Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Modifiche agli articoli 74 e 77 della Costituzione, sulla facoltà di rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica e sui limiti costituzionali alla decretazione d'urgenza
Riferimenti: AC N.3145/XVIII AC N.3226/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 489
Data: 20/10/2021
Organi della Camera: I Affari costituzionali

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Modifiche agli articoli 74 e 77 della Costituzione, sulla facoltà di rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica e sui limiti costituzionali alla decretazione d'urgenza

 

AA.C. 3145 e 3226

 

 

 

 

 

 

 

n. 489

 

 

 

20 ottobre 2021

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: AC0528.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica (Art. 1 pdl cost. A.C. 3145 e art. 1 pdl cost. A.C. 3226)                                                           3

§  Modifiche in materia di decreti-legge (Art. 2 pdl cost. A.C. 3145)                11

Focus

§  I presupposti di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost.                         23

§  L’omogeneità del contenuto dei decreti-legge                                              29

§  La decretazione d’urgenza nei progetti di riforma costituzionale                 39

 

 


Schede di lettura

 


Rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica
(Art. 1 pdl cost. A.C. 3145 e art. 1 pdl cost. A.C. 3226)

 

Le proposte di legge costituzionale A.C. 3145 Baldino e A.C. 3226 Ceccanti modificano l'articolo 74 della Costituzione sul potere di rinvio delle leggi da parte del Presidente della Repubblica, stabilendo che il Presidente possa procedere ad una "promulgazione parziale".

 

Costituzione
Testo vigente

A.C. 3145

A.C. 3226

Articolo 74

 

 

Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.

Identico

Identico

 

Il Presidente della Repubblica promulga le leggi di conversione dei decreti-legge limitatamente alle disposizioni conformi all'articolo 77, quarto comma. Per le disposizioni non conformi ai requisiti ivi previsti si applica il primo comma.

Il Presidente della Repubblica può richiedere una nuova deliberazione limitatamente ad una o più parti di una legge qualora la parte non oggetto del rinvio possa autonomamente sussistere. In tale caso procede alla promulgazione della parte che non ha costituito oggetto del rinvio. Nel caso delle leggi di conversione dei decreti-legge possono essere oggetto di rinvio parziale soltanto le disposizioni introdotte dalle Camere.

Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.

Se le Camere approvano nuovamente la legge o, nel caso di cui al secondo comma, la parte di essa oggetto del rinvio, queste devono essere promulgate.

Se le Camere approvano nuovamente la legge, o le sue parti rinviate, il Presidente della Repubblica procede alla promulgazione.

 

In particolare, la proposta di legge A.C. 3145 consente tale facoltà con riferimento ai disegni di legge di conversione di decreti legge. A tal fine aggiunge - al comma 1, lettera a) - un nuovo (secondo) comma all'articolo 74 della Costituzione al fine di stabilire che "Il Presidente della Repubblica promulga le leggi di conversione dei decreti-legge limitatamente alle disposizioni conformi all'articolo 77, quarto comma. Per le disposizioni non conformi ai requisiti ivi previsti si applica il primo comma".

In base al richiamato primo comma dell'art. 74 della Costituzione - nel testo vigente non modificato dalla proposta di legge - "Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione".

A sua volta, l'articolo 77 della Costituzione è oggetto di modifiche ed integrazioni da parte dell'articolo 2 della proposta di legge (si v. infra), a seguito delle quali i commi quarto e quinto così dispongono:

«I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (nuovo quarto comma art. 77 Cost, corrispondente al vigente terzo comma).

I decreti e le leggi di conversione devono contenere soltanto disposizioni specifiche e di immediata applicazione, aventi contenuto omogeneo e corrispondente al titolo. Non possono disciplinare materie per le quali è prescritta la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere, né attribuire poteri regolamentari né rinnovare disposizioni adottate con decreti non convertiti (nuovo quinto comma art. 77 Cost.)».

Sotto il profilo della formulazione del testo, all'articolo 1, lettera a) della pdl C. 3145 si valuti pertanto l'opportunità di richiamare il quinto comma dell'art. 77 Cost. - in luogo del quarto comma - considerato che il quinto comma riguarda i requisiti richiesti al decreto-legge e “costituzionalizzati” dalla proposta di legge (mentre il quarto comma concerne l'efficacia dei decreti-legge nel caso di mancata conversione nei termini e la possibilità di regolare i rapporti giuridici sorti) - v. infra art. 2.

 

La seconda modifica disposta dalla proposta di legge A.C. 3145 al comma 1, lettera b) interviene sull'articolo 74, secondo comma, della Costituzione prevedendo che se le Camere approvano nuovamente la legge o, nel caso di cui al secondo comma (rinvio parziale), la parte di essa oggetto del rinvio, queste devono essere promulgate. Viene dunque integrata l'attuale previsione costituzionale con il riferimento espresso al caso di rinvio di una sola parte del disegno di legge di conversione, in correlazione con la modifica prevista al primo comma dell'art. 74 della Costituzione.

 

Nella relazione illustrativa della pdl C. 3145 si evidenzia che "l'introduzione dell'ipotesi della promulgazione della parte del testo non oggetto di rinvio da parte del Capo dello Stato risponderebbe all'esigenza di accelerare il processo di formazione delle leggi, senza circoscrivere il potere di riesame delle Camere, evitando che esse, approfittando del rinvio, possano rimettere in discussione l'intero testo, anche nelle parti non censurate. "Lo strumento novativo consentirebbe, infatti, in sede di riesame del testo legislativo già precedentemente approvato, di non soffrire di alcuna coartazione, né di merito né procedurale, da parte del Presidente della Repubblica, pena la trasformazione della sua funzione di controllo in un potere co-legislativo. In caso di rinvio, così come le Camere non sono tenute ad accogliere i rilievi del Capo dello Stato, parimenti non possono vedere l'esercizio della loro funzione legislativa circoscritto alle sole parti del testo legislativo oggetto del rinvio. Peraltro, in relazione alle leggi di conversione dei decreti-legge, si prevede il rispetto dell'articolo 77 della stessa Costituzione, anch'esso oggetto di modifica. Nulla, quindi, potrebbe impedire alle Camere, nell'esercizio della loro potestà legislativa, di esaminare l'intero testo, anche nelle parti non oggetto di rinvio, introducendo modifiche che potrebbero anche entrare in contrasto con la parte del testo non promulgata, ponendo il Capo dello Stato in una situazione istituzionale di grave incertezza, per evitare la quale l'unica soluzione è, appunto, quella di consentirgli contestualmente, in sede di primo esame, il rinvio e la promulgazione parziale".

 

A sua volta, la proposta di legge A.C. 3226 Ceccanti consente la facoltà di rinvio parziale, oltre che dei disegni di legge di conversione di decreti legge anche delle leggi ordinarie. Nel caso di conversione di decreti-legge specifica che "possono essere oggetto di rinvio parziale soltanto le disposizioni introdotte dalle Camere".

A tal fine dispone - al nuovo secondo comma dell'art. 74 Cost. - che il Presidente della Repubblica può richiedere una nuova deliberazione limitatamente ad una o più parti di una legge "qualora la parte non oggetto del rinvio possa autonomamente sussistere". In tale caso procede alla promulgazione della parte che non ha costituito oggetto del rinvio. Nel caso delle leggi di conversione dei decreti-legge possono essere oggetto di rinvio parziale soltanto le disposizioni introdotte dalle Camere.

Infine, all'ultimo comma dell'art. 74 Cost. inserisce - analogamente alla pdl C. 3145 - il riferimento espresso al caso di rinvio parziale disponendo che se le Camere approvano nuovamente la legge, o le sue parti rinviate, il Presidente della Repubblica procede alla promulgazione.

La proposta di legge C. 3226 introduce quindi il requisito della "vita autonoma" delle disposizioni che possono essere oggetto di rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica, unitamente al riferimento alle sole disposizioni introdotte dalle Camere durante l'iter di conversione (nel caso di conversione di decreti-legge).

 

Nella relazione illustrativa della pdl C. 3226 si richiama la lettera inviata il 23 luglio 2021 dal Presidente della Repubblica sul tema dell'eterogeneità di materie inserite nel corso dell'iter di conversione del decreto-legge e si ricorda che in taluni casi la Presidenza della Repubblica, che ha già dato il suo assenso alla presentazione del decreto-legge, valutando – pur in maniera informale – sia i requisiti di necessità e urgenza sia la sua omogeneità, si trova, "nel caso di inserimento di ulteriori discusse disposizioni, anche per le diverse prassi tra le due Camere, a dover scegliere tra due opzioni entrambe riduttive: far decadere insieme a queste ultime disposizioni anche quelle originariamente emanate, oppure dover approvare le prime pur di non mettere a rischio anche le seconde".

 

 

Relativamente al rinvio del Presidente della Repubblica ex art. 74 Cost. si rammenta che, con la lettera trasmessa il 22 febbraio 2011 ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, il Capo dello Stato - richiamando il percorso fin lì svolto da un disegno di legge di conversione, che aveva visto l'aggiunta di numerose disposizioni «estranee all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i princìpi e le norme della Costituzione», e sottolineando che i 5/6 del tempo concesso dall'art. 77, terzo comma, Cost. per la conversione dei decreti-legge erano stati consumati per l'esame in prima lettura da parte del Senato conclusosi con la votazione di un "maxi-emendamento" del Governo - ribadiva in maniera più puntuale i rilievi critici già avanzati nella comunicazione del 22 maggio 2010 relativi alla tecnica legislativa e prefigurava possibili soluzioni, che però partivano dall'ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale di sessanta giorni.

 

In particolare il Presidente segnalava che l'inserimento nei decreti di norme non conformi al contenuto degli stessi, non omogenee e «spesso» prive del carattere di straordinarietà e urgenza si poneva «in contrasto con i principi sanciti all'art. 77 della Costituzione e dall'articolo 15, comma 3, della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988 recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari». Come possibile causa ostativa al rinvio, stavolta il Presidente della Repubblica evocava anche la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha sancito l'illegittimità della prassi della cd. reiterazione dei decreti decaduti: «è questa la ragione per la quale vi sono solo due precedenti in cui tale facoltà è stata esercita nei confronti di disegni di legge di conversione di decreti legge dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 1996 […]». Quindi, in merito alla possibile decadenza del decreto-legge, suggeriva due possibili soluzioni: la prima consistente nel sanare con legge gli effetti già prodotti dal provvedimento governativo ai sensi dell'art. 77 co. 3 Cost., riproponendo con uno o più nuovi provvedimenti legislativi - anche d'urgenza - le norme introdotte in sede di conversione conformi al dettato costituzionale; l'altra in una parziale reiterazione del testo originario del decreto-legge, a fronte del fatto che la cessazione degli effetti del decreto non sarebbe stata la conseguenza di una mancata conversione bensì di una richiesta di riesame del capo dello Stato. La lettera si chiudeva evidenziando che, qualora non fosse stato possibile modificare il testo approvato dal Senato, il Presidente si riservava «di suggerire l'opportunità di adottare successivamente possibili norme interpretative e correttive, qualora [avesse ritenuto], in ultima istanza, di procedere alla promulgazione della legge» e che comunque, di fronte a un caso analogo, in futuro non avrebbe esitato ad operare un rinvio.

 

Richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, nella missiva inviata al Presidente del Consiglio e ai Presidenti delle Camere il 23 febbraio 2012, il Capo dello Stato richiamava nuovamente l'attenzione dei Presidenti sulla necessità di limitare in sede di conversione l'ammissibilità degli emendamenti a quelli strettamente attinenti all'oggetto e alle finalità perseguite dal decreto legge-originario; tornando a proporre possibili soluzioni che - partendo dall'ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale - ovviassero alla forzata compressione del suo potere di rinvio.

Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto rilevanza alle circostanze che, in ordine ai decreti-legge in scadenza, impediscono "di fatto allo stesso Presidente della Repubblica di fare uso della facoltà di rinvio delle leggi ex art. 74 Cost., non disponendo, tra l'altro, di un potere di rinvio parziale": lo ha fatto - anche richiamando la citata corrispondenza ai fini del suo sindacato - con la sentenza n. 32 del 2014.

Per ulteriori approfondimenti si veda infra il Focus su L’omogeneità del contenuto dei decreti-legge.

 

 

 

La prassi della promulgazione parziale nella Regione Sicilia

 

Diverse pronunce della Corte costituzionale (si veda, per una ricostruzione generale, la sentenza n. 314 del 2003) hanno ripercorso il quadro in cui si inserivano le previsioni  della Regione Siciliana in cui il procedimento di impugnazione presso la Corte costituzionale si caratterizzava per alcune particolarità. Successivamente, è intervenuta sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 255 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di taluni profili.

Nelle pronunce della Corte si ricorda come in precedenza le peculiarità configuravano un sistema: (a) preventivo, anteriore alla promulgazione e pubblicazione, pur non essendo necessariamente preventiva la pronuncia della Corte costituzionale, potendo questa intervenire a legge promulgata e pubblicata, cioè successivamente alla decorrenza del termine previsto dall’art. 29 dello Statuto; (b) non preceduto dal rinvio all’Assemblea legislativa e quindi da una seconda deliberazione di questa; (c) svolgersi in termini particolarmente brevi; (d) promosso da un organo, il Commissario dello Stato, specificamente previsto dallo Statuto siciliano, nel quadro dei rapporti da questo originariamente tracciati tra Regione e Stato.

Dapprima con la sentenza n. 38 del 1957 (cui si è uniformata la giurisprudenza successiva, a partire dalle sentenze n. 111 e n. 112 del 1957), la Corte ha riconosciuto la permanenza in vita dello speciale procedimento previsto originariamente per l’impugnativa delle leggi siciliane, osservando che "le particolari forme e condizioni di autonomia di cui è parola nell’art. 116 della Costituzione [anteriore alla riforma del 2001] (…) giustificano le particolarità dell’impugnazione delle leggi siciliane (…) e dei termini relativi. L’esistenza di un organo speciale autorizzato a promuovere le questioni di legittimità – il Commissario dello Stato –, e i termini più brevi che l’art. 28 stabilisce, perché l’impugnativa sia valida, bene si inseriscono nella particolare forma di autonomia riconosciuta alla Regione siciliana. E lo stesso è da dire del termine di venti giorni per la decisione della Corte (art. 29), fermo restando, peraltro, nei rapporti di detto termine, il carattere ordinatorio, quale, del resto, è stato già ammesso nella prassi dell’Alta Corte per la Sicilia".

La Corte ha ricordato che il carattere ordinatorio del termine predetto ha aperto ulteriori problemi. Innanzitutto, con le sentenze n. 9 e n. 60 del 1958 e n. 31 del 1961, si è precisato che il decorso del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 29 dello Statuto per la comunicazione della decisione di annullamento della Corte, "crea non già un obbligo perentorio di promulgazione e pubblicazione immediata, ma soltanto una facoltà della Regione di promulgare e pubblicare la legge anche in pendenza del proposto giudizio di legittimità" e che "l’esercizio di tale facoltà rientra nell’apprezzamento e, quindi, nella responsabilità degli organi della Regione", restando peraltro indiscutibile che "la successiva decisione della Corte, che eventualmente dichiari la illegittimità costituzionale della legge, opera giuridicamente nella pienezza dei suoi effetti, del tutto identici a quelli che avrebbe se la promulgazione e la pubblicazione non fossero avvenute".

La Corte ha ricordato come, in pendenza dell’impugnazione, si è sviluppata la prassi della "promulgazione e pubblicazione parziali" della legge, con omissione delle parti sottoposte al giudizio di costituzionalità: una prassi dettata dal duplice intento di non impedire alla delibera legislativa di entrare in vigore come legge, almeno per le parti indenni da censure e, al contempo, di evitare le responsabilità anche giuridiche che sarebbero potute derivare a carico degli organi politici e amministrativi regionali, che avessero posto in esecuzione una legge, nella parte censurata e poi dichiarata incostituzionale.

Con le sentenze n. 142 del 1981 e n. 13 del 1983, la Corte “ha preso atto di questa certamente anomala prassi e, sulla base del principio di non frazionabilità nel tempo e nell’oggetto della promulgazione, espressione di un potere che si esaurisce in un solo atto di esercizio, ha considerato che le parti impugnate, escluse dalla promulgazione medesima, non sarebbero state più suscettibili di altra, successiva promulgazione, anche nell’ipotesi di una pronuncia di non-incostituzionalità che le avesse riguardate. Conseguentemente, in presenza della promulgazione parziale, ha ritenuto essersi verificata la cessazione della materia del contendere: esito che consegue anche all’ipotesi, frequente, di promulgazione integrale con contestuale approvazione di legge abrogativa o sostitutiva delle disposizioni sottoposte al controllo di costituzionalità (v., ad esempio, sentenze n. 466 del 1994; n. 64 del 1995; n. 456 del 1999)”.

“La configurazione del controllo di costituzionalità sulle leggi siciliane, in base agli articoli 28 e 29 dello Statuto, è venuto ormai stabilmente a connotarsi, nonostante l’anomalia del potere del Presidente della Regione di scindere l’atto legislativo con la promulgazione della parte della legge che non è stata impugnata, e con l’abbandono di quella che lo è stata, pur sostenuta dalla deliberazione dell’Assemblea legislativa, non diversamente da quella promulgata; potere che, con la sentenza n. 205 del 1996, si è inteso razionalizzare almeno entro i rapporti politico-fiduciari che collegano l’Assemblea legislativa e l’esecutivo regionale”.

Nella sentenza n. 2015 del 1996 la Corte Costituzionale ha ricordato che la prassi di promulgazione parziale se determina, secondo la giurisprudenza della  Corte, la consumazione del potere di promulgazione del Presidente della Regione Siciliana (v. sentenze nn. 13 del 1983; 84, 235, 421, 435, 437 e 470 del 1994, 64 del 1995) non inibisce certo all'Assemblea il successivo esercizio della potestà legislativa.

In seguito, con la sentenza n. 255 del 2014 la Corte ha evidenziato che, secondo il consolidato orientamento della propria giurisprudenza, la «clausola di maggior favore» ha imposto di svolgere un confronto fra gli istituti previsti dagli statuti speciali e le analoghe previsioni contenute nel titolo V della parte seconda della Costituzione, al fine di compiere un giudizio di preferenza, nel momento della loro applicazione, privilegiando le norme costituzionali che prevedono forme di autonomia «più ampie» di quelle risultanti dalle disposizioni statutarie (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2007, n. 175 del 2006, n. 145 del 2005, n. 236 del 2004, n. 314, n. 274, n. 103 e n. 48 del 2003 e n. 408 del 2002, nonché ordinanza n. 377 del 2002).

La Corte ha altresì ricordato che il richiamato sistema di controllo delle leggi regionali della regione Sicilia è stato profondamente mutato dalla giurisprudenza della Corte.

Pertanto, il regime di controllo delle leggi della Regione siciliana era divenuto, quanto agli aspetti principali, sostanzialmente analogo a quello allora previsto per le leggi delle altre Regioni ad autonomia speciale e ordinaria, tutte soggette a un sistema di controllo preventivo.

Con la sentenza n. 255 del 2014 la Corte ha evidenziato che la disciplina del controllo e dell’impugnazione delle leggi regionali costituisce misura idonea per la valutazione comparativa ai fini dell’individuazione del sistema che garantisce il maggior grado di autonomia. Ha evidenziato come l’argomento dell’«eccentricità» della peculiare disciplina statutaria siciliana non possa far premio sull’orientamento costante della giurisprudenza della Corte che, ricorrendo al criterio della prevalenza, ha determinato l’estensione dell’art. 127 Cost. alle altre Regioni ad autonomia differenziata e alle Province autonome, stante la comparabilità dei differenti regimi di controllo di costituzionalità delle loro leggi rispetto alla sopravvenuta disciplina costituzionale. Giova, in particolare, il richiamo alle decisioni relative alla

Ha quindi rilevato come il peculiare controllo di costituzionalità delle leggi dello statuto di autonomia della Regione siciliana – strutturalmente preventivo – è caratterizzato da un minor grado di garanzia dell’autonomia rispetto a quello previsto dall’art. 127 Cost. «La soppressione del meccanismo di controllo preventivo delle leggi regionali, in quanto consente la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale […] si traduce in un ampliamento delle garanzie di autonomia» (ex plurimis, ordinanza n. 377 del 2002).

Sulla base della giurisprudenza della Corte e per effetto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 ha ritenuto doversi estendersi anche alla Regione siciliana il sistema di impugnativa delle leggi regionali, previsto dal riformato art. 127 Cost., atteso che detto regime, alla stregua della summenzionata «clausola di maggior favore», configura una «forma di autonomia più ampia» rispetto al sistema di impugnazione attualmente in vigore per le leggi siciliane (sentenze n. 408 e n. 533 del 2002, nonché ordinanza n. 377 del 2002).

Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale del frammento normativo che manteneva fermo il particolare sistema di controllo delle leggi siciliane non sono più operanti le norme statutarie relative alle competenze del Commissario dello Stato nel controllo delle leggi siciliane, alla stessa stregua di quanto affermato dalla Corte con riguardo a quelle dell’Alta Corte per la Regione siciliana (sentenza n. 38 del 1957), nonché con riferimento al potere del Commissario dello Stato circa l’impugnazione delle leggi e dei regolamenti statali (sentenza n. 545 del 1989). Sicché, ha concluso la Corte, gli artt. 27 (per la perdurante competenza del Commissario dello Stato ad impugnare le delibere legislative dell’Assemblea regionale siciliana), 28, 29 e 30 dello statuto di autonomia non trovano più applicazione, per effetto dell’estensione alla Regione siciliana del controllo successivo previsto dagli artt. 127 Cost. e 31 della legge n. 87 del 1953 per le Regioni a statuto ordinario, secondo quanto già affermato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte per le altre Regioni ad autonomia differenziata e per le Province autonome.

 

 


Modifiche in materia di decreti-legge
(Art. 2 pdl cost. A.C. 3145)

 

L'articolo 2 della pdl C. 3145 detta disposizioni sulla decretazione d'urgenza, ampliando l'attuale disciplina costituzionale di tale fonte normativa attraverso la sostituzione dei commi secondo e terzo del vigente articolo 77 della Costituzione.

 

Costituzione
Testo vigente

A.C. 3145

Articolo 77

 

Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

Identico

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve immediatamente trasmetterli al Presidente della Repubblica, che, accertata la sussistenza dei presupposti e dei requisiti, li emana. Il Governo deve, nel giorno stesso, presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

 

Il disegno di legge di conversione, presentato dal Governo alle Camere, è iscritto all'ordine del giorno dell’Assemblea in tempo utile ad assicurare che la prima deliberazione avvenga non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione.

I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

Identico

 

I decreti e le leggi di conversione devono contenere soltanto disposizioni specifiche e di immediata applicazione, aventi contenuto omogeneo e corrispondente al titolo. Non possono disciplinare materie per le quali è prescritta la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere, né attribuire poteri regolamentari né rinnovare disposizioni adottate con decreti non convertiti.

 

In primo luogo, la proposta modifica il secondo comma del vigente testo dell'articolo 77, ai sensi del quale quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

Nel merito, la pdl introduce esplicitamente in Costituzione l'obbligo del Governo di trasmettere immediatamente il decreto-legge al Presidente della Repubblica, il quale procede alla emanazione una volta che abbia accertato la sussistenza dei presupposti e dei requisiti (di necessità ed urgenza). La relazione evidenzia che tale modifica sarebbe "idonea a produrre un'accelerazione al processo di accertamento della sussistenza dei presupposti della necessità e dell'urgenza". Resta fermo che il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge deve essere presentato alle Camere per la conversione.

 

In relazione a tale accertamento va ricordato in primo luogo che spetta al Capo dello Stato l’emanazione degli atti governativi aventi valore di legge, ossia dei decreti-legge e dei decreti legislativi. In particolare, è la legge ordinaria (articolo 15, comma 1, legge n. 400 del 1988) a stabilire che i decreti-legge “sono presentati per l'emanazione al Presidente della Repubblica con la denominazione di «decreto-legge» e con l'indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l'adozione, nonché dell'avvenuta deliberazione del Consiglio dei ministri”.

La prassi a Costituzione vigente ha conosciuto alcuni casi nei quali il Capo dello Stato ha ritenuto di esercitare le proprie prerogative in sede di emanazione, ravvisando un uso improprio da parte del Governo dello strumento legislativo del decreto-legge.

 

Negli anni più recenti, si ricorda quanto evidenziato dal Presidente della Repubblica sul decreto-legge varato dal Governo in occasione della dolorosa vicenda di Eluana Englaro (poi non emanato), ed esplicitato in una lettera del 6 febbraio 2009 al Presidente del Consiglio, in cui il Presidente Napolitano ha rilevato come il ricorso al decreto legge fosse una soluzione inappropriata in considerazioni di elementi di merito, collegati alla specifica vicenda, ed al tempo stesso di motivi di illegittimità connessi all'assenza dei presupposti per l'adozione del decreto.

Per quanto riguarda i precedenti, in particolare:

-        con una lettera del 24 giugno 1980, il Presidente Pertini chiese di evitare di dare corso al provvedimento in materia di verifica delle sottoscrizioni delle richieste di referendum abrogativo nella forma del decreto-legge, considerata l’incidenza su un procedimento referendario già in corso;

-        il 3 giugno 1981, il Presidente Pertini, chiamato a sottoscrivere un provvedimento di urgenza, richiese al Presidente del Consiglio di riconsiderare la congruità dell'emanazione per decreto-legge di norme per la disciplina delle prestazioni di cura erogate dal Servizio Sanitario Nazionale;

-        con lettera 10 luglio 1989 al Presidente del Consiglio De Mita, il Presidente Cossiga manifestò la sua riserva in ordine alla presenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza ai fini dell'emanazione di un decreto-legge in materia di profili professionali del personale dell'ANAS;

-        in quella stessa lettera e successivamente nella lettera al Presidente del Consiglio Andreotti del 6 febbraio 1990, il Presidente Cossiga richiamò all'osservanza delle specifiche condizioni di urgenza e necessità che giustificano il ricorso alla decretazione di urgenza, ritenendo legittimo da parte sua - in caso di non soddisfacente e convincente motivazione del provvedimento - il puro e semplice rifiuto di emanazione del decreto - legge;

-        con un comunicato del 7 marzo 1993, il Presidente Scalfaro, in rapporto all'emanazione di un decreto-legge in materia di finanziamento dei partiti politici. invitò il Governo a riconsiderare l'intera questione, ritenendo più appropriata la presentazione alle Camere di un provvedimento in forma diversa da quella del decreto-legge, in considerazione dell’intersecarsi degli effetti del decreto-legge con il procedimento già avviato di consultazione referendaria.

 

 

Si ricorda inoltre che entrambi i rami del Parlamento prevedono, una volta avviato il procedimento di conversione, una fase di valutazione preliminare circa la sussistenza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza per l'adozione di un decreto legge.

 

Per quanto riguarda la Camera, con la riforma regolamentare del 1981, venne introdotta una procedura pregiudiziale che affidava alla Commissione affari costituzionali il parere sulla sussistenza dei presupposti (art. 96-bis r.C.). Ad esempio, si ricorda che nella VIII legislatura il voto negativo dell’Assemblea è stato confortato in quattro casi su cinque da analogo parere contrario della Commissione.

Con la riforma del 1997, tale “filtro di costituzionalità” è stato superato, in considerazione del fatto che rischiava di riprodurre la discussione di merito.

Al suo posto, il testo vigente dell'art. 96-bis prevede:

-        la possibilità di presentare una questione pregiudiziale riferita al contenuto del disegno di legge di conversione o del decreto che deve essere posta in votazione separatamente dal provvedimento ed in tempi brevi rispetto all'annuncio;

-        il parere del Comitato per la legislazione alla Commissione competente in sede referente, nel quale può essere proposta la soppressione delle disposizioni del decreto che contrastino con le regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto dei decreti-legge previste dalla legislazione vigente;

-        l'obbligo per il Governo di motivare, nella relazione al disegno di legge di conversione, in merito ai presupposti costituzionali, a cui si affianca la possibilità per la Commissione di merito di chiedere integrazioni al Governo, anche in relazioni a singole disposizioni del decreto; di tale facoltà non si hanno, tuttavia, riscontri nella prassi parlamentare.

 

Anche al Senato, a seguito delle modifiche al Regolamento approvate nella seduta del 20 dicembre 2017 nell'ambito delle misure volte all'armonizzazione delle regole dei due rami del Parlamento, l'art. 78 dispone - al nuovo comma 3 - che per i disegni di legge di conversione di decreti-legge "entro cinque giorni dall'annuncio all'Assemblea della presentazione o della trasmissione al Senato del disegno di legge di conversione, un Presidente di Gruppo o dieci Senatori possono presentare in Assemblea una proposta di questione pregiudiziale ad esso riferita. La Presidenza può ammettere la presentazione di proposte di questione sospensiva, ove ritenute compatibili con i termini di conversione del decreto-legge. Ciascun Gruppo può presentare una sola proposta di questione pregiudiziale e sospensiva. La discussione congiunta e la deliberazione sulle questioni pregiudiziali e sospensive è posta all'ordine del giorno entro il termine fissato dalla Presidenza, tenuto conto degli argomenti iscritti in calendario. Nella discussione può prendere la parola non più di un rappresentante per ogni Gruppo parlamentare, per non più di dieci minuti ciascuno, e l'Assemblea si pronunzia con votazione nominale con scrutinio simultaneo sul complesso delle questioni pregiudiziali o sospensive presentate. Nell'ulteriore corso della discussione dei disegni di legge di conversione non possono essere proposte ulteriori questioni pregiudiziali o sospensive".

Ai fini della programmazione dei lavori, si dispone inoltre che "il disegno di legge di conversione, presentato dal Governo al Senato, è in ogni caso iscritto all'ordine del giorno dell'Assemblea in tempo utile ad assicurare che la votazione finale avvenga non oltre il trentesimo giorno dal deferimento".

Prima della riforma del 2017 al Senato permaneva il vaglio preliminare di costituzionalità dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge affidato alla Commissione Affari costituzionali, che si esprimeva entro cinque giorni dal deferimento. In questo caso l'esame aveva ad oggetto non solo i presupposti dell'art. 77, secondo comma, Cost. ma anche i requisiti stabiliti dalla legislazione vigente. Qualora la Commissione esprimesse parere contrario, questo veniva rimesso al voto dell'Assemblea entro cinque giorni. Se l'Aula votava per la mancanza dei presupposti costituzionali o legislativi, il disegno di legge di conversione si intendeva respinto. L'Assemblea poteva pronunciarsi anche per la insussistenza parziale, con l'effetto in tal caso di sopprimere solo le parti o disposizioni prive dei requisiti.

 

 

Oltre a queste forme di accertamento, si ricorda che a partire dalla sentenza n. 29 del 1995 la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità di un sindacato successivo della Corte sui presupposti costituzionali della straordinaria necessità ed urgenza, anche laddove sia intervenuta la legge di conversione (su cui, si rinvia, infra, al Focus sui presupposti costituzionali).

 

Con una seconda modifica si introduce una nuova disposizione sui tempi dell'esame parlamentare dei disegni di legge di conversione.

In particolare, il nuovo terzo comma prevede che l'esame del disegno di legge di conversione, presentato dal Governo alle Camere, è iscritto all'ordine del giorno dell'Assemblea in tempo utile ad assicurare che la prima deliberazione avvenga non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione.

 

Al riguardo si ricorda che analoga disposizione è contenuta nel regolamento del Senato per i disegni di legge di conversione in prima lettura (art. 78, comma 5, r.S.). Pertanto la previsione costituzionale interverrebbe su un ambito attualmente disciplinato dai regolamenti parlamentari (art. 64, primo comma, Cost. e art. 72 sul procedimento legislativo).

 

Si ricorda, in particolare, che le disposizioni sui tempi del procedimento legislativo sono dettate dai regolamenti parlamentari. In particolare, le riforme regolamentari del 1997 hanno stabilito che l’organizzazione delle discussioni dei progetti di legge, esaminati dall’Assemblea, avviene, di norma, attraverso il contingentamento dei tempi, in modo da dare attuazione al principio per cui “i lavori della Camera sono organizzati secondo il metodo della programmazione”. La deroga più importante a questa regola generale è quella dettata dall’ultimo articolo del Regolamento della Camera (art. 154, comma 1, r. C.) secondo cui “in via transitoria non si applicano al procedimento di conversione dei decreti-legge le disposizioni” che prevedono il contingentamento dei tempi.

Al Senato, come già ricordato, il contingentamento è ammesso nel procedimento di conversione e l’art. 78 del regolamento, al quinto comma, stabilisce che “Il disegno di legge di conversione, presentato dal Governo al Senato, è in ogni caso iscritto all'ordine del giorno dell'Assemblea in tempo utile ad assicurare che la votazione finale avvenga non oltre il trentesimo giorno dal deferimento”.

 

La disposizione che si intende introdurre in Costituzione è preordinata a garantire un congruo tempo per l'esame del disegno di legge di conversione da parte di entrambi i rami del Parlamento. In proposito, non può non ricordarsi la prassi, sviluppatasi già a partire dalla XVI Legislatura, proseguita nella legislatura in corso, di una sorta di "monocameralismo alternato", per cui la Camera titolare dell'esame in prima lettura di un decreto-legge invia il testo all'altra Camera solo pochi giorni prima della scadenza, precludendo all'altro ramo del Parlamento la possibilità di un esame approfondito.

 

 

La decretazione d’urgenza nella XVIII legislatura

 

Dall'avvio della XVIII Legislatura (dati aggiornati al 10 agosto 2021) sono stati emanati 108 decreti-legge (4 deliberati dal governo Gentiloni, 26 dal governo Conte I, 54 dal governo Conte II e 24 dal governo Draghi); di questi 75 sono stati convertiti in legge. Sono decaduti 30 decreti-legge perché non sono stati convertiti nei tempi previsti o perché sono stati abrogati; il contenuto di questi decreti-legge è però confluito, con emendamenti approvati nel corso dell'iter parlamentare, in altri provvedimenti.

Nel grafico sottostante la ripartizione dei decreti leggi convertiti per numero di passaggi parlamentari.

 

 

 

NOTA: con "2 passaggi parlamentari" sono indicate le leggi per le quali è stato sufficiente un solo passaggio in ciascuna delle due Camere, per un totale appunto di due passaggi complessivi; con "3 passaggi parlamentari" sono indicate le leggi per le quali è stato necessario un secondo passaggio nel primo ramo di esame, per un totale appunto di tre passaggi complessivi

 

Il tempo medio di esame è stato di 41 giorni (13 giorni in prima lettura e 9 giorni in seconda lettura; si prendono in considerazione i tempi dall'inizio dell'esame in Commissione all'approvazione; non sono considerati i tempi di trasmissione tra le due Camere).

Al 30 giugno 2021, nel corso della conversione, ai decreti-legge sono stati complessivamente approvati 3.204 emendamenti, 3.120 in prima lettura e 84 in seconda lettura. 2.901 emendamenti sono stati approvati nel corso dell'esame in Commissione e 303 nel corso dell'esame in Assemblea. Nel grafico sottostante la suddivisione degli emendamenti in base al presentatore:

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Per una panoramica più ampia si rinvia al Rapporto sulla legislazione 2019-2020.

L'articolo 2 in esame non modifica la previsione, contenuta nel vigente terzo comma dell’articolo 77, che attribuisce ai decreti legge efficacia per sessanta giorni a decorrere dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, termine entro il quale devono essere convertiti in legge. La disposizione viene infatti mantenuta nel quarto comma della riformulazione. Tuttavia, su tale disposizione costituzionale incide la modifica introdotta dal disegno di legge all'articolo 74, che prevede il rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica (su cui, si v. supra).

 

Il nuovo quinto comma della riformulazione proposta dalla pdl C. 3145 inserisce in Costituzione nuovi limiti di ordine sostanziale alla decretazione d'urgenza, mutuati dall'articolo 15 della legge n. 400/1988 e dalla giurisprudenza costituzionale. Gli stessi parametri sono richiesti anche per le disposizioni della legge di conversione dei decreti-legge, con la finalità, evidenziata nella relazione illustrativa, di evitare "un «extra caricamento» di tali leggi, diventato ormai un modus operandi legislativo ordinario che provoca gravissimi squilibri di carattere costituzionale e normativo".

È noto in proposito che l’articolo 77 Cost. non esplicita i limiti contenutistici alla decretazione di urgenza, limiti che sono invece individuati, a livello di legislazione ordinaria, dall’articolo 15, comma 2, della legge n. 400 del 1988. Molti dei limiti introdotti con tale legge sono frutto a loro volta di interpretazione costituzionale, che la Corte ha ricollegato all'esistenza degli stessi presupposti fattuali di cui all'art. 77, secondo comma, Cost.

 

In particolare, l'articolo 15, comma 2, prevede che il Governo non può, mediante decreto-legge:

a) conferire deleghe legislative;

b) provvedere nelle materie per le quali la Costituzione (art. 72, quarto comma) richiede la procedura normale di esame davanti alle Camera, ossia in materia costituzionale ed elettorale, per la delegazione legislativa, l'autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, l'approvazione di bilanci e consuntivi;

c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere;

d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti;

e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.

Un ulteriore limite contenutistico è contenuto nella legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, secondo cui non si può disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi né prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Nella prassi, tale limite non ha, peraltro, trovato applicazione.

 

In primo luogo, nel nuovo quinto comma dell'art. 77 Cost. sono riprese le prescrizioni della legge n. 400 del 1988 relativamente al contenuto del decreto-legge, che deve essere specifico, omogeneo, corrispondente al titolo e recare misure di immediata applicazione (art. 15, comma 3, della legge n. 400/1988).

 

Riguardo al requisito dell'omogeneità di contenuto, nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha collegato il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

Pertanto, si afferma che l'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento.

Nella sentenza n. 220 del 2013 la Corte si è espressa inoltre sull'immediata applicazione delle misure recate dal decreto-legge, rilevando che "i decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità". Secondo la Corte, la disposizione della legge n. 400 del 1988 (art. 15, co. 3), secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo.

Per un maggiore approfondimento, si rinvia, infra, al Focus sull’omogeneità del contenuto dei DL.

 

Inoltre, nel nuovo quinto comma dell'art. 77 Cost. si "costituzionalizzano" alcuni dei limiti già individuati dalla legge ordinaria:

  In proposito si ricorda che il potere regolamentare del Governo non trova disciplina nelle disposizioni costituzionali, bensì nella legge n. 400 del 1988, il cui articolo 17 distingue cinque tipologie di regolamenti governativi: i

·        regolamenti di esecuzione, che si propongono di dare esecuzione a leggi, decreti legislativi e regolamenti comunitari;

·        regolamenti di attuazione e integrazione, che hanno per oggetto l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio;

·        regolamenti indipendenti, che vengono emanati nell’ambito di materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di altri atti aventi forza di legge;

·        regolamenti di organizzazione, finalizzati a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;

·        regolamenti di delegificazione, grazie ai quali una materia, precedentemente disciplinata con legge, viene ad essere disciplinata tramite fonti secondarie.

In dottrina si registrano posizioni differenziate sull’ammissibilità sul piano generale e astratto di un fondamento di poteri regolamentari all’interno dei decreti-legge.

Rimane infine aperta la questione della presenza di norme di autorizzazione alla delegificazione in decreti-legge: al riguardo, la Corte costituzionale, in un obiter dictum nella sentenza n. 149 del 2012, ha lasciato impregiudicata la possibilità di pronunciarsi sulla "correttezza della prassi di autorizzare l'emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreti-legge".

Più in generale, con una recente sentenza la Corte costituzionale (sentenza n. 149 del 2020) la Corte ritiene che la necessità di provvedere con urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni contenute nel decreto-legge, così che il rinvio da parte della disciplina impugnata a successivi provvedimenti attuativi dell’AGCOM non costituisce di per sé motivo di illegittimità (sentenze n. 97 del 2019, n. 5 del 2018, n. 236, n. 170 e n. 16 del 2017).

 

 

 


Focus

 

 


I presupposti di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost.

La giurisprudenza costituzionale

La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 29 del 1995 (sul DL n. 453/1993), è intervenuta sulla questione dell’apprezzamento dell’esistenza e dell’adeguatezza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione affermando che tale sindacato può essere esercitato soltanto in caso di “evidente mancanza” dei requisiti prescritti dall’art. 77 Cost.

Con tale sentenza la Corte ha mutato il proprio precedente orientamento, fino a quel momento consolidato, in base al quale il sindacato sui presupposti di necessità e urgenza era difficilmente ammissibile, in quanto, una volta intervenuta la legge di conversione, si ritenevano sanate le censure di illegittimità dedotte nei confronti dei presupposti per l’adozione del decreto-legge da parte del governo (si cfr. sentt. n. 108 del 1986, n. 243 del 1987, nn. 808, 810, 1033, 1035 e 1060 del 1988, n. 263 del 1994).

Con la sentenza 29 del 1995 la Corte afferma invece la possibilità di sindacare un decreto legge in caso di “eventuale evidente mancanza” e aggiunge che l’assenza dei presupposti per l’adozione “configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione”.

Il nuovo approccio inaugurato dalla Corte viene confermato da non sempre univoche pronunce successive che, in ogni caso, hanno valorizzato il limite della “evidente mancanza” (si cfr. sentt. n. 398 del 1998, n. 16 del 2002, n. 341 del 2003, nn. 178, 196, 285 e 299 del 2004, nn. 62 e 272 del 2005).

La Corte ha successivamente sviluppato le premesse di tale giurisprudenza con le sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008.

In particolare, la sentenza n. 171 del 2007 (DL n. 80/2004 – Incandidabilità negli enti locali), per la prima volta, dichiara incostituzionale un decreto-legge per mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza, sanzionando la disposizione che introduce una nuova disciplina in materia di cause di incandidabilità e di incompatibilità in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale.

La sentenza ha precisato che lo scrutinio di costituzionalità «deve svolgersi su un piano diverso» rispetto all’esercizio del potere legislativo, in cui «le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti», avendo «la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali tale compito è predisposto»; ha aggiunto che «il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità» deve «risultare evidente», e che tale difetto di presupposti, «una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge».

La verifica circa la sussistenza dell’evidente mancanza dei presupposti del decreto-legge deve essere condotta attraverso “indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata”, ossia attraverso elementi contenuti nel testo normativo o estranei ad esso, come l’epigrafe del decreto, la premessa e la relazione al disegno di legge di conversione.

Secondo il ragionamento svolto dalla Corte alla luce degli indici, nel caso di specie, “la norma censurata si connota, pertanto, per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dal decreto-legge in cui è inserita”, trattandosi di disposizione relativa alla materia elettorale e non alla materia della disciplina degli enti locali; inoltre, manca peraltro ogni motivazione delle ragioni di necessità e di urgenza poste alla sua base. La Corte prosegue sostenendo che “l’utilizzazione del decreto-legge – e l’assunzione di responsabilità che ne consegue per il Governo secondo l’art. 77 Cost. – non può essere sostenuta dall’apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza, né può esaurirsi nella constatazione della ragionevolezza della disciplina che è stata introdotta”. E conclude per la illegittimità della norma censurata in quanto si connota per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita.

Nella successiva sentenza n. 128 del 2008 (D.L. n. 262/2006 – Esproprio del teatro Petruzzelli), la Corte per valutare la sussistenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere si rivolge agli «indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata», constatando, nel caso di specie, sia il difetto di collegamento tra la disposizione censurata (previsione dell’esproprio del teatro Petruzzelli di Bari) con le altre disposizioni inserite nel decreto, che, nella loro eterogeneità, concorrono alla manovra di finanza pubblica, in quanto intervengono in materia fiscale e finanziaria a fini di riequilibrio di bilancio, sia anche l’assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con riguardo alla finalità pubblica dichiarata.

Anche da ultimo, nella già richiamata sentenza n. 149 del 2020, la Corte ha ribadito come la verifica circa la sussistenza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza si intrecci con il tema della omogeneità del contenuto del decreto-legge.

La immediata applicazione delle disposizioni

Al riconoscimento della sussistenza di “casi straordinari di necessità e urgenza” quale presupposto indefettibile per l’adozione dei decreti-legge si connette la disposizione della legge n. 400 del 1988, secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione (art. 15, comma 3).

Come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 220 del 2013 (DL n. 201/2011- Riforma delle province), tale norma, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo.

Da questo punto di vista, la verifica dei presupposti di necessità ed urgenza si interseca con la tematica dei limiti contenutistici degli interventi recati dai provvedimenti di urgenza, che non possono introdurre riforme organiche di interi settori dell’ordinamento (quale, ad esempio, la riforma delle province, su cui v. infra).

Sotto un altro profilo, ai fini della medesima verifica della sussistenza di casi straordinari di necessità ed urgenza, deve essere valutato il sempre più frequente inserimento nei decreti-legge di disposizioni che rinviano ad atti normativi di rango subordinato o addirittura ad atti di carattere non normativo, quali i decreti di natura non regolamentare, definiti dalla giurisprudenza costituzionale  atti dalla “indefinibile natura giuridica” (sentenza n. 116 del 2006).

I termini indicati per la adozione di tali atti sono sempre stati pacificamente considerati come meramente ordinatori, con la conseguenza che l’attuazione delle misure, che trovano la loro giustificazione nei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza, risulta di fatto rimessa ad atti che possono intervenire a distanza di molto tempo o addirittura possono non essere emanati mai. Tale situazione risulta poi resa più complessa nei casi in cui per l’attuazione delle misure è previsto non un singolo atto, ma una serie di atti fra loro concatenati (possono in proposito richiamarsi, a titolo esemplificativo, i decreti-legge intervenuti in materia di liberalizzazione delle attività economiche e di semplificazione degli oneri delle imprese, che rinviavano l’attuazione della disciplina a successivi regolamenti di delegificazione, poi non adottati - art. 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, art. 12 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5).

Di recente, nella già richiamata sentenza n. 149 del 2020, la Corte ha rilevato come la necessità di provvedere con urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni contenute nel decreto-legge, così che il rinvio da parte della disciplina impugnata – nel caso di specie - a successivi provvedimenti attuativi dell’AGCOM non costituisce di per sé motivo di illegittimità.

 

Si ricorda infine che non infrequentemente sulla medesima disciplina o anche sulla medesima disposizione intervengono in successione più decreti-legge, anche a distanza ravvicinata, dando così luogo ad una serie di modifiche “a catena” che pure sono stati oggetto di valutazione alla luce dei presupposti di necessità e urgenza.

I tempi di adozione dei decreti-legge

In connessione con la previsione di casi straordinari di necessità ed urgenza quali presupposti per l’adozione dei decreti-legge, l’articolo 77, comma secondo, Cost. prevede una specifica procedura per la presentazione e la convocazione delle Camere, secondo la quale i decreti-legge sono presentati per la conversione alle Camere il giorno stesso della loro adozione; le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni.

Nella citata sentenza n. 22 del 2012 (DL n. 225/2010 – “mille proroghe”), la Corte costituzionale ha peraltro affermato, a titolo di obiter dictum, che il disegno di legge di conversione deve essere presentato alle Camere «”il giorno stesso” della emanazione dell’atto normativo urgente.» Nella medesima sentenza, la Corte si è soffermata sulla rapidità che caratterizza il procedimento di esame del decreto-legge, connotato dalla brevità dei termini entro cui le Camere sono chiamate a riunirsi e dalle specifiche procedure parlamentari volte ad assicurare il rispetto dei termini costituzionali.

La procedura di adozione è inoltre delineata dalla legge n. 400 del 1988 che prevede la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri (art. 2, comma 3) e la presentazione per l’emanazione al Presidente della Repubblica (art. 15, comma 1). Il decreto-legge è pubblicato, senza ulteriori adempimenti, nella Gazzetta Ufficiale immediatamente dopo la sua emanazione (art. 15, comma 4).

Negli anni è invalsa una prassi per la quale tra la delibera del Consiglio dei ministri e la presentazione al Presidente della Repubblica per l’emanazione può trascorrere un lasso di tempo non breve, non di rado dovuto ad esigenze di coordinamento del testo.

Si segnalano, a titolo esemplificativo:

§  il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, pubblicato in Gazzetta Ufficiale a distanza di 7 giorni dall’ emanazione e di 18 giorni dalla deliberazione del Consiglio dei ministri;

§  il decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, relativo all’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, deliberato dal Consiglio dei ministri il 13 dicembre 2013 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a distanza di 15 giorni;

§  il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, deliberato dal Consiglio dei ministri il 12 marzo 2014 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a distanza di 8 giorni;

§  il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese; deliberato dal Consiglio dei ministri il 2 luglio 2018 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a distanza di 11 giorni;

§  il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante disposizioni urgenti per la per la semplificazione e l'innovazione digitale; deliberato dal Consiglio dei ministri il 6 luglio 2020 e pubblicato in Gazzetta ufficiale a distanza di 10 giorni.

 


L’omogeneità del contenuto dei decreti-legge

La giurisprudenza costituzionale

La questione dell’omogeneità e specificità del contenuto dei decreti-legge può porsi in due distinte fasi: a) al momento dell’adozione del decreto-legge, avendo riguardo al testo originario del medesimo b) in sede di esame parlamentare ai fini della conversione, avendo riguardo alle disposizioni introdotte nel corso dell’iter  presso le Camere.

Come già rilevato, il tema dell’omogeneità è intrinsecamente connesso con quello della sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza, del quale costituisce una sorta di corollario.

a) omogeneità del testo originario

In relazione al testo originario del decreto possono essere richiamate le affermazioni della sentenza n. 22 del 2012 (DL n. 225/2010 – “mille proroghe”), nella quale Corte costituzionale ha collegato il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

Pertanto, si afferma che l’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento. Sulla base di queste premesse la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme inserite nel corso dell’esame parlamentare (su cui v. immediatamente infra).

Per quanto riguarda la dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme del testo originario per ragioni attinenti anche al difetto di omogeneità possono richiamarsi nuovamente le sentenze n. 171 del 2007 (DL n. 80/2004 – Incandidabilità negli enti locali) e n. 128 del 2008 (D.L. n. 262/2006 – Esproprio del teatro Petruzzelli), nelle quali sono state oggetto di censura, rispettivamente, una disposizione in materia di cause di incandidabilità e di incompatibilità inserita in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale e la previsione dell’esproprio del teatro Petruzzelli di Bari inserita nell’ambito di un decreto-legge collegato alla manovra di finanza pubblica.

b) omogeneità delle disposizioni inserite durante l’iter parlamentare

Secondo l’orientamento risalente della giurisprudenza costituzionale, non è pertinente il richiamo all’art. 77 Cost con riferimento alla adozione di nuove norme da parte del Parlamento nel corso dell’esame di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge. Ciò in quanto «la valutazione preliminare dei presupposti della necessità e dell’urgenza investe (…), secondo il disposto costituzionale, soltanto la fase della decretazione di urgenza esercitata dal Governo, né può estendersi alle norme che le Camere, in sede di conversione del decreto-legge, possano avere introdotto come disciplina “aggiunta” a quella dello stesso decreto: disciplina imputabile esclusivamente al Parlamento e che – a differenza di quella espressa con la decretazione d’urgenza del Governo – non dispone di una forza provvisoria, ma viene ad assumere la propria efficacia solo al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione» (sentenza n. 391 del 1995).

Successivamente, però, la stessa Corte, con la più volte richiamata sentenza n. 171 del 2007 (DL n. 80/2004 – Incandidabilità negli enti locali), ha mutato orientamento sul punto, precisando ? dopo aver ribadito che la legge di conversione non ha efficacia sanante di eventuali vizi del decreto-legge ? che «le disposizioni della legge di conversione in quanto tali» – nei limiti, cioè, in cui «non incidono in modo sostanziale sul contenuto normativo delle disposizioni del decreto», come nel caso (allora) in esame – «non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimità costituzionale, autonomamente da quelle del decreto stesso». La Corte ha aggiunto che «a conferma di ciò, si può notare che la legge di conversione è caratterizzata nel suo percorso parlamentare da una situazione tutta particolare, al punto che la presentazione del decreto per la conversione comporta che le Camere vengano convocate ancorché sciolte (art. 77, secondo comma, Cost.) e il suo percorso di formazione ha una disciplina diversa da quella che regola l’iter dei disegni di legge proposti dal Governo».

Seguendo il più recente orientamento, la Corte ha ulteriormente precisato che la valutazione in termini di necessità e di urgenza deve essere indirettamente effettuata per quelle norme, aggiunte dalla legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d’urgenza; mentre tale valutazione non è richiesta quando la norma aggiunta sia eterogenea rispetto a tale contenuto (sentenza n. 355 del 2010DL n. 78/2009 - Responsabilità per danno all'immagine della p.a.).

Su questa seconda ipotesi, la Corte si è pronunciata con nettezza nella già richiamata sentenza n. 22 del 2012 (DL n. 225/2010 – “mille proroghe”), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni introdotte nel corpo del decreto-legge per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione.

In particolare, la Corte ha affermato che la legge di conversione deve osservare la necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all’apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento. È infatti, lo stesso art. 77 secondo comma, Cost., ad istituire “un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario”, in base al quale è esclusa la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario.

La Corte non esclude che le Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità. Il testo può anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali. Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica.

L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione; in tal caso, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge.

Nel caso di specie, la Corte ha precisato in ordine ai cosiddetti decreti “milleproroghe, che, “sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale”. Ed ha ritenuto estranea a tali interventi “la disciplina a regime di materie o settori di materie” (la protezione civile) “rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all’art. 71 Cost.”, ovvero, “ove il Governo ravvisi autonomi profili di necessità ed urgenza, di atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Pertanto, la Corte conclude affermando che la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei sia in contrasto con l’art. 77 Cost.

Tale orientamento è stato successivamente confermato con l’ordinanza n. 34 del 2013 (DL n. 203/2005 – Ammortamento beni strumentali) e la sentenza n. 32 del 2014 (DL n. 272/2005 – Reati in materia di stupefacenti),  nella quale sono svolte ulteriori argomentazioni a sostegno della coerenza tra decreto legge e legge di conversione. Quest’ultima segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge. Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamenti parlamentari. Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare.

Pertanto, la Corte ribadisce che “l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge, o alle finalità di quest’ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua”. Ciò vale anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo, come nel caso di specie della sentenza n. 32, per cui “ogni ulteriore disposizione introdotta in sede di conversione deve essere strettamente collegata ad uno dei contenuti già disciplinati dal decreto-legge ovvero alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso”.

La Corte prosegue, precisando che l’eterogeneità delle disposizioni aggiunte in sede di conversione determina un vizio procedurale delle stesse, che spetta solo alla stessa Corte accertare. Si tratta di un vizio procedurale peculiare, che per sua stessa natura può essere evidenziato solamente attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare, posto a raffronto con l’originario decreto-legge. All’esito di tale esame, le eventuali disposizioni intruse risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell’art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte le componenti dell’atto che si pongano in linea di continuità sostanziale, per materia o per finalità, con l’originario decreto-legge.

Nel caso di specie, tra gli indici sintomatici della evidente estraneità delle disposizioni introdotte in sede di conversione, la Corte cita il fatto che lo stesso legislatore abbia in tale sede modificato il titolo del decreto-legge, con ciò ritenendo che le innovazioni introdotte con la legge di conversione non potevano essere ricomprese nelle materie già disciplinate dal decreto-legge medesimo e risultanti dal titolo originario di quest’ultimo.

La sentenza n. 32 del 2014 ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale della nuova disciplina dei reati in materia di stupefacenti, che introduceva tra l’altro l’equiparazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette “leggere”. Tale disciplina, composta di 25 articoli, era stata inserita nel corso dell’iter parlamentare del decreto-legge n. 272 del 2005, composto di 5 articoli concernenti, rispettivamente, l’assunzione di personale della Polizia di Stato, misure per assicurare la funzionalità dell’Amministrazione civile dell’interno, finanziamenti per le olimpiadi invernali, recupero dei tossicodipendenti detenuti e diritto di voto degli italiani residenti all’estero.

 

Nella sentenza n. 247 del 2019 la Corte costituzionale ha ricordato come "l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione. Tale violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012)".

"La legge di conversione è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l’art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, 'alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso' (sentenza n. 32 del 2014)".

La Corte Costituzionale ha anche precisato che la violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione per difetto di omogeneità si determina "solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente 'estranee' o addirittura 'intruse', cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del 2014), per cui 'solo la palese estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) o la 'evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge' (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione (sentenza n. 181 del 2019, nonché, da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del 2019)".

Nel caso de quo ha evidenziato che "appare nella specie evidente che tra le norme che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e quella oggetto di scrutinio, inserita ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra loro, né sul versante dell’oggetto della disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, né sotto l’aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento rispetto alle materie 'occupate' dall’atto di decretazione".

Anche successivamente, nella sentenza n. 149 del 2020, con riguardo all’omogeneità del decreto-legge, la Corte ha ribadito come «l’urgente necessità del provvedere può riguardare anche una pluralità di norme accomunate non solo dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ma anche dall’intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all’unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione». La Corte riconosce nell’atto impugnato un tipico caso di “decreto fiscale”, che contiene interventi indifferibili discussi dal Parlamento parallelamente alla legge di bilancio, e dunque un provvedimento governativo «ab origine a contenuto plurimo» che integra una ratio unitaria, tale da renderlo rispettoso dei requisiti costituzionali anche sotto questo profilo.

Ciò non esclude – ha evidenziato la Corte - che le disposizioni ivi contenute possano essere oggetto di censura, quando non omogenee rispetto all’oggetto e alle finalità dell’intervento legislativo, specie ove introdotte in sede di conversione. Nel caso in esame, evidenzia la Corte, il censurato art. 19 s’inserisce all’interno delle linee d’intervento del d.l. n. 148 del 2017, che reca misure in materia d’imprese e cultura in cui rientrano senz’altro le attività relative all’intermediazione sul diritto d’autore.

 

Gli interventi del Presidente della Repubblica

Accanto alla giurisprudenza della Corte costituzionale occorre considerare gli interventi che il Presidente della Repubblica ha svolto nell’esercizio delle sue prerogative costituzionali

Oggetto di molti degli interventi presidenziali è il richiamo al principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge.

Tale principio è stato richiamato, ad esempio, nel messaggio del 29 marzo 2002, con il quale il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha rinviato alle Camere, ai sensi dell’art. 74 Cost., (Doc. I, n. 1) il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4 (Disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l’agricoltura), poi decaduto per decorrenza dei termini. Nel messaggio, il Presidente lamentava che il testo fosse stato aggravato da tante norme disomogenee da dar vita ad un provvedimento "di difficile conoscibilità del complesso della normativa applicabile". Da qui, si richiamava il Governo non soltanto a seguire criteri rigorosi nella predisposizione dei decreti-legge, ma, insieme con gli organi delle Camere specificamente preposti alla produzione legislativa, a vigilare successivamente, nella fase dell'esame parlamentare, allo scopo di evitare che il testo originario venga trasformato fino a diventare non più rispondente ai presupposti costituzionali. Inoltre richiamò il Governo al rispetto della legge n. 400/1988, la quale “pur essendo una legge ordinaria, ha valore ordinamentale in quanto è preposta all’ordinato impiego della decretazione d’urgenza e deve quindi essere, del pari, rigorosamente osservata”, nonché all’osservanza di quella regola di mera correttezza – invalsa dalla presidenza Pertini, ma poi rinnovata dalla Presidenza Scalfaro nel 1998 – secondo cui i decreti-legge devono essere trasmessi alla Presidenza della Repubblica almeno cinque giorni prima dell’esame in Consiglio.

 

Sui temi indicati, l’attenzione del Presidente Napolitano è stata costante in tutto il primo settennato a partire dalla nota del 18 maggio 2007, con la quale si auspicava la rapida conclusione dei lavori avviati nelle rispettive Giunte per il regolamento ai fini della necessaria armonizzazione e messa a punto delle prassi seguite nei due rami del Parlamento per la valutazione di ammissibilità degli emendamenti in sede di conversione in legge dei decreti-legge.

 

Nella lettera del 25 giugno 2008, in occasione dell’emanazione del decreto-legge n. 112 del 2008, il Capo dello Stato scrive ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio esprimendo preoccupazioni per il fatto che una manovra finanziaria sia costretta nei tempi di esame di un disegno di legge di conversione del decreto-legge, anche per la prevedibile difficoltà di una piena utilizzazione dei sessanta giorni in prossimità della sospensione estiva dei lavori parlamentari. Ciò comporta, infatti, una notevole riduzione dei tempi che la sessione di bilancio garantisce per l'esame degli strumenti ordinari in cui si è articolata ogni anno la manovra economico-finanziaria.

Il Presidente Napolitano chiede a tal fine che la Camera intensifichi i lavori parlamentari per assicurare comunque un esame completo ed approfondito del provvedimento, a tutela delle prerogative del Parlamento.

 

Sui limiti all’emendabilità dei decreti-leggi nel corso dell’iter di conversione, il Presidente Napolitano, in una lettera inviata il 9 aprile 2009 ai Presidenti di Senato e Camera, al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’economia, rilevava, inoltre, che sottoporre al Presidente della Repubblica per la promulgazione, in prossimità della scadenza del termine costituzionalmente previsto, una legge che converte un decreto-legge notevolmente diverso da quello a suo tempo emanato, non gli consente l’ulteriore, pieno esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione gli affida, con particolare riguardo alla verifica sia della sussistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza sia della correttezza della copertura delle nuove o maggiori spese, ai sensi degli articoli 77 e 81 della Costituzione, per la necessità di tenere conto di tutti gli effetti della possibile decadenza del decreto in caso di esercizio del potere di rinvio ai sensi dell’art. 74 della Costituzione. Tale appello viene rinnovato in occasione della promulgazione della legge di conversione del decreto legge in materia di pubblica sicurezza, con la lettera del 15 luglio 2009, inviata al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell’interno e della giustizia.

 

Le osservazioni sull’iter di conversione sono ancora ribadite sia nella lettera del 22 maggio 2010, sia nella lettera del 22 febbraio 2011, inviate dal Capo dello Stato ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio dei ministri contestualmente alla promulgazione delle leggi di conversione, rispettivamente, del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40 (c.d. decreto “incentivi”) e del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 (decreto c.d. proroga-termini).

In esse sono state ulteriormente rinnovate le valutazioni critiche sull'inserimento di numerose disposizioni estranee ai contenuti del decreto e tra loro eterogenee in sede di conversione per la sua incidenza negativa sulla qualità della legislazione, per la violazione dell'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988 e, infine, per la possibile violazione dell'art. 77 della Costituzione allorché comporti l'inserimento di disposizioni prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, eludendo la valutazione spettante al Presidente della Repubblica in vista della emanazione dei decreti-legge. Si è rilevato, altresì, che in presenza di una marcata eterogeneità dei testi legislativi e della frequente approvazione degli stessi mediante ricorso alla fiducia su maxi-emendamenti, si realizza una pesante compressione del ruolo del Parlamento, specialmente allorché l'esame da parte delle Camere si svolga con il particolare procedimento e nei termini tassativamente previsti dalla Costituzione per la conversione in legge dei decreti.

Se tali rilievi avrebbero potuto giustificare il ricorso alla facoltà di rinvio prevista dall’art. 74 della Cost. per una nuova deliberazione, il Capo dello Stato ha evitato tale ricorso per la preoccupazione per i rischi che può comportare la decadenza di un determinato decreto-legge.

Più in generale, il Presidente della Repubblica ha sottolineato che sulla base delle norme costituzionali vigenti e della costante prassi applicativa formatasi in conformità all'interpretazione largamente prevalente, non sono configurabili altri strumenti, come il rinvio parziale delle leggi, neppure nel caso in cui le stesse abbiano ad oggetto la conversione di decreti-legge, ovvero una rimessione in termini delle Camere in caso di richiesta di riesame delle leggi di conversione da parte del Capo dello Stato. Tali modifiche nella prassi e nelle norme vigenti sono state peraltro auspicate, insieme ad una rigorosa disciplina del regime di emendabilità dei decreti-legge, al fine di realizzare un migliore equilibrio tra i poteri spettanti al Governo, alle Camere e al Presidente della Repubblica nell'ambito del procedimento legislativo.

Siffatte considerazioni sono state successivamente ribadite nella lettera del 23 febbraio 2012, nella quale il Capo dello Stato richiama l’attenzione sulla sentenza della Corte costituzionale n. 22/2012 e, dunque, sulla necessità di attenersi, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti riferiti a decreti-legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando - se ritenuto necessario - le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari. Ciò al fine di non esporre disposizioni, anche quando non censurabili nel merito, al rischio di annullamento da parte della Corte costituzionale per ragioni esclusivamente procedimentali ma di indubbio rilievo istituzionale.

Il Capo dello Stato è poi intervenuto sulla questione con una lettera del 27 dicembre 2013, inviata ai Presidenti delle Camere, relativa all'iter parlamentare di conversione in legge del decreto legge n. 126 del 2013 (cd. decreto ‘salva-Roma’) nel corso del quale erano stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi. Il Capo dello Stato, richiamando ancora una volta la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e i propri precedenti interventi, sottolinea nuovamente la necessità di verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione e dichiara di non poter più rinunciare ad avvalersi della facoltà di rinvio, pur nella consapevolezza che ciò avrebbe potuto comportare la decadenza dell'intero decreto legge. A seguito della lettera, il Governo ha rinunciato alla conversione, annunciando il ritiro del provvedimento nella seduta della Camera dello stesso 27 dicembre.

 

Più di recente, il Capo dello Stato è tornato sul tema dell’omogeneità di contenuto in relazione alle modifiche apportate in sede di conversione del decreto legge n. 76 del 2020 (c.d. decreto semplificazioni). Con una lettera dell’11 settembre 2020, inviata ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, ha invitato il Governo a vigilare affinché nel corso dell’esame parlamentare dei decreti legge non vengano inserite norme palesemente eterogenee rispetto all’oggetto e alle finalità dei provvedimenti d’urgenza. Al contempo ha rappresentato al Parlamento l’esigenza di operare in modo che l’attività emendativa si svolga in piena coerenza con i limiti di contenuto derivanti dal dettato costituzionale, nei termini da ultimo richiamati nella sentenza n. 247 del 2019 della Corte costituzionale.

Da ultimo, in occasione della promulgazione della legge di conversione del decreto legge n. 73 del 2021 (Misure connesse all’emergenza Covid) il Presidente della Repubblica, in una lettera del 23 luglio 2021, indirizzata ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, è nuovamente intervenuto per sollecitare ulteriormente Parlamento e Governo ad assicurare che, nel corso dell’esame parlamentare, vengano rispettati i limiti di contenuto dei provvedimenti d’urgenza.

Il Capo dello Stato, pur provvedendo alla promulgazione in considerazione dell’imminente scadenza del termine per la conversione e del conseguente alto rischio, in caso di rinvio, di pregiudicare o, quantomeno, ritardare l’erogazione di sostegni essenziali per milioni di famiglie e di imprese, ha annoverato una serie di norme del tutto estranee, per finalità e materia, all’oggetto del provvedimento, che oltre ad alterare la natura della legge di conversione, recano pregiudizio alla qualità della legislazione, possono determinare incertezze interpretative, sovrapposizione di interventi, provocando complicazioni per la vita dei cittadini e delle imprese nonché una crescita non ordinata e poco efficiente della spesa pubblica.

Il Presidente ha avvertito che tale rischio è fortemente accentuato dal significativo incremento del ricorso alla decretazione d’urgenza verificatosi durante l’emergenza COVID, nonché da un’estensione eccezionale di tali decreti, e dal consistente fenomeno di sovrapposizione e intreccio di fonti normative che è derivato, come rilevato con accenti critici dallo stesso Comitato per la legislazione della Camera dei deputati.

Di fronte a ciò, il Presidente ha formulato con decisione l’invito al Parlamento e al Governo “a riconsiderare le modalità di esercizio della decretazione d’urgenza, con l’intento di ovviare ai profili critici da tempo ampiamente evidenziati dalla Corte costituzionale, nonché nelle stesse sedi parlamentari, oltre che in dottrina, e che hanno ormai assunto dimensioni e prodotto effetti difficilmente sostenibili”. Al tempo stesso, ha fatto presente che fa parte delle sue responsabilità valutare l’eventuale ricorso alla facoltà di rinvio ex art. 74 nei confronti di leggi di conversione di decreti-legge caratterizzati da gravi anomalie, “anche tenendo conto che il rinvio alle Camere di un disegno di legge di conversione porrebbe in termini del tutto peculiari – alla luce della stessa giurisprudenza della Corte costituzionale – il tema dell’esercizio del potere di reiterazione”, come già evocato nella lettera del 22 febbraio 2011 del Presidente Napolitano.


 

La decretazione d’urgenza nei progetti di riforma costituzionale

XVII legislatura

L'articolo 14 del testo di legge costituzionale definito nel corso della XVII legislatura modifica l'art. 74 della Costituzione in materia di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, prevedendo - nel caso di rinvio di disegni di legge di conversione di decreto-legge - un differimento di 30 giorni rispetto al termine costituzionale di 60 giorni, fissato dall'articolo 77.

Il testo approvato in prima lettura dal Senato del disegno di legge di riforma (S. 2613) prevedeva anche la possibilità di un rinvio parziale da parte del Presidente, ossia un rinvio limitato a specifiche disposizioni della legge. Tale previsione è stata soppressa nel corso dell’esame alla Camera.

L’articolo 16 ha previsto, a sua volta, modifiche all’art. 77 della Costituzione "costituzionalizzando" in particolare i limiti alla decretazione di urgenza, previsti solo a livello di legislazione ordinaria dalla legge n. 400/1988.

 

È, così, introdotto il divieto di disciplinare con decreto-legge le materie per cui la Costituzione (articolo 72, quinto comma) prevede la c.d. riserva di Assemblea, ossia la materia costituzionale ed elettorale, la delegazione legislativa, la conversione in legge di decreti, l'autorizzazione a ratificare trattati internazionali e per l'approvazione di bilanci e consuntivi. È esclusa dal divieto di decretazione d'urgenza in materia elettorale la disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni. È altresì previsto il divieto di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti e di ripristinare l'efficacia di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non procedurali. I decreti-legge inoltre devono recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo e nel corso dell'esame parlamentare dei disegni di legge di conversione non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.

 

Al fine di garantire il rispetto dei termini per la conversione, il testo ha previsto dunque che il termine di efficacia dei decreti-legge sia pari a 90 giorni in caso di rinvio da parte del Presidente della Repubblica - in correlazione con la modifica disposta all’articolo 74 Cost. - e che il procedimento legislativo segua la disciplina generale dell'articolo 70, fermo restando l'obbligo di presentazione alla Camera anche per i decreti-legge cd. bicamerali.

Sono altresì individuati i termini per l'esame da parte del Senato dei decreti-legge cd. monocamerali.

 

In precedenza, la relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali, istituita dal Presidente del Consiglio Enrico Letta con decreto 11 giugno 2013 e trasmessa alle Camere il 18 settembre 2013, al fine di garantire tempi certi ai disegni di legge ritenuti dal Governo urgenti e allo stesso tempo evitare abusi nel ricorso alla decretazione d’urgenza, propone il conferimento di veste costituzionale o di legge organica, resistente a modifiche con legge ordinaria, ai limiti ai decreti-legge stabiliti dall’art. 15 della legge 400/1988, prevedendo in ogni caso il divieto di introdurre disposizioni aggiuntive al disegno di legge di conversione. Contestualmente essa prevede un procedimento che inizia presso la Camera, su richiesta del Presidente del Consiglio a seguito di delibera del Consiglio dei ministri, subordinato al voto favorevole della stessa Camera per l’approvazione di un disegno di legge a data fissa, applicabile ad un numero limitato di provvedimenti.

 

Proposte sostanzialmente analoghe erano state elaborate nel documento del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito dal Presidente della Repubblica Napolitano il 30 marzo 2013. Anche in questo caso, si ritiene opportuno costituzionalizzare i limiti al contenuto dei decreti-legge, previsti con legge ordinaria, nell’ambito della disciplina sull’organizzazione del Governo (art. 15, L. 400/1988).

I decreti devono inoltre contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

Tali correzioni sono poste in connessione con le proposte di modifica ai regolamenti parlamentari volti a rendere maggiormente rapido l’iter di approvazione dei disegni di legge. In tal senso, il documento propone l’introduzione di una nuova procedura d’urgenza, mediante la quale il Presidente del Consiglio dei ministri può chiedere per i disegni di legge governativi il voto a data fissa, con un contingentamento delle richieste stabilito per calendario parlamentare. La data viene determinata dal Presidente della Camera sentita la Conferenza dei Capigruppo in tempi compatibili con la complessità del provvedimento. Inoltre:

-        è precluso il voto dell’Assemblea sulla proposta del Governo;

-        sono garantiti 15 giorni per l’esame in sede referente;

-        sono garantiti nel contingentamento tempi maggiori alle opposizioni rispetto alla maggioranza.

 

Sul versante delle riforme dei regolamenti parlamentari, tra le proposte di modifica contenute nel testo base licenziato dalla Giunta per il Regolamento della Camera l’8 gennaio 2014 non figura un intervento complessivo sulla disciplina del procedimento relativo all’esame dei disegni di legge di conversione, ma poche modifiche destinate ad incidere direttamente o indirettamente sullo stesso.

In particolare, si interviene sui criteri di inammissibilità, specificando che il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti che risultino in contrasto «con i limiti di contenuto» dei decreti-legge, nonché quelli recanti deleghe legislative, anche se riferiti al disegno di legge di conversione.

Sotto un diverso profilo, alcune delle modifiche proposte (l’eliminazione delle 24 ore per la votazione della questione di fiducia; la rilevante limitazione della fase di esame degli ordini del giorno; la votazione unitaria in caso di articolo unico del disegno di legge di conversione, senza distinzione tra votazione dell’articolo e votazione finale) riducono notevolmente le possibilità dilatorie oggi esistenti, facilitando la conversione dei decreti dopo la posizione della questione di fiducia da parte del Governo.

 

Si ricorda, infine, che la Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera, nella riunione del 9 gennaio 2014, ha richiesto alla Commissione Affari costituzionali la predisposizione di una relazione per l'Assemblea sul fenomeno della decretazione d'urgenza. La relazione è stata approvata nella seduta della Commissione del 15 luglio 2015.

Le conclusioni della relazione sottolineano la necessità, al di là delle soluzioni a livello regolamentare, legislativo e costituzionale che possono essere elaborate sul tema della decretazione, di una cultura istituzionale e politica che riesca, a differenza del passato, ad "impostare le azioni del Parlamento e del Governo in modo razionale, attraverso un'attenta e sistematica valutazione dei tempi e dei contenuti della decisione legislativa", evitando un abuso del concetto di "emergenza".

I progetti di riforma delle legislature precedenti

Nel testo approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera (C. 445 cost. e abb.) nel corso della XV legislatura (cd. bozza Violante), l’art. 11 della proposta sostituisce interamente l’art. 77 Cost., che disciplina la decretazione d’urgenza, pur conservando alcuni degli elementi che ne caratterizzano la vigente stesura.

Benché riformulato, il primo comma dell’art. 77 resta immutato quanto al significato sostanziale: viene mantenuto l’espresso divieto al Governo di emanare (senza delega del Parlamento) decreti che abbiano valore di legge ordinaria, divieto che attribuisce natura derogatoria alla disciplina recata dai commi successivi. Per quanto riguarda l’ambito di intervento dei decreti-legge (secondo comma), il Governo può ricorrere alla loro adozione soltanto in casi straordinari di necessità ed urgenza. Tale requisito costituzionale è identico a quello richiesto dall'attuale art. 77, così come l’obbligo per il Governo di presentare immediatamente i provvedimenti d’urgenza per la loro conversione in legge alle Camere, che devono riunirsi entro cinque giorni.

Le innovazioni più rilevanti sono contenute nel quarto comma del nuovo art. 77. La disposizione in questione delimita l’esercizio del potere del Governo di adottare provvedimenti d’urgenza, recependo tra l’altro a livello costituzionale alcuni dei vincoli attualmente posti dall’art. 15 della L. 400/1988, ai quali si è di fatto talvolta derogato, in quanto posti con legge ordinaria.

In particolare, con il decreto-legge non è possibile:

§  rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge;

§  ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale;

§  conferire deleghe legislative;

§  attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge.

Il quinto comma dell’art. 77, infine, precisa che la conversione in legge deve essere effettuata secondo i procedimenti legislativi di volta in volta previsti dall’art. 70 per la materia oggetto del decreto-legge.

 

Anche il progetto di legge C. 3931-A di riforma della seconda parte della Costituzione elaborato in seno alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali istituita nella XIII Legislatura (cd. “bicamerale D’Alema”) proponeva una diversa configurazione della decretazione d’urgenza.

Anche in questo caso, si recepiscono in Costituzione (articolo 99) alcuni dei requisiti previsti dal legislatore: i provvedimenti provvisori con forza di legge devono recare misure di carattere specifico, di contenuto omogeneo e di immediata applicazione. Tali provvedimenti non possono rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge, riportare in vigore disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale salvo che per vizi del procedimento, conferire deleghe legislative, attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge. Il termine per la conversione è diminuito a quarantacinque giorni dalla pubblicazione.

Tra le novità maggiori della proposta figura la limitazione dei poteri delle Camere per quanto riguarda la modificazione del contenuto dei decreti legge, che non possono essere emendati attraverso la legge di conversione (se non per la copertura degli oneri finanziari) e la restrizione del numero delle materie in cui il Governo può ricorrere alla decretazione d’urgenza (sicurezza nazionale, pubbliche calamità, norme finanziarie).

Contestualmente a tali modifiche, il testo riconosce ampi poteri al Governo nella determinazione dell'ordine del giorno delle Camere e nell'ambito del procedimento legislativo (art. 95, quarto comma): il Governo può chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno di ciascuna Camera e sia votato entro una data determinata; il Governo ha la facoltà di chiedere che, decorso il termine, la Camera deliberi sul testo proposto (o accettato) dal Governo articolo per articolo e con votazione finale (c.d. "voto bloccato").

 

Risalendo ulteriormente nel tempo, la relazione approvata dal comitato Speroni nella XII legislatura prevede che i casi in cui è ammessa la decretazione d'urgenza sono tassativamente definiti dal nuovo testo dell'articolo 77 della Costituzione, che prevede anche la non immediata reiterabilità e la non emendabilità dei decreti-legge (salvo per quanto concerne la copertura finanziaria): si demanda inoltre ai regolamenti parlamentari il compito di definire le procedure affinché le Camere deliberino sulla conversione dei decreti-legge entro il termine di vigenza dei medesimi.

 

Anche la proposta della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali costituita nella XI legislatura (c.d. Commissione De Mita-Iotti), contenuta nel progetto di riforma C. 3597-S. 1789, prevede una profonda revisione dell'art. 77 Cost. disciplinante l'istituto del decreto legge. Viene confermata la facoltà per il Governo di emanare in casi straordinari di necessità ed urgenza provvedimenti provvisori con forza di legge, ma il campo di intervento di tali atti è ridotto ad una serie di fattispecie definite: i decreti possono riguardare esclusivamente la sicurezza nazionale, le calamità naturali, l'introduzione di norme finanziarie che debbano entrare immediatamente in vigore o il recepimento e l'attuazione di atti delle Comunità europee, quando dalla mancata tempestiva adozione dei medesimi possa derivare responsabilità dello Stato per inadempimento di obblighi comunitari. Viene inoltre costituzionalizzata la disposizione dell'art. 15 della L. 400/88, a norma della quale i decreti debbono contenere misure di immediata applicazione e di carattere specifico ed omogeneo. È anche prevista la non reiterabilità dei decreti non convertiti in legge e il divieto per i provvedimenti di urgenza di ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale.

Per quanto concerne invece la decisione parlamentare sulla conversione in legge dei decreti, è introdotto l'obbligo delle Camere di deliberare sui relativi disegni di legge entro sessanta giorni dalla pubblicazione dei decreti e la non emendabilità dei decreti medesimi, salvo per quanto attiene alla copertura degli oneri finanziari.

 

La riformulazione dell’articolo 77 proposta nella relazione conclusiva della Commissione per le riforme istituzionali costituita nella IX Legislatura e presieduta dall’on. Bozzi ha previsto, in primo luogo, la specificazione dei casi di necessità ed urgenza, limitati alle calamità naturali, la sicurezza nazionale o l'emanazione di norme finanziarie che debbano entrare immediatamente in vigore. Ulteriore modifica rispetto all'impianto attuale dell'articolo 77 è quella della indicazione, in sede di legge di conversione, della decorrenza degli effetti temporali degli emendamenti approvati in sede parlamentare: emendamenti che non sono ammissibili se non strettamente attinenti all'oggetto del decreto.