ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO
Seduta n. 612 di venerdì 22 aprile 2016
INDICE
ATTI DI INDIRIZZO:
Mozione:
Di Vita 1-01232 36905
Risoluzione in Commissione:
I Commissione:
Mucci 7-00980 36910
ATTI DI CONTROLLO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Duranti 2-01354 36911
Interrogazione a risposta orale:
Latronico 3-02210 36913
Interrogazione a risposta in Commissione:
Di Vita 5-08493 36914
Interrogazioni a risposta scritta:
Spessotto 4-12969 36916
Sibilia 4-12970 36917
Affari esteri e cooperazione internazionale.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Garavini 5-08488 36918
Ambiente e tutela del territorio e del mare.
Interrogazioni a risposta scritta:
Gallinella 4-12953 36918
Zolezzi 4-12962 36920
Civati 4-12967 36922
Beni e attività culturali e turismo.
Interrogazione a risposta scritta:
Bruno 4-12961 36925
Difesa.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Basilio 5-08491 36926
Giustizia.
Interrogazione a risposta scritta:
Palazzotto 4-12964 36926
Infrastrutture e trasporti.
Interpellanza:
Bonafede 2-01355 36927
Interrogazione a risposta scritta:
Palazzotto 4-12965 36928
Interno.
Interrogazione a risposta orale:
Zoggia 3-02211 36929
Interrogazioni a risposta scritta:
Maestri Andrea 4-12954 36929
Rizzo 4-12957 36930
Di Maio Luigi 4-12960 36931
Di Lello 4-12971 36932
Istruzione, università e ricerca.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Chimienti 5-08487 36933
Interrogazione a risposta scritta:
Gallo Luigi 4-12968 36934
Lavoro e politiche sociali.
Interrogazione a risposta scritta:
Sberna 4-12956 36934
Politiche agricole alimentari e forestali.
Interrogazione a risposta scritta:
Zaccagnini 4-12952 36936
Salute.
Interrogazioni a risposta scritta:
Nicchi 4-12955 36937
Bernini Paolo 4-12958 36938
Bernini Paolo 4-12966 36939
Semplificazione e pubblica amministrazione.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Murer 5-08489 36940
Sviluppo economico.
Interpellanza:
Quaranta 2-01353 36941
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Fabbri 5-08490 36942
Galgano 5-08492 36942
Interrogazioni a risposta scritta:
Di Maio Luigi 4-12959 36947
Berretta 4-12963 36948
Apposizione di una firma ad una mozione 36949
Apposizione di una firma ad una interrogazione 36949
Pubblicazione di un testo riformulato 36949
Interrogazione a risposta scritta:
Gregori 4-12792 36949
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
le notizie di cronaca riportano sempre più spesso casi di maltrattamenti perpetrati a danno di minori, anziani e disabili (soggetti che necessitano di una tutela maggiore da parte delle istituzioni in quanto versano in una situazione di particolare svantaggio non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze e alla propria auto-difesa) che si compiono all'interno delle strutture, pubbliche e private come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali, di cui sono ospiti;
questi, purtroppo, non costituiscono singoli casi isolati. È chiaro a tutti ormai che gli episodi che continuano a registrarsi in tutto il territorio nazionale si inseriscono a pieno titolo nel quadro di un fenomeno invero più diffuso di quanto si riesca a immaginare, dovuto in particolare alla pressoché generalizzata assenza di controlli in tale settore. Realtà tristemente simili emergono infatti sempre più di frequente dalle cronache giornalistiche;
tra i casi più recenti quello del 18 gennaio 2016 relativo a una comunità alloggio a Licata in provincia di Agrigento, sottoposta a sequestro preventivo, in cui sarebbero stati maltrattati fisicamente e psicologicamente alcuni minori e persone con disabilità psichiche (inabili psichici) affidati alla struttura per ricevere assistenza e sostegno psicologico. Una assistente sociale, responsabile della gestione della struttura, è stata arrestata e posta ai domiciliari, per tre operatori è scattato il divieto di dimora nella provincia di Agrigento e l'amministratore è stato interdetto dall'esercizio. Nell'ambito dell'operazione, condotta dai carabinieri e denominata «Catene spezzate», sono complessivamente otto le persone iscritte nel registro degli indagati;
è dell'8 febbraio 2016 invece la notizia dell'arresto di dieci persone in provincia di Roma, accusate di maltrattamenti di giovani pazienti affetti da patologie neuropsichiatriche e ospiti di un centro di riabilitazione a Grottaferrata. Tre pazienti sono stati segregati e chiusi a chiave nelle loro stanze. Un vero e proprio lager con i degenti, 16 ragazzi di cui cinque minori di 14 anni, con gravi disabilità che venivano picchiati, ingozzati di cibo a forza, umiliati e insultati. Alcune delle vittime avevano otto anni. I principali artefici dell'orrore sono un educatore e un assistente socio-sanitario con funzioni educative che si sarebbero distinti per atteggiamenti particolarmente autoritari e violenti, tanto da creare un sistematico e diffuso clima di terrore nei giovani ospiti. Nel corso delle indagini sono stati documentati diversi episodi di maltrattamenti commessi dagli altri operatori che, sebbene con ruoli minori, sottoponevano i ragazzi a soprusi e violenza fisica e verbale, quasi da ipotizzare una «consuetudine repressiva» adottata dal personale addetto a quel reparto;
il 15 febbraio 2016 s’è poi registrato il caso dei 14 operatori impiegati presso l'Aias di Decimomannu (Cagliari), che sono stati sospesi per sei mesi dal pubblico servizio dopo che la registrazione delle telecamere di immagini inequivocabili di violenze perpetrate a danno di alcune persone con disabilità. Secondo quanto emerso dalle indagini dei militari, iniziate nel 2014, i 14 operatori avrebbero maltrattato alcuni ospiti, tutti adulti, della struttura sanitaria dove si trovano a causa delle loro gravi condizioni di disabilità psicofisiche. Tra le accuse, oltre ai maltrattamenti, percosse, lesioni personali e omissione di referto;
sconcerto ha destato anche il caso di Potenza del 7 aprile 2016, che ha visto l'arresto di sette persone in servizio presso il centro riabilitativo «Don Uva» che ospita anche pazienti con ritardo mentale medio o grave. Le telecamere nascoste piazzate da carabinieri del Nas hanno documentato atti di violenza sia fisica sia psicologica perpetrati da dipendenti della struttura ai danni dei pazienti;
da ultimo si segnala il recente caso delle maestre di un asilo nido privato di Grosseto finite agli arresti domiciliari dopo circa un anno di indagini per i maltrattamenti perpetrati a danno dei bimbi loro affidati. Dai filmati delle telecamere nascoste si vedono le maestre forzare con il cibo e strattonare dei bambini;
con riferimento a tutti i casi innanzi citati è bene rimarcare il ruolo fondamentale rivestito dallo strumento della denuncia dei familiari delle vittime degli atti di violenza. Statisticamente, infatti, la maggior parte di questi casi sono potuti emergere solo grazie alle denunce di questi ultimi e grazie ad esse sono conseguentemente scattate le indagini delle forze dell'ordine che hanno poi potuto verificare, con il monitoraggio disposto attraverso l'installazione di apposite telecamere nascoste presso le strutture coinvolte, l'effettiva consumazione, a volte reiterata, di detti illeciti;
la drammaticità dei dettagli delle condotte poste in essere in quelle circostanze sono ben noti a tutti soprattutto grazie alle immagini riprese dalle telecamere e diffuse dai mezzi di stampa. Le registrazioni mostrano degli scenari semplicemente sconcertanti: luoghi di accudimento che si trasformano in prigioni e « lager», educatori che diventano aguzzini e l'assistenza che si deforma in violenza. Bambini, disabili e anziani, i più «fragili» che diventano bersaglio di violenze in luoghi «protetti», in cui però la «protezione» lascia il passo alla «correzione», o alla «punizione»;
si discute di soggetti che a volte, purtroppo, soggiacciono ad una situazione di disinteresse anche da parte delle proprie famiglie. Pertanto, si intende sottolineare la necessità e l'urgenza di attuare un sistema di controllo che garantisca la sicurezza di questi individui maggiormente bisognosi di tutela;
con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del relativo protocollo opzionale, sottoscritta dall'Italia il 30 marzo 2007. Scopo della Convenzione, è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità;
la convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità ha tra i suoi obiettivi primari quello di garantire su scala nazionale la piena capacità giuridica e la tutela dell'integrità psicofisica delle persone con disabilità, così come sancito in particolare agli articoli 12, 14, 15, 16 e 33 della Convenzione;
secondo l'articolo 12 della Convenzione gli Stati Parti devono assicurare che tutte le misure relative all'esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all'esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario;
l'articolo 14 della Convenzione prevede invece che gli Stati Parti garantiscano che le persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, godano del diritto alla libertà e alla sicurezza personale e che non siano private della loro libertà illegalmente o arbitrariamente, che qualsiasi privazione della libertà sia conforme alla legge e che l'esistenza di una disabilità non giustifichi in nessun caso una privazione della libertà;
in base all'articolo 15 della Convenzione nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Per garantire ciò, in particolare, gli Stati Parti devono adottare tutte le misure legislative, amministrative, giudiziarie o di altra natura idonee ad impedire che persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, siano sottoposte a tortura, a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
l'articolo 16 della Convenzione stabilisce che gli Stati Parti che, come l'Italia, hanno ratificato la Convenzione devono adottare tutte le misure legislative, amministrative, sociali, educative e di altra natura adeguate a proteggere le persone con disabilità, all'interno e all'esterno della loro dimora, contro ogni forma di sfruttamento, di violenza e di abuso, e che allo scopo di prevenire il verificarsi di ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, gli Stati Parti assicurano che tutte le strutture e i programmi destinati alle persone con disabilità siano effettivamente controllati da autorità indipendenti;
l'articolo 33 della Convenzione, poi, stabilisce alcuni obblighi delle Parti contraenti relativi alla sua applicazione e monitoraggio nell'ambito degli ordinamenti nazionali;
in particolare, ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 1, gli Stati contraenti hanno l'obbligo di designare una cosiddetta «struttura di coordinamento» al fine di facilitare l'applicazione della Convenzione a livello interno;
rientra in tale ambito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dall'articolo 3 della legge n. 18 del 3 marzo 2009 di ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, preposto essenzialmente alla promozione ed al monitoraggio della Convenzione;
tuttavia, tale organismo dà attuazione soltanto in parte all'articolo 33;
l'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione richiede infatti alle Parti contraenti di predisporre un'ulteriore «struttura» indipendente che risponda ai criteri relativi allo status e al funzionamento delle istituzioni nazionali per la protezione e la promozione dei diritti umani, indicati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella Risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (comunemente noti come «Principi di Parigi»);
la piena conformità alla Convenzione richiede pertanto l'istituzione in Italia di un'ulteriore «struttura» che, alla luce dei citati Principi di Parigi, dovrà presentare i seguenti caratteri:
garantire la rappresentanza della società civile;
essere indipendente dal Governo e prevedere la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri a titolo consultivo;
disporre di una dotazione finanziaria sufficiente per lo svolgimento delle proprie attività in modo autonomo;
in base ai «principi di Parigi», tra le funzioni che potrebbero essere affidate alla «struttura» figurano:
la promozione, la protezione e il monitoraggio della Convenzione nell'ordinamento interno;
l'indirizzo di raccomandazioni alle autorità competenti e l'elaborazione di proposte di legge in materia di disabilità;
lo svolgimento di inchieste;
eventualmente, l'esame di «ricorsi» da parte delle persone con disabilità o delle organizzazioni che le rappresentano;
la legge 21 maggio 1998, n. 162, «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave», che ha modificato la cosiddetta «legge quadro» sull’handicap, ha avuto l'importantissimo merito di introdurre per prima in Italia il concetto di «vita indipendente», in particolare legando tale termine all'idea dell'assistenza domiciliare personale finanziata con fondi statali gestiti dalla stessa persona con disabilità;
la legge 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», stabilisce poi, all'articolo 14, che i comuni devono predisporre su richiesta dell'interessato un progetto individuale per realizzare la piena integrazione delle persone disabili nell'ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, che punta ad una visione in chiave unitaria dei bisogni della persona con disabilità;
entrambe le leggi statali appena citate, in vigore da diversi anni ormai, potrebbero dunque dare concreta attuazione ai principi sanciti dalla stessa Convenzione, se solo i principi in esse contenuti non fossero ancora quasi del tutto disattesi a livello locale, e limitare drasticamente sin dalla radice il rischio che situazioni gravissime e drammatiche come quelle citate si verifichino nuovamente;
in Italia esistono ancora molte strutture, troppe, che accolgono le persone con disabilità, attraverso le quali, almeno sulla carta, dovrebbero essere erogate prestazioni socio-sanitarie, riabilitative ed educative;
come appartenenti al M5S i firmatari del presente atto di indirizzo ritengano che il Parlamento, oggi più che mai, ha anzitutto il dovere di promuovere ed elaborare proposte di modifica della normativa esistente, volte a rimuovere ogni situazione segregante e di istituzionalizzazione delle persone con disabilità, a cominciare da misure a favore di soluzioni abitative che realizzino il diritto alla vita indipendente e alla permanenza e inclusione della persona con disabilità nella propria comunità di origine e, dove possibile, nella propria abitazione, come peraltro indicato nell'articolo 19 della Convenzione ONU;
la misura di prevenzione più importante resta sempre la creazione di una politica di transizione dall'assistenza negli istituti all'assistenza nella stessa collettività come previsto, oltre che dalla Convenzione Onu, anche dalla Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, firmata anche dall'Italia;
nelle more della realizzazione di tale ambizioso e nobile obiettivo si ritiene che debba provvedersi utilmente a emanare urgentemente delle disposizioni specifiche atte a fronteggiare l'aspetto specifico sin qui descritto e denunciato, relativo alla carenza di controlli mirati nei confronti delle strutture e delle persone giuridiche che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento fornendo servizi di accoglienza, cura, istruzione e assistenza ai soggetti più fragili della nostra società, quali i minori gli anziani e le persone con disabilità;
ciò può essere fatto in particolare attraverso la previsione di nuove misure di prevenzione di simili illeciti, come ad esempio l'installazione obbligatoria di un sistema di videosorveglianza all'interno delle strutture pubbliche e private (peraltro già utilizzato in molti casi), che costituirebbe, da una parte, un elemento di maggiore tranquillità, eventualmente per le famiglie che devono affidare una persona cara a tali strutture, e dall'altra parte, un deterrente per evitare ogni tipo di abuso da parte di coloro che operano in tali strutture o, addirittura, da soggetti esterni,
impegna il Governo:
al fine precipuo di ridurre i fenomeni di violenza perpetrati nei confronti dei soggetti più fragili della società, quali i minori, gli anziani e le persone con disabilità, a intraprendere le opportune iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a favorire l'incremento delle attività di controllo, vigilanza e nei confronti delle strutture socio-educative, sanitarie e di ricovero e, in generale, di tutti i soggetti giuridici che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento fornendo servizi di accoglienza, cura, istruzione e assistenza, in particolare adottando le seguenti misure:
a) l'istituzione, ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «principi di Parigi»), di uno specifico organismo indipendente che svolga attività di ricerca e monitoraggio sulle situazioni di violenza, sfruttamento, maltrattamento e negligenza, che possa accogliere, anche da singoli individui, le richieste di supporto in caso di episodi di violenza, verificarle, elaborare proposte per tutelare in tal senso le persone con disabilità e le loro famiglie, migliorando anche la normativa in materia di tutela, e che promuova, protegga e monitori l'implementazione della citata Convenzione dell'Onu;
b) l'introduzione dell'obbligo di predisposizione di sistemi di videosorveglianza presso le strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, che si occupano a vario titolo dell'assistenza di minori, persone con disabilità e anziani, in particolare attraverso l'installazione di telecamere posizionate presso ogni vano della struttura ove vengano forniti servizi all'utenza, le cui videoregistrazioni siano gestite ed utilizzate in accordo con l'Autorità garante per la protezione dei dati personali e messe a disposizione delle amministrazioni affidatarie dell'appalto del servizio di videosorveglianza medesimo e, su richiesta, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'organismo indipendente istituito ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «Principi di Parigi»), anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
c) la predisposizione, per quanto di competenza, di piani d'ispezioni ministeriali presso le strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, sia straordinarie (cosiddetto «a sorpresa») che programmate, disposte su scala nazionale e secondo l'incidenza territoriale dei soggetti fragili interessati (minori, anziani e persone con disabilità) in relazione alla popolazione e al numero di strutture pubbliche o private (asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali) presenti sul territorio di riferimento, anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
d) la predisposizione di specifici uffici territoriali o sportelli del cittadino, realizzati anche in forma digitale con portali web dedicati, anche collegati con i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali, che consentano a parenti e operatori sociosanitari di denunciare, anche in forma anonima, episodi di violenza o maltrattamenti nei confronti di minori, anziani e persone con disabilità, in particolare tramite l'adozione di una procedura analoga al modello del whistleblowing in cui il destinatario delle segnalazioni interne sia, oltre all'organo direttivo della struttura interessata dalla segnalazione medesima, anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'organismo indipendente istituito ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «Principi di Parigi»);
e) la previsione dell'obbligo in capo alle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, che si occupano a vario titolo dell'assistenza di minori, persone con disabilità e anziani, di relazionare periodicamente sull'attività di gestione delle segnalazioni al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e all'organismo indipendente istituito ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «Principi di Parigi»);
f) la predisposizione di verifiche periodiche dello stato di servizio di operatori ed educatori impiegati presso le strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
g) la predisposizione di rilevazioni ministeriali periodiche, da effettuarsi almeno una volta l'anno, del grado di soddisfazione degli utenti delle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, e dei loro familiari, attraverso tecniche di analisi e verifica dati di customer satisfaction, in particolare nella modalità interview, che prevede un colloquio diretto tra intervistato e intervistatore e quindi favorisce l'emergere di eventuali criticità, e solo in via secondaria e opzionale in modalità survey, ovvero modalità di comunicazione asincrona e somministrabile anche in via informatizzata, anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
h) la previsione di un'aggravante per i reati commessi nelle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero;
i) la rimozione degli ostacoli, anche procedurali e burocratici, che compromettono la completa trasparenza, apertura ed accessibilità delle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, e che in particolare impediscono spesso tutt'oggi ai familiari dell'utente di poter fare liberamente visita al proprio caro anche in orari di visita non prestabiliti.
(1-01232) «Di Vita, Grillo, Mantero, Lorefice, Colonnese, Silvia Giordano, Baroni, Nuti, Di Benedetto, Lupo, Mannino, Dall'Osso».
Risoluzione in Commissione:
La I Commissione,
premesso che:
l'articolo 14, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 che reca il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sancisce che la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l'avvenuta consegna, equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge;
l'articolo 27, comma 8, lettera e) della legge 16 gennaio 2003 stabilisce che l'uso della posta elettronica venga esteso nell'ambito delle Pubbliche Amministrazioni e dei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e privati;
il decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 «Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3», statuisce le caratteristiche e le modalità per l'erogazione e la fruizione di servizi di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata (PEC);
la PEC, in sostanza, è un sistema di trasmissione sicuro e regolamentato per inviare documenti e messaggi di posta elettronica con valore legale. Viene istituita come versione digitale della raccomandata con ricevuta di ritorno e punta a rendere più agili, immediati ed economici, tutti gli scambi di informazioni tra persone, imprese, pubbliche amministrazioni e professionisti, sfruttando le potenzialità del digitale;
con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, viene emanato il «CAD» ovvero il «Codice dell'Amministrazione Digitale», costituito da un insieme di norme che favoriscono e regolamentano le comunicazioni digitali tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini;
con l'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) viene introdotto l'obbligo da parte delle imprese e dei professionisti di creare un indirizzo di PEC proprio e di comunicarlo rispettivamente al registro delle imprese e agli ordini o collegi di appartenenza;
i commi 1 e 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) estende l'obbligo alle imprese individuali, siano esse nuove o già esistenti, di comunicare al registro delle imprese il proprio indirizzo PEC. Il comma 3 dello stesso articolo, apportando una modifica al decreto legislativo del 7 marzo 2005, dopo l'articolo 6, introduce l'articolo 6-bis che sancisce la nascita dell'INT-PEC, l'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata, a partire dagli elenchi di indirizzi PEC già registrati presso il registro delle imprese e gli Ordini o Collegi professionali di appartenenza dei singoli professionisti, come previsto dall'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185;
INT-PEC è oggi una realtà al servizio di molti soggetti: cittadini, imprese, professionisti, pubbliche amministrazioni;
attualmente le organizzazioni sindacali, forma istituzionale e di autotutela esclusiva dei lavoratori, non hanno l'obbligo di dotarsi di una PEC;
la libertà sindacale è sancita dall'articolo 39 della Costituzione e rimarrebbe un principio astratto se non si evolvesse in «diritto sindacale» all'interno dell'impresa e nella contrattazione collettiva nazionale che rappresenta uno dei principali strumenti di autoregolamentazione per i rapporti di lavoro e per le relazioni sindacali;
con l'adozione del regolamento (UE) n. 910 del 23 luglio 2014 (2014/910/UE) «eIDAS», entrato in vigore il 17 settembre 2014, si è provveduto a garantire la piena interoperabilità a livello comunitario non solo della firma elettronica ma di tutto un insieme di servizi di identificazione ed autenticazione: questo regolamento troverà applicazione definitiva dal 1° luglio 2016 con l'abrogazione della Direttiva 1999/93/EC;
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per assicurare che, per le comunicazioni per cui attualmente è richiesto l'obbligo di utilizzare la forma della raccomandata con ricevuta di ritorno, i cittadini siano messi in condizione di poter liberamente scegliere di utilizzare la PEC o un altro strumento di recapito a norma eIDAS, essendo questi metodi di trasmissione digitale, immediati, sicuri, garantiti e soprattutto economici;
ad assumere iniziative per stabilire che i sindacati, oltre alle associazioni, alle organizzazioni e alle fondazioni che per la loro attività sono destinatari di documenti con valore legale, abbiano il dovere di dotarsi di una PEC affinché gli utenti possano trasferirli in sicurezza ed in immediatezza salvaguardando l'economicità.
(7-00980) «Mucci, Galgano, Cristian Iannuzzi, Prodani, Quintarelli, Carrozza, Gribaudo, Dallai, Bruno Bossio, Basso, Rizzetto».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
l’hub di accoglienza per migranti situato nel porto di Taranto è operativo dal 17 marzo 2016 e insieme a quelli aperti a Pozzallo, Lampedusa e Trapani, (a cui se ne aggiunge uno «mobile», con un team in partenza da Catania che all'occorrenza si reca a fare le identificazioni direttamente sui luoghi di sbarco), rappresenta il sistema italiano dell'accoglienza ai rifugiati e profughi basato sul modello degli hotspot;
attualmente, gli hotspot, nell'assenza di una esplicita regolamentazione, sono configurati come luoghi chiusi nei quali operano le forze di polizia italiane, supportate dai rappresentanti delle agenzie europee (Frontex, Europol, Eurojust ed EASO, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo); al loro interno, o comunque con il sistema «mobile», vengono sottoposti a rilievi fotodattiloscopici gli stranieri appena sbarcati in Italia ai fini della loro identificazione e quindi per poi essere distinti e qualificati come richiedenti asilo o migranti economici;
conseguentemente a questa sommaria «catalogazione», i migranti vengono inviati alle strutture di accoglienza per richiedenti asilo oppure sarebbero destinatari, come avvenuto nella maggioranza dei casi osservati fino ad ora, dall'apertura degli hotspot, di un provvedimento di respingimento per ingresso illegale e poi lasciati sul territorio italiano senza alcuna misura di accoglienza, non essendo comunque possibile alcun rimpatrio;
una parte di coloro che rientrano nella prima categoria, ossia non vengono catalogati come migranti economici, vengono infine destinati alla cosiddetta « relocation», ovvero hanno accesso alla procedura di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea. Questa procedura, ad oggi, ha prodotto minimi effetti, con solo 530 profughi totali trasferiti verso altri Paesi dell'Unione europea; con specifico riferimento al centro di Taranto non risulta chiara la natura della struttura in cui, tra le altre cose, è stato accertato — anche attraverso visite degli interpellanti – la presenza di migranti trattenuti senza la comunicazione all'autorità giudiziaria entro le 48 ore come prevista dalla legge e, quindi, senza convalida del fermo di polizia;
alcuni dei migranti che sono passati per l’hotspot di Taranto sono stati trattenuti per oltre 72 ore dopo le procedure di fotosegnalazione, quindi a giudizio degli interpellanti, illegittimamente e in assenza di motivi che giustificassero il trattenimento, i considerato che il centro dovrebbe avere come funzione unica quella dell'identificazione;
ulteriormente, dai colloqui effettuati durante le visite con i migranti trattenuti, emerge uno scarso lavoro di informativa da parte degli organi competenti sui diritti in capo ad essi prima che essi vengano pre-identificati, come del resto previsto dalle normative nazionali e internazionali in materia;
risulta particolarmente grave, a quanto consta agli interpellanti, l'assenza di un'informativa circa il diritto di richiedere protezione internazionale che dovrebbe essere fatto prima di qualsiasi tipo di identificazione;
a tal fine è bene ricordare che ogni straniero soccorso in mare e sbarcato ha il diritto di ricevere informazioni complete e comprensibili sulla sua situazione giuridica e ha il diritto di manifestare in qualsiasi momento (anche quando già si trova da tempo in Italia) la volontà di presentare domanda di asilo;
la mancata informativa, o comunque l'informativa parziale e somministrata a persone appena sbarcate e ancora in grave stato di choc è risultata evidente nel più recente trasferimento all’hotspot di Taranto del 31 marzo 2016 dove persone di nazionalità marocchina, a quanto consta agli interpellanti, si sarebbero viste notificare un respingimento differito, dichiarando di non essere stati informati e di non aver avuto la possibilità di richiedere asilo, malgrado quanto previsto dalla circolare del prefetto Morcone dell'8 gennaio 2016;
la mancata informativa sarebbe quindi, a quanto risulta agli interpellanti, alla base dei respingimenti differiti eseguiti sull'accertamento della sola nazionalità;
il caso accertato a Taranto il 31 marzo 2016 fa il paio con quanto avvenuto con altri cittadini di nazionalità gambiana negli hotspot siciliani e portato all'attenzione del Ministro interpellato con l'interrogazione n. 4-11563 del 22 dicembre 2015;
la pratica dei respingimenti differiti sulla sola base discriminante della nazionalità oltre a violare la Convenzione di Ginevra genera situazioni di estrema vulnerabilità delle persone lasciate senza nessun mezzo di sostentamento alle porte dell’hotspot, escludendole dal sistema nazionale d'accoglienza;
il 1o aprile 2016 quindi, circa 250 migranti di nazionalità marocchina, sarebbero stati accompagnati alle porte dell’hotspot e sarebbe stato consegnato loro un provvedimento di respingimento differito. Questi non avrebbero potuto fare altro che riversarsi nella stazione ferroviaria cittadina, abbandonati a loro stessi, senza denaro, senza sostegno di alcun tipo; la situazione che si è venuta a creare, ad opinione degli interroganti, oltre a non essere conforme alla normativa vigente, si configura come una vera e propria emergenza sociale di cui le prime vittime sono i migranti –:
alla luce di quelle che gli interpellanti giudicano l'inefficacia e la sommarietà del sistema degli hotspot, quali iniziative intenda assumere il Governo in merito e se, in particolare, non ritenga di adottare iniziative per chiuderli;
quali iniziative di competenza intenda adottare per supportare gli impegni straordinari degli enti locali che devono provvedere, per le proprie competenze, a garantire condizioni dignitose in emergenza per numerosi migranti abbandonati a sé stessi e quindi come si intenda intervenire per sostenere lo sforzo dei comuni che in particolare ospitano gli hotspot.
(2-01354) «Duranti, Piras, Palazzotto, Scotto, Costantino, D'Attorre, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Marcon, Melilla, Nicchi, Pannarale, Ricciatti, Sannicandro».
Interrogazione a risposta orale:
LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il 12 marzo 2016 cinquantuno bambini con 13 accompagnatori della Repubblica democratica del Congo, i cui visti erano stati sbloccati la settimana prima, sono sbarcati in Italia alle 5,39 del mattino all'aeroporto di Fiumicino con un volo di linea da Addis Abeba della compagnia Ethiopian Airlines;
si tratta del primo arrivo dei circa 130 minori coinvolti nella moratoria delle adozioni internazionali decisa dalla Repubblica democratica del Congo nel settembre 2013 e attesi da oltre 929 giorni dai loro genitori italiani;
alcuni servizi televisivi di Sky Tg 24 e quotidiani si sono occupati dell'anomalo arrivo in Italia dei 51 bambini congolesi adottati in Italia e nel servizio sono state evidenziate le strane modalità con le quali i piccoli sono venuti per la prima volta a contatto con i loro genitori dopo un'intera giornata passata fra aeroporto, caserma e qualcuno in ospedale;
le famiglie hanno vissuto un'odissea per riabbracciare i propri figli, perché sono stati avvertiti dopo l'arrivo dei bambini in Italia nella mattinata. Alcune famiglie hanno ricevuto varie telefonate durante la giornata da parte della Commissione per le adozioni internazionali in cui venivano convocati immediatamente a Roma per firmare delle deleghe urgenti senza sapere il luogo dove recarsi;
a tutt'oggi non c’è nessuna notizia sul sito della Commissione per le adozioni internazionali sull'arrivo dei 51 bambini il 12 aprile 2016 e ci sono ancora 82 bambini in attesa di incontrare le famiglie adottive che sono ancora bloccati nella Repubblica democratica del Congo da oltre tre anni;
ancora si verificano gravi inefficienze per la mancanza di comunicazioni, che da più parti vengono denunciate, nella gestione della Commissione per le adozioni internazionali che non assicurerebbe alle famiglie interessate le necessarie e dovute informazioni sulla situazione reale –:
se il Governo non ritenga con urgenza di dover chiarire le ragioni di tale situazione e se non ritenga necessario approfondire le responsabilità di tale comportamento in relazione alla mancanza di trasparenza e alle modalità di informazione da parte della Commissione per le adozioni internazionali alle famiglie adottive;
quali iniziative il Governo intenda intraprendere per il rientro definitivo degli altri 82 bambini che ancora sono bloccati nella Repubblica democratica del Congo. (3-02210)
Interrogazione a risposta in Commissione:
DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, BARONI, COLONNESE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
in data 7 aprile 2016 è stato pubblicato sul Corriere della sera online un'articolo di approfondimento e politico dal titolo: «Faraone: “Sì al Ponte di Messina e alle antenne americane del Muos”»;
l'articolo anticipava alcuni dei temi cruciali sviluppati, non senza generare critiche, nel corso della tre giorni (8-10 aprile 2016) della seconda «Leopolda» siciliana, ribattezzata «Faraona», organizzata a Palermo dal leader dei renziani nell'isola, Davide Faraone, sottosegretario per l'istruzione l'università e la ricezione. Temi peraltro già anticipati in un libro che Faraone ha appena scritto;
nell'occasione, in particolare, il sottosegretario Faraone ha rilasciato le seguenti dichiarazioni:
«Si al Muos perché è di centrosinistra avere a cuore la propria sicurezza e per averla non è necessario alzare barriere o sparare sui barconi, come pure qualcuno che si fregia dell'appartenenza a quest’ area politica ha proposto di fare»;
«Sì al ponte sullo Stretto perché è di centrosinistra creare condizioni che favoriscano collegamenti agevoli, connessioni con il resto del mondo, sviluppo e occupazione»;
si ricorda a tal proposito che l'installazione del Muos nel Naval Radio Transmitter Facility (NRTF) nell'area di Niscemi, nel libero consorzio comunale di Caltanissetta, è ancora oggetto di accese proteste della popolazione e dei rappresentanti politici locali a causa dei danni che l'impianto provocherebbe alla salute degli abitanti della zona, nonché oggetto di un lungo contenzioso amministrativo, tuttora in corso;
le dichiarazioni di Davide Faraone sul Muos hanno immediatamente scatenato la reazione degli esponenti niscemesi del suo stesso partito politico – da tempo strenui contestatori dell'opera – che con una nota stampa durissima hanno replicato così al Sottosegretario: «Caro Davide Faraone per Noi è di centro-sinistra difendere la Salute dei Cittadini facendo prevalere il principio di precauzione e la “insindacabilità” dei responsi della Magistratura che ad oggi ha statuito che il Muos è abusivo e la sua autorizzazione illegittima, pertanto prima di esternare pensieri in merito, immaginiamo personali, informati». Continua poi la nota: «Non si comprende come l'On. Faraone possa intervenire pubblicamente a favore della costruzione del MUOS quando ancora si sta trattando della vicenda sia nelle aule dei tribunali, ovvero con il processo avanti il Tribunale di Caltagirone in sede penale, sia davanti al CGA in sede amministrativa. Dispiace leggere tali affermazioni in quanto ledono l'impegno e le dure lotte di tanti cittadini e militanti del PD, non solo di Niscemi ma di Vittoria, Butera, Caltanissetta, Ragusa, Comiso Caltagirone, Gela e non solo, contro l'installazione del MUOS. Pertanto ribadiamo nettamente senza se e senza ma che il PD di Niscemi è compatto e coeso contro IL MUOS e ci auguriamo che la Magistratura, a cui ci siamo rivolti come passata amministrazione nel 2011 sia in sede amministrativa che penale possa essere il vero baluardo contro chi ancora oggi pensa che la Salute di un territorio possa essere messa in secondo piano rispetto ad altre logiche. Pertanto, alla luce di questo spiacevole scivolone e consapevoli che le esternazioni del sottosegretario sono solamente a titolo personale, l'espressione nasce spontanea: Faraone Chi?»;
preme ricordare in questa sede che l'intero partito democratico si è sempre dichiarato pubblicamente ardente sostenitore della battaglia contro il Muos, impegnando in tal senso con numerosi atti di indirizzo le assemblee delle province interessate dall'opera e conducendo ripetutamente campagne e manifestazioni per sensibilizzare l'opinione pubblica a riguardo;
quanto alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, invece, preme anzitutto ricordarsi che dopo la decadenza del contratto di appalto dell'opera il 1o marzo 2013 in conformità alla legge n. 221 del 2012, il Consorzio Eurolink e Parsons, che aveva vinto la gara d'appalto internazionale per la realizzazione dell'opera, ha avviato un'azione risarcitoria per l'importo complessivo di 790 milioni di euro (più interessi e rivalutazione);
si aggiunga infine che, anche con riferimento a tale opera, occorre ricordare che il ponte sullo Stretto di Messina non è mai stato nell'agenda dei partiti di sinistra che, anzi, spesso in passato si sono scagliati contro il progetto su cui Silvio Berlusconi ed esponenti del centrodestra siciliano, come l'ex governatore Totò Cuffaro, puntavano moltissimo, giungendo persino a definire l'opera come «la madre di tutte le infrastrutture e la porta d'ingresso per il corridoio Palermo-Berlino»;
ripercorrendo la storia degli ultimi anni e il dibattito politico sviluppatosi intorno all'opera, preme sottolinearsi che sono tanti i rappresentanti del partito democratico che in passato hanno bocciato il progetto che vuole unire Calabria e Sicilia. Il refrain, negli anni, è stato ripetuto fino allo sfinimento: «Con tutti i problemi che ci sono nel Meridione, il Ponte non è nelle priorità»;
lo stesso Presidente del Consiglio Renzi non aveva mai manifestato interesse per l'opera. Durante la Leopolda 2010, mise nero su bianco che il ponte sullo Stretto di Messina non era nei suoi programmi. È scritto nella Carta di Firenze, il documento dei «rottamatori per una nuova Italia»: «Ci accomuna – si legge – il bisogno di cambiare questo Paese, un Paese dalla parte dei promettenti e non dei conoscenti. Che permetta le unioni civili, come nei Paesi civili; che preferisce la banda larga al Ponte sullo Stretto»;
due anni dopo, a ottobre 2012, in visita a Sulmona, il Presidente Renzi mostra un certo disappunto solo per il fatto che il Ponte sia argomento di dibattito politico: «Continuano a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina, ma io dico che gli 8 miliardi li dessero alle scuole per renderle più moderne e sicure»;
ancora il Presidente Matteo Renzi, durante la campagna per le primarie contro Bersani, dichiarava: «Il ponte sullo Stretto è una brutta pagina da chiudere»;
un giudizio netto, poi, quello del Ministro Dario Franceschini, espresso il 14 ottobre 2009 in risposta all'annuncio di Berlusconi dell'inizio dei lavori per il dicembre successivo: un'opera «faraonica mentre pochi giorni fa le case sono cadute sotto la frana a Messina. È veramente una presa in giro inqualificabile solo proporla, se si vuole far ripartire l'edilizia si metta in campo un grande piano di manutenzione delle scuole italiane che cadono a pezzi»;
«Lo considererei un capitolo chiuso», disse il ministro pro tempore dell'Ambiente Andrea Orlando, a fine luglio 2013;
il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, in un'intervista a Formiche.net, parlò dell'infrastruttura in questi termini: «Bisogna superare la gestione dissennata dei fondi comunitari, oscillante tra opere faraoniche, miliardarie e inutili come l'Alta velocità o il Ponte sullo Stretto e investimenti da poche decine di milioni di euro. Entrambi finalizzati a un immediato consenso politico»;
Gennaro Migliore, attualmente Sottosegretario per la giustizia ed esponente del Pd, non solo in passato ha aspramente criticato il progetto, ma è anche sceso in strada per protestare, fianco a fianco, con il comitato «No Ponte». Si ricorda che l'8 agosto 2009, Migliore faceva parte del fiume di persone che, radunatesi a Piazza Cairoli, ha attraversato Messina per dire no al progetto: «Siamo qui – disse – per opporci ad un capriccio del Governo che vuole realizzare un'opera inutile. Si tratta di un'infrastruttura pericolosa per i, cittadini e per le casse dello Stato, della quale non abbiamo bisogno» –:
se si intendano fornire i dovuti chiarimenti con riferimento alle dichiarazioni del sottosegretario Davide Faraone in merito alle opere del Muos e del ponte sullo Stretto di Messina, chiarendo in particolare se le stesse debbano considerarsi effettivamente espressione della linea politica del Governo avallando così la tesi dell'esistenza di un preciso obiettivo di Governo medesimo, circa la realizzazione di dette opere. (5-08493)
Interrogazioni a risposta scritta:
SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
come noto, con decreto legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, sono state trasferite dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le funzioni in materia di regolazione e vigilanza del settore postale sul rispetto degli obblighi cui sono tenuti i fornitori dei servizi postali;
nell'ambito di tale settore ha una particolare rilevanza l'attività di analisi sullo svolgimento del servizio universale affidato a Poste Italiane ai fini della verifica quinquennale sull'affidamento svolta dal Ministero dello sviluppo economico;
in particolare, a norma dell'articolo 1, comma 6, lettera c), numero 12), della legge 31 luglio 1997, n. 249, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro il 30 giugno di ogni anno, presenta al Presidente del Consiglio dei ministri per la trasmissione al Parlamento una relazione sull'attività svolta dall'Autorità e sui programmi di lavoro;
la relazione contiene, fra l'altro, dati e rendiconti relativi ai settori di competenza dell'Autorità, in particolare per quanto attiene allo sviluppo tecnologico, alle risorse, ai redditi e ai capitali, alla diffusione potenziale ed effettiva, agli ascolti e alle letture rilevate, alla pluralità delle opinioni presenti nel sistema informativo, alle partecipazioni incrociate tra radio, televisione, stampa quotidiana, stampa periodica e altri mezzi di comunicazione a livello nazionale e comunitario;
come da verifiche effettuate da parte degli interroganti, l'ultima relazione trasmessa alla Presidenza del Consiglio dei ministri risulta essere quella riferita all'anno di attività 2013, mentre non è stato possibile rinvenire l'ultima relazione che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avrebbe dovuto predisporre, a norma di legge, entro il 30 giugno 2015, con riferimento alle attività svolte nell'anno 2014 –:
se il Governo possa fornire chiarimenti in ordine alla mancata trasmissione all'attenzione del Parlamento della relazione predisposta a norma di legge dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con riferimento alle attività svolte nell'anno 2014, nonostante siano giunti a scadenza i termini previsti dall'articolo 1, comma 6, lettera c), numero 12), della legge 31 luglio 1997, n. 249;
se possa altresì fornire informazioni aggiornate e dettagliate circa le risultanze emerse nel corso dell'ultima verifica effettuata dal Ministero dello sviluppo economico, da attuarsi con cadenza quinquennale, in merito all'affidamento a Poste italiane del servizio postale universale e la rispondenza del suddetto servizio ai criteri di efficacia e efficienza, alla luce del recente scandalo ribattezzato Posteleaks. (4-12969)
SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
come riporta un articolo pubblicato il 15 aprile 2016 sul sito on line www.huffingtonpost.it e intitolato «Trilateral, la riunione a Roma con Maria Elena Boschi, Yoram Gutgeld e Andrea Guerra. Il road show dei renziani tra i potenti», «dopo 33 anni la prestigiosa e misteriosa Trilateral Commission, think tank fondato nel 1973 da David Rockfeller e Henry Kissinger, torna a riunirsi in Italia. Il battesimo tocca a lei, 1.21. Ministra Maria Elena Boschi, accompagnata da due pesi massimi del renzismo come Andrea Guerra (ex amministratore delegato di Luxottica e per un anno consigliere a palazzo Chigi) e Yoram Gutgeld, deputato Pd e commissario di governo per la spending review (a sua volta membro della Trilateral). A condurre l'incontro la presidente della Rai, Monica Maggioni, molto a suo agio»;
si tratta della riunione annuale plenaria della Commissione trilaterale quest'anno organizzata a Roma dal 15 al 17 aprile con oltre 200 convenuti;
nell'hotel Waldorf Astoria della capitale italiana, come riporta l'articolo citato, «ci sono politici, accademici e uomini d'affari che arrivano da i tre continenti che compongono la Trilateral: Nord America, Europa e Asia. (...) Tra questi Jean Claude Trichet, ex presidente della Bce e presidente del gruppo europeo della Trilateral, il suo predecessore Mario Monti, Herman Van Rompuy, l'ex Ministro turco Ali Babacan, l'ex Ministro degli Esteri della Corea del Sud Han Sung-Joo, il russo Alexei Kudrin, i numeri uno di Intesa e Unicredit Carlo Messina e Giuseppe Vita. Per l'Italia, anche la deputata renzianissima Lia Quartapelle e Lapo Pistelli, ora all'Eni. Sabato sono attesi il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che discuterà di Medio Oriente, ed Enrico Letta, nei panni di preside di Science Po a Parigi. Nella tre giorni, fino a domenica, i delegati vedranno Sergio Mattarella e Papa Francesco, discuteranno di Cina, del Medio Oriente dalle primavere arabe al duro inverno, della minaccia nucleare nordcoreana»;
tra gli italiani sono stati invitati anche il Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale Vincenzo Amendola, l'ex rettore della Bocconi Carlo Secchi, in qualità di presidente del gruppo italiano, Giuseppe Bono (amministratore delegato di Fincantieri), Enrico Cucchiani (ex amministratore delegato di Banca Intesa); l'ammiraglio Giampaolo Di Paola (già Ministro della difesa del Governo Monti), la direttrice di Aspenia Marta Dassù, John Elkann, Enrico Letta, Marco Tronchetti Provera, l'ex Ministro Federica Guidi e il presidente della Commissione affari esteri della Camera Fabrizio Cicchitto;
a parere degli interroganti, la Trilateral è una delle lobby di banchieri e petrolieri tra le più influenti al mondo che ha l'obiettivo di influire sulle scelte dei vari Governi nazionali –:
quali siano stati i contenuti e le risultanze della «tre giorni» alla quale hanno partecipato esponenti del mondo politico, istituzionale, bancario, industriale, culturale italiano soprattutto rispetto alle scelte di politica interna e internazionale del Governo in carica.
(4-12970)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
GARAVINI, PORTA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
a partire dal 1°settembre 2015 la direzione generale sistema Paese del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha disposto il blocco di tutte le nomine del personale a tempo determinato delle scuole statali italiane di Madrid e di Barcellona, dopo le sentenze di alcuni tribunali spagnoli, che hanno condannato l'amministrazione italiana per la mancata assunzione a tempo indeterminato del personale docente supplente, residente in Spagna e in possesso del contratto a tempo determinato da almeno tre anni, in applicazione della direttiva dell'Unione europea in materia;
in conseguenza di tale decisione, per una serie di materie delle scuole secondarie di primo e secondo grado, non è stato possibile garantire la copertura delle ore di lezione, previste dagli ordinamenti della scuola statale italiana, mettendo a rischio il funzionamento del servizio in queste due importanti nostre istituzioni scolastiche statali all'estero;
nel corso del corrente anno scolastico, si è sopperito da parte della direzione generale sistema Paese con comandi semestrali o annuali di personale di ruolo, che tuttavia, a causa dei tempi dei passaggi burocratici, ha assunto servizio con molto ritardo rispetto allo svolgimento delle lezioni, determinando grave sconcerto e preoccupazione tra le famiglie e gli studenti;
soltanto il fattivo contributo dei docenti di ruolo in servizio presso le scuole di Madrid e di Barcellona, che hanno accettato di svolgere ore aggiuntive al proprio orario di servizio, ha consentito di dare avvio alle lezioni scolastiche e garantire fino al termine del corrente anno scolastico il riconoscimento legale dei titoli rilasciati da queste nostre importanti istituzioni scolastiche statali in Europa;
tale difficile situazione rischia di ripetersi e aggravarsi per il prossimo a o scolastico, se non si adottano immediate soluzioni e interventi sul piano normativo, anche d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da rendere al più presto operativi per assicurare il diritto allo studio alla utenza scolastica italiana in Spagna in vista dell'apertura dell'anno formativo il 1o settembre 2016;
tenuto conto che la legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha abolito tutte le forme di comando e collocamento fuori ruolo per il personale del comparto scuola, si prefigura, a partire dal 1o settembre 2016, l'impossibilità di garantire per il prossimo anno scolastico circa un terzo delle lezioni agli studenti che frequentano le scuole di Madrid e Barcellona –:
se i Ministri interrogati non intendano intervenire con opportune iniziative normative, anche tenendo conto degli impegni del nostro Paese all'interno degli accordi culturali bilaterali con la Spagna, al fine di assicurare il regolare inizio delle lezioni nelle scuole italiane di Madrid e Barcellona nel prossimo anno scolastico. (5-08488)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
come noto, il nostro Paese si è dotato di una disciplina normativa a tutela dell'ambiente di rango primario solo nel 1997 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 22 febbraio 1997, n. 22 cosiddetto decreto Ronchi dal nome dell'allora Ministro dell'ambiente Edo Ronchi;
invero, l'Italia giungeva con oltre vent'anni di ritardo rispetto a quanto già previsto dalla direttiva del 1975 sui rifiuti;
prima del predetto «decreto Ronchi», che oggi è stato interamente abrogato dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto testo unico ambientale, l'unica tutela nei confronti della corretta gestione dei residui urbani così come di quelli industriali era rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982, n. 915;
tale premessa di carattere normativo spiega la carenza, quando non addirittura l'assenza, di standard ambientali minimi di riferimento in campo ambientale, segnatamente sul fronte rifiuti e inquinamento del suolo;
non meraviglia dunque che gli impatti ambientali generati in siti contaminati, già di per sé sempre di difficile eliminazione o attenuazione (come ben evidenziato dall'affermato principio della prevenzione ovvero riduzione a monte dei danni ambientali contenuto nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea), siano stati nel corso della nostra fase industriale precedente agli anni ’80 e ’90 pressoché ignorati. Non è un caso che in interventi normativi successivi, determinate fonti di contaminazione siano state definite «storiche» per indicarne o l'impossibile individuazione del responsabile dell'inquinamento oppure la non configurabilità di una responsabilità giuridica in capo ad un soggetto in ordine ad una condotta non prevista dalla legge come illecita;
la situazione ambientale di Fabro (TR), in località Colonnetta, in Umbria appare sotto tale profilo emblematica;
qui infatti nel periodo 1986-1990, sono state depositate 1 milione e 300 mila tonnellate di ceneri di carbone, provenienti dalla centrale termoelettrica ENEL di La Spezia;
come noto l'area interessata è quella della zona industriale di Fabro Scalo, oltre 11 ettari di terreno che fu «rialzata» all'epoca, fino a 6 metri, attraverso operazioni di ricolmatazione per via di una depressione naturale del terreno su cui successivamente è stata costruita una zona artigianale-espositiva oggi pressoché in disuso;
il predetto stoccaggio delle ceneri di carbone sarebbe avvenuto, in tre momenti distinti: negli anni 1986-1987, negli anni 1988-1989 ed infine nel periodo 1989-1990;
come sopra premesso, tali predette attività (avvenute prima dell'adozione di legislazione primaria, sebbene fossero in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e leggi regionali di adeguamento ad esso – nel caso dell'Umbria, la legge regionale n. 44 del 24 agosto 1987–) erano state consentite nella misura in cui le ceneri derivanti dalla combustione di carbone, alla stregua di rifiuti speciali, venivano reimpiegate per la realizzazione di rilevati edilizi e civili;
le ceneri in questione venivano dunque sostanzialmente considerate semplici «inerti» seppur notevoli fossero gli adempimenti da osservare in ordine al trasporto e alla posa in opera di esse come rilevato (si vedano i numerosi molti accorgimenti per evitare lo spolvero o il dilavamento delle ceneri stesse, ad esempio laddove venivano usate come rilevato, dovevano poi essere ricoperte con uno strato di terra di almeno 70 centimetri);
il vigente codice Cer di cui all'allegato D alla parte quarta del richiamato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, include tra i rifiuti speciali non pericolosi le «ceneri leggeri di carbone» attraverso il codice Cer 10 01 02 mentre le «ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose» identificate con codice Cer 19 01 11* sono classificate pericolose attraverso l'asterisco;
come avvenuto in Umbria, oltre a Fabro anche nella valle del Nestore, ma anche in altre realtà del nostro Paese, negli anni ’80 e ’90, il traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero, ha rappresentato un allarme ambientale di dimensioni tutt'altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine alla possibile ricorrenza di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all'assenza di analisi preventive;
non è ad oggi possibile stabilire con sufficiente certezza se su tali grandi quantità di cenere depositate negli anni siano state specificatamente condotte analisi per accertarne la sostanziale caratteristica «inerte» delle ceneri leggere, anche in considerazione di un regime autorizzativo semplificato che consente che rifiuti non pericolosi, a determinate condizioni, siano agevolmente reimpiegati a valle di sole denunce di inizio attività;
la vigente disciplina comunitaria per la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi è divenuta particolarmente stringente al fine di garantire più alti standard di sicurezza ambientale –:
se il Ministro interrogato intenda promuovere un accertamento sulle matrici ambientali della zona descritta in premessa anche attraverso specifiche verifiche e ispezioni da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di verificare lo stato e la qualità delle matrici naturali interessate con particolare riferimento alla situazione della falda e alla presenza di metalli pesanti;
se il Ministro interrogato, anche ai sensi dell'articolo 195, comma 1, lettera f), in tema di specifici flussi di rifiuti con elevato impatto ambientale con specifiche possibilità di recupero, al fine dell'assunzione delle opportune conseguenti iniziative, intenda predisporre una indagine ministeriale, i cui esiti siano resi facilmente consultabili dal pubblico, che, nel compiere una ricognizione degli impianti a carbone chiusi o ancora in esercizio in Italia, individui le regioni, e all'interno di esse le aree ed i singoli impianti destinatari, ove le ceneri di carbone prodotte dagli impianti predetti (sia classificate come rifiuto speciale non pericoloso che come rifiuto speciale pericoloso) siano state conferite sia per essere reimpiegate (in tal caso specificandone anche la tipologia di riutilizzo), che smaltite definitivamente. (4-12953)
ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANTERO, CRIPPA, SIMONE VALENTE, DAGA, MICILLO, MANNINO, BATTELLI e VALLASCAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la nascita ufficiale della Iplom – Industria piemontese lavorazione oli minerali – è datata 1932, a Moncalieri, ma gli eventi del secondo conflitto mondiale ne hanno di fatto decretato lo spostamento a Busalla, dove l'azienda si è poi sviluppata nel corso degli anni fino alla sua attuale configurazione, con oltre 250 dipendenti e un fatturato annuo che, nel 2014, era superiore al miliardo di euro. La raffineria Iplom sorse a Busalla (paese dell'entroterra genovese) nel 1948;
nel 1964, quando, ormai focalizzata l'attività sulla raffinazione petrolifera, vennero inaugurati (i due oleodotti che ancora oggi collegano l'impianto al Porto Petroli di Multedo, nella cui società di gestione controlla anche una quota (8,95 per cento). Dal terminal petrolifero il greggio (acquisto dell'intero carico di navi fino a 100.000 tonnellate), arriva quindi a Busalla, passando per il sito di stoccaggio di Borzoli, si tratta di una serie di depositi con capacità complessiva di 440.000 tonnellate, gestiti da Seasped, una società controllata all'80 per cento dell'Eni e per il restante 20 per cento da Iplom. Questi dati sono desunti dall'intervista pubblicata il 24 marzo 2014 all'attuale amministratore delegato di Iplom Giorgio Profumo;
da notizie di stampa si apprende di numerosi incidenti presso la raffineria, ad esempio un incendio nel 2005 è citato nell'articolo dell'Espresso del 18 dicembre 2013;
nel 2013 i vertici Iplom furono indagati per lo sversamento di sostanze inquinanti nel torrente Scrivia e due grossi serbatoi della raffineria sequestrati a titolo preventivo. In un incidente nel corso d'acqua limitrofo erano finite quantità importanti di solventi ed altre sostanze inquinanti, che hanno provocato una consistente moria di pesci;
in data 17 aprile 2016, intorno alle ore 20, durante lo svolgimento della consultazione referendaria nazionale contro il prolungamento indefinito delle concessioni petrolifere, è avvenuto un grave incidente caratterizzato dall'esplosione dell'oleodotto che dal porto Petroli di Multedo porta il greggio a Busalla nel tratto adiacente al rio Pianego, a Borzoli, con sversamento di idrocarburi nel torrente Fegino e poi nel torrente Polcevera e in parte nel mar ligure. L'Arpa Liguria ha stimato che siano fuoriuscite circa 600 tonnellate di greggio, i comunicati Iplom riferiscono che il quantificativo sia di 500 tonnellate. Il disastro ambientale è stato da subito evidente e sono intervenuti i Vigili del fuoco e numerosi enti di soccorso per limitare la diffusione a valle del greggio. Risulta che la condotta petrolifera sia stata chiusa manualmente dopo almeno 20 minuti dalla constatazione della perdita, rilevata per una depressurizzazione durante il trasferimento di greggio nell'oleodotto da una nave nel porto di Multedo. Non è nota la tipologia di greggio, né la provenienza geografica dello stesso. Sono state costruite dighe per limitare il passaggio del greggio in mare. Già il giorno successivo all'incidente è stato verificato il sovvertimento del pregiato ecosistema del Polcevera, con moria di pesci e uccelli, con importante molestia odorigena nei confronti della popolazione e alcuni ricoveri ospedalieri per malesseri. Sono in corso monitoraggi delle matrici ambientali e il tentativo di separare le acque del torrente dal greggio per l'aspirazione;
è stata aperta un'indagine e le autorità locali e gli inquirenti stanno tentando di stabilire le cause dell'incidente;
il mar ligure è stato oggetto di un altro grave incidente petrolifero, l'Amoco Milford Haven, petroliera da 250.000 tonnellate, danneggiata nel Golfo Persico da un missile iraniano; dopo le riparazioni, la nave fece un solo viaggio, giungendo a Genova dove rimase alcuni giorni, scaricando parte del greggio proprio al porto Petroli di Multedo. L'11 aprile 1991, intorno alle 12.30, si verificò un'esplosione che fece saltare 100 metri di coperta in un braccio di mare di 94 metri vicino a Voltri. Durante la notte la nave in fiamme si spostò al largo di Savona e, il giorno dopo, fu trainata da Cogoleto a Arenzano. Durante l'operazione si staccò la parte di prua interessata dall'esplosione che si adagiò sul fondale. Il mattino del 13 aprile, altre esplosioni scossero il relitto, causate probabilmente dal surriscaldamento delle cisterne non ancora incendiate. Il 14 aprile ci fu l'ennesima esplosione a un miglio e mezzo da Arenzano e, nei giorni successivi, vennero sistemati da numerosi volontari alcune barriere per limitare lo spargimento di greggio, ma lo Scirocco le travolse, causando numerosi spiaggiamenti. Esattamente 25 anni fa ci fu quindi il più grave disastro ecologico di tutto il mar Mediterraneo; una parte del carico (10.000 o 50.000 tonnellate circa) inquina tuttora i fondali tra Genova e Savona. Dal 2001 una commissione è incaricata di realizzare interventi e sperimentazioni di bonifica anche sul relitto stesso, che giace oggi a 80 metri di profondità;
secondo lo studio di Ferraro e altri, pubblicato nel 2009 sull’International Journal of remote sensing, per il Joint Research Center della Commissione europea il mar Mediterraneo ha una superficie di circa l'1 per cento delle acque, ma è attraversato dal 33 per cento del petrolio mondiale, e ogni anno riceve oltre 100.000 tonnellate di petrolio come perdite da varie cause (oil spills), lavaggio serbatoi, incidenti e altro; questa dispersione di petrolio e idrocarburi sta modificando l'ecosistema marino e le interazioni fra matrici ambientali, limitando l'evaporazione. Il mar Ligure appare come l'area peggiore di tutto il mar Mediterraneo con «alta densità di idrocarburi dispersi annualmente»;
nonostante queste aggressioni all'ambiente il mar ligure ospita il «santuario dei cetacei»;
in precedenza, si era verificata una perdita di idrocarburi (cherosene) nell'oleodotto di Fiumicino (gestito da ENI) e altri incidenti del genere si sono verificati nel nostro Paese;
per quanto riguarda l'incidente di Genova Borzoli, si segnalano l'imponente cantiere del Terzo valico ligure (il TAV ligure), a poche centinaia di metri dal luogo dell'esplosione, con importanti movimenti terra e la precarietà idrogeologica di tutta l'area, interessata da numerose alluvioni che hanno interessato più volte il territorio di Genova e lo stesso torrente Fegino negli ultimi anni;
da un punto di vista strutturale, appare evidente la vetustà delle reti infrastrutturali petrolifere sia nel caso di Fiumicino, che in quello di Genova. Tali infrastrutture non vedono da molti anni modifiche sostanziali, nonostante esistano metodi a basso costo per la messa in sicurezza –:
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adoperarsi per contribuire a far luce sulle cause del disastro, con particolare riferimento alla tipologia di greggio erogata nell'oleodotto e alla presenza di strutture, opere e cantieri interferenti con l'oleodotto e alla vetustà dell'oleodotto;
se i Ministri interrogati intendano assumere le iniziative di competenza per verificare la compromissione ambientale dell'area e la presenza di danni alla salute dei cittadini, con particolare riferimento alla contaminazione dei corpi idrici e del mar ligure;
se intendano assumere le iniziative di competenza volte a concedere lo stato di emergenza ambientale e, in tale contesto, a monitorare le bonifiche;
se i Ministri interrogati intendano assumere le iniziative di competenza per verificare la sicurezza delle infrastrutture petrolifere nazionali in relazione anche alla loro reale strategicità, considerato che l'oleodotto di Multedo, per cause dirette o indirette, è stato la causa del principale incidente petrolifero del Mediterraneo (petroliera Haven) e di questo importante incidente ancora da quantificare;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda verificare lo stato di contaminazione da idrocarburi dei mari italiani con particolare riferimento al mar ligure, studiando le cause degli «oil spill» (sversamento di petrolio in mare e nei corpi idrici) e assumere iniziative di competenza per limitare rapidamente questi gravissimi fenomeni;
se il Governo intenda indirizzare la politica energetica del Paese verso una rapida decarbonizzazione, verso la sostenibilità e verso attività ad elevata intensità occupazionale, come la riqualificazione energetica degli edifici, anche tenendo conto del piano energetico presentato dal Movimento 5 Stelle in data 21 aprile 2016. (4-12962)
CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel 1987 la regione Veneto, il comune di Pescantina e la società Aspica Srl hanno sottoscritto una convenzione per la realizzazione e la gestione di una discarica controllata per rifiuti solidi urbani sita nel comune di Pescantina in località Cà Filissine, affidandone la realizzazione e la gestione ad Aspica Srl;
nel 1997 la regione Veneto ha approvato il progetto di ampliamento della discarica. Nel 1999 il comune di Pescantina e la società Aspica Srl, nel 2001, hanno sottoscritto una convenzione per l'esercizio della discarica in attuazione del progetto di ampliamento approvato dalla regione, affidandone la gestione alla Daneco Impianti spa;
nel 2003 la provincia di Verona ha rinnovato l'autorizzazione all'esercizio della discarica. Nella primavera del 2005 in uno dei piezometri di monitoraggio della discarica di nuova realizzazione sono state rilevate delle sostanze anomale, in particolare ammoniaca;
nell'agosto del 2006 vi è stato il sequestro preventivo della discarica, disposto dal tribunale penale di Verona, al fine di verificare le cause e le modalità dell'inquinamento della falda e il grado di pericolosità per la salute pubblica;
il comune di Pescantina, titolare dell'autorizzazione, nelle more del sequestro, ha utilizzato tutte le somme nella sua disponibilità – per la gestione post chiusura della discarica – per sostenere le operazioni di smaltimento del percolato;
inoltre, il comune di Pescantina si impegnava a depositare in regione entro il 31 maggio 2011, una domanda volta all'approvazione di un progetto definitivo avente a oggetto il completamento e la messa in sicurezza permanente dell'area pertinente la discarica;
nell'agosto 2011 il comune di Pescantina e la Daneco spa, gestore della discarica, hanno depositato presso la regione Veneto, la valutazione d'impatto ambientale (V.I.A.), con trasformazione e ampliamento della discarica esistente e asserita bonifica;
con sentenza n. 2112 del 22 ottobre 2012, il tribunale penale di Verona ha accertato che «l'inquinamento della falda era in diretta correlazione causale con la condizione in cui si è trovata la discarica, a seguito della sua dissennato pluriennale gestione» effettuata da tutti gli enti coinvolti e da Daneco Impianti spa e inoltre ha condizionato il dissequestro alla «previa regolarizzazione amministrativa e adozione dei provvedimenti atti a evitare altre infiltrazioni di percolato nella falda acquifera»;
il comune di Pescantina, con nota del marzo 2013, ha trasmesso alla commissione V.I.A il progetto integrativo redatto da Daneco spa limitato alla sola discarica Cà Filissine, ma senza la necessaria «presa d'atto» e ciò in quanto erano state rilevate forti criticità al progetto che hanno portato alla mancata condivisione del progetto stesso da parte di tutti i membri della giunta;
quanto deciso dal comune di Pescantina ha portato alle dimissioni del sindaco in data 8 maggio 2013 e alla nomina di un commissario straordinario che ha interessato Daneco Impianti spa – gestore della discarica e responsabile dell'inquinamento – nella redazione di un nuovo progetto di «bonifica e messa in sicurezza» della discarica;
a giugno 2014 si è costituita la giunta e si è insediato il nuovo sindaco. Nel marzo 2015 è stato conferito l'incarico al dipartimento di ingegneria e ambientale dell'università di Trento di avviare una nuova fase d'indagine per la messa in sicurezza e la bonifica della discarica Cà Filissine;
con la deliberazione di giunta n. 79 del 2 luglio 2015 sono state approvate le linee guida per la messa in sicurezza e bonifica della discarica Cà Filissine;
il sindaco, con ordinanza n. 79 del 3 agosto 2015, ha ordinato alla società di Ingegneria Geo ricerche s.r.l. di predisporre una variante sostanziale al progetto del 2013, per la bonifica e la messa in sicurezza della discarica, adeguandolo alle linee guida suddette;
infine, con deliberazione n. 110 del 13 settembre 2015, il comune ha adottato la variante sostanziale ed ha espresso parere favorevole per la sua trasmissione in regione per il conseguimento del giudizio di compatibilità ambientale, con conseguente approvazione e prevedendone anche la copertura finanziaria;
la variante, oltre a prevedere l'autorizzazione all'esercizio di una discarica di rifiuti non pericolosi in un ambito di ricarica degli acquiferi, prevede anche una richiesta di riclassificazione in «sottocategorie di discarica per rifiuti non pericolosi» ai sensi dell'articolo 7 del decreto ministeriale 27 settembre 2010, con contestuale richiesta di deroga ai criteri di ammissibilità dei rifiuti;
la variante prevede, inoltre, l'apertura della discarica — ancora sottoposta a sequestro – la messa in sicurezza, la bonifica e la successiva chiusura solo dopo il conferimento di circa due milioni e 700 mila tonnellate di rifiuti che consentiranno — secondo i tecnici demandati al progetto – l'equo piano finanziario volto al rientro delle somme sostenute per l'asportazione del percolato, la bonifica della falda e la copertura finale;
il TAR del Veneto, in materia di procedura di valutazione d'impatto ambientale di un progetto, in sentenze precedenti si è così espresso: l'articolo 21 del decreto legislativo n. 152 del 2006 esige di identificare e valutare tutte le scelte al progetto stesso compresa la sua non realizzazione;
infatti, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006, la procedura di Via prescrive di identificare e valutare le scelte del progetto, compresa la sua non realizzazione, indicando le ragioni della scelta effettuata per renderla trasparente ed evitare interventi che causino sacrifici ambientali superiori a quelli necessari a soddisfare l'interesse sotteso all'iniziativa. Di fatto, anche nel caso di specie, nulla è stato effettuato in tal senso;
si evidenzia infine, che il sito di Ca’ Filissine, è inserito nell'elenco dei siti contaminati d'interesse pubblico della regione Veneto e rappresenta un'emergenza ambientale la cui causa risale alla mala gestione che ha caratterizzato gli anni precedenti all'entrata in carica dell'attuale amministrazione comunale;
in considerazione del fatto che le vicende narrate sono state causa di un procedimento penale molto articolato – in cui il giudice penale ha accertato la causa dell'inquinamento con danni alla salute sarebbe utile e necessario approfondire la procedura che ha permesso e autorizzato all'esercizio di una «discarica per rifiuti non pericolosi», dove l'autorizzazione in essere è invece riferita all'esercizio di una discarica per rifiuti solidi urbani e quindi a giudizio degli interroganti in contrasto con la normativa nazionale vigente in materia di smaltimento rifiuti;
considerata la gravità del problema ambientale che ricade sulla salute pubblica e sulla sicurezza, sarebbe necessario intervenire al fine di arrivare a una soluzione concreta e tempestiva, in virtù del fatto che la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini sono obiettivi non negoziabili e quindi non è possibile conferire ulteriori rifiuti con la finalità di ammortizzare le spese che la società Daneco Impianti spa deve sostenere per la bonifica e messa in sicurezza del sito;
non ci si spiega come la società Daneco Impianti spa, nonostante sia coinvolta in più vicende giudiziarie, possa aver presentato un progetto di bonifica e messa in sicurezza in contrasto con il decreto legislativo 152 del 2006 presentando, inoltre, una richiesta danni al comune di Pescantina per oltre 6 milioni di euro per mancati introiti dovuti al sequestro della discarica –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali verifiche di competenza intenda promuovere, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di constatare lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento dell'area anche con riferimento alla falda acquifera, nell'ottica di assicurare la tutela dell'ambiente e della salute, già fortemente compromesso;
se ritenga urgente impegnarsi al fine di prevenire nuove procedure d'infrazione da parte della Commissione europea, relativamente alla discarica di Ca’ Filissine, che ricadrebbero sulla collettività anche da un punto di vista economico. (4-12967)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta scritta:
BRUNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
nel lontano 1846 nel territorio di San Sosti, in provincia di Cosenza, fu rinvenuta l'ascia votiva di Kyniskos, uno straordinario reperto archeologico, risalente probabilmente al VI sec. a. C.;
l'ascia ha un valore unico non solo perché testimonia la ricchezza archeologica del territorio, sebbene costantemente depauperato, ma anche perché l'epigrafe incisa sulla sua penna rappresenta, ad oggi, il primo ed unico documento scritto in dialetto dorico alfabeto acheo. Nell'epigrafe è l'oggetto stesso a parlare ed afferma di essere sacro ad Era e di essere offerto da Kyniskos;
il destino di quest'ascia votiva, offerta da « the boy boxer», come chiamano a Londra il pugile bambino, originario di Mantinea e vincitore di un'Olimpiade, è significativo del depauperamento che il nostro Paese e la Calabria, in particolare, hanno subito spesso;
nel 1857, certamente, il reperto si trovava custodito ancora a San Sosti. La scure finì, in seguito, nelle mani di un mercante romano di reperti archeologici Alessandro Castellani; nel maggio 1884, la collezione del mercante fu posta in vendita ad un'asta di Parigi: l'ascia di Kyniskos venne acquistata da Sir Charles Thomas Newton, già responsabile del dipartimento delle antichità del British Museum della Real – Casa Inglese. Oggi la scure-martello di Kyniskos è, gelosamente, conservata al British Museum di Londra;
il comune di San Sosti, da circa trenta anni, ha provato a rivendicare la restituzione dell'ascia, anche con il sostegno del Ministero;
le modalità di acquisizione dell'ascia da parte del British Museum non sono mai state rese note;
la questione sul rientro dei beni culturali è complicata e sono numerosi i contenziosi tra Musei e luoghi di provenienza. Il nostro Paese ha ottenuto anche importanti restituzioni come l'accordo siglato con il Getty Museum di New York, ma ciò non è sufficiente se si pensa a quanto ancora rimane da recuperare e a quanto ammonterebbe il beneficio economico per il nostro Paese se si potessero recuperare ed esporre i beni trafugati, soprattutto per regioni con un'economia fragile come la Calabria;
il territorio di San Sosti ha fortissime valenze ambientali, religiose e storiche: il santuario della Madonna del Pettoruto, un posto mistico racchiuso tra montagne che in un attimo salgono da 500 a 1600 metri, la gola del fiume Rosa, Artemisia, antico insediamento bizantino ma con ritrovamenti molto più antichi, il percorso storico che collegava lo Ionio al Tirreno sia dai toni della Magna Grecia e altro ancora –:
se il Ministro non intenda avviare una più serrata fase di mediazione con il British Museum per la restituzione dei beni archeologici nazionali trafugati e lì esposti, tra cui l'ascia di San Sosti;
se, nell'attesa di concludere la trattativa per la restituzione del bene, o in alternativa, non si possano prevedere forme di compensazione tendenti a valorizzare il territorio di San Sosti e la sua storia, anche mediante la possibilità di esporre temporaneamente il reperto in Calabria. (4-12961)
DIFESA
Interrogazione a risposta in Commissione:
BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
i quotidiani Il Sole24ore e Il Giornale di Brescia del 16 aprile 2016 riportano le affermazioni di Franco Gussalli Beretta, vice presidente della ditta Beretta di Gardone Val Trompia, secondo il quale la Beretta fornirà all'Esercito italiano «un equipaggiamento completo: arma, nuovo sistema di puntamento, indumenti tecnici»;
secondo lo stesso industriale «la commessa è in corso di finalizzazione ed è una parte importante del fatturato atteso l'anno scorso»;
di tale commessa verosimilmente molto onerosa considerando che viene definita una «parte importante del fatturato» dell'azienda, il cui giro d'affari nel 2013 è stato di circa 680 milioni di euro, non risulterebbe traccia nei bandi o negli avvisi di forniture del Ministero della difesa, né essa sembra rientrare nei programmi relativi al rinnovamento e all'ammodernamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni destinati alla difesa nazionale; tali programmi devono essere approvati con legge se richiedano finanziamenti di natura straordinaria; ai sensi della lettera a) del comma 1, dell'articolo 536, del codice dell'ordinamento militare, o con decreto del Ministro della difesa, se si tratta di programmi finanziati attraverso gli ordinari stanziamenti di bilancio, ai sensi della lettera b) del comma 1 del suddetto articolo. Nel suddetto articolo è specificato che «In tal caso, salvo quanto disposto al comma 2 e sempre che i programmi non si riferiscano al mantenimento delle dotazioni o al ripianamento delle scorte, prima dell'emanazione del decreto ministeriale deve essere acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari»;
agli interroganti non risulta che sia stato richiesto alle commissioni parlamentari competenti un parere in merito ad un decreto siffatto che riguardasse anche il progetto di fornitura di equipaggiamento da parte della ditta Beretta –:
se il Ministro interrogato confermi che sono in corso trattative con la ditta Beretta per una commessa di grossa entità destinata all'Esercito italiano;
in che cosa eventualmente consista tale commessa e quale ne sia l'importo presunto;
quando sia stato pubblicato il relativo bando di gara;
nel caso sia stato emesso un decreto ministeriale di cui alla citata lettera b) dell'articolo 536 del codice dell'ordinamento militare, per quale ragione non sia stato chiesto il parere previsto alle commissioni parlamentari competenti.
(5-08491)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta scritta:
PALAZZOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
l'avvocato Dominic Gentile ricopre l'incarico di console onorario italiano a Las Vegas, Stato del Nevada, USA;
tale incarico è ricoperto dall'avvocato Gentile dal 26 novembre 2013;
il consolato italiano a Las Vegas opera sotto il coordinamento del consolato generale d'Italia di Los Angeles;
in data 2 aprile 2016 il settimanale L'Espresso ospita un'inchiesta a firma del giornalista Fabrizio Gatti relativa a sospette operazioni finanziarie nel territorio di Las Vegas e dello stato del Nevada effettuate da cittadini italiani già noti alle cronache giudiziarie;
nello stesso articolo Gatti dà conto delle attività private del console onorario in Las Vegas, riportando circostanziati elementi;
in particolare, emerge come il console onorario Gentile abbia patrocinato la difesa in alcuni casi di omicidio, conclusi con la condanna degli imputati, ottenendo come pagamento dell'onorario i servizi del «Palomino club», noto locale di strep-tease nella città di Las Vegas;
dall'inchiesta di Gatti sembra emergere un notevole giro di affari che vede coinvolti cittadini italiani già al centro di attività investigativa da parte della FBI e della guardia di finanza;
andrebbe escluso il rischio che, visto il ruolo e la funzione, l'attività amministrativa del consolato italiano a Las Vegas possa essere interessata dalle attività economiche e finanziarie descritte nell'articolo;
appare in ogni modo singolare che l'attività dei numerosi cittadini italiani in Nevada non sia stata, a quanto risulta, segnalata adeguatamente dal consolato;
in identica maniera i rapporti comprovati tra il console onorario e il comandante della polizia metropolitana di Las Vegas, che pare non adeguatamente attenta al fenomeno specificato in narrativa, danno adito secondo l'interrogante a possibili conflitti di interesse e sembrerebbero alludere ad una possibile sottovalutazione del fenomeno stesso –:
se non ritenga che, per quanto riportato in premessa, sussistano elementi tali da ritenere l'avvocato Gentile inidoneo alle funzioni consolari assegnate e, comunque, alla rappresentanza derivante dall'ufficio di console onorario d'Italia;
se, alla luce delle rivelazioni contenute nell'articolo del settimanale l'Espresso, non si ravveda la necessità di un'attenta opera di valutazione sull'operato del consolato italiano a Las Vegas;
se e di che natura sia stata l'opera di verifica e controllo da parte del consolato generale di Los Angeles nei confronti dell'operato del consolato dipendente di Las Vegas. (4-12964)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
in Sicilia il procuratore generale della Corte dei conti della regione Sicilia, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016, avvenuta a Palermo il 5 marzo 2016, ha sollevato un grave problema di integrità e sobrietà istituzionale, dichiarando che «... stupisce la vicenda, di vastissima eco mediatica, degli studenti di Capizzi, paese della Provincia di Messina, che la mattina del 12 ottobre 2015 hanno raggiunto a piedi Nicosia, distante 27 chilometri, dove frequentano le scuole superiori, per protestare contro il taglio dei contributi per il trasporto alunni. Questo, mentre l'Amministrazione regionale distribuisce innumerevoli tessere di libera circolazione, previste dal decreto assessoriale n. 121/Trasporti del 21 giugno 2001, per l'utilizzo gratuito di tutti i mezzi di trasporto pubblico locale regionale, assegnate a vertici istituzionali, dirigenti e dipendenti in servizio e in quiescenza, senza alcun riferimento alla capacità reddituale dei destinatari dei benefit. Certamente, destinare tali risorse agli studenti costituirebbe un intervento quantitativamente insufficiente, ma assai significativo sotto il profilo simbolico, per recuperare quel deficit di credibilità accumulato nel corso di troppi anni»;
dopo che il procuratore generale della Corte dei conti della regione Sicilia ha rifiutato la tessera a lui concessa di libera e gratuita circolazione su tutti i bus urbani ed extraurbani, a quanto risulta all'interrogante la regione siciliana ha revocato con effetto immediato tutte le tessere;
per quanto riguarda gli organi statali, esiste un decreto analogo a quello regionale ora revocato, con il quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in data 1o agosto 1994 (Gazzetta Ufficiale n. 220 del 10 agosto 1994), regolamentando appunto le tessere di libera circolazione, ha previsto (articolo 5) che le stesse vengano rilasciate, tra l'altro, anche ai presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, al procuratore generale della Corte dei conti, all'avvocato generale dello Stato, al Presidente, ai magistrati e funzionari in servizio presso la seconda sezione consultiva del Consiglio di Stato, ai magistrati e funzionari dell'ufficio di controllo della Corte dei conti presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, agli avvocati dello Stato e ai funzionari distaccati presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
secondo l'interpellante, gli stessi motivi di opportunità e sobrietà che hanno indotto la regione Siciliana a revocare l'analogo decreto che disciplina il rilascio delle tessere di libera circolazione relative al trasporto pubblico locale regionale, sussistono anche per quanto riguarda il citato decreto ministeriale;
rispetto al 1994, le attuali condizioni economiche del nostro Paese sono profondamente mutate, richiedendo continui sacrifici ai cittadini e comportamenti ispirati a sobrietà ed austerity, soprattutto per i rappresentanti delle più alte istituzioni repubblicane –:
quali siano i dati relativi al numero di tessere di libera circolazione di cui al citato decreto del Ministero dei trasporti 1o agosto 1994 rilasciate nel corso degli anni 2015 e 2016, con l'indicazione dei soggetti beneficiari e delle relative qualifiche;
quale sia il costo sostenuto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per tale rilascio e per il relativo uso;
se non intenda assumere iniziative per rivedere le attuali previsioni del decreto, al fine di limitare la concessione della tessera di libera circolazione solamente ai casi in cui la stessa sia necessaria per l'esercizio delle attività di vigilanza in materia previste dalla vigente normativa.
(2-01355) «Bonafede».
Interrogazione a risposta scritta:
PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la Tecnis, società catanese leader nel settore delle costruzioni, aggiudicataria, tra gli altri, dell'appalto per la realizzazione dell'anello ferroviario nella città di Palermo, per un valore di 154 milioni di euro, di cui Rete ferroviaria italiana è stazione appaltante, è soggetta ad amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose dall'11 febbraio 2016;
il completamento dei lavori nei cantieri palermitani parrebbe essere attualmente oggetto di valutazione da parte di Rete ferroviaria italiana che ha avviato le procedure per verificare eventuali inadempienze contrattuali che potrebbero consentire la risoluzione del contratto con Tecnis;
come riportato da numerosi articoli di stampa (La Repubblica del 5 aprile 2016 e Giornale di Sicilia del 18 aprile 2016) l'amministrazione comunale, beneficiaria dei lavori, ha rilevato come i cantieri siano sostanzialmente inattivi, a causa di una crisi di liquidità dell'azienda che ha impedito tanto la continuità nell'approvvigionamento della materia prima, quanto la regolare erogazione delle retribuzioni;
la realizzazione del passante ferroviario rappresenta per la città di Palermo un'infrastruttura necessaria per un sistema di mobilità pubblica sostenibile e moderno, oltre a rappresentare un'opportunità occupazionale e di sviluppo futuro. L'opera, quindi, rappresenta un investimento strategico per la città, il cui destino, per tanto, non può essere legato all'incerto futuro della Tecnis;
l'attuale condizione dei cantieri appare intollerabile per l'intera città di Palermo a causa dei disagi arrecati tanto alla mobilità urbana, quanto a residenti e commercianti, centinaia dei quali, a causa dell'allontanamento del termine di fine-lavori, rischiano di dover definitivamente cessare la propria attività –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato dei cantieri Tecnis a Palermo;
se Rete ferroviaria italiana sia pronta ad impegnarsi a riconfermare l'investimento strategico per il completamento dell'anello ferroviario nella città di Palermo, anche in caso di risoluzione del contratto con Tecnis;
se e quali iniziative intenda attuare per il superamento dell'attuale fase di stallo e per garantire il rispetto dei tempi di realizzazione previsti. (4-12965)
INTERNO
Interrogazione a risposta orale:
ZOGGIA, MARTELLA, MOGNATO e MURER. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'allarme lanciato dalla nota testata tedesca «Bild» circa il rischio di attentati terroristici sulle spiagge italiane e spagnole rischia di generare effetti disastrosi per l'economia;
a fronte delle smentite rilasciate dalle massime autorità giudiziarie e di sicurezza rimane tuttavia un sentimento di insicurezza che rischia di orientare le scelte dei turisti;
ad essere particolarmente colpite sono le località balneari notoriamente scelte dai tedeschi lungo la costa adriatica, come ad esempio Jesolo e i lidi veneti;
in questo caso si è ben oltre il diritto all'informazione, poiché il generare allarmi infondati può, a giudizio degli interroganti, destare il sospetto di scelte anche di natura economica finalizzate a penalizzare il nostro Paese;
il turismo è una voce importante dell'economia, anche in relazione allo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico dei territori –:
se davvero esista un rischio legato al terrorismo per le località balneari come riportato da «Bild» e quali iniziative intenda assumere il Governo, anche attraverso i canali diplomatici, al fine di tutelare il settore turistico italiano da falsi scoop e notizie destituite di fondamento che alterano gli orientamenti dei turisti creando pesantissimi contraccolpi alle economie territoriali e all'intero Paese.
(3-02211)
Interrogazioni a risposta scritta:
ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il castello svevo di Augusta è l'edificio simbolo della città. Un'imponente fortezza normanno-sveva del XIII secolo, che si erge con tutta la sua mole sull'estremità nord dell'isola di Augusta;
il castello, nel corso dei secoli, ha subito diverse trasformazioni e manomissioni soprattutto per l'utilizzo a penitenziario dal 1890 fino al 1978. Una parte, attualmente, è occupata dal commissariato della polizia di Stato;
per il recupero del complesso monumentale, con D.D.G. n. 3246 del 30 ottobre 2013 «Approvazione elenco progetti da imputare al Programma POIN Attrattori culturali, naturali e turismo» per un valore complessivo di euro 73.363.217,00, la Regione Siciliana decretava l'ammissibilità al finanziamento del «Museo del Mediterraneo Moderno nel Castello Svevo di Augusta – I stralcio funzionale» per l'importo di euro 2.000.000,00 su un totale di euro 10.000.000,00»;
il 16 febbraio 2016, il Castello Svevo è stato sottoposto a sequestro, a seguito della denuncia dell'associazione Italia Nostra che aveva segnalato gravi danneggiamenti strutturali del Castello «dovuti esclusivamente alla mancata manutenzione e all'abbandono del monumento da parte della Regione Siciliana». Gli specialisti della Soprintendenza avrebbero più volte evidenziato, in maniera qualificata, che le lesioni esterne dell'immobile «sono dovute all'omissione dei lavori necessari che costituiscono la causa del deterioramento»: le motivazioni della denuncia sono state poi confermate dal Nucleo per la tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri;
oltre all'attuale Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta e ad alcuni dirigenti regionali indagati per omissione di atti d'ufficio, danneggiamento del patrimonio archeologico storico e artistico e per omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, è stato indagato anche l'ex presidente della regione Raffaele Lombardo, perché, secondo la procura di Siracusa «l'inerzia è durata nel tempo» e i mancati interventi hanno creato gravi e reali rischi per l'incolumità pubblica;
il 7 aprile 2016 l'assessore regionale dei beni culturali ha prenotato 225.000 euro dal capitolo 776016 per l'esecuzione dei lavori urgenti per il consolidamento delle lesioni passanti lungo il tratto a mare del muro di cinta nord-est –:
se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intenda assumere per evitare rischi per l'incolumità pubblica derivanti dal pericolo di rovina del Castello e per contribuire, con ogni possibile strumento in particolare di carattere finanziario, alla messa in sicurezza di un così rilevante patrimonio storico e culturale. (4-12954)
RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 17 aprile 2016, come riportato da diversi organi di stampa, nel locale commissariato di polizia di Stato della città di Caltagirone è crollato il soffitto nell'ufficio raccolta denunce dell'immobile in cui l'ufficio medesimo è ospitato da oltre 20 anni con regolare contratto di affitto;
solo per un caso fortuito non si sono riscontrati feriti, in quanto il crollo è avvenuto di domenica e proprio in occasione della tornata elettorale referendaria;
negli anni tra il 2011-2012 furono messi a disposizione 16 milioni di euro dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), notizia pubblicata sul sito web del comune di Caltagirone; i fondi venivano destinati per i programmi integrati utili al recupero e la riqualificazione della città; si trattava di un vasto programma economico che sarebbe dovuto partire nel 2013 e che prevedeva, per l'appunto, anche un nuovo commissariato di polizia;
nonostante ci siano, all'interno del patrimonio del comune, diversi stabili non in uso, tra cui l'ex edificio dell'Inps da poco tempo oggetto di importanti ristrutturazioni da parte del comune di Caltagirone, il Ministero dell'interno continua a pagare un affitto per un edificio dichiarato oramai, in parte inagibile, in quanto 5 stanze del commissariato sono state chiuse, impedendo ai funzionari di polizia di poter espletare regolarmente il proprio lavoro;
diverse volte la prefettura di Catania, per come il prefetto ha avuto modo di chiarire all'interrogante, così come previsto dalle normative vigenti, ha avviato indagini di mercato per verificare la possibilità di traslocare il commissariato in altre strutture, ma, poiché il canone di affitto attuale risulta essere troppo basso per poter essere riproposto a copertura di nuovi canoni di locazione, esse puntualmente non hanno avuto seguito –:
se il Ministro interrogato fosse già a conoscenza dei fatti accaduti;
a quanto corrisponda la spesa annua prevista dal Ministero a copertura del canone di locazione per il commissariato di pubblica sicurezza di Caltagirone;
a quanto ammonti la spesa media degli affitti per i commissariati di polizia in Italia per verificare la reale sottostima delle somme destinate al commissariato di Caltagirone;
se intenda trovare una rapida soluzione alla problematica esposta coinvolgendo anche il comune di Caltagirone che potrebbe destinare, anche temporaneamente, locali idonei alle esigenze del commissariato di pubblica sicurezza. (4-12957)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto segnalato all'interrogante da fonti sindacali, si starebbe da tempo verificando un problema relativo alla logistica relativa all'accesso alla caserma Virgilio Raniero, sede dell'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della questura di Napoli;
infatti, sempre secondo quanto segnalato, l'accesso veicolare e pedonale alla citata caserma, ovvero quello di via Tanucci, è stato interdetto per motivi di sicurezza il 14 aprile 2012, con provvedimento della Protezione civile del comune di Napoli, a causa del pericolo di crollo della parete perimetrale del Real Albergo dei Poveri, che confina con il viale di ingresso della caserma Virgilio Raniero;
da quel momento in poi, dopo una prima opera di messa in sicurezza dell'area interessata, la situazione è rimasta bloccata da una serie di problematiche di ordine burocratico. Il risultato di tutto ciò è che Palazzo Fuga, sede del citato Real Albergo dei Poveri, immobile oggi ridotto in uno sconcertante stato di degrado, nonostante sia collocato nell'area del centro storico di Napoli, area inserita dall'UNESCO nell'elenco dei siti patrimonio culturale dell'umanità, è rimasto nello status quo ante e di fatto, oltre a continuare a rappresentare una imminente fonte di pericolo per gli operatori di polizia che prestano servizio presso l'ufficio prevenzione generale della questura di Napoli, sta generando gravi problemi per la sicurezza, funzionalità ed efficienza della struttura;
sempre secondo quanto riferito da fonti sindacali, ciò non solo arrecherebbe una serie di pesanti – pregiudizi per tutto il traffico veicolare e pedonale inerente all'autocentro di polizia ed all'ufficio prevenzione generale della questura di Napoli, ma avrebbe avuto come conseguenza quella di imporre un raddoppio del personale di vigilanza con conseguente soppressione di una volante dell'ufficio previsione generale per turno;
inoltre, sempre secondo quanto segnalato, la presenza di un solo varcò di ingresso/uscita per due autonome strutture di polizia attigue, interessate da una affluenza quotidiana che, tra dipendenti ed avventori, supera ampiamente le 500 unità, configurerebbe un pericolo per la sicurezza dei lavoratori per mancanza di conformità alla normativa inerente alla sicurezza sul lavoro –:
quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato in relazione alle problematiche che scaturiscono dal pericolo di crollo della parete perimetrale del Real Albergo dei Poveri, dal momento che, secondo quanto segnalato da fonti sindacali, la contiguità con l'edificio della caserma Virgilio Raniero genera una serie di gravi pregiudizi per la funzionalità e la sicurezza delle attività della questura di Napoli. (4-12960)
DI LELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
Antonio Iovine, detto O'ninno, era nella lista del Viminale dei 30 latitanti più pericolosi, assieme – tra gli altri – a Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa Nostra, e Michele Zagaria, dei Casalesi. Quarantasei anni, nativo di San Cipriano d'Aversa (Caserta), Iovine deve scontare la pena dell'ergastolo comminata nei suoi confronti in sede di appello al maxiprocesso Spartacus, nel giugno del 2008. Componente con Zagaria della diarchia che dalla latitanza ha diretto gli affari criminali del clan, Iovine è considerato il «boss manager», la mente affaristica del sodalizio impegnato tra le altre attività anche nel business della spazzatura. A lui viene attribuita la capacità del clan di espandere i propri interessi ben oltre i confini campani. È Iovine, per gli inquirenti, a rappresentare per anni la camorra che fa affari e che ricicla i proventi delle attività illecite, droga e racket su tutte, nell'economia pulita e nel business del cemento fino a costruire l'impero di «Gomorra», come testimoniato dai continui sequestri di beni disposti da parte della magistratura;
era il 2010 quando il boss viene arrestato dagli uomini della squadra mobile di Napoli, gli stessi che, un anno dopo, catturano l'altro imprendibile, Michele Zagaria. Due arresti eccellenti, anche se, a distanza di alcuni anni, il primo sembra essere costellato da tante ombre: la sparizione di una pen drive, l'archivio del boss e ora un «super pizzino». Su questi fatti è stata aperta un'indagine e alcune notizie cominciano a trapelare;
sembra infatti che Iovine al suo arrivo in questura, avesse con sé un foglietto che fece scivolare nelle mani del suo primogenito, Oreste. Si presume che contenesse l'archivio dei business del cosiddetto «ministro dell'Economia» dei Casalesi, come Iovine è stato definito dalla direzione distrettuale antimafia. È lo stesso figlio del « ninno» a ricostruire l'episodio. Il verbale è agli atti degli arresti eseguiti in questi giorni dai carabinieri di Caserta per delle estorsioni messe in atto dopo la cattura del boss. Un recupero crediti che Antonio Iovine affidò, proprio nelle stanze della questura, al figlio consegnandogli il libro mastro dei suoi affari;
infatti, al boss venne effettivamente concesso di incontrare i tre figli e, stando alle parole del figlio, che non è pentito, ma usufruisce dei benefici della legge per i collaboratori di giustizia in qualità di dichiarante, in un verbale datato 21 luglio 2014, si legge testualmente che «il giorno dell'arresto, in questura a Napoli, mio padre mi consegnò un foglio nel quale erano elencati una serie di riferimenti ad immobili, compromessi e nominativi di persone per consentirmi di provvedere a tutelare il patrimonio immobiliare e per evitare che fossero dispersi ... Mi disse che non avrei dovuto avere rapporti con gli affiliati al clan che gioco forza mi avrebbero inserito in un meccanismo incontrollabile e autodistruttivo ... Sempre in questura a Napoli, proprio nel momento in cui mi consegnò il foglietto, ci fece capire che stava cercando una soluzione per ricompattare il nucleo familiare: rassicurò me e i miei due fratelli presenti in questura, ma non fece riferimento a una sua futura collaborazione», si legge ancora nel documento. Solo da alcuni giorni tali dichiarazioni sono diventate pubbliche –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di verificare effettivamente, per quanto di competenza, come si siano svolti i fatti, anche inviando degli ispettori ministeriali, in quei momenti concitati che hanno seguito l'arresto del boss dei Casalesi e come sia stato possibile che quest'ultimo abbia potuto conferire con i propri famigliari, fornendo loro informazioni e documenti così rilevanti, senza alcun tipo di sorveglianza. (4-12971)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
CHIMIENTI, VACCA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, MARZANA, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il comma 114 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 ha previsto l'indizione di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione di personale docente entro il 1o dicembre 2015, termine che è stato disatteso in quanto il concorso è stato indetto con il D.D.G. n. 106 del 23 febbraio 2016 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie speciale – concorsi ed esami n. 16 del 26 febbraio 2016;
la legittimità del concorso a cattedra è stata messa in discussione dal parere espresso dal Consiglio superiore della pubblica istruzione, reso nell'adunanza del 27 gennaio 2016, in cui le osservazioni critiche riguardavano la necessità di tutelare tutti i soggetti potenzialmente destinatari del provvedimento, dubitando della liceità della scelta di riservare il concorso ai soli docenti abilitati;
lo stesso parere riscontrava, inoltre, criticità in riferimento alle prove d'esame, ai programmi e sulla valutazione dei titoli e del servizio, evidenziando ad esempio come il carattere delle prove scritte risulti «troppo nozionistico» e come questo andrebbe «riequilibrato in favore di competenze didattiche, metodologiche, relazionali richieste a un docente»;
a pochi giorni dall'inizio delle prove scritte le criticità sono aumentate, dal momento che la formazione delle commissioni di concorso risulta ancora non ultimata, secondo quanto riportato dall'articolo a firma Lorenzo Vendemiale, pubblicato in data 11 aprile 2016 su www.ilfattoquotidiano.it, a causa dei bassi compensi stabiliti, mentre in diverse regioni italiane come ad esempio il Lazio, gli uffici scolastici regionali hanno riaperto i termini per la presentazione delle domande estendendo al personale ATA la possibilità di partecipazione in qualità di segretari delle commissioni giudicatrici;
le griglie di valutazione e punteggio, che ogni commissione dovrà possedere per la valutazione della prova scritta, contenenti i criteri definiti a livello nazionale quali la pertinenza, la correttezza linguistica, la completezza e l'originalità, ed eventualmente dei criteri specifici differenziati per le diverse aree disciplinari non sono ancora state rese note, palesando, una possibile violazione dei principi di imparzialità e trasparenza delle scelte valutative della pubblica amministrazione;
a causa della riformulazione degli elenchi di abbinamento dei docenti alle classi per lo svolgimento delle prove scritte inizialmente dagli uffici scolastici regionali compilati seguendo il criterio dell'ordine anagrafico e solo successivamente quello alfabetico, molti docenti si sono visti cambiare improvvisamente la sede dello svolgimento delle prove, causando notevoli disagi a chi dovrà spostarsi ulteriormente e a chi ha già prenotato l'albergo presso la città in cui avrebbe sostenuto l'esame;
ad oggi il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora pubblicato ufficialmente sul proprio sito le suddette modifiche, giustificate come «errore tecnico» a dispetto di quanto pubblicato nel precedente avviso (http://www.istruzionait/concorso docenti/avviso.shtml) in cui specificava che «L'elenco delle sedi d'esame, con la loro esatta ubicazione e con l'indicazione della destinazione dei candidati, sarà reso noto con successivo avviso pubblicato sui siti internet e sugli albi degli Uffici Scolastici Regionali competenti all'espletamento della procedura concorsuale, nonché sulla rete intranet e sul sito internet del Ministero almeno 15 giorni prima della data di svolgimento delle prove» –:
se il Ministero interrogato intenda considerare la possibilità di far slittare l'inizio delle prove scritte, vista la necessità che trascorrano 15 giorni dalla data di pubblicazione di sedi e date ufficiali allo svolgimento delle prove, come segnalato dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (5-08487)
Interrogazione a risposta scritta:
LUIGI GALLO, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, D'UVA, BRESCIA e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
attualmente il liceo artistico di Santa Maria Capua Vetere è ubicato in via Mastrantuono, nel comune di Santa Maria Capua Vetere, in una struttura privata per la quale, in base a quanto riportato su un articolo apparso online sul sito interno18.it in data 27 agosto 2015, la provincia di Caserta sarebbe costretta a versare un canone mensile di circa euro 20.000, perché l'Istituto Nervi-Righi all'inizio dell'anno scolastico 2015/2016 non era considerato pronto per inglobare gli alunni del liceo artistico di S. Maria Capua Vetere;
lo stabile in cui è attualmente ubicato il liceo in questione, che risulta essere di proprietà del signor Antonio Ventriglia, in base a quanto riportato sul verbale di interdizione n. 0028919 del 4 aprile 2016 e in un articolo sul giornale Cronache del 9 aprile 2016 (pagina 14), è stato sottoposto a controlli da parte dell'asl in data 14 novembre 2014 e, solo in data 5 aprile 2016, il piano seminterrato è stato interdetto dall'utilizzazione per eliminare qualunque potenziale pericolo per la salute e la sicurezza;
ictu oculi, appare contraddittorio che la provincia di Caserta paghi 20.000 euro mensili per una struttura ritenuta dall'asl non idonea e, in parte, inagibile a causa del pericolo per la salute e la sicurezza, quando lo stesso non è accaduto per l'istituto Nervi-Righi che avrebbe dovuto ospitare gli alunni del liceo artistico di S. Maria Capua Vetere;
una tale situazione ha inevitabilmente provocato le proteste degli alunni e del corpo docente del liceo artistico di S. Maria Capua Vetere che ritengono irragionevole che si possa pensare di affrontare spese per la manutenzione della struttura quando è stato già stabilito che quella stessa struttura verrà lasciata per trasferirsi all'istituto Nervi-Righi e si chiedono perché questo trasferimento non possa essere anticipato date le circostanze in essere;
sarebbe impensabile che un'attesa lunga possa essere sostenuta dagli studenti e i docenti del liceo artistico di S. Maria Capua Vetere a cui è venuto a mancare il diritto di accedere ai laboratori della propria scuola, recando danno sia al lavoro che dovrebbe essere svolto dal corpo docente sia al diritto allo studio degli alunni che necessitano dei locali interdetti per svolgere pienamente le attività didattiche previste dal percorso di studi, nonché alla provincia di Caserta stessa, che continua a pagare 20.000 euro al mese per una struttura fatiscente ed inadeguata –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e alle soluzioni possibili, in relazione all'esigenza di garantire il diritto allo studio e il corretto svolgimento delle attività scolastiche. (4-12968)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta scritta:
SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
il cosiddetto inverno demografico è reso drammaticamente evidente dai dati Istat: nel 2015 sono nati 488 mila bambini, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Gli anziani con più di 65 anni, invece, sono tredici milioni, più di un quinto della popolazione;
inoltre, tra il 2007 e il 2014 la povertà tra la popolazione italiana è raddoppiata passando dal 3 per cento al 7 per cento con oltre un milione di minori in povertà assoluta (il 10 per cento del totale) e nel 2015 centomila cittadini italiani si sono cancellati dall'anagrafe per trasferirsi all'estero. Un dato, quest'ultimo, in aumento;
non è difficile prevedere, quindi, conseguenze nefaste sull'invecchiamento della popolazione e sull'economia. Un Paese con poche nascite, con pochi giovani e con una domanda debole e un'economia stagnante rischia di precipitare nella spirale senza uscita della «stagnazione secolare»;
in questo quadro è comprensibile che le esigenze degli anziani siano al centro del dibattito politico e che le pensioni e la sanità assorbano la parte preponderante della spesa sociale. Ma è altrettanto vero che per alimentare il «welfare per la sicurezza» è indispensabile avere alti tassi di crescita e di occupazione, ed è quindi necessario investire sul futuro e su chi è capace di generarlo, cioè le famiglie che mettono al mondo dei figli;
crescere un figlio, oltre ai molteplici investimenti di tipo affettivo, psicologico, educativo, richiede anche un forte investimento economico. Da una ricerca dell'Osservatorio di Federconsumatori risulta che, crescere un figlio fino alla maggiore età, costa mediamente 170 mila euro, circa 11 mila euro l'anno, con un picco di 13 mila euro nel primo anno di vita;
le misure a sostegno del reddito, familiare assumono un ruolo fondamentale ed è di indiscutibile importanza l'assegno al nucleo familiare (ANF) che costituisce, infatti, un importante sostegno per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e che abbiano redditi inferiori a quelli determinati ogni anno dalla normativa vigente in materia;
è da rilevare, tuttavia, che il meccanismo di assegnazione ed erogazione dell'ANF non corrisponde più alle esigenze attuali, basandosi su un impianto obsoleto. Per fare alcuni esempi: prevedere la cessazione della corresponsione dell'assegno familiare al compimento della maggiore età del figlio significa che nel momento in cui i figli più figli il limite temporale di corresponsione dell'ANF, su autorizzazione rilasciata dall'INPS, è elevato a 21 anni, che tuttavia non sono sufficienti a completare gli studi. Tutto ciò senza fare altre considerazioni circa la consistenza dell'assegno e dei suoi meccanismi di calcolo. Altra anomalia sta nel fatto che i figli dei lavoratori autonomi sono esclusi da queste misure sostegno del reddito, come se fossero «figli di un dio minore» o forse presupponendo pregiudizialmente che un lavoratore autonomo sia considerato un evasore fiscale e contributivo al quale non possono essere riconosciuti benefici statali;
dai dati di bilancio pubblicati dall'Inps e relativi all'anno 2014 risulta che la spesa sostenuta per ANF è stata di 5.380 milioni di euro. I contributi incassati nello stesso a o risultano essere 6.401 milioni di euro. Nell'anno 2013, invece, ci contributi incassati erano pari a 6.435 milioni di euro, mentre per le prestazioni ANF sono stati spesi 5.467 milioni di euro. Dai dati di bilancio risulta quindi chiaramente evidente che i contributi versati dai lavoratori dipendenti e destinati alle spese per l'erogazione dell'ANF sono in parte destinati ad altro;
all'interrogante sembra, invece, per le ragioni sociali su esposte – e senza peraltro voler conoscere né tanto meno disconoscere i diversi bisogni finanziati dalle somme prelevate per l'ANF – opportuno che tutti i contributi prelevati per ANF – siano a questo destinati, anche per rispondere all'esigenza di un ricalcolo dell'ANF e al suo eventuale prolungamento fino al termine degli studi, cosa che renderebbe l'istituto di cui si tratta maggiormente rispondente ai bisogni delle famiglie e quindi realmente di sostegno –:
quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano tempestivamente porre in essere affinché i contributi versati all'INPS per la corresponsione dell'ANF siano interamente utilizzati a tale scopo. (4-12956)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
«Terrevive» è il decreto con cui il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze – ha dato il via alla vendita e all'affitto di circa 5.500 ettari di terreni, destinandoli innanzitutto agli agricoltori under 40;
con questa iniziativa, si intende far «rivivere» i terreni statali adatti alla coltivazione, trasformandoli in un'occasione di lavoro per le nuove generazioni. Con Terrevive, infatti, i giovani imprenditori agricoli hanno diritto di prelazione nell'acquisto o nell'affitto di terreni pubblici, che possono così essere riportati alla produzione agricola;
il decreto riguarda: 2.480 ettari di terreni appartenenti al demanio dello Stato 2.148 ettari di terre in uso al Corpo forestale dello Stato 882 ettari di terreni di proprietà del Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (C.R.A.). Una quota minima del 20 per cento di questi terreni è riservata all'affitto, anche in questo caso con preferenza all'imprenditoria giovanile agricola e con una durata della locazione non inferiore ai 15 anni. Ai terreni venduti o affittati non può essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola, prima di 20 anni dalla trascrizione dei relativi contratti nei pubblici registri immobiliari. Nel caso di terreni occupati, invece, il diritto di prelazione è riconosciuto prioritariamente ai conduttori;
nell'ambito di Terrevive, l'Agenzia del demanio effettua una stima dei terreni agricoli inclusi nel decreto, individua i lotti che andranno all'asta e li propone sul mercato, mediante le procedure di vendita e locazione;
nel caso di terreni di valore pari o superiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge tramite il tradizionale avviso d'asta pubblica. Le vendite sono consultabili sul sito del demanio nella sezione dedicata alla vendita beni immobili. I lotti verranno aggiudicati all'offerta più alta rispetto al prezzo di base d'asta. Per i terreni liberi, sarà riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli; per i terreni occupati, il diritto di prelazione verrà riconosciuto prioritariamente agli occupanti che già li lavorano;
per i terreni di valore inferiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge attraverso una procedura negoziata, tramite la pubblicazione dell'elenco dei terreni per 90 giorni nella vetrina immobiliare che sarà disponibile su questo sito. Trascorso questo primo termine, entro i successivi 45 giorni si svolge la fase di asta telematica a rialzo. I lotti vengono aggiudicati al miglior offerente. Anche in questo caso, per i terreni liberi varrà il diritto di prelazione per gli agricoltori under 40; per i terreni occupati è invece data priorità ai conduttori –:
se s'intendano fornire dati e aggiornamenti completi ed esaustivi in merito ai terreni demaniali messi in vendita (ettari, tipologia di terreni, introiti economici ricavati), anche con particolare riferimento al rispetto della quota del 20 per cento dei terreni posti in locazione per i giovani e al numero di imprese giovanili agricole che hanno aderito al progetto di cui in premessa. (4-12952)
SALUTE
Interrogazioni a risposta scritta:
NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la fecondazione eterologa è una delle diverse forme di procreazione medicalmente assistita. Si ricorre a questa tecnica quando uno dei due genitori è sterile e, per arrivare a una gravidanza, occorre usare un gamete, un ovulo o uno spermatozoo, di una terza persona, cioè il donatore;
fino al 2004 nel nostro Paese era possibile accedere alla fecondazione eterologa, purché il donatore fosse anonimo e la donazione di ovuli o spermatozoi non avvenisse in cambio di denaro. Nel riordino di tutta la normativa, sfociata nella legge n. 40, si è deciso di vietare il ricorso alla fecondazione eterologa considerata il preludio a pratiche di eugenetica, ovvero di selezione artificiale dei gameti per ottener bambini «su misura». L'anno successivo all'approvazione della legge n. 40, fu indetto un referendum promosso dai Radicali e dai partiti laici di centro-sinistra per abrogare la normativa. In particolare, la fecondazione eterologa era stata inserita nel quesito numero quattro. A causa della scarsità di voti non si raggiunse il quorum e quindi la legge rimase in vigore. Almeno è stato così fino allo scorso aprile, quando la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, aprendo di fatto le porte all'utilizzo di questa tecnica anche in Italia;
il primo passo è quello di rivolgersi a un centro specializzato e mettersi in lista d'attesa. I medici, una volta raccolta la storia clinica dei due partner, effettuano una serie di esami per verificare l'infertilità assoluta di almeno uno dei partner. Per la fecondazione eterologa i richiedenti devono essere maggiorenni, sposati o conviventi in modo stabile. L'accesso a questa tecnica è gratuita o con ticket, prevista cioè nei livelli essenziali di assistenza (Lea), ma solo per le donne riceventi in età potenzialmente fertile, cioè al di sotto dei 43 anni. Fino a quest'età e per un massimo di 3 cicli, il trattamento sarà a carico del sistema sanitario nazionale, dopo si dovrà pagare;
ad oggi sono ancora pochi i donatori e dunque insufficienti e i centri pubblici sono in difficoltà. Questi gli elementi sono usciti dal primo convegno nazionale sulla protezione della fertilità organizzato a Roma dal segretario nazionale dell'Aipf, professor Antonio Colicchia. Pochi ovociti, pochi gameti, e soprattutto come ha accennato in apertura di lavori proprio Colicchia, un quadro assai complicato di relazioni e interventi tra regioni e apparati sanitari pubblici. È in questo contesto che faticano a farsi largo le disposizioni maturate dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014 che di fatto ha sancito che il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale;
da sole le norme non bastano, e come ha spiegato il professor Moscarini oltre le norme deve esserci la volontà: la volontà di rendere veloci, tracciabili, e certe, le prestazioni sanitarie per tutti i cittadini. Invece, nel nostro Paese, stando almeno ai dati censiti nel corso dello scorso a o, solo 9 regioni sono in linea o si avvicinano ai criteri impartiti dal Ministero della salute, mentre è soprattutto il settore privato a fare ancora la differenza sul pubblico. I numeri del pubblico, infatti, viene sottolineato durante al tavola rotonda (alla quale hanno preso parte i responsabili delle regioni) restano irrisori rispetto alla domanda (le aziende pubbliche, infatti, sono pressoché tagliate fuori dall'importazione ovocitaria all'estero). E questo, di fatto, «rende sostanzialmente inapplicata la sentenza della Consulta» diversamente a quello che accade nei centri privati che per rispondere alla quasi totale assenza di donatrici chiedono a centri esteri di fornire il servizio di approvvigionamento ovocitario con costi importanti, naturalmente, a carico delle pazienti;
in Italia, infatti, circa 47 mila donne ogni a o ricevono una diagnosi di carcinoma alla mammella e di queste il 45 per cento ha meno di 39 anni. Ora, l'età media delle donne che desiderano avere una gravidanza, negli ultimi 20 anni, è arrivata a 34 anni. Questi dati dimostrano, dunque, che più che mai è indispensabile pensare alla fertilità di questo gruppo di donne che insieme a quella che sono colpite da una patologia tumorale in età riproduttiva hanno necessità di conservare la loro fertilità per gli anni successivi;
in Emilia-Romagna il servizio per la fecondazione eterologa è pressoché gratuito, mentre in altre regioni si applicano ticket fino a mille 500 euro (nel privato mediamente il costo è di 7 mila euro). «È naturale, però — osserva Giulia Scaravelli Istituto superiore di sanità — che quando si cambiano leggi non si possa ipotizzare che la bacchetta magica renda tutto più immediato e efficiente, ma sono comunque ottimista e che ben presto arriveranno anche i primi donatori. Per questo sarà necessario informare meglio e di più la popolazione che non è sufficientemente informata e attivare una serie di campagne di sensibilizzazione che allo stato attuale sono completamenti assenti»;
«Purtroppo in Italia — spiegano i relatori al convegno organizzato dall'Aipf, tra questi anche il dottor Palermo — esistono solo due banche dati di ovociti (Bologna e Milano) assolutamente insufficienti a far fronte alle necessità. E ancora di più, sono troppo pochi gli oncologi che discutono di queste possibilità con le loro pazienti»;
l'Emilia-Romagna fornisce l'eterologa nelle prestazioni del servizio pubblico e per questo motivo deve pagarla ai suoi cittadini che vanno all'estero per le liste di attesa spesso intasate da coppie provenienti da altre regioni che a loro volta, invece, non passando il trattamento, non devono pagarlo a chi si sposta –:
quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rendere possibile l'accesso alla fecondazione eterologa creando le condizioni per le quali i presidi diventino capaci di ottemperare alle richieste;
se non ritenga necessario assumere iniziative per rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale il trattamento eterologo al fine di dare applicazione alla norma;
se non ritenga necessario assumere iniziative per attivare canali di sensibilizzazione degli oncologi e dei ginecologi per offrire questa metodica a tutte le pazienti, essendo stato dimostrato che la gravidanza non modifica affatto la prognosi della malattia in quanto a speranza di vita. (4-12955)
PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
ad alcune segnalazioni pervenute all'interrogante e dai media (fonte http://www.salernotoday.it) si è appreso che durante lo svolgimento dei festeggiamenti per la Madonna delle galline di Pagani (Sa), festa religiosa che si è celebrata per tre giorni e conclusasi il 3 aprile 2016, parrebbe essere in uso la pratica di offrire alla Madonna volatili ancora vivi e sottoposti a gravi mutilazioni;
le immagini riportate dai media ritraggono infatti una gallina bianca cui sono state legate le zampe, con un nastro rosso al collo e che giace senza vita sull'asfalto, nel trambusto dei festeggiamenti;
è stato riferito all'interrogante che il carro con la statua sarebbe stato «addobbato» con pavoni, galline e colombe; inoltre la processione prevedeva numerose soste con annessi giochi pirotecnici a distanza ravvicinata i quali, nonostante vi fosse stata un'ordinanza di sequestro, a quanto risulta all'interrogante sarebbero stati comunque utilizzati;
dal video (http://www.youtube.com) dei festeggiamenti dell'aprile 2015, è evidente che tre colombi siano legati alla statua della Madonna e che proprio all'uscita di questa dalla chiesa uno dei colombi, con le zampe legate e visibilmente impossibilitato a volare, piombi a terra come si vede chiaramente al minuto 42 del video;
numerosi altri volatili sono quindi utilizzati per «addobbare» luoghi cittadini come se non fossero esseri senzienti e in grado di provare dolore, paura e disagio;
giova rammentare che il quadro normativo vigente prevede la tutela di tutte le specie animali e che in particolare il loro maltrattamento e la loro uccisione, ancorché ingiustificata e compiuta con crudeltà sono considerati un delitto punito dall'articolo 544-bis e ter del codice penale;
è altresì importante evidenziare che in attuazione dell'articolo 13 del Trattato di Lisbona – con il decreto legislativo n. 201 del 2010 – a tutte le specie animali e senza alcuna distinzione specista, viene riconosciuto lo status di esseri senzienti –:
se i Ministri siano a conoscenza di come avviene lo svolgimento della suddetta manifestazione e quale sia l'uso degli animali in tale ambito e se risulti congruo rispetto alle normative vigenti che tutelano gli animali;
se il Ministro della salute, anche per il tramite dell'unità operativa per il benessere animale del Ministero, non ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare ulteriormente le condizioni di gestione degli animali. (4-12958)
PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
a seguito di numerose segnalazioni ricevute l'interrogante si è recato presso la struttura di Sannicandro (Bari) che risulta essere un canile comunale e parrebbe interamente completato, ma, di fatto, non operativo;
come è possibile verificare dai media (http://www.comune.sannicandro.bari.it), la struttura fu realizzata grazie ai finanziamenti previsti dalla 281 del 1991 e ai finanziamenti europei per un totale di 825 mila euro;
ad ottobre del 2015 la gestione diretta (dopo un bando andato deserto) parrebbe essere stata affidata provvisoriamente all'associazione di protezione animali «l'Arca di Acquaviva delle Fonti»;
nelle more dell'apertura del canile negli anni precedenti la problematica del randagismo fu sopperita con l'ausilio dell'Associazione sannicandrese «Compagni di coda»;
al momento, la struttura del parco canile Dog House è vuota, sembrerebbe quindi, nonostante i cospicui investimenti economici, mai inaugurata e mai entrata in funzione. Il valore della stessa, oltre a quanto previsto dalle normative vigenti, era da identificare, soprattutto, rispetto al fatto che la zona e l'area in cui è stata realizzata fu strappata alla criminalità organizzata; pertanto l'opera di riqualificazione locale e di valorizzazione del territorio è andata del tutto svanita nonostante gli impegni economici;
giova rammentare, inoltre, che dare seguito ai precetti contenuti nella normativa vigente in tema di randagismo e che identifica chiare e precise responsabilità degli enti locali quanto dell'autorità regionali e centrali (regione e Ministero della salute), non è un'opzione ma un obbligo –:
se il Governo sia a conoscenza dell'investimento economico e della inoperatività della struttura summenzionata che è stata finanziata con fondi nazionali ed europei e se i Ministri interrogati intendano porre in essere eventuali iniziative affinché siano garantiti, per quanto di competenza, il controllo e la verifica di quanto è previsto dalle normative vigenti;
se il Governo intenda acquisire elementi, per quanto di competenza, in ordine a quali siano le circostanze che ostano all'apertura e alla messa a regime della struttura summenzionata, anche in ragione delle notevoli emergenze in tema di randagismo e di mancata applicazione delle relative norme. (4-12966)
SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MURER e MOGNATO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», prevede la riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, cosiddetto polo unico di medicina fiscale, con attribuzione all'INPS della relativa competenza e delle risorse oggi impiegate dalle pubbliche amministrazioni, con la previsione del prioritario ricorso alle liste ad esaurimento, di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, come modificato dall'articolo 1, comma 340, legge 27 dicembre 2013, n. 147;
il documento conclusivo approvato il 27 maggio 2014 all'unanimità dalla Commissione affari sociali, a conclusione della «indagine conoscitiva sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia» riporta, tra l'altro, il seguente passaggio: «la Commissione ritiene opportuno che l'INPS dia piena e completa attuazione a quanto previsto dalla normativa vigente, in particolare dall'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dall'articolo 1, comma 340, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014)»;
l'Inps, con la deliberazione presidenziale n. 147 del 12 novembre 2015, pubblicata sul sito ufficiale dell'Istituto soltanto il 6 aprile 2016, avente ad oggetto «selezione pubblica di 900 medici prioritariamente specialisti in medicina legale e/o nelle altre branche di interesse istituzionale cui conferire incarichi a tempo determinato finalizzati ad assicurare l'espletamento degli adempimenti medico legali nelle Sedi Inps» ha stabilito (pagina 4, punti 3 e 4): «considerato che nell'arco temporale della graduatoria dalla quale attingere il contingente dei 900 medici potrebbero intervenire ulteriori esigenze istituzionali, derivanti da sopravvenute prescrizioni normative legate al costituendo Polo Unico di medicina fiscale e rilevata pertanto, nella prospettata ipotesi, l'esigenza di attingere nella medesima graduatoria il personale medico necessario per l'espletamento delle relative attività...»;
le attività che i suddetti medici andrebbero a svolgere a seguito della costituzione del polo unico, e le relative risorse che verranno assegnate, sono tutte inerenti alla medicina fiscale, che Inps dovrebbe invece assegnare, come recita l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge n. 124 del 2015 sopra richiamata, ai medici inclusi nelle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, dalla legge n. 125 del 2013, cosiddette liste ad esaurimento –:
quali iniziative abbia intrapreso o intenda prendere il Governo affinché sia urgentemente modificata la determinazione presidenziale dell'Inps n. 147 del 12 novembre 2015, palesemente in contrasto, ad avviso degli interroganti, con i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge delega n. 124 del 2015;
quali iniziative stia assumendo il Governo affinché vengano pienamente recepiti, nell'emanando decreto legislativo attuativo della legge delega e nella successiva normativa di dettaglio, i princìpi e criteri direttivi individuati dalla delega conferita al Governo, i quali prevedono il prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013, come modificato dall'articolo 1, comma 340, della legge n. 147 del 2013 per lo svolgimento delle attività di medicina fiscale presso l'Inps. (5-08489)
SVILUPPO ECONOMICO
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
nel 2011 viene istituito, dal Ministero dello sviluppo economico, il registro delle opposizioni, la cui gestione viene affidata alla Fondazione Ugo Bordoni. Scopo del registro è tutelare la privacy dei cittadini;
dalla sua istituzione al 31 dicembre 2015 sono state circa 20 mila le segnalazioni di utenti che lamentano la violazione della propria privacy ad opera di aziende di telemarketing (le più attive, quelle di telefonia, luce, gas, tv) e sono stati erogati circa 2,6 milioni di euro di multa;
ad oggi, gli iscritti al registro delle opposizioni, sono 1,44 milioni e per iscriversi è necessario essere sull'elenco telefonico. Ma non basta l'iscrizione per non essere più chiamati. Come spiega bene Marco Pierani di AltroConsumo: «Iscrivendoci al registro delle opposizioni vietiamo alle aziende di telemarketing solo di usare il nostro numero se lo hanno trovato nell'elenco. Se lo hanno avuto in un altro modo possono chiamarci comunque, a patto di avere ottenuto il nostro consenso che spesso ce lo estorcono con l'inganno»;
Calogero Pepe, presidente di Federconsumatori Liguria più volte ha espresso preoccupazione per una situazione che diventa di giorno in giorno più grave, soprattutto per quanto riguarda i cittadini più anziani, spesso vittime di vere e proprie truffe telefoniche. La maggior parte dei cittadini che si rivolgono alla nostra associazione, chiedono come difendersi dal telemarketing; insieme alle associazioni dei consumatori è anche il segretario generale del Garante per la privacy, Giuseppe Busia, ad affermare che le regole sono sbagliate, il registro non basta; bisogna aumentare per legge le responsabilità degli operatori in caso di abusi delle aziende di telemarketing cui si affidano per le campagne e bisogna istituire un registro delle opposizioni universali che vieti ogni tipo di chiamata pubblicata ai numeri iscritti;
in altri Paesi europei esiste uri registro delle opposizioni universale i cui iscritti non possono mai essere chiamati a scopo di telemarketing, anche se dovesse risultare che in precedenza avevano dato il loro consenso all'utilizzo dei propri dati a fini promozionali –:
se il Ministro interpellato sia al corrente della situazione e cosa intenda fare, per quanto di competenza, per rispondere alle giuste sollecitazioni pervenute dai cittadini e dallo stesso Garante della privacy.
(2-01353) «Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la Stampi Group Monghidoro, è un'azienda che produce bobine elettriche, esportate in tutto il mondo per clienti del calibro di Bosch, Atos, Danfoss, O.DE e che, nonostante la continuità delle commesse, da diversi mesi non paga gli operai;
la Stampi Group è stata acquistata nel dicembre 2012 dal gruppo Manacoils a fronte di un incentivo totale di circa 2,5 milioni di euro erogato dal precedente proprietario, il gruppo Kemet;
dal 19 marzo 2016, gli 83 lavoratori e lavoratrici della Stampi Group Monghidoro, sono in sciopero e hanno allestito un presidio permanente davanti ai cancelli dell'azienda per la quale lavorano, in attesa di ricevere risposte circa il motivo per il quale da ormai due mesi non ricevono lo stipendio;
lo stabilimento è in comodato d'uso gratuito per 99 anni dal comune di Monghidoro e la ditta ha usufruito di 18 mesi di sgravi fiscali per ognuno degli operai contrattualizzati (in totale erano 101 lavoratori);
terminato il periodo di sgravi fiscali, ovvero a metà del 2014, sono iniziati i primi problemi nei pagamenti degli stipendi, fino ad arrivare ad agosto 2015 con 4 mensilità arretrate, rimborsi dei 730 non erogati, fondi pensioni integrativi e contributi INPS non versati;
dopo un periodo di sciopero, la multinazionale Bosch, uno dei principali clienti della Stampi Group, in accordo con i sindacati, si è fatta carico delle pendenze nei confronti dei lavoratori (650.000 euro), garantendo il pagamento degli stipendi fino a febbraio 2016;
nell'arco di questo periodo, la Stampi Group, ha usufruito degli ammortizzatori sociali esistenti (Cassa integrazione guadagni ordinaria; CIG, Contratti di solidarietà) e attualmente ha inoltrato una richiesta di Cassa integrazione guadagni straordinaria per un anno al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sospendendo circa 40 operai su 83 giornalmente (di cui 23 a 0 ore) senza nessuna contrattazione sindacale e senza aspettare l'approvazione delle richieste da parte del Ministero;
scaduto l'accordo con la Bosch, nel mese di marzo 2016, nessuno dei lavoratori ha ricevuto il salario dall'azienda;
questa è l'ennesima crisi che colpisce il tessuto industriale dell'Appennino bolognese territorio già fortemente provato dalle vertenze Philips-Saeco, Demm o Dismeco solo per citarne alcune;
l'assessorato alle attività produttive della regione Emilia Romagna ha già convocato due incontri tra proprietà e rappresentanti sindacali, l'ultimo dei quali addirittura disertato dalla proprietà –:
se siano a conoscenza della situazione descritta e cosa intendano fare per garantire i livelli occupazionali ma anche il tessuto produttivo del territorio.
(5-08490)
GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'elettrocarbonium è una storica fabbrica narnese, fondata alla fine dell'800, ed è l'unica in Italia capace di produrre elettrodi in grafite di alta qualità, elemento essenziale dei forni elettrici per realizzare acciaio. La fabbrica è stata di proprietà della Siemens ed è diventata Sgl Carbon nel 1992. L'organico è composto da 110 dipendenti, vende i suoi elettrodi soprattutto nei Paesi del bacino Mediterraneo e, fino al 2013, fatturava circa 75 milioni di euro. È il secondo stabilimento al mondo per basso indice di difettosità del prodotto;
a febbraio 2014, la multinazionale Sgl Carbon chiude lo stabilimento di Narni Scalo e gli uffici amministrativi di Lainate ad esso collegati in attuazione di un programma «di contenimento dei costi». «La decisione del Gruppo non è in alcun modo legata alla qualità del personale italiano o del prodotto, entrambe eccellenti da molti anni – ha detto Mauro Montani, allora amministratore delegato di Sgl Carbon Spa – bensì su altri, cruciali fattori, quali i costi totali di produzione e l'utilizzo della capacità produttiva attuale e futura»;
a gennaio 2015, la fabbrica viene acquisita in comodato d'uso dall'azienda Morex di Michele Monachino, specializzata nel campo della logistica, che la ribattezza Elettrocarbonium: tecnicamente il sito industriale di Narni Scalo è passato alla società controllata M2I di Bari facente capo allo stesso Monachino;
a febbraio 2015 viene presentato ufficialmente il piano industriale della M2I, che porta anche la firma dell'economista Nicola Rossi, che prevede che la produzione di elettrodi possa ripartire da luglio 2015, con il rientro in fabbrica di 50 operai. Il piano, che indica Narni 2, la parte dello stabilimento risalente agli anni ’80, quale sede dell'attività core, ovvero la produzione degli elettrodi, prevede altresì, a metà 2016, l'assorbimento pieno dei dipendenti e un fatturato a quota 36 milioni. A tal fine Morex investe 8,5 milioni di euro che servono per automatizzare il ciclo produttivo e realizzare all'interno dello stabilimento tutte le parti dell'elettrodo. Si punta anche a ridurre il costo dell'energia con la realizzazione di un impianto fotovoltaico e una centrale a biomasse tra i 2 e i 5 megawatt. Alla fine l'investimento complessivo potrebbe aggirarsi sui 28 milioni di euro;
successivamente, nel triennio 2016-2018, il piano della M2I prevede la riqualificazione dell'area dello stabilimento, da anni inutilizzata, denominata Narni 1, dove si ipotizza la creazione di una zona destinata ad attività artigianali-industriali ed un'altra al terziario e alla logistica. All'interno dell'area in questione, un edificio viene interamente dedicato agli incubatori di impresa e alle start up, da riportare all'interno della rete nazionale di incubatori;
a decorrere da marzo 2015, la forza lavoro riprende gradualmente l'attività e il 13 luglio 2015 la storica Arena della Sgl Carbon di Narni torna a suonare con la ripresa dell'attività di produzione. «Entro la fine di agosto – aveva annunciato l'amministratore delegato Monachino – occuperemo due terzi dei lavoratori che hanno operato nella fabbrica fino alla chiusura del 2014. A livello di commesse, siamo riusciti a portare a casa già il 33 per cento dei volumi produttivi previsti dal Piano». In merito alla produzione, l'obiettivo è di raggiungere le 6.000 tonnellate nel 2015 e le 12.000 nel 2016, per arrivare poi a 20.000 nel 2019;
a settembre 2015, i sindacati Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil incontrano la proprietà dell'azienda che conferma la volontà di rispettare gli impegni presi e quindi di riassumere i quaranta lavoratori altamente qualificati in attesa di essere ricollocati nella Elettrocarbonium;
nel mese successivo, tuttavia, la trattativa si inasprisce per il mancato versamento da parte dell'azienda di tre mensilità ai lavoratori. Sono ancora Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil a rivelare che «l'accordo con l'azienda prevedeva il pagamento delle spettanze entro il 15 settembre, poi rinviato fino al 30 settembre, senza che però fino a oggi venisse versato un euro nei conti correnti della sessantina di operai progressivamente ricollocati in Elettrocarbonium. Chiaro è che all'emergenza sul pagamento degli stipendi si somma anche quella che i rappresentanti dei lavoratori definiscono una situazione di smarrimento e abbandono vissuta all'interno della fabbrica, dove la proprietà risulta assente da oltre 15 giorni». La crisi degli stipendi viene superata a fine ottobre, e la proprietà riesce a versare le due mensilità di luglio e agosto;
intanto al Ministero dello sviluppo economico viene recapitata formalmente la richiesta di convocazione del tavolo con tutte le parti coinvolte per verificare gli impegni assunti in fase di accordo, tra cui l'azione di moral suasion che il Governo avrebbe dovuto mettere in campo sui consumatori italiani di elettrodi;
il passaggio fondamentale è tuttavia rappresentato dalla conferenza dei servizi per trovare un accordo sulla bonifica tra Sgl Carbon, Elettrocarbonium e le istituzioni che avrebbe dovuto portare alla cessione definitiva della proprietà degli impianti;
a fine ottobre, i tecnici dell'Arpa e i periti delle due aziende iniziano a compiere carotaggi, campionamenti e analisi per definire gli interventi necessari e soprattutto il valore economico. La conferenza servizi si chiude con la richiesta a Sgl Carbon di ulteriori specifiche da presentare entro il 15 febbraio 2016 al fine di concludere l'istruttoria, propedeutica alla definizione dell'accordo di programma;
al tavolo convocato presso il Ministero dello sviluppo economico, sia Sgl sia Morex – stando a quanto riportato dai sindacati – si sono impegnati a condurre in porto la cessione degli impianti e delle aree in modo definitivo. Anche le istituzioni locali e lo stesso Ministero si sono impegnati, nel rispetto delle norme, ad agevolare l'avvio della nuova azienda;
tuttavia, il 4 gennaio 2016, la Sgl Carbon – che ha concesso alla Morex il sito di Narni in comodato d'uso con scadenza a maggio poi prorogato a dicembre 2015 – intima alla Elettrocarbonium la restituzione dell'immobile e degli impianti di Narni Scalo entro il 24 gennaio 2016, motivandola con il mancato raggiungimento delle condizioni sospensive nei termini previsti dai contratti tra le parti. Gli accordi sono quelli del 27 gennaio 2015, tutti condizionati alla definizione di un accordo di programma per la disciplina degli aspetti di natura ambientale e della continuità produttiva nel sito;
il 7 gennaio 2016 il vicepresidente della regione Umbria, Fabio Paparelli, d'intesa con la governatrice Catiuscia Marini e il sindaco di Narni, Francesco De Rebotti, in seguito alla comunicazione del 4 gennaio 2016, della Sgl Carbon, chiedono al Ministero dello sviluppo economico l'apertura di un tavolo tecnico di urgenza per Sgl Carbon-Elettrocarbonium per far emergere le reali intenzioni delle due aziende sul sito industriale di Narni. La regione e il comune confermano «la volontà di porre in essere ogni provvedimento nelle sue possibilità per salvaguardare la produzione e livelli occupazionali e assicurare il rispetto delle normative vigenti in tema di bonifica, auspicando che la discussione si rimetta su un piano di correttezza di rapporti e di messa in chiaro dei reali obiettivi delle imprese coinvolte»;
la partita relativa alla Sgl Carbon-Elettrocarbonium corre, quindi, su due binari: da una parte, la compravendita del sito di Narni, che vecchia proprietà e nuovi imprenditori devono definire, dall'altra, la bonifica dell'area su cui da 120 anni opera Sgl Carbon e su cui è stata avviata una conferenza servizi con le istituzioni;
proprio sulla bonifica, l'operazione si sarebbe impantanata: Sgl Carbon – stando alle cifre emerse dalla trattativa in atto – dovrebbe versare, in virtù del piano di caratterizzazione sul livello di inquinanti nel sito, una cifra compresa tra 5 e 7 milioni di euro. Tuttavia, il vero problema sono gli impegni futuri nel caso in cui l'industria di Narni dovesse fermarsi, con l'area che dovrebbe essere bonificata radicalmente (si ipotizza una cifra di 100 milioni), ma anche nell'ipotesi in cui, con gli impianti in funzione e gli operai al lavoro, dovessero emergere criticità ambientali da sanare;
la Sgl Carbon sarebbe in cerca della cosiddetta manleva, ossia una quantizzazione del danno ambientale, chiaramente superiore ai 5-7 milioni previsti per la bonifica in continuità, che verrebbe versata dalla multinazionale per essere sollevata da qualsiasi responsabilità futura. Obbligazioni di questo tipo vengono però solitamente assunte a livello ministeriale su siti di interesse nazionale (Sin), classificazione in cui Narni non rientra;
il 19 gennaio 2016 è stato convocato il tavolo tecnico d'urgenza al Ministero dello sviluppo economico, richiesto dalla regione Umbria e dal comune di Narni, al termine del quale è stato stabilito un timing di tre giorni per trovare, coi tecnici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un compromesso per definire poi l'accordo di programma, dove devono essere stabiliti gli impegni per le bonifiche, propedeutici al perfezionamento della compravendita;
il 21 gennaio 2016 il Ministero dello sviluppo economico consegna una bozza di accordo sulla ripartizione delle bonifiche al liquidatore di Sgl-Carbon Petrucci e all'amministratore delegato di Elettrocarbonium Monachino. Il 24 gennaio 2016 alla scadenza del termine richiesto dal Ministero, la Elettrocarbonium invia una nota ufficiale nella quale precisa che «non c’è nessun accordo tra ministero, enti, Sgl ed Elettrocarbonium per evitare la chiusura dell'impianto di Narni. Nulla al momento è stato ufficialmente comunicato ad Elettrocarbonium. Non trova alcun riscontro la notizia secondo cui ci sarebbe stata trasmessa la richiesta di sospensione del termine del 24 gennaio per la restituzione a Sgl degli impianti dello stabilimento di Narni»;
il 26 gennaio, due giorni dopo la scadenza del termine, viene convocato presso il Ministero dello sviluppo economico un nuovo tavolo tra i due privati e le istituzioni per tentare di chiudere la partita della ripartizione della bonifiche nella fabbrica di Narni. In quella sede, non partecipa il liquidatore di Sgl Petrucci, che conferma la disponibilità a procedere alla quantizzazione del danno e a pagarlo per ottenere la cosiddetta manleva che, stando a quanto chiarito da ministeri e regione, sarebbe inattuabile perché il sito industriale di Narni non rientra nel perimetro di legge entro il quale si può concedere;
il 1o febbraio 2016 riprende il tavolo tecnico al Ministero dello sviluppo economico al quale sono però assenti sia il liquidatore di Sgl Petruccci sia l'amministratore delegato di Elettrocarbonium, Monachino. Dalla riunione emerge l'accantonamento definitivo dell'ipotesi manleva e si decide di riconvocare un nuovo tavolo al quale le istituzioni hanno chiesto all'amministratore delegato Monachino di presentare un piano industriale più dettagliato, anche in considerazione degli interventi pubblici per sostenere Elettrocarbonium nell'operazione di rilancio del sito industriale di Narni;
l'ipotesi di accordo conseguente all'ultima riunione al Ministero dello sviluppo economico – stando a quanto riportato dalla stampa locale – prevederebbe una mini bonifica di 7 milioni di euro a carico di Sgl, così come definito dal piano di caratterizzazione degli inquinanti a cui si è lavorato in conferenza dei servizi per l'accordo di programma sul futuro del sito di Narni. Elettrocarbonium sarebbe invece chiamata a stipulare una fideiussione da 4 milioni di euro per gli asset industriali;
il 26 febbraio 2016, la conferenza dei servizi ha approvato il progetto di bonifica in continuità produttiva da 7,2 milioni di euro per la fabbrica di Narni. Nella serata precedente, gli ultimi otto operai assunti in prova per tre mesi dall'amministratore delegato dell'Elettrocarbonium Monachino hanno ricevuto la lettera di licenziamento facendo scattare la mobilitazione di rsu e sindacati che hanno indetto lo sciopero ad oltranza, preoccupati anche dalla richiesta di attivare la cassa integrazione ordinaria. I rappresentanti dei lavoratori della fabbrica hanno ribadito che Elettrocarbonium non ha saldato le tre mensilità di stipendio arretrato, la tredicesima e le posizioni contributive e previdenziali degli operai che non vengono versate da novembre;
il 4 marzo 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha convocato un nuovo incontro per esaminare la grave situazione della Sgl carbon, oggi Elettrocarbonium, di Narni. Tale incontro è stato però disertato dal liquidatore di Sgl Carbon, Marco Petrucci, e dall'amministratore delegato di Elettrocarbonium, Michele Monachino. Le assenze sono state fortemente criticate da tecnici del Ministero dello sviluppo economico, istituzioni e organizzazioni sindacali che hanno dato un ultimatum alle proprietà: «qualora entro il prossimo 11 marzo non sarà trovata una soluzione di continuità produttiva, verrà convocato sollecitamente, presso il Mise, il confronto con Sgl (Casa Madre) e Sgl in liquidazione che sono responsabili della dismissione produttiva e proprietari degli impianti e degli immobili»;
il 10 marzo 2016 il liquidatore di Sgl Carbon Petrucci ha inviato una nota ufficiale dichiarando cessata la trattativa con Elettrocarbonium, richiedendo definitivamente la restituzione di impianti e immobili di Narni e invitando l'amministratore delegato Monachino a lasciare in tempi, rapidi il sito industriale, per il quale sono scaduti dal 31 dicembre 2015 gli accordi inizialmente definiti, tanto che già il 4 gennaio 2016 gli è stata chiesta la restituzione degli asset;
nella nota, Petrucci afferma che Elettrocarbonium, non solo non ha presentato una bozza della fideiussione, ma non ha neanche indicato il soggetto finanziario che avrebbe dovuto assicurare la garanzia. Non può, quindi, essere assicurata la continuità produttiva – si specifica ancora nel testo – e non si sarebbe stati neanche in grado di evadere gli eventuali ordini di Sgl che ha rilevato anche l'incapacità a reperire sul mercato commesse e quindi a sviluppare la rete commerciale;
l'amministratore delegato Monachino ha diffuso una propria nota nella quale contesta il progetto di bonifica approvato dalla conferenza dei servizi che «oltre a togliere, nei termini conosciuti, ogni potere negoziale ad Elettrocarbonium potrebbe concretamente far entrare il sito industriale di Narni nel lungo elenco dei siti inquinati del nostro Paese». Quanto alle pendenze finanziarie, Monachino ha detto che «saranno sanate in breve tempo. I lavoratori devono essere tranquilli perché quanto loro spettante non è in discussione né lo è mai stato»;
il 15 marzo 2016, il Governo, a nome del sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio, Claudio De Vincenti, convoca ufficialmente il Ceo di Sgl Group, Jürgen Köhler, per ridiscutere, alla luce della conclusione del tentativo messo in pratica da Michele Monachino con Elettrocarbonium, la questione del sito di Narni;
il 22 marzo 2016 i sindacati, dopo aver occupato insieme ai lavoratori qualche giorno prima i binari della ferrovia per protestare contro il mancato versamento di stipendio di febbraio 2016, quote relative ai fondi Fonchim (ovvero quelli previdenziali) e Faschim (cioè l'assistenza sanitaria) a partire dal mese di ottobre 2015, nonché i contributi da parte di Elettrocarbonium, hanno proclamato un nuovo sciopero a seguito delle sospensioni delle forniture di acqua e gas. Le segreterie nazionali, regionali e provinciali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, in una lettera aperta, hanno chiesto di avviare le procedure di licenziamento collettivo per poter riattivare la mobilità che era partita nel gennaio 2015;
a fine marzo, l'amministratore delegato Monachino ha comunicato di aver avviato le procedure per il licenziamento collettivo degli operai di Narni scalo. Il provvedimento riguarda i settanta lavoratori che erano stati riassunti poco meno di un anno fa dall'Elettrocarbonium alla ripartenza degli impianti;
il 7 aprile 2016 è stato convocato il tavolo per i licenziamenti, negli uffici della Confindustria di Terni, cui hanno preso parte il direttore dello stabilimento di Narni, l'ingegner Negrelli, e il legale di Monachino, l'avvocato Besenti. La riunione è stata rinviata perché i sindacati sono tornati a chiedere il pagamento degli stipendi di febbraio e marzo e dei versamenti di contributi previdenziali e sanitari, atto senza il quale non sono disposti ad aprire le trattative sul licenziamento collettivo. Dal canto suo, l'Elettrocarbonium, rappresentata dall'avvocato Besenti, è tornata a chiedere lo sblocco della portineria, occupata dagli operai, e l'ingresso di alcuni lavoratori per preparare i materiali da far uscire dalla fabbrica di Narni, richiesta tuttavia respinta dalle sigle sindacali;
al termine dell'incontro, i lavoratori si sono riuniti in assemblea e hanno deciso di concedere un ultimatum a Monachino, fino a giovedì 14 aprile 2016, entro il quale l'azienda avrebbe dovuto pagare le spettanze di febbraio e sedersi a un tavolo per avviare la procedura di licenziamento collettivo. Se i termini non fossero stati rispettati, i lavoratori sarebbero rientrati in fabbrica venerdì 15 aprile, accettando, di fatto, il fallimento dell'azienda;
nelle scorse settimane Elettrocarbonium ha annunciato che avrebbe restituito entro il 15 aprile il sito di Narni alla Sgl che, attraverso i propri liquidatori, ha ribadito la disponibilità a valutare altre proposte di imprenditori nel settore della grafite. Ad ufficializzarlo è stato il sindaco di Narni Francesco De Rebotti che ha sollecitato la regione e il Ministero dello sviluppo Economico, a prendere formali e concrete azioni al fine di attrarre nuovi investitori;
nel corso dell'ultimo incontro svoltosi al Ministero dello sviluppo economico sull'Elettrocarbonium, alla presenza di rappresentanti aziendali, sindacali e delle istituzioni, il direttore del Dicastero, Giampaolo Castano ha comunicato che non ci sono al momento manifestazioni di interesse per un eventuale vendita del sito. Attualmente, gli operai stanno affrontando le partite del licenziamento collettivo e del saldo degli arretrati –:
quali urgenti iniziative intenda il Governo adottare per risolvere definitivamente la vertenza Sgl-Elettrocarbonium, salvaguardando i livelli occupazionali e la continuità produttiva di uno stabilimento che rappresenta una delle imprese storiche del territorio ternano e, nel suo settore, un'azienda di eccellenza a livello mondiale, rivestendo inoltre un ruolo decisivo per l'economia e lo sviluppo dell'intera regione umbra. (5-08492)
Interrogazioni a risposta scritta:
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
all'interrogante sono giunte alcune segnalazioni relative alla vicenda del punto vendita della Mercatone Uno di Arzano in provincia di Napoli. Di seguito sono sinteticamente ripercorsi gli eventi che hanno riguardato tale questione negli ultimi mesi;
il 19 gennaio 2015 vi è stata l'ammissione al concordato preventivo che prevedeva la sospensione di 35 punti vendita. Ciò è avvenuto nonostante i bilanci degli anni 2012, 2013 e 2014 fossero stati positivi;
il 1o marzo del 2015, secondo quanto segnalato all'interrogante, viene assunta una prima decisione vissuta dai dipendenti come una «forzatura»: nonostante i dipendenti del punto vendita di Arzano siano inseriti nel gruppo degli esclusi, l'azienda decide di inserire nell'organico del citato punto vendita 7 unità in quel momento in cassa integrazione guadagni in seguito alla chiusura del punto vendita di Capodrise (Caserta) chiuso nel marzo 2014; in seguito a tale decisione, i successivi 7 e 8 marzo i lavoratori hanno indetto uno sciopero, in seguito al quale non viene ottenuta l'auspicata sensibilizzazione delle, organizzazioni sindacali, che di fatto non hanno reagito in alcun modo alla sopra descritta decisione vissuta dai dipendenti come una «forzatura»; lo sciopero viene confermato dal 21 marzo al 26 aprile, in seguito alla richiesta di svendita totale della merce. Il 7 aprile il Governo concede la cassa integrazione guadagni straordinaria, in applicazione del cosiddetto «decreto Marzano»;
dal 27 aprile 2015 riprendono le attività del punto vendita con una svendita della merce; nel frattempo, vengono impiegati alcuni dipendenti del punto vendita di Mirabella Eclano (Avellino);
il 15 giugno 2015 il punto vendita è sospeso e tutti i dipendenti sono collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria fino al 6 aprile 2016 (in seguito prorogata di un altro anno fino al 6 aprile 2017);
nei mesi successivi, in seguito ad alcuni incontri presso il Ministero dello sviluppo economico, il punto vendita di Arzano viene inserito nell'elenco di quelli di prossima riapertura. Mentre tutti riaprono con il riassorbimento di tutta la forza lavoro, solo per il punto vendita di Arzano vengono poste delle condizioni: viene richiesto un accordo in deroga a quello nazionale; l'azienda richiede la cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per 15 dipendenti per tutta la durata della Cassa;
nel gennaio 2016, in seguito ad una riunione presso una sede sindacale di Napoli alla quale presenziano circa 25 dipendenti, viene annunciato che verranno richiamate al lavoro solo 20 persone per un inventario della durata di 2 giorni alla fine del mese; due giorni dopo l'azienda contatta alcuni dipendenti invitandoli a presentarsi a lavoro il 15 gennaio;
in tale data, viene annunciato che l'inventario si protrarrà per 15 giorni e per tale attività vengono utilizzati anche alcuni lavoratori precedentemente in servizio presso il citato punto vendita di Mirabella Eclano, con evidente discriminazione dei 23 lavoratori del punto vendita di Arzano in cassa integrazione guadagni straordinaria. Anche in questo caso non risulta alcuna reazione da parte sindacale;
il 21 marzo 2016, si tiene una ulteriore riunione presso una sede sindacale di Napoli tra il sindacato e l'azienda, con la partecipazione di due dipendenti. In tale occasione, l'azienda opera qualche piccola modifica alle sue richieste: anziché 15 dei dipendenti fissi in cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore, chiede la rotazione ogni 10 mesi per 6/9 persone. Il sindacato propone una rotazione su 6/8 mesi. A tal proposito, occorre sottolineare come non sia chiaro: a) il senso di una rotazione ogni 10 mesi se ne sono previsti ancora 12 di cassa integrazione guadagni straordinaria; b) quali sarebbero i criteri di scelta per la rotazione; c) per quale ragione il sindacato abbia fatto una controproposta in contraddizione con le richieste dei lavoratori rappresentati che vanno nella direzione del reintegro di tutta la forza lavoro;
da ultimo, il 25 marzo 2016, 25 dipendenti del punto vendita di Arzano, che rappresentano la maggioranza dei lavoratori, sottoscrivono un documento nel quale si chiede il rispetto degli accordi firmati da tutti i sindacati in sede ministeriale, che prevede la cassa integrazione a rotazione per tutti ed in modo equo –:
se i Ministri interrogati non ritengano di doversi attivare, per quanto di competenza, affinché, nell'ambito dei tavoli tecnici, si sottoponga all'azienda l'opportunità di accettare l'illustrata proposta dei lavoratori che consentirebbe di distribuire il sacrificio su tutti i dipendenti, salvaguardando i livelli occupazionali; se i Ministri interrogati non ritengano di dover vigilare con maggiore attenzione sull'applicazione degli ammortizzatori sociali concessi all'azienda in questione. (4-12959)
BERRETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in data 12 aprile 2016, sul quotidiano «La Sicilia», è apparso un articolo a firma di A. Lodato sul plagio del brevetto della macchina industriale spremiagrumi della ditta catanese Oranfresh;
la Oranfresh è un'azienda attiva sul mercato internazionale dalla sua fondazione;
tale azienda rappresenta una componente importantissima del tessuto produttivo e imprenditoriale siciliano, impiegando oltre 350 lavoratori tra impiegati diretti e indotto;
dal plagio del suo brevetto ha subito consistenti perdite economiche che potrebbero avere ripercussioni sul numero di lavoratori impiegati;
il plagio del brevetto e la contraffazione dei prodotti, anche agricoli, sono aspetti rilevanti per molte aziende italiane che puntando sull'innovazione e l'internazionalizzazione; e tali aziende sono esposte a rischi enormi in assenza della tutela delle istituzioni preposte;
tale vicenda ha destato preoccupazione ed eco su numerose testate di informazioni locali e web come «Cataniatoday» –:
quali iniziative di competenza il Ministro dello sviluppo economico intenda intraprendere per tutelare la proprietà intellettuale e l'attività imprenditoriale dell'azienda Oranfresh;
se i Ministri interrogati non ritengano di assumere le iniziative di competenza per tutelare i lavoratori dell'azienda Oranfresh esposti al rischio della perdita dell'impiego a causa del plagio del brevetto in questione. (4-12963)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Nicchi e altri n. 1-01230, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Airaudo.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio e altri n. 4-12767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piccione.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Gregori n. 4-12792, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 604 dell'8 aprile 2016.
GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la società Cotral ha recentemente assegnato all'associazione temporanea di imprese (Ati) CometaManutencoop un appalto per la pulizia della flotta, delle sedi degli impiegati e degli impianti;
a denunciare come la Cotral abbia dato il suo assenso premiando l'offerta tecnica dell'appalto, sono i sindacati CGIL, CISL, UIL e SULT. I sindacati se la prendono non solo con l'offerta tecnica quasi surreale, ma soprattutto con il fatto che la società Cometa ha aperto nel periodo 2014-2015 le procedure per la Cassa integrazione in deroga e ha ottenuto i contratti di solidarietà, riuscendo quindi ad abbattere il costo del lavoro;
l'associazione temporanea di impresa avrebbe anche manifestato la volontà di ridurre del 30 per cento l'orario del lavoro e di conseguenza i salari a centinaia di lavoratori, già titolari di retribuzioni al limite della sopravvivenza;
a questo si aggiunge il fatto che, a quanto risulta all'interrogante, la società Manutencoop avrebbe subordinato l'accesso al luogo di lavoro e la conseguente presa di servizio dei lavoratori alla firma di un contratto che prevede una riduzione del 30 per cento dell'orario di lavoro;
quanto esposto in premessa, a giudizio dell'interrogante costituisce una palese violazione delle norme fondamentali del diritto del lavoro che regolano la contrattazione collettiva;
se non ritenga che sussistono i presupposti per avviare, per quanto di competenza, iniziative a carattere ispettivo volte alla verifica del rispetto delle norme sui contratti e sui contratti e sui livelli salariali per le società di cui in premessa. (4-12792)
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta immediata in Commissione Zaccagnini n. 5-08332 del 6 aprile 2016;
interpellanza urgente Quaranta n. 2-01355 dell'8 aprile 2016.
interrogazione a risposta scritta Duranti n. 4-12889 del 19 aprile 2016.
La Camera,
premesso che:
in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), legge, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, fra le più oscurantiste dei Paesi che hanno la nostra stessa tradizione giuridica. La Corte costituzionale più volte ha dichiarato l'incostituzionalità di alcune sue parti, a riprova che la scelta legislativa è stata fatta non per regolamentare l'ambito della fecondazione assistita, come si dovrebbe, ma allo scopo di introdurre divieti che contrastano con i principi della Costituzione italiana;
la Corte europea dei diritti Umani è intervenuta più volte in materia di maternità surrogata precisando che allo stato attuale delle legislazioni dei Paesi del Consiglio d'Europa, tra le quali non esiste una armonizzazione, gli Stati membri hanno la discrezionalità di mantenere una legislazione che vieti la maternità surrogata (2014, sentenze Mennesson e Labassee contro Francia);
al contempo, la Corte ha stabilito che il figlio nato mediante surrogazione di maternità in un Paese dove ciò è lecito non può essere sottratto alla coppia dei genitori la cui filiazione è stata legalmente stabilita all'estero. In questo caso, deve essere tutelato il preminente interesse del minore che è innanzitutto quello al rispetto della propria vita familiare e all'identità personale;
condannando l'Italia (2015, sentenza Paradiso e Campanelli), la Corte ha stabilito che al minore deve essere garantito il diritto fondamentale alla vita famigliare con i propri genitori, anche quando questi lo sono solo di fatto, se con loro ha stabilito e consolidato un rapporto genitore-figlio/a. Laddove è accertata l'esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve adottare misure che permettono a tale legame di svilupparsi, favorendo innanzitutto il ricongiungimento tra i genitori e il figlio/a interessati/e. Non può al contrario, sottrarre il figlio ai genitori;
secondo la Corte, nei predetti casi di maternità surrogata, il riferimento all'ordine pubblico non può essere preso come una carta bianca che giustifichi qualsiasi misura, in quanto lo Stato ha l'obbligo di tenere in considerazione l'interesse superiore del minore indipendentemente dalla natura del legame genitoriale, genetico o di altro tipo (par. 80);
condannando la Francia (2014, sentenze Mennesson e Labassee), invece, la Corte ha stabilito che non può essere negata la trascrizione dell'atto di nascita di un minore, nato da maternità surrogata all'estero, nonostante tale pratica sia vietata e penalmente perseguita in Francia. La mancata trascrizione, infatti, provoca incertezza giuridica nella vita del minore e determina una violazione del suo diritto all'identità personale. Secondo la Corte, la legge dello Stato non può far ricadere, nella sfera giuridica di figli/e, il cui interesse è sempre preminente, gli effetti della scelta dei genitori di ricorrere a una tecnica di fecondazione vietata nel loro Paese;
in Italia si è sviluppato un dibattito ideologico sulla gestazione per altri/e, che invoca interventi normativi che vadano oltre il divieto già esistente, facendo ricorso anche ad argomenti già utilizzati in occasione della legge 40/2004. Si invoca l'introduzione di un «reato universale» e il non riconoscimento giuridico dei figli/e alle coppie italiane che fanno ricorso all'estero a tale pratica;
questo dibattito ignora del tutto la giurisprudenza innanzi citata, che evidenzia l'obbligo di tutelare il preminente interesse del minore, che non può essere sottratto alla sua famiglia; così come ignora il tema della permeabilità degli ordinamenti giuridici e della necessità di regolare fenomeni altrove leciti, non di punirli;
la libertà di scelta delle donne che vogliono portare avanti una gravidanza consentendo a una vita di venire al mondo e di essere amorevolmente accolta da altre coppie di genitori, comporta che la loro scelta non sia costretta dal ricatto economico o dallo sfruttamento, e che abbiano la possibilità di ripensamento, nel corso della gravidanza e dopo il parto;
c’è un mutamento sociale e umano dei rapporti di filiazione, della genitorialità e più in generale della vita familiare non più basati sulla coincidenza tra dato biologico, genetico, sociale e su un presunto unico modello «naturale» di famiglia, ma fondati sulla qualità delle relazioni. Tale cambiamento sociale è già stato riconosciuto giuridicamente, ma deve esserlo pienamente, perché vi è la priorità di assicurare gli stessi diritti ai figli e alle figlie a prescindere da come sono venuti al mondo;
a tal proposito è utile ricordare che la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014 ha ribadito, sotto il profilo sostanziale dei valori e dei principi, l'estensione del confine della «vita familiare» che sinora riguardava la coppia eterosessuale, ai figli generati naturalmente e con la procreazione assistita anche eterologa;
con la legge n. 154 del 2013 il legislatore ha individuato come caratterizzante il rapporto di filiazione, il concetto di responsabilità genitoriale non sempre rispondente alla coincidenza della figura genetica e/o biologica;
la Corte di Cassazione, con la decisione sul divieto di disconoscimento di paternità da parte del marito della coppia che ha dato il consenso all'inseminazione eterologa della moglie (sentenza n. 2315 del 1999), ha sovvertito il principio secondo il quale la verità biologica fonda il rapporto di filiazione;
anche con riferimento alla genitorialità delle persone omosessuali, la giurisprudenza riconosce che costituisce pregiudizio il ritenere che un minore cresciuto da una coppia omosessuale possa non crescere bene (Corte di Cassazione civile, Sez. I, n. 601 del 2013), e la giurisprudenza più recente del Tribunale dei minori, nel consentire l'adozione del figlio del partner, lo ha constatato con approfondite indagini (tra le altre: Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza 30 giugno 2014, confermata da Corte d'appello di Roma con sentenza del 23 dicembre 2015; stesso Tribunale, sentenze 22 settembre 2015 e 26 gennaio 2016);
stigmatizzare le scelte non conformi al cosiddetto modello «naturale» di famiglia, ha ispirato l'esclusione nella proposta di legge in materia di unioni civili dell'adozione perfino dei «propri» bambini delle coppie omosessuali già nati. Esclusione che colpisce anche le persone singole che vogliano assumersi responsabilità genitoriali, come ha dimostrato la discussione nel corso dell'iter di approvazione della legge n. 173 del 2015, sulla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare di lungo periodo, che le ha escluse dall'adozione in tale specifica situazione;
non va sottovalutata la correlazione tra il ricorso alla maternità surrogata e l'attuale disciplina italiana in materia di adozione. Occorre approvare una legge che renda più rapido l'iter per l'adozione, per garantire a tutti i minori in stato di abbandono il diritto ad avere una famiglia in tempi più brevi, estendendo la possibilità di adottare anche alle coppie dello stesso sesso, alle coppie non sposate e ai single. Ciò consentirebbe anche una riduzione del ricorso alla maternità surrogata;
la proibizione universale è vana, sbagliata, pericolosa. Vana nella sua ambizione fuori misura di valere globalmente anche per altri Paesi; sbagliata perché ha l'irresponsabile effetto di alimentare un mercato clandestino; pericolosa per la portata simbolica di un divieto usato per i reati contro l'umanità, tipo i genocidi che stigmatizza la donna e segna pesantemente chi nasce;
a questo proposito la legge 40 del 2004, come ricordato incostituzionale in molte parti, mostra gli effetti perversi della linea proibizionista. Il costoso turismo procreativo che i tanti assurdi e disumani divieti hanno incentivato, ha in sé una evidente impronta di classe a conferma che libertà civili e diritti sociali sono strettamente connessi;
il ricorso alla proibizione, come dimostra la legge 40 del 2004, mette in questione il principio di laicità perché un personale convincimento morale non può prevaricare quelli di altri/e;
il principio di libertà di scelta e responsabilità delle donne nella procreazione è intangibile: a una donna non si può imporre né di essere o non essere madre, né di usare o non usare il suo corpo a fini riproduttivi;
la gestazione per altri/e è pratica antica quanto il mondo, molto diffusa anche in Italia fino a pochissimi anni fa;
la novità sta nelle forme attraverso le quali si realizza, a seguito dello sviluppo delle tecniche di procreazione assistita, ma anche della possibilità di regolamentare il rapporto tra le persone coinvolte;
la libertà di scelta della gestante e la regolamentazione del rapporto tra le parti sono concreti capisaldi della possibilità di gestazione per altri/e, nei paesi — come ad esempio Stati Uniti o Canada —, dove la pratica è lecita e non vi è sfruttamento delle donne;
è riprovevole e da contrastare con forza, quando dietro questa pratica ci siano rischi di ricatto e di costrizione alla mercificazione delle donne e del loro corpo, o quando si sia in assenza di ogni forme di tutela di ciò che ogni donna possa decidere di e per se stessa. Rischio moltiplicato dalle diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione del mercato del biolavoro, dell'uso del materiale genetico e delle capacità riproduttive dei corpi;
la gestazione per altri/e, come la fecondazione assistita, è una realtà delicata e complessa talvolta troppo spesso semplificata anche attraverso un linguaggio che rispecchia stereotipi che colpiscono le persone coinvolte: donne, uomini, bambini/e nati attraverso questa pratica. Ad esempio, anche l'espressione «utero in affitto» veicola un pregiudizio verso le gestanti, uomini omosessuali e bambini/e nati attraverso questa pratica;
le donne subiscono violenza anche in famiglia, sono private di diritti umani fondamentali a causa di valori, credenze religiose e tribali. Ma non per questo ci sogniamo di mettere al bando universale famiglia e religione che sono, invece, diritti fondamentali della persona;
contrastare ogni possibile sfruttamento non significa normare, in nome del bene delle donne, il corpo femminile: nessuna donna può essere obbligata a procreare o ad abortire;
è la soggettività di una donna con la sua libera scelta di portare avanti una gravidanza che dà la misura e il limite ai desideri di genitorialità, visto che il corpo femminile continua ad essere il tramite indispensabile per la nascita,
impegna il Governo:
ad affermare in ogni atto e in ogni sede nazionale ed internazionale il riconoscimento del principio di responsabilità e libertà di scelta delle donne nella procreazione, anche attraverso:
a) una regolamentazione mite della gestazione per altri/e, che riconosca il rispetto la soggettività della donna in tutto il percorso della gestazione, la possibilità di un suo ripensamento e quella di mantenere il legame con il nascituro e gli altri soggetti coinvolti;
b) il contrasto di ogni eventuale forma di pratica sommersa e clandestina a causa dell'impossibilità di accedere alla gestazione per altri/e;
a colmare il deficit informativo attraverso un osservatorio di analisi del fenomeno, in modo da programmare politiche pubbliche adeguate per le tutele giuridiche, sanitarie, sociali di tutti i soggetti coinvolti in una realtà che di fatto esiste;
a stabilire accordi bilaterali sul fronte internazionale con i Paesi che hanno introdotto e normato la gestazione per altri/e, e programmi di cooperazione allo sviluppo per i Paesi a rischio di sfruttamento delle donne a fini riproduttivi;
a prevedere il riconoscimento anagrafico nel nostro Paese, relativamente ai soli nati in quegli Stati dove esiste una legislazione che regolamenta la gestazione per altri/e;
a rilanciare, attraverso l'investimento di risorse economiche pubbliche, l'offerta di protezione pubblica a partire dalla rete dei consultori familiari per l'accompagnamento di tutti i soggetti coinvolti, prima e durante la gestazione ed il parto, aggiornando le prestazioni e la qualità dei servizi a sostegno della soggettività delle donne e le nuove domande di genitorialità;
a tutelare i diritti della/del minore, in particolare con la trascrizione dei loro atti di nascita formali all'estero;
ad assumere ogni forma di costrizione alla procreazione, anche in attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul.
(1-01230) «Nicchi, Costantino, Duranti, Gregori, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Franco Bordo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Melilla, Marcon, Palazzotto, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti, Airaudo».
BRUNO BOSSIO, BURTONE, BATTAGLIA, CARLONI, CARRA, STUMPO, SPERANZA, ZOGGIA, ALBINI, FOSSATI, NICCHI, BERRETTA, VALIANTE, PICCIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il tirocinio formativo attivo (TFA), previsto con decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, è stato istituito per sostituire la Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS) e costituire, quindi, l'unica via possibile per l'abilitazione alla professione di insegnante, sulla base del fabbisogno regionale per ogni classe di concorso determinato dalla previsione dei pensionamenti;
le prove selettive per l'accesso ai TFA si sono tenute solo a partire dall'estate 2012, mentre dalla fine di quell'amo fino all'estate 2013 si sono svolti i relativi corsi;
la selezione per potere accedere ai TFA è stata particolarmente impegnativa, considerato che a contendersi i 21.000 posti disponibili hanno partecipato al concorso 150.000 aspiranti e, dopo la selezione nazionale e le due prove, scritta e orale, proposte dalle singole università, sono stati ammessi al primo ciclo di TFA circa 11.000 aspiranti insegnanti;
l'acquisizione del titolo TFA ha garantito l'iscrizione in seconda fascia delle graduatorie d'istituto e, di conseguenza, la priorità nell'assegnazione delle supplenze, a partire da quelle annuali, rispetto ai laureati non abilitati della terza fascia delle stesse graduatorie;
la nota del Ministero, dipartimento dell'istruzione, del 10 aprile 2013, protocollo di uscita n. 000839, indirizzata ai direttori degli uffici scolastici regionali e ai magnifici rettori, invita le università sede di TFA a concludere il percorso formativo entro la fine di luglio 2013, in modo da garantire agli abilitati la possibilità di fruire del titolo fin dall'anno scolastico 2013/2014;
la nota è stata totalmente disattesa dal Ministero (in realtà da più parti si avanza l'ipotesi che sia addirittura scomparsa dall'archivio del Ministero, nonostante sia ancora reperibile in rete), con il risultato che il titolo TFA è divenuto totalmente inservibile per un intero anno scolastico;
a tale situazione si è aggiunto l'effetto del decreto ministeriale 25 marzo 2013, n. 81, con cui si sono istituiti i percorsi abilitanti speciali (PAS) per ottenere l'abilitazione senza selezione all'ingresso, riservati a coloro che avessero almeno 3 anni di anzianità di servizio;
è opportuno ricordare che per avere conteggiati 3 anni di anzianità è sufficiente avere maturato uno solo anno di servizio nella classe di concorso in cui si intende abilitarsi, essendo ammesso il riconoscimento anche del servizio prestato nelle scuole paritarie in un arco temporale di riferimento molto ampio che va dal 1999 al 2013;
di conseguenza, alla data del 5 settembre 2013, termine ultimo per l'iscrizione ai corsi, il numero dei futuri PAS è di 60.000 unità, quasi 6 volte quello degli abilitati TFA;
tutto ciò ha, di fatto, reso inutile il titolo faticosamente conseguito: infatti soggetti abilitati con i TFA precedentemente non insegnavano perché sopravanzati nelle graduatorie dai non abilitati con più anzianità, e ora non insegnano perché questi ultimi sono stati posti nelle condizioni di abilitarsi in tempo con l'aggiornamento delle graduatorie;
la legge 13 luglio 2015, n. 107, all'articolo 1, comma 114, prevede un nuovo concorso per l'assunzione a tempo indeterminato in cui sono valorizzati, fra i criteri valutabili in termini di maggior punteggio insieme al «titolo di abilitazione all'insegnamento conseguito a seguito sia dell'accesso ai percorsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico», anche «il servizio prestato a tempo determinato per un periodo continuativo non inferiore a centottanta giorni, nelle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado»; con il comma 96, lettere a) e b);
appare evidente che il criterio del fabbisogno sulla base del quale sono stati banditi i due cicli TFA già conclusi risulti essere inficiato poiché il suddetto bando prevede, per alcune classi di concorso, un numero di cattedre inferiore al numero complessivo degli abilitati TFA e per altre non ne prevede affatto, privando i docenti appositamente selezionati di un qualsiasi canale di reclutamento;
la presente interrogazione segue altre con le quali è stata posta in evidenza la situazione di altre categorie quali i diplomati magistrali, i soggetti in possesso di abilitazione tramite i cosiddetti PAS e i laureati in scienze della formazione primaria –:
se il Ministro interrogato non ritenga necessario prevedere, con apposite iniziative, la definizione di un secondo canale di assunzione a tempo indeterminato mediante scorrimento delle graduatorie per gli abilitati TFA in virtù del processo abilitativo conseguito, equiparabile in toto ad una procedura concorsuale;
quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per la risoluzione dei problemi di reclutamento già segnalati per le altre categorie di insegnanti abilitati (diplomanti magistrali, PAS, laureati in scienze della formazione primaria) oggetto di precedenti interrogazioni e iniziative parlamentari. (4-12767)
GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la società Cotral ha recentemente assegnato all'associazione temporanea di imprese (Ati) CometaManutencoop un appalto per la pulizia della flotta, delle sedi degli impiegati e degli impianti;
a denunciare come la Cotral abbia dato il suo assenso premiando l'offerta tecnica dell'appalto, sono i sindacati CGIL, CISL, UIL e SULT. I sindacati se la prendono non solo con l'offerta tecnica quasi surreale, ma soprattutto con il fatto che la società Cometa ha aperto nel periodo 2014-2015 le procedure per la Cassa integrazione in deroga e ha ottenuto i contratti di solidarietà, riuscendo quindi ad abbattere il costo del lavoro;
l'associazione temporanea di impresa avrebbe anche manifestato la volontà di ridurre del 30 per cento l'orario del lavoro e di conseguenza i salari a centinaia di lavoratori, già titolari di retribuzioni al limite della sopravvivenza;
a questo si aggiunge il fatto che, a quanto risulta all'interrogante, la società Manutencoop avrebbe subordinato l'accesso al luogo di lavoro e la conseguente presa di servizio dei lavoratori alla firma di un contratto che prevede una riduzione del 30 per cento dell'orario di lavoro;
quanto esposto in premessa, a giudizio dell'interrogante costituisce una palese violazione delle norme fondamentali del diritto del lavoro che regolano la contrattazione collettiva;
se non ritenga che sussistono i presupposti per avviare, per quanto di competenza, iniziative a carattere ispettivo volte alla verifica del rispetto delle norme sui contratti e sui contratti e sui livelli salariali per le società di cui in premessa. (4-12792)