrizione schematica della situazione esistente (così come desunta dalla più recente fonte ufficiale in materia, il Secondo rapporto sui rifiuti urbani curato dall'ANPA e l'Osservatorio nazionale sui rifiuti) e sulle previsioni di piano come rilevate dalla Commissione nell'ambito della sua attività conoscitiva. Anche in questo caso viene seguito l'ordine cronologico delle singole relazioni territoriali.
Liguria: esistono complessivamente 13 discariche (una in provincia di Imperia, quattro ciascuna nelle province di Genova, La Spezia e Savona). Si prevede la realizzazione di altre tre discariche e di un inceneritore in provincia di Imperia; di due nuove discariche, l'ampliamento di una già esistente nonché la costruzione di un inceneritore in provincia di Savona; di tre nuove discariche e di due impianti di incenerimento in provincia di Genova; l'ampliamento di una delle discariche esistenti in provincia della Spezia.


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Piemonte: in regione sono attive 23 discariche (una ciascuna nelle province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola; due in provincia di Vercelli; quattro ciascuna nelle province di Cuneo e Alessandria; dieci nella provincia di Torino). Esistono due impianti di incenerimento, uno nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola e uno in provincia di Vercelli; sono attivi poi 16 impianti di compostaggio (tre in provincia di Alessandria, uno in provincia di Biella, due in provincia di Cuneo, cinque in provincia di Novara, tre in provincia di Torino, uno ciascuno nelle province di Verbano-Cusio-Ossola e di Vercelli). Per la provincia di Alessandria sono previsti tre impianti di preselezione con produzione di combustibile da rifiuto (CDR) nonché la realizzazione di un termodistruttore. In provincia di Asti è prevista la realizzazione di una discarica, di un impianto di preselezione e di un impianto di compostaggio. Nella provincia di Biella è prevista la realizzazione di un impianto di preselezione con produzione di CDR, nonché di un impianto di compostaggio. In provincia di Cuneo è prevista la realizzazione di un impianto di preselezione, un termodistruttore e di un impianto di compostaggio. Per la provincia di Novara è prevista la realizzazione di un impianto di preselezione e produzione di CDR nonché di un termovalorizzatore. In provincia di Torino sono previsti altri quattro impianti di compostaggio ed un termovalorizzatore. Nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola è prevista la realizzazione di un ulteriore impianto di compostaggio nonché il potenziamento dell'esistente inceneritore. In provincia di Vercelli, infine, è previsto l'ampliamento dell'inceneritore e la realizzazione di un impianto di preselezione con produzione di CDR.
Campania: in Campania risultano esistenti 66 discariche (due in provincia di Avellino, una in provincia di Benevento, 17 in provincia di Caserta, due in provincia di Napoli e 42 - quasi tutte di modeste dimensioni - in provincia di Salerno). Nella provincia di Avellino sono previsti due impianti di compostaggio e un impianto per la selezione della frazione secca; in provincia di Benevento è prevista la realizzazione di un impianto di compostaggio; in provincia di Caserta è prevista la realizzazione di due impianti di compostaggio; nella provincia di Napoli è prevista la realizzazione di un impianto di preselezione dei rifiuti e di un termodistruttore; per la provincia di Salerno è prevista la realizzazione di un termodistruttore e di due impianti di compostaggio.
Lazio: per quanto riguarda questa regione, la Commissione non è in possesso di elementi di programmazione per la gestione dei rifiuti, ed è pertanto possibile unicamente riepilogare i siti di smaltimento o trattamento esistente. In provincia di Latina è attiva una discarica, la provincia di Frosinone invia l'intera produzione di RSU all'impianto di selezione di Colfelice; in provincia di Roma sono otto le discariche in esercizio mentre nella provincia di Viterbo ne risultano attive due. Va infine segnalato che - secondo quanto riportato nel rapporto ANPA-Osservatorio nazionale sui rifiuti sulla produzione di rifiuti solidi urbani del febbraio 1999 - tutte le discariche del Lazio risultano attivate in base all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982.
Puglia: in provincia di Bari sono attive cinque discariche, ed è prevista la realizzazione di quattro impianti di compostaggio, di due


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impianti di termodistruzione e di una discarica. In provincia di Brindisi esiste una discarica ed un impianto di compostaggio di cui è programmato l'ampliamento; è inoltre prevista la realizzazione di una nuova discarica. Nella provincia di Foggia sono attive due discariche, ed è prevista la realizzazione di un impianto di compostaggio, un impianto per la produzione di CDR ed un impianto di termodistruzione. In provincia di Lecce operano tre discariche, ed è prevista la realizzazione di due impianti di compostaggio, un termodistruttore e due nuove discariche. In provincia di Taranto - infine - sono attive due discariche ed è prevista la realizzazione di un impianto di compostaggio e di un termodistruttore.
Abruzzo: per questa regione risultano attive otto discariche (due ciascuna nella provincie dell'Aquila e di Chieti, tre in provincia di Pescara e una in provincia di Teramo). Secondo il piano esistente è prevista la realizzazione di una discarica in provincia dell'Aquila; di due impianti di compostaggio in provincia di Chieti; di un impianto di compostaggio in provincia di Pescara e di un impianto di compostaggio e di un termodistruttore in provincia di Teramo.
Emilia Romagna: in provincia di Bologna sono attive due discariche, un impianto di termodistruzione e due impianti di compostaggio; nel territorio è prevista la realizzazione di un secondo impianto di termodistruzione e di due discariche. Nella provincia di Ferrara esistono sette discariche e due impianti di termodistruzione; è prevista la realizzazione di due discariche e di un impianto di compostaggio. In provincia di Forlì sono attive due discariche, un impianto di incenerimento e un impianto di compostaggio; si prevede la realizzazione di una nuova discarica. Nella provincia di Modena operano sei discariche, un inceneritore e tre impianti di compostaggio; è prevista la realizzazione di tre nuove discariche. La provincia di Parma conta su due discariche e un impianto di incenerimento, di cui è previsto l'ammodernamento, oltre che la realizzazione di quattro nuove discariche. In provincia di Piacenza sono attive quattro discariche ed un impianto di compostaggio; è prevista l'entrata in funzione di un termodistruttore e la realizzazione di due discariche. Nella provincia di Ravenna sono in funzione due discariche, un impianto per la produzione di CDR e due impianti di compostaggio; sono in realizzazione due impianti per la termodistruzione dei rifiuti, l'ampliamento delle due discariche esistenti e la realizzazione di un centro di selezione e compostaggio. In provincia di Reggio Emilia sono attive tre discariche ed un impianto di termodistruzione. Nella provincia di Rimini esistono un impianto di incenerimento ed un impianto di compostaggio, ed è prevista la realizzazione di due discariche.
Sicilia: si è già avuto modo di segnalare come in questa regione operi un gran numero di discariche avviate in base all'articolo 13 del «decreto Ronchi»; a queste si aggiungono due inceneritori di vecchia concezione in provincia di Messina ed un impianto di selezione a Trapani. Anche per quanto riguarda le realizzazioni previste, queste riguardano essenzialmente discariche, a parte l'adeguamento degli inceneritori di Messina e l'avvio della linea di compostaggio a Trapani. Peraltro, come già ricordato, solo dalla fine del maggio 1999 è stato nominato il commissario delegato all'emergenza rifiuti e


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pertanto non esistono informazioni in merito agli interventi che la struttura programmerà per la gestione degli RSU.

3.2.1. La discarica come soluzione: una cultura da superare. La situazione - come si è andata delineando sin qui - offre quindi una serie di elementi di valutazione. La prima riguarda una ancora eccessiva dipendenza del sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani dalle discariche. È bene sottolineare che - secondo la normativa - tale forma di smaltimento dovrà essere considerata come residuale rispetto al recupero dei materiali. Da questo punto di vista è invece ancora sensibile il deficit impiantistico che si registra nelle regioni che la Commissione ha esaminato, anche in quelle dove esiste una maggiore capacità di programmazione da parte della pubblica amministrazione. Valutando infatti la capacità degli impianti di recupero esistenti emerge come l'obiettivo - definito minimo dalla legge - di recupero per il 35 per cento degli RSU prodotti è ancora lontano. Da questo punto di vista la Commissione non può che ribadire un giudizio non positivo rispetto alla diffusa tendenza delle pubbliche amministrazioni di risolvere il problema della gestione dei rifiuti facendo ricorso soprattutto ad impianti di termodistruzione; anche tenendo in conto il fatto che l'impatto - in termini di emissioni nocive - degli impianti di ultima generazione è migliorato addirittura da almeno due ordini di grandezza (ad esempio per quanto riguarda le emissioni di diossine) e si colloca quindi a un livello inferiore di quello delle discariche, va anche ricordato che il recupero di energia grazie alla termodistruzione è considerato dalla legge un'opzione che viene subito dopo il recupero dei materiali.
La Commissione ha più volte evidenziato come in Italia, Paese che ha nell'agricoltura uno dei settori economici più importante, debba essere considerata come prioritaria la scelta del compostaggio. Ciò soprattutto per due elementi: tale scelta deve avere a monte una valida separazione della frazione umida dal resto delle frazioni che compongono il rifiuto; ebbene, la raccolta differenziata secco-umido è quella che prima e meglio delle altre consente di avvicinarsi agli obiettivi imposti dalla legge. Il secondo elemento riguarda direttamente le condizioni dei terreni agricoli, che in ampie parti del Paese sono ormai da considerare a rischio di «pre-desertificazione»: l'uso diffuso del compost di qualità, che arricchisce organicamente il terreno, consentirebbe di allontanare tale rischio e migliorare quindi la salute delle aree agricole, oltre a ridurre significativamente il peso delle componenti chimiche in agricoltura.
Va qui evidenziato come - in termini generali - esiste un'alternativa alle discariche solo per meno del 20 per cento dei rifiuti solidi urbani: ciò vuol dire che, accanto al ritardo e alla non sufficiente adeguatezza dell'azione delle pubbliche amministrazioni, si registra un ritardo anche da parte del mondo imprenditoriale. Ad esso anzi si può imputare il ritardo nel considerare il ciclo dei rifiuti oltre che un'offerta di servizi ai cittadini, un vero e proprio settore di impresa, capace di sviluppare importanti innovazioni tecnologiche in modo durevole, data la ovvia constatazione che i rifiuti continueranno ad essere prodotti. Il ciclo dei rifiuti rappresenta quindi un grande business, da gestire ovviamente in modo del tutto trasparente.


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L'innovazione tecnologica può infatti essere uno dei motori per espellere dal ciclo gli interessi illeciti, ma da sola non basta: è necessaria una grande attenzione da parte delle amministrazioni interessate per evitare che gli interessi illeciti si presentino dietro la facciata solo apparentemente rispettabile di aziende impegnate nel trattamento dei rifiuti. Si tratta peraltro di un discorso valido per qualsiasi settore per il quale si espletano gare d'appalto. Senz'altro negli ultimi mesi si registrano maggiori volontà ed interesse da parte dell'imprenditoria, ma è necessario ed urgente uno sforzo suppletivo per recuperare il ritardo accumulato nei confronti dei nostri partner più avanzati.
Peraltro occorre dare atto che il necessario sviluppo della raccolta differenziata può essere alimentato soltanto da reali interessi di mercato. Interessi che possono essere garantiti dall'utilizzo e dalla più ampia commercializzazione dei prodotti ottenuti dalla lavorazione dei materiali recuperati. Sul punto vi deve essere un'adeguata attività di informazione oltre che una politica di acquisizione dei beni anche da parte dell'imprenditoria pubblica e del settore dei servizi delle pubbliche amministrazioni. Peraltro è appena il caso di osservare che in taluni casi i prodotti ottenuti dalla lavorazioni di materiali recuperati hanno caratteristiche tali che li legittimano ad utilizzi di grande interesse per l'imprenditoria e per il commercio.
3.3. I rifiuti speciali: produzione e smaltimento. Si deve innanzitutto porre in evidenza che la tematica dei rifiuti speciali, pur comportando un impatto di gran lunga più preoccupante sotto il profilo della sanità e della salvaguardia dell'ambiente, tuttavia appare nell'attenzione delle autorità sacrificata a quella prestata ai RSU. Si tratta di un settore che interessa in special modo l'imprenditoria ed il cui smaltimento rappresenta un elemento di costo estremamente elevato che viene ad incidere in modo rilevante sul prezzo finale dei prodotti e quindi sulle capacità di mercato delle imprese. Ne consegue che disattenzioni e debolezza dei controlli comportano rilevanti distorsioni del mercato a danno delle imprese che hanno comportamenti ecologicamente più corretti.
Per quanto riguarda questa tipologia di rifiuti, infatti, la Commissione deve preliminarmente evidenziare come non esistano dati ufficiali recenti in merito alla produzione e allo smaltimento; gli elementi di informazione più recenti sono quelli pubblicati nel Rapporto sullo stato dell'ambiente pubblicato dal Ministero dell'ambiente nel 1997, ma risalenti al biennio 1993-94. Successivamente - nel mese di marzo del 1999 - la Legambiente e la FISE-Assoambiente hanno pubblicato un'Indagine sulla produzione e lo smaltimento dei rifiuti industriali che contiene i dati MUD relativi al 1996. La Commissione è comunque a conoscenza del fatto che l'ANPA e l'Osservatorio nazionale sui rifiuti stanno redigendo un rapporto specifico, che aggiornerà la situazione11. Nelle tabelle riportate vengono messi a confronto i dati sinora disponibili relativi alla produzione nazionale di rifiuti speciali e tossico-nocivi (secondo la classificazione precedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997).

11 Cfr. le tabelle 6.

A titolo generale, va preliminarmente evidenziato come le due indagini presentino sensibili differenze nella produzione delle varie


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tipologie di rifiuti nelle diverse regioni. In un biennio, ad esempio, in Puglia si è passati da una produzione di oltre 400.000 tonnellate l'anno di rifiuti pericolosi a meno di 50.000 tonnellate l'anno; e in Campania si è praticamente dimezzata la produzione di rifiuti speciali. È evidente la necessità di dati precisi e chiari sulla produzione di queste tipologie di rifiuti, ed a tal proposito la Commissione auspica che il prossimo rapporto curato dall'ANPA per l'Osservatorio nazionale sui rifiuti risponda a questa esigenza. Va però anticipato un elemento sul quale si tornerà più diffusamente in seguito: l'attuale sistema di gestione dei dati non pare del tutto adeguato a fotografare esattamente la realtà.
Per quanto riguarda più direttamente le regioni visitate dalla Commissione, si dà qui conto in forma schematica dell'impiantistica rilevata dai sopralluoghi e dalle informazioni giunte dalle amministrazioni competenti.
In Liguria - per quanto riguarda gli smaltimenti in conto terzi - è in funzione un impianto per il trattamento dei rifiuti liquidi a Genova e tre discariche per rifiuti speciali in provincia di Savona. Fino all'ottobre 1997 era in funzione a Pitelli (Sp) l'area della Sistemi Ambientali, con una discarica per rifiuti speciali e due inceneritori per rifiuti tossici e nocivi12. Per quanto concerne la situazione degli smaltimenti in conto proprio, la Liguria vede la presenza di cinque discariche per rifiuti speciali nella provincia di Genova e di tre discariche per rifiuti speciali nella provincia di Savona.

12 Sul punto v. infra paragrafo 5.2.1.

In Piemonte esiste un ben organizzato sistema di discariche per rifiuti speciali e pericolosi, principalmente in provincia di Torino dove si concentra il 59 per cento della capacità di ricezione piemontese. Secondo il citato Rapporto sullo stato dell'ambiente del Ministero dell'ambiente, inoltre, il Piemonte è l'unica regione italiana in grado di soddisfare per intero il fabbisogno di smaltimento di questa tipologia di rifiuti.
Per quanto riguarda la Campania, le previsioni di piano vanno oltre una generica indicazione relative alla realizzazione di una piattaforma di smaltimento in un'area di sviluppo industriale da scegliere tra Acerra, Teverola e Avellino.
Relativamente al Lazio, in sede di audizione l'assessore all'ambiente della regione ha indicato in impianti abruzzesi la destinazione di questi rifiuti. Per la Puglia, gran parte della produzione di rifiuti speciali e pericolosi viene smaltita in regione, nelle discariche in conto proprio esistenti presso gli impianti industriali; il resto è inviato in discariche fuori regione.
In Abruzzo esiste - a Vasto - una delle due discariche per rifiuti pericolosi presenti in Italia (l'altra, Baricalla, è in Piemonte). Seimila tonnellate vengono recuperate e il resto inviato in impianti fuori regione. In Emilia Romagna la gestione di questi rifiuti è suddivisa tra l'incenerimento, la discarica e il recupero. Va però evidenziato come per 999.000 tonnellate venga indicata come destinazione lo stoccaggio provvisorio, che non è un sistema di smaltimento: soprattutto la Commissione ha avuto modo di richiamare l'attenzione delle autorità locali sulla grande proliferazione di centri di stoccaggio


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in Emilia Romagna, siti che - come si apprende da inchieste della magistratura - possono prestarsi ad operazioni truffaldine quali il «giro bolla», la miscelazione o la declassificazione dei rifiuti.
Per la Sicilia, infine, l'intera produzione di questi rifiuti è smaltita fuori regione. Ciò avviene - secondo quanto la Commissione deve ragionevolmente concludere - in modo spesso illecito. I competenti organismi, infatti, sia locali che provinciali (la zona del siracusano al proposito è un esempio particolarmente significativo), non riescono a esprimere livelli di attenzione e di efficacia nei controlli che la concentrazione di industrie chimiche richiederebbe13.

13 Al riguardo cfr. la relazione sulla Sicilia (DOC. XXIII-34, p. 13 s.).

Si può conclusivamente affermare che - per quanto riguarda questa tipologia di rifiuti - il deficit di smaltimento appare ancor più grave rispetto a quello segnalato per i rifiuti solidi urbani; solo una piccola parte di rifiuti speciali viene infatti esportata e dunque non ne è noto il destino. A ciò si devono aggiungere due ulteriori elementi che devono imporre una maggiore attenzione sull'intero comparto dei rifiuti speciali. Il primo è desunto dall'attività della regione Toscana che in occasione della redazione del piano di smaltimento dei rifiuti speciali ha realizzato un'indagine specifica per accertare la reale produzione di tali rifiuti. L'indagine ha anzitutto messo in evidenza come per la Toscana fossero disponibili i dati MUD (Modello unico di dichiarazione) - unica fonte su tali rifiuti - solo per il 47 per cento del complesso degli operatori; tali dati sono stati pertanto integrati e poi verificati con un'indagine sul campo che ha riguardato i principali produttori di rifiuti della regione. In tal modo si è giunti ad una produzione di rifiuti valutata dalla regione Toscana in 8.887.114, a fronte dei 4.100.000 tonnellate segnalati con i dati MUD: si avrebbe insomma una moltiplicazione della situazione sinora stimata con un fattore di 2,16.
Tale dato - di per sé di grande rilevanza - va collegato con il secondo elemento da porre all'attenzione: secondo un'indagine condotta da FISE (l'associazione delle imprese operanti nel settore ambientale) e Legambiente sui dati MUD del 1996, emerge la seguente anomalia: la produzione di rifiuti speciali non pericolosi dichiarata è di 21.017.044 tonnellate, mentre lo smaltimento risulta di 23.067.402 tonnellate, con un saldo positivo di 2.050.358 tonnellate; invece la produzione di rifiuti pericolosi nazionale risulta di 1.451.464 con uno smaltimento dichiarato per 1.329.639. Mancano quindi 121.825 tonnellate, che in parte potrebbero essere state fraudolentemente declassate e trasformate in rifiuti non pericolosi. In ogni caso, considerando sia l'indagine della regione Toscana che quella di FISE e Legambiente, è evidente come i conti non tornino.
La Commissione, peraltro, avendo avuto modo di esaminare i risultati dell'indagine condotta dalla regione Toscana, è portata a ritenere che quella situazione possa essere estesa a gran parte del territorio nazionale: ciò potrebbe indurre a pensare che l'effettiva produzione di rifiuti sia di molto superiore rispetto a quanto ritenuto sinora. Considerando l'attuale deficit di smaltimento, la situazione si rivelerebbe davvero emergenziale.


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A questo proposito - e nell'intento di una maggiore chiarezza - la Commissione ritiene opportuno suggerire al Parlamento l'ipotesi di estendere l'obbligo di presentazione del MUD anche alle imprese con meno di tre dipendenti (oggi esentate secondo l'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 22 del 1997). Infatti già la nozione di dipendente non appare utile a individuare tutte le imprese operanti, giacché sono molte le aziende con un solo dipendente ma molti addetti che figurano quali collaboratori o contrattisti a vario titolo. Inoltre anche le ditte individuali (ad esempio un laboratorio di fotografia) possono essere grandi produttrici di rifiuti. Un'estensione dell'obbligo di presentazione del MUD a una serie di categorie produttive indipendentemente dal numero di addetti consentirebbe invece di avere un quadro più dettagliato della situazione rispetto a quanto non sia possibile attualmente. Tuttavia, secondo la Commissione, è opportuno rivedere il funzionamento dell'intero sistema legato alla presentazione dei dati MUD, prevedendo anche una semplificazione dello stesso; questo infatti oggi non consente una lettura puntuale e aggiornata dei dati e - per come è strutturato - è più un aggravio alle imprese che una fonte di lavoro e di studio per quanti debbono operare nel sistema dei rifiuti.

4. I protagonisti del processo nel ciclo dei rifiuti. I comportamenti devianti ed il sistema dei controlli.

Gli interessi che si muovono intorno al ciclo dei rifiuti sono assai complessi e di difficile lettura. Ciò anche perché non tutti i soggetti che intervengono nel processo concorrendo alla determinazione di risultati spesso illeciti, sono sempre mossi da interessi illeciti. Se non si dovesse partire da tale dato, non solo si costruirebbe una ipotesi teorica, non supportata dalla realtà dei fatti e meramente ideologica, ma si giungerebbe a una generalizzata criminalizzazione dell'intero settore economico, con il rischio di indebolire ulteriormente l'azione di contrasto.
È bene, quindi, procedere ad una pur sintetica ricognizione di tutti i soggetti che interagiscono nel ciclo ed individuare, per ciascuno di essi, competenze, interessi, comportamenti e responsabilità.

4.1. I produttori dei rifiuti, soggetti privati e pubblici. Per gli imprenditori privati che producono rifiuti di vario tipo, indubbiamente l'attività di raccolta, selezione e smaltimento dei rifiuti costituisce un elemento di costo che incide sulla capacità e sulla qualità di presenza nel mercato. Per tale ragione, l'imprenditore, come per tutte le altre partite di costo, è portato a ridurle al minimo come per ogni parametro che interviene ad alterare l'originario rapporto costo-produzione-prezzo, per mantenere inalterata, garantire o potenziare, la sua presenza nel mercato.
In questa logica, meramente economica, è evidente che l'impresa che si libera illegalmente dei propri rifiuti conseguendo consistenti economie di costo, acquisisce posizioni di vantaggio rispetto ad altra analoga impresa che invece, rispettosa dei precetti normativi, affronta tutti gli oneri previsti.


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L'operare in dispregio delle prescrizioni normative in tema di rifiuti genera quindi, non solo gravissimi e spesso irreversibili danni all'ambiente ma causa anche una catena ininterrotta di atti emulativi da parte di altre imprese che giustificano il loro operare nell'illegalità quale «comportamento obbligato» a difesa della loro capacità imprenditoriale.
Parimenti, i produttori pubblici trovano giustificazione ai loro comportamenti omissivi (fatti di mancato controllo e altre vere e proprie violazioni di legge) nelle ragioni di necessità e di urgenza che il più delle volte accompagnano gli atti di amministrazione sul tema dei rifiuti. Essi prendono a pretesto i vincoli normativi imposti dalle ancora inadeguate procedure previste per le gare di appalto; ed ancora, giustificano le loro scelte, spesso azzardate (e non sempre trasparenti) con il pretesto della mancanza di parametri di valutazione certi e idonei a sostenere la congruità delle offerte, sia sotto il profilo economico, sia per i profili di qualità e di garanzia ambientale dei servizi.
In effetti, rinviando ad altra parte della relazione una più approfondita analisi di questi aspetti, la Commissione ha avuto modo di appurare che, in moltissimi casi, sia gli enti locali, sia le aziende sanitarie locali (paradossalmente oggi la gestione manageriale è più esposta di quella delle vecchie unità sanitarie locali), sembrano mossi soprattutto dalla necessità di trovare una qualunque soluzione di smaltimento che consenta di liberarsi, sollecitamente e senza conflitti sociali (ed a prezzi che non li espongano a responsabilità amministrative o di natura politica) dei rifiuti. Per tali ragioni, una volta espletate le procedure necessarie per garantire il servizio, avendo cura del massimo rispetto della regolarità formale, non si preoccupano di controllare le modalità di esecuzione dell'appalto e di verificare il rispetto delle normative poste a difesa dell'ambiente e della salute pubblica. Sicché la realtà viene soffocata dalla rappresentazione di un simulacro fatto di carte e di ossequi procedurali.
Sotto la spinta della necessità, dell'urgenza, della carenza di impianti a norma e per la pressione di posizioni eccessivamente localistiche e di interessi spesso egoistici e non responsabili dei cittadini (che, pur pretendendo servizi efficienti ed economici, mal tollerano la vicinanza di discariche o di altri impianti che trattano rifiuti) alla legalità sostanziale viene privilegiata quella formale. Ne segue un sostanziale travisamento di tutta la normativa in tema di rifiuti ed, in tale clima di ricorrente emergenza (i provvedimenti che attengono allo smaltimento dei rifiuti in non rare occasioni vengono adottati con il vocio della folla che preme sui consigli comunali ed aziendali) trovano facile ingresso gli interessi e le procedure criminali (in primis quelli della criminalità organizzata) che a volte si avvalgono anche della collusione di amministratori e di funzionari pubblici.

4.2. L'imprenditoria di settore. L'imprenditoria di settore è il naturale ed obbligato interlocutore del produttore. La normativa vigente ha cercato di individuare i soggetti abilitati a svolgere le varie attività connesse alle diverse fasi del ciclo. Parimenti, le norme che regolamentano requisiti e procedure per la partecipazione e la aggiudicazione degli appalti, nel tentativo di assicurare un mercato


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non inquinato da avventurieri e da personaggi non affidabili hanno cercato di arginare la presenza di soggetti-impresa non dotati delle necessarie doti morali e professionali.
Tuttavia, occorre purtroppo riconoscere che, nonostante i molti interventi del legislatore sulla tematica degli appalti e per il controllo delle imprese, ancora regna nell'intero settore un generalizzato regime di trasgressione e di illiceità. Si affacciano in tutte le diverse fasi del ciclo imprese che vengono dal nulla, senza storia, senza mezzi e senza esperienza. Partecipano a gare di appalto soggetti sconosciuti non dotati di alcuna organizzazione e struttura; presentano offerte non supportate da alcuna riscontro costi-prezzi-profitti; offrono ribassi azzardati e non suffragati dalla realtà del mercato. Le gare di appalto sfuggono a qualsiasi logica e ad ogni controllo sostanziale. L'offerta viene governata da accordi preconfezionati di ditte fantasma costituite appositamente per partecipare alle gare ma in realtà facenti capo ad un solo soggetto che agisce in un sostanziale regime di monopolio.
La Commissione sta cercando di fare chiarezza su questo fenomeno al fine di comprendere fino in fondo i meccanismi che governano le gare di appalto e di proporre rimedi idonei. Ha avviato una fitta attività di monitoraggio sulle imprese che esercitano attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e pericolosi, raccogliendo elementi sulle composizioni societarie, sulle partecipazioni azionarie, sulle responsabilità sociali, sugli intrecci con altre attività, sugli appalti aggiudicati e sulla partecipazione ad altre gare, sulle singole offerte prodotte per ciascun appalto. Sono state raccolte notizie su oltre 700 ditte e sono in corso ulteriori informazioni ed elaborazioni. Si tratta di un vero e proprio censimento in quanto vengono acquisiti i dati non solo delle imprese che in qualche modo hanno avuto implicazioni di carattere penale ma anche degli operatori che hanno partecipato a gare di appalto, o che comunque sono emersi in situazioni di allarme o di particolari emergenze.
Da tale attività meramente ricognitiva già emergono alcuni dati che, incrociati con i vari elementi presenti nei sistemi informativi dell'anagrafe tributaria e delle Camere di commercio, nonché con i dati sugli appalti acquisiti direttamente dalla Commissione, confermano come il fittissimo proliferare delle imprese del settore nasconde una sostanziale situazione di oligopolio detenuta da pochi soggetti che formalmente assicurano una congrua presenza di partecipanti a ciascuna gara, ma che in realtà agiscono soli ed indisturbati manovrando il prezzo di aggiudicazione e scegliendo il vincitore. I primi riscontri di tale monitoraggio offrono già significative risposte alle tante perplessità manifestate da tutti gli organi di controllo: partecipano a gare che richiedono una forte organizzazione aziendale di personale e di mezzi tecnici, soggetti che risultano non avere alcun dipendente e che non possiedono alcun mezzo di trasporto per la raccolta dei rifiuti.
Gare alle quali partecipano oltre venti ditte, vengono vinte da imprese che si aggiudicano l'appalto con l'offerta del massimo ribasso dello 0,4 per cento, cioè con una offerta che chiaramente è frutto di


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un accordo intervenuto tra tutti i partecipanti. In altri casi, le percentuali di ribasso superano il 40 per cento del prezzo base d'asta.
Per finire, gli stessi soggetti (persone fisiche e giuridiche) li si ritrovano a partecipare a gare (che spesso si aggiudicano) in regioni lontanissime dalla sede principale. Così, nell'Italia settentrionale, spesso si incontrano imprese aventi interessi nel Sud, a volte collegate a personaggi implicati in fatti di criminalità organizzata.
In conclusione, i dati che sembrano emergere dal monitoraggio della Commissione d'inchiesta, sembrano indicare che l'affaire rifiuti in tutta Italia, è governato da pochissimi soggetti aventi forti interessi nelle associazioni criminali operanti nelle regioni a rischio.

4.3. L'utenza. Tra i protagonisti del complesso processo attinente al ciclo dei rifiuti, non può essere ignorato il soggetto utente del servizio. E questo non per meri fini di completezza dell'indagine, ma per comprendere come anch'esso, inconsapevolmente, nel rappresentare le sue giuste istanze d'efficienza, economicità e di carattere sanitario, a volte diventi strumento di pressione per spingere verso soluzioni non legittime e scelte che nascondono interessi di altra natura.
Nelle varie missioni effettuate in quasi tutte le regioni, la Commissione è venuta a conoscenza ed ha esaminato situazioni, gravemente irregolari e di forte pericolosità per l'ambiente e per la salute pubblica ma sulla conservazione delle quali si era di fatto radicato un forte consenso da parte delle popolazioni locali. I casi riguardano, in particolare, le discariche abusive disseminate in gran parte del territorio nazionale. I provvedimenti di chiusura della magistratura e le proposte di insediare impianti regolari in altre zone del paese, incontrano in moltissimi casi, fortissime opposizioni da parte della cittadinanza che non tollera la presenza di impianti di smaltimento o trattamento vicine al proprio abitato. Ferme restando le giuste ragioni dell'utenza, il più delle volte, come la Commissione ha avuto modo di rilevare, si tratta di posizioni che nascono da una informazione meramente strumentale promossa dagli stessi interessi presenti nelle discariche e nelle attività abusive e che si avvalgono delle proteste dell'utenza per mantenere invariata, e legittimare, la situazione illecita.

4.4. Il sistema dei controlli e gli organi di controllo. Nel quadro che è stato sin qui prospettato si colloca la tematica dei controlli e dei soggetti ad essi preposti. La presenza e l'efficacia dell'azione di controllo, demandata ai vari soggetti istituzionali previsti dalla normativa nazionale e regionale, rappresenta il punto centrale non solo dell'attività di contrasto, ma anche della stessa possibilità di comprensione e di governo dell'intero processo.
In proposito, bisogna riconoscere che il legislatore, in questi ultimi tempi è stato particolarmente sensibile al problema dei controlli. A oggi, però, esiste una tale congerie di controlli e di soggetti controllori che riesce persino assai arduo elencarli. Senza la pretesa di farlo per tutti, si accenna solo all'esistenza dei seguenti controlli generali o per singoli segmenti di produzione.
Ai sensi dell'articolo 20, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 22 del 1997 le provincie sono preposte al controllo periodico su


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tutte le attività di gestione [...] ivi compreso l'accertamento delle violazioni del [decreto medesimo]». (Vedi anche l'articolo 20, comma 4).
Le autorità preposte al controllo del traffico e del movimento delle merci controllano i documenti di trasporto dei rifiuti tossici e nocivi. Sono previsti controlli sui registri di carico e scarico delle imprese produttrici, di stoccaggio e di trasporto dei rifiuti tossici e nocivi.
Le regioni controllano, ai fini della approvazione dei progetti, la realizzazione dei nuovi impianti per lo smaltimento dei rifiuti, verificandone la compatibilità ambientale, la rispondenza ai limiti ed agli standars ed alle specifiche tecniche previste dalla normativa. Controllano, poi, ulteriormente, la situazione precedente all'intervento con la previsione a quella successiva alla realizzazione del progetto. (decreto ministeriale 28 dicembre 1987, n. 559).
Parimenti, le regioni vigilano sulle caratteristiche tecniche degli impianti di eliminazione dei materiali. Le autorità preposte al rilascio delle autorizzazioni hanno poteri di accesso, ispezione e controllo.
L'albo nazionale dei gestori di rifiuti controlla sui requisiti organizzativi e di carattere imprenditoriale, per l'iscrizione e la permanenza, delle imprese che operano nel settore dei rifiuti (adotta anche provvedimenti di sospensione dall'attività e di cancellazione dall'albo).
Il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) controlla su tali tipologie di rifiuti. Così per il Consorzio per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene. Controlli sono previsti per i rifiuti di origine animale; altri, per la sorveglianza ed il controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Unione europea, ovvero per l'esportazione verso paesi terzi (Reg. CEE 1o febbraio 1993, n. 259).
Le aziende sanitarie locali esercitano il controllo sui rifiuti sanitari. Le regioni vigilano sull'applicazione delle norme di polizia delle cave e delle torbiere.
Ai controlli si aggiungono poi le varie forme di vigilanza curate dal Corpo forestale dello Stato, dal Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, dalla Guardia di finanza, dalle Guardie volontarie delle associazioni ambientalistiche.
Da ultimo, vi sono le competenze proprie dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'Ambiente (ANPA) e del sistema ANPA-ARPA (Agenzie regionali per la Protezione dell'Ambiente): alle ARPA è demandata l'attività di controllo sulle varie tipologie di rifiuti connesse a tutte le fasi del ciclo (ivi compresi i controlli ambientali in materia di energia nucleare)14.

14 Cfr. ancora la tabella 4.

5. La «mafia dei rifiuti» e la criminalità ambientale.

La Commissione ha dedicato grande attenzione agli aspetti illeciti che si manifestano nel ciclo dei rifiuti: pertanto, come già accennato,


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ha avuto numerosi incontri con esponenti dell'autorità giudiziaria, sia in sede plenaria a Roma che nelle audizioni svolte nel corso di missioni di delegazioni della Commissione.
Tale attività ha consentito di formare un quadro dettagliato di conoscenze sulle principali fattispecie di reato che funestano il ciclo dei rifiuti; in questa parte della relazione si intende pertanto fornirne una descrizione, dando conto anche di alcune delle inchieste giudiziarie di cui la Commissione è venuta a conoscenza. Per una trattazione più puntuale delle stesse si rimanda senz'altro alle relazioni territoriali dedicate alle diverse aree del territorio nazionale.

5.1. La «mafia dei rifiuti».

5.1.1. Le infiltrazioni mafiose. La Commissione ha raccolto dati preoccupanti in ordine al rapporto intercorrente fra traffico illegale di rifiuti e criminalità organizzata dalla testimonianza di vari magistrati, che hanno avuto modo di occuparsi della questione nel corso delle inchieste attinenti alle società criminali operanti in Campania, nel Lazio, in Calabria e in Sicilia. Un quadro d'insieme è stato fornito dalla procura nazionale antimafia.
Elementi concreti, poi, sono stati forniti da quanto affermato in audizione da Agostino Cordova, procuratore distrettuale di Napoli: il classico modus operandi per tale tipo di traffici riguarda il sistema del cosiddetto «giro-bolla», grazie al quale i rifiuti pericolosi vengono spediti da un soggetto a un altro, il quale emette una ricevuta. Tale ricevuta però è falsa, poiché costui quei rifiuti nei fatti né li riceve né li inertizza. In realtà i rifiuti sono stati spediti altrove illecitamente15. Eppure formalmente la documentazione è regolare: vi è un mittente di rifiuti pericolosi e vi è un ricevente che dichiara sia la ricezione che il declassamento.

15 Presso cave abbandonate o discariche non autorizzate a ricevere rifiuti di provenienza extra-regionale, se non addirittura mescolati al terriccio ed interrati per essere utilizzati nella pavimentazione di strade o nella costruzione di abitazioni civili.

Esemplificativa di tale attività è l'indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli su traffici illeciti di rifiuti pericolosi provenienti da industrie del nord Italia, in specie dell'Emilia Romagna, e trasportati lungo le dorsali tirrenica e adriatica, per essere abbandonati in aree territoriali del meridione controllate dalla criminalità organizzata16; va aggiunto come l'indagine mostri chiaramente la penetrazione delle organizzazioni camorristiche nei traffici di rifiuti; la varietà di siti destinati allo smaltimento illegale di tali rifiuti industriali e la loro pronta individuazione da parte dell'organizzazione, a fronte del sequestro di altri, è indice di un controllo del settore che va ben oltre il territorio in cui esse operano direttamente - come mostrano le connessioni fra traffici abusivi di rifiuti e criminalità organizzata emersi in Abruzzo, Lazio, nonché in Piemonte, Lombardia e Liguria - e della penetrazione che tali organizzazioni stanno attuando nelle cosiddette aree non tradizionali.


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Altro elemento da sottolineare riguarda l'estensione delle attività delle organizzazioni criminali: risulta infatti dalle indagini che i clan hanno ormai ampliato le loro attività specifiche nel settore dal semplice controllo dei siti finali di smaltimento alle attività di trasporto e di commercializzazione, gestendo, quindi, tali attività illecite dal produttore di rifiuti sino al sito di smaltimento illegale.

16 V. i DOC. XXIII-32 sull'Emilia Romagna, XXIII-12 sulla Campania e XXIII-23 sull'Abruzzo, che a questo riguardo devono intendersi integralmente riportate.

Ma va aggiunto da subito un ulteriore elemento: sarebbe quanto mai errato ricondurre tutte le attività illecite nel settore dei rifiuti all'azione delle cosiddette «ecomafie». Esistono aziende non riconducibili alla criminalità organizzata che tuttavia paiono basare la loro attività proprio su una non corretta gestione dei rifiuti. Ricondurre tutta l'illegalità alle «ecomafie» significherebbe quindi dimenticare una grossa fetta (sicuramente predominante) di attività illecite.
A questo proposito è sufficiente citare sinteticamente alcuni casi: il procedimento penale, tuttora pendente, sul depuratore di Montesilvano, dove si è accertato che venivano smaltiti rifiuti industriali provenienti da diverse zone del nord Italia, in prevalenza stoccati presso un impianto di Forlì; o il caso dei rifiuti urbani del comune di Milano inviati in Abruzzo. L'azienda municipalizzata di quel capoluogo non smaltiva direttamente in Abruzzo, atteso il divieto fissato da una legge regionale. Con una serie di appalti a società commerciali, dei quali si è interessata la procura di Milano, essa incaricava le medesime società di dividere i rifiuti tra secchi ed umidi. Tutti i rifiuti erano, quindi, inviati per il trattamento e per la cernita in Abruzzo; una volta entrati nello stabilimento, il rifiuto acquistava «cittadinanza» abruzzese e, di conseguenza, per circa il 90 per cento veniva smaltito come rifiuto in quel sito17.

17 V. ancora il DOC. XXIII-23 sull'Abruzzo.

Sempre in Abruzzo, la Commissione è venuta a conoscenza del procedimento pendente presso la procura della Repubblica di Pescara a carico di 60 persone (tra cui amministratori e dirigenti di ben 58 società commerciali con sedi in tutta Italia) quali responsabili, fra l'altro, del delitto di associazione per delinquere finalizzato allo smaltimento di rifiuti in un impianto non autorizzato. L'organizzazione, fin dal 1995, aveva approntato gli strumenti operativi e fiscali per perseguire i suoi illeciti interessi18.

18 V. ancora il DOC. XXIII-23 sull'Abruzzo e l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pescara, Pasquale Fimiani, nella seduta del 18 novembre 1997.

Per tornare più direttamente all'azione della criminalità organizzata, va ricordato come la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha indicato in sede di audizione località quali Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno e Ardea come territori dove, dalla fine degli anni 70, si sono insediati gruppi appartenenti alla criminalità organizzata calabrese, siciliana ed, in particolare, campana. Queste ipotesi su tali filiere criminali operanti anche nel ciclo dei rifiuti a tutt'oggi, però, hanno avuto solo un parziale e superficiale riscontro nelle audizioni di alcuni magistrati che se ne sono occupati e nei procedimenti penali attivati nel distretto.


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In Calabria, particolarmente significative delle connessioni tra criminalità organizzata e traffici illeciti di rifiuti appaiono due inchieste condotte dalla procura di Catanzaro. La prima inchiesta riguarda l'illecita gestione di circa 30 mila tonnellate di rifiuti pericolosi, precisamente ferriti di zinco provenienti dalla «Pertusola-sud» di Crotone, azienda del gruppo ENI, da parte di un'organizzazione criminale collegata ad organizzazioni criminali mafiose della provincia di Cosenza. I materiali pericolosi venivano miscelati con rifiuti inerti, e quindi interrati in aree a vocazione agricola della Calabria, come i territori circostanti Cassano Ionio o la Piana di Sibari.
La seconda indagine avviata dalla procura di Catanzaro riguarda, invece, gli appalti per la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti nei comuni di Catanzaro, Rossano e Reggio Calabria19. La regione Calabria, per la realizzazione degli impianti, aveva in un primo momento ottenuto un finanziamento statale di 67 miliardi, che sono stati spesi senza realizzare le opere; è seguito un ulteriore stanziamento di 23 miliardi e un terzo di altri 10 miliardi.

19 V. il procedimento n. 738 del 1996 (doc.335/1).

Tali finanziamenti non hanno conseguito il loro obiettivo, cioè la realizzazione di impianti per un efficiente smaltimento dei rifiuti, come dimostra il recente commissariamento della regione Calabria. Il procedimento - tuttora pendente davanti al GUP - evidenzia le forti collusioni con gli organi amministrativi regionali (di cui diremo meglio nel proseguo del lavoro), nonché la presenza di alcune ditte già coinvolte in vicende giudiziarie connesse al ciclo dei rifiuti, verificatesi nella regione Sicilia20.

20 Cfr. l'audizione dottor. Luigi De Magistris dell'8 luglio 1998.

A proposito delle infiltrazioni mafiose nel ciclo dei rifiuti in Sicilia, la Commissione ha avuto modo di individuare - nell'ambito dello studio sulla composizione societaria delle aziende operanti nel ciclo - una situazione di rischio venutasi a creare a Palermo. La segnalazione è stata quindi fatta oggetto di una specifica informativa presentata alla procura della Repubblica di quella città, che ha immediatamente aperto un'indagine tuttora in corso.

5.1.2. Il «controllo» del ciclo da parte delle organizzazioni criminali. Tali episodi e tali inchieste dimostrano come si sta registrando - nelle regioni a rischio - un salto di qualità nell'azione delle organizzazioni mafiose. L'interesse non riguarda più solo l'attività finale di smaltimento ma si sta estendendo al controllo degli appalti e alle stesse scelte delle pubbliche amministrazioni.
Si tratta di un'attività che produce effetti devastanti, a volte irreversibili, sul piano ambientale, come ha dimostrato, per la Campania, l'indagine «Adelphi», una delle prime nel settore, che ha saputo evidenziare le dimensioni e la complessità del fenomeno e, per la Sicilia, le indagini relative alle discariche di Portella Arena e Pollina21.

21 V. ancora il DOC. XXIII-12 sulla Campania, e la relazione sulla Sicilia (DOC XXIII-34), approvata il 29 settembre 1999 e che a questo riguardo deve intendersi integralmente riportata.


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Il quadro emergente appare desolante: da una parte si conferma quanto emerso sin dai primi atti della Commissione, secondo cui la criminalità organizzata stava acquisendo il controllo dell'affaire rifiuti, dall'altra si evidenza uno scollamento tra organi della pubblica amministrazione se non altro preoccupante.
Se, invero, fin dall'inizio degli anni 90 sono segnalati fenomeni d'interferenza negli atti della pubblica amministrazione relativi agli appalti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani22, solo in questi anni si registrano i primi interventi concreti e di una certa incisività.

22 V. le citate relazioni per lo scioglimento dei consigli comunali della regione agli atti come doc. 644.

Basti ricordare le inchieste, anche recenti, condotta sia dalla DDA di Palermo che dalla DDA di Catania23, per comprendere come la criminalità organizzata abbia assunto nel settore il controllo totale.

23 V. ancora il documento sulla Sicilia (DOC XXIII-34).

Le vicende relative alle discariche di Bellolampo e Pollina di cui si è ampiamente detto nella relazione sulla Sicilia, dimostrano un controllo completo del ciclo; una gestione indifferenziata di tutti gli affari che, logicamente, non poteva e non può prescindere dal controllo della programmazione, costruzione e gestione di qualsiasi impianto afferente ai rifiuti, tanto più quando questi impianti siano in mano pubblica o vengano dall'attività della pubblica amministrazione in un qualche modo agevolati24.

24 V. ancora la relazione sulla Sicilia (DOC XXIII-34).

Ancora più illuminate è, al riguardo, la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, relativa alla «infiltrazione mafiosa nei cantieri navali di Palermo»25 dalla quale emerge un controllo territoriale completo, ivi compresa la gestione dei rifiuti e, più in generale, degli scarichi illeciti.

25 V. il DOC. XXIII-21, approvato dalla Commissione Antimafia il 26 gennaio 1999.

La verità è che nulla sembra essere cambiato, per la criminalità organizzata, rispetto a tutti gli altri affari. Il meccanismo è sempre lo stesso e l'aveva ben compreso Gioacchino Basile quando denunciava le interferenze illecite delle famiglie nella gestione dei cantieri navali di Palermo e, in particolare, nella gestione dei rifiuti, anche di amianto, all'interno dei cantieri stessi. Al riguardo le dichiarazioni testimoniali rese da Gioacchino Basile nel corso del dibattimento rendono evidente che l'affaire «rifiuti» ha avuto una posizione predominate sia nella vicenda giudiziaria del Basile stesso, sia nell'intera gestione dei cantieri navali di Palermo, sia, infine, nel consolidare i collegamenti - gestiti dalla famiglia mafiosa dell'Acquasanta - tra la città siciliana e l'interno dei cantieri stessi26.

26 V., in merito, le dichiarazioni rese da Gioacchino Basile nel procedimento penale a carico di Galatolo ed altri, in particolare quelle contenute nei verbali delle udienze dibattimentali del 4, 9 e 10 dicembre 1998.

Ulteriore dimostrazione viene dall'indagine relativa all'impianto di compostaggio di Trapani e dall'appalto vinto da una società, la Dusty, probabilmente ed originariamente non collegata alla mafia del


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territorio. Subito dopo l'aggiudicazione, la Dusty si rende conto che non ha i mezzi idonei per assicurare il trasporto dei rifiuti, e se ne rende conto a seguito di furti nei cantieri e di qualche piccolo danneggiamento27.

27 V. ancora la relazione sulla Sicilia (DOC XXIII-34).

La conseguenza è che, pur aggiudicataria dell'appalto, la Dusty deve ricorrere a subappalti, rivolgendosi a quelle stesse ditte che precedentemente, per motivi unicamente giudiziari, non avevano potuto aggiudicarsi la gara. Ci si trova, come è evidente, di fronte a quello che è il classico e indiscusso modus operandi delle associazioni camorristico-mafiose: l'estorsione.
Ritornando a quanto detto in ordine alle tecniche di controllo del territorio da parte della criminalità organizzata, occorre ribadire che - anche nel settore della gestione dei rifiuti - la mafia si afferma e prospera non solo per una forza di tipo organizzativo, ma anche e soprattutto per il pesante condizionamento che esercita sul tessuto sociale, ingenerato con l'omertà e l'intimidazione. Tali aspetti, del resto, il legislatore ha felicemente colto nella redazione della fattispecie di cui all'articolo 416-bis del codice penale.
L'infiltrazione, quindi, nel contesto socio-economico, è di una tale evidenza che nessuno se ne può sottrarre e anche amministratori, certamente non collusi, si sono trovati a rispondere di reati connessi alla loro attività di pubblici ufficiali, unicamente perché l'apparato burocratico li ha potuti indurre ad atti non corretti28.

28 V. al riguardo quanto affermato nella relazione sulla Sicilia, in ordine ai procedimenti condotti dalla procura della repubblica di Catania nei confronti dei pubblici amministratori incaricati della gestione della discarica di Portella Arena.

Lo scollamento istituzionale riscontrato nel corso delle attività relative alle indagini che la Commissione ha svolto per la Sicilia rasenta a volte il grottesco, se si pensa che, in una delle tante relazioni prefettizie prodromiche allo scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, a base del provvedimento era stata posta proprio la penetrazione amministrativa della De Bartolomeis e delle società del gruppo facenti capo al Virga.
A fronte di tanto, però, si sono anche riscontrate ipotesi collaborative di notevole spessore, come quella attivata nel corso dell'indagine a carico di Butticè ed altri relativa alla discarica Pollina. In quest'ultima, la commissione di accesso nominata dal prefetto di Palermo è stata non solo promotrice del decreto di scioglimento del consiglio comunale, ma ha fornito altresì utili elementi per individuare le connessioni esistenti con la famiglia Farinella e per consentire, quindi, la contestazione della fattispecie associativa mafiosa anche a pubblici ufficiali.
La situazione non appare dissimile in Campania, pur essendo minori i riscontri rispetto agli appalti della pubblica amministrazione. Forse la ragione è da ricercare nel commissariamento di questa regione per l'emergenza rifiuti; l'affidamento della gestione delle discariche al prefetto di Napoli ha significato il controllo statale del settore, che rende più difficile l'intervento della criminalità, quanto


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meno nella fase dello smaltimento finale, anche se lo stesso prefetto di Napoli ha evidenziato la diffusa infiltrazione criminale nelle aziende di raccolta e trasporto dei rifiuti29.

29 V. l'audizione del Prefetto di Napoli, Giuseppe Romano, del 21 settembre 1999.

5.1.3. Il nesso tra cave abusive e smaltimenti illeciti. Della connessione tra coltivazione di cave e discariche, o meglio, gestione illecita dello smaltimento di rifiuti, hanno parlato alla Commissione diversi magistrati impegnati nel settore30. Da ultimo, in relazione ai noti eventi alluvionali che hanno interessato l'agro sarnese-nocerino ed in particolare il comune di Sarno, il sostituto procuratore della Repubblica di Nocera Inferiore, Giancarlo Russo, ha parlato con toni assai preoccupati della situazione nel territorio.

30 V. al riguardo le audizioni del Procuratore Nazionale Antimafia aggiunto, Alberto Maritati, del procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, di Giovanni Melillo, sostituto procuratore della Repubblica di Napoli, di Federico Cafiero de Raho, sostituto procuratore della Repubblica di Napoli.

Il riferimento specifico è alla vetustà della normativa (quella del 1985 è stata doppiata da una legge regionale della Campania del 1995) la quale, in assenza di un piano-cave specifico per la regione Campania, prevede la possibilità di continuare ad effettuare l'attività estrattiva in alcune cave, sia pure a certe condizioni, nonché la possibilità di recupero ambientale o di riqualificazione delle aree oggetto delle vecchie cave dismesse, cosa che rischia di diventare la leva per consentire attività di illecito utilizzo. Dall'audizione del presidente della regione Campania, la Commissione ha appreso che finalmente, il piano-cave è stato approvato31.

31 V. l'audizione del Presidente della regione Campania, Andrea Losco, del 23 settembre 1999.

Di un'ulteriore aspetto e di altre implicazioni, rispetto ad una vecchia discarica abusiva in provincia di Salerno, già esaurita da qualche anno, gestita da un certo Filippo Troisi, ha parlato il sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura di Salerno, Angelo Frattini32.

32 Seduta del 19 maggio 1999.

Secondo i risultati investigativi, nelle aree circostanti tale discarica, erano presenti altre discariche abusive ove si svolgevano attività estrattive e di sversamento, soprattutto di inerti da costruzione e di materiali plastici. Attorno alla discarica vi era uno sversamento di percolato che aveva dato luogo addirittura a veri e propri laghi. La situazione si è aggravata allorché il Troisi, che nella zona portava avanti un'attività di escavazione, scavando ha contribuito a far crollare parzialmente una parte della vecchia discarica, causando una fuoriuscita di percolato che incrementava la superficie dei laghi e laghetti già esistenti. Questo ha creato problemi igienico-sanitari, per cui si è provveduto a sequestrare l'intera area della discarica e tutta l'area di cava oggetto dell'abusiva estrazione33.

33 V. l'audizione del 19 maggio 1999

Significativo appare ancora l'utilizzo delle cave nella Marsica, così come raccontato da Stefano Gallo, sostituto procuratore della


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Repubblica di Avezzano34. Nella indagine «Ebano» è stato accertato che le cave marsicane erano il sito elettivo di discarica; anzi si è avuto capacità di adeguamento dei pregiudicati locali, che erano praticamente la manovalanza deputata al rinvenimento dei siti di discarica, ed una prontezza nel reperimento di sempre nuove discariche, il tutto agevolato da una normativa di settore che fiancheggiava il decreto-legge n. 438/94 ed il decreto ministeriale 5 settembre 1994.

34 V. la seduta del 10 dicembre 1998.

In Liguria, a Borghetto Santo Spirito sono state rinvenute circa 25 mila tonnellate di rifiuti pericolosi in una cava di proprietà di tale Federico Fazzari, legato parentalmente a Carmelo Gullace, persona sottoposta a misure cautelari antimafia; a questi rifiuti, vanno aggiunti altri 40 mila fusti che sarebbero stati seppelliti - a detta dello stesso Fazzari - dalla medesima organizzazione in una cava sita nei pressi di Lavagna, non ancora individuata.
Merita sull'argomento segnalare la recentissima iniziativa della procura della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, conscia delle dimensioni del fenomeno e delle implicazioni criminali, ha aperto un'indagine ad ampio raggio sulle cave situate nel circondario35.

35 V. l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie.

5.1.4. Le attività illecite e il ruolo della pubblica amministrazione. Il coinvolgimento, a vario titolo, di pubblici amministratori è un dato emergente anche nei procedimenti relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani. Basti citare alcuni esempi, oltre quelli già visti in precedenti parti di questa relazione.
Nel Lazio, l'autorità giudiziaria di Velletri ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di abuso di ufficio di numerosi rappresentanti dell'amministrazione comunale che avrebbero assegnato l'appalto per la nettezza urbana del comune di Anzio ad una società di Napoli, la Colucci Appalti36, nonostante fosse carente di alcuni requisiti richiesti nel bando di gara.

36 Società di recente acquisita dalla EMAS di Milano e controllata al 100% dalla EMIT di Milano, azienda quest'ultima di cui la Commissione ha già avuto modo di interessarsi per le vicende legate al digestore di Novara-V. Doc. XXII-16, sul Lazio.

In Piemonte, è in corso un'indagine presso la procura della Repubblica di Novara, relativa ad attività illecite che vanno dalla raccolta di rifiuti prodotti in Lombardia ed avviati illecitamente in discariche del Piemonte alla gestione illecita di impianti di incenerimento e depurazione delle acque. Tra gli altri, risultano inquisiti il gruppo Acqua dei fratelli Pisante, già coinvolto in iniziative giudiziarie delle procure di Milano, Monza, Catania e Savona; nonché imprenditori, amministratori e politici locali, a testimonianza della rilevanza degli interessi in gioco e dei collegamenti tra settori deviati dell'imprenditoria, della pubblica amministrazione e della politica (per lo più ipotesi di corruzione).
Si tratta dunque di un dato che emerge con forti e chiare connotazioni dalla disamina dei procedimenti penali, anche quelli


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relativi alla gestione dei RSU. Il punto di contatto, quindi, tra due tipologie apparentemente lontane si determina nella gestione del sistema amministrativo locale che, dovendo funzionare come controllo autorizzatorio, in realtà sembra non svolgere con la dovuta intensità tale compito.
Numerose e varie sono state le ragioni, poste in evidenza dai procedimenti esaminati, che hanno portato a questa situazione. Quella che, a giudizio della commissione, sembra essere la più rilevante e pregna di significato, è relativa al controllo degli appalti della pubblica amministrazione.
Il classico controllo della criminalità sullo «spazzamento», che significava controllo sulla gestione del territorio attraverso la conoscenza della realtà notturna e realizzazione di profitti illeciti, si è progressivamente trasformato in controllo completo del «ciclo», ivi compresa la realizzazione degli impianti collaterali e l'eventuale gestione del traffico sia nazionale che internazionale di rifiuti.
La mafia, la 'ndrangheta e la camorra e le altre organizzazioni similari mirano ad occupare tutti gli spazi da cui è possibile trarre una utilità, ponendosi come forza mediatrice fra autorità locali e società, tra mercato e Stato. È perciò necessario il recupero del controllo del territorio da parte degli enti territoriali, non solo sotto il profilo dell'ordine pubblico, ma anche e soprattutto sotto il profilo della presenza di strutture, di uffici e di servizi adeguati all'ampiezza del territorio e alla popolazione.
Questa «vocazione imprenditoriale» delle organizzazioni mafiose spiega perché esse orientino il loro campo di azione sulle opportunità che, nel tempo, i vari mercati offrono. Così la mafia approda ai rifiuti non appena si manifesta una crescita economica del settore, impadronendosi di alcuni snodi fondamentali ed impedendo che tale crescita si trasformi in sviluppo vero e proprio, poiché va a stravolgere le regole del mercato legale.
Un altro interessante fronte è quello che si può ricavare dal ricorso alle relazioni ex articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 e da tutte le altre ipotesi di relazioni prefettizie per lo scioglimento dei consigli comunali. Dagli atti acquisiti dalla commissione si evince con chiarezza come il fenomeno del condizionamento degli appalti di gestione, realizzazione ed utilizzo delle discariche e, in genere, dei servizi di raccolta dei RSU, sia diffuso e come lo stesso sia stato segnalato nell'ambito delle procedure di scioglimento dei consigli comunali.
La grave situazione descritta spesso condiziona le possibilità di uno sviluppo di un mercato legale in grado di rispondere positivamente alla necessità di garantire un servizio ai cittadini e alle imprese.
Se nel Sud d'Italia gli interessi si esprimono con il controllo della criminalità organizzata, nel settentrione d'Italia, l'imprenditoria «deviata» ricerca la complicità ed il sostegno delle amministrazioni locali e della burocrazia corrotta. È necessario, pertanto, andare avanti nell'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, che in molti casi appaiono purtroppo più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso. Ed è altrettanto necessaria un'azione di responsabilizzazione degli


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enti locali, poiché la debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e, quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.

5.2. La criminalità ambientale e le indagini seguite dalla Commissione.

5.2.1. La discarica di Pitelli (Sp). I lavori svolti dalla Commissione sulle vicende legate alla discarica di Pitelli, basati su un approfondito studio degli atti amministrativi e giudiziari relativi a tale impianto, hanno portato all'approvazione di un primo documento37, giacché sono emerse numerose problematiche connesse al ciclo dei rifiuti nella città della Spezia: su queste la Commissione continuerà nei prossimi mesi il suo lavoro.

37 V il DOC. XXIII-28

Il procedimento penale sulla discarica e gli impianti di Pitelli pendente presso la procura del tribunale della Spezia, trae origine da un'inchiesta avviata dalla procura di Asti, che perseguiva un'attività truffaldina legata al ciclo dei rifiuti in cui sono coinvolti numerosi personaggi del settore, tra cui il titolare degli impianti di Pitelli, Orazio Duvia, consigliere d'amministrazione della società Sistemi Ambientali s.r.l., amministratore unico della Contenitori Trasporti s.p.a. e socio di fatto della Ipodec s.r.l., tutte società che operano alla Spezia nel ciclo dei rifiuti.
L'attività illecita - secondo la prospettazione accusatoria - consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe in danno di enti pubblici e privati ai quali venivano fatturati costi di smaltimento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, poste in essere sin dal 1975, erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario.
Gravissimo lo stato di degrado dell'area di Pitelli, tanto grave da aver determinato l'intervento del legislatore, con la previsione dell'inclusione del sito tra quelli ad alto rischio ambientale, per i quali sono previsti finanziamenti statali per le opere di bonifica38.

38 Articolo 1 della legge n. 426 del 1998.

A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi già acquisiti dalla Commissione (ed esposti analiticamente nel documento citato, cui si fa rinvio) le patenti illegalità commesse dai vari organi amministrativi ai quali era devoluto il controllo sulla discarica e sugli impianti. Già il primo atto, vale a dire la concessione edilizia per la realizzazione della discarica, pare viziato da irregolarità, poiché l'utilizzo dell'area


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non poteva essere consentito, in quanto il piano regolatore ne prevedeva l'uso in parte quale zona panoramica ed in parte quale zona per l'edilizia economica e popolare. Tutti gli atti amministrativi successivi alla data del 1979 riposano su tale evidentissimo vizio di fondo, che in seguito viene addirittura rilevato e non preso in considerazione. Intanto, nel sito della discarica e degli impianti, avvengono sversamenti selvaggi di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi per circa un ventennio, causando uno stato di inquinamento notevole ed esteso sia alle acque sotterranee alimentate da falde superficiali che a quelle alimentate da falda profonda.
Il comportamento spregiudicato ed arrogante della pubblica amministrazione si spinge sino ai tempi più recenti: è del settembre 1995 (quando è già avviato alla procura presso il tribunale della Spezia un procedimento, poi confluito in quello attuale, in cui veniva disposta una consulenza per accertare la legittimità dell'operato dei vari organi comunali, provinciali, regionali preposti ai controlli) la delibera regionale di approvazione del progetto di variante, che modifica la categoria della discarica in II B super, così autorizzandosi il conferimento di rifiuti che producono un eluato dieci volte superiore ai limiti della legge «Merli»; addirittura, nel mese di giugno 1998 interviene un atto della Regione Liguria che diffida la Sistemi Ambientali dal concedere disponibilità di accesso al proprio impianto per lo smaltimento dei rifiuti ad aziende non autorizzate, e che appare incomprensibile dal momento che l'impianto era fermo dal novembre 1996, cioè dal momento dell'intervenuto sequestro giudiziario dell'intera area.
Il quadro che viene fuori da quanto sin qui sinteticamente svolto sull'operato degli organi amministrativi è molto significativo: da un lato emerge un coacervo di interessi e complicità che hanno consentito al Duvia e ai suoi soci di realizzare un disegno di arricchimento a evidente danno dell'ambiente e della salute dei cittadini (senza considerare le truffe consumate a danno di soggetti pubblici e privati); dall'altra, la vicenda rivela l'inefficienza attuale del sistema dei controlli - già più volte denunciata dalle forze istituzionali e richiamata dalla Commissione - cui contribuisce, in parte, un eccessivo frazionamento ed intreccio di competenze che caratterizza la produzione legislativa. Si è creata, in realtà, una proliferazione e un accavallamento di competenze e di adempimenti rispetto ai quali diventa difficile sia una verifica del raggiungimento degli obiettivi dell'attività, sia una ricerca e individuazione delle responsabilità.
Va qui evidenziato che nella vicenda non sono mancate infiltrazioni della criminalità organizzata del casertano, rese evidenti dalla partecipazione alla Contenitori Trasporti, nei primi anni 90, di soggetti-amministratori della società che sono stati coinvolti nell'indagine «Adelphi» condotta dalla procura distrettuale di Napoli39. Né ci si può esimere dall'esprimere forti perplessità per l'assenza (fino ad epoca recente) di un serio ed incisivo intervento da parte della magistratura, nonostante che rapporti delle forze dell'ordine e denunce dei cittadini risalgano già ai primi anni ottanta.

39 V. relazione della Commissione sulla Liguria (DOC. XXIII-13).


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Sono stati numerosi, per la verità, i procedimenti della magistratura che hanno riguardato nel corso degli anni l'attività della discarica di Pitelli, di cui si dà conto nel documento elaborato dalla Commissione, alcuni di questi risolti in piccoli interventi circoscritti alla sanzione delle condotte più lievi (violazioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982), senza che si riuscisse a cogliere il fenomeno nella sua interezza e complessità, ed altri nei diversi profili di illiceità delle condotte poste in essere sia dal privato che dall'amministrazione pubblica. Certamente, ciò è in parte dipeso dall'assenza di coordinamento tra i diversi uffici giudiziari e dal fatto che attività ispettive e di accertamento, specie amministrative, erano fortemente esposte all'opera corruttrice del Duvia, come dimostrano le vicende giudiziarie più recenti. Non può negarsi, però, che l'assenza di un intervento serio ed incisivo rispetto alle vicende di Pitelli da parte della magistratura spezzina, tradisce ancora quel ritardo culturale nell'approccio alla tematica ambientale che ha causato una minore attenzione verso le problematiche della ricerca e dell'acquisizione della prova delle infrazioni, che già risentono di una legislazione convulsa, ancora frammentaria e spesso confusa; nonché dei limiti che alla ricerca ed acquisizione della prova discendono dalla natura prevalentemente contravvenzionale dei reati ambientali40, come la Commissione ha più volte rappresentato agli organismi di indirizzo politico.

40 V. il DOC. XXIII-5.

5.2.2. Il petrolchimico di Porto Marghera (VE). La Commissione ritiene opportuno evidenziare le vicende relative al gravissimo stato di inquinamento della laguna veneziana, ad esemplificazione delle conseguenze connesse agli smaltimenti illeciti di rifiuti tossico nocivi (ampiamente diffusi nelle regioni settentrionali) da parte di alcune imprese di rilevanza nazionale che hanno operato al di fuori della legalità, più inclini, purtroppo, alla ricerca del massimo profitto che non ad uno smaltimento corretto e pertanto più oneroso dei rifiuti.
È in fase dibattimentale presso il tribunale di Venezia il procedimento che vede coinvolte numerose persone e le società che esse rappresentano - tutte operanti nel petrolchimico di Porto Marghera - per condotte illecite commesse in un periodo che va dal 1970 al 1988, e che hanno causato danni irreparabili sull'ecosistema lagunare veneziano41.

41 V. il procedimento n. 3340 del 1996 (doc.213/8b).

L'indagine ha preso avvio dalla segnalazione di numerosi casi di decesso e patologie connesse alla lavorazione del cloruro di vinile, dei composti organici clorurati e dei suoi derivati, con cui negli anni settanta e nella prima metà degli anni ottanta si produceva il PVC nella zona di Porto Marghera.
Sono coinvolte società come la Montecatini Edison, la Fertimon, l'Audiset e la Montefluos. Il sostituto procuratore Felice Casson, titolare dell'indagine, ha riferito alla Commissione che dagli accertamenti svolti è emerso come, sin dall'inizio dell'attività produttiva nell'area di Porto Marghera, i rifiuti di ogni specie e, soprattutto,


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tossico-nocivi, venivano smaltiti senza alcun controllo sia all'interno dello stabilimento che nelle sue vicinanze, contribuendo al progressivo avvelenamento delle acque di falda sottostanti l'area in cui sono state rinvenute tracce di composti anche cancerogeni superiori ai limiti consentiti. Ed appare opportuno evidenziare che dagli accertamenti è risultato che al più tardi dal 1972 la Montedison era a conoscenza che il CVM è una sostanza cancerogena, sicché sembra di poter affermare che la scelta sia stata dettata unicamente da meri interessi economici.
Ben 18 sono i siti individuati, che presentano rifiuti pericolosi, gran parte dei quali vi sono stati sversati prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982; da quel momento, come ha detto il magistrato, tali rifiuti sono stati portati altrove, anche all'estero (ad esempio, in Nigeria). Le contestazioni dell'organo d'accusa a carico di 27 imputati, tutti dirigenti o amministratori (o entrambi) del gruppo Montedison-Enichem e loro società figlie, sono particolarmente gravi, poiché hanno ad oggetto non solo gli smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi di rifiuti assai pericolosi con le gravissime conseguenze sullo stato dell'ambiente di cui si è detto (violazioni della normativa in materia ecologica e ambientale), avendo le società iniziato un'opera di bonifica, peraltro parziale, soltanto nell'agosto 1995; ma altresì i delitti di strage e di disastro per i concreti pericoli cagionati alla pubblica incolumità, tanto che ne derivavano la morte e la malattia di un numero «allo stato ancora imprecisabile di persone» (così si legge testualmente nella richiesta di rinvio a giudizio) che prestavano la propria opera presso lo stabilimento petrolchimico.
Se la vicenda appena descritta fa riferimento agli anni passati, non possono trascurarsi altre fattispecie riscontrate presso il petrolchimico in epoca assai recente. Si fa riferimento al sequestro dello scarico Sm15 al Petrolchimico di Porto Marghera, di cui si sta occupando la procura di Venezia. In ordine a quest'ultima indagine lo stesso sostituto titolare, Luca Ramacci, ha denunciato alla Commissione con toni allarmati «l'impressionante situazione di inquinamento e la concreta sussistenza di serissimo pericolo per la salute della popolazione» dovuta proprio agli scarichi del Petrolchimico. Si legge nel decreto di sequestro che gli indagati avrebbero effettuato o lasciato effettuare e comunque non avrebbero impedito lo scarico di reflui pericolosi provenienti dall'impianto di depurazione biologico della ditta Ambiente s.p.a., con recapito finale nelle acque lagunari in assenza della prescritta autorizzazione, ciò pur essendo a conoscenza non solo della situazione esistente, ma anche dei risultati di accertamenti disposti sulla qualità e lo stato delle acque lagunari42.

42 V. il procedimento n. 22984 del 1996 - decreto di sequestro preventivo (doc. 256/4; I e II richiesta di sequestro preventivo da parte del pubblico ministero: doc.256/1-3).

La gravità del fenomeno risulta accentuata dalle pesanti responsabilità dei rappresentati degli enti preposti ai controlli, che hanno minimizzato il fatto ed omessi i necessari interventi a tutela della


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salute pubblica, tanto anche in presenza di pregresse verifiche dell'Istituto Superiore di Sanità sullo stato di inquinamento della laguna veneta, acclarato anche dalla specifica normativa a sua tutela e dai numerosi procedimenti penali che avevano interessato il sito.

5.2.3. Alcuni altri casi. La Commissione deve poi rilevare che quelli evidenziati per Porto Marghera non sono gli unici procedimenti a carico di aziende del gruppo ENI per quanto concerne la non corretta gestione dei rifiuti. È infatti avviata dal sostituto procuratore della Repubblica di Matera, Franca Macchia, un'indagine sulle attività svolte dall'AGIP nel territorio della Basilicata, che ha portato al rinvio a giudizio di alcuni dirigenti e dipendenti dell'azienda in relazione al ritrovamento, in un pozzo minerario esaurito, di rifiuti di origine chimica (come fenoli e mercurio) che, secondo gli accertamenti svolti, sono assolutamente incompatibili con le attività di estrazione mineraria e, quindi, sono stati smaltiti illecitamente. Lo stesso sostituto titolare delle indagini ha rappresentato inoltre alla Commissione l'assenza di un presidio costante ai pozzi AGIP ed il fatto che le vasche di decantazione presenti nell'impianto sono accessibili agli smaltitori che hanno l'appalto per il servizio di trasporto delle acque di strato, i quali si occupano di smaltimenti di rifiuti in discarica e, quindi, gestiscono notevoli quantitativi di rifiuti, non solo di provenienza AGIP43.

43 V. l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, Franca Macchia, seduta dell'8 luglio 1998.

Ancora: in Lombardia, la procura di Monza ha sequestrato di circa 120 mila metri cubi di rifiuti pericolosi in relazione all'attività di una società - la Ecobat - che assorbe circa il 60 per cento del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste e a quella dell'Enirisorse, azienda del gruppo ENI. Dell'indagine ha riferito alla Commissione il sostituto titolare, Luciano Padula44, affermando: «l'ipotesi accusatoria è che l'Enirisorse ha ceduto l'attività a due ditte, per i metalli piombosi alla Ecobat, per quelli non piombosi alla City Industrie. Questi subingressi sarebbero avvenuti per la Ecobat nel marzo 1996 e per la City Industrie nell'agosto 1996; tuttavia, la volturazione dell'annesso atto autorizzatorio per l'Ecobat è intervenuta soltanto nell'ottobre 1997; per City Industrie non è mai avvenuta [...]. Ovviamente l'Enirisorse, stante la dismissione dell'attività, si è trovata a gestire enormi quantitativi di sostanze senza preoccuparsi, secondo l'ipotesi accusatoria, di smaltirli nel rispetto della normativa vigente. Avrebbe trovato degli escamotages per disfarsi di questo rifiuto nel senso stretto del termine ed ottenere questo risultato con il massimo risparmio di spesa. In particolare, avrebbe interessato l'Ecodeco su Pavia e la ditta Lombardo su Marcianise per effettuare una miscelazione di questo rifiuto [...]. Si è trattato di una illecita miscelazione perché non è stata richiesta alcuna autorizzazione [...]. Peraltro, i successivi accertamenti hanno evidenziato che vi erano anche percorsi diversi. L'Enirisorse ne avrebbe attivato uno anche in Calabria, avrebbe devoluto una parte

44 V. audizione del 2 luglio 1998 ed atti acquisiti dalla Commissione.


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di questa sostanza presso la ditta Meca di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica addirittura di categoria 1-A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili»45. Va peraltro evidenziato che la destinazione di questa miscela di ebanite da parte di Enirisorse in territorio campano configura anche la violazione della legge regionale che prevede il divieto di importazione di rifiuti da altre regioni.

45 Dell'aspetto relativo ai traffici illeciti, pure emersi nel corso dell'indagine, si dirà più ampiamente nel relativo paragrafo.

A queste indagini va aggiunta quella - già citata - relativa alla gestione dei rifiuti dello stabilimento di Crotone della «Pertusola-Sud», all'epoca dei fatti appartenente anch'essa al gruppo ENI.

5.2.4. I traffici illeciti. I lavori svolti consentono di affermare la persistenza ed anzi l'aggravarsi di fenomeni che già la precedente Commissione monocamerale aveva posto all'attenzione del Parlamento. In primo luogo emerge il fenomeno dello spostamento di ingenti quantitativi di rifiuti anche pericolosi dal Nord al Sud del paese, spesso in violazione del divieto di esportazione transregionale.
Sono, infatti, numerose le indagini giudiziarie connesse ai traffici e allo smaltimento illegale di rifiuti che vedono coinvolte regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l'Emilia-Romagna, il Lazio, l'Abruzzo, oltre a quelle in cui tradizionalmente è più presente la criminalità organizzata (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia). Le rotte del traffico illegale si muovono sull'asse nord-sud in direzione del Mezzogiorno, dove i rifiuti vengono smaltiti in discariche non autorizzate, costituite da cave, da specchi d'acqua, da grandi buche scavate in fondi anche agricoli sulle quali, una volta ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture. I rischi assai modesti connessi a tale pratica illegale e le «garanzie di omertà» assicurate dai trasportatori e dagli smaltitori, hanno reso l'affare appetibile anche per imprese di medie e grandi dimensioni che affidano spesso i loro rifiuti a soggetti legati alla criminalità organizzata, i quali garantiscono costi di smaltimento inferiori a quelli praticati dal mercato legale.
Dalle audizioni di magistrati che hanno svolto inchieste nel settore e dagli atti processuali acquisiti, emerge che tali traffici, in parte gestiti dalla criminalità (organizzata e comune), sia per motivi interni alla stessa organizzazione (lotte tra fazioni), sia per la progressiva incapienza dei siti utilizzati, sia per l'intervento incisivo delle forze dell'ordine che hanno proceduto al sequestro di numerose discariche collettrici di rifiuti (in particolare in Campania e nel Lazio), si sono spostati negli ultimi anni dalla dorsale tirrenica a quella adriatica, coinvolgendo tutta la fascia abruzzese e, in particolare, tutte le zone limitrofe al percorso autostradale della A14; il che ha comportato che sono rimaste interessate al fenomeno zone tradizionalmente esenti da presenze criminali, organizzate e non, che operano in settori di varie imprenditorie.
I canali attraverso i quali si realizzano questi traffici illeciti sono essenzialmente tre: conferimento dei rifiuti industriali nel sistema di


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raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, in modo ovviamente occulto; trasformazione, puramente nominale e cartacea, dei rifiuti in materie prime secondarie, utilizzate da operatori compiacenti in modo improprio o illegale sia nei cicli produttivi che, ad esempio, nella realizzazione di sottofondi stradali o altro; declassificazione, ovviamente illecita, dei rifiuti tossico nocivi, che presentano costi di smaltimento più alti, in rifiuti speciali.
Un settore particolarmente esposto al rischio di tali comportamenti illeciti è quello relativo all'attività svolta dai numerosi centri di stoccaggio, i quali offrono facilmente il fianco ad attività di miscelazione tout court e modifica (mediante alterazioni e falsificazioni dei documenti di accompagnamento) della tipologia dei rifiuti tossico nocivi, che vengono in tal modo avviati a forme di smaltimento poco corrette, nei siti più disparati, con grave danno per l'ambiente e la salute dei cittadini.
È opportuno evidenziare i rilevanti risvolti di natura fiscale connessi all'accertamento di carichi di rifiuti tossico nocivi, ritirati e poi, di fatto, non smaltiti. Infatti, dal riscontro delle operazioni fittizie di smaltimento emergono costi non sostenuti, ancorché portati in deduzione dall'impresa produttrice dei rifiuti, nonché l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, aventi il duplice scopo di documentare il regolare conferimento dei rifiuti ad imprese autorizzate e di realizzare una cospicua evasione delle imposte sui redditi e sui valori aggiunti.
Le vicende giudiziarie di cui la Commissione è venuta a conoscenza dimostrano, altresì, l'esistenza di società commerciali attive nel mettere in contatto l'industriale produttore dei rifiuti con il trasportatore o lo smaltitore, in tal modo determinando un ulteriore aumento dei costi di smaltimento (i costi dell'attività di intermediazione) ed al contempo rendendo più complessa l'individuazione dei referenti e dei responsabili dei traffici illeciti, poiché la documentazione relativa ai rifiuti trasmigra da una società all'altra46.

46 V., tra gli altri, il procedimento relativo alla discarica di Tollo in cui paiono evidenti infiltrazioni della criminalità organizzata (relazione sull'Abruzzo, DOC XXIII-23).

5.3. Gli strumenti di contrasto e la necessità di riforme.

5.3.1. Alcuni spunti. Carenze normative non risolte dal «decreto Ronchi», inefficacia dei controlli amministrativi, inadeguatezza del sistema di prevenzione e repressione penale, connivenze e complicità con gli organi preposti al rilascio delle autorizzazioni e concessioni, nonché la distrazione della collettività, oggi invero più attenta alla tutela dell'ambiente, consentono ad organizzazioni di tipo mafioso di gestire, in regime di quasi monopolio, il settore dei rifiuti.
La gravità del fenomeno si nota anche attraverso la progressiva presa di coscienza dell'autorità giudiziaria delle problematiche connesse al ciclo dei rifiuti, la qual cosa spiega perché solo di recente sono stati accertati fatti «di vecchia data» che hanno portato ad una


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maggiore attenzione ed approfondimento nell'attività di accertamento delle attività illegali.
Mancano ancora, però, azioni di monitoraggio del territorio, volte a individuare le possibili insorgenze del problema, come denunciano situazioni illustrate innanzi. Se, invero, si registra una presa di coscienza sempre maggiore da parte degli organi deputati al controllo ed al contrasto, il percorso sembra ancora lungo. Al riguardo la Commissione segnala la preziosa opera di collaborazione tra organi istituzionali che si è posta in essere in occasione dell'indagine sulla discarica di Pollina, opera che ha condotto a risultati lusinghieri sia dal punto di vista del controllo amministrativo-preventivo che da quello giudiziario47.

47 V. supra, nella parte relativa alla nomina della Commissione Prefettizia, allo scioglimento del consiglio comunale di Pollina e alla confluenza dei risultati acquisiti nell'indagine giudiziaria in corso da parte della procura distrettuale di Palermo.

Manca, invece, se si fa eccezione per l'attività investigativa delegata dalla DDA di Caltanissetta, sia un monitoraggio del fenomeno da parte delle competenti DIA48, sia una più fruttuosa analisi generale, da parte dell'Autorità giudiziaria, delle pur numerose ed illuminati relazioni redatte dalle varie prefetture dell'isola in ordine alle ipotesi di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose o per condizionamento dell'attività amministrativa.

48 V., ad esempio, relazione della DIA di Catania sulle infiltrazioni mafiose in provincia di Siracusa, acquisita agli atti della Commissione, che non affronta minimamente il problema.

L'attività di contrasto svolta dalle forze di polizia e dalla magistratura sembra, in base agli atti ed alle risultanze, essere stata tempestiva e ben diretta; tuttavia, gli organi di controllo non appaiono ancora adeguatamente preparati, né culturalmente attrezzati, ad affrontare la nuova situazione.
Per altri profili, mentre per un verso occorre prendere atto della sollecitudine con la quale alcuni organi di polizia giudiziaria (quelli specializzati, in particolare i carabinieri del NOE ed il comando del Corpo forestale dello Stato) hanno seguito i procedimenti aventi ad oggetto la questione rifiuti, d'altra parte occorre anche porre in evidenza che tutte le indagini sono scaturite da fatti accidentali. Mancano cioè referenti istituzionali capaci di letture dei fenomeni che possano portare a denunzie motivate ad opera delle strutture amministrative di controllo preposte alla verifica della regolarità nelle modalità di conduzione dei traffici. Sembra debole il controllo delle forze di polizia diffuse nel territorio ed aventi anche compiti di carattere amministrativo (vigili urbani, polizia stradale, guardie ecologiche, eccetera), al fine di individuare ed interpretare i traffici e le connesse mistificazioni gestionali. In particolare, come detto, sembra mancare una conoscenza approfondita del fenomeno di infiltrazione da parte degli organi di investigazione specifica che ben raramente hanno saputo mettere a punto e focalizzare le pur copiose informazioni emergenti da più parti.
Assai debole è anche il coordinamento tra le varie forze di polizia, come (fatto ancora più grave, attesa l'esistenza dello


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strumento processuale di cui all'articolo 117 del codice di procedura penale) tra gli uffici giudiziari inquirenti, spesso costretti ad operare su stralci di inchieste trasmessi una volta effettuati gli accertamenti.
Conclusivamente, in ragione delle circostanze e dei fenomeni posti in evidenza, fermo restando che la Commissione giudica che la complessità della situazione richiede ulteriori approfondimenti, può affermarsi che gli elementi acquisiti consentono di valutare positivamente l'azione di mero contrasto della magistratura e delle forze dell'ordine nei confronti degli episodi che sono venuti in evidenza, ma che appare assai in ritardo, se non addirittura mancante, una strategia di prevenzione generale e speciale, nonché una cosciente ed adeguata "cultura" di controllo e di indagine in materia ambientale. Peraltro, non sempre vengono attivati i pur deboli strumenti legislativi esistenti.
Peraltro, nonostante il ricco ed articolato patrimonio conoscitivo acquisito, la Commissione deve riconoscere che, tuttora, esiste una forte divaricazione tra i preoccupati allarmi lanciati dalle varie realtà audite ed i riscontri certi di carattere giudiziario. Allo stato delle attuali conoscenze, gli elementi in possesso della Commissione inducono a ritenere che una coordinata, attenta e forte azione di contrasto possa battere gli interessi della criminalità organizzata e comune che si muove attorno all'affaire rifiuti.
Per tale motivo, la Commissione si impegna a seguire con particolare attenzione l'evolversi della situazione ed a sostenere le iniziative centrali e locali per rafforzare, anche in questa regione, la lotta alla criminalità ambientale. Interessante potrebbe essere ipotizzare possibilità di coordinamento delle indagini in materia ambientale e con specifico riferimento alle infiltrazioni mafiose, da parte delle sezioni territoriali della DIA, con monitoraggio periodico del fenomeno, già svolto da tale direzione investigativa per altri tipi di reato.
Tale tipo di attività da una parte potrebbe meglio utilizzare le notizie e le informazioni che alle autorità di controllo pervengono da canali diversi (ad esempio attività di accertamento a livello amministrativo dell'infiltrazione mafiosa nella gestione degli enti locali) e, dall'altra consentirebbe di inquadrare il fenomeno nella sua, purtroppo, naturale sede di gestione «globale» ed «illegale» dell'affaire rifiuti.
La realtà emergente dalle indagini svolte nella regione, rende evidente come a fronte di attività illecite nel contesto delle quali si è inserita, con un lucroso profitto, la criminalità organizzata, l'effetto della normativa ambientale vigente è praticamente nullo, giacché le modeste sanzioni delle leggi speciali sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari che determinano.
Ad avviso della Commissione, tuttavia, a sostegno e a monte di quanto asserito sinora, occorre che intervengano modifiche legislative sul piano del diritto penale sostanziale e processuale. Sull'argomento v. infra (paragrafo 6.2.).

5.3.2 I controlli doganali. La Commissione sta studiando il fenomeno dei trasporti internazionali dei rifiuti per valutare quali strumenti porre in essere per arginare eventuali forme di illecito.


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L'ipotesi è che ai trasportatori dei rifiuti non compresi nella «lista verde» sia fatto obbligo di recarsi agli uffici doganali di entrata o uscita per un controllo più efficace dell'avvenuto passaggio. Non sono da sottovalutare le difficoltà che una procedura del genere potrebbe comportare; difficoltà peraltro che aggraverebbero i problemi già presenti sulle strade italiane. È giusto richiedere più controlli, ma si deve riconoscere che le pattuglie della polizia stradale non hanno le risorse, né dispongono di adeguati strumenti per verificare se i rifiuti dichiarati nelle bolle siano quelli effettivamente trasportati.
Una potenzialità possibilmente utilizzabile e da considerare con attenzione è quella che riguarda i servizi doganali (servizi antifrode) che al momento dispongono di professionalità e di sistemi informativi che consentono di rilevare immediatamente i traffici e di bloccare transiti di merci su tutto il territorio nazionale ed negli stati dell'Unione Europea in tempi reali. Peraltro, gli organi della dogana dispongono di conoscenze merceologiche che permettono una lettura più profonda della documentazione che accompagna le singole merci riducendo, così, il rischio che controlli non adeguati finiscano addirittura con il legittimare traffici illeciti. Il discorso non riguarda, ovviamente, i soli rifiuti solidi urbani, ma soprattutto quelli pericolosi e quelli speciali.
A partire dal mese di marzo 1999, consulenti della Commissione stanno effettuando missioni conoscitive presso le circoscrizioni doganali terrestri e marittime. Lo scopo di queste visite è quello di rendersi conto, sul campo, dei controlli effettuati, nel territorio doganale, dalle autorità preposte in materia di rottami ferrosi e rifiuti pericolosi ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997; allo stato attuale si sta delineando un quadro che permette di formulare le seguenti considerazioni.
Per quanto riguarda i rottami ferrosi si è finora visto che presso le frontiere di terra con i paesi terzi, in particolare la Slovenia, ci si avvale essenzialmente della figura dell'esperto qualificato, la cui opera è remunerata dal proprietario del carico; l'assenza di un controllo «terzo» non dà pertanto assolute garanzie riguardo all'intera operazione. Va a questo proposito ricordato come sono molte le aziende operanti nel settore che stanno installando all'entrata dei rispettivi siti industriali «cancelli» per il rilevamento della radioattività: un'ulteriore conferma della non totale idoneità dei controlli effettuati all'ingresso nel territorio nazionale.
Per quanto riguarda invece i rifiuti pericolosi, tali carichi se provengono o sono destinati a paesi comunitari (compresi i rifiuti provenienti da paesi terzi e sdoganati in un paese dell'Unione) non sono soggetti all'espletamento di alcuna formalità doganale.
Quelli provenienti da paesi terzi, invece, devono osservare una procedura per cui la bolletta doganale, compilata dallo spedizioniere, deve passare al controllo del sistema denominato «canale verde». Se non emergono anomalie (in questo caso sarebbe un'errata compilazione e niente più, ma la dichiarazione o bolletta verrebbe respinta) i dati vengono elaborati da una banca dati di «analisi dei rischi» che provvede alla ricerca di uno o più profili di rischio. Qualora vengano individuati tali profili, si procede al controllo documentale o visivo


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della merce, ma in linea generale i controlli disposti dal sistema si attestano intorno al 5 per cento delle bollette inserite nel sistema.
Tale essendo il sistema dei controlli doganali, emergono due possibilità di migliore contrasto ai traffici internazionali. Il primo riguarda la possibilità (al vaglio della Commissione) che i rifiuti vengano inseriti nel catalogo dei fattori di rischio dell'elaboratore centrale; il secondo attiene più direttamente all'aspetto investigativo. Per tracciare un'analogia con i traffici di stupefacenti, è evidente che le operazioni di polizia che portano a sequestri di ingenti quantitativi di droghe non sono dovute al caso ma a una intensa attività di indagine precedente al sequestro; tale attività non è possibile al momento per i rifiuti stante l'attuale assenza di previsioni penali per questo tipo di reato. Per ciò si rimanda comunque alla parte di questa relazione in cui tale problematica viene affrontata più nel dettaglio.

5.3.3. La collaborazione con il SECIT. Tra i mezzi per contrastare la criminalità dei rifiuti rientra quello dell'analisi e dell'aggressione ai profitti delle imprese deviate.
Un attento esame dell'attività dei protagonisti del mercato dei rifiuti49, operino essi in fase di raccolta o in fase di progettazione e gestione degli impianti, mostra innanzitutto come nel settore vi sia un sostanziale oligopolio sul piano nazionale, che sul piano locale si traduce in un vero e proprio monopolio.

49 Questo tipo d'analisi comporta la decriptazione dei vari prestanome, delle partecipazioni societarie incrociate, degli accordi di cartello, elementi di reddito, eccetera, i quali - a una lettura d'insieme - mostrano come effettivamente i veri detentori del potere nel settore in Italia sono un numero limitato.

Per questo il ministro delle finanze ha emanato una direttiva secondo cui, con l'ausilio del SECIT, il settore dei rifiuti deve sottoposto a verifiche e accertamenti, volti non solo al recupero fiscale, ma anche per acquisire dati sulla reale entità e capacità imprenditoriale e organizzativa delle imprese coinvolte.
La Commissione ha deciso di seguire con interesse e attenzione quest'attività dell'amministrazione finanziaria e di collaborarvi nei modi e nei tempi debiti.
5.3.4. Alcune problematiche connesse ai controlli. È noto che le attività di recupero sono soggette per legge alla sola comunicazione di inizio attività e ad un sopralluogo da parte dell'organo provinciale entro novanta giorni dalla comunicazione. Ebbene, da un lato tali verifiche non sempre vengono effettuate e, dall'altra, novanta giorni sono sufficienti all'azienda per realizzare cospicui profitti.
Un esempio concreto: la Commissione ha individuato un sito a Pontinia (LT) in cui erano stati stoccati oltre 11 mila fusti per il trasporto di rifiuti pericolosi che dovevano essere recuperati, ma mancavano i macchinari per le diverse fasi di lavorazione; la società aveva presentato una semplice comunicazione di inizio attività, che non era palesemente in grado di svolgere. Per questi motivi la Commissione ha convocato sul posto l'autorità giudiziaria di Latina, che ha provveduto al sequestro dell'area50.

50 V. l'inchiesta - tuttora in corso e la relazione sul Lazio (DOC XXIII-16)


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Anche la raccolta differenziata si è prestata all'attività dei trafficanti di rifiuti. In diverse regioni (Abruzzo, Toscana, Friuli, Lazio) vi sono stati ritrovamenti di capannoni dismessi riempiti di frazione secca, tutti accomunati dall'avvenuta comunicazione agli organi preposti dell'inizio attività di stoccaggio o recupero, senza dimenticare che anche dall'estero è arrivato materiale raccolto in maniera differenziata, come dimostrano le migliaia di tonnellate di plastica stoccate abusivamente ad Asti, che la Commissione ha constatato direttamente.
Ravenna, nel maggio 1998, è stata teatro di un incendio di vastissime proporzioni sviluppatosi presso il capannone della società «Fertildocks s.r.l.» (oltre settemila mq.), destinato al trattamento di rifiuti provenienti dall'azienda «AMSA» di Milano che dovevano, poi, essere avviati alla termocombustione nella centrale ENEL di Fusina (VE), in virtù di un'intesa stipulata nel luglio 1997 tra le regioni Lombardia ed Emilia Romagna. Al momento dell'incendio giacevano nel capannone circa 4000 o 5000 tonnellate di tali rifiuti, posti sotto sequestro penale unitamente al capannone. L'inchiesta avviata dalla procura di Ravenna ha accertato la natura dolosa dell'incendio de quo; è risultato, inoltre, che nel capannone giacevano già dal settembre 1997 rifiuti solidi urbani e fertilizzanti che non erano stati trattati51.

51 V. relazione sull'Emilia Romagna (DOC XXIII-32)

Dalle indagini a conoscenza della Commissione emerge l'importanza dei centri di stoccaggio provvisorio nei casi di traffici illeciti di rifiuti. Anche in questo caso il «decreto Ronchi» richiede la sola comunicazione alla regione e il successivo controllo della provincia, consentendo nelle maglie di questa doppia competenza l'utilizzo del centro di stoccaggio, regolarmente denunciato, come centro di smistamento del materiale da smaltire illecitamente o addirittura come sito finale dello smaltimento.
L'intento del legislatore di semplificare le procedure amministrative ha finito, in buona sostanza, con l'agevolare l'attività di operatori spregiudicati che agiscono in totale dispregio della normativa e senza alcuna cura per i gravi danni causati all'ambiente. È evidente allora che occorre una diversa attivazione da parte degli enti locali, abolendo il meccanismo della semplice comunicazione e prevedendo un controllo della regione o dell'ARPA, prima di rilasciare il nulla-osta, e successivi controlli periodici da parte delle province per verificare il corretto esercizio dell'attività dichiarata.

6. Le proposte normative.

La Commissione, in attuazione dell'articolo 1, comma 1, lettera f) della legge istitutiva, ha anche condotto un'attività di analisi della legislazione vigente, volta a verificarne tanto l'effettività quanto le eventuali necessità di modifica. Questo tipo di impegno ha richiesto una particolare attenzione alla normativa comunitaria, giacché il decreto legislativo n. 22 del 1997 - che costituisce la principale fonte


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legislativa attualmente vigente in materia, è per l'appunto un decreto di recepimento di direttive comunitarie. Si è trattato pertanto di rivisitarne la filosofia di fondo e per stabilire di quali ulteriori passi in avanti essa debba fare e per proporne eventuali correttivi, offrendo il contributo della Commissione alla c.d. fase ascendente della normativa comunitaria.
In un momento successivo (dal punto di vista logico, anche se non sempre cronologico) la Commissione ha cercato di valutare l'impatto della legislazione nazionale sulle amministrazioni e sulle imprese.

6.1. L'analisi della legislazione comunitaria e italiana.

Quanto alla direttiva 91/156/CEE, essa si regge essenzialmente sui seguenti pilastri, che la Commissione ritiene sostanzialmente ancora validi:
1. per quel che concerne i rifiuti urbani:
la tendenziale riduzione della produzione di rifiuti (waste minimization);
una raccolta differenziata sempre più efficiente e un recupero del materiale da essa derivante da parte delle filiere degli imballaggi;
lo stimolo del riciclaggio volto alla creazione di compost dalla frazione umida e di combustibile dalla plastica, al recupero o al riuso della carta e del vetro;
la riduzione delle quantità smaltite in discarica;
2. per quel che riguarda i rifiuti speciali:
la tendenziale riduzione della produzione di rifiuti (waste minimization);
il trattamento e lo smaltimento specializzato autorizzato;
il divieto di miscelazione.

Queste linee fondamentali sono pienamente recepite nell'articolato vigente «decreto Ronchi». Quest'ultimo (lo si consideri oggi nella sua versione modificata dagli interventi successivi al 1997) peraltro prevede che alla gestione del ciclo partecipino tutti gli enti pubblici territoriali (oltre allo Stato, le regioni, le province e i comuni), ponendo a carico di tutti una serie di adempimenti di programmazione e controllo non indifferenti dal punto di vista del carico amministrativo.
Le norme del decreto n. 22 presuppongono, pertanto, un avanzato livello di sensibilità sociale sui problemi del ciclo dei rifiuti e impongono l'approntamento di strutture amministrative apposite non soltanto funzionanti e agili ma anche tecnicamente ben attrezzate e pongono a carico degli imprenditori più d'un obbligo.
In tal quadro, la Commissione - mentre ha considerato che l'arretratezza di alcune realtà presenti in Italia non può costituire un


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alibi per contestare la legittimità dei fini della direttiva - ha ritenuto nondimeno di dover segnalare alcuni problemi applicativi e di avanzare alcune proposte.

6.1.1. La definizione di rifiuto. Innanzitutto è assai importante che sia meglio precisata la definizione di rifiuto. Il decreto legislativo n. 22 del 1997 come criterio definitorio offre la combinazione del fattore oggettivo (le sostanze ricomprese negli allegati della direttiva, poi divenuti allegati del decreto legislativo) e soggettivo (le cose di cui il possessore «si disfi, abbia deciso di disfarsi abbia l'obbligo di disfarsi». Si tratta invero di una questione assai complessa, poiché comprendere l'esatta ed univoca nozione di rifiuto rimane assai problematico.
La stessa Commissione dell'Unione Europea ha più volte rilevato una notevole divergenza terminologica nella legislazione degli stati membri, senza aggiungere però ad una conclusione appagante52. Dal canto suo la Corte di giustizia, ritualmente investita della questione da due giudici italiani (pretori di Terni e Pescara) in ordine alla questione se nella nozione di rifiuto possano considerarsi ricompresi i «residui riutilizzabili» e i «mercuriali», ha stabilito che una normativa nazionale che adottasse una definizione di rifiuto, che esclude sostanze ed effetti suscettibili di riutilizzazione, non sarebbe compatibile con la direttiva 75/442/CEE.

52 Presso la Commissione è istituito un apposito comitato costituito ai sensi dell'articolo 18 della direttiva 91/156/CEE.

In un'altra pronuncia (causa C-129/96, sentenza del 18 dicembre 1997), la Corte di giustizia ha stabilito che l'ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi». La Corte peraltro, una volta impostata la questione, non ha proceduto ad analizzarla e a risolverla.
In tale contesto appare risolutore l'intervento di interpretazione autentica voluto dal Parlamento con l'A.C. 6316, con cui s'intende distinguere tra il recupero dei rifiuti (secondo la direttiva 91/156/CEE) e il normale trattamento industriale di prodotti che rifiuti non sono, distinzione che per la realtà produttiva italiana è cruciale. A tal fine sarà bene chiarire il significato dei termini: «si disfi», «abbia deciso di disfarsi» e «abbia l'obbligo di disfarsi».

6.1.2. Un sistema industriale di gestione dei rifiuti. In secondo luogo, è necessario che il sistema normativo si faccia carico di configurare un vero e proprio sistema industriale nella gestione dei rifiuti53.

53 Cfr. il DOC. XXIII-9, approvato il 28 maggio 1998.

Ad avviso della Commissione infatti, una corretta gestione del ciclo dei rifiuti deve poter contare sul fatto che anche le imprese condividano l'obiettivo della prevenzione e del recupero, ambiti nei quali è ben possibile lo sviluppo di un circuito virtuoso che porti all'espansione del mercato e dell'occupazione. In tal senso sarebbe auspicabile introdurre nel mondo delle imprese elementi di responsabilizzazione interna, quali l'Environmental Management Audit Scheme - EMAS - volte a far sì che in modo autogestito le imprese


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facciano propri gli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti e di recupero del materiali.
La proposta del DOC. XXIII-9 tuttavia contiene anche proposte di incentivi fiscali e di spesa pubblica per i comportamenti ecologicamente virtuosi. In tal senso - peraltro - la Commissione sta lavorando allo sviluppo di questo percorso propositivo con la stesura di taluni progetti di provvedimenti di natura finanziaria che possano essere inseriti nel contesto dei provvedimenti collegati all'esame delle Camere durante la sessione di bilancio. In particolare l'ipotesi all'attenzione è quella di una serie di forti incentivi fiscali (tra cui anche momenti di detassazione) in favore delle imprese aderenti ai consorzi di filiera che avviino iniziative volte a facilitare le varie fasi del ciclo dei rifiuti, specialmente se tali iniziative sono rivolte all'utenza.
Con l'approvazione del DOC. XXIII-17, la Commissione ha proposto meccanismi d'introduzione del mercato delle piccole e medie imprese non solo dell'EMAS ma anche dei marchi di qualità ecologica e di sistemi di eco-audit conformemente a quanto previsto nel regolamento comunitario n. 1836 del 1993. Nell'articolato allegato al documento sono previste anche forme d'incentivo finanziario alle piccole imprese.
Sempre in un quadro di sollecitazione del mondo produttivo a una conversione verso un modello ecologicamente sostenibile, è stata elaborata una proposta (il DOC. XXIII-18) che si potrebbe definire di «patteggiamento ecologico» - volta a incentivare l'emersione delle situazioni illecite dal punto di vista della gestione dei rifiuti da parte delle imprese, attraverso l'accordo con le autorità di controllo su tempi e modi di superamento delle non conformità alla legge in cambio della mancata applicazione delle sanzioni.

6.2. Riforme in campo penale.

Sempre nell'ambito dell'attività di studio e proposta normativa, la Commissione è pervenuta alla conclusione che l'apparato sanzionatorio previsto nel nostro ordinamento in ordine agli illeciti ambientali è troppo debole.
In particolare per quanto riguarda le violazioni relative al settore di rifiuti, sono previste solo contravvenzioni e non delitti. Ciò non consente alla magistratura e alle forze dell'ordine di adoperare tutto lo strumentario della repressione penale conseguente alla sussistenza dei delitti (misure cautelari coercitive e interdittive, intercettazioni telefoniche o ambientali, eccetera).
Sicché la Commissione, approvando il DOC. XXIII-5, ha stilato, anche in linea con le tendenze emerse nel Consiglio d'Europa, una proposta d'inserimento nel codice penale di alcune figure di reato previste come delitti, dalla cornice edittale non indifferente e concernenti condotte di danneggiamento dell'ambiente, redatte in modo tale da ricomprendere anche quelle che possono derivare da un'illecita gestione dei rifiuti.
Viene previsto, infatti, l'inserimento nel titolo VI del libro II del codice penale di un capo relativo ai delitti ambientali. Questa


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collocazione topografica di per sé ha un valore semantico: l'attentato all'ambiente viene posto sullo stesso piano dei delitti contro l'incolumità pubblica, contro le opere pubbliche (per esempio crollo di costruzioni, attentati alla sicurezza dei trasporti, eccetera) e contro la salute pubblica (epidemia, avvelenamento di acque, eccetera).
La figura più originale che viene coniata è quella relativa all'alterazione dello stato dell'ambiente. Si tratta di un delitto che consiste nel cagionare una grave alterazione dello stato dell'ambiente attraverso la contaminazione con sostanze o energie. Per alterazione s'intende anche il superamento di limiti - fissati con decreto ministeriale - di accettabilità per l'acqua e il suolo.
Di rilievo sono anche a) la previsione del delitto di traffico illecito di sostanze dannose per l'ambiente e la salute, in cui s'incrimina la produzione, il trasporto, l'acquisto e la cessione non autorizzata di sostanze tossiche e dannose per l'ambiente; e b) la previsione di due aggravanti speciali per il delitto rispettivamente di associazione per delinquere (quando i delitti-scopo siano delitti contro l'ambiente) e di associazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis (quando le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo siano finanziate con i proventi di attività illecite contro l'ambiente) 54.

54 Deve ritenersi che la proposta della Commissione di unificare una serie di reati sparsi in diverse fonti di rango legislativo (si pensi alla legge n. 319 del 1976 sulla qualità dell'acqua, alla legge n. 431 del 1985 sulle bellezze naturali e allo stesso «decreto Ronchi»), ottenendo il risultato di elevare al grado di delitto reati previsti solo come contravvenzioni e contestualmente innalzando i limiti edittali, al fine di consentire l'applicazione delle misure cautelari e delle intercettazioni telefoniche e ambientali, non sia in contrasto con le tendenze di politica criminale emerse nel corso della legislatura (cfr. la relazione dell'onorevole Boato, relatore sul sistema delle garanzie, al testo dell'articolo 129 del p.d.l. costituzionale formulato dalla Commissione bicamerale istituita ai sensi della legge costituzionale n. 1 del 1997, pag. 104 e seguenti). L'ambiente infatti è un bene giuridico di sicuro rilievo costituzionale (v. gli articoli 9 e 32 della Costituzione) e il suo danneggiamento costituisce probabilmente una delle offese più evidenti e materialmente tangibili che possano arrecarsi alla collettività. Del resto un garantismo serio, disinteressato e uniformemente applicabile a tutti deve considerare come gravi reati le aggressioni ai beni collettivi, di cui sono fruitori anche e soprattutto le classi più deboli della società, giacché i più abbienti possono sempre procurarsene la fruizione a proprie spese (in ordine ai problemi di politica criminale V. al proposito anche E. DOLCINI, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, p. 10 ss.). Tanto tutto ciò è vero che lo stesso Governo, ha predisposto un disegno di legge (approvato dal consiglio dei ministri il 2 aprile 1999 e presentato il 14 aprile) al Senato (l'AS 3960, assegnato congiuntamente alle commissioni permanenti II e XIII e abbinato - tra l'altro - all'AS 3282 Lubrano di Ricco), volto a introdurre nel codice penale alcune figure di delitto. Si tratta di un'iniziativa legislativa dai contenuti sostanzialmente identici a quelli espressi dalla Commissione. L'unica significativa differenza è che la fattispecie di alterazione dell'ambiente è proposta in una versione sdoppiata: vi figurano infatti, in luogo di questa, le fattispecie dell'inquinamento ambientale e della distruzione del patrimonio naturale. Nell'un caso la condotta incriminata è quella dell'illecita introduzione nel suolo, nell'aria o nell'acqua di sostanze atte a determinarne il deterioramento; nell'altro quella della realizzazione, in aree protette e comunque avvenuta, di atti o fatti potenzialmente distruttivi del patrimonio naturale e floro-faunistico del Paese.

L'impostazione che la Commissione auspica che sia assunta a livello legislativo è pertanto quella di unificare, sotto il profilo della tutela penale, il concetto di aggressione all'ambiente, contemporaneamente abrogando tutte le norme sanzionatorie di minor rilevo sparse nella legislazione e prevalentemente ispirate a controlli formali. Del resto appare proprio questo il senso dell'abbinamento al disegno di legge governativo AS 3960 (cfr. la nota 52) allo stralcio del provvedimento sulla depenalizzazione (AS 2570-bis).

6.3. La proposta in tema di rifiuti radioattivi.

Anche se purtroppo - a seguito dell'importante successo nel nostro Paese avutosi con l'abbandono della produzione di energia nucleare - la tensione sul problema del «nucleare» in Italia è molto calata, a questa categoria di rifiuti la Commissione ha dedicato una speciale attenzione, poiché probabilmente è proprio nel momento in cui i siti nucleari sono stati dismessi che cominciano i problemi del ciclo dei rifiuti.
È stato innanzitutto preso atto che con la firma, nel gennaio 1998, della Convenzione internazionale sulla sicurezza della gestione


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dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato, l'Italia ha assunto formalmente nei confronti di tutti i Paesi membri dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA), l'impegno di garantire una corretta gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato.
La Commissione ha costituito un gruppo di lavoro, coordinato dal Presidente Scalia, al quale ha affidato il compito di studiare una strategia di intervento55 tenendo conto della peculiarità della situazione


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italiana che, dopo oltre undici anni dalla cessazione delle attività nucleari non aveva ancora previsto ne una organica pianificazione della disattivazione degli impianti nucleari ne aveva avviato una adeguata attività di ricerca e di licensing del sito di smaltimento.

55 A causa della complessità della materia trattata ed allo scopo di fornire al Parlamento un documento obiettivo e trasparente, la Commissione ha ascoltato tutti gli organismi interessati, le cui osservazioni e proposte sono state, in seguito, trasferite nel testo. In particolare, per gli aspetti tecnici, sono stati ascoltati i rappresentanti dell'ENEL, dell'ENEA, dell'ANPA, dell'ISS e dell'ISPESL. Sono stati anche ascoltati il Ministro dell'industria, commercio e artigianato, Pier Luigi Bersani ed il Ministro dell'ambiente, Edo Ronchi, il Sottosegretario di Stato per il coordinamento della protezione civile, Franco Barberi, ed il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e per il gas, Pippo Ranci. Infine per una migliore conoscenza di quanto sull'argomento dello smaltimento dei rifiuti a media e bassa attività era stato realizzato da altri paesi dell'Unione europea, la Commissione ha visitato il centro spagnolo di El-Cabril e quello francese dell'Aube. La scelta dei due centri è stata piuttosto mirata in quanto sia la Spagna che la Francia avevano adottato soluzioni tecnologiche di confinamento (strutture ingegneristiche di tipo superficiale) che potevano essere riproposte anche in Italia.
Per approfondire le conoscenze normative che in campo europeo ed extraeuropeo sono sottese alla gestione di un sito nucleare di smaltimento, la Commissione ha acquisito agli atti esempi di legislazione e di organismi deputati allo scopo. In particolare è stato verificato che i paesi dell'Unione europea, pur con assetti statutari differenti, nella maggior parte dei casi, avevano affidato la gestione e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato ad un unico soggetto giuridico, generalmente pubblico.

È stato subito evidente che il vero problema che l'Italia doveva risolvere non era costituito soltanto dalla necessità di dare una collocazione definitiva e sicura ai rifiuti radioattivi prodotti in passato dalle quattro centrali nucleari dell'Enel e dei centri di ricerca dell'Enea (circa 20 mila metri cubi), ma era soprattutto quella di trovare, qualificare e strutturare uno o più siti di smaltimento dove sistemare tutti i rifiuti di media e bassa attività, quelli prodotti dal centro di ricerche di ISPRA, quelli prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari ed infine i rifiuti radioattivi che ritorneranno dal Regno Unito a seguito del riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato.
L'esito dell'attività di studio della Commissione è il Doc. XXIII-27, nel quale è dato conto non solo dell'analisi svolta nel corso dei lavori della Commissione ma anche una proposta di articolato.
Il documento è stato approvato alla Commissione all'unanimità il 29 aprile del 1999 ed in sintesi tratta le tematiche che sono connesse con la disattivazione degli impianti nucleari e con la scelta del sito.
La Commissione ha voluto anche evidenziare l'importanza che assume, nel prossimo futuro, la programmazione delle risorse strumentali e finanziarie, ma soprattutto si è soffermata sulla necessità di pianificare la formazione di personale tecnico in quanto con il passare del tempo si assiste ad un progressivo esaurirsi delle risorse umane e delle competenze necessarie.
Il documento dedica alcuni paragrafi sia alle visite effettuate ai centri di smaltimento spagnolo e francese sia ai centri di smaltimento esteri svedese, del Regno Unito, del Giappone e degli USA. Il documento comprende anche un capitolo dedicato alle guide tecniche ed alla classificazione dei rifiuti radioattivi che vengono utilizzate in alcuni paesi europei ed extraeuropei.
Al documento è allegato un articolato che rappresenta il testo base di una normativa per la istituzione dell'Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi (ANGERIR).
Con tale proposta, la Commissione ha inteso richiamare l'attenzione del Parlamento sulla necessità di istituire un organismo nazionale che coordini e pianifichi l'intera tematica e, nello stesso tempo, funga da garante per le attività di disattivazione degli impianti nucleari. Quest'ultima funzione può essere svolta mediante la costituzione di società da essa controllata. Le risorse economiche e finanziarie, necessarie alle attività dell'ANGERIR vengono reperite nell'ambito del bilancio dello Stato, dai proventi dell'attività dell'Agenzia nonchè dal contributo annuo (0,2 lire per Kwh) da parte delle società che gestiscono la produzione, distribuzione e trasmissione dell'energia elettrica oltre che dai corrispettivi versati dai detentori di rifiuti radioattivi per i servizi ricevuti. L'articolato prevede anche misure premiali, di carattere finanziario o tributario per le regioni che ospiteranno il centro di smaltimento e la nomina di un garante, organo collegiale, che ha il compito di condurre e coordinare la concertazione preventiva alla scelta del sito attraverso


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consultazioni con gli organi di governo regionali, provinciali e comunali, con le organizzazioni sindacali e con le associazioni ambientaliste.

7. I convegni organizzati.

La Commissione ha ritenuto opportuno dare vita anche a momenti di confronto pubblico con quanti - a diverso titolo - operano nel ciclo dei rifiuti; occasioni per un dibattito più ampio e generale di quanto non possano essere le pur indispensabili audizioni presso la sede della Commissione. In particolare il 9 e 10 marzo 1998 - quindi a poco più di un anno dall'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 1997 - è stato organizzato a Roma il convegno sulla «Politica dei rifiuti in Italia»56; l'incontro è stato suddiviso in tavole rotonde tematiche dedicate agli enti locali, al mondo imprenditoriale, all'autorità giudiziaria e alle forze di contrasto. Tale suddivisione dei lavori ha consentito di affrontare in profondità i singoli argomenti all'ordine del giorno. Su tali temi la Commissione era già impegnata, tuttavia anche la discussione avutasi in occasione del convegno ha contribuito alla redazione di due documenti (dei quali si parla in altra parte di questa relazione): una proposta di modifica al codice penale italiano con l'introduzione della nozione di delitto ambientale, ed il primo documento sul ruolo delle imprese nell'ambito di una più moderna ed efficiente gestione dei rifiuti.

56 Al Convegno sono intervenuti il Presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante, il Presidente della Commissione, Massimo Scalia, il vicepresidente della Commissione, Franco Gerardini, il Ministro dell'Ambiente, Edo Ronchi, il Ministro dell'industria, Pierluigi Bersani, il Ministro di grazia e giustizia, Giovanni Maria Flick, il Presidente della Commissione industria del Senato, Leonardo Caponi, il senatore Giovanni Lubrano di Ricco, il sostituto procuratore presso la direzione nazionale antimafia, Lucio Di Pietro, il sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Luciano Tarditi, il Comandante del NOE, Nicola Raggetti, il direttore dello SCO della Polizia di Stato, Alessandro Pansa, il Vicecapo di gabinetto del Ministro delle finanze, Castore Palmerini, il presidente dell'ANPA, Walter Ganapini, l'assessore all'ambiente della regione Piemonte, Ugo Cavallera, il rappresentante dell'UPI, Forte Clò, l'assessore all'ambiente del comune di Napoli, Riccardo Di Palma, il rappresentante della municipalità di New York, Richard A. Martin, il presidente dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, Gianni Squitieri, il presidente dell'Albo degli smaltitori, Maurizio Pernice, il responsabile del settore ambiente del CNR, Alfredo Liberatori, il presidente dell'ENEA, Nicola Cabibbo, il responsabile del progetto LARA del CNR, Carlo Maria Marino, il presidente dell'AMSA di Milano, Carlo Roveda, il Presidente dell'Assoambiente, Giuliana Ferrofino, il presidente dell'ENEL, Enrico Testa, il Presidente di SNAM Progetti, Luigi Patron, il presidente del CONAI, Piero Capodieci, il direttore della Federambiente, Andrea Cirelli, il presidente dell'Ecotras, Pompilio Del Pietro, il presidente del WWF-Italia, Grazia Francescato, il direttore generale di Legambiente, Francesco Ferrante, il presidente dell'associazione Ambiente e/è Vita, onorevole Nino Sospiri, il Presidente dell'EURISPES, dott. Gian Maria Fara.

In tale occasione da più parti si rilevò ancora una sensibile arretratezza di questo settore in Italia; i dati presentati a quel


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convegno indicavano come solo l'11,5 per cento dei rifiuti prodotti avesse un destino diverso dalla discarica. Un dato che oggi è praticamente raddoppiato, a dimostrazione di ciò che anche nel convegno organizzato dalla Commissione emerse in maniera sostanzialmente concorde: il decreto legislativo n. 22 del 1997 è la possibilità e l'occasione per colmare i ritardi che - nel ciclo dei rifiuti - separano l'Italia dai partner più avanzati dell'Unione Europea. Nel corso del convegno venne peraltro ribadito con nettezza come l'obiettivo del 35 per cento di recupero imposto dalla normativa è un obiettivo minimo; ciò per le tante spinte alla realizzazione di termodistruttori che la Commissione riscontra sul territorio. Si rilevò infatti come la sostituzione del modello «tutto in discarica» con il modello «tutto al termodistruttore» sarebbe una strada sbagliata dal punto di vista economico, oltre che in contrasto con la normativa vigente.
Tra le proposte emerse nel corso del convegno per una rapida evoluzione del sistema vi è senz'altro quella connessa alla realizzazione di una rete di accordi di programma, peraltro previsti dallo stesso decreto legislativo n. 22 del 1997 fra vari interlocutori (dalla pubblica amministrazione ai consorzi, ai singoli insediamenti produttivi) e utilizzabili per diversi argomenti (dalla riduzione dei rifiuti ai piani di settore, alla diffusione dell'eco-audit ed ecolabel).
Il secondo convegno organizzato dalla Commissione si è tenuto a Napoli il 26 febbraio 1999, sul tema «I crimini contro l'ambiente e la lotta alle ecomafie»57. Tale momento di discussione è giunto dopo quasi due anni di lavoro della Commissione, periodo nel quale si è andato delineando un discreto quadro di conoscenza delle attività illecite nel ciclo dei rifiuti e si sono formulate ipotesi per l'uscita da una fase che resta connotata da una diffusa illegalità. La scelta di tenere la sede del convegno a Napoli è stata dettata dalla volontà di dare un segnale nel capoluogo di una regione gravemente colpita dai traffici di rifiuti. Come è stato ricordato nel corso del convegno accanto alla necessità di contrastare in maniera sempre più efficace


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tali illeciti, esiste l'esigenza di fornire risposte a quanti giustamente richiedono la bonifica dei tanti siti inquinati dallo smaltimento illegale di rifiuti.

57 Al Convegno hanno preso parte il Presidente della Commissione, Massimo Scalia, il Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Michele Pinto, il Presidente della Commissione ambiente del Senato, Fausto Giovanelli, il Ministro dell'ambiente, Edo Ronchi, il senatore Giovanni Lubrano di Ricco, l'onorevole Paolo Russo, il vicesindaco di Napoli, Riccardo Marone, il procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, il procuratore della Repubblica di Bari, Riccardo di Bitonto, il Procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli, Luigi Mastronimico, il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Antonio Catanese, il vice procuratore generale della Corte dei conti, Tommaso Cottone, il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, Lorenzo Matassa, il Sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Luciano Tarditi, il sostituto procuratore della Repubblica della Spezia, Silvio Franz, il sostituto procuratore presso la pretura di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie, il Direttore della Dia, Carlo Alfiero, il comandante della III divisione dell'Arma dei Carabinieri, Claudio Blasi, il vicecapo della Polizia di Stato, Rino Monaco, l'Ispettore della Guardia di Finanza per l'Italia meridionale, Francesco D'Isanto, il vicedirettore del Corpo Forestale dello Stato, Camillo Caruso, il Presidente dell'ANPA, Walter Ganapini, il direttore della Nuova Ecologia, Enrico Fontana, il Presidente dell'EURISPES, Gian Maria Fara.

Nel corso dei lavori sono emerse con nettezza due questioni: la necessità di una rapida introduzione nel nostro codice penale della nozione di delitto ambientale e la necessità di una maggiore efficacia dei controlli amministrativi, vera prevenzione nei confronti di questo tipo di illeciti. Per quanto riguarda il primo argomento si rimanda a quanto già detto.
Venendo al secondo punto, è stato ricordato nel corso del convegno come la previsione di sanzioni penali dovrà essere affiancata da una maggiore attivazione dei controlli amministrativi, ad oggi presenti sulla carta in troppe realtà; il sistema Anpa-Arpa, titolare di gran parte di questi controlli, risente ancora di una notevole carenza di personale nonché della mancata istituzione o attivazione in regioni come la Sicilia o la Lombardia. Gli interventi degli esponenti delle forze di polizia hanno poi evidenziato l'importanza e l'urgenza di un coordinamento sempre più fattivo tra le diverse forze di contrasto anche per il contrasto a questi tipi di reati.
Nel corso del convegno è stato poi evidenziato come vi sono tematiche sulle quali è necessario concentrarsi in un'ottica di repressione e contrasto ai traffici illeciti di rifiuti. La prima di queste è il sistema di smaltimento dei rifiuti pericolosi: in Italia il panorama di smaltimento per tale tipologia è assai carente, ed i conti tra la produzione e lo smaltimento dichiarato non tornano, mentre i dati Mud indicano una quantità di rifiuti speciali smaltiti superiore alla produzione degli stessi. Si tratta di un'evidente anomalia dovuta - come è stato ricordato - anche ad illecite attività di miscelamento o declassificazione dei rifiuti, e per questo la Commissione, anche nel corso del convegno, ha invitato a un'attenta attività di controllo sui molti centri di stoccaggio intermedi esistenti nel nostro Paese. Altra tematica di rilievo riguarda i traffici internazionali di rifiuti pericolosi, ma su questo punto si rimanda più nel dettaglio ad altra parte di questa relazione.
Il dato senz'altro più preoccupante emerso nel corso del convegno riguarda il salto di qualità che la criminalità organizzata sta compiendo nel ciclo dei rifiuti: l'interesse di tali organizzazioni non riguarda più solo gli smaltimenti illeciti ma si sta spostando al tentativo di controllare gli appalti grazie ad aziende ad esse legate. Su questo aspetto è stato evidenziato l'importanza che può avere un'attenta attività di intelligence e di monitoraggio delle società operanti nel settore.

8. L'associazionismo ambientalista.

La Commissione - nell'ambito dell'attività di analisi del territorio nazionale - ha sempre cercato momenti di incontro con le associazioni ambientaliste presenti nelle singole realtà territoriali. Pertanto in occasione delle missioni che le delegazioni della Commissione hanno svolto, le associazioni ambientaliste sono sempre state


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convocate in audizione per sentire la loro posizione sulle problematiche connesse al ciclo dei rifiuti nel loro territorio.
Tale scelta è dovuta alla constatazione del fatto che l'attività delle associazioni ambientaliste ha portato in diverse circostanze all'emersione di molte delle questioni di cui poi si è dovuta occupare la magistratura; ma soprattutto è valsa anche quale stimolo e sollecitazione all'attività dei pubblici poteri ed anche quale momento di equilibrio e di mediazione tra le posizioni più estreme di formazioni spontanee di cittadini, che hanno ritenuto in alcuni casi di far valere le proprie ragioni rifiutando ogni soluzione.
Come si è detto, il giudizio che la Commissione si è formata sulla situazione nel ciclo dei rifiuti è quello di una realtà del tutto disomogenea; allo stesso modo le istanze pervenute dalle associazioni ambientaliste risentono naturalmente della situazione nella quale queste operano. Nelle regioni meridionali che, ad eccezione della Basilicata, sono tutte in stato di emergenza per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti, le associazioni hanno denunciato la situazione esistente e quelli che sono - a loro avviso - i limiti delle attività commissariali. Nelle realtà territoriali ove invece si assiste a una maggiore efficienza del ciclo dei rifiuti, l'accento è stato posto più sulle localizzazioni degli impianti e su una critica diffusa a una politica amministrativa che - sempre secondo le associazioni - tende a privilegiare la scelta degli impianti di termodistruzione dei rifiuti.
Grande attenzione, in ogni regione, viene posta dalle associazioni ambientaliste alla legalità e alla trasparenza del mercato. La Commissione ha avuto modo di registrare positivamente come le associazioni svolgano in questo senso una continua e necessaria opera di stimolo nei confronti delle pubbliche amministrazioni: sono spesso le associazioni infatti le più informate sugli assetti societari e gli eventuali precedenti delle imprese che risultano aggiudicatarie di appalti o intendono realizzare impianti su un determinato territorio. È tuttavia opinione della Commissione che ciò - al di là del plauso alle associazioni - non possa essere ritenuto un elemento di soddisfazione: esistono evidentemente maglie troppo larghe anche nell'azione amministrativa ove operatori non limpidi riescono costantemente a inserirsi.
Un altro elemento che la Commissione ha registrato, anch'esso da valutare attentamente, è il fatto che i cittadini paiono più propensi a rivolgere denunce e segnalazioni direttamente alle associazioni ambientaliste anziché agli organi preposti, convinti che ciò sia più utile. Se è vero e incontrovertibile il fatto che le associazioni di cittadini hanno un'efficacia assai maggiore rispetto al cittadino singolo, ciò che qui si vuole evidenziare è una diffusa sfiducia che si registra tra i cittadini nell'operato di forze dell'ordine e autorità giudiziaria. Sfiducia peraltro non giustificata, dato che la Commissione ha sempre avuto modo di rilevare il grande impegno che gli organismi preposti dimostrano nell'attività di contrasto agli illeciti nel ciclo dei rifiuti. Semmai il cittadino vorrebbe veder sanzionati in maniera congrua danni e aggressioni al patrimonio ambientale: ma ciò dipende dall'inefficacia dell'attuale normativa che - di riflesso - agli occhi dei cittadini pare inefficacia delle forze di contrasto.


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La Commissione ritiene invece del tutto positivo il fatto che le amministrazioni territoriali e locali abbiano generalmente individuato nelle associazioni ambientaliste elementi coi quali confrontarsi nel momento formativo delle loro scelte. Ciò evidentemente non vuole né può significare che siano le associazioni a determinare le scelte, ma certo il contributo che da queste può venire è senz'altro utile, soprattutto per la ricordata funzione di equilibrio e moderazione delle posizioni più estreme che le associazioni possono svolgere. Una funzione tanto più importante in una realtà quale quella italiana, dove il ciclo dei rifiuti è stato contrassegnato nel recente passato da una più che diffusa illegalità e dove solo negli ultimi anni - e non dappertutto - la gestione dei rifiuti comincia ad essere effettuata secondo criteri moderni ed efficienti.
Le innumerevoli discariche abusive sparse sul territorio, gli impianti «fantasma» realizzati per non funzionare che la Commissione ha potuto osservare o le truffe connesse al ciclo dei rifiuti: tutti elementi che hanno prodotto un immaginario collettivo per cui là dove si trattano i rifiuti c'è sicuramente qualcosa che non va. A ciò si aggiunga un ulteriore elemento, vale a dire la memoria ancora viva dell'incidente all'Icmesa di Seveso e dell'inquinamento da diossina da esso provocato: a prima vista potrebbe sembrare un elemento non legato al ciclo dei rifiuti, ma la «sindrome da Seveso» è vivissima ogni volta che si discute la localizzazione di un termodistruttore. E a nulla valgono le considerazioni per cui gli impianti dell'ultima generazione hanno ridotto quasi allo zero le emissioni inquinanti. Sono tutti temi su cui l'opera di mediazione e di guida che le associazioni ambientaliste possono svolgere appare rilevantissima; da questo punto di vista esse vanno davvero viste quali «cinghie di trasmissione» tra le istanze dei cittadini e le istituzioni. E da questo punto di vista la Commissione ha senz'altro ricavato un giudizio positivo in tutti gli incontri svolti, anche quando le associazioni hanno espresso posizioni assai radicali, del resto giustificate dal loro ruolo nella società.

9. Le future iniziative.

Nei prossimi mesi, infine, la Commissione sarà impegnata in specifiche indagini dedicate a tematiche di grande rilevanza per quanto riguarda la gestione dei rifiuti e il superamento di alcune particolari situazioni di emergenza.
a) La prima di queste indagini riguarda gli effetti della prevista modifica della direttiva comunitaria 94/62 sugli imballaggi. Sull'argomento sono già state svolte le audizioni dei rappresentanti dei consorzi di filiera e dell'ANPA.
La Commissione ha in questo modo voluto anzitutto verificare la posizione dei consorzi in ordine a eventuali innalzamenti delle percentuali del riuso; l'audizione dei rappresentanti dell'ANPA è stata invece ritenuta necessaria in quanto l'agenzia rappresenta la posizione italiana in seno alla commissione europea che sta provvedendo alla modifica della citata direttiva. Proprio l'ANPA ha messo in


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evidenza come ad oggi in Italia non esistano dati reali sugli imballaggi, ma esclusivamente stime, ed è già questo un primo elemento che la Commissione dovrà valutare nelle prossime settimane.
Ancor più significativo che i rappresentanti di tutti i consorzi di filiera abbiano affermato che i nuovi obblighi di riuso che sarebbero imposti con la modifica della normativa (complessivamente al 75 per cento) risultano - per la realtà italiana - del tutto irrealistici. Ed anche questo tema sarà oggetto di specifica analisi da parte della Commissione, anche con una valutazione su quali siano le soluzioni adottate negli altri Paesi dell'Unione europea.
b) La seconda indagine, infine, riguarda i commissariamenti nelle realtà oggetto di decreti di emergenza per la gestione dei rifiuti. È purtroppo noto come per le regioni meridionali (fatta eccezione per la Basilicata) sia stata dichiarata l'emergenza proprio in relazione allo smaltimento dei rifiuti; nella medesima situazione si trova la provincia di Roma, dove però lo stato d'emergenza è stato dichiarato in previsione del grande afflusso di pellegrini per il Giubileo del 2000. In particolare la Commissione intende valutare la congruità dello strumento commissariale, alla luce soprattutto del fatto che la fase emergenziale dura in Campania ed in Puglia ormai da 5 anni (in Calabria lo stato d'emergenza è stato dichiarato nel 1997 ed in Sicilia nel 1999). Per questo motivo sono state già svolte specifiche audizioni con i commissari delegati, onde avere un quadro dettagliato degli interventi programmati e di quelli attuati, nonché previsioni attendibili in merito alla presunta fine della fase emergenziale. È naturalmente intenzione della Commissione valutare anche se la dichiarazione dello stato d'emergenza con la conseguente nomina dei commissari delegati sia la scelta che meglio può garantire il ritorno a una gestione normale del ciclo dei rifiuti, o se tale soluzione debba essere giudicata negativamente; e, soprattutto, se è possibile esprimere un giudizio globale o se invece l'efficacia o meno della gestione commissariale dipenda da fattori locali specifici.
c) La terza indagine che la Commissione sta avviando riguarda la gestione e lo smaltimento dell'amianto, materiale del quale è stata da tempo accertata la pericolosità per la salute umana. Per questo in molte regioni sono stati approvati piani straordinari di bonifica dall'amianto, ed è da anni in corso la decoibentazione delle carrozze ferroviarie sulle quali tale materiale veniva utilizzato come isolante dai fattori atmosferici. Si tratta però di operazioni di grande complessità - vista anche l'alta tossicità dell'amianto - che hanno ingenerato numerosi episodi di smaltimento illecito. La Commissione è infatti a conoscenza della presenza di amianto in numerose discariche abusive, nonché di inchieste giudiziarie relative alla non corretta gestione dei centri autorizzati al trattamento di tale materiale. Un primo momento di questa attività di indagine si è per l'appunto avuto con l'audizione del procuratore di Torre Annunziata, titolare di un'inchiesta avviata sulla base dell'esposto di un dipendente di un centro di decoibentazione a proposito dell'interramento di decine di sacchi contenenti amianto. È intenzione della Commissione accertare la regolarità delle attività di bonifica dell'amianto,


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nonché valutare la congruità dei flussi di smaltimento legale rispetto alle quantità presunte di amianto in circolazione.

10. Conclusioni: l'importanza del lavoro d'inchiesta e di analisi. Il ruolo della politica.

A conclusione di questa esposizione delle attività svolte dalla Commissione in questi primi due anni e mezzo di attività, è possibile qui tracciare delle considerazioni su quanto è stato possibile osservare e studiare.
Un primo elemento riguarda la gestione dei rifiuti: da questo punto di vista va nuovamente evidenziato come in Italia ora esista una disciplina organica dell'intero ciclo, grazie al decreto legislativo n. 22 del 1997. Tuttavia, come la Commissione ha potuto osservare «sul campo», l'Italia è tuttora un Paese a tre velocità: una constatazione che deriva dall'andamento della raccolta differenziata e dall'impiantistica esistente.
L'Italia settentrionale (salvo alcune eccezioni) appare ormai in grado di mettersi al passo con le esperienze più avanzate in tema di gestione integrata dei rifiuti; il centro sconta ancora ritardi, per cui anche gli obiettivi imposti dalla normativa italiana risultano tuttora lontani. Il Mezzogiorno, infine, presenta un panorama di grave arretratezza, del resto evidenziato dal Commissariamento delle quattro maggiori regioni dell'area.
La condizione perché tali ritardi possano essere superati in tempi ragionevolmente brevi è che tutti gli attori facciano fino in fondo la loro parte: non solo quindi la pubblica amministrazione centrale e periferica, ma anche il sistema delle imprese, i singoli imprenditori e gli operatori del settore ai quali è richiesta una diversa attenzione al ciclo dei rifiuti. Su tali aspetti la Commissione continuerà la sua opera di confronto e attenzione con tutti i soggetti interessati.
Più articolata la situazione per quanto riguarda i rifiuti speciali e pericolosi, dei quali è stata posta in evidenza l'assenza di una valida base di conoscenza. Per queste tipologie di rifiuti esiste un grave deficit di smaltimento, che non pare essere superabile nei tempi brevi: occorre anche qui uno sforzo di volontà e programmazione per evitare che grandi masse di rifiuti vengano distratte dal mercato legale per terminare in discariche abusive.
La Commissione ritiene importante che i rifiuti non vengano considerati solo una voce di costo per le aziende, poiché tale atteggiamento di fatto finisce per consentire all'imprenditoria deviata e criminale di aumentare il proprio giro d'affari, espellendo dal ciclo gli operatori rispettosi della normativa e delle previsioni ambientali. Vale la pena ricordare che un comportamento ecologicamente corretto nella gestione dei rifiuti è diventato negli Stati Uniti, già a partire dai primi anni 90 e a seguito delle severa politica di controllo dell'Environment Protection Agency, un fattore di selezione e competitività.
È del tutto evidente che l'azione delle c.d. «ecomafie» e dell'imprenditoria deviata comporta rilevanti fenomeni di distorsione


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del mercato, da combattere con ancora maggiore determinazione, dal momento che si è al decollo di un vero e proprio ciclo industriale della gestione di rifiuti.
Una maggiore efficienza nei controlli consentirebbe del resto di arginare tali fenomeni, e per questo la Commissione auspica una rapida messa a regime dell'intero sistema ANPA-ARPA, con la costituzione delle agenzie nelle regioni dove queste ancora non esistono e dell'entrata in funzione là dove le agenzie sono state istituite ma non sono operanti. Peraltro è auspicabile che le riforme che a breve interesseranno i dicasteri come strutture non abbiano ad attentare alla «terzietà» dell'ANPA come organismo autonomo, affrancato - come oggi è in buona misura - dalle logiche schiettamente ministerial-burocratiche.
Da un lato, quindi, occorrono maggiori e più efficienti controlli amministrativi; dall'altro è necessario introdurre nel codice penale italiano una figura di delitto che riesca a tipizzare, in modo al contempo sintetico e completo, tutte le forme di aggressione all'ambiente. Al riguardo la Commissione registra con soddisfazione che l'esame del disegno di legge governativo e delle abbinate proposte di legge parlamentari è stato avviato. Una felice conclusione di tale percorso potrà consentire all'Italia di colmare il ritardo esistente rispetto ad altri paesi comunitari, quali per esempio la Germania e la Spagna.
La richiesta di tale modifica, peraltro, non va letta esclusivamente in chiave di deterrenza attraverso l'inasprimento delle sanzioni (comunque oggi del tutto inadeguate rispetto ai danni arrecati all'ambiente e alla salute dei cittadini); pene più elevate comportano infatti anche la possibilità per la magistratura e le forze di polizia di attivare strumenti, come per esempio le intercettazioni telefoniche e ambientali, senza i quali non si può davvero intervenire efficacemente contro gli illeciti.
Quello esaminato dalla Commissione è un panorama in evoluzione: l'Italia non è più nel «far-west» dei rifiuti, ma non è ancora un paese nel quale a queste problematiche si danno ovunque risposte moderne, efficienti e tecnologicamente avanzate. Quest'ultimo traguardo non sembra raggiungibile in tempi brevi, ma la strada appare decisamente segnata. Lo sforzo dovrà essere collettivo e dovrà avere scadenza temporali certe, pena l'allontanarsi delle possibili soluzioni. La Commissione, per parte sua, si impegna a seguire ed accompagnare questo processo, nella convinzione che sia questo uno dei suoi compiti più rilevanti.

(N.B.: tabelle, piantine ed elenchi saranno pubblicati in allegato al Documento).