PROGETTO DI LEGGE - N. 6062




        Onorevoli Colleghi! - L'imposta sulle successioni e donazioni rappresenta uno degli esempi più significativi della situazione di oppressione fiscale nella quale sono costretti i contribuenti italiani. Tale imposta riesce infatti a concentrare in sé il massimo grado di inefficienza economica, irrazionalità amministrativa ed odiosità sociale. Sul piano culturale l'imposta sulle successioni tradisce quella radicata diffidenza di una parte della cultura di questo Paese verso l'istituto della proprietà privata e l'autonomia negoziale. Il prelievo con aliquote che possono raggiungere livelli confiscatori (attualmente l'aliquota massima è del 33 per cento del patrimonio!) sugli acquisti mortis causa è normalmente giustificato con la circostanza che si tratta di attribuzioni patrimoniali non "meritate". Tale conclusione è in realtà sbagliata ed irrilevante, poiché l'acquisto per via ereditaria è pienamente giustificato dal risparmio accumulato in vita dal testatore e dall'atto di destinazione compiuto dal medesimo (anche nella forma del silenzio nel caso di successione non testamentaria). Il rispetto delle ultime volontà degli individui oltre a costituire una delle più alte e radicate forme di civiltà giuridica, rappresenta anche la tutela maggiore dell'autonomia negoziale e della libertà dei soggetti privati. In ogni caso, la questione circa la legittimità degli acquisti ereditari risulta del tutto irrilevante dal punto di vista fiscale, a meno di non voler attribuire alla leva fiscale anche una funzione etico-morale che le è del tutto estranea.
        Un'eco della impostazione fondamentalmente moralistica della disciplina dell'imposta sulle successioni si riscontra anche nell'andamento delle aliquote che variano in misura assurda in funzione dell'ammontare dell'asse ereditario e del grado di parentela passando dal 3 al 33 per cento! Una progressività del tutto ingiustificabile se non in una logica di "punizione della ricchezza".
        L 'imposta sulle successioni risulta anche del tutto inefficiente dal punto di vista economico. Tale imposta rappresenta infatti un'ipotesi specifica di imposta sul patrimonio e come tutte le imposte patrimoniali presenta gravi controindicazioni. Il prelievo fiscale sul capitale costituisce in primo luogo un forte disincentivo al risparmio, poiché garantisce un migliore trattamento fiscale per coloro che consumano interamente il proprio reddito. Una distorsione della propensione al consumo che risulta tanto più grave nel caso dell'imposta sulle successioni, poiché riduce nella fase conclusiva dell'esistenza di ciascuno gli incentivi a mantenere elevati tassi di risparmio.
        In generale, le imposte patrimoniali indeboliscono il sistema economico nel suo complesso perché ne riducono la capitalizzazione e quindi la capacità di crescita e di sviluppo tecnologico. Ciò, è tanto più vero nel caso delle imposte di natura straordinaria, quale quella sulle successioni, che per loro natura non possono essere assunte all'interno degli ordinari piani di gestione dei titolari dei beni. Se infatti un'imposta patrimoniale periodica con aliquote modeste può essere gestita dal contribuente come se fosse una normale imposta sul reddito (fermo restando il disincentivo fiscale al risparmio), nel caso dell'imposta sulle successioni la straordinarietà dell'acquisto - unita alle aliquote elevatissime - spesso costringe il titolare ad una dismissione forzata di una parte del patrimonio al solo scopo di assolvere l'imposta. Si aggiunga la considerazione che l'imposta sulle successioni rappresenta l'ultimo anello di una catena di imposizione multipla sul risparmio. La quota di reddito accantonata per risparmio, tassata al momento della sua formazione, è ulteriormente tassata quando diventa a sua volta produttiva di reddito, quando è soggetta alle varie forme di imposta patrimoniale presenti, per poi essere tassata da ultimo al momento della successione ereditaria.
        Anche sul piano della gestione amministrativa l'imposta sulle successioni presenta un bilancio del tutto fallimentare. Nonostante il rigore formale della disciplina, con aliquote sostanzialmente confiscatorie, il gettito complessivo dell'imposta non supera (secondo i dati del bilancio relativo al 1998) i 1.300 miliardi di lire. In realtà proprio l'insostenibilità del prelievo induce, soprattutto nei casi dei grandi patrimoni, a ricorrere a forme di trasferimento intergenerazionale fiscalmente meno onerose. Tale fenomeno accentua l'ingiustizia complessiva dell'imposta che finisce per colpire soprattutto i patrimoni di dimensioni medio-piccole, costituiti da cespiti di natura prevalentemente immobiliare, i quali più difficilmente possono sottrarsi al prelievo. Alla fine dei conti l'imposta sulle successioni si traduce nell'ennesima forma di tassazione sulla casa! Anche sul piano della ragione fiscale l'imposta sulle successioni si presenta irrazionale, considerato che probabilmente il gettito complessivo non copre nemmeno i costi di esazione. Tale imposta è oramai una delle poche per le quali non sia prevista l'autoliquidazione da parte del contribuente, ma un procedimento di liquidazione d'ufficio. Tale scelta, dovuta alla particolare complessità tecnica delle modalità di calcolo, determina però un grande spreco di risorse amministrative, che potrebbero essere più proficuamente impiegate in altri settori dell'amministrazione finanziaria.
        Analoghe considerazioni valgono per l'imposta sulle donazioni.
        Se nonostante tutto ciò l'imposta sulle successioni e donazioni è mantenuta in vita, ciò è dovuto a ragioni sostanzialmente ideologiche. Per queste ragioni si propone con la presente proposta di legge l'abrogazione delle disposizioni vigenti in materia.




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