ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO
Seduta n. 626 di martedì 17 maggio 2016
INDICE
ATTI DI INDIRIZZO:
Mozioni:
Palese 1-01271 37771
Marzano 1-01272 37772
Milanato 1-01273 37773
Beni 1-01274 37775
Rampelli 1-01275 37777
Borghesi 1-01276 37780
Giammanco 1-01277 37782
Baroni 1-01278 37785
Risoluzione in Commissione:
XI Commissione:
Ciprini 7-00998 37787
ATTI DI CONTROLLO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
Villarosa 2-01373 37789
Pesco 2-01377 37791
Interrogazione a risposta scritta:
Fassina 4-13227 37795
Beni e attività culturali e turismo.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Vezzali 5-08697 37796
Vezzali 5-08698 37797
Difesa.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Duranti 5-08691 37798
Piras 5-08703 37799
Economia e finanze.
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Galgano 2-01376 37800
Interrogazione a risposta in Commissione:
Boccadutri 5-08699 37802
Interrogazioni a risposta scritta:
Ricciatti 4-13224 37802
Nastri 4-13225 37804
Arlotti 4-13229 37805
Infrastrutture e trasporti.
Interrogazione a risposta scritta:
D'Attorre 4-13223 37806
Interno.
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Miccoli 2-01375 37806
Interrogazioni a risposta immediata:
Fedriga 3-02265 37807
Fava 3-02266 37808
Gallo Luigi 3-02267 37809
Bueno 3-02268 37810
Russo 3-02269 37811
Bosco 3-02270 37812
Interrogazione a risposta orale:
Lattuca 3-02260 37812
Interrogazione a risposta in Commissione:
Fiano 5-08700 37813
Interrogazione a risposta scritta:
Fassina 4-13220 37813
Istruzione, università e ricerca.
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Pannarale 2-01374 37814
Interrogazione a risposta in Commissione:
Vezzali 5-08696 37816
Lavoro e politiche sociali.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Di Benedetto 5-08702 37818
Interrogazioni a risposta scritta:
Baldassarre 4-13219 37818
Scotto 4-13222 37819
Catanoso 4-13226 37820
Dieni 4-13228 37823
Salute.
Interrogazioni a risposta immediata:
Gigli 3-02262 37824
Monchiero 3-02263 37825
Lenzi 3-02264 37825
Interrogazione a risposta in Commissione:
Brignone 5-08701 37827
Interrogazione a risposta scritta:
Minardo 4-13221 37828
Semplificazione e pubblica amministrazione.
Interrogazione a risposta immediata:
Rampelli 3-02261 37828
Sviluppo economico.
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:
Benamati 5-08692 37829
Galgano 5-08693 37830
Ricciatti 5-08694 37834
Crippa 5-08695 37835
Apposizione di firme a mozioni 37836
Apposizione di una firma ad una risoluzione 37837
Apposizione di una firma ad una interrogazione 37837
Pubblicazione di un testo riformulato 37837
Mozione:
De Girolamo 1-01205 37837
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo 37839
Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo 37839
ERRATA CORRIGE 37839
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9 della Costituzione prevede espressamente che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
l'Unione europea, sin dal 2001, ha predisposto un'apposita «strategia di Lisbona», rinnovata con la «strategia 2020», indirizzata ad incrementare il livello scientifico e tecnologico della popolazione dell'area dell'Unione;
per ottenere una pianificazione adeguata al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla «strategia di Lisbona», l'Unione europea pone come obiettivo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo da parte degli stati membri per assicurare gli investimenti necessari per ricerca e sviluppo;
negli ultimi anni, per esigenze di razionalizzazione della finanza pubblica, le risorse stanziate nel bilancio dello Stato del nostro Paese purtroppo hanno registrato una progressiva riduzione: in particolare, la missione 17 (Ricerca ed innovazione), dal 2008 al 2014, è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro, e la missione 23 (istruzione universitaria), sempre nello stesso periodo, è passata da 8 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, subendo in questo modo un calo totale di circa il 20 per cento;
le continue riduzioni di finanziamenti pubblici alla ricerca pongono il nostro Paese in negativo a livello internazionale;
in alcune aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, si sta determinando una progressiva desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
per questi motivi, da tempo, è in atto una sensibilizzazione da parte del mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca nel nostro Paese, che, ciononostante, continua assicurare con impegno encomiabile, una produzione scientifica apprezzata a livello internazionale;
la strategia «Europa 2020» è tutta indirizzata ad aumentare la competitività dell'Europa tramite investimenti nel «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca, innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020»;
occorre indirizzare ogni sforzo possibile affinché si realizzino progetti di ricerca per università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese ed aziende, e soprattutto nel settore dell'innovazione tecnologica;
negli ultimi anni, si è dato corso a misure di forte riduzione delle risorse per il sistema universitario, che hanno comportato il blocco del turnover e dei concorsi per il personale docente, tecnico ed amministrativo;
la figura del ricercatore purtroppo è tra quelle più penalizzate, a causa dei tagli nei confronti del sistema universitario;
tutto ciò ha provocato un sottodimensionamento del corpo docente universitario italiano, che emerge con evidenza dal confronto con il resto dell'Europa. La consistenza numerica ad oggi in Italia è inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna;
la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario tramite chiamata diretta, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari ed associati per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche se tutto ciò non può certo essere considerato sufficiente al fine di affrontare la grave situazione in cui versa il sistema universitario e della ricerca,
impegna il Governo:
ad assume urgenti iniziative per l'attuazione del programma nazionale per la ricerca 2014-2020;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incrementare l'attuale dotazione finanziaria prevista per investimenti in ricerca e sviluppo fino ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo;
ad assumere iniziative volte ad eliminare, a decorrere dall'anno 2017, il blocco del turnover del comparto universitario, con particolare riguardo alla figura del «ricercatore»;
a valutare l'opportunità di prevedere iniziative tali da dare al dottorato di ricerca titolo preferenziale per l'accesso alla pubblica amministrazione, anche con riferimento agli enti locali;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per la modifica dell'attuale sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di premialità che conferiscano risorse ulteriori ed aggiuntive rispetto ai fondi ordinari già trasferiti.
(1-01271) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
La Camera,
premesso che:
con il termine «bullismo» si qualificano quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel tempo, ai danni di una o più persone al fine di umiliarle, marginalizzarle, dileggiarle o ridicolizzarle e, con il termine «cyberbullismo», si intendono gli stessi atti e comportamenti agiti o realizzati con strumenti telematici o informatici, compresi i furti di identità, le manipolazioni e le alterazioni dei dati identitari;
si tratti di bullismo o di cyberbullismo, le dinamiche sono le stesse: la sistematicità e l'asimmetricità delle persone coinvolte, molto spesso in ragione di una disabilità fisica, del peso corporeo, della religione, del sesso o dell'orientamento sessuale; si tratta di atti che provocano presso le vittime un senso di inadeguatezza e di insicurezza talmente diffuse e profonde che portano queste persone, invece che a chiedere aiuto e protezione, a nascondersi e isolarsi;
attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi nella vita altrui senza soluzione di continuità e con pervasività ancora maggiore, si sono moltiplicati i mezzi attraverso cui compiere, e quindi poi anche subire, prepotenze o soprusi;
secondo una recente ricerca europea svolta nel 2013 nell'ambito del progetto Europe Anti-Bullying, quasi il 16 per cento delle ragazze e dei ragazzi italiani sarebbero stati vittime negli ultimi anni di bullismo online o offline;
una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento), e che le forme più insidiose di bullismo e cyberbullismo si riscontrano proprio tra i minori di quattordici anni, spesso in contesto scolastico;
tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo meritano di essere ricordate: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; la realizzazione del portale internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale, fornendo suggerimenti per fronteggiarlo; l'istituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali,
impegna il Governo:
ad adottare, oltre alle iniziative già attivate e nel rispetto delle direttive europee in materia e nell'ambito del programma pluriennale dell'Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, ogni altra iniziativa volta a contrastare e prevenire i fenomeni di bullismo e di cyberbullismo, promuovendo campagne di informazione e di sensibilizzazione circa la gravità di tali fenomeni e incoraggiando un uso consapevole, sicuro e responsabile delle tecnologie digitali;
ad avviare corsi di formazione dei docenti nelle scuole al fine non solo di prevenire bullismo e cyberbullismo, ma anche di intervenire tempestivamente per porvi un limite.
(1-01272) «Marzano, Locatelli, Parisi, Tabacci, Capelli, Bruno, Faenzi, Labriola, Catalano, Nesi, Pastorelli».
La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne sta assumendo, da diverso tempo, i connotati di una vera e propria emergenza a livello internazionale, rappresentando la manifestazione più grave e più brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una delle peggiori violazioni dei diritti umani;
i numerosi casi che si verificano, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo, denotano una realtà inquietante di violenza perpetrata nei confronti delle donne, che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici, nelle proprie case;
gli episodi di violenza verificatisi durante la notte di San Silvestro in 12 dei 14 Land tedeschi, quando gruppi di uomini di origine araba e mediorientale hanno circondato centinaia di donne per derubarle e molestarle sessualmente, sono di straordinaria gravità. La maggior parte delle denunce, 1.076 dalla data del 13 gennaio 2016, si riferiscono ad aggressioni nel Land del Nord Reno Vestfalia, in particolare a Colonia, Düsseldorf e Bielefeld. Altre 218 denunce sono state presentate ad Amburgo, 31 in Assia, 27 in Baviera, 25 nel Baden Wuerttemberg e 11 a Brema;
la drammaticità di quanto sopra citato non ha precedenti, alla luce del fatto che quanto avvenuto non può essere considerato come un fenomeno spontaneo, poiché si tratta di un'azione organizzata da parte di un migliaio di uomini, tra i 15 e i 35 anni, che si sono prima radunati nella piazza della stazione centrale di Colonia, per poi dividersi in decine di gruppi e partire all'attacco di donne;
le donne che si erano recate in strada a festeggiare, abituate per cultura e diritto alla certezza del rispetto della propria libertà e delle proprie scelte, sono improvvisamente diventate degli oggetti a cui potevano essere inflitte gravissime umiliazioni ritrovandosi dunque in un clima arcaico e selvaggio, dove i valori civili della nostra società non sono mai esistiti e dove solo il diritto del più forte e del più violento è la regola vincente;
gli aggressori di Colonia identificati dalle autorità di pubblica sicurezza sono per lo più stranieri, richiedenti asilo o rifugiati che hanno dunque dimostrato di avversare nel profondo la nostra cultura e che portano con loro un'idea della donna ritenuta inferiore, non degna di godere di una piena libertà;
nel nostro continente è in corso una crescita esponenziale di quella che i promotori dell'Islam radicale chiamano «Eurabia», una migrazione permanente che reca con sé i semi di una visione intollerante nei confronti non solo della donna ma, più in generale, di ciò che è altro rispetto alla cultura islamica, di cui la maggior parte dei migranti si ritiene parte;
un fenomeno che sta portando ad un mutamento numerico, sociale e culturale dove si tende ad innestare la propria cultura su quella precedente, ritenuta obsoleta o peggio ancora sbagliata, sino ad imporla;
in tali frangenti, prima di colpire le libertà di tutti e di omologare ciascuno in una unica modalità di pensiero, è il corpo delle donne il terreno dove inizia a morire la democrazia e dove è più facile e immediato per il patriarcato sferrare i propri attacchi;
i dati lo confermano in maniera netta poiché, nell'ultima metà del Novecento, i musulmani sono cresciuti di oltre il 200 per cento e le percentuali sono aumentate inesorabilmente anche negli ultimi quindici anni, mentre la società europea tradizionale decresce insieme con il numero dei propri figli;
secondo i dati Eurostat, se oggi la popolazione dell'Europa cresce è soprattutto per il contributo dell'immigrazione, con ben l'80 per cento dell'incremento demografico dovuto ai flussi migratori;
un'operazione di molestie così vasta non si è però fermata ai fatti della notte di San Silvestro, ma si sono ripetuti anche durante il Carnevale di Colonia, uno dei più amati e popolari in Germania, dove si sono registrare ben 22 denunce di molestie sessuali e un caso di violenza e percosse. Tra i diversi casi, una ragazza di 22 anni sarebbe stata avvicinata da un profugo di 17 anni arrivato dall'Afghanistan che le avrebbe dapprima mostrato materiale pornografico dal proprio cellulare e successivamente, dopo averla colpita con un pugno sul viso, l'avrebbe violentata;
i fatti citati, che duramente hanno colpita l'Europa, non possono che essere definiti un atto di terrorismo culturale a sfondo sessuale, compiuto nei confronti di donne che rappresentano la cultura e l'intero mondo occidentale, e impongono seri interrogativi sulle politiche di solidarietà e di accoglienza dell'Unione europea;
l'Europa ha accolto quasi un milione di rifugiati nel 2015, ma deve adesso fronteggiare la sfida più importante, quella dell'integrazione di queste persone nel tessuto sociale dal continente, poiché l'attuale immigrazione non può considerarsi semplicemente come un flusso ordinato, ma il frutto di eventi multipli e contemporanei di guerre che hanno un'espansione globale o di lungo periodo;
se da un lato non vanno tratte conclusioni razziste, quanto accaduto non può essere trattato nemmeno con una logica buonista, perché la donna è stata scelta come simbolo per colpire i valori occidentali, i diritti individuali, la parità tra uomo e donna, e, più in generale, la libertà in tutte le sue forme;
in un momento storico, poi, in cui è necessario ed inevitabile confrontarsi con fenomeni migratori massicci, con la convivenza tra culture diverse, è fondamentale l'approccio alle gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza. Se da un lato il continente europeo non può chiudere le porte davanti a coloro che scappano dalla guerra, dall'altro, è necessario che evitare che il processo di «integrazione» porti, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, quasi ad un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità;
è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, ponendo in essere opportune iniziative politiche, normative e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale, dunque, chiarire che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato e che chi non ha diritto di restare in Italia e in Europa deve essere espulso e chi ha diritto di essere accolto deve rispettare le nostre leggi, le nostre regole, i nostri valori e la nostra cultura, accettando il ruolo delle donne, la loro evoluzione e la modernità che rappresentano;
in un momento di grave crisi economica e sociale, come quello che sta attraversando l'Europa, bisogna quindi impedire che il corpo delle donne diventi teatro di scontro, oggetto di contesa tra diverse appropriazioni e occasione per inviare un segnale di sfida alla stessa Unione europea che ha accolto quegli stessi uomini autori di violenze;
di fronte alle dimensioni sempre più imponenti assunte dal fenomeno migratorio, nonché ai recenti episodi di violenza, è necessario che nel nostro Paese, come nel resto d'Europa, si presti sempre più attenzione ai diritti delle donne e, più in generale, ai diritti delle persone, contro ogni discriminazione per la nostra cultura che garantisce ad ogni individuo piena libertà di espressione,
impegna il Governo:
ad assumere le opportune iniziative, anche sul piano normativo, al fine di implementare il contrasto alla violenza di genere nel nostro Paese, e di promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando la violenza di genere quale negazione dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, individuando specifiche iniziative di competenza volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli antiviolenza, Forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
a promuovere, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza per coloro che ne hanno diritto, politiche mirate, volte a sostenere con forza l'esigenza dell'adesione a valori e princìpi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente nel nostro Paese, di qualsiasi gruppo o comunità facciano parte, di natura culturale, etnica o religiosa, quale atto necessario per avviare il processo di riconoscimento della condizione di profugo, di richiesta di cittadinanza, di stabilimento nel Paese, e ad assumere iniziative per favorire percorsi di integrazione rispettosi delle identità di ciascuno, che abbiano alla base la condivisione di un modello di società che veda uomini e donne godere degli stessi diritti, contro ogni violenza di genere.
(1-01273) «Milanato, Carfagna, Centemero, De Girolamo, Castiello, Giammanco, Gullo, Polidori, Elvira Savino, Sandra Savino».
La Camera,
premesso che:
il crescente verificarsi di episodi di bullismo fra i giovani e gli adolescenti, confermato da fatti di cronaca sempre più frequenti, che sfociano talvolta anche in esiti drammatici, evidenzia la gravità di un fenomeno che sta assumendo la portata di un rilevante problema sociale;
nelle scuole pubbliche e private 13 in altri ambienti frequentati dai giovani sempre più spesso si verificano atti vessatori, violenze fisiche o psicologiche, minacce, offese o derisioni da parte di singoli o gruppi di coetanei al fine di intimorire e provocare sentimenti di ansia, isolamento o emarginazione nei confronti di soggetti percepiti come più deboli o additati come diversi in base a pregiudizi discriminatori purtroppo ancora diffusi;
il fenomeno del bullismo è un disturbo delle relazioni sociali che accomuna vittime e persecutori; una manifestazione di disagio che investe non solo i comportamenti degli autori degli atti persecutori, molte volte inconsapevoli delle conseguenze di tali azioni, ma anche degli stessi spettatori che col loro atteggiamento contribuiscono ad incoraggiarli;
il fenomeno si è ulteriormente esteso con la diffusione, sempre più massiccia anche fra i giovanissimi, dei dispositivi che consentono l'accesso alla rete internet e l'uso dei social network e della messaggistica via chat, mezzi grazie ai quali immagini o video offensivi o minacciosi vengono diffusi in moda incondizionato e le intimidazioni, le molestie e le derisioni assumono una dimensione virtuale;
si è coniato il termine « cyberbullismo» per indicare quei ripetuti comportamenti in rete il cui scopo intenzionale e predominante è quello di isolare un minore o un gruppo di minori, ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo, e facendo ragionevolmente temere per la loro sicurezza;
la psicologia mondiale distingue alcuni comportamenti tipici del cyberbullismo: diffusione di messaggi violenti e volgari mirati a suscitare battaglie verbali online, molestie, spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno, denigrazione verbale, sostituzione di persona, esclusione da un gruppo online, cyberstalking;
gli atti di buddismo « online» hanno conseguenze ancora più gravi per le vittime, a causa delle stesse caratteristiche della rete internet che consente di diffondere e replicare senza limiti qualsiasi contenuto offensivo, allargando in misura esponenziale il pubblico che assiste all'umiliazione della vittima e la durata della sua esposizione al dileggio;
l'allarme per la crescente diffusione di episodi di cyberbullismo è confermato dall'indagine condotta nel 2013 da Ipsos per Save the Children fra ragazzi italiani di età compresa fra i 12 e i 17 anni: dalle risposte dei ragazzi emerge che i due terzi degli intervistati percepiscono il cyberbullismo come la principale minaccia, mentre il 38 per cento è convinto che tale fenomeno possa compromettere il rendimento scolastico e il 65 per cento ritiene che esserne vittima faccia perdere la voglia di aggregazione e porti alla depressione;
recenti tragici fatti di cronaca confermano, di fatto, le impressioni espresse degli stessi ragazzi, evidenziando come il profondo sentimento di isolamento, il calo di autostima, il disagio fisico e psicologico, la depressione e la paura di denunciare quanto subito possano spingere la vittima a comportamenti autolesionistici e nei casi più gravi anche al suicidio;
la gravità del fenomeno anche da una recente indagine condotta dal Censis in collaborazione con la polizia postale fra oltre 1.700 dirigenti scolastici di scuole medie e superiori: in oltre metà delle scuole oggetto della ricerca risulta infatti che ci siano stati nell'ultimo anno episodi di cyberbullismo, per i quali nel 51 per cento dei casi i capi di istituto si sono dovuti rivolgere alle forze dell'ordine;
sempre nell'ambito della medesima indagine condotta dal Censis e dalla polizia postale oltre l'80 per cento dei presidi intervistati sostiene che i genitori hanno la tendenza a sottovalutare il fenomeno del bullismo digitale, sminuiscono la gravità degli episodi e in gran parte dei casi li considerano semplici «ragazzate»;
ancora dall'indagine del Censis risulta che solo il 39 per cento delle scuole italiane attua azioni specifiche di prevenzione e repressione del cyberbullismo, e che solo il 10 per cento degli istituti si è dotato di un vero e proprio programma di monitoraggio attraverso specifici questionari rivolti a studenti e genitori;
il forte incremento del fenomeno negli ultimi anni e la gravità delle conseguenze che ne derivano rilevano la necessità di uno specifico intervento legislativo, mirato a colmare l'attuale vuoto normativo in materia e finalizzato a contrastare, sanzionare e prevenire il bullismo e il cyberbullismo, con particolare riferimento all'esigenza di tutela dei minori, anche mediante azioni di carattere informativo, formativo ed educativo;
in questa legislatura sono state molte le iniziative parlamentari in tal senso. In particolare, il Senato ha licenziato un testo di legge che alla Camera è stato unificato con altre proposte il cui iter è in corso presso le commissioni affari sociali e giustizia,
impegna il Governo:
ad intraprendere ogni possibile iniziativa finalizzata a prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, con particolare riferimento alla tutela dei minori, anche mediante campagne di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica;
a prevedere specifici percorsi di formazione e aggiornamento per la conoscenza del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo rivolti agli insegnanti, nonché agli operatori socio-educativi dei centri di aggregazione giovanile;
a promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, coerentemente con gli indirizzi definiti dalla legge n. 107 del 2015, progetti e attività didattiche finalizzate al contrasto del bullismo e del cyberbullismo, nonché all'acquisizione di competenze digitali e di una maggiore consapevolezza nell'utilizzo della rete internet e dei social network;
ad assumere iniziative per favorire la relazione fra scuola e famiglie al fine di informare e sensibilizzare i genitori sui rischi connessi al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, nonché sulla necessità di educare i minori ad un uso responsabile della rete internet;
ad assumere iniziative volte a predisporre misure di sostegno e di assistenza alle vittime, nonché percorsi rieducativi per gli autori di atti di bullismo o cyberbullismo, anche mediante il coinvolgimento dei servizi socio-educati territoriali, delle associazioni e degli altri enti che si occupano di tale fenomeno;
a realizzare un monitoraggio costante dell'evoluzione del fenomeno dei bullismo e del cyberbullismo, anche mediante un sistema di raccolta dati, avvalendosi in particolare della polizia postale e delle comunicazioni;
a sollecitare i gestori di siti Internet, social network e altre piattaforme telematiche ad adottare adeguati codici di condotta e dotarsi di opportuni strumenti e procedure di controllo dei contenuti pubblicati, al fine di contrastare eventuali episodi di cyberbullismo;
ad assumere iniziative per porre in essere adeguati strumenti giuridici per favorire l'azione degli inquirenti e della polizia postale nell'ambito di indagini volte alla prevenzione e/o repressione dei casi più gravi di bullismo e cyberbullismo;
a favorire, alla luce degli impegni di cui sopra e per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge, sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo.
(1-01274) «Beni, Coscia, Lenzi, Campana, Patriarca, D'Incecco, Miotto, Capone, Piazzoni, Carnevali, Amato, Murer, Piccione, Grassi, Sbrollini, D'Ottavio, Rampi, Narduolo, Ascani, Rocchi, Dallai, Malisani, Manzi, Carocci, Ghizzoni, Blazina, Sgambato, Malpezzi».
La Camera,
premesso che:
per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino o di un adolescente, o da parte di un gruppo, nei confronti di un altro bambino o adolescente percepito come più debole a causa di motivi di diversa natura;
secondo le definizioni date dai primi studiosi del fenomeno, i quali muovendo dai casi di suicidio di alcuni studenti teorizzavano il bullismo come manifestazione quasi esclusivamente presente all'interno delle scuole, «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni»;
purtroppo il tempo ha dimostrato come la scuola non sia l'unico luogo nel quale si verificano atti o situazioni di bullismo, ma che questi si verificano anche all'interno di tutti gli altri luoghi di aggregazione sociale frequentati da bambini e adolescenti quali centri sportivi, parrocchie e altro;
il ruolo della scuola, tuttavia, rimane di primo piano, soprattutto con riferimento alla prevenzione e formazione, come si evince anche da un recente studio pubblicato sulla rivista « Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine», il quale, prendendo in esame l'efficacia di programmi scolastici specificamente finalizzati a un'educazione contro il bullismo, ha dimostrato che, se la scuola riesce nell'obiettivo di far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni della prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza calano in modo sostanziale in ogni ambiente;
in ogni caso, al di là delle singole forme di prepotenza, il bullismo assume sempre le caratteristiche dell'intenzionalità, della durata nel tempo della disuguaglianza tra bullo e vittima, dell'isolamento della vittima e del danno per l'autostima che la stessa subisce;
il bullismo può anche assumere una forma indiretta, nel qual caso è meno evidente e più difficile da individuare, ma altrettanto dannoso per la vittima, e generalmente comprende episodi che mirano deliberatamente all'esclusione dal gruppo dei coetanei, all'isolamento e alla diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima;
la dimensione sociale del fenomeno è ben documentata dal report dell'Istat, pubblicato il 15 dicembre 2015 su «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» dal quale risulta che, nel 2014, poco più del cinquanta per cento degli 11-17enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze, mentre quasi il venti per cento è vittima assidua di una delle «tipiche» azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese, e per quasi il dieci per cento delle vittime gli atti di prepotenza, si ripetono con cadenza settimanale;
le prepotenze più comuni consistono in offese verbali, derisione per l'aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, aggressioni fisiche;
nell'ambito del bullismo si inserisce anche il preoccupante fenomeno del cyberbullismo, vale a dire di quel tipo di bullismo che è esercitato attraverso supporti tecnologici e che sta conoscendo una sorprendente diffusione a causa delle diverse piattaforme social e di condivisione maggiormente usate dai giovani quali, prima tra tutte, facebook;
il cyberbullismo non è diverso dal bullismo «comune», se non per il fatto che utilizza mezzi che permettono, da un lato, l'anonimato del bullo e, dall'altro, aumentano in modo esponenziale la diffusione di foto e video di atti di bullismo, mettendo la vittima alla berlina non di un ristretto gruppo di persone, ma bensì di centinaia o migliaia di sconosciuti;
i dati forniti dall'Istat ci dicono che sono le ragazze a cadere più frequentemente vittime di cyberbullismo e che c’è una gran parte delle vittime che non denuncia, sottraendosi a queste statistiche, che, di conseguenza, sottostimano il fenomeno;
sono sempre più frequenti i fatti di cronaca che ci raccontano la tragica storia di ragazzi e ragazze vessati per anni nell'indifferenza generale e che, a un certo punto, sopraffatti dal dolore e dalla vergogna, decidono di sfuggire ai loro persecutori attraverso la scelta estrema del suicidio;
comunemente, quando si pensa al bullismo, ci si riferisce soltanto a due tipi di soggetti coinvolti, i bulli e le vittime, ma in realtà esiste anche una terza categoria, quella degli spettatori che, pur non partecipando attivamente agli atti di prepotenza, vi assistono e svolgono comunque un ruolo importante nella legittimazione di tali condotte;
il ruolo degli spettatori è di grandissima importanza perché la loro presenza e la loro reazione di fronte a ciò che vedono possono favorire o frenare il dilagare del fenomeno;
per il bullismo non è stato configurato un reato specifico ma esistono delle fattispecie di reato per una serie di comportamenti che nel bullismo trovano spesso espressione, quali minacce, furti, estorsioni, percosse, e simili;
alcune proposte di legge che affrontano il fenomeno del cyberbullismo sono, invece, state esaminate al Senato e ora sono all'esame delle commissioni giustizia e affari sociali della Camera, in attesa che se ne prosegua l’iter;
il cupo fenomeno del bullismo è incomprensibilmente sottovaluto anche quando esso è una manifestazione di un vero e proprio malessere sociale sia per coloro che commettono il danno, che per coloro che lo subiscono; i primi, in quanto corrono il rischio di problematiche antisociali e devianti, i secondi, in quanto rischiano una eccessiva insicurezza caratteriale che può sfociare in sintomatologie anche di tipo depressivo;
numerosi studi si sono occupati della relazione intercorrente tra il bullismo e il suicidio, mettendo in evidenza come i disagi psicologici sociali e fisici agiscano tanto nella contingenza degli avvenimenti, quanto a distanza di medio e lungo tempo, e rilevando come sia «possibile affermare che proprio l'escalation di episodi di vittimizzazione subiti possa mandare in “corto circuito” il soggetto che li subisce che vedrà quindi nel suicidio l'unica via di uscita e di interruzione dei soprusi»;
il bullismo, in quanto sintomo di malessere sociale, deve essere individuato e affrontato in modo adeguato nei singoli contesti educativi, portando allo scoperto le situazioni nascoste e fermando gli episodi nel preciso momento in cui si manifestano,
impegna il Governo:
ad assumere e favorire ogni iniziativa volta a diffondere soprattutto tra i più giovani una cultura del rispetto delle diversità, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e negli altri luoghi di aggregazione;
a favorire la realizzazione, in sinergia con gli enti locali e le regioni, di strutture di aiuto per i giovani che cadono vittime di violenze e soprusi da parte dei propri coetanei;
a sostenere le iniziative assunte in ambito scolastico, con riferimento all'aggiornamento e alla formazione dei docenti con specifico riguardo ai temi del bullismo e della violenza, coinvolgendo le famiglie, e favorendo processi di reinserimento dei ragazzi responsabili di atti di bullismo attraverso lavori di utilità sociale all'interno della scuola;
ad agevolare la realizzazione, in seno agli istituti scolastici, di iniziative di solidarietà nei confronti delle vittime di fenomeni di bullismo, anche attraverso una collaborazione con associazioni che si occupano di inclusione sociale attraverso progetti sperimentali da realizzare con il supporto degli studenti.
(1-01275) «Rampelli, Maietta, Nastri, Taglialatela, Cirielli, Giorgia Meloni, Petrenga, Totaro, La Russa, Rizzetto».
La Camera,
premesso che:
il sistema nazionale della ricerca è afflitto da anni da molteplici criticità che ne minano gravemente l'efficienza e spingono molti giovani ricercatori di talento a trasferirsi all'estero, ma ad avviso dei presentatori del presente atto sono soprattutto due i problemi che inficiano l'efficienza del sistema ricerca in Italia: la frammentazione della vigilanza sugli enti di ricerca e la non completa indipendenza del comparto della ricerca da quello della pubblica amministrazione. Si accusa inoltre la carenza di un coordinamento che renda possibile una visione strategica comune all'atto della definizione delle priorità e della destinazione dei finanziamenti per la ricerca;
si ritengono improcrastinabili investimenti maggiori per la ricerca; il raggiungimento degli obiettivi Horizon 2020 (0,7 per cento di Pil di apporto pubblico) è ritenuto una condizione imprescindibile per assicurare competitività alla ricerca negli anni a venire. C’è forte richiesta di stabilità e programmazione pluriennale dei fondi (3 o 5 anni), ma per ora si assiste unicamente alla presentazione di progetti «bandiera», oppure basati solo su fondi già esistenti, senza stanziare risorse aggiuntive; inoltre, si fa un uso delle risorse dell'Unione europea come sostitutivo dell'impegno pubblico statale, meccanismo pericoloso che implicherà, tra le altre cose, l'etero-direzione degli interventi, con evidente perdita di autonomia decisionale del nostro Paese nel comparto ricerca;
la disomogeneità dello status giuridico, del trattamento economico e dei diritti e doveri dei ricercatori nei vari comparti della ricerca: università, enti pubblici di ricerca e privati, genera una situazione estremamente disomogenea e richiederebbe una soluzione unitaria;
la ricerca libera è molto indebolita nel nostro Paese e le risorse sono pilotate dall'alto con spartizioni su base clientelare e nepotistica. È quasi scomparso il fondo Firb, che finanziava negli enti i progetti dei ricercatori, i quali per ottenere risorse devono sperare solo nelle trattative tra i presidenti dei vari enti di ricerca e i funzionari ministeriali, che gestiscono le procedure di finanziamento chiamate «premiali», ma che, di fatto, per i presentatori del presente atto sono altamente discrezionali. Succede che ai bandi Prin del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non possono accedere direttamente gli studiosi del CNR è che, ai bandi del Ministero della salute, non possono accedere gli studiosi universitari, i bandi del CNR sono per il solo CNR, quando spesso gli obiettivi sono gli stessi. Si dovrebbe rimuovere questa frammentazione, unificare gli obiettivi e avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici;
il finanziamento in corso dei bandi di ricerca per tutti gli atenei e per l'insieme delle discipline accademiche è ridotto a 30 milioni di euro all'anno, ma non perché il debito non consente di fare meglio, bensì perché, a giudizio dei presentatori del presente atto le risorse sono erogate quando si tratta di assegnarle magari ad un solo ente, che poi distribuisce finanziamenti agli altri atenei, ottenendo magari in cambio in via di fatto, la firma delle pubblicazioni scientifiche, per migliorare il proprio prestigio accademico. È anche per queste modalità che i firmatari del presente atto ritengono sostanzialmente «corruttive» del metodo della scienza, oltre che dell'etica pubblica, che i giovani studiosi fuggono via;
per consolidare questo sistema i Governi hanno sempre impedito, negli ultimi anni, la costituzione di una moderna Agenzia della ricerca, nonostante le proposte venute dalla comunità scientifica e gli indirizzi approvati dal Parlamento. C’è un modo per superare queste distorsioni, basterebbe guardare ad altri Paesi, mutuando i modelli già esistenti in Spagna, Francia, e, con sistemi più complessi ed efficaci, in Germania e Gran Bretagna, adattandoli alle peculiarità dell'Italia. L'Agenzia consentirebbe un libero confronto di idee e di progetti, entro una ben definita politica nazionale ed europea; avrebbe il compito di diffondere i bandi per i progetti, di eliminare i conflitti di interesse e di coinvolgere le migliori risorse nell'attuazione degli obiettivi strategici;
esiste un vincolo etico che lega ogni studioso di ogni disciplina ai cittadini che, con le loro tasse, sostengono quegli studi; è attraverso questo meccanismo, che implica libertà e uguaglianza delle idee per l'accesso alle risorse pubbliche su base competitiva, che si restituirà al cittadino la miglior proposta sostenibile con i fondi pubblici. È un metodo, questo, che non si concilia con le convenienze politiche, ma che orienta ogni decisione e valutazione sulla selezione delle idee migliori e sul controllo dei fatti. Adottare queste regole significa rispettare la struttura etica della scienza e rispettare l'impegno verso i cittadini. Questo è quel che si chiede alle comunità scientifiche nei Paesi liberi, democratici ed economicamente avanzati;
la ricerca pubblica in tutti i settori ha bisogno di cinque componenti: continuità dei bandi presso i quali competere; procedure affidabili unificate nel metodo e diversificate in funzione degli obiettivi; valutazioni terze, indipendenti, competenti; controlli ferrei ad ogni passaggio; rendiconti certi e verificabili su cosa viene finanziato e su cosa si è creato. Si potrebbe pensare a reindirizzare finanze e risorse umane frammentate tra i vari enti governativi, per concentrare in un'unica struttura funzioni duplicate in diversi uffici. Inoltre, si potrebbero ridurre o sospendere per qualche anno i flussi dei finanziamenti pubblici a enti poco efficienti oppure a quelli che hanno già accumulato denaro pubblico. A fronte di ciò bisogna adottare ogni sensibile procedura per garantire al cittadino che i suoi soldi siano ben spesi, ripristinando fiducia nelle istituzioni,
impegna il Governo:
ad avviare un piano di azione per la ricerca scientifica, al fine di favorire gli obiettivi strategici di alto profilo per il Paese;
ad affidare la valutazione delle migliori proposte di ricerca ad una commissione internazionale, che ne individui, il progetto meritevole di attuazione, in modo tale che, solo a seguito del progetto così individuato, il Governo promuova i bandi per identificare gli enti coinvolti e i coordinatori delle linee di ricerca e per finanziare – sempre con modalità competitive – gli allestimenti dei laboratori e i progetti specifici volti al conseguimento di obiettivi conoscitivi e di prodotti tecnologici innovativi, tali da rilanciare davvero la ricerca e l'economia del Paese;
a reperire nuove e concrete risorse per la ricerca, senza limitarsi a riproporre precedenti interventi già rendicontati e senza limitarsi a destinare le sole risorse provenienti dall'Unione europea, che devono ritenersi aggiuntive e non sostitutive degli interventi statali;
a favorire la formazione di fondi privati per la ricerca italiana;
a potenziare le iniziative di collaborazione con il mondo imprenditoriale, per lo sfruttamento economico delle idee innovative, e creare nuove produttive interazioni, al fine di scoraggiare la cosiddetta «fuga dei cervelli» e promuovere il rientro dei ricercatori italiani;
ad assumere iniziative per rimuovere la frammentazione dei finanziamenti tra gli enti di ricerca, al fine di unificare gli obiettivi ed avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici.
(1-01276) «Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
La Camera,
premesso che:
in una economia a carattere globale quale quella attuale, la forza competitiva di un Paese poggia le sue basi più solide sulla conoscenza e sulla qualità dei prodotti e dei processi produttivi; tutto questo richiede la valorizzazione delle competenze scientifiche e tecnologiche esistenti, la loro capacità di integrazione, la capacità di trasformare conoscenza in nuovi prodotti e processi direttamente usufruibili dal territorio;
esiste un nesso diretto tra gli investimenti in ricerca e innovazione e la crescita culturale ed esso rappresenta la premessa fondamentale per la crescita e lo sviluppo economico di un Paese nel suo complesso;
la diffusione di una cultura scientifica e di livello culturale elevato costituiscono un indice fondamentale per giudicare il grado di competitività di un Paese;
anche a livello europeo, tra gli obiettivi principali, rientra quello della valorizzazione e della promozione della ricerca: la raccomandazione della Commissione europea 2005/251/CE, dell'11 marzo 2005, riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, reca, infatti, alcuni principi generali e i requisiti (tra cui la libertà di ricerca, i principi etici, la responsabilità professionale, la diffusione e la responsabilità nei confronti dell'opinione pubblica), che specificano il ruolo e i diritti dei ricercatori, dei datori di lavoro e dei finanziatori;
il documento evidenzia l'obiettivo dell'Unione europea di valorizzare e di promuovere la ricerca, quale importante pilastro per la crescita economica e occupazionale del Paese, attraverso una responsabilizzazione reciproca dei soggetti interessati;
la strategia Europa 2020, che ha innovato Lisbona 2001, individua negli investimenti nella formazione e nell'innalzamento del livello culturale della popolazione alcune delle condizioni necessarie al fine di rilanciare l'economia dell'Unione europea affinché diventi l'area più competitiva del mondo basata sulla conoscenza. L'obiettivo proposto è quello di un'economia basata sulla conoscenza, caratterizzata da riforme profonde e finalizzata alla promozione di una crescita sostenibile, dell'occupazione, dell'innovazione, della competitività, al rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. Tra gli strumenti indicati per perseguire questi obiettivi l'Unione europea indica quella della crescita intelligente, da perseguire grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, la ricerca e l'innovazione;
l'incremento della spesa per investimenti in ricerca e sviluppo portandola ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo al fine anche di adeguare i finanziamenti al sistema della ricerca alla media Ocse rientra tra gli obiettivi principali della Unione europea per la crescita intelligente;
secondo dati Ocse, la spesa dell'Italia in ricerca e sviluppo nel 2011 ammontava in termini assoluti ad una cifra pari a meno della metà di quella francese e meno del 30 per cento di quella tedesca; in termini percentuali essa rappresentava, nel 2013, soltanto l'1,3 per cento del Pil con indicazioni dei dati di previsione verso una diminuzione della spesa complessiva;
rispetto alla media europea, l'Italia spende in investimenti per la ricerca e allo sviluppo, una percentuale di Pil molto più bassa; eppure, nell'operare il confronto tra la quantità di risorse impegnate e il numero di ricercatori italiani da una parte e l’output prodotto, questo risulta molto elevato e soddisfacente. La qualità media della ricerca, condotta in gran parte nelle università, non è molto lontana rispetto a quella di Paesi vicini con investimenti maggiori e i ricercatori italiani all'estero sono apprezzati e spesso indicati come esponenti di punta di progetti di ricerca;
da uno studio della Banca d'Italia si evince che l'attività di ricerca condotta all'interno delle strutture pubbliche rappresenta, nei principali Paesi occidentali, la quota preponderante della ricerca;
la ricerca è infatti prodotta soprattutto in ambito accademico e negli enti pubblici di ricerca anche perché questo assicura un progresso di conoscenza che non sarebbe ugualmente raggiungibile affidandosi in quota maggioritaria alle risorse private ma, ciononostante, determina ricadute nell'ambito dell'applicazione dei risultati che contribuiscono a sostenere il grado di innovazione del sistema produttivo;
la ricerca di base, pur rappresentando un nodo necessario e fondamentale allo sviluppo di attività in grado di produrre rendimento economico, non genera direttamente possibilità di ricavo;
appare necessario a tal fine che ci sia uno scambio reciproco di informazioni e risorse tra il settore pubblico e quello privato che deve avvenire in un contesto in cui il settore pubblico esplica il suo intervento sia in qualità di finanziatore, che come soggetto regolatore del settore;
il settore della ricerca italiano appare caratterizzato, da una parte, dalla scarsa attitudine del settore pubblico all'applicazione dei risultati e alla collaborazione con le attività imprenditoriali; dall'altra parte, le imprese italiane mostrano difficoltà a connettere la propria attività di ricerca con i risultati raggiunti dagli enti pubblici;
in Italia, il settore della ricerca soffre di una cronica mancanza di fondi e di una precarietà dei posti di lavoro, che determinano la cosiddetta «fuga di cervelli» italiani all'estero, con un considerevole danno all'economia nazionale, sia dal punto di vista della rilevante perdita di risorse umane altamente qualificate, ma anche tenendo conto del fatto che il Paese ha investito nella formazione di ogni laureato notevoli risorse pubbliche che vengono completamente disperse e dalle quali non si ottiene nessun ritorno economico;
l'Italia infatti vanta un numero notevole di ricercatori altamente specializzati in diversi settori che rappresentano un fiore all'occhiello per il nostro Paese e il cui lavoro costituisce un prezioso apporto per il progresso scientifico e culturale e per lo sviluppo dell'economia nazionale;
i ricercatori italiani sono costretti ad accettare opportunità lavorative all'estero, dove riescono a trovare più adeguati e sicuri sbocchi per la propria carriera, depauperando così il nostro Paese in un settore vitale;
esistono in Italia centri di eccellenza, tra cui l'Istituto Mario Negri di Milano nella ricerca biomedica, il Politecnico di Torino nell'ambito delle nanotecnologie e il dipartimento di tecnologia dei polimeri dell'università Federico II di Napoli nel campo delle biotecnologie. Realtà all'avanguardia che, però, spesso restano delle «cattedrali nel deserto»;
un'altra grave conseguenza è quella dell'assenza di un flusso inverso di ricercatori stranieri nel nostro Paese, legata alla scarsa competitività e appetibilità del nostro sistema di ricerca. In Italia, infatti, si registrano le remunerazioni più basse rispetto al resto dell'Europa;
l'Italia partecipa, con ingenti risorse, a finanziare le politiche per l'innovazione per altri Paesi europei;
la povertà delle risorse investite nella ricerca hanno ripercussioni anche sul debito estero, e vede l'Italia, dal punto di vista internazionale, subalterna dal punto di vista scientifico e tecnologico;
in sede di esame dello schema di decreto ministeriale per il riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2015 (Atto n. 186), la VII commissione cultura della Camera dei deputati ha approvato un parere nel quale si chiede che «il Governo si impegni a riportare il Fondo ordinario all'importo assegnato nel 2012, al fine di consentire che i bilanci di previsione 2015 possano contare sul 100 per cento dell'importò assegnato nello stesso 2012, e si adoperi per un intervento legislativo che, modificando quanto attualmente previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 213 del 2009, renda la quota premiale aggiuntiva rispetto alle risorse del medesimo Fondo»;
investimenti importanti nella ricerca e nell'alta formazione, al di là del forte impatto sul processo di sviluppo del Paese, rappresentano anche una fondamentale occasione per il reclutamento di giovani ricercatori;
il sistema italiano della ricerca appare frammentato e articolato sia dal punto di vista dei soggetti che vi operano, che dal punto di vista delle fonti di finanziamento. La necessità di rilanciare la capacità innovativa del Paese non può prescindere da un sistema della ricerca pubblica adeguatamente finanziato ed efficacemente governato;
è importante adottare misure che tendano a rendere il sistema ricerca italiano il punto di forza dello sviluppo del Paese per dare all'Italia il ruolo da protagonista che le spetta nel panorama europeo e internazionale; la ricerca deve essere considerata una priorità strategica per lo sviluppo;
dal punto di vista delle fonti di finanziamento della ricerca, il sistema italiano appare estremamente frammentato, determinando un contesto di gestione poco strutturata e di difficile coordinamento al fine del raggiungimento di obiettivi strategici per il Paese;
il 1o maggio 2016 il Cipe ha approvato il nuovo piano nazionale della ricerca che mobilita risorse di diversa provenienza: fondi di diretta competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (FIRST – fondo per la ricerca fondamentale, FFO – fondo delle università, FOE – fondo degli enti di ricerca, FISR – fondo integrativo per interventi specifici); fondi strutturali nazionali (PON) e cofinanziamento di fondi strutturali europei (FSC – Fondo di Sviluppo e Coesione) per alimentare 6 programmi in materia di capitale umano, seguito del finanziamento alla ricerca industriale, il programma per il Mezzogiorno e il cofinanziamento delle infrastrutture di ricerca;
è indispensabile concentrare l'attenzione verso il settore della ricerca affinché l'Italia non resti tagliata fuori dai processi di sviluppo: nell'era della globalizzazione è importante, per il progresso scientifico e tecnologico, un interscambio di esperienze e di idee;
è auspicabile che i princìpi contenuti nella Carta europea dei ricercatori trovino effettiva applicazione, così da favorire la diffusione e la condivisione delle conoscenze, nonché lo sviluppo professionale dei ricercatori;
appare auspicabile l'adozione di una strategia di intervento più mirata ed efficace che copra l'intero corso della vita: investire nel capitale umano è una politica che si deve porre alla base delle strategie di azione e di sviluppo tecnologico, investendo maggiori risorse e ridefinendo la spesa pubblica e gli investimenti destinati alla ricerca,
impegna il Governo:
ad attuare una politica di sostegno al settore della ricerca che preveda una crescita di risorse allocate secondo criteri precisi e definiti e sulla base di un sistema di valutazione severo e puntuale, disponendo interventi non settoriali ma organici che tendano ad elevare qualitativamente il livello della ricerca, non solo rispetto alle eccellenze, ma anche in ordine agli standard medi, senza comunque perdere di vista il merito, la responsabilizzazione nella gestione delle risorse degli enti destinatari dei finanziamenti, la qualità e la competitività delle nostre università e della nostra ricerca;
ad istituire l'Anagrafe dei ricercatori italiani all'estero, una banca dati telematica che raccolga informazioni sulle attività, sugli interessi e sulle competenze delle comunità di ricercatori italiani operanti all'estero, finalizzata a far conoscere e a valorizzare l'attività dei ricercatori italiani sparsi nel mondo, dando vita ad una rete che funga da collegamento tra gli scienziati italiani residenti in patria e quelli operanti all'estero, nonché da collegamento tra questi ultimi e le università e le aziende italiane, dando vita ad una rete di scambio di informazioni;
a rilanciare la valenza dello sviluppo della conoscenza come valore intrinseco di ogni società, anche al di là delle ricadute economiche che essa può comportare, nonché il ruolo della ricerca concepita come strumento per migliorare la qualità della vita dei cittadini per quanto riguarda la salute, la sicurezza, la tutela ambientale e la valorizzazione dei beni culturali.
(1-01277) «Giammanco, Occhiuto».
La Camera,
premesso che:
molti esperti del mondo accademico e dei tribunali per minori non sono in accordo con l'idea di trasformare condotte ascrivibili al bullismo e al cyberbullismo in un reato a sé stante a fronte di oltre 17 fattispecie di reato che sono già ascrivibili alla suddetta condotta. Laddove infatti coinvolga come autori della condotta ragazzi/e sopra i 14 anni, in età imputabile, per azioni come furto d'identità, atti persecutori (articolo 612-bis del codice penale), violenza privata, furto, ed altri, in quanto l'inquadramento giuridico contiene già i reati penali necessari alla repressione. Quello che manca un sistema globale di educazione all'affettività, al rispetto delle relazioni e, dell'altro, un sistema di interventi realmente efficaci che coinvolgano e restituiscano risorse alla comunità, al di là di scuola e famiglia. Servizi socio-sanitari per la prevenzione e gli interventi di sostegno, servizi della giustizia minorile per gli interventi di responsabilizzazione (basti pensare all'istituto della messa alla prova, articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 da applicare nel caso di reati di cui sopra che avvengono nelle scuole, al posto della mera sospensione) e gli enti pubblici preposti in rete con le scuole, quale bacino privilegiato per gli interventi di rete;
inoltre, come recita la voce ottimamente scritta su « wikipedia Italia» supportata da oltre 15 fonti di ottimo livello, la « Restorative Justice» (o giustizia riparativa o giustizia rigenerativa) è un approccio a considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò ne consegue l'obbligo, in capo all'autore di porre rimedio alle conseguenze lesive della sua condotta. A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo di vittima, dell'agente e della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato;
tematizzata alla fine degli anni ‘80, la Restorative Justice nasce anzitutto da prassi, ossia da modelli sperimentali emersi in Nord America in modo spontaneo solo successivamente approfonditi. Essi peraltro intercettano un dibattito complesso e variegato, che, a partire dagli anni ‘70, stava portando al confronto di diverse voci critiche della teoria e della prassi penalistica nordamericana;
la giustizia riparativa analizza il problema della giustizia penale intorno a quattro elementi fondamentali:
considerare il reato in termini non meramente formali (come condotta corrispondente ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale), bensì «esperienziali», ossia come «lesione» che coinvolge direttamente, e sotto molteplici aspetti (morali, materiali, emotivi, relazionali) singole persone e una comunità;
ritenere che al reato corrisponda, in primo luogo, l'obbligo – in capo all'autore – di porre attivamente rimedio alle conseguenze dannose che la sua condotta ha cagionato, avendo riguardo in primo luogo ai bisogni della vittima;
puntare, nella ricerca di tale soluzione «riparativa», ad un coinvolgimento attivo della vittima, dell'offensore, dei rispettivi entourage di relazioni, e della comunità civile;
ricercare una soluzione che risulti, se possibile, concordata tra tali soggetti;
come spiega uno dei suoi fondatori, Howard Zehr, la Restorative Justice si distingue criticamente dal modello moderno e contemporaneo di pena, tende a considerare il reato come «violazione di una norma» (o meglio, come realizzazione di una condotta ascrivibile ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale) e la pena come «conseguenza giuridica» che sanziona tale condotta (pur diversamente caratterizzata per giustificazione e finalità). Diversamente, la Restorative Justice propone una sorta di equazione per la quale «Il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni interpersonali; le violazioni creano obblighi; l'obbligo principale è quello di «rimediare ai torti commessi» («to put right the wrongs»)». Ne emerge una sorta di «rivoluzione copernicana» per effetto della quale il problema centrale per la giustizia penale non è un concetto astratto di ordine giuridico, bensì la persona come singolo e come essere relazionale. Per questo, la Restorative juistice è stata definita come un nuovo «paradigma», caratterizzato da una profonda rivendicazione della centralità della persona e dell'intersoggettivita nell'analisi del problema penale e nella proposta di una riforma organica della giustizia penale. In senso critico, la Restorative Justice denuncia l'impostazione formalistica del diritto penale moderno e contemporaneo, che si ritiene abbia prodotto un sistema altamente burocratizzato e astratto, nel quale le persone – con le loro esperienze, il vissuto, le esigenze e le relazioni – rimangono del tutto marginali. Ciò emergerebbe soprattutto con riferimento alla vittima del reato, destinata ad assumere un ruolo del tutto secondario ed eventuale nella tradizionale «amministrazione della giustizia». Essa andrebbe invece ritenuta la principale destinataria delle attenzioni del sistema-giustizia, e perciò coinvolta attivamente nel procedimento che, a partire dalle indagini, conduce all'irrogazione e all'esecuzione della pena;
andrebbe parimenti valorizzata l'esigenza di un'autentica responsabilizzazione dell'offensore, sostanzialmente privo di reali occasioni per prendere coscienza delle conseguenze che le sue azioni hanno sortito in altre vite: una finalità, quest'ultima, che non dovrebbe essere perseguita attraverso astratti e pre-definiti programmi di «rieducazione», bensì, in primo luogo, mostrando all'offensore gli effetti del suo comportamento sulle vite che da questo sono state affette e chiamandolo, nei limiti del possibile, a porvi rimedio attivamente. Non da ultimo, la Restorative Justice propone modelli di soluzione della controversia atti a favorire il coinvolgimento di vittima, offensore e comunità civile nella ricerca di una soluzione atta a rispondere in termini adeguati alla lesione cagionata dal reato: tale proposta risponderebbe all'esigenza di correggere l'eccessiva dimensione «burocratizzata ed agonistica» del processo, cui si contesta l'incapacità di evidenziare e ricomporre le «ferite» effettivamente causate dal reato nel tessuto sociale da esso colpito. L'idea riparativa e partecipativa di giustizia penale avanzata dalla Restorative Justice, risponde all'esigenza di restituire attenzione alla dimensione personale e sociale che investe il crimine, senza la quale la pena altro non sarebbe che un'afflizione dagli esiti alienanti, non di rado violenti, e comunque incapace di rispondere alle esigenze concretamente sorte, nelle persone e nelle comunità civili, a seguito della commissione di un reato;
la direttiva europea 29/2012/UE sulla protezione delle vittime nei procedimenti giudiziari è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (entrato in vigore lo scorso 20 gennaio 2016), che riguarda la testimonianza d bambini in ambito penale; non è stata ancora recepita l'indicazione di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» nei Paesi membri. Questa potrebbe essere un'occasione per unire la triplice esigenza imposta dagli interventi sul bullismo: quello di creare delle strategie di sistema (pubblico), quella di agire per creare dei percorsi di responsabilizzazione in un'ottica riparativa del danno prodotto nella relazione tra le persone coinvolte (logica degli approcci riparativi e relazionali) e quella di rispondere a quanto previsto a livello europeo seppur previsto nel caso dei reati;
una ricerca dell'università di Sassari, il cui tema affrontato è quello della giustizia riparativa come strumento di prevenzione e gestione della devianza minorile e del bullismo, riporta che in alcuni Paesi, come ad esempio in Inghilterra (Hall), ci sono intere «cittadine riparative» che hanno ridotto notevolmente il bullismo e altri fenomeni di disagio nelle scuole (anche con tassi di successo dell'80 per cento),
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per recepire l'indicazione della suddetta direttiva europea 29/2012/UE di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» anche per l'Italia, nelle scuole e nei consultori familiari, oltre a tutte le altre strutture impegnate nella presa in carico del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo;
a non assumere iniziative volte a prevedere una nuova fattispecie di reato relativo al bullismo informatico e al bullismo «semplice», in quanto tale approccio strettamente normativo esprime, a parere dei firmatari del presente atto, solo una logica repressiva anziché favorire la presa in carico di tipo preventivo del fenomeno;
a favorire ogni iniziativa volta a favorire la prevenzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, prevedendo di destinare adeguate risorse per la prevenzione in materia di salute mentale e al sostegno dei minori con difficoltà sistemiche.
(1-01278) «Baroni, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero, D'Incà».
Risoluzione in Commissione:
L'XI Commissione,
premesso che:
il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione di quanto disposto dalla legge 10 dicembre 2014 n. 183, ha previsto dal 1o maggio 2015 l'introduzione della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego), la nuova indennità di disoccupazione che ha sostituito le precedenti forme di sostegno Aspi e mini-Aspi, istituite in ottemperanza delle disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 28 giugno 2012, n. 92;
l'introduzione della Naspi ha sostanzialmente riconosciuto un'indennità proporzionale alla retribuzione mensile ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentano almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di lavoro effettivo o equivalenti nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
ai sensi dell'articolo 5, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 la Naspi è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni, senza computare, ai fini del calcolo della durata, i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione; tale circostanza penalizza i lavoratori stagionali i quali non potranno più coprire il proprio reddito per tutto l'anno;
l'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, dispone che, «con esclusivo riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi tra il 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 2015 e limitatamente ai lavoratori con qualifica di stagionali dei settori produttivi del turismo e degli stabilimenti termali (...), la durata della Naspi corrisposta in conseguenza dell'applicazione del primo periodo non può superare il limite massimo di 6 mesi», salvaguardando in questo modo il trattamento di integrazione salariale per l'anno 2015;
dal 1o gennaio 2016, per effetto delle disposizioni del citato decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, per i lavoratori stagionali la durata della prestazione Naspi sarà calcolata in base al regime ordinario, secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo n. 22 del 2015, con la conseguenza che detti lavoratori potranno ricevere l'assegno solo per la metà delle settimane precedentemente lavorate, e quindi per coloro che hanno lavorato 6 mesi ne spetteranno solo 3;
il danno economico per le famiglie che lavorano in luoghi dove il lavoro stagionale è l'unica o la principale forma di impiego sarà enorme. Questa situazione comporterà l'impoverimento delle città e delle famiglie che vivono prevalentemente di turismo: nel solo settore del turismo i lavoratori penalizzati dalle nuove norme potrebbero essere 343.000;
in uno stato sociale, in cui l'obiettivo e la ragion d'essere dell'organizzazione democratica è il benessere dei cittadini, non è giustificabile una situazione di precarietà diffusa del lavoro, ovvero di incertezza e di instabilità delle condizioni del lavoro;
il legislatore comunitario ha valutato che i rapporti a tempo determinato di breve durata siano meritevoli di tutela da parte del diritto comunitario, ed anzi che i lavoratori temporanei necessitino di tutele ancora maggiori, rispetto a quelli a termine di «più lunga durata», in quanto la brevità dei rapporti di lavoro li costringe in una situazione di precarietà; nella nozione di lavoro temporaneo, come interpretata dalla Corte di Giustizia europea, rientra anche la fattispecie contrattuale di «lavoro stagionale»;
in altri termini, la normativa interna in tema di «lavoro stagionale» deve essere inquadrata, ai sensi della direttiva 1999/70/CE, come un rapporto di lavoro che, per alcuni profili (ad esempio il diritto d'informazione) rientra nel campo d'applicazione della nozione di lavoro temporaneo, mentre per altri (che ne costituiscono la maggioranza) resta soggetto alla disciplina generale del lavoro a «tempo determinato»;
l'Accordo quadro comunitario del 28 giugno 1999 depone infatti espressamente a favore dell'applicabilità dei principi contenuti dalla direttiva al decimo considerando, demandando agli Stati membri la formulazione di disposizioni di tutela garantita nei confronti dei lavoratori stagionali;
le misure adottate dal Governo in materia di riforma del mercato del lavoro, a parere degli interroganti, (complessivamente note con il nome di « Jobs Act»), non sono state finora utili a risolvere i problemi dei lavoratori ed anzi hanno alimentato e aggravato il clima di instabilità e di diffusa precarietà nel mondo del lavoro, togliendo certezze ai lavoratori;
le misure più importanti da adottare in tema di lavoro sarebbero quelle di adeguare l'Italia ai modelli di flessibilità dei principali Paesi europei ed introdurre quindi il reddito di cittadinanza, misura di equità e giustizia sociale,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per una diversa formulazione dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22 in materia di sostegno al reddito per lavoratori stagionali, prevedendo eventualmente finanziamenti aggiuntivi, eventualmente utilizzando le risorse di cui all'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, a copertura degli eventuali ulteriori fabbisogni per i medesimi;
a valutare la necessità di predispone appositi ed urgenti interventi a carattere normativo di propria competenza, al fine di non penalizzare i lavoratori stagionali, garantendo un adeguato sussidio per tutto il periodo di disoccupazione come previsto dalle previgenti norme.
(7-00998) «Ciprini, Cominardi, Lombardi, Tripiedi, Dall'Osso, Chimienti».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
da mesi alcune testate giornalistiche, tra le quali avvenire.it, annunciano l'arrivo della condanna europea relativa alle procedure di infrazione aperte contro l'Italia per la drammatica situazione relativa ai sistemi di collettamento depurazione e fognatura del nostro Paese. In uno degli ultimi articoli si legge che «l'Italia dovrà pagare a partire dal 2016 ben 480 milioni l'anno di sanzioni. Poi si andrà avanti a “botte” di quasi 800 mila euro al giorno fino a quando le opere non saranno terminate e rientrando nei limiti delle norme». E anche «Un ritardo che ci ha provocato varie condanne della Corte Ue per le quali, secondo calcoli di Palazzo Chigi, quest'anno dovremo cominciare a pagare circa 480 milioni. Ma anche qui scatterà la rivalsa. E i conti sarebbero già stati fatti: 185 milioni la Sicilia, 74 la Lombardia, 66 il Friuli, 38 la Calabria, 21 la Campania, 19 la Puglia e la Sardegna, 18 la Liguria, 11 le Marche, 8 l'Abruzzo, 7 il Lazio, 5 Valle d'Aosta e Veneto. Per ora»;
su questo argomento i deputati del M5S hanno depositato numerosi atti di sindacato ispettivo per lo più rimasti senza risposta, ma anche diversi ordini del giorno approvati ma mai concretamente implementati;
quello che si sa, tramite il portale « #italiasicura», è che la Commissione europea, visti i gravi ritardi dell'Italia nel rispetto della direttiva comunitaria che prevede da oltre dieci anni la messa a norma dei sistemi fognari e depurativi, ha comunicato al Governo italiano che, nei prossimi mesi, proporrà alla Corte di giustizia europea l'ammontare delle sanzioni che l'Italia dovrà pagare per non aver risolto i problemi accertati dalla sentenza di condanna del 2012, relativa a 72 agglomerati urbani situati principalmente nel Mezzogiorno; nel frattempo, sono stati nominati commissari governativi per la realizzazione di fognature e impianti per la depurazione, in Sicilia, in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Veneto;
proprio nel 2012, la delibera Cipe del 30 aprile 2012, n. 60, aveva destinato alle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) la somma complessiva di euro 1.643.099.690,59 a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, per interventi che attengono ai settori del collettamento e depurazione delle acque;
all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05774 del giugno 2015 è stato risposto che: «Relativamente all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 (Sblocca Italia), che prevede la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell'ambiente, da alimentare mediante la revoca delle risorse stanziate dal Cipe con la delibera 30 aprile 2012, n. 60 del 2012 destinate a 183 interventi nel settore della depurazione, per i quali ricorrano alcuni presupposti di impossibilità tecnica, progettuale, urbanistica, o di inerzia e alla data del 30 settembre 2014, non fossero stati assunti atti giuridicamente vincolanti. Sul punto si rappresenta che, sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate in «entrata di bilancio dello Stato». Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a quanto consta all'interpellante, da mesi avrebbe predisposto un emendamento per colmare il vuoto normativo, ma tale modifica ad oggi non ha trovato alcuna collocazione nei provvedimenti legislativi approvati. A quanto risulta all'interpellante il testo si troverebbe attualmente all'esame dei competenti uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri;
martedì 4 agosto 2015, nella seduta n. 475, il Governo ha accolto l'ordine del giorno Daga n. 9/3262/40, che impegna il Governo ad intervenire quanto prima in relazione al fondo per le risorse idriche di cui in premessa, inserendo in uno dei prossimi provvedimenti all'esame di quest'Aula la disposizione che prevede l'assegnazione delle risorse revocate «in entrata di bilancio dello Stato». L'attuazione di tale impegno risulta tutt'ora inattuata;
il Cipe con delibera 21/2014 stabilisce che: «La data del 31 dicembre 2015 è fissata quale termine ultimo per l'assunzione delle OGV (Ordinanze Giuridicamente Vincolanti) per il complesso delle risorse assegnate alle Amministrazioni centrali e regionali per l'intero ciclo di programmazione del FSC 2007-2013, ivi incluse le riprogrammazioni di cui al precedente punto 4. Il mancato rispetto della predetta scadenza del 31 dicembre 2015 comporterà, per i primi sei mesi, l'applicazione di una sanzione complessiva pari al 1,5 per cento. Decorso inutilmente tale termine le risorse saranno definitivamente revocate e rientreranno nella disponibilità di questo Comitato»;
ad oggi, solo la regione Siciliana, a seguito della delibera Cipe 93/2015 «Parziale riprogrammazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2000-2006 e 2007-2013» e della successiva delibera Cipe 94/2015 «Programma di azione e coesione 2014-2020 programma complementare — prima assegnazione di risorse», ha evitato la revoca delle risorse previste per gli interventi della delibera Cipe 60/2012 finanziate dal FSC 2007/2013, riuscendo ad utilizzare le somme «in scadenza» per il risanamento della finanza pubblica, per il co-finanziamento della programmazione comunitaria 2007-2013 e per interventi per la continuità delle attività di difesa del patrimonio boschivo, andando ad utilizzare, grazie alla delibera 94/2015, il PAC 2014/2020 per rifinanziare gli interventi de-finanziati in precedenza (si veda al proposito: Repubblica.it del 14 ottobre 2015);
ad oggi, molti interventi delle regioni interessate dalla delibera Cipe 60/2012 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna) non hanno prodotto le ordinanze giuridicamente vincolanti indispensabili per scongiurare la revoca del finanziamento stabilito, prevista per il 30 giugno 2016. A giudizio dell'interpellante i finanziamenti per gli interventi che dovevano essere sbloccati, attraverso i commissariamenti voluti dal Governo, onde evitare il rischio di ulteriori procedure di infrazione, rischiano invece di essere revocati senza l'avvio di alcun lavoro per il risanamento di gran parte del territorio italiano interessato;
non si conoscono inoltre i motivi per i quali i commissari nominati già da parecchi mesi non abbiano ancora prodotto le Ogv necessarie per gli interventi previsti dalla delibera Cipe 60/2012 –:
se il Governo possa fornire un aggiornamento sull'iter della terza condanna da parte dell'Unione europea, per inadempienza relativa alla direttiva 91/271/CEE sui sistemi di collettamento e depurazione delle acque e sull'eventuale ammontare;
se il Governo sia in grado di fornire un quadro completo della situazione relativa a depurazioni e fognature in Italia ed anche in merito ai fondi necessari per risolvere la situazione con annesso piano d'azione;
in che modo, da chi e con quali fondi verranno pagate le sanzioni previste dall'Unione europea che rischiano di gravare sulle casse dei comuni, per le inadempienze dei gestori;
quali siano stati i motivi ostativi alla realizzazione degli interventi già previsti e finanziati dalla delibera del Cipe n. 60 del 2012 e da un anno, oggetto di commissariamento e se il Governo intenda chiarire il funzionamento delle contabilità speciali aperte dai commissari governativi di cui in premessa al momento della nomina;
quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che, alla luce della delibera Cipe 21/2014, vengano revocati i finanziamenti per gli interventi di collettamento, fognatura e depurazione, oggetto di procedura di infrazione o di provvedimento di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane, previsti nella delibera Cipe 60/2012, prevedendo, qualora fosse possibile, una proroga del termine ultimo per la revoca.
(2-01373) «Villarosa, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Marzana, Nuti, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
il Fondo Atlante è costituito come fondo di investimento alternativo chiuso riservato ed è gestito da una società privata la Quaestio Capital Management SGR S.p.A. che gestisce i fondi della società Quaestio Investments S.A. di diritto lussemburghese. La società Quaestio Investments è detenuta al 100 per cento da Quaestio Holdings S.A. e quest'ultima, a sua volta, è detenuta da Fondazione Cariplo per il 37,65 per cento Locke S.r.l. per il 22 per cento, Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti per il 18 per cento, Direzione Generale Opere Don Bosco per il 15,60 per cento e Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì per il 6,75 per cento;
Cassa Depositi e Prestiti partecipa al Fondo Atlante con 500 milioni di euro, nonostante un risultato netto negativo nel 2015 di ben 900 milioni di euro, risultato dovuto principalmente alla perdita di circa 8,8 miliardi di euro conseguita nell'esercizio 2015 da Eni di cui Cassa Depositi e Prestiti detiene il 25,76 per cento delle azioni. Si precisa che Cassa Depositi e Prestiti gestisce 252 miliardi di euro di risparmio postale dei cittadini italiani e, visto il risultato netto negativo di 900 milioni di euro, sarebbe opportuno riflettere attentamente ad un intervento nel Fondo Atlante con ulteriori 500 milioni di euro, investimento di certo poco sicuro, visto che si tratta di garanzie su aumenti di capitale di banche in difficoltà e gestione dei crediti in sofferenza degli istituti di credito;
l'investimento pubblico, per il tramite della Società per gestione di attività e Cassa Depositi e Prestiti, sembrerebbe essere pari a circa 1,2 miliardi di euro. Altresì è doveroso richiamare l'intervento di 240 milioni di euro nel Fondo Atlante anche del gruppo Poste italiane, per il tramite della società Poste Vita S.p.A. Si ricorda che la società Poste Vita S.p.A. è partecipata al 100 per cento da Poste italiane S.p.A. che, a sua volta, è detenuta per il 60 per cento dai Ministero dell'economia e delle finanze;
la Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A., costituita in occasione del salvataggio del Banco di Napoli nel 1997, allo scopo di recuperare i relativi crediti in sofferenza è stata acquisita dal Ministero dell'economia e delle finanze a fronte del trasferimento delle azioni della società ad un corrispettivo non superiore a 600 mila euro;
si apprende che la Società per la Gestione di Attività al 31 dicembre 2014 disponeva di 484 milioni di euro tra cassa e disponibilità liquide e di ulteriori 238 milioni di euro di crediti;
da fonti stampa si apprende che la Società per la Gestione di Attività parteciperà al Fondo Atlante preposto a garantire gli aumenti di capitale di banche in difficoltà ed a rilevare crediti in sofferenza degli istituti di credito;
il Fondo Atlante ha sottoscritto il 92 per cento dell'aumento di capitale deliberato dalla Banca Popolare di Vicenza (BPVI) pari a 1,35 miliardi di euro (il valore complessivo dell'aumento di capitale è pari a 1,5 miliardi di euro). Si precisa che sulla gestione della Banca popolare di Vicenza pendono diverse interrogazioni, esposti e denunce riguardanti presunte irregolarità sia da parte del management della banca, sia dagli organi di vigilanza Consob e Banca d'Italia, L'aumento di capitale deliberato sulla base detta normativa europea in materia di coefficienti prudenziali ha di fatto permesso la cessione del pacchetto di controllo della banca a un pool di investitori che hanno così ottenuto, grazie alla crisi di liquidità generata dall'applicazione delle norme «Basilea III» imposte dalla Banca centrale europea, con pregiudizi per l'economia locale e del relativo tessuto sociale vicentino. Si evidenzia che lo stesso Penati abbia difatti affermato «posso prenderla, posso venderla, posso fonderla, posso spaccarla, posso fare una nuova Ipo magari a un prezzo più alto, posso fare una scissione degli npl magari con qualche altra banca»;
sulla gestione del portafoglio delle sofferenze si concentrano i maggiori rischi del Fondo Atlante:
la sede lussemburghese a parere degli interroganti non garantisce sufficiente trasparenza per un controllo sugli effettivi investitori, e sulla gestione dei portafogli: in un contesto italiano dove le infiltrazioni mafiose nel sistema bancario sono ormai diventate una certezza (seppur risulta ancora da comprovare in taluni casi la rilevanza penale), diventa sempre più complicato, per la Direzione investigativa antimafia, il tracciamento e il controllo dei capitali di origine criminale. È altamente probabile difatti, se non inevitabile, che tali capitali proveranno a inserirsi nel ricco mercato degli NPL, dove con una semplice S.r.l. potranno puntare a utili elevatissimi, oltre che ad avere una opportunità irripetibile per soggiogare e ricattare eventuali debitori secondo le proprie esigenze e finalità, fin anche delinquere per loro conto, in cambio di dilazioni o stralci degli importi dovuti: è comprovata l'esperienza della criminalità organizzata in tema di coercizione e usura;
i 4,25 miliardi di euro raccolti dal Fondo Atlante (già diventati 2,9 dopo l'aumento capitale della BPVI), potranno coprire solo una minima parte delle sofferenze del sistema bancario italiano. «La questione aperta è quante sofferenze sarà in grado di smobilitare Atlante con le risorse che ha a disposizione. Il moltiplicatore potrebbe essere rilevante, secondo il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, almeno 50 miliardi, un quattro del totale» (La Repubblica, 18 aprile 2016): effetto «moltiplicatore» che è stato inibito/ridotto alle 15 principali banche italiane passate sotto la vigilanza della Banca centrale europea grazie all'applicazione del CETI, che ha generato una contrazione della creazione di moneta bancaria risultata devastante, creando di fatto la crisi di liquidità odierna (unitamente a truffe come la manipolazione del tasso Euribor del 2005/2008 e il moltiplicarsi di contratti derivati sempre più spesso oggetto di indagini della magistratura ordinaria e della Corte dei Conti, che hanno sottratto ingentissime risorse in termini di liquidità della pubblica amministrazione e dei cittadini italiani), che ha portato alla impossibilità di rimborsare i prestiti contratti da società produttive e famiglie. Moltiplicatore che, in seguito all'aumento di capitale di Banca popolare di Vicenza, impedisce per gli interpellanti al Fondo Atlante di sperare di arrivare ai 50 miliardi previsti dal Ministro Padoan, che comunque risultano insufficienti a frenare gli effetti della contrazione della liquidità su accennata. Di fatto, il Fondo Atlante servirà per gli interpellanti solo a evitare l'applicazione della direttiva Bank Recovery and Resolution (BRRD) come avvenuto per il cosiddetto «Salvabanche», ma simulandone in tutto e per tutto gli effetti, in quanto, senza alcuna possibilità di scelta, coloro che avevano investito in Banca Popolare di Vicenza si ritrovano, a giudizio degli interpellanti, con perdite e svalutazioni ingentissime e una politica bancaria totalmente estranea a quella a cui avevano aderito, propria di una banca popolare;
a conferma del collegamento tra attività bancarie e attività fraudolente, fonti di stampa hanno ad esempio ampiamente riportato il caso dell'ex giudice Antonio Lollo, che interveniva ad «accomodare» le pratiche di recupero e cessione crediti: «Concluso a Perugia, nel corso dell'incidente probatorio svoltosi davanti al gip Lidia Brutti, l'esame da parte dei pm di Antonio Lollo. L'ormai ex giudice, ritenuto al centro di un sistema corruttivo costruito attorno ai fallimenti disposti dal Tribunale di Latina, ha ammesso ancora di ricevere mazzette dai professionisti che nominava, negando però di aver minacciato i curatori Luciano Lodo e Alberto Polonio e che la moglie e la suocera fossero parte degli affari illeciti. (...) Dagli atti d'indagine emerge intanto che i presunti aderenti al sistema corruttivo sembra stessero pensando anche a concordare le nomine degli avvocati, come specifica la Mobile in un'informativa inviata a Perugia. Il 17 marzo scorso, poco prima degli arresti, gli investigatori hanno intercettato una conversazione tra Lollo, la moglie Antonia Lusena e il commercialista Raffaele Ranucci. I tre parlavano delle indagini in corso, di cui avevano avuto notizia certa dopo la perquisizione subita dall'indagato Marco Viola»;
la cessione delle sofferenze, come si è detto, non è una soluzione. I 200 miliardi di euro di sofferenze, con un valore contabile del 40 per cento (80 miliardi di euro), se venissero acquistate al 20 per cento (all'incirca il valore adottato da Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Banca centrale europea per lo pseudo «salvabanche»), porterebbero nelle casse delle banche cedenti 40 miliardi di euro. Il patron di Quaestio ha però lasciato intendere un prezzo di acquisto ricompreso fra il valore contabile e il presunto valore di mercato: al 30 per cento, si tratterebbe di 60 miliardi di euro. Fondo Atlante ne possiede ora solamente 2,9. Certamente l'effetto moltiplicatore che sarebbe interessante il Governo spiegasse ai cittadini in cosa in realtà consista e quali danni economici crei allo Stato Italiano in termini di mancato gettito erariale) coprirebbe quasi una metà del presunto valore di cessione delle sofferenze, ma l'istituzione stessa del Fondo Atlante ha sottratto quella stessa liquidità da altri tipi di interventi. I miliardi sottratti al sistema bancario italiano tra il Fondo Atlante e il Fondo di Risoluzione hanno comportato di fatto, per gli interpellanti, una ulteriore contrazione delle disponibilità liquide del sistema bancario stesso, togliendo fondi (e relativo effetto moltiplicatore) alla galassia di banche territoriali e quindi all'economia reale, che avrebbero potuto rimettere in moto il flusso di transazioni finanziarie, che avrebbero per nesso quantomeno il parziale recupero dei capitali «incagliati», evitando nuove sofferenze e aiutando a trovare soluzioni per quelle in essere. La cessione delle sofferenze quindi, di fatto non è una soluzione. I capitali sottratti al sistema bancario per alimentare i «Fondi» riducono le capacità di investimento dei singoli istituti. Se tali istituti bancari riuscissero a vendere poi le sofferenze (ai fondi a al mercato) a quei prezzi, il ricavato andrebbe a consolidare gli indici patrimoniali imposti al sistema bancario (tramite la Banca centrale europea), sottraendoli di fatto nuovamente all'erogazione di nuovi finanziamenti all'economia reale. Dal 1992 a oggi, dopo l'abolizione della separazione bancaria, è avvenuto un cambiamento radicale della struttura economico/finanziaria delle banche, dove l'effetto moltiplicatore ha comportato nel tempo un trasferimento della redditività degli istituti di credito: dal classico comparto relativo alla mediazione del credito, fatto di componenti finanziari tali interessi e commissioni, al ben più redditizio settore della speculazione finanziaria e degli espropri dei beni a garanzia dei finanziamenti concessi ai clienti. Emblematico in tal senso è per gli interpellanti l'efficientissimo operato degli ultimi Governi, Renzi in testa, in termini di ipoteche immobiliari, patti «marciani e commissori», pegni mobiliari non possessori e via dicendo;
come riportato dal sito http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/2016/05/il-fondoatlante-pros.html sembra che: «Ad oggi, gli unici soldi liquidi a disposizione di Atlante sono, appunto, quelli a fini pensionistici: Poste Vita, Cassa Depositi e Prestiti, Cattolica, Generali, Allianz. Il Ministro Pier Carlo Padoan deve assolutamente rispondere di questa totale follia e, in caso non fosse fondata, smentirla pubblicamente. Nel più breve tempo possibile;
come vi sentireste se i vostri fondi pensione fossero usati per l'aumento di capitale della Banca Popolare ? Siamo andati oltre il bail-In e lo facciamo mascherando un sistema che, analizzando le carte sulla vicenda BPVi, sappiamo essere stato orchestrato in maniera strategica con la connivenza di grandi aziende, dirigenti della banca stessa e Banca d'Italia –:
se il Ministro interpellato intenda partecipare, per il tramite della Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A., al Fondo Atlante;
sulla base di quali motivazioni il Governo ritenga che il Fondo Atlante sia una soluzione generale plausibile alle sofferenze delle banche, e secondo quale teoria;
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per una gestione interna delle sofferenze, in maniera che siano valutati i casi specifici per ogni singola banca e per tipologie di sofferenze, sia individuata per ogni singolo caso quale sia la migliore soluzione per il recupero dei crediti, la ristrutturazione del debito e quindi per la gestione dei crediti in sofferenza in generale;
se il Governo abbia valutato gli effetti di politiche che appaiono agli interpellanti di sostanziale accanimento nei confronti dei debitori delle banche, che potrebbero concretizzare uno shock per il sistema economico, finanziario e produttivo italiano, tale da portare al fallimento di ulteriori migliaia di imprese;
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, presso le opportune sedi istituzionali, volte a prorogare l'entrata in vigore dei nuovi e più stringenti requisiti patrimoniali delle banche e delle società finanziarie;
quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, in relazione alla gestione delle sofferenze da parte del gruppo Quaestio, costituito anche da società di diritto lussemburghese, che ad avviso degli interpellanti appare alquanto rischiosa;
se il Governo, nel caso si concretizzasse la partecipazione pubblica al Fondo Atlante attraverso S.G.A. S.p.a. con i suoi 600 milioni di liquidità, non ritenga che possano prodursi indebiti vantaggi per i gestori del fondo, tra i quali Banca Intesa, che potrebbe così ottenere quei ricavi creati attraverso la stessa S.G.A.;
se il Governo ritenga che un intervento di Cassa Depositi e Prestiti nel Fondo Atlante con 500 milioni di euro, nonostante un risultato netto negativo nel 2015 di ben 900 milioni di euro, possa presentare rischi eccessivi per il risparmio postale dei cittadini italiani;
se non intenda valutare l'effettiva coerenza del meccanismo di cui in premessa con quanto stabilito dai regolamenti di Basilea che, per riuscire a limitare la produzione di moneta bancaria, chiedono una sempre maggiore patrimonializzazione delle banche, tale da imporre le smobilizzazioni dei crediti in sofferenza per rientrare nei parametri minimi, atteso che pare tarsi riferimento a un soggetto che potrà intervenire solo grazie a quell'effetto moltiplicatore che si sta cercando di limitare;
se in previsione dell'attività del Fondo Atlante sia stato richiesto un intervento particolare dell'Unità informazione finanziaria sul monitoraggio dei capitali impiegati;
in merito all'attività del Fondo Atlante, se risulti al Governo che la partecipazione dei fondi pensione e delle imprese assicurative implichi un rischio di perdita patrimoniale per i soli azionisti delle relative società ovvero anche per gli assicurati ed i pensionati;
se risulti al Governo che sia stato sostanzialmente consentito alle imprese assicurative di usare le riserve tecniche per gli investimenti nel Fondo Atlante, ed in caso positivo se risultino i motivi;
se il Governo abbia assunto iniziative per verificare le stime che parlano di un ritorno del 6 per cento per gli investitori del Fondo Atlante, valutazioni che, secondo gli interpellanti, risultano quantomeno ottimistiche, vista la condizione delle banche che Atlante sta ricapitalizzando o sta per ricapitalizzare e i benchmark correnti che si stanno formando sui prezzi delle sofferenze bancarie;
quali iniziative normative il Governo, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano definite puntualmente le responsabilità e sanzionate le governance e i management delle banche con elevati livelli di NPL (Non Performing Loans), indice di bassa qualità dei rapporti con la clientela e di carenze nella valutazione dei rischi e delle controparti.
(2-01377) «Pesco, Alberti, Pisano, Villarosa, D'Incà».
Interrogazione a risposta scritta:
FASSINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47, contenente misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, adottato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 12 marzo 2014, è stato convertito in legge il 20 maggio 2014;
il decreto ha varato il cosiddetto piano casa che prevede interventi per oltre 1 miliardo e 740 milioni di euro con tre obiettivi: il sostegno all'affitto a canone concordato; l'ampliamento dell'offerta di alloggi popolari e lo sviluppo dell'edilizia residenziale sociale;
con le deliberazioni della regione Lazio del 2014 del 15 marzo 2016, la regione, in linea con quanto stabilito a livello governativo, ha configurato e predisposto il programma straordinario per l'emergenza abitativa per Roma Capitale;
con tale provvedimento non si è intervenuti, nell'ambito dell'articolo 13 del regolamento regionale n. 2 del 2000, relativo alla ordinaria riserva di alloggi di edilizia residenziale pubblica per situazioni di emergenza abitativa, ma inserendo « ex novo» un articolo, l'articolo 30-bis, appunto, che mette in atto una disposizione transitoria limitata nel tempo;
dunque, non solo la giunta regionale, recependo quanto stabilito a livello governativo non interviene nell'articolo afferente alle riserve che in via ordinaria si possono applicare nell'ambito del bando generale di assegnazione degli alloggi, ma definisce, con un articolo aggiuntivo, ed a sé stante, una nuova categoria di soggetti a cui si possono assegnare un complesso di alloggi realizzati nell'ambito del programma straordinario per Roma Capitale: si tratta dei nuclei familiari che vivono negli immobili impropriamente adibiti ad abitazione;
la delibera commissariale n. 50 del Commissario governativo Tronca, Roma Capitale si pone per l'interrogante tecnicamente e politicamente in diretta contrapposizione con quanto stabilito dalla regione Lazio con le deliberazioni di giunta regionale n. 18 del 2014 e 110 del 2016 e dal Governo e dal Parlamento, con il decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47, convertito dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
a giudizio dell'interrogante si è compiuta una forzatura per riportare tutto impropriamente nelle quote di riserva previste all'articolo 13 del citato regolamento regionale n. 2 del 2000, si va incontro secondo l'interrogante ad un duro contenzioso e probabilmente ad una lunga paralisi;
del resto, la ratio dei provvedimenti parlamentari e regionali, non sembra quella di togliere validità agli strumenti ordinari, ma al contrario affrontare le emergenze pregresse accumulate negli anni attraverso strumenti straordinari, per poter parallelamente riprendere una politica per la casa — anche per le fasce più deboli – da attuare attraverso strumenti nuovi ed una nuova programmazione –:
se il Governo intenda verificare, per quanto di propria competenza come il provvedimento del commissario governativo straordinario di Roma Capitale, in materia di emergenza abitativa, di cui in premessa, si concili con i nuovi indirizzi legislativi inerenti piani abitativi straordinari e transitori da attuare attraverso una nuova programmazione. (4-13227)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'Archivio di Stato di Macerata, istituito come sezione di archivio di Stato con decreto ministeriale del 15 giugno 1941, iniziò a svolgere la sua attività il 1o luglio dello stesso anno; successivamente, con il decreto del Presidente della Repubblica del 30 settembre 1963, n. 1409, l'istituto cambiò la denominazione in archivio di Stato;
la caratteristica dell'istituto è quella di conservare non soltanto il patrimonio documentale della città di Macerata e della provincia, ma anche di gran parte del territorio regionale;
a partire dal XV secolo Macerata fu sede delle principali magistrature pontificie, della cosiddetta Marca di Ancona, con giurisdizione sull'intera regione;
l'archivio conserva anche documentazione relativa podestà di Macerata, quello di Montefano, di Belforte del Chienti, di Recanati, di Montesanto (attuale Potenza Picena), di San Severino marche, e ai pretori di Montecassiano e di Monte San Martino;
per l'epoca moderna si ricordano gli archivi dell'amministrazione dipartimentale e della prefettura del dipartimento del Musone, della Corte di giustizia civile e criminale, del tribunale del I dipartimento del Musone, dei giudici di pace di molti comuni;
l'archivio di Stato di Macerata conserva anche le carte della delegazione apostolica della I Restaurazione, del periodo che precedette l'annessione delle Marche regno d'Italia napoleonico del 1808; molto ben documentato anche il periodo relativo alla II Restaurazione;
particolarmente ricca la serie degli archivi notarili, tra cui spicca quello di Macerata a cui è annesso il cosiddetto Tabulario diplomatico (oltre ottocento frammenti di codici di pergamena), a partire dal XII secolo, di carattere giuridico, letterario, scientifico e religioso, recuperati all'inizio del secolo scorso;
nell'archivio sono conservati i fondi di istituzioni religiose come la Confraternita del santissimo Sacramento di Macerata ed il Monastero di S. Caterina di Cingoli, con le sue 1095 pergamene;
qui è conservato anche l'archivio della società dello Sferisterio, monumento fra i più significativi della città, costruito nella prima metà del secolo XIX per il gioco del pallone con il bracciale e che, da molti anni, ospita la stagione lirica estiva;
l'Archivio di Stato di Macerata è situato in un immobile di recente costruzione, che ha depositi che si sviluppano su quasi 11 mila metri lineari di scaffalature, occupate da circa 122 mila unità archivistiche; le pergamene sono complessivamente 3550, la biblioteca di istituto raccoglie circa 22.900 volumi;
per la sua natura istituzionale, l'Archivio di Stato di Macerata rappresenta, da oltre mezzo secolo, punto di riferimento obbligatorio per le ricerche sulla storia dell'antica Marca di Ancona e dell'attuale provincia di Macerata, come testimoniano le centinaia di pubblicazioni che hanno utilizzato i fondi archivistici, conservate nella biblioteca –:
se ritenga che il finanziamento di 31 mila euro (solo per l'anno 2016) destinato alla «spolveratura straordinaria degli archivi notarili e giudiziari dell'Archivio di Stato di Macerata», che è inserito nella ripartizione dei fondi del programma triennale degli investimenti per il patrimonio, sia insufficiente a conservare un così prezioso e antico capitale di valore storico non solo per la provincia, ma per l'intera regione;
se non ritenga che il maceratese meriti una maggiore attenzione da parte del Ministero, in considerazione del fatto che già lo scorso anno, l'esiguità dei fondi Fus, ha penalizzato lo Sferisterio;
se non ritenga che, per il prossimo anno, si possa rivedere la lista dei beni ammessi al finanziamento e inserire l'Archivio di Stato di Macerata fra quelli destinatari di somme aggiuntive al programma triennale o beneficiari degli eventuali importi non spesi dagli assegnatari iniziali. (5-08697)
VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la Costituzione italiana tra i principi fondamentali annovera la promozione della cultura, della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione;
una gran parte del patrimonio storico immobiliare del nostro Paese è di proprietà di privati; questo patrimonio è sottoposto al vincolo delle soprintendenze che hanno il compito di valutarne la loro tutela e conservazione e di richiederne interventi di manutenzione;
«il codice dei beni culturali e del paesaggio» (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede all'articolo 31 che in caso di restauro o altri interventi conservativi autorizzati su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore del bene, la soprintendenza possa pronunciarsi — a richiesta dell'interessato — sull'ammissibilità dell'intervento ai contributi statali previsti e ne certifichi il carattere di necessità;
il lento e farraginoso meccanismo di erogazione di questi contributi che si aggiunge ai limiti della disponibilità che il Ministero alloca annualmente ha avuto come inevitabile conseguenza l'accumulo di debiti nei confronti dei privati, che si possono stimare in oltre 100 milioni di euro;
il Governo, nell'assestamento di bilancio 2015 (capitolo 7441), ha previsto 10 milioni di euro da destinare all'estinzione dei debiti pregressi nei confronti dei proprietari;
l'esiguità dell'importo rispetto al volume dei crediti vantati dai privati fa presagire almeno 10 anni o più di attesa per i rimborsi delle somme già spese;
questo tipo di patrimonio immobiliare ha comunque bisogno di interventi continui e questi ritardi nell'erogazione dei contributi statali rischiano di condizionare pesantemente le disponibilità finanziarie dei privati che, dopo tanti anni di attesa, hanno poche garanzie di recuperare le somme investite –:
se non ritenga necessario assumere iniziative per aumentare le risorse destinate a questo tipo di interventi per recuperare una parte del debito pregresso;
se non ritenga di dover predisporre con tempestività le erogazioni di acconti per coloro che finora non hanno ricevuto nulla e di provvedere ai saldi per quei privati che hanno i crediti più datati.
(5-08698)
DIFESA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
DURANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2009 ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e valutare la performance con riferimento all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti, al fine di perseguire lo scopo del miglioramento qualitativo dell'organizzazione e delle competenze professionali. A tale scopo, le pubbliche amministrazioni sono tenute a garantire la massima trasparenza delle informazioni concernenti le misurazioni e le valutazioni della « performance»;
la trasparenza – anche ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013 – è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità;
il Ministero della difesa ha pubblicato il piano della performance 2016-2018, senza però garantire — a giudizio dell'interrogante — sufficiente trasparenza sulla organizzazione e sulla razionalizzazione dell'impiego del personale civile non dirigente presente nei vari uffici/officine. Nello specifico lo Stato Maggiore della Difesa — con nota «M_D SSMD REG2016 0031854 04-03-2016» — dichiara che «Secondo quanto espressamente previsto dal par. 11 del piano medesimo, la conoscibilità all'esterno dell'A.D. della sezione dedicata alla definizione degli obiettivi operativi relativi alle sedi periferiche (tomo II) è, invece, esclusa, in relazione alle prioritarie esigenze di riservatezza correlate alle funzioni di difesa e di garanzia della sicurezza nazionale proprie delle strutture che rientrano nell'area tecnico-operativa.» A parere dell'interrogante, l'esigenza di riservatezza nella organizzazione interna andrebbe salvaguardata per la specificità riconosciuta al personale militare — ex articolo 19 legge n. 183 del 2010 — e non per il personale civile non dirigente;
l'insufficiente trasparenza di cui sopra, anche in base a quanto previsto dal decreto legislativo 33/2013, rischia secondo l'interrogante di determinare una poco chiara gestione del personale, con ricadute negative sull'organizzazione, sull'efficienza e sulla razionalizzazione. Inoltre, in assenza di totale chiarezza, non si possono intercettare le criticità e perseguire il miglioramento qualitativo;
a quanto si apprende, le organizzazioni sindacali di Taranto hanno segnalato che – per quanto riguarda l'Arsenale – ci si troverebbe dinanzi alla più completa segretezza circa la distribuzione dei compiti assegnati ai dipendenti, giungendo in tal modo al paradosso per cui la « performance individuale» di ciascuno risulta non accessibile ai colleghi di settore;
inoltre, anche in seguito a interpretazioni fornite da un dirigente dalla direzione generale per il personale civile (Persociv) (MD GCIV 0067633 del 30 ottobre 2015), il personale tecnico appartenente a profili carenti, che ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'articolo 6 del CCNL 2006-2009 comparto ministeri dovrebbe essere adibito «alle mansioni proprie del profilo professionale in cui è inquadrato e/o a quelle considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi», verrebbe invece distolto dalle attività di competenza, per essere impiegato in mansioni impiegatizie nonostante il sovrannumero di addetti amministrativi;
la razionalizzazione dell'attività produttiva – nonché l'adeguamento capillare delle unità produttive – attraverso la razionale rimodulazione delle relative composizioni, in termini di quantità e qualità così come previste dal libro bianco – appaiono, in mancanza di una adeguata trasparenza, obiettivi difficilmente perseguibili. Si rischia invece in tal modo di ottenere una inadeguata gestione del personale oltre che l'impoverimento delle professionalità tecniche presenti, se non opportunamente impiegate o riconvertite in maniera appropriata –:
se quanto espresso da «Persociv» sia in linea con quanto previsto dalla normativa vigente, relativamente al corretto e pertinente impiego del personale civile non dirigente del Ministero della difesa, con particolare riferimento al richiamato articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2000, nonché a quanto sancito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 (articoli dal 446 al 519);
come si giustifichi, alla luce della normativa vigente, la segretezza sulla « performance» dell'ente – con particolare riferimento alla accessibilità di organigrammi, compiti e distribuzione delle attività;
se non si ritenga di assumere iniziative per applicare integralmente al Ministero della difesa quanto previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2009 – con riferimento al fondamentale principio della trasparenza sulla « performance» organizzativa e relativa distribuzione dell'attività del personale non dirigente – al fine di evidenziare e correggere le criticità esistenti, incentivando l'ottimizzazione organizzativa con la razionalizzazione delle risorse umane, o, se invece non si ritenga opportuno adottare iniziative affinché il decreto legislativo in parola, che si basa sulla trasparenza amministrativa, per quanto attiene le performance individuali, non trovi applicazione negli enti/stabilimenti di cui in premessa, in ragione del principio di riservatezza e segretezza che va riconosciuto al Ministero della difesa. (5-08691)
PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il poligono di «S'Ena Ruggia», situato nel territorio comunale di Macomer (Nuoro), ospita il 5o reggimento del genio guastatori della Brigata Sassari di stanza dal 2013, appartenente all'Esercito italiano. Viene considerato come poligono «occasionale» ed occupa una vasta porzione di terra che, fra le altre cose, si trova a ridosso del sito archeologico di «Tamuli», comprende i nuraghi di «Fiorosu», «Sa Pattada» e «Tamuli» oltre che diversi allevamenti;
la situazione riguardante il poligono sopra citato è già stata oggetto di una interrogazione in Commissione Difesa (5/06334 del 9 settembre 2015) a prima firma dell'interrogante. Nello specifico, si denunciava il rinvenimento in data 4 settembre 2015 – nei territori circostanti il poligono – di numerosi ordigni e rifiuti materiali. Fra di essi centinaia di bombe a mano esplose e nascoste in un fossato di tipo in dotazione all'Esercito italiano, fili metallici e differenti materiali resi indistinguibili dalla usura e dalle alte temperatura a cui evidentemente erano stati sottoposti. Tutti questi materiali erano inoltre rinvenibili e sparsi per tutto il terreno circostante al fossato e per un raggio di almeno 100 metri;
in sede di risposta all'atto citato, il sottosegretario Rossi dichiarava che il materiale in oggetto era stato rimosso dal Genio e che «fin dal primo momento è stata data assicurazione sulla non pericolosità di tali materiali che sono, tra l'altro, tutti riconducibili ad attività addestrative svolte dai reparti presenti nel territorio della provincia di Nuoro, negli anni tra il 1983 ed il 1996»;
a quanto si apprende anche da diversi organi di stampa, fra cui l’Unione Sarda del 14 maggio 2016, analisi eseguite nel poligono di tiro militare di «S'Ena Ruggia» hanno rilevato la presenza oltre i limiti di sostanze prodotte nel corso di esercitazioni di tiro con le armi. Ad ufficializzare l'esito di tali analisi lo stesso comando del Quinto reggimento Genio guastatori –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
se non intenda chiarire nel dettaglio la natura e la provenienza delle sostanze oltre norma rilevate – in riferimento anche alle precedenti rassicurazioni di bonifiche del territorio di Macomer – se non intenda, inoltre assumere iniziative volte ad escludere il reiterarsi del problema nel futuro;
quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di procedere ad una immediata, completa e verificabile bonifica dei territori interessati, data anche la loro specificità archeologica ed economica;
se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per prevedere azioni risarcitorie per i comuni interessati dall'inquinamento derivante dalle esercitazioni di tiro dell'Esercito Italiano. (5-08703)
ECONOMIA E FINANZE
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
l'interesse da pagare per un mutuo a tasso variabile è dato da Euribor + spread (ossia la percentuale di guadagno della banca), quest'ultimo concordato con il cliente. Se l'Euribor, come ormai da un anno, è negativo, il tasso di interesse deve essere più basso dello spread; tuttavia molte banche lo considerano zero, anche se è sottozero;
da quando l'Euribor è diventato negativo, quindi, gli istituti di credito per i mutui variabili avrebbero dovuto sottrarlo allo spread concordato con il cliente. Invece, secondo Altroconsumo e Federconsumatori, alcune banche avrebbero fissato a zero il livello minimo (« floor») del tasso di riferimento cui, sommare lo spread, diversamente da quanto previsto nei contratti. Di conseguenza, starebbero applicando ai loro clienti dei tassi d'interesse più alti del dovuto;
per un mutuo variabile, infatti, il Tan (tasso annuo nominale) si forma aggiungendo all'Euribor, che è il tasso di interesse con cui le banche si scambiano le provviste di denaro e che varia ogni giorno, uno spread, che è la percentuale di guadagno della banca. Ad esempio, se l'Euribor è pari all'1 per cento e lo spread concordato tra cliente e banca è l'1 per cento, il tasso è il 2 per cento. Se invece l'Euribor è negativo, va sottratto allo spread. Per cui se l'Euribor è – 0,26 per cento, il tasso che il cliente deve pagare è 1 – 0,26 per cento ossia 0,74 per cento. Molte banche, invece, considerano l'Euribor zero, e non negativo come è, per cui nel caso precedente fanno pagare un tasso dell'1 per cento;
il danno ingiusto per i clienti è evidente (e per importi elevati e per periodi prolungati anche consistente), a meno che nel contratto banca-cliente non sia stato previsto espressamente che, in caso di Euribor negativo, nel calcolo del tasso l'Euribor stesso non possa scendere sotto lo zero. Ma quasi mai, soprattutto per i mutui contratti fino al 2014, c’è questa clausola, perché è la prima volta che l'Euribor è negativo (conseguenza dei tassi zero della Bce) e tale scenario non era previsto dagli istituti di credito;
a febbraio 2016 è intervenuta anche la Banca d'Italia per ricordare agli istituti che non possono applicare un tasso minimo se la clausola non è stata pubblicizzata e inclusa nella documentazione di trasparenza e nel contratto: «Da alcune segnalazioni pervenute sono emerse ipotesi in cui gli intermediari hanno neutralizzato l'erosione dello spread derivante dal sopravvenuto valore negativo del parametro, attribuendo a quest'ultimo valore pari a zero. Ciò ha determinato l'applicazione di tassi d'interesse non allineati con le rispettive previsioni contrattuali»;
per questa ragione la Banca d'Italia ha chiesto agli istituti d'intervenire su tre fronti: attenersi a «una rigorosa applicazione delle condizioni pattuite con la clientela», ovvero non introdurre unilateralmente clausole di tasso minimo non indicate nei contratti; nel caso in cui i tassi interbancari scendano in negativo, «verificare che gli applicativi e le procedure in uso determinino correttamente il tasso d'interesse applicabile a ciascun rapporto e l'ammontare degli interessi dovuti»; operare «sollecitamente una verifica delle condotte sinora seguite nella V determinazione degli interessi dovuti» ed, eventualmente, provvedere alle conseguenti restituzioni» se sono stati applicati tassi minimi pari a zero. In questi casi bisognerà anche inviare un'informativa a Bankitalia, la quale nei prossimi mesi controllerà che le richieste contenute nella sua comunicazione siano state rispettate;
intanto, anche le associazioni dei consumatori sono pronte a chiedere conto agli istituti di credito del perché molti di essi non hanno ridotto — e non stanno riducendo — di quanto dovrebbero le rate dei mutui a tasso variabile, visto che l'Euribor (il tasso di riferimento su cui viene calcolata la rata) è negativo dai primi mesi del 2016, ed hanno intenzione di organizzare un'azione collettiva per ottenere il rimborso dell'importo delle rate pagato in più;
Altroconsumo ha lanciato una vera e propria campagna: «Con il tasso Euribor negativo, tanti mutui a tasso variabile avrebbero dovuto trarre beneficio e, di conseguenza, i clienti avrebbero dovuto pagare rate più leggere. Invece molte banche hanno fatto finta di niente e applicato sempre e comunque il valore zero. Controlla il tuo mutuo e reclama per riavere quanto ti spetta» –:
se il Governo sia a conoscenza della vicenda e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare per fare in modo che gli istituti di credito che non hanno rispettato le prescrizioni si adeguino e rimborsino i clienti che hanno versato rate più alte di quanto dovuto per i loro mutui a tasso variabile.
(2-01376) «Galgano, Monchiero».
Interrogazione a risposta in Commissione:
BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data 6 maggio 2014, la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1/00216, con la quale impegnava il Governo ad assumere iniziative a livello nazionale ed europeo finalizzate a ridurre in maniera significativa la domanda di monete da 1 e 2 centesimi, analogamente a quanto avvenuto in altri Stati membri dell'Unione europea, previa valutazione dell'impatto delle misure medesime sull'inflazione;
gli organi di stampa hanno riportato notizie circa il costo del conio degli euro per l'Italia. In particolare, parrebbe che i costi di fabbricazione di ciascuna moneta da un centesimo ammonterebbero a 4,5 centesimi; quelli di ciascuna moneta da due centesimi a 5,2 centesimi; quelli di ciascuna moneta da 5 centesimi a 5,7;
dall'introduzione dell'euro la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 centesimi e circa 2 miliardi di monete da 5 centesimi, per un costo complessivo di 362 milioni di euro, a fronte di un valore reale di 174 milioni di euro;
per tali ragioni alcuni Paesi europei, tra cui la Finlandia e i Paesi Bassi, hanno bloccato il conio delle suddette monete;
negli ultimi anni, il Governo e il Parlamento hanno tentato di limitare lo spreco di risorse pubbliche, tagliando, attraverso la cosiddetta spending review, quei costi cui nel complesso è possibile rinunciare;
l'utilità delle monete da 1 e 2 centesimi è molto limitata e assolutamente rinunciabile, se paragonata ai risparmi che ne deriverebbero allo Stato –:
quali iniziative il Governo abbia assunto, in ottemperanza alla mozione n. 1/00216, a livello nazionale ed europeo per ridurre in maniera significativa la domanda di monete da 1 e 2 centesimi. (5-08699)
Interrogazioni a risposta scritta:
RICCIATTI, FERRARA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, PLACIDO e AIRAUDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
lo schema di regolamento recante la disciplina per l'istituzione dell'Organismo per la gestione del registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi, ai sensi dell'articolo 13 del decreto 6 luglio 2012 n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede l'istituzione dell'ORIA cui saranno trasferite funzioni e competenze in materia di tenuta del Registro unico degli intermediari (Rui) assicurativi e riassicurativi, compresa la vigilanza sui soggetti iscritti nel medesimo registro;
lo schema di regolamento prevede all'articolo 10, comma 3 le tipologie di «soggetti» che devono iscriversi nel nuovo registro: gli agenti di assicurazione e riassicurazione; i mediatori di assicurazione e riassicurazione; le banche intermediarie ai sensi dell'articolo 14 del Testo unico bancario;
dal nuovo registro sono esclusi gli intermediari assicurativi iscritti nella sezione E del RUI;
la soppressione di tale categoria di intermediari genera dubbi in ordine alla compatibilità con la legislazione comunitaria;
il progetto di risoluzione legislativa del Parlamento europeo sull'intermediazione assicurativa prevede due categorie di soggetti tenuti all'iscrizione nel registro: gli intermediari assicurativi e riassicurativi e gli intermediari assicurativi a titolo accessorio; per intermediari assicurativi a titolo accessorio si intende, ai sensi dell'articolo 2 comma 4 del progetto di risoluzione: «qualsiasi persona fisica o giuridica, diversa da un ente creditizio o da una impresa di investimento ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, punti 1) e 2), del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, che intraprenda o eserciti a titolo oneroso l'attività di distribuzione assicurativa a titolo accessorio, a condizione che siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l'attività professionale principale di detta persona fisica o giuridica è diversa dalla distribuzione assicurativa; b) la persona fisica o giuridica distribuisce soltanto determinati prodotti assicurativi che sono complementari rispetto a un prodotto o servizio; c) i prodotti assicurativi in questione non coprono il ramo vita o la responsabilità civile, a meno che tale copertura non integri il prodotto o il servizio che l'intermediario fornisce come sua attività professionale principale»;
la figura dei subagenti rientrerebbe alla luce di tale testo normativo nella generale categoria degli intermediari assicurativi, essendo l'intermediazione assicurativa per la maggior parte di loro, iscritti alla sezione E del registro RUI, l'attività professionale principale;
lo schema di regolamento che istituisce l'ORIA prescrive l'iscrizione nel nuovo Registro per: le «imprese» (articolo, let. e); gli «intermediari tout court», sia persone fisiche che società (articolo 2, let. f); gli «addetti alle attività di intermediazione assicurativa», vale a dire i dipendenti o i collaboratori che dietro compenso svolgono l'attività di intermediazione su incarico di intermediari iscritti nel registro (articolo 2 let. d); i «produttori diretti», persone fisiche che sia a titolo principale o sussidiario, esercitano l'attività di intermediazione nei rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità di un'impresa, che operano senza obblighi di orario o di risultato esclusivamente per l'impresa medesima;
dall'esame delle disposizioni citate emerge come sia esclusa dallo schema di regolamento la categoria degli intermediari assicurativi iscritti nella sezione E del RUI, in quanto tali soggetti sono professionisti a tutti gli effetti, che svolgono l'attività di intermediazione assicurativa in modo autonomo, dotati di partita Iva, iscritti alla Camera di commercio e che esercitano la propria attività su mandato di uno o più agenti o broker, rispettando tutti i vincoli e le prescrizioni statuite dalle norme di settore e dai regolamenti IVASS;
rispetto alla normativa europea appare evidente che gli intermediari della sezione E del RUI non possono essere assimilati agli intermediari assicurativi a titolo accessorio, in quanto svolgono l'attività in via principale;
rispetto allo schema di regolamento emerge, inoltre, l'impossibilità di assimilarli alla figura degli addetti in quanto professionisti, organizzati spesso in forma imprenditoriale, ma in ogni caso non-dipendenti, e nemmeno collaboratori degli intermediari assicurativi, in quanto nella prassi lavorativa gli stessi intermediari iscritti nella sezione E operano stipulando un contratto di mandato con la previsione di un'area territoriale operativa. Spesso gli intermediari della sezione E fa o sottoscrivere direttamente le polizze ai clienti potendo contare su un collegamento informatico diretto con le direzioni, esercitando la loro attività, quindi, in piena autonomia e senza il controllo dell'agente;
si consideri, inoltre, che nel caso in cui i subagenti della sezione E fossero assimilati alla figura degli addetti, sarebbero applicabili le norme della legge 92/2012 (la cosiddetta legge Fornero) che prevedono una presunzione ex lege che imporrebbe la trasformazione del rapporto di lavoro autonomo in lavoro subordinato;
gli intermediari della sezione E rappresentano una realtà economica importante che commercializza l'86 per cento del mercato retail –:
se, anche in considerazione della normativa comunitaria, il Ministro interrogato non ritenga opportuno reinserire, nello schema di regolamento recante la disciplina per l'istituzione dell'Organismo per la gestione del registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi, la figura degli intermediari assicurativi attualmente iscritti nel registro RUI alla sezione E;
in alternativa, quali misure intenda adottare al fine di tutelare tale categoria professionale, considerato anche il significativo apporto in termini economici della categoria nel settore. (4-13224)
NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
recentemente, la confederazione italiana delle piccole e medie imprese (Confapi), ha rilevato in merito ai crediti cosiddetti «in sofferenza», che le misure adottate dal Governo in materia anche, ai fini del recepimento delle recenti direttive in materia di crisi bancarie, sono ritenute condivisibili nella misura in cui, nel caso «di crisi di impresa»:
a) si preveda una preventiva fase di allerta in cui è possibile comporre in via preventiva e assistita la situazione di crisi;
b) si demandi ad un giudice specializzato, in via prevalente se non esclusiva, la competenza a decidere le procedure di maggiori dimensioni individuando nel contempo anche per le altre procedure di insolvenza di minore rilievo una ripartizione presso un numero ridotto di tribunali che abbiano una dotazione organica in grado di poterle affrontare;
c) si consenta, nel caso di insolvenza di minore portata, di aver diritto alla liberazione dei debiti senza la pronuncia di un apposito provvedimento del giudice;
d) di estendere la procedura fallimentare, nonché la possibilità di proporre accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero di accedere a concordato preventivo, anche a gruppi di impresa;
al riguardo, la Confederazione delle piccole e medie imprese, ritiene che un ulteriore miglioramento della disciplina in esame, consiste nel prevedere un'estensione dei benefici ivi previsti non solo ai grossi gruppi di impresa e alle holding di rilevante consistenza, ma anche all'intera filiera produttiva e distretto industriale, in modo da poter salvaguardare le imprese di piccola e media dimensione, che spesso fanno parte dell'indotto «del grande gruppo industriale» e che in ragione delle loro dimensioni ridotte, non possono accedere agli strumenti di salvaguardia in caso di crisi di impresa;
a giudizio dell'interrogante, le osservazioni in precedenza richiamate, risultano condivisibili, se si valuta come gli effetti della crisi economica e finanziaria che ha determinato danni paragonabili a quelli di una guerra mondiale, senza che questa guerra sia stata combattuta, si sono manifestati in particolare nei riguardi delle piccole e medie imprese che hanno subito gravissime ripercussioni in termini di capacità finanziaria e produttiva;
le difficoltà nell'accesso al credito per le piccole e medie imprese, a parere dell'interrogante, rappresentano fra gli ostacoli più negativi, per sostenere la ripresa di tale categoria dimensionale di aziende, in quanto limitano la capacità di contribuire all'innovazione, alla crescita e all'occupazione, per tale segmento produttivo, che rappresenta fra l'altro, una categoria cruciale per una crescita economica sostenibile e inclusiva –:
quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato nell'ambito delle sue competenze, in merito alle considerazioni esposte in premessa;
quali siano in particolare gli orientamenti del Governo con riferimento alle osservazioni della Confapi in merito ai crediti in sofferenza delle piccole e medie imprese, nonché in merito alle sollecitazioni rivolte al Governo, con riferimento alle misure da intraprendere;
se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di sostenere le piccole e medie imprese, per migliorare l'accesso al credito bancario, che in particolare nell'attuale fase di incertezza economica e finanziaria, permane difficile e determina spesso gravi ostacoli alle attività delle imprese. (4-13225)
ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il turismo all'aria aperta è un settore che vale 3 miliardi di euro all'anno in Italia;
complessivamente nel nostro Paese 3 milioni di turisti annualmente soggiornano in mezzi mobili per il soggiorno turistico, case mobili e roulotte, più altri 800.000 ospiti che alloggiano in unità immobiliari, bungalow e appartamenti messi a disposizione dagli stessi campeggi;
il fatturato generato dal comparto del turismo open air vale 3 miliardi di euro e la filiera del camperismo rappresenta a tutto gli effetti uno speciale comparto produttivo e turistico, i cui flussi corrispondono al 5 per cento del movimento turistico domestico e al 6 per cento del movimento estero in Italia, per un totale di 22,9 milioni di notti e un fatturato di 1,1 miliardi di euro annui (3,7 per cento della spesa complessiva);
la stagione estiva 2015 ha visto per i campeggi una ripresa generale su tutto il territorio italiano: le presenze sono aumentate del 2,5 per cento, dato che vede un'importante crescita degli italiani (+2,4 per cento) e ancor più dei turisti stranieri (+3,1 per cento), così come anche il fatturato ha segnato un +2,7 per cento;
vi è stato in particolare un boom di presenze (+7 per cento) negli agri-campeggio, ovvero quelle strutture agrituristiche che possono ospitare turisti che soggiornano in camper, roulotte, tenda o altro mezzo proprio;
le oltre 2.500 aziende turistico ricettive con una capacità ricettiva totale di 1.300.000 campeggiatori/giorno e 8.000.000 di ospiti con 60.000.000 di presenze turistiche non riescono a soddisfare la crescente domanda;
è evidente come la modalità di viaggio in camper, in caravan e in tenda possa costituire un volano per i sistemi economici locali grazie all'indotto riversato sui territori;
da oltre 30 anni l'industria del caravaning e dei veicoli ricreazionali lavora per valorizzare una realtà produttiva che, oltre a essere ambasciatrice del made in Italy all'estero, contribuisce alla promozione economica e turistica attraverso un turismo ecologico, sostenibile e destagionalizzato che, con interventi mirati, potrebbe rappresentare uno dei canali ideali attraverso cui stimolare la ripresa delle economie nazionale e locali, come accaduto in Francia e in Germania;
con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), commi 85 e 86 dell'articolo 1, si è approvato un importante incentivo alla rottamazione di vecchi camper, inquinanti e vetusti, pari a 5 milioni di euro per l'anno 2016;
ad oggi, però, non risultano ancora emanati i decreti attuativi per rendere operativa la rottamazione, fatto che rischia di creare un danno alle imprese del settore, agli oltre 7.300 lavoratori del settore, più l'indotto, e ai cittadini che vogliono investire nell'acquisto di un veicolo ricreazionale –:
per quali motivi siano passati 5 mesi dall'approvazione della legge di stabilità senza che siano stati emanati i decreti attuativi;
se non si ritenga necessario verificare eventuali responsabilità, per quanto di competenza, considerando che lo stanziamento è solo per il 2016, l’iter di acquisto è comunque lungo e la stagione di vendite in prossimità dell'estate sta passando rapidamente. (4-13229)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta scritta:
D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la vicenda del porto artificiale di Tremestieri, per una serie di motivazioni anche di natura tecnica, sta diventando un vero «buco nero» per il dispendio di risorse economiche e per la paralisi che, sta provocando all'intero sistema infrastrutturale della Sicilia Orientale;
la scelta di creare un porto artificiale, abbandonando il porto naturale di Messina, in un luogo sconsigliato per gli evidenti limiti dettati dalle caratteristiche del sito ha moltiplicato le spese e il traguardo del compimento dell'opera è ben lontano dall'essere in vista;
insabbiamento e mareggiate sono i principali limiti del sito individuato che hanno richiesto notevoli risorse per il finanziamento dell'opera;
si tratta di un'opera importante sicuramente perché si pone come obiettivo quello di liberare la città di Messina dal traffico pesante) ma sono trascorsi quattro lustri senza avere alcun risultato;
basti pensare che solo la primavera scorsa è stato effettuato un'opera di dragaggio, costata altri 200 mila euro, che non ha sortito l'effetto sperato;
si registra da qualche tempo la richiesta avanzata da più parti nei confronti del Ministro interrogato di affidare al sindaco di Messina poteri speciali per completamento e gestione dell'opera;
nel corso di una riunione svoltasi a Roma presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel mese di giugno 2015 con tutte le autorità competenti circa il futuro della suddetta opera si è parlato di un decreto da adottare per l'ampliamento della circoscrizione dell'Autorità portuale per consentire al sindaco l'attribuzione di poteri speciali e sbloccare definitivamente le procedure per la costruzione del nuovo porto;
sarebbe però utile un supplemento di riflessione e verificare l'opportunità di affidare tale responsabilità ad altra figura che potrebbe essere prefetto o un commissario ministeriale proprio per assicurare la massima imparzialità e un maggiore controllo rispetto ad un investimento così rilevante in considerazione delle risorse pubbliche già impegnate e da impegnare –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità rappresentate in premessa e quali iniziative intenda assumere per valutare l'opportunità di affidare al prefetto o ad un commissario ministeriale i poteri necessari per verificare il complesso dell'opera, anche alla luce dei limiti che fin qui si sono manifestati. (4-13223)
INTERNO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
a seguito degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 l'organizzazione neofascista italiana Casapound ha indetto per il 21 maggio 2016 una «mobilitazione di tutti gli uomini liberi in difesa dei confini, delle tradizioni e dell'identità per fermare il terrore e le forze malate che cinicamente lo alimentano». Lo dichiara in una nota del 15 novembre 2015 il leader del movimento Gianluca Iannone, che spiega anche come il corteo europeo di svolgerà in contemporanea a Parigi, Atene e Madrid;
nella suddetta manifestazione – convocata in occasione dell'anniversario della morte di Dominique Venner (ideologo francese di estrema destra) – convoglieranno diverse organizzazioni dell'estrema destra europea. Roma, decorata con la medaglia d'oro al valor militare per la guerra di Liberazione, che ha subito l'eccidio delle Fosse Ardeatine, sarà teatro di un avvenimento di tale matrice, che rischia di offrire inutili tensioni ai suoi cittadini e l'ennesimo oltraggio alla sua storia;
molti manifesti apparsi nella capitale confermano l'imminente svolgersi del corteo la cui partenza è prevista alle ore 10 da Piazza Vittorio, nel quartiere Esquilino. Il luogo scelto già prefigura a parere degli interpellanti l'intento provocatorio e xenofobo della manifestazione: esso, infatti, per Roma è un simbolo di accoglienza e integrazione, un territorio ove risiedono migliaia di immigrati;
a Roma e nel Lazio, di recente, si sono verificati blitz–e incursioni di carattere omofobo, ad opera di organizzazioni neofasciste, in sedi associative e di partito, a seguito dell'approvazione del provvedimento sulle unioni civili;
anche in via Acqua Bullicante, al Prenestino, il 14 maggio 2016 si sono generate tensioni tra i militanti di Casapound e i cosiddetti «antagonisti» –:
se sia a conoscenza della suddetta manifestazione e dell'eventuale autorizzazione concessa dalla questura di Roma;
se risultino specifiche precauzioni poste in essere dalla stessa questura e in tal caso se le ritenga sufficienti a garantire l'ordine pubblico, considerato anche il contestuale svolgimento della campagna elettorale per le elezioni amministrative.
(2-01375) «Miccoli, Terrosi, Andrea Romano, Beni, Culotta, Bonaccorsi, Verini, Blazina, Causi, Garavini, Murer, Amato, Montroni, Romanini, Gnecchi, Fossati, Chaouki, Malisani, Zampa, Lavagno, Carra, Stella Bianchi, Patrizia Maestri, Minnucci, Albini, Naccarato, Tidei, Gasparini, Giacobbe, Mognato, Venittelli, Carloni, Carnevali, Guerra».
Interrogazioni a risposta immediata:
FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
il flusso di profughi in arrivo dall'Austria nel tarvisiano è continuo e sempre più ingente;
i respingimenti in Austria sono sempre più difficili ed il Friuli Venezia Giulia si ritrova in una situazione emergenziale dovuta anche ad una politica regionale che non tutela le esigenze di sicurezza e controllo;
da inizio 2016 sono stati rintracciati provenienti dall'Austria 2.920 clandestini, più di 720 nel solo mese di aprile, già 420 nel mese di maggio 2016, di questi nei primi tre mesi dell'anno 630, cioè il 40 per cento veniva riammesso in Austria;
il problema scaturisce anche dal fatto che chi arriva in treno dall'Austria, nella stragrande maggioranza dei casi, ottiene un riscontro negativo all'interno del registro Eurodac e appena varcato il confine si libera di qualunque prova, biglietto del treno incluso, che possa testimoniare il suo arrivo in regione da un altro Paese comunitario;
così si verifica che i profughi arrivino in stazione a Tarvisio senza apparentemente aver attraversato almeno un altro Stato comunitario (Austria o Slovenia), dove a norma di regolamento avrebbero dovuto presentare richiesta di asilo, per cui non essendo stati «registrati» altrove è l'Italia a doversene fare carico mettendo in moto, a livello locale, il sistema di accoglienza regionale;
un meccanismo, questo, assurdo e paradossale che continua a riversare i clandestini in Friuli Venezia Giulia, mentre l'Austria ha stretto i controlli al confine;
si ricorda che i clandestini rintracciati giornalmente sono di media 25, con punte anche di 40, non considerando poi tutti coloro che non riescono ad essere individuati;
tale situazione comporta anche un elevato rischio per la sicurezza, non sapendo, di fatto, chi sia presente su territorio regionale e italiano;
è chiaro che devono essere urgentemente implementati gli organici della Polizia di Stato e dell'Esercito, per far sì che il personale del settore polizia di frontiera possa effettuare i controlli in maniera capillare –:
se e quali urgenti iniziative di propria competenza il Governo intenda adottare per risolvere l'emergenza creatisi a Tarvisio. (3-02265)
FAVA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
la Commissione d'inchiesta sulla mafia dell'Assemblea regionale siciliana ha approvato una relazione su ritenute infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale di Catania. La relazione è dunque agli atti parlamentari della XVII legislatura ed è firmata dal relatore Stefano Zito;
la relazione documenta, tra gli altri, il caso del consigliere comunale di Forza Italia Riccardo Pellegrino, fratello di Gaetano Pellegrino, uomo di spiccato rilievo criminale all'interno del clan mafioso dei Mazzei e il caso del presidente della sesta circoscrizione Lorenzo Leone, aderente al raggruppamento «Articolo 4» nella coalizione di centrosinistra, fratello di Gaetano Leone, appartenente al gruppo di Cosa Nostra dei Santapaola e già condannato con sentenza irrevocabile per associazione mafiosa;
dalla relazione si evince come i quartieri di massimo consenso elettorale per i due consiglieri in questione coincidano con le aree di conclamata influenza dei gruppi mafiosi a cui aderiscono i fratelli dei consiglieri (San Cristoforo per Pellegrino, Librino per Leone);
alla luce della suddetta relazione e delle spiegazioni – a giudizio degli interroganti non adeguate alla gravità del caso – che il sindaco di Catania Enzo Bianco ha fornito sulla vicenda in occasione della sua audizione del 16 gennaio 2016 presso la Commissione d'inchiesta parlamentare antimafia, il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha interessato il prefetto di Catania, Maria Federico, per chiedere di valutare l'opportunità e l'urgenza di nominare una commissione di accesso al comune di Catania, ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico sugli enti locali, in modo da verificare quali conseguenze la permanenza dei consiglieri succitati possa aver determinato sull'andamento dell'attività amministrativa e se vi sia un condizionamento mafioso di tale attività;
la risposta pervenuta dal prefetto di Catania, due mesi dopo, si limita a riferire della convocazione di una riunione tecnica di coordinamento, convocata il 18 gennaio 2016, e di un generico monitoraggio «sulle situazioni parentali di tutti i componenti del consiglio comunale e dei consigli circoscrizionali» di Catania;
dopo oltre quattro mesi non risulta alcun risultato del lavoro di monitoraggio predisposto da codesta prefettura, né risulta alcuna iniziativa per predisporre un accesso agli atti del comune di Catania;
i suddetti consiglieri Pellegrino e Leone sono sempre nel pieno esercizio delle loro funzioni –:
se il Ministro interrogato non intenda promuovere iniziative per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 143, comma 2, del Testo unico sugli enti locali attraverso la nomina di una commissione d'accesso presso il comune di Catania, posto che tali determinazioni non sono state fino ad oggi prese dal prefetto di Catania. (3-02266)
LUIGI GALLO, NUTI, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
la società Lande, che agisce sia come società a responsabilità limitata che come società per azioni, è aggiudicataria di appalti per lavori pubblici in tutto il territorio nazionale, dal Grande progetto Pompei a Metro 4 di Milano, da Villa Adriana a Tivoli al Bosco di Capodimonte, a Porto Marghera a Venezia, in elenco non esaustivo;
sin dall'ottobre 2015 il Gruppo MoVimento 5 stelle ha chiesto per il tramite di un'interrogazione al Ministro per i beni e delle attività culturali e del turismo chiarimenti riguardo la suddetta società, anche attraverso una verifica, «una ad una», della regolarità delle procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture aggiudicate dalla ditta Lande sia per quanto concerne il Grande progetto Pompei che per gli altri sopra elencati;
con riguardo al Grande progetto Pompei, si segnala che il presidente dell'ANAC, Raffaele Cantone, ebbe a dichiarare in proposito: «Conosco molto bene questo caso, ma senza un'interdittiva del prefetto non si poteva far nulla»;
la richiesta di chiarimenti al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo è scaturita a fronte del «secondo filone» dell'inchiesta cosiddetta «Medea», partita il 20 agosto 2015 e portata avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, riguardante politici, appalti e imprese legate al clan dei Casalesi, «fazione Zagaria»;
iscritti al registro degli indagati, tra gli altri, Marco Cascella, allora amministratore della ditta Lande, per corruzione e turbativa d'asta circa l'affidamento sospetto di alcune gare d'appalto riguardanti i beni culturali;
sul periodico La città di Salerno, disponibile on-line, è riportata la vicenda relativa al rilascio della certificazione antimafia. In particolare, il citato articolo riporta che la prefettura di Napoli non avrebbe rilasciato la certificazione, a seguito della richiesta di «informazione antimafia» del 27 maggio 2014, avanzata dal responsabile dell'ufficio tecnico, lo stesso Di Tommaso arrestato nell'operazione. Nel silenzio della prefettura, nel termine di 45 giorni, il contratto è stato concluso in assenza di certificazione;
ad avvalorare ulteriori legittimi sospetti il fatto che i responsabili della ditta Lande s.r.l., già nel 2011, sono stati indagati per violazione delle norme sulla sicurezza, reati ambientali, autorizzazioni mancanti, distruzione e deturpamento di bellezze naturali nell'ambito dei lavori svolti nell'oasi Ferrarelle di Riardo;
preme agli interroganti segnalare altresì che nella risposta alla citata interrogazione, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha dichiarato di non ritenere necessaria una verifica degli affidamenti alla società Lande, in quanto avvenuti in data precedente alla conoscibilità delle indagini;
nonostante le inchieste che la riguardano e l'hanno riguardata, la società Lande ha continuato a poter partecipare e a vedersi aggiudicare appalti pubblici –:
se non intenda chiarire i motivi per cui non sia mai stata disposta l'interdittiva antimafia per la società Lande. (3-02267)
BUENO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
recentemente il Parlamento ha preso in esame la problematica relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana, finora regolamentata dalla legge del 5 febbraio 1992, n. 91, «Nuove norme sulla cittadinanza» e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 1994 «Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana»;
il 13 ottobre 2015, la Camera dei deputati a grande maggioranza: 310 sì, 66 no e 83 astenuti ha approvato e inviato, per l'approvazione definitiva, al Senato della Repubblica una proposta di legge contenente «Nuove norme in materia riconoscimento della cittadinanza italiana»;
ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 29 della Costituzione italiana, la cittadinanza italiana si acquista principalmente per ius sanguinis, così come stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto il diritto alla «status» di cittadino italiano al richiedente anche nato all'estero, ed eventualmente anche in possesso di un'altra cittadinanza, purché almeno uno dei genitori sia in possesso della cittadinanza italiana;
oggi la procedura di riconoscimento della cittadinanza, secondo la normativa vigente si dovrebbe concludere entro 730 giorni dalla data di presentazione dei relativi documenti, invece, in media ne passano molti di più e i richiedenti, soprattutto in Brasile, sono costretti ad aspettare addirittura fino a dieci anni di attesa prima di ottenere l'esito della richiesta;
una situazione inaccettabile che di fatto limita le opportunità di quanti potrebbero accedere a concorsi pubblici, ottenere le prestazioni assistenziali, votare alle elezioni politiche ed amministrative, viaggiare senza dover chiedere visti: in poche parole concorrere appieno alla società civile in qualità di cittadino italiano;
per ovviare a questa vera e propria discriminazione, è stata proposta nel febbraio 2012 una vera e propria class action al tribunale amministrativo regionale del Lazio, promossa da Cgil, Inca, Federconsumatori e 109 richiedenti la cittadinanza italiana, per chiedere l'ottemperanza alle disposizioni di legge vigenti da parte delle amministrazioni statali nei procedimenti di concessione della cittadinanza italiana agli aventi diritto;
si tratta di uno dei primi ricorsi allo strumento della azione collettiva (class action) introdotto di recente nel nostro ordinamento;
il tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione II-quater) con sentenza del 26 febbraio 2014, nell'accogliere l'istanza dei richiedenti, ha intimato al Ministero dell'interno di rispettare i tempi: cioè rispettare i termini dei 730 giorni entro i quali lo Stato deve concludere la procedura di riconoscimento della cittadinanza. Nonostante ciò i tempi di attesa sono sempre di gran lunga superiori;
la sentenza del tribunale amministrativo regionale riconosce la «violazione generalizzata dei termini di conclusione del procedimento sull'istanza di rilascio della concessione della cittadinanza italiana» e intima al Ministero dell'interno di «porre rimedio a tale situazione mediante l'adozione degli opportuni provvedimenti entro il termine di un anno»;
questa sentenza oltre a rappresentare un passaggio importante delle legittime aspettative di quanti chiedono il riconoscimento di un proprio diritto fondamentale come quello della cittadinanza, indica soluzioni idonee ad ottemperare, nei tempi prestabiliti, nella conclusione dell’iter di richiesta di cittadinanza come: modalità di utilizzo delle risorse economiche (200 euro per ogni richiedente, spesso anche fino a 300), eliminazione di prassi burocratiche che impongono la presentazione di documentazione inutile o addirittura la ripresentazione di certificati che, a causa dei ritardi e delle responsabilità degli enti coinvolti, nel frattempo scadono. In molti casi basterebbe la digitalizzazione delle informazioni amministrative e il collegamento in rete dei diversi uffici preposti all'iter per il rilascio della cittadinanza;
visti gli ingiustificati ritardi nell'esame delle istanze per il rilascio della cittadinanza, in Brasile, agli aventi diritto – figli di cittadini italiani – è stata costituita una associazione che ha già mobilitato migliaia di cittadini, i quali, attraverso una petizione al consolato Italiano chiedono al Governo Italiano il rispetto dei tempi previsti dalla legge n. 91 del 1992 –:
se il Ministro dell'interno sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali siano i suoi orientamenti e quali iniziative urgenti intenda adottare per far sì che gli uffici ministeriali ottemperino alla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per quanto riguarda il rispetto dei tempi, sia per lo snellimento burocratico dell’iter di riconoscimento della cittadinanza italiana.
(3-02268)
RUSSO, CARFAGNA, SARRO, CASTIELLO e LUIGI CESARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
nelle ultime settimane una lunga sequenza di violenza e morte è tornata ad attanagliare in una morsa i cittadini di Napoli e della sua provincia;
nel territorio sono sempre più frequenti gli episodi di violenza e di recrudescenza della criminalità, anche legati alle faide interne che in questo momento caratterizzano le azioni criminali: è in atto una vera e propria guerra tra bande, pronte a tutto per il controllo delle attività illecite, a partire dallo spaccio della droga;
basta scorrere i fatti di cronaca per comprendere la recrudescenza della violenza di stampo camorristico che attacca il territorio napoletano, che solo nelle ultime due settimane ha visto mettere in atto diverse crudeli esecuzioni: l'11 maggio 2016 è stato ucciso Stefano Adamo, 42 anni, precedenti penali per associazione per delinquere di stampo camorristico ed altri reati come lo spaccio di droga. L'omicidio è avvenuto a Soccavo, alla periferia occidentale di Napoli;
il 7 maggio 2016 addirittura un duplice omicidio: padre e figlio, trucidati in un'autofficina di Marano, in provincia di Napoli;
il 5 maggio 2016 è morta Giovanna Arrivoli, 41 anni, trovata senza vita, semisepolta, a Melito. Sembra sia stata torturata prima di essere uccisa con tre colpi di pistola;
il fenomeno criminale è a dir poco inquietante, e crea panico negli abitanti dello sterminato territorio dove la camorra colpisce senza freno e dimostra la propria forza con azioni dimostrative addirittura nei confronti dello Stato. Destano preoccupazione le caserme dei carabinieri, come quella di Secondigliano, prese di mira dalle bande, e i progetti mortali disegnati per far fuori fior di magistrati che ogni giorno combattono il crimine e le sue spietate leggi. La stessa minaccia che arriva dalle baby gang ormai soggiogate da modelli negativi, ai quali non si riesce a contrapporre alcuna alternativa, rappresenta l'ultima chiamata rispetto alla necessità di ripristinare il valore della legalità in un territorio ad alto rischio;
nel mese di febbraio 2016 il Ministro interrogato aveva annunciato l'invio a Napoli di 250 militari impegnati nell'operazione di controllo del territorio: «un'unità di rinforzo» – aveva spiegato il ministro – per rappresentare «con più forza il presidio di legalità» ad ogni modo, i dati e le cronache mostrano che questa operazione non ha avuto i risultati sperati;
il rischio è che non si sia ancora giunti all'apice di questo inasprimento di atti criminali e che nelle prossime settimane possano esserci altri casi del genere –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in campo per garantire una risposta concreta alla domanda di sicurezza e ordine che giunge da parte dei cittadini, ed evitare che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi e nel lungo periodo Napoli resti oggetto di continua violenza da parte della criminalità organizzata. (3-02269)
BOSCO, MISURACA e PICCONE. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
l'operazione «Strade Sicure» è iniziata il 4 agosto 2008, in attuazione del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha autorizzato, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, l'impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate, con la qualifica di agente di pubblica sicurezza, posto a disposizione dei prefetti delle province;
il personale delle Forze armate è stato impiegato per condurre attività di vigilanza esterna ai centri di accoglienza ed a obiettivi sensibili e di pattugliamento e perlustrazione, in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia;
con il decreto interministeriale del 27 febbraio 2015, il contingente è stato incrementato a 4.800 unità poi successivamente aumentate. Con il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2015, al fine di rispondere alle esigenze di sicurezza connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario, è stato incrementato di ulteriori 1.500 unità a partire dal 16 novembre 2015 e fino al 30 giugno 2016;
da ultimo, la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ha prorogato, fino al 31 dicembre 2016, l'impiego di un contingente di 4.800 unità delle Forze armate;
l'operazione ha dato importanti risultati per il controllo capillare del territorio ed ha effettuato, con la consueta professionalità delle nostre Forze armate, importanti azioni di prevenzione per il contrasto alla criminalità;
è, quindi, fondamentale che, anche dopo la proroga al 31 dicembre 2016, prosegua questa azione coordinata tra le Forze armate e le Forze di polizia per tutelare i cittadini del nostro Paese –:
se, in relazione ai risultati raggiunti, prorogata l'azione coordinata tra le Forze armate e le Forze di polizia denominata «Strade Sicure», non ritenga opportuno stabilizzare il concorso di Forze armate e Forze di polizia rispetto agli obiettivi sensibili per rendere ancora più efficace l'opera di prevenzione della criminalità e del terrorismo. (3-02270)
Interrogazione a risposta orale:
LATTUCA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 16 maggio 2016, intorno alle ore 18:30, lungo l'autostrada Adriatica A14, fra i caselli romagnoli di Valle del Rubicone e Cesena, in direzione nord, si è verificato un assalto a due mezzi blindati portavalori con modalità paramilitari;
un commando di almeno 6 uomini, come raccolto dalle testimonianze delle guardie giurate e di altri automobilisti, ha assaltato i due mezzi a colpi di mitra;
per cinque minuti decine di proiettili sono stati scaricati sull'abitacolo e, nonostante l'attivazione del sistema schiumogeno antifurto, i banditi sono riusciti comunque a prelevare uno dei sacchi di danaro trasportati con un bottino di qualche centinaia di migliaia di euro;
i banditi, sempre secondo la ricostruzione dei testimoni, sono risaliti sulle automobili e, più a nord, altri complici hanno bloccato le carreggiate con auto di traverso e spargendo chiodi sul manto stradale con il risultato di bucare i pneumatici di alcuni mezzi pesanti che hanno complicato ulteriormente le operazioni di inseguimento del commando;
gli stessi banditi hanno sequestrato una automobile di grossa cilindrata ad un malcapitato automobilista per poi incendiare le autovetture con cui erano scappati e dileguarsi presumibilmente nei campi;
è la prima volta che l'A14, nel tratto romagnolo, così come nei tratti dell'Abruzzo e della Puglia viene interessata da rapine sempre ai danni di portavalori;
le armi impiegate, le modalità usate dal commando, evidenziano che si tratta di specialisti e tutto, il quadro presenta elementi assolutamente inquietanti che allarmano operatori di sicurezza e opinione pubblica –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, in considerazione del ripetersi di simili episodi, in merito alla sicurezza del trasporto valori e se non ritenga opportuno convocare, alla sua presenza, una riunione straordinaria del comitato della sicurezza e dell'ordine pubblico presso la prefettura di Forlì al fine di predisporre un potenziamento delle forze dell'ordine in termini di mezzi e di uomini, e un maggior pattugliamento del tratto autostradale in questione, per assicurare un più capillare controllo del territorio. (3-02260)
Interrogazione a risposta in Commissione:
FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 6 maggio 2016, al presidente dell'Anpi di Quarona (Vercelli), Marzo Bozzo Rolando, è andata a fuoco una tettoia utilizzata come deposito per gli attrezzi da giardino;
le fiamme avrebbero distrutto tutto ciò che si trovava nel ripostiglio e avrebbero potuto intaccare anche l'alloggio, rimasto comunque danneggiato dall'esplosione di due finestre;
secondo notizie a mezzo stampa l'incendio potrebbe essere stato un atto intimidatorio, forse legato alle attività di Marco Bozzo Rolando a sostegno ai profughi arrivati a Valmaggiore, frazione di Quarana (Vercelli);
nel mese di marzo, il signor Marco Bozzo Rolando aveva trovato dei segni di effrazione su una porta, con una serratura divelta, anche se all'interno dell'abitazione risultava tutto in ordine;
sempre secondo notizie di stampa, i Vigili del Fuoco avrebbero confermato la natura dolosa dell'incendio e sull'accaduto sarebbe stata presentata denuncia contro ignoti;
resta ancora da capire la dinamica dell'accaduto, la cui natura sembrerebbe dolosa dai primi riscontri effettuati, e se confermata, resta da chiarire se un eventuale atto intimidatorio sia riconducibile in qualche modo alla carica di presidente dell'Anpi rivestita dal signor Rolando, o alla sua recente attività di assistenza ai profughi –:
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per accertare la dinamica dei fatti, nonché quali iniziative intenda adottare per garantire in ogni caso l'incolumità di chi svolge attività di assistenza ai profughi. (5-08700)
Interrogazione a risposta scritta:
FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il settore della vigilanza privata italiana vive problematiche serie e preoccupanti solo in parte sanate con la riforma iniziata con il decreto del Presidente della Repubblica n. 153 del 2008 che prevedeva la trasformazione degli Istituti di vigilanza in imprese della vigilanza privata e la trasformazione delle guardie particolari giurate in professionisti della sicurezza, da prestatori d'opera a fornitori di servizi integrati nel progetto della sicurezza complementare, ovvero quella tipologia di servizi da svolgersi per mezzo di guardie particolari giurate da affiancare alle forze di Polizia, solo ed esclusivamente con compiti di osservazione e segnalazione;
nella realtà si è assistito ad una forte contrazione del mercato, spinta anche dalla crisi economica, una evidente contrapposizione dei ruoli con i servizi fiduciari, un'offerta dei servizi non più all'altezza delle aspettative clientelari alimentando un fenomeno definito, di «auto protezionismo» e un accentuarsi delle problematiche storiche relative alla sicurezza sul lavoro, inadeguatezza organizzativa e della pianificazione dei servizi;
la stessa sicurezza complementare, manifestatasi operativamente con gli accordi e la sinergia dei «mille occhi sulle città» non ha prodotto sicuramente gli esiti sperati. Il malessere si è tradotto in questi anni in un crescente aumento delle ore di cassa integrazione e della domanda di disoccupazione e mobilità;
la prevenzione e la tutela dei beni mobili e immobili dei cittadini, il trasporto e la distribuzione del contante presso gli sportelli bancari e postali, le attività complementari, in sinergia con le forze dell'ordine, fanno parte di un mercato ideale, libero d'impresa e aperto alla concorrenza;
la realtà, invece, evidenzia un settore che va a discapito del prodotto offerto, «la sicurezza» attraverso il dumping, una pratica commerciale per conquistare fette di mercato ai danni della concorrenza. I prezzi offerti sono sempre inferiori e dettati dai network. Secondo quanto sottolineato dalle associazioni di settore e dalle organizzazioni sindacali, si aprono criticità inerenti gli aspetti contrattuali, appalti, passaggi di personale, ribassi, oneri previdenziali e crediti vantati verso il privato e nei confronti della pubblica amministrazione, che provocano inevitabilmente crisi di liquidità e debiti verso i fornitori e verso gli addetti ai lavori. Gli stessi istituti di vigilanza sono stati poi oggetto di vendite e acquisizioni che, anziché perseguire scopi di efficienza, hanno soltanto evidenziato scopi speculativi e contrari all'interesse generale –:
quali iniziative normative, anche urgenti, s'intendano assumere al fine di garantire lo sviluppo del comparto della vigilanza privata, anche in un'ottica di miglioramento della sicurezza pubblica di fronte alle nuove minacce quali quelle rappresentate dal terrorismo, con particolare riferimento alla salvaguardia dei livelli occupazionali e delle possibilità di impresa; alla realizzazione di un'unica banca dati nazionale degli operatori della sicurezza privata, cui possono accedere gli uffici preposti alle attività di controllo; al miglioramento della qualificazione professionale delle guardie private, diventate incaricate di pubblico servizio, nonché all'individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione. (4-13220)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
il sistema universitario italiano vive una situazione di profonda difficoltà, tanto da poter parlare di «università in declino» in conseguenza di quelle che risultano per gli interpellanti scellerate politiche attuate nel nostro Paese dal 2008 in avanti. Per la prima volta, infatti, negli oltre 150 anni di storia unitaria, il numero degli studenti universitari si riduce, dal 2003-2004 al 2014-2015, di oltre 66.000 unità, con una flessione del 20,4 per cento. Inoltre, secondo stime del Cun, il nostro sistema universitario statale, negli ultimi sette anni, ha perso oltre 12.000 docenti, (circa il 17,2 per cento) a causa delle drastiche riduzioni del fondo di finanziamento ordinario e del blocco del turn-over, dato che non ha equivalenti in nessun altro settore della pubblica amministrazione;
le misure previste dalla legge di stabilità del 2015, nonostante alcuni segnali di attenzione, non invertono la rotta: si insiste nei tagli al Ffo per la gran parte delle università statali e si prevedono misure occasionali ed ancora indefinite per il reclutamento e che, al di là di ogni giudizio di merito, sono troppo modeste ed occasionali per invertire la tendenza;
la riduzione del corpo docente e la ormai cronica mancanza di finanziamenti nazionali per la ricerca rendono improbo assolvere in condizioni paritarie sul territorio i compiti affidati dagli articoli 9, 33 e 34 della Costituzione all'università statale. Un autorevole e dettagliato rapporto della Fondazione RES dimostra come le misure di riduzione della spesa penalizzino particolarmente il Sud ma colpiscano anche atenei del Centro e del Nord, e concentrino le scarse risorse in pochissimi atenei. Dunque, assieme alla nota ed imbarazzante negazione del diritto allo studio, dovuta alla carenza di sostegno economico ai capaci e meritevoli privi di mezzi, ne consegue l'impossibilità di garantire la continuità delle conoscenze ed un efficiente impiego delle strutture;
in tale quadro, la dignità dei docenti è gravemente mortificata e la frequente denigrazione mediatica del loro lavoro incide sulle motivazioni che dovrebbero animare la missione della ricerca e della carriera accademica. Di contro, la necessaria crescita della qualità e della trasparenza nel reclutamento richiederebbe una maggiore responsabilizzazione ed un più diffuso controllo dell'intera comunità accademica, laddove invece la selezione è determinata da criteri finanziari che mettono in competizione gli atenei e favoriscono logiche localistiche;
al blocco delle carriere, che comporta la decurtazione degli stipendi medi, a sua volta dovuta al tardivo ingresso in ruolo, e della mobilità interuniversitaria – altro aspetto esiziale per la libera circolazione della conoscenza – si aggiunge l'intollerabile differenza di trattamento rispetto alle altre categorie non contrattualizzate del pubblico impiego. Se, infatti, la docenza universitaria ha, senza alcuna riluttanza, contribuito al risanamento dei conti pubblici, accettando il blocco degli stipendi per il periodo 2011-2014, non si capisce perché soltanto ai docenti universitari di ruolo sia stato negato il riconoscimento ai fini giuridici degli anni di blocco. Così come altrettanto inspiegato è il criterio in base al quale ai soli docenti universitari nel 2015 sia stato reiterato il blocco degli scatti stipendiali, riconosciuto a tutte le altre categorie non contrattualizzate, in ordine temporale ai dipendenti di organi costituzionali (Camera, Senato, Corte Costituzionale), magistrati, avvocati dello Stato, insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, forze armate e forze dell'ordine, medici delle aziende sanitarie, personale delle carriere prefettizia e diplomatica, enti di ricerca, personale della pubblica amministrazione;
questa incomprensibile penalizzazione si traduce in un danno ingentissimo a livello individuale, più grave per i giovani professori e ricercatori, stimato tra i 50.000 euro ed i 100.000 euro. Il mancato riconoscimento a fini giuridici di cinque anni di attività lavorativa effettivamente svolta si trascina per tutta la carriera e si riverbera su pensioni e liquidazioni già soggette, per via di altre note misure relative al passaggio al regime contributivo, a pesanti decurtazioni. Va infine ricordato che un cospicuo ridimensionamento salariale e, quindi, un contenimento della spesa, era stato già operato dalla legge n. 240 del 2010 con la cancellazione della ricostruzione di carriera nei passaggi di fascia a seguito di positivi esiti concorsuali. Il nuovo regime giuridico comporta dinamiche salariali molto rallentate e, dato l'ingresso medio in ruolo non prima dei quarant'anni, la pratica impossibilità di raggiungere le classi stipendiali più elevate;
è evidente che siamo di fronte ad una palese discriminazione a danno dei decenti universitari, che ha suscitato nel corso del 2015 una petizione al Presidente della Repubblica promossa dal professore C. Ferraro del Politecnico di Torino e sottoscritta da circa 12.000 professori e ricercatori;
a parere degli interpellanti la situazione sarebbe sanabile attraverso il riallineamento in 6 anni delle classi/scatti a quelle che sarebbero state le condizioni in assenza di blocco, una misura apparentemente poco onerosa, in quanto i costi sarebbero assorbiti dalla minor incidenza dei salari attuali rispetto a quelli dei professori e ricercatori che andranno in quiescenza col nuovo regime giuridico della legge n. 240 del 2010;
in assenza di segnali del Ministro interpellato e di impegni specifici nella legge di stabilità 2016, che pure ha assegnato all'IIT assieme all'Università Statale di Milano, al Politecnico di Milano ed all'Università Bicocca di Milano, ben 1,5 miliardi di euro in 10 anni per il progetto Human Technopole, ne è seguita la diffusa richiesta di sospensione della seconda tornata della valutazione della qualità della ricerca (VQR), fino a che non cessasse la discriminazione giuridica. Sebbene la protesta sia stata progressivamente attenuata per la preoccupazione di molti docenti di salvaguardare dipartimenti e atenei posti in competizione per il Ffo, essa ha segnalato un disagio senza precedenti nella storia repubblicana –:
quale sia la ratio dell'attuale regime giuridico per cui solamente ai docenti universitari nel 2015 sia stato reiterato il blocco degli scatti stipendiali e soltanto ad essi — a differenza di tutte le altre categorie non contrattualizzate del pubblico impiego – sia stato negato il riconoscimento ai fini giuridici degli anni di blocco dal 2011 al 2014;
che cosa il Ministro interpellato intenda fare per risolvere tale discriminazione, atteso che il 17 marzo 2016 si è svolto un incontro tra la conferenza dei rettori delle università italiana e lo stesso Ministro interpellato durante il quale il tema, assieme ad altri, risulta essere stato affrontato, e quali siano i suoi orientamenti rispetto al riconoscimento ai fini giuridici del periodo 2011-2014 ed anche ai fini economici a partire dal 1o gennaio 2015;
se non ritenga possibile sanare la situazione, predisponendo il sopracitato riallineamento in 6 anni delle classi/scatti a quelle che sarebbero state le condizioni in assenza di blocco, una misura peraltro a giudizio degli interpellanti poco onerosa, in quanto i costi sarebbero assorbiti dalla minor incidenza dei salari attuali rispetto a quelli dei professori e ricercatori che andranno in quiescenza col nuovo regime giuridico posto dalla legge n. 240 del 2010.
(2-01374) «Pannarale, Scotto».
Interrogazione a risposta in Commissione:
VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il punto 9 (dei 12 delle linee guida in cui viene riassunta «la buona scuola») titola: Cultura in corpore sano;
nelle innumerevoli descrizioni che ricorrono nei documenti che promuovono «la buona scuola», si legge di una scuola con un'offerta formativa più ampia, che guardi al futuro, che preveda oltre alle attività educative, ricreative e culturali, le discipline motorie e l'attività sportiva e che quest'ultima, addirittura, a partire dalle superiori, concorre a formare un curriculum utile all'orientamento e all'inserimento nel mondo del lavoro e avrà un peso all'esame di maturità;
l'OSCE (nel confronto fra i 27 Paesi dell'Unione europea) evidenzia che l'Italia è ultima per numero di bambini che praticano attività fisica quotidiana, mentre l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda a bambini e ragazzi fra i 5 e i 17 anni almeno un'ora di attività fisica al giorno;
è scientificamente provato che l'educazione allo sport agisce sul livello di apprendimento, dà consapevolezza di sé, induce a corretti stili di vita, insegna la lealtà, abitua a muoversi all'interno di un gruppo, è utile per l'integrazione e al superamento di diversità molteplici; grazie al gioco unisce e aumenta l'autostima;
le discipline motorie dove già introdotte nei percorsi scolastici (6-11 anni) svolte in orario curricolare e/o extrascolastico, producono indiscussi benefici sulla postura, sull'educazione alimentare, sullo stato generale di salute dei ragazzi e concorrono alla formazione integrale dell'individuo;
«la buona scuola» prevede, per dar corso a un progetto sperimentale che nasce nel 2009, di introdurre l'educazione motoria e lo sport nella scuola primaria, di assumere 5.300 insegnanti iscritti nella GAE (graduatoria a esaurimento) per la classe di concorso «A029, educazione fisica», cosa che dovrebbe permettere (considerati gli attuali 20.000 già stabilizzati), di inserire un'ora di attività motoria nelle classi dalla seconda alla quinta elementare;
prevede, inoltre, di integrare le eventuali carenze in termini di risorse disponibili, facendo ricorso a finanziamenti europei e accordi con istituzioni sportive oltre a School bonus, School Guarantee e Crowfunding;
il PON istruzione (nel settennio 2014-2020) (decreto ministeriale 435 del 16 giugno 2015 articolo 9 punto 2/b) dispone per le attività didattiche aggiuntive o integrative di un budget di circa 800 milioni di euro da destinare al potenziamento dell'educazione motoria e sportiva nelle scuole secondarie di primo e secondo grado;
il Ministero e il CONI, in collaborazione con il Comitato italiano paraolimpico, inoltre, hanno promosso il progetto sport di classe che dovrebbe offrire una risposta concreta e coordinata all'esigenza di diffondere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria con l'adozione delle due ore settimanali di attività motoria dalla 1a alla 5a classe della scuola primaria (il bando per le scuole è scaduto il 30 ottobre);
lo stesso progetto sport di classe prevede di selezionare una figura specializzata denominata «tutor sportivo scolastico» da inserire negli istituti a supporto del dirigente scolastico e degli insegnanti nelle decisioni di carattere motorio per valorizzare professionalità presenti in ambiti diversi da quelli della docenza, che affianca il docente di classe assicurando una presenza di due ore al mese per ciascuna classe a lui assegnata;
il « tutor» che dovrà possedere i medesimi requisiti degli insegnanti (laurea triennale in scienze motorie L22 ordinamento vigente o C133 vecchio ordinamento; laurea quadriennale in scienze motorie e sportive vecchio ordinamento o diploma ISEF) avrà il compito di partecipare alle attività del centro sportivo scolastico (CSS) per la scuola primaria e fornirà supporto metodologico/didattico secondo le linee guida dettate dall'Organismo nazionale per lo sport (il bando per le candidature è scaduto il 16 dicembre 2015) –:
se non ritenga opportuno assumere iniziative per:
a) inserire nell'ordinamento l'attività motoria come disciplina (come, peraltro, è previsto in tutti Paesi europei) affidandone l'insegnamento a personale formato ad hoc (cosa che produrrebbe notevoli risparmi in termini di spesa sanitaria – visto che solo l'obesità grava sul SSN per circa 8,5 miliardi di euro l'anno – e sociale – considerato che il bullismo, le diverse forme di disagio e l'abbandono scolastico, per citare solo alcuni, sono tutti fenomeni che determinano costi);
b) censire la reale necessità di insegnanti (dopo l'assunzione di tutti gli iscritti nella graduatorie a esaurimento) per bandire, se necessario, un concorso per la copertura del 100 per cento delle cattedre;
c) predispone per l'anno accademico 2016/2017 i bandi in tempo utile affinché l'attività motoria relativa al progetto sport di classe possa iniziare con l'avvio dell'anno curricolare, piuttosto che ridurre a soli 5 mesi l'offerta formativa dedicata allo sport;
d) sostituire la figura del « tutor» con insegnanti di attività motoria in quanto la scelta è più coerente con il progetto di stabilizzazione del personale docente e di continuità didattica che «la buona scuola» promuove. (5-08696)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
DI BENEDETTO, VILLAROSA, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
in data 29 gennaio 2016 il quotidiano «Il Tirreno» riportava la notizia dell'imminente soluzione dei gravi problemi che da tempo interessano il complesso scolastico «Concetto Marchesi», sito in località Cisanello, nella provincia di Pisa;
la stessa provincia, infatti, tramite un progetto preliminare, è stata ammessa nei piani di investimento dell'Inail così come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2015, che consente la valutazione, nell'ambito dei piani triennali di investimento, ai sensi dell'articolo 1, comma 317, della legge 23 dicembre 2014 n. 190, di alcune iniziative di elevata utilità sociale individuate in un elenco apposito allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su citato;
il meccanismo previsto è quello assimilabile a un leasing immobiliare, per cui l'Inail acquista l'immobile antico, lo ricostruisce come da progetto per poi riscuotere un canone dall'ente locale, con interessi previsti con un tetto massimo del 3 per cento ed eventuale riscatto a fine periodo;
da una parte, questa procedura ha l'indiscusso vantaggio di reperire una cifra difficilmente recuperabile dal bilancio dell'ente locale; dall'altra, però si prevede un tasso di interesse non modesto, oltre che la probabile svendita dell'immobile a fine periodo di locazione dato che il riscatto dello stesso risulta essere meramente eventuale;
il progetto preliminare del complesso «Marchesi» prevede lo spostamento degli oltre 1.000 studenti dei due istituti scolastici (il Buonarroti ed il Santoni) in strutture temporanee che verrebbero allestite nelle aree degli impianti sportivi. Ciò comporta ulteriori costi per l'ente nonché disagio per gli studenti. Inoltre non vi sono termini certi di definizione della procedura;
tale stato di incertezza desta preoccupazioni in merito al futuro del complesso scolastico «Marchesi» perciò nell'aprile 2015 si è formato il «Comitato per la costruzione del nuovo Buonarroti» costituito da insegnanti, alunni e genitori che hanno portato avanti anche una raccolta firme consegnata al presidente della regione Toscana;
attualmente il progetto di fattibilità prevede un costo di circa 24 milioni di euro che rientra nella cifra prevista per la provincia di Pisa dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui sopra –:
se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere per favorire la realizzazione del progetto di cui in premessa. (5-08702)
Interrogazioni a risposta scritta:
BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
fonti di stampa hanno informato circa i danni economici subiti dal Paese a causa di fenomeni criminosi che avvengono in ambito lavorativo;
emergono dati poco incoraggianti: dalla corruzione dipende una perdita collettiva pari a 65 miliardi di euro annui, le contraffazioni di prodotti sono aumentate del 128 per cento. La contraffazione del solo settore agroalimentari è pari al 16 per cento del totale;
l'ammontare del giro di affari delle agromafie e del caporalato è pari a una cifra compresa tra i 14 e i 17 miliardi di euro, principalmente attribuibile alla gestione del mercato del lavoro nero, all'attività illecita di import-export di prodotti alimentari, a frodi ai danni dell'Unione europea, al riciclaggio ed estorsione, all'infiltrazioni di associazioni malavitose nei mercati ortofrutticoli, alla pesca di frodo, all'infiltrazione nel settore delle energie rinnovabili legate alle attività agricole;
nel Paese sono stati individuati 80 epicentri del fenomeno del caporalato e i lavoratori vittime di questo abuso si aggirano tra i 400.000 e i 430.000, di cui ben 100.000 vivono in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità;
l'economia non osservata produce volumi di affari pari a circa 290 miliardi di euro annui, di cui 5 provenienti dal settore dell'agricoltura sommersa;
i lavoratori con impiego irregolare si aggirano attorno ad una cifra compresa tra i 3 e i 4 milioni, cagionando un danno economico pari a 35 miliardi di euro, mentre nel solo settore agricolo i lavoratori irregolari sono oltre 400.000;
dalle ispezioni condotte dalle autorità competenti nel 2015 sono emersi 713 episodi di caporalato. I lavoratori sottoposti al caporale non hanno tutele e diritti garantiti dal contratto e dalla legge, percepiscono un reddito pari alla metà di quello di un lavoratore in regola con le disposizioni normative, cosicché la paga media varia tra i 22 euro e i 30 euro quotidiani;
si ricorda che il 60 per cento di essi non ha accesso ad acqua o a servizi igienici e deve pagare al caporale il trasporto sul luogo di lavoro e i beni di prima necessità, circa 10 euro giornalieri a lavoratore;
quali iniziative gravi e urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per dare soluzione ai fatti narrati in premessa. (4-13219)
SCOTTO, FASSINA e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il 15 febbraio 2013, Renata Polverini, allora presidente della regione Lazio, firma la delibera per l'adozione del programma integrato di intervento e riqualificazione urbanistica della località «Divino Amore», in variante al piano regolatore del comune di Marino, proposto dalla società Eco Village srl, e già adottato dalla stessa amministrazione comunale pochi mesi prima;
l'urbanizzazione dell'area «Divino Amore» viene decisa dal comune di Marino nel 2011: cinquanta ettari confinanti con il parco dell'Appia Antica per un giro di affari di oltre un miliardo di euro;
il comune di Marino non è nuovo a iniziative di cementificazione selvaggia. Già per l'area di Santa Maria delle Mole, in assenza delle «misure di salvaguardia» al piano regolatore, a partire dagli anni 2000, vengono rilasciate concessioni edilizie innalzando al massimo gli indici di fabbricabilità fondiaria. Quando finalmente il comune decide di annullare le concessioni edilizie, diversi costruttori presentano ricorso al Tribunale amministrativo regionale e lo vincono;
nell'aprile del 2011 il presidente della regione Lazio, Renata Polverini, e il sindaco di Marino, Adriano Palozzi, firmano un protocollo d'intesa in cui si prende atto della situazione di «congestione» edilizia di Santa Maria delle Mole e della necessità di una sua riqualificazione. Come diretta conseguenza del protocollo d'intesa, nel 2011, il Comune approva provvedimenti per l'urbanizzazione di aree limitrofe a Santa Maria delle Mole, tra i quali il citato «Programma integrato» relativo all'area del «Divino Amore»;
la società promotrice del programma di sviluppo integrato e urbanizzazione del «Divino Amore» risulta essere la Eco Village Srl, che fa capo, tra gli altri, alla Parsitalia del costruttore romano Luca Parnasi. La società, al momento della firma della delibera regionale (febbraio 2013), non risultava essere proprietaria dei terreni da urbanizzare nell'area in oggetto, con conseguente situazione di assoluto rischio di insolvenza;
la EcoVillage srl si è presentata alla firma della convenzione presso il comune di Marino, registrata all'Agenzia delle entrate il 31 luglio del 2013, con un'altra società: la Eco Village Tre. Per entrambe, l'amministratore risultava essere lo stesso. Si rileva che la EcoVillage Tre non è mai stata legittimata a sottoscrivere atti negoziali di natura edilizia o urbanistica in quanto estranea alle iniziative che hanno determinato l'adozione da parte della regione Lazio del «Programma per lo sviluppo integrato»;
anche della Eco Village Tre, nel tempo, si sono perse le tracce. Oggi nell'operazione è coinvolta la società Idea Fimit, partecipata al 29 per cento dall'INPS-Istituto nazionale di previdenza sociale, che avrebbe acquistato l'intera area;
da articoli di stampa risalenti a dicembre 2013 si apprende che il coinvolgimento dell'INPS nell'operazione «Eco Village» era stato caldeggiato, già nel 2013, dall'allora presidente dell'ente Antonio Mastrapasqua, attraverso la permuta di un palazzo di proprietà dell'INPS in via Pianciani a Roma, con una quota del progetto EcoVillage. Perplessità sull'affare furono manifestate da altri vertici dell'Istituto che parlarono di «elevati profili di rischio» dell'intera operazione;
oggi, il coinvolgimento dell'INPS attraverso Idea Fimit nell'affare di urbanizzazione del «Divino Amore» risulta praticamente certo (vedi sito ufficiale della società). È IdeaFimit, infatti, che ha dato inizio ai lavori di bonifica dei terreni nel marzo 2016. La ditta appaltatrice è, a quanto risulta agli interroganti, la Parsitalia Generale Contractor srl;
al momento pendono davanti al tribunale amministrativo del Lazio diversi ricorsi per la sospensione in via cautelare di ogni attività urbanistica ed edilizia nell'area «Divino Amore». Ai ricorsi dei comitati dei cittadini – Argine Divino Amore – e di alcune associazioni ambientaliste, si è aggiunto quello della Città metropolitana di Roma Capitale;
tale operazione immobiliare interessa un'area di alto pregio e interesse paesaggistico confinante con il parco dell'Appia Antica e meriterebbe altresì l'attenzione e la vigilanza delle strutture del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
per quale motivo l'INPS partecipi a questa discutibile operazione immobiliare, non risultando tale partecipazione tra i compiti istituzionali dell'ente previdenziale, e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere il Ministro interrogato al riguardo. (4-13222)
CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il Comitato del Senato per le questioni degli italiani all'estero (CQIE) ha concluso l'indagine conoscitiva sui patronati che operano all'estero ed ha approvato all'unanimità un documento conclusivo il 23 marzo 2016;
l'indagine del comitato si è occupata, altresì, della truffa perpetrata dal patronato Istituto nazionale confederale di assistenza (Inca) con sede a Zurigo nei confronti e a danno di parecchi pensionati italiani residenti in Svizzera, organizzati ora nel Comitato difesa famiglie;
il Ministro interrogato, nella risposta fornita al Comitato per le questioni degli italiani all'estero relativamente a detta truffa, rendeva noto che «Per quanto concerne le problematiche relative all'Inca Svizzera, è opportuno premettere la sussistenza della competenza del giudice elvetico. (...) Inoltre, a seguito delle segnalazioni pervenute circa i presunti illeciti posti in essere, presso la sede Inca di Zurigo, dal Responsabile Signor Antonio Giacchetta, è stata effettuata, in data 11 novembre 2009, un'ispezione straordinaria al fine di verificare la fondatezza di quanto portato a conoscenza di questa amministrazione. (...). Dalle risultanze ispettive, tuttavia, non sono emerse gravi irregolarità amministrative o violazioni dei compiti istituzionali tali da determinare l'adozione delle misure di cui all'articolo 16 “Commissariamento e scioglimento” della legge n. 152 del 2001»;
a dispetto ed al contrario di quanto sostenuto dal Ministro interrogato, invece, anche successivamente all'ispezione straordinaria in parola, le truffe presso l'Inca Svizzera proseguirono, poiché gli ispettori inviati all'uopo dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vennero muniti nei fatti unicamente del mandato di verifica della attività di statisticazione delle pratiche svolte, ma non di quella amministrativo-contabile, di competenza esclusiva della Guardia di Finanza;
a giudizio dell'interrogante occorre rilevare che il Ministro interrogato sembrerebbe disconoscere che il proprio dicastero ha facoltà di accertamento di eventuali irregolarità amministrativo-contabili, con l'esecuzione di interventi mirati, anche se unicamente sulla sede nazionale del patronato e non sull'associazione estera convenzionata;
l'unico organismo preposto a fornire risposte sull'attività amministrativo-contabile delle associazioni estere convenzionate, è la presidenza nazionale dell'istituto di patronato con sede sul territorio italiano;
il Ministro interrogato, nel prosieguo della risposta fornita al Comitato in questione del Senato, aggiunge che «Certamente agli Istituti di patronato, quali soggetti di diritto privato, è demandata la funzione primaria di controllo sulla attività svolta dai propri dipendenti, come previsto dalla normativa. Su questa materia il Ministero può farsi parte diligente anche per stilare linee guida che contengano le istanze principali che i Patronati stessi intendono assumere nei propri testi comportamentali codificati. In ogni caso eventuali condotte illecite non possono che essere oggetto di valutazione alla luce delle norme penali vigenti nello Stato italiano o, se poste in essere all'estero, dello Stato in cui la violazione è commessa. Per quanto concerne l'Inca, come già riferito, la vicenda è attualmente oggetto di specifica indagine da parte della magistratura elvetica. Al momento l'accesso agli atti che fanno parte dell'istruttoria svizzera non è consentita ai funzionari ministeriali. L'Istituto ha comunque deciso di continuare a svolgere la propria attività in Svizzera al fine di garantire il patrocinio ai propri assistiti e non affievolire la tutela dei lavoratori»;
anche in riferimento a questo particolare aspetto della vicenda, il Ministro interrogato sembrerebbe disconoscere che la procedura giudiziaria è conclusa da tempo in Svizzera, con la condanna dell'Inca al risarcimento dei danni, così come disposto dal tribunale federale elvetico, in ultima istanza, nel giugno 2013;
il patronato Inca, tuttavia, sceglie la procedura del fallimento, per non indennizzare i propri assistiti – gravemente danneggiati e truffati – chiudendo poi gli uffici dell'associazione convenzionata con l'Inca sul territorio elvetico, per riaprirli subito dopo sotto altre sigle;
pertanto, come certifica il Ministro interrogato nella propria risposta al CQIE, l'Inca continua ad essere presente in Svizzera, svolgendo la propria attività, tuttavia sotto altra veste, ovvero sigla, e continuando a percepire il finanziamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, come se nulla fosse accaduto;
come evidenzia il documento finale approvato dal CQIE, i patronati operano all'estero per il tramite di associazioni locali, con le quali stipulano convenzioni ad hoc che, tuttavia, rappresentano solo una finzione giuridica, poiché i poteri sono saldamente rinchiusi nelle mani dei patronati nazionali. Infatti, i mandati sono intestati al patronato nazionale, la statistica presentata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali è intestata alla sede romana del patronato, e il finanziamento del dicastero predetto avviene tramite la sede nazionale, la quale poi, oltre a introitare le risorse economiche, provvede a distribuirle come crede;
in merito, lo stesso Comitato per le questioni degli italiani all'estero, nella sua relazione conclusiva, precisa: «Sul piano formale i patronati all'estero operano come associazioni a legislazione locale, pertanto sebbene disciplinate dalla norma locale, sono ulteriormente e principalmente coordinate e condizionate da specifiche convenzioni tra le sedi nazionali e le associazioni stesse. Le convenzioni disciplinano e impongono alle associazioni estere obblighi di comportamento ed inoltre disciplinano le modalità organizzative e di modus di statisticazione delle pratiche di qualsiasi natura e attinenti a qualsiasi tipologia di intervento. Malgrado le condizioni delle associazioni sul piano giuridico siano quelle di associazioni libere locali, le sedi nazionali dei patronati utilizzano una gestione diretta sia sul piano operativo che organizzativo»;
se la situazione verificatasi in Svizzera presso il patronato Inca fosse avvenuta sul territorio nazionale, i responsabili, oltre alle conseguenze civili e penali, sarebbero incorsi nella pena accessoria del commissariamento del patronato, in applicazione della legge n. 152 del 2001;
nonostante l'accertamento di siffatti gravi irregolarità ed illeciti, come confermati peraltro dallo stesso Ministro interrogato, il CQIE ha approvato un documento finale, nel quale non si fa cenno alcuno – quale conclusione dovuta dell'indagine eseguita – a successivi passi volti all'acquisizione delle effettive responsabilità. Tali conclusioni mostrano, a giudizio dell'interrogante, un limite palese, se non si porranno lo scopo di individuare responsabilità civili e penali grazie alla consegna dei documenti acquisiti alle Autorità giudiziarie, alla Guardia di Finanza e alla Ragioneria dello Stato. In assenza dei passi successivi e conseguenti, il lavoro svolto sarà assolutamente privo di effetti a giudizio dell'interrogante;
il Comitato di difesa delle famiglie danneggiate in ordine a diversi milioni di euro nella ben nota questione svizzera, ha chiesto da mesi che vengano accertate le responsabilità, se ve ne sono, dei vertici nazionali dell'Inca Cgil e che, conseguentemente continui l'attività di accertamento delle responsabilità in essere;
gli italiani residenti in Svizzera e truffati dall'Inca Cgil di Zurigo hanno dovuto subire anche la beffa di vedere riaprire le sedi Inca, dopo nemmeno un anno di inattività. Sul sito del patronato sono indicati cinque uffici: Basilea, Berna, Bellinzona, Ginevra e Neuchatel. Per tornare a operare, al patronato Cgil è stato sufficiente costituire una nuova società: «Patronati insieme»;
il processo penale svizzero non è ancora entrato in fase dibattimentale, mentre Giacchetta è già a piede libero e ha pure trovato un nuovo lavoro, e i pensionati truffati ancora aspettano di capire chi gli restituirà le loro pensioni;
i pensionati e interrogante, forti delle sentenze della giustizia civile elvetica, ritengono che la Cgil dovrebbe rispondere per l'operato del suo dipendente infedele;
a giudizio dell'interrogante e del Comitato di difesa delle famiglie danneggiate, non deve assolutamente accadere che l'indagine conoscitiva del CQIE sull'operato dei patronati all'estero, condotta con grande equilibrio e sensibilità, cada nell'oblio e si traduca alla fine, come già paventato da uno dei responsabili delle strutture di patronato, in «un topolino partorito da una montagna» –:
quali iniziative di competenza abbia adottato o intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche sollevate dal documento approvato dal Comitato del Senato per le questioni degli italiani all'estero il 23 marzo 2016.
(4-13226)
DIENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in data 29 ottobre 2015 la giunta comunale di Rende (Cosenza) approvava la delibera n. 220 avente ad oggetto «Approvazione progetti per l'attuazione di lavori socialmente utili, mediante l'utilizzo di lavoratori in mobilità – Legge 223/91 con indennità o in cassa integrazione, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 468 del 1997»;
con il suddetto atto, la giunta delibera «di avvalersi [...] dei benefici di cui alla normativa vigente in materia di lavori socialmente utili con particolare riguardo al decreto legislativo n. 468 del 1997 e successive modificazioni, per l'attuazione dei progetti evidenziati negli allegati [...];
per portare a termine tali progetti si delibera altresì «l'utilizzo complessivo di n. 40 lavoratori in C.I.G. a zero ore e/o in lista di mobilità fino al 31 dicembre 2015 con possibilità di proroga e comunque non oltre la scadenza del periodo di mobilità»;
il suddetto personale, utilizzato per 20 ore settimanali, è da individuarsi, secondo la delibera, «sulla base dei nominativi comunicati dal Centro per l'Impiego di Cosenza»;
il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 all'articolo 26, comma 12 recita: «Gli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, si applicano ai soli progetti di attività e lavori socialmente utili che hanno avuto inizio prima della data di adozione della convenzione quadro di cui al comma 2», che faceva riferimento alla convenzione predisposta dall'Anpal;
questo comma è stato modificato dall'articolo 1-bis comma 1, del decreto-legge 1o ottobre 2015, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2015, n. 189, ed è specificato che «gli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, si applicano ai soli progetti di attività e lavori socialmente utili in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
dubbi interpretativi in merito hanno portato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a emanare il 22 ottobre 2015 una circolare sul punto;
la suddetta precisa che «si ritiene che i progetti di attività in parola siano quelli per cui l'atto di approvazione del progetto di utilizzo di lavoratori socialmente utili abbia una data antecedente al 24 settembre 2015»;
essa aggiunge inoltre che «laddove l'atto di approvazione del progetto (sempre antecedente al 24 settembre 2015) contenga, ab origine, la possibilità di prorogare l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili nell'ambito del medesimo progetto, tale proroga sarà ammissibile, nei limiti temporali previsti dal suddetto atto» –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, relativamente all'articolo 26, comma 12, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, modificato dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge 1o ottobre 2015, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2015, n. 189, e se risultino nuove disposizioni interpretative dissimili da quella espressa del Ministero del lavoro delle politiche sociali, Direzione Generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione, con circolare del 22 ottobre 2015, tali da far considerare ammissibile l'utilizzo di lavoratori per progetti deliberati in data successiva al 24 settembre 2015, come nel caso esposto in premessa relativo alla delibera della giunta comunale di Rende (Cosenza) n. 220 del 29 ottobre 2015. (4-13228)
SALUTE
Interrogazioni a risposta immediata:
GIGLI e SBERNA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
recenti fatti di cronaca, culminati con l'arresto del professor Severino Antinori e di alcuni suoi collaboratori, stanno gettando nuova, inquietante, luce sulle vicende riguardanti la donazione di ovociti a fini di fecondazione eterologa;
secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica del 16 maggio 2016, i personaggi interessati, già ampiamente noti nel panorama italiano di quello che agli interroganti appare «far west» della procreazione medicalmente assistita, soprattutto in epoca antecedente la legge 40 del 2004, attribuiscono la condotta per la quale sono stati disposti gli arresti alla volontà «altruistica» di «aiutare le donne ad avere figli»;
in particolare, risulta, dal citato articolo, che la signora Barbara Bella, considerata «la reclutatrice» della clinica Matris, ha riferito ai giornalisti di essersi impegnata a reclutare «donatrici di ovuli» per l'eterologa, per «spirito di solidarietà verso il prossimo, verso altre donne», che non riuscivano ad avere figli;
ne risulta che, al di là del caso di violenza che ha condotto agli arresti, sembra esistere un largo giro per la commercializzazione di ovociti per la cui «donazione» veniva corrisposto un «rimborso economico» di 1000 euro;
la cifra indicata è significativamente la stessa di quella che numerose cliniche spagnole, ampiamente pubblicizzate su internet, corrispondono alle cosiddette «donatrici» in cambio di prelievi di ovociti successivamente acquistati da alcune regioni italiane, tra cui il Friuli Venezia Giulia;
come è noto, e come riportato anche dalle cronache di questi giorni, le giovani «donatrici» da sottoporre al prelievo di ovociti sono preparate da pesanti stimolazioni ormonali che possono produrre conseguenze negative per la salute, al punto tale che, stando ai racconti della stessa clinica Matris, a nessuna giovane venivano eseguiti più di due cicli di stimolazione all'anno;
oltre ai rischi della stimolazione ormonale, vi sono evidentemente anche quelli legati all'anestesia ed all'intervento in laparoscopia, come esemplificato dallo stesso caso sopra ricordato;
è questo il motivo a giudizio degli interroganti per il quale nessuna donna di buonsenso, a meno che non si tratti di persone legate da rapporti di parentela o di affettività molto stretti, è disponibile a sottoporsi ai cicli di stimolazione e ai prelievi, risultandone una evidente insufficienza di ovociti rispetto alla domanda interna di accesso alla fecondazione eterologa;
a tale carenza si può rispondere incoraggiando l'adozione, anche attraverso la semplificazione delle procedure per l'adozione internazionale, oppure facendo come hanno fatto il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, cioè ricorrendo all'acquisto all'estero di ovociti forniti da presunte «donatrici», rispetto alle quali evidentemente a giudizio degli interroganti si fa finta di credere che vi sia abbondanza all'estero, chiudendo gli occhi di fronte al mercato che anche in Spagna o nella Repubblica ceca ruota attorno alla commercializzazione di parti del corpo umano –:
quali verifiche intenda compiere il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, per accertare le modalità con cui, nei Paesi con i quali sono in corso intese con le autorità sanitarie regionali, risulti possibile spacciare per «rimborsi» quelli che ad avviso degli interroganti il caso Antinori ha evidenziato essere «compensi» a donne in condizioni di bisogno, indagando, in particolare, attraverso i Nas sulla provenienza dei gameti da parte di tutte le strutture di riproduzione assistita sia pubbliche sia, soprattutto, private.
(3-02262)
MONCHIERO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
domenica 15 maggio 2016 si è concluso il procedimento elettorale della Croce rossa italiana e i presidenti dei comitati di tutta Italia, ad ogni livello, hanno votato a Roma la conferma del presidente nazionale e l'elezione dei membri del consiglio direttivo;
il presidente Francesco Rocca ha dichiarato che: «Con questo ultimo atto, abbiamo portato a termine la riforma della Croce rossa italiana: un percorso di riordino che ha messo i volontari al centro del processo decisionale, senza più alcuna ingerenza dall'esterno»;
si tratta, a parere dell'interrogante, di un giudizio decisamente ottimistico, dal momento che, il riordino della Croce rossa italiana, avviato con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, è tutt'altro che concluso, anzi la riconferma del presidente suona come inaccettabile avallo di una situazione che all'opinione pubblica e agli operatori del settore appare decisamente critica;
il presidente, infatti, è anche direttore generale dell'Istituto dermatologico italiano, che ha attraversato gravissime difficoltà e la cui gestione, decisamente impegnativa, appare ad avviso dell'interrogante di fatto incompatibile con la presidenza della Croce rossa che non può essere assimilata ad una «sine cura»;
il processo di privatizzazione attraversa oggi, un periodo transitorio – che dovrebbe durare dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 – nel quale opera un ente strumentale che mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico, con la finalità di concorrere all'avviamento dell'associazione Aps nazionale Cri ed alla liquidazione della «vecchia» Croce rossa italiana ente pubblico;
per effetto delle proroghe disposte dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dall'articolo 7, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», la privatizzazione dell'ente è stata rinviata con il risultato di aggravare le difficoltà economiche e di lasciare irrisolte le problematiche, numerose e complesse, relative alla gestione del personale;
il mantenimento della «doppia natura» – ente pubblico ed associazione privata – consente alla Croce rossa italiana nel periodo transitorio, di ottenere affidamenti di servizi per poi subappaltarli alle sezioni provinciali, e le cronache hanno riferito di soluzioni piuttosto ardite nella gestione dei rapporti con il personale. Tutto ciò a scapito dell'operatività della Croce rossa italiana e della situazione lavorativa degli oltre 4.000 dipendenti a tempo indeterminato e determinato, il cui destino, a tutt'oggi, è tristemente incerto;
a parere dell'interrogante, il presidente della Croce rossa italiana in carica dal 2013, non ha contribuito ad accelerare il processo di riordino della Croce rossa, rimasto ancora incompiuto, né a tutelare adeguatamente il personale ed il Governo dovrebbe conseguentemente intervenire, assumendo, attraverso una gestione commissariale, una più diretta responsabilità nella conduzione del processo in atto –:
se non ritenga necessario mettere in atto tutte le iniziative di competenza volte ad accelerare o interrompere il processo di privatizzazione dell'ente, valutando, in ogni caso, l'opportunità di procedere al suo commissariamento come primo passo indispensabile per sostenere ogni ipotesi di cambiamento. (3-02263)
LENZI, CAPONE, CARNEVALI, PIAZZONI, PAOLA BOLDRINI, PICCIONE, GRASSI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
l'articolo 1 della legge n. 189 del 2012 e il Patto per la salute 2014-2016 propongono una configurazione strutturale dell'assistenza primaria e delle funzioni del medico in rapporto di convenzionamento con il Servizio sanitario nazionale finalizzate ad una diversa organizzazione del sistema sanitario territoriale, in un contesto di appropriatezza, qualificazione ed omogeneità dei servizi resi al cittadino, sostenibilità economica ed integrazione delle diverse attività professionali sanitarie;
l'attuazione di tali moduli comporta la revisione e riorganizzazione dei processi assistenziali e di accesso alle prestazioni mediante il coordinamento dell'attività dei medici convenzionati e degli altri professionisti sanitari, anche con il supporto e lo sviluppo di strumenti informatici e telematici, salvaguardando la diffusione capillare degli studi medici ed il rapporto di fiducia medico-paziente in un contesto nel quale devono essere assicurati gli obiettivi di salute definiti dalla regione in coerenza con gli indicatori epidemiologici delle aziende territorialmente competenti;
il documento integrativo dell'atto di indirizzo per la medicina convenzionata deliberato in data 12 febbraio 2014 e approvato dalle regioni il 13 aprile 2016 prevede una nuova aggregazione funzionale territoriale dei medici di cure primarie ed i pediatri di libera scelta, affinché questi «assicurino l'accessibilità di tutti gli assistiti articolando l'apertura degli studi dalle 8,00 alle 20,00, dei giorni feriali dal lunedì al venerdì. I medici di cure primarie a rapporto orario, nell'ambito dell'organizzazione distrettuale assicurano prioritariamente la loro attività tutti i giorni dalle ore 20,00 alle ore 24,00 e nei giorni di sabato e festivi dalle ore 8,00 alle ore 20,00, al fine di realizzare pienamente la continuità dell'assistenza in favore di tutta la popolazione e per garantire ai cittadini un riferimento preciso cui rivolgersi quando lo studio del proprio medico è chiuso. Nella successiva fascia oraria l'assistenza è assicurata dal servizio di emergenza urgenza-118»;
con questa nuova organizzazione si avranno grandi gruppi di medici di famiglia che lavoreranno insieme, talvolta proprio nella stessa sede (avviene già in 800 strutture), per essere in grado di dare assistenza continua per 16 ore ai cittadini;
nel contempo, però, la cancellazione della guardia medica notturna scarica direttamente sui pronti soccorsi e sul 118 l'assistenza sanitaria notturna che invece di occuparsi solo delle emergenze/urgenze saranno impegnati a far fronte anche a codici bianchi;
questa nuova organizzazione pone a rischio, in particolare, l'assistenza notturna nelle zone rurali, nei piccoli comuni senza ospedali e nelle isole, dove la guardia medica rappresenta un importante presidio di sanità pubblica, attraverso il quale il cittadino può avere anche una consulenza telefonica o assistenza domiciliare direttamente con un medico;
non tutti i sindacati medici approvano questa nuova organizzazione, asserendo che così si danneggia la qualità dell'assistenza ai cittadini e il lavoro dei medici; sostengono, altresì, l'uso improprio del 118 in quella fascia oraria che non si occuperebbe più solo dell'emergenza e urgenza, servizio che oltretutto ha organici sottodimensionati. Si tenga conto che sono circa oltre 3 milioni di interventi l'anno della guardia medica;
secondo i sindacati medici di Cgil, Cisl e Uil «Se tale progetto dovesse essere attuato, i medici del 118 dovrebbero occuparsi anche di febbre, mal di pancia, mal di schiena, con il rischio di lasciare scoperto quel paziente a cui il 118 può salvare la vita. Inoltre per qualunque malore notturno il cittadino rischia di andare al pronto soccorso»;
le stesse organizzazioni sindacali hanno organizzato l'11 maggio 2016, davanti alla Camera dei deputati, una manifestazione contro il «nuovo» atto d'indirizzo per il rinnovo delle convenzioni dei medici di famiglia per difendere l'assistenza notturna delle guardie mediche a tutela della salute dei cittadini –:
quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione alla nuova organizzazione delineata in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per garantire che questa nuova organizzazione della medicina territoriale non sia lesiva del diritto alla salute dei cittadini per quanto attiene alla assistenza notturna e come si intenda sostenere, sul piano delle risorse umane e finanziarie, i pronto soccorso e i servizi di 118 a svolgere ulteriori funzioni.
(3-02264)
Interrogazione a risposta in Commissione:
BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
nel decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 contenente il «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi concernenti l'assistenza ospedaliera relativo ai nuovi standard ospedalieri», sono assenti le cure palliative tra i servizi che devono essere garantiti ai pazienti in ospedale;
in questo modo si rischia di mettere in discussione il principio della continuità d'assistenza così come previsto dalla legge n. 38 del 2010 e dalle successive modalità attuative, che ha disciplinato la rete nazionale per le cure palliative e per la terapia del dolore, indicata come modello nel corso del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea;
a seguito di provvedimenti posti in atto in molte regioni, che hanno causato diminuzioni di spesa per il contenimento dei costi da parte delle strutture ospedaliere e la conseguente riduzione di servizi sanitari pubblici – mediante l'accorpamento fra strutture diverse (riorganizzazione sanitaria) –, saranno prese decisioni organizzative fondamentali riguardanti le cure palliative che non potranno non tenere in conto quanto prescritto dal regolamento riguardante gli standard ospedalieri al fine di evitare il rischio grave e concreto che migliaia di malati inguaribili non possano più ricevere, o vedano ridursi ogni anno, l'adeguata assistenza specialistica garantita in larga parte proprio da équipe ospedaliere di cure palliative;
si rammenta che è stata depositata dall'interrogante una risoluzione in commissione affari sociali della Camera finalizzata ad apportare le opportune modifiche al «Regolamento degli standard ospedalieri» – di cui al decreto 2 aprile 2015, affinché si ottemperi al dettato normativo della legge n. 38 del 2010 e a quanto stabilito nell'Intesa della Conferenza Stato-regioni n. 151 del 25 luglio 2012, adottata ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, relativa alla proposta del Ministro della salute, di cui all'articolo 5 della legge 15 marzo 2010, n. 38, di definizione dei requisiti minimi e delle modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore, così come espressamente previsto nel regolamento stesso –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
se ritenga urgente e necessario adottare una modifica al «Regolamento degli standard ospedalieri» – contenuto nel decreto 2 aprile 2015, n. 70, affinché si ottemperi realmente a quanto previsto nella legge n. 38 del 2010 e a quanto deciso nella successiva conferenza Stato-regioni n. 151 del 25 luglio 2012 al fine di includere nelle tabelle delle discipline ospedaliere «allegate ai nuovi standard» l'erogazione «Cure Palliative» negli ospedali;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per integrare gli attuali codici ospedalieri prevedendo un ulteriore codice specifico dedicato alle prestazioni di cure palliative che distinguano le differenti prestazioni, rendicontate come prestazioni generiche. (5-08701)
Interrogazione a risposta scritta:
MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
è fondamentale garantire la continuità assistenziale e le prestazioni assistenziali per i cittadini del nostro Paese e offrire servizi sanitari adeguati;
è necessario, altresì, assicurare il potenziamento della guardia medica, soprattutto nelle ore dalle 20 alle 24 in cui vi è un grande ricorso al servizio di pronto soccorso che finisce per essere «intasato»;
è, pertanto, opportuno favorire, in accordo con la categoria dei medici di medicina generale, una organizzazione dei servizi più capillare in modo da soddisfare le richieste dei cittadini;
in particolare il miglioramento del servizio di guardia medica dovrebbe essere realizzato in quei comuni che non hanno ospedali;
il potenziamento dei servizi di guardia medica dovrebbe essere realizzato soprattutto nei comuni della provincia di Ragusa come Pozzallo, Ispica, Acate, Monterosso Almo, Giarratana, Santa Croce Camerina, Chiaramonte Gulfi dove non ci sono presidi ospedalieri –:
quali iniziative intenda adottare al fine di potenziare i servizi di guardia medica, soprattutto in zone dove non ci sono presidi ospedalieri, al fine di assicurare la continuità delle prestazioni assistenziali ai cittadini. (4-13221)
SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Interrogazione a risposta immediata:
RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
una recente ricerca condotta da Eurispes e UIL-PA ha messo in luce come non sia vero che in Italia vi sia un numero troppo elevato di dipendenti pubblici, ma che, anzi, in Europa ci sono Paesi che ne hanno un numero molto più alto;
dagli elementi raccolti nel corso della ricerca risulta che in Italia nello scorso decennio i dipendenti pubblici sono diminuiti di quasi il cinque per cento, in netta controtendenza rispetto agli altri Stati europei, dove gli addetti nel pubblico impiego sono perlopiù cresciuti, con aumenti addirittura intorno al trenta per cento in Irlanda e in Spagna, del dieci per cento in Gran Bretagna e Belgio, e quelli più contenuti comunque registrati in Germania, Francia e Paesi Bassi;
in Italia la spesa per il pubblico impiego pesa per l'11,1 per cento del prodotto interno lordo, pari a una spesa perfettamente in linea con la media europea, e anche con riferimento al numero di impiegati della pubblica amministrazione rispetto alla popolazione, l'Italia appare essere posizionata ai posti più bassi della classifica con 58 impiegati ogni mille abitanti, vicina solo alla Germania che ne ha 54, mentre la Spagna ne ha 65, la Francia 94, il Regno Unito 92, e la Svezia addirittura 135;
in molti Stati europei, inoltre, negli ultimi anni le retribuzioni nel comparto pubblico sono aumentate, secondo un orientamento del Governo che ha voluto privilegiare l'impulso positivo al prodotto interno lordo che attraverso tali aumenti poteva essere realizzato;
in Italia, invece, in seguito ai blocchi retributivi e assunzionali introdotti dal 2010 in avanti, i salari sono addirittura diminuiti di un punto percentuale a causa dell'irrigidimento dei vincoli sulla contrattazione integrativa e del blocco delle progressioni economiche e di carriera e delle retribuzioni accessorie, nonché a causa della sospensione dei rinnovi contrattuali, fermi da ben sei anni;
i casi di assenteismo nella pubblica amministrazione devono essere accertati e perseguiti con la massima severità, ma, al contempo, vanno reintrodotti meccanismi premiali per quei dipendenti che svolgono il proprio dovere con diligenza e dedizione;
i dipendenti del comparto pubblico svolgono un servizio essenziale per la collettività ed è necessario che tale funzione sia preservata –:
quali iniziative intenda assumere per garantire il buon funzionamento della pubblica amministrazione attraverso la tutela e la valorizzazione dei suoi dipendenti meritevoli. (3-02261)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:
BENAMATI, ZANIN, RUBINATO e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, commi 199-202, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), ha istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un fondo, a partire dal 1o gennaio 2016, con una dotazione di 10 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018, avente come finalità il sostegno alle piccole e medie imprese che entrano in crisi a causa della mancata corresponsione di denaro da parte di altre aziende debitrici, il cosiddetto «Fondo Serenella»;
il «Fondo Serenella» è ispirato alla vicenda di Serenella Antoniazzi, imprenditrice di Concordia Sagittaria (VE) e titolare di una piccola impresa artigiana in gravi difficoltà a causa dell'insolvenza da parte del proprio committente principale, verso il quale vantava crediti per oltre 300.000 euro di lavori eseguiti e mai pagati;
la ratio legis sottesa a tale intervento legislativo è quella di sostenere finanziariamente aziende sostanzialmente sane, messe in serie difficoltà, se non a rischio di sopravvivenza, dalle aziende clienti, che spesso intraprendono un percorso di concordato o fallimento pilotato per eliminare i propri debiti, con conseguenze dirette sui fornitori, i quali, nonostante abbiano fatto fronte alle commesse, si ritrovano con crediti non saldati e mancanza di liquidità tali da non permettere loro di ottemperare ai propri obblighi, in primis nei confronti dei propri dipendenti;
la normativa infatti dispone che possano beneficiare del Fondo in oggetto quelle piccole e medie imprese che risultino «parti offese» in procedimenti penali già in corso al 1o gennaio 2016 per i reati di truffa, estorsione, insolvenza fraudolenta o false comunicazioni sociali, con eventuale restituzione dei finanziamenti in caso di assoluzione dei committenti;
il comma 201 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 dispone che, per l'attuazione del fondo, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, emani appositi decreti in cui sono determinati, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di aiuti di Stato, i limiti, i criteri e le modalità per la concessione dei finanziamenti agevolati da parte dello Stato, senza però prevedere alcun termine;
a quanto è dato sapere agli interroganti, ad oggi ancora non sono stai emanati i citati decreti attuativi –:
quale sia lo stato di avanzamento dei decreti attuativi di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e se i Ministri interrogati, per l'effettiva attuazione degli intendimenti individuati dal «Fondo Serenella», non ritengano di valutare l'attuazione di interventi di blocco atti a garantire la tenuta delle aziende in stato di necessità, a causa di mancanza di liquidità determinata dall'accesso alle procedure concorsuali delle aziende committenti nel caso di denuncia-querela non archiviata per i reati di cui all'articolo 1, comma 200, della legge di stabilità 2016. (5-08692)
GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'Elettrocarbonium è una storica fabbrica narnese, fondata alla fine dell'800, ed è l'unica in Italia capace di produrre elettrodi in grafite di alta qualità, elemento essenziale dei forni elettrici per realizzare acciaio. La fabbrica è stata di proprietà della Siemens ed è diventata Sgl Carbon nel 1992. L'organico è composto da 110 dipendenti, vende i suoi elettrodi soprattutto nei Paesi del bacino Mediterraneo e fino al 2013 fatturava circa 75 milioni di euro. È il secondo stabilimento al mondo per basso indice di difettosità del prodotto;
a febbraio 2014 la multinazionale Sgl Carbon chiude lo stabilimento di Narri Scalo e gli uffici amministrativi di Lainate ad esso collegati in attuazione di un programma «di contenimento dei costi». «La decisione del Gruppo non è in alcun modo legata alla qualità del personale italiano o del prodotto, entrambe eccellenti da molti anni — ha detto Mauro Montani, allora amministratore delegato di Sgl Carbon Spa — bensì su altri, cruciali fattori, quali i costi totali di produzione e l'utilizzo della capacità produttiva attuale e futura»;
a gennaio 2015 la fabbrica viene acquisita in comodato d'uso dall'azienda Morex di Michele Monachino, specializzata nel campo della logistica, che la ribattezza Elettrocarbonium: tecnicamente il sito industriale di Narri Scalo è passato alla società controllata M2I di Bari facente capo allo stesso Monachino;
a febbraio 2015 viene presentato ufficialmente il piano industriale della M2I, che porta anche la firma dell'economista Nicola Rossi, che prevede che la produzione di elettrodi possa ripartire da luglio 2015 con il rientro in fabbrica di 50 operai. Il piano, che indica Narri 2, la parte dello stabilimento risalente agli anni ’80, quale sede dell'attività core, ovvero la produzione degli elettrodi, prevede altresì, a metà 2016, l'assorbimento pieno dei dipendenti e un fatturato a quota 36 milioni. A tal fine Morex investe 8,5 milioni di euro che servono per automatizzare il ciclo produttivo e realizzare all'interno dello stabilimento tutte le parti dell'elettrodo. Si punta anche a ridurre il costo dell'energia con la realizzazione di un impianto fotovoltaico e una centrale a biomasse tra i 2 e i 5 megawatt. Alla fine l'investimento complessivo potrebbe aggirarsi sui 28 milioni di euro;
successivamente, nel triennio 2016-2018, il piano della M2I prevede la riqualificazione dell'area dello stabilimento, da anni inutilizzata, denominata Narni 1, dove si ipotizza la creazione di una zona destinata ad attività artigianali-industriali ed un'altra al terziario e alla logistica. All'interno dell'area in questione, un edificio viene interamente dedicato agli incubatori di impresa e alle start up, da riportare all'interno della rete nazionale di incubatori;
a decorrere da marzo 2015 la forza lavoro riprende gradualmente l'attività e il 13 luglio 2015 la storica sirena della Sgl Carbon di Narni torna a suonare con la ripresa dell'attività di produzione. «Entro la fine di agosto — aveva annunciato l'amministratore delegato Monachino — occuperemo due terzi dei lavoratori che hanno operato nella fabbrica fino alla chiusura del 2014. A livello di commesse, siamo riusciti a portare a casa già il 33 per cento dei volumi produttivi previsti dal Piano». In merito alla produzione, l'obiettivo è di raggiungere le 6.000 tonnellate nel 2015 e le 12.000 nel 2016, per arrivare poi a 20.000 nel 2019;
a settembre 2015 i sindacati Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil incontrano la proprietà dell'azienda che conferma la volontà di rispettare gli impegni presi e quindi di riassumere i quaranta lavoratori altamente qualificati in attesa di essere ricollocati nella Elettrocarbonium;
nel mese successivo, tuttavia, la trattativa si inasprisce per il mancato versamento da parte dell'aziende di tre mensilità ai lavoratori. Sono ancora Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil a rivelare che «l'accordo con l'azienda prevedeva il pagamento delle spettanze entro il 15 settembre, poi rinviato fino al 30 settembre, senza che però fino a oggi venisse versato un euro nei conti correnti della sessantina di operai progressivamente ricollocati in Elettrocarbonium. Chiaro è che all'emergenza sul pagamento degli stipendi si somma anche quella che i rappresentanti dei lavoratori definiscono una situazione di smarrimento e abbandono vissuta all'interno della fabbrica, dove la proprietà risulta assente da oltre 15 giorni». La crisi degli stipendi viene superata a fine ottobre, e la proprietà riesce a versare le due mensilità di luglio e agosto;
intanto al Ministero dello sviluppo economico viene recapitata formalmente la richiesta di convocazione del tavolo con tutte le parti coinvolte per verificare gli impegni assunti in fase di accordo, tra cui l'azione di «moral suasion» che il Governo avrebbe dovuto mettere in campo sui consumatori italiani di elettrodi;
il passaggio fondamentale è tuttavia rappresentato dalla conferenza dei servizi per trovare un accordo sulla bonifica tra Sgl Carbon, Elettrocarbonium e le istituzioni che avrebbe dovuto portare alla cessione definitiva della proprietà degli impianti;
a fine ottobre i tecnici dell'Arpa e i periti delle due aziende iniziano a compiere carotaggi, campionamenti e analisi per definire gli interventi necessari e soprattutto il valore economico. La conferenza servizi si chiude con la richiesta a Sgl Carbon di ulteriori specifiche da presentare entro il 15 febbraio 2016 al fine di concludere l'istruttoria, propedeutica alla definizione dell'Accordo di programma;
al tavolo convocato presso il Ministero dello sviluppo economico, sia Sgl sia Morex — stando a quanto riportato dai sindacati – si sono impegnati a condurre in porto la cessione degli impianti e delle aree in modo definitivo. Anche le Istituzioni locali e lo stesso Ministero si sono impegnati, nel rispetto delle norme, ad agevolare l'avvio della nuova azienda;
tuttavia, il 4 gennaio 2016, la Sgl Carbon — che ha concesso alla Morex il sito di Narni in comodato d'uso con scadenza a maggio poi prorogato a dicembre 2015 — intima alla Elettrocarbonium la restituzione dell'immobile e degli impianti di Narni Scalo entro il 24 gennaio 2016, motivandola con il mancato raggiungimento delle condizioni sospensive nei termini previsti dai contratti tra le parti. Gli accordi sono quelli del 27 gennaio 2015, tutti condizionati alla definizione di un accordo di programma per la disciplina degli aspetti di natura ambientale e della continuità produttiva nel sito;
il 7 gennaio scorso il vicepresidente della regione Umbria Fabio Paparelli, d'intesa con la governatrice Catiuscia Marini e il sindaco di Narni Francesco De Rebotti, in seguito alla comunicazione del 4 gennaio della Sgl Carbon, chiedono al Ministero dello sviluppo economico l'apertura di un tavolo tecnico di urgenza per Sgl Carbon-Elettrocarbonium per far emergere le reali intenzioni delle due aziende sul sito industriale di Narni. La regione e il comune confermano «la volontà di porre in essere ogni provvedimento nelle sue possibilità per salvaguardare la produzione e livelli occupazionali e assicurare il rispetto delle normative vigenti in tema di bonifica, auspicando che la discussione si rimetta su un piano di correttezza di rapporti e di messa in chiaro dei reali obiettivi delle imprese coinvolte»;
la partita relativa alla Sgl Carbon-Elettrocarbonium corre, quindi, su due binari: da una parte la compravendita del sito di Narni che vecchia proprietà e nuovi imprenditori devono definire, dall'altra la bonifica dell'area su cui da 120 anni opera Sgl Carbon e su cui è stata avviata una conferenza servizi con le istituzioni;
proprio sulla bonifica l'operazione si sarebbe impantanata: Sgl Carbon — stando alle cifre emerse dalla trattativa in atto — dovrebbe versare, in virtù del piano di caratterizzazione sul livello di inquinanti nel sito, una cifra compresa tra 5 e 7 milioni di euro. Tuttavia il vero problema sono gli impegni futuri nel caso in cui l'industria di Narni dovesse fermarsi, con l'area che dovrebbe essere bonificata radicalmente (si ipotizza una cifra di 100 milioni), ma anche nell'ipotesi in cui, con gli impianti in funzione e gli operai al lavoro, dovessero emergere criticità ambientali da sanare;
la Sgl Carbon sarebbe in cerca della cosiddetta manleva, ossia una quantizzazione del danno ambientale, chiaramente superiore ai 5-7 milioni previsti per la bonifica in continuità, che verrebbe versata dalla multinazionale per essere sollevata da qualsiasi responsabilità futura. Obbligazioni di questo tipo vengono però solitamente assunte a livello ministeriale su siti di interesse nazionale (Sin), classificazione in cui Narni non rientra;
il 19 gennaio 2016 è stato convocato il tavolo tecnico d'urgenza al Ministero dello sviluppo economico, richiesto dalla regione Umbria e dal comune di Narni, al termine del quale è stato stabilito un timing di tre giorni per trovare, coi tecnici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un compromesso per definire poi l'accordo di programma, dove devono essere stabiliti gli impegni per le bonifiche, propedeutici al perfezionamento della compravendita;
il 21 gennaio il Ministero dello sviluppo economico consegna una bozza di accordo sulla ripartizione delle bonifiche al liquidatore di Sgl-Carbon Petrucci e all'amministratore delegato di Elettrocarbonium Monachino. Il 24 gennaio, alla scadenza del termine richiesto dal Ministero, la Elettrocarbonium invia una nota ufficiale nella quale precisa che «non c’è nessun accordo tra ministero, enti, Sgl ed Elettrocarbonium per evitare la chiusura dell'impianto di Narni. Nulla al momento è stato ufficialmente comunicato ad Elettrocarbonium. Non trova alcun riscontro la notizia secondo cui ci sarebbe stata trasmessa la richiesta di sospensione del termine del 24 gennaio per la restituzione a Sgl degli impianti dello stabilimento di Narni»;
il 26 gennaio, due giorni dopo la scadenza del termine, viene convocato presso il Ministero dello sviluppo economico un nuovo tavolo tra i due privati e le istituzioni per tentare di chiudere la partita della ripartizione della bonifiche nella fabbrica di Narni. In quella sede non partecipa il liquidatore di Sgl Petrucci, che conferma la disponibilità a procedere alla quantizzazione del danno e a pagarlo per ottenere la cosiddetta manleva che, stando a quanto chiarito da Ministeri e regione, sarebbe inattuabile perché il sito industriale di Narni non rientra nel perimetro di legge entro il quale si può concedere;
il 1o febbraio 2016 riprende il tavolo tecnico al Ministero dello sviluppo economico al quale sono però assenti sia il liquidatore di Sgl Petrucci sia l'amministratore delegato di Elettrocarbonium Monachino. Dalla riunione emerge l'accantonamento definitivo dell'ipotesi manleva e si decide di riconvocare un nuovo tavolo al quale le istituzioni hanno chiesto all'amministratore delegato Monachino di presentare un piano industriale più dettagliato, anche in considerazione degli interventi pubblici per sostenere Elettrocarbonium nell'operazione di rilancio del sito industriale di Narni;
l'ipotesi di accordo conseguente all'ultima riunione al Ministero dello sviluppo economico — stando a quanto riportato dalla stampa locale — prevederebbe una mini bonifica di 7 milioni di euro a carico di Sgl, così come definito dal piano di caratterizzazione degli inquinanti a cui si è lavorato in conferenza dei servizi per l'accordo di programma sul futuro del sito di Narni. Elettrocarbonium sarebbe invece chiamata a stipulare una fideiussione da 4 milioni di euro per gli asset industriali;
il 26 febbraio 2016 la Conferenza dei servizi ha approvato il progetto di bonifica in continuità produttiva da 7,2 milioni di euro per la fabbrica di Narni. Nella serata precedente gli ultimi otto operai assunti in prova per tre mesi dall'amministratore delegato dell'Elettrocarbonium Monachino hanno ricevuto la lettera di licenziamento facendo scattare la mobilitazione di rappresentanze sindacali unitarie e sindacati che hanno indetto lo sciopero ad oltranza, preoccupati anche dalla richiesta di attivare la cassa integrazione ordinaria. I rappresentanti dei lavoratori della fabbrica hanno ribadito che Elettrocarbonium non ha saldato le tre mensilità di stipendio arretrato, la tredicesima e le posizioni contributive e previdenziali degli operai che non vengono versate da novembre;
il 4 marzo 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha convocato un nuovo incontro per esaminare la grave situazione della Sgl carbon, oggi Elettrocarbonium, di Narni. Tale incontro è stato però disertato dal liquidatore di Sgl Carbon, Marco Petrucci, e dall'amministratore delegato di Elettrocarbonium, Michele Monachino. Le assenze sono state fortemente criticate da tecnici del Ministero dello sviluppo economico, istituzioni e organizzazioni sindacali che hanno dato un ultimatum alle proprietà: «qualora entro il prossimo 11 marzo non sarà trovata una soluzione di continuità produttiva, verrà convocato sollecitamente, presso il Mise, il confronto con Sgl (Casa Madre) e Sgl in liquidazione che sono responsabili della dismissione produttiva e proprietari degli impianti e degli immobili»;
il 10 marzo il liquidatore di Sgl Carbon Petrucci ha inviato una nota ufficiale dichiarando cessata la trattativa con Elettrocarbonium, richiedendo definitivamente la restituzione di impianti e immobili di Narni e invitando l'amministratore delegato Monachino a lasciare in tempi rapidi il sito industriale, per il quale sono scaduti dal 31 dicembre scorso gli accordi inizialmente definiti, tanto che già il 4 gennaio gli è stata chiesta la restituzione degli asset;
nella nota Petrucci afferma che Elettrocarbonium non solo non ha presentato una bozza della fideiussione, ma non ha neanche indicato il soggetto finanziario che avrebbe dovuto assicurare la garanzia. Non può, quindi, essere assicurata la continuità produttiva — si specifica ancora nel testo — e non si sarebbe stati neanche in grado di evadere gli eventuali ordini di Sgl che ha rilevato anche l'incapacità a reperire sul mercato commesse e quindi a sviluppare la rete commerciale;
l'amministratore delegato Monachino ha diffuso una propria nota nella quale contesta il progetto di bonifica approvato dalla Conferenza dei servizi che «oltre a togliere, nei termini conosciuti, ogni potere negoziale ad Elettrocarbonium potrebbe concretamente far entrare il sito industriale di Narni nel lungo elenco dei siti inquinati del nostro Paese». Quanto alle pendenze finanziarie, Monachino ha detto che «saranno sanate in breve tempo. I lavoratori devono essere tranquilli perché quanto loro spettante non è in discussione né lo è mai stato»;
lo scorso 15 marzo il Governo, a nome del sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio, Claudio De Vincenti, convoca ufficialmente il Ceo di Sgl Group, Jürgen Köhler, per ridiscutere, alla luce della conclusione del tentativo messo in pratica da Michele Monachino con Elettrocarbonium, la questione del sito di Narni;
il 22 marzo i sindacati, dopo aver occupato insieme ai lavoratori qualche giorno prima i binari della ferrovia per protestare contro il mancato versamento di stipendio di febbraio 2016, quote relative ai fondi Fonchim (ovvero quelli previdenziali) e Faschim (cioè l'assistenza sanitaria) a partire dal mese di ottobre 2015, nonché i contributi da parte di Elettrocarbonium, hanno proclamato un nuovo sciopero a seguito delle sospensioni delle forniture di acqua e gas. Le segreterie nazionali, regionali e provinciali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, in una lettera aperta, hanno chiesto di avviare le procedure di licenziamento collettivo per poter riattivare la mobilità che era partita nel gennaio 2015;
a fine marzo l'amministratore delegato Monachino ha comunicato di aver avviato le procedure per il licenziamento collettivo degli operai di Narni scalo. Il provvedimento riguarda i settanta lavoratori che erano stati riassunti poco meno di un anno fa dall'Elettrocarbonium alla ripartenza degli impianti;
lo scorso 7 aprile è stato convocato il tavolo per i licenziamenti, negli uffici della Confindustria di Terni, cui hanno preso parte il direttore dello stabilimento di Narni, l'ingegner Negrelli, e il legale di Monachino, l'avvocato Besenti. La riunione è stata rinviata perché i sindacati sono tornati a chiedere il pagamento degli stipendi di febbraio e marzo e dei versamenti di contributi previdenziali e sanitari, atto senza il quale non sono disposti ad aprire le trattative sul licenziamento collettivo. Dal canto suo l'Elettrocarbonium, rappresentata dall'avvocato Besenti, è tornata a chiedere lo sblocco della portineria, occupata dagli operai, e l'ingresso di alcuni lavoratori per preparare i materiali da far uscire dalla fabbrica di Narni, richiesta tuttavia respinta dalle sigle sindacali;
al termine dell'incontro i lavoratori si sono riuniti in assemblea e hanno deciso di concedere un ultimatum a Monachino, fino a giovedì 14 aprile, entro il quale l'azienda avrebbe dovuto pagare le spettanze di febbraio e sedersi a un tavolo per avviare la procedura di licenziamento collettivo. Se i termini non fossero stati rispettati, i lavoratori sarebbero rientrati in fabbrica venerdì 15 aprile, accettando, di fatto, il fallimento dell'azienda;
nelle scorse settimane Elettrocarbonium ha annunciato che avrebbe restituito entro il 15 aprile il sito di Narni alla Sgl che, attraverso i propri liquidatori, ha ribadito la disponibilità a valutare altre proposte di imprenditori nel settore della grafite. Ad ufficializzarlo è stato il sindaco di Narni Francesco De Rebotti che ha sollecitato la regione e il Ministero dello sviluppo economico, a prendere formali e concrete azioni al fine di attrarre nuovi investitori;
nel corso dell'ultimo incontro svoltosi al Ministero dello sviluppo economico sull'Elettrocarbonium, alla presenza di rappresentanti aziendali, sindacali e delle istituzioni, il direttore del Dicastero, Giampaolo Castano ha comunicato che non ci sono al momento manifestazioni di interesse per un eventuale vendita del sito. Attualmente gli operai stanno affrontando le partite del licenziamento collettivo e del saldo degli arretrati;
quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per risolvere definitivamente la vertenza Sgl-Elettrocarbonium, salvaguardando i livelli occupazionali e la continuità produttiva di uno stabilimento che rappresenta una delle imprese storiche del territorio temano e, nel suo settore, un'azienda di eccellenza a livello mondiale, nonché riveste un ruolo decisivo per l'economia e lo sviluppo dell'intera regione umbra. (5-08693)
RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, GREGORI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, COSTANTINO, NICCHI, SANNICANDRO, KRONBICHLER e MARCON. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Officine Ferroviarie Veronesi (OFV) è una società per azioni attiva nel settore della progettazione, costruzione, ristrutturazione, trasformazione, revisione e manutenzione di veicoli ferroviari; la società, che ha sede a Verona, ha avviato in data 8 aprile 2013 la procedura concorsuale con richiesta di concordato preventivo;
il tribunale di Verona-sezione fallimentare, con sentenza n. 162 dell'8 novembre 2013, ha dichiarato Io stato di insolvenza di Officine Ferroviarie Veronesi S.p.A., ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, nominando come giudice delegato per la procedura il dottor Fernando Platania, e come commissario giudiziale l'ingegner Giovanni Bertoni, affidando a quest'ultimo la gestione dell'impresa;
con decreto ministeriale datato 15 aprile 2014, il Ministero dello sviluppo economico ha nominato, quale commissario straordinario, lo stesso commissario giudiziale, ingegner Giovanni Bertoni; dal 5 maggio 2013 i 205 lavoratori (attualmente ridotti a 118) sono in cassa integrazione a zero ore con scadenza precedentemente prevista all'8 dicembre 2015 e portata al 27 maggio 2016, attualmente è in discussione l'esito del terzo bando per la procedura di vendita del complesso aziendale. Le due precedenti procedure di vendita (la prima conclusasi in data 2 luglio 2015; la seconda in data 5 novembre 2015) hanno avuto entrambe esito negativo, per la non adeguatezza delle offerte pervenute, non conformi ai requisiti previsti;
oltre a un gruppo indiano che aveva già partecipato senza successo ai due bandi precedenti, è stata presentata una offerta dalla multinazionale francese Alstom, specializzata in costruzioni di treni e infrastrutture ferroviarie (L'Arena di Verona, 30 gennaio 2016);
si è di fronte quindi all'urgenza di comprendere nei prossimi giorni la decisione che gli organi della procedura assumeranno e quindi sapere a quale soggetto verrà ceduta la realtà industriale; a prescindere dalla scelta del commissario sentiti i pareri del giudice delegato, del Ministero dello sviluppo economico e del comitato di sorveglianza vi è una vicenda su cui il Governo potrebbe intervenire;
in data 22 luglio 2010, Trenitalia aveva espresso l'impegno di affidare all'ATI costituita dal Consorzio CORIFER (Mandataria) e da Officine Ferroviarie Veronesi SpA (Mandante) un contratto di «service manutentivo» relativo alla revisione di 350 carrozze Vivalto e all'installazione sulle stesse dell'impianto antincendio;
nel marzo 2012 Trenitalia aveva affidato, in trattativa privata all'ATI CORIFER/OFV la manutenzione ciclica VIS di n. 135 NCDP Vivalto nel frattempo scadute, compresa la fornitura dei relativi ricambi, per un valore stimato di 24.328.600,00 euro. Il contratto non aveva avuto termine a causa delle vicende di OFV e CORIFER (vicenda richiamata dalla mozione del 22 ottobre 2015, proposta da tutti i capigruppo del Consiglio comunale di Verona, per impegnare il consiglio comunale ad attivare tutti i canali istituzionali più opportuni per addivenire a una positiva risoluzione della vertenza);
lo stato industriale di Officine Ferroviarie Veronesi consente di ripartire in tempi rapidi con l'attività produttiva;
la OFV è una delle poche realtà italiane attiva nel settore della progettazione e costruzione di carrozze ferroviarie, pertanto sarebbe importantissimo preservarne il know how oltre ai livelli occupazionali –:
considerato il ruolo strategico del settore industriale del materiale rotabile e l'importanza di preservare una delle pochissime realtà industriali attive in questo settore nel nostro Paese, quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di garantire la continuità operativa e aziendale delle Officine Ferroviarie Veronesi;
se, una volta assunta la decisione da parte degli organi della procedura, si intendano assumere iniziative per favorire il rilancio di Officine Ferroviarie Veronesi, verificando la possibilità che Trenitalia conferisca con un affidamento diretto, la manutenzione delle trecento carrozze Vivalto, in prossima revisione, anche alla luce degli impegni precedentemente assunti da Trenitalia verso l'ATI CORIFER/OFV, richiamati in premessa. (5-08694)
CRIPPA, DELLA VALLE, VALLASCAS, CANCELLERI, DA VILLA e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il comma 641 della legge stabilità 2016 modifica l'articolo 1, comma 56, della legge n. 147 del 2013 che ha istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, un Fondo per lo sviluppo di attività innovative con una dotazione di circa 5 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni per l'anno 2015 destinato al sostegno delle imprese composte da almeno quindici individui che si uniscono in associazione temporanea di imprese (ATI) o in raggruppamento autonomo o in reti di impresa, per lo sviluppo dell'artigianato digitale e manifattura sostenibile;
tale normativa è stata modificata dalla legge stabilità 2016 in quanto si è rilevato che i beneficiari delle agevolazioni non sono stati numerosi. Infatti dei 9 milioni di euro stanziati per il Fondo sono pervenute domande per 2 milioni di euro dovute della previsione contenuta nella legge istitutiva della misura agevolativa medesima, in merito al numero minimo di imprese costituenti l'aggregazione (15), che ha di fatto impedito la presentazione di proposte progettuali già cantierate, che tuttavia non si sono tradotte in domande di ammissione alle agevolazioni per la difficoltà di coinvolgimento di un numero così elevato di soggetti imprenditoriali da associare;
le spese ammissibili, al netto dell'Iva, non potranno essere complessivamente inferiori a 100 mila euro e superiori ad 1 milione e 400 mila euro e dovranno essere sostenute successivamente alla presentazione della domanda. Purtroppo non sono contemplate le spese delle imprese per la predisposizione delle proposte progettuali;
a tal fine è necessario un nuovo decreto del Ministero dello sviluppo economico che consenta l'adeguamento alle condizioni sopra richiamate –:
quale sia lo stato di avanzamento del procedimento di adozione del decreto ministeriale del Fondo per lo sviluppo di attività innovative e se si intenda inserire tra le spese ammissibili al finanziamento anche quelle relative al costo del personale ai fini della predisposizione delle proposte progettuali. (5-08695)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Lorefice e altri n. 1-00698, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Baradello e altri n. 1-01188, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione D'Incecco e altri n. 1-01229, pubblicata nell'allegato B ai resoconti nella seduta del 20 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nesi, Paola Bragantini.
La mozione Binetti e altri n. 1-01235, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Rondini e altri n. 1-01237, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Palese e altri n. 1-01238, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Nicchi e altri n. 1-01239, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Vargiu e altri n. 1-01240, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Milanato e altri n. 1-01243, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Miccoli e altri n. 1-01245, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nesi, Antezza, Amoddio.
La mozione Vezzali e altri n. 1-01250, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesi.
La mozione Palladino e altri n. 1-01251, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Oliaro, Nesi.
La mozione Iori e altri n. 1-01264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Ricciatti.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Zampa e altri n. 7-00997, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Locatelli.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-08678, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gagnarli.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della mozione De Girolamo n. 1-01205, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 599 del 31 marzo 2016.
La Camera,
premesso che:
la cronaca recente è contraddistinta da ripetuti episodi di bullismo nel nostro Paese, che spesso connotano le relazioni tra ragazzi più e meno giovani. Casi in cui, nelle scuole o in ambienti frequentati da giovani, si verificano vessazioni e violenze (fisiche, verbali e psicologiche) ai danni dei più deboli o semplicemente di «categorie» percepite come «diverse», sono all'ordine del giorno;
l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei ragazzini di 11, 13 e 15 anni certifica che il 2 per cento delle ragazze e il 3 per cento dei ragazzi riferisce di aver subito atti di bullismo nella sua vita;
molto più diffuso il fenomeno del cyber-bullismo. Secondo una ricerca del Censis e della polizia postale in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti atti di bullismo attraverso la rete, nonché tentativi di adescamento da parte degli adulti, vessazioni, minacce, invio di foto o video a contenuto sessuale;
sia l'Organizzazione mondiale della sanità che il Censis certificano l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi reali e della rete;
anche in Italia si registrano costantemente gravi episodi di bullismo, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Qualche esempio:
a) a Torino un quindicenne del Canavese ha vissuto un incubo lungo 3 mesi, finendo in depressione. Perseguitato da un gruppo di bulletti, il ragazzo era costretto a pagarli di volta in volta e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato sistematicamente picchiato, 500 euro a settimana la richiesta folle, denaro che il ragazzino doveva sfilare ai genitori. «Se non puoi pagare la rata dovrai spacciare hashish per noi», 2 settimane fa; dopo 3 mesi, il ragazzo si è rivolto ai genitori e con loro ai carabinieri, che hanno arrestato due studenti minorenni, tutti della scuola superiore di Caluso;
b) in Brianza, in un tremendo video, visibile su tutti i social dal febbraio 2016, si vede una banda di ragazzini, molto probabilmente di origine straniera, nel comune di Mezzago (Monza e Brianza), mentre pesta con violenza inaudita un coetaneo. Nessuno degli altri adolescenti interviene. Ci prova un residente di mezza età, ma viene, a sua volta, insultato e minacciato;
c) a Lecce, in un paesino (Galatone) del Salento, l'11 febbraio 2016, un dodicenne è stato costretto dai suoi compagni a stendersi sui binari ferroviari e ad essere colpito da piombini di gomma sparati da un fucile ad aria compressa;
d) a Pordenone nel mese di gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni si è gettata dal balcone per colpa degli scherzi dei compagni di classe, lasciando una lettera: «Adesso sarete contenti». Il gesto è il risultato di mesi di bullismo perpetrato nei suoi confronti dai suoi compagni di classe;
a questi episodi si devono aggiungere i dati allarmanti sui fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come il cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
si tratta di una situazione che rende evidente l'inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio e di contrasto ad un fenomeno devastante che produce danni irreversibili nei confronti delle giovani vittime,
impegna il Governo:
ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a prevenire, individuare e reprimere con fermezza episodi di bullismo anche attraverso:
a) azioni mirate alla sicurezza nella rete, per garantire comportamenti corretti e per un uso consapevole delle tecnologie, attraverso un'opera di informazione, divulgazione e conoscenza, al fine di promuovere l'educazione ai media e la comprensione critica dei mezzi di comunicazione intesi non solo come strumenti, ma soprattutto come linguaggio e cultura;
b) l'implementazione delle linee guida destinate al personale della scuola, agli studenti e alle famiglie in merito alle indicazioni e riflessioni per la conoscenza e la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo e dei fenomeni ad esso riconducibili, e per realizzare interventi mirati di prevenzione del disagio, ponendo in essere specifiche azioni culturali ed educative rivolte a tutta la comunità scolastica e alle famiglie;
c) la realizzazione di una capillare campagna di sensibilizzazione presso le scuole, le istituzioni pubbliche e private, le famiglie e l'opinione pubblica sul grave problema della violenza giovanile, che coinvolga in particolare anche i minori, in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
d) la promozione di attività di aggiornamento e formazione dei docenti e l'attivazione presso le scuole di punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi;
e) la promozione di specifici incontri informativi tra gli enti interessati, al fine di condividere indicatori osservativi sul bullismo, strategie di intervento e metodologie operative;
f) l'introduzione, nel sistema nazionale educativo di istruzione, di attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo, anche nelle sue manifestazioni più recenti;
g) l'introduzione di un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla vigilanza e tutela dei minori, omettano di denunciare o comunque consentano fenomeni di bullismo.
(1-01205) (nuova formulazione) «De Girolamo, Occhiuto, Gullo, Palmieri».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Bueno n. 4-11906 del 2 febbraio 2016;
interrogazione a risposta in Commissione Duranti n. 5-07871 del 23 febbraio 2016;
interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-08492 del 22 aprile 2016;
interpellanza Villarosa n. 2-01363 del 9 maggio 2016;
interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-08621 del 10 maggio 2016;
interrogazione a risposta in Commissione Luigi Gallo n. 5-08636 dell'11 maggio 2016.
Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione D'Attorre n. 5-06150 del 24 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13223;
interrogazione a risposta scritta Vezzali n. 4-11617 del 13 gennaio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08696;
interrogazione a risposta scritta Vezzali n. 4-11873 del 1o febbraio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08698;
interrogazione a risposta scritta Vezzali n. 4-12506 del 14 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08697;
interpellanza Scotto e altri n. 2-01372 del 12 maggio 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13222.
ERRATA CORRIGE
Mozione Buttiglione e Bosco n. 1-01269 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 625 del 16 maggio 2016. Alla pagina 37725, seconda colonna, alla riga diciottesima, la parola «hi-tech» è sostituita dalla parola «ICT».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e nella cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste, infatti, ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che evidenziano l'incidenza della diffusione della malattia in quei territori esposti a fattori inquinanti, fra questi alcuni in particolare hanno l'azione di interferenti endocrini (diossine e ipa in particolare); tali sostanze sono correlate allo sviluppo di gravi patologie del sistema endocrino (oltre che a incremento della mortalità oncologica) ed è stato riscontrato l'incremento proprio dell'endometriosi;
l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
c) porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
d) stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
sono già state approvate in Italia quattro leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, la n. 40 del 2014 della Puglia, la n. 26 del 2014 della Sardegna e la n. 1 del 2015 del Molise, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo, altresì, l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo a carico delle regioni l'onere di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio;
ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia e a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale, nel rispetto della trasparenza e dell'assenza di conflitti d'interessi, secondo requisiti e criteri predefiniti;
a fornire elementi sulle tempistiche esatte relative all'emanazione del decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza, considerato che da circa due anni, e anche in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute ha annunciato a mezzo stampa e attraverso i social network l'inserimento dell'endometriosi nei livelli essenziali di assistenza.
(1-00698)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi, Nesi».
La Camera,
premesso che:
il fenomeno dell'espulsione dei lavoratori cosiddetti maturi dal ciclo produttivo ha inizio nel nostro Paese attorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso;
già negli anni precedenti in vari Paesi industrializzati europei si era diffusa la teoria «young in, old out», che prevedeva una costante discesa dell'età dei lavoratori;
in Italia, le multinazionali furono le prime ad applicare la teoria sopra ricordata, il cui retroterra va ricercato nel processo di globalizzazione che si andava imponendo e che riteneva necessario un rapido «svecchiamento» degli organici, per far posto a giovani sicuramente più capaci dei «vecchi» di cogliere le implicazioni dei nuovi processi produttivi e tecnologici, ma anche più disposti ad accettare, almeno in linea teoria, le nuove regole del mercato globalizzato;
sempre in quell'epoca prevaleva l'idea che liberandosi dei lavoratori maturi, costosi, professionalizzati e spesso critici verso le scelte aziendali, si sarebbero agevolati l'introduzione e lo sviluppo di nuove strategie aziendali, con l'evidente messa in secondo piano dei valori dovuti all'esperienza ed alla competenza acquisita con il tempo;
non si può dire, però, che in Italia questa scelta abbia davvero favorito i giovani, che sono a loro volta diventati vittime di un precariato costante e che tocca tutti gli aspetti della loro vita;
non si intende, quindi, sostenere una qualche forma di guerra generazionale quando si osserva che il lavoratore maturo è stato fortemente penalizzato dalle scelte politiche e aziendali degli ultimi anni;
è però evidente che se, giustamente, l'attenzione della politica e dei media si concentra sui preoccupanti dati relativi alla disoccupazione giovanile, non lo stesso avviene per quelli che riguardano i lavoratori over 40 e, soprattutto, over 50;
le cifre non sono concordi ma si parla di circa 2 milioni di lavoratori maturi (over 40/50/60 anni), che non riescono, o non cercano più, un lavoro dopo averlo perduto;
si tratta di un numero non trascurabile e che assume particolare gravità a fronte dell'allungamento della vita in un contesto in cui, spesso, molti di questi lavoratori maturi non solo contribuiscono a mantenere la propria famiglia, ma collaborano al sostegno dei genitori anziani;
la perdita di lavoro e l'impossibilità di trovarne un altro, quindi, non solo rischiano di gettare oltre la soglia di povertà le famiglie dei lavoratori maturi, ma anche di colpire persone anziane che non sono più in grado di provvedere a loro stesse, con un effetto a cascata tragico;
inoltre, e non si tratta di un dato trascurabile, il lavoro non è solo essenziale fonte di reddito, ma anche di senso di appartenenza alla comunità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;
lavorare è produrre, è essere attivi, è avere un ruolo nella società. Non riuscire, dopo una vita, a continuare la propria attività, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, crea inevitabilmente un senso di vuoto che può anche sfociare in atti tragici;
inoltre, i lavoratori maturi si sentono spesso «vuoti a perdere», abbandonati ad un silenzioso oblio che fa apparire trascurabile, residuale il loro problema relativo all'occupazione rispetto a quello dei più giovani;
sono certamente importanti le iniziative come quelle relative alla «Garanzia giovani» o le agevolazioni previste per l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori «precari», di solito giovani, previste dalle nuove leggi;
manca, invece, una «Garanzia maturi», ma non è possibile trascurare i lavoratori più anziani, che non godono di queste iniziative. Si tratta non solo di un dovere verso persone che lavorano da molti anni, ma anche di una convenienza per tutto il sistema Paese;
i lavoratori maturi, infatti, sono una risorsa inestimabile per qualità e professionalità e certamente non può essere «sprecato» un capitale tanto prezioso e irripetibile;
naturalmente, il lavoratore maturo deve essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, non pensando di essere arrivato ad un punto dove la formazione non serva più;
al contrario, il cosiddetto «life-long learning», ossia l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, è essenziale, perché solo aggiornandosi costantemente è possibile assicurare a tutti i lavoratori, ed in particolare a quelli maturi, la possibilità di adattarsi ai cambiamenti di prodotto o dei processi innovativi, rendendolo, quindi, spendibile su un mercato del lavoro in costante mutamento;
ogni anno vengono stanziati fondi pubblici – decine di milioni di euro finanziati dal Governo e dalle regioni – per «programmi di sostegno alla ricollocazione», che mettono a disposizioni agenzie di ricollocamento che si prendono in carico i disoccupati;
queste agenzie dovrebbero curare la ricollocazione del lavoratore, in particolare di quello maturo, che abbia perso il lavoro, attraverso la formazione, il rifacimento del curriculum, la motivazione e altro;
purtroppo, però, manca l'anello finale della catena, non essendovi alcun legame con aziende interessate ai lavoratori coinvolti in questi processi;
manca, di fatto, un «marketing» territoriale da parte degli uffici per l'impiego nei confronti delle imprese, un collegamento tra pubblico ed imprese, volto a comprendere le esigenze delle imprese stesse e la disponibilità dei lavoratori;
questi ultimi, con uno slogan sin troppo noto ormai, sono considerati in genere «troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione». Si tratta di una frase fatta, ma che sottolinea assai bene la gravità della situazione per i lavoratori maturi;
esperienze recenti evidenziano come sia possibile contrastare il fenomeno della disoccupazione dei lavoratori maturi, anche attraverso iniziative del mondo della cooperazione, finalizzate alla formazione degli stessi lavoratori, ai quali viene anche insegnato a costituirsi a loro volta in cooperative analoghe,
impegna il Governo:
a diffondere, per quanto di competenza, una cultura del prolungamento della vita lavorativa, non inteso solo come necessità, viste le modifiche alle norme pensionistiche, ma come strumento di valorizzazione di risorse esperte e come riconoscimento sociale della loro utilità personale e professionale;
a valorizzare le iniziative già adottate tese a favorire l'utilizzo di strumenti di flessibilità quali il part-time e il lavoro agile anche per i lavoratori «maturi»;
a sostenere, per quanto di competenza, iniziative per contribuire all'attribuzione ai lavoratori over 50 del ruolo di «tutor per l'ingresso di nuova forza lavoro» e per un graduale «passaggio di consegne» tra lavoratori «maturi» e giovani;
a monitorare attraverso l'Agenzia nazionale per le politiche attive l'uso dei fondi pubblici stanziati per i cosiddetti «programmi di sostegno alla ricollocazione», in modo da favorire un concreto reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori «maturi»;
a supportare le iniziative imprenditoriali anche ad opera di cooperative di lavoratori volte a dare nuove forme di professionalità ai lavoratori «maturi» che abbiano perso il lavoro;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di assumere ulteriori iniziative per agevolare i datori di lavoro che assumono lavoratori «maturi».
(1-01188)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Baradello, Sberna, Fauttilli, Gigli, Santerini, Dellai, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una delle malattie ginecologiche a più alta prevalenza ed una condizione clinica tra le più studiate negli anni recenti. Si tratta di una patologia infiammatoria estrogeno dipendente che interessa nei Paesi occidentali il 5-10 per cento della popolazione femminile in età riproduttiva;
il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, mentre è rara in epoca pre-puberale e post-menopausale, anche se la necessità di riporre un'attenzione crescente all'endometriosi anche durante l'età adolescenziale è un tema ampiamente emergente dalla letteratura internazionale;
secondo i primi dati dell’American endometriosis association nei due terzi dei soggetti l'esordio della sintomatologia avviene prima dei 20 anni, mentre, nella sua revisione più recente (1998), il registro dell’American endometriosis association riporta che quasi il 40 per cento delle donne con endometriosi riferiva una comparsa dei primi sintomi ad un'età inferiore a 15 anni e oltre il 25 per cento ad un'età compresa tra 15 e 19 anni;
la caratteristica patologica specifica dell'endometriosi consiste nella presenza di tessuto endometrio-simile (cioè del tessuto che riveste l'interno dell'utero) al di fuori della cavità uterina e principalmente sulle ovaie, sul peritoneo pelvico, vescica o anche intestino;
le problematiche cliniche più frequenti sono rappresentate da dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali ed infertilità;
l'endometriosi non è una malattia mortale, ma la capacità di metastatizzare, la possibilità di recidiva a livello locale e a distanza, l'insorgenza di dolore neuropatico resistente alla terapia medica sono alcune delle tante caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie, come i carcinomi ovarici e, anche se nella maggior parte dei casi l'endometriosi presenta un decorso benigno, ci sono dati crescenti a favore di una correlazione tra endometriosi e cancro ovario;
l'endometriosi costituisce attualmente un problema di salute pubblica, dal momento che colpisce dal 5 per cento al 10 per cento delle donne in età riproduttiva, una proporzione che aumenta addirittura al 30 per cento nell'ambito di donne subfertili e in Italia sono almeno 3 milioni le donne che soffrono di endometriosi;
questi dati rappresentano, peraltro, una sottostima della reale prevalenza della malattia nella popolazione generale, dal momento che i sintomi non sono sempre presenti: molte donne scoprono di avere l'endometriosi quando hanno difficoltà ad avere figli e, quando la malattia può essere sospettata in donne con dolore pelvico cronico, il gold standard per la diagnosi di endometriosi è ancora la valutazione laparoscopica, confermata dall'esame istologico;
la scarsa conoscenza della malattia fa sì che prima della diagnosi passino in media nove anni. Tutto questo costringe le donne ad un vero e proprio calvario fatto di ecografie, visite specialistiche e accertamenti, a volte invasivi e costosi, per scoprire l'origine di quei forti dolori pelvici, soprattutto durante il ciclo mestruale. Una volta diagnosticata la malattia, occorre assumere farmaci per lunghi periodi o sottoporsi a più interventi chirurgici;
il fenomeno, i cui numeri sono significativi sia a livello nazionale che internazionale, ha indotto già nel 2005 ben 266 membri del Parlamento europeo a firmare la Written declaration on endometriosis, stimando in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi di malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea;
nonostante la diffusione di questa malattia, la sua conoscenza risultava essere ancora scarsa, sia da parte della popolazione dell'Unione europea che da parte dei medici;
il documento invitava pertanto i Governi degli Stati membri e la Commissione europea a lavorare per favorire la ricerca sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento dell'endometriosi, dando anche indicazione per l'istituzione di una giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema;
anche la Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica ha svolto un'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale;
l'endometriosi è spesso invalidante, creando una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della paziente, con un impatto negativo sulla vita sociale/personale e con alti costi di assistenza sanitaria, e causando, tra l'altro, frequenti assenze del lavoro o assenteismo scolastico in caso di adolescenti, impedendo lo svolgimento di attività ordinarie;
l'impatto dell'endometriosi non riguarda solo la sfera fisica, emotiva e relazionale delle donne, ma ha anche significative ripercussioni nella sfera lavorativa, provocando l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono del lavoro;
in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che l'endometriosi sarà nei nuovi livelli essenziali di assistenza e rientrerà, quindi, nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione;
alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna e Molise) hanno approvato una legge regionale a tutela delle donne affette da endometriosi, che, oltre a prevedere numerosi interventi sul fronte delle terapie, della diagnosi, della formazione e della prevenzione, istituisce il registro e l'osservatorio regionale dell'endometriosi,
impegna il Governo:
a mettere in campo tutte le iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento di tale patologia nell'elenco di quelle soggette all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad adottare iniziative finalizzate all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi e per l'acquisto di farmaci, promuovendo, altresì, iniziative utili alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni effettuate dal servizio sanitario nazionale;
a favorire lo sviluppo di reti di servizi e centri di eccellenza che assicurino la presenza di team multidisciplinari in grado di lavorare per preservare la fertilità della donna, migliorare la qualità della sua vita e ridurre i costi socio-economici;
a promuovere la conoscenza della malattia fra i medici e nella popolazione per agevolare la prevenzione, per ridurre l'intervallo di tempo significativo tra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi e per migliorare la qualità delle cure, sostenendo la ricerca scientifica e le attività delle associazioni e del volontariato dedicate ad aiutare le donne affette da tale malattia;
a mettere in campo forme di tutela delle lavoratrici affette da endometriosi per garantire il diritto alla salute e salvaguardare il posto di lavoro;
a sostenere l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi, al fine di favorire lo scambio dei dati e di stabilire strategie condivise di intervento sulla malattia, derivanti dall'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di monitorare l'andamento del fenomeno e di rilevare le problematiche ad esso connesse, nonché le eventuali complicanze;
a creare presso il Ministero della salute una commissione di esperti sull'endometriosi, composta da un numero massimo di dieci membri, alla quale sia attribuito il compito di predisporre le linee guida per la programmazione della ricerca scientifica relativa alla diagnosi e alla cura dell'endometriosi e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti;
ad assumere iniziative per istituire la Giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi da celebrare il 9 marzo di ogni anno.
(1-01229) «D'Incecco, Lenzi, Amato, Burtone, Carnevali, Miotto, Patriarca, Sbrollini, Murer, Mariano, Giuditta Pini, Piazzoni, Antezza, Amoddio, Capone, Rubinato, Nesi, Paola Bragantini».
La Camera,
premesso che:
solo pochi giorni fa, il 22 aprile 2016 per la precisione, per iniziativa del Ministro della salute, l'onorevole Beatrice Lorenzin, è stata celebrata la «Giornata nazionale dedicata alla salute della donna», come previsto dalla direttiva del 1o giugno 2015 del Presidente del Consiglio dei ministri. In quella occasione è stato pubblicato un manifesto con 10 punti chiave, di cui si possono ricordare almeno i primi tre:
a) approccio alla salute femminile secondo la medicina di «genere», per il contrasto alle malattie croniche non trasmissibili, e attenzione alla ricerca scientifica mirata specificamente alle esigenze e peculiarità delle donne;
b) strategie di comunicazione per accrescere la consapevolezza delle donne sulle tematiche di salute, per sé e per la sua famiglia;
c) tutela e promozione della salute sessuale e riproduttiva, anche attraverso la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse e la tutela della fertilità, favorendo una procreazione responsabile e consapevole e sostenendo la salute materna e neonatale;
per dare concretezza al manifesto appena pubblicato è necessario parlare di endometriosi, per imparare a riconoscere prima questa patologia esclusivamente femminile, vero e proprio paradigma della medicina di genere, per tutelare la fertilità femminile e per ridurre i rischi della sterilità;
l'endometriosi è una malattia poco conosciuta ma più frequente di quel che si creda: colpisce il 10-20 per cento delle donne in età riproduttiva e può provocare disturbi invalidanti e infertilità. Non è facile da riconoscere, perché i sintomi possono essere poco specifici e quindi comuni ad altre patologie. Oggi, però, ci sono gli strumenti a disposizione per affrontarla e curarla. Ed è giunto il momento perché il Parlamento faccia qualcosa di più per le donne che ne soffrono, per ridurre le conseguenze che una maternità intensamente desiderata ma non realizzata può avere sul vissuto della donna e dell'intera famiglia;
con endometriosi si indica la presenza di endometrio, che ricopre la cavità interna dell'utero o al di fuori della cavità uterina in altre zone del corpo femminile, normalmente nella pelvi, dove interessa ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. È una malattia cronica e invalidante, che viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
l'endometriosi può colpire le donne dal momento dello sviluppo fino alla menopausa, anche se dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale presente fuori dalla cavità uterina sembra più lenta. A volte può persistere anche dopo la menopausa in presenza di terapie ormonali. La malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto gravidanze, ma dopo ogni gravidanza sembra avere una crescita più accelerata. Le cause dell'endometriosi sono ancora ben lungi dall'essere chiarite;
dal punto di vista epidemiologico il numero di donne con endometriosi è vicino al 10 per cento delle donne in età riproduttiva. Si parla di una patologia che colpisce circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. Le sue cause sono ancora ignote e si parla di fattori genetici, immunitari, infiammatori e vascolari. Ma anche di sostanze inquinanti ambientali, che aumenterebbero la predisposizione all'endometriosi. Di certo si sa che è una malattia i cui numeri stanno crescendo rapidamente;
i due sintomi più importanti sono il dolore e la sterilità; la donna sperimenta il primo sintomo fin dai primi anni del suo sviluppo e del secondo si rende conto quando desidera avere un figlio. Ma il sintomo del dolore pelvico può apparire aspecifico e quindi rendere difficile una diagnosi differenziale, soprattutto perché può essere causato da disturbi di diversa origine, ginecologici, riproduttivi, gastrointestinali, urinari, muscolo-scheletrici. È spesso un dolore profondo e diffuso, accompagnato da nausea, vomito, ansia e depressione;
l'endometriosi interferisce in diversi modi sulla fertilità spontanea della donna. La causa che la provoca può essere localizzata nelle ovaie, nelle tube o nel peritoneo circostante. Approssimativamente dal 30 per cento al 40 per cento delle donne con endometriosi è sterile; la malattia è infatti una delle prime tre cause di sterilità femminile. Alcune donne scoprono la loro endometriosi, nel momento in cui si rendono conto di avere difficoltà a restare incinta. Si tratta, infatti, di una malattia difficile da diagnosticare e molte donne ricevono una corretta diagnosi solo dopo molti anni di visite mediche e dopo numerosi accertamenti diagnostici;
oggi si inizia a pensare che anche nella sindrome mestruale caratteristica delle adolescenti, accompagnata da forti dolori e da disagio generale, ci possa essere una componente di tipo endometriosico, che, se opportunamente riconosciuta e trattata, potrebbe ridurre il rischio sterilità. Si tratta di un problema sociale di grande rilevanza, proprio per le conseguenze che la sterilità ha nella vita di una donna e di una famiglia; per tali motivi la ricerca in materia costituisce un'area di particolare rilevanza scientifico e sociale;
il trattamento dell'endometriosi può essere effettuato per via chirurgica e/o per via medica. La rimozione dei focolai endometriosici, con contemporanea conservazione e ripristino dell'integrità degli organi colpiti, esige tecniche chirurgiche particolarmente delicate. Gli interventi per sanare le tube e le ovaie, eseguiti con precisione, portano all'eliminazione dell'endometriosi e, inoltre, rendono spesso possibile la comparsa spontanea di una gravidanza. L'endometriosi non può essere definitivamente curata, tuttavia è possibile raggiungere un soddisfacente controllo dei sintomi con il ricorso all'utilizzo della pillola contraccettiva che, prevenendo l'ovulazione, riduce l'ingrossamento dell'endometrio e il dolore associato al ciclo. Un problema da non sottovalutare è il fatto che l'endometriosi ha spesso un decorso cronico e può rinfiammarsi. Ciò significa che, anche dopo un successo iniziale del trattamento, le recidive sono possibili;
nel luglio del 2009 il Ministro per le pari opportunità, l'Inps, l'Inail, l'Istituto affari sociali e la Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa della durata di 5 anni sul tema dell'endometriosi. Quel protocollo, scaduto nel 2014, impegnava le diverse parti:
a) a promuovere campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi;
b) a promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia;
c) a favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
d) a porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
e) a stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
in mancanza di una normativa nazionale su un tema così delicato, rivestono un certo interesse alcune leggi regionali: la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia e la n. 40 del 2014 della Puglia, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione;
è necessario valutare la possibilità che l'endometriosi possa costituire una patologia invalidante ai fini dell'inserimento nelle tabelle a cui fa riferimento il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione alla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dal ticket sanitario per esami diagnostici specialistici e l'esenzione dal ticket per l'acquisto di farmaci necessari alla cura e al controllo dei sintomi;
ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica che faciliti nella maggior parte dei casi una diagnosi precoce certa;
ad assumere iniziative per istituire un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia, a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
ad assumere iniziative per istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici o privati esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale.
(1-01235) «Binetti, Calabrò, Bosco, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica in cui tessuto simile a quello endometriale, che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero, viene a trovarsi in sedi anomale, principalmente a livello di ovaie, tube, utero (se tessuto endometriosico si addentra nello spessore della parete muscolare dell'utero si parla più propriamente di adenomiosi), legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni; può trovarsi anche a livello di ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo; è possibile una localizzazione a livello di cicatrici di interventi chirurgici precedenti;
il tessuto cosiddetto ectopico (fuori posto) subisce gli stessi influssi ormonali del tessuto eutopico (il tessuto endometriale che correttamente riveste la cavità dell'utero), perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione. Questo sangue però non ha una naturale via d'uscita e perciò diventa fortemente irritativo causando reazioni infiammatorie, mentre le lesioni, proliferando, producono aderenze che irrigidiscono gli organi su cui si formano ostacolandone la funzionalità;
nonostante sia stata diagnosticata per la prima volta già nel 1690, la causa dell'endometriosi non è ancora nota. L'endometriosi è una malattia multifattoriale, cioè è determinata da fattori sia genetici sia ambientali. Si nota una certa familiarità. Alcuni studi la correlano alla presenza di sostanze presenti nell'ambiente come conseguenza delle lavorazioni industriali o come residui di prodotti usati in agricoltura tipo pesticidi (esempio: diossina);
l'eziologia, cioè le cause precise che provocano lo sviluppo dell'endometriosi, rimangono ancora sconosciute. Certamente però si può parlare al plurale. Infatti, si è compreso che si tratta di una malattia multifattoriale, nel determinare la quale intervengono sia fattori di tipo genetico sia fattori di tipo ambientale;
i fattori genetici che sottostanno all'endometriosi sembrano legati ad una fragilità del sistema immunitario che non funzionerebbe in modo adeguatamente efficace. Si è osservato infatti che le donne che abbiano familiari di primo grado (madre e/o sorelle) affette da endometriosi avrebbero più probabilità di contrarre la malattia; studi effettuati su gemelle omozigoti (che condividono cioè interamente il loro patrimonio genetico) confermerebbero questo dato. In ogni caso, si tratta di fattori predisponenti e non determinanti la malattia in modo necessario;
si stima ne sia colpito il 10-17 per cento delle donne in età fertile. L'incidenza è spesso sottovalutata e ciò determina un ritardo di diagnosi che si calcola in una media di 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, per la metà delle donne occorre incontrare una media di 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
il periodo di insorgenza va dall'adolescenza alla menopausa; una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa; sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere;
recenti ricerche hanno evidenziato che le donne sofferenti di endometriosi possono avere un rischio più alto di patologie cardiache rispetto alle altre donne. A dichiararlo sono i medici del Brigham and Women's Hospital di Boston, Usa, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Circulation. L'endometriosi prevede la crescita di tessuti tipici dell'utero al di fuori dell'utero che può provocare dolore, sanguinamenti, infiammazioni croniche e infertilità. Lo studio, spiegano gli stessi esperti, «potrebbe essere il primo a tracciare un collegamento tra le patologie coronariche e l'endometriosi»;
i ricercatori hanno studiato i dati relativi ad oltre 116 mila donne con o senza endometriosi, scoprendo che le pazienti avevano «il 35 per cento di probabilità in più di aver bisogno di un intervento chirurgico o di inserire uno stent per liberare delle arterie bloccate; il 52 per cento di probabilità in più di avere un attacco di cuore; e il 91 per cento di sviluppare dolore toracico e angina». Le donne con meno di 40 anni e con endometriosi «avevano una probabilità tre volte più alta di avere un attacco di cuore, dolore toracico o di aver bisogno di uno stent rispetto a donne della stessa età ma senza endometriosi». I ricercatori dichiarano che questa patologia «potrebbe essere in parte responsabile di questo aumento di rischio cardiovascolare», dato che verrebbero a mancare gli effetti protettivi degli ormoni femminili sul cuore. Le donne con endometriosi devono «adottare stili di vita che favoriscano la salute del cuore – concludono gli esperti – fare controlli periodici ed essere consapevoli di quali siano i sintomi, dato che le patologie cardiache sono causa primaria di morte per il sesso femminile»,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte all'immediato inserimento dell'endometriosi nell'elenco delle patologie con esenzione per i test diagnostici e per la terapia;
a predisporre misure di tutela efficaci per le donne affette da tale patologia nel mondo del lavoro;
ad attivarsi per l'istituzione di un registro nazionale per la valutazione della reale incidenza della patologia, mancando dati certi sia in Italia che in Europa, essendo stati predisposti esclusivamente studi su piccole porzione di popolazione in Paesi del nord Europa;
ad assumere iniziative per la costituzione di un tavolo tecnico composto da esperti, presso il Ministero della salute, con la finalità di fornire alle donne affette da tale patologia la maggior quantità di informazioni basate su linee guida internazionali e sistematiche revisioni della letteratura medica, anche alla luce delle nuove scoperte, per un approccio rispettoso, non aggressivo ed economicamente sostenibile basato sul valore dell'evidenza medica.
(1-01237) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia caratterizzata dalla presenza e dall'accrescimento progressivo di isole di mucosa uterina in sede abnorme, cioè nella parete muscolare dell'utero (endometriosi interna), oppure in altri organi (endometriosi esterna, ovaio, tube, vulva, intestino, pleura, polmone);
le lesioni più caratteristiche sono le cosiddette cisti endometrioidi;
l'endometriosi è anche nota sotto altri nomi, endometrioma, adenosi benigna e coriblastoma dell'utero;
trattasi di una malattia di cui sono affette circa tre milioni di donne in Italia, quattordici milioni in Europa ed oltre centocinquanta milioni nel mondo;
è una malattia cronica ed invalidante e viene classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità in quattro stadi (I stadio con gradazione minima, II stadio con gradazione lieve, III stadio con gradazione moderata e IV stadio con gradazione grave) determinati in base all'estensione e localizzazione della lesione;
essendo malattia fortemente invalidante, costringe le donne a modificare le loro abitudini, lo stile di vita e la vita lavorativa;
tale malattia presenta notevoli difficoltà diagnostiche anche a causa delle poche équipe specializzate nella diagnosi e nella cura dell'endometriosi, sull'intero territorio nazionale;
mediamente si arriva ad una corretta e precisa diagnosi dopo non meno di dieci anni con le pazienti costrette a girovagare da un ospedale all'altro, da uno specialista all'altro, spesso costrette ad avvalersi di professionisti e strutture privati;
il Ministro pro tempore per le pari opportunità, il Presidente della Fondazione italiana endometriosi, il presidente dell'Inps, il presidente dell'Inail, il presidente dell'Istituto affari sociali, hanno stipulato, nel luglio del 2009, un protocollo di intesa con validità quinquennale;
a causa della disinformazione in materia con il suddetto protocollo di intesa le parti si sono impegnate a promuovere apposite campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnati inoltre a costituire un tavolo tecnico presso il Dipartimento delle pari opportunità per verificare la possibilità di intervento attraverso strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia»;
in particolare, l'articolo 4 della suddetta convenzione prevede le seguenti iniziative:
a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere detta patologia;
b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
c) porre particolarmente attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
d) stimolare un maggior interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
ad oggi solo due regioni (Puglia e Friuli Venezia Giulia) hanno legiferato sulla materia promuovendo la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi e istituendo un osservatorio ed un registro regionale;
da diversi anni si attende il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e l'inserimento dell'endometriosi tra le malattie croniche ed invalidanti per avere il diritto all'esenzione dai ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'istituzione, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica concordati con l'Unione europea, di un fondo nazionale per l'endometriosi e di un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia;
a concordare con le regioni le modalità di trasmissione periodica al registro nazionale dei dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio e ad attivare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia;
a valutare l'opportunità, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica, di assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni inserendo l'endometriosi tra le malattie invalidanti, nonché per prevedere il diritto all'esenzione da tutti ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria;
a tutelare le lavoratrici affette da endometriosi, per la salvaguardia del posto di lavoro.
(1-01238) «Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta, cronica e spesso invalidante, che colpisce le donne, e tipica dell'età fertile, ad insorgenza spesso precoce persino in età preadolescenziale. Non si conoscono ancora le cause di questa malattia. Si stanno conducendo ricerche, ci sono orientamenti, ma non è ancora conosciuta la causa scientifica della sua genesi;
si tratta di una patologia complessa, di difficile approccio diagnostico e terapeutico, e che deve essere affrontata in modo multidisciplinare con il coinvolgimento di più figure specialistiche. Il trattamento deve essere individualizzato, prendendo in considerazione il problema clinico nella sua interezza;
il principale sintomo dell'endometriosi è il dolore, che in alcuni casi può divenire cronico e invalidante, tanto da non permettere di svolgere le normali attività quotidiane. Spesso la dismenorrea (dolore durante la mestruazione) si associa a dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali) e a dischezia (dolore nell'evacuazione), rendendo la vita di relazione estremamente difficile, con importanti ricadute sociali per la minore produttività sul lavoro e per le frequenti assenze dovute alla malattia. Inoltre l'endometriosi è responsabile di almeno il 30 per cento dei casi di infertilità;
nella valutazione della gravità della malattia si fa riferimento a varie classificazioni, che prendono in considerazione l'estensione e la profondità delle lesioni, il coinvolgimento ovarico, le aderenze eventualmente presenti, la presenza di lesioni «profonde», l'eventuale ripercussione sulla fertilità;
secondo stime internazionali, questa patologia colpisce 150 milioni di donne nel mondo, e circa il 10 per cento della popolazione femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census bureau (un'indagine statunitense) ha evidenziato che sono circa 3 milioni le donne affette da tale malattia;
l'endometriosi viene considerata una malattia sociale dalla Written Declaration on Endometriosis (WDE), adottata con delibera n. 30/2004 e sottoscritta da 266 membri del Parlamento europeo il 19 aprile 2004. In questo documento è stato evidenziato il grandissimo impatto economico e sociale, con costi diretti e indiretti annui valutati attorno ai 30 miliardi di euro. La conoscenza della malattia è scarsissima, non solo tra le pazienti, ma anche tra i medici, con gravi ritardi nella diagnosi e nella scelta di una terapia appropriata;
la WDE ha invitato dunque i Governi nazionali degli Stati membri dell'Unione europea ad affrontare i problemi legati a questa patologia, sollecitando, altresì, l'inserimento dell'endometriosi nei programmi di prevenzione per la salute pubblica, nonché l'istituzione di giornate annuali dell'endometriosi, al fine di migliorarne la conoscenza;
chi soffre di endometriosi può non riuscire, a causa dei sintomi, a svolgere le normali attività quotidiane e a coltivare le proprie relazioni sociali;
è inoltre una patologia che ha fortissime ripercussioni sulla vita personale e familiare della donna che ne soffre;
lo studio europeo EAPPG (Endometriosis All Party Parlamentary Group) ha evidenziato come molte donne hanno dovuto adattare la propria vita lavorativa a questa malattia: almeno 5 giorni lavorativi al mese sono persi a causa dei vari sintomi dolorosi; il 14 per cento delle donne affette da endometriosi ha ridotto l'orario di lavoro; il 14 per cento ha abbandonato/perso l'attività lavorativa o richiesto il prepensionamento; il 40 per cento teme di parlare della propria malattia al datore di lavoro per paura delle conseguenze;
i costi economici sostenuti da chi ne è affetto, e per il servizio sanitario nazionale per accertamenti diagnostici, terapie farmacologiche croniche (alcune non rimborsate dal servizio sanitario nazionale), ricoveri ospedalieri, trattamenti chirurgici, eccetera, sono alti;
a carico di molte donne affette da questa patologia rimangono gli alti costi dei medicinali – molti non mutuabili – e delle visite mediche private, a cui sono troppo spesso «costrette» per superare le lunghe liste d'attesa;
dal punto di vista strettamente sanitario, il dolore associato all'endometriosi è spesso sconosciuto, non compreso, non accettato nella sua durezza e, di conseguenza, la donna viene spesso lasciata troppo sola;
come evidenziato dall'Indagine conoscitiva sul «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», svoltasi nella XIV legislatura al Senato, «il 58 per cento delle suddette pazienti ha ritenuto che fossero sintomi normali e la maggior parte non immaginava affatto potesse trattarsi di endometriosi; il 21 per cento dei medici consultati ha affermato che queste pazienti non erano affette da endometriosi: in questi casi è evidente che vi è stato un mancato riconoscimento. Inoltre, il 35 per cento delle pazienti non si è sentita presa seriamente in considerazione dal proprio medico ed il 38 per cento non ha trovato aiuto da parte del medico stesso»;
il tempo medio per la diagnosi arriva anche a nove, dieci anni, in quanto occorrono circa quattro anni prima che la paziente consulti il medico e altri quattro anni per l'identificazione e la conferma della diagnosi, dopo una media di circa cinque medici consultati. La diagnosi certa arriva, pertanto, tardiva, a seguito di una ricerca diagnostica lunga e dispendiosa, subita dal corpo della donna spesso in modo invasivo;
a sostegno del percorso diagnostico-assistenziale, è quindi indispensabile puntare sulla formazione e l'aggiornamento dei professionisti che sono a vario titolo coinvolti;
nulla si sa delle nuove tabelle dell'invalidità civile che erano state predisposte da una commissione ministeriale nel novembre 2011, e che includevano l'endometriosi, e il cui iter si è interrotto per un parere negativo delle regioni a causa della loro inadeguatezza;
attualmente per i casi più gravi di questa patologia l'invalidità riconosciuta non supera il 30 per cento, e non si possono chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992. Alcune aziende sanitarie riconoscono – a discrezione del medico – una percentuale di invalidità registrandola come altra patologia,
impegna il Governo:
a non ritardare ulteriormente l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, prevedendo, come più volte promesso, anche l'aggiornamento delle malattie croniche, ivi compresa l'endometriosi medio/grave;
ad assumere iniziative per esentare conseguentemente l'endometriosi dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria ai sensi del decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad assumere iniziative per includere l'endometriosi, nei suoi quattro stadi clinici, nelle nuove tabelle dell'invalidità civile da predisporre in accordo con le regioni modificando quelle predisposte dalla commissione ministeriale nel novembre 2011, al fine di aumentare l'invalidità riconosciuta per questa malattia e poter chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992;
ad assumere opportune iniziative volte a garantire maggior tutela alle donne lavoratrici affette da detta patologia per la salvaguardia e la garanzia del posto di lavoro;
ad assumere le iniziative di competenza per istituire il registro nazionale dell'endometriosi e opportuni registri regionali, per la raccolta, l'analisi e la condivisione dei dati clinici e sociali riferiti alla malattia, al fine di favorire e di stabilire strategie di intervento condivise sulla base dell'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di verificarne l'efficacia, di monitorare l'andamento e la ricorrenza della malattia, nonché di rilevare le problematiche e le eventuali complicanze connesse;
a garantire la massima condivisione, nel pieno rispetto della privacy, dei suddetti dati, anche attraverso la loro pubblicazione e la messa in rete sul web, che permetta di conoscere i dati epidemiologici, clinici e sociali;
a includere l'endometriosi tra gli obiettivi prioritari della ricerca sanitaria, in modo particolare per quanto riguarda la genesi della malattia, la terapia specifica, il trattamento delle recidive, la prevenzione dell'infertilità, anche al fine di porre la donna al centro di un percorso il più veloce possibile per la diagnosi e la successiva cura;
ad assumere iniziative per avviare efficaci campagne di formazione e informazione per i medici ginecologi, i medici e gli operatori dei presìdi consultoriali, e per i medici di medicina generale;
ad assumere iniziative per attivare opportune reti di eccellenza pubbliche impegnate nella formazione degli operatori sanitari e nella massima trasmissione del know how clinico-diagnostico e terapeutico;
ad avviare quanto prima un processo che promuova la realizzazione di centri di riferimento e di eccellenza pubblici, per il primo approccio e quindi le prime diagnosi, per la cura in ambito nazionale della patologia;
ad assumere iniziative per istituire la giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi, affinché le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni senza fini di lucro e con gli organismi operanti nel settore, possano predisporre iniziative volte a promuovere campagne di sensibilizzazione sulle caratteristiche, sulla sintomatologia e sulle pratiche di prevenzione dell'endometriosi.
(1-01239)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Giancarlo Giordano, Melilla, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica originata dalla presenza del tessuto che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero (endometrio) in altre sedi anomale, quali principalmente: ovaie, tube, utero, legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni. Eccezionalmente, tale presenza anomala può trovarsi anche a livello di: ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo;
il tessuto cosiddetto ectopico (cioè «fuori posto») subisce le stesse sollecitazioni ormonali del tessuto eutopico (cioè del tessuto endometriale che normalmente riveste la cavità dell'utero) perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione e provocando spesso in sede ovarica o comunque atipica lo sviluppo di cisti endometriosiche. Il tessuto di sfaldamento e la componente ematica relativa alle localizzazioni endometriosiche ectopiche non trova la fisiologica via d'uscita utero-vaginale all'esterno e perciò rischia di raggiungere sedi inappropriate, organizzandosi o causando reazioni infiammatorie e producendo aderenze tessutali cicatriziali che alterano la struttura e la dinamica degli organi su cui si formano, ostacolandone la funzionalità;
si stima che nel mondo l'endometriosi colpisca una donna su dieci in età fertile, senza distinzione di paese o classe sociale e che coinvolga in assoluto almeno 150 milioni di donne (dati ONU), di cui circa 5,5 milioni nel Nord America e circa 14 nell'Unione europea (quasi il 10 per cento). (European Society of Human Reproduction and Embryology; Reproductive Science and the Journal of Endometriosis, 2014);
nel nostro Paese, l'esatta incidenza e prevalenza dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di dati epidemiologici precisi e aggiornati che consentano di avere la dimensione nazionale del fenomeno, è possibile esclusivamente far riferimento ai dati numerici internazionali, che stimano intorno ai 3 milioni le donne italiane affette da endometriosi;
l'età di insorgenza dell'endometriosi va dall'adolescenza alla menopausa (una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa e sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere), ma il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni;
la frequente sottovalutazione di questa patologia provoca spesso un ritardo della sua diagnosi, quantificato mediamente in 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, la metà delle donne debbono essere visitate in media da 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
nel 20-25 per cento dei casi l'endometriosi è asintomatica. Per il restante 75-80 per cento i sintomi prevalenti sono: dolore pelvico cronico, dismenorrea, dispareunia, dolore alla defecazione e alla minzione in corrispondenza del ciclo, dolore nella regione lombare e/o lungo l'arto inferiore, cefalea, proctorragia, ematuria, diarrea e/o stitichezza, gonfiore addominale, affaticamento cronico, febbricola e spotting intermestruali;
il percorso diagnostico si basa su svariati e numerosi accertamenti: la visita ginecologica (inclusa l'esplorazione rettale), l'ecografia pelvica transvaginale, la Tac, l'urografia, la cistoscopia, la rettocolonscopia e la ricerca di marcatori ematici. Tuttavia, la diagnosi certa si ottiene con l'analisi del tessuto prelevato in fase di intervento chirurgico, in genere effettuato con tecnica laparoscopica;
l'eziopatogenesi dell'endometriosi non è ancora nota, dal momento che si tratta di una malattia multifattoriale, determinata sia da fattori genetici (soprattutto correlati al sistema immunitario) che ambientali. Le teorie patogenetiche sono comunque le più accreditate, in particolare la cosiddetta mestruazione retrograda (ad ogni ciclo mestruale, una parte del sangue e delle cellule in esso contenute raggiunge, attraverso le tube, la cavità peritoneale dove può proliferare, dando origine alle lesioni endometriosiche). In altre parole, è probabile che un ruolo importante lo giochi proprio il numero medio di cicli mestruali nella vita. Il numero di cicli è aumentato in maniera considerevole nelle donne occidentali e in particolar modo nelle italiane perché, procreano sempre di meno;
il 30 per cento delle cause di infertilità in Italia è riconducibile all'endometriosi: una situazione che aggrava un dato già allarmante. Nel nostro Paese si registrano ogni anno 150 mila nascite in meno di quelle necessarie per mantenere la curva della previdenza sociale. Pertanto, il continuo aumento di questa complessa patologia, combinato con uno dei più bassi tassi di fecondità del mondo (1,39 figli per donna) e con un'età media al primo parto decisamente elevata (31,4 anni), può trasformarsi in un vero e proprio disastro demografico per il nostro Paese;
attualmente, non esiste una cura definitiva per l'endometriosi che raramente diventa patologia talmente grave da comportare rischi per la vita della paziente. Le conseguenze più frequenti dell'endometriosi restano infatti il dolore ed eventualmente la sterilità. Per gli spasmi (che possono variare da lievi a estremamente intensi fino a diventare insopportabili), si prescrivono usualmente i FANS, ovvero i più comuni analgesici, ma molto spesso il dolore tende a diventare farmaco-resistente, nel qual caso la paziente deve ricorrere a terapie più impattanti. L'eventuale insorgenza del dolore neuropatico resistente, insieme alla capacità dell'endometriosi di localizzarsi a distanza (cioè di «metastatizzare») e alla possibilità di ripresentarsi dopo il trattamento terapeutico con recidive a livello locale e a distanza di tempo rappresentano alcune delle caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie;
le terapie per il trattamento dell'endometriosi sono in prima battuta di tipo ormonale. Si ricorse a composti estroprogestinici (pillola anticoncezionale) somministrati per lunghi periodi, ovvero a farmaci a contenuto solo progestinico che inducono uno stato di pseudogravidanza. Per terapie a più breve termine sono in uso analoghi degli ormoni ipotalamici che inducono uno stato di pseudo menopausa. Ciascuno dei suddetti trattamenti farmacologici ha significativi effetti collaterali e si rivela molto faticoso da sopportare e accettare per una giovane donna;
le terapie chirurgiche sono soprattutto costituite dall'intervento laparoscopico che permette di asportare le formazioni endometriosiche. Questa tecnica è mediamente invasiva e permette, grazie a strumenti a fibre ottiche, di esplorare il quadro addominale e pelvico della paziente. Talvolta, la laparoscopia non è possibile e si opta per una laparotamia, assai più impattante chirurgicamente e psicologicamente;
nonostante si cerchi di effettuare interventi conservativi degli organi genitali interni, nei casi più gravi si rischia di arrivare all'isterectomia e/o alla annessiectomia, molto spesso difficilmente accettabili per la giovane età delle pazienti. La disseminazione peritoneale delle localizzazioni ectopiche, talora comporta interventi di resezione intestinale o di asportazione di organi interni. Ciò avviene quando l'endometriosi ha già intaccato quegli organi, compromettendo in modo pesante la loro funzionalità e la qualità di vita della donne. Sfortunatamente, la malattia essendo cronica, tende facilmente a ripresentarsi dopo le terapie, rendendo necessari nuovi trattamenti;
l'endometriosi è spesso invalidante e crea una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della donna che ne è colpita, con elevati costi sociali ed economici di sistema (il solo costo del ricorso alle cure è quantizzato in circa 500 euro al mese). Questo impatto non riguarda tuttavia solo la sfera fisica, emotiva e relazionale, ma ha anche significative ripercussioni indirette nell'ambito lavorativo, provocando frequenti assenze dal lavoro, l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono dell'impiego, ovvero assenteismo scolastico nel caso di adolescenti;
alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia e Puglia) hanno provveduto ad approvare proprie normative che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, hanno portato all'istituzione dell'osservatorio e del registro regionale;
anche a livello nazionale, appare ormai inderogabile l'istituzione di tali due organismi (un Osservatorio nazionale sulla malattia e un registro nazionale dell'endometriosi) aventi il compito di diffondere la conoscenza di questa patologia, creare un sistema stabile e aggiornato di monitoraggio epidemiologico della stessa, promuoverne la diagnosi precoce, organizzare strategie appropriate di gestione dei costi sanitari e sociali e minimizzare gli sprechi. Soltanto la diagnosi precoce della malattia nelle prime fasi di insorgenza significherebbe infatti ridurre di 25 volte la spesa sanitaria e previdenziale;
le ricadute sociali ed economiche dell'endometriosi sul servizio sanitario nazionale e la moral suasion delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti spiegano l'attenzione che il Parlamento ha sempre dimostrato verso le problematiche connesse a questo tipo di affezione. Solo negli ultimi due anni sono state presentate in merito otto iniziative legislative e tredici atti di sindacato ispettivo. Durante la XIV legislatura, la commissione igiene e sanità del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva (il «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», documento conclusivo del 24 gennaio 2006 di cui al doc. XVII, n. 24) mirata a fotografare la situazione italiana con l'obiettivo di quantificarne l'impatto economico, di individuare i percorsi di diagnosi e di cura che ruotino intorno alla donna (e non solo alla patologia), fornendo elementi di conoscenza e di orientamento per l'adozione di politiche pubbliche alla luce delle linee guida europee e mondiali;
l'interesse del Senato ad affrontare un'indagine conoscitiva è in parte conseguente all'iniziativa del Parlamento europeo (delibera, 30/2004), denominata «Written Declaration on Endometriosis» e sottoscritta da 266 parlamentari europei. Tale documento richiamava l'attenzione sull'incidenza di questa affezione in Europa (una donna su dieci), sull'onere annuale dei congedi malattia ad essa connessi (circa 39 miliardi di euro) ed invitava la Commissione europea ad inserire la prevenzione dell'endometriosi nei futuri programmi comunitari per la salute pubblica con lo scopo di favorirne la ricerca delle cause, la prevenzione e il trattamento, nonché di promuovere una maggiore consapevolezza sulla gravità del problema, anche attraverso l'istituzione di giornate annuali dedicate;
nell'ambito dell'alleanza terapeutica, il ruolo delle associazioni delle pazienti riveste un ruolo centrale. A livello mondiale, il punto di riferimento è l'American Endometriosis Association – EA, un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1980 che raccoglie 60 paesi; a livello europeo, il punto di riferimento è l’European Endometriosis Alliance – EEA una coalizione fondata nel 2004 che raccoglie le associazioni nazionali di donne affette da endometriosi di 11 paesi, tra cui l'Italia: Nell'ambito di questi circuiti internazionali, agiscono l'Associazione italiana endometriosi onlus – AIE e l'Associazione progetto endometriosi onlus – APE (www.endoassoc.it e www.apeonlus.it), le cui mission sono: dare sostegno alle donne, costruire networking, sensibilizzare gli stake holder coinvolti e promuovere la ricerca scientifica;
grazie alla EEA e al Written Declaration on Endometriosis, dal 2005 si celebra ogni anno la «awareness week», la settimana europea della consapevolezza dell'endometriosi (l'11a edizione si è tenuta dal 7 al 13 marzo 2016) che prevede incontri aperti, convegni e feste di sostegno al lavoro volontario delle associazioni. La awareness week coincide con la giornata mondiale della endometriosi che cade ogni anno il 16 marzo, in occasione della quale in 50 città, da San Francisco a Londra, si organizza la Worldwide Endomarch. (www.endomarch.org);
in concomitanza dell'ultima giornata mondiale della endometriosi, il Ministro della salute Lorenzin ha dichiarato che, a seguito della conclusione dell’iter di aggiornamento dei nuovi lea, l'endometriosi sarebbe rientrata nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione e che una specifica attenzione particolare alla patologia sarebbe stata dedicata anche nell'ambito del Piano nazionale per la fertilità,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per inserire l'endometriosi nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria (ambulatoriali e specialistiche, per l'acquisto di farmaci e di diagnostica) a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999;
ad assumere iniziative per apportare le necessarie modifiche al decreto del Ministro della salute 12 settembre 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2006 per l'introduzione di tariffe differenziate relative alle prestazioni sanitarie per il trattamento e la cura dell'endometriosi, nell'ambito del sistema di classificazione Diagnosis related group (DRG), tenendo conto della tipologia e dell'intervento effettuato;
ad assumere iniziative per istituire presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale dell'endometriosi e i relativi registri regionali, con le seguenti finalità:
a) permettere la raccolta e lo scambio di dati specifici e aggiornati in materia di endometriosi che, conseguentemente, siano alla base delle strategie condivise di intervento sulla patologia, per ambito geografico;
b) monitorare l'andamento del fenomeno, rilevare le problematiche ad esso connesse e le eventuali complicanze, allo scopo di conoscerne l'esatta incidenza e prevalenza, anche su base regionale;
c) sviluppare le necessarie analisi epidemiologiche, cliniche e sociali in grado di migliorare la conoscenza della malattia, gli standard assistenziali e gli aspetti chirurgici, nonché i risvolti psicologici e sociali che essa inevitabilmente comporta;
d) consentire una migliore razionalizzazione delle risorse umane ed economiche con effetti positivi sulla diagnosi precoce, sul trattamento più adeguato e sulla qualità di vita delle pazienti affette;
ad adottare iniziative per potenziare la risposta alla patologia, favorendo lo sviluppo e il radicamento di strutture aziendali e regionali di riferimento, correlate tra loro, che contribuiscano alla crescita dell'appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici, in particolare abbreviando i tempi di diagnosi;
a promuovere adeguate campagne di sensibilizzazione del personale sanitario che consentano di migliorare la capacità di rapida individuazione delle pazienti a rischio in modo che vengano indirizzate ai centri regionali di riferimento e – nei casi più complessi – alle strutture hub della rete nazionale di riferimento, che devono garantire una presa in carico raffinata, capace di limitare al minimo le sequele invalidanti per le pazienti, riducendo il rischio di complicanze gravi e di recidive;
a verificare la possibilità di costruire un'adeguata azione di supporto psicologico per le donne affette dalle forme più gravi di endometriosi che aiuti nella gestione delle possibili complicanze e, in particolare, supporti le pazienti per tutte le problematiche connesse alla riduzione della fertilità;
ad affiancare le associazioni delle pazienti, valorizzandone la capacità di intermediazione e le attività di supporto alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni e sostenendole in tutte le azioni di sostegno psicologico e materiale diretto e indiretto nei confronti delle donne e delle loro famiglie;
ad istituire presso il Ministero della salute una commissione di esperti nel settore dell'endometriosi, ai cui lavori partecipino anche le associazioni delle pazienti, alla quale sia attribuito il compito di predisporre apposite linee guida per la buona pratica della cura e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti e dei medici, nonché il compito di individuate azioni e iniziative per la prevenzione;
a presentare ogni anno alle Commissioni parlamentari competenti una relazione di aggiornamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di endometriosi, con particolare riferimento al registro nazionale di monitoraggio e alla spesa sanitaria e farmacologica.
(1-01240) «Vargiu, Monchiero, Vezzali, Capua, Molea, Matarrese, Vecchio, Librandi, Galgano, Dambruoso, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica uterina che colpisce circa tre milioni di donne italiane: le colpisce nel fisico – si impianta al di fuori dell'utero, viene stimolata dal ciclo mestruale ed è associata a forti dolori invalidanti, causa spesso l'infertilità e può compromettere una normale vita sessuale – e le emargina sul lavoro, determinando spesso spietate espulsioni dal ciclo produttivo;
in mancanza di registri nazionali, i dati epidemiologici più attendibili sono quelli che sono stati utilizzati dal Senato della Repubblica Italiana per la predisposizione dell'indagine conoscitiva approvata dalla 12a Commissione permanente igiene e sanità nella seduta del 18 gennaio 2006: in quel documento si riportano dati Onu che stimano che le donne colpite da endometriosi in Europa siano 14 milioni, 5,5 milioni nel Nord America e 150 milioni nel mondo;
l'esatta prevalenza (stima della popolazione di donne sottoposte a management per endometriosi in un dato tempo) e l'incidenza (numero di nuovi casi diagnosticati in un anno) dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di precisi dati numerici nazionali sull'entità del fenomeno, è possibile far riferimento a quelli internazionali, che mostrano una prevalenza della malattia pari a circa il 10 per cento nella popolazione generale femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census Bureau ha evidenziato una prevalenza di 2.902.873 su una popolazione stimata di 58.057.477;
sin dal 19 aprile 2004, duecentosessantasei membri del Parlamento europeo (con delibera 30/2004) avevano firmato la Written Declaration on Endometriosis nella quale veniva segnalata la scarsa conoscenza della malattia, sia tra i medici sia nella popolazione. Nel documento, inoltre (che stimava in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi in malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea) si invitavano i Governi nazionali degli Stati membri e la Commissione europea ad adoperarsi per l'istituzione di giornate annuali sull'endometriosi nell'intento di accrescere l'informazione sulla malattia. La Commissione europea veniva sollecitata, infine, a inserire la prevenzione del endometriosi nei futuri programmi europei per la salute pubblica ed a favorire la ricerca sulle cause, la prevenzione e il trattamento della patologia;
pur essendo tendenzialmente benigna, l'endometriosi agisce in modo progressivo ed è di difficile individuazione, motivo per il quale si calcola che sia diagnosticata in media nove anni dopo il suo emergere, quando circa il 75-80 per cento delle donne da essa colpite sono ormai soggette ai numerosi sintomi citati: forte dolore, infertilità, stanchezza;
il fatto che l'endometriosi emerga con tanta lentezza e con sintomi non immediatamente percepibili da parte delle donne colpite fa sì che molte malate non si sottopongono alle visite mediche presso le strutture pubbliche, per le quali – non essendo la malattia (che oltretutto è cronica e quindi necessita di continua assistenza medica senza soluzione di continuità) esentata dal ticket in base al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 329 del 1999 – risulta necessario partecipare al costo della prestazione effettuata dal Servizio sanitario nazionale;
alla luce di tale contesto, è necessario non solo accendere i riflettori sulla malattia e sul disagio vissuto dalle donne, per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, ma è fondamentale promuovere altresì una vera cultura della prevenzione, anche sostenendo la ricerca con finanziamenti ad hoc. In questo modo, si potrà mettere in atto un'adeguata prevenzione e si potranno individuare nuovi test di diagnostica precoce;
nel 2009, l'allora Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna, si fece promotrice di un protocollo d'intesa sottoscritto assieme ad Inps, Inail, Istituto per gli affari sociali e Fondazione italiana endometriosi: il protocollo intendeva mettere in campo una sinergia istituzionale di alto profilo per sostenere tutte le azioni necessarie ad aiutare le donne che soffrono di endometriosi, con pesanti risvolti sulla vita privata, lavorativa e sociale; tra gli obiettivi del protocollo vi erano quelli di implementare il sistema di informazione e prevenzione della malattia, stimolare l'interesse per la ricerca scientifica e porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro;
la validità del suddetto protocollo (siglato il 22 luglio 2009) è scaduta nel luglio 2014; sul mancato rinnovo dello stesso, pesa anche l'assenza, nella compagine di Governo, di un Ministro per le pari opportunità, particolarmente attento a questo tipo di tematiche;
nel 2012 il Friuli Venezia Giulia ha adottato una legge specifica che tutela le donne affette da endometriosi (legge regionale n. 18 del 2012); nel 2014, le misure sono state approvate dalla regione Puglia e dalla Sardegna (legge regionale Sardegna n. 26 del 2014, legge regionale Puglia n. 40 del 2014); nel 2015, anche la regione Molise ha stabilito norme specifiche sul tema, con la legge regionale n. 1 del 2015;
è necessario sostenere la straordinaria rilevanza nazionale della questione, e misure per affrontare l'endometriosi quale patologia invalidante, che tocca da vicino, e con conseguenze importanti, le donne,
impegna il Governo:
ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento della malattia nell'elenco delle patologie per le quali si ha diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria tramite l'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad adottare specifiche iniziative per sostenere le donne affette da endometriosi, anche finalizzate alla riduzione dei costi che le pazienti affrontano, con misure volte all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi, nonché per l'acquisto di farmaci;
a favorire opportune campagne di sensibilizzazione, che puntano a diffondere una presa di coscienza dei problemi che l'endometriosi comporta nella vita delle donne, anche attraverso specifiche campagne di informazione indirizzate alla classe medica e alla popolazione potenzialmente a rischio;
a promuovere, con ogni iniziativa di competenza, la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, con specifiche iniziative di supporto alla ricerca scientifica, con l'obiettivo di individuare nuovi test diagnostici e cure farmacologiche efficaci, che permettano di ridurre la sofferenza delle pazienti e i costi della malattia, anche coordinando ricerche e statistiche sulla fenomenologia e ricerche epidemiologiche sulle cause dell'endometriosi;
ad assumere iniziative per favorire un percorso di assistenza alle donne affette da endometriosi, stimolando con opportune azioni una migliore gestione del problema soprattutto nei luoghi di lavoro, a piena garanzia del diritto alla salute delle donne e a tutela del posto di lavoro;
a monitorare quantitativamente e qualitativamente i casi di endometriosi tramite l'istituzione di un apposito registro nazionale per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi.
(1-01243) «Milanato, Occhiuto, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Nizzi, Polidori, Polverini, Elvira Savino, Sandra Savino, Russo, Carfagna, Nesi».
La Camera,
premesso che:
come è noto, gli Stati europei stanno attraversando un periodo di transizione demografica che pone al centro il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, la necessità di promuovere iniziative a favore della qualità della vita e del benessere delle persone più mature per garantire un invecchiamento attivo della forza lavoro. In Italia, se nel 2013 si contavano 17 milioni di individui over 50, si prevede che nel 2033 saranno 22,5 milioni;
da diversi anni, il tema dell'occupazione dei cosiddetti older workers (lavoratori maturi) è all'attenzione delle politiche di programmazione europee e nazionali, ed è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore «maturo»;
le ricerche inerenti la partecipazione al mondo del lavoro specificano come il range più utilizzato sia quello di un'età compresa tra i 50 e 55 anni in quanto si tende a identificare il lavoratore maturo come colui per il quale la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro diventa sempre più bassa; un lavoratore destinato a fuoriuscire, nel breve termine, dal mondo del lavoro e sul quale non vengono effettuati investimenti a lungo termine;
se infatti, per oltre un secolo il sistema di tutele sociali ritagliate sui rischi prevedibili delle singole fasi del corso di vita (gioventù, maturità, vecchiaia) aveva svolto efficacemente il suo ruolo protettivo, nella situazione attuale, caratterizzata da condizioni di minore stabilità e da ingressi più tardivi nell'occupazione regolare, la questione è divenuta quella di trovare nuove combinazioni fra flessibilità e sicurezza che consentano alle imprese di valorizzare le risorse possedute, coniugando le proprie esigenze di sviluppo con le esigenze individuali di protezione e di promozione sociale dei lavoratori che in esse operano;
la crescita della disoccupazione nelle fasce più adulte della popolazione è un fenomeno che si è diffuso anche a livello nazionale negli ultimi anni, esito di una crisi che, in assenza di processi di riconversione, all'interno dei settori in difficoltà, ha generato l'espulsione dal mercato del lavoro di un'ampia fascia di lavoratori cosiddetti «maturi», i quali trovano oggi grande difficoltà di reinserimento;
si tratta generalmente di lavoratori che, in possesso di esperienze di lavoro polivalenti, maturate nel contesto di imprese medio-piccole o artigiane, sono arrivati alla soglia dei 50 anni di età senza contratti di lavoro regolarizzati, oppure non sono mai entrati nel mercato del lavoro, oppure di persone la cui domanda di servizio si attiva in rapporto ad eventi di perdita del lavoro connessi a crisi aziendali o di settore che interessano anche fasce di professionalità con responsabilità gestionali o dirigenziali, ed il cui sviluppo è strettamente connesso con le caratteristiche del mercato del lavoro locale, nonché alla capacità di gestione del sistema degli ammortizzatori sociali; lavoratori inattivi per i quali l'ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d'uscita lo ha fatto. Effetti che risultano dilatati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto dagli interventi legislativi degli ultimi anni;
l'allungamento della vita media ed i continui cambiamenti legislativi inerenti l'età pensionabile hanno reso sempre più centrale il tema dell'invecchiamento della popolazione al lavoro: un aspetto dei tempi moderni da affrontare inevitabilmente; i prossimi decenni saranno caratterizzati dall'invecchiamento della popolazione, che porrà una delle sfide globali più complesse dal punto di vista sociale, economico e culturale;
i dati Istat dimostrano che dal 2005 al 2015 il tasso di disoccupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni (pari a 5,5 per cento a livello nazionale nel 2015) è aumentato in tutte le ripartizioni: nel 2015 ha raggiunto il 7,7 per cento nel Mezzogiorno, il 4,8 per cento al centro e il 4,5 per cento al nord, con un gap di genere sfavorevole agli uomini, che soffrono più delle donne la difficoltà di permanenza o di reinserimento nel mercato del lavoro. Fra gli uomini, il tasso di disoccupazione raggiunge infatti l'8,9 per cento nel Mezzogiorno (5,4 per cento fra le donne), il 5,7 per cento al centro (3,7 per cento fra le donne) e il 4,9 per cento al nord (3,9 per cento fra le donne);
il tasso di inattività nella classe di età 55-64 anni, seppure in costante calo nell'ultimo decennio, conferma la bassa partecipazione al mercato del lavoro di questa fascia di popolazione, presentando un accentuato gap di genere a sfavore delle donne in tutte ripartizioni geografiche. A livello Italia, nel 2015, il tasso di inattività registrato è del 48,9 per cento, a sintesi del 36,7 per cento degli uomini e del 60,4 per cento delle donne. A livello territoriale, il centro è l'area con i tassi più contenuti, sia per le donne (52,4 per cento) che per gli uomini (31,8 per cento), il nord si attesta su un valore intermedio (il 37,0 per cento per gli uomini e il 57,4 per cento per le donne), mentre il Mezzogiorno è quella con i valori più elevati (il 39,1 per cento per gli uomini e il 69,0 per cento fra le donne) e il divario più esteso;
un ripensamento complessivo della logica e delle modalità di inclusione delle persone anziane nel mercato del lavoro è necessario per rendere lavoratrici e lavoratori giovani e meno giovani complementari e non antagonisti;
la valorizzazione del lavoro delle classi di età mature e anziane è il focus di riferimento principale, da sviluppare con attenzione sia al livello delle politiche pubbliche o di sistema, sia a quello delle linee di azione nell'ambito delle organizzazioni private e pubbliche;
la capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze, abilità e culture diverse può consentire, nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, all'impresa di fare un reale balzo in avanti. In particolare, di guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato, di adattarsi ed anticipare i cambiamenti demografici in atto, di garantire la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a rimanere nell'azienda e a crescere;
una prima risposta è stata offerta dall'articolo 4, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con il quale si è introdotto, a decorrere dal 2013, una specifica tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, per 18 mesi, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori ultracinquantenni;
successivamente, il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014, a previsto il cosiddetto contratto di ricollocazione, prevedendo il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; è stato inoltre riconosciuto il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico;
in tale prospettiva, un ruolo strategico viene riconosciuto ai servizi per il lavoro, quali strutture deputate alla gestione di azioni ed interventi di politica attiva e passiva orientati a rispondere alle nuove domande sociali connesse al prolungamento della vita lavorativa;
a tale fine, la riforma delle politiche attive del lavoro portata avanti dal Governo in carica, attraverso la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione, grazie al ruolo dell'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, istituita con il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015, dovrà trovare il più sollecito perfezionamento operativo;
parimenti, un ruolo centrale potrà essere svolto dai fondi di solidarietà, come disciplinati dal decreto legislativo n. 148 del 2015, con la finalità di assicurare a tutti i lavoratori e le lavoratrici una tutela in costanza del rapporto di nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria; nonché, in particolare, di prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo, a coloro che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; contribuire al finanziamento di programmi formativi di fondi europei;
da ultimo, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 284, ha introdotto per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori a cui mancano tre anni alla pensione, i quali potranno scegliere di passare al part-time, mantenendo uno stipendio pari a circa il 65 per cento rispetto a quello percepito fino a quel momento e senza nessuna penalizzazione sulle pensioni;
il fenomeno dell'alta presenza dei lavoratori maturi diverrà un tema centrale di cui le aziende, insieme alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dovranno occuparsi nel quotidiano. A fronte di una popolazione sempre più ageé, dunque, diviene indispensabile interrogarsi sulle strategie per sfruttare in chiave competitiva tali mutamenti e avviare azioni di valorizzazione della fascia « over», tal fine di garantirsi lavoratori «attivi» fino al momento dell'uscita dal mercato del lavoro;
un percorso sull'invecchiamento attivo permette all'azienda di valorizzare meglio le sue risorse in termini di capitale umano, ma anche di ripensare le sue politiche di risorse umane, nell'ottica della gestione delle carriere dei lavoratori in azienda lungo tutto l'arco della vita, contribuendo in questo modo ad una migliore pianificazione delle politiche di risorse umane e all'ideazione di diversi percorsi di crescita professionale,
impegna il Governo:
a proseguire, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, nell'azione di sperimentazione di iniziative di sostegno di modalità di impiego flessibile dei lavoratori ultracinquantenni, anche prevedendo forme di scambio generazionale delle competenze, senza penalizzazioni sia per i giovani sia per i lavoratori più anziani;
a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, verificando la possibilità di adottare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, un percorso di accompagnamento per i lavoratori vicini al pensionamento;
a monitorare gli effetti dei diversi strumenti legislativi adottati finora, per il sostegno dell'occupazione dei lavoratori ultracinquantenni, anche al fine di un più efficace coordinamento e di una ridefinizione degli interventi esistenti;
a procedere con la massima sollecitudine al perfezionamento del processo di costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive, delineando specifiche linee di azione rivolte all'orientamento e al sostegno nella ricerca di nuova occupazione per i lavoratori ultracinquantenni, anche attraverso la definizione di appositi percorsi formativi, volti a moltiplicare le occasioni di apprendimento e di riqualificazione in età adulta.
(1-01245)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Vico, Nesi, Antezza, Amoddio».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati ISTAT nel 2015 il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in a posizione subordinata rispetto agli uomini»;
sempre secondo l'Istat, in Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale: abusi troppe volte non denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
una ricerca di Enveff (l'Enquête nationale les violences envers les femmes en France) ha dimostrato che nei 12 mesi successivi alla violenza aumenta per le donne del 26 per cento il rischio di suicidio;
l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che una percentuale variabile (tra il 44 e il 59 per cento) di donne vittime di violenza sviluppa disturbi depressivi o manifesta dipendenza da alcolici e disturbi alimentari;
a una vittima di violenza sessuale viene diagnosticato nei primi giorni dal trauma un «Disturbo Acuto da Stress» (ASD) che si manifesta, nella maggior parte dei casi, come un pensiero fisso; nei sei mesi successivi diventa «Disturbo Post Traumatico da Stress» (PTSD) nei quali riaffiorano brutti ricordi e questo disagio può trasformarsi, quando i sintomi persistono, in «Disturbo da Disadattamento»: condizioni queste che vanno trattate farmacologicamente e necessitano, non di rado, di sostegno psicologico e psichiatrico;
in Italia ci sono i centri antiviolenza per le donne riuniti nel coordinamento D.i.RE., che hanno redatto delle linee comuni di intervento sulla presa in carico di vittime: un lavoro ancora inadeguato rispetto alla realtà, anche perché sono ancora pochi i centri specializzati per la cura di questi tra (mentre sono presenti e attive sul territorio associazioni che forniscono assistenza telefonica, medica, psicologica e legale alle donne abusate);
il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altra forma di violenza, va analizzato nel contesto nel quale si manifesta; ha risvolti psicologici se muove da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, può scaturire dall'esaltazione di gruppo. Non di rado risponde a un bisogno fisico dell'aggressore o nasce dalla consapevolezza acquisita da un vissuto maschilista, da un convincimento religioso, che identifica la donna in una proprietà, o peggio, la considera un oggetto;
in ogni caso, una donna che subisce violenza è minata nella sua libertà: per questo nessun caso può essere giustificato, anzi va denunciato e perseguito con ogni mezzo;
ci sono realtà, soprattutto nei Paesi di religione musulmana, dove le donne non hanno il diritto di studiare, non possono guidare un'auto, vengono date in sposa dalle famiglie anche in giovanissima età, vengono scambiate o ripudiate contro la loro volontà: in questi contesti, le donne (che pure lavorano quanto se non addirittura di più e più duramente degli uomini) sono considerate prive di libertà, sono ritenute inferiori e spesso mortificate fisicamente e psicologicamente;
di fronte a questa percezione del genere femminile, alla necessità di governare il fenomeno migratorio (che sta assumendo dimensioni bibliche), nonché all'urgenza di accreditare la convivenza civile come modello di comportamento che garantisca il reciproco rispetto di culture, usi e costumi diversi, se si vuole realizzare l'integrazione, si impone a riflessione su quanto è accaduto nei mesi scorsi in Europa;
diverse città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo ad opera di immigrati extracomunitari e nordafricani che hanno compiuto abusi, maltrattamenti e rapine: questi fatti inducono a ragionare su quale sia effettivamente il rapporto fra l'islam e le donne;
nello specifico, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne: centinaia di giovani uomini immigrati hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
questi accadimenti, per l'alto numero delle vittime coinvolte, fanno pensare più a una sfida verso l'occidente che non a gesto di dispregio verso le stesse;
per questo, occorre capire fino a che punto siamo pronti alle sfide e come dobbiamo affrontare fenomeni come globalizzazione e multiculturalismo che presentano modelli di società diversi e attribuiscono a uomini e donne funzioni differenti e nessuna parità di dignità e di diritti;
la tolleranza cui si deve far necessariamente ricorso per gestire situazioni difficili, affinché ogni piccola divergenza non degeneri in scontro, non deve essere scambiata per debolezza, non deve autorizzare chi cerca un approdo e una opportunità per sé e per la propria famiglia, a pensare che qui è tutto consentito o dovuto; non possiamo neppure ritenere che tutto ciò che è nuovo o da integrare costituisca una minaccia;
considerato che il fenomeno della violenza sulle donne è e problema anche italiano e che va combattuto soprattutto a livello culturale, non dobbiamo permettere che gli episodi di cronaca possano essere utilizzati in modo strumentale per considerare gli immigrati tutti colpevoli o ridurli a un problema;
da anni, visto che siamo un continente in difetto di crescita, i demografi ritengono questi flussi una opportunità da valorizzare per contrastare l'invecchiamento della popolazione;
uno dei principi sui quasi si basa l'Unione europea è quello di considerare i 500 milioni di cittadini «uniti nelle diversità»; differenze costruttive da cui partire per un collettivo arricchimento culturale e sociale, ma anche come forma di apertura verso tutto ciò che è altro rispetto a quanto già coinvolto nel processo di integrazione,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative che impediscano il verificarsi (come già accaduto in altri Paesi europei) di episodi diffusi di violenze collettive contro le donne attraverso un potenziamento dello scambio di informazioni con le autorità di pubblica sicurezza di altri Paesi europei;
ad assumere iniziative per realizzare controlli accurati, al fine di impedire l'accesso in Italia a quei soggetti segnalati o coinvolti in episodi di violenza contro le donne denunciati in Europa;
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte a sostenere anche in ambito processuale le donne vittime di violenza e a garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi proseguendo nella direzione giù delineata dal decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013 e dal decreto legislativo n. 215;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
a valutare l'opportunità di finalizzare e rafforzare ulteriormente le attività delle forze di polizia volte alla prevenzione e repressione del fenomeno della violenza contro le donne anche attraverso una mirata intensificazione dei servizi di vigilanza nei luoghi e nelle fasce orarie più a rischio;
ad assicurare una tempestiva informazione alla popolazione sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una corretta integrazione rispettosa dei diritti di tutti e aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01250)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vezzali, Monchiero, D'Agostino, Galgano, Librandi, Matarrese, Molea, Vargiu, Rabino, Nesi».
La Camera,
premesso che:
i dati diffusi dall'Istat nel mese di febbraio 2016, testimoniano un tasso di disoccupazione dell'11,7 per cento, in lieve aumento (0,1 per cento). A febbraio il numero dei disoccupati è cresciuto dello 0,3 per cento pari a +7 mila, sintesi di una crescita tra gli uomini e un calo tra le donne;
diminuisce anche il numero degli occupati. Dopo la crescita di gennaio (+0,3 per cento pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento (-97 mila persone occupate). La diminuzione di occupati coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni, mentre, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4 per cento (+58.000);
su base annua il numero di occupati è in crescita dello 0,4 per cento (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4 per cento, pari a –136 mila), sia gli inattivi (-0,7 per cento, –99 mila);
si tratta, come ha evidenziato il Ministro Poletti di un mercato del lavoro che continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze;
le oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136.000 disoccupati in meno e 96.000 occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato;
in questo contesto, si inserisce il problema dei disoccupati maturi, ultraquarantenni che hanno perso il posto di lavoro e per i quali è sempre più difficile trovare una collocazione. Il problema dei lavoratori «over 40» è sempre più sentito in un contesto in cui il mercato è in tensione ed in continua riprogrammazione a favore della ancora più temuta disoccupazione giovanile, cosa che rende il reinserimento degli over 40 sempre più complesso;
è evidente la necessità, sentita soprattutto in conseguenza dell'abolizione del pensionamento di anzianità e dell'aumento dell'età del pensionamento di vecchiaia, disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011, di ricorrere a nuovi strumenti giuridici in grado di rafforzare la domanda di lavoro, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o comunque frenano la domanda e l'offerta nella fascia degli over quaranta;
occorre favorire l'invecchiamento attivo, combinando e conciliando le esigenze peculiari dei lavoratori fuoriusciti dal mercato del lavoro – a causa della perdita del posto di lavoro o perché inattivi e immotivati nella ricerca di uno nuovo – e quelle delle imprese, delle famiglie e delle comunità locali;
nella passata legislatura diverse sono state le proposte avanzate e discusse, in merito, che nella presente legislatura hanno trovato un parziale seguito attraverso i decreti delegati al cosiddetto «Jobs Act» e con la legge di stabilità 2616; ci si riferisce in particolare alle proposte riguardanti la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, così come quella riguardante un incentivo all'assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell'orario dei lavoratori cosiddetti «anziani», e quella riguardante la possibilità di attivazione di un pensionamento parziale, in corrispondenza con la riduzione dell'orario;
si tratta di proposte alimentate dalla necessità di venire incontro alla disoccupazione giovanile, in grado di prendere in considerazione contemporaneamente l'emergenza, sempre più allarmante dell'occupazione dei lavoratori maturi;
da ciò si pone anche quindi la necessità di intervenire nella fase di accesso al lavoro, nella maternità e nella malattia, e altro e non solo attivando dei meccanismi, basati sulle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e su forme di promozione del cosiddetto «invecchiamento attivo». In tal senso, le politiche e le strategie aziendali dovrebbero mirare a trarre il meglio dalle potenzialità che i lavoratori esprimono in funzione sia della loro età, ma anche della loro condizione personale e familiare;
dunque, occorrerebbe promuovere una politica (sia pubblica che aziendale) legata al ciclo di vita per garantire, in tutti i casi, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di ricambio generazionale, che operino attraverso modelli non più basati sul conflitto generazionale, ma piuttosto sulla valorizzazione delle persone;
è di tutta evidenza la necessità non solo di introdurre incentivi mirati a sostenere la ricollocazione dei lavoratori maturi espulsi o a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, ma soprattutto di promuovere e agevolare l'utilizzo di strumenti e politiche finalizzate a sostenere la diversa capacità di lavoro di questi lavoratori. Dunque valorizzazione della persona, del lavoratore, posto al centro delle attività produttive e occupazionali;
nel corso degli ultimi anni, tuttavia, sono stati applicati incentivi economici di sostegno alle assunzioni, che si sono rivelati utili, ma da soli non sufficienti a risolvere il problema occupazionale. Infatti, agli incentivi nazionali previsti dalla cosiddetta «legge Fornero» (riduzione del 50 per cento, della quota contributiva a carico del datore di lavoro per l'assunzione di un lavoratore over 50 disoccupato da almeno 12 mesi con contratto a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione), si sono aggiunti incentivi regionali anche questi finalizzati alle assunzioni. Incentivi per lo più di tipo esclusivamente economico (in 10 regioni), con azioni integrate (6 regioni) o di natura strettamente formativa (2 regioni);
in questo contesto, appaiono necessarie politiche occupazionali di sostegno ai lavoratori maturi, in grado di porre l'accento non solo sull'occupabilità, ma anche sulla capacità di lavoro (diversity management), ambito quasi totalmente disatteso dal tipo di incentivi finora attuati;
è importante conoscere e monitorare la situazione occupazionale dei lavoratori over 40, su cui ad oggi non si hanno dati puntuali, ma solo presunti, a causa di quanti, sconfortati, abbandonano la ricerca di un posto di lavoro. Solo così è possibile favorire il cambiamento culturale tanto atteso, nel mondo imprenditoriale, nelle parti sociali, nonché nei lavoratori stessi, valorizzando l'età come esperienza da utilizzare in tutti i contesti della vita sociale e lavorativa,
impegna il Governo:
a promuovere ogni utile iniziativa atta a diffondere una cultura nonché «buone pratiche» finalizzate alla valorizzazione degli ultraquarantenni nei processi di ricerca e selezione di personale, favorendo un approccio pro-attivo tra i principali player del mercato del lavoro (agenzie del lavoro e imprese);
ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte a coinvolgere in tale evoluzione le aziende;
a valutare l'opportunità di prevedere campagne di comunicazione sui principali media italiani per dare visibilità ad imprese e agenzie del lavoro che hanno sviluppato comportamenti o realizzato esperienze particolarmente interessanti e innovative;
a valutare la possibilità di adottare iniziative, anche normative, volte a favorire un'equilibrata combinazione tra gli incentivi economici e le buone pratiche manageriali, oltre che una efficiente rete di ricollocazione degli ultraquarantenni anche attraverso il monitoraggio dei fondi stanziati in tale ambito.
(1-01251)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palladino, Monchiero, Vargiu, Vezzali, Oliaro, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'ondata migratoria che nell'ultimo anno ha sconvolto l'Europa è un'emergenza sociale globale, un dramma mondiale che mostra l'orrore delle guerre e della carestia ma anche del terrorismo fondamentalista;
senza ignorare la complessità della questione e le sfaccettature molteplici, senza nascondere la difficoltà di trovare soluzioni efficaci e lungimiranti per un fenomeno complesso, intriso di fanatismo religioso, che ha provocato reazioni di razzismo e intolleranza, questi episodi richiedono una risposta straordinaria che impegna in modo unitario la comunità internazionale e l'Europa in una comune responsabilità per una risposta forte ed immediata anche da parte del nostro Paese, con regole comuni capaci di tenere insieme accoglienza e rigore, solidarietà e intransigenza nel rispetto delle regole che valgono per tutti e sulle quali non è possibile transigere;
il 31 dicembre 2015 a Colonia e in altre città europee si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco contro la dignità e la libertà femminile, colpendo il corpo delle donne, violenza che ha minato ancora luoghi di convivenza, di quotidianità, di relazioni;
si ritiene irrinunciabile e urgente difendere la libertà femminile da ogni forma di violenza sessuale, affinché non si verifichino altri episodi analoghi, in considerazione anche del fatto che il nostro Parlamento in questa legislatura è composto da un elevato numero di donne, che ha approvato la Convenzione di Istanbul, la democrazia paritaria e altre norme, seppure ancora insufficienti, ma certo significative per sostenere e tutelare la presenza e il ruolo femminile nella società e nel lavoro;
non si vuole consegnare nelle mani del populismo razzista una presunta difesa delle donne, laddove proprio il razzismo e il maschilismo peggiore sono connessi da un comune denominatore culturale basato sulla prevaricazione, mentre la cultura dell'accoglienza è il filo conduttore della storia biologica e culturale femminile, ma anche della storia politica delle donne, basata sui valori della solidarietà a cui non si vuole rinunciare;
non si deve giustificare in nessun luogo, ambito o cultura la violenza contro le donne perché non si tratta mai di un fatto privato, nemmeno quando avviene in casa, e non riguarda solo le donne, ma tutta la società, poiché questi episodi provocano costi umani e sociali inaccettabili, a livello locale e mondiale, consentendo il diffondersi dell'idea di un «corpo-cosa», che può essere posseduto, violato, venduto, umiliato, abusato, in una deriva dell'umano che acuisce sgomento e orrore,
impegna il Governo:
a proseguire, attraverso le iniziative di competenza, nell'affermazione come imperativo politico urgente dell'irrinunciabile diritto fondamentale alla libertà e alla dignità femminile contro ogni violenza, sia nel privato della violenza domestica, sia in ogni altro luogo, in Italia come in ogni altra parte del mondo;
a promuovere, nei contesti di accoglienza, anche azioni formative sui diritti delle donne, a cominciare dalle bambine, anche riguardo al dramma delle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni precoci, pratiche non infrequenti nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, aumentando altresì la vigilanza e i controlli;
a intensificare vigilanza, controllo e repressione, tramite il coinvolgimento delle forze dell'ordine e del sistema dei servizi sociali, contro i maltrattamenti in famiglia, gli stupri, la violenza assistita, lo sfruttamento della prostituzione, soprattutto minorile, la tratta;
a riformulare e a rafforzare, contestualmente, i progetti di informazione e prevenzione, volti a promuovere la cultura dei diritti delle donne nei percorsi scolastici, educativi, formativi e in ogni contesto familiare, lavorativo, assistenziale o sanitario, avvalendosi anche di campagne da attivare attraverso i media.
(1-01264)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Iori, Nicchi, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Gebhard, Mucci, Gribaudo, Rossomando, Fregolent, Di Salvo, Fabbri, Rotta, Covello, Carloni, Cenni, Zampa, Giuditta Pini, Piccoli Nardelli, Miccoli, Antezza, Patrizia Maestri, Sbrollini, Scuvera, Gadda, Moretto, Crimì, Malpezzi, Chaouki, Cova, D'Ottavio, Giuseppe Guerini, Cominelli, Schirò, Sereni, Mariani, Bruno Bossio, Mariano, Roberta Agostini, Braga, La Marca, Milanato, Giuliani, Tidei, Amato, Paola Boldrini, Piazzoni, Sgambato, Cimbro, Blazina, Iacono, Rubinato, Coccia, Carocci, Malisani, Miotto, Valeria Valente, Pollastrini, Gnecchi, Palma, Quartapelle Procopio, Villecco Calipari, Manzi, Cinzia Maria Fontana, Bini, Melilla, Zaccagnini, Duranti, Amoddio, Ricciatti».
La III Commissione,
premesso che:
il 25 aprile 2016 la Camera dei Comuni del Regno Unito, con un voto di misura di 294 su 276, ha respinto una proposta finalizzata a concedere l'asilo a circa tremila minori non accompagnati in prevalenza siriani che si trovano attualmente nei centri di accoglienza a Calais in Francia e altrove nel Regno Unito. L'emendamento era stato proposto e approvato dalla Camera dei Lord al termine di una campagna, condotta da associazioni per i diritti umani e social media, favorevole ad accogliere nel Regno Unito orfani o minori stranieri abbandonati provenienti dalla Siria;
la proposta di accoglienza di 3000 bambini era stata presentata da lord Alf Dubs, un membro del partito laburista che, da bambino aveva beneficiato dell'operazione Kindertransport, il programma sostenuto dall'allora Governo britannico per accogliere in Inghilterra i bambini rifugiati dalla Germania prima della seconda guerra mondiale. «Il mio messaggio ai conservatori è che nel 1938-1939 il nostro Paese accolse 10 mila piccoli rifugiati dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia, ed io ero uno di loro», ha detto Dubs. «Oggi si tratta di accettare un numero assai minore di bambini siriani ed è vergognoso che la Gran Bretagna non lo faccia»;
la battaglia sui media nel Regno Unito, all'indomani della decisione della Camera dei Comuni, è stata accesa al punto tale che i nomi di coloro che hanno votato contro l'emendamento sono stati pubblicati sulle principali testate giornalistiche;
la motivazione addotta dal Ministero dell'interno per il rifiuto dei minori stranieri non accompagnati, e che pare molto abbia fatto per indurre alcuni fra i deputati conservatori a votare contro il cosiddetto emendamento Dubs, come hanno riportato i principali giornali inglesi e europei, è stata che così facendo si sarebbe finito per «incoraggiare le famiglie a inviare i propri figli da soli in Europa esponendoli ai rischi del viaggio al pericolo dei trafficanti di esseri umani»;
secondo alcuni studi, per superare il trauma, potrebbe essere più facile un re-insediamento di queste bambine e di questi bambini nel proprio territorio piuttosto che un percorso di accoglienza in Europa;
tuttavia, questi minori non hanno più modo di re-insediarsi dato che sono soli e che si trovano già in Europa, in condizioni di estrema vulnerabilità, preda dei peggiori trafficanti ed esposti al rischio di sfruttamento e violenze;
in questi ultimi giorni il Governo inglese ha operato un cambiamento di rotta, anche grazie alla pressione delle organizzazioni umanitarie e dell'opinione pubblica. È del 4 maggio 2016 l'annuncio di David Cameron che ha dichiarato che nuove iniziative saranno assunte per i bambini richiedenti asilo. È utile sottolineare che il Governo del Regno Unito non sta fornendo alcun numero su quanti deciderà di accoglierne, in quanto dipenderà dal lavoro congiunto con le autorità locali al fine di prevedere entro la fine dell'anno i primi arrivi. Sembra plausibile verranno accolti i minori registrati in Grecia, Italia o Francia prima del 20 marzo 2016 ossia prima dell'entrata in vigore dell'accordo con la Turchia. Il Governo dovrebbe accettare l'emendamento «rivisto» di Lord Dubs nel momento in cui il progetto di legge sull'immigrazione tornerà alla Camera dei Comuni;
è chiaro che, pur accogliendo come positivo il segnale lanciato dal Governo del Regno Unito, appare ancora troppo aleatorio ciò che accadrà ai 3000 minori non accompagnati e i tempi previsti appaiono davvero inaccettabili per chi dovrà ancora passare un altro inverno al freddo;
risulta piuttosto imbarazzante e incomprensibile che nessuna voce si sia alzata in Europa in difesa di questi bambini, che nessuno abbia denunciato la totale violazione della Convenzione Onu per la protezione dei minori;
i dati sui minori stranieri non accompagnati sono sconvolgenti: la stima originale di Save the Children, che aveva valutato la presenza di 26.000 minori non accompagnati in Europa, appare ora desueta dopo la pubblicazione del rapporto del Bureau of Investigative Journalism. Il rapporto infatti mostra come questo dato sia quantomeno quadruplicato fra il 2014 e il 2015; nel 2015, infatti, i minori non accompagnati richiedenti asilo in Europa sono stati circa 95.000. Fra questi l'Europol ha dichiarato di aver perso le tracce di almeno 10.000, lanciando all'inizio del 2016 un vero e proprio allarme: possibile tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale, traffico d'organi e reclutamento nella criminalità;
i 3000 minori, invece, sono stati «mappati» dalle organizzazioni umanitarie e ci sarebbero tutte le condizioni per offrire loro protezione in tempi rapidi: va sottolineato che, da un punto di vista numerico, costituiscono la popolazione di poco meno di tre scuole italiane insediate in una zona molto urbanizzata;
dalla decisione di quale destino offrire a questi minori, dipenderà il destino stesso di quella che si può considerare l'anima dell'Europa;
va rilevato che la retrocessione sui diritti dei minori risponde a logiche di politica interna dei singoli paesi e non tiene conto della vulnerabilità della loro minore età e condizione e del loro diritto di mettersi in salvo. È triste dover constatare che la violenza subita dai bambini uccisi, sepolti vivi, trucidati dal terrorismo, nonché annegati nel nostro mare, sia già cosa dimenticata e non interroghi piuttosto le coscienze dei cittadini europei e dei loro governi;
il quadro normativo di riferimento per la tutela dei diritti dei minori è costituito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata anche dalla Gran Bretagna, indica gli obblighi agli Stati e alla comunità internazionale nei confronti dell'infanzia e, all'articolo 221 prevede, tra l'altro: «1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti. 2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, nelle forme giudicate necessarie, a tutti gli sforzi compiuti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e dalle altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere e aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo»;
in questo contesto, qualunque azione omissiva che incentivi o esponga i minori, anche indirettamente, al rischio di violenze, maltrattamenti, sfruttamento, rapimento o non adeguata cura è da considerarsi una violazione della Convenzione stessa;
in Italia, in questi giorni è stata avviata una mobilitazione via web e sui social network, con hashtag #SaveTheKidsOfCalais – #SaveTheSoulOfEurope, in cui si chiede che le istituzioni dell'Unione europea e dei singoli Paesi membri promuovano tutte le iniziative necessarie ad assicurare il rispetto dei diritti e quindi il benessere dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro l'asilo sul suolo europeo. La mobilitazione ha già raccolto centinaia di adesioni;
come cittadini europei non possiamo dimenticare che la vita e il benessere di ciascuna e ciascuno di questi bambini valga esattamente quanto la vita e il benessere di ciascuna e ciascuno dei bambini nati qui in Europa;
la scomparsa di minori stranieri non accompagnati avviene, per lo più, prima della loro collocazione nella comunità di accoglienza o case famiglie e, dunque, in uno spazio temporale che di fatto rappresenta una sorta di sospensione delle tutele e delle garanzie previste dalla Convenzione Onu e dalla legislazione vigente. Anche per questo è stata presentata alla Camera la proposta di legge, atto Camera 1658, concernente «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati» a prima firma del primo firmatario del presente atto ed è ormai improrogabile che il Parlamento giunga ad una celere approvazione della proposta,
impegna il Governo
ad adoperarsi in tutte le sedi europee affinché ciascuno degli Stati membri si faccia promotore della tutela e protezione dei 3.000 minori stranieri non accompagnati presenti a Calais e nei luoghi dove sono stati censiti, assumendo tutte le iniziative necessarie affinché sia concesso loro l'asilo sul suolo europeo, assicurando il rispetto dei diritti di questi minori in osservanza alla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989.
(7-00997) «Zampa, Quartapelle Procopio, Garavini, Tidei, La Marca, Cimbro, Chaouki, Locatelli».
DE LORENZIS, GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'Enac istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento «12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
da osservazioni (così protocollate DVA-00_2015-0027618 e disponibili sul sito http://www.va.minambiente.it) presentate nell'ambito di detta procedura emergerebbero gravi incompletezze ed errori evidenziati soprattutto nell'ambito dell'esame dell'elaborato d'integrazione INT-PAE-00-REL-002 prodotto da Enac riferito allo Studio di impatto ambientale compendiate nella relazione del Professor Architetto Alessandro Dini (pagine 83 e seguenti) che deduce l'incompetenza che caratterizza le argomentazioni addotte a sostegno dei cosiddetti approfondimenti paesaggistici esaminati tali da inficiare in fatto e in diritto l'intero studio d'impatto ambientale predisposto da Enac e agli atti dell'approvazione del master plan 2014-2029 per l'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze in attuazione della Deliberazione del CRT n. 61 del 2014. E;
secondo le citate osservazioni, in particolare, i relativi progetti risulterebbero lacunosi e portatori di risultati omissivi della necessaria valutazione colta, completa ed esaustiva del reale rischio ambientale e paesaggistico e di limitazione al godimento del patrimonio culturale UNESCO. Nello specifico si assume che si sconvolgerebbero i già precari equilibri antropico/naturali, senza che sia attuata una valutazione alcuna di nuovi impatti o alternative previsioni pianificatorie, e in caso di realizzazione si evidenzierebbero caratteri di certezza di rischio e di minacce ambientali, superando i livelli già di per loro stessi allarmanti di probabilità o possibilità;
ulteriori lacune ed approssimazioni sono dedotte dai sindaci promotori di un confronto pubblico «Aeroporto parliamone» secondo i quali avrebbe trovato «conferma il dubbio principale che ci ha spinto a promuovere questo percorso ossia che il Master Plan presentato non è un progetto degno di essere oggetto di valutazione di impatto ambientale. Troppe sono le lacune e le approssimazioni, troppo espliciti sono gli interessi economici privati del nuovo scalo, a scapito di una programmazione strategica e ambientale di un'area che deve essere considerata un'unica città» (tratto da un articolo intitolato «Calenzano conclusi i confronti pubblici». «Aeroporto parliamone» Verdetto delle Assemblee « Master plan da rivedere») –:
se il Ministro interrogato, nell'ambito della procedura in corso, a fronte delle controdeduzioni di cui in premessa e dei rischi e degli errori rimarcati, intenda porre in essere specifiche iniziative di competenza a tutela dell'ambiente e della salute, anche eseguendo valutazioni integrative e approfondimenti ambientali-paesaggistici. (5-08678)
La Camera,
premesso che:
la cronaca recente è contraddistinta da ripetuti episodi di bullismo nel nostro Paese, che spesso connotano le relazioni tra ragazzi più e meno giovani. Casi in cui, nelle scuole o in ambienti frequentati da giovani, si verificano vessazioni e violenze (fisiche, verbali e psicologiche) ai danni dei più deboli o semplicemente di «categorie» percepite come «diverse», sono all'ordine del giorno;
l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei ragazzini di 11, 13 e 15 anni certifica che il 2 per cento delle ragazze e il 3 per cento dei ragazzi riferisce di aver subito atti di bullismo nella sua vita;
molto più diffuso il fenomeno del cyber-bullismo. Secondo una ricerca del Censis e della polizia postale in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti atti di bullismo attraverso la rete, nonché tentativi di adescamento da parte degli adulti, vessazioni, minacce, invio di foto o video a contenuto sessuale;
sia l'Organizzazione mondiale della sanità che il Censis certificano l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi reali e della rete;
anche in Italia si registrano costantemente gravi episodi di bullismo, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Qualche esempio:
a) a Torino un quindicenne del Canavese ha vissuto un incubo lungo 3 mesi, finendo in depressione. Perseguitato da un gruppo di bulletti, il ragazzo era costretto a pagarli di volta in volta e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato sistematicamente picchiato, 500 euro a settimana la richiesta folle, denaro che il ragazzino doveva sfilare ai genitori. «Se non puoi pagare la rata dovrai spacciare hashish per noi», 2 settimane fa; dopo 3 mesi, il ragazzo si è rivolto ai genitori e con loro ai carabinieri, che hanno arrestato due studenti minorenni, tutti della scuola superiore di Caluso;
b) in Brianza, in un tremendo video, visibile su tutti i social dal febbraio 2016, si vede una banda di ragazzini, molto probabilmente di origine straniera, nel comune di Mezzago (Monza e Brianza), mentre pesta con violenza inaudita un coetaneo. Nessuno degli altri adolescenti interviene. Ci prova un residente di mezza età, ma viene, a sua volta, insultato e minacciato;
c) a Lecce, in un paesino (Galatone) del Salento, l'11 febbraio 2016, un dodicenne è stato costretto dai suoi compagni a stendersi sui binari ferroviari e ad essere colpito da piombini di gomma sparati da un fucile ad aria compressa;
d) a Pordenone nel mese di gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni si è gettata dal balcone per colpa degli scherzi dei compagni di classe, lasciando una lettera: «Adesso sarete contenti». Il gesto è il risultato di mesi di bullismo perpetrato nei suoi confronti dai suoi compagni di classe;
a questi episodi si devono aggiungere i dati allarmanti sui fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come il cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
si tratta di una situazione che rende evidente l'inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio e di contrasto ad un fenomeno devastante che produce danni irreversibili nei confronti delle giovani vittime,
impegna il Governo:
ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a prevenire, individuare e reprimere con fermezza episodi di bullismo anche attraverso:
a) azioni mirate alla sicurezza nella rete, per garantire comportamenti corretti e per un uso consapevole delle tecnologie, attraverso un'opera di informazione, divulgazione e conoscenza, al fine di promuovere l'educazione ai media e la comprensione critica dei mezzi di comunicazione intesi non solo come strumenti, ma soprattutto come linguaggio e cultura;
b) l'implementazione delle linee guida destinate al personale della scuola, agli studenti e alle famiglie in merito alle indicazioni e riflessioni per la conoscenza e la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo e dei fenomeni ad esso riconducibili, e per realizzare interventi mirati di prevenzione del disagio, ponendo in essere specifiche azioni culturali ed educative rivolte a tutta la comunità scolastica e alle famiglie;
c) la realizzazione di una capillare campagna di sensibilizzazione presso le scuole, le istituzioni pubbliche e private, le famiglie e l'opinione pubblica sul grave problema della violenza giovanile, che coinvolga in particolare anche i minori, in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
d) la promozione di attività di aggiornamento e formazione dei docenti e l'attivazione presso le scuole di punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi;
e) la promozione di specifici incontri informativi tra gli enti interessati, al fine di condividere indicatori osservativi sul bullismo, strategie di intervento e metodologie operative;
f) l'introduzione, nel sistema nazionale educativo di istruzione, di attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo, anche nelle sue manifestazioni più recenti;
g) l'introduzione di un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla vigilanza e tutela dei minori, omettano di denunciare o comunque consentano fenomeni di bullismo.
(1-01205) (nuova formulazione) «De Girolamo, Occhiuto, Gullo, Palmieri».
La Camera,
premesso che:
la base del diritto allo studio universitario è fissata dagli articoli 3 e 32 della nostra Carta costituzionale. Infatti, il secondo comma dell'articolo 3, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale;
l'articolo 34 prevede, proprio per l'affermazione dei diritti allo studio universitario, che i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo stesso articolo stabilisce che la Repubblica rende effettivo tale diritto attraverso la concessione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso;
la riforma del titolo V della Costituzione, varata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nell'ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente;
da sottolineare come l'articolo 3 del decreto-legislativo n. 68 del 2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio universitario, al quale partecipano, nell'ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti;
in particolare, lo Stato ha la competenza esclusiva in materia di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle università statali. Le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando ed attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto mentre le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti in base ai rispettivi statuti, tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni stabilite, come detto dallo Stato. Inoltre, le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere;
l'articolo 12 del decreto legislativo citato, inoltre, attribuisce al Miur il compito di promuovere accordi di programma e protocolli d'intesa per favorire le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma dei servizi ed interventi posti in essere dalle stesse;
il sistema di finanziamento delle borse di studio previsto dall'articolo 18 del citato decreto legislativo, prevede che, nelle more della completa definizione dei Lep e dell'attuazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale, si provveda alla concessione di borse di studio mediante un nuovo Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio da ripartire tra le regioni. Il fondo è inoltre alimentato dal gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, il cui importo è articolato in tre fasce a seconda della condizione economica dello studente e dalle risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo;
sempre lo stesso decreto legislativo disciplina la possibilità che le regioni, le province autonome, le università e le istituzioni Afam, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e sulla base di criteri definiti con decreto tra Miur e Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, disciplinino le modalità per la concessione di prestiti d'onore agli studenti che possiedano i requisiti di merito. I medesimi soggetti possono altresì concedere un prestito d'onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio agli studenti dei corsi di laurea magistrale e di dottorato, nonché agli studenti iscritti almeno al quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio;
altre norme dispongono l'esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio, per gli studenti disabili e per gli studenti stranieri. Inoltre, il citato decreto legislativo dispone la collaborazione fra i soggetti che offrono servizi per il diritto allo studio, il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale e la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati;
inoltre, al fine di promuovere il merito e l'eccellenza fra gli studenti universitari è stato istituito presso il Miur un fondo destinato ad erogare premi di studio a fondo perduto, buoni studi ed a costituire una garanzia per i finanziamenti concessi agli studenti;
una recente indagine del Censis ha inoltre rilevato come circa 170 mila studenti provenienti dalle regioni del Sud si iscrivano ad università delle città settentrionali, in particolare nella città di Milano;
lo studio del Censis sottolinea, altresì, come il mancato versamento di denaro nel sistema universitario meridionale sia pari a circa 122 milioni di euro nell'anno accademico 2014-2015. A fronte dei mancati incassi delle tasse universitarie al Sud occorre aggiungere che la spesa sostenuta per iscriversi agli atenei del Nord costa circa 126 milioni di euro in più;
è, inoltre, da rilevare come proprio nel Sud, nell'anno accademico 2014-2015, le iscrizioni alle facoltà universitarie sono diminuite del 25,5 per cento e nelle isole addirittura del 30,2 per cento rispetto all'anno 2003-2004. In sintesi, i giovani del nostro Mezzogiorno si iscrivono sempre meno all'università e, di quelli che si iscrivono, lo fanno in università del Centro o del Nord del nostro Paese. Infine, tra coloro che si laureano nel Sud, moltissimi emigrano, portando le loro competenze in altre parti del Paese o addirittura all'estero;
la Fondazione RES ha pubblicato un rapporto «Nuovi divari: un'indagine sulle università del nord e del sud», che analizza le problematiche relative alla presenza di studenti negli atenei del settentrione e del mezzogiorno del nostro Paese ed agli investimenti effettuati dallo Stato. In particolare, l'Italia investe in istruzione di terzo livello 7 miliardi di euro all'anno, con il fondo ordinario. La Germania, al contrario, di miliardi nell'università ne investe 26. Tale divario diventa ancora più grande se si confrontano i dati relativi alle università del Sud del nostro Paese. Infatti, si può riscontrare che la spesa media per abitante in Germania è di 332 euro l'anno, in Francia è di 305 euro, in Spagna di 157 euro, nel Centro-Nord dell'Italia è di 117, mentre nel Sud è soltanto di 99 euro;
inoltre, la spesa complessiva per l'università in Italia è diminuita. Infatti, tra il 2008 ed il 2005, gli atenei del Nord hanno perso, nel periodo 2008-2015, il 4,3 per cento del finanziamento pubblico, mentre quelli del Mezzogiorno il 12 per cento ed ancora di più quelli situati nelle isole;
come sottolinea il rapporto della Fondazione RES, si sta creando una grave differenziazione tra le università italiane. L'eccellenza degli atenei è infatti concentrata nel triangolo Milano, Bologna, Venezia, con estensioni fino a Torino, Trento ed Udine, mentre nel resto del Paese esistono università cosiddette di «serie B»;
il 2 maggio 2016 è stato approvato dal Cipe il Programma nazionale per la ricerca, che prevede un investimento di 2,5 miliardi di euro di fondi pubblici per aumentare il numero di ricercatori in Italia. Il programma destina oltre il 40 per cento delle risorse totali al capitale umano, con l'obiettivo di aumentare il numero di ricercatori e dottori di ricerca nel Paese e di attrarre i migliori talenti. In particolare, è previsto l'ingresso di 6 mila giovani (dottori e ricercatori) in più rispetto agli stanziamenti ordinari. Inoltre, vengono triplicati i fondi per le infrastrutture di ricerca;
il Programma nazionale per la ricerca si configura come un vero e proprio programma quadro per la ricerca nazionale. Si tratta, infatti, di una «cornice» all'interno della quale, idealmente, si iscrivono programmi specifici di intervento, capaci di migliorare la performance innovativa del nostro Paese. La strategia del piano è, inoltre, quella di favorire in Italia la costituzione di un sistema efficace ed efficiente di azioni dirette allo sviluppo economico ed alla coesione sociale;
il programma opera su tre assi prioritari:
1) investire nello sviluppo e favorire l'attrazione di capitale umano altamente qualificato da inserire nel tessuto produttivo del Paese;
2) identificare un numero limitato di progetti tematici di forte impatto al fine di favorire il benessere dei cittadini;
3) investire sulla promozione della competitività del sistema produttivo, attraverso l'incremento della capacità di ricerca e di innovazione delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime,
impegna il Governo:
ad elaborare una visione coerente dell'ingresso del nostro Paese nell'economia della conoscenza assumendo iniziative per elevare la qualificazione professionale ed il livello della preparazione universitaria ed individuando aree prioritarie di ricerca in connessione con il potenziale di sviluppo dell'Italia;
ad assumere iniziative per favorire lo sviluppo di attività di ricerca che consentano di realizzare il programma industria 4.0 ovvero l'applicazione sistematica al nostro sistema manifatturiero dell'innovazione ICT;
a collegare più organicamente il programma di ricerca nazionale con il corrispettivo programma quadro europeo;
a favorire un migliore coordinamento delle spese per la ricerca oggi ripartite tra i diversi Ministeri all'interno di un'unica visione nazionale connessa con una visione europea;
ad assumere iniziative di competenza per garantire la trasparenza per i bandi di ricerca emessi dai diversi organismi a ciò deputati ed il facile ed imparziale accesso a questi bandi da parte di tutti i ricercatori;
a favorire, in collaborazione con le associazioni delle piccole e medie imprese, la valutazione del fabbisogno di ricerca delle stesse creando la possibilità di contatto e di collaborazione con le università ed i centri di ricerca;
a valutare l'istituzione di un'Agenzia nazionale della ricerca la quale svolga i compiti richiamati nei punti precedenti;
ad affrontare il problema indilazionabile delle aree del Mezzogiorno del nostro Paese, assumendo iniziative per creare in queste zone dei centri di eccellenza che elevino la qualità e la competitività del nostro sistema universitario e di ricerca del Sud anche mediante l'utilizzo dei fondi strutturali europei;
ad assumere iniziative per migliorare il rapporto tra il sistema formativo universitario, la formazione professionale ed il sistema dell'impresa in modo da assicurare ai giovani una formazione orientata verso la domanda di lavoro formulata dal sistema produttivo.
(1-01269) «Buttiglione, Bosco».