PAGINA: 0002 Intervengono nella discussione sulle linee generali i deputati ERMETE REALACCI (PD) (Vedi RS), FILIBERTO ZARATTI (SI-SEL) (Vedi RS), SALVATORE MATARRESE (SCpI) (Vedi RS), COSIMO PETRAROLI (M5S) (Vedi RS), GIANLUCA BENAMATI (PD) (Vedi RS), DONATELLA DURANTI (SI-SEL) (Vedi RS),MAURO PILI (Misto) (Vedi RS), STELLA BIANCHI (PD) (Vedi RS) e ALBERTO ZOLEZZI (M5S) (Vedi RS).
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PAGINA: 0010 ERMETE REALACCI. Grazie, Presidente. Siamo al decimo decreto sull'Ilva: il primo è stato nell'agosto del 2012. Alcuni erano centrati soprattutto sull'Ilva, altri erano misure presenti in provvedimenti più generali, ma basta questo dato per capire che la situazione è di grande difficoltà e che il decreto che stiamo esaminando oggi potrebbe configurarsi come l'ultima chiamata per l'Ilva, in particolar modo per lo stabilimento di Taranto.
Ed è questo che giustifica un fortissimo intervento da parte dello Stato e un grande impegno del Parlamento, non solo in questo decreto, ma anche dopo. Vorrei ricordare alla collega Ricciatti, la cui sensibilità condivido, che 800 milioni stanziati dallo Stato per il risanamento ambientale non li avevamo mai visti su nessun impianto di questo Paese. Quindi, c’è, in questo senso, un cambio di passo e c’è bisogno, soprattutto, che ci siano delle proposte che siano lungimiranti, coerenti e coraggiose, per scongiurare effetti gravissimi sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista della salute e dell'ambiente sia dal punto di vista dell'economia del nostro Paese, perché questo impianto non è estraneo alle filiere produttive italiane.
L'Italia ha nell’automotive e nella meccanica dei punti di forza, ed è chiaro che è meglio che l'acciaio venga prodotto in Italia e non che venga prodotto in altre zone. Il problema delle acciaierie c’è in tutto il mondo: è un problema legato a una sovrapproduzione ed è un problema legato fortemente ai temi ambientali. L'impatto ambientale degli altiforni e delle cokerie, sia dal punto di vista degli inquinanti locali che dal punto di vista anche delle emissioni di CO2, legate agli Accordi di Parigi, è molto pesante. In questo quadro, l'Ilva rappresenta, però, un caso particolare: l'Ilva è un impianto che ha, se vogliamo, nei suoi cromosomi un periodo industriale, quello della fine degli anni @pagina=0011@Cinquanta e dell'inizio degli anni Sessanta, in cui questo tipo di produzioni venivano avviate con una grande disattenzione – era la cultura dell'epoca, se vogliamo attenuare il tema – rispetto all'ambiente e alla salute dei cittadini.
A me, ho avuto già modo di ricordarlo in quest'Aula, colpisce che, in riferimento a un impianto che nasceva assieme all'Ilva, il Polo chimico di Porto Marghera, il Piano regolatore di Venezia, in un allegato tecnico, quindi non le dichiarazioni di un dottor Stranamore, ma un documento pubblico ufficiale, diceva testualmente: nella zona industriale di Porto Marghera troveranno posto prevalentemente quegli impianti che diffondono nell'aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell'acqua sostanze velenose; è quello che è accaduto, è quello che è accaduto a Marghera, è quello che è accaduto a Taranto. Cos’è accaduto, dopo, a Taranto, col passaggio dall'Italsider all'Ilva ? Non c’è stata un'evoluzione di questa cultura o c’è stata in misura del tutto insufficiente e questo ha reso doveroso l'intervento della magistratura. Il caso dell'Ilva è il caso del primo commissariamento che c’è stato in Italia, e probabilmente in Europa, per quanto ne sappia, che è stato determinato non da motivi economici, ma da motivi ambientali, perché si era creata una situazione insostenibile. Al di là degli andamenti processuali, è evidente che la responsabilità della famiglia Riva è quella di aver massimizzato il profitto in maniera miope, compromettendo il futuro e l'ambiente, e utilizzato la sua forza per trascurare, aggirare, rimandare, l'applicazione delle leggi e quelle innovazioni tecnologiche che avrebbero potuto fare quello che è l'obiettivo di tutti: tenere assieme l'ambiente, la salute e il futuro produttivo di quel sito. È evidente a tutti che, come dicevano i latini, simul stabunt, simul cadent, nel senso che se non ci sarà un risanamento ambientale e un intervento sulla salute dei cittadini, se quell'impianto chiude, non ci sarà futuro produttivo di quell'impianto.
Da ultimo, l'ultimo decreto che abbiamo votato qui, quello del 4 luglio 2015, era centrato su un'ipotesi che c'era stata presentata come credibile, l'ipotesi che il miliardo e 200 milioni della famiglia Riva, che erano in Svizzera, potevano essere resi da subito attivi nel processo di risanamento e di innovazione ambientale. Questo non è stato possibile e questo giustifica il forte intervento dello Stato. Io lo ripeto, 800 milioni di euro disponibili da subito non li considero un intervento di poco conto, ma è chiaro che questo comporta oggi, più ancora di prima, un nuovo piano industriale, una nuova idea di collocazione che significa non solo l'individuazione di spazi di mercato. È probabile (ovviamente noi non siamo competenti in materia) che questo significhi in qualche caso anche alzare la gamma dei prodotti offerti dall'Ilva di Taranto, perché vi sono alcuni segmenti necessari per l'acciaio che la nostra industria richiede che non sono attualmente coperti da Taranto, ma sicuramente significa attivare una forte spinta nel senso dell'innovazione ambientale. Qui voglio essere chiaro: noi continueremo (l'abbiamo detto col presidente Epifani, l'abbiamo detto nelle Commissioni) a occuparci pienamente di questo tema anche al di là dell'approvazione di questo provvedimento, convocando, appena saranno arrivate le attestazioni di interesse, il Ministro Guidi a discutere di questa questione con il Parlamento. Voglio essere chiaro: noi abbiamo nel passaggio già ora in Commissione, lo ricordava il collega Massa, lo ricordava il collega Basso, rafforzato queste garanzie (il riferimento è alle migliori tecnologie, alle Bat, agli standard europei, alla richiesta del parere del Consiglio dei ministri, del Ministero dell'ambiente e del Ministero dello sviluppo che preveda un passaggio per l'ISPRA, alle relazioni al Parlamento sull'andamento della situazione con cadenza semestrale). Ma la verità è che noi ci aspettiamo, e non faccio fatica a immaginare che non si possa fare questo, una forte innovazione sul piano della proposta industriale e ambientale.
In controluce di questo decreto, perché altrimenti non capisco come ce la facciamo, c’è in realtà quella proposta che a @pagina=0012@suo tempo era stata avanzata anche da Bondi e da Ronchi, quando erano commissari, che prevede, in prospettiva, la creazione della più avanzata acciaieria europea attraverso il ricorso al preridotto e al metano. Questa proposta, che è stata a lungo discussa in questi mesi sui giornali, anche dal collega Mucchetti (io condivido le cose che lui ha detto), configurerebbe il fatto che l'Ilva fa un salto in avanti, abbatte fortemente gli inquinanti, tutti gli inquinanti, abbate fortemente le emissioni CO2. Faccio fatica a immaginare un'Europa che si oppone a una proposta di questo tipo all'indomani di Parigi. Faccio fatica a immaginare un'Europa che si oppone a un'offerta di questo tipo, viste le priorità ambientali che l'Europa ha sempre sottolineato, a meno che non vincano in Europa altre idee.
È chiaro che così come è legittimo in Italia che ci sia chi ritiene che sia meglio chiudere l'Ilva di Taranto (io non la penso così, io penso che Taranto deve ovviamente diversificare il sistema produttivo e scommettere sulle sue risorse, sulle sue qualità), anche in Europa molti scommettono sulla chiusura dell'Ilva, scommettono cioè che il Piano acciaio europeo sia risolto dal fatto che l'Ilva non sia più un grande impianto che compete con gli altri impianti. Ma non può essere questa la nostra posizione. Lo ripeto, condivido le cose che ha detto il collega Mucchetti, che è il presidente della Commissione attività produttive al Senato, e mi sembra che in questa direzione vadano anche le indicazioni del presidente della regione Puglia Emiliano, quando si parla di abbattimento delle emissioni. Il metano oggi è molto più concreto di quanto non fosse anni fa, visto l'andamento del mercato dei combustibili fossili in generale e del mercato del metano in particolare, parliamo di una cosa che oggi ha assolutamente le caratteristiche della fattibilità. Su questo noi vogliamo mantenere una forte attenzione, perché la scommessa che stiamo per fare non è una scommessa che può essere ritualmente liquidata come solo una scommessa di carattere ambientale, di carattere sociale o di carattere economico, è una scommessa sul futuro produttivo del nostro Paese, sull'idea che abbiamo di industria. Sun Tzu diceva che quando siamo circondati da pericoli non dobbiamo aver paura e quando siamo privi di risorse dobbiamo contare su tutti. La sfida dell'ILVA è in queste condizioni e per questo richiede una grande mobilitazione di intelligenze e di energie della società, dell'economia e del Parlamento. Il Parlamento farà fino in fondo la sua parte e sappiamo che questa sfida non riguarda Taranto o la Puglia, riguarda tutta l'Italia e dobbiamo vincerla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). PAGINA: 0012 FILIBERTO ZARATTI. Grazie Presidente. Come è stato detto opportunamente dal presidente Realacci, siamo al decimo decreto che affronta il problema dell'Ilva. Ragionevolezza avrebbe voluto che, da parte degli esponenti del Governo e della maggioranza, si arrivasse in quest'Aula con una piccola autocritica, quella di chi si rende conto che ha fatto nove decreti che effettivamente non hanno risolto il problema e che presentano alcuni errori davvero pacchiani, mi scuseranno i colleghi. Insomma, il fatto che non fosse possibile recuperare in tempi brevi il miliardo e 200 milioni che i Riva tengono custoditi con grande cura nei forzieri della Svizzera era una cosa facilmente intuibile e del resto anche nelle discussioni che abbiamo fatto nelle Commissioni parlamentari competenti, e nella discussione in Aula, questo elemento era stato evidenziato più volte. Quindi, si sono costruiti una serie di decreti spesso partendo da delle ipotesi che si sapeva essere inconsistenti e fragili.
È vero è stata commissariata una grande azienda per la prima volta per questioni ambientali, ma andrebbe anche riconosciuto che questo commissariamento è stato un fallimento, che questo commissariamento non ha neanche avviato quelle procedure necessarie a risolvere il problema, né dal punto di vista ambientale, né dal punto di vista produttivo. @pagina=0013@Ci troviamo di fronte, infatti, a una crisi per certi versi ancora più grave di quella che c'era negli anni precedenti. Si è detto, l'ha ripetuto la mia collega Ricciatti, delle enfatiche dichiarazioni del Ministro Galletti, il quale ha avuto modo di dire, con una certa enfasi e con una certa imprudenza, che tutti i limiti di emissione europei oggi a Taranto sono rispettati, che l'80 per cento delle prescrizioni sono state realizzate, che il primo step è stato completamente rispettato. Sappiamo bene che la gran parte delle prescrizioni erano di carattere normativo e che quindi sono state realizzate soltanto quelle di carattere normativo. Per quelle che riguardavano gli investimenti che dovevano risanare l'ambiente e tutelare la salute, a cominciare dalla copertura dei parchi minerari, non si è fatto nulla. Noi ci troviamo in una situazione ancora di grandissima emergenza dal punto di vista ambientale.
Avrei avuto piacere che questi limiti inseriti nei precedenti decreti fossero evidenziati, perché altrimenti sembra che si parta sempre da zero, che non sia successo mai nulla prima, che gli errori fatti non servono ad aumentare quella conoscenza per affrontare sempre gli stessi problemi.
Ricordo che l'anno scorso, di questi tempi, una persona molto autorevole, il Presidente del Consiglio diceva: il primo decreto dell'anno riguarda Taranto, questa città bella e disperata è il punto di partenza del nostro anno; il salvataggio di Ilva insieme al salvataggio dei tarantini e dei loro figli. Il problema sembrava risolto e invece oggi ci ritroviamo, un anno dopo, a dire la stessa cosa: il primo decreto riguarda Taranto, questa città bella e disperata è il punto di partenza del nostro anno.
Vorrei che vi fosse un po’ più di consapevolezza da parte di chi deve governare un grande Paese come l'Italia, che deve governare una crisi importante anche dal punto di vista produttivo. Voglio soltanto ricordare al riguardo che nel 2015 il prezzo internazionale dell'acciaio è calato del 45 per cento. Che la crisi sia strutturale dal punto di vista del mercato della siderurgia è chiaro, e allora cosa fare ? Penso che, di fronte a dati così allarmanti, rilanciare e risanare l'Ilva rappresenti un obiettivo che può essere perseguito soltanto puntando fortemente sull'innovazione, sulla modernità, sulla compatibilità ambientale. Ci vorrebbe, lo dico al presidente Epifani, finalmente una politica industriale in questo Paese, ma come si fa a non parlare di politica industriale in un Paese come il nostro ? Lo dico da ambientalista, può questo Paese vivere soltanto di turismo, può vivere soltanto di bellezze artistiche ? Certo si tratta di un pezzo importante del nostro sviluppo, del nostro futuro, ma può questo Paese vivere senza una politica industriale ? Sarebbe il caso che voi ci metteste le mani, perché fino ad ora non l'avete fatto.
Non bastano le dichiarazioni enfatiche di chi vuol salvare tutto e risolvere tutto in cinque minuti come fa Renzi, perché intanto gli operai continuano a vivere e a lavorare in quell'ambiente e a non avere più un futuro per il loro posto di lavoro, mentre i bambini di questa città continuano a respirare un'aria inquinata. Una strategia sbagliata di questi anni, una strategia che noi stiamo pagando fortissimamente.
Guardando anche alle proposte, qualcuno lo vuole dire che avete fatto un bando prima ancora che il Parlamento finisse la discussione ? E non perché vi fosse urgenza, perché l'avete fatto cinque giorni prima che il Parlamento, in modo concordato, avesse la possibilità di esprimere la propria opinione su questa vicenda !
Insomma, discussioni fuori con le realtà sociali, politiche e sindacali non se ne fanno, è morta la concertazione, caro Epifani, lo dice sempre il suo Presidente del Consiglio, e la discussione in Parlamento non si fa perché è inutile e perché si fa a posteriori ! Davvero qualcuno può pensare di affrontare un problema come quello dell'Ilva senza una grande discussione nel Paese ? Io penso che non sia possibile, ma forse avrò un modo sbagliato di pensare. Quello che serve è un grande risanamento non solo dell'Ilva, ma un @pagina=0014@risanamento di Taranto. Gli ottocento milioni messi dalla Cassa depositi e prestiti sono importanti, ma io credo che quell'area meriti grandissimi e importanti investimenti per risanare la città, dall'arsenale al petrolchimico, oltre che all'Ilva, perché quella città ha dato tanto al nostro Paese, ha dato tanto in termini di devastazione ambientale, ha dato tanto in termini di salute, ha dato tanto in termini di produzione, naturalmente, e quindi servirebbero significativi investimenti che potessero risanare la città di Taranto.
Anche rispetto a queste procedure di vendita non sono ancora noti tutti i dettagli, perché noi siamo come quelle famiglie dove le cattive notizie i mariti le sanno sempre per ultimi, e quindi non abbiamo ancora tutti i dettagli di questa vendita. Tuttavia alcune domande in particolare meriterebbero risposta. Quale privato avrà interesse a trasformare l'Ilva da industria decotta a industria virtuosa ? Perché io non ho capito ancora quale possa essere l'interesse di qualche imprenditore serio. Come farà il Governo a vendere un'azienda che non è neanche di sua proprietà ? Come giustificherà il Governo l'aumento che intende apportare alla legge di stabilità, ovvero gli ulteriori 800 milioni di euro dati ai commissari governativi di Ilva per risanare gli impianti, non più sotto forma di prestito ma di finanziamenti ? E che dire sulla salvaguardia dei posti di lavoro ? I lavoratori del gruppo Ilva saranno riassunti dagli eventuali nuovi proprietari dell'azienda ? Con quali contratti e con quali tutele dei diritti acquisiti ?
Io penso che a queste domande il Governo dovrebbe rispondere qui in Aula e non dovrebbe far finta di nulla ! Non dovrebbe avere il solito atteggiamento, penso sbagliato, di chi non vuole mai ascoltare, di chi pensa sempre di essere al centro di un complotto, di chi pensa di essere sempre assediato da tutto e da tutti, perché, può anche darsi, lo dico al rappresentante del Governo, che nei dibattiti parlamentari ci sia anche la possibilità di ascoltare qualche proposta che magari aiuta a risolvere i problemi del nostro Paese !
Ho la strana sensazione che questo Governo e questa maggioranza si muovano su questi problemi nel solco della grande tradizione italiana che dice che bisogna socializzare le perdite e privatizzare i profitti ! Avrei sperato che da un Governo, che non è di centrosinistra, ma che vede la presenza di una parte di quel centrosinistra, almeno questo ci fosse evitato. Il fatto, cioè, che si persegua ancora questa politica pessima per cui i debiti sono sempre a carico della collettività, dei cittadini e dei lavoratori e invece i profitti vanno sempre nelle tasche di lor signori ! Almeno questo io speravo che ci fosse risparmiato. Così non è stato e così non è, e allora per queste ragioni noi continuiamo ad esprimere perplessità forti.
Avremmo anche preferito, presidente Realacci, che almeno quello scudo giudiziario introdotto dal precedente decreto, di cui godono i commissari e i loro delegati, venisse abrogato in questo decreto. Siccome state riconoscendo di fatto che i decreti fatti in precedenza sono stati inutili e anche dannosi, almeno questa norma incostituzionale poteva essere tolta, sarebbe stato utile, intelligente, giusto e anche opportuno, cassarla questa norma, in modo tale che così anche i commissari dell'Ilva rientrino in quel numero un po'più grande di persone normali, che sono i cittadini italiani, i quali dovrebbero essere uguali davanti alla legge, cosa che spesso non capita.
Queste sono le perplessità che noi abbiamo su questo decreto. Abbiamo la convinzione che sia necessario fare di più per quel territorio, per quell'azienda, per quei cittadini e per quei lavoratori, e ci sembra che ci sia ancora una volta da parte del Governo e della maggioranza una sottovalutazione, una non consapevolezza, che non mette in sicurezza la città di Taranto, non mette in sicurezza la salute dei cittadini di Taranto, non mette in sicurezza il futuro dei lavoratori dell'Ilva di Taranto e non mette in sicurezza il futuro dell'industria @pagina=0015@italiana (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà). PAGINA: 0015 SALVATORE MATARRESE. Grazie, signor Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, siamo arrivati, si diceva prima, al decimo decreto che riguarda l'Ilva e per fortuna arriviamo a parlare di cessione dell'Ilva a soggetti privati che siano in grado di gestire questa strategica attività industriale per questo Paese. Lo abbiamo sempre detto, sin dalle prime battute della discussione sull'Ilva, lo Stato deve tornare a fare il suo ruolo di vigile attento e di osservatore attento delle attività industriali, ma l'attività industriale deve tornare in mano ai privati per tutelare il lavoro, per tutelare l'ambiente e per tutelare gli asset importanti di questo valore per il nostro Paese.
Non possiamo non considerare che dal 1965, quando è stata inaugurata l'Ilva, fino al 2005 nulla è stato fatto anche nelle gestioni dirette dello Stato – ricordiamo le vicende dell'IRI – e le difficoltà che ha adesso la gestione commissariale sono nei fatti – perché di fatto siamo in amministrazione straordinaria, abbiamo dichiarato il dissesto di quest'azienda – unitamente a un contesto internazionale di mercato estremamente critico, con ribasso di domanda e con la probabilità, anche da considerare, che l'Ilva diventi la soluzione per governare la produttività e il bilancio della produttività dell'acciaio a livello europeo. Quindi questi sono gli scenari difficili nei quali un'azienda si trova gestita da un commissariamento che deve cambiare sicuramente registro e quindi il valore di questo decimo intervento è quello sicuramente della cessione. Interveniamo nella cessione, stabilendo anche dei criteri che sono importanti per tutto l'operato e per tutta l'attività legislativa che abbiamo fatto in quest'Aula e che ha visto come protagonista la tutela della salute dei cittadini, la tutela dell'ambiente abbinata alla produzione di questo importante asset nazionale. Quindi, chiediamo che ci sia una rapidità di intervento che abbia anche molta attenzione sulla tutela ambientale. Credo che questo sia un intervento, nell'ambito delle normative di cessione di azienda, in questa fattispecie, estremamente rilevante, così come interveniamo nel richiedere un piano finanziario, economico ed industriale concreto, con coperture economiche dichiarate degli investimenti che si prevedono, che contempli prioritariamente la tutela ambientale (quindi non si va a modificare il piano previsto ma si va ad integrare con una certa possibilità economica per mantenere in piedi questo stabilimento); si va soprattutto a non dimenticare ciò che è stato fatto per Taranto che non è solo l'Ilva ma è tutto un processo di diversificazione dell'economia di Taranto attraverso i piani di sviluppo, attraverso tutte quelle risorse che questo Governo ha posto nella città di Taranto. È chiaro infatti che bisogna creare un'alternativa concreta che non è solo trasformare la modalità produttiva dell'acciaio, passando alla produzione elettrica o all'alimentazione a gas ma è soprattutto diminuire l'incidenza della produzione di acciaio nella realtà di Taranto e favorire economie alternative di sviluppo reale e concreto di quella bellissima città che è in Puglia e che paradossalmente negli anni si è trovata ad essere il centro europeo di produzione dell'acciaio. Quindi sono azioni sinergiche sulle quali il Governo e lo Stato devono porre attenzione perché non è solo risolvere il problema, affidando a un terzo la problematica dell'Ilva ma è soprattutto la capacità di vigilare in quell'attività che deve essere fatta da questo soggetto affittuario o acquirente di questa realtà industriale estremamente importante. Interveniamo quindi sui criteri perché questi criteri siano importanti nel conservare la tutela dell'occupazione in termini compatibili con l'efficienza economica ed industriale di questa realtà; interveniamo anche con delle risorse che sono importanti affinché, nelle more che si stabilisca entro la data fissata del 30 giugno 2016 la cessione, l'azienda possa continuare nell'attività di commissariamento @pagina=0016@a far fronte alle esigenze impellenti come quella di pagare le retribuzioni o le attività primarie che il commissario o i commissari devono porre in essere; quindi quei 300 milioni che vengono anticipati, perché saranno restituiti dall'acquirente o dell'affittuario, sono risorse importanti per garantire che le attività in corso che, ripeto, sono finalizzate anche e soprattutto alla tutela dei cittadini in abbinamento alla produzione, siano portate avanti con grande determinazione e grande certezza. Ci sono anche 800 milioni, si diceva prima che sono risorse importanti in un contesto di crisi e di difficoltà economica del nostro Paese, che vengono messi a disposizione dei commissari in maniera diretta; questo è stato anche un po’ l'esito del lavoro fatto in Commissione referente perché si consente ai commissari di attingere direttamente al finanziamento per far fronte a quelle misure importanti che sono quelle di attuazione delle prescrizioni AIA, che sono in corso ma noi tutti sappiamo in Italia come sia difficile realizzare gli investimenti; quindi non ci meravigliamo se ci sono dei ritardi in essere però dobbiamo essere soddisfatti che almeno ci sia l'attenzione ulteriore del Governo a mettere quelle risorse che sono indispensabili per superare anche quelle difficoltà di natura finanziaria che si prospettano in un'azienda che vive uno stato di sofferenza appunto sia economica che finanziaria. Quindi 800 milioni per proseguire nell'attività di tutela della salute dei cittadini tramite l'attuazione delle misure AIA. Introduciamo anche i criteri di valutazione dell'offerta che non siano solo legati a perizie di istituti economico-finanziari che hanno tutti avuto a che fare con un grande soggetto economico come l'Ilva ma anche a società di consulenza di livello internazionale indicate dal Ministero dello sviluppo economico. Questo significa anche dare un'attenzione maggiore all'oggettività della valutazione di quello che sarà il futuro dell'Ilva e quindi riteniamo che sia anche un elemento importante di trasparenza che viene posto nell'esame dell'offerta che verrà presentata dai futuri acquirenti.
Abbiamo anche sviluppato in sede referente una maggiore tutela per le aziende dell'indotto dell'Ilva che sono state poste in sofferenza per la loro attività di fornitura di materie prime e di servizi sia in questo momento di conservazione dell'attività produttiva e di rispetto delle prescrizioni AIA sia nel periodo 2011-2012, quando è stata attuata la gestione commissariale.
Abbiamo richiesto e richiederemo negli emendamenti che presenteremo in Aula una maggiore semplicità, una maggiore possibilità di accesso per le piccole-medie aziende del territorio tarantino e della regione Puglia ma direi per tutte le aziende dell'indotto che oggi lamentano difficoltà nella valutazione e gestione di accesso a questo Fondo, che rimane di 35 milioni ma i criteri stabiliti di tipologia dell'azienda, di ubicazione dell'azienda e di tipo di finanziamento attinto sicuramente non consentono quella rapidità di intervento che è necessaria e indispensabile per evitare il default di queste aziende che potrebbero seguire l'Ilva con meno garanzie rispetto al mantenimento dei propri livelli occupazionali e quindi al proprio sostentamento economico.
Quindi l'obiettivo dei nostri emendamenti in Aula sarà quello di avere criteri molto più semplici per i quali, stabilito l'accesso, si possa procedere al rilascio delle somme fino all'importo pattuito massimo di 2 milioni e mezzo per singola azienda e l'80 per cento della garanzia, quindi criteri che facilitino l'accesso delle aziende e delle piccole e medie imprese, che è il valore aggiunto che dobbiamo tutelare insieme all'Ilva.
Questo è un provvedimento che continua ad andare nel solco della tutela che il Governo ha messo sull'attività dell'Ilva per rispondere alle problematiche ambientali che vive la città di Taranto e verso il debito che la città di Taranto ha assunto nei confronti del nostro Paese nell'arco di tutta la storia che ha vissuto dal 1965 ad oggi, legata all'Ilva. Non si torna alla @pagina=0017@responsabilità dello Stato, gli effetti giuridici ci dicono come sia difficile recuperare le somme dal privato perché il privato è dal 1995 in questa vicenda, lo Stato è dal 1965, quindi qui ci sono responsabilità molto diffuse e molto allargate che dovrebbero indurre tutti ad una maggiore riflessione su come lo Stato debba continuare a fare la sua parte e soprattutto debba trovare in interlocutori affidabili e credibili il futuro vero per questa attività, che deve essere conciliato con un futuro diverso che deve essere concesso a Taranto, che non è solo acciaio ma deve essere ben altro, perché il dazio pagato dalla città di Taranto credo che sia estremamente alto e non ci sono risorse economiche che possono andare a garantire il futuro di una città che continua ad essere penalizzata dai dati medici e clinici che noi tutti osserviamo; e con grande rammarico ci rendiamo conto di quanto sia difficile individuare un percorso che contemperi tutti questi equilibri ai quali stiamo cercando con forza di far fronte nell'obiettivo comune di dare a Taranto un futuro diverso.
Quindi ci auguriamo che nella discussione in Aula si possa davvero dare un contributo ulteriore a questo percorso di impegno e di attenzione che il Governo e quest'Aula hanno posto verso la città di Taranto e verso questa attività produttiva ritenuta strategica per il nostro Paese, verso la quale non possiamo lasciare spazio ai populismi che leggiamo costantemente sui quotidiani finalizzati all'ottenimento del consenso politico ma dobbiamo badare ai fatti, ai dati, alle certezze di capacità di intervento che il Governo, la realtà economica, le realtà produttive e il nostro Paese possono mettere per risolvere o per porre Taranto nelle condizioni di superare lo stato di crisi che le deriva da questa presenza, che è oltremodo spropositata rispetto alla realtà di Taranto (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia). PAGINA: 0017 COSIMO PETRAROLI. Signor Presidente, «Io sono qui, anche oggi, per solennizzare l'entrata in funzione di un grande stabilimento industriale, questa volta rappresentato dal complesso degli impianti del IV centro siderurgico dell'Italsider. E anche in questa occasione voglio recare agli italiani del Mezzogiorno l'assicurazione che lo Stato ha preso effettivamente e seriamente coscienza della realtà meridionale e si adopera per mutarla». Dieci aprile 1965, queste sono le parole di Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica il giorno dell'inaugurazione ufficiale del centro siderurgico Iri «Salvino Sernesi», poi successivamente diventato Ilva. Bene, molti quotidiani dell'epoca titolavano: «lì dove c'era uno sterminato oliveto», santificando un po’ quella che è stata la conversione economica della città, come se aver raso al suolo oltre 7000 alberi secolari fosse stata una conquista sociale.
Cosa, infatti, volete che sia del miserabile e scadente olio di oliva pugliese in confronto al duro, lucido e rassicurante acciaio ! All'epoca nello stabilimento lavoravano 4500 operai e impiegati, che poi furono assunti da psicologi, specialisti, ingegneri; quasi tutti frequentarono corsi di addestramento, alcuni addirittura mandati in Germania e negli Stati Uniti, insomma «mamma azienda» pensava proprio a tutto. Addirittura 25-30 anni fa, a Natale, l'azienda regalava giocattoli ai figli dei dipendenti, quindi l'Italsider era «cosa buona e giusta» per definizione. Questo, Presidente, è stato il pensiero comune dei tarantini e cittadini ionici per tutti questi anni.
Duemila miliardi di lire di soldi pubblici non hanno minimamente indotto dirigenti e Governo a investire sulla città, che ovviamente diventava sempre più invivibile: interi quartieri affumicati dai camini, il centro storico totalmente abbandonato, il borgo ottocentesco sopraelevato da quattro a nove, dieci piani, carenza dei servizi primari, alunni costretti a seguire lezioni nelle scuole medie in locali di fortuna, mancanza totale di verde pubblico (40 centimetri per abitante). La Taranto @pagina=0018@moderna si presentava come la smentita di ogni decenza urbanistica. Dodici anni fa, a ridosso di una città dalle strutture fragilissime, fu gettato un colosso industriale che sta per raggiungere la statura di 2 mila miliardi e 16 mila dipendenti senza la minima preoccupazione di inserire l'operazione in un piano armonico di sviluppo della comunità. Questo è un articolo, sono le dichiarazioni fatte da molti giornalisti quarant'anni fa. Oggi, infatti, stiamo parlando di un mostro che ha causato 370 morti accertati per inquinamento, un mostro che ha provocato malattie respiratorie, malattie cardiovascolari, diossina nel latte materno. Proprio l'anno scorso – voglio ricordarlo per la seconda volta in quest'Aula – è deceduto un bambino di cinque anni, nato con un carcinoma al cervello perché la sua mamma ha avuto l'unica colpa di lavorare per un piccolo periodo della gravidanza nel quartiere Tamburi di Taranto.
Quindi, quando si parla di Ilva, non si parla di una fabbrica, ma si sta parlando di una città di 200 mila abitanti, si parla di una provincia con ventinove comuni, si parla della vita delle persone, si parla di un mostro che, oltre ad aver provocato decessi per inquinamento, sta causando una media di tre morti l'anno per infortuni sul lavoro, e sicuramente non esisterà nessuna fabbrica, in Italia, in Europa e forse neanche nel mondo, con una media simile. L'ultima vittima – voglio ricordarlo – si chiamava come me, Cosimo, deceduto a novembre schiacciato da un tubo; ma, a nostro avviso, il fondo di questa vicenda è stato raggiunto con la morte di Alessandro Moricella, a giugno sempre di quest'anno: una morte che ha mostrato – scusate se lo dico – l'anima criminale del Partito Democratico, perché questa è una questione umana, perché umanamente non si può imporre per legge la continuità produttiva di un'azienda, di un altoforno, dopo che un ragazzo di 35 anni è morto sciolto nella ghisa ! Non si può imporre la continuità produttiva di uno stabilimento dopo che un magistrato ha certificato la totale mancanza dei più elementari dispositivi di sicurezza e di protezione. Come avrebbe reagito l'opinione pubblica se il Governo Prodi avesse imposto la continuità produttiva della Thyssenkrupp, dove morirono sette operai in circostanze del tutto analoghe ? Come avrebbe reagito l'opinione pubblica ?
Ma Taranto, Presidente, è una città particolare, perché esiste ancora oggi quel residuo culturale nato cinquant'anni fa, per cui qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa succeda, l'Ilva è comunque «cosa buona e giusta» a prescindere, perché dà il pane ! E i partiti che hanno governato e devastato questi territori per anni ne sono consapevoli, sono consapevoli che Taranto per la sua valenza storica, culturale e turistica, senza questo immenso carcinoma avrebbe sicuramente sviluppato un'economia diversa, un'economia simile a tutte le altre città marinare del mondo, un'economia che avrebbe prodotto probabilmente 50 mila posti di lavoro tra turismo, cultura e gastronomia, 50 mila posti di lavoro a dispetto dei 15 mila attuali, se non ci fosse stata l'Ilva !
Oggi, invece, ci troviamo alla nona, decima – non lo so – decretazione d'urgenza, dieci decreti in quattro anni, e per ognuno avete sempre detto che sarebbe stato l'ultimo, avete detto che far ripartire l'Ilva significa far ripartire Taranto e l'Italia. Questo avete detto !
A Taranto oggi c’è il 40 per cento di disoccupazione e quindi l'ILVA, di fatto, non ha fatto partire assolutamente nulla, anzi, durante la gestione della famiglia Riva, dal 1995 in poi, i dipendenti sono calati di circa 10 mila unità tra prepensionamenti e altro. Perché questo non lo dite ? Perché non dite che in Italia gli addetti alla siderurgia sono 40 mila unità ? 40 mila unità rispetto ai 30 milioni e mezzo di occupati, lo 0,13 per cento: un settore che effettivamente è assolutamente marginale, irrilevante. Anche in Europa la siderurgia è in crisi, tanto da rendere necessaria la riunione straordinaria del Consiglio sulla competitività. L'Italia produceva 27 milioni di tonnellate d'acciaio, la Cina 779, il Giappone 150, gli Stati Uniti 100: come mai gli Stati Uniti, che hanno quasi il doppio del PIL cinese, producono @pagina=0019@sette volte meno il suo acciaio ? Perché l'acciaio serve, evidentemente, per infrastrutture, per nuova urbanistica, ma quando abbiamo costruito già tutto, l'acciaio ovviamente non serve più così tanto come serviva prima. E questi parametri dovrebbero servire, dovrebbero essere considerati da coloro che vogliono fare un minimo di pianificazione industriale nel nostro Paese.
Per non parlare poi della pianificazione economica: l'ILVA ha oltre 3 milioni di euro di passività, e questi soldi sono debiti con le banche, con i fornitori, quindi che ragione c’è di tenere in vita, con soldi pubblici, un'azienda in queste condizioni ? Semplice: io la tengo in vita, la tengo in stato vegetativo per poter espiantare gli organi, affinché le banche possano riprendere i soldi che ci hanno messo dentro. Quindi voi tenete, di fatto, una città appesa alla corda soltanto per pagare quanto prima le banche. Basta dirlo, cioè basta essere intellettualmente onesti con i pugliesi, vi diranno, evidentemente, che fate schifo, ma almeno che siete coerenti, invece così possono dire soltanto che fate schifo.
Ed è proprio per questa ragione che l'Unione europea sta avviando una procedura di infrazione. Questa cosa qui non l'ho sentita adesso, non ho sentito da nessuno dei presenti che l'Unione Europea sta avviando una procedura d'infrazione. 300 milioni in questo decreto, 800 milioni nella legge di stabilità, trasformati poi in finanziamento tout-court, altri 400 milioni nella legge del 20 marzo, e quali sono state le dichiarazioni del Ministro Galletti ? Il Governo italiano intende far valere il principio che in materia di risanamento ambientale l'azione pubblica non è preclusa dalle normative europee. Il messaggio che Roma lancia a Bruxelles è che il Governo è intervenuto intensamente per l'ILVA perché c’è una questione ambientale grave e complessa – attenzione alle parole – e senza bonifica l'azienda non potrà mai tornare a produrre a pieno regime, né essere competitiva. Miracolo !
Miracolo perché, fino a un anno fa, era esattamente il contrario: senza la continuità produttiva non c'erano bonifiche, oggi invece sembra che dalle dichiarazioni del Ministro sia il contrario. Ovviamente sono dichiarazioni che servono a prendere in giro i pugliesi, non certo i commissari che sicuramente hanno capito che aver bonificato quattro o cinque aiuole del quartiere Tamburi di Taranto non giustifica i milioni che lo Stato ci ha messo dentro. Infatti, hanno fatto notare che, se i soldi fossero stati realmente impiegati per le bonifiche, sia dello stabilimento ma anche delle aree esterne, allora non ci sarebbero stati problemi, ma nel momento in cui i soldi che lo Stato sta versando servono semplicemente per forzare la continuità produttiva di un'attività del tutto in perdita, per aggiornare gli impianti a spese dei contribuenti e soprattutto per pagare i creditori e le banche, allora si crea una situazione di concorrenza sleale. Infatti, hanno ribadito, è vero che l'acciaieria va risanata, ma la strada corretta è coinvolgere i privati: questo ha detto la Commissione europea. In pratica, la Commissione certifica di fatto che, dopo nove, dieci, undici decreti, i soldi che lo Stato ha versato e verserà nello stabilimento non saranno mai utilizzati nelle bonifiche. È questo quello che ha detto l'Europa e di cui si sono accorti ! Ed ecco che il Governo, in fretta e furia, scrive l'ennesimo decreto con la speranza di convincere i commissari a non procedere con l'infrazione, tanto, male che vada, se non cambia nulla, cosa pressoché sicura, sarà pronto un decimo decreto per mantenere in vita questo zombie.
Ebbene, nel provvedimento si demanda al commissario la scelta dell'acquirente, specificando, però, che il passaggio debba avvenire a trattativa privata, come se la questione non riguardasse nessuno, come se si stesse vendendo una panetteria, una gelateria. Noi abbiamo chiesto che all'interno di questa fase ci siano dei processi di selezione e scelta trasparenti e, quindi, pubblici, perché almeno i cittadini devono sapere per quali denari voi state svendendo la loro vita.
Abbiamo chiesto che siano privilegiati i soggetti in possesso di tecnologie e processi @pagina=0020@produttivi a basso impatto ambientale; niente da fare, avete detto di no. Così come per la società di consulenza che dovrebbe valutare il prezzo degli impianti abbiamo chiesto che tale società, di nomina ministeriale, non abbia mai avuto rapporti diretti o indiretti con gli azionisti e i dirigenti del gruppo, per evidenti motivi; nulla da fare, bocciato anche questo. Abbiamo chiesto che la procedura di trasferimento sia svolta sotto la supervisione dell'Autorità nazionale anticorruzione; nulla di fatto. Abbiamo chiesto la messa in sicurezza delle falde sottostanti lo stabilimento prima della vendita; voglio ricordare che ad oggi la zona dei parchi minerali provoca due problemi, il primo, quello che tutti conosciamo, con il vento che trasporta i minerali sul quartiere Tamburi, il secondo non si vede, ma è altrettanto grave, perché manca uno strato impermeabilizzante tra i depositi del minerale e il terreno sottostante, quindi, quando piove si crea un effetto caffettiera per cui si trasportano i depositi nel terreno inquinando le falde; abbiamo chiesto la bonifica; niente da fare, bocciato anche questo, evidentemente per i commissari non è un problema. Così come per la destinazione dei 300 milioni; anziché impiegarli per le indilazionabili esigenze finanziarie, magari era possibile usarli per far fronte alle esigenze di tutela della salute pubblica e del risanamento ambientale; al massimo possiamo dire alle banche di aspettare un po’ prima di ricevere i loro soldi, magari salviamo qualche vita in più, non si sa mai; nulla da fare, prima le banche e poi la salute dei cittadini.
E poi ci sono altre questioni, a nostro avviso molto vergognose per un partito che si definisce di sinistra, come i crediti prededucibili e le responsabilità dei commissari. Infatti, l'organo commissariale potrà saldare i creditori, derogando all'articolo 111-bis della legge fallimentare. Nella relazione del Governo c’è scritto: allo scopo di velocizzare la dismissione dei beni aziendali. In pratica, cosa vuol fare il Partito Democratico ? La legge vigente cosa dice ? Dice che in caso di fallimento di una qualsiasi attività aziendale, se l'attivo è insufficiente prima si procede al pagamento dei soggetti vulnerabili, i più deboli, cioè i lavoratori, i dipendenti, e poi a tutto il resto, il fisco, i fornitori e le banche. Con questo provvedimento, lo sottolineo, il partito di sinistra fa esattamente il contrario: prima si saldano le banche e dopo, se rimane qualcosa, i lavoratori. Questo significa derogare all'articolo 111-bis della legge fallimentare.
Non solo, sempre al comma 6, per evitare, comprensibilmente, che qualcuno possa rivalersi sui commissari, avete ampliato l'immunità. Non solo potranno godere dell'immunità penale e amministrativa, ma anche di quella civile. Ma, evidentemente, all'Ilva è permesso tutto. Le prescrizioni AIA, senza le quali un impianto non potrebbe neppure iniziare a produrre, per l'Ilva sono state derogate, cioè l'azienda ha potuto produrre e, strada facendo, adempiere alle prescrizioni; poi, visto che non ce la faceva, hanno deciso che l'AIA sarebbe stata completata se fosse stato eseguito l'80 per cento delle prescrizioni; ora, da ultimo, visto che ancora non ce la si fa, il PD si prende altri sei mesi.
E poi vi è un'ultima questione, secondo noi tra le più gravi: in questo provvedimento si introduce una nuova procedura per la modifica del piano ambientale. Basterà una piccola istanza scritta dal nuovo proprietario per chiedere al Governo la modifica del piano ambientale e, quindi, di conseguenza, l'attuazione delle prescrizioni dell'AIA, e si torna al punto daccapo.
Presidente, l'altro giorno discutevo con i colleghi su quale potrebbe essere il futuro della città, anzi, non solo della città, ma di tutta la provincia ionica, senza lo stabilimento. Per questo motivo vorrei concludere riprendendo delle parole che ho già detto in un mio precedente intervento l'anno scorso, perché vivere a Taranto è come vivere in una vecchia casa da ristrutturare, di poco valore: ci vivi per tanto tempo, ma solo dopo molti anni ti accorgi che sotto il pavimento si nasconde un mosaico di epoca romana, dietro l'intonaco ci sono affreschi di età greca, nella soffitta sono custodite collane di età ellenistica, @pagina=0021@scopri che nella tua abitazione hanno vissuto personaggi illustri, personaggi che hanno influenzato la vita e la storia del mondo. Sei proprietario inconsapevole di un patrimonio inestimabile e non sapevi assolutamente nulla. A un certo punto, però, ti rendi conto che altri ne erano a conoscenza; la politica sapeva di quel patrimonio, ma ha dolosamente taciuto, sapeva, ma ha preferito il silenzio, perché quella casa, servita da acquedotti romani, è situata in un territorio strategico per gli interessi industriali di pochi. Questa, di fatto, è Taranto, una delle più belle e ricche città della storia, svenduta alla grande industria, svenduta al volere delle banche.
Quali potrebbero essere allora i progetti e le idee per riqualificare la città e il territorio ionico ? Me lo sono chiesto, passeggiando sull'isola che racchiude il suo centro storico, quell'isola che separa i due mari, me lo sono chiesto visitando i musei, le strade, i suoi ponti, se lo chiede il turista, percorrendo le meravigliose spiagge della litoranea salentina e, a volte, penso che il territorio tarantino sia così bello che non ci sia bisogno di far nulla, se non chiudere gli occhi e aspettare, aspettare il risveglio da un incubo e la definitiva chiusura del mostro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). PAGINA: 0021 GIANLUCA BENAMATI. Grazie, Presidente. Oggi siamo alla conversione di questo decreto-legge che costituisce, come è stato detto, l'ultimo anello di una catena. Molto è già stato detto di quali sono i punti che compongono il decreto. Io richiamo due questioni veramente importanti: la fissazione di un tempo certo per la conclusione della procedura di cui al decreto-legge n. 347 del 2003, cioè la disciplina Marzano, per la cessione di questo complesso industriale, cosa che avviene con questo decreto-legge, e la definizione dei tempi, ma a cui si aggiungono anche alcuni profili che gli amministratori debbono utilizzare nella valutazione delle offerte, prima di tutto quelli di tutela ambientale. Lo dico perché ho sentito questioni diverse; noi siamo nella disciplina Marzano, non stiamo innovando nulla, c’è una richiesta di manifestazioni di interesse per avviare la procedura che prevede quella disciplina. Ma a fianco a questo – è già stato detto – lo Stato fa un ennesimo sforzo economico, disponendo due fondi per finanziare realtà all'interno dell'azienda: il Fondo di 300 milioni per le gestioni aziendali per le esigenze improrogabili e il Fondo di 800 milioni che, come ha richiamato bene il presidente Realacci, servirà per dare gambe alle misure previste nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di marzo 2014 che raccoglieva le previsioni dell'autorizzazione integrata ambientale. In entrambi i casi, per entrambi i fondi, il decreto-legge prevede il calcolo, la determinazione degli interessi che fanno capo alla restituzione di queste cifre.
Dico questo perché è stato fatto un certo dibattito su queste due questioni che ci danno l'indicazione di come l'avvio alla conclusione di questo lungo percorso sia una questione che, ovviamente, parte nel tempo. Infatti, dobbiamo risalire – per l'inizio di questo percorso – al 2013 col decreto-legge n. 61 che stabiliva, per la prima volta, il commissariamento di un'azienda per questioni ambientali – prima volta in Italia e credo, anche, prima in Europa – poi vi è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ho già citato del 2014 che raccoglieva le previsioni dell'AIA e il passaggio alla disciplina Marzano di recente, per una sopravvenuta questione di instabilità finanziaria dell'azienda. In tutto questo periodo, sino ad oggi, ed oggi nell'ultimo anello di questa catena, noi non possiamo che riconfermare con forza quelli che sono gli obiettivi che hanno indotto il Governo e la maggioranza a intervenire su questa questione: la salvaguardia di un gruppo importante dal punto di vista della manifattura e dell'economia nazionale, la salvaguardia del posto di lavoro di quei lavoratori e di quelle lavoratrici che sono @pagina=0022@parte di quel gruppo e che costituiscono in molte parti del Paese un numero considerevole, parti del Paese anche disagiate, e la salvaguardia e la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. Su questo voglio essere chiaro, perché la discussione si sta arrovellando attorno a questo: la produzione e «l'industria» non sono in contrasto con l'ambiente. È una questione di tecnologie; non inquinare è una questione di costi; ci sono delle tecnologie e delle capacità che consentono produzioni ambientalmente sostenibili. La siderurgia, che è una delle più pesanti dal punto di vista ambientale, oggi, in Europa, gode di una disciplina europea specifica per il controllo dell'inquinamento che è stata recepita in Italia col decreto legislativo n. 46 del 2014 che prevede l'utilizzo in questi settori, per i nuovi impianti e per il rinnovamento di quelli esistenti, delle migliori tecnologie disponibili, in un rapporto costi-benefici che tiene conto anche della salute e dell'ambiente.
Devo dire che l'AIA che abbiamo realizzato per l'Ilva ha anticipato l'applicazione di queste filosofie di controllo dell'inquinamento. Non è esagerato – e lo ribadisco perché l'ho già detto precedentemente – dire che se e quando completeremo... Naturalmente quando sarà il momento del completamento di queste previsioni dell'AIA, lo stabilimento di Taranto sarà uno di quelli più ambientalmente sostenibili d'Europa nel campo della siderurgia !
Ma non fingiamo qui di non sapere qual è il vero problema, il vero oggetto del contendere che in alcune parti e in alcuni gruppi di quest'Aula muove la discussione: non tanto la natura delle misure, la qualità dei tempi, ma è il fatto che questo stabilimento e la siderurgia debbano o non debbano avere un futuro in Italia. Alcuni interventi in questo senso l'hanno già affermato con chiarezza; il tema è questo sul tavolo, e noi riteniamo che la risposta non possa essere che unica: il settore siderurgico e Taranto sono un patrimonio del Paese, che va preservato. Fingiamo di non sapere che se non ci fosse stato l'intervento di questo Governo e di questa maggioranza, oggi non discuteremmo più dell'Ilva, perché l'Ilva non ci sarebbe più: sarebbe uno stabilimento chiuso !
Ma cosa vuol dire parlare di siderurgia in Italia ? Perché qui stiamo parlando, e molto spesso lasciamo sullo sfondo le dimensioni reali della questione. Nel 2014, dove i dati che ho sono dati accertati, la siderurgia italiana ha prodotto 23,7 milioni di tonnellate di acciaio: 6,5 da ciclo integrale, con un calo sensibile sugli anni precedenti, il resto da forno elettrico. Siamo dal 2010 importatori netti di acciaio; e non perché costruiamo case, ma perché il nostro sistema industriale utilizza l'acciaio per produrre, e parte della ripresa di cui abbiamo goduto nel 2015 si basa su prodotti che sono costituiti da acciaio. Nonostante le vicissitudini, nonostante la situazione, l'Italia è il secondo produttore europeo di acciaio dopo la Germania, con un 14 per cento di produzione, avanzando la Francia e la Spagna.
Dicevo che dal 2010 siamo importatori netti, ma è vero che in Europa c’è una sovraccapacità produttiva di circa 50 milioni di tonnellate. I dipendenti della siderurgia italiana – in complessivo, non solo quelli del dell'Ilva – sono 35 mila in maniera diretta e 75 mila in maniera diretta ed indiretta. Il fatturato delle aziende acciaiere italiane nel 2013 è stato di 17 miliardi, più di un punto percentuale del nostro PIL.
Oggi noi abbiamo la possibilità di salvare questo comparto, sapendo che in Europa c’è la valutazione di una procedura di infrazione per aiuti di Stato. Io non ho problemi a parlarne, come qualcuno ha detto precedendomi. Ne voglio parlare, nel senso che questa valutazione di possibili aiuti di Stato non è un atto di per sé della Commissione europea: interviene su esposti e indicazioni dei principali concorrenti tedeschi dell'acciaio italiano, perché quei 50 milioni di sovraccapacità di produzione che esistono in Europa possono essere risolti se la siderurgia italiana sparisce dal novero dei sistemi produttivi europei. Dobbiamo sapere, quando facciamo questi discorsi, di cosa stiamo parlando: @pagina=0023@perché possiamo dire molte cose, ma il tema che riguarda l'acciaio in Europa è questo !
Allora noi siamo convinti che sul tema della produzione siderurgica dell'acciaio occorra perseverare: che occorre risanare l'Ilva, che occorre arrivare all'applicazione delle migliori tecnologie per il contenimento del disinquinamento e per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori all'interno di quell'azienda. Dobbiamo sapere che questa è la strada per una siderurgia sostenibile, la strada che indica anche l'Europa e che noi per primi in questo caso stiamo percorrendo. Dobbiamo anche sapere – e mi rivolgo in questo caso al Governo – che a questo grande sforzo che noi stiamo portando avanti, dovrà poi corrispondere a livello europeo la capacità di una grande battaglia per sostenere questo settore italiano, nel momento in cui si andranno a determinare le regole e le condizioni per cui quella sovraccapacità dovrà essere eliminata: quindi non solo costi, non solo condizioni sociali, ma anche caratteristiche ambientali degli impianti che andranno preservati e utilizzati.
In questo (mi avvio a concludere) il tema essenziale per noi oggi è che occorre trovare un acquirente, una compagine proprietaria solida: una compagine proprietaria che sappia operare in questo settore difficile, che sia in grado di avere caratteristiche di solidità finanziaria tali da rispondere alle sfide e alle esigenze che si offrono, una compagine sociale che abbia le caratteristiche di saper bene operare sul mercato. Perché, anche qui: l'Ilva non è un'azienda decotta, non è un'azienda che non ha un futuro, l'Italia non è un mercato per l'acciaio che è trascurabile.
Allora noi chiediamo al Governo molta attenzione – quando dalla fase delle manifestazioni di interesse passeremo all'analisi e all'avvio della procedura prevista dalla legge cosiddetta Marzano per la cessione – perché si formi una cordata solida economicamente e industrialmente, che dia una risposta non solo momentanea ma di prospettiva all'Ilva e alla siderurgia italiana: perché questa è una sfida che noi dobbiamo vincere non solo per quelle migliaia, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici che si occupano e che sono occupati all'interno di queste aziende, ma anche per tutto il Paese, per l'economia e il futuro produttivo dell'Italia. PAGINA: 0023 DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, questo ennesimo decreto-legge, non solo a mio giudizio, non risolverà le problematiche degli stabilimenti del gruppo Ilva, e in particolare quelle dello stabilimento di Taranto, ma rischia di aggravare una situazione che è insostenibile oramai da decenni. Il Governo Renzi, e prima ancora quelli a guida Monti e a guida Letta, hanno messo in campo provvedimenti ed interventi che sono serviti a spostare esclusivamente in avanti i problemi, senza prospettare soluzioni definitive.
Questo decreto-legge riguarda nello specifico, come è stato già ricordato, la procedura di cessione dei complessi aziendali dell'Ilva Spa in amministrazione straordinaria, fissando al 30 giugno 2016 il termine entro il quale i commissari dovranno espletare le procedure per il trasferimento dei complessi aziendali; dispone quindi l'erogazione di 300 milioni di euro in favore dell'amministrazione straordinaria. L'aggiudicatario dei complessi aziendali dovrà comunque poi restituirli, ma l'erogazione dei 300 milioni di euro è esclusivamente prevista per il trasferimento ad un privato, o – come si dice in questi ultimi giorni – ad una cordata di privati: una vera e propria accelerazione, secondo noi, verso la cessione, in una situazione gravissima in cui si trova a vivere lo stabilimento di Taranto in particolare, ma tutti gli stabilimenti del gruppo del gruppo Ilva Spa. Quindi un'accelerazione improvvisa: è stato necessario per il Governo emanare il nono decreto-legge sull'Ilva per accelerare la svendita dello stabilimento.
È stato pubblicato poi il bando di invito a manifestare interesse, appunto in riferimento @pagina=0024@al trasferimento dei complessi aziendali. Lo dico non perché non riconosca le capacità e le competenze della sottosegretaria che oggi è qui ad ascoltarci, ma auspico, auspichiamo che durante la discussione e la votazione degli emendamenti, e poi le dichiarazioni di voto, insomma durante la conversione di questo decreto-legge, ci facciano l'onore, il piacere della loro presenza anche la Ministra Guidi e il Presidente Renzi, che hanno assunto su di loro direttamente la responsabilità del destino degli stabilimenti del gruppo aziendale dell'Ilva, e in particolare di quello di Taranto.
Il bando la Ministra Guidi lo ha pubblicato appunto (è stato già ricordato) il 5 gennaio scorso, cioè prima che le Commissioni referenti avviassero i lavori di discussione e votazione degli emendamenti, e che i deputati e le deputate potessero in qualche maniera dare indicazioni rispetto alle linee guida del bando stesso: noi crediamo che questo sia un ulteriore attacco alle prerogative del Parlamento. Si va insomma, con questo nono decreto-legge, verso una cessione ai privati, che posto che vada a buon fine (abbiamo forti dubbi anche in questo senso), proprio per le norme contenute in esso, peggiorerà la situazione ambientale e sanitaria del territorio, e quella occupazionale. Su questo tornerò più tardi, sia sulla tenuta dei livelli occupazionali che sulle misure per l'ambiente e di tutela sanitaria. Era necessario altro, secondo noi: si poteva percorrere un'altra strada, per la verità l'abbiamo suggerita anche in occasione della conversione degli altri decreti sull'Ilva. Noi pensiamo che sia indispensabile portare a termine l'operazione Ilva non con una cessione ai privati, ma con l'ingresso della Cassa depositi e prestiti in una nuova società a capitale pubblico, con un intervento diretto dello Stato, per questa via, evidentemente.
Le aziende oggetto di intervento potrebbero essere capitalizzate dalla Cassa depositi e prestiti sulla base di un business plan che preveda investimenti di innovazione, sia di innovazione di processo che di innovazione di prodotto, e investimenti di carattere ambientale. Voglio ricordare che la Cassa depositi e prestiti ha un assetto delle sue partecipazioni che si configura in questo modo: è diviso in società quotate, società non quotate e fondi equity. Sono, cioè, nove fondi, questi ultimi, di cui tre dedicati alle imprese, il Fondo strategico italiano: 4 miliardi di euro, il Fondo italiano di investimento: 500 milioni e il Fondo di investimento europeo: 50 milioni.
Noi abbiamo proposto e continuiamo a proporre di istituire un fondo equity oppure di partecipazioni specifiche nel settore dei metalli. Perché non si può fare ? Perché le ingenti risorse che sono state utilizzate finora e che non hanno in alcun modo garantito l'applicazione di misure e di tutele ambientali e sanitarie né il mantenimento dei livelli occupazionali devono essere regalate a cordate di privati ?
Voglio ricordare che in una di queste cordate si prevede anche l'ingresso di Marcegaglia. Io, che vengo da Taranto, sottolineo sommessamente che Marcegaglia a Taranto ha chiuso uno degli stabilimenti di produzione di energie rinnovabili, lasciando a casa 182 lavoratori: questo, insomma, la dice lunga su quale sia l'idea di sviluppo industriale che un'azienda come Marcegaglia, che dovrebbe entrare in questa cordata di privati, ha.
Per cui, noi pensiamo che vada, invece, ripreso un intervento pubblico; pensiamo che andassero presi provvedimenti diversi. Ci sono stati i tempi: sono passati quattro anni dal primo decreto del 2012 e ci sarebbero stati i tempi per aprire un confronto vero sul tema, che coinvolgesse gli enti locali, le organizzazioni sindacali, gli istituti e gli enti di tutela ambientale e sanitaria, le associazioni e, lasciatemelo dire, il Parlamento, relegato, invece, fino a oggi, per ben nove decreti, a mero ratificatore delle decisioni del Governo, posto che è stato utilizzato, per l'appunto, sin dall'inizio, lo strumento del decreto-legge.
Si sarebbero potuti evitare errori grossolani e scelte sbagliate per la salute dei cittadini e dei lavoratori di quello stabilimento; scelte sbagliate che, di volta in @pagina=0025@volta, hanno contribuito al percorso seguito e all'esito gravissimo attuale. Alcuni esempi: nel tempo e attraverso i vari decreti è stata eliminata la figura del Garante per l'AIA. Oggi ci rendiamo conto tutti di quanto sarebbe stata necessaria, invece, questa figura di garanzia per l'attuazione delle prescrizioni dell'AIA.
È stata esclusa la valutazione del danno sanitario, come definito dalla legge della regione Puglia; una valutazione di danno sanitario che avrebbe messo, se fosse stata rispettata, al primo posto le ricadute della produzione sulla salute dei cittadini e dei lavoratori. Vi è stata poi la scelta di commissari, in questi anni, che non avevano competenze specifiche nel settore siderurgico, la superficialità – è stato ricordato – con la quale è stata trattata la delicata questione dei fondi sequestrati ai Riva, l'ormai scomparso miliardo e 200 milioni di euro. Voglio ricordare la sentenza del tribunale di Bellinzona, che ha stabilito che quei fondi non sono disponibili fino a sentenza definitiva.
Eppure, sulla base di quei fondi si è emanato un decreto, quello ricordato del 2015, e sulla base di quei fondi si era predisposto un comma alla legge di stabilità dove erano previsti 800 milioni di euro di investimenti per l'Ilva. Oggi, poiché quei fondi non sono più disponibili, poiché i fondi sequestrati ai Riva non sono più disponibili, quegli 800 milioni, che potevano, se il comma 837 della legge di stabilità non fosse stato soppresso, essere esigibili subito, invece sono stati spacchettati.
Si parla di 800 milioni complessivi, operando una finzione. Sono 400 milioni a valere sulle risorse destinate nel precedente decreto, quello del marzo 2015, e altri 400 milioni freschi, per così dire, e sono spacchettati, divisi in due anni: 600 milioni complessivi per il 2016 e 200 per il 2017. Quindi, si sposta in avanti l'utilizzo di questi fondi e vengono ridotti rispetto alla previsione iniziale. Ma vi sono ancora altre scelte sbagliate, come lo stravolgimento di norme costituzionalmente fondate, a partire dallo scudo giudiziario per la responsabilità penale, amministrativa e oggi persino civile – anche questo è stato ricordato – dei commissari e dei loro delegati.
Lo dico al relatore, che prima è intervenuto, dicendo che non ci sono state osservazioni da parte delle Commissioni: ricordo che la I Commissione, invece, ha espresso un parere con osservazioni esattamente su questo punto, dicendo, appunto: attenzione, perché c’è la norma che prevede lo scudo giudiziario che può essere a rischio di costituzionalità. Vi è un'osservazione precisa della I Commissione.
Con riferimento alla possibilità, ancora, che era stata inserita nel decreto del luglio 2015, di dissequestro degli impianti anche in presenza di infortuni mortali; anche in questo caso un diritto costituzionalmente fondato è stato in qualche maniera superato, bypassato, stravolto da uno dei tanti decreti sull'Ilva. Per quanto riguarda lo spostamento in avanti al giugno 2017, dell'attuazione del piano per la tutela e le misure ambientali, voglio ricordare che in Commissione attività produttive e ambiente tale spostamento in avanti dell'attuazione del piano e quindi delle prescrizioni dell'AIA, era previsto al dicembre 2016.
Addirittura, in Commissione, avete votato un emendamento che lo sposta ulteriormente di altri sei mesi; quindi, si sposta l'attuazione del piano ambientale al giugno 2017. Vi è poi la possibilità, ancora, che siano i futuri acquirenti o affittuari dei complessi aziendali a modificare il piano ambientale, che, voglio ricordare, a norma di un precedente decreto, vale anche come modifica delle prescrizioni AIA, per adeguarlo al piano industriale.
Piano industriale che non è stato mai realizzato e che, invece, almeno questo avrebbero potuto – lo dico così – fare i commissari, in questi anni: redigere, presentare, pubblicare un piano industriale e realizzarlo. Invece no, con questo decreto si lascia ai futuri acquirenti o affittuari la possibilità di modificare il piano ambientale per adeguarlo al piano industriale. Voglio ricordare la relazione, nonostante non sia stato possibile effettuare audizioni, @pagina=0026@così come fatto in altre occasioni, nelle Commissioni ambiente e attività produttive, che ci ha consegnato l'ARPA Puglia proprio in merito alle modifiche del piano ambientale e allo spostamento in avanti dell'attuazione delle prescrizioni AIA. L'ARPA Puglia dice che, grazie alle norme, o meglio, a causa delle norme contenute in questo ennesimo decreto, si vanifica la verifica dell'effettiva realizzazione dell'80 per cento delle prescrizioni; non sarà più necessaria la preliminare attestazione di ISPRA e ARPA, che hanno effettuato attività ispettive negli ultimi giorni del luglio 2015 per verificare l'effettivo stato di avanzamento delle misure del piano ambientale.
E qui lo dico al collega Benamati, che dice che comunque questo decreto servirà all'ambientalizzazione, sarà rispettata la normativa europea: no, si prevede il rinvio dell'applicazione della decisione 2012/135/UE della Commissione, del 28 febbraio 2012, proprio sulle migliori tecniche disponibili, le cosiddette BAT, per la produzione di ferro e acciaio, prevista entro l'8 marzo del 2016.
Giova ricordare che la procedura di riesame del «decreto AIA» del 2011 per l'esercizio dell'Ilva viene avviata proprio in rispetto della suddetta decisione. Con questo decreto, invece, quella decisione, e quindi l'adeguamento alle Bat, salta. Tutto ciò (il mancato rispetto del piano ambientale e dell'attuazione delle prescrizioni AIA), è aggravato, come dicevo, dalla mancanza di un piano industriale e di una benché minima idea di politica industriale in riferimento ad un settore anche per noi strategico come quello siderurgico. Anche i miei colleghi lo hanno già ricordato, però sembra che questo Governo non si accorga di quello che succede in Europa. Peraltro, cosa ancora più grave, questo Parlamento non si è potuto confrontare su quello che accade in Europa. Voglio ricordare che in Europa è stato emanato un documento sullo sviluppo di un'industria europea sostenibile dei metalli di base, approvato il 23 ottobre 2015 dalla Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo, che stabilisce che sia necessario prevedere sostegni finanziari in riferimento all'industria dei metalli rivolti agli investimenti ambientali e al risparmio energetico.
Voglio ricordare anche che dovremmo sfatare un altro falso mito, un'altra falsa idea, che è stata ripetuta anche qui dal collega che mi ha preceduto: che i costi di protezione ambientale sono altissimi. Non è così, se discutessimo di questo, scopriremmo, come hanno scoperto gli studiosi della materia, che i costi di protezione ambientale e l'incidenza dei costi di protezione ambientale sono marginali rispetto ai costi delle materie prime e dell'energia. Nel 2012 i costi di regolazione e protezione ambientale erano 12 euro a tonnellata, a fronte di un costo totale di 600 euro. Ma noi non discutiamo. Non abbiamo ben compreso che cosa il Governo Renzi va a raccontare, che cosa va a dire in Europa, quando si parla di politica industriale. Voglio ricordare che questo Governo non ha mantenuto neanche l'impegno previsto, credo, dal decreto del 2013, nel quale si impegnava ad aprire una discussione sulla filiera dell'acciaio; neanche questo.
La situazione ambientale e sanitaria a Taranto continua ad essere gravissima. Sappiamo che quel territorio è sempre più gravato da situazioni di malattie molto diffuse che colpiscono i lavoratori dello stabilimento e colpiscono anche i cittadini. Eppure si liquida con estrema facilità e con estrema superficialità questo decreto, dicendo che potrà mettere mano all'ambientalizzazione. Non sarà così, non solo perché le risorse non sono sufficienti, ma perché si continua a spostare in avanti il termine dell'applicazione delle prescrizioni AIA.
Anche sul fronte della tenuta dei livelli occupazionali, lo dico ai relatori, c’è stato un intervento, un'osservazione nel parere della Commissione lavoro, dell'XI Commissione, in cui si diceva: attenzione, valutate attentamente la situazione della tenuta dei livelli occupazionali dei lavoratori delle ditte dell'indotto, e io aggiungo anche la tenuta dei livelli occupazionali dei lavoratori diretti. Per cui anche la Commissione @pagina=0027@lavoro ha provato, se pur aggiungendo un'osservazione e non una condizione, a dare l'allarme sulla tenuta dei livelli occupazionali; su questo non si dice niente nel decreto. Non è passato alcun emendamento in riferimento alla tenuta dei livelli occupazionali, alla continuità dei livelli occupazionali, alla continuità di reddito dei lavoratori diretti e dell'indotto. Voglio ricordare che, grazie al vostro Jobs Act, dal 2 marzo i lavoratori dei gruppi aziendali dell'Ilva S.p.A. si ritroveranno a non avere più l'integrazione salariale sui contratti di solidarietà e gli ammortizzatori sociali dovranno essere relativi ai massimali della cassa integrazione, cioè ridotti del 10 per cento rispetto agli attuali contratti di solidarietà, senza la tredicesima, senza la quattordicesima, quindi con una riduzione notevole di reddito per dei lavoratori che continuano a pagare sulla loro pelle la mancanza di sicurezza in quello stabilimento e la mancata ambientalizzazione.
Insomma, concludo, dicendo che non solo questo decreto non è sufficiente, questo decreto è dannoso, servirà soltanto a fare un regalo ai privati di turno che vogliono mettere le mani sulla produzione dell'acciaio, produrrà probabilmente ricadute drammatiche sui livelli occupazionali, sia dell'indotto, che dei diretti, non produrrà, per lo spostamento in avanti di tutte le prescrizioni ambientali, salute e ambientalizzazione per quel territorio.
Probabilmente il bando andrà deserto, perché davvero io non so se ci prendete in giro oppure se ci credete davvero quando prevedete che, nel giro di un mese, si possa mettere sul mercato l'Ilva e trovare acquirenti disponibili ad aggiudicarsi i complessi aziendali e tutto questo entro il 30 giugno 2016, con un'accelerazione che non era proprio in campo. Tutto ciò, davvero, a noi sembra piuttosto improbabile. Pensiamo che il bando possa andare deserto. Comunque, in ogni caso, noi ci ritroveremo a continuare a gestire una situazione gravissima, insostenibile.
Chiudo con le parole che sono state dette dal mio collega di gruppo. Penso che avreste dovuto, per lo meno, fare un'autocritica: nove decreti non sono bastati a modificare la situazione dello stabilimento Ilva di Taranto e complessivamente di tutti gli stabilimenti aziendali, non avete posto rimedio alla situazione ambientale e sanitaria, rischiate di lasciare un deserto occupazionale e ambientale e probabilmente ci richiamerete qui a convertire un ennesimo decreto, spostando sempre più in avanti la soluzione a un problema che invece è già scritta. Già scritta negli atti dell'Unione europea, già scritta negli atti degli studiosi e degli esperti della materia, e che potrebbe essere già scritta anche in una discussione, in un approfondimento vero, all'interno del Parlamento, solo se il Governo Renzi, il Presidente Renzi e la Ministra Guidi, decidessero finalmente che dell'Ilva si deve occupare il Parlamento e non può continuare ad occuparsene un Governo che continua ad andare avanti per slogan, per approssimazioni, provocando danni incalcolabili per l'oggi e per il domani (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà). PAGINA: 0027 MAURO PILI. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, se non fossimo in un'Aula parlamentare potremmo definire, senza ironia alcuna, questo decreto come il più alto esercizio di Azzeccagarbugli che Renzi e compagni hanno messo in campo in questi 20 mesi e, vista l'esperienza accumulata, possiamo ben definire questo Governo come il più autorevole esperto di carpenteria metallica. Nessuno come Renzi era mai riuscito a introdurre in un consesso parlamentare, in così poco tempo, tanti decreti sullo stesso argomento. Renzi, da aspirante carpentiere, con la stessa dimestichezza di un elefante nel solcare una cruna di un ago, ci presenta il suo quinto decreto sulla vertenza Ilva, ovvero un decreto reiterato per la quinta volta da questo Governo, senza considerare i dieci che hanno caratterizzato questi ultimi anni, dal 2012 ad oggi. Ha vinto Renzi, ha @pagina=0028@vinto a mani basse la sfida con Monti e con Letta. Ha vinto anche con la storia, perché mai nessuno aveva brancolato nel buio come ha fatto il suo Governo su questa vicenda. Si può mettere un decreto correttivo, se ne può mettere un secondo, allargando le braccia, anche un terzo, ma arrivare a emanare cinque decreti sullo stesso argomento, senza poter affrontare, senza essere riusciti a mettere a fuoco, una sola soluzione compiuta, significa mortificare la sua maggioranza di Governo, quella maggioranza che gli ha dato la fiducia per governare e non per brancolare nel buio e non per predisporre provvedimenti a tentoni.
Un Governo che sbanda, che torna indietro, che va avanti, che riflette, che modifica, che corregge, che sistematicamente in questi venti mesi di disastroso governo non è riuscito a dare una risposta. Avete fatto un decreto per l'Ilva ogni quattro mesi; se l'Ilva fosse un'azienda pubblica non ci starebbe comunque, ma siccome l'Ilva è un'azienda privata avete dimostrato di perseguire ancora una volta la logica dell'interesse privato rispetto a quello pubblico dell'ambiente e della salute di quel territorio. Volete governare, questo il Presidente del Consiglio carpentiere lo ribadisce a destra e a manca, e avete l'ambizione di governare il Paese, di disegnare la svolta, ma se questo decreto – il quinto del suo Governo sulla vertenza Ilva – non ha saputo piantare un chiodo d'acciaio, è evidente che questo Governo non è adeguato neanche per gestire una mezza industria disfatta come quella dell'Ilva di Taranto.
L'Ilva è la sintesi politica, è la rappresentazione nuda e cruda di quello che questo Governo ha rappresentato in questi mesi: annunci su annunci, ma in sostanza non vi è un solo provvedimento che abbia colpito nel segno e che abbia saputo individuare una strada risolutiva. Cinque decreti sullo stesso argomento in 20 mesi non sono pochi sul piano governativo, anche perché si è detto: noi siamo il Governo del fare e del fare in fretta ! In venti mesi cinque decreti non significa che avete adempiuto a degli obblighi e che avete saputo rispondere tempestivamente ! Quei cinque decreti hanno significato che non avete saputo cogliere in alcun modo l'essenza del problema !
Cosa dice la Commissione europea ? Non voglio esprimere io giudizi, sarebbero inadeguati sul piano tecnico e sostanziale, ma li voglio riprendere da quello che la Commissione europea ha detto in base a ciò che voi avete fatto, rispetto ai cinque decreti che avete proposto. La Commissione europea ha segnalato le inadempienze riscontrate, che sono: la mancata copertura dei siti di stoccaggio di minerali e dei materiali polverulenti, la mancata adozione di provvedimenti volti alla minimizzazione delle emissioni gassose dagli impianti di trattamento del gas, la mancata adozione di misure per il controllo dell'emissione di particolati con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento, cioè uno dei problemi più elevati di quella zona ! Dice la Commissione europea: la mancata adozione di provvedimenti per la riduzione delle emissioni di polveri delle acciaierie. Cioè, dice la Commissione europea, non avete affrontato il cuore del problema, il dramma della salute e dell'ambiente di quel territorio.
In secondo luogo, ma non in una misura inferiore, la Commissione europea dice: non sono state adottate misure in grado di garantire che non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi.
Cosa dire ? Cinque decreti e il risultato è questo ! Non c’è un solo elemento che la Commissione europea ritenga affrontato e risolto ! Avete prodotto, la Commissione europea dice, carta straccia ! Non avete saputo perseguire la soluzione ed oggi tentate la strada della cessione, non so quanto legittima, di questa fabbrica a privati, anche con l'affitto ! Credo che si tratti di una delle poche realtà al mondo dove uno Stato prevede l'affitto di una fabbrica non propria a terzi privati, da individuare attraverso i commissari reiteratamente nominati dal Governo.
Come fare dunque a sostenere che questo decreto è urgente ? L'urgenza di un decreto sta nella contingenza, nell'emergenza, @pagina=0029@ma come si può fondare, come fa il Capo dello Stato a controfirmare un decreto di urgenza se questo è il quinto ? Vuol dire che non siamo più in emergenza, perché se fosse stata un'emergenza da risolvere lo avrebbe fatto col primo, col secondo o con il terzo, ma non si può arrivare al decimo decreto, dal 2012 ad oggi, che non affronta e non sa affrontare le questioni ! Il 7 agosto del 2012 l'ormai dimenticato in queste Aule, Presidente Monti, ma non certamente nei provvedimenti, scriveva: Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e riqualificazione dei siti della città di Taranto.
Sempre Monti, il 3 dicembre del 2012, scriveva: Urgenti interventi a tutela della salute e dell'ambiente. Il 3 giugno Letta scriveva: Provvedimenti urgenti per la tutela dell'ambiente e della salute. Il 31 agosto, sempre Letta, scriveva: Obiettivi di perseguimento di razionalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni, introducendo un decreto per l'Ilva, e via dicendo.
Un insieme di provvedimenti, questo è il decimo decreto, non lo dico io, lo rileva il servizio studi della Camera dei deputati, che non affronta e che non riesce a trovare il bandolo della matassa di questa vicenda ! Per quale motivo ? Perché non avete affrontato il tema sostanziale della politica industriale di questo Paese che affronterò più avanti. C’è un tema che vi sfugge. Per quale motivo per tutte le altre realtà produttive, cito la Carbosulcis in Sardegna, dove c’è stato un pronunciamento delle direttive comunitarie che dicevano: bisogna far concludere il ciclo dell'attività estrattive carbonifere entro il 2018. Voi in maniera pedissequa avete detto: chiudiamo tutto, subito ! Ma cosa dice la Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea n. 249, del 31 luglio del 2014 ? Perché voi siete talmente strabici da non guardare ciò che riguarda un provvedimento come questo e anzi ignorate e omettete il controllo di un punto cardine, nevralgico, non discutibile, e mi domando come faccia questo assente, inesistente, Presidente della Repubblica a firmare un decreto con questa violazione rispetto a una disposizione così rilevante ! Al punto 15 della Comunicazione della Commissione sugli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà, scrive la Commissione europea, notoriamente complicata, ma in questo caso in assoluta semplicità di concetto: è opportuno, quindi, escludere il settore siderurgico dal campo di applicazione dei presenti orientamenti. Dice cioè l'Unione Europea: dovete escludere l'intervento finanziario, così come lo state facendo, con capitali pubblici che affidate, sotto forma finanziaria equivoca, da restituire non si sa quando e non si sa come, e non si sa chi dovrà restituire questi fondi, se l'affittuario, se l'acquirente o se lo Stato, come è capitato più di una volta, fa investimenti a perdere, dalla Tirrenia all'Alitalia, passando per altri soggetti simili, vedi il Monte dei Paschi di Siena, per citare un aspetto in voga in queste settimane.
È opportuno, quindi, escludere il settore siderurgico, dice la Commissione europea, ma come si fa a proporre, dopo questa direttiva del luglio del 2014, un ennesimo provvedimento che stabilisce invece di foraggiare a piene mani uno stabilimento non proprio, di cui non vi è la certezza della disponibilità, neanche gestionale da parte dello Stato, le risorse finanziarie sequestrate in Svizzera tra virgolette alla famiglia Riva, preventivamente e cautelativamente, proprietaria di questa fabbrica ? E se invece dovesse andar male quella partita, e quel miliardo non venisse sequestrato definitivamente ? Per Equitalia, che è stata demandata al prelievo, all'utilizzo e all'anticipo di quelle risorse, cosa succede ? Che abbiamo speso fior di centinaia di milioni di euro senza dare alcun tipo di risposta a quello che invece era necessario.
Se fosse vero quello che è scritto nel rapporto dell'Istituto superiore di sanità, che non è esattamente un organo di partito, che dice: nel primo anno di vita si registra un eccesso di mortalità generale, chiaramente ascrivibile ad un eccesso del 45 per cento rispetto all'atteso regionale nel numero dei decessi per condizioni morbose di origini perinatali; – e aggiunge @pagina=0030@– c’è un eccesso di rischio per la fascia 0-14 anni che viene osservato anche per l'incidenza dei tumori nel loro complesso, o si osserva che permangono gli eccessi osservati in età pediatrica per i bambini ricoverati per malattie respiratorie acute, anche per la mortalità generale e l'incidenza per i tumori nel loro complesso.
Quindi voi stabilite di finanziare, senza affrontare e senza risolvere il problema ambientale e sanitario con la ricaduta dei costi sul risultato e sulle conseguenze dell'ambiente e dell'inquinamento ambientale su quel territorio, di proseguire a tentoni, di non avere chiara l'azione da mettere in campo. Questo è, onorevoli rappresentanti del Governo, l'ennesimo decreto ad personam per Riva, per la sua fabbrica. Lo fate senza tener conto dei cittadini di quella realtà e soprattutto, cosa ben più grave, lo fate senza tener conto che un Governo deve essere al di sopra delle parti e che un Governo ha il dovere di guardare la strategia complessiva industriale del Paese. Non è pensabile che abbiate fatto dieci decreti per l'Ilva di Taranto e non abbiate sentito il dovere e la dignità politica, morale e istituzionale di fare un solo decreto per l'area del Sulcis, dove sono stati licenziati migliaia di lavoratori, dove avete fatto tre anni di prese in giro dalla chiusura dell'Alcoa in poi, avete millantato nomi e cognomi, l'ultimo nome che avete millantato è quello della Sider Alloys, una società Svizzera che ha la sede tra un night club e una pescheria, e avete sostenuto in un tavolo ufficiale del Ministro dello sviluppo economico che quella società può candidarsi a gestire un impianto importante di alluminio primario. Ma in base a che cosa avete scelto che l'acciaio è strategico a livello nazionale ? Qual è la strategia politica e industriale di questo Governo ? Per quale motivo l'acciaio sì e per esempio l'alluminio primario no, che è materia assolutamente rilevante per esempio per l'industria automobilistica ? Cosa vi vietava di mettere in campo un provvedimento che fosse strategico, che non fosse ad hoc per un'industria, per uno stabilimento, per un territorio ma che fosse di caratura nazionale, di interesse per tutte quelle aziende che in Italia hanno difficoltà oggettive per esempio legate non al mancato rispetto ambientale ma per esempio alle condizioni essenziali delle precondizioni dello sviluppo. A un'azienda se manca il credito, se manca l'energia, se manca l'accelerazione delle procedure, se mancano procedure snelle ed efficienti e anche sul piano morale corrette, è assolutamente eticamente sostenibile. Per quale motivo avete scelto l'acciaio e non il piombo e lo zinco, non l'alluminio primario, non altre realtà che hanno sul piano delle precondizioni dello sviluppo limiti rilevanti. Perché non avete fatto una scala gerarchica, per esempio delle aree ad elevato rischio ambientale, se è questo il tema nobile che avete messo alla base dell'Ilva ? Per quale motivo non avete preso le aree industriali dismesse dall'Enichem di Porto Torres passando per Ottana, arrivando a Macchiareddu, sino al Sulcis, dichiarate tutte aree di crisi ambientale e per le quali però non è seguito nessun tipo di provvedimento né sul piano delle bonifiche né sul piano dell'adeguamento degli impianti né tantomeno del mantenimento della ripresa produttiva. Perché avete scelto la strada dell'acciaio e non per esempio quello del titanio, del carbone, di leghe moderne ? Perché avete scelto il vecchio di Riva, della famiglia Riva, dello speculatore che inquina, che ha ammazzato la gente e che non ha saputo creare le condizioni per uno sviluppo moderno di quella fabbrica. E perché non avete scelto la ricerca scientifica e tecnologica applicata ad altre materie ? Perché volete intervenire su questo e non stabilite di intervenire sulla politica industriale di un Paese su altri versanti, su altri settori che possono essere assolutamente rilevanti ? È la visione di questo Governo, emerge che dovunque mettiate mano c’è un interesse privato e so quello che puntualmente dico, perché quando si è portato sul piano Junker una proposta del Governo italiano che proponeva di dare 800 milioni di euro al gruppo Mossi & Ghisolfi – buonanima Ghisolfi – che stabiliva di realizzare in Italia tre impianti di biofuel, avete stabilito che quello era il nome e @pagina=0031@cognome, ma era il nome e cognome che finanziava le fondazioni di Renzi e amici.
Era quello che passava i soldi, le centinaia di migliaia di euro, al Governo attraverso Renzi per finanziare la sua campagna elettorale. Ebbene, 800 milioni chiesti sul piano Juncker per quel tipo di intervento industriale. È un Governo a motrice privata, privatistica, assolutamente legata a parenti, amici, a tutti coloro che sostanzialmente possono trovare risposte sul piano finanziario. Trovate immediatamente i soldi per il Monte dei Paschi di Siena, per Banca Etruria, trovate i soldi per tutto, trovate i soldi a pronta cassa, un emendamento di 800 milioni presentato all'ultimo momento in Commissione per il decreto Ilva, stabilite chi li deve anticipare, che li anticipa Tizio, Caio, che le condizioni per la restituzione sono talmente aleatorie che non sono definite e saranno definite dagli stessi commissari, cioè stabilite un principio secondo il quale la norma si attaglia, si adegua alle esigenze dei privati. Come mai le stesse premure non le avete avute per l'Alcoa ? Per quale motivo due anni fa il vice carpentiere, De Vincenti, che non è riuscito a fare mai neanche un ponteggio, figuriamoci un tipo di realizzazione... da tre anni continua a dire – questo signore, nella continuità tra il Governo Monti, Letta e Renzi – che il tema non è quello dell'energia, che il problema cuore dell'Alcoa, dell'alluminio primario, non è quello dell'energia ? Ebbene invece si stabilisce soltanto tre mesi fa che bisogna fare una proposta all'Europa di un contratto, di un regime di interrompibilità per dieci anni. Lo si scrive in un memorandum, si convocano le telecamere, i fotografi, i sorrisi di Stato per dire: abbiamo firmato un memorandum per la salvezza dell'Alcoa, c’è la Glencore che è pronta ad avere e gestire quell'impianto, se avrà dieci anni di energia a regime di interrompibilità. Dieci anni. Ebbene l'autorevolezza di questo Governo va in Europa e torna con due modestissimi anni di interrompibilità, ridotta quasi della metà rispetto alla precedente, e soprattutto non tiene conto che un impianto come quello dell'alluminio primario solo per essere riavviato ha bisogno di molto più di due anni, che ha bisogno di essere messo in marcia con condizioni strategiche di investimenti, di revamping dell'impianto che certamente voi non avete pensato fossero necessarie. Quindi due anni inutili e cioè questa mancanza di visione che vi porta a stabilire che l'Ilva è il cuore dell'Italia industriale, per cui intervenite solo su quella utilizzando le procedure per la vecchia Parmalat, è evidente che avete perso ogni tipo di visione. Quante sono le fabbriche italiane – per non parlare delle sarde, che potrei enunciare una per una – che risiedono in aree ad elevata crisi ambientale ? Sono tantissime, sono decine se non centinaia le fabbriche che hanno problemi di compatibilità ambientale, di recupero e che anzi sono riuscite magari da sole a fare interventi di manutenzione e di revamping ambientale, di gestione ambientale della propria azienda, ma che non hanno avuto l'intervento di bonifica collaterale. Ebbene, voi vi siete di queste dimenticati, non c’è una sola decisione del Ministero dell'ambiente che vada verso quella logica che va a ripristinare il territorio delle risposte compiute, anzi, in questo decreto riproponete il tema che chi inquina paga. Ma qui paga sempre lo Stato, non vi state sostituendo soltanto nominalmente, lo state facendo sostanzialmente sul piano economico con risorse che vengono iscritte nel bilancio del Ministero dello sviluppo economico. E sul credito, quante aziende in Italia, in Sardegna avrebbero bisogno di credito certo e invece vanno dalle banche e vengono strozzinate: le aziende agricole, le piccole e medie imprese, gli artigiani vanno dalle banche che gli fanno ipotecare tutto e di più pur di avere un minimo stanziamento. Ebbene invece a Taranto create una zona franca: vi diamo i soldi, non pagate le tasse, quelli che dovevano pagarle possono non pagarle per altri anni. Quindi sostanzialmente un Governo bieco, un Governo che non è in grado di dare alcuna compiuta risposta alla partita sostanziale dello sviluppo economico e dello sviluppo industriale, avete cioè perso di vista la ragione dell'essere Governo della cosa pubblica.@pagina=0032@
Avete posto come linea, come frontiera, come orizzonte, soltanto quella di occuparvi degli interessi privati, degli affari privati. Questo non può essere accettato perché, così come ho detto in questo mio intervento, ci sono altre realtà, come quella per esempio del Sulcis, che richiamo in conclusione, la quale avrebbe meritato non i dieci decreti dell'ILVA, ma uno, per dire: non vi regaliamo soldi, ma vi mettiamo nelle condizioni, rispetto agli altri smelter europei, alle stesse fabbriche europee di alluminio primario, di poter produrre alluminio con le stesse medesime condizioni, non con le discriminazioni e i divari della condizione insulare. Non siete stati in grado di farlo perché non siete un Governo del Paese, siete un Governo di azzeccagarbugli. PAGINA: 0032 STELLA BIANCHI. Grazie Presidente, siamo oggi all'inizio del percorso di conversione in Aula del decimo decreto che riguarda la questione dell'ILVA e devo dirle, Presidente, che a me sorprende la sorpresa dei colleghi. È chiaro che in una situazione così complessa e di estrema difficoltà – quale quella che riguarda la più grande acciaieria d'Europa – è quasi immaginabile che siano necessari più interventi normativi che si susseguono, interventi che, tra l'altro, non sono stati interamente dedicati all'ILVA in molti dei decreti che abbiamo citato, interventi molto significativi sul piano ambientale.
Il primo commissariamento a finalità ambientale è stato proprio disposto dal Governo Letta – in quel momento il Ministro dell'Ambiente era Andrea Orlando – per avviare finalmente il risanamento ambientale dell'ILVA e togliere ai Riva la gestione dello stabilimento ILVA. E non sorprende nemmeno che si debba intervenire ora per fissare un termine perentorio di chiusura delle procedure di trasferimento del complesso aziendale, visto il venir meno di quel miliardo e 200 milioni di somme sequestrate ai Riva e che sono ora in Svizzera, sulle quali però c'erano state garanzie di poterle impegnare a finalità esclusive di realizzazione del Piano ambientale.
Quindi, il decreto che cominciamo a convertire oggi in Aula ha due termini decisivi: uno – questo del 30 giugno 2016 – relativo al completamento delle procedure per il trasferimento dei complessi aziendali e l'altro – al 30 giugno 2017 – per il completamento del Piano ambientale. Confesso, Presidente, che dispiace a tutti noi, naturalmente, veder slittare in avanti i termini del completamento del Piano ambientale, e anche su questo sappiamo quale dev'essere l'attenzione che tutti – Parlamento, Governo, istituzioni locali, competenti autorità di controllo – dobbiamo mettere per verificare che sia realizzato nel migliore dei modi possibili e nei tempi previsti.
Quello che dobbiamo fare è molto semplice a dirsi ed estremamente complesso da realizzare: tenere insieme il rilancio industriale e il risanamento ambientale di quella che, come dicevo, è la più grande acciaieria d'Europa. Ricordo solo un numero: è pari a 15 milioni di metri quadrati l'area occupata dello stabilimento. Lo stabilimento ILVA occupa un'area che è doppia rispetto a quella dell'intero comune di Taranto e già questo numero ci dovrebbe dire quanto è complesso intervenire in una situazione del genere: 190 chilometri di nastri trasportatori all'interno, 50 chilometri di strade all'interno, 200 chilometri di ferrovia all'interno, e per chiunque di noi ha avuto la fortuna – come ho avuto io e come hanno sicuramente avuto molti colleghi qui – di visitare quello stabilimento, l'impatto visivo che c’è, l'enormità di quello stabilimento, ci dice già da solo quanto sia difficile rimettere in pista, nel rispetto della salute e dell'ambiente, l'attività produttiva di quello stabilimento.
Fermare la produzione impedirebbe di fatto il risanamento ambientale. I colleghi che invocano la chiusura dello stabilimento per risolvere le questioni ambientali di Taranto stanno drammaticamente sbagliando strada. Il caso di Bagnoli è davanti ai nostri occhi, con una dimensione ed una presenza rispetto alla città di Napoli @pagina=0033@molto, molto inferiore, e tuttavia ci dimostra che la chiusura di quello stabilimento non ha assolutamente garantito il risanamento ambientale. L'unico modo con il quale possiamo avere risanamento ambientale e continuare a tenere e, anzi, a rilanciare la produzione dello stabilimento, e certo non svelo un segreto, è stato già detto da molti colleghi. Quali altri interessi ci sarebbero sulla chiusura dello stabilimento di Taranto: la sovrapproduzione di acciaio in Europa si attenuerebbe moltissimo se la più grande acciaieria d'Europa, che è appunto a Taranto, smettesse in un colpo di produrre. Quindi, continuare a mantenere la produzione nel rispetto degli obiettivi di risanamento ambientale. D'altro canto, però, continuare la produzione come è stato fatto fin qui, non credo che darebbe un grandissimo slancio al risanamento ambientale.
Certo vanno fatte le bonifiche, certo vanno trattati i rifiuti correttamente, ma credo – l'hanno detto diversi colleghi, lo ha detto anche il presidente Realacci prima di me nel suo intervento – siano da valutare con grande attenzione le ipotesi di decarbonizzazione degli impianti: ipotesi che sono state rilanciate con grande enfasi anche alla Conferenza di Parigi sul clima dal Presidente Emiliano, ipotesi che erano nel piano dei primi commissari nominati dall'allora Governo Letta – Bondi e Ronchi –, ipotesi che organi di stampa riportano in uno studio della Boston Consulting Group, che era la società di consulenza a cui ha fatto affidamento il commissario attualmente in carica, Piero Gnudi. Gli organi di stampa, il Corriere della Sera in particolare, riporta questo studio della Boston Consulting Group, che parla di una trasformazione dell'altoforno 5 in due forni elettrici e di un accesso al preridotto per il 40 per cento della produzione, quindi utilizzo del gas invece del carbone, con anche l'obiettivo di aumentare i volumi di produzione, però con una enorme e consistente riduzione delle emissioni di CO2 prodotte.
Su questo noi, come Parlamento e come Governo, dobbiamo essere molto chiari nel diventare davvero campioni nella decarbonizzazione, dobbiamo prendere assolutamente sul serio la sfida del clima e ciò che comporta l'Accordo di Parigi che abbiamo siglato insieme a tutti gli altri Paesi, ai 195 Paesi che l'hanno siglato: le nostre erano parte di quel 94 per cento di emissioni globali, rappresentate nell'impegno a ridurle drasticamente e puntare seriamente alla decarbonizzazione. E quindi ecco che immaginare una riconversione della più grande acciaieria d'Europa, fin qui alimentata a carbone, verso sistemi di alimentazione diversi con un impegno diverso del gas, è un elemento importante da considerare nella valutazione delle proposte che ci saranno per l'acquisizione, l'affitto o, comunque, il trasferimento dell'impianto stesso.
Sottolineo anche una cosa che leggevo in annunci di stampa: il Ministro Guidi ha annunciato per il 10 febbraio gli stati generali dell'industria, un appuntamento importante. Il Paese ha certamente bisogno di politiche industriali, se ne sente la necessità assoluta per quello che è il secondo Paese manifatturiero d'Europa. Naturalmente sono sicura che il Governo, e il Ministro Guidi per prima, vorrà certamente che queste politiche industriali siano orientate verso il futuro, siano orientate alla decarbonizzazione e facciano dell'Italia un campione della nuova sfida, un traino verso la nuova economia che dobbiamo costruire.
Segnalo due elementi, Presidente, che sono nel decreto: in primo luogo, il fatto che tra i requisiti che sono richiesti alle compagini che vorranno presentare la propria manifestazione di interesse per il trasferimento dello stabilimento ILVA ci sia la garanzia della rapidità e dell'efficienza dell'intervento che riguardi anche i profili di tutela ambientale, quindi naturalmente deve esserci una forte caratterizzazione della manifestazione di interesse verso la realizzazione del Piano ambientale, ed è importante che questi 800 milioni previsti nell'ultima legge di stabilità siano destinati, appunto, al risanamento e all'attuazione del Piano ambientale: @pagina=0034@un intervento enorme, come richiede quel tipo di stabilimento e quel tipo di problema che dobbiamo affrontare.
Questo decreto apre un percorso – come hanno ricordato più volte i presidenti Realacci ed Epifani nel corso dei lavori delle Commissioni ambiente e attività produttive, che hanno avuto il compito di svolgere il lavoro preliminare all'Aula – perché la data significativa è quella del 30 giugno 2016 e ricordo, faccio mio, l'auspicio che i due presidenti hanno più volte espresso e l'impegno che i due presidenti hanno preso per le loro Commissioni e che chiediamo naturalmente al Governo, di un coinvolgimento pieno del Parlamento in questa fase, di avere quanto più possibile la possibilità di verificare il percorso che si sta portando avanti per riuscire a garantire il rilancio industriale, ma anche il risanamento ambientale e probabilmente una ristrutturazione dell'attività produttiva dello stesso stabilimento.
Per questo è anche importante che nel lavoro delle Commissioni sia stato approvato un emendamento che prevede che siano presentate relazioni semestrali al Parlamento, da qui in avanti, sullo stato di attuazione sia del Piano ambientale sia del rilancio produttivo del complesso ILVA: una questione nazionale sulla quale chiaramente il Parlamento deve continuare ad avere un occhio di grande vigilanza e di grande attenzione e che dev'essere al centro della nostra attività politica.
Concludo, Presidente, con una sola osservazione, con tutta la complessità e con tutta la drammaticità di questa situazione, che non sfugge a nessuno di noi, perché nessuno di noi legge, apprende e ascolta senza enorme preoccupazione i dati sulla morbilità in quel luogo, il fatto che i bambini non possano giocare nel quartiere Tamburi, il fatto che ci sia un pericolo ancora per la salute pubblica, il fatto che ci siano gravissimi lutti ancora all'interno di quello stabilimento, per lo svolgimento di un'attività produttiva che non dovrebbe mai comportare in nessun caso la perdita della vita.
Come dicevo, con tutta la complessità e con tutta la drammaticità noi continueremo a lavorare, il Partito Democratico continuerà a lavorare per affermare un semplicissimo principio: il diritto al lavoro, il diritto alla salute e alla tutela dell'ambiente devono andare insieme e lo stabilimento Ilva sarà un esempio straordinario di come la più grande acciaieria d'Europa diventa un campione nel rispetto della salute e dell'ambiente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). PAGINA: 0034 ALBERTO ZOLEZZI. Grazie, Presidente. Ci troviamo, appunto, per la nona volta, ad affrontare l'Ilva di Taranto; adesso, in questo caso, si parla di trasferimento dei complessi aziendali entro sei mesi da questo decreto-legge e ci troviamo, purtroppo, di fronte, nuovamente, a un decreto e a una decretazione d'urgenza, quella che rende impossibile ragionare su dei dati che sono stati giustamente definiti di grande complessità. Coniugare ambiente, occupazione e salute non è semplice, non è stato semplice, perché ricordo che eravamo qui in Aula il 22 dicembre 2015 a discutere il collegato ambientale, a votarlo – è bene che sia stato fatto –, ma la scadenza della presentazione degli emendamenti per questo provvedimento, il decreto-legge Ilva «9» era fissata in quelle ore, quindi, è stato impossibile ragionare con la dovuta attenzione su un tema così complesso. È questa la prima cosa che rilevo. Si poteva ragionare da un punto di vista normativo, si poteva discutere in Commissione delle zone speciali fiscali, si poteva discutere di nazionalizzazione, si poteva discutere dell'idea che si poteva avere di questo stabilimento e non, invece, di una svendita davvero tragica che sembra avvenire. Anche perché si parte, appunto – l'abbiamo detto in occasione della pregiudiziale di costituzionalità – dall'articolo 9, si parla, appunto, del mancato rispetto dell'ambiente: le prescrizioni dell'AIA vengono rimandate nella loro attuazione, mentre, invece, la tintura delle case @pagina=0035@e dei polmoni degli abitanti del quartiere Tamburi, da parte di polveri e idrocarburi, è persistente.
Proprio in questi giorni è stato pubblicato un resoconto degli studi più significativi del 2015 sull'inquinamento e uno è proprio quello del New England Journal of Medicine, che testimonia come la riduzione dell'inquinamento migliora lo sviluppo polmonare dei bambini e anche lo sviluppo psicofisico; per cui, adesso, l'articolo 9 di questa Costituzione viene bruciato, ma voi d'altronde la Costituzione la volete bruciare in uno dei nove inceneritori, come nove sono i decreti che Galletti vuole costruire. Un nuovo inceneritore, un nuovo airbus, per il Premier è questa la politica ambientale che volete portare avanti. Auspico che i cittadini capiscano e nell'eventuale referendum rispettino la resistenza che ci ha donato la democrazia e questa splendida Costituzione.
Si è partiti dal piano Bondi, in passato, che si è basato sulla McKinsey, la stessa che porta avanti il progetto di grande utility italiana per privatizzare acqua e settore dei rifiuti tramite una grande società, grande utility fondata anche dallo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Galletti, quindi, capiamo che siamo di fronte a corto circuiti non semplici. Il progetto di Bondi poi fu bloccato, arrivò Gnudi che puntò sull'azionariato, ma anche questo sistema non andò bene; probabilmente alcuni privati forse, davvero, ingigantirono i problemi, creando questa cordata di furbetti dell'acciaio, forse guidata, ai tempi, da ArcelorMittal; poi si è passati, adesso, ad Andrea Guerra, l'ex amministratore di Luxottica e anche consulente di Palazzo Chigi con una modalità abbastanza diffusa da parte del nostro Premier. Poi ci fu l'inchiesta sui fondi dei Riva, sembrava cosa fatta acquisire gli 1,2 miliardi di euro dei Riva e utilizzarli per le bonifiche, per le sempre più necessarie bonifiche dello stabilimento di Taranto, ma invece l'UBS e poi la magistratura svizzera negarono questo passaggio. Adesso, questi 300 milioni di euro messi da questo provvedimento per le esigenze finanziarie urgenti, che si vanno a sommare agli 800 milioni stanziati dalla legge di stabilità, purtroppo non consolidano un piano industriale, non danno sicurezza sulla transizione in questa cessione che, tra l'altro, deve essere anche piuttosto rapida, anche perché si vuole andare sempre con la trattativa privata, con gli amici.
Questa trattativa privata viene fatta anche per uno stabilimento così grande, che è definito strategico per l'interesse nazionale. Addirittura si vuole ovviare anche alla responsabilità civile, dopo aver esonerato il commissario dalla responsabilità penale. All'articolo 24 della Costituzione si sancisce il diritto di azionare i diritti di ciascuno, mentre, invece, con questo decreto si vuol dare uno «ius primae mortis» al commissario, dopo tanti incidenti, dopo tanti lutti in questo stabilimento. Mentre, invece, l'urgenza di un decreto avrebbe potuto affrontare il rischio di infrazione europea e le prescrizioni dell'AIA; vengono dilazionati ulteriormente, forse sine die, gli adempimenti alle prescrizioni e la gestione dei rifiuti sta continuando a portare un turismo inaccettabile, perché è un affare anche quello, è un affare perché sono appunto 3,6 milioni di tonnellate le scorie di fonderia portate in Italia e in Belgio, anche grazie al primo decreto-legge del 2015 che fu sempre sull'Ilva e che tolse in qualche modo la sicurezza di analisi di queste scorie.
In Commissione abbiamo presentato un emendamento per riportare la sicurezza in questo settore, ma è stato bocciato, purtroppo. In qualche modo si è capito che questa mancanza di sicurezza per le scorie faceva parte di questo pacchetto per l'eventuale nuovo compratore dell'Ilva. Sappiamo che l'Ilva porta, appunto, questo turismo, porta da Taranto al terminal Italia di Segrate un quantitativo importante di scorie, almeno mezzo milione di tonnellate finiscono nella provincia di Mantova, per esempio, dai piani che ci sono. I vagoni arrivano totalmente incrostati del materiale, perché facendo tante ore di viaggio ci sono reazioni chimiche del cromo esavalente che probabilmente @pagina=0036@finisce anche in aria, visto che non ci sono neanche più le misure di sicurezza previste prima del decreto legge n. 1 del 2015. Vediamo che ci sono nell'Ilva circa mezzo milione di tonnellate di amianto; è bene che sia passato un mio emendamento sulla necessità di mappatura e di urgente messa in sicurezza di eventuali materiali non in sicurezza. Anche perché ci sono segnalazioni di stampa sulla presenza di materiale radioattivo all'interno dello stabilimento e sappiamo, invece, con certezza che ci sono 18 mila fusti di materiale radioattivo proveniente anche dall'Ilva nel deposito di Statte che è a pochi chilometri. Quindi l'Ilva è anche un po’ un mistero e non vorremmo che, magari, si procedesse rapidamente nelle pulizie di primavera, svuotando di materiali e magari senza una destinazione definitiva sicura.
Ricordiamo che già nel 2011 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia per non avere rilasciato le autorizzazioni relative alle emissioni industriali per diversi impianti. Era la causa C-50/10. Il 4 agosto 2011 l'Ilva ricevette l'autorizzazione alle emissioni aggiornata, ma la procedura d'infrazione è proseguita nel settembre 2013, sia per le emissioni che, appunto, per la gestione dei rifiuti.
La mancanza di un piano industriale e di un piano nazionale dell'acciaio dovrebbe essere la priorità da inserire in un decreto-legge. Sappiamo che i miliardi stimati per l'ambientalizzazione sono davvero tanti, dovrebbero essere 8; noi chiederemo in Aula, con un emendamento, di lasciare le bonifiche allo Stato e che i soldi che eventualmente verranno tratti dalla famiglia Riva, questo miliardo e due, non vadano, invece, nelle tasche di un compratore che fa questa scommessa, magari del «prendi e fuggi», coi soldi che, in realtà, dovrebbero andare alla città di Taranto per la sicurezza e per le bonifiche.
Il danno sanitario va sempre ricordato. Ricordiamo che l'Ilva emette anche adesso diossine stimate dall'OMS come compatibili con la resistenza di un miliardo di persone, ma queste vanno tutte sui cittadini di Taranto che sono molti meno. Non si valutano le emissioni totali, si valuta solo la concentrazione. Nella memoria che tutti i parlamentari hanno ricevuto dall'associazione internazionale Medici per l'ambiente si quantifica il danno sanitario in 386 milioni di euro in totale, si quantificano già nella perizia prodotta dal giudice Todisco, si quantificano in circa novanta decessi all'anno i morti per le emissioni e per il superamento delle emissioni. C’è un eccesso di mortalità generale e, rispetto all'atteso generale, a Taranto c’è un eccesso di mortalità infantile che è inaccettabile, soprattutto non facendo una normativa adeguata a quelle che dovrebbero essere le nostre funzioni. E dire che il decreto-legge vuole anche adattarsi alle prescrizioni ambientali con una gara a trattativa privata: è uno spot in puro stile «renzioso».
Quindi la produzione annua massima dev'essere inserita da subito; ma questo doveva farlo il commissario, non lasciarlo stabilire da un compratore fantasmagorico ! La produzione annua massima compatibile con il rispetto delle prescrizioni; e purtroppo vediamo che c’è molta confusione: anche alcune note sindacali parlano di aumentare la produzione rispetto a quella attuale. Purtroppo a quel punto sarebbe impossibile adempiere a qualsiasi prescrizione dell'autorizzazione integrata ambientale, perché c’è un'emissione cumulativa: che non è ben chiara nella normativa italiana, ma è assolutamente logica per chi volesse davvero occuparsi dell'ambiente e della salute dei cittadini di Taranto e dei cittadini italiani !
Il Piano nazionale dell'acciaio manca, e manca il piano industriale dell'Ilva: rinviato, questo piano industriale, alla sua stesura da parte di un possibile compratore segreto; magari si chiamerà Tiziano, o Pier Luigi, vista la facilità di accesso al credito a babbo morto.
Chi poteva agire per pianificare la produzione e tutelare i brevetti nazionali ? Penso che avrebbe dovuto essere, per esempio, la Ministra Guidi, che è stata assente alla discussione: forse era impegnata a stappare pozzi di petrolio in giro per l'Italia, in mare e in terra. Un altro @pagina=0037@personaggio che in qualche modo notiamo avere ancora un ruolo molto importante è Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ma anche amministratore delegato della multinazionale cino-svizzera Duferco, che nel marzo 2015 subì persino un arresto, anche se di breve durata. A me non interessa l'eventuale aspetto giudiziario di Antonio Gozzi; però è interessante capire quello che stava facendo, probabilmente senza alcun illecito. Era in corso una diversificazione della Duferco, della multinazionale, nel settore dei giochi d'azzardo, e c'era contemporaneamente un tentativo di acquisto del sito siderurgico di Maluku in Congo; però in realtà la Duferco non fece mai offerte per il sito siderurgico, bensì fece offerte in Congo per il gioco d'azzardo: per capire che magari quest'uomo è più interessato a quel settore, questo è il mio dubbio !
Nel 2011 poi questo Kubla, che seguiva gli affari della Duferco, è stato per un breve periodo presidente della società di sfruttamento dei giochi nel Congo e, secondo il giudice Calise, questa società sarebbe stata creata per portare avanti le ambizioni di Duferco nel settore del gioco d'azzardo, quando il Congo ha aperto ai privati la lotteria nazionale. L'azionista maggioritario di questa società era una società belga, Successful Expectations Belgium, filiale della lussemburghese Successful Expectations, di cui Gozzi e Croci, arrestato anche lui in Belgio per pochi giorni, erano azionisti. Per cui penso che il fatto che Gozzi sia azionista di una società che si occupa di gioco d'azzardo sia un dato importante in questo: penso che, visto che Federacciai ha anche un codice etico, che vale per tutti i membri, per gli imprenditori, a maggior ragione dovrebbe valere per il suo presidente !
Il Piano nazionale dell'acciaio può quindi interessare a Gozzi o no: 23 milioni di tonnellate prodotte nel 2014, in calo; non è facile stimare il fatturato, ma il fatturato diretto è circa 13 miliardi nel settore. Mentre invece il gioco d'azzardo in Italia ha un fatturato di 90 miliardi tracciati, più altri 20 in nero: dieci volte maggiore di quello dell'acciaio ! Per Gozzi, o per chiunque altro, potrebbe essere più redditizio concentrarsi appunto sul gioco d'azzardo, magari mettendoci una corazza d'acciaio giusto per non far vedere quello che succede. Anche in Congo forse era più interessato a società con scambi economici con la Germania e il Belgio; e magari chissà, poteva anche scommettere dal Congo, con i rapporti economici di scambio molto facilitati, su squadre del calcio italiano, su squadre, per esempio, di serie B. Una di queste vede come patron proprio un certo Antonio Gozzi: tra l'altro, è proprio lui ! Ritengo sia inopportuno che questa persona stia alla guida di Federacciai, per questo e anche per come sta gestendo tutta la partita dell'acciaio; anche perché adesso si rischia di assegnare, con questo decreto-legge, 1,2 miliardi di euro alla famiglia Riva, che tra l'altro continua a guadagnare, portando in campo il carbone in Puglia con le loro navi. È una sorta di scommessa, perché per ambientalizzare ce ne voglio 8: con questi 1,2 miliardi magari se chi arriva li gioca alla Lottomatica ne vince 8, non lo so.
Teniamo conto che 8 miliardi di euro corrispondono nel risparmio energetico (e potrebbe essere applicato anche all'Ilva e alla città di Taranto) a 120 mila posti di lavoro: ben più dei 15 mila, che sono comunque tantissimi, di cui stiamo cercando di parlare adesso !
Per cui il «Governo d'azzardo» fa così: fa investire nel nostro Stato 110 miliardi di euro all'anno in gioco d'azzardo. Anche i fondi delle quattro banche finora fallite avevano il 2 per cento di possibilità di essere redditizi, ed è una possibilità persino minore di quella del gioco d'azzardo normale, che è stimata nel 5 per cento; che poi sale stranamente per giocate elevate: per le scommesse bancarie, ma anche per le società di Renzi e Boschi senior sembra che i rischi non ci fossero, ma anzi, probabilmente sono stati loro a mettere a rischio le banche stesse non restituendo i crediti.
Ilva va seguita momento per momento, perché è una situazione davvero importante per la nostra nazione; seguiremo il piano, quello che succederà, anche se @pagina=0038@chiaramente siamo sconfortati dal non aver avuto la possibilità di mettere bocca su tale piano. Siamo sconfortati, perché finora crediamo che davvero tutti questi decreti-legge siano per cercare di far fare soldi a qualcheduno, per far mantenere poteri e mantenere il consenso. Tutto questo porta alla distruzione dello Stato e di chi chiunque persegua questi metodi: è questo che io definisco «renzoma», è un cancro politico che, come nel caso dell'inquinamento dell'Ilva, può anche diventare fisico. Nel caso dell'Ilva è dimostrato che vengono causati 90 decessi all'anno. Per arrivare ad agire così è come se si fosse drogati, è una droga della casta, è un «castagon»; ma chi si droga fa danni a se stesso e agli altri, e non vede il lungo termine, perde speranza. Credo che una mozione di sfiducia per Renzi potrebbe costare, fra fogli ed energia elettrica, almeno una tonnellata di anidride carbonica: Renzi potrebbe evitarcela, andandosene a casa sua sponte; oppure al cinema, a vedere qualche cinepanettone con i suoi sodali a Courmayeur, gloriandosi del fatto che i registi si sono ispirati a lui. Se lo facesse spontaneamente, sarebbe il suo primo atto in difesa dell'ambiente e dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
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PAGINA: 0005 Intervengono per dichiarazione di voto finale i deputati PINO PISICCHIO (Misto) (Vedi RS), PIA ELDA LOCATELLI (Misto-PSI-PLI) (Vedi RS), ALBRECHT PLANGGER (Misto-Min.Ling.) (Vedi RS), MASSIMO PARISI (Misto-ALA-MAIE) (Vedi RS), GIUSEPPE CIVATI (Misto-AL-P) (Vedi RS), MASSIMO ENRICO CORSARO (Misto-CR) (Vedi RS), FABIO RAMPELLI (FdI-AN) (Vedi RS), GIAN LUIGI GIGLI (DeS-CD) (Vedi RS), CRISTIAN INVERNIZZI (LNA) (Vedi RS), PAOLA PINNA (SCpI) (Vedi RS) e MAURIZIO LUPI (AP) (Vedi RS).
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PAGINA: 0042 PINO PISICCHIO. Grazie, onorevole Presidente. Onorevoli colleghi, l'avvento del costituzionalismo moderno costruisce un rapporto tra rappresentanti e rappresentati che si scosta alquanto dall'idea di sovranità accolta nel comune sentire. Secondo l'impianto delle costituzioni democratiche, infatti, il popolo è, sì, la fonte da cui deriva la legittimazione del potere dei rappresentanti, che sono anche i custodi della Costituzione, ma è questa a rimanere l'unico vero sovrano dell'ordinamento. Per questa fondamentale ragione bisognerebbe che ogni modifica della Carta fondamentale fosse maneggiata con grandissima cura da parte dei custodi pro tempore, quali siamo noi, anche oltre la cura speciale imposta dall'articolo 138.
Questa riforma dunque ha luci ed ombre. Una luce incontestabile è che sia arrivata fino a qui. Siamo di fronte ad una realtà e non ad un'ipotesi di lavoro, che in coerenza e non in antitesi con lo spirito del dibattito costituente supera la dimensione simmetrica del nostro bicameralismo e guarda all'esperienza del Bundesrat tedesco. A pescare nel catalogo delle ombre troveremmo diverse cose da dire. Una fra tutte è la reiterazione, dopo la riforma delle province, di un meccanismo di secondo grado per l'elezione dei rappresentanti, attenuata dalla clausola che devolve alle regioni la scelta del sistema elettorale.
Compiamo, dunque, un atto di fiducia puntando sulle luci piuttosto che sulle ombre, sapendo però che l'ultima parola non spetta ai custodi pro tempore, bensì al popolo, che si riprende la sua sovranità col voto referendario, e che l'esito del referendum non sia mai segnato dall'ineluttabilità lo ricordano precedenti importanti, come il risultato del plebiscito sull'abolizione del Senato in Irlanda nel 2013. La parola, dunque, tornerà al popolo, da cui discende la legittimazione a legiferare nella nostra Assemblea. PAGINA: 0042 PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signora Presidente. La legge di riforma costituzionale, che ci accingiamo a votare, non è propriamente quella voluta dai socialisti e dalle socialiste. Non lo è nei contenuti che, nonostante i miglioramenti apportati al Senato, in diverse parti sono ambigui, a volte poco chiari, e non lo è per il metodo. Sarebbe stato senza dubbio meglio, come avevamo proposto a inizio legislatura, adottare la strada maestra di un'Assemblea Costituente, che, svincolata dall'esame di altri provvedimenti, avrebbe potuto dedicare più tempo e maggiori approfondimenti e serenità, pur senza escludere il confronto, se necessario anche aspro, ma siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo percorso.
Noi socialisti fummo i primi a partire dal 1979, a lanciare l'idea di una grande riforma, così come fummo gli unici, nel @pagina=0043@1982, nel corso della conferenza di Rimini, rimasta nella memoria comune per il tema dei meriti e dei bisogni, a proporre il superamento di due Camere con uguali poteri, ossia uno dei cardini dell'attuale riforma, suscitando allora un'opposizione virulenta nella Commissione Bicamerale del 1997, formata da 70 parlamentari e tra questi il segretario nazionale del PSI. Fummo ancora noi a parlare di trasformazione del Senato in Camera delle regioni, sul modello del Bundesrat tedesco, composta dei rappresentanti dei governi regionali e con compiti di garanzia e di controllo, attribuendo alle regioni la competenza normativa generale per l'autonomia statutaria, come ci ricorda Carlo Correr, il caporedattore dell'Avanti, nel suo recente libro Una lunga marcia. I Socialisti italiani dopo il 1993.
Le buone idee evidentemente non muoiono e oggi si pone fine alla lunga esperienza del bicameralismo paritario, ai ripetuti passaggi di provvedimenti tra Camera e Senato, ad un iter legislativo lungo e farraginoso, che spesso ha generato il blocco di leggi importanti, impedendone addirittura l'approvazione nell'arco della legislatura. Basti pensare che nella scorsa legislatura il tempo medio, non il tempo massimo, di approvazione di un provvedimento di iniziativa parlamentare è stato di 442 giorni, ma ci sono stati casi, come nel corso della XIV legislatura dove i giorni sono stati oltre 500. Con questa riforma ciò non accadrà più, ed è soprattutto per questo che il gruppo socialista, che ha affrontato senza pregiudizi il dibattito e il processo di revisione costituzionale, voterà a favore del provvedimento nonostante le perplessità dovute ad una base di partenza imposta dal Governo non sempre coerente con gli obiettivi dichiarati.
Certo, avremmo preferito che il nuovo Senato ricalcasse maggiormente il modello del Bundesrat tedesco, così come avremmo preferito un maggiore equilibrio numerico tra le due Camere, da raggiungersi attraverso uno snellimento di questa Camera, ma l'Aula ha scelto diversamente. Quindi, non hanno trovato risposta molte delle questioni poste dei socialisti. Come ho già detto, maggiore proporzionalità del peso tra Camera e Senato, superamento del conflitto di interessi tra consiglieri regionali, sindaci e senatori, modifica del sistema di designazione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, anche al fine di garantire il superamento delle correnti, eliminazione dell'autodichia nella gestione del personale, e tanti altri temi.
Tornando all'oggi dobbiamo riconoscere che il testo è in parte migliorato, sia nelle funzioni assegnate al Senato, ora più autorevole nel rappresentare i territori, sia nel metodo di scelta dei nuovi senatori e senatrici, (che nella prima parte saranno pochi), per il quale si dovrà provvedere con una legge successiva, che mi auguro darà ruolo ad elettori ed elettrici.
È inoltre positivo che vi sia una relazione fiduciaria esclusivamente tra Governo e Camera, e che la funzione legislativa sia esercitata non più da entrambe le Camere ma dalla sola Camera dei deputati. Positivo anche il tentativo di semplificazione dell'apparato della Repubblica con la soppressione del CNEL e delle province, anche se riguardo a queste ultime la situazione ha bisogno di ulteriori chiarimenti e provvedimenti. È infine positiva l'introduzione di un tema al quale tengo molto, l'introduzione del principio di parità e non discriminazione tra donne e uomini nelle leggi elettorali, avvenuta con la modifica dell'articolo 55 della Costituzione, che prevede, per le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere, la promozione dell'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Anche in questo caso la nostra preferenza sarebbe stata diversa: piuttosto che «promozione» avremmo preferito «garanzia» dell'equilibrio di genere nelle leggi elettorali, insieme alla previsione di norme transitorie per la prima elezione del Senato. Questa era la richiesta dell'Accordo di azione comune sulla democrazia paritaria, che è un coordinamento di oltre 50 associazioni femminili che promuovono insieme la presenza femminile ed il suo peso nella politica. Richiesta che era stata @pagina=0044@avanzata alla Ministra Boschi, che mi sarebbe piaciuto vedere qui con noi, nell'incontro del luglio scorso, insieme alla previsione dell'impatto di genere e delle pari opportunità nelle diverse nomine in enti ed istituzioni.
Restiamo dell'avviso che si poteva fare meglio e, soprattutto, che si doveva tentare, più di quanto abbiamo fatto, di ricercare una maggiore condivisione con le opposizioni. Riteniamo che per le riforme vadano fatti tutti gli sforzi possibili per arrivare alla massima condivisione; non ci siamo riusciti, anche se va detto che la responsabilità non è certamente solo della maggioranza. Come abbiamo sottolineato anche in altre occasioni, il meglio è spesso nemico del bene che, in questo caso, consiste nell'avvio di un percorso di riforme al quale noi socialisti e socialiste non ci siamo mai sottratti. Non vogliamo lasciare alibi a nessuno per giustificare le difficoltà del Paese, attribuendole ad una mancata riforma costituzionale e, per questo, annunciamo, con tutte le riserve nel merito e nel metodo, il voto favorevole della componente socialista ed allo stesso tempo chiediamo, ancora una volta, la modifica della legge elettorale, per garantire, insieme alla governabilità, che è fattore importante, la rappresentanza. L'equilibrio tra rappresentanza e governabilità è ancor più fondamentale rispetto ai singoli fattori.
Vorrei, infine, richiamare l'attenzione dell'Aula e del Governo nel suo insieme, ed in particolare della Ministra per le riforme, su un tema ed un impegno molto cari a noi socialisti: è stato detto che il voto di oggi non è il fischio che mette fine alla partita. Concordiamo con il collega Cuperlo, autore della metafora, perché siamo profondamente convinti che questa riforma non rende inutile il lancio di una nuova fase costituente. So che questa nostra proposta susciterà sorpresa, forse anche qualche battuta ironica, ma noi socialisti siamo convinti che dopo la riforma del Senato che ha aperto il cantiere, come ha detto il direttore della rivista Mondoperaio, Gigi Covatta, ecco, dopo aver aperto il cantiere, resti da ristrutturare l'intero edificio istituzionale, se si vuole garantire la vocazione e l'equilibrio e migliorarne la funzionalità. Lo si è già visto in sede di approvazione di questa riforma al Senato, quando il Governo non ha battuto ciglio sull'ordine del giorno presentato dal senatore Ranucci sull'accorpamento delle regioni.
Poi, ci sono altre questioni da affrontare e da regolare, come la cessione di sovranità nei confronti delle istituzioni europee, che non può essere definita solo dall'articolo 11 o dall'articolo 81 riformato e la razionalità degli assetti del potere locale. Non mi limito al tema dell'abolizione delle province: pensiamo, ad esempio, alle città metropolitane, all'omogeneità dei sistemi elettorali locali e di quello nazionale, al ruolo dei partiti, a partire dall'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione per la piena attuazione della democrazia interna. Soprattutto – e cito ancora una volta il direttore di Mondoperaio – riteniamo sia opportuno confermare i principi della prima parte della Costituzione che non sono affatto scontati in una situazione in cui, oltre alla coesione sociale, sembra a rischio la stessa coesione culturale della nazione. PAGINA: 0045 ALBRECHT PLANGGER. Signora Presidente, colleghi, le modifiche intervenute al Senato al testo della riforma costituzionale hanno il nostro consenso in via generale.
Si è giunti a un'approfondita e organica visione del ruolo del nuovo Senato in ordine a funzioni e competenze, fermo restando il principio del superamento del bicameralismo paritario, che è il punto sostanziale e fondamentale del processo di revisione costituzionale. Con questa riforma costituzionale chiaramente è superato il bicameralismo paritario e ridotto il numero complessivo dei parlamentari. Sarebbero state auspicabili scelte ancora più incisive nella direzione, certamente indicata da noi e condivisa, di una trasformazione del Senato in una vera camera di rappresentanza delle autonomie territoriali. In sostanza, sarebbe stato opportuno procedere coerentemente e in modo organico nella prospettiva opposta all'accentramento dei poteri centrali e, dunque, ad un conseguente indebolimento delle regioni.
È così ancora più essenziale e necessario il processo di rinnovo del nostro statuto di autonomia sulla base degli accordi e dei rapporti internazionali che tutelano la nostra autonomia speciale. Nel contempo occorre affermare come la riforma costituzionale tuteli e rafforzi ruoli e poteri delle autonomie speciali e ciò va al di là degli aspetti critici della riforma giacché a nostro giudizio, come autonomie, vi sono indirizzi di riforma del tutto positivi. Per noi, infatti, è fondamentale la salvaguardia delle competenze e dei poteri delle regioni speciali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, tutelati da uno Statuto di autonomia garantito internazionalmente. L'esame e le modifiche intervenute nei diversi passaggi parlamentari hanno avuto un esito che possiamo definire accettabile, perché esclude le regioni speciali dall'applicazione del Titolo V e delega l'adeguamento degli statuti di autonomia ad una futura legge costituzionale, introducendo la clausola pattizia anche in Costituzione. È un esito ottenuto, in primo luogo, grazie a un accordo politico con il Governo Renzi e la buona collaborazione tra il Governo, l'SVP a Roma e i presidenti delle province, con paciere Rossi.
È altrettanto importante che, con la riformulazione dell'articolo 116, sia stata avviata una procedura non soltanto per le regioni a statuto ordinario virtuose che intendono richiamarsi alla nostra storia federalista e, dunque, conseguire i buoni esempi di autogoverno responsabile, ampiamente dimostrati sul territorio dalla nostra provincia. È significativo e rilevante che, nel testo oggi al voto della Camera, il nuovo articolo 116 valga per le province autonome e per le regioni a statuto speciale. Come provincia autonoma siamo credibili nel voler essere da esempio di governo e nell'avere conseguentemente la responsabilità di avviare per primi tale percorso. Spero che le nostre province possono fungere da apripista per nuove competenze che da Roma tornino alle regioni. Una volta entrata in vigore questa riforma costituzionale spetterà al Governo, al Parlamento e alle autonomie speciali aprire un negoziato per affrontare le delicate questioni sul futuro sviluppo dell'autonomia.
Per queste ragioni confermiamo il voto favorevole e ribadiamo, come SVP, PATT e Minoranze Linguistiche, la nostra disponibilità ad assumere maggiori responsabilità di governo, in ordine a competenze primarie per i nostri territori, come quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, in ragione del modello di buon autogoverno dei territori della nostra autonomia già in atto. PAGINA: 0045 MASSIMO PARISI. Grazie, signora Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi; mi permetto di iniziare la mia dichiarazione di voto con le parole che @pagina=0046@Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, volle pronunciare in quest'Aula il 22 dicembre del 1947, nel giorno in cui consegnava il testo definitivo della Carta al Presidente Terracini. Abbiamo la certezza – disse Ruini, parlando ovviamente della Costituzione – che durerà a lungo e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell'esperienza storica.
Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e correggere con sufficiente libertà di movimento, e così avverrà ! Noi stessi ed i nostri figli rimedieremo alle lacune ed ai difetti che esistono e sono inevitabili.
Il nostro compito è certo stato meno gravoso rispetto a quello che i nostri illustri predecessori costituenti dovettero affrontare tra il giugno del 1946 e il dicembre del 1947: all'epoca quegli uomini seppero dare al Paese una Costituzione in cui tutti potessero riconoscersi, una Costituzione che era però il frutto di tempi difficili, dopo una guerra devastante e un lungo periodo di dittatura. Ciò poté accadere per la pervicace volontà di trovare una mediazione alta e nobile fra le varie culture politiche ed ideali, che dopo essere state coprotagoniste della Liberazione, si confrontarono nell'Assemblea.
A giudizio di molti, e anche di molti costituzionalisti, fu proprio quel carattere compromissorio della Carta ad assicurarne una lunga durata; e, a dispetto di tutta la retorica che spesso si è manifestata a difesa della «più bella di tutte», a dispetto di quel conservatorismo costituzionale che troppe volte ha bloccato ogni prospettiva di riforma, la Costituzione del 1948 non era perfetta neanche per i Padri costituenti. Cito un'altra volta Meuccio Ruini: «La Seconda parte della Costituzione ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell'edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri Paesi, continuità di tradizione: avevamo tutto da fare, e confermo che le soluzioni adottate erano dopo tutto le sole possibili, in attesa che l'esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti». Ebbene, questo Parlamento, dopo elezioni che non hanno determinato una maggioranza politica in entrambe le Camere, si è dato il compito di impegnare questi anni per far funzionare meglio lo Stato, giungendo a superare da un lato un'emergenza democratica, quella determinatasi con la sentenza della Consulta di fine 2013 che ha di fatto cancellato la legge elettorale vigente all'epoca; e dall'altro dando corso alla volontà politica di porre la parola «fine» a trent'anni di dibattiti sterili sulla riforma della Carta, procedendo davvero alle necessarie modifiche. E questo impegno è stato suggellato da una parte rilevante di questo Parlamento dopo l’impasse del 2013, con la richiesta a Giorgio Napolitano di accettare un secondo mandato presidenziale, unico caso nella storia repubblicana.
Con il voto di oggi possiamo segnare una data storica, rinnovando il patto repubblicano e correggendo quelle lacune e quei difetti che secondo gli stessi Costituenti, sono presenti nella nostra Carta fondamentale. Lo faremo dopo un percorso che ancora non è concluso e che non si concluderà con il solo voto del Parlamento: sarà infatti il referendum confermativo a decidere se queste riforme potranno davvero entrare in vigore. Non è una eventualità, ma una certezza, per il frutto di scelte politiche annunciate, che abbiamo condiviso e condividiamo. Fu un referendum anche quello che bocciò nel 2006 il tentativo di riforma costituzionale del centrodestra; sia detto per inciso: allora bastò il 30 per cento, un poco meno di un terzo degli italiani, per stracciare quella riforma, e non mi pare che si siano levate allora autorevoli voci per proporre l'introduzione del quorum nel referendum costituzionale.
Ebbene, onorevoli colleghi, i dubbi e le difficoltà che nel 1947, quasi settant'anni fa, anche i Costituenti avevano, si sono palesati in tutto il loro clamore. Cito un solo dato: in questo lasso di tempo, in Italia si sono succeduti 63 Governi e 27 @pagina=0047@diversi Presidenti del Consiglio; un'enormità ! Dopo un dibattito che si trascina da almeno trent'anni, arriveremo finalmente all'ammodernamento del sistema istituzionale. Dal 1982 ad oggi, dall'ottava legislatura fino alla diciassettesima, non c’è stata una legislatura nella storia repubblicana in cui non si sia affrontato il nodo delle riforme: tutti i progetti presentati o abbozzati si sono posti il problema di giungere ad una modifica della Parte seconda della Costituzione, partendo sempre dagli stessi temi.
Potevamo fare forse di più e meglio, ma anche in questo Parlamento ci siamo misurati con la contingenza dei tempi e con il carattere strumentalmente distruttivo del confronto politico. Potevamo rifare di più e meglio, ma certamente non abbiamo attuato progetti rivoluzionari, nel senso che il quadro di modifica della Carta che ci accingiamo ad approvare si inserisce nel solco di un dibattito politico trentennale, nel solco delle Bicamerali che già prima di noi hanno provato a riscrivere l'ordinamento della Repubblica. Abbiamo fatto del nostro meglio ? Probabilmente no; e questo per ragioni totalmente politiche: da un lato, perché su questa riforma ha pesato e pesa il permanente congresso del partito maggiormente rappresentato in questo Parlamento; dall'altro, perché altri tipi di preoccupazioni hanno animato altre forze politiche. Dovremmo forse dirci con franchezza: abbiamo impiegato la maggior parte del tempo del nostro dibattito per discutere di quanto poco tempo avevamo a disposizione !
È mancato cioè un vero confronto nel merito del provvedimento; ma di questo non sarebbe intellettualmente onesto accusare la maggioranza: è semmai prevalsa, fra la gran parte delle forze di opposizione, piuttosto che la volontà di confrontarsi, quella di bloccarsi, di bloccare un processo, magari nel timore che una troppo rapida approvazione ci esponesse al rischio, evidentemente considerato gravissimo, di andare incontro a nuove elezioni politiche, quelle elezioni che poi magari si invocano sui giornali. Così abbiamo assistito ad alcuni curiosi paradossi: con un partito politico che era arrivato qui per sovvertire l'ordine costituito, per rivoluzionare tutto, per cancellare la casta, che è salito sui tetti per difendere le due Camere elettive e santificare il Senato della Repubblica; oppure ad un altro partito – e lo dico con particolare dispiacere – che prima ha sostenuto per decenni, non senza qualche ragione, che la Corte costituzionale è organo politicizzato ed in mano ad una parte politica, e poi ha concentrato buona parte dei suoi sforzi emendativi per introdurre in Costituzione il parere preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali proprio della Consulta, giusto per evitare il rischio di doverla mai riapprovare, una propria legge elettorale.
Quest'Aula oggi pone un tassello importante verso il superamento delle degenerazioni del parlamentarismo: superiamo il bicameralismo paritario, introducendo una netta distinzione dei ruoli tra una Camera titolare di rapporto di fiducia con l'Esecutivo, ed un Senato rappresentativo delle regioni e degli enti locali; diventiamo a livello europeo uno dei Paesi più virtuosi dal punto di vista del numero dei parlamentari: non era questo uno degli obiettivi che l'armata della demagogia dell'antipolitica si poneva ? Oggi scriviamo la parola «fine» su storia delle province e di CNEL, un ente costoso di cui la maggioranza degli italiani ignora perfino l'esistenza. Oggi risolviamo la stortura delle materie concorrenti fra Stato e regioni, che tanto lavoro ha dato alla Corte costituzionale negli ultimi quindici anni, dopo la sciagurata riforma del Titolo V del 2001.
Mi permetta allora, signora Presidente, un ringraziamento sincero a tutti i parlamentari che hanno deciso, fondando Alleanza Liberalpopolare, di seguire con sofferenza la linea della coerenza, sposando un progetto che anche con il voto di oggi vuole inserirsi nella migliore tradizione del riformismo italiano: che non è la pretesa di far convergere sulle proprie posizioni forze politiche diverse e distanti, ma la continua ricerca delle possibili mediazioni nell'interesse del Paese. Lo abbiamo fatto senza rinnegare la nostra storia, lo abbiamo fatto memori di queste parole: «È @pagina=0048@poi necessaria una riforma dell'attuale sistema bicamerale, che, anche per l'eccessivo numero dei parlamentari, comporta un inutile spreco di lavoro e lungaggini dei procedimenti decisionali, quali nessuna moderna democrazia potrebbe più permettersi. Tale riforma dovrà essere nel senso della trasformazione della seconda Camera in un organo rappresentativo delle autonomie locali». Sono parole pronunciate dal Presidente Silvio Berlusconi il 2 agosto del 1995 in quest'Aula dei deputati. Noi non abbiamo cambiato idea, e fosse anche per i soli nostri voti (ma sono certo che ne referendum confermativo saranno molti di più) questa riforma costituzionale avrà anche il timbro della nostra storia. E ce l'avrà perché voteremo «sì»: voteremo «sì» oggi a questo disegno di legge di riforma costituzionale, voteremo «sì» domani al referendum confermativo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero). PAGINA: 0048 GIUSEPPE CIVATI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, voglio partire da una profezia: tra cinque anni, forse meno, ci troveremo a discutere della necessità di abolire un Senato piccolo, equivoco e senza importanza; piccolo, equivoco e senza importanza, ma capace di creare una vera e propria confusione, anche perché potrà intervenire ancora sulla questione più importante della vita parlamentare, e mi riferisco evidentemente alla riforma della Costituzione. Ci troveremo a discutere tra qualche anno di una legge elettorale che avrà definitivamente ucciso la rappresentanza; e ce ne lamenteremo, sì, come abbiamo sempre fatto, e diremo cose terribili tutti quanti, smentendo noi stessi come capita anche in questa occasione.
Oggi, però, la maggioranza voterà questa revisione della Costituzione. Voglio dirlo come prima cosa, la riforma non è una risposta alla crisi della democrazia e della rappresentanza, al disorientamento dei partiti e della loro funzione storica: è l'inveramento e il trionfo di questa crisi. Avremmo dovuto lavorare sulla diffusione del potere e favorire la partecipazione politica dei cittadini e la centralità del Parlamento, mentre al contrario così la riforma porta la crisi alle estreme conseguenze, dice oggi giustamente Gaetano Azzariti.
«Calamandrei ma non posso», potremmo dire, perché rispetto a Calamandrei, che invitava il Governo ad un atteggiamento di grande umiltà rispetto alla Costituzione, noi invece osserviamo una riforma fatta dal Governo, del Governo e per il Governo.
Del resto, è cronaca: sulle trivelle, sulla depenalizzazione della cannabis, sul reato di clandestinità stiamo ammirando, davvero ammirando, come il Governo rispetti il lavoro del Parlamento e le iniziative dei cittadini. E non c’è ancora la riforma: figuriamoci quando ci sarà. D'altra parte, è chiaro che si limita la possibilità di ricorso agli strumenti di partecipazione politica dal basso, in questa proposta. Del resto, in quest'Aula non si può discutere del fine vita né delle altre proposte d'iniziativa popolare su temi centrali per la vita delle persone, che evidentemente interessano poco.
E poi c’è l'Italicum, un Porcellum con le ali, che completa il quadro, in un sistema che diventa una filiera perfetta tra partiti, Governo e Parlamento. Tutto sotto controllo, una cosa dentro l'altra, in una sorta di matrioska incostituzionale. Meglio sarebbe stato superare il Senato definitivamente, meglio sarebbe stato aprire una riflessione o un dibattito pubblico sulle autonomie locali, dopo anni di ubriachezza verso il tema della federalismo; non accentrare tutto quanto, ancora una volta, nelle mani del Governo, ricoverando in una sorta di ospizio i consiglieri regionali e qualche sindaco pescato a casaccio nelle diverse regioni.
Non è, quella che discutiamo, né una Camera delle regioni né un organo di garanzia; non è viva né morta, questa @pagina=0049@Camera. Uno dice: però così si semplifica. E però non è vero nemmeno questo: è un testo, il presente, che ha mostruosi problemi di funzionamento; un testo impresentabile per molti aspetti, pieno di contraddizioni, di difficoltà e di insidie attuative: dall'assurda costruzione di un Senato rappresentativo, ma solo fino ad un certo punto e non si sa bene come, di autonomie territoriali, di cui, nel frattempo, sono contraddittoriamente ridotti i poteri, a un procedimento legislativo che assume una quantità di variabili capaci di buttare la legislazione in un vero caos.
E, intanto, l'iniziativa legislativa dei cittadini rimane priva della possibilità di imporsi, salvo un generico rinvio ai regolamenti, e quella del Governo, invece, si dota di un voto a data certa. Senza considerare – potrei andare avanti all'infinito – le difficoltà di stabilire quali leggi siano bicamerali, potendo dar vita a conflitti che certamente non è detto che l'accordo tra i Presidenti delle Camere, pure auspicabile, sia in grado di risolvere. E se non ci riescono ? Interviene la Corte.
C’è poi il pasticcio del controllo preventivo sulla legge elettorale, denunciato pure dal Presidente della Corte, l'indebolimento della stessa Corte costituzionale, per non parlare delle numerose disposizioni vuote, dalla valutazione delle politiche pubbliche, rimessa al Senato insieme ad altre funzioni, che non sono in alcun modo definite e che già si sta discutendo su cosa possano significare – come dire: Senato, trovati un ruolo, se puoi, se ci riesci –, alla finta introduzione di un referendum propositivo, che lascia, poi, alla legge costituzionale, che è quindi come ricominciare daccapo, la sua definizione.
La riforma non si può considerare separata dall'Italicum: quello del Governo è un piano elaborato insieme, il combinato disposto c’è fin dall'inizio, ed è stato un errore – lo dico senza polemica, ma con grande amarezza, soprattutto per chi dissente all'interno della maggioranza – non avere fermato questo piano e questo disegno, e un rinsavimento, un moto d'orgoglio costituzionale non sembra al momento atteso – lo dico con dispiacere – né per questo voto né in seconda lettura, neppure in quel Senato in cui gli equilibri politici consentirebbero una valutazione più ponderata.
E non si può volere e pentirsi, diceva il poeta. Come voteranno al referendum costituzionale coloro che definiscono l'Italicum una pessima legge elettorale e la riforma costituzionale largamente pasticciata e in parte irricevibile ? Voteranno sì, come voteranno sì oggi e nel prossimo passaggio parlamentare ? Ecco, lo dico con chiarezza: si sappia che chi vota a favore non ha poi il titolo per lamentarsi dei risultati che il famoso combinato disposto produrrà.
Chi vota a favore è d'accordo per definizione. Si dice: ma voi siete i conservatori. Ma non è che tutto questo è stato fatto per conservare se stessi, equilibri politici mai votati dai cittadini, un certo trasformismo dei programmi e delle opinioni, le larghe intese prorogate sine die e pronte a riproporsi in un centro politico intorno al quale far gravitare tutto quanto ? E così, dopo sedute a oltranza, fiumi e canguri – e viene in mente il titolo di un libro di Aldo Busi «Votazioni con fiducia» – il complesso delle iniziative del Governo si compie con la lettura plebiscitaria del referendum costituzionale. Il precedente più illustre, quello di De Gaulle, finì male: diciamo che, forse, questa può essere un'altra profezia del mio intervento di oggi.
Strappo dopo strappo, strappiamo, quindi, tutto quanto. Noi, per tutte queste ragioni, e ce ne sono molte altre, voteremo «no», in ragione di una coerenza di posizioni che ci accompagna fin dall'inizio della legislatura, che doveva essere breve e, nonostante la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, è diventata infinita anch'essa.
Riproporremo, però, fin da domattina, le nostre proposte. Lo dico perché la mia non è una critica in assenza di proposte alternative: la proposta atto Camera n. 2227 è stata presentata due settimane prima di quella del Governo e prevedeva una riduzione del numero dei parlamentari @pagina=0050@in entrambe le Camere, la valorizzazione del ruolo dei cittadini e della loro partecipazione politica, il rafforzamento – potremmo citare Mortati – della democrazia diretta e la trasformazione della volontà dei cittadini in iniziativa legislativa, la semplificazione delle procedure ben più precisa di quella che stiamo discutendo, una garanzia dell'equilibrio tra poteri, che, invece, salta completamente, e anche una garanzia delle autonomie, come dicevo.
Ecco, penso che noi siamo qui, ma saremo, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, in giro per il Paese per bocciare questa riforma senza appello e proporne un'altra, la prossima. E il senso della parola «prossima» in questo caso è più vicino alle esigenze della nostra democrazia e dei nostri concittadini; una democrazia che non può vivere di uomini soli al comando, e verrebbe da dire «solo al comando», cioè l'importante è rimanerci. Ecco, credo che ci meritiamo di meglio e ci meritiamo di più (Applausi dei deputati del gruppo Misto – Alternativa Libera – Possibile e di deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà). PAGINA: 0050 MASSIMO ENRICO CORSARO. Grazie, signora Presidente. Conservatori e Riformisti voteranno contro questa finta riforma della Costituzione. Voteremo contro perché ciò cui siamo di fronte è l'ennesimo spot elettorale in cui si spreca un'occasione importante. Onorevole Presidente, chi le parla non è mai stato né mai sarà un commosso sostenitore dell'attuale Carta costituzionale, ma non vi è dubbio che una Costituzione non si cambia, purtroppo o per fortuna, ogni stormir di fronda.
E noi ci stiamo giocando, in questa legislatura, un'occasione, che non sappiamo quando e se si ripeterà, per così poco, per quasi nulla. Noi voteremo contro perché la riforma della Costituzione è un atto che dovrebbe assolutamente competere al ruolo, alla competenza e alla responsabilità del Parlamento. In questo caso, invece, il Presidente del Consiglio ha deciso di imporla per affermare il suo dominio all'interno di un partito che, pur avendolo eletto alla propria guida, continua a non amarlo, mortificando la dignità stessa del suo gruppo parlamentare. Una riforma purché sia, basta conquistare una fotografia sulla prima pagina di un giornale.
Voteremo contro perché questa è una riforma di parte. Come già quando avete provveduto a cambiare, con una risicatissima maggioranza, il Titolo V della Costituzione, la sinistra dà prova, quando governa, di intendere la definizione delle regole comuni del gioco come cosa e come affare proprio; e, come già con la riforma del Titolo V, finiremo impantanati in una serie di conflitti di interesse, che derivano dalla lettura di quello che avete scritto in questa riforma.
Voteremo contro perché avete immaginato, sin dall'inizio, un testo che fosse contemporaneamente in grado di garantirvi sine die il Governo della Repubblica e l'elezione del Presidente della Repubblica. Avete cercato di fare i furbi, perché avete immaginato una riforma della Costituzione pensando di avere definitivamente acquisito una dimensione numerica nel contesto elettorale che già oggi appare vana e lontana dalle vostre reali possibilità. Come avete già capito, molti tra voi che immaginano come e quando mettere mano a una riforma elettorale anch'essa scritta per quei fini, le vostre furbate finiscono per ritorcersi contro voi stessi, perché, se c’è una cosa di buono, è che la specialità della sinistra nostrana, onorevole Presidente, è che, quando sembra non avere avversari, si incarta da sola per seguire le proprie ideologie aberranti, finendo per implodere.
Lo vedremo di qui alle prossime poche settimane, quando cercherete di intestardirvi sul tema delle adozioni da parte delle coppie omosessuali e quando cercherete di affrontare il tema dell'abolizione del reato di immigrazione clandestina in un'epoca, in una stagione, in cui tutto l'Occidente si @pagina=0051@sta interrogando, viceversa, sulla necessità di ergere delle barriere all'incontrastato fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Voteremo contro, onorevole Presidente, perché è mancato il coraggio per realizzare il presidenzialismo. Come per la legge elettorale, anche in questo caso, voi dimostrate di temere la scelta e il voto libero degli italiani, preferendogli le scelte che combinate all'interno delle quattro mura della segreteria del vostro partito. Ed è mancato in questo, drammaticamente, l'azione, il pungolo, la coscienza, la presenza, la volontà, la capacità politica nel centrodestra, onorevole Presidente, a partire da Forza Italia, che ha mostrato su questo percorso di riforma, e purtroppo per larga parte dei provvedimenti che hanno contraddistinto questa legislatura, uno strabismo che l'ha portata prima a condividere, poi a rinnegare, infine a convenire sottobanco alla realizzazione di questa riforma, per l'evidente attesa di uno scambio di favori su un piano tutt'affatto che politico. Vicenda questa che avrebbe dovuto, a nostro avviso, vedere sollevare la reazione, l'orgoglio, la volontà di riportare le cose al vero di tanta e tanta parte dei rappresentanti istituzionali del centrodestra, che, invece, silentemente si sono accodati. La notte scorsa, onorevole Presidente, è mancato David Bowie: mi piace dire ad alcuni esponenti di questa metà del campo che per davvero si può essere eroi nella vita, almeno per un giorno.
Voteremo contro, onorevole Presidente, perché voi appesantite, anziché alleggerire, il numero, il peso, la qualità e la quantità delle competenze dello Stato. Il nostro apparato pubblico vanta il triste record di essere il più inefficiente al mondo. Lo Stato per il cittadino italiano è diventato il nemico. Ciò che servirebbe, quella che è la nostra ricetta, è uno Stato che sapesse fare, e molto bene, cioè in modo assai diverso da quello che sta facendo oggi, poche, pochissime cose: garantire la difesa e la sicurezza dei cittadini, garantire la dignità e la tutela dell'interesse nazionale in ambito di politica estera. Uno Stato che curasse, anche in collaborazione con il privato, il diritto alla salute, all'istruzione, ai trasporti, all'assistenza, ma che per tutto il resto si levasse dai piedi nella quotidianità delle famiglie, delle persone e delle imprese. Non avete accolto la nostra proposta di inserire un tetto al prelievo fiscale. Avete perso un'occasione storica per invertire il rapporto tra i cittadini e l'amministrazione: non più, secondo la nostra richiesta, uno Stato che spende a dismisura, senza controllo, sapendo che continuerà a chiedere sempre più tasse ai cittadini per pagare quella spesa pubblica, ma una politica responsabilizzata, vincolata ad utilizzare solo e soltanto i soldi che si possono acquisire, chiedendo ai cittadini non un centesimo di più di quello che in Costituzione dovrebbe essere inserito possa essere chiesto ai cittadini, per ribadire un concetto che ci è caro, espresso dal Premier inglese Margaret Thatcher, secondo la quale non esiste il denaro pubblico, esiste solo il denaro del contribuente, del cittadino che paga le tasse. Voi, invece, secondo il vostro costume, preferite uno Stato che condizioni, che ricatti, che, con la speranza di un qualche provvedimento assistenziale, riduca i cittadini allo stato di sudditi non delle istituzioni, ma delle segreterie di partito.
Oggi il Premier già parla del referendum come se fosse una sua magnanima concessione agli italiani. È bene che gli italiani sappiano che il referendum non è un regalo del Presidente del Consiglio, è una procedura richiesta dalla legge nel momento in cui si cambia la Costituzione senza la maggioranza qualificata dei due terzi, cioè non coinvolgendo tutte le forze politiche, ma cercando di fare furbescamente il proprio interesse con una modifica a maggioranza, come già avete fatto con la riforma del Titolo V e come state tornando a fare oggi.
Lei, Presidente Renzi, non passerà alla storia come l'uomo che ha cambiato l'Italia, sarà solo, purtroppo per tutti noi, l'ennesimo, speriamo ultimo, inquilino di Palazzo Chigi che ha occupato quella poltrona senza essersi mai chiesto, per davvero, che cosa serva all'Italia e agli italiani.@pagina=0052@
Quanto infine, onorevole Presidente, al centrodestra, alla parte che ci sta davvero a cuore, ci corre l'obbligo di dire che il percorso delle riforme è stato un passaggio a vuoto che ha drammaticamente ben rappresentato lo stato dell'arte nella nostra metà del campo. Chi tratta di nascosto, fuori e lontano dal Parlamento, chi si abbandona alla demagogia di piazza, chi scimmiotta per qualche simpatia in più gli slogan pauperisti della peggiore sinistra sindacale. Quello che ci serve, quello che ci servirebbe, è di superare l'atavico ricordo di quello che avrebbe potuto essere e che, purtroppo, non è stato. Serve salutare con gratitudine, ma senza rimpianti, chi è stato protagonista di una stagione che, alla prova dei fatti, si è dimostrata meno gloriosa di quanto avrebbe dovuto e potuto essere. Serve anteporre, finalmente, idee, programmi e contenuti, alle vane e vacue dispute su leadership che non si capisce ancora che cosa, chi e quanto dovrebbero rappresentare. Quella che serve, e concludo Presidente, è una comune visione per l'Italia di domani, perché quella di Renzi è già al crepuscolo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti). PAGINA: 0052 FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentanti del Governo, noto che i banchi del Governo si sono riempiti e questo certamente è un segno positivo. Noi siamo una forza d'opposizione leale. Diversamente da altri, riteniamo di avere dimostrato un importante senso dello Stato e delle istituzioni e per questo, pur anticipando, come è scontato (siamo del resto in seconda lettura qui alla Camera), il nostro voto contrario, vorrei per paradosso fare un ragionamento al contrario, su come avremmo potuto invertire la nostra sensibilità e sostenere il Governo, fermo restando che quando si parla di riforme, automaticamente, a maggior ragione, se si parla di riforma della Costituzione, sarebbe necessario – lo sarebbe stato davvero – cercare di coinvolgere la maggior parte delle forze politiche presenti in un accordo ampio, magari abbastanza ampio da garantire un'approvazione con i due terzi delle forze parlamentari e quindi con l'impossibilità di ricorrere al farraginoso e costoso meccanismo del referendum confermativo. Avremmo come Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale votato a favore innanzitutto se, una volta per tutte, si fosse addivenuti alla possibilità da parte dei cittadini italiani di eleggere direttamente il Capo dello Stato, quello che nel lessico politologico va sotto il titolo di presidenzialismo. Persino Massimo D'Alema, ormai oltre un decennio fa, era riuscito a trovare una formula mostrando, evidentemente, un desiderio di sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda non solo e non tanto dell'allora rappresentanza parlamentare e politica, ma anche sulla lunghezza d'onda del popolo italiano, fermo restando che il desiderio di poter eleggere direttamente il Presidente della Repubblica da parte dei cittadini ha nei sondaggi delle percentuali che mettono i brividi, che vanno al di sopra dello stesso 90 per cento; tetto elevatissimo delle indicazioni di cittadini. Avremmo votato a favore se ci fosse stata la capacità di mostrare questa sensibilità. Avremmo senz'altro messo in discussione la nostra vocazione di opposizione al Governo Renzi, se lo stesso Governo Renzi avesse testimoniato il desiderio di sconfiggere l'oppressione fiscale, intervenendo, lo avrebbe potuto fare, ponendo un tetto alle tasse. Noi, nei nostri emendamenti, anche di questo abbiamo parlato, emendamenti come il precedente sul presidenzialismo, bocciati dalla maggioranza di Montecitorio.
Avevamo immaginato che questo tetto potesse attestarsi intorno al 40 per cento del prodotto interno lordo proprio per garantire una forma di protezione e difesa del cittadino, del contribuente, della famiglia e dell'impresa italiana come dei lavoratori dipendenti, cioè invertendo il meccanismo e immaginando che comunque la capacità dello Stato di entrare a gamba tesa nella vita dei cittadini dovesse individuare @pagina=0053@un limite, che non potesse accadere mai e mai più che un Governo in televisione dica di voler diminuire la spesa pubblica improduttiva salvo poi, a ogni stagione, a ogni legge di stabilità, vederla aumentata. Avremmo votato a favore se si fosse introdotta una norma capace di garantire l'equità generazionale e quindi di impedire quel che è accaduto – di cui siamo vittime – in questi decenni interminabili di secondo dopoguerra, allorché le presenti generazioni e peggio ancora le future generazioni devono sobbarcarsi l'onere di un debito pubblico pari a 2.200 miliardi di euro senza avere di fronte a sé alcuna garanzia per il proprio futuro, per la propria previdenza, per la propria sicurezza nella terza età. Si sarebbe potuto fare, sono norme in buona parte dettate non dalla furia ideologica ma soltanto dal buonsenso, perfettamente in sintonia con le sensibilità dei cittadini e del popolo italiano, per non parlare di quelle ancora più innocue che avrebbero potuto mettere in gioco anche la prima parte della Costituzione, ma a nostro giudizio di principi, perché quando si parla di Costituzione si parla di principi fondamentali. Noi, per esempio, non abbiamo ancora associato all'adozione della bandiera nazionale l'inno nazionale, né addirittura abbiamo associato alla nostra comunità nazionale la sua lingua di riferimento; da nessuna parte in Costituzione è scritto che la lingua italiana è la lingua del popolo italiano e lo avremmo potuto fare a maggior ragione oggi che si è festeggiato fino al 31 dicembre l'anniversario – un anniversario importante – di Dante Alighieri, padre della lingua italiana e quindi di un pezzo saliente della identità nazionale. Avremmo votato a favore se il Governo avesse messo in moto con coraggio, non soltanto polemizzando a stagioni alterne quando fa comodo con la Cancelliera Merkel, un meccanismo di liberazione dal gioco europeo dell'euroburocrazia, della eurocrazia, garantendo il diritto alla sovranità nazionale e quindi svincolando almeno dal punto di vista della costituzionalizzazione il rapporto tra Italia ed Europa e quindi l'obbligo in automatico di ereditare i peggiori capricci, anche quelli antitetici rispetto alla tutela dell'interesse nazionale, dell'interesse debole e diffuso della nostra comunità. Non lo avete voluto fare anche se gorgheggiate in sede di Unione europea di rapporti, di frizioni, di volontà di far contare di più l'Italia salvo mantenere tutto perfettamente immodificato, compresa la subalternità dell'Italia e dell'Europa meridionale rispetto alle esigenze diverse di moneta forte e di economia dirigista e di rigore dell'Europa settentrionale. Avremmo votato a favore se vi foste decisi a fare le cose sul serio anche sul piano della nuova architettura dello Stato, se aveste accettato la nostra proposta di abolizione delle regioni e di nascita di 36 distretti esattamente come propone non già qualche Azzeccagarbugli ma l'Istituto geografico italiano, che sotto questo aspetto ha fatto profondi studi e ha potuto determinare la migliore possibile organizzazione dello Stato e degli enti locali, del sistema delle autonomie locali, per la nostra nazione.
Non ci avete pensato proprio perché avete preferito accontentarvi della finta abolizione delle province: le province restano in piedi, è bene che se lo ricordino i cittadini italiani, è stata soltanto abolita la possibilità degli stessi di eleggersi i consiglieri provinciali, di designare gli assessori provinciali, di decidersi i presidenti di provincia, esattamente come sta accadendo con la finta abolizione del Senato, che non viene abolito neppure terminologicamente perché resta perfettamente conservata la titolazione del Senato, però viene abolito allo stesso modo simmetricamente il diritto da parte dei cittadini di designare i senatori, e con improvvida capacità di creare confusione da parte del Presidente Renzi – concludo – si è arrivati alla degenerazione dell'inserimento in Costituzione, una Costituzione che ha resistito a maggior ragione perché volava alto e parlava di principi, di una sorta di legge elettorale nascosta, facendo designare il futuro Senato della Repubblica nelle elezioni regionali dai partiti, anche qui abolendo la democrazia cioè abolendo il diritto dei cittadini di prendersi delle responsabilità. @pagina=0054@Queste sono le ragioni profonde, incontrovertibili – l'ambiguità, la riforma cervellotica, la scontatezza delle vostre decisioni – per le quali Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale convintamente vota contro questa vostra proposta (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale). PAGINA: 0054 GIAN LUIGI GIGLI. Signora Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, a distanza di dieci mesi quest'Aula torna ad esprimersi per la seconda volta sul testo di riforma costituzionale. Per quanto riguarda le novità introdotte durante il secondo passaggio al Senato, il nostro gruppo considera un passo avanti l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati in occasione del rinnovo dei consigli stessi. Da convinti regionalisti valutiamo positivamente anche l'allargamento alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali e al commercio con l'estero delle materie che possono essere attribuite alle regioni nell'ambito del cosiddetto «regionalismo differenziato». Soprattutto, rispetto al nostro emendamento approvato in prima lettura con cui si limitavano i poteri sostitutivi dello Stato previsti dall'articolo 120 della Costituzione, garantendo l'intangibilità delle competenze delle regioni e delle province autonome previste dagli statuti e dalle norme di attuazione fino all'adeguamento degli statuti stessi, noi, da autonomisti convinti e pervicaci, riteniamo un sostanziale passo avanti l'emendamento approvato al Senato con il quale, da un lato, l'espressione «adeguamento degli statuti» è stata sostituita con «revisione» per riferirsi al momento dal quale, il Titolo V riformato risulterà applicabile alle regioni a statuto speciale e alle province autonome; dall'altro, si prevede l'applicabilità alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, a decorrere dalla revisione dei predetti statuti, dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relativo al regionalismo differenziato, con una disciplina transitoria per il periodo precedente e comunque solo previa intesa. Attribuiamo inoltre importante significato pratico all'introduzione della possibilità di approvare la nuova legge elettorale del Senato anche nella legislatura in corso, accordando i dieci giorni successivi all'entrata in vigore per eventuali ricorsi alla Corte costituzionale così come l'introduzione di un termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della nuova legge elettorale del Senato entro il quale le regioni debbano adeguarsi alla stessa. Per il resto non possiamo che confermare i giudizi positivi e le riserve già espresse in quest'Aula il 12 marzo 2015 in occasione della dichiarazione di voto al termine della prima lettura. La riforma determina certamente il superamento del bicameralismo paritario perfetto e rivede in profondità il procedimento legislativo per renderlo più rapido e per garantire una più efficace azione di governo.
Dopo la mal riuscita revisione del Titolo V nel 2001, essa, prendendo atto che lo Stato e le regioni non sono stati mediamente all'altezza della sfida sulle materie di legislazione concorrente, riordina e semplifica il rapporto tra lo Stato e le regioni, con l'obiettivo di superare i conflitti di competenza e di ridurre i contenziosi davanti alla Corte costituzionale.
Sul superamento del bicameralismo paritario, tuttavia, pur apprezzando – come ho appena detto – le modifiche apportate al Senato sull'individuazione dei senatori espressi dai consigli regionali, non possiamo non ribadire la nostra preoccupazione che l'azione del nuovo Senato possa rimanere sganciata da quel principio di responsabilità su cui dovrebbe fondarsi ogni Assemblea rappresentativa. Vogliamo ribadirlo per la capacità del nuovo Senato di rappresentare davvero le autonomie territoriali. Il problema non risiede, per noi, nell'elezione di secondo livello, ma nel fatto che la sua composizione sarà frutto di equilibri di partito lontana anni luce dal modello del Bundesrat e priva, altresì, di un vincolo di mandato in grado di garantire @pagina=0055@che almeno nelle materie regionali i futuri senatori rappresentino davvero le necessità e le vedute dei governi regionali.
Dobbiamo ripeterlo: senza responsabilità non viene meno la reale rappresentanza e con la composizione prevista e l'assenza di vincolo di mandato i membri del futuro Senato non potranno rappresentare di certo le regioni, con le quali l'interlocuzione del Governo dovrà necessariamente continuare ad esercitarsi nell'ambito della Conferenza Stato-regioni.
Per quanto riguarda il secondo qualificante aspetto della riforma, cioè il rapporto tra lo Stato e le regioni, sarà il tempo a dirci se il modello rigido scelto nella distinzione delle competenze non riaprirà la stagione dei contenziosi davanti alla Corte costituzionale, anche per il permanere di una zona grigia relativa a quelle materie i cui principi generali sono affidati alla competenza dello Stato, mentre la legislazione specifica rimane in capo alle regioni. Non possiamo, tuttavia, non lamentare il fatto che è stata persa l'occasione per una riflessione serena e alta sul modello delle regioni, tale da permettere di immaginare modelli di autonomia più ampia fondati sui principi di sussidiarietà, di responsabilità e di solidarietà.
Infine, per quanto riguarda lo snellimento del processo legislativo, mentre siamo favorevoli all'introduzione dell'istituto del voto a data certa per i provvedimenti che caratterizzano il programma dell'Esecutivo e ai quali il Governo attribuisce carattere di urgenza, provvedimento che mira a rafforzare la governabilità riducendo, al contempo, gli abusi nel ricorso al voto di fiducia, manteniamo, tuttavia, alcune perplessità per la complessità del processo legislativo.
Occorre, inoltre, sottolineare che esso potrebbe essere messo duramente alla prova dall'oggettiva difficoltà di distinguere il ruolo legislativo di Camera e Senato all'interno di uno stesso provvedimento, per la presenza simultanea, nel testo, di materie di esclusiva competenza dello Stato e di materia di competenza regionale. Resta, dunque, il rischio che anche sotto il versante della distribuzione delle iniziative e dei poteri legislativi tra Camera e Senato possano aprirsi nei prossimi anni contenziosi.
Mentre guardiamo con speranza alla possibilità che la riforma che stiamo per votare possa favorire la governabilità e velocizzare il procedimento legislativo, essa, tuttavia, non dovrebbe comportare, per quanto ci riguarda, una trasformazione silente del sistema parlamentare in un sistema presidenziale de facto. Da questo punto di vista, essendosi dimostrata impraticabile un'ulteriore riflessione sui contrappesi – a parte il positivo accordo trovato in prima lettura sul meccanismo per l'elezione del Presidente della Repubblica – rileviamo che il rafforzamento del valore governabilità richiederebbe un pari rafforzamento del valore rappresentanza e ciò richiede, innanzitutto, una grande riflessione – lo abbiamo definito, signora Ministro, un «grande cantiere» – sui partiti, sulla loro forma, sulla loro apertura alla società, sul loro rapporto innovativo con le culture politiche e con le nuove sensibilità sociali.
Richiede anche, se necessario, il coraggio di modificare ancora la nuova legge elettorale, in modo tale da esaltare, per l'una o per l'altra via, la rappresentatività della nuova Camera. È da evitare il rischio di concentrazione di potere eccessivo nelle mani di chi, rimanendo pur sempre minoranza, in un sistema che sarà evidentemente almeno tripolare, riuscirà ad avere la maggiore percentuale di consensi elettorali.
Con queste valutazioni, pur consapevoli di alcune perplessità, il gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico non farà mancare il suo voto a una riforma costituzionale tanto attesa e il cui naufragio equivarrebbe a una dichiarazione di impotenza del Parlamento e di irriformabilità delle istituzioni. Riteniamo, pertanto, nostro dovere non arrestare questo percorso e far prevalere, alle pur legittime riserve, l'esercizio di una grande responsabilità verso il Paese.
Avremmo voluto qualcosa di diverso e, tuttavia, non possiamo non ritenere a questo punto accettabile l'equilibrio faticosamente @pagina=0056@raggiunto e votare, con realismo politico, questa riforma, anche se essa, nonostante tutto, non riesce ad entusiasmarci (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico). PAGINA: 0056 CRISTIAN INVERNIZZI. Grazie, Presidente. Oggi ci troviamo a votare quello che dovrebbe almeno essere, nelle intenzioni del Governo e della maggioranza, il testo definitivo della madre di tutte le riforme, così come è stata recentemente definita dal Presidente Renzi, cioè uno di quei compiti a casa che lo stesso Presidente Renzi afferma di aver fatto e che afferma di poter ostentare con orgoglio in Europa, per dimostrare all'Europa stessa che l'Italia non è più l'Italietta che tutti conoscevano, che l'Italia è cambiata e che, quindi, ormai può sedersi legittimamente nei posti riservati ai bravi e ai belli e poter discutere del futuro dell'Europa stessa.
Non so se l'Europa sarà contenta; non so se all'Europa interessa veramente quello che noi oggi stiamo facendo, quello di cui stiamo discutendo; non so se anche questo appartiene allo storytelling renziano, cioè appartiene al modo distorto con cui il Presidente del Consiglio Renzi legge la realtà.
Comunque, qualunque sia la verità, parte ufficialmente il countdown che alla sua scadenza – probabilmente ad ottobre – vedrà i cittadini italiani pronunciarsi circa l'accoglimento o meno di quello che voi avete scritto. Questa probabilmente è l'unica nota positiva di questo percorso, cioè che mancano soltanto dieci mesi al punto, alla parola «fine» di una questione che ci ha tenuti impegnati per due anni e mezzo ormai – cioè praticamente fin quasi dall'inizio della legislatura – e che, in qualche modo, si concluderà con la parola definitiva da parte dagli italiani.
Noi sappiamo già che il Presidente Renzi, anche se dice che non ha intenzione di trasformare il referendum in un plebiscito su se stesso, invece farà sostanzialmente per dieci mesi una campagna referendaria improntata su un refrain che ormai conosciamo bene. Cioè, andrà in giro a dire a tutti gli italiani che per fortuna è arrivato Renzi, che per fortuna che da un anno e mezzo, quasi due, governa lui, che per fortuna è arrivato lui a fare quello che mai nessuno era riuscito a fare nei 70 anni di storia repubblicana precedente, cosa che ovviamente è assolutamente una falsità. Infatti, vorrei ricordare al Presidente Renzi che mentre lui si occupava in modo probabilmente anche più o meno egregio della provincia di Firenze, vi era un Parlamento che all'epoca si era impegnato a fare delle riforme. La legislatura che va dal 2001 al 2006 aveva portato a casa una riforma costituzionale che, se fosse stata poi accolta dagli italiani, avrebbe consegnato all'Italia, già a partire da oggi, cioè dal 2016, la fine del bicameralismo perfetto. In qualche modo, avremmo già fatto quei compiti a casa con dieci anni di anticipo rispetto a quello che dice il Presidente Renzi.
Era un Parlamento, quello, che ha avuto anche il coraggio di intervenire su alcuni temi importanti e fondamentali. Mi riferisco alla riforma del lavoro, alla riforma della scuola, alla riforma delle pensioni, che voi fingete di non ricordare, alla «riforma Maroni», cioè a quella riforma che, quando poi vinse di nuovo Prodi, come primo atto del suo Governo e della sua maggioranza abolì. Si tratta cioè dello «scalone» di Maroni, che tra l'altro venne osteggiato da tutta una serie di scioperi generali che poi l'Italia non ha più avuto il piacere di vedere, perché si vede che quando governa il centrodestra allora i sindacati si ricordano di fare il loro mestiere; quando invece governa il centrosinistra i sindacati stanno zitti.
Comunque, noi le riforme le avevamo fatte; vi era un forte istinto riformatore che aveva guidato quel Governo e ci fu, secondo noi, anche tutta una serie di riforme giuste, tanto è vero che dopo lo scalone di Maroni, che voi avete abolito, avete dovuto ricorrere a quella che invece @pagina=0057@possiamo definire la «scala santa» della Fornero, «scala santa» perché si deve percorrere in ginocchio, i cui effetti, ancora oggi devastanti, vediamo: mi riferisco alle ultime notizie circa la possibilità di andare in pensione per le donne, che abbiamo visto maggiorata ancora di un anno e mezzo. Noi eravamo allora convinti di aver fatto qualcosa di buono e qualcosa di giusto, ma avevamo fatto qualcosa che voi avete fatto dieci anni dopo. Vedremo a ottobre cosa diranno gli italiani circa la vostra volontà riformatrice. Oggi però il Parlamento, nel quasi silenzio totale di quelli che allora si stracciavano le vesti di fronte alla volontà da parte del centrodestra di riformare la Costituzione più bella del mondo – ci ricordiamo Giustizia e Libertà a Milano, il Popolo Viola, i sindacati, la sinistra stessa, che ad ogni piè sospinto ricordava e diceva come il centrodestra stesse in qualche modo offendendo la memoria dei padri costituenti che erano usciti dalla guerra antifascista – ha approvato una riforma costituzionale che potremmo definire sostanzialmente patetica. Faccio un esempio: la norma con la quale avete scritto in Costituzione il metodo di elezione dei senatori. Concordiamo almeno su un fatto: indipendentemente e al netto di tutte le polemiche che potrebbero nascere dalla considerazione che è una norma che nasce da un accordo interno al partito di maggioranza e quindi è sostanzialmente la continuazione di un congresso di partito, i cui esiti la minoranza del Partito Democratico non vuole accettare e che invece la maggioranza del Partito Democratico considera definiti, la norma è scritta male, è scritta in un italiano sostanzialmente vergognoso; non si capisce bene di preciso cosa indichi, se non che i senatori vanno eletti in conformità al voto espresso dagli elettori. Questo si chiama principio democratico e ci mancherebbe che i senatori dovessero venire nominati non in conformità alla volontà degli elettori.
In secondo luogo, vi è la clausola di supremazia, una clausola che attiene alla legge nazionale rispetto a quella regionale, è una clausola che stabilisce sostanzialmente la fine, la morte di ogni istinto, di ogni volontà e di ogni possibilità di inserire il federalismo nella nostra Costituzione. Con questa clausola noi diciamo addio al federalismo. Le regioni, a differenza di quanto detto prima da alcuni miei colleghi, non sono valorizzate, ne escono sminuite, ne escono in qualche modo frustrate. La questione degli enti e delle autonomie locali è qualcosa che viene messa sostanzialmente sotto ai piedi, calpestata e violata. Tutto ciò, onorevole Presidente, ci fa capire che la Carta costituzionale che stanno cambiando era, a differenza di questo, invece il frutto di tre grandi culture, che all'epoca informavano di se stesse le forze politiche che costituivano l'Assemblea costituente: vi era la cultura cattolica, quella liberale e quella socialista.
Io mi chiedo invece oggi questa Costituzione a quale cultura politica appartenga. Non è chiaro e non si capisce bene quali siano i fondamenti politici e giuridici che stanno alla base di un cambiamento simile all'interno della nostra Costituzione.
In poche parole, potremmo dire che questa è una Costituzione che ha alla base un bieco centralismo, perché – come ho detto prima – le regioni sono poste in un ruolo subalterno rispetto al Governo centrale, che risponde ad un presunto efficientismo, quello che Renzi continua a sbandierare ai tre venti. In una parola, la cultura politica alla quale risponde la riforma costituzionale è il renzismo – e mi avvio alla conclusione –, quella cultura politica che fa dell'efficientismo la base della sua attività, indipendentemente da tutto quello che può invece, secondo noi, contare maggiormente. A cosa mi riferisco ? A titolo esemplificativo, le recenti elezioni in Spagna hanno consegnato un quadro politico sicuramente complicato e Renzi non ha perso occasione per dire: «Vedete, se l’Italicum – perché dobbiamo parlare anche di questo – ci fosse stato in Spagna, non ci troveremmo di fronte a questa condizione». In pratica, Renzi ha detto che l'importante è che esca un Governo, indipendentemente dal voto popolare, ed è questo il principio che anche @pagina=0058@questa riforma costituzionale sostanzialmente pone a fondamento della propria scrittura, cioè proprio quella che noi osteggiamo.
Presidente Renzi, noi sappiamo tutti che nel mondo moderno è necessario essere veloci ed è necessario – mi avvio alla conclusione – veramente dare risposte veloci a problemi complessi, ma questo non può essere fatto sulle spalle e indipendentemente dal voto dei cittadini.
Io non so quello che faranno i cittadini ad ottobre; l'unica cosa che so è che la Lega Nord, coerentemente con il voto contrario espresso anche in questa fase, ad ottobre farà di tutto per far sì che una Costituzione di questo tipo non possa diventare una Costituzione sulla quale basare lo sviluppo della nostra comunità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini). PAGINA: 0058 PAOLA PINNA. Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi, il tema delle riforme costituzionali rappresenta un argomento spinoso, è inutile negarlo.
È dal lontano 1979 che il dibattito politico si è indissolubilmente legato all'esigenza di rinnovare il dettato costituzionale. I tentativi sono stati molteplici, ma, a parte la nota modifica del Titolo V, sono tutti falliti, alcuni sul nascere, altri al termine dell'iter, ma l'esito è sempre stato lo stesso: un nulla di fatto. Mi riferisco alla prima Bicamerale del 1983, presieduta dall'onorevole Bozzi, alla Commissione De Mita-Iotti, al Comitato Speroni del 1994, al lodo Maccanico, alla Commissione D'Alema e alle fallite riforme del 2005 e del 2007.
Anche nella scorsa legislatura si è provato a cambiare, ma i risultati sono stati i medesimi. Le ragioni di queste sconfitte vanno ricercate per lo più nelle vicende politiche contingenti, negli scontri tra fazioni e nelle inconcludenti lungaggini che hanno caratterizzato il riformismo istituzionale, un riformismo che oscillava tra diversi modelli di riferimento, senza che si consolidasse una scelta condivisa tra i partiti e accettata dai cittadini.
Dunque, il quadro appare chiaro: l'esigenza di modificare la nostra Costituzione c’è, si è radicata, ma prima di oggi non si è avuta la forza, la lungimiranza e, in alcuni casi, la volontà di realizzarla.
Noi abbiamo coraggiosamente e responsabilmente scelto di andare fino in fondo, pagando il prezzo di critiche forti, attacchi sterili e strumentalizzazioni. Oggi, ci accingiamo a compiere un passaggio decisivo e di grande rilievo politico e parlamentare nel percorso di riforme di questa legislatura e della storia delle istituzioni del nostro Paese. Stiamo operando finalmente per cambiare in meglio l'Italia. Quella di cui facciamo parte, colleghi, è una legislatura dichiaratamente votata alle riforme in campo sociale, economico e istituzionale. Emergono, fra queste, la legge elettorale, prima, e le modifiche costituzionali, ora: due importanti mete raggiunte, o quasi, e legate a doppio filo l'una all'altra, perché tra i due ambiti vi è una chiara consequenzialità che non può e non deve essere trascurata.
Non sarebbe onesto affermare che condividiamo ogni singolo punto di questi testi. Sappiamo bene che sono suscettibili di ulteriori miglioramenti. Tutto è perfettibile, ma questo non deve essere un alibi per l'immobilità, né un limite al progresso. La Costituzione italiana, come ogni legge fondamentale, è frutto di scelte dettate da una situazione storico-politica ben definita e indubbiamente differente rispetto all'attuale. Il periodo di riferimento sono gli anni che vanno dal 1946 al 1948. Allora si usciva dalla Seconda guerra mondiale e lo spettro del fascismo incombeva sulla quotidianità. Ma oggi l'Italia ha un altro volto; il mondo non è più diviso in due grandi blocchi ideologizzati; i partiti hanno cambiato forma e sostanza e sono sopraggiunti nuovi soggetti ed è opportuno che questi cambiamenti siano assecondati responsabilmente. Stiamo vivendo in Italia e in Europa una crisi democratica e istituzionale da non trascurare. Dobbiamo, oggi @pagina=0059@più che mai, impegnarci a proiettare i valori assoluti del testo donatoci dai padri costituenti all'interno di un nuovo e moderno apparato costituzionale.
Colleghi, la Costituzione rappresenta in sé gli elementi caratterizzanti di un determinato sistema politico, ovvero come questo di fatto è organizzato. Ne rappresenta il DNA. Ma la Costituzione, come la dottrina ci insegna, è anche manifesto politico proiettato verso specifici obiettivi. E, ancora, è testo normativo, fonte del diritto e ha, dunque, più anime che devono convivere armoniosamente. Il lavoro che abbiamo condotto in ogni singolo appuntamento di questa riforma costituzionale è sempre stato caratterizzato dalla volontà di mantenere tale equilibrio, ammodernando, al contempo, le istituzioni. Il bicameralismo paritario figlio del secolo scorso non risponde alle esigenze nuove; è antistorico. Le sue qualità si sono trasformate nel corso dei decenni in evidenti criticità e in ostacoli per lo sviluppo del Paese, immobile da troppo tempo. D'altronde, vorrei ricordare che il bicameralismo paritario rappresenta un'anomalia tutta italiana. Più della metà dei Paesi membri dell'Unione ha sistemi monocamerali e in quasi tutti quelli con sistema bicamerale la seconda Camera è eletta indirettamente, al fine di rappresentare compiutamente le autonomie territoriali. Tutto ciò mentre in Italia siamo ancora in cerca di una piena coesione nazionale e, ahimè, dobbiamo ancora lavorare perché i gravissimi squilibri fra regioni siano superati.
Ed è proprio qui che si inserisce il risolutivo progetto di una Camera che rappresenta la nazione e di un Senato che rappresenta gli enti territoriali. Il Senato diventerà finalmente l'indispensabile luogo del raccordo tra i livelli di governo e la sede di coordinamento tra il legislatore statale e i legislatori regionali, prevenendo i possibili conflitti nell'esercizio delle rispettive competenze. Svolgerà, dunque, un ruolo omologo a quello a cui sono chiamate le seconde Camere negli ordinamenti regionali o federali in cui il potere è oggetto di una ripartizione verticale sul territorio. Chiaramente, la ridefinizione del ruolo costituzionale delle due Camere produce effetti a cascata sulle funzioni che esse sono chiamate ad esercitare, sull'assetto del procedimento legislativo, sull'elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte costituzionale. Infatti, il superamento dell'attuale sistema bicamerale e l'introduzione di un bicameralismo differenziato in cui Camera dei deputati e Senato della Repubblica hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti rappresenta solo uno dei punti cardine del testo che ci accingiamo a licenziare.
La riforma prevede, invero, altri aspetti di rilievo, tra cui ho il piacere di ricordare la revisione del procedimento legislativo, l'introduzione di tempi certi per l'esame delle proposte di legge di iniziativa popolare, la costituzionalizzazione dei limiti sostanziali della decretazione d'urgenza. Con riferimento al primo punto, spero francamente che le modifiche al procedimento legislativo possano aiutarci a superare finalmente quello che ritengo rappresenti uno degli ostacoli più grandi del nostro sistema. E a tal riguardo mi permetto di condividere con voi l'auspicio che la revisione del procedimento legislativo sia accompagnata da una imprescindibile riforma regolamentare. Anche per quanto riguarda le autonomie speciali, l'augurio è che si possano introdurre elementi che dipanino i dubbi interpretativi, vecchi e nuovi. Questo è un primo passo; si possono introdurre migliorie, ma è un primo passo importante che con orgoglio facciamo. Pertanto, ritenendo che questa riforma rappresenti un elemento positivo per il nostro Paese, esprimo il voto favorevole di Scelta Civica (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia). PAGINA: 0059 MAURIZIO LUPI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, Ministro Boschi, oggi voteremo sì con convinzione a una riforma costituzionale che l'Italia attende da più di @pagina=0060@trent'anni. I costi che il nostro Paese ha pagato per questo ritardo sono stati altissimi. Costi per il Paese vuol dire costi per i cittadini, per chi cerca un lavoro, per chi vuole creare impresa, per chi mette su famiglia, per chi fa dei figli e li vuole istruire adeguatamente. Il mancato ammodernamento del nostro sistema istituzionale, con la ripetitività e la lentezza, l'incapacità di decidere sino al limite dell'immobilismo del nostro sistema legislativo, hanno avuto queste conseguenze per la vita concreta degli italiani. Gliel'hanno resa più difficile e più povera. Un nuovo fallimento, dopo i tanti insuccessi, a partire dalla Commissione Bozzi del 1983, non ce lo possiamo permettere, pena la sanzione definitiva della nostra inutilità.
E gli italiani ce l'hanno detto chiaramente nel febbraio del 2013 sancendo la sconfitta di ogni schieramento politico, perché nessuno aveva la maggioranza in entrambe le Camere, e obbligandoci ad assumerci la responsabilità di un Governo di convergenza con due obiettivi: il primo, l'uscita del Paese dalla crisi economica; il secondo, il mandato esplicito delle riforme costituzionali al fine di superare la crisi costituzionale in cui eravamo precipitati proprio a causa del bicameralismo paritario di due Camere elette addirittura da due corpi elettorali diversi.
Il primo passo della presa di coscienza di quel fallimento e della conseguente assunzione di responsabilità da parte di questa legislatura fu la rielezione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in quest'Aula – lo ricordo a chi ha memoria corta –, tra i nostri applausi, o meglio tra le nostre ovazioni, disse: «Imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario. Non si può più in nessun campo sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana». A questo dovere noi di Area Popolare non ci siamo sottratti e non ci sottrarremo certo oggi dopo che, per adempiere a questo dovere, siamo addirittura nati.
Oggi trova compimento il gesto politico in cui nel novembre del 2013 abbiamo permesso la continuità della legislatura e trova compimento anche la coerenza con cui – e lo dico con forza ed orgoglio – abbiamo perseguito, attraverso molte battaglie che hanno contraddistinto il centrodestra sin dal 1994, i contenuti di questa riforma, i contenuti in cui questa riforma si è sostanziata: la fine del nostro assurdo e ingombrante bicameralismo paritario, che tanto ha nuociuto, non solo alla stabilità e all'efficacia dell'azione di Governo, ma anche all'autorevolezza e alla centralità della sovranità popolare; lo snellimento e la semplificazione del procedimento legislativo; tempi certi per l'approvazione delle leggi, con il conseguente rafforzamento dei poteri dell'Esecutivo, ma nell'ambito di un rafforzamento complessivo della forma di Governo parlamentare e del sistema delle garanzie. E, poi, la revisione del Titolo V, che pone rimedio ai gravi limiti della modifica del 2001 e all'imponente contenzioso costituzionale che essa ha causato, con grave danno per la certezza del diritto e per l'economia del Paese.
E tra i contenuti della riforma non si può sottacere anche la riduzione dei costi della politica derivante dalla riduzione del numero dei parlamentari, dai limiti delle spese dei consigli regionali e dall'abolizione del CNEL.
La coerenza di un parlamentare è la coerenza di fronte a chi l'ha eletto e la coerenza di fronte a un programma elettorale. Nel programma elettorale del 2013, nel programma elettorale del 2008, nel programma elettorale del 2006, in tutti i programmi elettorali, anche in quello del 2001, il centrodestra si era qualificato per queste riforme, per questi contenuti di riforma. Questa è la sfida che abbiamo davanti.
Non è superfluo ricordare che l'impianto generale della riforma corrisponde @pagina=0061@in sostanza alle conclusioni espresse a larga maggioranza dalla commissione di costituzionalisti ed esperti nominata dal Governo Letta.
Una riforma alla quale hanno contribuito e che ha visto la convergenza anche di molti che oggi osteggiano quella riforma. Per questo le iperboli allarmistiche sull'emergenza democratica, determinata dalla riforma che oggi approviamo, risultano poco credibili e dettate solo da scelte politiche certamente comprensibili, ma assolutamente di corto respiro.
Noi difendiamo questa riforma non per calcoli di parte, ma nell'interesse degli italiani. Per questo, in tempi non sospetti, quando la maggioranza che la sosteneva era maggiore dei due terzi del Parlamento, per primi, Area popolare, chiedemmo che in ogni caso questa riforma potesse essere sottoposta all'approvazione dei cittadini attraverso referendum. Referendum per il quale tanti parlamentari di partiti diversi hanno aderito al Comitato per il «sì», costituito dall'onorevole Adornato.
Voglio dirlo schiettamente e chiaramente al Presidente del Consiglio e al Ministro Boschi: è un «sì» alla riforma, ai suoi contenuti, agli effetti benefici che avrà sull'Italia di domani, non un plebiscito su una persona e sulla sua azione politica. Infatti, detto con tutta la considerazione della persona e delle sue capacità, in gioco qui non c’è il futuro di una brillante avventura politica, ma c’è il futuro delle nostre istituzioni e la loro capacità di rispondere alle esigenze del Paese e del corpo elettorale. In gioco – lo ricordo a noi, al Parlamento e anche al Presidente del Consiglio – c’è il futuro della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).
Non si commetta l'errore della personalizzazione, ma si lavori per un fronte ampio di parlamentari e società civile. Infatti, l'approvazione di questa riforma non è la fine di un percorso, ma è l'inizio indispensabile di un processo riformatore e di una manutenzione costituzionale nella quale dovremo impegnarci con maggiore sollecitudine rispetto a quanto fatto finora. Non abbiamo fatto, per parafrasare Leibniz, la migliore delle riforme possibili. Non esiste la legge perfetta, non in quest'Aula e non in questo mondo, almeno.
Noi abbiamo fatto una buona riforma, ma resta aperta una serie di questioni. Una per tutte: mancano, ad esempio, quei dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo, richiesti dall'ormai mitico ordine del giorno Perassi, approvato dall'Assemblea costituente nel 1946, che sono, invece, per esempio, presenti in Gran Bretagna, Germania e Spagna. Non è perché ci abbiamo messo trent'anni che dobbiamo aspettare altrettanti trent'anni per fare riforme mirate, per soluzioni che si rivelino imprecise. Non a caso i costituenti si preoccuparono di non rendere difficilissima una revisione della Carta costituzionale nel futuro, di fronte all'emergere di bisogni sempre nuovi e sempre diversi.
Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, nel suo discorso prima di Natale, si augurava che le riforme giungessero a compimento in questa legislatura, perché il senso di incompiutezza rischierebbe di produrre ulteriori incertezze e conflitti, oltre ad alimentare la sfiducia. È vero, però, che il voto di oggi – vado verso la conclusione – determina un passaggio politico, che si concluderà certamente con l'approvazione del referendum, con il referendum e con la sua approvazione – ce lo auspichiamo –, e si aprirà una nuova fase nell'azione politica della coalizione di Governo.
Un anno fa il Presidente del Consiglio, in quest'Aula, fece un elenco delle riforme necessarie per cambiare il Paese: la legge elettorale, la riforma costituzionale, la riforma del lavoro, la riforma della pubblica amministrazione – vedo il Ministro Madia –, la riforma del fisco, la riforma della scuola, la riforma della giustizia. Come ognuno può vedere, siamo a metà del lavoro; così come siamo agli inizi di una ripresa economica che finalmente dà l'inversione del segno meno davanti al nostro PIL e di cui si vedono i primi effetti sulla disoccupazione, scesa ai minimi dopo l'inizio della crisi, ma – non nascondiamocelo @pagina=0062@– ancora troppo alta, e ancora diversificate sono la ripresa economica e l'occupazione nelle diverse aree del nostro Paese.
La riforma che approviamo oggi è il frutto del lavoro di una maggioranza, di forze politicamente autonome e alternative, ma complementari in questa fase delicata e fondamentale della vita del nostro Paese, le quali hanno – concludo – un unico comune denominatore: la volontà riformatrice.
Sulla giustizia, sul fisco – quanto ancora c’è da fare per un'effettiva diminuzione della pressione fiscale –, sulla famiglia, sui diritti civili, sulla libertà di impresa come vogliamo procedere ? Con maggioranze variabili a seconda dell'argomento, come affiora da più di una dichiarazione di esponenti del Partito Democratico ? Il Partito Democratico pensa di continuare a cambiare il Paese con chi oggi voterà questa riforma oppure con chi lo accusa di tentazioni egemoniche, con chi parla di emergenza democratica, di legge elettorale liberticida, di Jobs Act come massacro sociale, con chi raccoglie firme per bocciare le riforme sin qui fatte ?
Noi di Area Popolare oggi, coerentemente con la responsabilità che ci siamo assunti collaborando prima alla nascita del Governo Letta e poi a quella dell'attuale Esecutivo, voteremo «sì», «sì» alla riforma costituzionale. Ci impegneremo profondamente nel referendum che dovrà confermarla. Ma non rinunceremo, signora Presidente, alla nostra identità e a ricordare a tutti che il senso di questa legislatura e di questo Esecutivo è continuare a lavorare...
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