ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 377 di mercoledì 18 febbraio 2015

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozioni:
  Brunetta  1-00738  21739
  Dadone  1-00739  21740

Risoluzioni in Commissione:
 VI e VIII Commissione:
  Zaratti  7-00603  21741
 XIII Commissione:
  Mongiello  7-00604  21742

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Nesci  4-08016  21745
  Agostinelli  4-08021  21748
  Cova  4-08025  21751

Affari esteri e cooperazione internazionale.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Naccarato  5-04771  21752

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Realacci  4-08011  21754
  Parentela  4-08024  21754

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Gallo Luigi  5-04763  21756
  Covello  5-04769  21759

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Fedi  4-08009  21760
  Nesci  4-08018  21760

Infrastrutture e trasporti.

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
  Prina  2-00851  21762

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Cominelli  5-04766  21762

Interno.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Vallascas  4-08022  21763
  Causin  4-08023  21764

Istruzione, università e ricerca.

Interpellanza:
  Petrenga  2-00852  21765

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Chimienti  5-04764  21767
  Chimienti  5-04765  21768

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Ciprini  5-04767  21769

Interrogazioni a risposta scritta:
  Melilla  4-08015  21770
  Melilla  4-08017  21770

Salute.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Vargiu  4-08008  21771
  D'Incecco  4-08014  21772
  Ottobre  4-08020  21773

Sviluppo economico.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Burtone  5-04768  21774
  Peluffo  5-04770  21774

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cominardi  4-08010  21776
  Carella  4-08012  21777
  Caon  4-08013  21777
  Gallinella  4-08019  21778

Apposizione di una firma ad una mozione  21779

Apposizione di firme ad interrogazioni  21779

Pubblicazione di un testo riformulato  21779

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
  Brunetta  2-00850  21779

Ritiro di una firma da una mozione  21782

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo  21782

ERRATA CORRIGE  21782

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

   La Camera,
   premesso che:
    è interesse strategico dell'Italia e dell'Unione europea che il conflitto israelo-palestinese sia disinnescato una volta per tutte, come passo fondamentale per la pacificazione e la stabilizzazione dell'intero Medio Oriente e dell'area del Mediterraneo;
    è indispensabile rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi tramite la ripresa di negoziati diretti che portino ad un accordo di pace complessivo e duraturo, nel rispetto del diritto internazionale e nella piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    ciò può essere garantito solo da una forte, credibile, imparziale azione da parte della comunità internazionale attraverso mediazioni costruttive nei confronti di entrambe le parti, evitando atti e dichiarazioni che rischiano solo di apparire come prese di posizione ostili e condizioni imposte ad una sola delle parti in causa, cioè a Israele, unico Stato davvero democratico dell'area;
    l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese al di fuori di un accordo di pace complessivo tra le parti non favorirebbe la ripresa dei negoziati diretti, ma, al contrario, rappresenterebbe un ulteriore ostacolo sulla via della pace, perché avrebbe l'effetto di aumentare il livello di diffidenza tra le parti e, soprattutto, di Israele nei confronti della comunità internazionale, compromettendo e vanificando l'importante ruolo di mediazione imparziale che l'Unione europea e, in particolare, l'Italia stanno da decenni svolgendo e devono continuare a svolgere sia nei confronti degli israeliani che dei palestinesi;
    il 30 dicembre 2014, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha bocciato una risoluzione dei Paesi arabi, promossa dall'Autorità nazionale palestinese, in cui si prevedevano unilateralmente termini e tempi di un accordo di pace, tra cui il riconoscimento della piena sovranità statuale palestinese entro il 2017;
    la legittima aspirazione palestinese di un riconoscimento statuale non può trovare soddisfazione prima che l'altrettanto legittimo diritto degli israeliani alla sicurezza non sia assicurato attraverso l'abbandono da parte palestinese di qualsiasi aspirazione alla distruzione di Israele e di ogni atto d'aggressione ai suoi danni;
    i popoli israeliano e palestinese hanno entrambi diritto a vivere in pace e in sicurezza, ma ciò può essere garantito, oltre che dalla soluzione «due popoli due Stati», solo se anche il futuro Stato palestinese sarà uno Stato democratico, in grado di garantire ai suoi cittadini libertà e diritti umani fondamentali;
    l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese senza aver prima sciolto in un negoziato diretto i nodi del complessa vicenda, e soprattutto in presenza di un forte conflitto tra Autorità nazionale palestinse e Hamas, quest'ultima un'organizzazione terroristica, per il controllo dei territori palestinesi, costituirebbe una minaccia all'esistenza stessa di Israele, ma anche nei confronti dello stesso popolo palestinese, che è e sarebbe ancor più esposto non solo all'oppressione e alle violenze di Hamas, ma anche alle incresciose conseguenze delle legittime azioni difensive di Israele in risposta agli atti di aggressione lanciati dalla Striscia di Gaza o da altre zone dei territori palestinesi,

impegna il Governo:

   ad evitare di compiere atti e gesti simbolici che possano rappresentare forme di riconoscimento, o portare ad un'accelerazione di qualsiasi processo di riconoscimento, di uno Stato palestinese al di fuori del negoziato diretto e di un accordo di pace complessivo tra le parti;
   a sostenere, in sede sia bilaterale che multilaterale, e di concerto con gli altri Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi attraverso la ripresa del negoziato diretto come via maestra per arrivare alla soluzione «due popoli due Stati» e per l'attuazione degli accordi di Oslo e delle relative risoluzioni delle Nazioni Unite;
   ad evitare di compiere qualsiasi atto e gesto simbolico di legittimazione di organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas compresa, e a promuovere nei loro confronti, di concerto con gli altri Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, un'azione di intransigente contrasto ad ogni livello.
(1-00738) «
Brunetta, Capezzone».

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, prevede all'articolo 1, commi 7 ed 8, l'individuazione del responsabile della prevenzione della corruzione nonché la predisposizione da parte di quest'ultimo del sano triennale della prevenzione della corruzione entro il 31 dicembre di ogni anno;
   la medesima legge n. 190 del 2012, all'articolo 1, comma 51, prevede la modifica del decreto legislativo n. 165 del 2001 al fine di garantire una adeguata tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti;
   al fine di rafforzare gli strumenti di prevenzione e controllo a garanzia della trasparenza nella pubblica amministrazione è stato approvato il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni;
   in linea con quanto disposto dai provvedimenti sopracitati nel corso del 2012 e del 2013, si è giunti alla conversione in legge 11 agosto 2014, n. 114, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari;
   con comunicazione del 9 gennaio 2015 l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ha ribadito la propria competenza riguardo la ricezione di segnalazioni di illeciti di cui il pubblico dipendente sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, aprendo un canale privilegiato a favore di chi scelga di rivolgersi all'Autorità e non alle vie interne stabilite dalla pubblica amministrazione di appartenenza. Per far questo l'ANAC si è dotata di un protocollo in grado di garantire la necessaria tutela del pubblico dipendente;
   recentemente il Ministero della salute ha predisposto il piano triennale di prevenzione della corruzione, all'interno del quale è inserito il punto 5.1.8: «Tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito». In particolare, il Ministero ha realizzato un sistema informatico per la segnalazione di illeciti attraverso la rete intranet aziendale, che garantisce l'anonimato del segnalante e la riservatezza del presunto autore dell'illecito, grazie alla crittografazione dei dati anagrafici,

impegna il Governo:

   a promuovere e a monitorare, per quanto di competenza, la predisposizione da parte di tutte le strutture del servizio sanitario nazionale di un protocollo a tutela del dipendente pubblico che decida di segnalare un illecito in ragione del proprio rapporto di lavoro, nel rispetto di quanto previsto dal punto 5.1.8 del piano di prevenzione della corruzione predisposto dal Ministero della salute;
   a relazionare ai competenti organi parlamentari sui risultati del monitoraggio periodico relativo alla predisposizione delle misure a tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti in ragione del proprio rapporto di lavoro;
   ad assumere iniziative normative perché la mancata predisposizione del protocollo di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti in ragione del proprio rapporto di lavoro, costituisca elemento di valutazione del responsabile della prevenzione della corruzione.
(1-00739) «
Dadone, Villarosa».

Risoluzioni in Commissione:

   Le Commissioni VI e VIII,
   premesso che:
    l'11 febbraio 2015, la Corte Costituzionale, ha dichiarato, con la sentenza n. 10 del 2015, l'illegittimità costituzionale dell'addizionale IRES a carico dei soggetti operanti nei settori energetico, petrolifero e del gas (cosiddetta Robin tax), ex articolo 81, commi 16, 17 e 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;
    la «Robin tax» è stata introdotta dal decreto-legge 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e ha previsto un'addizionale all'imposta sul reddito delle società (IRES) a carico di alcuni soggetti che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell'energia elettrica. I soggetti passivi dell'addizionale, sono quelli che operano nei settori della ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, della raffinazione del petrolio nonché della produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per vari usi, oli lubrificati e residuati, gas di petrolio liquefatto, gas naturale e energia elettrica. Poi negli anni la norma è stata modificata più volte, coinvolgendo anche le aziende del settore delle fonti rinnovabili;
    le norme sulla «Robin tax» stabilivano inoltre il divieto di traslazione sugli utenti finali, prevedendo, a tal fine, una vigilanza affidata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AAEG) sull'osservanza delle norme. Un divieto comunque aggirato. Peraltro, l'Autorità non aveva alcun potere sanzionatorio nei confronti delle società che hanno trasferito sugli utenti la maggiorazione Ires;
    la sentenza della Consulta dovrebbe comportare minori introiti per le casse dello Stato per 11,3 miliardi di euro l'anno;
    la medesima sentenza comunque, limita gli effetti negativi per le entrate erariali in quanto esclude effetti retroattivi, e quindi eventuali restituzioni e rimborsi per le imprese che dal 2008 hanno versato l'addizionale Ires. La Corte sottolinea infatti come la retroattività delle pronunce di illegittimità rappresenti un principio generale, ma che debba essere temperato dalla necessità di tutelare un altro principio costituzionale, quale quello dell'equilibrio di bilancio (l'articolo 81 della Costituzione);
    la necessità di recuperare il consistente gettito che viene a mancare in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale, deve essere l'occasione per introdurre nel nostro Paese nuove forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità e di una crescita verde;
    le suindicate norme sulla fiscalità ambientale, si inseriscono in pieno nel solco di quanto emerso in ambito comunitario in tema di green economy, nonché della piena attuazione dei principio del «chi inquina paga», di cui all'articolo 174 del Trattato istitutivo dell'Unione europea;
    proprio al fine di migliorare la qualità del prelievo tributario negli Stati membri, la Commissione europea ha da tempo indicato proprio le imposte ambientali, tra gli strumenti in grado di attuare una redistribuzione virtuosa della composizione del prelievo, con impatto positivo sulla crescita (Annual Growth Survey, 2011);
    lo studio dell'Agenzia europea per l'ambiente, «Environmental Tax Reform in Europe: implications for income distribution and opportunities for innovation» ha messo in evidenza come i governi potrebbero diminuire le tasse sul reddito, spingere l'innovazione e tagliare le emissioni introducendo tasse specifiche e molto ben mirate sulle singole attività inquinanti, reinvestendo il ricavato nel far crescere l'economia del futuro attraverso le nuove fonti e il risparmio energetico, i mezzi alternativi, e la riconversione delle linee di produzione nella direzione di nuovi prodotti a minore impatto ambientale;
    Legambiente stima in 9,11 miliardi di euro l'anno i sussidi e i finanziamenti pubblici alle fonti fossili che il Governo italiano elargisce annualmente alle industrie del carbone, petrolio e gas. Di questi, 4,5 miliardi di euro rientrano nella categoria di sussidi diretti, ovvero distribuiti come aiuto economico ad alcune categorie. Tra questi la parte del leone va alle centrali da fonti fossili, a cui sono andati 2,34 miliardi nel 2011 tramite il meccanismo del CIP6 della componente A3 delle bollette di energia elettrica: il CIP6 era nato nel 1992 proprio per finanziare le fonti rinnovabili, ma poi era stato esteso alle fonti «assimilate»,

impegna il Governo:

   ad avviare, anche al fine di compensare le minori entrate erariali conseguenti alla sentenza della Consulta, la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax);
   a prevedere che il gettito riveniente dall'introduzione della carbon tax sia destinato prioritariamente agli interventi volti alla tutela dell'ambiente, in particolare alla diffusione delle tecnologie e delle produzioni a basso contenuto di carbonio e delle energie rinnovabili;
   a rivedere e ridurre i sussidi e i finanziamenti pubblici alle fonti fossili climalteranti che vengono destinati annualmente, a cominciare dalle industrie del carbone, petrolio e gas.
(7-00603) «
Zaratti, Paglia, Pellegrino».

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le questioni problematiche che da alcuni anni si stanno manifestando in merito all'importazione e all'uso di olio di palma diventano sempre più preoccupanti e complesse;
    l'olio di palma, allo stato attuale, sta registrando una forte espansione negli usi energetici ed agroalimentari soprattutto nei mercati europei, ed in particolare in Italia, in ragione della sua elevata attitudine a fornire energia termica se destinato alla combustione o materie grasse ove impiegato nella produzione di alimenti;
    è noto però che gli alberi di palma dai cui frutti si estrae questo olio sono coltivati essenzialmente in Indonesia e Malesia e di recente, proprio a causa dell'incremento di domanda di olio, anche in alcuni stati dell'Africa;
    in queste regioni l'introduzione della coltivazione professionale della palma da olio sta provocando irrimediabili danni all'ambiente forestale naturale, oltre che gravissime lesioni agli equilibri naturali ed alla biodiversità dell'intera fascia tropicale del pianeta. Per incrementare le produzioni di olio, in queste regioni vengono quotidianamente distrutte vaste superfici di secolari foreste tropicali per ricavare superfici di terreno dove impiantare le piantagioni di palma;
    questo processo di disboscamento indiscriminato delle preziose foreste tropicali è divenuta una vera emergenza mondiale oltre che per gli irreparabili danni che si producono all'ambiente ed alla biodiversità del pianeta, anche per le nefaste conseguenze che ne derivano per le popolazioni locali le quali vengono private dei suoli di tradizionale coltivazione oltre che della loro naturale fonte di sopravvivenza;
    a livello europeo la vicenda della sostenibilità delle produzioni vegetali oleose per usi energetici si è posta già dal 2009 in occasione dell'applicazione dei nuovi regimi in favore delle energie rinnovabili e del contrasto ai cambiamenti climatici. Con la direttiva 2009/28/CE è stato in tal senso introdotto il concetto di sostenibilità come condizione necessaria affinché biocarburanti, bioliquidi e biomasse possano accedere agli incentivi, nonché essere conteggiati per il raggiungimento degli obiettivi nazionali obbligatori previsti dalla direttiva stessa;
    i criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi sono stati resi attuativi dal decreto ministeriale 23 gennaio 2012, che definisce il sistema nazionale di certificazione per biocarburanti e bioliquidi;
    per accedere agli incentivi o per raggiungere il target di biocarburanti immessi annualmente al consumo, i bioliquidi e i biocarburanti utilizzati nell'Unione europea devono rispettare, nell'intera catena di approvvigionamento, i criteri di sostenibilità, che comprendono la coltivazione sostenibile delle materie prime e la protezione della biodiversità; la tracciabilità; la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra;
    tali vincoli sono stati specificamente previsti dall'Unione europea in quanto il possibile aumento della domanda mondiale di biocarburanti e di bioliquidi e gli incentivi per il loro uso non devono provocare l'effetto di incoraggiare la distruzione di terreni ricchi di biodiversità. Infatti, tali risorse limitate, il cui valore per tutta l'umanità è stato riconosciuto in molti atti internazionali, devono essere preservate;
    inoltre, secondo le valutazioni dell'Unione europea, i consumatori della Unione avrebbero ritenuto moralmente inaccettabile che il maggiore uso di biocarburanti e di bioliquidi potesse sortire come potenziale effetto la distruzione di terreni ricchi di biodiversità. Per questi motivi, sono stati introdotti criteri di sostenibilità in grado di assicurare che i biocarburanti e i bioliquidi possano beneficiare di incentivi soltanto quando vi sia la garanzia che non provengono da aree ricche di biodiversità oppure, nel caso di aree designate per scopi di protezione della natura o per la protezione di ecosistemi o specie rari, minacciati o in pericolo di estinzione, quando l'autorità competente dimostri che la produzione delle materie prime non interferisce con detti scopi;
    per quanto riguarda il caso specifico delle foreste tropicali, i criteri di sostenibilità prendono in considerazione le foreste ricche di biodiversità nel caso in cui siano foreste primarie secondo la definizione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) nella «Valutazione delle risorse forestali mondiali», documento che i Paesi di tutto il mondo utilizzano per rendicontare sull'estensione delle foreste primarie, o sia protetta da leggi nazionali in materia di protezione della natura;
    inoltre, tenuto conto dell'elevato grado di biodiversità di alcuni terreni erbosi, temperati o tropicali, incluse savane, steppe, terreni arbustivi e praterie ad elevata biodiversità, i biocarburanti prodotti a partire da materie prime coltivate su tali terreni non possono beneficiare degli incentivi per le fonti energetiche rinnovabili;
    almeno per quanto riguarda il regime degli incentivi per le fonti energetiche e le energie rinnovabili, l'ordinamento europeo esclude la possibilità di agevolare l'olio di palma ove la sua produzione contrasti con i principi di sostenibilità sopra descritti e quindi anche e soprattutto quando la realizzazione delle piantagioni di tali palme incida negativamente sulle originarie foreste primarie o sui terreni ad elevata biodiversità;
    ma la vicenda degli impatti negativi della produzione dell'olio di palma sull'ambiente e sulla biodiversità trova ancora un fronte aperto per quanto riguarda il suo utilizzo da parte dell'industria alimentare;

    l'olio di palma raffinato è largamente utilizzato in cucina, nella produzione mondiale di alimenti trasformati, nei saponi, nei detergenti e nei prodotti d'igiene personale. È anche largamente utilizzato nella fabbricazione di oggetti di metallo, plastica, gomma, in tessuti, vernici, carta e componenti elettronici. L'olio greggio viene raffinato per produrre, tra l'altro, l'olio per frittura, ingredienti di margarine, componenti di materie grasse per la produzione di snack, grassi per pasticceria, cioccolato, dolciumi, gelateria e latte condensato;
    secondo un rapporto elaborato da Greenpeace, l'espansione delle piantagioni di palma da olio nelle foreste torbiere indonesiane sta generando anche condotte illecite da parte degli operatori interessati i quali oltre che a distruggere le foreste tropicali esistenti, incendiano la biomassa residua provocando notevoli quantità di emissioni. Le immissioni dei fumi di questi fuochi nell'atmosfera, senza calcolare il drenaggio della torba, sono stimate attorno ai 200 milioni annui di tonnellate di carbonio, ma secondo altre fonti potrebbero raggiungere i 400 milioni di tonnellate. In Indonesia il tasso di deforestazione è maggiore nelle torbiere poiché le foreste di pianura su suolo minerale sono state già in gran parte distrutte e l'espansione si concentra ormai sulle aree marginali;
    oltre a questi impatti specifici sull'ambiente, le piantagioni di palma da olio ne producono anche altri diretti dovute alla pratiche agronomiche di tipo industriale come l'impiego di pesticidi e fertilizzanti che danneggiano anche le aree circostanti. Alcune specie animali ad alto rischio, tra cui l'orang-utan, la tigre di Sumatra e il rinoceronte sono direttamente minacciati dall'espansione delle piantagioni delle palme da olio;
    purtroppo, al contrario di quanto avviene per il settore ambientale e della lotta ai mutamenti climatici, per i quali l'utilizzo dell'olio di palma quale fonte energetica rinnovabile potrebbe trovare ostacoli all'uso ove non rispettasse i previsti criteri di sostenibilità, nel comparto dell'industria alimentare non esiste ancora un regime di precauzione, di prevenzione e di sostenibilità che possa dissuadere l'impiego di tale olio ove dalle sue modalità di produzione si evincesse che le coltivazioni adottate comportino impatti negativi sull'ambiente e sulla conservazione della biodeversità;
    purtuttavia, l'opinione pubblica, grazie all'intervento di organismi operanti nel campo della protezione ambientale, sta venendo via via sempre più a conoscenza di questo fenomeno e le vengono forniti informazioni e indicazioni per adottare iniziative consapevoli capaci di ostacolare l'acquisto dei prodotti alimentari che contengono come ingrediente anche l'olio di palma;
    il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade, partendo dagli esiti di un loro censimento dei biscotti, delle merendine, delle fette biscottate, degli snack e delle creme al cacao e nocciola che non contengono palma (ne sarebbero risultati privi solo circa 200 prodotti), hanno lanciato una petizione online su Change.org per fermare l'invasione, dell'olio di palma nei prodotti alimentari. Con tale petizione il promotore chiede al Ministero della salute e agli enti pubblici di disporre l'esclusione dalle pubbliche forniture di alimenti che contengano olio di palma e che questa clausola sia inserita in tutti i capitolati di appalto per l'approvvigionamento delle mense scolastiche, ospedaliere e aziendali, nonché dei distributori automatici collocati in scuole e pubblici edifici;
    la stessa petizione chiede al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e agli altri Stati membri dell'Unione europea di aderire subito alle linee guida del CFS (Committee on World Food Security) — FAO, per una gestione responsabile delle terre, delle foreste e dei bacini idrici; ai supermercati di escludere dalle forniture dei prodotti con il loro marchio (private label) l'olio di palma; alle industrie agroalimentari di impegnarsi a riformulare i prodotti senza l'utilizzo di
olio di palma, affinché il cibo «made in Italy» possa davvero distinguersi come buono e giusto,

impegna il Governo:

   ad adottare le occorrenti iniziative affinché, nei limiti delle proprie competenze e dei vincoli e dei poteri previsti in tale ambito, già nell'immediato si possa dare riscontro alle richieste avanzate dalla petizione promossa dal Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade sul contrasto all'utilizzo dell'olio di palma ottenuto in maniera non sostenibile;
    ad attivarsi presso le competenti sedi dell'Unione europea affinché anche per il settore della produzione agroalimentare dell'Unione europea, come già avviene per il settore delle fonti energetiche rinnovabili, l'ordinamento europeo preveda misure di contrasto o di divieto all'utilizzo dell'olio di palma la cui produzione sia ottenuta secondo modalità non sostenibili o, ad ogni modo, sia causa di impatti negativi sull'ambiente, sulla biodiversità e sulle risorse rare o a rischio di sopravvivenza.
(7-00604) «
Mongiello, Realacci, Oliverio, Venittelli, Ventricelli, Grassi, Fregolent, Magorno, Manfredi, Becattini, Capone, Fabbri, Iacono, Antezza, Porta, D'Incecco, Amato, Scuvera, Ginoble».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2015, secondo quanto si legge sul sito de La Gazzetta del Sud, due medici sono stati colti da infarto ed un terzo da ictus nell'ospedale Civile «Annunziata» di Cosenza;
   secondo quanto denunciato dallo SMI (Sindacato dei medici italiani), la ragione dei malori risiederebbe nel fatto che i camici bianchi lavorano «in situazioni di continuo stress»;
   il vicepresidente nazionale del succitato sindacato, dottor Cosmo De Matteis, è intervenuto sulle criticità del nosocomio bruzio affermando che «i medici lavorano in condizioni gravissime con carichi enormi a causa dei tagli al personale. Così sono a rischio tanto la salute dei professionisti quanto quella dei cittadini: non vorremmo che anche nella nostra realtà si registrassero casi tragici come quello avvenuto in Sicilia in queste ore. Poche risorse, riduzione dei medici e dei posti letto e, a diversi mesi dalle elezioni regionali, nessuna decisione su chi deve guidare la sanità calabrese, che va verso il caos. È ora di intervenire, così i medici non possono dare un servizio adeguato ai pazienti. Non è solo una drammatica casualità che in pochi giorni due colleghi sul posto di lavoro siano stati colpiti da infarto, per fortuna senza un triste epilogo»;
   anche a causa di tali ragioni medici, infermieri e operatori socio sanitari dell'ospedale cosentino hanno decretato uno sciopero generale per il prossimo 26 febbraio;
   su Il Quotidiano della Calabria del 14 febbraio 2015, si legge che «dallo scorso mese di gennaio i camici bianchi hanno iniziato una nuova protesta per denunciare le critiche condizioni dell'Annunziata e per trovare delle soluzioni. Con il passare dei giorni le condizioni dell'ospedale peggiorano sempre più e diventa difficile dare risposte ai cittadini che chiedono cure. Questi i motivi che hanno spinto gli ospedalieri, circa un mese fa, a chiedere un incontro urgente con il presidente della giunta regionale, Mario Oliverio, invitandolo a intervenire per evitare il collasso totale del nosocomio. Non solo, a Oliverio è stato anche chiesto di fare le dovute pressioni con il ministero della Salute, affinché nominasse al più presto un commissario. A ciò è seguito l'incontro svoltosi pochi giorni fa dinanzi al Prefetto Tomao, a cui sono stati elencati i problemi più gravi dell'ospedale: dal mancato turnover al taglio dei posti letto, dal problema di ordine pubblico, specialmente al Pronto soccorso, all'emigrazione sanitaria che pesa gravemente sulle casse della sanità calabrese»;
   non è raro che gli stessi operatori sanitari bruzi lavorino per oltre le 48 ore settimanali, non usufruendo delle ore di riposo stabilite dopo il servizio notturno;
   medici e infermieri hanno segnalato già in diverse occasioni le gravi condizioni di lavoro, di struttura e di personale dell'Ospedale «Annunziata» di Cosenza, senza però che ne seguisse il minimo beneficio dalle istituzioni;
   l'8 gennaio 2014 medici e operatori sanitari hanno scioperato per «sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione di grave carenza di organico che si vive all'interno del nosocomio e che rischia di mettere in pregiudizio la garanzia delle prestazioni all'utenza»;
   secondo quanto reso noto allora dagli organizzatori, la carenza di personale medico e paramedico all'interno della struttura ospedaliera era pari al 40 per cento;
   il 12 aprile 2014 gli operatori sanitari dell’«Annunziata» hanno sfilato per le vie della città cosentina per protestare contro la gestione del nosocomio dato che, secondo quanto riportato dal giornale online Nuovacosenza.com, sarebbe un «ospedale in agonia» con «organici al lumicino, reparti al collasso, strutture inadeguate»;
   il 29 maggio 2014 il segretario nazionale dell'Anaao Assomed (Associazione medici dirigenti) Costantino Troise inviava una lettera al Ministro della salute Beatrice Lorenzin e, per conoscenza, al presidente della giunta regionale della Calabria, in cui si leggeva: «La situazione è vicina al collasso: senza più medici nei pronto soccorso; senza anestesisti e persino senza le barelle, oramai succedanee dei comuni posti letto. Il tutto a fronte di cittadini, affetti da patologie complesse, che reclamano in numero crescente una assistenza che altrove non trovano. Le conseguenze del disagio, che andava via via a registrarsi, sono state in massima parte attenuate grazie al senso di abnegazione e di responsabilità dimostrato dai professionisti sanitari, che hanno tenuto aperti i “cancelli della fabbrica” facendo esclusivamente ricorso al sacrificio personale. Gli stessi oggi protestano non per una rivendicazione salariale, bensì perché lasciati da soli ad affrontare la domanda di salute, per lo più inevasa, con risorse umane insufficienti, chiedendo di essere messi in condizione di lavorare e dare il meglio di se stessi»;
   già nella succitata missiva, si lanciava l'allarme «sull'imminente rischio di un disastro annunciato, visto che il perdurare di questa situazione, inevitabilmente, ridurrà ancora di più, nonostante gli sforzi e la dedizione del personale, la quantità e la qualità delle prestazioni assistenziali erogate, incrementando, in modo direttamente proporzionale, il rischio per gli utenti del servizio insieme con quello professionale dei Medici, come la letteratura di riferimento dimostra»;
   il 15 dicembre 2014 l'Intersindacale Medici dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza ha inviato una lettera al governatore Mario Oliverio sottolineando «la necessità, non più rinviabile, di rilanciare e riqualificare l'Ospedale di Cosenza che, specie negli ultimi tempi, ha particolarmente subito un'aggressione fatta di tagli e di provvedimenti sbagliati» che hanno portato a «gravissime criticità di tipo strutturale, organizzativo e i paurosi vuoti di organici che l'ospedale presenta»;
   nella succitata missiva si legge, ancora: «Come medici che quotidianamente stanno in trincea e che conoscono le enormi problematiche in cui versa l'ospedale, siamo decisamente contrari alla gestione ragionieristica e clientelare dell'ospedale che si è rivelato un attentato al
diritto di salute dei Cosentini. Già nel mese di Gennaio, quando, a tutela dei cittadini, abbiamo iniziato lo stato di agitazione avevamo chiesto a gran voce, sia a livello locale che regionale e nazionale una maggiore qualità dell'assistenza anche mediante migliori condizioni di lavoro per noi operatori. Oggi che il contesto ospedaliero, da tempo ingovernato, è ulteriormente peggiorato, registriamo una dequalificazione progressiva e il rischio di un maggiore impoverimento dell'assistenza»;
   tale situazione, ovviamente, arreca pesanti danni anche al servizio offerto all'utenza. Come si legge su La Gazzetta del Sud del 14 febbraio 2015, «affonda l'Annunziata. Cola a picco nella sostanziale immobilità delle istituzioni demandate a tenerla a galla. Il morale del personale in servizio nell'ospedale cosentino, ora più che mai, è schiacciato [...] Mancano medici, infermieri e operatori socio-sanitari, e quelli che ci sono tropo spesso lavorano in condizioni insopportabili. E come al solito, i primi a risentirne sono proprio i pazienti. Le liste d'attesa per interventi di chirurgia semplice, ad esempio, si allungano di giorno in giorno. Per un'operazione all'ernia bisogna attendere un anno e una manciata di mesi. Un intervento alla colecisti, che andrebbe effettuato entro le due settimane e i venti giorni per evitare sgradevoli e rischiose complicazioni, lo si riesce a fissare in cinque o sei mesi»;
   in una situazione di tale gravità non mancano anche i casi di malasanità, come già denunciato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-01564 nella quale si raccontava della morte del signor Cesare Ruffolo, affetto da 24 anni da leucemia linfatica cronica, il quale veniva ricoverato presso reparto cosiddetto «Valentini» dell'ospedale «Annunziata», lì ricevendo una trasfusione di sangue errata, rivelatasi letale per l'anziano signore;
   attualmente in Calabria manca ancora il commissario per l'attuazione del piano di rientro sanitario e il Governo non interviene, in relazione a gravi fatti che con alta frequenza si verificano negli ospedali calabresi, anche imputabili alla mancanza di un soggetto apicale cui rispondere e le interrogazioni presentate sul tema dall'interrogante sono allo stato prive di risposta;
   in quest'occasione, oltre ai casi già summenzionati: si ricordano le interrogazioni n. 4-07916 riguardante una signora quasi novantenne completamente abbandonata all'ospedale di Crotone, n. 4-07323 riguardante il signor Nicola Guarna, morto a causa di soccorsi tardivi all'ospedale di Vibo Valentia, n. 4-07674 riguardante la signora Santina Cortese, anche lei vittima della negligenza del suo medico curante e della struttura ospedaliera, ancora dell'ospedale di Vibo Valentia;
   come già rappresentato nell'interrogazione n. 4-07613, presentata nella seduta della Camera n. 367 di mercoledì 21 gennaio 2015, innumerevoli, gravi e persistenti disservizi e inadempimenti si sono cumulati in ordine alla sanità calabrese, a motivo del fatto che il Governo centrale sostituì con evidente e colpevole ritardo il commissario deputato al piano di rientro dal debito sanitario, da quell'incarico decaduto per legge Giuseppe Scopelliti, poiché intervenuta nei suoi confronti una sentenza penale di condanna in primo grado;
   la riferita situazione complessiva – come peraltro già significato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07518 – ha di fatto interrotto l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario calabrese, determinando una paralisi generale rispetto alla riorganizzazione dei servizi, con diffuse ripercussioni sulla tutela del diritto alla salute previsto all'articolo 32 della Costituzione;
   l'interrogante ritiene il governo politicamente responsabile delle disfunzioni, dei disservizi e dei gravi fatti che stanno verificandosi nella sanità calabrese, dal momento che avrebbe potuto nominare il suddetto commissario in ogni momento e invece, rinvia aggrappandosi alla modificazione della normativa di specie, che
secondo l'interrogante è del tutto ininfluente per risolvere la vacanza del responsabile del rientro sanitario –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali misure intendano adottare per garantire il rispetto affinché siano assicurati i livelli essenziali di assistenza previsti anche valutando la possibilità di autorizzare nuove assunzioni di personale sanitario in Calabria. (4-08016)

   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 maggio 2014 Senigallia in provincia di Ancona ed il suo entroterra sono stati colpiti da una violenta e persistente ondata di maltempo che si è abbattuta, con particolare criticità, sull'area orientale della regione;
   la zona del Senigalliese è stata la più colpita;
   oltre al comune di Senigallia sono stati investiti dall'alluvione anche i comuni di Ostra Vetere, Ostra, Montemarciano, Corinaldo, Chiaravalle;
   il fiume Misa, che attraversa le aree interne appenniniche delle Marche, per poi sfociare proprio a Senigallia, si è notevolmente ingrossato, superando gli argini in diversi punti;
   l'esondazione del Misa è avvenuta intorno alle ore nove e trenta del mattino ed ha trovato impreparati sia le amministrazioni locali che la protezione civile;
   nel 2005 il comune di Senigallia si è dotato di un piano d'emergenza idrogeologica elaborato sulla base della perimetrazione contenuta nel piano di assetto idrogeologico della regione Marche che divide il territorio in classi di rischio;
   si va dalla zona a massimo rischio di esondazione, R4, con una classificazione a scendere come indice di pericolosità;
   il piano d'emergenza prevede per le aree individuate come a massimo rischio tutta una serie di misure che vanno dall'invio di sms di allerta all'informazione casa per casa attraverso megafono, fino all'evacuazione dalle abitazioni a rischio ed al ricovero delle persone sfollate in centri di raccolta;
   il piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico (PAI) regionale (v. delibera n. 15 del 28 giugno 2001 della autorità di bacino regionale delle Marche), nella sua stesura originaria, individuava come zona R4 (cioè a massimo rischio di esondazione) una zona ben più ampia dell'attuale che comprendeva, tra l'altro, la zona del Portone ove originariamente era localizzato lo scolmatore del fiume Misa;
   la lettura della delibera del consiglio comunale n. 135 del 13 dicembre 2001, avente ad oggetto «Osservazioni al Piano stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.) adottato dall'Autorità di Bacino regionale delle Marche con delibera n. 15 del 28/06/2001», consente di venire a conoscenza del fatto che il comune di Senigallia aveva deciso d'affidare al professore ingegnere Alessandro Mancinelli l'incarico finalizzato ad elaborare osservazioni motivate al Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico per quanto attiene alle aree di pericolosità e rischio idraulico ed a redigere pareri sulle osservazioni al Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico presentate al comune dai cittadini, con l'intento di riuscire ad ottenere di apportare modifiche alla perimetrazione delle aree a rischio idraulico molto elevato;
   dalla lettura del citato atto (delibera comunale) si evince, altresì, che il servizio urbanistica comunale così relazionava al consiglio comunale: «L'impostazione del PAI, che generalizza vincoli e prescrizioni su tutta la fascia di pertinenza fluviale, determina qui (a Senigallia) una situazione particolarissima, in cui tutto il Centro Storico risulta vincolato al massimo grado come area soggetta ad esondazione. Ciò ovviamente pone gravi problemi di compatibilità della politica di valorizzazione della città storica, nodo fondamentale del programma urbanistico dell'Amministrazione Comunale. Le norme del PAI limitano qualsiasi tipo d'intervento che comporti incremento volumetrico, con la finalità di non alimentare il carico antropico, e di conseguenza non aumentare l'esposizione al rischio della popolazione»;
   nonostante l'ingegnere Mancinelli avesse ritenuto di dover scrivere che la presenza di zone con grado di rischio R4 (rischio molto elevato per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio economiche) non fosse documentabile per nessuna zona del territorio esaminato, e che la combinazione di perdite di vite umane e frequenza degli eventi non si era mai verificata, tuttavia egli riconosceva anche che la progettazione ed il finanziamento delle vasche di espansione (già progettate dall'Aquater) avrebbero consentito di limitare le portate di massima piena nel tratto terminale del fiume al valore di 350 ml/s evitando così allagamenti del centro abitato di Senigallia (tale valore di portata è quello che può transitare nella città di Senigallia senza essere rigurgitato dai ponti e mantenuto all'interno delle arginature esistenti), e relazionava che la caratteristica del fiume Misa è quella di presentare sezioni trasversali arginate in tutto il tratto di valle in grado di far transitare portate di 800-1000 ml/s a seconda del grado di pulizia dell'alveo, del suo grado di manutenzione ed alluvionamento, ma anche sezioni del tratto cittadino in cui la portata transitabile è intorno ai 350 ml/s; lo stesso sosteneva che la sola presenza delle vasche di espansione, in condizioni ottimali di funzionamento, avrebbe quindi garantito lo smaltimento delle piene anche nella città di Senigallia (era avvenuto infatti che, per consentire la navigabilità del Misa nel tratto dal ponte del Corso II Giugno alla foce, il tratto terminale del fiume era stato realizzato con una sezione ridotta rispetto a quella necessaria a smaltire le piene, per cui era stato utilizzato come canale scolmatore per molto tempo il «cavo Penna» che corrisponde al tracciato dell'attuale Viale IV novembre, e che è stato interrato nel 1920);
   l'ingegnere Mancinelli evidenziava altresì che le possibilità di esondazione del «sistema Misa» erano quindi reali, ma che avrebbero potuto essere ben controllate attraverso un sistema di allarme in tempo reale ed un servizio di guardianìa costante, e che le esondazioni avrebbero potute essere ridotte notevolmente attraverso la costruzione delle vasche di espansione;
   lo stesso ingegnere Mancinelli affermava che il convivere con il pericolo di esondazione dovesse far parte della consapevolezza dei cittadini che vivono nelle aree più esposte e che agli stessi andasse garantito un adeguato servizio di sorveglianza e di preavviso degli eventi calamitosi in tempo reale, attuando altresì tutti quegli interventi straordinari (costruzione delle vasche di espansione) e ordinari di manutenzione e ricalibrazione dell'asta fluviale, nonché attuando il programma estensivo di difesa del suolo con regimazione delle acque su tutto il bacino ed attivando un servizio che controllasse in modo sistematico e con strumenti adeguati la stabilità delle arginature, sia di quelle in terra che di quelle in muratura; l'ingegnere Mancinelli scriveva anche che sembra eccessivamente cautelativo condizionare lo sviluppo delle città attraverso politiche vincolistiche troppo rigide»;
   la maggior parte dei consiglieri comunali ha quindi votato a favore della deperimetrazione, uno solo si è dichiarato contrario (Belligoni) ed altri si sono astenuti;
   il procedimento si è concluso in sede di «tavoli tecnici» approntati presso l'autorità di bacino regionale per l'esame delle osservazioni al Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico, dove hanno condiviso la nuova perimetrazione della zona
esondabile i rappresentati del comune di Senigallia e quelli della regione Marche (con il supporto dell'ingegnere Mancinelli sempre presente, così come sempre presenti sono stati l'assessore ai lavori pubblici, Maurizio Mangialardi, ed il dirigente del servizio urbanistica, Architetto Enrica De Paulis);
   tale nuova perimetrazione veniva poi approvata dal comitato istituzionale dell'autorità di bacino di rilievo regionale delle Marche, con il parere del segretario generale dell'autorità di bacino regionale, geologo Mario Smargiasso, assistito dal direttore del dipartimento territorio e ambiente della regione Marche, ingegnere Libero Principi;
   in occasione dei «tavoli tecnici» per il comune di Senigallia si affermava (e decideva) che:
    dai dati rilevati in occasione della piena del 1976, si evince che i maggiori danni si manifestano soprattutto sui tratti vallivi dei fossi minori;
    il superamento degli attraversamenti registrato a Senigallia con conseguenti inondazioni delle aree urbane non ha prodotto danni rilevanti fatta eccezione per la ridotta mobilità, e l'interruzione dei servizi;
    in merito alla perimetrazione delle aree esondabili indicate nel Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico, ritenendo eccessivi il tempo di ritorno adottato (200 anni) ed i vincoli associati con impatto consistente sul tessuto del centro storico, la pericolosità indicata è da ritenersi eccessiva rispetto anche alla incolumità delle persone di cui non si registra una casistica legata ad eventi di piena, ferma restando la necessità di verificare lo stato delle arginature o un piano di protezione civile per mantenere sotto monitoraggio le aree esposte;
   infine, con la deliberazione del consiglio regionale n. 116 del 21 gennaio 2004 è stata definitivamente decisa la riduzione della zona precedentemente classificata con grado di rischio R4;
    il discutibile (eppur legittimo) ridimensionamento dell'area originariamente individuata come esondabile, è avvenuto senza porre in essere tutte quelle misure prudenziali evidenziate dall'autorevole soggetto (il professore ingegnere Mancinelli) che pur le aveva dettagliatamente elencate;
   fino a che ciò non fosse avvenuto, mantenere la zona con grado di rischio R4 come individuata negli elaborati originariamente forniti dall'autorità di bacino sarebbe stata la decisione più logica, visto che l'articolo 7 delle NTA del Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico dice pure che «La delimitazione della fascia di territorio inondabile assimilabile a piene con tempi di ritorno fino a 200 anni può essere modificata in relazione all'evoluzione del quadro conoscitivo, nonché a seguito della realizzazione degli interventi per la mitigazione del rischio previsti dal piano stesso»;
   se la zona R4 non fosse stata modificata, l'articolo 9 delle NTA del Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico avrebbe impedito che potessero essere autorizzati nella zona deperimetrata aumenti volumetrici o cambi di destinazione d'uso negli edifici, perché avrebbero comportato aumento del carico urbanistico con aggravamento delle condizioni di rischio;
   nell'eventuale ricerca di concause, non si potrà evitare di porre particolare attenzione sulle modalità esecutive del «PercorriMisa», il cui progetto redatto dall'architetto Massimo Conti insieme alla provincia di Ancona è stato approvato dal comune di Senigallia e dallo stesso comune è stato gestito nell'esecuzione di quella che non avrebbe dovuto (né potuto, in base al PPAR) esser altro che la realizzazione di un percorso di controllo e di guardia lungo il corso del Fiume Misa da Senigallia a Casine di Ostra, nonché sull'ampliamento del Porto Canale, in quanto, nel relativo progetto, ci sono riferimenti alla realizzazione delle casse d'espansione a monte, dove i tecnici incaricati (ancora
l'ingegnere Alessandro Mancinelli, insieme all'ingegnere Raffaele Solustri ed all'architetto Fabio Maria Ceccarelli) avevano incredibilmente supportato la realizzazione della costosissima opera pubblica così come da loro progettata (e quindi anche le relative approvazioni ed autorizzazioni) con una dichiarazione contenuta nella penultima pagina della relazione integrativa in quanto essi affermavano: «Va ricordato inoltre che la Regione ha in corso di realizzazione delle vasche di espansione nella parte mediana del bacino del Misa che contribuiranno a ridurre i colmi di piena»;
   tale affermazione, la mancata realizzazione delle casse d'espansione – indicata dai giornali risalenti a 5 anni fa come «la nuova opera per prevenire le esondazioni del Fiume Misa e salvaguardare la città» – è forse da ritenersi come la principale concausa dei danni provocati dall'alluvione del 3 maggio 2014;
   non è inverosimile ritenere che se questa opera di ingegneria idraulica (il cui progetto Aquater risalente al 1982 veniva presentato dal nuovo curatore della parte idraulica e strutturale dello stesso, ancora l'ingegnere Alessandro Mancinelli) fosse stata realizzata nel rispetto della tempistica indicata da alcuni proclami (febbraio 2010 per la definizione del procedimento di valutazione di impatto ambientale – gennaio 2011 per l'inizio delle gare d'appalto dei relativi lavori), il 3 maggio 2014 le vasche d'esondazioni sarebbero certamente entrate in funzione –:
   quale sia l'ammontare complessivo delle somme eventualmente stanziate per indennizzare dai danni subiti gli abitanti delle zone colpite dall'alluvione e se sia possibile agire in rivalsa per il recupero di tali somme mediante escussione delle polizze;
   quali siano le opere dirette a prevenire future esondazioni nella zona colpita dall'alluvione eventualmente finanziate dallo Stato, progettate o in corso di realizzazione;
   quali ulteriori iniziative intenda assumere in proposito al fine di evitare esondazioni del fiume Misa. (4-08021)

   COVA, SCANU, COCCIA, ALBINI, ZANIN, BURTONE e CASATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le Forze armate sono dotate dei seguenti gruppi sportivi: Centro sportivo olimpico dell'Esercito italiano, Centri sportivi agonistici della Marina militare, Centro sportivo dell'Aeronautica militare, Centro sportivo carabinieri. La polizia di Stato ha il Gruppo sportivo fiamme oro, la Guardia di finanza ha il Gruppo sportivo fiamme gialle. Il Corpo forestale ha il Gruppo sportivo forestale. Il Corpo di polizia penitenziaria ha il Gruppo sportivo fiamme azzurre. Il Corpo dei vigili del Fuoco ha il Gruppo sportivo fiamme rosse;
   i suddetti gruppi sportivi rappresentano l'eccellenza dello sport italiano e anche la Nazione nel mondo;
   da notizie apparse sulla stampa si apprende che nei 18 mesi che precedettero l'Olimpiade di Londra 38 atleti della FIDAL – che avevano l'obbligo di segnalare la propria reperibilità per i controlli antidoping a sorpresa – avevano ripetutamente disatteso a questo obbligo impedendo in questo modo la possibilità di essere sottoposti a controlli out of competition;
   l'intero sistema antidoping ha la sua punta di forza nei controlli a sorpresa effettuati sugli atleti, ma, per effettuare questo genere di controlli, c’è la necessità da parte degli atleti di segnalare la reperibilità giorno per giorno. Una mancata segnalazione (prevista trimestralmente dalla WADA) comporta che tali controlli non si possano effettuare. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal codice mondiale della Wada. È un punto tassativo;
   la mancata segnalazione della propria reperibilità non indica che gli atleti si siano sottoposti a doping;
   l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, ha evidenziato che l'Agenzia CONI-NADO, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni delle reperibilità da parte degli atleti, non si sia mai attivata per la contestazione delle infrazioni e per la prevista squalifica compiendo una grave violazione del codice WADA soprattutto sul fronte delle «mancate reperibilità». Finora è emerso il caso dei 38 atleti della FIDAL, ma gli inquirenti di Bolzano hanno informato che in molte altre Federazioni sportive la situazione è identica. In questi giorni la procura antidoping del CONI ha convocato 65 atleti della sola FIDAL in merito a tale mancanze;
   la Commissione controlli antidoping del Coni, per un elevato numero di atleti di diversi sport, non avrebbe potuto effettuare esami antidoping a sorpresa, perché non era a conoscenza dei loro luoghi di reperibilità;
   i gruppi sportivi che fanno riferimento alle forze armate o ai Corpi di polizia sono composti da diversi atleti di interesse olimpico e internazionale;
   il fenomeno del doping e l'uso di sostanze dopanti è spesso legato anche a fenomeni controllati dalla malavita o da attività illecita –:
   se i comandanti dei Gruppi sportivi indicati in premessa fossero a conoscenza che atleti di tutte le discipline sportive appartenenti al proprio gruppo sportivo non avevano provveduto a inviare il modulo della propria reperibilità come previsto dal codice antidoping del WADA e quale sistema di controllo interno abbiano messo in atto in questi anni per prevenire il mancato invio della comunicazione della reperibilità e il possibile uso di sostanze dopanti da parte dei propri atleti;
   se i comandanti dei gruppi sportivi, dopo le notizie delle agenzie di stampa sugli interventi fatti dalla procura di Bolzano a settembre 2014, si siano attivati per verificare che i propri atleti non fossero nella condizione di aver disatteso a questo obbligo di inviare la reperibilità anche perché ci si riferisce a fatti avvenuti da gennaio 2011 e fino a giugno 2012, e quali provvedimenti abbiano messo in atto nei confronti degli atleti che avessero eventualmente disatteso a questo obbligo;
   se gli atleti appartenenti ai gruppi citati in premessa, che risultano convocati per chiarimenti dalla procura antidoping, abbiano condiviso e concordato con i comandanti e i responsabili dei gruppi sportivi citati in premessa una linea difensiva comune. (4-08025)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 16 agosto 2011, in prossimità dell'isola di Barilac, nelle acque di fronte al comune di Primosten, regione di Sebenico, in Croazia, si è verificato un gravissimo incidente tra due imbarcazioni, nel quale hanno perso la vita i coniugi Francesco Salpietro e Marinelda Patella, entrambi di nazionalità italiana;
   la barca a vela delle vittime è stata colpita e divelta dal motoscafo pilotato da Tome Horvatincic, di nazionalità croata, a carico del quale si è aperto un procedimento penale avanti al giudice ritenuto competente presso il tribunale di Sebenico;
   si sono già tenute tredici udienze nel corso delle quali le parti hanno potuto fornire tutte le informazioni e le controdeduzioni necessarie per giungere a sentenza e, ciò nonostante, il processo è tuttora in corso;
   il procedimento, infatti, ha subito una serie di rinvii, che ne hanno allungato la durata in modo preoccupante e talvolta incomprensibile;
   dopo la dodicesima udienza, del 27 maggio 2013, vi è stata una lunga sospensione e la successiva udienza è stata convocata addirittura per il 7 novembre 2014, poi ulteriormente rinviata al 19 dicembre 2014;
   la conduzione del processo è apparsa, anche per questi motivi, anomala e ha alimentato la preoccupazione nell'opinione pubblica italiana che sussista la volontà di allungarne ulteriormente i tempi allontanando, senza obiettive giustificazioni, la pronuncia definitiva dell'autorità giudiziaria;
   infatti, nel corso della tredicesima udienza del 19 dicembre 2014, è stato consentito alla difesa del cittadino croato di depositare nuove perizie tecniche di parte che in sostanza, dopo oltre 3 anni, riaprono la trattazione di merito, su argomenti che erano già stati approfonditamente trattati e superati in un'udienza del dicembre 2012;
   nel corso di quell'udienza, legittimamente, i parenti e i difensori delle vittime si aspettavano che fossero fissate le date per le conclusioni e per la sentenza;
   al contrario, con questa nuova manovra dilatoria l'effetto ottenuto sembrerebbe, effettivamente, quello di allungare ulteriormente i tempi del procedimento e di allontanare il momento in cui i nostri connazionali otterranno giustizia;
   occorre rilevare che, nonostante le tragiche conseguenze dell'evento, si tratta pur sempre di un processo per un incidente, che, in circostanze normali, si sarebbe potuto svolgere in un numero limitato di udienze che avrebbero consentito di chiarire i contorni dell'accaduto, di attribuire responsabilità e giungere alla pronuncia della sentenza;
   nel caso in questione, inoltre, si registrano ulteriori elementi che hanno sollevato forti inquietudini tra i parenti delle vittime, in relazione ad esempio alla deposizione di un testimone chiave che ha ritrattato la disposizione in modo del tutto incomprensibile;
   di fronte a questi particolari i legali delle vittime hanno contattato l'ambasciata italiana che ha fatto quanto in suo potere per assistere e offrire tutto il sostegno possibile ai parenti delle vittime;
   tuttavia, come è noto, non vi sono poteri in capo all'ambasciatore italiano per far sì che un processo giunga in tempi ragionevoli a conclusione, né, ovviamente, la stessa ambasciata intende interferire con l'amministrazione della giustizia, pur comprendendo le giuste preoccupazioni della famiglia Salpietro;
   la vicenda ha generato particolare sconcerto nell'opinione pubblica italiana e nelle istituzioni per i numerosi rinvii che hanno provocato l'inammissibile ritardo nella risposta alla domanda di giustizia dei familiari delle vittime;
   a ciò si aggiunga un generale allarme per un evento che ha colpito in modo così efferato una famiglia che stava trascorrendo le proprie vacanze nel Paese croato, abitudine molto diffusa tra gli italiani, che, oggi, guardano con timore alla Croazia la per l'inefficienza del sistema giudiziario e per l'evidente incapacità di offrire giustizia in tempi ragionevoli, perfino di fronte ad un evento così tragico –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   come il Ministro intenda attivarsi sul piano politico-diplomatico per quanto di competenza in relazione alla vicenda di
cui in premessa, posto che la famiglia Salpietro attende giustizia da oltre tre anni. (5-04771)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie di stampa, giornali online, il portale Green Report, il dipartimento della protezione civile ha brevettato un nuovo dispositivo antinquinamento idoneo all'intervento marino di bonifica, sia in caso di inquinamento da idrocarburi, sia in caso di inquinamento da microplastiche e rifiuti in genere;
   dalle stesse fonti si apprende che tale dispositivo, già testato su modello in scala con esito favorevole, qualora montato su unità navali di adeguate dimensioni e capacità, risulterebbe idoneo a far fronte a fenomeni di inquinamento, esteso in mare aperto, come le cosiddette «isole di plastica» che interessano gli oceani e anche il nostro Mare Mediterraneo come conseguenza dell'ingente massa di rifiuti che costantemente finisce in mare attraverso le acque dei fiumi, gli scarichi delle navi e, non ultimo, le catastrofi naturali quali le esondazioni dei corsi d'acqua o gli tsunami;
   si apprende inoltre che il dipartimento della protezione civile e la marina militare hanno stipulato un accordo per procedere alla sperimentazione del sistema sopra citato a bordo di una nave militare appositamente predisposta, per valutarne l'efficacia;
   tale sistema potrebbe aumentare considerevolmente le capacità di intervento antinquinamento a tutela dell'ambiente marino e delle coste, al contempo, alla riduzione degli effetti negativi causati da eventuali sversamenti di idrocarburi e dal fenomeno dell'inquinamento da plastica;
   l'atto n. 4-05455 del sottoscritto interrogante, concernente l'inquinamento marino da plastica, pur sollecitata, non ha ancora ricevuto risposta dal Governo –:
   quali iniziative il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda attuare per favorire la realizzazione e sperimentazione di tale sistema che potrebbe costituire una concreta risposta alla minaccia dell'inquinamento da plastiche e da sversamenti di idrocarburi;
   quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda attuare per favorire la realizzazione e sperimentazione di tale sistema che, potendo ridurre i rischi da sversamento di idrocarburi, qualora adottato dai mezzi delle imprese che conducono attività di sfruttamento dei giacimenti nazionali off shore e costieri ridurrebbe il possibile impatto ambientale delle medesime attività. (4-08011)

   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Crotone, tra le località di Capo Colonna e Alfieri, insiste un'area chiamata «Punta Scifo», nota per la sua antica torre di vedetta costruita agli inizi del Seicento, per una delle spiagge più belle della zona, circondata da lussureggiante macchia mediterranea, e per il fatto di affacciarsi sul tratto di Mar Jonio sui cui fondali giace il più grande carico di marmi antichi mai ritrovato nel Mediterraneo;
   il Prg di Crotone, in vigore dal 2003, ha destinato tale area a zona agrituristica e da allora proliferano i progetti per strutture ricettive di varia natura nonostante l'area sia gravata da molteplici vincoli;
   in particolare, in tale area, da tempo, sono iniziati i lavori per la realizzazione di «Marine Park», un complesso turistico-alberghiero composto da 79 bungalow con tanto di platea in cemento e servizi annessi, in spregio a quanto disposto dalla soprintendenza archeologica che nell'aprile 2014 disponeva che «ogni operazione che comporti scavi di qualsiasi natura avvenga sotto l'alta sorveglianza di personale tecnico-scientifico specializzato»;
   tale opera aveva inizio nonostante il Prg consentisse esclusivamente la realizzazione di strutture quali agriturismi o campeggi, ossia strutture ricettive facenti capo ad imprenditori agricoli che utilizzano la propria azienda a scopo di ospitalità per non oltre 30 posti letto;
   il complesso turistico ha inoltre ottenuto l'autorizzazione della provincia di Crotone, che nell'ottobre del 2008 ha rilevato che «il progetto presentato è conforme allo strumento urbanistico vigente», e della soprintendenza archeologica di Crotone, nonostante nell'area vi siano insediamenti di epoca romana scoperti da archeologi del Texas ed in mancanza del nulla osta paesaggistico - che deve essere trasmesso alla soprintendenza per il rilascio del nulla osta di competenza. Tali elementi si evincono dagli esiti delle indagini della procura di Crotone;
   da notizie stampa si apprende che la struttura, oltre a non essere un agriturismo, di fatto non sarebbe gestita da imprenditori agricoli, sebbene a certificarlo sarebbe stato un ex tenente dei vigili urbani, tra le altre cose, risultato non in servizio al momento dell'attestazione;
   quanto sinora descritto è soltanto una parte delle presunte irregolarità riscontrate dagli investigatori della sezione di polizia giudiziaria della procura di Crotone che, secondo quanto risulta agli interroganti, da nove mesi hanno consegnato una dettagliata informativa pubblico ministero Francesco Carluccio, lo stesso che indaga sullo sbancamento realizzato abusivamente per la discesa a mare dal costruendo villaggio, tant’è che un'area di 7500 metri quadrati, nell'aprile 2014, è stata sequestrata dalla capitaneria di porto di Crotone, e sarebbero dodici le persone con denunce a loro carico per abusivismo e deturpamento di bellezze naturali;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio con decreto datato 19 febbraio 2002 recante «modifica del decreto interministeriale 27 dicembre 1991, istitutivo della riserva naturale marina denominata «Capo Rizzuto» ha disposto:
    l'area marina protetta «Capo Rizzuto» (...) in particolare persegue: la promozione di uno sviluppo socioeconomico compatibile con la rilevanza naturalistico-paesaggistica dell'area, anche privilegiando attività tradizionali locali già presenti (articolo 4, comma 1, lettera f);
    all'interno dell'area marina protetta denominata «Capo Rizzuto» (...) In particolare sono vietate: l'asportazione anche parziale ed il danneggiamento di reperti archeologici, di formazioni geologiche e minerali (articolo 5, comma 1, lettera b);
   il decreto legislativo n. 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 – Supplemento ordinario n. 28) dispone che:
    a) i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione (articolo 146, comma 1);

    b) l'autorizzazione è rilasciata o negata dall'amministrazione competente entro il termine di venti giorni dalla ricezione del parere della soprintendenza e costituisce atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittima l'intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa (articolo 146, comma 7);
    c) indipendentemente dall'avvenuta pubblicazione all'albo pretorio prevista dagli articoli 139 e 141, ovvero dall'avvenuta comunicazione prescritta dall'articolo 139, comma 4, la regione o il Ministero ha facoltà di:
   1) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di pregiudicare il bene;
   2) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati (articolo 150, comma 1) –:
    se non ritenga che lo sbancamento realizzato abusivamente per la discesa a mare ed i lavori del costruendo villaggio «Marine Park» non siano dannosi per l'area marina protetta «Capo Rizzuto» ed in quanto tale da vietare ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio datato 19 febbraio 2002;
    se non ritenga doverosa l'immediata sospensione dei lavori del villaggio ai sensi dell'articolo 150, comma 1 del decreto legislativo n. 22 gennaio 2004, n. 41 iniziati in difetto di nulla osta paesaggistico. (4-08024)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   LUIGI GALLO, BRESCIA, NESCI, SIBILIA, DI VITA, DI BENEDETTO, MARZANA, CHIMIENTI, LUIGI DI MAIO, SIMONE VALENTE, MICILLO e COLONNESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio culturale di un territorio viene inteso, oggi, in senso sempre più ampio e comprende risorse culturali sia materiali che immateriali, dato che anche gli asset immateriali delle comunità si riferiscono ad espressioni identitarie ed eredità del passato da trasmettere alle generazioni future. I beni culturali, dunque, sono tutte le testimonianze aventi valore di civiltà ed il nostro Paese ne è una delle espressioni più eloquenti, infatti, secondo l'ultimo aggiornamento effettuato nella riunione del 38o Comitato per il patrimonio dell'umanità a Doha tra il 15 e 25 giugno 2014, il bel Paese è la nazione a detenere il maggior numero di siti inclusi nella lista, ben 50 siti, seguita dalla Cina 47 siti e la Spagna 44 siti;
   la tutela del nostro patrimonio è affidata in esclusiva allo Stato all'articolo 3 del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 42 del 2004), come ribadito nel dettato costituzionale ora vigente e viene esercita tramite il Ministero per i beni e le attività culturali. La direzione regionale, svolge, unitamente agli istituti periferici, funzioni di tutela volta all'individuazione, protezione e conservazione dei beni culturali, sia di proprietà pubblica che privata;
   il MIBACT, è azionista unico di ALES, il cui capitale è detenuto per il 100 per cento. Si sottolinea, dunque, che il Ministero, in base all'articolo 19 dello statuto di ALES, detta mediante il Consiglio d'amministrazione o l'amministratore unico le linee guida anche vincolanti da seguire ed effettua tre tipi di controllo: economico, amministrativo ed ispettivo, sulla base di un apposito Regolamento approvato con decreto del direttore generale per la valorizzazione del patrimonio Culturale;
   Ales spa è una società in house in quanto il MIBACT realizza le attività di sua competenza attraverso questo organismo, senza quindi ricorrere al mercato per procurarsi (mediante appalti) i lavori, i servizi e le forniture ad essa necessaria;
   lo statuto di Ales, prevede che tale ente si occupi della tutela del patrimonio storico ed artistico mediante la protezione e la conservazione per fini di pubblico interesse, a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio ed a promuovere lo sviluppo della cultura;
   la società «Arte lavoro e servizi – Ales S.p.A.» è stata costituita il 17 dicembre 1998, al fine di dare occupazione ai lavoratori socialmente utili (LSU, oltre 400 unità) di alcune società dismesse nelle regioni Lazio e Campania. Il capitale sociale, cui non possono partecipare soggetti privati, inizialmente sottoscritto da Italia Lavoro spa (70 per cento) e dal MIBACT (30 per cento) è stato successivamente acquisito interamente da quest'ultimo (vedi articolo 28, legge n. 69 del 2009), al fine di realizzare «le norme giurisprudenziali e di legge previste per le società in house providing»;
   nella deliberazione n. 67 del 2011 l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha evidenziato come ALES ed ARCUS abbiano le stesse funzioni e che nessuna delle 2 avrebbe i requisiti per operare in house providing, nonostante la partecipazione totalitaria del MIBACT;
   dall'atto costitutivo di ALES, all'articolo 3, si evince che tale società ha, per oggetto sociale, lo scopo di creare le necessarie ed urgenti opportunità occupazionali per i lavoratori già impiegati nei lavori socialmente utili, l'esecuzione di attività uguali, analoghe o connesse a quelle già oggetto dei progetti di lavori socialmente utili svolti presso il Ministero per i beni culturali e ambientali (presso altre amministrazioni pubbliche);
   Italia Lavoro spa, in una sentenza della Corte Costituzionale 363/2003, si legge, è una società totalmente partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze che opera per statuto come di seguito descritto: «i compiti svolti da tale società (non liberamente determinati da questa) consistono essenzialmente, nella prestazione di servizi finalizzati alla promozione dell'occupazione, tramite lo strumento LSU. Essa assunse 400 dipendenti e 1000 lavoratori con incarichi a progetto. La società Italia Lavoro Spa è sorta nel 1997 (in base alla direttiva del presidente del consiglio 13 maggio 1997);
   già nel 2011 in una lettera della Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche coordinamento nazionale (FLP), si denunciava che Ales spa continuava a modificare e variare i contingenti del personale nelle varie sedi periferiche del Ministero eludendo il confronto con i soggetti istituzionali individuati dal Segretario Generale ed in particolar modo con le direzioni regionali interessate e la Direzione generale per la valorizzazione che, in detta circostanza, sembravano essere venute meno al proprio compito di monitoraggio e coordinamento di tale attività. Si evince, dunque, da quanto detto, l'inadeguatezza delle linee operative del managment della società che nel 2011 appariva guidato da una logica di altra natura e privo di una reale valutazione di impatto delle attività ad essa affidate, non inserendo nell'organico della società i lavoratori socialmente utili che vedevano così «calpestati» i propri diritti;
   Ales spa ancora oggi non sembra avere risolto e abbandonato questa logica e assegna incarichi di consulenze esterne e che potrebbero essere la causa dell'aumento a dismisura dei costi di tale società. Infatti, nella nota integrativa dell'anno 2012, sottoscritta dall'amministratore unico della società Ales, professore Giuseppe Proietti, si evince e si sottolinea la presenza di una perdita fiscale residua di 1.330.605 di euro, nonostante un utile di esercizio di 462.503 di euro;
   il giorno 7 novembre 2014 un articolo apparso sul sito Ansa, sezione cultura, titola quanto segue: «Franceschini: Pompei “chiusa” per assemblea, danno all'Italia»;
   il Ministro su twitter si esprime sul blocco agli scavi causato dalle agitazioni
sindacali, basta cancelli chiusi per assemblea a Pompei, «è un danno incalcolabile per l'immagine dell'Italia intera»;
   al secondo giorno di proteste, con 1100 turisti in fila davanti alle porte serrate degli scavi di Pompei che si aggiungono agli oltre 2 mila già delusi il giorno precedente, è direttamente il Ministro della cultura Franceschini ad entrare a gamba tesa nelle contrattazioni sindacali del sito campano, con un tweet che in qualche modo evoca il ricorso alla precettazione ventilato mesi fa di fronte al Colosseo chiuso per sciopero;
   ai lavoratori in agitazione da giorni per i turni di vigilanza ritenuti troppo duri, Franceschini ricorda le assunzioni appena fatte («78 persone per superare le carenze di personale») e quelle che verranno («75 entro dicembre»);
   Ales – Arte Lavoro e Servizi spa (società in house del Ministero per i beni e le attività culturali) ha indetto il 25 giugno 2014 un concorso per selezionare 30 addetti per l'assistenza al pubblico e la vigilanza. Le candidature dovevano pervenire entro il 9 luglio 2014 e ad oggi non è stata effettuata alcuna selezione o meglio non è stato pubblicato alcun esito della selezione;
   Ales – Arte Lavoro e Servizi spa, che già precedentemente aveva già offerto tale servizio per gli scavi di Pompei e quindi dovrebbe avere al suo interno già personale qualificato ed esperto, dimostra quindi di perseverare, nella logica di creare migliaia di elenchi di giovani tirocinanti e precari per far fronte a presunte esigenze «temporanee», in netto contrasto con l'esigenza istituzionale di garantire stabilmente la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale;
   questa selezione non tiene conto quindi di quanto l'AVCP, con la già citata delibera n. 67 del 2011, aveva raccomandato ovvero che «l'affidamento ad Ales della gestione di servizi per il pubblico di siti museali di primaria rilevanza appare travalicare quanto consentito per gli affidamenti in house. Peraltro, affidamenti diretti senza una preventiva verifica della situazione di mercato potrebbe comportare ripercussioni sul grado di concorrenza, sottraendo quote di contratti pubblici al mercato ed escludendone l'accesso ai soggetti economici privati potenzialmente interessati. Infine, si osserva che Ales non può svolgere attività ulteriori rispetto a quelle (già ampie) espressamente previste dallo statuto sociale atteso che, sottraendo le stesse attività al confronto concorrenziale del mercato, si lederebbero i principi di concorrenza, di parità di trattamento e di non discriminazione, di cui all'articolo 2 del Codice dei Contratti Pubblici»;
   il professor Giuseppe Proietti attualmente è amministratore unico di Ales spa e sindaco del comune di Tivoli;
   la legge 6 novembre 2012 n. 190 «disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e delle illegalità nella pubblica amministrazione», si muove nella direzione di rafforzare l'efficacia e l'effettività delle misure di contrasto al fenomeno corruttivo, mediante un'Autorità Nazionale Anticorruzione, che analizza anche i comportamenti dei funzionari pubblici e segnala comportamenti non conformi con l'obbligo di trasparenza o tendenti a fenomeni corruttivi ed esercita la vigilanza sulla applicazione di tali norme, mediante controlli ispettivi;
   l'Autorità nazionale anticorruzione interviene anche sull'incompatibilità degli incarichi nelle amministrazioni pubbliche ed estende gli obblighi, anche in trasparenza, alle società partecipate delle pubbliche amministrazioni e alle loro controllate;
   la trasparenza deve essere garantita attraverso la pubblicazione sui siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni delle informazioni riguardanti i procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e
conti consultivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione nei servizi erogati ai cittadini;
   la definizione di trasparenza è fornita dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 150 del 2009, come «accessibilità totale anche attraverso la pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti allo scopo di favorirne forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità “costituisce ora” livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili»;
   sul sito web di Ales – Arte lavoro e servizi spa, non appare attivata conformemente la sezione «Amministrazione Trasparente» dalla quale poter evincere, ad esempio, il personale impiegato e il numero dei dirigenti o gli incarichi o le cariche dell'Amministratore unico e la sua assenza di cause di inconferibilità o di incompatibilità –:
   se e quali controlli e monitoraggio il MIBACT ha effettuato per garantire il rispetto del criterio del controllo analogo disciplinato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale;
   quanti sono i dipendenti di Ales appartenenti o appartenuti alla categoria di LSU in percentuale rispetto al personale complessivo della società e se esista un monitoraggio sui costi delle consulenze esterne e sul personale assunto per le consulenze;
   se non ritenga inopportuni e incompatibili i ruoli politici assunti dall'amministratore unico e quali iniziative intenda assumere in merito;
   se e in che modo il MIBACT intenda intervenire nel garantire la trasparenza e la prevenzione della corruzione di cui alla legge n. 190 del 2012 e suoi decreti delegati (decreto legislativo n. 33 del 2013 e decreto legislativo n. 39 del 2013) con particolare riferimento ad autorizzazioni e concessioni, alla scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, alla concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzioni di vantaggi economici ad enti, ai concorsi e prove selettive per l'assunzione di personale e progressioni di carriera;
   che criteri seguiranno le assunzioni citate per gli scavi di Pompei e come saranno o sono state selezionate le 75 persone che dovevano essere assunte entro dicembre. (5-04763)

   COVELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della Borsa italiana del turismo è emerso che la Calabria nonostante il suo enorme potenziale dal punto di vista degli attrattori turistici ha fatto registrare nel corso dell'ultimo anno un preoccupante segno negativo con un meno 3 per cento di visitatori;
   l'Expo rappresenta certamente una grandissima occasione per consentire una effettiva ripresa della capacità di attrazione per i turisti da parte della Calabria sia per i temi che saranno oggetto dell'esposizione mondiale, il cibo, sia per le bellezze e il patrimonio culturale che possono essere di sicuro interesse per i milioni di visitatori attesi nel periodo della manifestazione;
   vanno costruite le opportune sinergie per il rilancio di uno dei settori chiave dell'economia nazionale ed in particolare calabrese ed Expo 2015 può davvero costituire una occasione di svolta –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere in particolare per la Calabria al fine di consentire una effettiva valorizzazione del suo patrimonio culturale nonché delle sue bellezze e dei suoi attrattori per un conseguente rilancio del settore turistico in occasione dell'evento espositivo mondiale che si terrà a Milano a partire dal prossimo mese di maggio.
(5-04769)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:

   FEDI, GARAVINI, GIANNI FARINA, PORTA e LA MARCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 ottobre 2014, n. 161, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea bis –, all'articolo 7 estende le agevolazioni fiscali previste per i soggetti residenti in Italia in termini di deduzioni e detrazioni – ai contribuenti residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, a condizione che producano almeno il 75 per cento del proprio reddito complessivo in Italia e non godano localmente di analoghe agevolazioni fiscali;
   la norma per essere operativa necessita dell'emanazione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze contenente le disposizioni attuative;
   ad oggi non risulta che tale decreto sia stato ancora emanato, con la conseguenza che i possibili beneficiari di tale misura operanti in uno Stato membro dell'Unione europea continuano a percepire le loro retribuzioni senza il beneficio di tali detrazioni;
   non risulta che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale abbia adottato misure per prepararsi all'eventualità dell'applicazione della norma, calcolando per ciascun beneficiario l'entità delle detrazioni –:
   quale sia lo stato di elaborazione del decreto attuativo e quali siano i tempi previsti per l'applicazione della norma;
   quali iniziative urgenti e del caso normative si intendano intraprendere affinché le agevolazioni fiscali previste dall'articolo 7 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, – in termini di deduzioni e detrazioni – previste attualmente per il solo ambito europeo vengano al più presto estese anche ai lavoratori che agiscono negli spazi extraeuropei riconoscendo loro parità di trattamento. (4-08009)

   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa è una società con socio unico a partecipazione totalitaria del Ministero dell'economia e delle finanze, presente in maniera capillare su tutto il territorio italiano e con 143 mila dipendenti, che fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale a oltre 40 milioni di clienti;
   il 5 novembre 2014, l'amministratore delegato di Poste Italiane, dottor Francesco Caio, in audizione in Commissione industria del Senato, ha presentato il piano di razionalizzazione della rete di sportelli postali;
   nel corso dell'audizione il dottor Caio ha affermato che «oggi abbiamo 13 mila sportelli ma abbiamo avviato una richiesta di autorizzazione per circa 5-600 sportelli in meno»;
   come denunciato più volte dal gruppo parlamentare del Movimento cinque stelle, la chiusura di un numero così elevato di sportelli di Poste Italiane è un atto che nasce da valutazioni di pura natura economico-gestionale e non tiene in minimo conto quello che è l'indispensabile ruolo svolto dall'azienda per milioni di cittadini: garantire il servizio postale universale;
   anche la regione Calabria sarà colpita drasticamente dai tagli pianificati da Poste Italiane, con la chiusura di circa 25 uffici e la razionalizzazione di altri 35 che apriranno solo alcuni giorni a settimana;
   secondo quanto si legge su «Il Quotidiano della Calabria» del 13 febbraio 2015, «nel piano di intervento di chiusura rientra anche l'ufficio postale di Caria (frazione del comune vibonese di Drapia, nda), da anni sottoposto a un'eventuale situazione d'allarme e spesso schivata attraverso proteste, raccolta firme e interventi vari. L'amministrazione comunale drapiese, nei giorni scorsi, ha ricevuto la comunicazione di chiusura a decorrere del prossimo mese di aprile, dalla direttrice provinciale della filiale di Poste Italiane Caterina Giordano»;
   il sindaco di Drapia Antonio Vita ha immediatamente inviato una lettera alla dottoressa Giordano, nella quale si legge: «Le rappresento sin da ora, la totale ed assoluta contrarietà a questo grave ed ingiustificato provvedimento assunto dall'Azienda, con invito a voler immediatamente bloccare e/o revocare tale assurda decisione»;
   dopo la missiva del primo cittadino, si è tenuto un incontro tra lo stesso Vita, il vice sindaco Pino Rombolà, il capogruppo della minoranza Alessandro Porcelli e la direttrice Caterina Giordano. Dalla riunione, secondo quanto riportato dal summenzionato articolo, non è emerso alcun margine di trattativa: «la direttrice provinciale – si legge – ha esposto le motivazione dell'Azienda, volendo così mantenere un unico ufficio postale del comune nella frazione di Brattirò, seppur poco adeguato per limitato spazio»;
   il TAR del Lazio, attraverso sentenza n. 1117 del 29 gennaio 2014, si esprimeva avverso la chiusura dell'ufficio postale della frazione di Redipiano, nel comune di San Pietro in Guarano (Cosenza), evidenziando che «la direttiva comunitaria ed il decreto legislativo (in particolare articolo 3, comma 5, lettera c) del decreto legislativo n. 261 del 1999 come modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011), hanno posto un particolare accento anche sulle esigenze degli utenti, in particolare delle zone rurali e di quelle scarsamente popolate; esigenze che non avrebbero rispettate col solo criterio di ragionevolezza basato sull'equilibrio economico come presupposto per la permanenza di uffici postali in territori particolarmente disagiati» e che «è quasi superfluo rilevare come nell'ambito di un servizio pubblico l'equilibrio economico non possa assumere la stessa determinante rilevanza che assume nella gestione di una impresa privata»;
   il giudice amministrativo del TAR Lazio ha intimato, dunque, a Poste italiane di operare scelte organizzative che salvaguardino il principio della garanzia del «pubblico servizio» rimarcando che anche in periodi di spending review gli interessi sociali non possono essere sottomessi alla esasperata ricerca dell'utile;
   a parere dell'interrogante, da quando le società di Stato sono diventate società per azioni, la divaricazione tra interesse privato e interesse pubblico è fin troppo evidente: anche questa decisione prospettata dall'amministratore delegato di Poste Italiane è un atto estremamente grave e dalle ricadute negative sulla vita quotidiana di moltissimi cittadini;
   la politica di razionalizzazione di Poste Italiane, invece di migliorare il servizio per i cittadini, rischia di creare solo difficoltà, in particolare per gli anziani e per gli abitanti dei piccoli comuni che si ritroveranno senza ufficio postale o avranno un servizio solo a giorni alterni –:
   se i Ministri interrogati intendano, anche in virtù della citata sentenza del TAR, mantenere lo stato attuale degli uffici nei piccoli comuni calabresi per non creare problemi alla popolazione;
   se i Ministri interrogati abbiano intenzione di assumere iniziative affinché Poste italiane riveda il piano strutturale;

   quali iniziative di competenza intendano assumere affinché la società garantisca il buon funzionamento delle strutture territoriali presenti nei piccoli comuni italiani, in modo tale da evitare che si verifichino situazioni critiche per l'utenza. (4-08018)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in data 8 ottobre 2014 il consiglio regionale della Lombardia ha approvato, all'unanimità dei presenti, la mozione n. 303, concernente il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara;
   la mozione impegna la giunta regionale della Lombardia ad attivarsi affinché la Conferenza Stato-regioni indichi al CIPE che l'opera è prioritaria e quindi che vengano ripristinati i finanziamenti in modo da poter portare a compimento il completamento del raddoppio nella tratta che va da Albairate a Parona, assecondando le richieste già effettuate dai comuni;
   la realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara è suddivisa in 6 sottoprogetti; la presente interpellanza vuole porre particolare attenzione all'intervento denominato «Sottoprogetto 2», il quale, si propone di completare il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara, nella tratta Cascina Bruciata-Parona. Il tracciato si estende per 19,5 chilometri e segue il tracciato storico sino a Parona, eccetto che nel tratto precedente al comune di Abbiategrasso, in prossimità del Naviglio Grande, ove affianca a nord il tracciato attuale. Il progetto, oltre al raddoppio della tratta, prevede la realizzazione degli impianti tecnologici e di sicurezza e opere sostitutive per la soppressione dei passaggi a livello;
   questo progetto è stato approvato in linea tecnica preliminare da parte del CIPE il 29 marzo 2006, ma l'avvio del progetto definitivo è sospeso in quanto subordinato alla messa a disposizione da parte del CIPE dei finanziamenti necessari;
   i continui disagi che vengono riscontrati dai pendolari, che quotidianamente percorrono la tratta (per citarne alcuni, sovraffollamento, pesanti ritardi, cancellazione di corse, malfunzionamento degli impianti di riscaldamento e di climatizzazione), impongono alle istituzioni preposte una particolare attenzione affinché si possa arrivare ad una soluzione definitiva e nel più breve tempo possibile –:
   se sia ancora nelle strategie del Governo il completamento della tratta che va da Albairate a Parona e se sia quindi intenzione del Ministro attivarsi presso il CIPE affinché vengano rimessi a disposizione gli stanziamenti previsti per la realizzazione del «Sottoprogetto 2» del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara.
(2-00851) «
Prina, Zanin, Paolo Rossi, Amato, Carnevali, Civati, Taricco, Dell'Aringa, Rubinato, Cova, Bargero, Bazoli, Carella, Scanu, Beni, Terrosi, Carrescia, Guerra, Mauri, Luciano Agostini, Preziosi, Amendola, Senaldi, Kronbichler, Simoni, Peluffo, Giampaolo Galli, Piepoli, Cenni, Casati, Castricone, Sanga».

Interrogazione a risposta in Commissione:

   COMINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per il raddoppio del tratto Azzano Mella — Ospitaletto, la «corda molle», autorizzata dal Cipe nel maggio 2005, sono stati espropriati i terreni di 438 agricoltori. La costruzione è stata suddivisa in quattro lotti. Ad oggi ne sono stati realizzati due, il tratto tra Castenedolo e Azzano Mella; la riqualificazione della sp19 tra Azzano e Ospitaletto è invece ferma. Questo perché la concessione per la gestione dell'A21 in capo a Centropadane è scaduta il 30 settembre 2011. Da allora la società è tenuta alla gestione ordinaria, non a portare avanti gli investimenti, che dovranno essere completati dal nuovo concessionario;
   a seguito di questo cambio di competenze gli indennizzi agli agricoltori sono fermi da sette anni, per una cifra pari a circa 30 milioni di euro;
   come riportato dagli esponenti degli agricoltori in un articolo apparso in questi giorni sul Corriere della sera, edizione di Brescia «I decreti di esproprio sono tutti scaduti a termine di legge alla fine del 2012. La situazione è drammatica per tutte le aziende espropriate, così come drammatico è l'aspetto della viabilità e della sicurezza (vedi tutti gli incidenti, anche mortali, accaduti in questi anni), anche in previsione dell'aumento del traffico per Expo 2015»;
   alla fine del mese di gennaio 2015 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Anas e Centro Padane hanno promesso che la soluzione è prossima: l'Anas anticiperà le risorse e Centropadane contatterà ogni singolo proprietario;
   a tutt'oggi, però non risulta che nessuno abbia ancora contattato gli agricoltori che, infatti, nella giornata di domani hanno annunciato una manifestazione di protesta bloccando con i trattori il tratto stradale della pr19 –:
   in che tempi verranno avviati i rimborsi degli agricoltori che da anni attendono un equo risarcimento, per risolvere una situazione grave, causa di tensioni sociali, resa ancora più pesante dal difficile momento di crisi che sta attraversando il Paese. (5-04766)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

   VALLASCAS, MASSIMILIANO BERNINI, DELLA VALLE, BENEDETTI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 12 gennaio 2015, un gruppo di cittadini di Villacidro, nella provincia regionale del Medio Campidano, sta occupando, in assemblea permanente, l'aula del consiglio comunale;
   l'iniziativa di protesta sarebbe stata motivata con il rincaro, giudicato eccessivo, delle tariffe della Tari, la tassa sui rifiuti, con aumenti in bolletta che variano dal 60 a oltre il 100 per cento rispetto alle precedenti tariffe;
   un'analoga iniziativa, con occupazione del consiglio comunale, è stata portata avanti, agli inizi del 2014, nel comune di Guspini, nel Medio Campidano, sempre con la motivazione dei rincari ritenuti eccessivi della tassa sui rifiuti;
   il comune di Villacidro risulta, nelle classifiche dei comuni capoluogo di provincia, tra i più poveri d'Italia (all'ultimo posto della classifica elaborata dal dipartimento delle finanze in base all'imponibile 2009);
   la reazione ai rincari precedentemente richiamati, se non giustificabile, appare però comprensibile in un contesto sociale contrassegnato dal grave disagio economico e occupazionale, acuito dall'insufficienza delle misure di contrasto alla povertà, per effetto della drastica riduzione dei trasferimenti statali e regionali in materia;
   entrambi i comuni, come altri del Medio Campidano, conferiscono i rifiuti alla medesima società, della quale detengono parte del capitale sociale, denominata «Villaservice Spa», costituita su iniziativa del Consorzio industriale provinciale Medio Campidano-Villacidro;
   secondo quanto riportato dai manifestanti, tra le cause del rincaro delle bollette verrebbero indicati alcuni aspetti relativi ai rapporti tra il Consorzio e l'azienda d'appalto;
   nella fattispecie tra il consorzio industriale provinciale Medio Campidano-Villacidro e la società Villaservice spa sarebbe stato stipulato un contratto d'affitto per l'utilizzo degli impianti in capo al Consorzio industriale, per un importo minimo annuo pari a 600 mila euro;
   in assenza di altri introiti, gli oneri derivanti dall'affitto degli impianti costituirebbero un elemento significativo nella determinazione della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti a carico dei soggetti fruitori del servizio, evenienza che rappresenterebbe una conseguenza concreta di un rincaro eccessivo delle tariffe con disagi per gli utenti. In tal senso l'articolo 202, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006 specifica che «Gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali, già esistenti al momento dell'assegnazione del servizio, sono conferiti in comodato ai soggetti affidatari del medesimo servizio»;
   l'occupazione di un consiglio comunale rappresenta un evento di straordinaria importanza, per i risvolti in materia di ordine pubblico, tanto più quando si protrae per oltre un mese e interessa un comune capoluogo di provincia, seppure provincia regionale;
   in questo lasso di tempo, vi sono stati confronti pubblici tra manifestanti e amministrazione comunale, alla presenza e con il coinvolgimento delle forze dell'ordine. L'ultimo incontro pubblico si è tenuto l'11 febbraio 2015 nell'aula consiliare del comune –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa;
   se vi sia stato, e di quale natura sia, un intervento da parte del prefetto di Cagliari, in considerazione dell'emergenza sotto il profilo dell'ordine pubblico e del grave disagio sociale ed economico del territorio di Villacidro;
   se il prefetto di Cagliari abbia avuto modo, nell'ambito delle attività istituzionali di competenza, di verificare le reali motivazioni che hanno spinto i manifestanti a occupare il consiglio comunale di Villacidro. (4-08022)

   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 febbraio 2015, in località Maerne, presso il comune di Martellago (VE) una donna quarantenne è stata ferita alla schiena con un coltello da un uomo che l'ha aggredita all'imbocco del tunnel ciclopedonale che porta in via Fratelli Bandiera, con lo scopo di un'aggressione sessuale;
   la vittima, nonostante la paura e la pericolosità della situazione, ha trovato la forza per reagire, e pur riuscendo a divincolarsi e fuggire ha subito una ferita sulla schiena provocata dal coltello che l'aggressore brandiva;
   dalle prime immagini acquisite dai circuiti di sorveglianza e dalle testimonianze, sembra confermata l'ipotesi che si tratti di un giovane, nordafricano e che sulla base di questo possibile identikit le forze dell'ordine hanno avviato una fase di ricerca, al fine di assicurare alla giustizia l'assessore;
   l'episodio in questione, pur eccezionale per la gravità, è l'ultimo in sequenza temporale di una serie di furti e rapine che hanno di fatto deteriorato la situazione dei sicurezza nel territorio di Martellago, situazione sulla quale, l'interrogante ha peraltro già presentato atti di sindacato ispettivo al Ministero dell'interno –:
   se, di fronte al sensibile incremento degli episodi di criminalità nel Miranese e in particolare quelli accaduti in comune di Martellago, sia stato predisposto un piano di incremento della presenza delle forze dell'ordine, o degli interventi nel territorio da parte delle medesime;
   quale livello di coordinamento sia in atto tra le diverse forze dell'ordine che rispondono al Ministero dell'interno e quello della difesa, e le polizie locali che hanno responsabilità sul territorio in questione;
   quale sia il numero di unità delle forze dell'ordine dedicate all'attività di pattugliamento e vigilanza nel territorio in questione e quale sia la modalità di pianificazione degli interventi di prevenzione e controllo;
   quale sia il livello di copertura dei sistemi pubblici di sorveglianza relativamente ai luoghi sensibili (telecamere);
   se, alla luce della situazione che si sta configurando, sia necessario e utile avviare un tavolo di coordinamento tra la prefettura e i comuni coinvolti, al fine di ottimizzare la presenza delle forze dell'ordine e l'efficacia degli interventi. (4-08023)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la legge 16 novembre 1950, n. 1093 disciplina la «Concessione di diplomi ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte», divisi in tre classi, con facoltà di fregiarsi, rispettivamente, di medaglia d'oro, d'argento, ovvero di bronzo, per ricompensare le persone o gli enti «che con opere di riconosciuto valore, con segnalati servigi o con cospicue elargizioni, abbiano acquistato titoli di particolare benemerenza nel campo dell'educazione, della scuola e nella diffusione ed elevazione della cultura» (legge n. 1093 del 1950, articolo 1);
   l'articolo 5 della norma richiamata, stabilisce che: «Il conferimento dei diplomi sarà fatto per decreto presidenziale, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione»;
   il successivo articolo 6 della legge in parola prevede che «Il Ministro per la pubblica istruzione farà le proposte, di cui all'articolo precedente, su parere di una Commissione da lui nominata e presieduta, e costituita:
    a) dai direttori generali del Ministero della pubblica istruzione;
    b) da un membro di ciascuna delle tre sezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione; da un membro del Consiglio superiore delle antichità e belle arti e da uno del Consiglio superiore delle accademie e biblioteche, tutti designati dai rispettivi Consigli;
    c) da un rappresentante rispettivamente dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia di San Luca e dell'Accademia di Santa Cecilia;
    d) da due membri scelti dal Ministro per la pubblica istruzione tra coloro che sono già insigniti del diploma di benemerenza di cui all'articolo 1;

  la Commissione darà parere anche sulle segnalazioni che fossero fatte per iniziativa di membri della Commissione stessa;
   in caso di assenza o di impedimento del Ministro, la Commissione sarà presieduta dal Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. I membri della Commissione durano in carica due anni e possono essere confermati»;
   con il riassetto dei dicasteri, dall'onorificenza originaria ne sono state fatte derivare due nuove, intitolate, rispettivamente, ai «benemeriti della cultura e dell'arte», destinata a «Funzionari dei Ministeri, Rettori, Direttori di Istituti di istruzione superiore e artistica, Provveditori agli Studi, Direttori di Biblioteche pubbliche; personale universitario e degli
Istituti di istruzione superiore e artistica; personale direttivo e docente degli Istituti di istruzione media ed elementare, personale degli Uffici scolastici provinciali e ispettivi; musicisti, letterati, attori e artisti», per «premiare quanti hanno illustrato la Nazione nei campi della cultura, dell'arte, dello spettacolo», concessa mediante «decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali»; e ai «benemeriti della scienza e della cultura», rivolta a «Rettori, Direttori di istituti universitari e di ricerca, studiosi di chiara fama», per «premiare i titoli di particolare benemerenza nel campo accademico e della ricerca», concessa mediante «decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica»; ambedue le nuove onorificenze conservano il medesimo riferimento normativo di quella (tutt'oggi concessa) dalla quale sono state ricavate per derivazione e, cioè, la già richiamata legge n. 1093 del 1958;
   la novella testé richiamata importa che il parere di cui all'articolo 6 della legge n. 1093 del 1957 venga reso sempre da una Commissione che, tuttavia, viene nominata, rispettivamente, per la categoria dei «benemeriti della cultura e dell'arte» dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre per quella dei «benemeriti della scienza e della cultura» dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   dalla data di cessazione dalla carica degli ultimi componenti che ne hanno fatto parte, avvenuta circa otto anni orsono, la commissione relativa all'onorificenza destinata ai «benemeriti della scienza e della cultura» non viene più rinnovata da parte del Ministro competente che, dalla riunificazione del dicastero della pubblica istruzione con quello per l'università e la ricerca scientifica e tecnologica, è il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   ciò impedisce il conferimento dell'onorificenza ai «benemeriti della scienza e della cultura» che, di fatti, non viene più concessa dal lontano 2007;
   in conseguenza, una serie di istanze inevase si è accumulata presso la sede del predetto dicastero;
   la mancata nomina della Commissione de qua rappresenta a giudizio dell'interpellante un'omissione, tanto più grave, in quanto immotivata;
   premiare quegli scienziati le cui ricerche sono alla base del progresso dell'umanità, di ogni percorso di innovazione, rappresentando per il nostro Paese una risorsa strategica, oltre ad una fonte di lustro sul piano internazionale, è un dovere fondamentale, anche avuto riguardo al disposto dell'articolo 9, comma 1 della Carta fondante –:
   per quali motivi non si sia provveduto, da circa otto anni, alla nomina della Commissione che deve rendere il parere di cui all'articolo 6 della legge n.  1093 del 1958, ai fini della concessione dell'onorificenza destinata ai «benemeriti della scienza e della cultura»;
   in che tempi, avuto riguardo ai limiti massimi stabiliti dalla legge, intenda provvedere alla predetta nomina;
   quali iniziative straordinarie abbia intenzione di adottare per evadere le pratiche accumulatesi, anche in considerazione: a) dell'età avanzata di alcuni dei candidati proposti, che impone, quantomeno per motivi etici, di dare soddisfacente in vita agli aventi diritto, senza dover far ricorso necessariamente a concessioni «alla memoria»; b) delle prescrizioni contenute all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1952, n. 4553 («Approvazione del regolamento per l'esecuzione della legge 16 novembre 1950, n. 1093, per il conferimento dei diplomi ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte»), in ossequio al quale «Le proposte, istruite e corredate del parere della direzione generale rispettivamente competente, dovranno essere trasmesse al presidente della Commissione costituita in base all'articolo 6 della legge
16 novembre 1950, n. 1093, non oltre il giorno 15 febbraio di ciascun anno», atteso che l'articolo 7 della legge n. 1093 del 1958 dispone che «La concessione dei diplomi avviene una volta all'anno, alla data del 2 giugno.
(2-00852) «
Petrenga».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto previsto dalle linee guida del dossier «La Buona Scuola», presentato il 3 settembre dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, si dovrebbe assistere nel 2015 a un piano di assunzioni che consentirebbe la stabilizzazione di circa 150 mila precari della scuola italiana;
   uno degli obblighi a cui i candidati inseriti nelle graduatorie a esaurimento e nelle graduatorie del concorso 2012 dovranno sottostare è quello della mobilità geografica, cioè la possibilità di essere assunti in una provincia della stessa regione o anche di una regione differente da quella di residenza;
   durante il mese di dicembre 2014 avrebbe dovuto essere avviato da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il censimento dei docenti presenti nelle graduatorie ad esaurimento, i quali saranno chiamati a esprimere la propria disponibilità all'assunzione con contratto a tempo indeterminato sulla base appena specificata;
   allo stato attuale, i docenti in attesa dell'immissione in ruolo hanno già aggiornato le graduatorie scegliendo, per avere maggiori possibilità di occupazione, una provincia spesso anche molto lontana da quella di residenza;
   coloro che sono stati immessi in ruolo recentemente, da graduatorie ad esaurimento o da graduatoria di merito dell'ultimo concorso, sono soggetti ad un blocco triennale, conseguentemente per tre anni non potranno cambiare provincia a meno che non rientrino nella casistica specifica delle utilizzazioni ed assegnazioni provvisorie, come esplicitato nel CCNL sulla mobilità 2014/2015;
   a seguito del piano straordinario di assunzioni su tutti i posti vacanti e disponibili delineato nel dossier «La Buona Scuola» dal Governo Renzi, si assisterà ad una saturazione di tutte le cattedre esistenti con la conseguenza che, per lungo tempo, verranno meno i posti disponibili da destinare ai trasferimenti, ad eccezion fatta per quelli che si libereranno per effetto dei pensionamenti, che saranno comunque soggetti ad una riduzione percentuale, essendo in parte destinati a nuove assunzioni in ruolo da nuovi concorsi;
   l'effetto possibile a cui si andrà incontro sarà quindi quello del blocco territoriale dei neoassunti nella medesima provincia per lungo tempo, senza la possibilità di avvicinarsi a quella di residenza. Ne deriva quindi una tangibile necessità di adottare un piano di mobilità straordinaria che riguardi anche i docenti da poco assunti in ruolo;
   anche la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sancisce, all'articolo 8, il diritto al rispetto della vita familiare tutelando il ricongiungimento familiare: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui» –:
   se il Governo intenda consentire ai futuri docenti una scelta più oculata della provincia in cui essere immessi in ruolo;
   se il Governo abbia valutato la possibilità di riaprire le graduatorie e, conseguentemente, di adottare un piano straordinario sulla mobilità, per consentire ai docenti di effettuare un aggiornamento della scelta delle province, come spiegato in premessa, in modo da consentire un avvicinamento alla provincia di residenza e ridurre, così, i sacrifici e i costi a carico dei docenti stessi. (5-04764)

   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI, LUIGI GALLO, D'UVA, VACCA, MARZANA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'istruzione secondaria di secondo grado, entrata in vigore il 1o settembre 2010 emanata dal Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca pro tempore Mariastella Gelmini ha rimodulato il monte orario di molti corsi di studio con le note conseguenze dei tagli alle risorse economiche scolastiche e di una notevole riduzione di cattedre che hanno dato luogo ad innumerevoli esuberi;
   la riforma è stata fortemente penalizzante per i docenti abilitati all'insegnamento delle cosiddette «materie d'indirizzo» degli istituti tecnici professionali, con particolare riferimento alle discipline economico aziendali (cdc A017) e Discipline giuridiche ed economiche (cdc A019) le quali hanno subito una cospicua diminuzione delle cattedre;
   Con sentenza n. 3527 dell'8 aprile 2013 il TAR del Lazio si è espresso favorevolmente al ripristino del quadro orario negli istituti tecnici e professionali, accogliendo il ricorso di SNALS-Confsal e annullando la validità dei provvedimenti emanati in seno alla riforma Gelmini sulla riduzione oraria nel triennio degli Istituti tecnici professionali;
   il taglio del monte orario ha avuto come diretta conseguenza l'aumento esponenziale del numero di docenti in esubero collocati nella dotazione organica Provinciale (DOP);
   come stabilito dal CCNI sulla mobilità ai docenti collocati nella dotazione organica provinciale viene riconosciuta la precedenza al rientro nella scuola di ex titolarità fino agli 8 anni successivi alla perdita del posto. Tale rientro di titolarità risulta quasi impossibile in quanto annualmente nuovi docenti vengono collocati nella dop, sottraendo la possibilità di rientro ai colleghi, con il conseguente azzeramento del punteggio di continuità ottenuto allo scadere degli 8 anni di cui sopra;
   i dati numerici relativi alla consistenza dell'esubero calcolato sull'organico di fatto mettono in evidenza come i docenti in esubero ammontassero, nell'a.s. 2013/14, ad oltre 8.000 unità; tuttavia, relativamente all'a.s. 2014/15 sul sito del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non sono ancora ad oggi disponibili dati ufficiali;
   ad una piccola quota di questi docenti soprannumerari è stata concessa la possibilità, mediante il decreto direttoriale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 7 del 16 aprile 2012, di partecipare a corsi di riconversione su sostegno;
   tutti gli altri docenti in esubero sono costretti a coprire i cosiddetti «spezzoni di cattedra», spesso percorrendo parecchi chilometri dalla provincia di residenza –:
   se si intenda fornire dati ufficiali relativi all'ammontare del personale in esubero nelle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2014/15;
   se si intenda prendere in considerazione l'ipotesi di ripristinare il monte orario, come da sentenza di cui in premessa, disciplina utile a riassorbire il personale suddetto;
   se si intendano valutare altre possibilità per dare soluzione al problema dei docenti in soprannumero che di fatto non sono direttamente interessati all'applicazione del decreto ministeriale n. 7 del 16 aprile 2012 di cui in premessa;
   se si intendano assumere iniziative per abolire o quantomeno allungare oltre gli attuali 8 anni, come specificato in premessa, la precedenza al rientro nella scuola di ex titolarità. (5-04765)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 12-bis, del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito dalla legge n. 153 del 1988, ha previsto che: «Per i lavoratori autonomi pensionati il rinvio di cui all'articolo 4 del decreto-legge 14 luglio 1980, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1980, n. 440, continua ad avere ad oggetto la disciplina sugli assegni familiari di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni e integrazioni»;
   l'Anap-Confartigianato ha denunciato (Il Giornale dell'Umbria del 13 febbraio 2015) la situazione degli autonomi in base alla quale «Gli assegni familiari concessi ai lavoratori autonomi in pensione sono talmente bassi da rasentare lo scandalo, soprattutto se paragonati a quelli degli ex lavoratori dipendenti. Stiamo parlando dell'irrisoria cifra di 10 euro e 21 centesimi al mese per ogni familiare a carico. Importo che, tra l'altro, è fermo dal 1988 quando è entrata in vigore la legge n. 153: 27 anni fa»;
   per i pensionati provenienti dal lavoro autonomo (ex artigiani, ex commercianti, ex coltivatori diretti) è rimasta infatti in vigore la vecchia normativa e i trattamenti di famiglia a loro erogati, quando ne hanno diritto, si chiamano «quote di maggiorazione della pensione» per carichi familiari;
   l'Associazione Anap-Confartigianato ha denunciato la discriminazione che subiscono tali pensionati «particolarmente odiosa dal momento che si parla di famiglie di pensionati con redditi molto bassi», precisando che «Non solo, quindi, i lavoratori autonomi debbono subire una tassazione molto più elevata dei dipendenti, non solo non hanno alcuna tutela, ma per quanto riguarda gli assegni familiari la normativa si è fermata a 27 anni fa, senza che ad oggi venga prevista nessuna modifica o aggiornamento. Tutto ciò che possono avere questi lavoratori senza diritti sono 10,21 euro mensili per ogni familiare a carico, una cifra che non basterebbe nemmeno per pagare il pranzo al proprio figlio»;
   oggi particolarmente penalizzante appare la normativa per i lavoratori autonomi, la cui disciplina accusa un grave ritardo anche nell'adozione di politiche di sostegno alla famiglia, alla maternità e in caso di malattia –:
   se il Ministro sia a conoscenza della descritta situazione;
   se il Ministro intenda assumere le opportune iniziative normative finalizzate a rimuovere la discriminazione denunciata e a modificare la disciplina concernente l'assegno per il nucleo familiare per i lavoratori autonomi prevedendone la parificazione alla disciplina per i lavoratori dipendenti;
   se si intenzione del Governo prevedere iniziative normative equiparando, in ambito di tutele, il lavoratore autonomo a quello subordinato. (5-04767)

Interrogazioni a risposta scritta:

   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Rdb di Tortoreto (TE) è un'azienda specializzata nella costruzione di manufatti edili, che conta 75 dipendenti. L'intero gruppo conta 700 dipendenti in carico, di cui 200 in attività;
   il tribunale di Piacenza ha dichiarato il fallimento della società nominando i due curatori fallimentari e decretando l'attività provvisoria fino al 12 marzo;
   in un anno e mezzo di amministrazione straordinaria, i commissari hanno chiuso gli stabilimenti fermi, hanno riavviato i quattro stabilimenti produttivi e hanno rimesso in attività l'intero gruppo per avviarlo a vendita. Per rilevare la Rdb erano arrivate diverse offerte ed una era stata concretizzata prima di Natale con atto di cessione del gruppo Rdb alla Geve srl che, invece di partire dal 1o gennaio, è completamente scomparsa ed è stata dichiarata quindi decaduta dalla cessione;
   a questo punto sono rientrati in gioco altri offerenti, uno dei quali ha versato un anticipo in attesa che il giudice desse ai commissari l'autorizzazione a procedere alla cessione. Il giudice invece, dichiarando chiusi i termini temporali, pur in contrapposizione con i commissari e con il Governo ha decretato il fallimento dichiarando così di tutelare l'interesse dei creditori;
   i sindacati in una nota dichiarano che la decisione del tribunale è a loro avviso anomala. C’è grande preoccupazione per i 700 lavoratori dell'azienda perché sono decorsi i termini per accettare offerte di vendita dell'azienda e così sono estromessi da qualunque ipotesi di salvaguardia del posto di lavoro –:
   se non ritenga doveroso convocare le parti sociali, gli enti locali e i vertici aziendali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale e salvare il futuro dei dipendenti dell'azienda. (4-08015)

   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   mancano 35 milioni di euro per affrontare l'emergenza dei 5.000 lavoratori abruzzesi in cassa integrazione in deroga le cui indennità sono state pagate fino al mese di aprile 2014;
   in Abruzzo lo strumento della cassa integrazione in deroga è stato attivato per le crisi di tutti i settori e a salvaguardia dei lavoratori dell'area del cratere sismico dell'Aquila;
   si sono persi in Abruzzo 54 mila posti di lavoro dallo scoppio della crisi nel 2008;
   i sindacati sottolineano l'efficacia del modello abruzzese che si è caratterizzato per la gestione unitaria di regione e parti sociali del tavolo istituzionale denominato Cicas. Gli stessi vorrebbero allargare questa esperienza al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la gestione dei contratti di solidarietà;
   sempre i sindacati pongono all'attenzione del Governo alcuni punti cruciali per lo sviluppo nella regione:
    il taglio delle risorse europee perché l'Abruzzo nella nuova programmazione europea è considerata regione in transizione perdendo 321,7 milioni di euro. Per il Fondo sociale europeo ci sarà il taglio più rilevante fra tutte le regioni italiane: da 316 milioni di euro della precedente programmazione ai 142,5 milioni della nuova;
    sui fondi ex Fas ad oggi non ha avuto seguito l'impegno assunto dai precedenti Governi di compensare il taglio dei fondi strutturali subito dall'Abruzzo con una maggiore dotazione del fondo sviluppo e coesione;
    i centri per l'impiego sono ridotti ai minimi termini. In questo caso si chiede di tener presente che l'Abruzzo può essere campo sperimentale con la costituenda nuova Agenzia nazionale –:
   se non intenda dare risposte immediate al finanziamento della cassa integrazione in deroga per 35 milioni di euro e al taglio dei fondi europei, al fine di evitare ulteriori problemi oltre alla grave situazione economica e sociale dell'Abruzzo che in questi anni ha dovuto non solo fronteggiare la crisi internazionale, ma anche gli effetti drammatici del terremoto che ha colpito 56 comuni abruzzesi delle province dell'Aquila, Pescara e Teramo. (4-08017)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dall’Unione Sarda del 16 febbraio 2015, nella notte del 15 gennaio 2015 un velivolo dell'Elisoccorso del 118 della Sicilia, con a bordo personale specializzato, è stato inviato ad Alghero per riportare nel territorio siciliano il direttore della centrale operativa del 118 di Palermo che aveva accusato un grave malore, mentre si trovava sulla costa nord occidentale della Sardegna;
   stando alle notizie riportate dai media, il professionista avrebbe improvvisamente accusato un dolore al petto, per cui alle 23 è giunta al 118 sardo una chiamata di soccorso, che ipotizzava il rischio di un infarto. L'ambulanza medicalizzata prontamente intervenuta avrebbe portato il paziente nell'ospedale di Alghero, dove sarebbe stata posta diagnosi di aneurisma dissecante, con conseguente, urgente indicazione chirurgica;
   il paziente avrebbe però rifiutato il ricovero nel centro specializzato di cardiochirurgia di Sassari prontamente allertato, chiedendo invece l'intervento della centrale siciliana del 118 per cui, alle 6 del mattino, un elicottero sarebbe arrivato ad Alghero per il trasferimento del professionista a Palermo, dove avrebbe ricevuto le cure chirurgiche del caso;
   la competenza sul servizio di elisoccorso della regione siciliana dipende dalla centrale operativa del 118 che a sua volta dipende dall'assessorato regionale alla salute, come dichiarato anche dal presidente del consiglio di gestione della Seus (Sicilia emergenza urgenza sanitaria), Gaetano Montalbano;
   l'assessore regionale alla salute avrebbe disposto un accertamento e una richiesta di chiarimento sulle ragioni dell'invio del velivolo, come dichiarato dal responsabile della centrale operativa del 118 di Messina e referente regionale per l'emergenza per il Ministero della salute, Bernardo Alagna, secondo il quale il servizio di elisoccorso in Sicilia disporrebbe di 6 velivoli;
   nei giorni scorsi una neonata è morta all'ospedale di Ragusa, nel reparto di rianimazione pediatrica, dopo essere stata trasferita d'urgenza in ambulanza da una clinica privata di Catania. La bimba, che aveva avuto gravi crisi respiratorie dopo la nascita, era stata trasferita perché nel capoluogo etneo non c'erano posti disponibili, ma è morta prima del ricovero;
   nella tragica circostanza è stato contattato il 118, che ha cercato e trovato inutilmente una unità di terapia intensiva neonatale soltanto nell'ospedale «Paternò-Arezzo» di Ragusa;
   occorrebbe verificare se l'elisoccorso della regione siciliana sia routinariamente a disposizione per trasferire i pazienti siciliani in condizioni critiche nei presidi di loro scelta sul territorio nazionale, anche quando tali pazienti siano già ricoverati presso strutture sanitarie assolutamente adeguate;
   nelle situazioni esposte, è configurabile, a giudizio dell'interrogante, una inaccettabile differenza di trattamento e una intollerabile differenza di diritti sanitari percepiti, che evoca una sanità a due velocità, con un grado di tutela che cresce in relazione al ruolo sociale del paziente, contraddicendo in tal modo alla radice i principi di equità ed universalità del sistema sanitario –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e, considerata la spesa non irrilevante dell'attività di elisoccorso, se quanto accaduto configuri o meno una prassi e, in tal caso, quale ne sia l'impatto sul piano economico-finanziario, anche alla luce delle esigenze di razionalizzazione collegate al piano di rientro dai disavanzi sanitari in Sicilia. (4-08008)

   D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'epatite è oggi un'emergenza sanitaria globale che, come dice l'OMS conta nel mondo 180 milioni di persone cronicamente infette, pari al 2 per cento della popolazione mondiale, mentre in Italia si stimano oltre 1 milione e mezzo di pazienti, di cui circa 350 mila quello diagnosticati;
   oggi esiste la possibilità concreta di eradicare il virus dell'epatite C grazie alla disponibilità di una nuova classe di farmaci, gli antivirali diretti (DAA) come il sofosbuvir;
   stando alla notizia riportata dai giornali, ci sarebbero ritardi in tutta Italia nella distribuzione del sofosbuvir, medicinale in grado di debellare l'epatite C, una malattia grave che ha un impatto diretto sulla vita dei malati e delle famiglie che se ne prendono cura;
   il ritardo nella distribuzione, stando a quanto riportato dalla stampa, ha già prodotto dei ricorsi da parte di alcuni malati anziani per ottenere subito il medicinale dalla loro regione;
   il sofosbuvir è entrato nel sistema sanitario italiano a gennaio e il Ministero ha promesso un miliardo di euro alle regioni per acquistarlo;
   molte regioni, come si apprende dalla stampa, sono indietro: Toscana, Emilia, Veneto, Lombardia e altre hanno iniziato la somministrazione, mentre Calabria, Sicilia, Campania non hanno nemmeno individuato i centri che dovranno prescrivere il farmaco. Tutto questo a fronte di migliaia di malati in condizioni gravi che hanno bisogno di essere curati;
   stando alle verifiche fatte dai carabinieri del Nas sarebbero solo alcune centinaia i trattamenti somministrati: un numero esiguo rispetto all'obiettivo di curare 50 mila persone in un anno e mezzo;
   è necessario garantire l'accesso ai nuovi trattamenti per la cura dell'epatite a carico del sistema sanitario nazionale a più pazienti possibili e senza differenze geografiche;
   bisogna salvaguardare la qualità e l'equità delle cure che il sistema sanitario ha da sempre garantito, in nome del principio universalistico del diritto alla salute di tutti gli individui sancito dall'articolo 32 della Costituzione –:
   se trovi conferma il ritardo nella distribuzione del sofosbuvir;
   quali siano i motivi del ritardo e quale sia in dettaglio la situazione reale nelle regioni italiane;
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare affinché si possa arrivare in tempi rapidi alla consegna del medicinale in tutte le regioni italiane al fine di non mettere a rischio la salute dei cittadini e il loro diritto a farsi curare.
(4-08014)

   OTTOBRE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a novembre 2014, nel pieno della campagna di vaccinazioni antinfluenzali, si è verificato il caso di alcune morti sospette inizialmente addebitate ad un vaccino antinfluenzale;
   tale sospetto enfaticamente divulgato su stampa e televisioni, ha spinto molte persone, sia appartenenti alle fasce a rischio che semplicemente abituate a questa prevenzione annuale, a non vaccinarsi;
   l'allarme creato dal temporaneo ritiro cautelare di un lotto di vaccino, è rientrato dopo le analisi condotte dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dall'Istituto superiore di sanità (ISS) che hanno confermato la sicurezza del vaccino antinfluenzale ed esortato la popolazione a vaccinarsi;
   come da previsioni dell'Istituto superiore di sanità, l'influenza del ceppo A H1N1 (impropriamente chiamata influenza suina) ricompreso nella composizione del vaccino, ha avuto il suo picco all'inizio di febbraio 2015;
   da dati forniti dall'Istituto superiore di sanità, da ottobre 2014 si siano ammalati 3,8 milioni di italiani; in pratica, un italiano ogni cento si è ammalato; si sono verificati 327 casi gravi, con 72 decessi; si tratta di persone di età media sui 56 anni, che avevano già una malattia cronica (cardiovascolare, respiratoria, diabete); sono invece 9 i casi gravi in donne in gravidanza (secondo o terzo trimestre), di cui una deceduta, che non avevano alcuna malattia; otto casi gravi su dieci, e otto decessi su dieci, sono stati provocati dal virus A di tipo H1N1;
   riguardo al tipo di virus, tra i campioni prelevati e risultati positivi, il 96 per cento è risultato di tipo A; nei tre quarti di casi, si tratta del virus A di tipo H1N1, in un quarto dei casi del virus H3N2, ceppo mutato e molto aggressivo chiamato dall'OMS «nord-americana»;
   dal sito dell'Istituto superiore di sanità InfluNet, emerge che, anche se il livello d'incidenza influenzale è in lieve calo (9,57 casi per mille assistiti, dopo aver raggiunto, nella quarta settimana, il picco con 10,72 casi per mille assistiti), in molte regioni l'aggressività dell'influenza non accenna a scemare; Marche, Campania, Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna e province autonome di Trento e Bolzano, sono quelle maggiormente colpite;
   è di questi ultimi giorni, la notizia delle prime morti in Trentino Alto Adige proprio nel momento in cui l'influenza dovrebbe cominciare a concludere il suo ciclo vitale, sembrerebbe invece che intensifichi la sua azione;
   la curva epidemica di questa stagione influenzale è sovrapponibile a quella osservata nella stagione post-pandemica del 2010-2011, che tutti ricordano come particolarmente grave –:
   se il Ministro non ritenga opportuno verificare la reale incidenza del danno provocato dalla mancata vaccinazione delle persone a rischio e accertare, per quanto di competenza, le eventuali responsabilità di quelli che appaiono all'interrogante eccessivo allarmismo e superficialità nella divulgazione di notizie sull'ipotesi di morte per vaccinazione diffuse a novembre 2014;
   se il Ministro non intenda accertare preventivamente le capacità del servizio sanitario nazionale di ammortizzare una eventuale pandemia del virus H3N2;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare in futuro per promuovere una più efficace campagna informativa per quanto riguarda il vaccino, al fine di scongiurare situazioni e emergenziali come quelle verificatesi quest'anno.
(4-08020)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del piano di riorganizzazione aziendale che Poste Italiane si appresterebbe a porre in essere è prevista la chiusura di 400 uffici postali su tutto il territorio nazionale nonché la rimodulazione degli orari di apertura di altri 600 uffici;
   tra gli uffici che Poste Italiane vorrebbe chiudere vi è quello di Pisticci Scalo in provincia di Matera;
   in merito al caso specifico andrebbero fatte alcune considerazioni che non attengono ad una difesa di ufficio o ad una questione di «campanile» ma di merito rispetto al contesto sociale ed economico su cui tale decisione andrebbe ad incidere;
   il citato ufficio postale è ubicato nel cuore di un'area industriale presso la quale operano alcune importanti multinazionali e alcuni brand di assoluta rilevanza nel panorama economico e produttivo del Paese, basti citare l’«Amaro Lucano»;
   lo stesso ufficio serve un quartiere residenziale presso il quale abitano oltre 700 persone, con una rilevante presenza di pensionati, a cui bisogna aggiungere anche la presenza di altri nuclei familiari che vivono nelle contrade rurali del comprensorio, in considerazione della presenza di numerose aziende agricole;
   in prossimità dell'ufficio sono operativi anche un centro per l'impiego, una scuola primaria, e altri uffici ed esercizi commerciali;
   è evidente che la presenza di un ufficio postale in questo contesto è più che giustificata anche per il rispetto del contratto di servizio che Poste Italiane sigla con il Governo ed in considerazione che gestisce un servizio «pubblico» di assoluta rilevanza;
   in merito al citato ufficio postale l'interrogante ha già presentato in passato, anche recente, una serie di atti di sindacato ispettivo per sollecitarne la riapertura dopo alcune rapine, per chiedere l'istallazione di uno sportello postamat e per incrementare il personale in servizio, poiché l'ufficio essendo facilmente raggiungibile, spesso è utilizzato anche da utenti provenienti da altri comuni;
   gli elementi sopra riportati dovrebbero indurre ad una riconsiderazione in merito alla eventuale decisione di chiusura del citato ufficio postale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra posto e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere, al fine di evitare la soppressione dell'ufficio postale di Pisticci Scalo e di consentire che venga rispettato anche per il citato comprensorio e la citata comunità il contratto di programma stipulato da Poste Italiane con il Ministero dello sviluppo economico.
(5-04768)

   PELUFFO e DANIELE FARINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Italtel si occupa di progettare, sviluppare e realizzare in Italia prodotti e soluzioni per reti e servizi di telecomunicazione di nuova generazione, basati su protocollo IP. Nella sua offerta sono presenti prodotti proprietari, servizi di ingegneria e consulenza sulle reti, managed services e soluzioni quali VoIP, Unified Communication & Collaboration, videocomunicazione in HD, soluzioni per l'interconnessione, Data Center di Nuova generazione e soluzioni per il Mobile Broadband. SDN, NFV;
   Italtel ha affiancato al ruolo storico di fornitore di reti per i grandi operatori mondiali di telecomunicazioni quello di vendor innovativo e di system integrator di soluzioni ICT per le imprese e per la pubblica amministrazione;
   Italtel vanta oltre novanta anni di storia. Il suo percorso è iniziato nel 1921 e da allora è sempre stata una protagonista delle telecomunicazioni e ne ha scandito lo sviluppo e la trasformazione. Nata tedesca, ha costruito competenze italiane e prodotto innovazione per il sistema Italia. Tra i pionieri mondiali della commutazione elettronica, nei primi anni 2000 Italtel è stata tra le prime aziende al mondo a consentire ad un operatore di trasferire una parte consistente del proprio traffico voce su rete IP. La sua competenza si è poi evoluta nello sviluppo delle soluzioni IP più innovative e nel farne uno strumento potente e sicuro grazie alla capacità di integratori di sistema e a una ampia gamma di servizi a valore aggiunto;
   il know-how maturato nella gestione di reti complesse colloca Italtel in una posizione privilegiata per operare là dove ICT e telecomunicazioni confluiscono per definire nuove soluzioni alle esigenze di comunicazione di ciascuno di noi sia nell'ambito lavorativo che in quello sociale;
   il 26 febbraio 2013 il tribunale di Milano ha emesso e depositato presso la cancelleria il decreto di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis, che è stato iscritto al registro delle imprese di Milano per la sua pubblicazione in data marzo 2013;
   l'accordo di ristrutturazione prevede, oltre alla concessione di nuova finanza in favore della società e alla rinegoziazione dei termini dei contratti di finanziamento in essere, la ripatrimonializzazione della società per 153.035.272 euro attraverso l'emissione di strumenti finanziari partecipativi ex articolo 2346, sesto comma, codice civile a fronte del conferimento di crediti da parte delle banche finanziatrici, di Cisco e di Telecom Italia Finance;
   a seguito di quanto descritto, nell'assemblea straordinaria degli azionisti del 27 marzo 2013 la società Italtel spa ha: deliberato l'adozione di un nuovo statuto; abbattuto il capitale sociale sino a un ammontare di 2 milioni (sottoscritto e versato); emesso strumenti finanziari partecipativi per 153.035.272 euro, creando una riserva di patrimonio netto che copre le perdite residue e porta il patrimonio netto in positivo;
   il fatturato ITALTEL per il 2013 è stato pari a 374 milioni di euro, mentre secondo le proiezioni per il 2014 si attesterebbe intorno ai 420 milioni di euro;
   parzialmente positivo è anche il dato relativo al debito gravante sulla società, che dai 266 milioni del 2013 è passato ai 182 milioni stimati per il 2014;
   ulteriore segnale di ripresa dalla crisi aziendale è la commessa da 100 milioni di euro per tre anni che Italtel è riuscita ad assicurarsi nel dicembre 2014 tramite la gara indetta da Telecom Italia, subentrando a Ericsson e Alcatel Lucent;
   criticità rimangono per quel che concerne il dato occupazionale, complessivamente in un quinquennio sono sfumati 800 posti di lavoro. Tuttavia, anche in questo settore emergono incoraggianti segnali di ripresa. Secondo la già citata omologa del tribunale di Milano, l'organico al 31 dicembre 2014, sarebbe dovuto essere di 930 persone. Ad oggi, invece, l'organico ammonta a 1083 unità e l'impiego dei 150 dipendenti in più è garantito grazie ai sacrifici economici ripartiti tra gli altri dipendenti e tutte le persone attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) rientreranno a lavoro nel corso del 2015;
   la crisi finanziaria e la lunga fase di depressione hanno messo in difficoltà anche imprese ben gestite e con buone prospettive. Nel caso di imprese produttrici di beni e servizi per il mercato interno, hanno pesato il calo dei consumi, la restrizione del credito, i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, il ridotto potere d'acquisto delle famiglie e, in alcuni casi, la necessità di ingenti investimenti per adeguarsi a normative di tutela ambientale;
   il meccanismo della distruzione delle imprese marginali e inefficienti rischia
così di subire una profonda distorsione, perché la crisi può portare all'eliminazione dal mercato di molte imprese che marginali e inefficienti non sono, ma incontrano difficoltà solo temporanee, superabili con opportuni interventi di ristrutturazione industriale;
   al fine di sostenere aziende potenzialmente floride, ma in una momentanea fase di difficoltà, il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, in particolare con i commi 1 e 2 dell'articolo 7, promuove la costituzione di una società di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione di imprese italiane in temporaneo squilibrio patrimoniale e finanziario, ma con buone prospettive industriali ed economiche (dove cioè il problema chiave è quello di sopperire a temporanee crisi di liquidità, migliorarne i coefficienti patrimoniali e investire nei processi di ristrutturazione). Per tali finalità, si stabilisce che la società può investire capitale raccolto in proprio, compiere operazioni di finanziamento, acquisire o succedere in rapporti esistenti;
   il comma 7 rimette a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, la definizione dei criteri di concessione della garanzia pubblica e gli obblighi dei beneficiari della garanzia verso lo Stato –:
   se non ritenga opportuno fornire quanto prima un'anticipazione dei criteri di massima concernenti la concessione della garanzia pubblica e degli obblighi dei beneficiari della garanzia verso lo Stato;
   se, in considerazione dei succitati criteri, nonché delle prospettive di crescita e degli sforzi di riqualificazione sinora esperiti da Italtel spa, il Ministro intenda inserire l'anzidetta impresa tra quelle che beneficeranno del sostegno della società per azioni prevista dall'articolo 7 del decreto-legge n. 3 del 2015. (5-04770)

Interrogazioni a risposta scritta:

   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   oggi Poste italiane è una società per azioni a partecipazione 100 per cento pubblica che in questo frangente sembra attraversare una fase di privatizzazione. Ad avviso dell'interrogante appare molto discutibile il piano di riorganizzazione nazionale che prevede per la Lombardia la razionalizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura;
   da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana;
   in provincia di Brescia chiuderanno a breve le sedi di Botticino Mattina (Botticino), Brozzo (Marcheno), Cogozzo (Villa Carcina), Cogno (Piancogno), Magno (Gardone Valtrompia), Mazzano (sono due), Castelletto (Leno), Provezze (Provaglio d'Iseo). È invece previsto un ridimensionamento per le sedi di S. Martino della Battaglia (Desenzano d/G), San Pancrazio (Palazzolo s/O), Ponte Caffaro (Bagolino), Maderno (Toscolano Maderno), Incudine, Ono S. Pietro, Prestine, Valvestino descritte da Poste italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   con la soppressione di alcuni uffici e il ridimensionamento di altri, i primi a pagarne le conseguenze saranno dunque gli utenti, soprattutto le categorie più deboli, talora già disagiate per le criticità che presentano i territori montani nei quali vivono;
   l'Associazione comuni bresciani, in una missiva a firma del presidente Gabriele Zanni indirizzata il 3 febbraio 2015 al prefetto di Brescia, al presidente della regione Lombardia, al Presidente della provincia di Brescia nonché al presidente dell'ANCI Lombarda, ha denunciato il metodo attraverso il quale le istituzioni locali siano state messe davanti al fatto compiuto, definendo come «irrispettosa» la comunicazione con la quale le istituzioni medesime venivano messe a conoscenza della decisione, peraltro con un solo giorno di anticipo;
   pertanto si rileva l'assoluta mancanza di concertazione con cui Poste italiane spa ha agito in quella che definisce semplicemente come «riorganizzazione» ma che è, in realtà, ad avviso degli interroganti una illogica soppressione di servizi essenziali cui tutti i cittadini hanno diritto. Non è accettabile che una decisione di questo tipo sia semplicemente presa dai vertici dell'azienda e comunicata, attraverso una raccomandata, ai comuni interessati senza nemmeno prevedere un benché minimo confronto preliminare –:
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per garantire il rispetto di quanto stabilito dall'Autorità per il garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali e il loro ridimensionamento;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di evitare la possibile chiusura di uffici postali e il loro ridimensionamento con particolare riferimento ai comuni riportati in premessa. (4-08010)

   CARELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Montelanico è un comune in provincia di Roma di circa 2200 persone situato lungo la strada regionale Carpinetana e quindi comune di passaggio da e per i comuni di Carpineto Romano, Segni, Gavignano e Colleferro, l'unico ufficio postale del paese, ancora oggi, è sprovvisto di sportello bancomat, servizio ormai indispensabile per i cittadini sia del paese stesso che per quelli di passaggio –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere verso le Poste italiane, affinché un servizio essenziale per la quotidianità dei cittadini possa essere attivato nel comune in premessa. (4-08012)

   CAON e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale comunicato recentemente da Poste italiane prevede, a partire dal prossimo 13 aprile, la chiusura di 46 uffici postali in regione Veneto e l'apertura a giorni alterni di molti altri, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici», nonostante lo Stato italiano eroghi cospicui contributi in favore della società Poste italiane per l'erogazione dei servizi essenziali soprattutto per offrire un servizio di qualità nelle realtà montane e svantaggiate che vivono condizioni generali di servizio già di per se disagiate;
   il provvedimento, che non è ancora ufficiale ma è già stato presentato alle organizzazioni sindacali, penalizzerebbe fortemente il territorio veneto, una delle regioni più colpite da questa razionalizzazione con pesanti ricadute anche occupazionali e con un servizio ai cittadini scadente;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane, si inserisce in un contesto già critico e carente del servizio postale, con strumenti di lavoro inadeguati, organici insufficienti, sistemi informatici obsoleti, con lunghe attese degli utenti presso gli uffici e arrecherà ulteriori disagi soprattutto per i residenti anziani, ai quali sarà negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. Pertanto, la limitazione degli orari di apertura pone in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale del territorio;
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico, detenuto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste –:
   come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti dei comuni veneti, al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, puntuale e capillare nel rispetto dell'accordo di programma per l'espletamento del servizio postale universale. (4-08013)

   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 9 febbraio 2015, secondo quanto si apprende da diverse fonti stampa, si è svolto un incontro tra sindacati e Poste Italiane, nel corso del quale la società ha illustrato il piano per la razionalizzazione degli uffici postali dislocati in Italia, al fine di un risparmio di risorse economiche e di una maggiore efficienza sul piano operativo;
   secondo quanto si apprende sarebbero circa 400 gli uffici postali che saranno chiusi o ai quali sarà drasticamente ridotto l'orario di apertura al pubblico a partire dal prossimo 13 aprile; ben 33 di questi uffici si trovano in Umbria;
   gli uffici postali umbri interessati dalla razionalizzazione sono dislocati per lo più in piccole frazioni o comuni già scarsamente popolati in cui l'ufficio postale è il punto di riferimento dei cittadini, in particolare gli anziani i quali, anche a seguito delle diverse disposizioni introdotte negli anni scorsi dal Governo Monti, hanno stabilito un rapporto privilegiato con Poste Italiane per la gestione, l'accredito e la riscossione delle pensioni;
   oltre al disservizio, che, secondo quanto dichiarato dai sindacati a seguito dell'incontro con Poste, potrebbe essere esteso anche alla consegna della corrispondenza che produrrebbe la consegna della posta a giorni alterni in molte zone dell'Umbria, una tale razionalizzazione potrebbe ripercuotersi anche sui livelli occupazionali;
   la mission di Poste Italiane è, come si legge sullo stesso portale web della società, quella di adottare e promuovere valori e comportamenti attenti ai bisogni e alle aspettative di tutti gli stakeholder: onestà, trasparenza, senso di responsabilità e affidabilità; ma è evidente che una razionalizzazione così operata rischia di compromettere seriamente il raggiungimento di questo obiettivo, facendo mancare completamente un servizio fondamentale ai cittadini e creando inevitabili disagi in zone che già a rischio spopolamento;
   il piano di Poste dovrà essere adesso vagliato dai comuni, ma già diverse voci si sono levate tra i sindaci e i consiglieri regionali e provinciali di Terni, Perugia e Foligno, che hanno espresso la loro netta contrarietà al piano o comunque una forte preoccupazione per le conseguenze –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non intenda porre in essere tutte le iniziative di propria competenza al fine di scongiurare una così preoccupante riorganizzazione dei servizi offerte da Poste Italiane, specie in aree geograficamente particolari del Paese, anche nel rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate;
   se sia a conoscenza dei dettagli del piano di Poste Italiane ed, in particolare, delle soluzioni alla mancanza di servizi ed efficienza che ne potrebbe derivare, nonché alle possibili ripercussioni sul livello occupazionale. (4-08019)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Argentin.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Uva e Lorefice n. 4-07753, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

  L'interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-07846, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pinna.

  L'interrogazione a risposta scritta Borghi e altri n. 4-07871, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carella.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dorina Bianchi e altri n. 3-01309, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garofalo.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Bombassei n. 3-01310, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Librandi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Taricco e altri n. 5-04756, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Brunetta n. 2-00850, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 376 del 17 febbraio 2015.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le vicende che circondano l'emanazione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 23, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, e, quindi, le disposizioni che riformano la struttura delle banche popolari, si arricchiscono, giorno dopo giorno, di ulteriori e inquietanti particolari, determinando una preoccupazione più generale per il modus operandi del Governo, in relazione soprattutto agli obiettivi che persegue attraverso l'emanazione di norme;
   in particolare, il decreto-legge in oggetto impone alle banche popolari con
attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni; una riforma strutturale adottata, quindi, attraverso lo strumento del decreto-legge in un contesto che, a parere dell'interpellante, è assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza;
   si ricorda che è di venerdì 16 gennaio alle ore 18, a chiusura dei mercati, la prima agenzia stampa che annuncia l'imminente riforma delle banche popolari, inserita nel decreto-legge già messo a punto dal Governo in materia di «Investment compact». Una riforma che, inizialmente, doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza (di prossima presentazione), ma che invece, improvvisamente, sembra particolarmente «urgente»; il 20 gennaio, il Consiglio dei ministri dà infatti il via libera al decreto, che, effettivamente, contiene la norma che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni;
   è di tutta evidenza come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari, i cui movimenti fanno presumere, ad avviso dell'interpellante, un sospetto caso di insider trading;
   subito dopo il varo del decreto-legge, la borsa di Piazza Affari ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, come ad esempio il Banco Popolare, che ha registrato a fine settimana un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia, con un +24 per cento o la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, le cui azioni sono aumentate del 62,1 per cento in quattro giorni contro un andamento del comparto bancario dell'8,68 per cento;
   un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in borsa si è verificata, in particolare, in una delle piazze finanziarie più importanti in Europa e nel mondo: il London Stock Exchange;
   considerati gli effetti dirompenti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, a partire da lunedì 19 gennaio 2015, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte, la Consob ha avviato una serie di accertamenti preliminari sull'operatività dei titoli delle popolari, e sta quindi verificando se ci sia stato chi, avendo ricevuto informazioni preventive all'imminente approvazione del decreto, abbia approfittato e speculato sulla trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   come riferito dal presidente Giuseppe Vegas nel corso dell'audizione svolta alla Camera l'11 febbraio 2015, la Consob ha monitorato con particolare attenzione l'andamento delle azioni delle banche popolari a partire dall'emersione dei primi rumors sulla riforma, e quindi sin dai primi giorni dell'anno, attraverso analisi e approfondimenti dell'operatività di tutti i principali intermediari in borsa e fuori mercato, inclusa l'operatività in strumenti derivati;
   l'analisi della dinamica delle quotazioni nel periodo antecedente al 16 gennaio evidenzia che i corsi delle azioni delle banche popolari hanno mostrato in media una performance negativa. Infatti, ad esclusione della Banca Popolare di Milano, che ha fatto registrare un incremento del 9,59 per cento, le azioni delle altre banche popolari hanno segnato ribassi significativi; tuttavia, come confermato all'interno del documento presentato dal presidente Vegas, le analisi effettuate hanno rilevato la presenza di alcuni intermediari con un'operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto, sia pur in un contesto di flessione dei corsi. Si tratta, in particolare, di soggetti che hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio 2015, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva. Le plusvalenze effettive potenziali di tale operatività sono stimabili in circa 10 milioni di euro;

   le indagini avviate sono volte ad appurare l'identità dei beneficiari ultimi dell'operatività con margini di profitto significativi effettuata prima del 16 gennaio. La difficoltà di tali accertamenti, come in tutte le indagini di insider trading, è costituita dal fatto che spesso l'intermediario che opera in borsa agisce per conto di propri clienti, i quali a loro volta possono essere soggetti giuridici organizzati in ramificate strutture societarie, spesso con sedi all'estero, rispetto alle quali può essere complesso risalire al controllante ultimo;
   la Consob ha inoltre analizzato le operazioni di trading dei soggetti componenti il consiglio di amministrazione delle banche popolari o di altri soggetti correlati (cosiddette operazioni di «internal dealing»); la Consob ha già proceduto ad inoltrare richieste di dati e notizie agli intermediari sia italiani sia esteri che hanno evidenziato un'operatività potenzialmente anomala. Sulla base delle analisi dei dati ricevuti si è reso necessario inviare ulteriori richieste ai soggetti indicati come clienti o committenti finali. In alcuni casi, trattandosi di soggetti esteri, è stato e sarà necessario predisporre richieste di cooperazione internazionale nei confronti di cinque autorità estere. Una volta acquisito questo set informativo (cosiddetto di «secondo livello») riguardo all'identità dei committenti finali, saranno effettuati ulteriori approfondimenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti per le eventuali contestazioni di ipotesi di abuso di informazioni privilegiate, con il relativo seguito sanzionatorio amministrativo ed eventuale denuncia penale;
   il presidente Vegas ha inoltre dichiarato che sono, inoltre, in corso di predisposizione richieste volte a ricostruire il circuito informativo dell'informazione privilegiata, ovvero l'ambito in cui la stessa è maturata, il momento a decorrere dal quale essa ha assunto i requisiti di informazione privilegiata e i soggetti coinvolti nel circuito informativo, utilizzando tutti i poteri di accertamento previsti dalla disciplina sugli abusi di mercato e procedendo ad audizioni nei confronti di alcuni soggetti rispetto ai quali sono già emersi elementi che portano a ritenere necessari indagini specifiche più approfondite;
   tutti gli accertamenti annunciati dalla Consob e le approfondite analisi tecniche effettuate saranno quindi finalizzate a dare la massima solidità alle eventuali contestazioni di illecito e alle conseguenti segnalazioni alla magistratura;
   nel frattempo l'11 febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, ha disposto il commissarimento della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, per effetto delle «gravi perdite del patrimonio» emerse agli occhi dei funzionari che da tempo stavano svolgendo accertamenti ispettivi, peraltro ancora in corso;
   inoltre, anche la procura di Roma ha aperto un'indagine sulle presunte operazioni anomale, puntando anche ai rapporti delle banche popolari con gli istituti di vigilanza;
   al di là delle plusvalenze effettive o potenziali di chi ha comprato azioni delle Banche Popolari prima del decreto per poi rivenderle a prezzi ben più alti, quel che è grave è che, a quanto risulta all'interpellante, non si può escludere che siano stati fonti dirette del Governo ad aver comunicato in anticipo a terze parti interessate le imminenti decisioni dell'Esecutivo;
   l'ulteriore stranezza riguarda il requisito dimensionale individuato, ovvero un attivo di 8 miliardi di euro è così che rientrano nelle norme il Credito Valtellinese, Popolare di Bari e Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui vicepresidente è il padre del Ministro Maria Elena Boschi, anch'essa azionista della banca;
   il 6 febbraio 2015, il sottosegretario all'economia e alle finanze Pier Paolo
Baretta ha risposto in maniera del tutto insoddisfacente alle richieste di chiarimento avanzate dall'interpellante in un analogo atto di sindacato ispettivo –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e, in particolare, a seguito delle dichiarazioni del presidente di Consob, che confermano la messa in atto di operazioni anomale, non ritenga che le modalità di comunicazione della riforma, anticipata il venerdì e poi attuata per decreto-legge il martedì successivo, possano essersi prestate a fenomeni di insider trading o a manovre speculative su titoli in borsa;
   se il Governo intenda chiarire in maniera puntuale le vicende che hanno portato all'adozione delle misure che incidono sulle banche popolari, e, in particolare, fornire spiegazioni in merito alla propria posizione, e all'eventuale improprio utilizzo di informazioni privilegiate, per fare luce su una questione che, in tutta evidenza, mette in discussione la credibilità e i fini delle misure adottate;
   se, più in generale, tale riforma sia in sintonia con la legislazione europea e se essa non esponga le imprese italiane ad un rischio di peggioramento del loro accesso al credito, dato che comunque dispone l'eliminazione di un modello di banca legata alla zona di origine e agli investimenti nel medesimo territorio.
(2-00850) «Brunetta».

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014: è stata ritirata la firma del deputato Zampa.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-07944 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04763.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Terzoni e altri n. 7-00596 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 375 dell'11 febbraio 2015. Alla pagina 21477, prima colonna, alla riga terza, deve leggersi «fronte alla Corte Costituzionale la legge» e non come stampato.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   La Camera,
premesso che:
il conflitto tra israeliani e palestinesi, che dura oramai da quasi settant'anni, ha avuto origine dalla suddivisione del mandato britannico sulla Palestina e dalla mancata attuazione delle decisioni e risoluzioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, tra le quali, ma non solo, la risoluzione n. 181 dell'Assemblea generale del 1947, la risoluzione n. 242 del Consiglio di sicurezza del 1967, la risoluzione n. 338 del Consiglio di Sicurezza del 1973, e che le summenzionate decisioni e risoluzioni hanno sempre indicato la finalità di un'equa ripartizione territoriale dei territori contesi e della costituzione di uno Stato arabo indipendente a fianco di quello israeliano;
in diversi atti, dal 1974 in poi, si è assistito al progressivo riconoscimento del popolo palestinese e del suo rappresentante: l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, quale soggetto avente titolo a partecipare al quadro definito dalle summenzionate risoluzioni;
con la dichiarazione di indipendenza del 1988 e altri atti, tra cui il ritiro israeliano da Gaza e quello giordano dalla Cisgiordania, si è definita gradualmente una sovranità palestinese su parte dei territori descritti nelle risoluzioni dell'Onu, mentre un'altra significativa porzione rimane sotto occupazione israeliana, contrariamente ai deliberati della stessa Onu e al diritto internazionale;
con gli accordi di Oslo nel 1993, sottoscritti dal Primo ministro israeliano Rabin e dal Presidente palestinese Arafat, si sono poste le condizioni di principio per un reciproco riconoscimento tra lo Stato di Israele e uno Stato palestinese;
dal 2012, con la risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu n. 67/19, approvata anche con il voto favorevole dall'Italia, il riconoscimento storico dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), quale rappresentante del popolo palestinese, è evoluto nello status di «Stato osservatore non-membro» con la definizione di «Palestina» e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha successivamente riconosciuto il nome di «Stato di Palestina» per l'entità palestinese nel quadro della normale attività, superando il precedente nome di Autorità nazionale palestinese, ormai in disuso;
risultano essere 134 i Paesi che, in epoche diverse, hanno riconosciuto la Palestina come Stato sovrano;
la Svezia ha riconosciuto recentemente la Palestina in quanto Stato con una decisione che è oggi già operativa, andando ad aggiungersi a Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia e Romania nel quadro dell'Unione europea;
una recente mozione parlamentare nel Regno Unito va nella stessa direzione;
la recente crisi di Gaza ha portato alla morte di circa 73 israeliani e circa 2200 palestinesi, in gran parte civili, con enormi distruzioni delle infrastrutture civili, provocando una crisi umanitaria, tanto che oggi diversi Governi, tra cui quello italiano, sono impegnati a raccogliere cospicui fondi per sostenere la ricostruzione, allo scopo di normalizzare per quanto possibile la situazione e contenere future escalation del conflitto;
le recenti vicende hanno dimostrato, ad avviso di molti autorevoli analisti, la necessità di rafforzare la leadership legittima del Presidente palestinese Abbas e delle istituzioni palestinesi con capitale Ramallah, scongiurando il rischio di un rafforzamento di altre entità politiche che pretendano di rappresentare i palestinesi;
la richiesta palestinese di un riconoscimento statuale non appare compromettere in alcun modo i legittimi interessi israeliani, mentre una sua dilazione si configura come un mancato riconoscimento di una legittima aspirazione;
il dialogo israelo-palestinese deve certo trovare una sua dimensione bilaterale e questa dimensione bilaterale non potrebbe che avere un impulso positivo dal porre entrambi gli interlocutori su un piano di parità formale;
costituisce massimo interesse nazionale una soluzione pacifica del conflitto in Medio Oriente e, quindi, l'Italia può e deve assumere una sua posizione costruttiva che ne tuteli gli interessi e i valori;
i rapporti di amicizia e collaborazione tra l'Italia, lo Stato di Israele e lo Stato di Palestina così come sopra definito sono di amicizia e collaborazione, nel quadro dello storico impegno italiano al progresso della pace nel Mediterraneo;
la pace deve basarsi sulla legalità internazionale e in primo luogo sulle risoluzioni dell'Onu;
già oggi la Palestina ha in Roma una rappresentanza diplomatica riconosciuta, così come l'Italia un Consolato per la Palestina a Gerusalemme (est),

impegna il Governo:

a riconoscere in maniera completa e definitiva lo Stato di Palestina;
a compiere tutti i passi necessari affinché la questione venga posta all'ordine del giorno in tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
a farsi maggiormente parte attiva nel sostenere il processo di pace tra Israele e Palestina, sulla base delle risoluzioni Onu e dell'esperienza consolidata nel corso del lungo e travagliato processo di pace.
(1-00627)
(Nuova formulazione) «
Locatelli, Di Lello, Albanella, Albini, Amoddio, Beni, Bergonzi, Bruno Bossio, Capelli, Carrozza, Catalano, Cova, Damiano, Di Gioia, Di Salvo, Fassina, Fava, Fossati, Furnari, Giorgis, Grassi, Iori, Labriola, Lacquaniti, Laforgia, Lauricella, Lavagno, Lo Monte, Martelli, Marzano, Mattiello, Mauri, Migliore, Miotto, Nardi, Nicchi, Ottobre, Pastorelli, Piazzoni, Pilozzi, Pinna, Plangger, Paolo Rossi, Tidei, Venittelli, Zan, Zoggia, Bossa, Cenni, Fiorio, Fontanelli, Carnevali, Carella, Terrosi, Argentin».

   D'UVA, LOREFICE, NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la Determinazione n. 71/2014, così come rilasciata dalla Corte dei conti, concernente la «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sui risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.», stabilisce che l'assetto organizzativo societario del Gruppo «Ferrovie dello Stato Italiane» è quello di un gruppo industriale, con Holding Capogruppo la «Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.»;
le azioni della Società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., così come definito dalla Determinazione n. 71/2014, appartengono, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
oggetto sociale di Ferrovie dello Stato Italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
Rete Ferroviaria Italiana è stata costituita il 1o luglio 2001 come Società dell'Infrastruttura del Gruppo Ferrovie dello Stato, per rispondere alle Direttive comunitarie recepite dal Governo italiano sulla separazione fra il gestore della rete e il produttore dei servizi di trasporto, e a completamento del processo di societarizzazione del Gruppo FS;
in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio in favore della Società di Trasporti e Servizi per Azioni «Ferrovie dello Stato», successivamente trasferita alla società Rete ferroviaria italiana S.p.A., della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60;
attraverso tale decreto ministeriale, il Ministero affidava, quale oggetto della concessione, il collegamento ferroviario via mare fra la penisola e la Regione Siciliana, garantendo, a tal fine, la continuità territoriale ferroviaria;
così come disposto dall'articolo 4 del decreto ministeriale n. 138/T ottobre 2000, Concessionario (Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.) e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipulano contratti di programma, di durata non inferiore ai 5 anni, aggiornabili anche annualmente, per meglio definire obiettivi e finanziamenti statali relativi a infrastrutture e servizi offerti dal concessionario;
l'ultimo Contratto di Programma, per la cosiddetta «parte servizi», così come stipulato tra Ministero e Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., e valido a partire dall'anno 2012, aveva, a norma dell'articolo 4, una durata triennale di efficacia, con entrata in vigore in data 1o gennaio 2012 e scadenza dello stesso in data 31 dicembre 2014;
in considerazione di tale scadenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti procederà alla stipula di un nuovo contratto con la società concessionaria, al fine di determinare, confermare, ovvero aggiornare, i programmi per alcuni servizi di trasporto nel territorio statale, nonché definire i relativi finanziamenti, tra i quali figura il sistema di collegamento ferroviario marittimo tra la Sicilia e continente per il prossimo triennio;
lo Schema di decreto ministeriale, recante l'approvazione del nuovo contratto di programma per gli anni 2012/2016 – Parte investimenti, viene sottoscritto in data 8 agosto 2014 tra la società «Rete ferroviaria italiana S.p.A.» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
in data 2 gennaio 2015, il quotidiano consultabile on line «La Gazzetta del Sud», pubblicava un articolo concernente la possibile cancellazione, ad opera della società Ferrovie dello Stato, del servizio universale garantito dai treni a lunga percorrenza, con conseguente soppressione delle navi a 4 binari e contestuale sospensione delle relative sovvenzioni statali;
tali sovvenzioni, erogate dallo Stato Italiano per un ammontare di circa 47 milioni di euro, vengono interrotte a pochi mesi dalla disposizione inserita nella legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità dello Stato 2015, la quale prevedeva dopo anni di proroghe, lo stanziamento in via ordinaria per il prossimo triennio di circa 30 milioni di euro da destinare al servizio di trasporto veloce passeggeri;
secondo quanto riportato dal telegiornale televisivo «TGR Sicilia – RAI», in data 24 gennaio 2015, con l'entrata in vigore del nuovo orario estivo, così come approvato dalla società «Rete Ferroviaria Italiana», cinque treni a lunga percorrenza, adibiti al collegamento tra la Regione Siciliana e la penisola, verranno soppressi;
durante la pubblica videointervista trasmessa dalla testata giornalistica, l'attuale assessore alle infrastrutture della regione siciliana, l'onorevole Giovanni Pizzo, confermava quanto sopra riportato, sostenendo testualmente che «avere dei servizi moderni e migliori di quelli attuali, e quindi più efficienti ed efficaci, significa avere quindi minori tempi» e, allo stesso tempo, affermando come «l'attraversamento dello Stretto è una rottura di carico che dura tra le 2 ore e le 2 ore e mezzo, ed è necessario quindi puntare a servizi migliori, senza paura dei cambiamenti e delle modernità»;
si segnala, a tal proposito, una gravissima incongruenza tra le ultime possibili decisioni assunte in via unilaterale dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dai vertici della società «Rete ferroviaria italiana s.p.a.», nonché confermate dall'esecutivo della regione siciliana, e i recenti investimenti effettuati per l'ammodernamento e l'ottimizzazione dell'attuale sistema di trasporto ferroviario tra le sponde dello Stretto;
in data 25 aprile 2013, infatti, entrava a far parte della flotta di navi destinate al trasporto di convoglio ferroviari sullo Stretto di Messina la nave traghetto «Messina», ammiraglia delle società «Rete Ferroviaria Italiana» e «Bluvia», commissionata presso i «Nuovi Cantieri Apuania» di Marina di Carrara, specializzati nella costruzione di navi passeggeri di tipo Ro/ro, per un costo complessivo di 49,5 milioni di euro, a carico dei cittadini italiani;
la nave traghetto «Messina», lunga 147 metri e larga 18,7, ha una ragguardevole velocità di crociera di 18 nodi, e una ottima manovrabilità assicurata da tre propulsori, e in grado di trasportare 15 carrozze ferroviarie, 27 carri merci, 19 ferrocisterne, 24 trailers ovvero 138 autoveicoli, ed unica nel suo genere per affrontare trasporto di merci pericolose e dotata di pista di atterraggio per elicotteri;
la stessa società «Rete Ferroviaria Italiana» annunciava sul proprio sito e nei canali ufficiali di informazione che «nel luglio 2013 la flotta si è ringiovanita con l'entrata in esercizio della Nave Traghetto Messina», considerata dagli stessi vertici come «nave di ultima generazione», in perfetto accordo con quanto affermato in sede di pubblica intervista dall'assessore onorevole Giovanni Pizzo;
mal si comprende, dunque, in che modo si intenda ammodernare la tratta di collegamento ferroviario nello Stretto di Messina, dal momento che dopo una ingente spesa pubblica sostenuta per l'acquisto di una nave di ultima generazione proprio per la drastica diminuzione dei tempi di percorrenza dei convogli, tra i programmi della società «Rete Ferroviaria Italiana» vi sarebbe la completa cancellazione del servizio di trasporto;
secondo quanto emerso, infatti, il servizio di trasporto ferroviario verrà interrotto presso le stazioni FS di Messina e di Villa San Giovanni, costringendo i passeggeri, compresi quelli con difficoltà deambulatorie, a scendere dal proprio convoglio per raggiungere, con non pochi problemi data l'attuale assenza di qualsivoglia servizio dedicato presso tali centri di smistamento, con altro mezzo navale l'altra sponda dello Stretto;
si consideri, a riguardo, il progressivo taglio delle tratte regionali siciliane già in essere, per un totale di 56 treni soppressi, pari al 2,17 per cento rispetto al totale nella sola costa ionica, mentre risultano essere 23 i convogli soppressi lungo il versante tirrenico, pari al 2,03 per cento del totale, secondo una indagine condotta dal «Comitato pendolari siciliani», secondo cui oltre il 60 per cento dei convogli raggiungerebbe in ritardo le stazioni di arrivo e con lunghissimi tempi di percorrenza;
è possibile affermare, quindi, che secondo gli intendimenti dei principali responsabili della gestione del sistema dei trasporti nazionale e locale, l'ammodernamento del sistema di collegamento tra la penisola e la regione siciliana sarà possibile attraverso l'eliminazione pressoché totale del servizio di collegamento ferroviario diretto nello Stretto di Messina, dopo aver sostenuto una spesa di 47,5 milioni di euro per la sola costruzione della nuova nave traghetto «Messina», e l'ammodernamento di altre navi a oggi scarsamente utilizzate;
eventuali e gravissime sarebbero le responsabilità, ad avviso degli interroganti, circa gli evidenti sprechi di denaro pubblico e totale assenza di programmazione nella gestione dei trasporti, in totale deroga del fondamentale principio di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione;
è necessario, a tal proposito, richiamare la definizione che è stata fornita in ambito comunitario, secondo la quale possono ritenersi «servizi di interesse economico generale» quei servizi che, in virtù di un criterio di interesse generale, vengono assoggettati a specifici obblighi di servizio pubblico, come si verifica per i servizi prestati da Rete Ferroviaria Italiana spa, sulla base della concessione citata, in qualità di concessionaria della gestione della rete ferroviaria nazionale in regime di esclusiva;
la continuità territoriale, secondo uno studio commissionato dalla commissione trasporti della Camera dei deputati, va intesa come «capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso anche in sede europea»;
il trasporto, infatti, «se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, come elemento essenziale del “diritto alla mobilità” previsto all'articolo 16 della Costituzione, costituisce un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica»;
si consideri, infine, che le numerose segnalazioni pervenute nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, in cui i cittadini lamentavano un progressivo e rilevante aumento delle tariffe praticate dagli operatori che attualmente forniscono il servizio di trasporto marittimo nello Stretto di Messina, hanno costretto l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a pronunciarsi sul tema;
risulta evidente, pertanto, come con la cessazione del pubblico servizio le tariffe di trasporto potrebbero ulteriormente aumentare, con relativo e ingiustificato aumento dei ricavi a vantaggio delle società private già oggetto del procedimento, il quale dovrà considerarsi non più attuale, in considerazione delle nuove possibili modifiche al sistema –:
se intenda intervenire urgentemente, affinché venga impedita la possibile soppressione del servizio treni a lunga percorrenza tra la regione siciliana la penisola italiana, a tutela di un diritto di continuità già fortemente compromesso, e la conseguente soppressione delle navi a 4 binari che autorizzerebbe la sospensione delle relative sovvenzioni statali, con gravissimi danni economici in considerazione della recente costruzione della nave traghetto di ultima generazione «Messina»;
se non intenda celermente predisporre un piano organico di trasporti per l'area dello stretto di Messina, garantendo in via ordinaria un servizio che tuteli il diritto alla continuità territoriale dei cittadini, assicurando, anche in sede di contratto di programma, che il servizio di trasporto veloce non venga sovvenzionato attraverso la soppressione di un servizio altrettanto essenziale qual è il trasporto ferroviario di collegamento tra la Sicilia e il resto del Paese. (4-07753)

   VARGIU, PINNA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la razza anglo-araba è tra le razze equine internazionali, come il purosangue inglese e il purosangue arabo, diffuse in molti Paesi del mondo che vengono utilizzate come miglioratrici di altre razze di cavalli;
nel 2014 ricorrevano i 140 anni dall'istituzione, nella città di Ozieri in provincia di Sassari, del regio deposito di stalloni della Sardegna, destinato a garantire il servizio della riproduzione equina per i reparti di cavalleria dell'esercito, dando vita e continuità alla storia ultracentenaria del cavallo anglo-arabo sardo;
la Sardegna, grazie a un perfetto equilibrio tra passione e vocazione allevatoriale ha sviluppato nel corso dei decenni un proprio coerente progetto selettivo che ha condotto, mediante sapienti incroci, selezione e meticciamento delle razze parentali con la popolazione indigena di fattrici sardo-arabe, alla creazione di una varietà locale della razza anglo-araba denominata anglo-arabo sarda;
la razza anglo-arabo sarda ha acquisito notorietà internazionale per le sue caratteristiche di adattabilità ambientale e versatilità nelle discipline sportive equestri, nella corsa e nell'equitazione di campagna, arrivando a ricoprire una posizione centrale nella produzione zootecnica, come risorsa culturale, identitaria e con un significativo indotto sociale ed economico;
la razza anglo-arabo sarda è inserita a pieno titolo tra le produzioni anglo-arabe di maggior rilievo internazionale, essendo la Sardegna insieme alla Francia il maggior produttore di cavalli anglo-arabi a livello mondiale. La regione Sardegna produce, infatti, quasi la totalità dei cavalli anglo-arabi allevati in Italia e, in ogni caso, la piccola quota di cavalli anglo-arabi prodotti in altre regioni originano quasi tutti geneticamente dalle linee parentali della Sardegna;
l'anglo-arabo sardo è la razza che per l'isola ha rappresentato anche il punto di partenza per la creazione di soggetti da sella derivati e sempre in Sardegna è nata e ha sede l'Associazione nazionale allevatori del cavallo anglo-arabo e derivati (A.N.A.C.A.A.D.), dotata di personalità giuridica che conta di propri rappresentanti negli organi direttivi della Confederazione internazionale dell'anglo-arabo;
la regione, per il tramite del suo ente strumentale Istituto incremento ippico della Sardegna, ha tenuto sino al 1990 il libro di selezione, gli archivi anagrafici e la banca dati relativa alla razza anglo-araba. Tuttavia, nel 1988 veniva approvato il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e, alla seconda sezione dello stesso, veniva ricondotta la razza anglo-arabo sarda;
il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto del 30 agosto 1988, approva il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e a seguito dell'entrata in vigore della legge 15 gennaio 1991, n. 30, «Disciplina della riproduzione animale», vengono ridefinite le competenze istituzionali relative anche alla selezione, gestione e tenuta dei libri delle razze equine. Conseguentemente a ciò, l'Istituto incremento ippico della Sardegna cedeva la propria banca dati all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) con sede in Roma, incaricato della tenuta del libro genealogico del cavallo da sella italiano;
in particolare, l'articolo 3, comma 1, della predetta legge n. 30 del 1991 affida all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) la tenuta del libro genealogico del cavallo sella italiano e, successivamente, l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 529, recante «Attuazione della direttiva 94/174/CEE» prevede che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisca con proprio decreto i requisiti che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
il decreto ministeriale 26 luglio 1994, n. 186 (attuativo dell'articolo 3 della legge 15 gennaio 1991, n. 30), stabilisce i requisiti tecnico organizzativi che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
la decisione n. 92/353/CEE della Commissione dell'11 giugno 1992 determina i criteri di approvazione o di riconoscimento delle organizzazioni e associazioni che tengono o istituiscono libri per gli equidi registrati;
il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sopprime l'ENCI e le sue funzioni vengono attribuite all'Unione italiana incremento razze equine (UNIRE);
la procedura d'infrazione 2004/2069 ex articolo 226 del Trattato CE (decisione del 17 ottobre 2007) a carico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e quindi dell'UNIRE, contiene anche precise disposizioni per la separazione delle tre sezioni del libro genealogico del cavallo da sella italiano in altrettanti libri genealogici e, quindi, dispone la specifica creazione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo;
il MIPEF con proprio decreto ministeriale 12 giugno 2008, n. 3580 denominava libro genealogico del cavallo da sella italiano «Libro genealogico dei cavalli di razza: orientale, anglo-arabo e da sella Italiano»;
la legge 15 luglio 2011, n. 111, sopprimeva l'UNIRE e al suo posto istituiva l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) che assumeva tutte le funzioni e obbligazioni del disciolto ente;
il MIPEF, con decreto ministeriale 31 gennaio 2013, disponeva il trasferimento delle funzioni dell'ASSI (soppressa ex legge 7 agosto 2012, n. 135) al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
l'ANACAAD è l'unica associazione di allevatori di cavalli anglo-arabi e derivati che ha sede in Sardegna, dove è presente la quasi totalità dell'allevamento dell'anglo-arabo e che è in possesso di tutti i requisiti previsti dalle norme nazionali e comunitarie vigenti per la tenuta del libro genealogico;
particolarmente, negli ultimi dieci anni, la gestione dell'anglo-arabo da parte dell'ente affidatario del libro si è rivelata insufficiente e inadeguata rispetto alle reali esigenze dell'allevamento, essendo totalmente mancata qualunque politica e indirizzo selettivo specificamente riservata alla razza;
in conseguenza della mancanza di obiettivi finalizzati al miglioramento genetico e all'incremento qualitativo e quantitativo delle produzioni, la razza ha subito una contrazione drammatica, che l'ha posta a serio rischio di estinzione, essendo oramai il numero di fattrici in produzione al disotto della soglia dei mille capi indicata dalla classificazione FAO;
l'utilizzo indiscriminato delle migliori linee della razza anglo-araba per la produzione di soggetti di razza da sella italiana, finalizzati quasi esclusivamente al salto degli ostacoli, ha impoverito geneticamente la stessa razza anglo-araba, compromettendo irrimediabilmente, per alcune famiglie, il valore genetico e la qualità raggiunta in un lunghissimo processo selettivo;
a seguito delle disposizioni derivanti dalla procedura d'infrazione della Commissione europea, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è limitato a suddividere solo nominalmente i libri genealogici delle varie razze, mantenendo l'organizzazione delle vecchie tre sezioni, soggiacenti a obiettivi unici ma incompatibili con obiettivi di crescita e sviluppo di razze totalmente differenti per genetica, morfologia e attitudine sportiva;
è inoltre grave il rischio di estinzione del cavallo anglo-arabo sardo venutosi a determinare per i motivi enunciati in premessa; esso è ulteriormente accelerato dalla pesante crisi del settore ippico ed equestre che ha colpito l'Italia e la Sardegna, creando devastanti conseguenze oltre che sui processi selettivi anche su quelli commerciali ed economici diretti e indiretti dell'allevamento del cavallo nell'Isola;
allo stato attuale, il libro genealogico dell'anglo-arabo è tenuto direttamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in conseguenza della soppressione dell'agenzia ASSI;
è necessario, nell'interesse dell'allevamento e dell'economia che ne deriva, riprendere con urgenza politiche selettive adeguate alla crescita, sviluppo e consolidamento della razza e delle sue molteplici attitudini, anche incontrando le spinte del mercato per le discipline del galoppo, endurance e concorso completo di equitazione sinora purtroppo trascurate;
l'eventuale gestione nel territorio regionale del libro genealogico del cavallo anglo-arabo, dove ha sede l'allevamento, consentirebbe evidenti economie collettive e soggettive e un miglioramento dell'efficienza nell'attività di consulenza, nella registrazione anagrafica e nell'emissione delle certificazioni, tutte competenze di cui oggi l'allevamento lamenta l'inefficienza –:
quali iniziative intenda porre in essere per ricondurre ad una «governance» sarda la gestione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo mediante l'affidamento della tenuta del libro genealogico alla competente associazione nazionale della razza e la relativa concessione della banca dati. (4-07846)

   BORGHI, TINO IANNUZZI, BRAGA, REALACCI, MARCO DI MAIO, FANUCCI, SALVATORE PICCOLO, ALBINI, ERMINI, LENZI, SBROLLINI, FRAGOMELI, MAZZOLI, TERROSI, GRIBAUDO, MAESTRI, LACQUANITI, BERGONZI, DELL'ARINGA, PREZIOSI, FAMIGLIETTI, LODOLINI, MARIANI, CARRESCIA, BRUNO BOSSIO, MALISANI, GADDA, D'INCECCO, SGAMBATO, GALPERTI, GIACOBBE, IORI, MANFREDI, AMATO, CENNI, FABBRI, MARANTELLI, VAZIO, IACONO, ALBANELLA, TULLO, MONTRONI, SENALDI, RIGONI, GUERRA, VERINI, AMODDIO, ZANIN, MORETTO, NARDI, TENTORI, ANTEZZA, VALERIA VALENTE, BINI, SANI, INCERTI, BONOMO, TARICCO, STELLA BIANCHI, COMINELLI, CASTRICONE, GIORGIO PICCOLO, GINATO, GULLO, BRATTI, DE MENECH, CINZIA MARIA FONTANA, DALLAI, ARLOTTI, ROMANINI, CANI, CAPONE, CASELLATO, CENSORE, GINOBLE, NARDUOLO, CARELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
Poste italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, eppure il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che secondo fonti sindacali dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, prevederebbe, a livello nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
in tale missiva il Garante esplicita chiaramente come «i divieti di chiusura, è bene sottolinearlo, tutelano situazioni individuate in base a parametri oggettivi: la natura prevalentemente montana e la scarsità abitativa sono desunte da classificazioni ISTAT e da dati demografici»;
la delibera AGCOM obbliga Poste italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
nonostante tale pronunciamento, si stanno diffondendo notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia, causando quindi notevoli difficoltà e generando una diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela;
questa decisione unilaterale di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che rappresentano un punto di riferimento per i cittadini dei piccoli comuni;
i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati –:
quali azioni il Ministro intenda intraprendere per garantire il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate, e conseguentemente favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali nei comuni più piccoli del territorio nazionale, nonché come si intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi ai cittadini – utenti che non vedono garantita l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane spa e lo Stato. (4-07871)

   DORINA BIANCHI, BOSCO, D'ALIA, PAGANO, MINARDO, MISURACA, GAROFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'opinione pubblica nel fine settimana appena concluso è stata scossa dalla tragedia che si è verificata a Catania, a seguito del decesso della piccola Nicole, morta a poche ora dalla nascita, per difficoltà respiratorie a causa della mancanza di posti letto nelle unità di terapia intensiva di neonatologia di zona;
da notizie di stampa si è appreso che il Ministro interrogato, parallelamente alle indagini avviate dalla procura della Repubblica, ha tempestivamente incaricato una task force composta da ispettori ministeriali, da rappresentanti dell'Agenas e dai nuclei antisofisticazione, che si è recata sul luogo dell'accaduto e la cui attività deve svolgersi in collaborazione con l'assessorato alla sanità della Regione siciliana, per verificare e valutare – per il territorio della Regione siciliana – in tempi brevissimi gli aspetti organizzativi riferiti alla rete dell'emergenza/urgenza con riguardo al settore della neonatologia;
sempre con riguardo alla criticità del funzionamento del sistema di emergenza/urgenza della Regione siciliana, tanto più grave appare quanto accaduto con riferimento alla piccola Nicole, se si considera che, sempre da notizie di stampa, si è appreso che sarebbe stato effettuato nel mese di gennaio 2015 da Alghero a Palermo un trasferimento in elisoccorso, coordinato dalla Regione siciliana, a beneficio del direttore del 118 del capoluogo siciliano, per cui era stato accertato un aneurisma –:
quali siano gli esiti dei primi accertamenti cui è pervenuta la task force incaricata dal Ministro interrogato a svolgere le verifiche. (3-01309)

   BOMBASSEI, LIBRANDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il brevetto è un titolo di proprietà industriale che conferisce al suo titolare il diritto di sfruttare un'invenzione in regime di monopolio, cioè in esclusiva, sul territorio dello Stato che concede il brevetto. La durata massima di un brevetto è 20 anni dalla data di deposito della domanda;
la tutela brevettuale in Europa è attualmente basata sul sistema delineato dalla Convenzione di Monaco del 1973 (1) (CM), Convenzione di carattere internazionale che ha istituito l'Organizzazione europea dei brevetti (Oeb), alla quale hanno aderito tutti i Paesi dell'Unione europea, nonché alcuni Paesi europei, non appartenenti all'Unione europea;
nella fattispecie, un'invenzione può essere tutelata in Italia con un brevetto nazionale oppure con un «brevetto europeo», spesso erroneamente definito comunitario dai non addetti ai lavori. La procedura europea prevede il deposito di una domanda di brevetto in inglese o in francese o in tedesco, all'Ufficio europeo dei brevetti Epo (European patent office), che ha sede principale in Germania, a Monaco di Baviera. Attualmente con una domanda di brevetto europeo si possono designare 38 Stati, cioè gli Stati dell'Unione europea e in aggiunta Albania, Islanda, Liechtenstein, Principato di Monaco, Norvegia, Svizzera, Turchia, San Marino, Repubblica di Macedonia, Serbia. È possibile designare anche Bosnia-Erzegovina e Montenegro pagando una sovrattassa;
dopo la relativa concessione, il brevetto europeo non è automaticamente valido nei 38 Paesi sopra menzionati; la procedura richiede, infatti, la convalida del brevetto nei Paesi di interesse tra i 38 inizialmente designati. Nella sostanza, il brevetto europeo concesso si trasforma in un fascio di brevetti nazionali, ciascuno dei quali è soggetto alla normativa e alla competenza dei tribunali della corrispondente nazione e le tasse annuali di mantenimento in vita sono dovute in ciascuna nazione nella quale il titolare ha deciso di convalidare il brevetto;
il costo attuale dell'esistente brevetto europeo risulta molto elevato a causa delle spese per la validazione del titolo nei diversi Paesi designati, che possono raggiungere anche l'85 per cento del costo complessivo: per quanto, infatti, il costo di registrazione di un brevetto vari sensibilmente a seconda della lunghezza dello stesso e del Paese in cui si decide di procedere alla registrazione, i dati presentati dalla Commissione europea prevedono che il costo per ottenere un brevetto valido nei 28 Stati membri sia attualmente corrispondente a circa 36.000 euro (di cui 23.000 euro solo per costi di traduzione). Si tratta di una situazione economicamente insostenibile, che spesso obbliga le imprese italiane a scegliere una protezione brevettuale limitata ad un ristretto numero di Paesi;
per superare le lacune e i costi del sistema attuale l'Unione europea ha predisposto un nuovo sistema di brevettazione unificata, articola in due pilastri complementari. Il primo consiste in un meccanismo di brevettazione unitaria fondato sui due regolamenti (UE) n. 1257/2012 e n. 1260/2012, attuativi di una cooperazione rafforzata tra 25 Stati membri dell'Unione europea (tutti tranne l'Italia e la Spagna). Il meccanismo consente la registrazione di un brevetto unico presso l'Ufficio europeo dei brevetti che beneficia di una protezione uniforme in tutta l'Unione europea; il brevetto viene rilasciato in inglese, francese o tedesco e pubblicato nella medesima lingua unitamente a una traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue. Il brevetto è altresì tradotto, mediante un sistema automatico, nelle altre lingue ufficiali dell'Unione europea, che tuttavia non fanno fede;
il secondo pilastro è costituito da un sistema giurisdizionale unitario che si basa su un accordo internazionale per l'istituzione del Tribunale unificato dei brevetti, sottoscritto il 19 febbraio 2013 da 25 Stati membri (tutti tranne Spagna e Polonia) ma ratificato sinora da cinque Stati firmatari. L'accordo entrerà in vigore una volta ratificato da almeno 13 Stati membri;
i due regolamenti relativi al rilascio di un titolo brevettuale unico sono entrati in vigore il 30 gennaio 2013. Tuttavia, sarà possibile chiedere la registrazione di brevetti unitari soltanto quando l'accordo sul sistema giurisdizionale unitario sarà entrato in vigore;
l'Italia non ha aderito, insieme alla Spagna, al primo pilastro del nuovo sistema di brevettazione – che è stato pertanto costituito mediante il ricorso alla cooperazione rafforzata tra gli altri 25 Stati membri dell'Unione europea – ritenendo lesiva del principio di parità linguistica l'utilizzo per la registrazione del brevetto unico europeo esclusivamente inglese, francese o tedesco;
il 10 giugno 2011 il Governo italiano ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea per chiedere l'annullamento della decisione che autorizzava la cooperazione rafforzata, riprendendo in massima parte le argomentazioni formulate dalla XIV Commissione della Camera dei deputati. Analogo ricorso è stato presentato dal Regno di Spagna, che ha, con un ulteriore ricorso, impugnato i regolamenti attuativi della cooperazione rafforzata;
con sentenza del 16 aprile 2013, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso introdotto da Spagna e Italia, nel giugno del 2011, contro la decisione di autorizzare una cooperazione rafforzata per l'adozione di regolamenti che disciplinano il brevetto unitario «EU»;
nelle conclusioni depositate in data 18 novembre 2014 (causa C-146/13 – Regno di Spagna contro Parlamento europeo, Consiglio dell'Unione europea) l'Avvocato generale dell'Unione europea, Yves Bot, ha affermato che i ricorsi della Spagna contro i regolamenti che attuano la cooperazione rafforzata nel settore della creazione di una tutela unitaria conferita dal brevetto europeo devono essere respinti poiché «la protezione unitaria fornisce un autentico beneficio dal punto di vista dell'uniformità e dell'integrazione, mentre la scelta linguistica riduce in modo significativo i costi di traduzione e garantisce meglio il principio di certezza del diritto», ritenendo, altresì, che sia appropriato «limitare il numero di lingue del brevetto europeo a effetto unitario, poiché ciò garantisce una tutela unitaria dei brevetti sul territorio degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata pur permettendo una riduzione notevole dei costi di traduzione»;
come evidenziato anche nel Position paper dell'A.i.c.i.p.i. (Associazione italiana dei consulenti ed esperti in proprietà industriale di enti e imprese) pubblicato in data 11 aprile 2011, in termini di procedura di deposito, si potrebbe prevedere la soluzione linguistica denominata «English soon and always» introducendo una traduzione in lingua inglese fin dalla pubblicazione della domanda, qualora la lingua di procedura sia diversa dall'inglese. Tale traduzione sarebbe a puro scopo informativo e potrebbe essere fornita come servizio offerto dall'Unione europea a spese della stessa (e non del richiedente) con costi complessivi contenuti;
il sistema di traduzioni sovra menzionato, oltre a soddisfare l'esigenza di informazione tempestiva al pubblico fino a quando le traduzioni automatiche non avranno ancora raggiunto il necessario livello di affidabilità, costituirebbe una base ottimale per essere adattata a servire anche da traduzione del testo del brevetto concesso al termine della procedura d'esame dai richiedenti che avranno optato per la lingua francese o tedesca durante la procedura. Garantirebbe, altresì, la disponibilità di testi in lingua inglese per tutti i brevetti unitari fin dalla loro pubblicazione, rafforzando, da un lato, il concetto di «English soon and always», dall'altro la diffusione e comprensione puntuale e tempestiva più ampia possibile dei brevetti unitari;
secondo le intenzioni dell'Ufficio europeo dei brevetti i primi brevetti unitari potrebbero rilasciati nei primi mesi nel 2015. Come noto, il nuovo sistema di protezione andrà ad aggiungersi, come valida alternativa, a quello del brevetto europeo attualmente esistente, portando progressivamente ad una riduzione di circa il 70 per cento delle spese sostenute, con vantaggi specifici per le piccole e medie imprese e per gli enti di ricerca, allineando così i costi sostenuti dalle aziende italiane a quelli relativi al deposito del brevetto statunitense e/o giapponese;
se il nostro Paese restasse escluso dal sistema del brevetto unitario, a subirne le conseguenze sarebbe il tessuto produttivo italiano costretto a sostenere maggiori oneri, nonché a rinunciare ad una protezione aggiuntiva, con il conseguente disincentivo anche per le imprese estere ad investire in attività produttive, commerciali e di ricerca nel territorio –:
se non si ritenga opportuno adottare, con sollecitudine, iniziative finalizzate all'adesione del nostro Paese alla cooperazione rafforzata sul titolo brevettuale unico europeo, evitando in tal modo un'esclusione dannosa per le imprese italiane già connotate da una compagine produttiva a bassa o media internazionalizzazione e/o capacità finanziaria, e se non sia necessario avanzare, al tempo stesso, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, la richiesta di valutare una modifica del regolamento che disciplina il regime linguistico del brevetto unificato, in modo da introdurre la soluzione linguistica «English soon and always» espressa in premessa. (3-01310)

   TARICCO, ANTEZZA, CAPONE, CRIVELLARI, GRIBAUDO, IACONO, LAVAGNO, LENZI, MONGIELLO, MOSCATT, PES, PIAZZONI, PREZIOSI, PAOLO ROSSI, RUBINATO, TIDEI, VALERIA VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il progetto denominato «Home Care Premium 2014», ha l'obiettivo di sostenere le difficoltà delle persone non autosufficienti presso il proprio ambito di vita e di relazione e fornire quindi assistenza domiciliare attraverso prestazioni e interventi economici e di servizio;
il progetto è finanziato totalmente dal Fondo credito e attività sociali alimentato dal prelievo obbligatorio dello 0,35 per cento sulle retribuzioni del personale delle pubbliche amministrazioni in servizio;
i destinatari del progetto sono: i dipendenti iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali o alla gestione magistrale e i pensionati utenti della gestione dipendenti pubblici, nonché, laddove i suddetti soggetti siano presenti, i loro coniugi conviventi e familiari di primo grado; i giovani minori orfani di dipendenti iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali o alla gestione magistrale e di utenti pensionati della gestione dipendenti pubblici; sono equiparati ai figli, i giovani minori regolarmente affidati e i nipoti minori con comprovata vivenza a carico del titolare del diritto. I nipoti minori sono equiparati ai figli qualora siano conviventi e a carico del titolare del diritto;
per accedere alla descritta prestazione assistenziale, con un tetto massimo di 1200 euro stabilito sulla base del valore Isee dichiarato, occorre presentare domanda, esclusivamente in via telematica (online dal sito www.inps.it tramite Pin personale) a partire dalle ore 12.00 del 2 febbraio 2015 e fino alle ore 12.00 del 27 febbraio 2015 presentando la dichiarazione sostitutiva unica per il nuovo Isee;
in questo momento storico del Paese il servizio socio-assistenziale risulta fondamentale per molte famiglie e soggetti potenzialmente beneficiari;
la riforma Isee è recentissima e molti patronati, CAF, nonché soggetti convenzionati per il calcolo Isee non sono ancora nelle condizioni di calcolare questo indicatore oppure sono ancora in difficoltà a fissare appuntamenti per i cittadini con tempistiche adeguate a mettere questi ultimi nelle condizioni di rispettare i termini di consegna dei documenti richiesti;
questa situazione può comportare per un numero elevatissimo di utenti potenziali beneficiari il rischio di trovarsi impossibilitati a presentare la domanda, per motivazioni che nulla hanno a che vedere con proprie responsabilità, ma legate alla difficile condizione causata da incertezze normative e organizzative di carattere generale;
per quanto sia vero che l'Inps abbia previsto la possibilità per il cittadino di compilare la domanda in autonomia, è stato verificato che le modalità di compilazione sono difficilmente praticabili da tantissimi cittadini che non possiedono necessarie competenze fiscali;
alla luce dei fatti sopraesposti si rende necessario che il Ministero o la stessa Inps predispongano un atto amministrativo che stabilisca una proroga di almeno due mesi della scadenza di presentazione delle domande per consentire così ai cittadini interessati di accedere ai contributi e alle prestazioni previste, ma soprattutto di vedersi riconosciuto un legittimo diritto ad accedere a misure finalizzate a dare risposte ai cittadini non autosufficienti ed in difficoltà;
l'impegno di spesa per la misura è già previsto e pertanto si tratterebbe esclusivamente di un problema tecnico legato alle difficoltà sopra riportate;
alcuni soggetti gestori socio-assistenziali hanno aderito al progetto Home care premium 2014 dell'Inps e si sono spesi per la promozione di questo progetto e sono oggi a richiedere di prorogare la scadenza della consegna della domanda, al fine di sostenere e supportare adeguatamente i soggetti in difficoltà sul proprio territorio –:
se il Governo, anche alla luce del frangente economico attuale, non ritenga opportuno intervenire urgentemente con una propria iniziativa al fine di differire la scadenza di presentazione delle domande Home care premium 2014, almeno fino alla fine del mese di aprile 2015, nella consapevolezza che tale decisione permetterebbe a tutti i cittadini potenzialmente fruitori i beneficiare della suddetta facilitazione. (5-04756)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le vicende che circondano l'emanazione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 23, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, e, quindi, le disposizioni che riformano la struttura delle banche popolari, si arricchiscono, giorno dopo giorno, di ulteriori e inquietanti particolari, determinando una preoccupazione più generale per il modus operandi del Governo, in relazione soprattutto agli obiettivi che persegue attraverso l'emanazione di norme;
   in particolare, il decreto-legge in oggetto impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni; una riforma strutturale adottata, quindi, attraverso lo strumento del decreto-legge in un contesto che, a parere dell'interpellante, è assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza;
   si ricorda che è di venerdì 16 gennaio alle ore 18, a chiusura dei mercati, la prima agenzia stampa che annuncia l'imminente riforma delle banche popolari, inserita nel decreto-legge già messo a punto dal Governo in materia di «Investment compact». Una riforma che, inizialmente, doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza (di prossima presentazione), ma che invece, improvvisamente, sembra particolarmente «urgente»; il 20 gennaio, il Consiglio dei ministri dà infatti il via libera al decreto, che, effettivamente, contiene la norma che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni;
   è di tutta evidenza come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari, i cui movimenti fanno presumere, ad avviso dell'interpellante, un sospetto caso di insider trading;
   subito dopo il varo del decreto-legge, la borsa di Piazza Affari ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, come ad esempio il Banco Popolare, che ha registrato a fine settimana un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia, con un +24 per cento o la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, le cui azioni sono aumentate del 62,1 per cento in quattro giorni contro un andamento del comparto bancario dell'8,68 per cento;
   un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in borsa si è verificata, in particolare, in una delle piazze finanziarie più importanti in Europa e nel mondo: il London Stock Exchange;
   considerati gli effetti dirompenti che la notizia della riforma ha avuto sui mercati finanziari, a partire da lunedì 19 gennaio 2015, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte, la Consob ha avviato una serie di accertamenti preliminari sull'operatività dei titoli delle popolari, e sta quindi verificando se ci sia stato chi, avendo ricevuto informazioni preventive all'imminente approvazione del decreto, abbia approfittato e speculato sulla trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   come riferito dal presidente Giuseppe Vegas nel corso dell'audizione svolta alla Camera l'11 febbraio 2015, la Consob ha monitorato con particolare attenzione l'andamento delle azioni delle banche popolari a partire dall'emersione dei primi rumors sulla riforma, e quindi sin dai primi giorni dell'anno, attraverso analisi e approfondimenti dell'operatività di tutti i principali intermediari in borsa e fuori mercato, inclusa l'operatività in strumenti derivati;
   l'analisi della dinamica delle quotazioni nel periodo antecedente al 16 gennaio evidenzia che i corsi delle azioni delle banche popolari hanno mostrato in media una performance negativa. Infatti, ad esclusione della Banca Popolare di Milano, che ha fatto registrare un incremento del 9,59 per cento, le azioni delle altre banche popolari hanno segnato ribassi significativi; tuttavia, come confermato all'interno del documento presentato dal presidente Vegas, le analisi effettuate hanno rilevato la presenza di alcuni intermediari con un'operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto, sia pur in un contesto di flessione dei corsi. Si tratta, in particolare, di soggetti che hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio 2015, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva. Le plusvalenze effettive potenziali di tale operatività sono stimabili in circa 10 milioni di euro;
   le indagini avviate sono volte ad appurare l'identità dei beneficiari ultimi dell'operatività con margini di profitto significativi effettuata prima del 16 gennaio. La difficoltà di tali accertamenti, come in tutte le indagini di insider trading, è costituita dal fatto che spesso l'intermediario che opera in borsa agisce per conto di propri clienti, i quali a loro volta possono essere soggetti giuridici organizzati in ramificate strutture societarie, spesso con sedi all'estero, rispetto alle quali può essere complesso risalire al controllante ultimo;
   la Consob ha inoltre analizzato le operazioni di trading dei soggetti componenti il consiglio di amministrazione delle banche popolari o di altri soggetti correlati (cosiddette operazioni di «internal dealing»); la Consob ha già proceduto ad inoltrare richieste di dati e notizie agli intermediari sia italiani sia esteri che hanno evidenziato un'operatività potenzialmente anomala. Sulla base delle analisi dei dati ricevuti si è reso necessario inviare ulteriori richieste ai soggetti indicati come clienti o committenti finali. In alcuni casi, trattandosi di soggetti esteri, è stato e sarà necessario predisporre richieste di cooperazione internazionale nei confronti di cinque autorità estere. Una volta acquisito questo set informativo (cosiddetto di «secondo livello») riguardo all'identità dei committenti finali, saranno effettuati ulteriori approfondimenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti per le eventuali contestazioni di ipotesi di abuso di informazioni privilegiate, con il relativo seguito sanzionatorio amministrativo ed eventuale denuncia penale;
   il presidente Vegas ha inoltre dichiarato che sono, inoltre, in corso di predisposizione richieste volte a ricostruire il circuito informativo dell'informazione privilegiata, ovvero l'ambito in cui la stessa è maturata, il momento a decorrere dal quale essa ha assunto i requisiti di informazione privilegiata e i soggetti coinvolti nel circuito informativo, utilizzando tutti i poteri di accertamento previsti dalla disciplina sugli abusi di mercato e procedendo ad audizioni nei confronti di alcuni soggetti rispetto ai quali sono già emersi elementi che portano a ritenere necessari indagini specifiche più approfondite;
   tutti gli accertamenti annunciati dalla Consob e le approfondite analisi tecniche effettuate saranno quindi finalizzate a dare la massima solidità alle eventuali contestazioni di illecito e alle conseguenti segnalazioni alla magistratura;
   nel frattempo l'11 febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, ha disposto il commissarimento della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, per effetto delle «gravi perdite del patrimonio» emerse agli occhi dei funzionari che da tempo stavano svolgendo accertamenti ispettivi, peraltro ancora in corso;
   inoltre, anche la procura di Roma ha aperto un'indagine sulle presunte operazioni anomale, puntando anche ai rapporti delle banche popolari con gli istituti di vigilanza;
   al di là delle plusvalenze effettive o potenziali di chi ha comprato azioni delle Banche Popolari prima del decreto per poi rivenderle a prezzi ben più alti, quel che è grave è che, a quanto risulta all'interpellante, non si può escludere che siano stati fonti dirette del Governo ad aver comunicato in anticipo a terze parti interessate le imminenti decisioni dell'Esecutivo;
   l'ulteriore stranezza riguarda il requisito dimensionale individuato, ovvero un attivo di 8 miliardi di euro è così che rientrano nelle norme il Credito Valtellinese, Popolare di Bari e Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui vicepresidente è il padre del Ministro Maria Elena Boschi, anch'essa azionista della banca;
   il 6 febbraio 2015, il sottosegretario all'economia e alle finanze Pier Paolo Baretta ha risposto in maniera del tutto insoddisfacente alle richieste di chiarimento avanzate dall'interpellante in un analogo atto di sindacato ispettivo –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e, in particolare, a seguito delle dichiarazioni del presidente di Consob, che confermano la messa in atto di operazioni anomale, non ritenga che le modalità di comunicazione della riforma, anticipata il venerdì e poi attuata per decreto-legge il martedì successivo, possano essersi prestate a fenomeni di insider trading o a manovre speculative su titoli in borsa;
   se il Governo intenda chiarire in maniera puntuale le vicende che hanno portato all'adozione delle misure che incidono sulle banche popolari, e, in particolare, fornire spiegazioni in merito alla propria posizione, e all'eventuale improprio utilizzo di informazioni privilegiate, per fare luce su una questione che, in tutta evidenza, mette in discussione la credibilità e i fini delle misure adottate;
   se, più in generale, tale riforma sia in sintonia con la legislazione europea e se essa non esponga le imprese italiane ad un rischio di peggioramento del loro accesso al credito, dato che comunque dispone l'eliminazione di un modello di banca legata alla zona di origine e agli investimenti nel medesimo territorio.
(2-00850) «Brunetta».

   L'VIII Commissione,
premesso che:
nel summit sul clima tenutosi a New York lo scorso settembre, che ha visto la partecipazione di 120 leader mondiali, il Governo italiano, attraverso le parole del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva preso una chiara posizione per sostenere la lotta ai cambiamenti climatici;
in particolare Renzi ha chiesto impegni vincolanti al fine di raggiungere «un accordo capace di dare il segno della volontà politica» dei partecipanti e ha evidenziato la necessità di «seguire un percorso che porti a una riduzione di emissioni» con target precisi: –40 per cento rispetto al 1990 entro il 2030 e –80 per cento sempre sul 1990, entro il 2050; il premier ha anche affermato l'esigenza di investire strategicamente sulle energie rinnovabili;
nonostante gli impegni assunti da molti Paesi per ridurre la percentuale di energia prodotta da combustibili fossili, molte compagnie petrolifere stanno cercando di investire risorse nella ricerca di nuovi giacimenti di gas e petrolio, sia sulla terraferma, sia in mare;
l'attività di esplorazione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare o in terraferma comporta inevitabilmente il ricorso ad operazioni invasive e potenziali rischi non eliminabili per l'ambiente e per la salute, così come l'aumento di emissioni climalteranti;
eventuali attività di ricerca e di estrazione nel mare Mediterraneo, di ridotte dimensioni e semichiuso (con due soli accessi naturali, Gibilterra e i Dardanelli, ed uno artificiale, il Canale di Suez), comporterebbero ulteriori problemi considerata la particolare fragilità dell'ecosistema marino, la cui esigenza di tutela dovrebbe essere condivisa da tutti i paesi che vi si affacciano, come previsto del resto dalla direttiva europea 2013/30/UE e dalla convenzione di Barcellona;
il Mediterraneo costituisce appena lo 0,7 per cento della superficie marina globale e il ricambio della massa idrica è stimato in circa 80 anni, mentre il suo bacino è attraversato dal 25 per cento dell'intero traffico petrolifero marittimo mondiale;
all'interno del bacino del mar Mediterraneo, l'Adriatico è il mare che vanta la più alta presenza di piattaforme petrolifere e, allo stesso tempo, il mare che fornisce oltre la metà del pescato in Italia;
secondo i dati forniti dal Piano d'Azione Mediterranea delle Nazioni Unite, ogni anno il Mediterraneo è oggetto di immissioni di idrocarburi per circa 600 mila tonnellate, mentre, a partire dal 1985, si sono verificati 27 incidenti con un totale di 271.900 tonnellate di petrolio sversate; in sostanza il Mediterraneo è il mare con il più elevato inquinamento da petrolio al mondo il quale, unito ad altre forme di inquinamento (scarichi urbani e industriali non depurati, uso dei sostanze chimiche in agricoltura, e altro) rischia di compromettere gravemente l'equilibrio dei suoi ecosistemi;
non va dimenticato che le attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi, oltre a mettere a repentaglio l'integrità di aree di particolare pregio paesaggistico e naturalistico e le numerose attività economiche legate al turismo e alla pesca, comportano un aumento del rischio sismico e vulcanico;
l'Italia, dopo un primo, timido, tentativo di modificare il quadro normativo in materia di coltivazione di idrocarburi al fine di aumentare il livello complessivo di tutela ambientale, ha approvato, con il decreto-legge n. 133 del 2014, denominato «Sblocca Italia», una norma che, di fatto, rappresenta un completo cambio di rotta: da un lato viene attribuito alle attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas, carattere di opere di interesse strategico di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, dall'altro alle regioni viene tolto ogni ruolo decisionale in merito, espropriandole, di fatto, dei propri poteri;
secondo gli studi effettuati il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche ricco di impurità, e di difficile estrazione; il petrolio estratto nell'Adriatico si presenta dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa e densa che necessita di una lunga lavorazione per l'utilizzo di destinazione, a processo che inizia già sulle piattaforme marine;
la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi in mare, circa l'80 per cento, è imputabile allo svolgimento di attività di routine di manutenzione degli impianti, di estrazione e trasporto degli idrocarburi; una piattaforma in mare nell'arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti; il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro, una percentuale altissima ormai assolutamente insostenibile, che rischia di aumentare ancora con l'avvio di nuove attività di coltivazione di idrocarburi;
in data 6 agosto 2014, le Commissioni riunite VIII ambiente e X attività produttive della Camera hanno approvato una risoluzione (8-00074 risultante dal testo unificato delle risoluzioni 7-00034 Mariastella Bianchi e 7-00086 Cominelli) nella quale, tra l'altro, si impegna il Governo:
a valutare le linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale ai fini del divieto entro le 12 miglia delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
a non mettere a rischio e a non pregiudicare, neanche potenzialmente, lo stato delle aree di reperimento di parchi costieri e marini e di aree marine protette così come definite dall'articolo 31 della legge n. 979/82, e dagli articolo 34 e 36 della legge n. 394/91, nonché i beni individuati ai sensi delle leggi n. 184/77, n. 77/2006 e n. 689/1994;
a prevedere la sospensione delle attività in zone di elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, così come indicato da indagini scientifiche, preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico, così come opportunamente indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca INGV, ISPRA e CNR, prevedendo altresì adeguate compensazioni economiche nel caso di danni arrecati agli stock ittici esistenti;
ad adottare le necessarie iniziative volte a una revisione del sistema delle autorizzazioni per le trivellazioni prevedendo il coinvolgimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare anche redigendo apposite griglie di valutazione in grado di recepire in modo oggettivo specifici punti di criticità quali ad esempio la presenza di falde acquifere o elevati rischi sismici e rilevanti fragilità geologiche dei territori interessati dall'ipotesi di ricerca clorazione e coltivazione di idrocarburi, supportate dal contributo delle analisi di ISPRA,  INGV e CNR, così come il coinvolgimento degli enti locali e una maggiore trasparenza e pubblicizzazione dei risultati;
a incrementare per le nuove concessioni di coltivazione le aliquote delle royalty fino al 50 per cento rispetto a quelle attualmente vigenti in funzione della produttività degli impianti, anche per individuare misure compensative a favore delle comunità rivierasche o comunque interessate, mutuando schemi quali quello dell'articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
a verificare la sussistenza dei requisiti economici e tecnici delle società titolari di permessi di ricerca in modo da garantire efficienza tecnica, sicurezza e pieno rispetto di tutte le prescrizioni e dei vincoli stabiliti dalle autorità competenti: non solo degli obblighi – stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico – per la gestione degli impianti e la sicurezza mineraria – ma anche, in particolare, dei vincoli disposti da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dagli enti locali per gli aspetti di compatibilità ambientale nella realizzazione e gestione di impianti e pozzi, tenuto conto delle tecniche e delle conoscenze più avanzate per il «buon governo» dei giacimenti;
dopo la conversione in legge del decreto-legge «sblocca Italia» sei regioni – Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto – hanno impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la legge n. 166 del 2014 di conversione del decreto n. 133 del 2014; in sostanza le regioni hanno deciso di contrastare la forzatura dirigistica, voluta dal Ministero dello sviluppo economico, e contraria al Titolo V della Costituzione, che bypassa l'intesa con le regioni e stabilisce corsie preferenziali e poco trasparenti per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche di ricerca e coltivazione di idrocarburi;
a rendere ancora più preoccupante il futuro del mare Mediterraneo, in particolare del mare Adriatico, c’è la decisione del governo croato di consentire, come annunciato dal Ministro degli affari esteri Ivan Vrdoliar, le trivellazioni petrolifere nelle proprie acque territoriali;
nei giorni scorsi il Governo di Zagabria ha comunicato l'esito del bando sulle prime dieci aree (su 29), ognuna delle quali si estende su 1.000-1.600 chilometri quadrati: il consorzio costituito dall'americana Marathon Oil e dall'austriaca Omv ne ha ottenute sette, mentre due licenze sono andate alla società pubblica croata Ina e all'ungherese Mol e una al consorzio tra ENI e l'inglese Medoilgas;
tra i rischi connessi alle attività estrattive nel mare Adriatico c’è anche la presenza di molti ordigni bellici inesplosi, che potrebbero provocare danni enormi all'ambiente e all'ecosistema;
la questione è stata affrontata anche nel Parlamento europeo, con un'interrogazione nella quale si è affermato che le coste croate distano 100 chilometri da quelle di Venezia, che la disposizione sottomarina di alcuni giacimenti sconfina in acque territoriali italiane e che l'ecosistema marino dell'Adriatico, caratterizzato anche dal fenomeno della subsidenza, è estremamente fragile e si è chiesto alla Commissione europea come intenda agire sulle possibili conseguenze di nuove attività di estrazione di idrocarburi nell'Adriatico e se intenda fermare lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi nell'Adriatico ancora non aperti;
la Commissione, pur nell'ambito di una risposta interlocutoria, ha in ogni caso ribadito che i progetti di prospezione petrolifera e lo svolgimento delle ricerche devono rispettare la direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare, la direttiva sulla valutazione dell'impatto ambientale, la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino e, ai sensi del protocollo offshore, la convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall'inquinamento,

impegna il Governo:

ad attivarsi in tutte le sedi, comunitarie ed internazionali, al fine di tutelare il mare Adriatico da interventi che potrebbero causare danni irrimediabili all'ambiente marino, patrimonio dell'intera umanità, ricorrendo, a all'uopo, a tutti gli strumenti di tutela previsti dal diritto internazionale e comunitario, sia invocando principi di prevenzione e di precauzione, sia facendo ricorso alle convenzioni, alle direttive ed ai trattati internazionali, tra cui la Convenzione di Barcellona del 16 febbraio 1976, relativa specificamente alla salvaguardia del mare Mediterraneo, considerato «area speciale» proprio per la sua particolare valenza ecologica, la Convenzione di Londra del 1954 sulle regole di prevenzione dell'inquinamento da idrocarburi, la Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982, finalizzata alla protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento, che impone l'obbligo di proteggere e preservare l'inquinamento marino e la Convenzione di Bruxelles sulla responsabilità civile per l'inquinamento da idrocarburi del 29 novembre 1969;
a promuovere l'istituzione di una Zona di protezione ecologica nel mare Adriatico, con l'obiettivo di tutelare la biodiversità e gli ecosistemi marini e il patrimonio dei fondali del mare Adriatico, in attuazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982.
(7-00596) «Terzoni, Benedetti, Da Villa, Micillo, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Zolezzi, Crippa, Lupo, Vallascas, Fantinati, Della Valle, Vignaroli, Spessotto, Villarosa, Businarolo, Sarti, Ferraresi, Colletti, Cozzolino, Agostinelli, Brescia, Paolo Nicolò Romano, Dell'Orco, Parentela, L'Abbate, Cariello».