CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA
Resoconto della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse


Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse

SOMMARIO

Mercoledì 28 ottobre 1998


Sulla pubblicità dei lavori. ... 156

Seguito dell'esame ed approvazione della proposta di relazione sulla regione Lazio (relatore: senatore Iuliano). ... 156

Comunicazioni del Presidente. ... 179


Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Resoconto di mercoledì 28 ottobre 1998


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Mercoledì 28 ottobre 1998. - Presidenza del Presidente Massimo SCALIA.

La seduta comincia alle 13.

Sulla pubblicità dei lavori.

Il Presidente Massimo SCALIA avverte che, non essendovi obiezioni, l'odierna seduta verrà ripresa mediante il sistema televisivo a circuito chiuso; avverte inoltre che verrà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta.

Seguito dell'esame ed approvazione della proposta di relazione sulla regione Lazio (relatore: senatore Iuliano).

Il Presidente Massimo SCALIA ricorda che, nella seduta del 14 ottobre scorso, il relatore ha illustrato la proposta in titolo, mentre, nella seduta del 21 ottobre scorso, si è chiusa la discussione su di essa.
Ricorda inoltre che è stato fissato il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 18 di ieri, 27 ottobre 1998.
Fa presente che, in base al dibattito finora svoltosi, il relatore ha già provveduto ad apportare al documento le opportune modifiche. Lo invita a prendere la parola.

Il senatore Giovanni IULIANO, relatore, ricorda che il documento è del seguente tenore:

«RELAZIONE SUL LAZIO

Premessa.
Sin dall'avvio dei lavori della Commissione, si ebbe notizia che la procura presso la pretura di Roma aveva dato vita ad un'importante azione giudiziaria diretta ad accertare che il territorio del Lazio era oggetto di traffici illeciti di rifiuti di notevoli dimensioni. In particolare - come si vedrà nel dettaglio più avanti - in capannoni dismessi, presentati come centri di trasformazione della frazione secca, risultavano abbandonate migliaia di tonnellate di rifiuti provenienti dal nord Italia. Inoltre, nel corso di una delle prime audizioni tenute dalla Commissione, il sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Napoli, dottor Giovanni Melillo, aveva affermato che la parte meridionale della regione era interessata da smaltimenti illeciti organizzati dalla criminalità organizzata casertana alla ricerca di territori più «tranquilli» ove operare. Sul fronte della gestione «legale» dei rifiuti, la Commissione disponeva di elementi conoscitivi che portavano a valutare nel dieci per cento del totale nazionale la quantità dei rifiuti solidi urbani prodotti nella regione.


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Sulla base di tali elementi e di altre acquisizioni, la Commissione ha deliberato di effettuare un'attività di indagine sul Lazio all'indomani di quelle svolte in Liguria, Piemonte e Campania, regioni per le quali era stata avviata analoga attività anche nella XII legislatura ed alle quali è stata dedicata prioritaria attenzione.
Va inoltre detto che il Lazio è - per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti - una regione «centrale» a tutti gli effetti, per la presenza nel suo territorio delle più importanti arterie stradali, attraverso cui si realizzano nel concreto i traffici illeciti.

1. L'attività conoscitiva della Commissione.

1.1. Le audizioni e le missioni riguardanti il Lazio.
Il 24 settembre 1997 la Commissione ha proceduto, in sede di adunanza plenaria, all'audizione dell'assessore all'ambiente del comune di Roma, Loredana De Petris; il 9 ottobre 1997, sempre in sede di adunanza plenaria, è stato audito l'avvocato Corrado Carrubba, assessore all'ambiente della provincia di Roma; il 16 ottobre 1997 sono stati auditi, in sede di adunanza plenaria, il vicesegretario generale del WWF-Italia Gaetano Benedetto, il presidente di Fare Verde Paolo Colli, il responsabile della campagna incenerimento rifiuti di Greenpeace Italia Francesco Francisci, il rappresentante di Ambiente e/è vita Fernando Ferrara, il responsabile dell'osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana, la coordinatrice scientifica di Legambiente Lucia Venturi ed il presidente di Italia Nostra Floriano Villa; il 23 ottobre 1997, sempre in sede di adunanza plenaria, sono stati auditi il prefetto di Roma dottor Giorgio Musio, il sostituto procuratore presso la pretura circondariale di Roma dottor Giuseppe De Falco, il sostituto procuratore presso la direzione nazionale antimafia dottor Luigi De Ficchy, il comandante della sezione operativa centrale del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri capitano Gianni Massimo Cuneo, l'assessore all'ambiente della regione Lazio dottor Giovanni Hermanin De Reichenfeld ed il presidente della commissione criminalità della regione Lazio dottor Angelo Bonelli; il 29 gennaio 1998, in sede di adunanza plenaria, è stato audito il dottor Marco Marchetti, ricercatore dell'Istituto nazionale di geofisica;il 18 ottobre 1998, ancora in sede di adunanza plenaria, sono stati auditi il presidente dell'Azienda municipalizzata ambiente di Roma ingegner Franco Sensi, il procuratore della Repubblica di Cassino dottor Giovanni Francesco Izzo ed il sostituto procuratore presso la pretura circondariale di Frosinone dottor Alberto Amodio.
Il 24 ottobre 1997 una delegazione della Commissione, composta dal Presidente Scalia e dai deputati Casinelli, Saraca e Testa, ha effettuato una missione conoscitiva nelle provincie di Roma, Latina e Frosinone: in tale occasione sono stati visitati siti di smaltimento abusivo in alcune località di Pomezia e Ardea in provincia di Roma, nella località Borgo Piave in provincia di Latina ed a Pontecorvo in provincia di Frosinone; è stato poi visitato l'impianto di selezione e trasformazione rifiuti di Colfelice in provincia di Frosinone. Inoltre, a Pontinia in provincia di Latina, nel corso di un sopralluogo presso un impianto dedicato ufficialmente alla pulizia di contenitori utilizzati per il trasporto di rifiuti pericolosi liquidi, sono state rilevate irregolarità tali da richiedere l'intervento immediato dell'autorità giudiziaria di Latina, che ha prontamente disposto il sequestro dell'area, ipotizzando diversi reati legati allo smaltimento illecito di detti rifiuti. Si tratta di un episodio sul quale si tornerà più diffusamente in seguito.
La missione si è poi conclusa con le audizioni, presso la prefettura di Frosinone, del prefetto Francesco Marino, del questore Antonio Mastrocinque, dell'assessore provinciale all'ambiente Luciano Gatti e dell'ispettore superiore della polizia di Stato Antonio Mattei.
Il 28 ottobre 1997 una delegazione della Commissione, composta dal Presidente


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Scalia, nonché dal deputato Saraca e dal senatore Specchia, ha compiuto una seconda missione conoscitiva in provincia di Roma, effettuando un sopralluogo presso una cava dismessa di Piana Perina nel comune di Riano Flaminio, dove - in base a segnalazioni giunte a questa Commissione - sarebbero stati sepolti grandi quantitativi di fusti contenenti rifiuti tossici. Va qui anticipato che l'indagine disposta in merito da questa Commissione ha portato al recupero di circa 150fusti, nonché di altri rifiuti illecitamente smaltiti: anche su questo episodio si ritornerà più diffusamente nella parte di questa relazione dedicata agli illeciti nel settore dei rifiuti. Sono stati poi visitati siti abusivi di smaltimento a Monterotondo Scalo ed a Guidonia Montecelio. Infine, la delegazione si è recata presso lo stabilimento della Bpd Difesa e Spazio di Colleferro, per conoscere i progetti dell'azienda in merito alla messa in sicurezza dei rifiuti da essa smaltiti irregolarmente all'interno del proprio perimetro. Non si è ritenuto di effettuare sopralluoghi in altri impianti, giacché la situazione almeno dei più importanti era sufficientemente nota alla Commissione.
1.2. Quadro di sintesi delle audizioni relative al Lazio.
Le audizioni hanno consentito di definire un quadro dettagliato del ciclo dei rifiuti nella regione, dei fenomeni di illegalità e di mera irregolarità, e di trarre le conclusioni sulle maggiori emergenze in atto e che si vanno determinando. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, è emerso che le provincie meridionali del Lazio sono oggi fortemente esposte a fenomeni di illecito smaltimento, paradossalmente a causa della sempre maggiore attenzione che enti locali, forze dell'ordine ed autorità giudiziaria dedicano alla provincia di Caserta, territorio storicamente vittima di sversamenti abusivi da parte della cosiddetta «ecomafia». In effetti la magistratura ha confermato la presenza della criminalità organizzata anche in località vicinissime a Roma. Un allarme confermato dalle autorità giudiziarie di Frosinone e di Cassino, uffici che in questi ultimi mesi hanno avviato diverse indagini in materia, giungendo alla scoperta di numerose discariche abusive in quei territori. Va posto in evidenza il fatto che la maggiore attenzione da parte di queste procure si è registrata con maggiore intensità dopo la visita-sopralluogo della Commissione nella provincia. In quell'area sono state individuate società appositamente costituite per la specifica funzione di certificazione di smaltimenti come legali, ma in realtà avvenuti irregolarmente. Gli episodi segnalati dagli uffici giudiziari di Frosinone e Cassino, nella loro gravità, rientrano in un modus operandi tipico delle organizzazioni criminali che agiscono nel settore.
La procura presso la pretura di Roma ha individuato un nuovo filone criminale, definito la «holding del riciclaggio fantasma». Anticipando quanto verrà detto più diffusamente in seguito, l'inchiesta riguarda l'attività di varie società che certificano l'avvenuto recupero delle frazioni raccolte in maniera differenziata; in realtà centinaia di tonnellate di rifiuti venivano in realtà abbandonate in capannoni industriali dismessi. È quanto la Commissione ha potuto direttamente constatare a Pomezia, Ardea, Latina e Monterotondo. Al di là dell'emergenza ambientale determinata, va evidenziato come in tal modo venga operata una doppia truffa: una a danno del comune produttore dei rifiuti che paga per un servizio (il riciclaggio) mai reso ed una a danno del comune che inconsapevolmente riceve il materiale, dovendo poi provvedere allo smaltimento effettivo.
La normale attività (da definirsi in senso lato «lecita») di gestione dei rifiuti ha evidenziato un quadro che vede ancora nella discarica la principale destinazione dei rifiuti solidi urbani. Valga per tutti il caso di Roma (che, secondo una recente ricerca della Commissione, rappresenta quasi l'8 per cento dei rifiuti prodotti in Italia) che «sconta» la presenza della megadiscarica di Malagrotta, la quale è la più grande d'Europa e risulta essere


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economicamente assai vantaggiosa, con ciò determinando scelte obbligate di conferimento a discapito di un'accelerazione di forme più consone e di minore impatto ambientale. Tra le provincie laziali è stata proprio Frosinone ad aver mostrato i più significativi miglioramenti sotto il profilo ambientale, grazie all'avviamento dell'impianto di trattamento di Colfelice, dove oggi giungono i rifiuti prodotti nell'intero territorio provinciale: ciò ha permesso di chiudere in maniera graduale le 120 discariche (molte delle quali gestite in maniera decisamente insufficiente) che caratterizzavano tale territorio. Ciò naturalmente lascia aperta ogni questione relativa al risanamento ed alla bonifica di quelle aree.
È stata poi presentata da parte dell'amministrazione regionale la situazione del tutto deficitaria per i rifiuti pericolosi, dovuta al fatto che nel Lazio non esiste alcuna discarica di tipo 2C, il che impone l'esportazione di tutti i rifiuti di questa tipologia: tuttavia, sono in via di realizzazione impianti di questo tipo nei pressi di importanti aree industriali.

2. La normativa regionale e lo stato di attuazione. L'azione delle pubbliche amministrazioni.

La regione Lazio solo recentemente ha varato la nuova disciplina sulla gestione dei rifiuti; il testo, approvato lo scorso 9 luglio, non è peraltro l'atteso piano regionale, bensì la normativa cui detto piano dovrà fare riferimento. Non esiste quindi al momento una pianificazione per il settore, ma si individua la volontà della regione di rispettare in tempi brevi gli obblighi imposti dalla normativa nazionale, benché il termine previsto dal decreto legislativo n. 22 del 1997 sia ormai trascorso.
Il testo emanato dalla regione Lazio almeno sotto il profilo formale è rispondente ai criteri dettati dalla normativa nazionale, pur se appare più aperto nei confronti della termodistruzione di quanto non sia il decreto legislativo n. 22 del 1997. Per quanto riguarda la pianificazione, va detto che la regione Lazio si riserva il compito di stabilire gli ambiti territoriali ottimali di smaltimento, la programmazione degli impianti da realizzare, nonché altri criteri tecnici generali. Alle provincie viene invece delegato il compito di redigere i piani provinciali per l'organizzazione dei servizi di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
Si tratta - come detto - di una disciplina generale, alla quale non sono al momento seguiti i piani, regionale e provinciali, di smaltimento: pertanto non è possibile qui esprimere un giudizio sulla pianificazione in materia di rifiuti. In tale stato di attuazione normativa, seppure può darsi una valutazione positiva per il profilo della produzione legislativa, si deve tuttavia porre in evidenza come la regione Lazio e le sue provincie debbano adottare (con provvedimenti che la Commissione giudica urgenti) gli strumenti di pianificazione e le concrete realizzazioni.
Per altro verso, va osservato che la citata legge del luglio 1998 istituisce un fondo di 3 miliardi e 595 milioni di lire per i primi interventi in materia di bonifica: argomento, questo, di particolare rilevanza (come si vedrà più avanti) soprattutto per le provincie meridionali del Lazio.
Aprendo una parentesi sullo stato di attuazione della predetta normativa da parte della pubblica amministrazione, si deve evidenziare (purtroppo come un caso che per ora appare isolato) che l'azione compiuta nella provincia di Frosinone ha portato ad un livello di buona efficienza l'impianto di trattamento rifiuti di Colfelice, imponendo a tutti i comuni dell'area di inviare nel sito i rifiuti prodotti. Ciò ha consentito di chiudere le oltre 100 discariche aperte nel corso degli anni ex articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982. La scelta tra la discarica e tale forma di trattamento dei rifiuti ha generato tuttavia reazioni da parte della popolazione residente e di altri soggetti interessati ed ancora da individuare; infatti, nel corso


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dell'estate 1997, l'impianto di Colfelice ha subìto due attentati incendiari che hanno compromesso alcune parti esterne. La popolazione residente nell'area vicina all'impianto ha dato inoltre vita ad una serie di manifestazioni di protesta dovute all'emissione di esalazioni: l'installazione di un bio-filtro ha consentito, lo scorso autunno, di eliminare tale problema. Diversi comuni del frusinate hanno aderito con ritardo alle disposizioni regionali, determinando l'intervento delle forze dell'ordine, che hanno provveduto al sequestro di numerose discariche comunali ancora utilizzate nonostante l'intervenuto divieto. All'attualità, quindi, quasi tutta la provincia si avvale dell'impianto, facendo eccezione alcuni comuni che tuttora si servono delle discariche previste dalla disciplina regionale.
Se la provincia di Frosinone appare essere sufficientemente in regola con la normativa nazionale ed ora vede come residuale l'invio di rifiuti in discarica, le altre provincie del Lazio dipendono invece in maniera quasi totale da questa modalità di smaltimento.
Si tratta di una situazione che emerge anche dal programma triennale di interventi in materia di rifiuti, approvato dalla regione Lazio il 31 luglio 1997, dove vengono censiti gli impianti esistenti sul territorio regionale: 15 impianti di trattamento rifiuti e 4 stazioni di trasferenza. Dei 15 impianti solo quello di Colfelice, il centro di compostaggio di Terracina e l'impianto sperimentale di compostaggio di Maccarese sono una destinazione a tutti gli effetti diversa dalla discarica. La capacità complessiva di trattamento di questi tre impianti risulta essere di 710 tonnellate al giorno, vale a dire il 10,4 per cento dei rifiuti solidi urbani prodotti quotidianamente in regione. Negli ultimi mesi sono stati tuttavia effettuati interventi su tre discariche (Roma-Malagrotta, Albano-Santa Palomba e Viterbo-Casale Bussi) per la realizzazione di impianti di trattamento e separazione a monte del conferimento effettivo in discarica. In questa maniera è stata aumentata di 2.000 tonnellate al giorno la capacità di trattamento extra discarica e la percentuale di rifiuti non inviati in discarica è salita nominalmente al 39,9 per cento.
Rimangono al momento sostanzialmente prive di impianti di trattamento le provincie di Latina e Rieti: per l'area pontina i rifiuti vengono conferiti in maniera pressoché integrale alla discarica di Borgo Montello. Più grave la situazione dell'area sabina, che non ha alcun impianto in esercizio e che ha dato vita a tensioni sociali durante l'estate 1998. Sono stati infatti individuati come ricettori dei rifiuti reatini la discarica di Guidonia-l'Inviolata e l'impianto di Viterbo-Casale Bussi. Per quanto riguarda quest'ultimo sito, la decisione ha determinato la protesta della popolazione locale, cui era seguìta un'ordinanza del sindaco di Viterbo che vietava l'introduzione di detti rifiuti nell'impianto di Casale Bussi. Un successivo intervento della regione annullava l'ordinanza sindacale e consentiva l'utilizzo dell'impianto anche per i rifiuti di Rieti.
La precarietà di tale situazione appare non potersi protrarre oltre ed appare necessaria l'immediata individuazione e realizzazione di impianti di trattamento rifiuti anche in questa provincia laziale. Sulle misure adottate dagli amministratori di Rieti la Commissione non ha alcuna notizia, nonostante la formalizzazione della richiesta di informazioni. Appare auspicabile che tale provincia si adegui in tempi brevi alle prescrizioni di autosufficienza dettate dalla normativa nazionale e che gli amministratori responsabili trovino forme di collaborazione e di colloquio più produttive di positivi risultati.
Il citato programma triennale della regione Lazio contiene schede su ogni singolo impianto di smaltimento presente sul territorio regionale. Si tratta di indicazioni assai scarne, che non consentono di individuare nel dettaglio le specifiche e le caratteristiche riguardanti ciascun sito. È stato possibile comunque individuare una preoccupante vulnerabilità degli acquiferi per alcune discariche: per Borgo Montello e Segni viene indicata una vulnerabilità elevata, mentre Malagrotta, Casale


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Bussi e Tarquinia presentano una vulnerabilità alta. È questo un ulteriore fattore che porta la Commissione ad auspicare un rapido abbandono della discarica come destinazione quasi esclusiva per i rifiuti solidi urbani, riconducendo l'azione amministrativa sulle previsioni di legge concernenti il recupero ed il riciclaggio delle diverse frazioni di rifiuto.
A questo proposito, è opportuno aggiungere che in una regione con importanti insediamenti agricoli come il Lazio appare utile avviare la raccolta differenziata secco-umido, con contestuale realizzazione di impianti per la produzione di compost di qualità, che consentirebbe di arricchire organicamente un territorio dove la chimicizzazione dell'agricoltura ha comportato un sensibile impoverimento dei suoli.
La situazione appare più deficitaria per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti industriali e speciali. La produzione complessiva di tali rifiuti risulta di 1 milione 900mila tonnellate l'anno; di questi sono stimati in 300mila tonnellate i rifiuti pericolosi, per i quali non esiste alcun impianto di smaltimento nella regione. Secondo quanto riferito dall'assessorato all'ambiente della regione Lazio, tali rifiuti confluiscono in una discarica abruzzese, a Vasto. Per gli altri rifiuti industriali sono attivi impianti a Santa Palomba, Anagni e Pomezia, tuttavia non sufficienti a soddisfare il fabbisogno complessivo della regione. La Commissione ritiene pertanto di dover sollecitare la regione perché favorisca l'offerta di smaltimento di queste tipologie di rifiuti, concordando peraltro con le linee esposte dai rappresentanti regionali, secondo cui tali impianti debbono essere realizzati all'interno o nelle immediate vicinanze delle aree industriali.

3. Il ciclo dei rifiuti.

a) I rifiuti solidi urbani: la produzione.
Le problematiche relative alla gestione dei rifiuti solidi urbani nel Lazio sono state affrontate nel precedente capitolo di questa relazione. In questa sede è tuttavia opportuno riportare l'attuale situazione relativa alla produzione degli rsu suddivisa su base provinciale e sulla base dei nuovi ambiti territoriali ottimali di smaltimento, per offrire nel dettaglio un quadro il più completo possibile:


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Rifiuti solidi urbani 1996 per provincia
(t* 1000/anno)

Abitanti Produz. totale Raccolta indiffer. % (*) Raccolta differ. % (*) Raccolta ingombr. % (*)
LAZIO 5.217.168 2.478,1 2.353,8 95,0 79,35 3,2 44,94 1,8
FROSINONE 490.795 151,89 148,68 97,9 2,64 1,7 0,57 0,4
LATINA 503.255 236,53 232,28 98,2 3,84 1,6 0,41 0,2
RIETI 150.734 54,83 53,34 97,3 1,13 2,1 0,350,6
ROMA 3.781.792 1.912,9 1.801,8 94,2 70,09 3,7 40,98 2,1
VITERBO 290.592 121,97 117,70 96,5 1,64 1,3 2,63 2,2

Rifiuti solidi urbani 1996 pro capite per provincia
[kg/(abitante * giorno)]

Abitanti Produzione totale Raccolta indifferenziata Raccolta differenziata Raccolta ingombranti
LAZIO 5.217.168 1,30 1,24 0,04 0,02
FROSINONE 490.795 0,85 0,83 0,01 0,00
LATINA 503.255 1,29 1,26 0,02 0,00
RIETI 150.734 1,00 0,97 0,02 0,01
ROMA 3.781.792 1,39 1,31 0,05 0,03
VITERBO 290.592 1,15 1,11 0,02 0,00


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b) I rifiuti solidi urbani: lo smaltimento.

Il citato programma regionale di interventi (delibera regionale n. 353 del 1997) conserva la sua validità in attesa del nuovo piano regionale di smaltimento. È pertanto a tale testo che si deve fare riferimento per conoscere la destinazione dei rifiuti solidi urbani prodotti nella regione ed in particolare quali e quanti comuni conferiscono nelle diverse regioni. La situazione, schematicamente, si presenta nella forma che segue.

Impianto di Albano-Cecchina:
la discarica ha una capacità ulteriore prevista di 260.000 mc, con un pre-trattamento all'ingresso di circa 500 tonnellate al giorno; vi possono conferire 7 comuni della provincia di Roma.

Discarica di Latina-Borgo Montello:
con una capacità ulteriore prevista di 156.000 mc, vi conferiscono i 29 comuni della provincia di Latina.

Impianto di Roma-Malagrotta:
la discarica ha una capacità ulteriore prevista di circa 15.000.000 mc, mentre circa 1.000 tonnellate al giorno di rsu vengono pre-selezionate all'ingresso; vi conferiscono i comuni di Roma, Ciampino e Fiumicino, nonché lo Stato della Città del Vaticano.

Impianto di Viterbo-Casale Bussi:
la discarica ha una capacità ulteriore prevista di circa 160.000 mc, mentre circa 500 tonnellate al giorno di rsu vengono pre-selezionate all'ingresso; vi conferiscono 34 comuni della provincia di Viterbo (compreso il comune capoluogo) e 19 comuni della provincia di Rieti.

Discarica di Bracciano-Cupinoro:
la capacità ulteriore prevista è di circa 393.000 mc e vi possono conferire i loro rifiuti 12 comuni della provincia di Roma, 9 comuni della provincia di Rieti ed un comune della provincia di Viterbo.

Impianto di Colfelice:
dedicato alla preselezione, al compostaggio ed alla produzione di RDF, ha una capacità massima di trattamento di 500 tonnellate/giorno; vi conferiscono 31 comuni della provincia di Frosinone.

Impianto di Fiumicino:
dedicato alla produzione di compost, ha una capacità massima di trattamento di 90 tonnellate/giorno; vi possono conferire i comuni di Roma, Fiumicino e Ciampino; la discarica di servizio è Roma-Malagrotta.

Impianto di Terracina:
dedicato alla produzione di compost, ha una capacità massima di trattamento di 130 tonnellate/giorno. Possono conferire i loro rifiuti 5 comuni della provincia di Latina; la discarica di servizio è Latina-Borgo Montello.

Discarica di Guidonia-l'Inviolata:
ha una capacità ulteriore prevista di 650.000 mc; vi conferiscono 88 comuni della provincia di Roma e 44 comuni della provincia di Rieti, compreso il comune capoluogo.

Discarica di Tarquinia-Pisciarello:
con una capacità ulteriore prevista di 90.000 mc, vi possono conferire 26 comuni della provincia di Viterbo e tre comuni della provincia di Roma.

Discarica di Velletri-Lazzaria:
ha una capacità ulteriore prevista di 40.000 mc e vi possono conferire 2 comuni della provincia di Roma.

Discarica di Colleferro-Colle Fagiolara:
la capacità ulteriore prevista è di 60.000 mc e vi possono conferire 5 comuni della provincia di Roma.


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Discarica di Segni:
ha una capacità ulteriore prevista di 6.000 mc e vi possono conferire 5 comuni della provincia di Frosinone.

3.1. La gestione dei rifiuti a Roma.
Si è ritenuto opportuno dedicare una specifica sezione di questa relazione alla situazione nel comune di Roma dove, come ha rilevato un'indagine della Commissione, si produce il 7,73 per cento dei rifiuti solidi urbani italiani. Si tratta quindi di una situazione assai importante, che peraltro sarà interessata nell'anno duemila dal Giubileo, con una serie di ricadute anche sotto il profilo della produzione dei rifiuti, visto che Roma sarà visitata nel corso di quell'anno da decine di milioni di persone.
Attualmente il valore della raccolta differenziata si aggira intorno al 6 per cento. Secondo quanto affermato in sede di audizione dal presidente dell'Azienda municipalizzata ambiente del comune di Roma, per l'anno duemila in città la raccolta differenziata dovrebbe attestarsi al 15 per cento richiesto dalla normativa nazionale. Va peraltro rilevato che tale quota significherebbe l'immissione sul mercato del recupero di 202.950 ton/anno: c'è il dubbio che l'attuale sistema di recupero sia in grado di gestire una simile quantità di rifiuti. Perplessità rinforzate dalla constatazione che per la città di Roma è attivo, a Santa Palomba, anche un centro di selezione del materiale proveniente dalla raccolta differenziata: il materiale selezionato, però, è in gran parte fermo in attesa di trovare una collocazione sul mercato del recupero. Immediati investimenti e realizzazioni in questo settore sono quindi improrogabili per non rendere inutili gli sforzi che le aree metropolitane (non solo Roma, quindi) stanno compiendo per adeguarsi alla normativa nazionale.
Per quanto riguarda lo smaltimento, si è già rilevato come i rifiuti solidi urbani prodotti a Roma vengano convogliati presso la discarica di Malagrotta, che ha un'enorme volumetria residua (circa 15.000.000 mc), al cui ingresso è stato realizzato un impianto di preselezione in grado di trattare circa 1.000 ton/giorno da inviare al recupero. Valore tuttora residuale ha invece l'impianto di compostaggio di Fiumicino, che potrà invece rappresentare una valida alternativa quando la raccolta differenziata secco/umido sarà realizzata in maniera efficace sull'intero territorio urbano.
Nella città di Roma, infine, è stata rilevata la presenza di numerose discariche abusive, di piccole e medie dimensioni. È da segnalare positivamente il fatto che la stessa AMA ha avviato un piano per la bonifica di tali aree: sono già alcune decine i terreni recuperati, alcuni dei quali in zone prossime al centro della città.

4. Le attività illecite nel ciclo dei rifiuti nel Lazio.

Il territorio del Lazio è risultato particolarmente interessato dai traffici illeciti di rifiuti, sia per la presenza di zone morfologicamente adatte al loro occultamento che per la vicinanza con quelle aree della provincia di Caserta dove questa Commissione ha già registrato virulente presenze criminali in questo settore. Si è avuto modo di constatare direttamente - nel corso di una missione compiuta nella provincia di Latina - il modus operandi di società commerciali attive nello stoccaggio abusivo di rifiuti pericolosi e collegate ad organizzazioni criminali dedite alla commissione di reati nel ciclo dei rifiuti. Nel comune di Pontinia è stato individuato un capannone nel quale erano stoccati 11.600 fusti, alcuni svuotati di sostanze pericolose ma non trattati, altri pieni di rifiuti pericolosi. Ufficialmente l'impianto doveva provvedere al trattamento di pulizia dei fusti, ma nel sito non era presente alcun macchinario idoneo allo scopo. Gli unici strumenti presenti erano infatti un carrello elevatore e due grosse cisterne; inoltre i registri di carico e scarico delle merci contenevano un gran numero di irregolarità. Per questi motivi


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la Commissione ha convocato sul posto l'autorità giudiziaria di Latina, che ha provveduto al sequestro dell'area. L'inchiesta è tuttora in corso, così come l'area risulta ancora sottoposta a sequestro, giacché l'istanza di dissequestro presentata dalla società operante era stata subordinata allo smaltimento definitivo dei materiali ivi presenti, che non è avvenuto.
Da tale episodio è scaturita un'attività d'indagine della Commissione che ha portato all'individuazione di collegamenti tra la società titolare dell'impianto, alcuni personaggi collegati alla criminalità organizzata ed altre società operanti in altre aree del territorio nazionale, già oggetto di indagini giudiziarie per reati commessi nel ciclo dei rifiuti. Poiché si tratta di attività ancora in corso, la Commissione ritiene di mantenere riservate le informazioni; è però esemplare il fatto di come tali traffici e tali reati avvengano alla luce del sole, contando sulle garanzie di impunità che - di fatto - l'attuale sistema sanzionatorio offre.
Al di là dei profili meramente processuali del sequestro posto in essere a Pontinia dietro richiesta della Commissione, occorre porre in luce come tale peculiare procedura - che costituisce una rilevante novità sull'utilizzazione da parte della Commissione parlamentare dei poteri di cui per legge dispone - rappresenti un caso, da giudicarsi paradigmatico, del tipo di collaborazione e di integrazione tra le separate e distinte attività dell'autorità giudiziaria e di una Commissione parlamentare d'inchiesta. Non vi è stata infatti alcuna interferenza né nell'attività di iniziativa, né in quella di autonoma decisione della magistratura, ma soltanto una doverosa ancorché autorevole segnalazione di circostanze ritenute meritevoli di rappresentare ipotesi di reato.
Dalla magistratura è arrivata ulteriore conferma del fatto che il Lazio ha ampie porzioni di territorio ad alto rischio di inquinamento ambientale per avere subìto, nel recente passato, sversamenti ed interramenti di sostanze pericolose e per ricoprire ancora oggi un ruolo strategico nelle attività criminali specifiche dei traffici illegali di rifiuti. La Commissione ha preso atto dell'«allarme ecomafie» lanciato dalla direzione distrettuale antimafia di Roma che, per voce di un suo autorevole esponente, ha indicato località quali Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno ed Ardea come territori nei quali, dalla fine degli anni settanta, si sono insediati ed ingranditi molti gruppi appartenenti alle organizzazioni più pericolose della criminalità organizzata calabrese, siciliana ed, in particolare, campana.
Queste affermate ipotesi su tali filiere criminali operanti anche nel settore dello smaltimento illecito di rifiuti a tutt'oggi non hanno però avuto alcun riscontro in procedimenti penali attivati nel distretto giudiziario del Lazio. Le audizioni di alcuni magistrati che, a vario titolo, si sono occupati di inchieste concernenti i traffici illegali di rifiuti hanno fornito uno spaccato della realtà grave, ma solo in parte aderente agli scenari delineati dalla direzione distrettuale antimafia romana in materia di rifiuti. Ciò anche a causa delle difficoltà derivanti dallo stato della normativa vigente che, come la Commissione ha avuto modo di denunciare in varie occasioni(1), non consente di esplicare agevolmente le complesse attività di indagine richieste dalle fattispecie in esame.
Le indagini della procura di Roma hanno soltanto parzialmente e superficialmente confermato la presenza della criminalità organizzata nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti: si tratta di due filoni di inchiesta distinti che, in un caso, vedono il Lazio come punto di partenza del traffico e, nell'altro, come terminale di arrivo dei rifiuti.
Il primo procedimento penale, già arrivato al dibattimento presso la sezione di Frascati, concerne l'illecito smaltimento di rifiuti solidi urbani prodotti dai comuni del Lazio durante la stagione della cosiddetta emergenza (anni 1992-1993). In quegli anni, infatti, venne interdetta la discarica di Malagrotta a tutti i comuni diversi

(1) V. doc. XXIII, n. 5.


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da quelli di Roma, Ciampino e Fiumicino per cui - in assenza sia di un piano regionale dei rifiuti che dell'individuazione, nel Lazio, di discariche idonee a ricevere i rifiuti solidi urbani di numerose località - gli altri comuni non compresi nel bacino di utenza delle discariche di Guidonia e Bracciano si trovarono a dover risolvere il problema di come smaltire i rifiuti.
In questa situazione alcuni amministratori locali furono costretti a rivolgersi ad imprese operanti nel settore che, in qualche modo, garantivano la possibilità di smaltimento: si trattava, però, di imprese contattate senza l'accertamento delle dovute garanzie e delle formalità di legge; peraltro, a volte, le ditte contattate non erano dotate di strutture idonee. Il solo problema che veniva risolto era l'individuazione di una qualsiasi destinazione ai rifiuti dei suddetti comuni.
La Commissione ha avuto modo di rilevare, ancora una volta, il ruolo nevralgico assolto da queste cosiddette società commerciali, venute a contatto, nell'occasione, con intermediari in grado di trovare delle destinazioni al sud nelle note discariche della Campania, della Puglia e della Calabria controllate dalla criminalità organizzata. Il rapporto tra questi imprenditori e soggetti legati ad organizzazioni criminali - gli stessi che hanno formato oggetto di indagine da parte della procura di Napoli - aveva l'obiettivo di individuare forme di smaltimento illecite, che si articolavano o nel conferimento in discariche non autorizzate a ricevere rifiuti di provenienza extra regionale, ovvero nell'abbandono dei rifiuti in cave dismesse, alvei di fiumi e così via. Per ogni trasporto veniva consegnato all'appaltatore un formulario di accompagnamento, completo di timbro della discarica di destinazione, con il quale si attestava - contrariamente al vero - lo smaltimento in discarica autorizzata; l'appaltatore consegnava tale formulario al comune produttore di rifiuti e sulla base di questo veniva pagato, realizzando così, con un meccanismo di truffa, l'illecito profitto.
Questo fenomeno, per quanto riguarda i comuni del Lazio, risulta essersi esaurito nel momento in cui le ordinanze regionali hanno consentito ai diversi comuni di portare i propri rifiuti nelle discariche di Guidonia, Bracciano ed altre, anche se è stato segnalato il rischio che, nei prossimi mesi, si possa determinare un problema di esaurimento di queste discariche e la conseguente necessità di individuare in tempi brevi nuovi siti.
La seconda inchiesta è, invece, diversa e più recente, e nasce dal verificarsi dell'emergenza rifiuti in altre aree geografiche, in particolare del settentrione: in questo caso, però, il Lazio rappresenta non più la stazione di partenza ma il punto di approdo dei rifiuti. La tipologia d'illecito si sostanzia, in questo caso, nell'utilizzo della formula legale dell'attività di recupero dei rifiuti, lucrando, peraltro, degli incentivi per essa stabiliti nel «decreto Ronchi».
Alcune imprese hanno falsamente garantito questa modalità di smaltimento ad enti locali produttori dei rifiuti, assicurando che gli stessi sarebbero stati trasferiti in impianti di recupero e trattamento (nella specie, nel Lazio) in realtà nati solo per trarre vantaggio da tale operazione, non avendo mezzi e manodopera per praticare l'attività di recupero e trattamento. Gli impianti sono stati utilizzati per il cosiddetto «giro di bolla»; la bolla d'accompagnamento dal produttore arriva all'impianto con destinazione recupero; da qui, lo stesso quantitativo di rifiuti, con la qualifica di rifiuti prodotti dal Lazio, sarebbe dovuto ripartire per terminare in una discarica della regione, aggirando il contingentamento delle discariche e consentendo l'arrivo nel Lazio di rifiuti prodotti dal settentrione (Lombardia), che altrimenti non sarebbero potuti giungere. È il caso di segnalare che in altre regioni italiane si sono verificati analoghi episodi di smaltimento illecito, mediante tale sistema, efficacemente descritto come il «riciclaggio fantasma».
Il sistema si avvale dell'opera di intermediari, organizzati in modo da stabilire contatti con produttore ed appaltatore da


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un lato, ricercando dall'altro impianti intermedi di presunto recupero: il risultato è che l'attività di recupero non viene realizzata, ma utilizzata soltanto per aggirare divieti di smaltimento o per uno smaltimento diverso da quello indicato.
Tale operazione è resa possibile dalla mancanza o dall'insufficienza di controlli sia preventivi che successivi sull'attività di recupero e trattamento dei rifiuti, atteso che la normativa in materia prevede per questi impianti solo un obbligo di comunicazione d'inizio attività, senza che sia prevista alcuna forma di controllo preventivo, ma solo verifiche successive, comunque in un lasso di tempo tale da consentire enormi guadagni alle imprese criminali.
L'impresa di smaltimento si limita, infatti, a rappresentare al produttore (tranne, appunto, che non si versi in casi di connivenza o assoluta negligenza di quest'ultimo) lo smaltimento dei rifiuti in discariche autorizzate del nord, ovvero un generico recupero, senza che venga fornito alcun riscontro documentale delle effettive modalità di trattamento del rifiuto e del luogo finale di destinazione (spesso si paga sulla base della presentazione della sola fattura). Ciò avviene anche perché molti enti locali non richiedono alcuna garanzia sull'avvenuto recupero, accontentandosi di documenti cartacei (come il documento di trasporto) che non provano assolutamente nulla a proposito del recupero.
A tale proposito, la Commissione ritiene di proporre al Parlamento ed al Governo un'ulteriore riflessione sulla necessità di colmare le «maglie larghe» di una normativa che consente una semplice dichiarazione per l'inizio di attività di recupero dei rifiuti, introducendo forme di controllo per contemperare la giusta esigenza di promuovere ed incentivare tale forma di smaltimento con l'esigenza primaria di tutela dell'ambiente e della salute. Richiama inoltre gli enti locali ad una maggiore vigilanza sulla destinazione effettiva dei loro rifiuti, anche perché i comuni produttori delle frazioni rinvenute nelle discariche abusive sono vittime di truffe e raggiri: viene pagato, con i soldi dei contribuenti, un prezzo anche elevato per una forma di trattamento e recupero che non avviene.
Va, inoltre, sottolineato con preoccupazione il fatto che anche l'attività di recupero dei rifiuti, giustamente incentivata dal legislatore, sia stata utilizzata per concretizzare degli illeciti, in una sorta di rappresentazione di un nuovo modello di imprenditorialità che può definirsi di «illegalità conforme».
L'attività giudiziaria nel Lazio si è interessata anche di altri episodi ed altre tipologie di illeciti nel ciclo dei rifiuti.
La Commissione ha seguìto con attenzione le vicende relative all'appalto per la nettezza urbana del comune di Anzio, dopo la denuncia resa in sede di audizione plenaria dal prefetto di Roma, che indicava l'apertura di un'inchiesta su tale questione. La documentazione fornita dall'autorità giudiziaria di Velletri - che ha nel frattempo chiesto il rinvio a giudizio per il reato di abuso d'ufficio - vede coinvolte persone appartenenti all'amministrazione comunale nel periodo in cui l'appalto venne assegnato ad una società di Napoli, la Colucci Appalti. Per inciso, tale società nei mesi scorsi è stata acquisita dalla Emas di Milano, controllata al 100 per cento dalla Emit di Milano, azienda quest'ultima di cui la Commissione ha già avuto modo di interessarsi per le vicende legate al digestore di Novara(2).
Secondo l'accusa, l'appalto per la nettezza urbana del comune di Anzio sarebbe stato affidato alla Colucci Appalti, nonostante questa fosse carente di alcuni requisiti richiesti nel bando di gara, escludendo invece la Slia, alla quale venne falsamente contestata la medesima carenza. Inoltre alla società appaltatrice sarebbero state versate per intero alcune fatture, nonostante fosse stata decisa una decurtazione del 30 per cento a seguito del mutamento del sito di discarica. Un'altra ipotesi d'accusa riguarda l'assunzione,

(2) V. doc. XXIII, n. 13.


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da parte della Colucci Appalti, di persone cui gli ex amministratori sotto inchiesta sono legati da rapporti di parentela ed amicizia.
Nella provincia di Frosinone sono state anche recentemente rinvenute discariche abusive di rifiuti di diversa tipologia. Ad Isoletta d'Arce sono stati rinvenuti materiali stoccati in silos e cisterne che presentano già segni d'usura, suscitando quindi ulteriori preoccupazioni per quanto riguarda i danni ambientali; a Pontecorvo, i rifiuti tossico-nocivi (solventi), contenuti in fusti interrati in discarica, sono risultati provenire anche da un vicino stabilimento FIAT; a Castelliri, coinvolti nella vicenda giudiziaria sono taluni personaggi che sono risultati organizzati stabilmente in una serie di società dedite ad attività illecite nel ciclo dei rifiuti. Ancora: nelle campagne di Pontecorvo e nella zona di Cassino sono state scoperte ben otto tonnellate di scorie (ossido di zinco misto ad ammoniaca) provenienti da impianti produttivi del nord, secondo un sistema già riscontrato nella zona del casertano e per il quale si rimanda alla relazione che questa Commissione ha dedicato alla situazione campana.
Ma l'episodio più grave è quello verificatosi nel territorio di Arpino, dove si ritiene assai probabile la presenza dirifiuti pericolosi interrati e ricoperti da una gettata di cemento, sulla quale è stato successivamente costruito un parcheggio: esiste il sospetto che sia stato così occultato l'interramento di un enorme quantitativo di rifiuti pericolosi, e le modalità d'occultamento rendono assai difficile il loro recupero e l'eventuale bonifica del sito.
La provincia di Frosinone sembra essere divenuta nel corso degli anni uno dei centri nodali degli smaltimenti illeciti di rifiuti, come testimonia il fatto che indagini avviate in quest'area si siano in un secondo momento intrecciate con quelle condotte dalla Guardia di finanza di Pavia, relative al rinvenimento di 81.000 tonnellate di rifiuti, di natura prevalentemente pericolosa, provenienti dal settentrione e dall'estero, che venivano stoccati abusivamente tra Lazio e Lombardia.
Nello stesso territorio è stata smaltita una parte di quelle 500.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani che, fra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, furono gestite da società vicine alla criminalità organizzata campana. Tra le discariche ove tali rifiuti sono stati smaltiti pare esserci l'AlMa di Villaricca, ai tempi di proprietà di quel Luca Avolio già condannato in primo grado dal tribunale di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla «rifiuti connection» campana.
Il traffico illecito di rifiuti, in specie tossico-nocivi, ha trasformato insomma la regione Lazio in un territorio di transito e di occultamento dei rifiuti, con l'opera fattiva delle organizzazioni criminali locali o insediatesi in alcune aree.
I chiari e forti collegamenti che emergono tra società del settore e soggetti appartenenti alla criminalità organizzata operante su determinate aree territoriali depresse del paese inducono a riproporre al Parlamento ed al Governo una riflessione seria sulla necessità di creare efficaci momenti di collegamento tra le varie forze di polizia giudiziaria investite di competenza in materia di reati ambientali, raccordati con le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ove queste esistano) e le procure territoriali, che garantiscono un arricchimento delle possibilità d'indagine e di verifica di collegamenti, con maggiore possibilità, dunque, di incidere nel settore a tutela dell'integrità dell'ambiente e della salute, oltre che degli interessi patrimoniali coinvolti.
Le indagini e le vicende giudiziarie sin qui riportate danno, infatti, conferma delle grandi dimensioni raggiunte dal fenomeno di penetrazione della criminalità organizzata nel business dei rifiuti, ed in particolare della presenza di clan camorristici, come quello dei casalesi, operanti in stretto collegamento con le società locali di settore.
Anche l'autorità giudiziaria del Lazio ha rimarcato l'inadeguatezza delle misure penali in materia ambientale sia sotto il profilo delle specifiche fattispecie di reato,


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che per gli strumenti d'indagine (ivi compresi i termini di prescrizione che, data la complessità delle indagini, sono incongrui ad assicurare il perseguimento delle ipotesi criminose). Sul punto, la Commissione rinnova il suo impegno a sollecitare l'inserimento nel sistema penale di nuove fattispecie di reato ambientale ed idonei strumenti d'indagine, rinviando ai lavori dell'apposito gruppo di studio che ha formulato nel marzo 1998 proposte poi inviate ai Presidenti delle Camere e delle Commissioni parlamentari.
La Commissione ha avuto notizia di un presunto smaltimento di ingenti quantità di fusti contenenti rifiuti in una cava a Piana Perina, nel comune di Riano (Roma). Dopo aver effettuato un sopralluogo in tale area, è stato dato incarico all'Istituto nazionale di geofisica di effettuare un'indagine per accertare la presenza di detti fusti. L'indagine - come si può vedere dalle annesse tabelle predisposte dall'Istituto nazionale di geofisica - ha evidenziato materiale metallico in profondità, pur se non nelle dimensioni sostenute nell'esposto. È stato comunque disposto lo scavo nell'area di Piana Perina, durante il quale sono stati recuperati circa 150 fusti contenenti rifiuti speciali, sacchi contenenti rifiuti ospedalieri, nonché rifiuti solidi urbani. L'esito dello scavo ha fatto ritenere opportuno il coinvolgimento dell'autorità giudiziaria di Roma, che ha provveduto al sequestro dell'area ed alla messa in sicurezza dei fusti recuperati. Al di là dei risultati dell'inchiesta giudiziaria, l'obiettivo della Commissione è stato quello di fornire risposte certe alla popolazione, giacché da anni si alimentava la convinzione che nell'area si fosse determinato un vero e proprio disastro ambientale. I campionamenti delle acque effettuati dalla regione e dalla provincia, nonché l'esito delle indagini dirette della Commissione fanno tuttavia escludere tale ipotesi.


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Va infine segnalata per la sua gravità l'indagine avviata dalla direzione distrettuale antimafia di Catania in merito ad un traffico di materiale radioattivo che vedrebbe coinvolta la criminalità romana, in particolare elementi appartenenti alla nota «banda della Magliana», insieme alla criminalità organizzata calabrese. L'indagine è in corso e pertanto sono possibili solo alcuni accenni, così come riferiti in sede di audizione dall'autorità giudiziaria. L'attività è stata avviata a seguito delle rivelazioni di un collaboratore di giustizia: dopo la verifica di tali affermazioni, è stata decisa un'azione sotto copertura, che ha portato militari dello SCICO della Guardia di finanza a presentarsi come possibili acquirenti di materiale radioattivo. L'azione ha portato al sequestro a Roma di una barra di uranio arricchito, risultata prodotta nel 1971 negli Stati Uniti, poi venduta allo Zaire (allora Congo belga) per l'uso di una centrale nucleare (mai costruita). Da lì - per canali non ancora accertati - la barra è finita sotto il controllo delle suddette organizzazioni criminali. Un elemento di preoccupazione, sul quale le indagini sono ancora in corso, è dato dal fatto che la barra sequestrata doveva far parte di un quantitativo complessivo di nove barre: non vi è ancora notizia delle altre otto barre, né se realmente esistessero, né su quale sia eventualmente stata la loro destinazione finale. Come detto, l'indagine è tuttora in corso e la Commissione ne seguirà gli ulteriori sviluppi.

4.1. L'attività degli organi di polizia giudiziaria.
Si è dato conto, nella precedente sezione, delle più importanti inchieste giudiziarie relative agli illeciti nel ciclo dei rifiuti condotte nel territorio regionale. La Commissione ha, a questo proposito, avuto modo di notare in particolare l'attività del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri e del Corpo forestale dello Stato, la cui attività ha consentito di individuare e colpire trasporti e traffici illeciti anche di notevoli dimensioni. Sul punto si rimanda a quanto verrà esposto nelle conclusioni: è tuttavia opportuno anticipare come la Commissione ritenga utile rafforzare ed incrementare la specializzazione di tali Corpi, sollecitando anche un sempre maggior raccordo tra le varie forze di polizia.
Si è anche avuto modo di notare l'attività sempre più attenta ed efficace posta in essere dalla questura di Frosinone che - in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato - ha consentito di individuare aree utilizzate per smaltimenti illeciti, nonché coinvolgimenti di importanti aziende (apparentemente legali) in tali traffici.
È infine il caso di evidenziare il ruolo svolto dalla polizia provinciale di Latina che - in quel territorio - sta dispiegando una costante attenzione al tema dei reati connessi al ciclo dei rifiuti. I risultati sin qui ottenuti dimostrano come l'attento controllo del territorio da parte degli organismi preposti consenta di prevenire danni (a volte irreversibili) all'ambiente. In relazione a ciò, la Commissione ritiene di dover sollecitare le altre provincie italiane ad un utilizzo ugualmente positivo dei rispettivi Corpi di polizia.

5. L'attività ispettiva della Commissione.

Delegazioni della Commissione hanno effettuato numerosi sopralluoghi presso una serie di siti che rivestivano un particolare interesse per diversi motivi. Si è già detto nei precedenti paragrafi dei sopralluoghi (e dei rispettivi esiti) a Pontinia ed a Riano. Per quanto concerne gli altri siti visitati, è possibile effettuare una prima suddivisione. Quattro aree riguardano quello che è stato definito il «riciclaggio fantasma»: la Commissione si è infatti recata presso un presunto impianto di recupero nel comune di Pomezia, posto sotto sequestro dalla procura di Roma dopo una segnalazione dell'azienda sanitaria locale; ha poi preso visione di altri due presunti impianti di recupero nel comune di Ardea ed in quello di Monterotondo, entrambi posti sotto sequestro


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dalla procura di Roma dopo l'intervento del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri; il quarto impianto della serie era situato a Latina, ed è stato posto sotto sequestro dalla locale autorità giudiziaria su segnalazione della polizia provinciale.
In tutti questi casi la Commissione ha potuto osservare come i rifiuti - secchi e umidi - fossero stati abbandonati in tali magazzini, cominciando a percolare con gravi rischi di inquinamento. Sulla base di quanto scritto sulle buste e di altri elementi indicatori, era evidente la provenienza dalla provincia di Milano (e dalla città di Milano, in particolare, per quanto riguarda il capannone di Latina). È stato quindi possibile verificare il grave stato di degrado ambientale determinato da tali attività criminali, degrado che si somma al meccanismo di truffa già descritto nel precedente capitolo.
Gli altri sopralluoghi della Commissione hanno riguardato l'impianto di Colfelice, la BPD Difesa e Spazio di Colleferro e la ex Chimeco di Guidonia. Di tali siti si è ritenuto opportuno presentare una sintetica descrizione.

5.1. Impianto di Colfelice.
I rifiuti pervenuti all'impianto vengono pesati ed inviati ad una fossa di ricezione chiusa e posta in depressione, da dove passano a due linee di selezione che provvedono automaticamente a separare dagli scarti non riciclabili il ferro, i film di plastica, nonchè la sostanza organica grezza, che sarà poi trasformata in compost. I materiali grezzi separati vengono quindi avviati a reparti satelliti per il trattamento, per la depurazione e per il confezionamento finale. Vengono inviati a questi reparti in particolare il ferro, la carta e la plastica. Invece la sostanza organica grezza proveniente dal reparto di selezione primaria giunge nella sezione di compostaggio e viene scaricata in un bacino di fermentazione aerobica, da dove - dopo l'omogeneizzazione e la movimentazione - il materiale viene trasferito al reparto di raffinazione. L'intero ciclo di compostaggio è comandato dagli operatori da una sala comando panoramica. Nel reparto di raffinazione vengono separati i materiali inerti ed i contaminanti dalla frazione organica trasformata in compost, che viene depositato in un apposito locale e costipato in cumuli.
Al fine di eliminare gli odori che provengono dalla diverse sezioni dell'impianto in cui è presente sostanza organica compostabile, il sistema di depolverazione (insufficiente allo scopo) è stato integrato da un nuovo sistema di depolverazione ad umido seguito da un biofiltro.
Va segnalato il fatto che tutti i prodotti ottenuti nell'impianto, ad eccezione degli scarti non riciclabili che vanno in discarica, hanno trovato già una collocazione sul mercato presso varie ditte.
La Commissione ha ricavato una positiva impressione dall'impianto di Colfelice e dalla sua gestione, anche in termini di norme di sicurezza ed ambientali: si tratta di un impianto che si pone sul mercato nazionale come un esempio da imitare. In particolare, il sistema di aspirazione e trattamento degli odori attraverso un biofiltro risulta all'avanguardia ed è auspicabile che possa essere preso a modello dai numerosi impianti di compostaggio, installati specie nel centro-sud, che ne sono ancora sprovvisti.

5.2. BPD Difesa e Spazio di Colleferro.
L'insediamento industriale BPD è situato a nord-ovest dell'abitato di Colleferro: la superficie totale interessata dallo stabilimento è di circa 1000 ettari, quella coperta è di 280.000 mq. Le strade interne allo stabilimento si sviluppano per 60 Km, la fognatura chimica per 18 Km, la rete dei collettori dei servizi per 170 Km e la fognatura delle acque bianche per 40 Km.
I residui delle lavorazioni chimiche, prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, sono stati nel tempo sotterrati ed accumulati in due aree interne allo stabilimento, aventi ciascuna una superficie di circa 10.000 mq. Tali residui giacciono tuttora in queste aree (chiamate ARPA 1


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e ARPA 2) che hanno profondità comprese tra i due ed i dieci metri, per un volume complessivo valutabile in 70.000 mc. Le due aree fino al febbraio 1984 sono state soggette a sequestro a causa di un procedimento giudiziario, e le indagini effettuate dai periti incaricati dalla pretura circondariale di Velletri hanno accertato la contaminazione delle acque superficiali.
Vi è inoltre da considerare la presenza all'interno dell'area dello stabilimento di una ex cava di pozzolana, dismessa da molti decenni, avente una superficie di circa 7.000 mq. L'attività estrattiva ha comportato nel tempo la formazione di una serie di terrazzamenti a varie quote fino ad una profondità di cinquanta metri. Tale cava, tra la fine degli anni settanta ed il dicembre 1985, è stata utilizzata come discarica per rifiuti speciali provenienti dalle lavorazioni dello stabilimento con una specifica autorizzazione regionale. I rifiuti - ancora oggi presenti - provenivano essenzialmente dalla lavorazione di carri ferroviari e dalle lavorazioni chimiche e dei propellenti.
Attualmente i campioni di terreno misto a materiale vario delle aree ARPA 1 e ARPA 2 presentano elevate concentrazioni di arsenico, al punto da farlo classificare come tossico e nocivo (pericoloso ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997). Inoltre, alcune porzioni di terreno hanno eluati per il cadmio pari a dieci volte il limite della tabella A della legge n. 319 del 1976, il che significa che l'eventuale smaltimento deve avvenire in discarica di tipo 2B super, mentre altre porzioni hanno valori di eluato per il piombo superiori a dieci volte il limite e quindi possono essere smaltiti solo in discarica di tipo 2C. Anche le acque di falda superficiale risultano contaminate da metalli e da prodotti organoclorurati rispetto ai limiti del decreto del Presidente della Repubblica n. 236 del 1988. Da una visione complessiva del quadro analitico risultano concentrazioni anomale di pesticidi nelle acque e nei terreni sottostanti alle aree ARPA 1 ed ARPA 2.
Esiste un progetto di bonifica di tali aree, redatto sulla base delle indicazioni contenute nella deliberazione della giunta regionale del Lazio n. 12249 del 29 dicembre 1993. L'intervento di bonifica proposto consisterà:
nell'asporto totale dei materiali presenti nei siti ARPA 1 ed ARPA 2;
nel rivoltamento dei materiali presenti nell'area della ex cava di pozzolana;
nella realizzazione di una vasca di stoccaggio definitivo dei rifiuti asportati, realizzata secondo le caratteristiche tecniche di una discarica di categoria 2C.

A questo proposito, la Commissione deve rilevare che il progetto risulta carente in alcuni punti ed in particolare si evidenzia che manca una valutazione di rischio nel considerare l'opzione della discarica di tipo 2C, né si sono considerati interventi di messa in sicurezza del sito prima dell'intervento di bonifica. Inoltre non è stata considerata la bonifica della falda superficiale, così come non si è tenuto conto della termodistruzione di alcune porzioni di terreno contenenti tipologie di materiali prevalentemente organici.
In sostanza, quella che viene indicata come una bonifica appare più che altro un trasferimento dei materiali da un sito ad un altro a questo prossimo, senza prendere in considerazione, ad esempio, trattamenti di inertizzazione per ridurre il rischio ed i costi di smaltimento, poiché il materiale inertizzato potrebbe essere smaltito in discarica di tipo 2B anziché in discarica di tipo 2C.

5.3. Ex Chimeco di Guidonia.
L'impianto Chimeco di Guidonia avviò la sua attività nel 1984, quando la Ecolchimica Italia srl ottenne un'autorizzazione in via provvisoria, fino al 31 dicembre 1985, ad esercitare attività di trattamento ed innocuizzazione di fanghi e di residui industriali.
La società Ecolchimica dopo numerose vicissitudini venne ceduta in affitto il 4


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gennaio 1987 alla Ecolchimica Italia srl, che variò il 5 giugno 1987 la propria ragione sociale in Chimeco srl, ottenendo un rinnovo della suddetta autorizzazione. Nel 1989 venne accertato che la Chimeco scaricava rifiuti liquidi in fognatura al di fuori di ogni controllo e pertanto venne eseguito il sequestro dell'impianto. Dopo tre mesi l'impianto venne dissequestrato, mentre veniva avviata un'azione penale nei confronti del titolare della Chimeco per violazione della normativa ambientale di riferimento.
Nel 1992 è stata sospesa l'autorizzazione allo stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali nonché l'autorizzazione allo scarico. Il 9 dicembre 1997 il presidente della giunta regionale del Lazio ha ordinato alla nuova proprietà che ha rilevato la Chimeco srl, la Tiburtina Gestioni srl, di procedere allo smaltimento dei rifiuti pericolosi e speciali non pericolosi dello stabilimento, nonchè alla bonifica dell'area secondo ben precise modalità e sotto il diretto controllo dell'amministrazione provinciale di Roma, del servizio SPISSL della USL Roma G di Guidonia, del PMP e del comando carabinieri del NOE competente per territorio. Si stima che nei serbatoi e nelle vasche siano presenti circa 2.500 mc di rifiuti liquidi.
I rifiuti raccolti quando l'impianto era in funzione sono stati accumulati dal gestore in modo promiscuo e mescolati indiscriminatamente tra di loro, sicché è molto difficile allo stato attuale individuare i rifiuti originari. In ogni caso, tutti i rifiuti presenti sono da classificare tossici e nocivi, contrariamente a quanto riportato nell'autorizzazione che prevedeva il trattamento di rifiuti speciali.
La Commissione ha potuto rilevare come lo stato dell'impianto versi in condizioni di completa fatiscenza e gran parte delle apparecchiature , arrugginita, non sia più idonea ad essere rimessa in marcia; inoltre, i fenomeni di corrosione delle apparecchiature metalliche sono tali che da alcune di esse fuoriescono i liquidi stoccati, mentre alcuni serbatoi sono in una situazione precaria quanto a stabilità. È evidente che l'impianto va messo urgentemente in sicurezza. A questo proposito, si deve rilevare che la società Tiburtina Gestioni ha elaborato un programma di interventi, che deve realizzare la società Sir. Tuttavia, una recente nota della locale stazione dei carabinieri ha evidenziato che permane a tutti gli effetti la situazione di rischio.

6. L'azione e l'attività di controllo delle associazioni ambientaliste.

La Commissione ha ascoltato in varie occasioni le associazioni ambientaliste, che hanno anche fornito una ricca documentazione. È stata registrata la denuncia fatta dalle associazioni in merito al ritardo accumulato in questa regione per quanto riguarda l'avvio di una gestione dei rifiuti centrata sul recupero dei materiali. Le associazioni hanno evidenziato che è ancora troppo elevata la quantità di rifiuti che quotidianamente finisce in discarica, mentre i programmi di raccolta differenziata sarebbero pochi e di scarsa rilevanza.
Più nello specifico, da parte dell'associazione Legambiente, è venuto l'allarme in merito a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda le provincie meridionali del Lazio, ed è stata rilevata la grave situazione determinatasi a causa del già citato «riciclaggio fantasma». Nella documentazione prodotta da tale associazione viene, tra l'altro, posto in evidenza tale specifico aspetto, giudicato quale una delle più rilevanti cause dell'attuale stato di ritardi e di mancata attuazione della normativa nazionale. L'associazione WWF ha rilevato da parte sua come il ritardo nella raccolta differenziata e nel recupero possa oggettivamente favorire la scelta di realizzare diversi impianti di termocombustione nella regione, tecnologia che comporterebbe rischi anche di carattere sanitario per i cittadini. Infine l'associazione Ambiente e/è vita ha segnalato alla Commissione l'esistenza di numerose aree inquinate, anche nel comune di Roma, ed ha


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denunciato situazioni di monopolio nel campo dei rifiuti speciali. È stata poi segnalata l'attività di una società di gestione dei rifiuti industriali, segnalazione sulla quale la Commissione ha effettuato indagini i cui esiti sono stati poi trasmessi all'autorità giudiziaria.

Conclusioni.

La pur fitta attività svolta dalla Commissione e l'interesse con il quale è stata costantemente seguìta la situazione della regione Lazio non esauriscono di certo tutte le complesse tematiche concernenti le varie attività connesse al ciclo dei rifiuti attualmente in essere nell'ampio territorio in esame.
Le varie situazioni esaminate in dettaglio consentono tuttavia di trarre conclusioni sia sullo stato della normativa regionale e sul connesso livello di attuazione, sia sull'attività di controllo svolta dai pubblici poteri, sia sui ruoli svolti dai vari soggetti coinvolti nell'affare rifiuti, ivi compresi i soggetti che operano nell'ambito della criminalità comune ed organizzata e quelli che svolgono attività di carattere imprenditoriale.
Per quanto concerne la normativa regionale, è stato già posto in evidenza che la regione, sia pure non con la dovuta tempestività, ha ottemperato alla prima fase delle prescrizioni del decreto legislativo n. 22 del 1997. Risulta infatti presente nel sistema legislativo regionale la "Disciplina regionale della gestione dei rifiuti" (legge regionale n. 27 del 1998), la quale detta i criteri entro i quali dovrà muoversi il piano regionale e - di conseguenza - i piani provinciali di smaltimento, cui la disciplina fa riferimento. A tale atto normativo non hanno ancora fatto seguito tuttavia i previsti piani - regionale e provinciale - che costituiscono condizione e presupposto per dare concreto avvio alla realizzazione di una gestione a norma del ciclo dei rifiuti. Con ciò non vuole certo intendersi che l'attuale situazione sia da giudicarsi tutta irregolare: il riportato caso della provincia di Frosinone conferma l'esistenza di situazioni che hanno anticipato la corretta realizzazione della nuova politica gestionale disegnata dal cosiddetto «decreto Ronchi».
Per completezza di giudizio, occorre peraltro fare menzione di tutta la normativa preesistente a tale decreto, a tutti gli effetti in gran parte ancora operativa. Si tratta di un complesso di norme, l'ultima delle quali risale al marzo 1996, nelle quali - pur con diverse intensità - risulta evidente lo sforzo del legislatore regionale di dare soluzione alle gravissime situazioni di irregolarità/illiceità presenti nella regione. Situazioni caratterizzate in gran parte da un diffuso abusivismo e da un frequente ricorso alle cosiddette discariche d'emergenza, avviate grazie all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982.
Ogni valutazione, comunque, sull'attività legislativa regionale deve essere misurata con lo stato di attuazione che ad essa viene dato e con il sistema dei controlli, previsti e posti in essere, attuato dagli organi preposti. A tale proposito, occorre in primo luogo dare conto del fatto che solo recentemente la regione Lazio haistituito l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), come espressamenterichiesto dalla legge n.61 del 1994. La struttura non è tuttavia ancora operativa e talefatto, di per sé di grande rilievo in quanto l'ARPA viene indicata dalla legislazione nazionale come il punto di sintesi e di promozione di tutti i controlli in sede ambientale, non esonera dalgiudicare e valutare con accenti critici l'attività della regione e quella delle provincie, quale decisamente debole per quanto riguarda i controlli.
Parimenti debole appare anche il cosiddetto controllo di tipo giudiziario sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti. Trova conferma anche in questa regione che - nonostante la pregevole attività svolta da parte di alcune procure, attività di cui si è dato conto in altra parte di questa relazione - da parte della magistratura è emerso che l'attenzione sui problemi ambientali non ha trovato riscontro in adeguate


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iniziative ed ipotesi processuali atte a portare a sbocchi positivi le pur gravissime aggressioni al territorio generate da illecite attività compiute nel settore rifiuti. Certo, la magistratura laziale soffre ancora di una cultura eccessivamente penalistica, che ha portato a spingere le indagini sul tema dei rifiuti più sulla ricerca di forme di (purtroppo inesistenti) reati ambientali che non sul terreno di cultura che ha consentito - attraverso collusioni tra criminalità, imprenditoria e pubblica amministrazione - il sorgere ed il moltiplicarsi di situazioni abusive, ed il formarsi di enormi patrimoni che hanno alimentato e tuttora alimentano veri e propri cartelli criminali.
Per tale motivo deve essere nuovamente ribadito che l'asse della lotta alla criminalità ambientale va spostato sull'osservazione di parametri diversi da quelli meramente giudiziari, ponendo al centro dell'attività di contrasto i controlli amministrativi, gli accertamenti fiscali e la corretta lettura dei fenomeni economici, ivi comprese le condizioni della libertà del mercato degli appalti. In sintesi, spostare l'osservazione prioritaria dal campo penale a quello economico ed uscire finalmente dall'equivoco che il giudice penale sia titolare e vicario di una funzione di controlli anche di natura amministrativa. Ciò a prescindere dalla necessità di affidare al magistrato penale strumenti più idonei di quelli di cui al momento dispone. In tale direzione va letta anche l'organizzazione dell'attività di polizia giudiziaria, alla quale - a prescindere dalle formule organizzatorie di competenza del Governo e del Parlamento - vanno attribuiti poteri e strumenti adeguati, nonchè professionalità ben definite. A proposito di tale ultimo punto, la Commissione ripropone ancora la questione del potenziamento dell'attività investigativa per il profilo ambientale del Corpo forestale dello Stato.
Per quanto concerne le presenze nel campo dell'illecito ambientale di fenomeni riferibili alla criminalità organizzata, è stato già dato conto del fatto che i pur forti segnali di presenza hanno trovato scarsi riscontri giudiziari. Vi sono deboli riscontri anche per quanto riguarda le connessioni tra attività imprenditoriali, fenomeni di corruzione della pubblica amministrazione e criminalità organizzata. In definitiva, un quadro che «ufficialmente» denuncia come inesistente una situazione ed intrecci di interessi, che invece, unanimemente e da tutte le realtà, sono stati segnalati come fortemente presenti su tutto il territorio regionale. È l'effetto principale dello «strabismo» con il quale sia da parte del legislatore, sia da parte degli amministratori locali, sia da parte della magistratura è sempre stato considerato il fatto ambientale.
Va dato atto che nel territorio regionale l'attività delle associazioni ambientaliste ha portato non soltanto all'emersione di molte delle questioni di cui poi si è dovuta occupare la magistratura, ma è valsa anche quale stimolo e sollecitazione all'attività dei pubblici poteri ed anche quale momento di equilibrio e di mediazione tra le posizioni più estreme di formazioni spontanee di cittadini, che hanno ritenuto in alcuni casi di far valere le proprie ragioni rifiutando ogni soluzione.
Per tale motivo la Commissione ritiene che debbano essere ulteriormente promosse e sostenute le iniziative di natura associativa rivolte a coordinare le varie istanze ed a fornire utili momenti di osservazione e proposta alle autorità responsabili delle decisioni e delle gestioni (3)».

Rifacendosi alle sedute del 14 e del 21 ottobre scorsi, fa presente che le osservazioni formulate dal senatore Lasagna circa un traffico di materiale radioattivo che vedrebbe coinvolta la criminalità romana insieme a quella calabrese sono state inserite nel testo, come anche quelle del Presidente Scalia circa l'opportunità di dedicare un apposito paragrafo alla gestione dei rifiuti nel comune di Roma,

(3) Nel corso dell'audizione del 23 ottobre 1997, il presidente della commissione criminalità della regione Lazio ha annunciato l'approvazione da parte di tale commissione di un osservatorio sulle illegalità ambientali; tale struttura non è stata però ancora approvata dal consiglio regionale.


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anche in previsione dell'aumento enorme di presenze previsto per il prossimo Giubileo.
Del resto, il fatto che non siano stati presentati emendamenti alla proposta in esame dimostra l'adesione di tutti i gruppi politici al contenuto del lavoro svolto: a tale proposito, ringrazia i consulenti e gli uffici di segreteria della Commissione.
Il senatore Franco ASCIUTTI dichiara la piena soddisfazione del gruppo di Forza Italia per il contenuto del documento in esame, che permette di disporre di un quadro assai aggiornato in ordine alla situazione complessiva del traffico dei rifiuti nel territorio laziale.
Ringrazia il relatore per aver prontamente recepito le osservazioni espresse dal senatore Lasagna, nonchè tutti coloro che hanno concorso alla predisposizione del testo.
Il Presidente Massimo SCALIA sottolinea l'ottimo lavoro svolto da tutti i consulenti della Commissione, in particolare del rappresentante dell'Istituto nazionale di geofisica dottor Marchetti, il quale si è occupato dei rilievi relativi ad un presunto smaltimento di fusti contenenti rifiuti in una cava situata a Piana Perina, nel comune di Riano in provincia di Roma.

Fa presente che al testo non sono stati presentati emendamenti.
Non essendovi altre richieste di intervento, pone in votazione la proposta di relazione in precedenza illustrata.
Essa viene approvata.

Comunicazioni del Presidente.

Il Presidente Massimo SCALIA ricorda che nella seduta di domani, giovedì 29 ottobre 1998, alle ore 13, è previsto il seguito dell'esame del documento, predisposto dal gruppo di lavoro coordinato dal Vicepresidente Gerardini, che si occupa degli incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile; fa presente che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle ore 18 di oggi, mercoledì 28 ottobre 1998.

La seduta termina alle 13,30.

N.B.: Il resoconto stenografico sarà pubblicato in un fascicolo a parte.