Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
Riferimenti: AC N.2329/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 251/1
Data: 23/07/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Indagine conoscitiva sulla proposta di modifica della legge elettorale

A.C. 2329

Elementi di sintesi delle audizioni

 

 

 

 

 

 

 

n. 251/1

 

 

 

23 luglio 2020

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: AC0331a

 


INDICE

Schede di lettura

§  Premessa                                                                                                        3

§  ELENCO CRONOLOGICO DELLE AUDIZIONI                                             3

§  Passaggio ad un sistema elettorale di tipo proporzionale                              5

§  Candidature  ed espressione del voto                                                          14

§  Soglia di sbarramento                                                                                   20

§  Diritto di tribuna                                                                                             23

§  Rappresentanza di genere                                                                            26

§  Minoranza linguistica slovena                                                                       27

§  Procedura per l’approvazione delle leggi elettorali                                       29

 

 


Schede di lettura

 


Premessa

 

Nella seduta del 27 febbraio 2020 la I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.?361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.?533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali».

Per il dossier sulla proposta di legge si rinvia al seguente link.

Nel corso dell'indagine, la Commissione ha proceduto alle audizioni di esperti della materia, nonché dei rappresentanti dell'Unione Italiana e della Slovenska Skupnost-Unione slovena, dell'Unione economico culturale slovena (Slovenska kulturno gospodarska zveza) e della Confederazione delle organizzazioni slovene (SSO).

 

Il presente dossier propone una sintesi ragionata sui temi oggetto degli interventi svolti dai soggetti auditi nelle sedute della Commissione dal 27 maggio al 30 giugno e sulla documentazione trasmessa alla Commissione da parte dei soggetti medesimi.


 

ELENCO CRONOLOGICO DELLE AUDIZIONI

 

Mercoledì 27 maggio 2020 –Sistema di elezione Camera e Senato e modifica base territoriale Senato, audizione professori Villone e Sterpa

Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”;

Alessandro Sterpa, professore di Diritto pubblico presso l’Università degli studi della Tuscia.

Video e Resoconto stenografico

 

Mercoledì 03 giugno 2020 - Sistema di elezione Camera e Senato, audizione professori Guzzetta e Azzariti

Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma “Tor Vergata”;

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l’Università di Roma "La Sapienza".

Video e Resoconto stenografico

 

Mercoledì 10 giugno 2020 Sistema di elezione Camera e Senato, audizione Pisicchio e Volpi

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma;

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Perugia.

Video e Resoconto stenografico e memorie consegnate

 

Mercoledì 17 giugno 2020 Sistema di elezione Camera e Senato, audizione Tarli Barbieri e Porena

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

Daniele Porena, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia

Video e Resoconto stenografico e memorie consegnate

 

Mercoledì 24 giugno 2020 Sistema di elezione Camera e Senato, audizione

Avvocato Felice Besostri, esperto della materia

Roberto D'Alimonte, professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università "Luiss Guido Carli" di Roma

Video e Resoconto stenografico e memoria consegnata

 

Giovedì 25 giugno 2020 - Sistema di elezione Camera e Senato, audizione di

Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore "Politiche per la partecipazione" della Regione Toscana (audizione in videoconferenza);

Carlo Fusaro, professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze (audizione in videoconferenza);

Ksenija Dobrila, Presidente dell'Unione culturale economica slovena (audizione in videoconferenza);

Walter Bandelj, Presidente della Confederazione delle Organizzazioni Slovene

Maurizio Tremul, Presidente dell'Unione italiana;

Stefano Passigli, già professore ordinario di Scienza della politica presso l'Università di Firenze

Video e Resoconto stenografico e memorie consegnate

 

Martedì 30 giugno 2020 - Sistema di elezione Camera e Senato, audizione professori Nicoletti e Valditara

Michele Nicoletti, professore di Filosofia politica presso l’Università di Trento;

Giuseppe Valditara, professore ordinario di Diritto privato romano presso l'Università statale di Torino.

Video e Resoconto stenografico e memoria consegnata

 

 


 

Indagine conoscitiva sulla proposta di legge di modifica della legge elettorale (C. 2329)

Elementi di sintesi delle audizioni

 

 

Passaggio ad un sistema elettorale di tipo proporzionale

Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”

Rileva come la proposta di riforma elettorale, unitariamente alla proposta di modifica della base territoriale per l’elezione del Senato C. 2238 cost, anch’essa all’esame della I Commissione della Camera, da una parte prende atto della situazione politico istituzionale del paese e dall'altra, tende a mitigare gli effetti negativi conseguenti la scelta di riduzione del numero dei parlamentari; scelta quest’ultima che, sottolinea, egli reputa sbagliata.

Giudica opportuno il passaggio ad un sistema proporzionale in quanto in assenza di un vero bipolarismo, ritiene che i sistemi maggioritari non possano funzionare. A tale proposito ripercorre brevemente la storia elettorale italiana, sottolineando come il passaggio nel 1993 ad un sistema maggioritario, fosse erroneamente accompagnato dalla convinzione che il sistema stesso potesse ‘generare’ il bipolarismo. Sostenitore dei sistemi proporzionali, pone in evidenza come anche in paesi storicamente caratterizzati da un forte bipolarismo (come la Gran Bretagna) il sistema maggioritario sia entrato in crisi con il cambiamento della realtà politica. Anche gli altri sistemi presi ad esempio per il maggioritario, che sono oltre la Gran Bretagna la Francia e la Spagna, sono andati in crisi. In un paese come l’Italia che non tende a essere bipolare, ma che si sta assestando su un assetto tripolare, il maggioritario non può funzionare in quanto consente ad una minoranza di trasformarsi in una ‘fasulla maggioranza’ che non esiste nella realtà del Paese.

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma

Ritiene che la proposta rappresenti un tentativo di convergenza dei sistemi elettorali adottati nell’ordinamento italiano; da un lato vi sono infatti gli organi di comuni, regioni e i rappresentanti italiani al Parlamento europeo eletti con sistemi proporzionali (pur se con elementi di disproporzionalità rappresentati da soglie d'ingresso e da premi di maggioranza) e dall’altro lato, i rappresentanti nazionali eletti con il sistema misto, tuttora vigente, che continua a contenere il 34 per cento di regola maggioritaria e che si intende superare con la proposta di legge in esame.

Ritiene inoltre che la scelta di un sistema proporzionale sia più adatta ad Assemblee parlamentari con numerosità sensibilmente ridotte, in cui appaiono in partenza drasticamente ridimensionate, o addirittura elise, le formazioni politiche medie e piccole, a beneficio delle formazioni maggiori. In questo nuovo contesto, giudica pertanto appropriata l'adozione del sistema proporzionale per meglio venire incontro alle ragioni della rappresentanza. Nel sistema proposto vi sono tuttavia elementi di disproporzionalità, rappresentati dallo sbarramento esplicito del 5 per cento e dallo sbarramento implicito determinato, a suo avviso, dal numero ridotto di seggi e dalle dimensioni delle circoscrizioni e dei collegi elettorali. Riconosce certamente utile il correttivo adottato con la rappresentanza di tribuna, ma ritiene che questo potrebbe “rivelarsi insufficiente a consentire una rappresentanza plurale delle posizioni politiche più rilevanti” e, al tempo stesso, potrebbe denunciare qualche debolezza sul versante della governabilità, in quanto non vi è alcun meccanismo di incentivazione ad unirsi in coalizione.

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Perugia

Si pronuncia senza esitazione per un sistema proporzionale corretto con una soglia di sbarramento, più o meno come quello delineato nella proposta di legge, per due regioni fondamentali. La prima attiene al bilancio non soddisfacente dell'applicazione dei sistemi «simil-maggioritari» che si sono succeduti in Italia e che non hanno prodotto gli effetti che venivano auspicati da chi li ha sostenuti. In primo luogo, non c' è stata una significativa riduzione del numero dei partiti, né ci sono stati Governi stabili di legislatura, lontana dal vero soprattutto la retorica della scelta del Governo (e addirittura del presidente del Consiglio) da parte del corpo elettorale. Nel corso delle legislature si sono, invece, verificati più volte cambi di Governo e cambi del Presidente del Consiglio, e d’altronde, sottolinea come nell’ambito della forma di Governo parlamentare, il Governo derivi dal Parlamento e non possa derivare direttamente dal corpo elettorale. La seconda ragione si basa sulla crisi del modello maggioritario che si sta verificando in vari ordinamenti democratici, anche consolidati, dovuta principalmente dalla crisi dei partiti tradizionali, ed all'emergere di nuovi partiti, spesso estremi o che talvolta non sono collocabili lungo l'asse tradizionale destra-sinistra, e dunque ritiene non adatto un sistema che esasperi le differenze. Anche la riduzione dei parlamentari è un altro elemento che rende preferibile un sistema elettorale di tipo proporzionale per evitare che venga eccessivamente compressa la rappresentanza. Passando al merito della proposta di legge, ritiene perciò positivo l’eliminazione degli aspetti maggioritari quali i collegi uninominali, l'obbligo di dar vita a una coalizione e l'indicazione del capo della forza politica. Esprime tuttavia tre rilievi critici, nell'ottica di migliorare il testo, che riguardano l’entità della soglia di sbarramento, le liste bloccate e le pluricandidature.

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

Considera come nei precedenti interventi si sia espresso un favor verso una riforma elettorale improntata ad un metodo proporzionale di attribuzione dei seggi, anche a prescindere dall'eventuale entrata in vigore della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Osserva a tale proposito che la Corte costituzionale ha affermato a più riprese che in materia elettorale il legislatore gode di un'ampia discrezionalità, pur dovendo attenersi alle indicazioni della giurisprudenza della stessa Corte. A suo avviso la giurisprudenza in materia (particolarmente attenta alle esigenze della rappresentanza) se da un lato escluderebbe dubbi di costituzionalità per un sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento, dall’altro non escluderebbe modelli diversi di sistemi elettorali.

Passando ai contenuti della proposta di legge, ritiene che questa eliminerebbe alcuni degli aspetti più criticati, o comunque discussi, della vigente legge elettorale: il voto unico per il collegio uninominale e per la parte proporzionale; la pluralità delle soglie di sbarramento, l'apparentamento in coalizione, l'indicazione del capo unico della forza politica. Altro elemento positivo della proposta è la coerenza con le due riforme costituzionali attualmente all'esame del Parlamento: quella sull'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo tra le due Camere e quella relativa alla revisione dell'articolo 57, primo comma, della Costituzione, sulla modifica della base territoriale per l’elezione del Senato. Caratteristiche essenziali del modello, ritiene che siano la soglia di sbarramento al 5 per cento e il cosiddetto «diritto di tribuna».

Aspetto problematico della riforma ritiene siano le liste bloccate (vedi infra), per tale motivo invita a valutare la possibilità di prendere in considerazione, dal momento che si è scelto un sistema proporzionale, un sistema che preveda l’assegnazione dei seggi direttamente nei territori, o per lo meno parta dai territori, valorizzando il rapporto tra gli eletti e la circoscrizione.

Daniele Porena, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia

Esprime una opinione favorevole sul ripristino del sistema proporzionale nella legislazione elettorale, sistema che ritiene valorizzi la centralità del Parlamento e rafforzi l'istituto della fiducia e sia perciò il più coerente con la forma di Governo stabilita dalla Costituzione. Illustra come a suo avviso l’adozione, negli ultimi 25 anni, di sistemi prevalentemente maggioritari associati alla soppressione del sistema delle preferenze e alla prevista indicazione del capo della coalizione, abbia compromesso il naturale ordine della relazione fiduciaria tra Parlamento e Governo, arrivando al “paradosso secondo cui non è stato più chi ambiva a ricoprire la carica governativa a dover conquistare la fiducia parlamentare, ma al contrario, chi ambiva a ricoprire la carica parlamentare a dover godere preventivamente, cioè per il solo fatto di avere accesso alle liste elettorali della fiducia del rispettivo leader politico”.

Considera convincente l’impostazione generale della proposta, condivide la necessità di temperare la scelta del proporzionale con una robusta soglia di sbarramento e al contempo di garantire un diritto di tribuna. Indica, invece, nell’assenza del voto di preferenza il punto critico che a suo avviso richiederebbe un ulteriore approfondimento. Aggiunge inoltre l’invito a valutare l’ipotesi di una revisione dell'istituto della fiducia parlamentare (sebbene il tema esondi rispetto al perimetro della legge ordinaria), nel senso di riflettere dell'opportunità di associare ad un sistema proporzionale (come quello ipotizzato, il cui pregio della rappresentatività sconta un qualche difetto sul piano della stabilità di Governo), il meccanismo della cosiddetta «sfiducia costruttiva», che ha mostrato convincenti prove di funzionamento rispetto ad altri sistemi elettorali, di impronta schiettamente proporzionale.

Roberto D'Alimonte, professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università "Luiss Guido Carli" di Roma

Giudica sbagliata la riforma elettorale proposta. Illustra brevemente i sistemi elettorali che si sono succeduti a partire dal 1993 (tre sistemi elettorali ‘misti’ per sette elezioni) al fine di rilevare come, pur con delle differenze, i tre sistemi siano accomunati da una caratteristica cruciale: essi hanno incentivato le forze politiche a decidere prima del voto con chi allearsi per governare il Paese e con essi si è passati da un modello di competizione fondato sulle coalizioni post-elettorali della Prima Repubblica a un modello basato sulle coalizioni pre-elettorali della Seconda. Ritiene che questo meccanismo abbia introdotto una responsabilizzazione maggiore dei partiti nei confronti dei cittadini. Sottolinea come fino al 2013, prima i collegi uninominali, poi il premio di maggioranza abbia permesso di trasformare una maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta di seggi. A suo avviso, proprio questa disproporzionalità del sistema ha favorito quel minimo di stabilità degli esecutivi, e quindi di governabilità, di cui ha goduto il Paese, nonostante la debolezza dei partiti attuali. Ritiene che il sistema proporzionale in discussione sia un sistema che privi gli elettori della possibilità di decidere chi governa, lasci i partiti liberi di decidere a piacimento con chi allearsi senza impegni preventivi nei confronti degli elettori e renda l'esito del voto incerto. Sottolinea come la possibilità di avere maggioranze più o meno coese e, insieme la governabilità del Paese, sarebbe legata alla quantità di voto disperso generato dal sistema, al voto cioè dato ai partiti sotto la soglia fissata al 5 per cento (unico elemento che giudica positivamente).

Suggerisce infine due possibili alternative partendo dalla legge vigente. La prima ipotesi potrebbe essere quella di introdurre un premio di maggioranza a livello nazionale sia alla Camera sia al Senato per la coalizione con più voti, posto che abbia almeno il 40 per cento e potrebbe essere fatto con un turno solo o meglio con due turni, pur mantenendo un impianto proporzionalistico e andando incontro ai rilievi della Corte costituzionale. La seconda ipotesi potrebbe essere quella di incrementare il numero di collegi uninominali. Entrambe le ipotesi ritiene che siano “soluzioni di equilibrio molto più efficienti tra rappresentatività e governabilità”.

 

Felice Besostri, Esperto della materia

Considera necessario procedere alla riforma del sistema elettorale soprattutto per superare le criticità che l’attuale normativa comporterebbe soprattutto con riferimento al differente calcolo della quota maggioritaria tra Camera e Senato, che sarebbe aggravata dalla riduzione dei parlamentari recata dalla riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum a settembre.

Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata».

Ritiene che il sistema vigente garantisca una maggiore stabilità rispetto ad un sistema proporzionale, evidenziando quindi la contraddizione esistente con le premesse della relazione che accompagna il provvedimento, laddove si denuncia il fallimento del sistema attuale nel non riuscire a coniugare bene il principio di rappresentatività con l'obiettivo di stabilità.

Osserva altresì come il sistema delineato nella proposta di legge disincentivi gli accordi politici prima del voto, favorendo invece gli accordi parlamentari, e non sia immediatamente applicabile per la necessità di attendere i decreti legislativi di definizione di collegi e circoscrizioni.

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

Reputa che il modo migliore per garantire l’obiettivo enunciato dal legislatore di coniugare stabilità e rappresentanza sarebbe adottare un sistema completamente uninominale con distribuzione proporzionale dei seggi nei collegi (che sarebbero in numero pari ai deputati da eleggere), e assegnazione diretta del seggio al candidato che dovesse conseguire il 65% dei voti nel collegio (è il sistema adottato per le elezioni del Senato fino al 1994 ed un sistema simile è stato utilizzato nelle elezioni provinciali tra il 1993 ed il 2011).

I principali vantaggi dell’adozione di un tale sistema sarebbero:

  • maggiore conoscibilità dei candidati da parte dei cittadini
  • responsabilizzazione dei partiti nella scelta delle candidature
  • riavvicinamento della politica ai cittadini

Considera che in un simile sistema proporzionale l’ipotesi di preventiva indicazione di collegamento in coalizione non avrebbe senso. Del sistema delineato dalla proposta di legge, giudica invece positivamente l’abbandono dell’ipotesi di indicazione del capo della forza politica, che in passato si è dimostrata essere ad essere poco realistica.

Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore "Politiche per la partecipazione" della Regione Toscana

Valuta positivamente il ritorno ad un sistema proporzionale, che non è, a suo avviso, una scelta di ripiego, piuttosto una risposta alla esigenza di ricostruire le condizioni di legittimità democratica del Parlamento; un sistema proporzionale con una soglia di accesso ragionevole, non aggirabile, sarebbe un primo passo verso questa prospettiva e per ridare la parola alla politica; ritiene infatti pienamente legittima la mediazione parlamentare post-elettorale, mentre critica il sistema vigente in quanto assemblaggio di logiche diverse, costringe le forze politiche a formare coalizioni non rispondenti agli orientamenti della opinione pubblica. Passando al merito della proposta, si sofferma su due aspetti: il sistema delle candidature (e i meccanismi di attribuzione e ripartizione dei seggi, vedi infra) e la soglia di sbarramento.

Segnala che nel testo consegnato in audizione (oltre ad una lettura dei sistemi elettorali che si sono succeduti in Italia), è esposta una analisi degli effetti della legge vigente nelle elezioni del 2018, che dimostra il carattere aleatorio, molto casuale, del rapporto tra effetti maggioritari ed effetti proporzionali; in sostanza, come la modesta distorsione maggioritaria che si è prodotta, sia dovuta principalmente alla distribuzione territoriale dei seggi ottenuti nei collegi uninominali.

Carlo Fusaro, professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze

Ritiene del tutto improbabile che la trasformazione del sistema elettorale da misto a prevalenza proporzionale ad interamente proporzionale, pur con soglia di sbarramento, possa perseguire il duplice obiettivo della governabilità e della stabilità. L’eliminazione della quota maggioritaria dal sistema vigente, a suo avviso, rimetterebbe alle forze politiche parlamentari la formazione e la durata dei governi ed anche la stabilità resterebbe affidata ai comportamenti delle stesse forze politiche. Sembrerebbe piuttosto che obiettivo prevalente della riforma sia la rappresentatività, posto che un sistema interamente proporzionale rende assai difficile per qualsiasi forza politica assicurarsi la maggioranza dei seggi parlamentari.

In relazione al rapporto con le riforme costituzionali correlate in itinere, ritiene opportuno attenderne l’esito, in quanto si rischierebbe, a suo avviso, di varare una legge in un contesto costituzionale potenzialmente superato; inoltre dalla approvazione delle riforme, in particolare i due interventi sul Senato, deriverebbero nuovi vincoli ma anche nuove opportunità. Considera infatti possibile pensare ad un sistema diverso da quello interamente proporzionale che sia in grado di perseguire, oltre la rappresentatività anche la governabilità e suggerisce alcune ipotesi, la prima delle quali sarebbe quella di conservare l’attuale legge elettorale. Rileva come la legge 51 del 2019 sia stata approvata per rendere applicabile la normativa in caso di approvazione della riforma costituzionale di riduzione dei parlamentari e da allora non è cambiato che il contesto politico. La seconda proposta, minimalista, sarebbe quella di apportare alla legge elettorale del Senato, le sole modifiche necessarie ad evitare che nelle regioni più piccole vengano eletti, nella parte proporzionale, solo rappresentanti di maggioranza (ad esempio costituendo circoscrizioni interregionali). Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di aumentare la quota maggioritaria nel sistema misto vigente. Al fine di favorire la rappresentanza territoriale, si potrebbe considerare un sistema che preveda l’attribuzione dei seggi direttamente nelle circoscrizioni (se non nei collegi plurinominali) o in alternativa costituire tutti collegi uninominali e attribuire i seggi secondo una formula simile a quella utilizzata nelle ‘vecchie elezioni provinciali’ ovvero simile a quella del Senato, fino al 1993. Infine si potrebbe considerare la possibilità di trasferire sul piano nazionale i modelli di successo a livello locale e regionale.

Giuseppe Valditara, professore ordinario di diritto privato romano presso l'Università europea di Roma.

Osserva come il sistema delineato nella proposta C. 2329 non garantisca la governabilità (meglio in tal senso sarebbe un sistema maggioritario, come il Mattarellum che nel 2001 funzionò egregiamente, mentre nel 1994 funzionò meno a causa di una coalizione improvvisata), incentivi la frammentazione partitica ed avrà come conseguenza un più rilevante ruolo politico del Presidente della Repubblica.

La legge elettorale in senso proporzionale rappresenta, a suo avviso, un passo indietro, come ai tempi della prima repubblica, pur manifestando apprezzamento per il fatto che si discuta a distanza di circa tre anni dalle prossime elezioni, evitando così il rischio, o anche solo l’apparenza, che si voglia favorire un qualche soggetto a discapito di altri (come raccomandato dalla Commissione di Venezia). Ricorda quindi come storicamente in presenza di sistemi elettorali proporzionali non si siano mai prodotte grandi riforme strutturali, di cui invece oggi il Paese ha grande bisogno.

Auspica in conclusione che si eviti l’errore di una legge diversa tra Senato e Camera.

Michele Nicoletti, professore di Filosofia Politica presso l'Università di Trento.

Osserva come l’obiettivo di garantire un maggiore grado di rappresentatività, che a suo avviso il sistema proporzionale meglio di altri può perseguire, risulti, così come delineato nella proposta in esame, in qualche modo temperato dall’alta soglia di sbarramento al 5%, che potrebbe escludere dalla rappresentanza parlamentare circa un milione di persone (coloro cioè che esprimono un voto in favore dei partiti sotto soglia).

In assenza di modifiche parlamentari, il sistema proposto non appare però in grado di garantire una migliore stabilità di Governo, come le esperienze passate dimostrano. Il legislatore si trova dinanzi alla scelta se riconoscere ai cittadini la possibilità di determinare concretamente la politica nazionale o se limitare il voto al solo scopo di eleggere i parlamentari, lasciando a questi le mani libere di stringere alleanze dopo il voto (incentivando così pratiche trasformistiche).

Sarebbe preferibile un sistema elettorale che comporti una maggiore stabilità politica e un accresciuto rapporto fiduciario tra elettori, maggioranza e Governo (che darebbe a quest’ultimo anche maggiore autorevolezza in Europa), favorendo il superamento della funzione mediatrice dei partiti ed evitando il rischio di un’oligarchia partitocratica.

Stefano Passigli, già professore ordinario di Scienza della politica presso l'Università di Firenze

Ritiene che si debba sfatare il luogo comune per cui un sistema elettorale proporzionale porti necessariamente instabilità e un sistema maggioritario porti necessariamente governabilità.

Gli effetti dei sistemi elettorali, quale che sia il rapporto teorico tra rappresentatività e governabilità che sottintendono, sono dipendenti dal contesto storico politico in cui agiscono concretamente. Illustra brevemente, a tale proposito, alcuni esempi di applicazione concreta dei sistemi maggioritari e proporzionali nei principali paesi europei, citando da ultimo la legge Mattarella, che a suo avviso, ha causato frammentazione politica anziché stabilità (favorendo, proprio con l’attribuzione dei seggi nei collegi uninominali, la nascita di piccoli partiti).

Considera rischioso un sistema elettorale che favorisca la costituzione di una maggioranza rigida che poi potrebbe non corrispondere più a quella presente nel Paese, mentre ritiene che un sistema elettorale che abbia un certo grado di flessibilità sia maggiormente in grado di adattarsi ai cambiamenti della situazione politica. Ritiene che un sistema proporzionale, più attento alla rappresentanza, sia maggiormente in grado di affrontare un momento storico di crisi economica e di instabilità politica.

 

 

 


 

Candidature  ed espressione del voto

Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”

Ritiene che la parte della proposta di legge su cui si debba ancora riflettere sia quella relativa alle liste e all’espressione del voto. Il meccanismo così come sembra delineato sembra prevedere il voto alla lista, senza alcuna scelta del rappresentante; “se l'esito è quello di avere la totalità dei parlamentari scelti a lista bloccata, bisogna dire che l'incostituzionalità è certa, perché la Corte si è già pronunciata in tal senso con la sentenza n. 1 del 2014”. Benché sia consapevole che il voto di preferenza sia un ‘boccone indigesto’ - di cui conosciamo tutti i rischi, anche degenerativi di sistema - non vede altro modo di garantire il necessario rapporto tra il territorio e il parlamentare.

 

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma

Rileva come la principale divaricazione tra i sistemi elettorali adottati in Italia sia l’espressione del voto di preferenza, presente nei sistemi di elezione degli organi di comuni e regioni e dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo ed assente invece nel sistema vigente di elezione del Parlamento ed anche nella proposta in esame. La “scelta di esclusione del voto di preferenza dal livello elettivo delle Assemblee parlamentari”, a suo avviso, ha inciso in modo significativo sulla formazione della rappresentanza nel Parlamento, sradicandola dal territorio e “recando qualche pregiudizio anche sul piano dell'autonomia del parlamentare e del rispetto dell'articolo 67 della Costituzione”. Ricorda come l'argomento del “raccordo tra rappresentanza e corpo elettorale” sia presente nel dibattito parlamentare ogni qual volta (praticamente in ogni legislatura) si sia affrontato il tema della riforma elettorale. Propone di considerare il voto di preferenza al fine di “tonificare il circuito rappresentativo, anche per garantire l'allineamento dell'ordinamento elettorale a tutti i livelli”. Ritiene le liste bloccate legittime, se composte nei limiti indicati dalla Corte costituzionale (e non viola il principio del divieto di mandato imperativo dell’art. 67 Cost.), ma comunque non idonee a favorire il rapporto tra rappresentante e rappresentato.

 

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Perugia.

Valuta le liste bloccate un punto critico della proposta. In relazione all’attenzione del legislatore verso l’indicazione della Corte costituzionale che le liste siano brevi, ricorda come la Corte nella sua sentenza n. 35 del 2017 salvava le liste bloccate anche con riferimento al fatto che il blocco era limitato ai soli capilista e per gli altri candidati si potevano esprimere due preferenze di sesso diverso. Ritiene perciò che qualche dubbio di legittimità costituzionale potrebbe anche esservi, ma la critica principale è rivolta al fatto che verrebbe sacrificata la libertà dell'elettore e si perpetuerebbe una situazione nella quale sono i vertici, o direttamente il leader, del partito a scegliersi i candidati, oppure i candidati sono il frutto di una scelta da parte di gruppi di militanti, non troppo numerosi, che talvolta è casuale. Considera questo uno dei fattori che in passato hanno accentuato il distacco tra elettori ed eletti ed hanno anche favorito il fenomeno del «transfughismo» dei parlamentari.

Propone come alternativa un voto con doppia preferenza di genere, che avrebbe vari vantaggi: rinsalderebbe il rapporto tra elettori ed eletti; darebbe maggiore possibilità di elezione di donne; consentirebbe di superare il sistema un po' barocco di ripartizione dei seggi attualmente vigente, che prevede come ultimo livello di ripartizione dei seggi i collegi plurinominali (in cui peraltro sono possibili slittamenti di seggi da un collegio ad un altro). I collegi plurinominali, infatti, sono previsti proprio per la necessità di rispettare la condizione di liste bloccate brevi. Aggiunge infine (nella memoria consegnata) come sarebbe necessario attuare quel “metodo democratico” previsto dall’art. 49 Cost. disciplinando in linea generale le possibili modalità di presentazione delle candidature da parte di militanti dei partiti o anche di gruppi di elettori come fa la legge elettorale della Germania.

Considera, infine, le pluricandidaure un altro punto critico della proposta; ricorda che in Germania e in Spagna le pluricandidature sono vietate. Ritiene che la possibilità di candidarsi in più collegi dovrebbe quanto meno essere limitata a due o al massimo tre collegi.

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

Benché non evidenzi sicuri dubbi di legittimità costituzionale alla stregua della sentenza n. 1 del 2014, ritiene che le liste bloccate rimangano comunque un problema, specialmente sotto il profilo della conoscibilità da parte dell'elettore. Le liste, inoltre, sarebbero potenzialmente più ampie e con otto nomi sarebbe impossibile o molto difficile riprodurre i candidati sulla scheda elettorale (e la proposta di legge, infatti, non prevede più la riproduzione dei nomi dei candidati nella scheda elettorale). Le liste bloccate, inoltre, pongono inoltre la questione dell'individuazione di queste candidature, e quindi dell'assenza nel nostro ordinamento di una legge sulla selezione dei candidati all'interno dei partiti. In conclusione evidenzia come il voto di preferenza, benché a suo avviso non sia l’unica alternativa possibile (nella memoria consegnata cita l’ampia varietà di soluzioni - presente nell’esperienza comparatistica - per assicurare quella indicazione personale degli elettori di cui parla la sentenza 1 del 2014) sia auspicato da molti in quanto l’alternativa scelta, invece, lascia soltanto alle segreterie dei partiti l'indicazione dei candidati.

Considera l’ampia possibilità di candidarsi in più collegi, “decisiva nel minare la possibilità per gli elettori di godere di ogni margine di apprezzamento, in termini di conoscibilità, di una parte rilevante dei propri rappresentanti e per questo non è contemplata in altre democrazie consolidate”

Daniele Porena, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia

Considera un punto critico della proposta di legge l’assenza del voto di preferenza. Ritiene che le patologie del voto di preferenza (perpetuarsi di fenomeni di tipo clientelare o tendenze alla proliferazione incontrollata e incontrollabile delle spese elettorali) non abbiano rappresentato ragioni sufficienti per la sua definitiva e radicale espunzione dal sistema di elezione del parlamento nazionale; segnala peraltro, come il voto di preferenza continui ad essere utilizzato nelle elezioni comunali e regionali, dove la maggiore prossimità del cittadino agli interessi curati dalle rispettive amministrazioni (rispetto al rapporto, sicuramento più ‘rarefatto’ degli tra gli elettori e i parlamentari) acuirebbe ancor più i possibili rischi ad esso connesso. A suo avviso sistemi di accountability adeguati, su candidati e campagne elettorali, unitamente a più rigorosi ed efficaci misure volte a garantire il rispetto di inderogabili limiti di spesa elettorale, potrebbero già di per sé essere in grado di tenere sotto controllo possibili meccanismi ed effetti distorsivi. In conclusione valuta positivamente il voto di preferenza in quanto concorrerebbe a “rivitalizzare il sistema dei partiti politici (un sistema nel quale l'articolo 49 della Costituzione assegna una non trascurabile rilevanza)”, orientandolo “verso la necessità di rinsaldare il rispettivo radicamento nei territori, restituendo loro un ruolo di mediazione, in parte smarrito nel tempo, tra corpo elettorale e organi istituzionali”.

Le liste bloccate previste dalla proposta in esame, potrebbero essere ancora passibili della censura della Corte, non essendo possibile quantificare il ‘numero esiguo’ che consentirebbe ‘la piena conoscibilità’ dei candidati. Sulla possibilità di consentire a ‘cittadini dotati di particolari ed elevate qualità”, di partecipare alla vita parlamentare pur essendo fuori dai circuiti dei partiti, ritiene comunque necessario “considerare il rapporto tra candidati eletti con voto di preferenza e i candidati eletti per ordine di lista (quelli bloccati), come un rapporto tra regola ed eccezione, affidando alle preferenze elettorali le sorti del maggior numero dei seggi parlamentari e, ad un sistema di listini bloccati, nelle forme ritenute più opportune, le sorti di un numero di seggi più esiguo”. Nello specifico, a seguito di alcuni interventi, ritiene “coerente, dignitoso, l'ipotesi che in ogni lista proporzionale ci fosse un capolista bloccato con un'alternanza di genere all'interno della circoscrizione, il resto con le preferenze.”

Da ultimo considera che, qualora si perpetuasse l’ipotesi dell’assenza del voto di preferenza, andrebbe sicuramente ridimensionato il sistema delle pluricandidature.

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

Osserva come le liste bloccate siano un ostacolo all’obiettivo di garantire un maggior pluralismo della rappresentanza politica, atteso che nessuno dei parlamentari è indicato personalmente dagli elettori. Precisa però che sulla base delle due pronunce della Consulta, che sull’argomento ritiene in qualche modo ambigue, tale condizione sia resa più accettabile dalla dimensione ridotta delle circoscrizioni elettorali, che garantirebbero una migliore riconoscibilità dei candidati.

Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore "Politiche per la partecipazione" della Regione Toscana

Condivide la scelta di fondare il meccanismo elettorale su collegi plurinominali e liste di candidati molto corte (non più di otto) che, a suo avviso, risponde all’esigenza della conoscibilità dei candidati. Sostiene che il voto di preferenza, in assenza di partiti fortemente strutturati, presenta molti più inconvenienti che vantaggi.

In relazione alla conoscibilità dei candidati, considera fondamentale “limitare quanto possibile procedure di assegnazione e distribuzione territoriale che producano effetti casuali, slittamenti o spostamenti di seggi che creino distorsioni nella rappresentanza territoriale”. A tale proposito suggerisce di prendere in considerazione un sistema che veda l’assegnazione dei seggi direttamente nel livello più basso, quindi un’attribuzione nazionale solo per i seggi che non si è potuto assegnare nel primo livello. La proposta in esame, ricorda, al pari della legge elettorale vigente (e di quelle che l’hanno preceduta) ha invece un impianto generale ‘top-down’, a cascata, che vede l’assegnazione dei seggi a livello nazionale quindi la ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni e poi nei collegi plurinominali “con meccanismi complessi e farraginosi”. Bisognerebbe, a suo avviso, limitare al massimo il meccanismo dei seggi cosiddetti “eccedentari” e “deficitari”, che possono provocare effetti distorsivi, specie per le liste minori che potrebbero avere candidati eletti dove minore è la loro  forza elettorale, oltre che per la coerenza della rappresentanza territoriale in generale.

 

Carlo Fusaro, professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze

Premesso il fatto di essere sostenitore dei collegi uninominali, considera le liste bloccate comunque preferibili al voto di preferenza, in quanto possono fare meno danni e permetterebbero di perseguire meglio l’equilibrio di genere.

 

Giuseppe Valditara, professore ordinario di diritto privato romano presso l'Università europea di Roma.

Ricorda le pronunce della Corte Costituzionale in materia di liste bloccate, che non garantiscono un’adeguata rappresentanza politica, se non laddove – secondo la Corte - il territorio di circoscrizioni e collegi elettorali sia di dimensioni così ridotte da consentire la reale conoscibilità dei candidati. Nella proposta in esame le liste bloccate sono a suo avviso troppo lunghe. Invita infine a valutare con attenzione la questione dell’ampiezza delle liste bloccate, paventando il rischio che liste relativamente lunghe espongano la legge elettorale ad una possibile bocciatura della Corte costituzionale.

 

Michele Nicoletti, professore di Filosofia Politica presso l'Università di Trento.

Le liste bloccate, pur con il correttivo della parità di genere, equivalgono - in un sistema proporzionale - ad una delega ai partiti sulla scelta dei parlamentari, configurando in quest’ultimi un enorme potere, gestito in maniera centralizzata e legato prevalentemente a meccanismi di fedeltà personale. Tale criticità risulta in qualche maniera aggravata dall’alta soglia di sbarramento che disincentiva l’accesso al parlamento di formazioni minori. Sarebbe invece auspicabile un meccanismo autenticamente democratico di partecipazione degli elettori alla formazione delle liste (come raccomandato dal Consiglio d'Europa attraverso i lavori della cosiddetta commissione di Venezia).

 

 

Stefano Passigli, già professore ordinario di Scienza della politica presso l'Università di Firenze

Esprime il proprio dissenso nei confronti del sistema delle liste bloccate che sono, a suo avviso, una delle ragioni di maggior insoddisfazione dei cittadini nei confronti della politica; non poter scegliere i propri rappresentanti fomenta la perenne polemica dell’antiparlamentarismo. Come sistemi alternativi di selezione della classe politica indica il voto di preferenza, che nonostante i difetti considera comunque preferibile alle liste bloccate, il collegio uninominale, che consente l’identificazione del candidato o anche una combinazione di collegi uninominali e collegi plurinominali, come nel sistema vigente, purché in questi ultimi ci sia comunque la possibilità di scegliere i candidati.

 

 

 


 

 

Soglia di sbarramento

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma

Considera inedita, nell'esperienza del diritto elettorale italiano, la scelta della soglia di sbarramento esplicita fissata al 5 per cento e segnala come una soglia così alta, lascerebbe fuori dal Parlamento liste destinatarie di oltre 1,6 milioni di voti ciascuna, calcolati con riferimento ai voti validi registrati alle legislative del 2018. Segnala altresì come nel sistema proposto sia presente anche una soglia implicita determinata, a suo avviso, dal numero ridotto di seggi e dalle dimensioni delle circoscrizioni e dei collegi elettorali.

Sollecitato da alcuni interventi ribadisce come la legge elettorale non possa da sola risolvere tutto e sia invece necessario, ad esempio, che i Regolamenti parlamentari non siano contraddittori con le istanze rappresentate dalla legge; nello specifico, in relazione all’inserimento di una soglia di sbarramento ‘alta’ al fine di favorire aggregazioni tra le forze politiche, le regole di composizione dei gruppi parlamentari dovrebbero essere coerenti.

 

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Perugia.

Considera l’entità della soglia troppo alta, tale che porterebbe ad escludere partiti o forze politiche che otterrebbero circa un milione e mezzo di voti (calcolati sui voti 2018, il 5 per cento equivarrebbe alla Camera a circa 1 milione 600 mila voti e al Senato a circa 1 milione 500 mila voti). Ricorda inoltre come la soglia del 3 per cento stabilita dalla legge vigente è stata superata nel 2018 solo da sei liste. Ritiene perciò che andrebbe ridotta l'entità della soglia, non di molto, ma è opportuno che venga calcolata concretamente e non in astratto. L’abbassamento della soglia, a suo avviso, eviterebbe anche di applicare quel meccanismo un po' strano che è il cosiddetto «diritto di tribuna» (vedi infra). In tema, ritiene anch’egli che ci debba essere coerenza tra la disciplina elettorale sulla soglia di sbarramento e il diritto parlamentare, specialmente in relazione alle regole di composizione dei gruppi parlamentari.

 

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

Non condivide l’opinione di altri colleghi che reputano la soglia di sbarramento esplicita non necessaria in quanto la soglia implicita, con la diminuzione del numero di parlamentari risulterebbe sufficientemente alta. A sua avviso la soglia di sbarramento rimane necessaria, soprattutto in presenza di una assegnazione nazionale dei seggi (che con la riforma costituzionale dell’art. 57, comma 1 potrebbe essere estesa anche al Senato), per cui la soglia implicita è invece molto bassa. Riguardo l’adeguatezza della soglia, ritiene che non vi siano possibili rilievi di legittimità costituzionale (ricorda le sentenze della Corte costituzionale 139 del 2015 e 239 del 2018), piuttosto potrebbero esservi rilievi sul piano politico, nel senso che se l’obiettivo della soglia è quello di contenere la frammentazione politico-partitica, questa è altresì imputabile ad istituti precedenti e successivi all’assegnazione dei seggi, come la presentazione delle liste (e l’esonero dalla sottoscrizione per alcuni gruppi, che, come formulato nella normativa vigente, ritiene ponga dubbi di legittimità costituzionale rispetto all’art. 3) e le regole per composizione dei gruppi parlamentari.

 

Daniele Porena, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia

Condivide l'ipotesi di temperare il rigore proporzionalista mediante l'introduzione di una robusta soglia di sbarramento (questo a presidio di essenziali condizioni di stabilità istituzionale).

 

Roberto D'Alimonte, professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università "Luiss Guido Carli" di Roma

Considera la soglia di accesso fissata al 5 per cento, l'unico elemento positivo del sistema elettorale in discussione. Questo meccanismo potrebbe generare una disproporzionalità sufficiente a trasformare una minoranza di voti in maggioranza di seggi, ma solo alla condizione che ci sia voto disperso.

 

Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata».

L’assegnazione in un collegio unico nazionale non comporta soglie implicite in grado di ridurre la frammentazione politica.

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

Ritiene che, a fronte del dichiarato obiettivo di assicurare il pluralismo territoriale e politico della rappresentanza, già la riduzione del numero di parlamentari comporti di per sé un innalzamento della soglia naturale, dovendo i partiti piccoli conseguire più voti per ottenere un seggio. Reputa altresì che l’obiettivo della stabilità, che la riduzione della frammentazione garantita da alte soglie contribuirebbe a raggiungere, sia in realtà vanificato dall’adozione di un sistema proporzionale. Ricorda quindi come alte soglie in Europa sono presenti solo laddove il n. dei seggi da assegnare è alto (come per la camera bassa in Germania – con circa 700 seggi). Si chiede infine se si possa considerare un buon risultato quello di escludere – in tal maniera - gran parte dei voti dei partiti minori dal Parlamento.

Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore "Politiche per la partecipazione" della Regione Toscana

Valuta troppo elevata la soglia di accesso del 5 per cento, posto che, a suo avviso, le ragioni della frammentazione politica risiedono anche altrove e ritiene che sia un errore escludere dalla rappresentanza circa un milione di elettori, come avverrebbe con la soglia fissata al 5 per cento. Considera che una soglia fissata al 3 per cento sia una soglia ragionevole e non produca eccessivi effetti di frammentazione politica.

Michele Nicoletti, professore di Filosofia Politica presso l'Università di Trento.

Ritiene troppo alta la soglia di sbarramento al 5 per cento, che rischia di escludere dal parlamento quelle forze minori che sono rappresentative di più di un milione di elettori

Stefano Passigli, già professore ordinario di Scienza della politica presso l'Università di Firenze

Osserva come inserire una soglia di sbarramento ‘punitiva’ o agire sulla grandezza dei collegi per ‘aumentare’ la soglia implicita, vorrebbe dire inserire celatamente elementi ‘maggioritari’ nel sistema, meglio sarebbe allora farlo esplicitamente con un premio di maggioranza ragionevole, comunque più comprensibile dai cittadini. Riguardo alla soglia fissata dalla proposta di legge al 5 per cento ritiene che potrebbe anche essere ragionevole, tuttavia invita a considerare il ruolo che i piccoli partiti e movimenti hanno avuto nella storia politica italiana, nel costituire il tessuto connettivo di coalizioni e dunque a considerare se l’esclusione di queste forze (come si avrebbe probabilmente con una soglia fissata al 5 per cento) sia davvero auspicabile ai fini della stabilità. In conclusione, considera possibile un abbassamento della soglia (che dovrebbe comunque essere non inferiore al 3 per cento), nel qual caso cadrebbe la necessità di disciplinare il diritto di tribuna, sul quale esprime qualche riserva (vedi infra).

 

 


 

 

Diritto di tribuna

Alessandro Sterpa, professore di Diritto pubblico presso l’Università degli studi della Tuscia

Sul tema della quota di rappresentanza di diritto di tribuna, evidenzia due aspetti: l’eventualità di inserire un tetto massimo di seggi da attribuire a tal fine e le condizioni previste dalla proposta affinché una lista possa ottenere seggi a tale titolo.

Quanto al primo punto suggerisce di valutare la possibilità di inserire un tetto massimo di seggi attribuibili come diritto di tribuna; nella proposta infatti non è presente alcun limite e ciò potrebbe rendere più conveniente per le forze politiche più piccole non coalizzarsi per superare una soglia di sbarramento del cinque per cento e tentare invece ‘incursioni locali’. In altre parole non potrebbe escludersi una sovra rappresentanza delle forze politiche più piccole a discapito degli altri gruppi, in particolare di quelli medio-piccoli. Un tetto di seggi ‘ragionevole’ consentirebbe invece di bilanciare l’esigenza di tutelare le minoranze con la «capacità dell'organo» di avere una rappresentatività non troppo distorta, oltre che una rappresentanza, anche di chi invece ha ottenuto più consensi.

In relazione al secondo aspetto, avanza alcune perplessità sulle condizioni previste dalla proposta di legge affinché una lista possa accedere ai seggi del diritto di tribuna, si riferisce in particolare alla Camera, in cui è necessario ottenere un quoziente circoscrizionale in almeno 2 regioni. Si chiede se sia davvero dirimente il territorio regionale e cita ad esempio l’ipotesi della lista che ottenga un quoziente in ciascuna delle 4 circoscrizioni della Lombardia (regione con 10 milioni di abitanti) senza tuttavia avere accesso ai seggi del diritto di tribuna. L’introduzione dell’elemento regionale si giustifica certamente con il fine di evitare una eccessiva frammentazione (evitare la nascita delle ‘liste farfalla’, che ‘colorano’ il territorio), tuttavia, con un tessuto regionale così differenziato come quello italiano, “legare questo diritto di tribuna al conseguimento del quoziente in due regioni distinte non si aggancia ad alcun tema di rappresentatività territoriale”

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma

Considera la rappresentanza di tribuna un utile correttivo alla disproporzionalità introdotta nel sistema con la soglia esplicita, tuttavia ritiene potrebbe “rivelarsi insufficiente a consentire una rappresentanza plurale delle posizioni politiche più rilevanti” e, al tempo stesso, potrebbe denunciare qualche debolezza sul versante della governabilità, in quanto non vi è alcun meccanismo di incentivazione ad unirsi in coalizione.

 

Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Perugia.

Ritiene il ‘diritto’ di tribuna’ così come configurato, un correttivo di scarso significato, che non corrisponde affatto a quello previsto in Germania, dove le liste collegate a candidati vincenti in 3 collegi uninominali (in alternativa al conseguimento della soglia del 5 per cento), hanno il diritto di partecipare alla ripartizione nazionale dei seggi. L’abbassamento della soglia di sbarramento consentirebbe, a suo avviso, di non dover prevedere il meccanismo del ‘diritto di tribuna’.

 

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

In relazione al diritto di tribuna, richiama l’attenzione su due elementi: uno riguarda la ragionevolezza, specie alla Camera, in cui per ottenere seggi come diritto di tribuna sono necessari 3 quozienti in due regioni; vista la diversa dimensione demografica delle regioni e delle circoscrizioni, si rischia un esito poco ragionevole in cui una lista ottiene seggi con meno voti di un’altra. L’altro elemento che ritiene non chiaro è in quale collegio plurinominale verrebbe assegnato il seggio ottenuto come diritto di tribuna.

 

Daniele Porena, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia

Condivide la scelta di garantire il cosiddetto ‘diritto di tribuna’, come contraltare alla robusta soglia di sbarramento; elemento che giudica “non rinunciabile, nell'ottica di acquisire al dibattito parlamentare espressione di possibile dissenso, che, viceversa, finirebbero per rifluire nei soli insidiosi, pericolosi, canali dell'extra parlamentarismo”. Tuttavia, ritiene che l’istituto abbia il limite, nella configurazione ipotizzata, di essere “riconosciuto nelle sole circoscrizioni con il più elevato numero di seggi, con le soglie più basse di quoziente pieno”.

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

Osserva come i deputati che dovessero essere eletti con questo meccanismo avrebbero solo un valore simbolico e potrebbero non essere funzionali all’attività parlamentare senza specifiche garanzie regolamentari in tal senso.

 

Antonio Floridia, direttore dell'Osservatorio elettorale e del settore "Politiche per la partecipazione" della Regione Toscana

L’istituto del diritto di tribuna, inserito nella proposta di legge, può senz’altro controbilanciare l’effetto di sotto-rappresentanza causato da una soglia troppo alta, tuttavia sembrerebbe poter avere effetti solo nelle circoscrizioni più grandi. A tale riguardo suggerisce di prendere in considerazione il meccanismo previsto dalla legge con cui si è votato per la Camera fino al 1992, che prevedeva che accedessero alla ripartizione nazionale (nel CUN, collegio unico nazionale) dei seggi non attribuiti nelle circoscrizioni, le liste che avessero ottenuto almeno un quoziente nella circoscrizione.

Carlo Fusaro, professore di diritto elettorale e parlamentare presso l'Università di Firenze

Ritiene che l’istituto del diritto di tribuna non sia coerente con l’impianto interamente proporzionale del sistema proposto, anche se accompagnato da una soglia di sbarramento, fissata nella proposta al 5 per cento, ma suscettibile, nell’iter parlamentare di essere ridotta al 4 o addirittura al 3 per cento. Ricorda come l’istituto del diritto di tribuna fu introdotto per la prima volta in Francia, in un contesto interamente maggioritario (doppio turno di collegio), al fine di attenuarne gli effetti e consentire a forze politiche presenti in modo consistente nel Paese, ma non in grado di concorrere nel sistema uninominale, di essere comunque rappresentate.

Michele Nicoletti, professore di Filosofia Politica presso l'Università di Trento.

Ritiene che il diritto di tribuna rappresenti un correttivo molto limitato al problema generato dall’alta soglia di sbarramento.

Stefano Passigli, già professore ordinario di Scienza della politica presso l'Università di Firenze

Esprime qualche riserva nei confronti del diritto di tribuna, che a suo avviso, così come articolato, concerebbe molto agli interessi locali; segnala, a riguardo, che la rappresentanza delle forze politiche minori si potrebbe ottenere, ad esempio, fissando una quota di seggi dedicata a cui possono accedere le forze politiche che ottengono una percentuale di voti fissata ad un livello inferiore della soglia principale. Con il meccanismo delineato dalla proposta di legge e in mancanza di una quota fissa di seggi da attribuire come diritto di tribuna, si potrebbe verificare una sovrarappresentanza delle forze minori a discapito delle altre forze politiche che hanno superato la soglia nazionale; a suo avviso ciò si potrebbe configurare come una disparità di trattamento e sollevare qualche dubbio di costituzionalità.


 

Rappresentanza di genere

Giovanni Tarli Barbieri, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Firenze

Rileva come le disposizioni presenti nel disegno di legge attengono solo alla presentazione delle liste non essendo prevista la doppia preferenza di genere, che invece nella legislazione elettorale regionale e comunale è, a suo avviso, forse lo strumento più rilevante di attuazione dell’art. 51, comma 1 Cost.

Osserva inoltre come la disciplina sulla rappresentanza di genere contenuta nella proposta, mutuata dalla legge 165 del 2017, meriterebbe interventi correttivi dal momento che presenta qualche problema interpretativo, come ha rilevato in audizione presso la Giunta delle elezioni della Camera il 4 ottobre 2018, il dott. Stefano Petitti dell’Ufficio elettorale centrale nazionale, in particolar modo “in relazione alla mancanza di una specifica sanzione per il mancato rispetto della proporzione della rappresentanza di genere, di una specifica disciplina del sub-procedimento, tesa al rispetto della proporzione, e anche di un termine ragionevole entro il quale completare le verifiche.” Sottolinea infine come tale difficoltà interpretativa abbia dato luogo ad una «giurisprudenza», soprattutto al Senato, diversa da regione a regione, con esiti potenzialmente contraddittori e come sia stato il Ministero dell'interno, e non il legislatore, a chiarire che le prescrizioni a tutela della rappresentanza di genere si intendono riferite al numero delle candidature, e non a quello delle persone fisiche.

 

Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

Giudica positivamente le disposizioni volte ad assicurare la parità di genere, che ritiene dovrebbero essere previste anche qualora si decidesse in favore di un sistema composto da un numero di collegi uninominali pari a quello dei deputati da eleggere.

 

 


 

 

 

Minoranza linguistica slovena

Ksenija Dobrila, Peter Mo?nik, Walter Bandelj, Maurizio Tremul, Rappresentanti della minoranza slovena in Italia e della minoranza italiana in Slovenia e Croazia

Hanno sottolineato come la diminuzione del numero dei deputati e dei senatori faccia venire meno la possibilità di avere un esponente della minoranza slovena eletto in Parlamento, come è avvenuto fino ad oggi.

Perciò richiedono che con le nuove disposizioni che verranno adottate in materia elettorale sia salvaguardato il diritto della minoranza slovena a partecipare attivamente, ai massimi livelli, alla vita politica italiana eleggendo un proprio esponente nel Parlamento della Repubblica, così come avviene per minoranze delle popolazioni del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta.

Hanno ricordato la normativa nazionale, europea e internazionale e la giurisprudenza relative alla tutela delle minoranze linguistiche nonché le disposizioni delle leggi elettorali in Slovenia e in Croazia che consentono alla minoranza italiana di eleggere propri rappresentanti nei Parlamento di quei due Paesi. In Slovenia l'elezione avviene attraverso l'iscrizione dell'appartenente alla minoranza italiana in un particolare elenco e tramite una circoscrizione elettorale dedicata, che comprende i quattro comuni in cui storicamente è presente la comunità italiana. Non vi è alcuna soglia di sbarramento e viene eletto il candidato più votato. Gli elettori in lingua italiana, che si iscrivono in un particolare elenco, conservano anche il diritto di votare per le liste che si presentano nelle circoscrizioni elettorali ordinarie. In Croazia vige un sistema simile, ma gli elettori votano solo per la circoscrizione speciale e non anche per quella ordinaria. In entrambi i casi il sistema garantisce l’elezione di un italiano in ciascuno dei Parlamenti.

Soluzioni proposte:

  • sistema di elezione in circoscrizioni dedicate come quello adottato in Slovenia e Croazia per la minoranza italiana;
  • adozione del sistema vigente per le elezioni europee che prevede che le liste di candidati presentate da partiti o gruppi che siano espressione di minoranze linguistiche possano collegarsi con un'altra lista della stessa circoscrizione presentata da un partito o gruppo politico presente in tutte le circoscrizioni con lo stesso contrassegno;
  • sistema vigente per la elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale della regione autonoma Friuli - Venezia Giulia che prevede l’elezione di almeno un rappresentante della minoranza linguistica slovena;
  • l'elezione di un rappresentante sloveno scelto tra una lista di candidati, in un collegio dedicato che comprende l'intera regione del Friuli-Venezia Giulia, se raggiunge l'1 per cento dei voti validi a livello regionale;
  • elezione di un parlamentare sloveno tra una lista di candidati se raggiunge almeno il 7 per cento, in uno speciale collegio che è determinato sulla base della delimitazione dei comuni dove è riconosciuta la minoranza linguistica slovena.

 

 


 

 

Procedura per l’approvazione delle leggi elettorali

Pino Pisicchio, professore di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma

Invita a valutare l’opportunità di prevedere una maggioranza qualificata per gli interventi normativi in materia di legge elettorale, alla stregua di quanto stabilito dall'articolo 64, primo comma, della Costituzione, che prevede la maggioranza assoluta per la modifica dei Regolamenti parlamentari. Ciò potrebbe rappresentare un contributo alla stabilizzazione di norme eccessivamente manipolate con effetti negativi anche sulla forma di Governo. Cita a tale proposito l’espressione «ipercinetismo elettorale compulsivo» usata dal professor Lanchester per definire l’attività legislativa in materia elettorale nella storia del nostro sistema politico, quale anomalia che va corretta.