ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO
Seduta n. 329 di martedì 11 novembre 2014
INDICE
ATTI DI INDIRIZZO:
Mozioni:
De Girolamo 1-00659 18545
Scotto 1-00660 18546
Benedetti 1-00661 18549
Risoluzioni in Commissione:
VIII e X Commissione:
Abrignani 7-00519 18554
VII Commissione:
Marzana 7-00520 18556
XIII Commissione:
Gagnarli 7-00521 18559
ATTI DI CONTROLLO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
Pesco 2-00745 18561
Cimbro 2-00746 18563
Interrogazione a risposta orale:
Melilla 3-01149 18564
Interrogazioni a risposta scritta:
Catanoso 4-06813 18565
Rampelli 4-06822 18566
Zaratti 4-06823 18566
Ambiente e tutela del territorio e del mare.
Interrogazione a risposta orale:
Saltamartini 3-01150 18567
Interrogazione a risposta in Commissione:
Tidei 5-03997 18568
Beni e attività culturali e turismo.
Interrogazioni a risposta immediata:
Molea 3-01152 18569
Sberna 3-01153 18569
Difesa.
Interrogazione a risposta immediata:
Duranti 3-01154 18570
Interrogazione a risposta in Commissione:
Duranti 5-04004 18571
Economia e finanze.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Manzi 5-03998 18571
Colletti 5-04001 18573
Interrogazione a risposta scritta:
Scotto 4-06814 18573
Giustizia.
Interpellanza:
Romano Paolo Nicolò 2-00744 18574
Interrogazioni a risposta scritta:
Di Maio Luigi 4-06818 18575
Zaratti 4-06824 18576
Infrastrutture e trasporti.
Interrogazioni a risposta immediata:
Capelli 3-01155 18576
Dell'Orco 3-01156 18577
Biasotti 3-01157 18578
Tullo 3-01158 18579
Rampelli 3-01159 18580
Interrogazioni a risposta in Commissione:
De Menech 5-03999 18581
Mazzoli 5-04002 18582
Interrogazioni a risposta scritta:
Catalano 4-06812 18582
Gandolfi 4-06817 18583
Interno.
Interrogazioni a risposta scritta:
Melilla 4-06807 18584
Scotto 4-06808 18584
Naccarato 4-06815 18585
Di Maio Luigi 4-06816 18586
Di Maio Luigi 4-06819 18586
Scotto 4-06820 18587
Cimbro 4-06821 18589
Sibilia 4-06826 18591
Politiche agricole alimentari e forestali.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Gagnarli 5-04000 18592
Capone 5-04003 18593
Riforme costituzionali e rapporti con il Parlamento.
Interrogazione a risposta scritta:
Cozzolino 4-06825 18596
Salute.
Interrogazione a risposta scritta:
Gallinella 4-06809 18597
Sviluppo economico.
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Parentela 2-00743 18598
Interrogazione a risposta immediata:
Caparini 3-01151 18599
Interrogazioni a risposta scritta:
Catalano 4-06810 18602
Iacono 4-06811 18603
Apposizione di firme a mozioni 18605
Apposizione di firme ad una risoluzione 18606
Apposizione di firme ad interrogazioni 18606
Pubblicazione di testi riformulati 18606
Mozioni:
Mucci 1-00611 18606
Amato 1-00643 18612
Interrogazione a risposta in Commissione:
Lattuca 5-03984 18615
Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato 18617
Mozione:
Grillo 1-00645 18617
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
il fenomeno della scarsa natalità in Italia ha assunto, come noto, dimensioni molto preoccupanti;
i dati ufficiali sulle nascite dimostrano un costante calo delle stesse dal 2010 al 2013, anno in cui è stato segnato un nuovo minimo storico, essendo stati rilevati solo 510.924 nati;
contestualmente, si assiste al progressivo inasprimento di un fenomeno connesso a quello della denatalità: il processo di invecchiamento generale della popolazione. Nell'ultimo rapporto ISTAT del 2014, si stima che dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata, passando da 123 a 278 unità;
dati particolarmente allarmanti, diffusi recentemente da notizie di stampa, dimostrano che da tale trend non è escluso, ormai, neanche il sud Italia, ove il problema sembra assumere contorni particolarmente critici, tanto da aver fatto parlare di un vero e proprio processo di «desertificazione»;
non vi è dubbio che i fenomeni in esame, ove trovassero conferma nei prossimi anni, rischiano di mettere in crisi la sostenibilità stessa del sistema Paese e, in particolare, del sistema di welfare, comprensivo sia del settore previdenziale e sociale che del settore sanitario;
a causare i citati fenomeni concorrono sia fattori sociali che economici;
per le suddette ragioni, vanno considerate con grande favore tutte le iniziative che il Governo ha già adottato e vorrà adottare per contrastare il richiamato trend della natalità, in quanto un Paese senza nascite è un Paese senza futuro;
in particolare, tra le richiamate iniziative, assumono significativo rilievo le seguenti:
a) previsione, nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2015, della concessione di un assegno mensile di 960 euro annui per ogni nuovo nato o adottato nel periodo compreso tra il 2015 e il 2017, per le famiglie in possesso di determinati requisiti di reddito, secondo modalità attuative da individuarsi mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute. Tale misura si inserisce nell'ambito più generale delle iniziative a favore della famiglia, cui, peraltro, il medesimo disegno di legge di stabilità riserva uno stanziamento aggiuntivo di 298 milioni di euro per il 2015;
b) istituzione, presso il Ministero della salute, di un tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità, al fine di fornire, allo stesso Ministero, un qualificato supporto per approfondire le tematiche in questione e per proporre adeguate soluzioni, anche normative;
c) la costante attenzione manifestata nei confronti della complessa problematica riguardante la procreazione medicalmente assistita, anche con riferimento, nell'ultimo anno, a quella di tipo eterologo, in conseguenza dell'emanazione della nota sentenza della Corte Costituzionale che ne ha annullato il divieto,
impegna il Governo:
a proseguire nel percorso già intrapreso di promozione e adozione di misure a sostegno della natalità e della famiglia;
ad avviare sin da subito le iniziative affinché, immediatamente dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità 2015, ove la predetta misura sia approvata dal Parlamento, dunque nei primi giorni del prossimo anno, sia adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante le misure attuative della norma sull'assegno per i nuovi nati o adottati;
a valutare ogni possibile ulteriore iniziativa affinché la predetta misura dell'assegno per i nuovi nati o adottati non rimanga una iniziativa una tantum, ma si configuri, invece, come intervento permanente a favore delle famiglie e dei nuovi nati.
(1-00659) «De Girolamo, Dorina Bianchi, Pizzolante, Tancredi, Saltamartini, Misuraca».
La Camera,
premesso che:
l'Argentina, dopo il default del 2001, ha offerto un concambio scontato ai suoi creditori, accettato dal 93 per cento degli stessi, mantenendo negli anni gli impegni assunti con i creditori e con gli organismi internazionali durante la fase di ristrutturazione del debito;
il 29 maggio 2014 l'Argentina ha raggiunto un accordo con il «Club di Parigi», formato dai Paesi creditori del debito argentino, inclusa l'Italia, per il pagamento di quanto dovuto a partire dal 2015. L'accordo prevede che l'Argentina verserà 9,7 miliardi di dollari di debiti al «Club di Parigi» entro cinque anni, ma potrebbe essere protratto a sette qualora non vi siano sufficienti investimenti diretti in Argentina dai Paesi membri del Club, e prevede una riduzione dei tassi di interesse dal sette per cento al tre per cento;
alla fine del mese di luglio 2014 l'Argentina ha avuto un default tecnico, a distanza di 13 anni dal precedente, che è stato la diretta conseguenza della sentenza del giudice distrettuale Thomas Griesa, del tribunale Federale di Manhattan, che a fine luglio 2014 ha dato ragione a NML Capital (della Elliot Management di Paul Singer che siede nel comitato dell’International Swap Derivatives Association, ISDA) ed Aurelius Capital Management (gestito da Mark Brodsky), due hedge fund in causa con l'Argentina;
già nel 2013 il giudice Thomas Griesa emetteva sentenza di condanna nei confronti dell'Argentina a favore dei due fondi i quali chiedevano l'interno pagamento, ossia il 100 per cento, dei tango bond in loro possesso e non quanto stabilito dal concambio scontato offerto dall'Argentina. La sentenza veniva confermata dalla Suprema Corte di Washington nel maggio del 2014;
il default del 2001 aveva comportato il mancato rimborso di quasi 100 miliardi di dollari, l'Argentina concluse nel 2005 e 2010 accordi di ristrutturazione del debito con una conversione in nuovi titoli pari a meno di un terzo del valore nominale originario dei bond, ovvero a un valore molto decurtato (cosiddetto haircut);
i due hedge fund hanno al contrario, per fini puramente speculativi e strumentali, acquistato sul mercato secondario e dopo il default a un prezzo molto basso (non superiore al 20 per cento del valore nominale), bond argentini non ristrutturati per poi chiedere alla giustizia statunitense, rifiutando di aderire agli accordi di ristrutturazione (creditori holdout), il rimborso dell'intero valore nominale originario (1,33 miliardi di dollari, cui si aggiungono quasi 200 milioni di interessi). A fronte di ciò, il Governo argentino si è rifiutato di pagare capitali e interessi ai due fondi, per evitare di dover pagare allo stesso modo, secondo il principio del «pari passu», tutti gli altri creditori, così come previsto nelle clausole delle ristrutturazioni concordate, specificatamente la clausola RUFO, Rights Upon Futures Offerings, apposta sui titoli del primo default, impone all'Argentina di garantire agli obbligazionisti le stesse condizioni più favorevoli eventualmente concesse ad altri creditori. La clausola scadrà il 31 dicembre 2014;
il giudice statunitense, in assenza di accordo negoziale tra le parti, ha accolto le richieste degli hedge fund, ordinando al Governo argentino, con sentenza convalidata dalla corte di appello di New York, di non pagare i 539 milioni di dollari di interessi dovuti ai creditori ristrutturati, cioè la maggioranza, che avevano la conversione in nuovi titoli, prima di aver ottemperato agli obblighi nei confronti dei due «fondi avvoltoi», prospettando la condanna per oltraggio alla Corte a causa della decisione di spostare in America Latina la gestione dei fondi detenuti nelle casse dell'agente finanziario dei creditori, Bank of New York Mellon. Il passaggio del pagamento delle cedole agli obbligazionisti ristrutturati non è avvenuto a causa del congelamento posto dalla sentenza del giudice Griesa la quale giudica il pagamento delle cedole «irregolare» in assenza di pagamenti accettati dai creditori holdout, ha fatto scattare automaticamente la dichiarazione di default selettivo essendo stato abbassato il rating dei bond argentini dalle società di rating;
tra la fine di luglio e metà agosto, il tribunale di New York aveva autorizzato al pagamento, «per una sola volta», ai sottoscrittori anche europei delle cedole su due titoli di diritto argentino in dollari e peso attraverso i pay agent JP Morgan e tre altri titoli attraverso la Citigroup, ma lasciava in sospeso i titoli di diritto americano e inglese in euro e dollari, bloccati nelle casse della Bank of New York Mellon e in portafoglio in prevalenza tra i risparmiatori italiani titolari di bond argentini;
alla fine del mese di settembre 2014 l'Argentina, disattendendo le decisioni del giudice Griesa, ha deciso che i detentori di bond con giurisdizione argentina ricevessero il pagamento delle cedole dei tango bond depositando 161 milioni di dollari presso la banca locale Banco de Naciòn Fideicomisos che, a sua volta, li distribuirà ai bondholder, sollevando la Bank of New York Mellon, il precedente trustee che il Parlamento argentino ha deciso di rimuovere;
il 29 settembre 2014 il tribunale di New York ha condannato l'Argentina per oltraggio alla Corte comminandole una multa di 50 mila dollari al giorno;
la disputa legale sta producendo scompigli sui mercati finanziari internazionali perché non è chiaro se i detentori esteri dei bond argentini potranno accedere ai depositi accesi presso la banca argentina alla luce della sentenza del giudice Griesa che ha ritenuto illegale il comportamento dell'Argentina con l'approvazione della legge che consente di spostare la giurisdizione dei titoli fuori dagli Stati Uniti. Secondo fonti locali, gli obbligazionisti che non abbiano spostato la giurisdizione non potranno avere accesso alle somme a meno che non siano stati autorizzati dal giudice (come nel caso della filiale argentina della Citibank) perché ciò eluderebbe la sentenza del tribunale americano. Questo vale per la già citata Bank of New York Mellon, sia per la Euroclear e per la Cleartream, le due piattaforme europee attraverso le quali vengono autorizzati i pagamenti e che detengono nelle proprie banche dati i riferimenti relativi ai detentori dei titoli, senza i quali è impossibile per la banca argentina effettuare i pagamenti delle cedole;
una alternativa, per ovviare a questa situazione di stallo, potrebbe essere quella di inviare la massa monetaria direttamente alla Banca di Francia per poi procedere ai pagamenti, al momento la maggior parte dei bondholder ha deciso di aspettare l'evolversi della situazione anziché modificare la giurisdizione dei titoli;
il Governo argentino ha chiesto all'autorità di Borsa di Wall Street, la US Securities and Exchange Commission, di indagare sulle manovre che hanno portato al pagamento dei credit default swap per oltre un miliardo di dollari, incassati anche dalla Elliot Management e ha anche denunciato gli Stati Uniti davanti alla Corte Internazionale dell'Aja;
a Ginevra il 29 settembre 2014 il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione proposta dall'Argentina, (unitamente alla Bolivia, all'Algeria, alla Cina, al Brasile, a Cuba, al Pakistan, alla Russia, all'Uruguay, all'Arabia Saudita, al Benin, alla Botswana, al Burkina Faso, al Cile, al Congo, alla Costa d'Avorio, al Costa Rica, agli Emirati Arabi Uniti, all'Etiopia, alle Filippine, al Gabon, all'India, all'Indonesia, al Kazakistan, al Kenya, al Kuwait, alle Maldive, al Marocco, al Messico, alla Namibia, al Perù, alla Sierra Leone, al Sudafrica, al Vietnam e al Venezuela), che ha ottenuto 34 voti a favore, 5 contrari (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone e Repubblica Ceca) e 9 astensioni (Austria, Corea del Sud, Estonia, Francia, Irlanda, Macedonia, Montenegro e Romania), tra cui l'Italia che, a nome del Consiglio dell'Unione europea, ha affermato che è fuori discussione la solidarietà europea verso i Paesi che hanno affrontato o stanno affrontando seri problemi economici e finanziari, stigmatizzando però l'inadeguatezza del luogo dove discutere temi relativi alla politica finanziaria internazionale;
la risoluzione condanna le attività dei «fondi avvoltoio» e gli effetti negativi che il pagamento di tali fondi genera in termini di capacità del Governo di onorare gli obblighi in materia di diritti umani, inoltre sollecita tutti gli Stati a partecipare attivamente ai negoziati volti a istituire un quadro giuridico multilaterale per i processi di ristrutturazione del debito sovrano, così come indicato dalla risoluzione dell'Assemblea generale (n. 68/304), invitando gli Stati ad assicurare che tale quadro risulti pienamente compatibile con gli obblighi e gli standard internazionali a tutela dei diritti umani;
il 9 settembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha approvato l'impegno di redigere entro la prossima sessione dell'Assemblea generale nel 2015 un testo multilaterale — protocollo o convenzione — di adempimenti obbligatori in materia debitoria, da ratificare e diventare, così vincolante per i firmatari;
i fondi speculativi stanno applicando la stessa identica strategia contro la Repubblica Democratica del Congo, la quale ha dovuto pagare al fondo di Paul Singer la cifra di 67 milioni di dollari su fondi statali rastrellati sul mercato secondario ad un valore di 15 milioni di dollari. La Repubblica Democratica del Congo è uno dei Paesi più poveri del pianeta;
il Fondo monetario internazionale a fronte della vicenda argentina, che si trascina da tempo a causa di una legislazione internazionale piena di falle, ha recentemente proposto due riforme: la prima prevede la modifica della clausola «pari passu» (uguale trattamento), così da escludere l'obbligo di pagare gli investitori holdout; la seconda è data dall'introduzione di una «clausola di azione collettiva» che, nel caso in cui un Paese finisca in default e cerchi di ristrutturare il suo debito, lega tutti gli investitori a una decisione presa da una larga maggioranza che rappresenti il 75 per cento dei creditori. Ad oggi, il debito ristrutturato rappresenta il 93 per cento dei 95 miliardi di debito su cui è stato dichiarato il default nel 2001;
la volontà dell'Argentina di onorare i propri debiti secondo gli accordi stipulati è certa ed è stata più volte manifestata sulla stampa internazionale attraverso articoli a pagamento, oltreché dimostrata dall'atteggiamento tenuto a seguito del default;
a tale disponibilità va dato immediato e concreto seguito, a tutela primaria degli interessi nazionali, dato l'apprezzamento dei nostri investitori per l'accordo di ristrutturazione, che è messo a rischio dall'applicazione della sentenza del giudice Griesa e, soprattutto, dal principio del «pari passu», e dalle conseguenze che il default selettivo di fine luglio potrebbe avere sulla stabilità finanziaria internazionale e, quindi, su quella di Paesi esposti come l'Italia;
in data 10 luglio 2014 il Presidente del Consiglio indirizzava una lettera alla Presidenza argentina con la quale esprimeva «...la vicinanza del governo italiano agli sforzi argentini e la disponibilità ad approfondire nelle sedi europee e internazionali i diversi aspetti della vicenda...»;
a parere dei firmatari della presente mozione sarebbe opportuno partecipare ai lavori di un gruppo informale di Paesi, quali la Francia, il Brasile, e il Messico, che stanno sostenendo la posizione argentina per cercare una soluzione negoziata;
sarebbe auspicabile manifestare al Governo degli Stati Uniti la preoccupazione del nostro Paese per le conseguenze della sentenza del giudice Thomas Griesa non solo sull'Argentina, ma sull'intero complesso dei soggetti creditori e della sostenibilità finanziaria internazionale del sistema del debito sovrano;
è fondamentale, e non più rinviabile, proporre nelle opportune sedi internazionali (OCSE, «Club di Parigi», G20) l'avvio e la rapida conclusione di una regolamentazione delle modalità di accesso al mercato secondario dei debiti sovrani da parte dei fondi privati speculativi, e, soprattutto, sull'introduzione di soglie minime di adesione ad eventuali accordi di ristrutturazione che valgano «erga omnes» e che siano inappellabili per i singoli creditori o gruppi di creditori o loro rappresentanze societarie e delle fondazioni,
impegna il Governo:
ad assumere le opportune iniziative a tutela dei molti interessi nazionali coinvolti nella vicenda narrata in premessa a tutela della prevalenza del diritto e degli organismi internazionali in materia di debito sovrano;
a far proprie le proposte di riforma suggerite dal Fondo monetario internazionale, promuovendole e sostenendole nelle sedi europee, visto il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, nonché nei consessi internazionali e presso l'OCSE, il «Club di Parigi», l'ONU e il G20.
(1-00660) «Scotto, Paglia».
La Camera,
premesso che:
da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 17 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti e le stesse colture;
la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (dicloropropene, cloropicrina, propanile), e il meccanismo dell’«autorizzazione speciale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo e la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi;
il PAN (piano di azione nazionale per l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari), entrato in vigore il 13 febbraio 2014, all'articolo 5.6.1 indica che in caso di deroga non si può ricorrere comunque all'uso di prodotti fitosanitari che riportano in etichetta determinate frasi di rischio. All'articolo 5.6.2 indica che in ogni caso è comunque escluso l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici o che riportano in etichetta determinate frasi di rischio; queste sigle della classe di rischio si trovano nelle schede di sicurezza, e solo raramente si trovano nell'etichetta del prodotto, riportandone solo alcune per esteso;
le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza hanno principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali; l'atto 4/04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati nonostante il divieto del PAN; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato Membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione del applicazione – L'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
a parere dei presentatori i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012 ed al PAN-2014, che proibisce l'utilizzo dei prodotti T+ (molto tossici), T (tossici) ed elenca le frasi di rischio per le quali vige il divieto di autorizzazione; inoltre l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni speciali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza sanitaria»;
in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della Direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012 n. 150, lo vieti; e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento CE/1107/2009, che all'articolo 53 «situazioni di emergenza fitosanitaria» recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei presentatori le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria né la necessità del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
la normativa vigente, tra cui il PAN, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come per esempio l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; Il PAN esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici e/o che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro;
con atto n. 4/04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che consentono la deroga in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
l'utilizzo dell'elicottero sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come per esempio gli interventi antiperonosporici o acaricidi; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio DOCG Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio DOCG Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade, sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione;
considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e l'ambiente in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto in trattamento; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei presentatori, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
a parere dei presentatori appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del PAN, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che è nota solo in parte: l'85 per cento dell'Aviozolfo e il 20 per cento dell'Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani, dell'ISS – Istituto superiore di sanità – definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi». A volte i principi attivi vengono registrati come coformulanti, e quindi sfuggono al controllo rendendo difficile la correlazione causa effetto, in caso d'intossicazione, non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal PAN;
con atto 4/05099 in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro una iniziativa dell'associazione WWF AltaMarca che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area DOCG Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il PAN vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
in alcuni comuni dell'area DOCG Prosecco Conegliano-Valdobbiadene, come per esempio il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal PAN; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi quindi di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel PAN all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
a parere dei presentatori è evidente la mancanza di un controllo efficace sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; l'estrema vicinanza uomo-vigneti di fatto annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il PAN distingue; trattasi infatti di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere degli interroganti, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca una adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti, che dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte adeguate;
il PAN, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1, A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
a parere dei presentatori il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante, per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni sono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
con atto 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati dette corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale; spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal PAN; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
a parere dei presentatori è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il PAN, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente alla identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza;
talvolta, in caso di intossicazione ad esempio, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati,
impegna il Governo:
a interrompere immediatamente le autorizzazioni eccezionali dei prodotti fitosanitari vietati dal PAN;
a riconsiderare le classi di rischio assegnate alle etichette, autorizzate con decreto dirigenziale, adeguandole alle classi di rischio indicate dalle schede di sicurezza;
a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, sia in relazione ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
ad integrare, in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'unione europea, il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
a verificare la corretta e completa composizione dei prodotti fitosanitari e delle corrispondenti frasi di rischio, visibili nelle schede di sicurezza, preliminarmente all'eventuale autorizzazione in deroga dei prodotti;
a interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del PAN, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
a promuovere ed attuare tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
ad attuare tutte le azioni affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti e indicare con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
ad assumere iniziative anche normative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste nonché prevedere un'implementazione del sistema di verifica sulla effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente alla identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato.
(1-00661) «Benedetti, Basilio, Massimiliano Bernini, Businarolo, Busto, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi».
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni VIII e X,
premesso che:
il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, concernente «Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche», si pone l'obiettivo di favorire l'utilizzo della risorsa «rinnovabile» geotermica, in particolare la semplificazione delle procedure in coerenza con gli indirizzi comunitari ed internazionali per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l'apertura a un regime concorrenziale che assicuri una trasparente e non discriminatoria assegnazione in concessione delle risorse geotermiche; viene inoltre definito che le risorse geotermiche di interesse nazionale sono patrimonio indisponibile dello Stato, mentre quelle di interesse locale sono patrimonio indisponibile regionale e che l'autorità competente per le funzioni amministrative, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale, è il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre per quelle locali le autorità competenti sono le regioni o gli enti da esse delegati, nel cui territorio sono rinvenute;
il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», ha previsto che, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione – su tutto il territorio nazionale – di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 megawatt e per ciascuna centrale;
l'ordinamento giuridico italiano ha previsto dal 2011 una normativa speciale per la produzione di energia elettrica da fonte mineraria geotermica, con l'obiettivo di sfruttare le presenti risorse minerarie abbandonate, dopo la ricerca che lo Stato ha fatto spendendo milioni di euro per definirne i campi geotermici e le loro potenzialità termiche, con impianti ad alta tecnologia con l'obbligo di elevati risultati ambientali che rendano le emissioni nulle e obblighino, lo stesso impianto, alla reiniezione totale del fluido estratto. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata;
ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, disposizioni in materia di piccole utilizzazioni locali di calore geotermico le autorità competenti per le funzioni amministrative, inclusa la valutazione di impatto ambientale, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, comprese le funzioni di vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia mineraria, riguardanti le risorse geotermiche e locale sono le regioni o gli enti da esse delegati;
il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (recante misure urgenti per la crescita del Paese) ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
ai sensi di tale normativa i progetti geotermici pilota sono quindi sottoposti alla valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
il decreto ministeriale 6 luglio 2012, «Attuazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione per la produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi da quella solare fotovoltaica», introduce una incentivazione aggiuntiva per gli impianti geotermici che producono emissioni nulle, che reiniettano tutto il fluido geotermico nelle formazioni di provenienza; inoltre viene concessa una tariffa incentivante per chi saprà gestire la risorsa, in tutela dell'ambiente, anche in presenza di gas nel fluido, pur essendo questa tecnologia molto onerosa per il soggetto proponente;
quanto sopra citato ha comportato richieste di permessi di ricerca e coltivazione in tutta Italia riaccendendo un interesse di investimenti privati nel settore, ben distribuito sul territorio nazionale – in particolare nelle regioni Umbria, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna – con 10 permessi per impianti pilota sperimentali, in particolare nel settore della media entalpia, con temperature della risorsa geotermica compresa tra 90°C e 150°C;
il Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche ha ritenuto, inoltre, necessario valutare in via preventiva le autorizzazioni di operazioni tecnologiche che prevedano perforazioni nel sottosuolo, con particolare riferimento alla sismicità indotta e provocata per cui saranno individuate e definite «linee guida» la cui stesura è stata affidata al gruppo di lavoro costituito in data 2014;
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto necessario costituire, in ambito ISPRA, un gruppo di lavoro per definire puntualmente lo stato della sismicità indotta e provocata dall'attività antropica nel nostro Paese;
l'attività dei suddetti gruppi di lavoro è tuttora in corso, ma a totale garanzia degli effetti ambientali positivi dello sfruttamento geotermico ci sono tutte le pratiche di costruzione mineraria mondiali;
quindi le commissioni VIA sono in grado di potere esprimere piene valutazioni nell'ambito geologico, idrico ed atmosferico fino all'approvazione di un dettagliato programma lavori per la realizzazione di pozzi in piena sicurezza; per quanto attiene alla «zonazione del territorio» si ricorda che la pericolosità sismica del territorio nazionale è da tempo classificata e tenuta aggiornata e le relative mappe sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Sugli altri potenziali rischi citati dalla risoluzione, ognuno di questi è puntualmente analizzato dalla valutazione di impatto ambientale e monitorato dalle ARPA regionali,
impegnano il Governo:
ad avviare le procedure per un concreto e celere sfruttamento delle risorse geotermiche ricercate ed analizzate fino ad oggi nel territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale;
ad emanare «linee guida» a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che suggeriscano alle commissioni di valutazione ambientale di valutare gli impianti in esercizio presenti in Europa e nel mondo, così da conoscere i reali effetti ambientali dei siti potenzialmente sfruttabili, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente all'abbattimento sostanziale di CO2 nell'atmosfera, di un risparmio energetico nella produzione di calore e raffreddamento e di tutti i vantaggi ambientali che ne derivano;
a far sì che, nella valutazione di impatto ambientale (VIA) per gli impianti pilota geotermici si valorizzi l'impegno dei privati nella produzione di energia a basso impatto ambientale e quindi in sostituzione di altra energia prodotta con maggiori emissioni di CO2 a danno dell'atmosfera;
ad assumere iniziative per rilasciare le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici più velocemente possibile in modo da assumere iniziative per dotare il Paese di nuove tecnologie per lo sfruttamento della risorsa geotermica, ad esclusivo onere finanziario dei privati, per potere riportare il settore a competere nel mondo come leader dell'energia rinnovabili;
a far sì che dopo la messa in esercizio dei 10 impianti, e valutate tutte le implicazioni ambientali e tecnologiche, il sistema produttivo italiano possa dotare ogni città, in area geotermica, di impianti energetici e termici, con l'abbattimento totale dell'inquinamento atmosferico e un risparmio del costo termico per raffreddare e riscaldare ogni edificio compreso nel centro urbano dove verrà collocata la centrale.
(7-00519) «Abrignani, Castiello, Distaso, Martinelli, Romele, Vella, Giammanco, Luigi Cesaro, Marti, Polidori».
La VII Commissione,
premesso che:
i tecnici della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff), ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010, hanno approvato in data 23 dicembre 2013 la Nota Metodologica «Determinazione dei fabbisogni standard per i Comuni – FC03U – Funzioni di Istruzione pubblica»;
la presente nota metodologica è stata realizzata dai tecnici del Progetto SOSE (soluzioni per il sistema economico spa) con la collaborazione scientifica dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), ai sensi dall'articolo 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, riguardante le «Disposizioni in materia di determinazione dei Costi e dei Fabbisogni Standard di Province, Città metropolitane e Comuni», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 dicembre 2010;
il predetto decreto legislativo ha, come descritto nell'articolo 1, la finalità di disciplinare la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard per province e Comuni al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nei meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi enti;
nello specifico, la presente nota metodologica si riferisce alle funzioni di istruzione pubblica analizzate con il questionario FC03U – Funzioni di istruzione pubblica predisposto per i comuni e le unioni di comuni;
in data 23 luglio 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e in via preliminare due schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativi all'attuazione del decreto legislativo n. 216 del 26 novembre 2010, «Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province» per l'adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario relativi alle funzioni di istruzione pubblica, nel settore sociale e sul servizio degli asili nido e altri campi;
i due schemi di decreto verranno, quindi, sottoposti all'esame della Conferenza Stato-città e autonomie locali ed alle Commissioni parlamentari competenti, secondo quanto prescritto dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 216 del 2010;
ebbene, a pagina 43 della suddetta Nota Metodologica si legge: «(...) Da ultimo, è importante sottolineare che, in assenza di specifiche indicazioni relative ai livelli essenziali delle prestazioni, per il calcolo dei Fabbisogni Standard delle Funzioni di pubblica istruzione, in sede di prima applicazione della metodologia, sono stati utilizzati i valori storici delle variabili di output utilizzate per la stima»;
gli output, in questione, altro non sono se non i servizi che i Comuni garantiscono ai cittadini: quando vengono offerti vengono considerati un fabbisogno della popolazione, quando vengono offerti in misura ridotta o non vengono offerti per nulla, si considera che quella popolazione non ne abbia di bisogno, ma ciò non corrisponde al vero, semplicemente i comuni non avevano le risorse necessarie per garantirli;
in pratica servizi come gli asili nido, il tempo pieno e la mensa scolastica, non essendo considerati servizi essenziali non hanno una diffusione omogenea su tutto il territorio nazionale ma vengono garantiti e finanziati soltanto dove già esistono, dunque al centro-nord;
servizi importanti ma accessori come i campi estivi, oppure l'accoglienza e la vigilanza dei bambini prima e dopo l'orario scolastico, solo perché storicamente offerti da determinati comuni (principalmente del centro-nord), sono considerati «fabbisogno standard» e quindi da finanziare a carico di tutta la collettività;
il criterio adottato rimane quello della «spesa storica» ai danni del «fabbisogno effettivo», penalizzando le regioni del sud quanto alla ripartizione dei fondi e alla distribuzione di servizi fondamentali;
a dimostrazione della totale disomogeneità dei servizi scolastici garantiti sul territorio nazionale, si consideri che al sud ad esempio la copertura del tempo pieno, è appena del 14 per cento (con un minimo in Campania del 9 per cento), contro una media del centro-nord del 47 per cento (con una punta massima del 57 per cento nel Lazio); relativamente ai pasti assicurati agli studenti, il Mezzogiorno garantisce un servizio pari ad appena il 42 per cento di quello del centro-nord. La distanza diventa ancora più evidente sui cosiddetti servizi «pre e post scuola», che al Centro-nord sono un'opportunità della quale si avvalgono oltre 5 bambini su 100, mentre nel Mezzogiorno si scende a 0,93 per cento, ovvero neppure 1 bambino su 100 ne usufruisce;
il riparto di questi servizi deve essere stabilito seguendo altri parametri, quali il fenomeno della dispersione scolastica: in Italia il 17,6 per cento degli alunni a rischio abbandono ha un'età inferiore ai 14 anni, il 43 per cento un'età compresa tra i 14 e i 16 anni, il 34 per cento un'età compresa tra i 16 e i 18 anni; il Sud Italia detiene di gran lunga il maggior numero di alunni che lasciano la scuola prematuramente, con punte del 35 per cento nella sola Sardegna e Sicilia, con province come Caltanissetta dove gli abbandoni superano il 40 per cento di dispersione al termine del quinquennio delle superiori 2009-2010/2013-2014; questi dati si dimezzano nelle regioni del nord Italia, confermando che il «rischio abbandono» è maggiormente diffuso nelle aree più depresse dove si vive un particolare disagio economico e sociale;
emblematico il caso emerso nell'ambito di un'indagine contro l'evasione scolastica avviata dal comando provinciale di Catania che ha portato alla denuncia di 232 genitori di 136 alunni di due scuole dell'obbligo per inosservanza continuata dell'obbligo di istruzione di minorenni: i genitori identificati, di un età media tra i 30 ed i 45 anni, sono generalmente operai, ambulanti, braccianti agricoli, disoccupati e il loro livello di istruzione non va oltre il diploma di scuola media inferiore;
appare chiaro che il disagio economico e culturale incide significativamente sul fenomeno della dispersione scolastica, quindi per migliorare il livello di istruzione e garantire in maniera ottimale i servizi scolastici è fondamentale tenere in considerazione l'uso di parametri oggettivi per l'allocazione delle risorse quali il reddito medio disponibile pro capite aggiustato e il livello di dispersione scolastica del territorio in esame;
di fronte ad una situazione così disomogenea, il Governo in base alle regole del federalismo fiscale, avrebbe dovuto determinare il «livello essenziale delle prestazioni» (LEP) così da garantire un livello di servizi standard su tutto il territorio;
la «determinazione dei fabbisogni standard per i comuni», secondo l'articolo 1 del decreto legislativo n. 216 del 2010, dovrebbe assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nei meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi enti;
invece l'aver assegnato, con una forzatura, alla «spesa storica» il valore di «fabbisogno standard» significa firmare una ripartizione delle risorse lontana dal comune senso di giustizia e di corretta allocazione di risorse, mortificando sempre di più le regioni del Mezzogiorno,
impegna il Governo:
in un'ottica di equità e coesione sociale e territoriale a pervenire alla «definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni per i diritti sociali come l'istruzione primaria, utilizzare la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni di spesa degli enti decentrati nel settore dell'istruzione e dei servizi per le scuole da finanziare con i meccanismi perequativi come previsto dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, che, tra i suoi principi fondanti, all'articolo 2, comma 2, lettera f) dispone: «determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica e di conseguenza attuare il «(...) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica (...)» articolo 2, comma 2, lettera l);
a determinare il «livello essenziale delle prestazioni» (LEP) nell'ambito descritto nella premessa in maniera da garantire la quantificazione del fabbisogno di ciascuna regione sulla base del fabbisogno effettivo, superando il parametro della «spesa storica»;
ad adottare una ottica strutturale ed organica attraverso la definizione dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, nell'ambito dell'istruzione e dei servizi sociali annessi, che utilizzi parametri oggettivi quali il reddito medio disponibile pro capite aggiustato e i livelli di dispersione scolastica, al fine di una riqualificazione della spesa e di un progressivo riequilibrio territoriale nell'utilizzo delle risorse per l'individuazione e l'erogazione dei servizi scolastici.
(7-00520) «Marzana, Luigi Gallo, Simone Valente, Brescia, D'Uva, Vacca, Di Benedetto, Chimienti».
La XIII Commissione,
premesso che:
secondo la relazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo, COM(2013)683 final, del 4 ottobre 2013, l'agricoltura resta la principale fonte dell'azoto rilasciato nell'ambiente, come nei precedenti periodi di monitoraggio, nonostante la pressione esercitata dalle attività agricole si sia ridotta nel periodo 2008-2011, rispetto al periodo 2004-2007, per quel che riguarda il numero di bovini, suini e ovini, mentre sia rimasta stabile per quanto concerne il pollame. Nel contempo, il consumo di fertilizzanti chimici pare sia diminuito, ma va comunque annoverato tra le fonti importanti di apporto di azoto di origine agricola;
la direttiva 91/676/CEE del Consiglio mira a proteggere le acque dall'inquinamento provocato dai nitrati di origine agricola grazie a diverse misure la cui attuazione spetta agli Stati membri. Tali misure riguardano il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee, la designazione delle zone vulnerabili, l'elaborazione di codici di buona pratica agricola, l'adozione di programmi d'azione e la valutazione delle azioni realizzate; la direttiva «Nitrati» è parte integrante della normativa quadro in materia di acque – direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000 – ed è uno degli strumenti chiave per la protezione delle acque dalle pressioni agricole;
la direttiva sui nitrati prevede la possibilità di concedere deroghe al limite massimo di 170 chilogrammi di azoto per ettaro all'anno proveniente dagli effluenti di allevamento, a condizione che siano rispettati i criteri oggettivi stabiliti nell'allegato III della direttiva e che le quantità in deroga non pregiudichino il conseguimento degli obiettivi della direttiva. Le deroghe sono concesse mediante decisione della Commissione, sentito il parere del «Comitato nitrati». All'Italia è stata concessa la deroga, in virtù della decisione di esecuzione della Commissione 2011/721/UE per le regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, ed è estesa fino al 31 dicembre 2015 la durata del programma d'azione. Tuttavia, ad oggi, solo una minima percentuale di aziende agricole ne hanno usufruito;
come è ovvio, gli standard di gestione imposti agli agricoltori che beneficiano delle deroghe devono essere più elevati rispetto a quelli dei programmi di azione, con ulteriori obblighi per quanto concerne la pianificazione dei nutrienti e ulteriori vincoli per quel che riguarda la gestione dei terreni. Per questo la Commissione è orientata a continuare ad adottare queste misure adeguate ad assicurare la qualità dei programmi, soprattutto in sede di concessione di nuove deroghe o di proroga di deroghe vigenti, anche tenendo conto delle tendenze nella qualità delle acque;
l'allegato 7/A-III alla parte terza del decreto legislativo 152 del 2006 ha già individuato, in prima battuta, le aree vulnerabili da nitrati di origine agricola, mentre le regioni, ai sensi dell'articolo 92, comma 2, del Decreto legislativo 152 del 2006, hanno potuto individuare ulteriori zone vulnerabili, da aggiornare ogni 4 anni. Nelle zone individuate, come prescrive il testo unico ambientale, dovrebbero essere attuati i programmi di azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento da nitrati di origine agricola, redatti dalle regioni, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 19 aprile, 1999, anch'esso soggetto ad integrazione da parte delle regioni. Ad oggi, risulta che 18 regioni avrebbero individuato le suddette zone che corrisponderebbero ad oltre il 50 per cento della SAU, con punte dell'80 per cento della SAU della regione Lombardia. Nonostante ciò, nessuna misura risulta sia stata applicata per la riduzione dell'apporto dei nitrati e per la salvaguardia delle acque;
il comma 7-ter dell'articolo 36 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, ha previsto che entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (18 marzo 2013), le regioni e le province autonome, in conformità all'accordo Stato-regioni del 2011, avrebbero dovuto procedere all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola. In caso di inerzia il Governo avrebbe potuto esercitare il potere sostitutivo, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (18 dicembre 2013). Entrambi i termini sono decorsi infruttuosamente;
dai risultati presentati al «tavolo dei nitrati» del 28 maggio 2014, è emerso che il territorio italiano è prevalentemente soggetto alla presenza di sorgenti multiple di inquinamento da nitrati, che annoverano, oltre agli apporti di origine agricola, quelli civili (specialmente nelle zone costiere turistiche) e quelli industriali. A tal riguardo, appare opportuno un approfondimento analitico delle fonti di inquinamento, distinguendo la responsabilità del sistema agricolo rispetto a quelle dei sistemi civili ed industriali;
la relazione della Commissione COM(2013)683 final evidenzia che la qualità generale dei programmi di azione è migliorata: le misure sono diventate più rigide, le metodologie di fertilizzazione sono migliorate e l'applicabilità è stata rafforzata. Anche la consapevolezza degli obblighi derivanti dalla direttiva sta migliorando. Permangono, tuttavia, diversi problemi, soprattutto legati alla limitazione dell'applicazione al terreno di fertilizzanti e alle misure relative alla capacità e alla costruzione dei depositi per gli effluenti di allevamento. Lo stoccaggio degli effluenti, infatti, costituisce un importante onere finanziario per gli agricoltori, che però è compensato dal minor utilizzo di fertilizzanti minerali (il che comporta anche una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), grazie alla maggiore efficienza dell'azoto negli effluenti di allevamento e alle migliori condizioni di lavoro per gli agricoltori;
in alcuni Stati membri, evidenzia inoltre la relazione della Commissione, desta preoccupazione la mancanza di informazioni circa l'efficacia dei programmi di azione nel prevenire e ridurre l'inquinamento delle acque provocato dai nitrati. Il miglioramento, sarebbe in questi casi ostacolato da diversi fattori, non solo correlati all'inadeguatezza di alcune misure dei programmi di azione, ma anche alla loro applicazione a territori troppo piccoli o frammentati, come nel caso dell'Italia, in cui i programmi sono adottati dalle singole regioni;
un fattore invece, non affrontato nei programmi di azione, è la pressione derivante dalle colture orticole, considerato che, in alcune zone, le colture orticole pongono rischi notevoli per le acque a causa dell'intensità della coltivazione e delle caratteristiche della coltura. Su questo versante tuttavia, Commissione, Stati membri e comunità stanno lavorando per migliorare la conoscenza e la pratica;
la relazione della Commissione COM(2013)683 final evidenzia, infine, che la direttiva sui nitrati sta contribuendo a ridurre le emissioni di ossido di azoto e ammoniaca, grazie ad una migliore gestione degli effluenti di allevamento ed all'ottimizzazione dell'utilizzo dei fertilizzanti in base al fabbisogno delle colture,
impegna il Governo:
ad esercitare il potere sostitutivo, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131, nei riguardi delle regioni e delle province autonome che non hanno provveduto all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, anche sulla base dei criteri contenuti nell'accordo Stato-regioni del 2011, posto che in data 18 dicembre 2013 ne sono già decorsi i termini inutilmente, ed a rendere edotti le competenti Commissioni parlamentari circa le misure effettivamente adottate dalle regioni e dalle province autonome, allo scopo di tutelare e risanare le acque dall'inquinamento da nitrati di origine agricola ed extra-agricola;
ad assicurare in tempi rapidi un monitoraggio accurato, attraverso anche il potenziamento della rete e dei punti di monitoraggio, in modo da coprire il più possibile il territorio nazionale, nonché attraverso tecniche, come analisi isotopiche dell'acqua di falda, che allo stato attuale, rappresentano il mezzo scientifico più affidabile e oggettivo, per dirimere la questione dell'inquinamento delle falde dai nitrati, individuando quindi la responsabilità del sistema agricolo rispetto a quelle dei sistemi civili ed industriali;
ad assumere ogni iniziativa di competenza per raccogliere maggiori informazioni sulle capacità dei depositi di effluenti zootecnici attualmente disponibili a livello di aziende agricole, ed eventualmente ad assumere iniziative per finanziare, anche tramite misure legate ai piani di sviluppo regionali o al piano di sviluppo rurale nazionale, opere di miglioramento aziendale che prevedano l'installazione di depositi/serbatoi idonei rispetto ai quantitativi di effluenti prodotti;
a valutare l'opportunità, in linea con le previsioni della Commissione espresse nella relazione citata in premessa, di assumere iniziative per modificare l'estensione dei territori su cui si applicano le misure dei programmi di azione, posto che l'applicazione a territori troppo piccoli o frammentati, come nel caso delle regioni italiane, potrebbe inficiare l'efficacia dei programmi di azione nel prevenire e ridurre l'inquinamento delle acque provocato dai nitrati;
ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché si introducano nei programmi di azione regionali, in linea con le previsioni della Commissione, degli Stati membri e della comunità scientifica, misure specifiche affinché si possa fronteggiare la pressione, in termini di apporto di nitrati, esercitata dalle colture orticole, data l'intensità e considerate le caratteristiche della coltivazione in determinate aree del Paese;
a valutare l'opportunità, in linea con le previsioni della Commissione espresse nella relazione citata in premessa, di applicare le misure restrittive adottate nelle zone vulnerabili da nitrati anche nelle zone non vulnerabili, al fine di proseguire nella virtuosa riduzione delle emissioni di ossido di azoto e ammoniaca in atmosfera.
(7-00521) «Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Gallinella, Massimiliano Bernini, Benedetti, Parentela».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
il settimanale L'Espresso ha reso nota l'esito dell'inchiesta «LuxLeaks», nata dalla collaborazione tra 80 giornalisti provenienti da 26 Paesi e coordinati dal Consorzio internazionale del giornalismo investigativo (Icij), con la quale è stata rivelata una lista di agevolazioni fiscali concesse segretamente tra il 2002 e il 2010 dal Governo del Lussemburgo a grandi aziende multinazionali; in particolare, l'inchiesta ha evidenziato l'esistenza di accordi segreti tra le autorità del Lussemburgo e trecento aziende di tutto il mondo, tra cui 31 in Italia, per delocalizzare enormi flussi finanziari a condizioni fiscali privilegiate;
nelle 28 mila pagine di documenti riservati emergerebbero, infatti, i legami esistenti tra le autorità del Granducato e le multinazionali, tra cui giganti come Amazon, Ikea, Deutsche Bank, Procter & Gamble, Pepsi e Gazprom; ma anche 31 società italiane o operanti in Italia, tra cui, scrive sempre il settimanale, «banche come Intesa San Paolo, Unicredit, Marche e Sella o aziende di Stato come Finmeccanica, i fondi immobiliari targati Deutsche Bank, e un accordo fiscale concluso da Finmeccanica». Si tratta, come sintetizza L'Espresso, che ha avuto l'esclusiva per l'Italia, di «un'emorragia di fondi, perfettamente legale, che sottrae risorse dall'economia del resto dell'Ue»;
l'inchiesta colpisce in prima persona il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, leader politico che ha guidato il Lussemburgo dal 1995 al 2013, oltre a gettare nuove ombre sui regimi fiscali applicabili nello stato del Lussemburgo; neanche un mese fa la stessa Commissione aveva aperto un'indagine contro il Lussemburgo per illegittimi aiuti di Stato a favore di Fiat e di Amazon;
Xavier Bettel, attualmente in carica come Primo Ministro in Lussemburgo, ha dichiarato che gli accordi fiscali denunciati dall'inchiesta sarebbero in ogni caso in linea con le normative internazionali. La legalità delle procedure e delle tecniche fiscali in «diversi Paesi» è stata difesa anche dal presidente del Parlamento europeo Martin Schulz; la stessa Commissione parla di un «tipico caso di aiuti di Stato»;
nonostante si cerchi di attenuare la gravità dei fatti descritti, l'inchiesta ha in ogni caso minato definitivamente la credibilità di Junker (e delle stesse istituzioni che rappresenta), già in passato coinvolto da scandali istituzionali (si ricordi lo scandalo sui servizi segreti lussemburghesi dello scorso anno). Non può negarsi infatti che Jean-Claude Juncker ha governato per 18 anni un Paese noto per essere considerato una «grande fabbrica» dell'evasione fiscale, nonché l'unico ed ultimo paradiso fiscale in Europa; anzi proprio Juncker è riconosciuto l'artefice della espansione finanziaria del Lussemburgo, trasformato da realtà agricola a polo finanziario e fiscale di «grande attrazione internazionale». Basti pensare che il Lussemburgo è tuttora inserito tra i Paesi black list ovvero tra Paesi a fiscalità privilegiata per i quali in Italia vige l'obbligo di comunicazione di tutte le operazioni intercorse tra le imprese residenti nel nostro Paese e quelle fiscalmente domiciliate in Stati e territori non appartenenti alla Comunità europea aventi regimi cosiddetti paradisiaci –:
quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per fare piena luce sull'accaduto;
se non ritengano opportuno rivedere gli accordi internazionali in materia di scambio di informazioni e doppie imposizioni fiscali siglati con il Lussemburgo e con tutti quegli Stati che favoriscono la delocalizzazione finanziaria a condizioni fiscali privilegiate, per di più impedendo ed ostacolando qualsivoglia forma di controllo da parte della competenti autorità;
se il Governo non ritenga opportuno rimeditare sull'assenso manifestato in sede di designazione del Presidente Juncker assumendo iniziative nelle competenti sedi europee affinché si pervenga alle sue dimissioni.
(2-00745) «Pesco, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Alberti, Pisano, Villarosa, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Vignaroli, Carinelli, Pinna, Fico, Nesci, Petraroli, Battelli, Luigi Di Maio».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
E-Care, società di 2300 dipendenti, sei sedi in Italia (Cesano Boscone, Torino, L'Aquila, Modugno, Roma Tor Spaccata e Tor Pagnotta) e una a Belgrado, e un giro d'affari di 63 milioni per quel che riguarda il 2013, fornisce servizi di call center;
la società è controllata da gruppi economici importanti e politicamente influenti: il 48 per cento, è detenuto da Astrim spa, che a sua volta è controllata da Unicredit, il 15 per cento dal gruppo Caltagirone Editore;
nella sola sede di Milano, E-care gestisce servizi per Intesa San Paolo Vita e Intesa San Paolo Assicura, Centro Diagnostico Italiano, Giuffré Editore, ATM e, prima della recente rinuncia a servirsi dei servizi dell'azienda, Fastweb;
a partire dal 2010 la situazione congiunturale di crisi del settore ha portato a un ridimensionamento dell'occupazione sulla sede di Cesano Boscone che a ottobre 2012 era certificata in 670 unità circa. Il 2013 ha visto una situazione di relativa stabilità arrivando a ottobre 2013 con circa 600 lavoratori impiegati;
nell'estate 2013 si è aperta la questione Fastweb, maggiore committente della sede, che ha comunicato l'intenzione di rivolgersi altrove per i servizi di outsourcing. Dopo la convocazione di un tavolo triangolare grazie all'articolo 53 del contratto collettivo nazionale di lavoro si è ottenuto l'impegno di Fastweb a garantire il lavoro per l'occupazione di 100 FTE sino al 30 settembre 2014;
sulla base di queste premesse a ottobre 2013 il tavolo di trattativa tra azienda e organizzazioni sindacali ha affrontato la questione partendo dai seguenti punti di riferimento: dichiarazione dell'azienda di 118 esuberi; necessità di mettere in sicurezza il sito anche in caso della perdita della commessa Fastweb, e dell'eventuale mancato rinnovo della commessa Banca Intesa, previsto all'epoca per fine 2013; impegno dell'azienda al reperimento di nuove commesse da inserire nella sede di Cesano Boscone;
il risultato del tavolo di lavoro congiunto ha portato alla firma di un accordo di solidarietà che, fissando i tetti di applicazione per le varie commesse, coprendo uno spazio temporale sino al 30 settembre 2015, dovrebbe rispondere alle esigenze di cui sopra. Va aggiunto che l'accordo prevedeva anche una revisione eventualmente al ribasso delle percentuali di solidarietà a fronte di una serie di uscite volontarie incentivate. Le uscite volontarie sono state 47 a cui possono essere aggiunti almeno altri 10 lavoratori dimissionari per motivi personali e al di fuori dell'accordo;
nel mese di marzo E-Care ha cominciato a manifestare dubbi sulla tenuta occupazionale motivando la situazione con il mancato rispetto degli accordi da parte di Fastweb in termini di volumi e di un sistema contrattuale rivisto che avrebbe penalizzato E-Care di circa 1 milione di euro in sei mesi;
contemporaneamente a queste perplessità, dichiarate ai lavoratori ma mai direttamente alle organizzazioni sindacali in sede di confronto, E-Care si è proposta in Calabria come garante per la salvaguardia del perimetro occupazionale della società in procedura fallimentare Infocontact a Lamezia Terme;
il 18 giugno 2014 in occasione del tavolo triangolare tra organizzazioni sindacali, E-Care, e Fastweb, quest'ultima ha dichiarato in maniera irrevocabile l'intenzione di cessare le attività presso E-Care spa per quanto riguarda i settori pre e post. E-Care da parte sua ha dichiarato che l'impatto di tale decisione avrebbe messo a rischio la tenuta della sede di Milano e il posto di lavoro di 140 lavoratori;
il mese di luglio 2014 è stato caratterizzato da una serie di incontri tra azienda e organizzazioni sindacali in sedi istituzionali (UIR prima e Ministero poi), conclusisi il 1o agosto 2014, durante i quali si è discusso prima di 152 esuberi sulla sede di Milano e poi di una richiesta, non concretizzata, di cassa integrazione in deroga per 189 figure di staff e coordinamento dislocate in tutte le sedi italiane di E-Care;
dopo il nulla di fatto degli incontri di luglio e agosto l'azienda è stata convocata per un'audizione presso la IV commissione della regione Lombardia in data 4 settembre, a cui sono seguiti altri incontri tra regione e E-Care durante i quali è stata prospettata l'opportunità, per l'azienda, di ricorrere alle agevolazioni previste dalla legge regionale n. 11 sulla competitività;
l'azienda ha successivamente comunicato alle organizzazioni sindacali di non ritenere idonea la legge n. 11 alle proprie necessità contingenti;
in data 10 ottobre l'azienda ha comunicato l'aggiudicazione della commessa ACEA sulla sede di Roma;
in data 15 ottobre 2014 le organizzazioni sindacali sono state convocate in Assolombarda. Durante l'incontro l'azienda ha comunicato la decisione di aprire le procedure di licenziamento collettivo per 489 dipendenti su 509 (503 dei quali a tempo indeterminato) motivandola come strategica per la ricapitalizzazione da parte dei soci a seguito di una effettiva ristrutturazione aziendale atta al recupero di competitività sul mercato;
alla perdita della grossa commessa di Fastweb, si aggiunge il precipitare degli eventi degli ultimi giorni che addirittura prevede la chiusura dell'intera sede cesanese;
su tali avvenimenti sembrano incidere scelte aziendali volte all'abbattimento delle tariffe, all'ottimizzazione dei profitti e a delocalizzazioni in Italia e all'estero mirate all'ottenimento di sovvenzioni e lavoro a basso costo;
il caso, inoltre, appare essere, ancora una volta, diretta conseguenza della normativa sugli appalti che, in contrasto con le indicazioni dell'Unione europea, consente libertà di licenziare ad ogni cambio di appalto;
il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non hanno mai convocato le parti nonostante il 14 luglio 2014 fosse stato richiesto un incontro unitariamente alle organizzazioni sindacali che avevano già paventato la situazione che purtroppo si è concretizzata;
E-Care nella procedura di licenziamento per chiusura della sede ha dichiarato che tra le ragioni che hanno condotto a tale decisione vi è l'alto costo del lavoro del sito, tralasciando che i lavoratori avevano già subito notevoli decurtazioni alle retribuzioni –:
se il Governo intenda assumere iniziative strutturali ed urgenti al fine di tutelare il lavoro dei 489 lavoratori licenziati da E-care e di tutti i lavoratori del settore;
se il Governo non reputi opportuno assumere con urgenza iniziative normative per regolamentare la tutela dei lavoratori nei casi di cambi d'appalto.
(2-00746) «Cimbro, Laforgia, Carnevali, Fava, Terrosi, Prina, Monaco, Cominelli, Civati, Chaouki, Casellato, Quaranta, Piras, Ricciatti, Daniele Farina, Melilla, Duranti, Taricco, Arlotti, Cuperlo, Becattini, Minnucci, Francesco Sanna, Simoni, Ginoble, Giovanna Sanna, Morassut, Fauttilli, Gigli, Porta, Fitzgerald Nissoli, Buttiglione, Cera, Caruso, De Mita, Sberna, Binetti, D'Agostino, Rabino».
Interrogazione a risposta orale:
MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
la vendita media giornaliera dei quotidiani italiani è passata dai 6,8 milioni di copie vendute nel 1990 ad appena 3,7 milioni nel 2013, cioè una diminuzione del 45 per cento;
se si calcola le copie ogni 100 abitanti, oggi se ne vendono la metà di quante se ne vendevano negli anni ‘60, pur in presenza di uno sviluppo economico, sociale e culturale dell'Italia di indubbio rilievo;
l'informazione è radicalmente mutata: il telegiornale di Rai Uno delle ore 20 da solo raggiunge più persone di tutti i quotidiani messi insieme, per non parlare della rete che ha rivoluzionato l'accesso alla informazione da parte di milioni di cittadini, soprattutto giovani e più acculturati;
ciò ha provocato un colpo all'occupazione legata al settore dei quotidiani e delle riviste: solo negli ultimi 4 anni sono stati licenziati 1800 giornalisti e 1600 lavoratori dell'industria poligrafica e hanno chiuso 7 mila edicole;
gli ultimi quotidiani che hanno chiuso le pubblicazioni proprio in questi giorni sono stati «Europa» e «La Padania»;
i fondi destinati alla editoria nel 2013 sono stati azzerati mettendo a rischio la sopravvivenza di almeno un centinaio di testate gestite da cooperative e non profit, per oltre 3 mila posti di lavoro più l'indotto;
solo nel 2013 sono state una trentina le testate locali che hanno portato i libri in tribunale –:
quali politiche intenda adottare, di concerto con le parti sociali, per evitare una crisi distruttiva del settore editoriale, che finirà per impoverire la cultura e il pluralismo dell'informazione del nostro Paese. (3-01149)
Interrogazioni a risposta scritta:
CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
il 5 e 6 novembre 2014, una tromba d'aria, unita a piogge torrenziali, ha colpito la città di Acireale e il suo territorio causando alle proprietà pubbliche, al patrimonio verde e ai privati, danni ingenti e difficilmente rimediabili con le sole forze della cittadinanza;
a causa del nubifragio e della tromba d'aria sono stati danneggiati infrastrutture pubbliche come il sistema di illuminazione artificiale, il palazzetto dello sport e il teatro Maugeri, da poco restaurato e riconsegnato alla città; inoltre è stato danneggiato il patrimonio arboreo delle ville comunali e quello lungo gli assi stradali della città;
sono decine le autovetture colpite dagli alberi abbattuti o dai pali della pubblica illuminazione piegati dalla forza del vento, oppure ancora dai cornicioni staccati dalle abitazioni o dai cartelloni pubblicitari;
ingentissimi sono i danni alle attività commerciali per l'abbattimento delle strutture esterne, così come si contano alcuni feriti – per fortuna non gravi – a causa, principalmente ma non solo, della frantumazione di vetrate e finestre;
anche l'agricoltura ha subito danni per centinaia di migliaia di euro. È stata colpita la fascia jonica che va da Ognina a Giarre, mettendo in ginocchio le aziende agricole della zona;
intere aziende sono state rase al suolo, le coltivazioni sono state distrutte e compromesse ed è a rischio un intero comparto produttivo;
a parere dell'interrogante, dovrebbe essere attivata una procedura accelerata per il riconoscimento dello «stato di calamità naturale» per il territorio di Acireale;
il Governo dovrà rendersi conto della gravità della situazione e della eccezionalità dell'evento che ha provocato rilevantissimi danni e l'interrogante spera che vorrà farsene carico;
a giudizio dell'interrogante, il Governo dovrebbe dichiarare lo stato di calamità per il territorio del comune di Acireale e per gli altri comuni interessati dalla devastazione della settimana scorsa –:
quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-06813)
RAMPELLI e ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
la crisi economica costringe il Governo a dolorosi tagli della spesa pubblica, in molti casi penalizzando le fasce sociali più deboli, e le esigenze di cassa hanno spesso indotto il Governo ad aumentare le tasse, mettendo a dura prova il tessuto produttivo italiano, specialmente le piccole e piccolissime aziende;
le spese per gli straordinari del personale di polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, vigili del fuoco per garantire la sicurezza negli stadi durante le competizioni sportive costano ogni anno decine di milioni di euro, senza considerare il fatto che questa forte concentrazione sguarnisce inevitabilmente le attività di presidio e prevenzione sul territorio, costi cui si devono sommare quelli relativi alla giustizia per i continui processi che derivano dagli incidenti scaturiti in diversi stadi, quartieri, treni, stazioni, autostrade;
a questi costi si aggiungono anche gli oneri a carico dei comuni per quanto riguarda nettezza urbana, polizia municipale, trasporto pubblico locale, decoro urbano e quelli a carico delle regioni per il servizio 118 e l'assistenza sanitaria ordinaria e straordinaria;
intorno al circuito del calcio orbitano interessi miliardari, composti da diritti televisivi, sponsorizzazioni, vendita biglietti e gadget, attività immobiliari, scommesse, valori azionari per le società quotate in borsa che obbligano le istituzioni a un'attività di vigilanza, controllo e prevenzione, affinché non siano utilizzati i fondi dei cittadini per alimentare ingiustizie sportive causate tanto da errori umani quanto da quelle illegalità, rilevate in passato, tese a condizionare irregolarmente la competizione sportiva;
a fronte di ciò, è auspicabile che gli enti nazionali preposti a garantire il regolare e corretto svolgimento delle competizioni utilizzino ogni strumento utile a tali fini, anche implementando le tecnologie sinora utilizzate o promuovendo l'adozione di nuove;
tutto ciò rappresenta un chiaro diritto di tutti quei cittadini che pur non seguendo il calcio contribuiscono a sostenerne le spese prima ancora che dei tifosi;
stando al budget del CONI per il 2014 il contributo dello Stato a tale organismo per l'anno in corso è pari a poco più di 415 milioni di euro, che risultano dalla somma del contributo ordinario assegnato dallo Stato — pari a 407.685.000 di euro, e la quota di ricavi del prelievo erariale unificato riferito all'incremento del gettito derivante dai giochi pubblici con vincita in denaro, pari a 7.464.000 di euro;
per lo stesso anno 2014 il CONI ha erogato un finanziamento alla Federazione italiana giuoco calcio pari a 68.608.956, di gran lunga il più cospicuo se si considera che al secondo posto si attesta la Federazione italiana nuoto con appena dieci milioni –:
quali siano i costi totali di tutti i servizi che la pubblica amministrazione, a livello centrale e a livello periferico, eroga per consentire lo svolgimento dei campionati di calcio nazionali e delle partite internazionali. (4-06822)
ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data 24 ottobre 2014 è apparso sul sito ufficiale della Banca di Credito Cooperativo del Tuscolo-Rocca Priora un comunicato ai soci finalizzato a chiarire le motivazioni che hanno portato all'autoscioglimento anticipato del consiglio di amministrazione dell'Istituto e quindi alla convocazione dell'assemblea per il rinnovo degli organi sociali da tenersi il 29 e 30 novembre 2014;
in detto comunicato si fa esplicito riferimento ad una ispezione della Banca d'Italia svoltasi dal 10 marzo 2014 al 30 maggio 2014 e conclusasi con la notifica del verbale ispettivo consegnato alla banca in data 7 agosto 2014;
oltre all'autoscioglimento del Consiglio di amministrazione, è stato rimosso il direttore generale in carica e sostituito temporaneamente con un dirigente indicato dalla Federazione delle BCC Lazio-Umbria-Sardegna;
le motivazioni addotte quali presupposto di tali gravissime e radicali decisioni appaiono all'interrogante, lacunose, generiche, incoerenti (si fa riferimento unicamente alla situazione economica generale del Paese e non si entra nel merito della gestione) e, dunque, hanno determinato uno stato di estrema preoccupazione nei soci chiamati, in sostanza, al rinnovo degli organi sociali senza conoscere le reali cause che hanno condotto a tale traumatico sconvolgimento degli assetti;
i contenuti effettivi del citato verbale del 7 agosto 2014 non sono stati resi noti ai soci dell'istituto cosa che, a giudizio dell'interrogante, potrebbe comportare una violazione dei principi generali di correttezza e trasparenza nella gestione societaria;
tale comportamento, conseguentemente, impedisce una corretta valutazione dell'operato degli organi uscenti, valutazione che dovrebbe essere indispensabile specie se operata in funzione del rinnovo delle cariche;
risulta all'interrogante che molti dei precedenti amministratori fanno parte della lista di candidati per il rinnovo degli organi sociali e lo stesso candidato presidente è stato membro del precedente collegio sindacale;
la evidente perversione del sistema elettorale adottato, basato sulla estensione automatica del voto conferito al candidato presidente indistintamente espresso a tutti i candidati consiglieri della lista e sul meccanismo, ad avviso dell'interrogante altrettanto opaco, del sistema del voto per delega, impediscono di fatto un reale rinnovo democratico degli organi sociali;
vanno considerati il ruolo e la funzione che questo istituto svolge nel tessuto economico e sociale del territorio, riferimento di tanti piccoli risparmiatori che oggi guardano con giustificata apprensione a quello che sarà il futuro di detto istituto e, conseguentemente, a quello dei depositi in esso custoditi;
appare necessario rafforzare, anche attraverso adeguate modifiche normative alle vigenti leggi in materia bancaria e creditizia, il sistema di garanzia dei soci e dei risparmiatori di questi istituti di credito –:
se il Governo non intenda assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per introdurre nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni e integrazioni ulteriori norme a tutela dei soci e dei piccoli risparmiatori degli istituti di credito cooperativo. (4-06823)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
da alcuni giorni, sembra a causa di alcuni tentati furti di cherosene da parte di ignoti, dall'oleodotto gestito dall'ENI in località Maccarese nel comune di Fiumicino è iniziato lo sversamento di ingenti quantità di idrocarburi nel fiume Arrone, nel Rio Palidoro e nei limitrofi canali di irrigazione;
ad oggi non è stato possibile ancora accertare la quantità di sostanze inquinanti che si sono riversate nei corsi d'acqua della zona e stabilire, da un lato l'entità dei danni causati all'ecosistema pluvio-marino, e dall'altro se le contromisure adottate da ENI siano da considerare efficaci e sufficienti;
parrebbe che l'evento inquinante abbia già causato la morte di migliaia di volatili e pesci, destabilizzando gravemente l'ecosistema della zona, con la possibile, ove non probabile, grave compromissione della catena alimentare del sistema naturale locale;
le tubazioni dell'oleodotto interessato dai danni scorrono a cielo aperto in diversi punti del loro percorso, tanto da essere stati oggetto di tre tentativi di furto in pochi giorni e tali eventi suscitano seri dubbi all'interrogante sulla efficacia delle procedure di sicurezza;
l'intervento delle istituzioni, in particolare quelle locali, è apparso poco tempestivo, tanto che l'ordinanza su Arrone Rio Palidoro sembra sia stata firmata a ben tre giorni dal primo sversamento e a 24 ore dal secondo –:
quali siano state le effettive cause dell'incidente e se vi siano state responsabilità o ritardi dell'ENI nella gestione della sicurezza degli impianti prima e dell'emergenza poi;
se siano note le ragioni del ritardo nel dare l'allarme e nel prendere gli opportuni provvedimenti al fine di mettere in sicurezza l'area interessata;
quali iniziative siano state messe in campo per garantire il minor impatto possibile sull'ecosistema e la sicurezza dei cittadini-consumatori;
quali iniziative intenda assumere il Governo per evitare il ripetersi di tali fatti che alcuni organi di stampa hanno definito come ecologicamente disastrosi.
(3-01150)
Interrogazione a risposta in Commissione:
TIDEI, MANFREDI e FERRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
lo sversamento di cherosene (JET A1) causato dagli eventi verificatisi all'oleodotto che collega il deposito costiero ENI Spa di Civitavecchia con il deposito costiero di pantano di Grano (Roma), in data 6 novembre 2014, in prossimità del Rio Palidoro, e il giorno seguente in prossimità del fiume Arrone;
a seguito di tale sversamento il sindaco del comune di Fiumicino ha emesso due ordinanze (n. 155 del 08 novembre 2014 e n. 156 del 10 novembre 2014) con le quali, dati i reali rischi ambientali e di salute pubblica, ha imposto il divieto di utilizzare per qualsiasi uso e in qualunque modo, le acque, nei tratti specificamente indicati nelle summenzionate ordinanze, del fiume Arrone e del rio Palidoro. Tali ordinanze hanno esteso il divieto agli allevatori di far abbeverare il proprio bestiame al pascolo in libertà nei suddetti fiumi e nei suddetti tratti fluviali, così come il divieto di caccia e pesca nelle aree ricadenti all'interno del perimetro della riserva statale del Litorale Romano, nel comune di Fiumicino;
il sindaco del comune di Fiumicino ha, altresì, annunciato, la convocazione, per il giorno di martedì 11 novembre 2014, presso gli uffici comunali di un'unità di crisi alla presenza di ENI, Capitaneria di porto, Polizia Locale, Arpa Lazio, Asl Sanitaria e Veterinaria, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, WWF, Lipu, Guardia Forestale, Polizia Provinciale, forze dell'ordine ed enti e società intervenute nell'incidente;
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato disposizione al Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei Carabinieri di procedere ai necessari accertamenti sulle aree colpite, avvalendosi del supporto tecnico dell'Ispra –:
se e quali iniziative il Ministro intenda adottare affinché si intervenga in maniera adeguata per l'immediata bonifica e qualificazione delle numerose aree interessate dal disastro ambientale anche acquisendo alimenti in merito alle iniziative di Eni, di cui al Governo è azionista di riferimento;
se non intenda, con il coinvolgimento delle istituzioni locali e delle autorità competenti, intervenire presso la società Eni spa, controllata dallo Stato, affinché quest'ultima provveda ad adottare misure urgenti atte ad eliminare gli effetti dannosi già procurati all'ambiente e a prevenire i rischi di ulteriori pregiudizi, gravi, all'ecosistema. (5-03997)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta immediata:
MOLEA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il Monte Poggiolo è una collina appartenente all'Appennino forlivese;
situata in comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole, a una decina di chilometri da Forlì, sulla sinistra orografica del fiume Montone, la sua altura è importante per la presenza, sulla sua vetta, di una rocca medievale, nota come rocca di Monte Poggiolo;
dalla rocca si scopriva «la pianura della Romagna papale da Faenza fino a Ravenna e l'Adriatico, di modo che non è possibile far passare fra queste mura e la Terra del Sole di giorno alcun corpo considerabile senza esserne avvisati»;
collocata in posizione strategica elevata la Rocca di Montepoggiolo fu contesa nei secoli dalle varie signorie di Forlì, Faenza e Castrocaro;
a poca distanza dal castello della rocca sono stati ritrovati migliaia di reperti litici, manufatti risalenti ad oltre ottocentomila anni fa, considerati di grande importanza per la conoscenza dell'Italia del Paleolitico poiché spostavano molto indietro nel tempo le conoscenze relative alla presenza di ominidi nella penisola italiana;
il sito di Monte Poggiolo è importante per essere un luogo di costruzione dove gli ominidi hanno realizzato i manufatti, lasciando in luogo le schegge del lavoro eseguito e in qualche caso il pezzo stesso che, abbandonato perché forse non ben realizzato, ha permesso agli archeologi di ricostruire tutte le fasi del lavoro, scheggia per scheggia fino a riassemblare la pietra originale;
a tutt'oggi di proprietà privata, la rocca si presenta in stato di abbandono e degrado strutturale anche se sono stati avviati vari interventi di restauro parziale che non le hanno però ancora restituito la sua antica bellezza –:
quale soluzione si ritenga opportuno individuare al fine di salvaguardare questo monumento che rappresenta pur sempre un patrimonio di interesse comune che non è tollerabile lasciare in totale degrado. (3-01152)
SBERNA e GIGLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in un recente convegno il Ministro interrogato ha dichiarato che «con l’art bonus chi in passato ha lamentato la mancanza di incentivi non indugi a contattare il Ministero per apportare il suo contributo al recupero delle opere d'arte che più necessitano sovvenzioni»;
eppure secondo Confcultura, l'associazione che riunisce gli operatori privati dei beni culturali, l’«art bonus», introdotto dall'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, non favorirebbe, così come era nelle intenzioni, la diffusione del nuovo strumento agevolativo;
il motivo risiederebbe nel meccanismo dell'agevolazione fiscale prevista per chi eroga risorse destinate alla cura e al recupero delle opere d'arte, che non favorirebbe le aziende a differenza del meccanismo per le persone fisiche che agevolerebbe molto il cosiddetto micromecenatismo;
l'articolo 1, infatti, prevede per le aziende un tetto massimo di credito di imposta detraibile in 3 anni pari al 5 per mille dei ricavi, mentre per le persone fisiche la percentuale detraibile in tre anni è pari al 15 per cento del reddito imponibile –:
se il Ministro interrogato intenda assumere eventuali iniziative, anche di tipo normativo, volte a eliminare eventuali criticità della norma, al fine di consentire la massima diffusione del nuovo strumento e favorire lo sviluppo collettivo della cultura. (3-01153)
DIFESA
Interrogazione a risposta immediata:
DURANTI, SCOTTO, PALAZZOTTO, PIRAS, MARCON e FRANCO BORDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
a quanto si apprende da un articolo dell'esperto mondiale di armi nucleari in Europa, Hans Kristensen, pubblicato il 27 ottobre 2014 sul sito della Federation of American scientists, si starebbero svolgendo in questi giorni presso la base dell'Aeronautica militare italiana di Ghedi-Torre esercitazioni per l'uso di armi nucleari. L'esercitazione, denominata Steadfast noon 2014, impiega contingenti provenienti da sette Paesi della Nato: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Turchia, Stati Uniti;
sempre in base quanto esposto da Hans Kristensen, in concomitanza con l'esercitazione Steadfast noon 2014, la Nato starebbe conducendo una valutazione delle capacità nucleari di Ghedi;
secondo studi indipendenti, mai confermati né smentiti dal Governo italiano, la base di Ghedi ospiterebbe decine di bombe atomiche a gravità «B61»;
nel gennaio 2014, sempre a Ghedi, si sarebbe svolta una esercitazione di sicurezza nucleare in concomitanza con la celebrazione del cinquantesimo anniversario del dislocamento in Europa delle bombe nucleari Usa, in ottemperanza e secondo quanto previsto dall'accordo Nato di condivisione nucleare;
Steadfast noon/Strikeval risulta essere la seconda esercitazione su obiettivi nucleari che si svolge in Italia negli ultimi due anni, dopo la Steadfast noon tenutasi ad Aviano nel 2013. Seppur pianificata da tempo, va ad incidere in una fase estremamente delicata delle relazioni fra Nato, Europa e Russia, già evidentemente pregiudicate dalla gestione della crisi ucraina e dalle conseguenti e ripetute violazioni di spazio aereo da parte dei velivoli russi;
l'inedito susseguirsi di attività relative alla presenza ed al possibile utilizzo di armi nucleari rappresenta un notevole cambio di passo rispetto alla posizione tradizionalmente assunta dalla Nato per cui le bombe atomiche Usa dislocate in Europa altro non erano se non un «pegno di fedeltà» nelle relazioni transatlantiche. Ora si assiste, invece, ad una progressiva escalation nella creazione di capacità di utilizzo e dispiegamento, probabilmente connessa alla decisione di procedere nei prossimi anni alla sostituzione delle «B61» con ordigni di nuova generazione, più versatili e potenti;
l'accordo tra Nato e Russia del 1997 richiamava la Nato policy del 1996, che in riferimento alle «capacità nucleari» si concentrava principalmente sugli impianti di stoccaggio piuttosto che su altri «atteggiamenti politici», quali impiego di aerei e di strutture di comando e controllo utili a sostenere la missione nucleare. Condizione che sembra superata dai fatti –:
se il Ministro interrogato non intenda render noti i dettagli dell'operazione Steadfast noon, la quale rappresenta a parere degli interroganti un possibile ulteriore fattore di destabilizzazione delle relazioni fra Nato e Russia, chiarendo quali iniziative intenda intraprendere anche sul piano normativo per riconsiderare la partecipazione italiana al Nato nuclear planning group, valutando di annunciare l'indisponibilità ad ospitare in futuro, sul territorio nazionale, esercitazioni Nato per l'uso di armi nucleari. (3-01154)
Interrogazione a risposta in Commissione:
DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
la rete intranet dell'Aeronautica militare (AERONET) viene normalmente usata dal personale dipendente per esigenze di servizio e consente fra le altre cose l'accesso ad alcuni siti web non istituzionali che si occupano di informazione e fornitura di servizi riguardanti in particolare il settore militare;
fra i vari siti web a cui l'amministrazione del Ministero della difesa ha consentito l'accredito nella rete intranet AERONET, risulta anche il portale www.forzearmate.org, espressione della «Sideweb Srl», con sede in Treviso, via Marzabotto 5;
dalla visura storica della società di capitale, con atto estratto dalla camera di commercio di Treviso, risultano soci della «Sideweb Srl» anche i signori M.M. ed E.T., che, a quanto consta agli interroganti, sarebbero marescialli della Aeronautica militare stessa in servizio presso gli enti militari di Aviano e Treviso;
il sito web www.forzearmate.org, in aggiunta alle molteplici attività promosse dalla «Sideweb srl», è anche strumento pubblicitario, offerto tramite concessione di appositi spazi telematici regolata da contratti commerciali –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
se non ritenga che si possa configurare, nella fattispecie, un conflitto di interessi visti gli interessi economici della società «Sideweb Srl» che annovererebbe fra i soci dipendenti della Aeronautica stessa;
se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche mediante la definizione di linee guida, per regolare l'accredito dei siti web alle reti intranet della pubblica amministrazione, con particolare riguardo al settore della difesa, in modo da garantire un'accessibilità di informazione il più oggettiva possibile. (5-04004)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MANZI e PETRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con le leggi 11 giugno 2004 nn. 146, 147 e 148 sono state istituite le nuove province di Monza-Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria-Trani a cui nel corso degli anni, con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono state assegnate, le necessarie risorse finanziarie per consentire la localizzazione degli uffici governativi nei nuovi enti locali territoriali provinciali e sono state altresì stabilite le procedure per la gestione delle stesse risorse rese disponibili mediante versamento in apposite contabilità speciali gestite dalla rispettive prefetture;
per favorire l'insediamento dei diversi apparati periferici delle amministrazioni statali di livello provinciale quali: la prefettura, la questura, i diversi comandi delle forze di polizia ed il comando dei vigili del fuoco e gli uffici delle altre amministrazioni si è provveduto alla locazione di edifici, alla realizzazione di nuovi complessi edilizi o alla ristrutturazione di manufatti preesistenti, attraverso la predisposizione di progetti edilizi e la indizione di pubbliche gare per la individuazione delle imprese appaltatrici, incaricate della realizzazione degli interventi;
tali procedimenti, in alcuni casi, hanno subìto dei ritardi a causa di contenziosi instaurati dalle ditte non aggiudicatarie dell'appalto e dai proprietari che venivano a subire espropriazioni per pubblica utilità;
in particolare, per quanto riguarda i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della caserma dei vigili del fuoco di Fermo, da destinare a nuovo comando provinciale del Corpo, la gara di appalto si è svolta nel 2009, ma la stazione appaltante, non è stata in condizioni di stipulare, nell'immediato, il relativo contratto a causa dei lunghi contenziosi che hanno riguardato sia l'aggiudicazione dell'appalto dei lavori di realizzazione sia le procedure espropriative avviate in danno di proprietari privati contermini;
successivamente, per superare tale impasse e consentire comunque l'adempimento delle obbligazioni assunte per gli interventi di cui alle leggi 11 giugno 2004, nn. 146, 147 e 148, con l'approvazione dell'articolo 41-bis del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, si è stabilito che: «...è autorizzato, fino al 31 dicembre 2014, l'utilizzo delle risorse già disponibili sulle rispettive contabilità speciali, come individuate nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013»;
nel caso in questione, data la ristrettezza dei tempi trascorsi dalla definizione dei contenziosi da parte del Consiglio di Stato, non è stato tuttavia possibile applicare tale dispositivo e quindi utilizzare le risorse finanziarie che i sopracitati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attribuivano alla contabilità speciale del prefetto di Fermo per il finanziamento dello intervento previsto;
l'obbligo di stipulare il contratto di appalto della caserma dei vigili del fuoco di Fermo è stato imposto a quanto consta agli interroganti addirittura dal Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza promosso dall'impresa riconosciuta aggiudicataria della gara;
in caso di mancata stipula del contratto per le preclusioni ingenerate dal citato articolo 41-bis l'amministrazione dell'interno sarà tenuta a risarcire l'impresa stessa con il pagamento di una somma quantificata in circa 600.000,00 euro in sede di ricorso per esecuzione del giudicato;
interventi come quelli della caserma dei vigili del fuoco di Fermo si rendono comunque necessari, anche in caso di soppressione delle province, poiché, come segnalato dal competente dipartimento dei vigili del fuoco, il potenziamento e l'ampliamento della caserma è finalizzata a migliorare l'attività istituzionale dei reparti destinati ad operare pur sempre con riferimento ad un vasto contesto territoriale che risulta sfornito di altri presidi e strutture ad hoc –:
se il Governo, alla luce dei fatti sopra menzionati, ritenga opportuno assumere iniziative per consentire, anche nell'interesse pubblico, il completamento degli interventi costruttivi già avviati e di quelli da avviare in ottemperanza di specifiche sentenze della magistratura amministrativa, autorizzando il differimento al 31 dicembre 2015 del termine in precedenza fissato al 31 dicembre 2014, in modo tale da consentire ai prefetti delle province di Monza-Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani, fino a tale nuova data, l'utilizzo delle risorse finanziarie presenti nelle rispettive contabilità speciali, ai fini dell'adempimento delle obbligazioni assunte per la realizzazione degli uffici periferici dello Stato nelle suddette province. (5-03998)
COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con provvedimento in data 5 settembre 2014 è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria la Cassa di risparmio della provincia di Chieti-Carichieti Spa;
tale provvedimento ai sensi dell'articolo 70 comma 1 del Testo Unico Bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993 e successive modificazioni) viene disposto su proposta della Banca d'Italia;
tra i presupposti a base del commissariamento la proposta della Banca d'Italia richiama le anomalie della operatività dell'attuale direttore generale in qualità di amministratore delegato di Flash Bank, ente creditizio in precedenza posto in liquidazione coatta;
detto direttore generale, per quanto risulta all'interrogante, non ha mai ricoperto alcuna carica ovvero svolta operatività alcuna nella nominata Flash Bank –:
quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, anche in via di autotutela amministrativa, evitando gli imminenti ricorsi dei soggetti legittimati, per accertare la regolarità della proposta della Banca d'Italia e, quindi, del decreto adottato, atteso che, a fondamento della procedura di amministrazione straordinaria, la Banca d'Italia sembra abbia posto un «fatto inesistente», cui, ad avviso dell'interrogante consegue la chiara invalidità dell'atto del Ministro per eccesso di potere. (5-04001)
Interrogazione a risposta scritta:
SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
nel 2012 Michele Campanile è stato condannato dal tribunale di Napoli a 19 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata, Carmen Polce, scomparsa nel nulla nel 2005;
secondo la ricostruzione giudiziaria l'uomo, nel corso di una lite avvenuta nell'appartamento in cui conviveva con la fidanzata, l'aveva colpita a morte con un corpo contundente, e successivamente ne aveva occultato il cadavere;
in sede civile il tribunale Santa Maria Capua Vetere ha condannato Michele Campanile a un risarcimento dei danni di centomila euro da versare nei confronti della madre di Carmen Polce, Rosa Polce;
Campanile, però, non può versare tale cifra, essendo nullatenente (egli è disoccupato e non ha alcuna fonte di reddito);
nella sentenza civile è previsto che ad essere obbligate al pagamento delle imposte relative al procedimento siano tutte le parti in causa;
di conseguenza l'Agenzia delle entrate ha inviato a Rosa Polce un avviso di liquidazione in cui le viene chiesto il pagamento di 7.517,50 euro per l'omesso pagamento di imposte e oneri accessori dovuti alla sentenza;
si tratta di un evidente caso di burocrazia cieca, che aggiunge al danno subito da Rosa Polce un'insostenibile beffa;
i fatti sono riportati, tra l'altro, nell'articolo dal titolo «Mia figlia assassinata e lo Stato mi chiede 7500 euro di spese», pubblicato dal quotidiano online «Giornalettismo» il 10 novembre 2014 –:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
quali misure siano già state prese e quali azioni si intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di risolvere un caso così assurdo e paradossale;
quali misure si intendano prendere, per quanto di competenza, per assicurarsi che non si ripetano casi di questo tipo. (4-06814)
GIUSTIZIA
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
Asti in questi giorni è alla ribalta nazionale per un caso di cronaca giudiziaria che porta al non invidiabile primato di città in cui si è verificato il più clamoroso episodio di peculato mai scoperto in Italia. Infatti, la procura della Repubblica di Asti, con il procedimento penale 1386/14, ha accertato la sottrazione di una somma monstre di 12 milioni di euro dalle casse dell'istituto Case Popolari di Asti ad opera del suo direttore generale, Pierino Santoro. La cosa incredibile, secondo quanto è emerso dalle indagini, è che l'artefice di questa maxitruffa ha agito da solo e indisturbato per un periodo che va dal 2004 al 2014. Scoperto, Pierino Santoro ha immediatamente ammesso le sue responsabilità e ha chiesto il patteggiamento per usufruire dello sconto di pena previsto ai sensi dell'articolo 314, comma 2, codice penale;
la vicenda ha scosso l'opinione pubblica del territorio astigiano non solo per le modalità e la durata di questa maxitruffa, ma perché questi fondi venivano indebitamente sottratti alle fasce di popolazione più disagiate che da anni vivono l'emergenza abitativa. A fronte di una domanda di alloggi di edilizia pubblica residenziale inevasa e di un compendio immobiliare dell'Ente in molti casi fatiscente, dalle casse dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti venivano sottratte ingenti somme di denaro che l'ex direttore Pierino Santoro utilizzava per finalità prettamente personali e che, come è emerso da querele e segnalazioni dei condomini dell'ATC di Asti, cercava di ottenere oneri che i denunzianti qualificano come non dovuti;
numerose sono le ombre di questa oscura vicenda che lascia ancora aperti numerosi interrogativi. In primis: sui presumibili sostegni e complicità interne ed esterne all'ente godute dall'ex direttore generale; su quelle che all'interpellante appaiono le gravi omissioni di quanti all'interno e all'esterno dell'Agenzia del territorio di Asti erano preposti al controllo della gestione finanziaria dell'ente. Infatti, nel verbale di interrogatorio del 23 aprile 2014, avanti il pubblico ministero dottor Giorgio Vitari e la dottoressa Elisa Pazè, lo stesso Santoro fa intendere che i suoi movimenti non potevano non essere «notati»: «Ci tengo a precisare che non è vero quanto ho letto negli atti depositati per il riesame cautelare reale: non è vero cioè che nessuno sapesse dell'abuso della carta di credito dell'Ente. Ne erano perfettamente a conoscenza i dipendenti dell'Ufficio Ragioneria dell'ATC. Lo sapevano per certo in quanto vedevano gli estratti conto quotidiani della tesoreria dell'ATC e quindi vedevano [che] ogni 15 del mese veniva evidenziato l'addebito della carta di credito. Nessuno però ha mai fatto commenti al riguardo». Ancora più evidenti, dalle sue dichiarazioni, sono le responsabilità degli organi di indirizzo e di controllo dell'Ente, quali il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale, in particolare quando lo stesso Santoro dichiara, sempre nel suddetto verbale, che: «Il Collegio Sindacale era al corrente della possibilità di avere carte di credito in base alla convenzione con la Tesoreria: io personalmente l'avevo informato di ciò al momento dell'insediamento...», mentre il consiglio di amministrazione era più «interessato» al sistema degli appalti. In particolare, il suo presidente che invitava a partecipare «...alcune imprese sia perché a lui note per motivi amicali sia perché a lui vicine politicamente (era stato nominato in quota PdL), come pure capitava che per motivi politico-clientelari venissero fatti favori negli alloggi di inquilini a lui noti presentati o si operasse un cambio di alloggio». Queste gravi dichiarazioni evidenziano senza ombra di dubbio l’humus politico clientelare che ha permesso a Pierino Santoro di agire indisturbato per più di dieci anni appropriandosi di ingenti quantità di risorse pubbliche a danno dell'Agenzia senza che nessuno intervenisse;
la cosa che più sorprende l'interpellante è che l'esito giudiziario di questa oscura vicenda si prospetta per rivelarsi l'ennesima beffa ai danni dello Stato e dei cittadini onesti del nostro Paese, in quanto, a fronte di 12 milioni di euro sottratti, l'unico imputato rischia di non farsi nemmeno un giorno di carcere. Infatti, se il giudice non accetterà le aggravanti dell'articolo 61, comma 7, del codice penale, ovvero il danno di rilevante entità, appunto, per l'enorme mole di denaro pubblico sottratto alla collettività, e dell'articolo 478 del codice penale, falsificazione di atti pubblici, come chiedono le parti lese costituite in giudizio (ATC di Asti, comune di Asti e Coordinamenti per la lotta alla casa) il Santoro non si farà un solo giorno di carcere;
oltre alla evidente gravità penale ancora più intollerabile è la gravità sociale della condotta di Pierino Santoro, in quanto è notorio che nel territorio astigiano è da anni profonda la crisi abitativa che la gestione fraudolenta dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti, l'ente preposto a dare risposte alla tensione abitativa, invece di lenire ha aggravato, poiché sono venuti meno fondi essenziali a dare efficaci risposte alla bisogno abitativo dei ceti sociali meno abbienti con potenziali conseguenze sul piano della coesione sociale e dell'ordine pubblico –:
se i Ministri interpellati siano a conoscenza di quanto in premessa e se non ritengano opportuno promuovere e assumere iniziative normative volte ad inasprire le pene per i responsabili di tali odiosi reati contro il patrimonio pubblico, estendendo tale inasprimento anche contro tutti coloro che a qualsiasi titolo non hanno adempiuto al loro dovere di verifica e controllo.
(2-00744) «Paolo Nicolò Romano».
Interrogazioni a risposta scritta:
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
lo schema di regolamento per l'elezione dei Consigli degli ordini forensi, diffuso dal Ministero della giustizia e ora al vaglio del Ministro, prevede che ciascun elettore possa esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere e, richiamando l'articolo 51 della Costituzione, dispone che almeno un terzo dei consiglieri eletti appartenga al genere meno rappresentato. Consente, inoltre, che la disciplina del voto di preferenza debba prevedere la possibilità di esprimere un numero maggiore di preferenze se destinate ai due generi;
tuttavia, tale schema di regolamento contiene ad avviso dell'interrogante un errore di fondo che ne mette seriamente a rischio la legittimità ovvero il ritenere che il limite indicato sia un limite minimo, mentre è del tutto evidente che si tratta di un limite massimo. Per essere conforme alla legge, il regolamento dovrebbe, invece, fermo il limite massimo di 2/3, stabilire sia quante preferenze potrà esprimere l'elettore che voti per candidati dello stesso genere e sia come dovranno essere ripartite le preferenze in caso di espressione di voto a favore dei due generi;
l'attuale testo mortifica il principio della tutela di genere e infligge un duro colpo al pluralismo che dovrebbe animare le rappresentanze istituzionali degli avvocati;
peraltro anche la II Commissione (giustizia) della Camera dei deputati ha formulato, in tal senso, rilievi che dovrebbero essere seguiti al fine di conformare il regolamento ai commi 2 e 3 dell'articolo 28 della legge n. 247 del 2012;
con il voto elettronico già utilizzato in molti ordini, sarebbe possibile votare in blocco 25 candidati per 25 posti di consiglieri, laddove il regolamento così confezionato rischia di favorire un sostanziale immobilismo delle istituzioni, con un prevedibile sbilanciamento a favore del genere forte e anziano, basato su un sistema clientelare che sarà ancora più radicato, visto il potere attribuito al presidente del consiglio dell'ordine di conferire incarichi ad avvocati, quali arbitri, in virtù della nuova riforma del processo civile della categoria –:
quale sia 1'orientamento del Ministro interrogato e se non ritenga di dover recepire le osservazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare competente. (4-06818)
ZARATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
in data 11 luglio 2003 moriva presso il carcere «Le Sughere» di Livorno all'età di ventinove anni Marcello Lonzi, condannato a 9 mesi di reclusione per tentato furto;
come più volte riportato dalla stampa nel corso di questi anni, secondo i familiari sul corpo della vittima sarebbero state rinvenute evidenti ferite, fratture e numerose ecchimosi, citate anche nella perizia del medico legale, che farebbero ritenere Lonzi vittima di un brutale pestaggio;
secondo due successive inchieste giudiziarie per omicidio colposo, del 2004 e del 2010 entrambe archiviate, il decesso di Lonzi sarebbe avvenuto per arresto cardiocircolatorio dovuto ad infarto;
nel maggio del 2013 la madre della vittima ha sporto querela ai carabinieri di Pisa, città nella quale risiede, contro due medici della casa circondariale e contro il medico legale che eseguì l'autopsia accusandoli di non avere «svolto bene il loro dovere» e chiedendo la riapertura delle indagini sulla morte del giovane;
lo scorso 27 giugno il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno Beatrice Dani, respingendo una nuova richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero Antonio Di Bugno, ha disposto nuove indagini (sei mesi di tempo) per capire se ci siano state imperizie durante le operazioni di soccorso del detenuto Marcello Lonzi, da parte del personale medico dell'istituto di pena;
nel corso delle precedenti legislature numerose interrogazioni parlamentari hanno chiesto di chiarire eventuali responsabilità dell'amministrazione carceraria connesse con la morte del detenuto –:
se il Ministro interrogato non intenda adottare le opportune iniziative affinché sia istituita una commissione ministeriale per chiarire le eventuali responsabilità amministrative connesse con la morte di Marcello Lonzi di cui si è detto in premessa. (4-06824)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta immediata:
CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la compagnia Meridiana fly e Meridiana maintenance, il 15 settembre 2014, hanno inviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alle organizzazioni sindacali, alla direzioni regionali e territoriali del lavoro, ai centri per l'impiego una nota in cui annunciavano l'avvio dell'imminente procedura di licenziamento collettivo e di collocazione in mobilità per circa 1.600 lavoratori;
già nel febbraio del 2011 la compagnia aveva avviato la procedura di cui sopra per circa 910 dipendenti e, all'esito della prevista fase di consultazioni con le organizzazioni sindacali, nel 2012 è stato raggiunto un accordo in forza del quale si è convenuto di utilizzare tutti gli strumenti di ammortizzazione sociale e, dunque, di far ricorso alla cassa integrazione per la durata massima di 48 mesi e alla successiva mobilità per altri 36 mesi;
all'avvio di tale procedura è poi seguita una nuova richiesta di ridimensionamento della struttura che ha portato all'estensione della cassa integrazione a ben 1.350 lavoratori. Procedura quest'ultima che si concluderà il 26 giugno 2015 con l'inevitabile conseguenza dell'avvio della seconda fase prevista dagli accordi e cioè il licenziamento collettivo e la conseguente collocazione in mobilità per il personale in esubero;
il trasporto aereo che riveste una rilevanza strategica nell'ambito del sistema dei trasporti, sia interno che internazionale, è al centro di una profonda crisi aziendale. Le vicende che hanno portato la compagnia di bandiera ad un mutamento dell'assetto societario e le conseguenti procedure di riassetto e di riorganizzazione suggeriscono una riflessione urgente e conseguenti iniziative di pianificazione, soprattutto alla luce della nuova crisi che sta investendo Meridiana;
la sopravvivenza di tale compagnia aerea è di fondamentale importanza, per una regione, come la Sardegna, dove il principio della continuità territoriale potrebbe essere ulteriormente compromesso, dal momento che in atto vi sono anche nuovi ridimensionamenti che riguardano il trasporto marittimo, con inevitabili ripercussioni sulla già precaria economia dell'isola;
è bene ricordare che la continuità territoriale è intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti e si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea;
la vicenda è già stata portata all'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attraverso una lettera del 3 luglio 2014, e successivo sollecito del 23 luglio 2014, sottoscritta dai deputati sardi, con la quale si chiedeva: «un incontro informativo sulle iniziative che il Governo intende assumere, anche in raccordo con la giunta regionale, in materia di collegamenti da e per la Sardegna (...)» –:
quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di favorire i necessari piani industriali di salvataggio della compagnia aerea Meridiana, garantendo, al contempo, adeguati livelli occupazionali, e, dal momento che la compagnia aerea in questione opera sui principali scali della regione Sardegna, quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire il principio di continuità territoriale, tenendo presente che il trasporto, se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, è elemento essenziale del «diritto alla mobilità» previsto all'articolo 16 della Costituzione, costituendo un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica. (3-01155)
DELL'ORCO, CURRÒ, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il 6 novembre 2014 il consiglio di amministrazione di Alitalia-Compagnia aerea italiana s.p.a. ha designato come proprio presidente, dopo la realizzazione di una joint-venture con la compagnia degli Emirati Arabi Uniti Etihad, il dottor Luca Cordero di Montezemolo, già presidente di Ferrari fino al 13 ottobre 2014;
il 20 e il 26 novembre 2014 l'assemblea degli azionisti sarà chiamata a ratificare tale designazione;
i patti parasociali della joint-venture Alitalia/Etihad prevedono che l'amministratore delegato sia espresso dalla minoranza emiratina, mentre il presidente dai soci italiani;
la nomina del dottor Montezemolo, secondo quanto emerso da fonti di stampa, sarebbe stata determinata dall'opera di mediazione dallo stesso svolta per giungere alla costituzione della joint-venture in parola;
inoltre, è nota da tempo alle cronache la vicinanza del dottor Montezemolo ad alcuni ambienti politici e finanziari degli Emirati Arabi Uniti: a titolo esemplificativo, lo stesso Montezemolo fa parte del consiglio di amministrazione di Unicredit (società che, peraltro, è socia di Alitalia) come rappresentante di fondi emiratini e nel tempo lo stesso ha favorito l'ingresso nella compagine azionaria di varie società italiane (tra le quali, in particolare, Ferrari e Piaggio Aero) di fondi e società emiratine;
lo stesso Montezemolo è tra gli azionisti di maggioranza e i soci fondatori della società Nuovo trasporto viaggiatori s.p.a., che si trova in diretta competizione con Alitalia, quantomeno con riferimento alla tratta ad alta velocità Roma-Milano esercita da Ntv;
da quanto sopra riportato appare evidente a parere degli interroganti come la storia personale, nonché gli interessi economici, di cui è detentore in prima persona o quale rappresentante il dottor Montezemolo anche in società in diretta concorrenza con Alitalia, non appaiono in grado di garantire la dovuta assenza di conflitti di interessi che dovrebbe caratterizzare chi siede sulla poltrona più prestigiosa dell'ormai ex compagnia di bandiera e che, al contempo, le relazioni del dottor Montezemolo con il socio di minoranza Etihad sono idonee a minare il carattere di indipendenza da quest'ultimo, così come stabilito dagli accordi costitutivi della joint-venture (circostanza che potrebbe, peraltro, influire negativamente sull'assegnazione degli slot europei ad Alitalia rispetto ai quali appare determinante il carattere dell'italianità, non solo con riferimento alla compagine azionaria, ma anche in relazione alle concrete dinamiche dei rapporti all'interno della joint-venture) –:
quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, considerata l'attiva partecipazione fin dall'origine al percorso che ha portato all'attuale assetto di Alitalia, tenuta in considerazione la partecipazione detenuta da Poste italiane spa nell'azionariato di Alitalia/Etihad, affinché sia nominato quale presidente di Alitalia-Compagnia aerea italiana s.p.a. un soggetto che non abbia conflitti di interessi e che sia dotato dei requisiti di indipendenza da Etihad, previsti dai patti parasociali della joint-venture e necessari per una legittima rappresentanza degli interessi della compagine italiana di maggioranza all'interno dell'ex compagnia di bandiera. (3-01156)
BIASOTTI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la Liguria tra il 10 e l'11 novembre 2014 è stata nuovamente colpita da fenomeni di carattere temporalesco di grossa portata;
la zona più interessata è stata quella del Levante ligure, i cui danni si sommano a quelli gravissimi registrati appena un mese prima, 9 e 10 ottobre 2014, nel comune di Genova e nel suo entroterra;
nella serata del 10 novembre 2014 una frana tra Chiavari e Zoagli ha interessato la linea ferroviaria che collega Genova con Roma: sono rimasti fermi circa 22 treni che dovevano partire per la tratta la Spezia-Roma, si sono verificate deviazioni e ritardi su tutta la linea di collegamento, sono rimasti bloccati per molte ore i passeggeri di un treno regionale a Rapallo e di un intercity proveniente da Roma; i bus sostitutivi sono stati attivati solo poco prima di mezzanotte;
verso le 5 della mattina dell'11 novembre 2014 è stato ripristinato il traffico ferroviario su uno solo dei due binari in direzione Ventimiglia e, di conseguenza, i collegamenti ferroviari dell'intera regione risultano fortemente compromessi con ripercussioni su tutte le linee di collegamento che interessano le regioni circostanti;
sono esondati il rio Campodonico, il rio Rupinaro e l'Entella, rendendo inagibili i ponti di collegamento;
nel comune di Chiavari l'acqua ha invaso il centro, arrivando, in alcuni punti, al livello di un metro sopra il manto stradale;
forti difficoltà si sono registrate sull'autostrada A12 dove sono chiusi i caselli di Chiavari e Lavagna;
sono cinque le strade provinciali chiuse per frane: la 32 di Leivi, la 42 di Riomaggi, fra Canale e Celesia, la 26 bis della Valmogliana e la 37 di Semovigo, mentre la 235 che collega Carasco a Chiavari è inagibile in due tratti: il sindaco di Mezzanego ha commentato la situazione definendo la rete viaria «disintegrata»;
diversi allagamenti si sono registrati nel Ponente ligure, soprattutto nei comuni di Ventimiglia, Bordighera e Diano Marina;
si sono verificate frane su abitazioni a Carasco, dove sono crollate due palazzine, a Riva Trigoso su Via Gramsci e a Quinto, nel comune di Genova, in viale Primavera;
i mezzi di soccorso hanno incontrato diverse difficoltà a raggiungere le zone colpite per la presenza di fango e detriti sulle vie di collegamento;
in conseguenza di tali fatti, numerose frazioni risultano isolate in tutta la bassa Fontanabuona;
tali criticità si vanno ad aggiungere a quelle verificatesi non meno di un mese fa in altre zone di tutta la Liguria;
al fine di mettere i sindaci dei comuni colpiti in condizione di tentare una minima riorganizzazione delle vie di collegamento, è indispensabile permettere una deroga al patto di stabilità;
in occasione dell'approvazione dello «sblocca Italia» il Governo ha deciso di porre la fiducia sul provvedimento, impedendo qualunque discussione sui gravi fatti accaduti e bloccando l'inserimento di misure sia in favore dei comuni che dei cittadini colpiti da tali eventi –:
quali siano le iniziative poste in atto e quali siano gli ulteriori interventi urgenti che il Ministro interrogato, anche in collaborazione con gli altri dicasteri, intende approvare al fine di affrontare l'emergenza della Liguria, così come l'emergenza di tutte le altre zone di Italia che nell'ultimo mese sono state fortemente danneggiate da fenomeni simili. (3-01157)
TULLO, CARLONI, BRANDOLIN, BONACCORSI, BONOMO, CARDINALE, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MINNUCCI, MOGNATO, MURA, PAGANI, VALIANTE, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
le autorità portuali, a norma dell'articolo 6 della legge n. 84 del 1994, hanno compiti fondamentali di indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali, nonché delle attività commerciali ed industriali esercitate nei porti; hanno poteri di regolamentazione e di ordinanza, anche per la sicurezza dei porti e nella gestione dei rischi di incidenti connessi alle attività portuali; alle autorità portuali spetta anche la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell'ambito portuale, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali; ad esse è attribuita anche la funzione essenziale di affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, anche non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali;
le autorità portuali di Ancona, Augusta, Cagliari, Catania, Gioia Tauro, Napoli, Olbia e Piombino sono rette da un commissario straordinario nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; autorità portuali di porti importanti come Trieste sono in scadenza;
i commissariamenti vengono rinnovati a scadenza, in alcuni casi per anni, mentre non si procede alla nomina del presidente che, a norma di legge, deve essere preceduta dall'individuazione della terna su cui ricercare l'intesa con le regioni interessate;
non si procede allo scioglimento dell'autorità portuale di Manfredonia commissariata sin dall'istituzione, in quanto priva dei requisiti di movimentazione merci previsti dalla legge; da notare che Manfredonia (istituita con legge n. 350 del 2003) e Trapani (con decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003) sono state messe in liquidazione e successivamente soppresse, rispettivamente, con il decreto del Presidente della Repubblica del 5 ottobre 2007 e con il decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2007;
paradossale è la situazione dell'autorità portuale di Ancona dove la nomina proposta ha già ricevuto il parere favorevole delle competenti Commissioni di Camera e Senato nel dicembre del 2013; ciò nonostante l'autorità portuale di Ancona è tuttora guidata da un commissario e non si procede alla nomina del presidente;
il decreto-legge n. 133 del 2014 «sblocca Italia», all'articolo 29, prevede l'adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro 90 giorni dalla legge di conversione, di un piano strategico nazionale della portualità e della logistica, che dovrà provvedere, con il parere delle competenti Commissioni parlamentari, anche alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento delle autorità portuali esistenti, comunque in applicazione dei principi dettati dalla legge n. 84 del 1994, che prevede la soppressione delle autorità portuali in caso di perdita dei requisiti specifici in materia di volume dei traffici del relativo porto –:
se non ritenga opportuno attivare tutte le iniziative necessarie e le procedure previste dalla legge per nominare in tempi rapidi i presidenti delle autorità portuali scaduti e in scadenza – che governano un terzo dei porti italiani, tra cui importantissimi scali come Gioia Tauro, Napoli e porti come Trieste (in scadenza) – disponendo, nel contempo, un'urgente verifica di eventuali incompatibilità dei presidenti in carica. (3-01158)
RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la competitività delle regioni del Sud Italia è compromessa da un insieme di fattori, tra i quali spicca la questione delle infrastrutture;
uno studio di Unioncamere ha recentemente evidenziato come l'Italia sia un Paese a «due velocità» anche sotto il profilo infrastrutturale, posto che il Sud in questo ambito è fortemente penalizzato dall'assenza o insufficienza di collegamenti stradali, ferroviari e aeroportuali;
secondo i dati dello studio il Sud patisce un gap del 34,6 per cento rispetto al Nord-Est e sale sopra la media del Paese solo per quel che riguarda le infrastrutture portuali;
l'analisi effettuata ha messo in luce anche come il divario infrastrutturale tra le regioni settentrionali e meridionali nell'ultimo decennio sia aumentato di un ulteriore punto percentuale;
i dati riportati sono ancora più significativi se si riflette sugli obiettivi che l'Unione europea si era prefissata con lo stanziamento dei fondi europei per le infrastrutture e i servizi, in attuazione dell'obiettivo convergenza della politica regionale europea, che ha stanziato somme ingenti per accelerare il processo di sviluppo delle regioni dell'Unione europea più arretrate per portarle allo standard dell'Unione europea nel campo delle infrastrutture e dei servizi;
il rilancio e lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno d'Italia non possono prescindere da un urgente adeguamento della rete infrastrutturale –:
quali siano le iniziative previste dal Governo in merito al potenziamento della rete infrastrutturale delle regioni meridionali del Paese. (3-01159)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
DE MENECH. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nella prima settimana di novembre 2014 la provincia di Belluno è stata colpita da un'ondata di maltempo che ha prodotto intense piogge che hanno coinvolto tutte le zone della provincia;
le forti piogge, oltre ad alzare il livello massimo di allerta dei fiumi, hanno causato frane e allagamenti nel Feltrino, nel Bellunese, nell'Agordino e in Cadore;
sono costantemente sotto osservazione i livelli del Piave, dell'Ardo, del Cordevole, e del Boite, vicini ai massimi storici, e dei molti torrenti che sono sull'orlo dell'esondazione. In alcuni punti è avvenuta la tracimazione del lago di Alleghe e il conseguente allertamento di tutti i comuni della riviera;
l'esondazione di un emissario del lago di Busche, ha causato, nel comune di Lentiai l'allagamento di sette case. Ci sono stati interventi anche a Sappada, Rivamonte Agordino, Cencenighe per liberare dall'acqua scantinati e garage;
per scongiurare il pericolo di «bombe d'acqua» molti comuni hanno fatto evacuare decine di abitazioni che sarebbero state esposte a rischio frane. Il sindaco di Feltre ha firmato un'ordinanza per l'evacuazione — per precauzione – nella frazione di Villaga;
frane e smottamenti di diverse dimensioni si sono registrati in tutto il territorio provinciale, nel Feltrino a Rocca Pietore, a Pescul, in Comelico e a Santo Stefano di Cadore, a Valle di Cadore, a Dosoledo e a Gosaldo;
in diversi acquedotti l'acqua potabile non è più garantita e anche nel capoluogo, data la torbidità dell'acqua è sconsigliato il consumo a fini alimentari;
a causa delle forti piogge e dei conseguenti danni, la tratta ferroviaria Belluno — Conegliano, interrotta mercoledì pomeriggio, risulta ancora chiusa, provocando così l'ennesima interruzione del servizio pubblico;
numerosi disagi sulle sedi stradali hanno provocato la chiusura forzata delle vie di comunicazione, lasciando isolate intere comunità;
restano tuttora chiuse anche le provinciali «della Valle del Mis», «di Sauris», «della Val Sesis» e «del passo Fedaia»;
a seguito della frana a Nove, dal pomeriggio di mercoledì fino a giovedì mattina è stato chiuso il tratto della 51 di Alemagna compreso tra Vittorio Veneto e il Fadalto;
è stata chiusa al transito la strada statale 52 Carnica tra la galleria del Comelico e Santo Stefano di Cadore per la caduta di una frana che ha interessato il versante sopra la statale. La messa in sicurezza della montagna e il drammatico problema del suo spopolamento dipendono anche dalle difficoltà legate alla mobilità. In un territorio, come il Comelico, risulta indispensabile la galleria di Coltrondo;
sarebbe opportuno che la provincia di Belluno fosse messa al centro del piano regionale contro il dissesto idrogeologico –:
quali iniziative il Governo intenda assumere per un immediato stanziamento di risorse, al fine di garantire una costante sicurezza per e popolazioni che abitano il territorio bellunese;
quali risorse, per quanto di competenza, intendano destinare a questi territori in considerazione dei danni subiti, al fine di ripristinare le necessarie condizioni di sicurezza del sistema delle infrastrutture provinciali;
come intendano affrontare il tema degli investimenti in infrastrutture nei territori di montagna come quelli della provincia di Belluno, investimenti necessari per prevenire situazioni di crisi come quelle vissute nell'ultima settimana e che consentono di pianificare un possibile sviluppo di tali territori oggi in grande difficoltà economica. (5-03999)
MAZZOLI e TERROSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
è ormai compromesso da settimane il regolare svolgimento del servizio di collegamento ferroviario della tratta FL3 Viterbo-Roma a causa di innumerevoli treni soppressi e di ritardi che raggiungono addirittura punte di 60 minuti;
tali disservizi stanno comportando pesanti disagi per i pendolari che usufruiscono quotidianamente della suddetta linea – costituita da 27 fermate – per molti l'unico mezzo per raggiungere la capitale;
si rende fondamentale l'apertura di un tavolo di lavoro con Trenitalia che, oltre a non far fronte all'inefficienza del trasporto pubblico di cui è responsabile, non fornisce ai viaggiatori neanche le adeguate motivazioni in merito;
è necessario mettere un freno alla condizione critica in cui versa il collegamento FL3, sia per le mancanze ingiustificate e senza preavviso da parte dell'azienda, sia per le vetture spesso desuete e in scarse condizioni igieniche e per i prezzi dei biglietti che non trovano corrispondenza con il servizio offerto;
è stato istituito un Piano regionale della mobilità che prevede lo stanziamento di 64 milioni di euro di fondi Unione europea per l'acquisto di nuovi treni entro i primi mesi del 2015. Verrà inoltre aumentata l'offerta sulle linee FL3 (Roma-Viterbo), FL1 (Orte-Fiumicino), FL6 (Cassino-Roma) con l'introduzione di 4 nuovi treni nella fascia oraria di punta;
il Piano è uno strumento per innovare l'intero sistema dei servizi di trasporto laziali, puntando sulla sostenibilità ambientale e riequilibrando l'offerta attraverso la maggiore integrazione – onde evitare sovrapposizioni e sprechi – dei servizi su gomma con quelli su ferro –:
se il Ministro interrogato intenda avvalersi tempestivamente delle risorse assegnate al fine di rinnovare e rafforzare la mobilità collettiva e pubblica;
se intenda perseguire una più incisiva linea politica del trasporto ferroviario della regione Lazio, con particolare riferimento alla linea FL3 Roma-Viterbo, quale punto strategico anche per l'incremento turistico territoriale;
quali urgenti iniziative ritenga opportuno assumere per quanto di propria competenza per arginare i ripetuti e insostenibili disagi e per salvaguardare in tal modo i diritti dei pendolari;
quali ulteriori tipologie di investimento decida di porre in essere affinché i convogli siano più adeguati e sicuri e affinché si ottenga la garanzia di un più qualificante, funzionale e avanzato sistema di trasporto ferroviario. (5-04002)
Interrogazioni a risposta scritta:
CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 60 della legge n. 120 del 2010 prevede che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da emanare, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, siano definite le caratteristiche per l'omologazione e per l'installazione di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici, di impianti impiegati per regolare la velocità e di impianti attivati dal rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo (cosiddette «luci semaforiche intelligenti»);
il termine per l'adozione del decreto è spirato il 12 ottobre 2010;
la questione è stata posta all'attenzione del Governo con interrogazione n. 5-01353, cui il Governo ha risposto in data 12 dicembre 2013 esplicitando le ragioni del ritardo nell'emanazione del decreto;
il Governo ha illustrato, in particolare, che «i competenti uffici del MIT sono in attesa della conclusione delle diverse sperimentazioni avviate con prototipi dei dispositivi previsti dal citato articolo 60», aventi lo scopo di analizzare «i comportamenti degli utenti in relazione alle nuove modalità di esercizio degli impianti semaforici» anche «al fine della preventiva individuazione, con il suddetto provvedimento ministeriale, dei requisiti per l'approvazione dei dispositivi di cui sopra ai sensi dell'articolo 45 del nuovo Codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992), dell'articolo 192 del connesso regolamento di esecuzione ed attuazione decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992) nonché della verifica di compatibilità con la norma europea armonizzata EN 12368, in relazione all'obbligo di marcatura CE per i semafori» –:
a quale punto siano le sperimentazioni di cui in premessa, e presso quali strutture;
in caso di conclusione delle stesse, quale sia il loro esito;
se il Governo sia ora in grado di prevedere una tempistica per l'esecuzione del citato articolo 60 della legge n. 120 del 2010. (4-06812)
GANDOLFI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
si rilevano disservizi per gli autotrasportatori a causa dell'indisponibilità della motorizzazione civile di Reggio Emilia a realizzare le revisioni in sede. La ragione pare essere la mancanza dell'idonea fossa di ispezione. Le operazioni di revisione prenotate a Reggio Emilia sarebbero state assegnate alle motorizzazioni di Modena o Parma;
il numero di autotrasportatori della provincia di Reggio Emilia risulta essere il doppio di quelli di Parma, non risulta quindi possibile che la ragione di questo disservizio sia la razionalizzazione dei servizi presso le sedi della motorizzazione, in quanto, in ragione anche della vicinanza tra le due città sarebbe, nel caso, Reggio Emilia a dover mantenere l'attività di revisione;
di recente è stata inaugurata una nuova sede per gli uffici di front office della motorizzazione di Reggio Emilia, mentre il resto dei servizi è ancora presso la vecchia sede. Il comune di Reggio Emilia ha garantito la disponibilità a trovare una sede idonea per ospitare il trasferimento della sede della motorizzazione, compresa la fossa per le revisioni, così come da tempo previsto dal Ministero, a patto che siano garantiti anche tutti i servizi tecnici;
tra l'altro, la situazione sta peggiorando, perché oltre a non essere stata ancora individuata un'area per le revisioni, si sono aggiunti altri problemi, come la carenza di organico negli uffici che dovranno affrontare anche il passaggio di competenze dalla provincia sull'albo degli autotrasportatori, e una bozza di decreto che pare affidare a Parma la dirigenza e il coordinamento delle altre province, Piacenza, Modena e Reggio Emilia;
è necessario un intervento perché i quasi duemila operatori del trasporto della provincia di Reggio Emilia possano vedere garantito il servizio pubblico erogato dalla motorizzazione, anche in ragione del fatto che i centri di revisione autorizzati sono pochi e i tempi di attesa si stanno allungando considerevolmente –:
se intenda assumere iniziative per ripristinare il servizio di revisione pubblica per gli autocarri nella sede di Reggio Emilia, valutando le opportunità emerse per individuare una nuova sede e concentrare eventualmente a Reggio Emilia le funzioni direttive del bacino emiliano, in ragione del fatto che la sede reggiana è baricentrica rispetto all'insediamento delle attività produttive, delle imprese di trasporto e dei traffici commerciali delle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. (4-06817)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
è stata decisa in tutta Italia, nell'ambito delle politiche di riduzione della spesa pubblica, la soppressione di centinaia di posti di polizia;
tra questi sarà chiuso l'ufficio di polizia ferroviaria alla stazione di Vasto-San Salvo; il personale verrà trasferito e l'ufficio diventerà «punto di appoggio»;
pare che non sia la sola brutta notizia. L'ufficio della polizia autostradale di Vasto sud potrebbe essere presto accorpato con la polizia stradale di Vasto con un'ulteriore penalizzazione;
in una nota i sindacati sottolineano come nonostante l'incremento della criminalità in questa area di confine dell'Abruzzo con il Sud Italia, e la necessità di investire per prevenire ogni forma di infiltrazione della grande criminalità, il Governo e il Ministro dell'interno vanno avanti nella direzione opposta alle reali esigenze dei cittadini: Vasto sarà penalizzata con la chiusura del presidio di polizia ferroviaria, peraltro unico in tutta la provincia di Chieti;
nell'ambito di una qualsiasi razionalizzazione della spesa pubblica non si può prescindere dalla precisa analisi del contesto territoriale e della densità dell'attività criminale al fine di evitare i deleteri tagli lineari che, in questo caso, lascerebbero il territorio con un controllo di legalità ampiamente insufficiente –:
se non intenda intervenire con urgenza per salvaguardare l'operatività del posto di polizia ferroviaria Vasto-San Salvo, importante presidio di legalità e controllo per il territorio. (4-06807)
SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 7 novembre 2014, in vista di una visita nel quartiere Bagnoli di Napoli del Presidente del Consiglio, è stato convocato da movimenti ed associazioni un corteo contro lo «Sblocca Italia» ed, in particolare, contro il commissariamento di Bagnoli;
nonostante la rinuncia, da parte del Presidente del Consiglio, alla visita a Bagnoli, gli organizzatori hanno confermato la volontà di procedere con il corteo;
tale corteo è partito, nella mattinata del 7 novembre, da piazzale Tecchio e si è diretto verso l'area ex «Italsider»;
esso si è svolto pacificamente fino all'arrivo all'ingresso di «Città della Scienza»;
a quel punto i manifestanti hanno chiesto alle forze di polizia di poter tenere un'assemblea pubblica all'interno della struttura. Nessuno hai mai chiesto ai responsabili della struttura, peraltro piena di gente e di attività, di tenere tale assemblea, ma la questura ha chiesto semplicemente di permettere ad una delegazione di circa 15/20 dimostranti di entrare nella struttura e incontrare la direzione. Tale richiesta è stata accettata dalla direzione di Città della Scienza ma successivamente respinta dagli organizzatori;
improvvisamente alcune decine di manifestanti, alcuni con volto coperto, hanno cercato di forzare il cordone di sicurezza posto davanti all'ingresso del polo scientifico; da questi stessi manifestanti (una piccola porzione di quelli presenti nel corteo) è partito un lancio di oggetti, tra cui anche bombe carta, sassi e mazze, e le forze dell'ordine hanno risposto con cariche e lacrimogeni;
alcuni dei manifestanti avevano il volto coperto da caschi, passamontagna o berretti, ed altri indossavano anche occhiali da sole e sciarpe;
dalle foto e dai filmati visionati dalla polizia si evince che alcuni avevano con sé anche aste e scudi improvvisati;
al culmine della tensione sono stati lanciati sanpietrini e petardi, e sono stati rovesciati cassonetti dell'immondizia, transenne e segnali stradali;
alcune auto parcheggiate lungo via Coroglio, teatro degli scontri, sono state danneggiate;
il tutto è avvenuto mentre a «Città della Scienza» erano presenti, tra gli altri, circa 600 studenti di varie età. I giovanissimi studenti, molti terrorizzati, sono stati costretti a rimanere bloccati per ore all'interno della struttura per evitare di finire vittime dei violentissimi scontri che stavano avendo luogo;
nel corso degli incidenti vi sono stati numerosi ferimenti, sia tra le forze dell'ordine che tra i manifestanti;
nelle ore successive il sito di «Città della Scienza» è stato vittima in due diversi momenti di attacchi da parte di hacker;
il giorno successivo in una conferenza stampa tenutasi sotto palazzo San Giacomo sede del comune di Napoli, alcuni degli organizzatori del corteo, appartenenti all'ala più violenta, alla presenza di alcuni assessori, hanno fatto i nomi del professor Vittorio Silvestrini e dei vertici operativi di Città della Scienza, additandoli alla piazza come responsabili degli incidenti;
i lavoratori FILCAMS-CGIL, la CGIL e UIL della città di Napoli e della regione Campania, con vari comunicati, hanno espresso solidarietà a Città della Scienza e hanno chiesto spiegazioni su come sia possibile che tutto ciò sia accaduto;
la domenica mattina inoltre il sito istituzionale di Città della Scienza è stato oscurato da un attacco di hacker;
i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, negli articoli pubblicati dall'edizione on line del quotidiano «La Repubblica» dal titolo «Scontri e feriti nel corteo contro lo Sblocca Italia» e «Città Scienza, hacker oscurano il sito per due volte», pubblicati rispettivamente il 7 e 9 novembre 2014 –:
se la ricostruzione fatta coincida con quella del Ministero;
se si ritenga che la gestione dell'ordine pubblico da parte delle autorità competenti sia stata adeguata al fine di evitare che avvenissero gli scontri che, invece, hanno avuto luogo;
cosa si stia facendo per individuare ed isolare chi ha compiuto atti così gravi e violenti nei confronti di un luogo importante per Napoli come «Città della Scienza»;
se si stiano prendendo misure reali per proteggere Città della Scienza, i suoi lavoratori e i suoi visitatori dagli attacchi dei violenti, visto che l'incubatore d'impresa di Città della Scienza era stato già occupato il 16 ottobre dai violenti.
(4-06808)
NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 10 novembre alle ore 2,30, nella frazione di Palù del comune di Conselve in provincia di Padova, uno sconosciuto, in sella ad uno scooter di grosse dimensioni, ha raggiunto il bar «Le Colonne» lungo la provinciale Conselvana, ha estratto una pistola e ha sparato tre colpi di piccolo calibro contro la vetrina del locale;
il titolare, Flaviano Codogno, si trovava all'interno del locale e non è stato raggiunto dai colpi di pistola;
il grave episodio ha suscitato grave allarme nella comunità locale per le modalità intimidatorie e per l'uso di armi da fuoco –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per chiarire la natura dell'attentato, per agevolare la individuazione del responsabile e per garantire la sicurezza dei cittadini di Conselve. (4-06815)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
secondo gli ultimi dati dell'ISTAT, il problema della sicurezza nella città di Palermo è diventato molto serio;
al contempo, l'ufficio volanti della questura di Palermo soffre i tagli continui e indiscriminati che hanno colpito uno degli uffici più importanti della polizia, il pronto intervento cosiddetto «113», quello che più di tutti i palermitani onesti amano, o di cui hanno avuto bisogno almeno una volta nella vita; la media delle auto dell'ufficio volanti che vanno quotidianamente in pattuglia a Palermo è mediamente di circa 12-13, alle quali si aggiungono 8-9 volanti in forza ai Commissariati (che però la notte non escono);
secondo quanto dichiarato dalla segreteria regionale siciliana del Consap e ripreso dalla stampa, i problemi delle volanti sono però numerosi, a tal punto che mancano le autovetture da mandare per strada. Il parco auto, infatti, sarebbe costituito da vecchie Alfa Romeo 159, ottime da un punto di vista operativo, ma molto usurate, e dalle Fiat Bravo. Inoltre, pochi sono i veicoli funzionanti e così accade che, se una volante che ha finito il turno ritarda il suo rientro per una qualsiasi ragione (arresti, processi per direttissima, identificazione cittadini stranieri, guasti meccanici), nella maggior parte dei casi la volante che dovrebbe iniziare il servizio non può uscire perché deve aspettare l'equipaggio che rientra, non essendoci altre auto a disposizione; si tratta, peraltro, di un disguido che si verifica con una certa frequenza, con ritardi che possono arrivare alle due ore;
tale situazione può essere efficacemente descritta da un dato: se ufficialmente le auto in dotazione all'ufficio volanti sono circa 55, la media di quelle realmente operative quotidianamente si aggira tra le 15 e le 17: circa il 75 per cento delle auto sono, a turno, fuori uso;
il sindacato CONSAP denunzia anche problemi sulle comunicazioni-radio: la parziale inadeguatezza dei ponti radio causa molte zone d'ombra in città, certamente a discapito della sicurezza dei poliziotti;
la segreteria CONSAP Sicilia denuncia al deputato interrogante anche altri problemi logistici: dalla vetustà delle attrezzature informatiche, alla carenza di armadietti per riporre le divise (la cui sostituzione in caso di danneggiamento è praticamente impossibile) fino ad arrivare alla carenza addirittura di scarpe di servizio per le taglie più diffuse;
il risultato di una simile situazione è l'insoddisfazione professionale, tant’è che un numero sempre maggiore di poliziotti addetti alle volanti ha inviato richiesta di trasferimento ad altro incarico –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non ritenga doveroso attivare tutti i canali necessari affinché il parco veicolare delle volanti a Palermo sia adeguato e siano altresì superati i problemi logistici. (4-06816)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
per esercitare la professione di infermiere è necessario il titolo di studio della laurea (decreto ministeriale 2 aprile del 2001 e successivo decreto n. 270 del 2004), ma già il decreto ministeriale n. 509 del 1999 varava la laurea di I livello per detta professione, e ancora prima con il decreto ministeriale 24 luglio 1996 il titolo di Infermiere era un diploma universitario, laddove già il decreto legislativo n. 502 del 1992 prevedeva già il requisito del diploma di maturità per l'accesso ai corsi di infermiere;
viene tuttavia segnalato al deputato interrogante dal sindacato di polizia CONSAP che a tutt'oggi si verifichi ancora una iniqua discriminazione a danno del personale laureato in infermieristica in servizio nel comparto sanitario della polizia di Stato;
infatti, l'attuale inquadramento giuridico, lavorativo e professionale dei dottori in infermieristica, determinato dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985 è, a differenza di tutte le amministrazioni pubbliche e private dove si prevede un riconoscimento lavorativo nel ruolo funzionari (area 3o) o ad esso equipollente, inserito in un'inopportuna ed impropria carriera/ruolo avente mansioni prettamente esecutive (decreto del Ministero dell'interno del 18 luglio 1985, articolo 10-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982, ruolo revisori) equiparato ad un generico, sia giuridicamente che professionalmente;
facendo un parallelismo con il pubblico impiego, l'infermiere della polizia di Stato, nonostante l'accesso ai ruoli avvenga previo conseguimento della laurea, è destinato alla carriera esecutiva, ossia quella riservata agli assunti con la licenza media e perfino a questi ultimi subordinato. Ciò, si ribadisce, rappresenta una in impropria applicazione del decreto del Ministro dell'interno 18 luglio 1985 (profili professionali ruoli tecnici), sebbene vi siano stati provvedimenti legislativi successivi e di rango superiore che hanno contribuito alla valorizzazione della laurea e della professione infermieristica e che avrebbero dovuto far evolvere automaticamente la professione del dottore infermiere;
peraltro, occorre rilevare come tale improprio inquadramento dell'infermiere si riverbera in senso sperequativo anche nella comparazione con le altre figure professionali sanitarie non mediche del medesimo dipartimento di pubblica sicurezza, facendo sì che la posizione dell'infermiere sia gerarchicamente subordinata rispetto a quella di questi altri operatori con pari dignità accademica, giuridica e professionale –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica illustrata in premessa e se non ritenga di doversi attivare affinché la professionalità dei dottori infermieri dipendenti del dipartimento di pubblica sicurezza abbia un effettivo riconoscimento giuridico. (4-06819)
SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con riferimento ai lavoratori extra-comunitari in nero e per i quali è stata avanzata la domanda di sanatoria ai sensi del decreto-legge n. 109 del 2012, l'obiettivo della legge è quello di proteggere i lavoratori (in quanto parte debole del rapporto), affinché non si verifichino casi di rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, in seguito ad inadempienze datoriali; sull'argomento sono stati presentati in ambito parlamentare altri atti di sindacato ispettivo;
con la nota esplicativa n. 3269 del 15 maggio 2014 a firma del prefetto Malandrino, direttore centrale del dipartimento immigrazione, indirizzata al Sindacato SIA-CONFSAL, la cui sede nazionale del settore stranieri è in provincia di Napoli e che primariamente aveva sollevato la questione, nonché agli sportelli unici per l'immigrazione di Salerno e Padova, si erano date indicazioni affinché gli uffici provvedessero ad adeguare il loro comportamento procedendo correttamente all'analisi delle pratiche di emersione di cui al decreto-legge n. 109 del 2012;
a quanto consta all'interrogante, detta nota del prefetto confermò la fondatezza delle osservazioni presenti nell'interrogazione e fece chiarezza sulla corretta applicazione dell'articolo 5, comma 11-ter del decreto legge n. 109 del 2012 così come aggiunto dal decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013, convertito dalla legge n. 99 del 9 agosto 2013, nel senso che non si possono o devono pretendere da un lavoratore soggetto a procedure di emersione da lavoro nero documentazioni di competenza del datore di lavoro (nello specifico la prova del pagamento contributivo del pregresso rapporto di lavoro tenuto a nero, per cui resta responsabile per legge il datore di lavoro, come specificato chiaramente anche dall'articolo 5, comma 11-quater, del decreto-legge numero 109 del 2012);
tuttavia, dopo la predetta nota, il medesimo ufficio del Ministero dell'interno dipartimento immigrazione, ha emesso un'ulteriore nota sul medesimo argomento in data 1o agosto 2014 n. 4826 a firma del vice capo dipartimento vicario prefetto Malandrino, a giudizio dell'interrogante palesemente contrastante con la precedente del 15 maggio;
la nota n. 4826 del vice vicario, inviata sempre e solo allo sportello unico immigrazione di Salerno e di Padova, ha finito per porre in essere il blocco da parte di Salerno e Padova sul finire dell'emersione/sanatoria, di varie centinaia di pratiche, sostenendo come necessaria l'esibizione della prova dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali di riferimento al lavoro svolto di cui in sanatoria e promettendo un'ulteriore circolare sul finire della stessa sanatoria e la prossima consultazione di un database, finora inesistente, e comunque secondo l'interrogante di dubbia credibilità, dato che quasi tutti gli sportelli unici immigrazione d'Italia hanno già da tempo concluso l'analisi delle pratiche di emersione di cui al decreto-legge n. 109 del 2012;
il 24 ottobre 2014 è stata prodotta ed inviata a tutti gli sportelli unici immigrazione una circolare congiunta da parte dei Ministero dell'interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la quale sostiene che per procedere a sanare la posizione dei lavoratori oggetti della emersione di cui al decreto-legge n. 109 del 2014 è necessaria la dimostrazione dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali ed addirittura è necessario indicare un minimo di sei mesi, quando, a conti fatti, a norma del decreto-legge n. 109 del 2012 ne bastavano poco più di quattro, e cioè un semestre inteso contributivamente;
la pretesa espressa dalla circolare in questione varrebbe anche nel caso di cessazione pregressa del rapporto di lavoro, e persino se a presentarsi fosse solo il lavoratore, secondo l'interrogante in chiaro contrasto con la legge;
la norma di riferimento circa i contributi previdenziali legati alle pratiche di emersione di cui al decreto-legge n. 109 del 2012 è di rarissima chiarezza, ed è riportata dai già citati commi 11-ter ed 11-quater del decreto-legge n. 109 del 2012 così come aggiunti dal decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013;
la circolare congiunta del 24 ottobre 2014 stravolge la suddetta normativa ed impone agli sportelli unici per l'immigrazione come Napoli, che nel frattempo ha quasi concluso i lavori ed ha già concesso varie migliaia di permessi in attesa di occupazione, ad interrompere l'analisi corretta delle pratiche di emersione come sempre fatto, e cioè senza la pretesa della prova dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali dai lavoratori;
dal 24 ottobre 2014, quindi, per i pochi rimanenti, va pretesa tale prova, innescando così una evidentissima sequela di differenti trattamenti per medesime pratiche;
all'interrogante sembrerebbe esservi una violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 1, 5, 9, 11-ter e 11-quater del decreto-legge n. 109 del 2012, della circolare interministeriale n. 35/0004096 del 10 luglio 2013, degli articoli 3 e 97 della Costituzione, dell'articolo 323 del codice penale e dell'articolo 1, comma 2 della legge n. 241 del 1990;
vi è un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione che sostiene l'esclusiva responsabilità del pagamento dei contributi previdenziali ascritta a carico dei datori di lavoro;
con questo novello dettame comportamentale preteso dalla circolare del 24 ottobre 2014 si produce l'effetto di sfornire di protezione la parte debole del rapporto sommerso, che resta esposta alle mutevoli determinazioni del suo datore di lavoro; tale prescrizione è foriera di inutili contenziosi che rischiano di vedere l'amministrazione, per quanto di premessa, soccombente –:
se i Ministri non intendano, per quanto di competenza, diramare, ancora una volta, le opportune direttive affinché da parte degli sportelli unici per l'immigrazione vi sia una corretta ed omogenea applicazione delle norme disposte con il decreto-legge n. 76 del 2013, così come convertito dalla legge n. 99 del 9 agosto 2013;
se sia legittima l'emissione di una circolare a giudizio dell'interrogante così palesemente contrastante con la legge e se non si ritenga che si debba assumere iniziative per ritirarla immediatamente diramando disposizioni agli sportelli unici immigrazione affinché, per le pratiche di emersione di cui al decreto-legge n. 109 del 2012, non possa pretendersi prova dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali nei casi di cui ai commi 11-ter e 11-quater dell'articolo 5;
se non si ritenga opportuno disporre un accertamento sulle motivazioni che hanno spinto i funzionari del Ministero ad emettere, sul finire della emersione/sanatoria, la circolare del 24 ottobre 2014. (4-06820)
CIMBRO, FIANO, ALBANELLA, CAPONE, COVA, GARAVINI, LAFORGIA, LAVAGNO, LOCATELLI, MARANTELLI, MINNUCCI, MOGNATO, PRINA, SCANU, SCOTTO, ROMANINI, TERROSI, VERINI, PELLEGRINO e GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nell'anno 2009 l'amministrazione comunale di Turbigo provvedeva a titolare una via di nuova progettazione al defunto Ezio Maria Gray, gerarca fascista che sostenne pubblicamente il Manifesto della razza del 1938 e le leggi razziali, aderendo poi nel 1943 alla Repubblica sociale italiana;
costui fu, infatti, un personaggio che durante il regime fascista rivestì ruoli e cariche rilevanti, tra cui luogotenente generale della Milizia, consultore della Scuola di mistica fascista, membro del Gran consiglio del fascismo e del direttorio nazionale del Partito nazionale fascista, Vicepresidente della Camera dei fasci. Fu catturato nell'aprile del 1945 dopo una fuga avventurosa da Milano, stava per essere fucilato ma si gettò in ginocchio davanti ai partigiani implorando un regolare giudizio e fu risparmiato. Durante il processo davanti all'Alta Corte di Giustizia, il Gray ammise senza alcun pentimento ed, anzi, con «orgoglio» il proprio contributo nell'aver mantenuto in vigore il regime di Mussolini nonché il proprio sostegno all'intervento in guerra. Fu condannato a 20 anni di reclusione; venne poi scarcerato nel 1946 grazie all'amnistia concessa da Togliatti con l'avvento della Repubblica;
approfondendo la biografia di Ezio Maria Gray, è emerso come costui fosse un gerarca che si distinse per la costante propaganda, violenta e razzista, dell'ideologia fascista. Ancor prima del fascismo, nel 1911 il Gray, tenente di fanteria, volontario nella guerra di Libia, contribuì alla sanguinosa repressione della rivolta di Tripoli che vide una quantità impressionante di fucilazioni e impiccagioni;
dopo l'adesione al fascismo, si distinse per il suo violento antibolscevismo e fu un «ras» tenace, duro e facinoroso, un sostenitore del cosiddetto «squadrismo». Partecipò, in particolare, alle numerose azioni violente promosse nel luglio del 1922 dalle «bande» del fascismo novarese contro i socialisti (che causarono la distruzione di circa 50 circoli del partito socialista nella Provincia di Novara, provocando decine di morti e feriti), culminate nel celebre assalto alle istituzioni democratiche (40 comuni amministrati dai socialisti), tra cui l'estromissione della giunta e del sindaco Giuseppe Bonfantini dal Palazzo Civico di Novara. Inoltre, deplorò, sul momento, l'uccisione nel 1924 di Giacomo Matteotti, per poi però considerarla «necessaria»;
il Gray fu un personaggio esplicitamente razzista: il suo nome compare nell'elenco di coloro che sostennero pubblicamente l'aberrante ideologia contenuta nel Manifesto della razza del 1938, appoggiando le ignominiose leggi razziali. Già a partire dal 1937, infatti, il Gray aveva avviato una campagna propagandistica razzista per mezzo della rubrica radiofonica «Cronache del regime», considerato tra i responsabili politici della persecuzione razziale, durante la RSI il Gray encomio sulla stampa la squadra d'azione «Muti» (punta di diamante della repressione antipartigiana, protagonista di numerosi rastrellamenti e crimini), esaltando fino all'ultimo l’«indistruttibile vitalità del fascismo»;
v’è da aggiungere che, riacquistata la libertà grazie all'amnistia, il Gray capeggiò formazioni neofasciste clandestine e poi riprese l'attività politica quale dirigente del Movimento sociale italiano. Un rapporto dei servizi segreti statunitensi sulla riorganizzazione di gruppi paramilitari di estrema destra riferiva che «il membro più attivo è Ezio Maria Gray, il giornalista fascista recentemente amnistiato». Il Governo De Gasperi mandò Gray al confino definendolo «pericoloso all'esercizio delle libertà democratiche»;
tornando all'oggetto di questo atto, il movimento popolare che ha accompagnato la presa di coscienza del fatto, ha redatto una petizione popolare sottoscritta da più di 400 cittadini turbighesi (che ha ottenuto il sostegno di numerose sezioni dell'A.N.P.I, di associazioni culturali e storici del territorio) al fine di eliminare tale titolazione che appare offensiva dei valori della democrazia repubblicana. Tale petizione è stata consegnata al sindaco il quale nel giugno scorso individuò nella giunta l'organo per discutere la problematica. Di tale scelta furono avvisati i sottoscrittori in apposita riunione dei capigruppo;
durante questa il sindaco spiegò che tale decisione derivava dalla possibilità che durante il consiglio comunale potessero esserci scontri fra sostenitori dell'una e l'altra parte, conseguenti a due serate organizzate da A.N.P.I. a favore della petizione e da organizzazione della costellazione neofascista a sostegno della titolazione. Tale dubbio, legittimo, appariva tuttavia inusuale: il consiglio comunale di una Repubblica ormai matura, non deve mai apparire ostaggio di elementi che combattono tale Repubblica ed il suo sistema valoriale. Inoltre, rappresentanti di partiti o movimenti neofascisti non erano mai stati presenti in precedenza in consiglio;
a seguito di ciò, i membri del gruppo consiliare «Uniti per una Turbigo da vivere» e gli ideatori della sottoscrizione, hanno provveduto a chiedere il consiglio comunale, modalità più atta a garantire la possibilità di comprendere le ragioni delle parti e discutere delle scelte eseguite;
al sopraddetto consiglio, tenutosi il 24 luglio 2014, figuravano diversi rappresentanti delle forze dell'ordine, di cui alcuni dotati di equipaggiamento antisommossa. Tale spiegamento di forze trovava ragione nella presenza estemporanea e numerosa di diversi rappresentanti di Casa Pound, tutti in supporto della titolazione della via ad Ezio Maria Gray;
purtroppo il confronto fra le due diverse idee (mantenere ed abolire la titolazione) ha mostrato chiaramente e il sostegno dell'amministrazione comunale al Gray, ma non alla persona ed al suo agire al di fuori, delle attività di partito, ma all'insieme valoriale stesso del fascismo; nello specifico, ha colpito quanto dichiarato dal sindaco e dall'assessore Fabrizio Allevi;
secondo le dichiarazioni il Gray ha donato dei libri alla biblioteca di Novara ed al comune di Turbigo; è uomo di cultura, tanto è vero che il suo nome compare in una targa nella biblioteca di Novara; ha realizzato documenti ed esternazioni che vanno intese per il periodo in cui furono pronunciate; il Gray è stato giornalista e parlamentare della Repubblica; non è stato condannato per reati di sangue e d'oro; ha rappresentato «con coerenza» una parte della storia, dimostrandosi «una persona di indubbia qualità culturale e morale»;
gravissime le affermazioni dell'assessore Fabrizio Allevi, il quale ha provveduto a citare le parole del Presidente della Repubblica in merito all'invasione ungherese da parte dell'Unione Sovietica;
la posizione delle opposizioni è stata ferma e documentata, tendente a dimostrare come i soli fatti certi della vita del Gray durante il fascismo siano talmente gravi ed univoci da rendere impossibile il mantenimento della titolazione della via;
al termine del consiglio comunale, che ha visto il mantenimento della titolazione, si è potuto osservare la sfilata dei rappresentanti delle associazioni della costellazione neofascista andare a stringere la mano del sindaco;
in modo del tutto spontaneo diversi cittadini hanno cominciato a lasciare sul palo indicante il cartello della titolazione dei nastrini colorati. Nessuna scritta, nessun insulto: solo dei nastrini quale forma di simbolica e pacifica protesta verso l'omaggio fatto dall'amministrazione comunale ad un personaggio che si rese corresponsabile degli orrori perpetrati durante la dittatura fascista;
ulteriore dimostrazione di quale ruolo abbia il Gray nel panorama del neofascismo è riscontrabile da quanto pubblicato sui giornali digitali e su Facebook. È stato creato un gruppo in cui sono comparsi post di chiaro stampo fascista, per non dire di altri in cui si riportano articoli di Gray tratti dall'Istituto di cultura fascista;
la presenza di una via intitolata al gerarca non può che creare comprensibile inquietudine ed allarme in tutti coloro che hanno a cuore i valori antifascisti, di libertà, pace e fratellanza, custoditi nella nostra Costituzione –:
se il Ministro dell'interno intenda acquisire elementi in relazione all'istruttoria condotta per intitolare ad Ezio Maria Gray una via nel comune di Turbigo;
se non intenda assumere iniziative normative per introdurre un esplicito divieto di autorizzare la denominazione di vie o piazze ad esponenti politici fascisti o legati alla storia del regime fascista.
(4-06821)
SIBILIA, TOFALO, SCAGLIUSI, FICO e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000 stabilisce le cause tassative di incompatibilità alle cariche di sindaco, di presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale;
lo stesso articolo elenca le figure incompatibili tra cui: 1) l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza, e in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione, da parte dell'ente locale o che dallo stesso riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa quando la parte facoltativa supera il 10 per cento del totale delle entrate dell'ente (articolo 63, comma 1, numero 1), del decreto legislativo n. 267 del 2000); 2) coloro che, come titolari, amministratori, dipendenti con poteri di rappresentanza o di coordinamento hanno parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione (articolo 63, comma 1, numero 2), del decreto legislativo n. 267 del 2000), sempre che non si tratti di cooperative o consorzi di cooperative iscritti negli appositi pubblici registri (articolo 63, comma 2);
l'articolo 68, comma 2, del citato decreto legislativo n. 267 del 2000 precisa che le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento dell'elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette cariche;
l'articolo 47, comma 3, del citato decreto legislativo n. 267 del 2000 stabilisce che nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti gli assessori sono nominati dal sindaco anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere;
nella giunta comunale di Ariano Irpino (Avellino) varata nel mese di giugno 2014 è stato nominato assessore alle politiche giovanili e allo sport Mario Manganiello, già dipendente di IrpiniAmbiente spa, società partecipata al 100 per cento dall'amministrazione provinciale di Avellino avente come attività unica la gestione del ciclo dei rifiuti in ambito provinciale;
in seguito alle osservazioni prodotte da alcuni cittadini, il comune di Ariano Irpino, attraverso una nota firmata dal segretario generale, ha precisato che l'assessore Manganiello è inquadrato nella società IrpiniAmbiente come livello professionale 8o, responsabile area amministrativa –:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio tramite il prefetto, dell'azione di cui all'articolo 70 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-06826)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GAGNARLI, L'ABBATE e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la direttiva n. 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi che l'Italia ha recepito con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, in vigore dal 14 settembre 2012;
l'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 ha previsto che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome, adottasse un piano attuativo, denominato PAN (piano di azione nazionale);
con più di un anno di ritardo, in data 22 gennaio 2014 è stato emanato il PAN (pubblicato il 12 gennaio 2014) che va inteso quindi come la concreta attuazione delle previsioni del Decreto legislativo per l'uso sostenibile degli agrofarmaci; Tuttavia, sia il Decreto legislativo n. 150 del 2012 che il PAN devolvono molte delle decisioni a successive misure e decreti attuativi, se ne contano almeno 33;
gli obiettivi del decreto legislativo n. 150 del 2012 e del PAN sono: ridurre i rischi e impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità; promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi; proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata; tutelare i consumatori; salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili; conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi;
in data 5 giugno 2014 con atto n. 4-05032 il gruppo M5S della Commissione agricoltura della Camera ha interrogato, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia nel decreto legislativo che piano d'azione, in particolare sulle troppe deleghe a successivi decreti attuativi, sulla inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
in data 29 ottobre 2014, con atto n. 7-00504, il gruppo M5S della Commissione agricoltura Camera ha anche presentato una risoluzione in Commissione agricoltura, con cui si intende impegnare il Governo ad adottare i decreti attuativi per i quali è già scaduto il termine, a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulle altre azioni previste dai Piano, nonché ad impegnarsi ad implementare l'apparato sanzionatorio previsto dall'articolo 24 del decreto legislativo n. 150/2012;
al fine di comunicare ed informare i cittadini europei circa lo stato di applicazione delle misure previste dalla direttiva 2009/128, migliorare lo scambio di informazioni e la trasparenza sull'uso sostenibile dei pesticidi, la Commissione europea aggiorna la pagina web CE http://ec.europa.eu/food/plant/pesticides/sustainable use pesticides/information and awareness raising en.htm grazie ai contenuti provenienti dai singoli Stati membri; la prossima scadenza per l'invio dei dati, è prevista il 17 novembre 2014;
da uno screening della suddetta pagina web gestita dalla Commissione europea risulta che alcuni Stati membri, come l'Estonia, la Germania, la Polonia, l'Olanda, ed altri, hanno prontamente comunicato molti dei dati relativi all'applicazione dei vari articoli della direttiva n. 2009/128/CE, mentre altri, tra cui l'Italia, non hanno ancora provveduto ad inviare i necessari aggiornamenti. Ad oggi la pagine dedicata all'Italia riporta solo il link al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alla rete rurale. Per giunta il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, amministrazione capofila, non ha neanche pubblicato il PAN definitivo sul proprio sito web –:
quali siano i motivi del mancato aggiornamento del proprio portale e della tabella predisposta e pubblicata on-line dagli uffici competenti della Commissione europea, circa l'applicazione delle specifiche azioni previste dalla direttiva sull'uso sostenibile dei pesticidi, e se tale carenza non sia la conseguenza della parzialità ed incompiutezza del quadro normativo di recepimento, decreto legislativo n. 150 del 2012 e relativo piano di azione nazionale, a cui si riferiscono l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05032 e la risoluzione in Commissione agricoltura n. 7-00504. (5-04000)
CAPONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
come questo Ministero sa, da circa due anni gli oliveti del Salento sono falcidiati dalla terribile epidemia denominata «complesso del disseccamento rapido degli ulivi», determinata da una rete di fattori tra cui il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del genere Phaeoacremonium, il batterio Xylella fastidiosa;
lo scorso 8 ottobre 2014, in Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, è stata approvata una risoluzione che impegna il Governo: a provvedere alla nomina di un Commissario ad acta senza oneri a carico dello Stato che segua e coordini le operazioni di gestione dell'emergenza in atto e sia preposto alla realizzazione di un programma nazionale specifico di interventi immediati, contenente, oltre alle indicazioni relative agli atti amministrativi e sanitari da porre in atto nell'immediato, la creazione di una task force, alla quale partecipino anche il Servizio nazionale protezione civile e le autorità sanitaria locali, nel caso in cui gli interventi da attuare, condivisi dal Comitato Fitosanitario Nazionale e dalla Conferenza Stato Regioni, riscontrassero difficoltà applicative da parte del Servizio fitosanitario regionale; ad attivare ogni più utile ed urgente iniziativa volta a fare chiarezza sul fenomeno del disseccamento rapido e della moria degli olivi, attualmente presente nel territorio del Salento, adoperandosi in ogni modo possibile per evitare l'eradicazione di intere aree olivicole ove al fianco di olivi in fase di essiccamento convivono olivi sani. Fermo restando comunque che nelle aree «cuscinetto» al margine della zona infetta saranno adottate misure di lotta agli insetti vettori del batterio Xylella, che possono includere eventualmente ed ove effettivamente necessario, anche l'eliminazione delle piante ospiti non produttive (tipo oleandro); ad assumere iniziative per finanziare, in collaborazione con le regioni, segnatamente la regione Puglia e le altre regioni a vocazione olivicola, nonché con i servizi fitosanitari interessati e gli enti di ricerca competenti in materia, un piano di ricerca a vasto raggio in grado di indagare il fenomeno nella sua complessità e di offrire risposte ecologiche alla grave emergenza che ha colpito il settore olivicolo locale; ad attivare specifiche misure di controllo e di intervento interdittivo, nonché di monitoraggio successivo, sull'importazione di materiali vegetali che possono rappresentare, anche solo potenzialmente, cause di ingresso del patogeno nel nostro territorio; a valutare la necessità di individuare risorse specifiche per fare fronte alle necessità degli agricoltori che si trovino nelle condizioni di dovere ricostituire i propri oliveti od ogni altra coltura anche indirettamente danneggiata per effetto della malattia o della profilassi in caso di applicazione delle misure di lotta e di prevenzione; a provvedere, nei limiti delle risorse finanziarie di carattere nazionale e comunitario, affinché siano urgentemente attivati adeguati interventi compensativi che consentano ai soggetti interessati di intraprendere opportune misure di lotta contro la malattia di cui trattasi e, in una fase iniziale, ad organizzare un sistema d'allarme eventualmente associato ad incentivi per incoraggiare i singoli agricoltori a partecipare volontariamente a programmi di prevenzione; a rendere obbligatoria l'applicazione di specifiche linee guida e buone pratiche agronomiche capaci di contrastare effettivamente la diffusione della malattia e che rendano chiari i criteri di applicazione di eventuali misure di espianto nelle zone di confine tra aree colpite ed aree esenti dalla malattia (zone cuscinetto) e, per quanto riguarda la regione Puglia in particolare, a provvedere affinché siano effettuate attività di informazione e comunicazione sul fenomeno in atto, in accordo con i comuni e la regione Puglia;
il 28 ottobre 2014 nel corso dell'incontro tra il Ministro Martina e la regione Puglia rappresentata dal presidente Vendola e dall'assessore al ramo Fabrizio Nardoni, la Puglia ha, si legge sul resoconto stampa pubblicato sul sito della regione Puglia e del Ministero, «posto la questione del possibile avvio delle procedure per lo stato di emergenza fitosanitaria del territorio colpito con l'eventuale nomina di un Commissario a cui attribuire poteri straordinari di intervento per rendere ancora più tempestive le azioni che si renderanno necessarie. Il Ministero», si apprende ancora «ha dato piena disponibilità a valutare ogni ulteriore azione, consapevole che la delicatezza della problematica non è limitata solo al settore agricolo, ma interessa anche aspetti di natura paesaggistica e ambientale»;
nel corso dello stesso incontro, nel mentre è stata decisa l'intensificazione ulteriore degli interventi già introdotti con il decreto ministeriale di lotta obbligatoria emanato il 26 settembre 2014, si è convenuto che «ulteriori misure obbligatorie delle aree infette saranno valutate dal Comitato fitosanitario nazionale già convocato a Roma per il prossimo 4 novembre 2014. Nel frattempo, terminata la fase di monitoraggio e analisi di tutte le zone colpite, la regione presenterà i confini geografici dell'area tampone e dell'adiacente zona cuscinetto di 2 km da Ionio a Adriatico. All'interno di queste aree verranno attuati gli interventi contro gli insetti vettori, per l'eliminazione meccanica delle erbe spontanee e delle piante interessate limitatamente all'area infetta; in particolare l'eliminazione delle piante ospiti usate nelle alberature stradali e negli spartitraffico»;
regolarmente svoltasi lo scorso 4 novembre, a quanto si apprende da notizie ufficiose la riunione del Comitato avrebbe avuto carattere interlocutorio. Sulla stampa si legge infatti: «Il tavolo ministeriale che ieri è tornato a riunirsi sull'emergenza Xylella in Puglia, ha infatti, chiesto qualche giorno di tempo per approfondire la normativa sulla circolazione e commercializzazione della legna secca degli olivi salentini, colpiti dalla Xylella o comunque in arrivo dalle zone di contagio. Il passaggio, del tutto tecnico, rallenta comunque l'adozione del decreto di “obbligo alla lotta” con cui la regione Puglia ha intensificato ancora le misure adottate dal decreto ministeriale lo scorso 26 settembre». E ancora: «Lo stesso percorso a ostacoli riguarda il decreto di protezione civile per affrontare l'emergenza fito-sanitaria, delineando in questo caso anche quali dovranno essere i poteri straordinari da attribuire a un commissario ad acta...»;
come si legge nella nota stampa presente sul sito del Ministero, nella riunione svoltasi il 29 ottobre scorso «si è rilevata la necessità di intensificare ulteriormente gli interventi» e che «terminata la fase di monitoraggio e analisi di tutte le zone colpite, nei prossimi giorni la Regione presenterà i confini geografici dell'area tampone e dell'adiacente zona cuscinetto di 2 km da Ionio a Adriatico. In queste aree verranno attuati gli interventi approvati dal Comitato Scientifico costituito appositamente, come previsto dal decreto ministeriale 12 settembre 2014.
In particolare si prevedono:
interventi contro adulti dei vettori;
eliminazione meccanica delle erbe spontanee (possibili ospiti) e degli stadi giovanili dei vettori eventualmente presenti;
eliminazione delle piante interessate limitatamente all'area infetta;
eliminazione delle piante ospiti usate nelle alberature stradali e negli spartitraffico;
monitoraggio intensivo», e che – come veniva riportato dagli organi di stampa, nell'incontro del 4 novembre era in calendario, tra le altro, l'emanazione di un ulteriore decreto «sulle misure obbligatorie per gli agricoltori che nei loro campi hanno alberi infetti da xylella»;
a raccolta delle olive appena iniziata, le stime – secondo il parere delle stesse associazioni di categoria riportato dagli organi di stampa, «non lasciano dubbi», con una riduzione prevista dal 30 al 40 per cento, una produzione attorno alle 300 mila tonnellate e un rischio evidente sul mercato nazionale e internazionale per l'olio made in Italy. Lanciato dalle associazione di categoria all'indomani della diffusione dei dati riportati dalla Oil World che sottolineano come gli effetti si facciano sentire sul mercato con un forte balzo dei prezzi dell'extravergine, l'allarme viene confermato anche dal Presidente regionale di Coldiretti. «Per le associazioni», si legge inoltre, «l'impennata dei prezzi è la prova che le previsioni dell'Oil World hanno colto nel segno: la produzione mondiale di olio di oliva crolla e dovrebbe scendere del 17 per cento a 2,9 milioni di tonnellate. Il crollo è nazionale, con picchi al centro-nord dove si stima un calo tra il 35 e il 50 per cento, e nelle regioni del Sud, dalla Calabria alla Puglia, dove il Salento avrà il calo più sensibile per effetto della Xylella fastidiosa, il batterio killer che ha distrutto 8 mila ettari, nella zona ionico-salentina. Significative riduzioni, secondo le previsioni di Coldiretti – si rilevano anche in alcune aree della zona di Monopoli e del Gargano, colpite da eventi meteo eccezionali e nel nord del barese» –:
quale sia lo stato di attuazione delle decisioni assunte nel settembre scorso;
quale sia lo stato dell'istruttoria relativamente alla richiesta, se formalizzata, da parte della regione Puglia finalizzata alla dichiarazione dello stato di calamità naturale;
quale sia l'intendimento del Governo, o se sussistano impedimenti e difficoltà in tal senso, relativamente alla nomina di un commissario fortemente caldeggiata dagli operatori di settore;
quale sia la situazione, dal punto di vista procedurale e amministrativo, relativamente alla campagna di comunicazione di cui al decreto ministeriale del 26 settembre;
se sia nelle intenzioni del Ministero, e in accordo con gli enti istituzionali territoriali, valutare la necessità di individuare risorse specifiche per fare fronte alle necessità degli agricoltori che si trovino nelle condizioni di dovere ricostituire i propri oliveti od ogni altra coltura anche indirettamente danneggiata per effetto della malattia o della profilassi in caso di applicazione delle misure di lotta e di prevenzione e provvedere, nei limiti delle risorse finanziarie di carattere nazionale e comunitario, affinché siano urgentemente attivati adeguati interventi compensativi che consentano ai soggetti interessati di intraprendere opportune misure di lotta contro la malattia di cui trattasi e, in una fase iniziale, ad organizzare un sistema d'allarme eventualmente associato ad incentivi per incoraggiare i singoli agricoltori a partecipare volontariamente a programmi di prevenzione. (5-04003)
RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO
Interrogazione a risposta scritta:
COZZOLINO e LOMBARDI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
diversi giornali quotidiani nazionali nella giornata dell'8 novembre 2014 hanno pubblicato articoli di cronaca sulla cena di raccolta fondi organizzata dal Partito Democratico la sera del 7 novembre 2014 presso il salone delle Fontane nel quartiere Eur di Roma, cena alla, quale era prevista la presenza del Segretario nazionale del partito e Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e nella quale tutti i partecipanti avrebbero dovuto versare a favore del Partito Democratico un contributo di euro mille;
alla cena che, come detto, si è svolta nel Salone delle Fontane all'interno di Palazzo Uffici, sede della Società Eur spa, partecipata al 90 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e che, in virtù di tale partecipazione azionaria, esprime il totale dei consiglieri di amministrazione della società, sempre come riferito dalle cronache di stampa hanno preso parte diversi esponenti del Governo, tra i quali tre Ministri: l'onorevole Maria Elena Boschi Ministro per le riforme e per i rapporti con il parlamento, l'onorevole Marianna Madia Ministro per la semplificazione la pubblica amministrazione, l'onorevole Andrea Orlando Ministro della giustizia;
gli articoli di stampa riferiscono che molti dei commensali erano esponenti del mondo dell'impresa e della finanza e le stesse ricostruzioni presuppongono che la finalità di molti di questi partecipanti fosse quella di curare le così dette pubbliche relazioni non solo con gli esponenti politici presenti del Partito Democratico, ma anche con i rappresentanti del Governo. In particolare un articolo del giornale La Stampa, pubblicato il 9 novembre e intitolato «Costruttori, imprenditori ed ex di Forza Italia alla corte di Matteo» descrive il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Luca Lotti, impegnato a raccogliere i biglietti da visita che una lunga fila di partecipanti alla cena ha ritenuto di consegnargli;
lo stesso articolo riferisce inoltre una notizia su alcuni lavoratori del Partito democratico che, se confermato, a giudizio degli interroganti potrebbe anche configurare una violazione dei diritti dei lavori in merito alle mansioni da svolgere, e che per questo si riporta in maniera letterale «era evidente il motivo dei lavoratori in mobilità del Pd, che si sono prestati al ruolo di receptionist e di guardarobieri perché “Renzi ci ha promesso che se la serata va bene si esce dalla mobilità”»;
da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il giorno 8 novembre si apprende che, in una precedente cena di finanziamento, il Partito Democratico aveva chiesto a ciascun parlamentare di portare almeno 5 imprenditori paganti;
la raccolta fondi attraverso cene di finanziamento è attività perfettamente legittima da parte di un partito politico ed altrettanto legittimo è, ovviamente, l'impegno degli esponenti di un partito a trovare finanziatori. Ad avviso degli interroganti, si pone invece una questione di opportunità politica, se a tali iniziative di finanziamento partecipano esponenti di Governo nazionale o locale, anche quando questi siano esponenti, o dirigenti nazionali del partito. A titolo di esempio non si può non fare cenno a quanto riportato da molti quotidiani nel dare grande risalto alla presenza alla cena della massima dirigenza di una squadra di calcio professionistica che è impegnata nel progetto di costruzione di un nuovo stadio di calcio nella città di Roma –:
se i ministri interrogati si siano attivati per portare invitati paganti alla cena del 7 novembre o se vi abbiano invece partecipato in qualità di ospiti e se il sottosegretario Angelo Rughetti si sia attivato per portare invitati paganti alla stessa cena o se anche lui vi abbia partecipato come semplice ospite. (4-06825)
SALUTE
Interrogazione a risposta scritta:
GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, CIPRINI, PARENTELA, LUPO, LOREFICE, DI VITA e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in occasione della campagna «Farmaci e pediatria», promossa dall'AIFA e dal Ministero della salute, sono stati realizzati e diffusi diversi messaggi di sensibilizzazione, audio, video e cartellonistica, che hanno come obiettivo quello di far capire la differenza nella cura delle malattie e soprattutto nella somministrazione dei farmaci tra adulti e bambini;
una parte della campagna affronta specificamente il tema della sperimentazione dei farmaci e degli studi clinici su bambini ed adolescenti, invitando i minori a scegliere di far parte dei progetti di sperimentazione attraverso un chiaro messaggio «partecipo anch'io»;
la sperimentazione di farmaci e cure è molto importante per lo sviluppo della ricerca medica ed è oggi noto quante e quali siano le differenze nell'assimilare un farmaco, nella sua efficacia e nei suoi possibili effetti collaterali tra uomo e donna, e tra adulti e bambini; la mancanza di possibilità, infatti, di testare gli effetti di un farmaco sulla fascia di popolazione che realmente dovrà utilizzarlo rende spesso complicato il lavoro dei medici, e, nel caso specifico, dei pediatri che sotto l'anno di vita sono obbligati a prescrivere nella quasi totalità dei casi farmaci off-label, i cui effetti sui bambini non sono certi perché mai riscontrati;
migliorare la sperimentazione medico-scientifica, allargando la platea, potrebbe certamente portare dei vantaggi nelle cure pediatriche, poiché potrebbe, ad esempio, consentire di dosare meglio quantità e tempi di terapia dei prodotti, o utilizzare prodotti che meglio rispondono alle differenti caratteristiche fisiche dei bambini rispetto agli adulti. Oggi, dal punto di vista delle cure mediche, è evidente che gli adulti sono certamente più tutelati rispetto ai pazienti pediatrici;
il tema della sperimentazione sui bambini però, è ancora molto dibattuto, delicato e, ad avviso degli interroganti andrebbe affrontato in maniera seria nonché ancora ristretta ad una platea medica e scientifica adatta a valutare in maniera oggettiva vantaggi e svantaggi della sperimentazione; dare al pubblico informazioni che risultano, in ogni caso, superficiali potrebbe comportare, oltre alla diffusione di informazioni distorte tra adulti e bambini, anche un effetto boomerang sia per l'AIFA che per il Ministero promotore della campagna;
le numerose informazioni presenti sul sito web dell'AIFA a sostegno di questa campagna, infatti, non fanno altro che aumentare incertezze e perplessità, portando i cittadini ad entrare ed orientarsi in un mondo che, allo stato attuale, non può essere di loro portata, per le numerose implicazioni che ancora meritano di essere indagate. Riportare studi e numeri con l'obiettivo di avvicinare i minori alla sperimentazione, senza le necessarie conoscenze di base, non appare, agli interroganti, la strada corretta da perseguire in un ambito importante come quello della medicina pediatrica –:
se, in base alle perplessità esposte in premessa, non ritenga quantomeno inopportuno affrontare il delicato tema della sperimentazione medica sui bambini attraverso quella che agli interroganti appare una campagna pubblicitaria fatta di manifesti e slogan che potrebbero generare un messaggio fuorviante e distorto in un ambito importante come quello della tutela della salute dei minori. (4-06809)
SVILUPPO ECONOMICO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
conoscere la sede dello stabilimento di confezionamento di un prodotto alimentare consente alle autorità di controllo di attivare facilmente le azioni correttive utili a mitigare il rischio per la salute pubblica in caso di allerta; ciò potrebbe accadere, ad esempio, nel caso di una conserva vegetale contaminata dalla tossina del botulino;
il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha presentato un'interrogazione a risposta scritta n. 4-06205 in merito all'importazione di frutta «tossica» dalla Spagna perché trattata con una sostanza pericolosa per la salute utilizzata per allungarne la conservazione. La Coldiretti per tutelare i consumatori ha consigliato di verificare nell'etichetta la provenienza della frutta sincerandosi che non fosse di origine spagnola;
la direttiva 2000/13/CE che ha consolidato la precedente 1979/112/CE relativa a etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari non prescrive la sede dello stabilimento tra le informazioni obbligatorie in etichetta;
è facoltà degli Stati membri aggiungere prescrizioni nazionali ulteriori, da applicarsi sui prodotti commercializzati sui loro territori. A tal uopo, i Governi dei Paesi aderenti sono tenuti a notificare le norme nazionali alla Commissione europea la quale, a sua volta, potrà verificare la compatibilità delle stesse con lo «aquis communitaire»;
il Governo italiano, dopo avere ottenuto il nulla osta della Commissione europea in quanto giustificato dall'esigenza di garantire l'efficace gestione delle crisi, ha introdotto l'obbligatorietà di indicare la «sede dello stabilimento di produzione» in etichetta;
il regolamento dell'Unione europea n. 1169/2011, nel ridefinire le regole comuni in tema d'informazione al consumatore per i prodotti alimentari, ha confermato la possibilità per gli Stati membri di aggiungere prescrizioni nazionali ulteriori, da applicarsi sui prodotti commercializzati sui loro territori (capitolo 6);
allo stato attuale il decreto legislativo 109 del 1992 è ancora applicabile, in Italia, fino a sua formale abrogazione e dunque, in linea teorica, l'indicazione della sede dello stabilimento rimane obbligatoria per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia;
a decorrere dal 14 dicembre 2014 – data di formale applicazione di gran parte del regolamento dell'Unione europea n. 1169/11 — tuttavia, la prescrizione italiana della sede dello stabilimento potrà essere mantenuta solo a condizione che il Governo italiano provveda alla notifica di tale norma alla Commissione europea, ai sensi del regolamento predetto;
risulta agli interroganti che il Ministero dello sviluppo economico, per sua parte, non abbia manifestato interesse in tal senso;
la notizia sullo stabilimento di produzione, oltre ad avere una funzione importante per la sanità pubblica, serve ai singoli consumatori per scegliere un alimento rispetto a un altro anche in considerazione del Paese o della regione dove è prodotto per motivi legittimi come sostenere l'economia e l'occupazione locali, in nome del valore del lavoro –:
se rientri fra gli intendimenti del Governo notificare alla Commissione europea entro il termine ultimo del 14 dicembre 2014 la volontà di mantenere l'obbligatorietà di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia.
(2-00743) «Parentela, L'Abbate, Lupo, Gagnarli, Gallinella, Massimiliano Bernini, Benedetti, Da Villa, Segoni, De Rosa, Terzoni, Busto, Daga, Mannino, Zolezzi, Micillo, Silvia Giordano, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Rostellato».
Interrogazione a risposta immediata:
CAPARINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha emanato la delibera n. 480/14/CONS del 23 settembre 2014, pubblicata in data 10 ottobre 2014, con la quale ha modificato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale DVB-T, escludendo dal piano stesso le frequenze ritenute interferenti con stazioni degli Stati esteri confinanti;
tale delibera è stata adottata in attuazione dell'articolo 6 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9. Tale norma prevede (ai commi 8 e 9) quanto segue:
a) l'avvio da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni delle procedure per escludere dalla pianificazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre le frequenze riconosciute a livello internazionale e utilizzate dai Paesi confinanti, pianificate e assegnate ad operatori di rete televisivi in Italia e oggetto di accertate situazioni interferenziali, nonché le frequenze oggetto di EU Pilot esistenti alla medesima data;
b) la liberazione delle frequenze escluse dalla pianificazione non oltre il 31 dicembre 2014 con disattivazione coattiva delle stesse in ipotesi di mancato rispetto di tale termine;
c) l'emanazione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il quale sono definiti i criteri e le modalità per l'attribuzione, entro il 31 dicembre 2014, in favore degli operatori abilitati alla diffusione di servizi di media audiovisivi, di misure economiche di natura compensativa, a valere sulla quota non impiegata per l'erogazione dei contributi per i ricevitori per la televisione digitale nella misura massima di 20 milioni di euro finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle citate frequenze;
d) la destinazione delle risorse che residuano, successivamente all'erogazione delle suddette misure economiche di natura compensativa, per l'erogazione di indennizzi eventualmente dovuti a soggetti non più utilmente collocati nelle graduatorie di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, e successive modificazioni, a seguito della revisione della pianificazione da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
la sopra citata delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 480/14/CONS esclude dalla pianificazione, in dodici regioni, complessivamente 76 frequenze. Le dodici regioni interessate dalla problematica sono: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Sicilia;
le emittenti che dovranno disattivare le frequenze saranno quelle che riterranno di dismettere volontariamente le stesse accedendo alla misure economiche di misura compensativa previste dalla citata norma, ovvero, in mancanza di dimissioni volontarie, saranno quelle posizionate negli ultimi posti delle graduatorie redatte negli anni 2011-2012 per l'assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva digitale terrestre nelle suddette regioni;
le esclusioni dalla pianificazione prevista dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono tali che in alcune regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia), come riconosciuto dalla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel proprio provvedimento, non viene più rispettata la riserva di almeno 1/3 delle frequenze, prevista dalla disciplina normativa in materia, a favore dell'emittenza locale. Per rispettare detta riserva sarebbe stato necessario escludere dalla pianificazione alcune frequenze nazionali (invece di alcune frequenze locali);
le frequenze che dovrebbero essere revocate (sulla base dell'esclusione dal piano prevista dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sono state assegnate (alle emittenti che le eserciscono) per venti anni a seguito di gare svoltesi ai sensi del decreto-legge n. 34 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 75 del 2011;
il Viceministro dello sviluppo economico, con delega alle comunicazioni, onorevole Paolo Romani, in carica nel 2010, con nota inoltrata, all'epoca, ad Aeranti-Corallo ha affermato che «per quanto di competenza del Ministero, si farà in modo che le assegnazioni dei canali alle tv locali possano realizzarsi, anche nelle zone di confine, senza restrizioni e/o limitazioni rispetto alle caratteristiche tecniche degli impianti attualmente eserciti»;
le imprese che hanno ottenuto le assegnazioni frequenziali che oggi si vorrebbero revocare hanno realizzato importanti investimenti per acquistare e installare gli impianti per le trasmissioni televisive digitali terrestri;
qualora le assegnazioni frequenziali dovessero essere effettivamente revocate, dette imprese non potranno più svolgere l'attività di operatore di rete e avranno grandi difficoltà per diffondere i propri programmi (dovendo raggiungere un accordo per il trasporto di tali programmi da parte di un operatore di rete terzo che, svolgendo la propria attività nella stessa area geografica, potrebbe essere un concorrente diretto). Tutto ciò avrà inevitabili conseguenze sulla continuità aziendale delle emittenti interessate e sul relativo quadro occupazionale;
le asserite interferenze non sono mai state accertate in contraddittorio con le emittenti interessate;
i tecnici di molte emittenti ritengono che sia possibile compatibilizzare le trasmissioni in questione con quelle delle stazioni degli Stati esteri confinanti, senza dover disattivare gli impianti ritenuti interferenti (sarebbero sufficienti alcune modifiche alle condizioni tecniche operative degli impianti come la modifica del sistema di antenna ovvero l'abbassamento in quota del punto di emissione);
a meno di 60 giorni dalla data del 31 dicembre 2014 prevista per la dismissione delle frequenze in questione, il Ministero dello sviluppo economico non ha ancora emanato il decreto previsto dal sopra citato articolo 6, comma 9, del decreto-legge n. 145/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014 (con il quale devono essere previsti i criteri e le modalità per l'attribuzione entro il 31 dicembre 2014 delle misure economiche di natura compensativa per le eventuali dimissioni volontarie delle frequenze). Tale decreto avrebbe dovuto essere emanato entro il 22 gennaio 2014. Occorre, peraltro, rilevare che la citata norma prevede, per tali misure, uno stanziamento irrisorio di 20 milioni di euro (per riconoscere, invece, importi simili a quelli stanziati per la dismissione dei canali 61-69 Uhf, avvenuta nel 2012, sarebbero probabilmente necessari almeno 60-70 milioni di euro. Sarebbe, comunque, necessario disporre di un calcolo esatto da parte del Ministero dello sviluppo economico sulla base della popolazione servita da ogni impianto che dovrà essere dismesso). Il Sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni, onorevole Antonello Giacomelli, ha più volte affermato l'intendimento di proporre un incremento del suddetto stanziamento di euro 20 milioni, ma, ad oggi, tale incremento non è stato previsto. Occorre, peraltro, considerare che gli importi che verranno corrisposti per le citate misure economiche di natura compensativa rientrano nei ricavi dell'impresa e come tali sono soggetti a imposizione fiscale;
Aeranti-Corallo, l'associazione nazionale di categoria delle imprese radiotelevisive locali, ha ripetutamente chiesto al Sottosegretario Giacomelli i seguenti interventi:
a) l'avvio di tavoli tecnici, con il coinvolgimento anche delle amministrazioni estere, per esaminare le problematiche interferenziali lamentate e individuare le soluzioni di compatibilizzazione;
b) la pianificazione per le emittenti locali dei canali liberi tra quelli esclusi dall'ex beauty contest e tra quelli non assegnati in sede di beauty contest. Tali canali potrebbero essere assegnati in sostituzione di eventuali canali da dismettere;
c) l'aumento dello stanziamento per le misure compensative destinate alla dismissione volontaria dei canali interferenti e l'esclusione di tali misure dalle entrate soggette ad imposizione fiscale;
d) il differimento di almeno sei mesi della data del 31 dicembre 2014 prevista per le dismissioni degli impianti –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per tutelare la posizione del settore televisivo locale in relazione alle questioni esposte in premessa. (3-01151)
Interrogazioni a risposta scritta:
CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 27 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, recante «Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144» (Norme per garantire l'interconnessione e l'interoperabilità del sistema gas) prevede, al comma 1, che: «con decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono emanate le norme tecniche sui requisiti minimi di progettazione, costruzione ed esercizio delle opere e impianti di trasporto, di distribuzione, di linee dirette, di stoccaggio di gas, e degli impianti di GNL, per la connessione al sistema del gas, nonché le norme tecniche sulle caratteristiche chimico-fisiche e del contenuto di altre sostanze del gas da vettoriare, al fine di garantire la possibilità di interconnessione e l'interoperabilità dei sistemi, in modo obiettivo e non discriminatorio, anche nei confronti degli scambi transfrontalieri con altri Paesi dell'Unione europea»;
la direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, prevede, all'articolo 1, comma 2, che le norme stabilite dalla direttiva per il gas naturale, compreso il GNL, si applicano in modo non discriminatorio anche al biogas e al gas derivante dalla biomassa o ad altri tipi di gas, nella misura in cui i suddetti gas possano essere immessi nel sistema del gas naturale e trasportati attraverso tale sistema senza porre problemi di ordine tecnico o di sicurezza;
il decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28 prevede, agli articoli 20 e 21, di incentivare l'immissione di biometano nella rete del gas naturale;
con decreto del 5 dicembre 2013, il Ministero dello sviluppo economico ha dettato, per i produttori di biometano, le modalità di connessione alle reti di trasporto e distribuzione del gas naturale e agli impianti di distribuzione del metano per autotrazione, nonché le modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale;
la miscelazione di idrogeno (fino al 30 per cento) e metano comporta la creazione di una sostanza gassosa denominata idrometano, che, rispetto al normale metano, è capace di una più rapida ignizione e di una più completa combustione, con conseguente abbattimento delle emissioni di ossido di azoto e di CO, anche fino al 50 per cento;
sono da tempo diffuse tecnologie per la produzione, anche decentralizzata, di gas idrogeno tramite elettrolisi;
uno dei più promettenti impieghi di tali tecnologie è quello di abbinarle agli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al fine di assorbire i picchi di produzione tipici di tali fonti, convertendo l'energia in eccesso in idrogeno, che viene poi immesso nella rete di distribuzione del gas;
fra i paesi all'avanguardia possono citarsi il Canada e la Repubblica Federale Tedesca: di particolare rilevanza è il progetto tedesco della centrale di Prenzlau che, sfruttando un sistema ibrido eolico-idrogeno, è capace di generare fino a 120 metri cubi di idrogeno all'ora –:
se quanto premesso corrisponda al vero;
se il Governo non ritenga opportuno promuovere, con misure analoghe a quelle previste per il biometano, la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili, con immissione dello stesso nella rete nazionale del gas o distribuzione locale;
quali eventuali ostacoli tecnici o giuridici si frappongano in Italia all'implementazione delle tecnologie di cui in premessa. (4-06810)
IACONO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha emanato la delibera n. 480/14/CONS del 23 settembre 2014, pubblicata in data 10 ottobre 2014, con la quale ha modificato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale DVB-T, escludendo dal piano stesso le frequenze ritenute interferenti con stazioni degli Stati esteri confinanti;
tale delibera è stata adottata in attuazione dell'articolo 6 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9;
tale norma prevede (ai commi 8, 9 e 10) testualmente quanto segue:
«8. Entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avvia le procedure per escludere dalla pianificazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre le frequenze riconosciute a livello internazionale e utilizzate dai Paesi confinanti, pianificate e assegnate ad operatori di rete televisivi in Italia e oggetto di accertate situazioni interferenziali alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché le frequenze oggetto di EU Pilot esistenti alla medesima data. La liberazione delle frequenze di cui al primo periodo deve avere luogo non oltre il 31 dicembre 2014. Alla scadenza del predetto termine, in caso di mancata liberazione delle suddette frequenze, l'Amministrazione competente procede senza ulteriore preavviso alla disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi degli organi della polizia postale e delle comunicazioni ai sensi dell'articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259;
9. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definiti i criteri e le modalità per l'attribuzione;
entro il 31 dicembre 2014, in favore degli operatori abilitati alla diffusione di servizi di media audiovisivi, di misure economiche di natura compensativa, a valere sulla quota non impiegata per l'erogazione dei contributi per i ricevitori per la televisione digitale nella misura massima di 20 milioni di euro, trasferiti alla società Poste Italiane Spa in via anticipata, di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 30 dicembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2004, finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui al comma 8. Successivamente alla data del 31 dicembre 2014 le risorse di cui al primo periodo che residuino successivamente all'erogazione delle misure economiche di natura compensativa di cui al medesimo periodo, possono essere utilizzate, per le stesse finalità, per l'erogazione di indennizzi eventualmente dovuti a soggetti non più utilmente collocati nelle graduatorie di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, e successive modificazioni, a seguito della pianificazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui al comma 8 del presente articolo; 9-bis. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisce le modalità e le condizioni economiche secondo cui i soggetti assegnatari dei diritti d'uso in ambito locale hanno l'obbligo di cedere una quota della capacità trasmissiva ad essi assegnata, comunque non inferiore a un programma, a favore dei soggetti legittimamente operanti in ambito locale alla data di entrata in vigore del presente decreto, che procedano al volontario rilascio delle frequenze utilizzate di cui al comma 8 o a cui, sulla base della nuova pianificazione della stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della posizione non più utile nelle graduatorie di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, e successive modificazioni, sia revocato il diritto d'uso.»;
la sopracitata delibera dell'Agcom n. 480/14/CONS esclude dalla pianificazione, in dodici regioni, complessivamente n. 76 frequenze. Le dodici regioni interessate dalla problematica sono: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Sicilia; le emittenti che dovranno disattivare le frequenze saranno quelle che riterranno di dismettere volontariamente le stesse accedendo alla misure economiche di misura compensativa previste dalla citata norma, ovvero in mancanza di dimissioni volontarie, saranno quelle posizionate negli ultimi posti delle graduatorie redatte negli anni 2011 – 2012 per l'assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva digitale terrestre nelle suddette regioni;
le esclusioni dalla pianificazione prevista dall'Agcom, sono tali che in alcune regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia), come riconosciuto dalla stessa Agcom nel proprio provvedimento, non viene più rispettata la riserva di almeno 1/3 delle frequenze, prevista dalla disciplina normativa in materia, a favore dell'emittenza locale; le frequenze che dovrebbero essere revocate (sulla base della esclusione dal piano prevista dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sono state assegnate (alle emittenti che le eserciscono) per venti anni a seguito di gare svoltesi ai sensi del decreto-legge n. 34 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 75 del 2011; il vice ministro allo sviluppo economico pro tempore On. Paolo Romani, in carica nel 2010, con nota inoltrata, all'epoca, ad Aeranti-Corallo ha affermato che «per quanto di competenza del Ministero, si farà in modo che le assegnazioni dei canali alle tv locali possano realizzarsi, anche nelle zone di confine, senza restrizioni e/o limitazioni rispetto alle caratteristiche tecniche degli impianti attualmente eserciti»; le imprese che hanno ottenuto le assegnazioni frequenziali che oggi si vorrebbero revocare hanno realizzato importanti investimenti per acquistare e installare gli impianti per le trasmissioni televisive digitali terrestri; qualora le assegnazioni frequenziali dovessero essere effettivamente revocate, dette imprese non potranno più svolgere l'attività di operatore di rete e avranno grandi difficoltà per diffondere i propri programmi (dovendo raggiungere un accordo per il trasporto di tali programmi da parte di un operatore di rete terzo che, svolgendo la propria attività nella stessa area geografica, potrebbe essere un concorrente diretto);
tutto ciò avrà inevitabili conseguenze sulla continuità aziendale delle emittenti interessate e sul relativo quadro occupazionale; e asserite interferenze non sono mai state accertate in contraddittorio con le emittenti interessate; a meno di 60 giorni dalla data del 31 dicembre 2014 prevista per la dismissione delle frequenze in questione, il Ministero dello sviluppo economico non ha ancora emanato il decreto previsto dal sopracitato articolo 6, comma 9, del decreto-legge n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 9 del 2014 (con il quale devono essere previsti i criteri e le modalità per l'attribuzione entro il 31 dicembre 2014 delle misure economiche di natura compensativa per le eventuali dimissioni volontarie delle frequenze). Tale decreto avrebbe dovuto essere emanato entro il 22 gennaio 2014; occorre, peraltro, rilevare che la citata norma prevede, per tali misure, uno stanziamento irrisorio di 20 milioni di euro (per riconoscere, invece, importi simili a quelli stanziati per la dismissione dei canali 61-69 Uhf, avvenuta nel 2012, sarebbero probabilmente necessari almeno 60-70 milioni di euro. Sarebbe, comunque, necessario disporre di un calcolo esatto da parte del Ministero sulla base della popolazione servita da ogni impianto che dovrà essere dismesso). Il Sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha più volte affermato l'intendimento di proporre un incremento del suddetto stanziamento di euro 20 milioni, ma, ad oggi, tale incremento non è stato previsto. Occorre, peraltro, considerare che gli importi che verranno corrisposti per le citate misure economiche di natura compensativa rientrano nei ricavi dell'impresa e come tali sono soggetti a imposizione fiscale;
l'AERANTI-CORALLO, l'associazione di categoria delle imprese radiotelevisive locali, ha più volte chiesto al Sottosegretario Giacomelli i seguenti interventi:
a) l'avvio di tavoli tecnici, con il coinvolgimento anche delle amministrazioni estere, per esaminare le problematiche interferenziali lamentate e individuare le soluzioni di compatibilizzazione;
b) la pianificazione per le emittenti locali dei canali liberi tra quelli esclusi dall’ex beauty contest e tra quelli non assegnati in sede di beauty contest. Tali canali potrebbero essere assegnati in sostituzione di eventuali canali da dismettere;
c) l'aumento dello stanziamento per le misure compensative destinate alla dismissione volontaria dei canali interferenti e l'esclusione di tali misure dalle entrate soggette ad imposizione fiscale;
d) il differimento di almeno sei mesi della data del 31 dicembre 2014 prevista per le dismissioni degli impianti. Ad oggi, tuttavia, nessuna iniziativa è stata presa, al di là di generiche affermazioni di voler procedere a una riforma complessiva del settore, di cui non si conoscono i contenuti e che, comunque, non può certamente essere definita, approvata e attuata nei 55 giorni che intercorrono con la scadenza del 31 dicembre 2014 –:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere per tutelare la posizione del settore televisivo locale in relazione alle questioni esposte in premessa. (4-06811)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.
La mozione Nicoletti e altri n. 1-00603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Malisani, Brandolin.
La mozione Pisicchio n. 1-00609, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catalano, Tacconi.
La mozione Mucci e altri n. 1-00611, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mannino, Grillo.
La mozione Speranza e altri n. 1-00615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Argentin, Antezza.
La mozione Taranto e altri n. 1-00630, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sani, Carbone, Manciulli.
La mozione Fitzgerald Nissoli e altri n. 1-00638, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rabino.
Apposizione di firme ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Quartapelle Procopio n. 7-00518, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fedi, Sereni, Locatelli, Palazzotto.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta in Commissione Colletti n. 5-02298, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sibilia, Crippa.
L'interrogazione a risposta in Commissione Garofalo n. 5-03742, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.
L'interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-06746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Daniele Farina, Nicchi.
L'interrogazione a risposta scritta Lupo e Nuti n. 4-06755, pubblicata nell'allega B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Vita.
L'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio 4-06805, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rizzo.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Mucci n. 1-00611, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 307 del 10 ottobre 2014.
La Camera,
premesso che:
tra le varie forme di violenza e discriminazione vi sono sovente attacchi alla donna. Suscita allarme il fatto che gli episodi di abuso e violenza contro le donne siano in perdurante crescita, nonostante siano state introdotte fondamentali leggi, come quella per il contrasto della violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) o la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione di Istanbul; in particolare, occorre rilevare che l'articolo 7 della suddetta Convenzione prevede che lo Stato ratificante adotti misure legislative, e di altro tipo, necessarie per predisporre e attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, comprendenti tutte le misure adeguate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza che rientri nel campo di applicazione della predetta Convenzione ed a fornire una risposta globale al problema della violenza contro le donne. In buona sostanza, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane tali da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne, essendo altresì tenuti ad istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo in quanto previste della Convenzione medesima;
fatta questa dovuta premessa appare chiaro che il terreno di coltura della violenza e del sopruso affondi le radici sul piano culturale e alla luce di ciò vada pertanto aggredito e sconfitto attraverso la definitiva emancipazione della donna in tutti gli ambiti del vivere comune e sociale, con specifico riferimento non solo alla famiglia, ma anche e sopratutto al lavoro. Le pari opportunità nel mondo del lavoro costituiscono, tra le altre cose, l’humus necessario a contrastare ogni forma di violenza a danno della donna, in quanto trattasi di violenza psicologica finalizzata alla subordinazione e alla prevaricazione, che nella maggior parte dei casi costituisce l'incubatore della violenza fisica vera e propria;
si tenga conto che la violenza psicologica a danno della donna attecchisce in primis in ambito familiare con comportamenti del partner, solitamente l'uomo, caratterizzati da una sottile, ripetuta e perversa forma di violenza, appunto, psicologica, che, protratta nel tempo, tende ad annullare la personalità della vittima sino al suo annientamento; si tratta di una fattispecie poco esplorata sia dalla sociologia che dalla giurisprudenza, a cui non si è prestata sufficiente attenzione, ma che riveste, sotto il profilo della incidenza sociale, significativo rilievo e che deve essere urgentemente affrontata con tutti i mezzi a disposizione. Di più, tale tipologia di violenza si interseca con quella perpetrata sui luoghi di lavoro dove la figura della donna appare ancora in molti casi posta in una posizione di fragilità e/o subordinazione rispetto all'uomo. La normativa giuslavoristica non pare sia riuscita ad oggi a valicare i vari problemi legati alle ipotesi di mobbing, talora basate sul ricatto, che ruotano attorno alla figura femminile e sarebbe pertanto opportuno determinare delle fattispecie normative ad hoc, tanto in relazione alla violenza psicologica endofamiliare quanto rispetto a quella che si perpetra nei luoghi di lavoro; anche sulla base dei sopraddetti retaggi sociologici e culturali, proliferano le criticità legate alle opportunità occupazionali nell'universo femminile che risultano palesemente più limitate rispetto a quelle offerte alle figure maschili. Si consideri che in Italia sono donne soltanto il 6,5 per cento degli ambasciatori, il 31,3 per cento dei prefetti, il 14,6 per cento dei primari, il 20,3 per cento dei professori ordinari e – nei ministeri – il 33,8 per cento dei dirigenti di prima fascia. Sempre in Italia, più di 5 donne su 10 sono senza reddito da lavoro e, per quelle che il reddito lo hanno, la retribuzione media pro capite (calcolata tra impiegate e operaie) si ferma sotto i 25 mila euro annui, mentre quella di un uomo sfonda il tetto dei 31 mila euro. Peraltro, ostacoli e pregiudizi, talora inconsapevoli, condizionano le scelte formative delle ragazze e, di conseguenza, il loro inserimento nel mercato del lavoro. Pure la ricerca di un lavoro coerente con il proprio percorso di studi è molto più ardua per le donne: a fronte di un 18 per cento dei maschi che non ha trovato un impiego coerente con il proprio ambito di studi, la percentuale sale di oltre dieci punti percentuali nel caso delle donne. V’è da sottolineare che gli indirizzi scolastici universitari privilegiati dalle donne risultano essere spesso disallineati rispetto alle opportunità offerte dal mondo del lavoro. Un problema serio è anche quello relativo all'orientamento scolastico e universitario laddove gli indirizzi scolastici e universitari privilegiati dalle donne presentano tassi di occupazione ridotti e salari modesti (circa 1.200 euro netti al mese a 5 anni dalla laurea), mentre solo il 20-30 per cento opta per una formazione tecnico scientifica (1.500 euro netti mensili a 5 anni dalla laurea) che attualmente schiude in misura maggiore le opportunità occupazionali;
in questo quadro, già di per sé tutt'altro che confortante, si inseriscono discriminazioni nelle discriminazioni che colpiscono le donne residenti nel Sud d'Italia: basti pensare che quasi la metà (il 48 per cento) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà. Nel Meridione e nelle Isole il 50 per cento delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili), il reddito medio delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 73 per cento di quello delle famiglie residenti al Nord. Da varie indagini si evince che la situazione lavorativa del Sud Italia è molto più difficile rispetto a quella del Centro e del Nord Italia, sia dal punto di vista occupazionale sia da quello retributivo; in particolare, si registra un elevato differenziale tra la disoccupazione del Sud e del Nord, un aumento del flusso migratorio dalle regioni del Sud verso Nord ed una significativa disparità retributiva, atteso che, per chi lavorava al Nord, la retribuzione risulta superiore dell'8,2 per cento rispetto a chi lavorava nel Meridione;
ancora con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile, con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese; i dati illustrati nel rapporto Save the children del 2012 evidenziano che, già nel biennio 2008-2010, l'occupazione femminile è fortemente diminuita a fronte di un incremento dell'occupazione non qualificata rispetto a quella qualificata; in particolare:
a) il dato dell'occupazione delle donne e mamme nel 2010 si attesta al 50,6 per cento per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1 per cento – ma scende al 45,5 per cento già al primo figlio (di età inferiore ai 15 anni), per perdere quasi 10 punti (35,9 per cento) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3 per cento nel caso di 3 o più figli;
b) se l'interruzione del rapporto di lavoro per nascita di un figlio è tra le ragioni principali della fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne, bisogna considerare che spesso non si tratta di una loro libera scelta: nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all'odioso strumento delle «dimissioni in bianco»;
c) le interruzioni del lavoro poste in essere in concomitanza della nascita di un figlio, che erano il 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009, diventando l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro;
i predetti allarmanti dati trovano triste continuità nei recenti dati forniti da Istat e riferiti al primo trimestre del 2014, che confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento, quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento. Oltre al dato disoccupazionale deve considerarsi un'altra anomalia della partecipazione delle donne al mercato del lavoro ovvero la presenza di una forte segregazione orizzontale. Da un'indagine condotta dall'Isfol nel 2012, recante «Analisi di genere del mercato del lavoro», risulta che le donne sono presenti massicciamente in specifici settori di servizi ritenuti «naturalmente femminili», che le confinano nelle qualifiche contrattuali più basse oltretutto con tipologie contrattuali non standard, quali il contratto a termine, l'associazione in partecipazione e la collaborazione continuata e continuativa. Inoltre, l'elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta effetti di medio periodo differenti tra lavoratore e lavoratrice, in termini di prospettive di «stabilizzazione». L'Isfol rileva, difatti, che, tra gli uomini che nel 2008 avevano un contratto di lavoro atipico, il 59,4 per cento dopo due anni ha visto una trasformazione in contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, mentre lo stesso fenomeno ha riguardato solo il 48,4 per cento delle donne. La cosiddetta trappola dell'atipicità risulta più gravosa per le donne che per gli uomini. Sempre l'Isfol sottolinea che le cause della disoccupazione femminile risiedono, oltre che in una diseguale divisione tra i partner dei carichi di lavoro familiari, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia, oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto; in questo contesto di evidente criticità, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a rimuovere gli ostacoli strutturali alla realizzazione di pari opportunità e di effettiva conciliazione tra cura della famiglia e lavoro, ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
in ordine alle politiche di incentivo alle assunzioni – ivi comprese quelle delle donne – le misure introdotte dalla cosiddetta riforma Giovannini si sono rivelate fallimentari, a causa delle notevoli restrizioni agli sgravi fiscali previsti, che ne hanno, di fatto, reso impossibile l'utilizzo; anche il successivo intervento dell'attuale Governo, messo a punto con l'iniziativa «Garanzia giovani», non appare una misura adeguata in relazione a quelle che sono le allarmanti esigenze relative all'occupazione e all'inserimento delle donne nel mondo del lavoro: oltre ad una scarsa informazione sul contenuto dei piani attuativi regionali e sulla data di avvio del programma, va detto che l'offerta di posti di lavoro è disomogenea, frammentata e disorganica, in quanto ogni regione decide, in autonomia ed in base allo stanziamento di sua competenza, quali azioni finanziare tra quelle previste dal piano nazionale, inoltre appare molto ridotto il numero di sportelli, a disposizione dell'utenza, nelle regioni meridionali. Sul piano del diritto sostanziale, le modifiche introdotte dal Jobs act sulla disciplina del contratto a termine reso «acasuale» hanno solo incrementato il lavoro precario ed introdotto minori garanzie in caso di interruzione del rapporto per maternità: la flessibilità così concepita è unicamente finalizzata ad incrementare le performance aziendali e non tiene conto delle esigenze delle lavoratrici madri;
le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto di tagli che hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno e centri di assistenza di supporto alle donne e alle mamme. Tale perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia reca effetti negativi sull'occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
a fronte del quadro descritto, non sembra che abbia fornito risposte risolutive la misura del voucher, prevista dalla cosiddetta riforma Fornero, ovvero la possibilità per le madri lavoratrici di utilizzare, in alternativa al congedo parentale, «buoni» per l'acquisto di servizi di baby sitting per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati; lo strumento del voucher non è risultato in grado di compensare la diminuzione di offerta di servizi pubblici oggi in atto in considerazione dell'esiguità delle risorse stanziate, pari a soli venti milioni di euro l'anno, della farraginosità della procedura di assegnazione del «buono» e della circostanza che si tratta di un intervento sperimentale, destinato a concludersi nel 2015, non promosso a sufficienza;
questa assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporranno ancora più carico di lavoro alle donne «anziane», che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato; le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali ed idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto, in maniera tale da aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro ed eliminare i descritti divari di genere;
il Jobs act contiene cinque deleghe che spaziano dalla revisione degli ammortizzatori sociali, alle politiche attive, alla semplificazione nella gestione dei contratti, al riordino delle forme contrattuali, alle tutele per la maternità: è questa la sede per introdurre in via definitiva concrete misure di promozione dell'occupazione femminile, anche attraverso nuovi strumenti di conciliazione tra attività di cura e lavoro, tra le misure «flessibili», in funzione conciliativa delle esigenze delle lavoratrici, non potranno non considerarsi le opportunità che riserva il telelavoro, il quale, grazie all'uso della tecnologia, permette un elevato grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi e nei tempi. L'invocata flessibilità, finalizzata alla conciliazione dei bisogni familiari con i tempi di lavoro, deve riguardare anche l'attuale disciplina del congedo obbligatorio, introducendo la possibilità di utilizzare i congedi a tempo pieno per un certo numero di mesi e per la parte restante in modalità a tempo parziale, affinché si pervenga ad un bilanciamento tra l'esigenza della lavoratrice di conservare il proprio patrimonio professionale, evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e la volontà di dedicarsi ai figli per una certa parte della giornata o della settimana. Bisogna, altresì, provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome, così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
a ciò deve affiancarsi il rafforzamento di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
in questo quadro desolante, nonostante gli impegni sottoscritti dall'Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il perdurare di situazioni di discriminazione e disuguaglianza originate da un'ampia gamma di motivi, i descritti divari di genere che penalizzano le donne sul mercato del lavoro, il Governo non ha nominato un Ministro delle pari opportunità e le deleghe sono rimaste nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre invece «le funzioni di indirizzo politico-amministrativo concernenti le competenze istituzionali relative alle direzioni generali per le politiche dei servizi per il lavoro, ivi comprese le attività di promozione delle pari opportunità» necessitano di un impulso e di un'azione che non può che essere propria di un apposito Ministro. La complessità e l'attualità delle problematiche emarginate, oltreché il rilievo istituzionale e sociale che esse posseggono, devono essere urgentemente rimesse all'attenzione di un Ministro appositamente dedicato, ovvero ad una figura che ne abbia le deleghe: perché discriminazioni ed ostacoli di fatto alla parità di opportunità sono ancora ampiamente presenti;
perché la partecipazione al processo di integrazione comunitaria impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Unione europea. Inoltre, l'effettività della tutela contro le discriminazioni poggia sulla corretta intelaiatura istituzionale opportunamente individuata dal legislatore allo scopo di sostenere e realizzare le politiche di pari opportunità. Le istituzioni rilevanti in tale settore sono identificabili nel Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità (articoli 8-11 del decreto legislativo n. 198 del 2006) e nei consiglieri di parità, nazionale, regionali e provinciali, disciplinati dagli articoli 12-19 del decreto legislativo n. 198 del 2006; in particolare, con il decreto legislativo n. 196 del 2000 si è cercato di rafforzare il ruolo dei consiglieri di parità attraverso la delega di molteplici funzioni in tale materia, nonché grazie all'istituzione di un fondo nazionale destinato a finanziare anche le spese per il funzionamento e le attività della rete nazionale dei consiglieri di parità;
tuttavia, l'aggravarsi della condizione della situazione occupazionale, specie con riferimento alla presenza delle donne nel mercato del lavoro, richiede un'ottimizzazione del lavoro e del contributo prodotto, in ambito nazionale, dalla Consigliera nazionale di parità e dalle consigliere presenti nei territori, anche attraverso un'attività di razionalizzazione, indirizzo e coordinamento degli organismi di pari opportunità e degli altri attori istituzionali, che, ciascuno per la competenza attribuita, sono chiamati ad intervenire nella materia in esame, nella specie: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comitato per l'imprenditoria femminile, le commissioni per le pari opportunità regionali e provinciali, istituite presso i consigli regionali e provinciali, il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) istituito nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall'articolo 21 della legge 4 novembre 2010, n. 183;
si sottolinea, altresì, come nel giugno 2012 sia stato approvato il primo piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria per il 2007. Per quanto riguarda le priorità, il suddetto piano individua tre aree di intervento urgente: le famiglie con minori, in particolare le famiglie numerose; le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli, e bisognose di sostegni urgenti. Le azioni previste, fra cui si ricordano la revisione dell'Isee, il potenziamento dei servizi per la prima infanzia, dei congedi e dei tempi di cura, nonché interventi sulla disabilità e non autosufficienza, devono essere adottate all'interno dei piani e programmi regionali e locali per la famiglia, secondo le risorse disponibili,
impegna il Governo:
a prevedere un coordinamento operativo a livello centrale e nazionale, al fine di una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi nazionali e territoriali preposti, a vario titolo, al monitoraggio delle politiche di pari opportunità e alla rimozione delle discriminazioni e degli ostacoli che minano l'effettiva realizzazione della parità di genere;
ad assumere ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare le molteplici forme di diseguaglianza, con particolare riguardo a quelle che si presentano tra cittadini del Nord e cittadini del Sud Italia, che risultano in sensibile aumento per effetto della crisi economica in atto e che si riverberano in misura amplificata sulle donne;
ad assumere, in tempi rapidi, ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare la violenza psicologica endofamiliare e quella sul posto di lavoro, anche attraverso l'individuazione di fattispecie di reato ad hoc;
ad introdurre nuove e concrete politiche per la conciliazione tra la cura della famiglia e l'attività lavorativa, incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, il lavoro autonomo e imprenditoriale, introducendo la possibilità di un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi unitamente alla previsione di sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona;
ad adottare iniziative volte a incoraggiare le donne a scegliere professioni «non tradizionali», per esempio in settori verdi e innovativi;
ad adottare iniziative volte allo sviluppo dell'autoimprenditorialità femminile, con particolare riferimento all'agevolazione dell'accesso al credito;
a fornire la relazione dettagliata dei dati relativi ai rapporti prodotti dal Gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto interdipartimentale (Dipartimenti della Funzione pubblica e delle Pari Opportunità) del 18 aprile 2012, illustrando, più in generale, gli eventuali risultati prodotti e i conseguenti miglioramenti delle condizioni lavorative, nonché l'andamento delle attività in corso, a distanza di tre anni dalla costituzione dei C.U.G.;
a porre in essere opportune attività di adeguamento della normativa nazionale, ottemperando così agli impegni assunti in sede comunitaria, con particolare riferimento all'implementazione della Direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa UE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE).
(1-00611)
(Nuova formulazione). «Mucci, Rostellato, Di Vita, Rizzetto, Bechis, Chimienti, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Prodani, Spadoni, Da Villa, Vallascas, Baldassarre, Mannino».
Si pubblica il testo riformulato della mozione Amato n. 1-00643, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 316 del 23 ottobre 2014.
La Camera,
premesso che:
secondo un rapporto pubblicato il 20 giugno 2014 dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni in tutto il mondo ha superato i 50 milioni di persone. Alla fine del 2013 si contavano 51,2 milioni di migranti forzati, quasi 6 milioni di persone in più rispetto al 2012 dovute al massiccio esodo dalla Siria;
il fenomeno migratorio è in costante crescita ed è soggetto a continue mutazioni sia per i motivi che lo generano che le modalità con cui si manifesta: in Europa i Paesi che hanno il maggior numero di rifugiati sono la Germania (589.737; 0,72 per cento sulla popolazione residente), la Francia (217.865; 0,33 per cento) il Regno Unito (149.765; 0,23 per cento) la Svezia (92.872; 0,97 per cento) e l'Olanda (74.598; 0,44 per cento). L'Italia con oltre 65.000 rifugiati, 0,11 per cento sulla popolazione residente si colloca al sesto posto;
il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte dei trafficanti, negli anni, è considerevolmente aumentato (in generale, dal 2000 al 2013, sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra: in media più di 1.600 l'anno);
nonostante lo straordinario impegno del Governo italiano con l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum che ha salvato migliaia di vite umane, i drammi e le violazioni dei diritti umani continuano a perpetrarsi;
la Marina militare, all'interno dell'operazione Mare Nostrum, dal 18 ottobre 2013, ha assicurato il costante pattugliamento aeronavale del Mediterraneo e dello Stretto di Sicilia: 5 unità navali, circa 5 mila uomini impegnati, uomini e donne che hanno assistito direttamente 149 mila migranti, che hanno recuperato a bordo di navi che stavano affondando 93 mila persone e che hanno consegnato alla giustizia più di 500 scafisti;
l'articolo 32 della Costituzione italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività; la salute dei migranti e le tematiche della salute associate alle migrazioni hanno al momento un ruolo nodale per l'agenda internazionale dei Governi e della società civile; la salute rappresenta, non solo diritto dell'essere umano ma ricchezza fondamentale per il progresso sociale ed economico che supera i confini territoriali dello Stato;
a partire da giugno 2014 sono stati 80.000 i controlli sanitari a bordo svolti da medici della Marina militare e del servizio sanitario nazionale sulle imbarcazioni di migranti soccorse nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum e, ove questo non è stato possibile, i controlli sono stati svolti da medici a terra prima dello smistamento nei centri di accoglienza;
tale operazione dovrebbe terminare a novembre, sostituita dall'operazione Triton che Frontex farà partire il 1o novembre con il contributo di 26 Stati, operazione coordinata dalla stessa Italia e con un budget di 2,9 milioni di euro al mese;
la gestione dell'accoglienza, dell'identificazione e dell'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato; tra il 2007 e il 2013 l'Unione europea ha speso quasi 2 miliardi di euro per proteggere le frontiere esterne e solo 700 milioni di euro per il miglioramento della situazione di richiedenti asilo e rifugiati;
nell'ambito dell'accoglienza, il tema della tutela della salute è certamente importante tenendo conto della provenienza, dei motivi della migrazione spesso forzata e del percorso migratorio di queste persone, delle condizioni di viaggio e delle possibilità di inserimento sociale;
se da una parte tutte le aziende sanitarie interessate sono state in vario modo coinvolte, sorprende che il dibattito veicolato dai mass media più che sulle tutele si sia focalizzato sui pericoli. Man mano che il fenomeno degli sbarchi si è consolidato nei numeri, i giornali hanno riportato con grande enfasi il rischio delle «solite» (da almeno 30 anni ci si confronta con questi allarmismi) tubercolosi e scabbia, ma soprattutto il pericolo dell'importazione dell'Ebola, Lebbra e Vaiolo;
in relazione all'esperienza della gestione sul territorio nazionale dei casi sospetti di malattia da virus Ebola, il Ministero della salute ha stabilito un protocollo centrale in merito a casi sospetti, probabili e confermati, nonché ai contatti a cui fare riferimento nel percorso protetto diagnostico-terapeutico e di osservazione precauzionale;
la tendenza a fare delle malattie infettive uno strumento di discriminazione è parte della nostra storia recente per l'Aids e oggi per Ebola. L'uso di parole come nuova peste e catastrofe sanitaria, pandemia, malattia che non dà scampo vengono utilizzate spesso strumentalmente per evocare paure nella gente e concentrare le paure sugli stranieri come se un virus potesse distinguere un migrante da un turista, come veicolo di contagio;
se è assolutamente corretto far risalire l'allerta, attivarsi e chiedere risorse per un'azione internazionale oltre a risolvere i focolai epidemici, è anche necessario passare attraverso una corretta informazione. Il panico, la paura dello straniero, il cordone di difesa rispetto ai flussi migratori non sono funzionali a questo obiettivo;
le priorità di azione rispetto ad un focolaio epidemico, qualunque esso sia, sono la cura dei malati, l'isolamento del focolaio ed il controllo del percorso di contaminazione; l'isolamento del focolaio necessita, prioritariamente, di un'azione medica diretta sul focolaio, non di pura difesa dei confini;
l'intensificazione dei protocolli di ricerca, l'accelerazione del ritmo di lavoro per la realizzazione del vaccino, la risoluzione dell'epidemia del Senegal, i test negativi da oltre venti giorni in Nigeria e in Senegal, la sopravvivenza di personale sanitario contagiato in Spagna e in Norvegia, l'avvio di controlli di massa negli aeroporti internazionali sono il segno dell'attivazione organizzativa e dell'azione della medicina del mondo occidentale;
diventa quindi, fondamentale, accelerare la ricerca di cure efficaci e di vaccini preventivi; contribuire alla revisione della politica dell'Organizzazione mondiale della sanità sugli aiuti all'Africa, anche a sostegno del miglioramento dell'efficienza dei sistemi sanitari di quei Paesi poveri; chiedere l'intervento della FAO, perché non sia la fame a completare la strage che sta già compiendo Ebola;
la risposta ad un'epidemia, la risposta ad un virus, la risposta alla diffusione di una malattia sono fatte di medicina, affiancate a misure di polizia sanitaria, e corrette ed idonee procedure di manipolazione, diagnosi e cura. I virus, siano l'Ebola, l'HIV o gli altri agenti patogeni, non si combattono né con i confini né con la paura: c’è solo uno strumento efficace ed è la scienza,
impegna il Governo:
a predisporre, in tempi rapidi, una campagna capillare e chiara di poche e semplici informazioni sul virus, sulle modalità di contagio e sulle precauzioni igieniche, sulle disposizioni precise e tempestive che operatori della sanità devono utilizzare nel sospetto di infezione e sull'approvvigionamento dei presidi da utilizzare nei casi sospetti dall'accettazione al trasferimento nella struttura di riferimento; a garantire l'accesso dei migranti ai servizi sanitari facilitandoli con la presenza di mediatori culturali;
a proseguire nell'opera di monitoraggio e di controllo sanitario nei principali porti e aeroporti, per scongiurare ogni rischio di diffusione di malattia anche in relazione alla particolare collocazione geografica dell'Italia e del suo ruolo nell'ambito del Mediterraneo;
a predisporre una rivisitazione su base scientifica delle campagne vaccinali;
a rafforzare la rete delle unità operative di malattie infettive nel disegno già utilizzato con successo dalla campagna contro l'AIDS e, successivamente, depotenziato a seguito di riorganizzazioni e di tagli alla spesa, nonché a potenziare gli ambulatori di prima accoglienza degli immigrati;
ad attivarsi in sede europea affinché l'operazione «Triton», pur attuata nel pieno rispetto degli obblighi internazionali e dell'Unione europea, tra cui il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento, che esclude le espulsioni, preveda anche il «salvataggio di vite umane» attraverso compiti di ricerca e soccorso;
a predisporre in tempi rapidi un programma di interventi di emergenza per contrastare l'epidemia di Ebola che sta colpendo alcuni Paesi dell'Africa, prevedendo non solo adeguati stanziamenti economici ma anche l'invio di medici specializzati, di forniture di medicine e di attrezzature nonché il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza;
ad adoperarsi affinché i rifugiati e richiedenti asilo e quanti hanno subito eventi traumatici come torture, guerre o persecuzioni, abbiano adeguate cure mediche e psicologiche.
(1-00643)
(Nuova formulazione). «Amato, Dorina Bianchi, Binetti, Locatelli, Lenzi, Burtone, Albini, Beni, Carnevali, D'Incecco, Grassi, Patriarca, Miotto, Calabrò, Roccella, Buttiglione, Gigli, De Mita, D'Alia, Cera, Adornato, Piepoli, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Monchiero, Amoddio».
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Lattuca n. 5-03984, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 326 del 6 novembre 2014.
LATTUCA, ARLOTTI, BERLINGHIERI, BINI, COCCIA, GIULIETTI, IACONO, IORI, LODOLINI, MAESTRI, MANFREDI, PAGANI e ROMANINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'Italia è un Paese che, oltre a detenere una quota rilevantissima del patrimonio artistico e culturale mondiale, possiede oltre 5 mila chilometri di costa balneabile, caratteristica che lo contraddistingue dalla maggior parte dei paesi membri. Il turismo balneare, in un Paese come il nostro, con più coste di chiunque altro in Europa, rappresenta dunque uno dei punti di forza della nostra economia; ne sono prova i recenti dati forniti dall'Osservatorio nazionale sul turismo italiano (Isnart-Unioncamere), secondo i quali la domanda turistica balneare, pur nel contingente momento di crisi economica, non ha subìto negli ultimi anni grandi flessioni rispetto ad altre tipologie di aree turistiche; un settore che rimane il primo prodotto per la domanda turistica italiana e il secondo prodotto – dopo le città d'arte – per quella dei turisti stranieri;
gli stabilimenti balneari italiani e le aziende ad uso turistico-ricreativo costituiscono una realtà fondamentale per il sistema turistico nazionale e non è di secondaria importanza il fatto che tale settore balneare sia costituito nella quasi totalità da imprese di tipo familiare che operano nell'ambito di piccole concessioni, che negli anni hanno effettuato consistenti investimenti per offrire sempre migliori servizi, contribuendo ad innalzare l'immagine dell'intero comparto;
in particolare, gli stabilimenti balneari in Emilia Romagna sono circa 1.800 e sulle aree demaniali insistono altre strutture ricettive in grado, si stima, di garantire occupazione diretta a 7.000 unità fra concessionari e familiari a cui si aggiungono circa 25.000 dipendenti;
il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con il quale l'Italia ha recepito la direttiva 2006/123/CE («direttiva servizi», cosiddetti Bolkestein), stabilisce che dal 1o gennaio 2016, le concessioni demaniali non potranno più essere rinnovate automaticamente (non valendo più il diritto di insistenza) ma dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
l'obiettivo del legislatore comunitario attraverso la «direttiva servizi» è quello di eliminare le barriere economiche e strutturali che di fatto ostacolano la libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e la libera circolazione dei servizi tra i medesimi Stati e di garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica per l'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali previste dai trattati europei;
senza adeguati correttivi, in grado di considerare le peculiarità e le specificità di tale settore e del territorio italiano, l'applicazione di tale direttiva rischia di penalizzare gli attuali concessionari che operano nel settore balneare;
ai sensi dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modificazioni, come modificato dall'articolo 1, comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020; il comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) aveva fissato al 15 ottobre 2014 il termine temporale previsto per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime;
il termine del 15 ottobre 2014 è stato superato senza che siano intervenute ulteriori modificazioni legislative; secondo alcune informali anticipazioni, il Governo starebbe lavorando alla predisposizione di un disegno di legge ad hoc per un riordino della materia sul demanio turistico-ricreativo che, tuttavia, anticiperebbe al 2017 la scadenza delle concessioni in essere senza riconoscere alcun diritto di opzione per i concessionari;
l'esigenza di pervenire a un nuovo quadro normativo per un settore così strategico per la nostra economia non solo è urgente ma richiede l'opportunità di un percorso condiviso, anche mediante tavoli tecnici, anche da parte delle associazioni di categoria, affinché siano garantite alcune certezze per gli operatori del settore tali da favorire gli investimenti e la crescita delle imprese interessate;
un segnale positivo era giunto dalla Commissaria europea uscente per gli affari marittimi e le coste, Maria Damanaki (con la nuova Commissione UE guidata da Junker, la DG Ambiente (ENV) è stata fusa con la DG Affari marittimi e pesca (MARE) per formare la nuova DG Ambiente, affari marittimi e pesca guidata dal maltese Karmenu Vella, in sostituzione del commissario ENV, Janez Potocnik, e del commissario MARE, Maria Damanaki), secondo la quale la Commissione europea sarebbe stata disponibile a modificare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nella parte riguardante le spiagge in particolare per ciò che attiene ai vincoli applicati alle concessioni demaniali troppo rigidi, per giungere a una nuova disciplina improntata a maggiore flessibilità per i singoli Stati al fine di tener conto delle peculiarità delle proprie coste –:
se non ritenga il Governo di attivarsi in sede europea al fine di esperire tutte le azioni e gli approfondimenti necessari atti a salvaguardare gli attuali soggetti concessionari del settore, al fine di risolvere le problematiche della durata e del rinnovo delle concessioni demaniali marittime, tutelando gli investimenti e i manufatti da questi ultimi già realizzati e per assicurare la coerenza della disciplina europea del turismo balneare con le specificità nazionali e la salvaguardia dell'interesse pubblico generale, garantito anche dai servizi di salvamento in mare, tutela delle coste, primo soccorso e organizzazione dell'arenile;
quale sia l'intendimento del Governo circa la predisposizione di un disegno di legge di riordino in materia di demanio turistico-ricreativo e se non ritenga opportuno prevedere in quest'ultimo talune misure che, nell'ambito della definizione di nuovi criteri e modalità di rilascio e cessazione delle concessioni demaniali, e nel rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario in materia di concorrenza e di trasparenza, definiscano ulteriori parametri ed elementi passibili di comparazione delle offerte progettuali concorrenti, allo scopo di selezionare la migliore proposta non solo da un punto di vista economico ma dal lato della tutela delle peculiarità delle imprese turistico-balneari italiane operanti nel settore. (5-03984)
Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Grillo n. 1-00645, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 316 del 23 ottobre 2014.
La Camera,
premesso che:
la malattia da virus ebola, precedentemente nota come febbre emorragica da virus ebola, apparsa per la prima volta nel 1976 è una malattia grave, con un tasso di mortalità che può arrivare fino al 90 per cento;
nella popolazione umana il modo più comune con cui si contrae il virus è entrare in contatto con il sudore, la saliva o sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti o persona infettata o morta a causa della malattia; l'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati, le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus, l'ebola non si diffonde via aria o con contatti casuali come sedersi vicino a una persona sull'autobus;
durante un'epidemia le persone a più alto rischio di infezione sono: operatori sanitari, familiari o altre persone a stretto contatto con persone infette, persone che hanno contatto diretto con i corpi dei defunti, nelle cerimonie funebri, cacciatori nella foresta pluviale che entrano in contatto con animali trovati morti nella foresta;
nonostante la valutazione del rischio di ebola del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie del 27 agosto 2014, la «Dichiarazione sull'epidemia di ebola» in Africa occidentale del Commissario per la salute Tonio Borg dell'8 agosto 2014 e la «Dichiarazione sulla risposta dell'Unione europea all'epidemia di ebola» del Commissario per lo sviluppo, Andris Piebalgs, e del Commissario per gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, Kristalina Georgieva, del 15 settembre 2014, il 17 settembre 2014 si leggeva su un articolo pubblicato dal quotidiano Libero che il Ministro della salute interpellato circoscriveva con assoluta sicurezza l'allarme relativo al virus ebola, affermando che «non c’è nessun rischio ebola legato all'immigrazione, si tratta di un virus limitato ad alcuni territori»;
nel corso dell'incontro informale dei Ministri, tenutosi il 22 e 23 settembre 2014, a Milano, presieduto dal Ministro interpellato nell'ambito del semestre europeo a presidenza italiana, i Ministri della salute dell'Unione europea sono stati concordi sul fatto che è necessario contrastare l'epidemia di ebola aumentando le risorse umane e finanziarie, affermando al contempo la necessità che gli Stati membri rispondano all'appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale e ha pubblicato la tabella di marcia di risposta all'ebola, tenuto conto delle conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 30 agosto 2014, con ulteriori risorse umane e finanziarie, attraverso gli appositi meccanismi ed organismi;
il Commissario europeo per la salute, Tonio Borg, ha dichiarato che il rischio ebola in Europa «rimane, comunque, basso perché una persona contagiata che abbia già i sintomi sarebbe troppo debole per viaggiare», che «la malattia non è contagiosa se non in alcune particolari condizioni, ma, nonostante tutto dobbiamo rimanere vigili, e non abbassare la guardia, con stringenti controlli negli aeroporti» e che «il nostro sistema di igiene e salute è di un livello particolarmente elevato»;
la Commissione europea ha attivato il monitoraggio la situazione attraverso il proprio Centro di coordinamento della risposta alle emergenze, che dovrebbe fungere da piattaforma per il coordinamento dell'assistenza dell'Unione europea, al fine di mobilitare squadre di risposta immediata per assicurare la diagnosi precoce, l'isolamento (dei casi sospetti e dei casi confermati in reparti diversi), il monitoraggio delle persone entrate in contatto con i pazienti e la ricerca delle catene di trasmissione, misure relative ai funerali, l'educazione e il supporto locale;
il virus dell'ebola «è una minaccia globale» e per combattere l'epidemia nei Paesi dell'Africa occidentale «c’è bisogno di tutto, ma soprattutto di personale medico», come ha sottolineato il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan durante una conferenza in cui è stato annunciato l'impegno da parte del Governo cubano di inviare 165 operatori in Sierra Leone;
le organizzazioni non governative più attive sul campo, tra queste Medici senza frontiere e la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, hanno criticato gli sforzi internazionali, definendoli pericolosamente inadeguati, in quanto le capacità estremamente limitate sul campo determinano carenze critiche in tutti gli aspetti della risposta: cure mediche di sostegno, formazione del personale sanitario, controllo dell'infezione, ricerca dei contatti, vigilanza epidemiologica, sistemi di allerta e segnalazione, educazione e mobilitazione delle comunità;
per ridurre il numero dei casi e i decessi è fondamentale accrescere la consapevolezza dei fattori di rischio e adottare le migliori e adeguate misure di prevenzione;
attualmente non esiste un vaccino autorizzato per la malattia da virus ebola. Diversi vaccini sono in fase di sperimentazione, ma nessuno è disponibile per uso clinico in questo momento;
l'8 ottobre 2014 l'Oms stimava le vittime in 4.032. Nell'ultimo bollettino del 14 ottobre il numero è salito a 4.447: 415 in più, un incremento di quasi l'11 per cento in una settimana. Nello stesso periodo, i casi accertati di contagio sono passati da 8.300 a 8.914. Solo un mese fa, il 18 settembre, l'Oms riportava 2.630 morti e 5.357 casi. Le cifre confermano dunque la temuta progressione dell'epidemia e rendono verosimili le previsioni più preoccupanti. Come se non bastasse, sempre dall'Oms si apprende che il tasso di mortalità è salito dal 50 a quasi il 70 per cento, considerando anche i decessi non accertati. Infatti l'agenzia delle Nazioni Unite concorda con altri organismi nel ritenere che il numero dei casi e delle vittime accertati sia sicuramente molto inferiore a quello reale: oltre alle persone ricoverate e decedute negli ospedali, moltissime altre, forse altrettante, sono quelle che si ammalano e muoiono a casa, assistite e sepolte dai parenti che a loro volta corrono quindi il serio rischio di contrarre la malattia;
non esistono eventuali note/circolari dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) che individuano specifiche procedure alle quali il personale di volo si dovrebbe attenere per prevenire il rischio da contagio;
unico documento regolatorio elaborato da Enac è la circolare EAL-10A, peraltro del settembre 2012 e non pienamente attinente, inerente a «Aeroporti agibili per voli provenienti da paesi extra europei o da zone sottoposte a misure sanitarie in applicazione del regolamento sanitario internazionale»;
secondo la circolare Enac EAL-10o, al punto 5.1, nel caso in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità segnali un evento che possa rappresentare un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, o in tutti i casi in cui la valutazione del rischio di diffusione di malattie trasmissibili da particolari aree geografiche indichi l'opportunità di ulteriori controlli e misure, il Ministero della salute Direzione generale della prevenzione può chiedere l'implementazione di misure di sanità pubblica e il dirottamento del traffico aereo proveniente dalle zone interessate dall'evento, sugli aeroporti designati come sanitari (Roma Fiumicino e Milano Malpensa);
il sito del Ministero della salute, afferma che in Italia sarebbero state attivate tutte le possibili misure di preparazione e risposta a livello nazionale, regionale e locale, nel caso in cui che si debba gestire un sospetto caso di Ebola, in particolare, che sarebbero state adottate tutte le misure di profilassi internazionale, nei porti ed aeroporti, attraverso i competenti uffici del Ministero, dislocati su tutto il territorio e, anche nel caso di particolari minacce per la salute, il sistema di sanità pubblica sarebbe in grado di rispondere, in base alle indicazioni centrali, al contenimento della minaccia del virus, essendo presenti, sul territorio, due strutture dotate di laboratori di massima sicurezza e di stanze ad alto isolamento (INMI Spallanzani di Roma ed Ospedale Sacco di Milano), in conformità al protocollo per il trasporto in alto biocontenimento di pazienti affetti da febbri emorragiche virali;
ma non tutto sembra così certo se Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind, afferma che ad esempio. «Gli infermieri italiani non sono adeguatamente preparati a fare fronte ad eventuali casi di Ebola: non hanno ricevuto una formazione specifica né rispetto alla malattia né circa l'utilizzo dei dispositivi di protezione. Inoltre, in molti ospedali tali dispositivi, come tute e maschere, mancano ancora». Il segretario Nursind aggiunge «che in alcuni presidi mancherebbero le tute previste come dispositivi di protezione individuale anti-Ebola e siano quindi state riprese vecchie tute in dotazione contro la Sars; ma si tratta di tute diverse e non conformi a quelle previste invece nei protocolli relativi al trattamento dei pazienti con Ebola». Tali dispositivi, precisa, «sono stati ordinati ma ancora mancano in moltissimi ospedali e, soprattutto, ad oggi, non è prevista una formazione degli infermieri sul come utilizzarli»;
l'Organizzazione mondiale della sanità ammette gli errori commessi in Africa nel contrastare Ebola. A rivelarlo è la bozza di un documento interno all'Oms ottenuto dall’Associated Press, nel quale si afferma che «quasi tutte» le persone coinvolte nel rispondere all'emergenza non hanno notato elementi di quella che è poi divenuta un'esplosione del virus. Staff incompetente, burocrazia e mancanza d'informazioni affidabili tra le cause. L'OMS non commenta il documento, limitandosi a dire che i «dettagli inclusi non saranno discussi fino a quando il documento non sarà completato e i fatti chiariti e provati. Siamo per la trasparenza e la responsabilità e pubblicheremo la revisione quando tutti i fatti saranno controllati»;
l'ospedale di Dallas, dove è stato curato Thomas Eric Duncan, il paziente «zero» con Ebola (poi deceduto) e dove due infermiere sono state contagiate dal virus, in una lettera aperta pubblicata sul Dallas Morning e sullo Star Telegram, ammette che «nonostante le migliori intenzioni, non siamo riusciti a rispettare gli elevati standard che sono al centro della storia dell'ospedale, della sua missione e del suo impegno». La missiva è firmata dall'amministratore delegato del Texas Health Resources, Barclay Berdan. «Abbiamo fatto errori nell'affrontare una situazione difficile» ammette Berdan, precisando che da quando il primo caso è stato diagnosticato sono state effettuate modifiche a tutela del personale medico. Le indagini su come le due infermiere, Nina Pham e Amber Vinson, siano state contagiate vanno avanti e arriveranno degli esperti esterni per stabilire l'accaduto,
impegna il Governo:
a predisporre un apposito capitolo di bilancio destinato ad affrontare la possibile emergenza derivante dall'eventuale epidemia di ebola e in particolare per sostenere e attivare tutte le iniziative necessarie alla attività di prevenzione e di supporto tecnico, logistico e strumentale per gli operatori che si dovesse ritenere necessario mobilitare;
a prevedere che le risorse utilizzate per affrontare, in particolare, le attività di prevenzione nazionali e internazionali del virus ebola siano escluse dai vincoli europei e dal patto di stabilità previsto per i bilanci regionali;
a predisporre un piano nazionale finalizzato a modulare gli interventi sanitari a crescere, a seconda dell'evolversi dell'epidemia in Africa ovvero eventualmente in Europa e in Italia;
a prevedere l'istituzione di ulteriori centri specializzati, oltre ai due già individuati (l'Inmi, Istituto nazionale malattie infettive-Spallanzani di Roma, e l'ospedale Sacco di Milano), anche nell'Italia meridionale dove poter ricoverare eventuali pazienti colpiti da ebola;
a riattivare i centri di infettivologia oggi dismessi presso ospedali militari che sono in stato di non utilizzo; predisporre mezzi aerei e ambulanze fornite di strutture, personale specializzato e formato, nonché di dotazioni adeguate per affrontare l'assistenza a pazienti eventualmente malati di ebola conclamato o sospetto;
a procedere alla immediata riorganizzazione del personale e della logistica sia civile che militare per renderlo idoneo alla terapia dei pazienti con patologia da Ebola anche attraverso una turnazione del lavoro che determini l'impossibilità di superare le otto ore di lavoro per il personale sia medico, che paramedico;
a mettere in atto tutte le attività affinché sia possibile richiamare in servizio il personale medico e paramedico specializzato sia civile che militare anche in deroga alla normativa vigente in materia di congedi e pensionamento;
ad incrementare e formare adeguatamente il personale medico di stanza negli aeroporti e nei porti;
a prevedere l'istituzione di unità di crisi mobili per affrontate eventuali psicosi collettive sul territorio nazionale a causa di eventuali casi di cittadini italiani colpiti dal virus ebola;
istituire una unità nazionale presso l'Istituto superiore di sanità con il compito di supporto e di coordinamento nel caso di emergenze sanitarie;
ad incrementare ulteriormente l'invio di personale medico e paramedico nei Paesi africani dove si sono evidenziati casi di ebola, dotato di attrezzature idonee, adeguatamente remunerato al fine di affrontare in loco l'espansione della patologia;
ad attivarsi in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea affinché le forme di prevenzione e le eventuali strutture sanitarie individuate siano tutte specializzate e con gli stessi standard di sicurezza, appropriatezza di cure e attrezzature anche in tutti i porti e aeroporti europei dell'est Europa;
a predisporre protocolli e procedure comuni per quanto concerne i controlli agli aeroporti, per tutelare la salute dei cittadini italiani, seguendo alcune prassi già utilizzate in molti paesi aderenti e non aderenti all'Unione europea, quali la misurazione della temperatura dei viaggiatori provenienti dall'Africa occidentale, in entrata negli aeroporti nazionali;
ad intervenire con specifiche iniziative di tutela per il personale di volo, che tengano conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato e ai rischi relativi ai loro mansionari, sia in contesti di emergenza sanitaria internazionale che non, dando attuazione al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 ai sensi dell'articolo 3, comma 2, e all'articolo 7 del decreto legislativo n. 185 del 2005;
in accordo con i Ministri dell'Unione europea, a sostenere e incoraggiare l'Unione Africana per quanto concerne la necessità di un piano d'azione globale, in quanto la situazione africana continua a deteriorarsi rapidamente e incide sull'economia e sull'ordine pubblico dei Paesi interessati, dato che la crisi dell'ebola è diventata complessa, con implicazioni di natura politica e di sicurezza e di carattere economico e sociale che continueranno a ripercuotersi sulla regione ben oltre l'attuale emergenza sanitaria.
(1-00645)
«Grillo, Silvia Giordano, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Lorefice, Mantero, Castelli, Sibilia, Baroni, Spadoni».
Ritiro di documenti di indirizzo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
mozione Dorina Bianchi n. 1-00634 del 20 ottobre 2014;
mozione Binetti n. 1-00640 del 21 ottobre 2014.
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-06072 del 18 settembre 2014;
interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-06265 del 3 ottobre 2014;
interpellanza urgente Marco Di Stefano n. 2-00741 del 5 novembre 2014.
La Camera,
premesso che:
secondo le stime dell'Unicef nel mondo ci sono oltre 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori, precoci, forzati (Child, Early, Forced Marriage – CEFM);
l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana sono le regioni in cui questa pratica è più largamente diffusa dove, non casualmente in coincidenza, sono presenti altri gravi fenomeni come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l'analfabetismo. Ma si registrano casi anche in Medio Oriente e Africa settentrionale così come in Europa, compresa l'Italia, per effetto dei processi migratori, anche se il fenomeno è di difficile rilevazione, in quanto spesso queste unioni non vengono registrate;
questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per «liberarsi» delle figlie, considerate un peso, perché «poco produttive», nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali;
al contrario, essi comportano una serie di conseguenze negative che segnano per sempre la vita delle spose bambine: quest'ultime vengono precocemente sottratte all'ambiente della famiglia e a volte della comunità di origine, sono spesso soggette a violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, vittime di abusi e sfruttamento, impedite nelle opportunità educative (solitamente il matrimonio comporta l'abbandono scolastico) e di lavoro, vivono esperienze che comportano conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale;
al matrimonio precoce seguono quasi sempre gravidanze altrettanto precoci che provocano decine di migliaia morti, una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un'alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici;
già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell'educazione nelle azioni di prevenzione;
nel programma di azione della stessa Conferenza i Governi firmatari si erano impegnati a proteggere e promuovere il diritto degli/delle adolescenti a ricevere un'educazione sulla salute riproduttiva e a garantire l'accesso universale a queste informazioni;
la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce espressamente i/le bambini/e (ossia persone di età tra 0 e 18 anni) come titolari di diritti e l'articolo 16 della convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) menziona il diritto di essere protette da matrimoni precoci;
molti Paesi, compresi quelli in cui questa pratica è diffusa, hanno stabilito per legge l'età minima per il matrimonio, l'istruzione obbligatoria e i reati contro i minori, ma le norme tradizionali o di ordine religioso continuano ad avere il sopravvento sulla legislazione nazionale;
malgrado la dichiarazione, pressoché universale, di impegno a porre fine alla pratica, si calcola che matrimoni di bambine di meno di 15 anni continueranno ad essere celebrati e che in questo decennio saranno 50 milioni le bambine che potrebbero rischiare di sposarsi prima di quell'età;
il 18 dicembre 2013 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione procedurale sui matrimoni minori, precoci e forzati, presentata dal Canada e dallo Zambia a nome di un gruppo trans-regionale di cui l'Italia è parte e ha deciso di considerare il tema dei matrimoni di minori, precoci e forzati, nei suoi molteplici aspetti e nella sua dimensione globale, nel corso della sua 69a sessione al punto in agenda «promozione e protezione dei diritti del fanciullo»;
la risoluzione, mettendo all'ordine del giorno dell'assemblea generale per il 2014 questo argomento, offre una grande opportunità per affrontare il tema ai più alti livelli istituzionali per gli anni a venire;
l'azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili (MGF). Secondo i dati delle Nazioni Unite, pubblicati in occasione della scorsa giornata internazionale «tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili», il numero delle ragazze vittime di questa pratica, che mette in serio pericolo la loro vita, è diminuito e l'adozione unanime da parte dell'assemblea generale delle Nazioni Unite della risoluzione del dicembre 2012 con la quale gli Stati membri sono stati invitati a intensificare gli impegni per la completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili ha certamente contribuito al conseguimento di questo risultato;
la questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell'azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile;
il nostro Paese ho svolto un grande ruolo, riconosciuto a livello internazionale, nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che ha fatto acquisire all'Italia un'autorevolezza internazionale tale da consentirgli di svolgerne uno altrettanto importante nella prevenzione ed eliminazione dei CEFM;
il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles il 4 e 5 giugno 2014, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, porre fine a tutte le forme di discriminazione e di violenza contro donne e ragazze, porre fine ai matrimoni di minori, precoci e forzati e promuovere la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze,
impegna il Governo:
a farsi parte diligente per procedere alla negoziazione della prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati in occasione della 69a sessione dell'assemblea generale delle Nazioni Unite;
a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale la campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine con l'impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all'abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati.
(1-00553) «Locatelli, Di Salvo, Quartapelle Procopio, Amato, Zampa, Spadoni, Tinagli, Di Lello, Di Gioia, Marzano, Pastorelli, Bergamini, Tidei, Venittelli, Carocci, Gribaudo, Iori, Ventricelli, Albanella, Rocchi, Gadda, Maestri, Mongiello, Gebhard, Piazzoni, Chaouki, Piccione, Malpezzi, Villecco Calipari, Galgano, Sbrollini, Gullo, Palma, Vezzali, Cimbro, Fabbri».
La Camera,
premesso che:
il fenomeno dei rifugiati e richiedenti asilo in Europa – a causa dei drammatici conflitti e delle violenze che stanno investendo l'area mediterranea e, più in generale, il continente africano – sta assumendo dimensioni terribili. Secondo il rapporto di Eurostat sul primo trimestre del 2014, le persone che, tra gennaio e marzo, hanno chiesto asilo sul territorio dei 28 Paesi dell'Unione europea sono state circa 108.300, quasi 25.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2013, con un aumento del 30 per cento; in particolare, l'Italia ha ricevuto 10.700 domande, risalendo così al quarto posto tra i Paesi dell'Unione europea come meta dei richiedenti asilo. Tra i Paesi di provenienza, la Siria continua ad occupare il primo posto (16.770), seguita da Afghanistan (7.895) e Serbia (5.960);
il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte dei trafficanti, negli anni, è considerevolmente aumentato (in generale, dal 2000 al 2013, sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra: in media più di 1.600 l'anno);
nonostante lo straordinario impegno del Governo italiano con l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum, che ha salvato migliaia di vite umane, i drammi e le violazioni dei diritti umani continuano a perpetrarsi;
la gestione dell'accoglienza, dell'identificazione e dell'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato;
la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che con il Trattato di Lisbona ha acquisito la stessa portata e rilevanza giuridica del Trattato stesso: riconosce e garantisce il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal Protocollo del 31 gennaio 1967 sullo status dei rifugiati, e a norma del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 18); vieta le espulsioni collettive e le espulsioni ed estradizioni verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 19);
le richieste di asilo nei Paesi dell'Unione europea sono disciplinate dal regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cosiddetto regolamento «Dublino III»), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide;
il regolamento «Dublino III» intende assicurare il pieno rispetto del diritto d'asilo garantito dall'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della Carta medesima (diritto alla dignità umana, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, rispetto della vita privata e familiare, diritto del bambino e diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale);
l'obiettivo del regolamento «Dublino III» è quello di realizzare un sistema di asilo europeo basato su criteri omogenei di riconoscimento del diritto d'asilo dei richiedenti, sul rispetto dei diritti umani nei Paesi d'accoglienza e sulla solidarietà tra gli Stati membri e di consentire la rapida determinazione ed identificazione dello Stato membro competente al fine di garantire l'effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale, non pregiudicando l'obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale;
nei fatti, l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti;
tra le principali criticità vi è la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati, delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
come rilevato da alcune agenzie di protezione dei rifugiati, tra cui l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, alcune disposizioni del regolamento «Dublino III», in particolare quelle relative alle procedure da adottare per la presa in carico dei minori non accompagnati, stanno determinando seri problemi di interpretazione e di implementazione;
come rilevato da un report dell'Aida 2013, la regolamentazione sta diventando sempre più complicata e complessa e le garanzie a favore dei migranti (nell'espletamento della procedura di richiesta), tra cui il diritto all'assistenza legale, si stanno via via indebolendo;
a più riprese l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, da sempre particolarmente attenta al tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo e, in generale, del rispetto dei diritti umani dei più deboli, ha raccomandato, da ultimo nella risoluzione 2047 (2014), una profonda revisione del suddetto regolamento;
il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2014, nel definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per gli anni a venire, ha chiesto alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri: di dotarsi di una politica efficace in materia di migrazione, asilo e frontiere, guidata dai principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità; di recepire ed attuare efficacemente, quale priorità assoluta, il sistema europeo comune di asilo (Ceas), adottando norme comuni di livello elevato e istituendo una maggiore cooperazione per creare condizioni di parità che assicurino ai richiedenti asilo le stesse garanzie di carattere procedurale e la stessa protezione in tutta l'Unione europea; di rafforzare il ruolo svolto dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo), in particolare promuovendo l'applicazione uniforme dell’acquis; di intensificare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, anche attraverso l'assistenza volta a rafforzare le loro capacità di gestione della migrazione e delle frontiere; di potenziare ed espandere i programmi di protezione regionale, in particolare nelle vicinanze delle regioni di origine;
in considerazione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, è opportuno che il nostro Paese ponga la necessità di mettere al centro dell'agenda europea la definizione di una politica solida e condivisa, improntata su solidarietà e responsabilità, in materia di immigrazione e diritto d'asilo,
impegna il Governo:
a proporre nelle competenti sedi europee la necessità di una revisione del regolamento «Dublino III», che ponga al centro:
a) il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un ambiente più favorevole a una loro accoglienza, compatibilmente con le possibilità dei Paesi ospitanti, e di provvedere efficacemente a una loro identificazione per evitare che finiscano vittime del traffico clandestino, fornendo loro un'adeguata assistenza;
b) un omogeneo sistema europeo che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni e il coordinamento nella raccolta delle domande dei richiedenti, anche al di fuori del territorio dei Paesi membri e in collaborazione con l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per permettere agli aventi diritto di raggiungere i Paesi di accoglienza in modo sicuro e prevenire ogni abuso del sistema con la presentazione di domande di asilo multiple da parte di una sola persona;
c) un sistema europeo di accoglienza che si basi sulla solidarietà tra i Paesi membri e che distribuisca la presenza dei rifugiati per quote definite sulla base degli indici demografici ed economici;
d) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, tale da garantire la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato membro, per cui il riconoscimento della protezione internazionale ad un richiedente asilo all'interno di un determinato Stato sia valido nell'intero territorio dell'Unione europea, considerato che tale sistema, che presuppone la responsabilità condivisa di un piano comune europeo di protezione temporanea e di riconoscimento dell'asilo, risulta prodromico all'istituzione del sistema europeo di accoglienza;
e) l'istituzione di un'agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione al di fuori del territorio dell'Unione europea, favorendo l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati, in grado di gestire le domande di protezione internazionale e di contenere il numero dei flussi migratori indistinti.
(1-00603) «Nicoletti, Speranza, Berlinghieri, Amendola, Giuseppe Guerini, Quartapelle Procopio, Campana, Beni, Fiano, Monaco, Chaouki, Moscatt, Iacono, Scuvera, Piazzoni, Migliore, Bruno Bossio, Mattiello, Fabbri, Amoddio, Malisani, Brandolin».
La Camera,
premesso che:
come rilevato a più riprese anche da parte dei più alti vertici istituzionali, tra le incompiutezze dell'unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni è il divario tra Nord e Sud e dunque la condizione del Mezzogiorno, che si colloca al centro delle preoccupazioni e responsabilità nazionali. Rispetto a questa questione, che tarda a ricevere risposte adeguate, pesa certamente l'esperienza dei tentativi e degli sforzi portati avanti a più riprese nei decenni dell'Italia repubblicana e rimasti senza risultati risolutivi, ma pesa anche l'oscurarsi della consapevolezza delle potenzialità che il Mezzogiorno offre per un nuovo sviluppo complessivo del Paese e che sarebbe fatale per tutti non saper valorizzare;
purtroppo il Mezzogiorno, a pochi mesi dalla fine del 2014, è ancora il cuore del problema per la soluzione della «questione Italia»;
nelle anticipazioni del rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a luglio 2014 alla Camera dei deputati, la Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, disegna ancora una volta un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell'arretratezza;
nel 2013, infatti, il divario di prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa: 16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 del 2005. Ciò è da attribuire non tanto ai livelli di produttività dell'area, che nel periodo di crisi 2008-2013 mostrano una sostanziale stazionarietà, quanto ad una preoccupante diminuzione del tasso lordo di occupazione. Negli anni di crisi 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati quasi del 13 per cento, gli investimenti nell'industria addirittura del 53 per cento, i tassi di iscrizione all'università tornano ai primi anni 2.000 e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato al ribasso la soglia dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. Nel Mezzogiorno si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei;
in base alle valutazioni Svimez, nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, approfondendo la flessione del 2015 (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Si tratta del sesto anno consecutivo in cui il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra segno negativo. Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale è dovuto, soprattutto, ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti;
a livello regionale nel 2013 si è registrato un segno negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione del Trentino-Alto Adige (+ 1,3 per cento) e della stazionaria Toscana (0 per cento). Anche le regioni del Centro-Nord sono tornate a segnare cali significativi, come l'Emilia-Romagna (-1,5 per cento), il Piemonte (-2,6 per cento), il Veneto (-3,6 per cento), fino alla Valle d'Aosta (-4,4 per cento). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -1,8 per cento dell'Abruzzo e il -6,1 per cento della Basilicata, fanalino di coda azionale. In posizione intermedia la Campania (-2,1 per cento), la Sicilia (-2,7 per cento), il Molise (-3,2 per cento). Giù anche Sardegna (-4,4 per cento), Calabria (-5 per cento) e Puglia (-5,6 per cento). Guardando agli anni della crisi, dal 2008 al 2013, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16 per cento, accanto alla Puglia (-14,3 per cento), la Sicilia (-14,6 per cento) e la Calabria (-13,3 per cento). Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2013 pari a 18.453 euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18 mila euro in più di un calabrese;
il rapporto 2014 Svimez, commentando i dati negativi anche del Centro-Nord, ritiene che «sicuramente non è in crisi per colpa del Sud ma rischia di non uscirne finché non si affronta e non si risolve il problema del Mezzogiorno, in quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi sull'economia delle regioni centrali e settentrionali»;
le due aree del Paese sono strettamente connesse; del resto, è ampiamente testimoniato dagli andamenti demografici, il Centro-Nord continua ad attrarre significativi flussi di popolazione che si spostano dalle regioni meridionali. I dati del 2013 confermano la grave crisi demografica del Sud; nel 2013 la popolazione meridionale è calata di circa 20 mila unità a causa della ripresa delle emigrazioni verso il Centro-Nord e verso l'estero, oltre al calo delle nascite che anch'esso risulta essere particolarmente rilevante. Tra il 2001 e il 2013 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1.559.100 meridionali, a fronte di un rientro di 851 mila persone, con un saldo migratorio netto di 708 mila unità. Tali flussi migratori acquistano ancora più importanza se si pensa agli effetti che avranno sulla capacità del Sud di riprendersi e di intraprendere un nuovo percorso di sviluppo e di crescita. Si allontanano dalle regioni di origine i giovani in età riproduttiva e dotati di elevate conoscenze e competenze professionali e intellettuali, quindi le conseguenze negative si rivelano su due fronti: da una parte si pregiudica l'evoluzione demografica dell'area meridionale, dall'altro il Sud viene privato di quelle competenze indispensabili per la crescita economica;
nel 2013 il Mezzogiorno ha toccato il suo minimo storico per quanto riguarda il numero dei nati: 177 mila, il valore più basso dall'Unità d'Italia. Purtroppo il Sud perde progressivamente popolazione, anno dopo anno. La fecondità femminile si attesta a quota 1,36 figli per donna, cifra lontana dal 2,1 nati per coppia che garantirebbe la stabilità demografica. Il Centro-Nord, invece, ha visto una crescita a quota 1,46 figli per donna, grazie anche all'apporto riproduttivo elevato delle donne straniere;
per la Svimez nel 2013 la povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto al 2012 del 2,8 per cento contro lo 0,5 per cento del Centro-Nord. Anche per questo i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi, nel 2013, del 2,4 per cento, a fronte del -2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata ha sfiorato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento). Particolarmente colpiti i consumi alimentari (-14,6 per cento contro il -10,7 per cento del Centro-Nord) e le spese per vestiario e calzature, cadute del 23,7 per cento, quasi il doppio che nel resto del Paese (-13,8 per cento);
tutti i settori economici del Meridione hanno risentito della crisi, toccando il picco nel settore delle costruzioni, che ha ridotto il prodotto del 35,3 per cento contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. Nel comparto terziario la perdita è stata nel 2013 del 2,3 per cento nel Sud, a fronte di una sola leggera flessione (-0,4 per cento) al Centro-Nord. L'agricoltura perde lo 0,2 per cento al Sud, mentre il Centro-Nord guadagna +0,6 per cento; l'industria crolla del 7,6 per cento al Sud e del 3,2 per cento al Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto e ha più che dimezzato gli investimenti (-53 per cento);
«il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale – è scritto nel rapporto Svimez – con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente»;
il Fondo per lo sviluppo e la coesione ha assunto la sua denominazione in forza del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, che detta disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali. Il fondo ha la finalità di dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
in tale quadro, le risorse del fondo sono destinate al finanziamento di progetti infrastrutturali strategici – sia di carattere materiale sia di carattere immateriale – di rilievo nazionale, interregionale e regionale, che si inquadrano nell'ambito di una strategia nazionale che individua i principali interventi di interesse, in termini di miglioramento infrastrutturale, del sistema Paese, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi, funzionalmente connessi per consistenza progettuale ovvero realizzativa, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale;
l'articolazione pluriennale del fondo, coerente con quella dei fondi europei, è volta a garantire l'unitarietà e la complementarietà dei processi di programmazione e attivazione delle relative risorse, tenendo conto delle programmazioni. L'articolo 1, commi 6 e seguenti, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) ha determinato in 54,810 miliardi di euro la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020, disponendone l'iscrizione in bilancio per l'80 per cento di tale importo, pari a 43,848 miliardi di euro. La medesima disposizione, nel contempo, ha indicato la nuova chiave di riparto delle risorse tra le aree territoriali del Paese, assegnando al Mezzogiorno l'80 per cento dell'importo complessivo, per un valore iscritto in bilancio conseguentemente pari a 35,078 miliardi di euro e la restante quota, pari a 8,770 miliardi di euro, al Centro-Nord;
la norma di legge non dispone, invece, in ordine al riparto tra le amministrazioni centrali e le amministrazioni regionali, né definisce più puntualmente le quote di destinazione del fondo medesimo tra diversi ambiti tematici, salvo indicare che una quota pari al 5 per cento del fondo possa essere destinata a interventi di emergenza con finalità di sviluppo (corrispondente a 2,192 miliardi di euro);
la legge, infine, ha iscritto in bilancio, a fronte del complessivo importo, gli stanziamenti per il primo triennio, determinandoli in 50 milioni per il 2014, 500 milioni per il 2015 e 1.000 milioni per il 2016; per gli anni successivi, la quota annuale sarà determinata dalla tabella E delle singole leggi di stabilità;
il comma 8 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 ha disposto che entro il 1o marzo 2014 il Cipe avrebbe dovuto effettuare la ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate della quota relativa all'80 per cento delle risorse. Adempimento che non risulta ancora attuato;
con delibera n. 21 del 2014 è stata disposta, a valere sulla programmazione 2014-2020, una preallocazione pari a 1.143 milioni di euro, destinata alle regioni del Mezzogiorno per compensare le medesime regioni della sottrazione di disponibilità delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2007-2013, ad esse sottratte in relazione ai ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti. Le assegnazioni di legge di cui sopra e questa assegnazione assorbono la quasi totalità delle dotazioni dei fondi assegnati in bilancio nel triennio;
i contratti istituzionali di sviluppo sono stati introdotti dall'articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, quale strumento generale di attuazione della programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 e sono stati utilizzati anticipatamente anche nella programmazione in corso (2007-2013), in forza della delibera del Cipe n. 1 dell'11 gennaio 2011. Destinati a regolare i rapporti tra le amministrazioni centrali (con poteri di coordinamento attribuiti all'autorità politica delegata per la coesione territoriale), le regioni e i grandi concessionari nazionali (Ferrovie dello Stato italiane-Rete ferroviaria italiana ed Anas), per la realizzazione di grandi infrastrutture di rilievo strategico, essi stabiliscono: tempi e modalità di attuazione, impegni reciproci per garantire il rispetto del cronoprogramma, sanzioni e poteri sostitutivi per le ipotesi di inadempienza;
la normativa impone che i contratti istituzionali di sviluppo siano sottoscritti, per la parte pubblica, dalle autorità politiche (Ministri e presidenti di regione), in uno con apposite intese preliminari. Nell'esperienza sin qui fatta, l'intesa che ha preceduto ciascun contratto istituzionale di sviluppo è stata sottoscritto dai Ministri per la coesione territoriale, dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre i contratti istituzionali di sviluppo veri e propri (articolato e allegati tecnici) sono stati firmati da: Ministro per la coesione territoriale, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, presidenti di regione (di volta in volta interessati) e concessionari nazionali (Ferrovie dello Stato italiane-Rete ferroviaria italiana, per le ferrovie; Anas, per le strade);
allo stato, sono stati sottoscritti 4 contratti istituzionali di sviluppo, previsti dalla delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011: tre per opere ferroviarie (Napoli-Bari-Lecce-Taranto; Salerno-Reggio Calabria e Messina-Catanai-Palermo) ed uno per un'infrastruttura stradale (Sassari-Olbia). Soltanto per la «Salerno-Reggio Calabria» (ferroviaria) e la «strada statale Sassari-Olbia» (stradale) il fabbisogno finanziario risulta integralmente coperto;
il 2 agosto 2012 il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni Campania, Basilicata e Puglia, Ferrovie dello Stato italiane e Rete ferroviaria italiana hanno sottoscritto il contratto istituzionale di sviluppo, che riguarda l'esecuzione di lavori sull'intera tratta ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto, il cui costo è pari a 7.116 milioni di euro per 22 interventi. Le disponibilità ammontano a 3.532 milioni di euro,
impegna il Governo:
ad affrontare con determinazione tutte le problematiche rilevate nel Mezzogiorno e ad assumere ogni opportuna iniziativa per porre in essere azioni incisive di politica economica per sostenere e rilanciare la crescita e l'occupazione del Sud dell'Italia, che appare evidente essere l'unica strada concreta per una vera ripresa che interessi tutta l'Italia;
ad assicurare con assoluta tempestività un congruo stanziamento che permetta di completare il finanziamento necessario a realizzare il contratto istituzionale di sviluppo che riguarda l'intera tratta ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto;
a sollecitare la rapida adozione da parte del Cipe della ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate delle risorse aggiuntive del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
(1-00609)
(Nuova formulazione) «Pisicchio, Catalano, Tacconi».
La Camera,
premesso che:
tra le varie forme di violenza e discriminazione vi sono sovente attacchi alla donna. Suscita allarme il fatto che gli episodi di abuso e violenza contro le donne siano in perdurante crescita, nonostante siano state introdotte fondamentali leggi, come quella per il contrasto della violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) o la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione di Istanbul; in particolare, occorre rilevare che l'articolo 7 della suddetta Convenzione prevede che lo Stato ratificante adotti misure legislative, e di altro tipo, necessarie per predisporre e attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, comprendenti tutte le misure adeguate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza che rientri nel campo di applicazione della predetta Convenzione ed a fornire una risposta globale al problema della violenza contro le donne. In buona sostanza, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane tali da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne, essendo altresì tenuti ad istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo in quanto previste della Convenzione medesima;
fatta questa dovuta premessa appare chiaro che il terreno di coltura della violenza e del sopruso affondi le radici sul piano culturale e alla luce di ciò vada pertanto aggredito e sconfitto attraverso la definitiva emancipazione della donna in tutti gli ambiti del vivere comune e sociale, con specifico riferimento non solo alla famiglia, ma anche e sopratutto al lavoro. Le pari opportunità nel mondo del lavoro costituiscono, tra le altre cose, l’humus necessario a contrastare ogni forma di violenza a danno della donna, in quanto trattasi di violenza psicologica finalizzata alla subordinazione e alla prevaricazione, che nella maggior parte dei casi costituisce l'incubatore della violenza fisica vera e propria;
si tenga conto che la violenza psicologica a danno della donna attecchisce in primis in ambito familiare con comportamenti del partner, solitamente l'uomo, caratterizzati da una sottile, ripetuta e perversa forma di violenza, appunto, psicologica, che, protratta nel tempo, tende ad annullare la personalità della vittima sino al suo annientamento; si tratta di una fattispecie poco esplorata sia dalla sociologia che dalla giurisprudenza, a cui non si è prestata sufficiente attenzione, ma che riveste, sotto il profilo della incidenza sociale, significativo rilievo e che deve essere urgentemente affrontata con tutti i mezzi a disposizione. Di più, tale tipologia di violenza si interseca con quella perpetrata sui luoghi di lavoro dove la figura della donna appare ancora in molti casi posta in una posizione di fragilità e/o subordinazione rispetto all'uomo. La normativa giuslavoristica non pare sia riuscita ad oggi a valicare i vari problemi legati alle ipotesi di mobbing, talora basate sul ricatto, che ruotano attorno alla figura femminile e sarebbe pertanto opportuno determinare delle fattispecie normative ad hoc, tanto in relazione alla violenza psicologica endofamiliare quanto rispetto a quella che si perpetra nei luoghi di lavoro; anche sulla base dei sopraddetti retaggi sociologici e culturali, proliferano le criticità legate alle opportunità occupazionali nell'universo femminile che risultano palesemente più limitate rispetto a quelle offerte alle figure maschili. Si consideri che in Italia sono donne soltanto il 6,5 per cento degli ambasciatori, il 31,3 per cento dei prefetti, il 14,6 per cento dei primari, il 20,3 per cento dei professori ordinari e – nei ministeri – il 33,8 per cento dei dirigenti di prima fascia. Sempre in Italia, più di 5 donne su 10 sono senza reddito da lavoro e, per quelle che il reddito lo hanno, la retribuzione media pro capite (calcolata tra impiegate e operaie) si ferma sotto i 25 mila euro annui, mentre quella di un uomo sfonda il tetto dei 31 mila euro. Peraltro, ostacoli e pregiudizi, talora inconsapevoli, condizionano le scelte formative delle ragazze e, di conseguenza, il loro inserimento nel mercato del lavoro. Pure la ricerca di un lavoro coerente con il proprio percorso di studi è molto più ardua per le donne: a fronte di un 18 per cento dei maschi che non ha trovato un impiego coerente con il proprio ambito di studi, la percentuale sale di oltre dieci punti percentuali nel caso delle donne. V’è da sottolineare che gli indirizzi scolastici universitari privilegiati dalle donne risultano essere spesso disallineati rispetto alle opportunità offerte dal mondo del lavoro. Un problema serio è anche quello relativo all'orientamento scolastico e universitario laddove gli indirizzi scolastici e universitari privilegiati dalle donne presentano tassi di occupazione ridotti e salari modesti (circa 1.200 euro netti al mese a 5 anni dalla laurea), mentre solo il 20-30 per cento opta per una formazione tecnico scientifica (1.500 euro netti mensili a 5 anni dalla laurea) che attualmente schiude in misura maggiore le opportunità occupazionali;
in questo quadro, già di per sé tutt'altro che confortante, si inseriscono discriminazioni nelle discriminazioni che colpiscono le donne residenti nel Sud d'Italia: basti pensare che quasi la metà (il 48 per cento) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà. Nel Meridione e nelle Isole il 50 per cento delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili), il reddito medio delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 73 per cento di quello delle famiglie residenti al Nord. Da varie indagini si evince che la situazione lavorativa del Sud Italia è molto più difficile rispetto a quella del Centro e del Nord Italia, sia dal punto di vista occupazionale sia da quello retributivo; in particolare, si registra un elevato differenziale tra la disoccupazione del Sud e del Nord, un aumento del flusso migratorio dalle regioni del Sud verso Nord ed una significativa disparità retributiva, atteso che, per chi lavorava al Nord, la retribuzione risulta superiore dell'8,2 per cento rispetto a chi lavorava nel Meridione;
ancora con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile, con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese; i dati illustrati nel rapporto Save the children del 2012 evidenziano che, già nel biennio 2008-2010, l'occupazione femminile è fortemente diminuita a fronte di un incremento dell'occupazione non qualificata rispetto a quella qualificata; in particolare:
a) il dato dell'occupazione delle donne e mamme nel 2010 si attesta al 50,6 per cento per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1 per cento – ma scende al 45,5 per cento già al primo figlio (di età inferiore ai 15 anni), per perdere quasi 10 punti (35,9 per cento) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3 per cento nel caso di 3 o più figli;
b) se l'interruzione del rapporto di lavoro per nascita di un figlio è tra le ragioni principali della fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne, bisogna considerare che spesso non si tratta di una loro libera scelta: nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all'odioso strumento delle «dimissioni in bianco»;
c) le interruzioni del lavoro poste in essere in concomitanza della nascita di un figlio, che erano il 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009, diventando l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro;
i predetti allarmanti dati trovano triste continuità nei recenti dati forniti da Istat e riferiti al primo trimestre del 2014, che confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento, quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento. Oltre al dato disoccupazionale deve considerarsi un'altra anomalia della partecipazione delle donne al mercato del lavoro ovvero la presenza di una forte segregazione orizzontale. Da un'indagine condotta dall'Isfol nel 2012, recante «Analisi di genere del mercato del lavoro», risulta che le donne sono presenti massicciamente in specifici settori di servizi ritenuti «naturalmente femminili», che le confinano nelle qualifiche contrattuali più basse oltretutto con tipologie contrattuali non standard, quali il contratto a termine, l'associazione in partecipazione e la collaborazione continuata e continuativa. Inoltre, l'elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta effetti di medio periodo differenti tra lavoratore e lavoratrice, in termini di prospettive di «stabilizzazione». L'Isfol rileva, difatti, che, tra gli uomini che nel 2008 avevano un contratto di lavoro atipico, il 59,4 per cento dopo due anni ha visto una trasformazione in contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, mentre lo stesso fenomeno ha riguardato solo il 48,4 per cento delle donne. La cosiddetta trappola dell'atipicità risulta più gravosa per le donne che per gli uomini. Sempre l'Isfol sottolinea che le cause della disoccupazione femminile risiedono, oltre che in una diseguale divisione tra i partner dei carichi di lavoro familiari, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia, oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto; in questo contesto di evidente criticità, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a rimuovere gli ostacoli strutturali alla realizzazione di pari opportunità e di effettiva conciliazione tra cura della famiglia e lavoro, ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
in ordine alle politiche di incentivo alle assunzioni – ivi comprese quelle delle donne – le misure introdotte dalla cosiddetta riforma Giovannini si sono rivelate fallimentari, a causa delle notevoli restrizioni agli sgravi fiscali previsti, che ne hanno, di fatto, reso impossibile l'utilizzo; anche il successivo intervento dell'attuale Governo, messo a punto con l'iniziativa «Garanzia giovani», non appare una misura adeguata in relazione a quelle che sono le allarmanti esigenze relative all'occupazione e all'inserimento delle donne nel mondo del lavoro: oltre ad una scarsa informazione sul contenuto dei piani attuativi regionali e sulla data di avvio del programma, va detto che l'offerta di posti di lavoro è disomogenea, frammentata e disorganica, in quanto ogni regione decide, in autonomia ed in base allo stanziamento di sua competenza, quali azioni finanziare tra quelle previste dal piano nazionale, inoltre appare molto ridotto il numero di sportelli, a disposizione dell'utenza, nelle regioni meridionali. Sul piano del diritto sostanziale, le modifiche introdotte dal Jobs act sulla disciplina del contratto a termine reso «acasuale» hanno solo incrementato il lavoro precario ed introdotto minori garanzie in caso di interruzione del rapporto per maternità: la flessibilità così concepita è unicamente finalizzata ad incrementare le performance aziendali e non tiene conto delle esigenze delle lavoratrici madri;
le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto di tagli che hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno e centri di assistenza di supporto alle donne e alle mamme. Tale perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia reca effetti negativi sull'occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
a fronte del quadro descritto, non sembra che abbia fornito risposte risolutive la misura del voucher, prevista dalla cosiddetta riforma Fornero, ovvero la possibilità per le madri lavoratrici di utilizzare, in alternativa al congedo parentale, «buoni» per l'acquisto di servizi di baby sitting per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati; lo strumento del voucher non è risultato in grado di compensare la diminuzione di offerta di servizi pubblici oggi in atto in considerazione dell'esiguità delle risorse stanziate, pari a soli venti milioni di euro l'anno, della farraginosità della procedura di assegnazione del «buono» e della circostanza che si tratta di un intervento sperimentale, destinato a concludersi nel 2015, non promosso a sufficienza;
questa assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporranno ancora più carico di lavoro alle donne «anziane», che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato; le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali ed idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto, in maniera tale da aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro ed eliminare i descritti divari di genere;
il Jobs act contiene cinque deleghe che spaziano dalla revisione degli ammortizzatori sociali, alle politiche attive, alla semplificazione nella gestione dei contratti, al riordino delle forme contrattuali, alle tutele per la maternità: è questa la sede per introdurre in via definitiva concrete misure di promozione dell'occupazione femminile, anche attraverso nuovi strumenti di conciliazione tra attività di cura e lavoro, tra le misure «flessibili», in funzione conciliativa delle esigenze delle lavoratrici, non potranno non considerarsi le opportunità che riserva il telelavoro, il quale, grazie all'uso della tecnologia, permette un elevato grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi e nei tempi. L'invocata flessibilità, finalizzata alla conciliazione dei bisogni familiari con i tempi di lavoro, deve riguardare anche l'attuale disciplina del congedo obbligatorio, introducendo la possibilità di utilizzare i congedi a tempo pieno per un certo numero di mesi e per la parte restante in modalità a tempo parziale, affinché si pervenga ad un bilanciamento tra l'esigenza della lavoratrice di conservare il proprio patrimonio professionale, evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e la volontà di dedicarsi ai figli per una certa parte della giornata o della settimana. Bisogna, altresì, provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome, così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
a ciò deve affiancarsi il rafforzamento di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
in questo quadro desolante, nonostante gli impegni sottoscritti dall'Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il perdurare di situazioni di discriminazione e disuguaglianza originate da un'ampia gamma di motivi, i descritti divari di genere che penalizzano le donne sul mercato del lavoro, il Governo non ha nominato un Ministro delle pari opportunità e le deleghe sono rimaste nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre invece «le funzioni di indirizzo politico-amministrativo concernenti le competenze istituzionali relative alle direzioni generali per le politiche dei servizi per il lavoro, ivi comprese le attività di promozione delle pari opportunità» necessitano di un impulso e di un'azione che non può che essere propria di un apposito Ministro. La complessità e l'attualità delle problematiche emarginate, oltreché il rilievo istituzionale e sociale che esse posseggono, devono essere urgentemente rimesse all'attenzione di un Ministro appositamente dedicato, ovvero ad una figura che ne abbia le deleghe: perché discriminazioni ed ostacoli di fatto alla parità di opportunità sono ancora ampiamente presenti;
perché la partecipazione al processo di integrazione comunitaria impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Unione europea. Inoltre, l'effettività della tutela contro le discriminazioni poggia sulla corretta intelaiatura istituzionale opportunamente individuata dal legislatore allo scopo di sostenere e realizzare le politiche di pari opportunità. Le istituzioni rilevanti in tale settore sono identificabili nel Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità (articoli 8-11 del decreto legislativo n. 198 del 2006) e nei consiglieri di parità, nazionale, regionali e provinciali, disciplinati dagli articoli 12-19 del decreto legislativo n. 198 del 2006; in particolare, con il decreto legislativo n. 196 del 2000 si è cercato di rafforzare il ruolo dei consiglieri di parità attraverso la delega di molteplici funzioni in tale materia, nonché grazie all'istituzione di un fondo nazionale destinato a finanziare anche le spese per il funzionamento e le attività della rete nazionale dei consiglieri di parità;
tuttavia, l'aggravarsi della condizione della situazione occupazionale, specie con riferimento alla presenza delle donne nel mercato del lavoro, richiede un'ottimizzazione del lavoro e del contributo prodotto, in ambito nazionale, dalla Consigliera nazionale di parità e dalle consigliere presenti nei territori, anche attraverso un'attività di razionalizzazione, indirizzo e coordinamento degli organismi di pari opportunità e degli altri attori istituzionali, che, ciascuno per la competenza attribuita, sono chiamati ad intervenire nella materia in esame, nella specie: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comitato per l'imprenditoria femminile, le commissioni per le pari opportunità regionali e provinciali, istituite presso i consigli regionali e provinciali, il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) istituito nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall'articolo 21 della legge 4 novembre 2010, n. 183;
si sottolinea, altresì, come nel giugno 2012 sia stato approvato il primo piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria per il 2007. Per quanto riguarda le priorità, il suddetto piano individua tre aree di intervento urgente: le famiglie con minori, in particolare le famiglie numerose; le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli, e bisognose di sostegni urgenti. Le azioni previste, fra cui si ricordano la revisione dell'Isee, il potenziamento dei servizi per la prima infanzia, dei congedi e dei tempi di cura, nonché interventi sulla disabilità e non autosufficienza, devono essere adottate all'interno dei piani e programmi regionali e locali per la famiglia, secondo le risorse disponibili,
impegna il Governo:
a prevedere un coordinamento operativo a livello centrale e nazionale, al fine di una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi nazionali e territoriali preposti, a vario titolo, al monitoraggio delle politiche di pari opportunità e alla rimozione delle discriminazioni e degli ostacoli che minano l'effettiva realizzazione della parità di genere;
ad assumere ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare le molteplici forme di diseguaglianza, con particolare riguardo a quelle che si presentano tra cittadini del Nord e cittadini del Sud Italia, che risultano in sensibile aumento per effetto della crisi economica in atto e che si riverberano in misura amplificata sulle donne;
ad assumere, in tempi rapidi, ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare la violenza psicologica endofamiliare e quella sul posto di lavoro, anche attraverso l'individuazione di fattispecie di reato ad hoc;
ad introdurre nuove e concrete politiche per la conciliazione tra la cura della famiglia e l'attività lavorativa, incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, il lavoro autonomo e imprenditoriale, introducendo la possibilità di un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi unitamente alla previsione di sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona;
ad adottare iniziative volte a incoraggiare le donne a scegliere professioni «non tradizionali», per esempio in settori verdi e innovativi;
ad adottare iniziative volte allo sviluppo dell'autoimprenditorialità femminile, con particolare riferimento all'agevolazione dell'accesso al credito;
a fornire la relazione dettagliata dei dati relativi ai rapporti prodotti dal Gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto interdipartimentale (Dipartimenti della Funzione pubblica e delle Pari Opportunità) del 18 aprile 2012, illustrando, più in generale, gli eventuali risultati prodotti e i conseguenti miglioramenti delle condizioni lavorative, nonché l'andamento delle attività in corso, a distanza di tre anni dalla costituzione dei C.U.G.;
a porre in essere opportune attività di adeguamento della normativa nazionale, ottemperando così agli impegni assunti in sede comunitaria, con particolare riferimento all'implementazione della Direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa UE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE).
(1-00611)
(Nuova formulazione). «Mucci, Rostellato, Di Vita, Rizzetto, Bechis, Chimienti, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Prodani, Spadoni, Da Villa, Vallascas, Baldassarre, Mannino, Grillo».
La Camera,
premesso che:
il consolidamento e l'affermazione della cultura di parità, delle pari opportunità e dei diritti delle donne sono entrati, negli ultimi anni, di diritto tra le priorità e tra gli obiettivi strategici per l'azione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali ed europee, affermandosi come importante principio trasversale delle politiche pubbliche;
nel marzo 2011 il Consiglio diritti umani ha approvato all'unanimità la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla educazione ai diritti umani: un risultato di grande rilievo, per il quale l'Italia ha svolto un ruolo propulsore di primo piano. La dichiarazione costituisce un riferimento importante, poiché fissa in modo chiaro le definizioni, i principi, gli strumenti e gli obiettivi dell'educazione ai diritti umani: il precipitare degli eventi nel quadro internazionale al quale si sta assistendo richiama però, con forza, a rimettere al centro della discussione pubblica, anche in occasione del semestre europeo, la necessità che il nostro Paese si faccia promotore dello sviluppo, da parte dell'Unione europea, di una strategia complessiva sui diritti umani, strategia che può essere meglio applicata attraverso l'azione sinergica di tutti gli attori dell'Unione europea;
il Consiglio dell'Unione europea, in attuazione della strategia comunitaria «Europa 2020», ha approvato, il 21 ottobre 2010, il cosiddetto «pacchetto occupazione» (decisione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, 2010/707/UE), con il quale l'Unione europea invita gli Stati membri ad adottare misure in grado di «aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmentazione, l'inattività e la disuguaglianza di genere, riducendo nel contempo la disoccupazione strutturale»;
il Parlamento europeo, il 19 febbraio 2013, ha inoltre approvato una risoluzione sull'impatto della crisi economica sull'uguaglianza di genere e i diritti della donna (2012/2301(INI)), con la quale si invitano gli Stati membri ad «esaminare con grande serietà la dimensione della parità di genere» nel «gestire la crisi e nell'elaborare soluzioni», nonché «a rivedere e a focalizzarsi sull'impatto immediato e a lungo termine della crisi economica sulle donne, esaminando in particolare se, e in che modo, essa accentua le disuguaglianze di genere esistenti e le relative conseguenze»;
la risoluzione del Parlamento europeo mette, inoltre, in evidenza il doppio impatto negativo che la crisi sta producendo sulle donne europee: un effetto «diretto», «con la perdita del posto di lavoro, i tagli salariali o la precarizzazione del lavoro» ed un effetto «indiretto», quale conseguenza «dei tagli di bilancio ai servizi pubblici e agli aiuti sociali»;
il 5 marzo 2010 la Commissione europea ha presentato la «Carta delle donne», un documento con il quale rafforza il suo impegno a favore della parità fra uomini e donne entro i successivi cinque anni;
è necessario registrare e apprezzare un cambiamento che, nel nostro Paese, ha visto le donne protagoniste di significativi passi in avanti in termini di una sempre maggiore presenza nelle istituzioni, nella vita economica e in quella sociale e politica: tale partecipazione, pur offrendo uno straordinario contributo alla crescita del Paese, è ancora, però, distante dagli obiettivi europei;
è per questo che appare fondamentale e strategico «approfittare» di questo movimento positivo per contrassegnare il semestre europeo a Presidenza italiana come centrale per il tema della parità e dell'occupazione femminile;
il programma della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea prevede, infatti, in materia di pari opportunità, in vista del XX anniversario dell'adozione della Dichiarazione di Pechino e della relativa piattaforma d'azione, una valutazione approfondita dell'attuazione dal 2010 del lavoro volto a conseguire gli obiettivi nelle dodici «aree critiche» della piattaforma d'azione, nel contesto delle priorità e degli obiettivi politici dell'Unione europea, al fine di presentare una situazione aggiornata e indicare i risultati, le lacune e le sfide future per ciascun settore a livello sia europeo che nazionale: da tale valutazione dovrebbero derivare raccomandazioni per ulteriori azioni volte a promuovere la parità di genere nell'Unione europea, che serviranno come base utile per la definizione degli obiettivi per lo sviluppo post-2015;
per affrontare l'impegnativa sfida ad incrementare l'occupazione femminile è necessaria una valutazione attenta dell'impatto che la crisi economica e sociale in atto sta producendo sulla situazione occupazionale e sulla qualità della vita delle donne italiane: è da tempo noto, infatti, che il sistema economico italiano è caratterizzato da un basso grado di coinvolgimento della popolazione femminile in età attiva nel mercato del lavoro, un dato molto distante da quello dei Paesi dell'Unione europea comparabili all'Italia per livello di sviluppo economico, e gli effetti prodotti dall'andamento marcatamente negativo del ciclo economico, guidato dalla caduta della domanda, si sono riflessi in un peggioramento diffuso delle grandezze più rilevanti del mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione ha toccato il 12,6, con un incremento dello 0,5 per cento nei 12 mesi, e si sono anche fortemente ridotte le possibilità quantitative e qualitative di accesso al mercato del lavoro per gli inattivi, in larga parte giovani e donne;
secondo il Global gender gap report 2013 stilato dal World economic forum, l'Italia si attesterebbe al 71esimo posto per quanto riguarda la partirà di genere: tale graduatoria, stilata ogni anno, valuta la disparità di genere di ogni Paese in base a quattro criteri principali: partecipazione economica, livello di istruzione, politiche di empowerment e rappresentanza nelle strutture decisionali, salute e sopravvivenza. L'Italia, sebbene abbia ottenuto un miglioramento rispetto al 2012, si attesta ad un livello inferiore rispetto ai principali Paesi europei, come Germania, Francia, Inghilterra ed altri;
il rapporto 2014 dell'Istat, pubblicato a marzo 2014, inoltre, ha restituito una fotografia a dir poco inquietante dello stato dell'occupazione femminile in Italia: i dati riportati sono, infatti, decisamente allarmanti. Nel 2013 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,5 per cento, segnando un ulteriore calo rispetto al dato 2012 (47,1 per cento), contro il 58,7 per cento della media Ue28 (59,8 Ue15). Il 2013, a differenza della ripresa dell'occupazione femminile registrata nel 2012 rispetto al 2011, evidenzia un calo dell'1,4 per cento rispetto al 2012;
il tasso di occupazione delle madri è pari al 54,3 per cento, mentre sale al 68,8 per cento per le donne in coppia senza figli. Particolarmente accentuati sono i divari territoriali: nel Mezzogiorno le madri occupate sono il 35,3 per cento contro il 66,4 per cento del Nord e il 61,5 del Centro;
seppure sia stata rilevata una lieve crescita del tasso complessivo di occupazione femminile, il dato suggerisce preoccupanti dinamiche negative, quali fenomeni di isolamento professionale, incremento di posizioni a bassa qualifica, una ricomposizione a favore di età più anziane quale conseguenza delle riforme pensionistiche: la quota di donne occupate in Italia rimane ancora di gran lunga inferiore a quella dell'Unione europea, si concentra in poche professioni e si associa a fenomeni di sovraistruzione crescenti e più accentuati rispetto agli uomini, anche l'aumento dell'offerta di lavoro femminile che si sta producendo nel periodo più recente è, più che un cambiamento profondo dei modelli di partecipazione, il risultato di nuove e diffuse strategie familiari volte ad affrontare le difficoltà economiche indotte dalla crisi;
sia dal rapporto Istat 2014 che dal rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) 2014 presentato il 26 giugno 2014, emergono le gravi difficoltà di conciliazione che incontrano le donne, in particolare quelle che continuano a lavorare dopo il parto, così come le laureate, le donne in età più avanzata, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste: la quantità di ore di lavoro, la presenza di turni o di orari disagiati (pomeridiano o serale o nel fine settimana) e la rigidità dell'orario sono indicati da più di un terzo delle occupate come gli ostacoli prevalenti alla conciliazione. Per le donne meno istruite risulta un impedimento anche l'eccessiva fatica fisica, mentre sulle più istruite gravano anche l'eccessiva distanza da casa, l'elevato coinvolgimento e le frequenti riunioni o trasferte. La disponibilità di persone o servizi cui affidare i bambini è un requisito imprescindibile per entrare o restare occupate. Le lavoratrici con figli di circa 2 anni si avvalgono principalmente dell'aiuto dei nonni (poco più della metà nel 2005 e nel 2012) o ricorrono al nido, pubblico o privato, con un deciso incremento rispetto al 2005 (35,2 per cento, contro il 27,4 per cento);
inoltre, nel 2013, le famiglie sostenute da una sola fonte di reddito da lavoro (famiglie monoreddito) sono in tutto 7 milioni 311 mila (+11,7 per cento rispetto al 2008; di cui 50 mila in più nell'ultimo anno). Nel 2013, quelle sostenute dal solo reddito femminile sono il 12,2 per cento, contro il 9,4 per cento del 2008. Sebbene in due casi su tre l'unico reddito da lavoro provenga ancora da un uomo, nell'ultimo quinquennio la crescita delle famiglie con un solo occupato è imputabile quasi esclusivamente all'aumento delle famiglie in cui l'unica persona occupata è una donna;
dall'inizio della crisi economica e finanziaria, il ritmo di crescita dell'occupazione femminile nelle professioni non qualificate è più che doppio rispetto a quello degli uomini e più che triplo nell'ambito delle professioni che riguardano le attività commerciali e i servizi: le professioni a cui hanno accesso sono, soprattutto, quelle di commesse alla vendita al minuto, colf e segretarie (1 milione 737 mila unità, 18 per cento del totale dell'occupazione femminile);
il nostro Paese risulta tra quelli maggiormente segnati da tale «doppio impatto negativo», soprattutto con riferimento alle ripercussioni della riduzione della spesa per i servizi alla persona: solo il 12,7 per cento circa dei bambini italiani frequenta gli asili nido (a fronte di una media superiore al 40 per cento di Belgio, Norvegia, Danimarca, Svezia, Francia, Paesi Bassi); la percentuale di donne che dichiara di lavorare part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari risulta del 33 per cento contro una media Ocse del 24 per cento (dati Ocde); il 40,8 per cento delle lavoratrici donne dichiara di aver abbandonato il lavoro dopo la nascita del primogenito, mentre il 5,6 per cento ammette di aver rinunciato alla propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia o alla cura di parenti non autosufficienti (dati Isfol);
va considerata, inoltre, un'elevata sperequazione salariale legata alla differenza di genere: in media, la retribuzione netta mensile delle dipendenti resta inferiore di circa il 20 per cento di quella degli uomini (nel 2012, 1.103 contro 1.396 euro). In una carriera spesso contraddistinta, oltre che dalla maggiore presenza dei fenomeni di sovraistruzione, anche da episodi di discontinuità dovuti alla nascita dei figli, il differenziale salariale a sfavore delle donne aumenta con l'età, soprattutto per le laureate, svantaggio che si riduce solo nei casi di istruzione post laurea fino a rendere la differenza retributiva tra donne e uomini non più significativa;
il riconoscimento della parità di genere non è solo una questione diritti, ma soprattutto un investimento per il sistema Paese: l'occupazione femminile rappresenta un fattore produttivo che può fortemente contribuire alla crescita e allo sviluppo economico del Paese. Infatti, le ultime proiezioni della Banca d'Italia confermano che se fosse possibile aumentare il tasso di occupazione femminile al 60 per cento ciò comporterebbe un aumento del 9,2 per cento del prodotto interno lordo, a produttività invariata, e del 6,5 per cento se si considera l'effetto depressivo sulla produttività (minore qualificazione forza lavoro, rendimenti decrescenti): sulla stessa linea sono i dati pubblicati da Goldman Sachs, che evidenziano come il raggiungimento della parità di genere porterebbe a un aumento del prodotto interno lordo del 13 per cento nell'Eurozona e del 22 per cento in Italia; nella relazione della Commissione europea, pubblicata ad aprile 2012, sulla parità di genere, si asserisce che un maturo progresso verso la parità tra uomini e donne stimola la crescita economica: «per raggiungere l'obiettivo Europa 2020, di un tasso occupazionale del 75 per cento della popolazione adulta entro il 2020, i Paesi membri devono promuovere maggiormente la presenza delle donne nel mercato del lavoro. Un modo per accrescere la competitività dell'Europa consiste nel conseguire un migliore equilibrio tra uomini e donne nei posti di responsabilità in ambito economico. Vari studi hanno dimostrato che la diversità di genere apporta notevoli benefici e le aziende con una percentuale più alta di donne nei consigli di amministrazione sono più performanti rispetto a quelle guidate da soli uomini»;
è necessario che il nostro Paese si doti al più presto delle misure necessarie in materia di conciliazione familiare: asili nido, servizi per gli anziani, incentivi per lo sviluppo del settore privato dei servizi alla famiglia, promuovendo un'offerta di qualità a prezzi contenuti (il modello dei voucher sperimentato in Francia, Belgio e Regno Unito), incentivi al lavoro femminile, superamento delle discriminazioni e degli ostacoli, sia per quanto concerne l'accesso al mondo del lavoro delle donne, sia per quanto riguarda la loro crescita professionale e l'avanzamento in carriera;
con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna», venivano istituite le consigliere di parità, con qualificazione di pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni e con il ruolo esclusivo di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere nell'ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l'azione in giudizio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del medesimo codice: nel corso degli ultimi anni si è registrata una forte riduzione degli stanziamenti per il fondo nazionale destinato all'attività delle consigliere di parità;
i 27 Paesi dell'Unione europea hanno approvato, a Bruxelles il 28 giugno 2013, un pacchetto di sostegno all'economia a favore dell'occupazione giovanile, che prevede otto miliardi di euro nei prossimi sette anni, di cui sei nel solo biennio 2014-2015, in modo da offrire alle persone con meno di 25 anni un lavoro, uno stage o un periodo di apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del lavoro. La strategia è una risposta all'elevata disoccupazione di alcune regioni europee e all'emergere di partiti estremisti in numerosi Paesi membri;
l'Italia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legislazione intervenuta per conciliare i tempi di vita con i tempi del lavoro, contribuendo così in modo sostanziale ad alimentare il dibattito europeo intorno alle politiche temporali, sia in ambito accademico sia in ambito politico ed amministrativo, avvenuto nel nostro Paese con un notevole anticipo rispetto alle altre realtà europee,
impegna il Governo:
a promuovere l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di una task force con l'obiettivo di rendere coerenti e coordinati tutti gli strumenti vigenti, anche supportando il lavoro di attuazione delle legge delega (jobs act), oltre che di programmare interventi per l'occupazione femminile e misure in favore della conciliazione vita-lavoro per uomini e donne;
a promuovere, nell'ambito del programma del Governo, la realizzazione di una conferenza nazionale finalizzata ad individuare gli obiettivi e le azioni che il Governo, le amministrazioni pubbliche, gli attori economici e sociali devono condividere e realizzare per la crescita dell'occupazione femminile, tenendo conto dei seguenti concetti chiave:
a) analisi della realtà anche attraverso la messa a punto di indagini che supportino la valutazione dell'impatto delle politiche sulle reali condizioni di vita di donne e di uomini, sapendo che tra loro sono diverse e disuguali;
b) empowerment, inteso nel senso della promozione delle donne nei centri decisionali della società, della politica e dell'economia, posto che la consapevolezza dell'aver maggior potere è uno stimolo per le donne per aumentare la propria autostima, autovalorizzarsi e far crescere le competenze e le abilità;
c) prospettiva di genere intesa come promozione della persona per tutto il ciclo della vita, tenendo conto delle differenze di ogni fase dell'esistenza e della naturale diversità tra i sessi e del fatto che praticare la prospettiva di genere richiede a tutti un grande cambiamento culturale che metta al centro dell'agenda politica i temi della valorizzazione delle risorse umane, del contrasto alle disuguaglianze, delle grandi riforme sociali;
a realizzare azioni di cooperazione internazionale per promuovere la tutela dei diritti delle donne nei Paesi del sud del mondo ed in via di sviluppo, con il fine di contribuire ad una crescita equa e sostenibile;
a promuovere un approfondimento sulla strategia a sostegno dell'occupazione femminile nell'ambito dell'azione di lungo periodo dell'Unione europea in materia di pari opportunità, che vada nella direzione di rafforzare la convinzione che il necessario rinnovo del modello socio-economico europeo in un'ottica di genere è fondamentale per il futuro dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, per mezzo, anche, di una detassazione del lavoro femminile, misura di immediato impatto sul mercato del lavoro, poiché domanda e offerta di lavoro femminile risultano molto più elastiche, mediamente, di domanda e offerta di lavoro maschile, nonché incentivi fiscali per facilitare l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro per l'assunzione delle lavoratrici divenute madri che rientrano, almeno nei tre anni successivi al parto, al fine di controbilanciare la minore spendibilità nel mercato del lavoro delle neo mamme, aumentandone le possibilità di occupabilità, nonché l'implementazione degli incentivi fiscali, oltre alla riduzione del 50 per cento sui contributi previdenziali già in vigore, per le imprese che fanno assunzioni in sostituzione di personale in astensione dal lavoro per maternità obbligatoria e facoltativa nonché per malattia del bambino;
ad incoraggiare le iniziative, pubbliche e private, volte all'innovazione di modelli sociali, economici, culturali e organizzativi per rendere compatibili sfera privata e sfera lavorativa, così da migliorare la qualità della vita, consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro, come stabilito dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, in modo tale da intercettare i nuovi bisogni di conciliazione emersi, ampliando la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornando il novero degli interventi meritevoli di accesso ai finanziamenti, ottimizzandone l'investimento in termini di progettualità, evitando un eccessivo gap tra progetti candidati ed ammessi, e rendendone le regole semplici e chiare anche attraverso un raccordo con altri strumenti di supporto alle imprese, quali gli incentivi ai contratti di rete, e ad incentivare fiscalmente le imprese ad attivare e/o implementare nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, iniziative innovative di organizzazione del lavoro family friendly e di welfare aziendale ed interaziendale e la conciliazione famiglia-lavoro, anche prevedendo incentivi fiscali per rafforzare il ricorso al congedo di maternità-paternità nella gestione aziendale delle imprese;
a prevedere, in sede di semplificazione della normativa sul lavoro, la possibilità di adottare modalità di flessibilità organizzativa che consentano una più elastica articolazione spazio-temporale della prestazione lavorativa, prevedendone la contrattazione e la regolazione a livello di contrattazione sia nazionale che territoriale o aziendale e che includano una semplificazione del ricorso all'utilizzo del telelavoro, coerentemente con quanto previsto dal disegno di legge sul cosiddetto smart working;
a promuovere il fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile istituito dall'articolo 3 della legge n. 215 del 1992, adesso disciplinato dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 198 del 2006;
a monitorare la piena attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società pubbliche, affinché sia garantita la presenza delle donne nella pubblica amministrazione e nelle società pubbliche.
(1-00615) «Speranza, De Micheli, Pollastrini, Martella, Roberta Agostini, Fregolent, Garavini, Martelli, Gnecchi, Valeria Valente, Gregori, Villecco Calipari, Iacono, Pes, Cimbro, Iori, Campana, Albanella, Narduolo, Marzano, Cenni, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Murer, Carocci, Scuvera, Carnevali, Morani, Sgambato, Giacobbe, Amoddio, Malpezzi, Coccia, Giuliani, Cinzia Maria Fontana, Manzi, Malisani, Maestri, Ascani, Paola Bragantini, Schirò, Sbrollini, Zampa, Miotto, Capone, Gullo, Palma, Sereni, Piccione, Carrozza, Casellato, Rossomando, Blazina, Simoni, Bargero, Carra, Moretto, Venittelli, Ghizzoni, Fabbri, Mariano, Argentin, Antezza».
La Camera,
premesso che:
il 9 ottobre 2014, il Consiglio dell'Unione europea ha proceduto alla declassificazione delle «Direttive di negoziato sul Partenariato transatlantico per gli scambi e gli investimenti tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America», cioè del mandato sulla cui base lo stesso Consiglio aveva autorizzato la Commissione europea, il 14 giugno 2013, ad avviare e sviluppare il negoziato bilaterale con gli Stati Uniti d'America;
l'analisi delle sopradette «Direttive» conferma, anzitutto, che l'obiettivo dello sviluppo del partenariato transatlantico sugli scambi e sugli investimenti – ovvero di una reciproca liberalizzazione degli scambi di beni e servizi, attraverso un accordo concernente accesso al mercato, ostacoli non tariffari e questioni normative, che si traduca in «un risultato equilibrato tra la soppressione dei dazi, l'eliminazione di inutili ostacoli normativi agli scambi e il miglioramento normativo» – assume a suo fondamento «principi e valori comuni coerenti con i principi e gli obiettivi dell'azione esterna dell'Unione»;
al riguardo, le «Direttive» prevedono che il preambolo dell'accordo «dovrà contenere, tra l'altro, i seguenti richiami: i valori condivisi in aree come i diritti umani, le libertà fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto; l'impegno delle Parti a favore dello sviluppo sostenibile e il contributo del commercio internazionale allo sviluppo sostenibile per quanto riguarda i suoi aspetti economici, sociali e ambientali, inclusi lo sviluppo economico, l'occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, nonché la tutela e la conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali; l'impegno delle Parti per la conclusione di un accordo pienamente coerente con i loro diritti e obblighi derivanti dall'OMC e favorevole al sistema di scambi multilaterali; il diritto delle Parti di prendere le misure necessarie per realizzare obiettivi legittimi di politica pubblica in base al livello di tutela della salute, della sicurezza, dei lavoratori, dei consumatori, dell'ambiente e della promozione della diversità culturale sancita dalla convenzione dell'UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, che esse ritengono appropriato; l'obiettivo, che le Parti condividono, di tenere conto dei problemi specifici che le piccole e medie imprese devono affrontare quando partecipano allo sviluppo degli scambi commerciali e degli investimenti; l'impegno delle Parti di comunicare con tutte le altre parti interessate, compresi il settore privato e le organizzazioni della società civile»;
conseguentemente, le «Direttive» indicano, in sede di «obiettivi», che «l'accordo deve riconoscere che lo sviluppo sostenibile costituisce un obiettivo essenziale delle Parti, le quali intendono anche garantire e facilitare il rispetto degli accordi e delle norme internazionali in materia ambientale e del lavoro promuovendo, nel contempo, elevati livelli di tutela dell'ambiente, del lavoro e dei consumatori, coerenti con l’acquis dell'Unione europea e la legislazione degli Stati membri. L'accordo deve riconoscere che le Parti non promuoveranno gli scambi o gli investimenti diretti esteri rendendo meno severe la legislazione e le norme nazionali in materia di ambiente, lavoro, salute e sicurezza sul lavoro o meno rigide le politiche e le norme fondamentali del lavoro o le disposizioni legislative finalizzate alla tutela e alla promozione della diversità culturale»;
pertanto, per quel che riguarda gli scambi di merci, le «Direttive» segnalano che «l'obiettivo è sopprimere tutti i dazi sugli scambi bilaterali, con lo scopo comune di raggiungere una sostanziale eliminazione delle tariffe al momento dell'entrata in vigore dell'accordo e una graduale abolizione di tutte le tariffe, salvo quelle più sensibili, in un breve arco di tempo» e, quanto alle norme di origine, che «i negoziati mireranno a conciliare l'approccio dell'UE e degli Stati Uniti in materia di norme di origine in modo da facilitare il commercio tra le Parti e tenere conto delle norme di origine dell'UE e degli interessi dei produttori dell'Unione», prevedendo comunque «una clausola sulle misure antidumping e compensative, la quale riconosca che una qualsiasi delle Parti può prendere le misure appropriate contro il dumping e/o sovvenzioni compensative (...)», nonché «una clausola di salvaguardia bilaterale che consenta ad una qualsiasi delle parti di rimuovere, in parte o integralmente, le preferenze se l'aumento delle importazioni di un prodotto proveniente dall'altra Parte arreca o minaccia di arrecare un grave pregiudizio alla sua industria nazionale»;
quanto agli scambi di servizi, le «Direttive» annotano che «i negoziati sugli scambi devono tendere a vincolare l'esistente livello autonomo di liberalizzazione di entrambe le Parti al livello di liberalizzazione più elevato raggiunto dagli attuali accordi di libero scambio (...)», fermo restando che la Commissione europea «deve inoltre provvedere affinché nessuna disposizione dell'accordo vieti alle Parti di applicare le loro disposizioni legislative e regolamentari e le condizioni concernenti l'ingresso e il soggiorno purché queste ultime non annullino o compromettano i vantaggi derivanti dall'accordo»;
restano, inoltre, «applicabili le disposizioni legislative e regolamentari e le condizioni dell'UE e degli Stati membri in materia di lavoro» e «l'elevata qualità dei servizi pubblici dell'UE deve essere preservata conformemente al TFUE e, in particolare, al protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale e tenendo conto dell'impegno dell'UE in tale settore, compreso il GATS»;
sul versante della tutela degli investimenti, ancora, le «Direttive» assumono, quale obiettivo dei negoziati, «disposizioni sulla liberalizzazione e sulla tutela degli investimenti, inclusi i settori di competenza mista quali gli investimenti di portafoglio e gli aspetti della proprietà e dell'esproprio, in base ai livelli più elevati di liberalizzazione e agli standard di tutela più alti che entrambe le Parti abbiano negoziato finora», precisando, altresì, che «previa consultazione con gli Stati membri e conformemente ai trattati UE, l'inclusione della tutela degli investimenti e della risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (ISDS) dipenderà dall'eventuale raggiungimento di una soluzione soddisfacente rispondente agli interessi dell'UE (...)», anche in riferimento al non pregiudizio del diritto dell'Ue e degli Stati membri «di adottare e applicare, conformemente alle loro rispettive competenze, le misure necessarie al perseguimento non discriminatorio di legittimi interessi di politica pubblica negli ambiti sociale, ambientale, della sicurezza nazionale, della stabilità del sistema finanziario, della salute pubblica e della sicurezza»;
in materia, poi, di appalti pubblici «l'accordo deve essere volto a rafforzare l'accesso reciproco ai mercati degli appalti pubblici a ogni livello amministrativo (nazionale, regionale e locale) e a quello dei servizi pubblici, in modo da applicarsi alle attività pertinenti delle imprese operanti in tale campo e garantire un trattamento non meno favorevole di quello riconosciuto ai fornitori stabili in loco», perseguendo una «compatibilità normativa», che tuttavia «non deve pregiudicare il diritto di legiferare conformemente al livello di tutela della salute, della sicurezza, dei consumatori, del lavoro, dell'ambiente e della diversità culturale che ogni Parte ritiene appropriato o di realizzare in altro modo obiettivi normativi legittimi»;
i negoziati, in particolare, «mireranno a prevedere una protezione rafforzata e il riconoscimento mediante l'accordo delle indicazioni geografiche dell'UE, basandosi sui TRIPS e integrandoli, affrontando inoltre il rapporto con la loro precedente utilizzazione sul mercato statunitense al fine di risolvere in modo soddisfacente i conflitti esistenti» e «prenderanno in considerazione misure per facilitare e promuovere lo scambio di merci rispettose dell'ambiente e a basse emissioni di carbonio, beni, servizi e tecnologie caratterizzati da un uso efficiente dell'energia e delle risorse, anche tramite appalti pubblici verdi e un sostegno alle scelte di acquisto informate da parte dei consumatori»;
l'accordo deve, altresì, «contemplare disposizioni a sostegno delle norme riconosciute a livello internazionale in materia di responsabilità sociale delle imprese, nonché di conservazione, gestione sostenibile e promozione del commercio di risorse naturali sostenibili (...)», mirando «a garantire un contesto imprenditoriale aperto, trasparente e prevedibile in campo energetico e ad assicurare un accesso illimitato e sostenibile alle materie prime» ed includendo «aspetti connessi al commercio che interessano le piccole e medie imprese»;
la scelta di procedere alla declassificazione delle «Direttive» – fin qui rapidamente sintetizzate ed originariamente assunte come documento riservato ai fini dell'efficacia della strategia negoziale – può, dunque, certamente contribuire a chiarire interrogativi, dubbi e preoccupazioni da più parti avanzati circa l'impatto economico, sociale ed ambientale dell'accordo – con particolare riferimento agli effetti del partenariato transatlantico rispetto al sistema delle piccole e medie imprese, agli standard europei di salute e sicurezza della filiera agroalimentare e di tutela ambientale, al riconoscimento delle indicazioni d'origine ed al contrasto della contraffazione, alla risoluzione delle controversie tra investitore e Stato, ai diritti del lavoro, alla liberalizzazione dei servizi e degli appalti pubblici – poiché ne emerge un mandato negoziale di fondo per cui il perseguimento del maggiore coordinamento normativo e regolamentare transatlantico – ai fini della riduzione di barriere, duplicazioni e costi superflui – non implica riduzione della qualità della regolazione posta a tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza, così come, su altro ed essenziale versante, la tutela degli investimenti dalla discriminazione, dall'espropriazione e dal trattamento ingiusto ed iniquo, può anche chiamare in causa meccanismi di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (Isds – Investor State dispute settlement), ma senza che ciò mini la possibilità della salvaguardia di legittimi interessi di politica pubblica;
del resto, il capo negoziatore dell'Unione europea, Ignacio Garcia Bercero, facendo il punto, il 3 ottobre 2041, sull'andamento del negoziato a conclusione del settimo round, ha sottolineato la chiarezza e la fermezza del mandato ricevuto circa il punto che «non sarà fatto nulla che possa indebolire o danneggiare la protezione dell'ambiente, della salute, della sicurezza, dei consumatori o qualsiasi altro obiettivo delle politiche pubbliche perseguito dai regolatori dell'Ue o degli USA» e che, quanto ai servizi, «i Governi restano liberi di decidere in qualsiasi momento che certi servizi siano forniti dal settore pubblico», mentre il Commissario europeo designato, Cecilia Malmström, ha riaffermato, nella sua audizione al Parlamento europeo, che i processi decisionali sulle nuove regolazioni rimarranno soggetti agli esistenti controlli democratici;
pur essendo fin d'ora chiaro il potenziale del processo di compiuta liberalizzazione di un'area il cui interscambio di beni e servizi vale, già oggi, circa due miliardi di euro al giorno, meritano, comunque, attenta verifica le principali stime fin qui effettuate in ordine all'impatto economico dell'accordo cifrato, in uno scenario di piena attuazione, in 120 miliardi di euro l'anno aggiuntivi a beneficio dell'economia europea, in 90 miliardi di uro a beneficio dell'economia statunitense e in 100 miliardi di euro a beneficio delle altre aree economiche mondiali;
è, peraltro, evidente il più ampio significato geopolitico del TTIP, poiché – rappresentando le parti interessate circa la metà della produzione mondiale – l'accordo potrebbe assumere il rilievo di uno «standard globale» e concorrere al rafforzamento di modelli di governo democratico della globalizzazione oggi più che mai necessari;
per quel che specificamente riguarda l'Italia, la «Stima degli impatti sull'economia italiana derivanti dall'accordo di libero scambio USA-UE» – effettuata, a giugno del 2013, da Prometeia – evidenzia che: «Un'estensione ampia dell'accordo di liberalizzazione potrebbe incidere in misura apprezzabile sulla crescita italiana e degli altri paesi coinvolti, arrivando a sfiorare il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In questo caso, a tre anni dall'applicazione dell'accordo il Pil aumenterebbe, al netto dell'inflazione, di 5,6 miliardi di euro e l'occupazione totale di circa 30 mila unità»;
l'ICE – osservando che «i benefici dell'accordo per le imprese europee discenderebbero da una barriera protezionistica “differenziale”, data dalla preferenza per i prodotti europei negli Stati Uniti e americani nell'Unione europea in seguito all'eliminazione dei dazi e degli altri ostacoli al commercio», che «equivarrebbe ad un dazio (o misura di effetto equivalente) “differenziale” sulle merci degli esportatori dei paesi esclusi dall'accordo» – ha sottolineato che in ragione del considerevole «peso relativo sull'export verso gli USA di meccanica, moda, alimentari e bevande, con produzioni sensibili al prezzo ed esposte alla concorrenza asiatica, il “dazio differenziale” aiuterebbe la produzione italiana più di quanto favorirebbe quella di un paese con produzione più differenziata o a maggiore valore aggiunto o che esporta beni a domanda più rigida»;
al riguardo – come osservato da Confindustria – sarebbe comunque utile «adottare una prospettiva diversa e più ampia nel calcolare le ricadute di questo accordo e degli altri a venire (...). L'analisi d'impatto che la Commissione prevede di condurre a negoziati avviati, anziché limitarsi agli effetti sui flussi commerciali, potrebbe utilmente approfondire le implicazioni dell'accordo sui due sistemi produttivi e trarne al più presto le necessarie conseguenze in termini di politiche industriali e di rafforzamento del proprio settore manifatturiero»;
peraltro, la portata potenziale dell'accordo e la sua effettiva traduzione in occasione di costruzione di occupazione e crescita aggiuntive chiamano certamente in causa la capacità di coordinamento delle politiche economiche nell'area transatlantica, nonché, in particolare, il coordinamento, pur nella consapevolezza della loro diversità di missione, delle scelte di politica monetaria operate dalla Banca centrale europea e dalla Federal Reserve allo scopo di contrastare sfasature negli interventi e rischi di «conflitti valutari»,
impegna il Governo:
ad agire, in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, affinché siano concretamente valorizzate le previsioni delle «Direttive di negoziato sul Partenariato transatlantico per gli scambi e gli investimenti tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America» circa l'impegno della Commissione europea a sviluppare, nel corso della trattativa, «un dialogo regolare con tutte le pertinenti parti interessate della società civile» e ciò, in particolare, in occasione dei diversi round del negoziato, allo scopo di consentire di valutarne l'avanzamento rispetto all'impostazione del mandato originario;
ad agire ancora, in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, affinché siano concretamente valorizzate le previsioni delle sopradette «Direttive» circa l'esame dell'impatto economico, sociale ed ambientale dell'accordo «mediante una valutazione d'impatto per la sostenibilità (SIA) indipendente, cui partecipi la società civile, che sarà condotta in parallelo ai negoziati e che sarà conclusa prima della sigla dell'accordo», integrando altresì le stime sugli effetti economici dell'accordo fin qui effettuate con un approfondimento delle sue refluenze sulla struttura dei sistemi produttivi coinvolti nel partenariato, sui loro divari di competitività e sulle conseguenti necessità d'intervento, considerato che il Consiglio dell'Unione europea potrebbe indicare come procedere in tal senso, sia ai fini dell'individuazione delle risorse disponibili per effettuare tale valutazione che per la scelta del soggetto che la condurrà;
a vigilare, in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, su un approccio equilibrato ai meccanismi arbitrali Investor State dispute settlement (Isds), che tenga presente le ragioni della tutela della qualità dei servizi pubblici essenziali, dei diritti sociali e del lavoro e delle norme ambientali;
a riaffermare, in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e in sede di confronto con il Consiglio e con la Commissione europea, la necessità per il settore alimentare – ai fini dell'avanzamento del negoziato Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) – del riconoscimento delle indicazioni geografiche (IIGG) e del contrasto dell’«italian sounding» e, più in generale, la rilevanza delle barriere non tariffarie, di natura tecnico-regolamentare, quale ostacolo all'accesso al mercato statunitense da parte delle imprese europee;
a sottolineare, in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, l'importanza di un approccio al negoziato Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) particolarmente attento alla valorizzazione delle sue opportunità per le piccole e medie imprese e, dunque, alla messa in opera di ogni utile strumento di supporto all'accrescimento della partecipazione di dette imprese all'interscambio commerciale dell'area transatlantica, a partire dagli appositi help-desk già discussi in sede di trattativa;
a sospingere dunque – in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e con l'adeguato coinvolgimento del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, cui regolarmente riferire circa stato e sviluppi delle trattative – il tempestivo avanzamento del negoziato, affinché, proprio prendendo le mosse dalla scelta di de-secretazione del mandato negoziale, si proceda alla definizione degli obiettivi effettivamente raggiungibili e della conseguente tabella di marcia, cercando di cogliere – come è anche emerso nel corso dell'appuntamento di Roma sul Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) del 14 ottobre 2014, evento promosso dalla Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – la finestra di opportunità per la conclusione di un accordo, finestra che si protrarrà fino ai primi mesi del 2016, a ridosso delle primarie americane.
(1-00630) «Taranto, Benamati, Amendola, Berlinghieri, Gentiloni Silveri, Martella, Quartapelle Procopio, Tidei, Ginefra, Senaldi, Bargero, Scuvera, Albini, Iacono, Bonomo, Montroni, Petitti, Schirò, Camani, Giulietti, Sani, Carbone, Manciulli».
La Camera,
premesso che:
nel giugno 2013 la Commissione europea è stata autorizzata ad avviare i negoziati per conto dell'Unione europea per sviluppare un partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) con gli Stati Uniti, con l'obiettivo di concluderne l’iter entro la fine del 2015. Si sono svolti sette cicli di negoziato, l'ultimo dei quali si è tenuto a Washington dal 29 settembre 2014 al 3 ottobre 2014;
l'obiettivo prioritario del Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) è la soppressione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali, con lo scopo comune di raggiungere una sostanziale eliminazione delle tariffe al momento dell'entrata in vigore dell'accordo e una graduale abolizione di tutte le tariffe, salvo quelle più sensibili, in un breve arco di tempo;
le barriere tariffarie tra le due aree si attestano intorno al 4-5 per cento in media per beni e servizi, anche se vi sono settori nei quali il livello tariffario non è insignificante (infrastrutture, tessile, abbigliamento e calzature, acciaio di elevata qualità, alcuni tipi di veicoli e alimenti come le marmellate, il cioccolato e i prodotti caseari), con un costo totale pari a circa sei miliardi di dollari annui, mentre ben più consistenti sono le barriere di tipo non tariffario, dovute soprattutto a divergenze regolamentari in molti settori, tra cui quello automobilistico, quello chimico e farmaceutico e altri settori chiave come le telecomunicazioni e i servizi finanziari;
l'armonizzazione di tutte le rispettive regolamentazioni in materia di commercio internazionale è apparsa da subito alquanto problematica, a causa delle evidenti differenze che tuttora intercorrono tra Unione europea ed Usa nelle normative in materia di protezione sanitaria, alimentare, di diritto d'autore e del lavoro;
gli standard dell'Unione europea, basati sul principio di precauzione, sono infatti molto più stringenti di quelli degli Usa in numerosi settori e l'applicazione del partenariato comporterebbe uno scivolamento verso i livelli di deregolamentazione americani;
il 9 ottobre 2014, anche grazie all'iniziativa della presidenza italiana, il Consiglio dell'Unione europea ha deciso di declassificare le direttive di negoziato del partenariato. La declassificazione del mandato di negoziato costituisce un passo importante per garantire la trasparenza dei negoziati con gli Stati Uniti;
grazie a tale classificazione si può leggere che il preambolo dovrà ricordare che il partenariato con gli Stati Uniti si basa su principi e valori comuni coerenti con i principi e gli obiettivi dell'azione esterna dell'Unione europea e dovrà contenere, tra l'altro, i seguenti richiami:
a) i valori condivisi in aree come i diritti umani, le libertà fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto;
b) impegno delle parti a favore dello sviluppo sostenibile e il contributo del commercio internazionale allo sviluppo sostenibile per quanto riguarda i suoi aspetti economici, sociali e ambientali, inclusi lo sviluppo economico, l'occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, nonché la tutela e la conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali;
c) l'impegno delle parti per la conclusione di un accordo pienamente coerente con i loro diritti e gli obblighi derivanti dall'Organizzazione mondiale del commercio e favorevole al sistema di scambi multilaterali;
d) il diritto delle parti di prendere le misure necessarie per realizzare obiettivi legittimi di politica pubblica in base al livello di tutela della salute, della sicurezza, dei lavoratori, dei consumatori, dell'ambiente e della promozione della diversità culturale sancita dalla Convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, che esse ritengono appropriato;
e) l'obiettivo che le parti condividono di tenere conto dei problemi specifici che le piccole e medie imprese devono affrontare quando partecipano allo sviluppo degli scambi commerciali e degli investimenti;
f) l'impegno delle parti di comunicare con tutte le altre parti interessate, compresi il settore privato e le organizzazioni della società civile;
l'accordo dovrà riconoscere che lo sviluppo sostenibile costituisce un obiettivo essenziale delle parti, le quali intendono anche garantire e facilitare il rispetto degli accordi e delle norme internazionali in materia ambientale e del lavoro, promuovendo nel contempo elevati livelli di tutela dell'ambiente, del lavoro e dei consumatori, coerenti con l’acquis dell'Unione europea e la legislazione degli Stati membri. L'accordo deve riconoscere che le parti non promuoveranno gli scambi o gli investimenti diretti esteri rendendo meno severe la legislazione e le norme nazionali in materia di ambiente, lavoro, salute e sicurezza sul lavoro o meno rigide le politiche e le norme fondamentali del lavoro o le disposizioni legislative finalizzate alla tutela e alla promozione della diversità culturale;
l'accordo non dovrà, altresì, contenere disposizioni che potrebbero pregiudicare la diversità culturale o linguistica dell'Unione europea o dei suoi Stati membri, in particolare nel settore della cultura, né impedire all'Unione europea e agli Stati membri di mantenere le politiche e le misure esistenti a sostegno del settore della cultura, considerato il loro status speciale nell'Unione europea e negli Stati membri;
si teme, tuttavia, che la potenza delle multinazionali possa ledere i diritti dei cittadini e la sovranità dei Paesi membri, d'altronde la segretezza del negoziato, formalmente mantenuta fino al 9 ottobre 2014 ha alimentato tali dubbi, in particolare rispetto al rispetto del citato «principio di precauzione». Introdotto per la prima volta in occasione della Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (Earth summit) di Rio de Janeiro del 1992, il principio era rivolto alla protezione dell'ambiente, ma è finito per estendersi alla politica di tutela dei consumatori, della salute umana, animale e vegetale;
per il Viceministro dello sviluppo economico, Calenda, «secondo le principali analisi disponibili, l'Italia sarebbe tra i principali beneficiari del TTIP, che potrebbe portare fino a mezzo punto di prodotto interno lordo di crescita aggiuntiva e alla creazione di posti di lavoro»;
secondo la Commissione europea di qui al 2027 il prodotto interno lordo dell'Unione europea beneficerebbe di un aumento annuo medio dello 0,4 per cento e quello americano dello 0,5 per cento. Per Il Sole 24 ore, grazie all'accordo commerciale con Washington, l'Unione europea potrebbe guadagnare 119 miliardi di euro all'anno e l'Italia mezzo punto di prodotto interno lordo;
grazie al TTIP, il blocco economico transatlantico rappresenterebbe da solo quasi il 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, un terzo del commercio internazionale in beni e una percentuale molto superiore degli investimenti esteri diretti (56,7 per cento di quelli in uscita e 75 per cento di quelli in entrata) e costituirebbe un polo d'attrazione irresistibile per le altre economie del pianeta. Grazie ad esso Usa ed Unione europea potrebbero recuperare l'iniziativa sul piano della definizione degli standard e delle regole del commercio internazionale e contrastare l'ascesa della Cina e dei Brics,
impegna il Governo:
nel corso del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
a) a verificare l'effettiva applicazione dei principi contenuti nel preambolo delle direttive di negoziato sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) con gli Stati Uniti;
b) a vigilare, in particolare, sulla corretta applicazione e rispetto del principio di precauzione per quanto riguarda gli aspetti economici, sociali e ambientali derivanti da tale accordo, inclusi lo sviluppo economico, l'occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, nonché la tutela e la conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali;
c) a monitorare l'impatto dell'accordo sul sistema delle piccole e medie imprese, che rappresentano la quasi totalità delle imprese europee per evitare che il nuovo quadro normativo diventi troppo favorevole alle imprese di maggiori dimensioni;
d) a verificare con particolare attenzione che da tale accordo non risulti penalizzato il sistema del made in Italy in generale, salvaguardando, in particolare, la filiera agroalimentare, sempre più danneggiata dal dilagare di prodotti italian sounding;
e) a porre in essere tutte le azioni utili per la tutela e promozione della diversità culturale e la conseguente esclusione dei prodotti e servizi culturali e audiovisivi dal negoziato con gli Usa;
f) a tutelare il rispetto degli ordinamenti giuridici interni dei Paesi nei quali operano le aziende multinazionali;
g) ad assumere iniziative volte a favorire la rapida conclusione del negoziato, anche al fine di rilanciare il ruolo dell'Unione europea nel panorama mondiale e per cogliere l'opportunità delle riconosciute ricadute positive su occupazione e crescita ad esso collegate.
(1-00638) «Fitzgerald Nissoli, Marazziti, Caruso, Buttiglione, Binetti, De Mita, Fauttilli, Cera, Gigli, Piepoli, Sberna, Rabino».
La III Commissione,
premesso che:
lo studio, lo sviluppo, l'applicazione e il controllo di efficacia dei vaccini non si limitano a un luogo o a una nazione, ma rappresentano un tema di interesse mondiale;
all'Italia è stato recentemente riconosciuto dalla Global Health Security Agenda il ruolo di leader mondiale nel piano di azione per l'immunizzazione;
nata nel 2000, la GAVI Alliance è una partnership di soggetti pubblici e privati avente lo scopo di migliorare l'accesso all'immunizzazione per le popolazioni dei 73 Paesi più poveri del mondo e in particolare dei bambini;
tra i partner di GAVI si annoverano i Governi di Paesi in via di sviluppo e di Paesi donatori, nonché l'Organizzazione mondiale della sanità, l'UNICEF, la Banca mondiale, alcune società che producono vaccini nei Paesi industriali e in via di sviluppo, diverse organizzazioni espressione della società civile e numerosi benefattori privati, tra cui la Fondazione Bill & Melinda Gates;
con 8 miliardi USD di finanziamenti tra il 2000 e il 2017, la GAVI Alliance ha supportato programmi d'immunizzazione con undici vaccini, tra cui il vaccino pentavalente (contro la difterite, il tetano, la pertosse, l'epatite B e Haemophilus influenza tipo b, noto come Hib) e vaccini contro le malattie da pneumococco e rotavirus, che rappresentano le principali cause di polmonite e diarrea, e il papillomavirus umano che, come è noto, si è rivelato tra le principali cause dei tumori della cervice uterina;
attraverso tali programmi internazionali, si stima che l'intervento di GAVI abbia consentito di immunizzare circa 440 milioni di bambini nel mondo tra il 1990 e il 2013, salvando più di 6 milioni di vite umane;
oltre a tali programmi, si aggiungono numerose campagne di immunizzazione per malattie come la meningite A, la febbre gialla, il morbillo e la rosolia;
con riferimento ai programmi d'immunizzazione, i Paesi qualificati per ottenere il supporto di GAVI sono chiamati ad indicare le rispettive esigenze e priorità e a presentare una formale richiesta di sostegno finanziario, indicando al contempo come intendano assicurare un'effettiva vigilanza sulla concreta realizzazione dei programmi di vaccinazione; GAVI adotta la politica del cofinanziamento che richiede ai Paesi beneficiari di offrire comunque un contribuito al costo dei vaccini e ciò con l'evidente finalità di rafforzare la sostenibilità e la responsabilità dei Paesi beneficiari nei programmi di immunizzazione a lungo termine;
GAVI ha creato una struttura finanziaria internazionale per l'immunizzazione (International Finance Facility For Immunisation); tale struttura raccoglie fondi rilasciando obbligazioni sui mercati finanziari, offrendo gli impegni finanziari a lungo termine dei Governi come garanzia per ripagare gli interessi; dal 2006 l'IFFIm ha raccolto più di 3 miliardi di dollari, raddoppiando i fondi disponibili per i programmi di immunizzazione;
la cosiddetta garanzia del mercato (Advance Market Commitment) messa a punto dalla GAVI Alliance è un sofisticato meccanismo di finanziamento della salute pubblica concepito per stimolare lo sviluppo e la produzione di vaccini a prezzi abbordabili, adatti ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo: i donatori impegnano fondi per garantire la stabilità dei prezzi dei vaccini una volta che essi siano stati sviluppati e messi in produzione, e al contempo gli impegni finanziari forniscono ai produttori di vaccini l'incentivo a svilupparne la produzione; le aziende si impegnano legalmente a fornire i vaccini a lungo termine e a un congruo prezzo ai Paesi in via di sviluppo; grazie all'AMC, i produttori di vaccini, ivi inclusi quelli che operano nei mercati emergenti, hanno impegnato nuovi investimenti e una fornitura crescente dei vaccini rispondenti alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, con la conseguenza di un rafforzamento della concorrenza fra le aziende farmaceutiche e a una riduzione dei prezzi dei vaccini;
l'Italia rappresenta il quinto Paese donatore di GAVI e copre il 6,5 per cento dei finanziamenti; il nostro Paese ricopre di un ruolo primario nella Governance della GAVI Alliance in cui dispone di un membro stabile nel consiglio d'amministrazione; è uno dei Paesi fondatori di IFFIm e uno dei Paesi promotori dell'AMC, avendo ricoperto un ruolo di leadership nel lancio di tale meccanismo per lo sviluppo, la produzione e la fornitura dei vaccini contro la malattia pneumococcica; in particolare, nel 2009, l'Italia ha ospitato il vertice dei ministri delle finanze del G8 a Lecce che ha lanciato l'AMC;
per il periodo 2011-2015, il contributo totale dell'Italia a GAVI ammonta a 496 milioni di USD, dei quali 123,3 per IFFIm e 373 per AMC (vale a dire il 38 per cento del finanziamento complessivo per AMC);
il nostro Paese può dunque affermare con orgoglio di avere contribuito in modo significativo al finanziamento dei programmi d'immunizzazione nei Paesi più poveri del mondo e al raggiungimento di importanti progressi per due degli obiettivi iscritti nella Dichiarazione del millennio delle Nazioni Unite del 2000, ossia ridurre la mortalità infantile e migliorare la salute materna (obiettivi 4 e 5);
il riapprovvigionamento della GAVI Alliance risulta iscritto tra le priorità del vertice del G7 che sarà ospitato, nel mese di gennaio 2015, dalla Repubblica federale di Germania;
la strategia 2016-2020 della GAVI Alliance intende consolidare e rafforzare i programmi di immunizzazione e scongiurare i decessi che possono essere prevenuti attraverso le vaccinazioni; in particolare, GAVI intende immunizzare ulteriori 300 milioni di bambini per scongiurare 5-6 milioni di decessi; il 57 per cento dei finanziamenti di GAVI saranno impegnati per le vaccinazioni contro le malattie pneumococciche e del rotavirus, che risultano essere la principale causa di mortalità infantile sotto ai cinque anni; tra le priorità della GAVI Alliance si annoverano altresì i programmi di prevenzione del cancro del collo dell'utero, che rappresenta la principale causa di mortalità oncologica nell'Africa sub-sahariana, attraverso la vaccinazione anti-HPV di oltre 30 milioni di ragazze;
per il periodo 2016-2020, la GAVI Alliance prevede di impiegare 900 milioni USD per il rafforzamento dei sistemi sanitari (Health Systems Strengthening), assicurando un importante rafforzamento dello sviluppo, della produzione e della diffusione dei vaccini, nonché un'estensione della copertura geografica degli interventi e un equo accesso agli stessi;
il supporto di GAVI in occasione delle emergenze umanitarie più gravi si è rivelato efficace in occasione, ad esempio, della violenta epidemia di colera scoppiata nel campo profughi di Dadaab, a nord del Kenya, che ospitava circa 500 mila rifugiati somali; non va trascurato, dunque, che la GAVI Alliance dispone di importanti scorte di vaccini da utilizzare in caso di emergenza, in particolare contro le malattie epidemiche più letali, quali la febbre gialla, il colera e la meningite;
la minaccia sempre più pesante dell'Ebola sulla vita delle persone, non solo in Africa, mette in luce quanto sia necessario un vaccino efficace unitamente ad una risposta globale e consolidata del mondo sanitario; l'esperienza di GAVI in supporto allo sviluppo, alla produzione e alla diffusione in modo rapido ed efficace di nuovi vaccini potrebbe quindi rivelarsi preziosa anche in relazione all'emergenza legata alla diffusione del virus Ebola, che sarà infatti l'oggetto della riunione del board di GAVI prevista per il mese di dicembre 2014,
impegna il Governo:
in occasione del prossimo forum G7, a rinnovare la partecipazione dell'Italia alla GAVI Alliance e ad operare un rafforzamento della contribuzione finanziaria, a conferma del ruolo di guida del nostro Paese nei programmi d'immunizzazione;
ad assicurare un maggiore coordinamento tra i rappresentanti del Ministero della salute, del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che rappresentano l'Italia nella struttura di governo della GAVI Alliance;
a mantenere e promuovere, accanto al rinnovato impegno finanziario, un ruolo politico attivo dell'Italia nella definizione delle priorità e per il monitoraggio dell'efficacia dell'azione della GAVI Alliance.
(7-00518) «Quartapelle Procopio, Fedi, Sereni, Locatelli, Palazzotto».
COLLETTI, SIBILIA, CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nel marzo 2009, il Ministro pro tempore dello sviluppo economico Claudio Scajola ha firmato i protocolli d'intesa con il Ministro dell'energia serbo Petar Skundric, per cooperare alla costruzione e alla concessione di impianti idroelettrici, termici, reti di interconnessione con l'Italia, la Serbia ed i Paesi confinanti e allo sviluppo di fonti rinnovabili, anche ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali per il calcolo della quota di emissioni stabilita dall'Unione europea. Nel piano di azione nazionale presentato dall'Italia alla Commissione europea nel luglio 2010, è previsto infatti che dall'area dei Balcani siano importati 6 TWh (terawattora) all'anno, attraverso il cavo con la rete montenegrina;
il primo protocollo ha ad oggetto la realizzazione dell'interconnessione fisica tra Italia e Serbia con la posa di un cavo sottomarino di 390 chilometri di lunghezza, in corrente continua, con portata fino a un GW (giga watt), per collegare il Montenegro e l'Italia, al costo di un miliardo di euro a carico di Terna (quindi a carico delle bollette elettriche italiane). I lavori di questa interconnessione sono da poco cominciati sulla terraferma italiana, vicino a Villanova (Pescara), in Abruzzo;
il secondo protocollo prevede per il chilovattora prodotto da impianti da fonte rinnovabile realizzati in Serbia il ritiro dell'energia elettrica da parte del GSE (gestore servizi energetici) a prezzo fisso. Il protocollo dispone altresì che gli stessi impianti realizzati in Serbia siano costruiti da una società mista al 51 per cento di proprietà della società italiana Seci Energia (gruppo Maccaferri) e per il 49 per cento di proprietà della società statale serba Eps (elektroprivreda Srbije). Gli investimenti che saranno attivati a fronte dell'accordo sono di circa 800 milioni di euro per la costruzione delle centrali sui fiumi Ibar e Drina, oltre a quelli già previsti di 775 milioni per l'interconnessione Italia-Montenegro che sarà realizzata da Terna;
il 25 ottobre 2011 è stato firmato dal Ministro pro tempore Paolo Romani un accordo che aggiorna quelli firmati nel marzo e nel novembre 2009, stabilendo le condizioni, anche tariffarie, in base alle quali saranno costruiti gli impianti idroelettrici allora individuati la cui realizzazione, dopo il recepimento della direttiva europea sulle fonti rinnovabili, viene inquadrata nell'ambito di un «progetto comune» tra Italia e Serbia. Sulla base di tale accordo, l'energia che sarà prodotta dalle centrali idroelettriche realizzate da investitori italiani e serbi sarà destinata al consumo nel mercato italiano, verso il quale sarà convogliata garantendone il transito a lungo termine sull'interconnessione elettrica tra Serbia e Montenegro e, da questa, verso l'Italia attraverso l'elettrodotto già programmato;
come riferisce l'articolo pubblicato il 6 febbraio 2014 sul sito della rivista on line «Qualenergia» intitolato «Elettricità rinnovabile dalla Serbia. Accordo poco trasparente da 12 miliardi?», a firma di Alessandro Codegoni, nel 2011 il ministro Romani dichiarò che: «Su questi progetti convergono due interessi reciproci: quello italiano di investire sullo sviluppo di progetti congiunti per contribuire al raggiungimento al 2020 dell'obiettivo del 17 per cento di energia da rinnovabili fissato in ambito europeo, e quello dei Paesi dell'area balcanica di sviluppare le loro fonti interne, rafforzando al contempo la cooperazione industriale e la loro integrazione nel sistema europeo»;
l'articolo 36 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, infatti, ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali, detta i criteri in base ai quali è incentivata l'importazione di elettricità da fonti rinnovabili proveniente da Paesi extra Unione europea sulla base di accordi internazionali. In particolare, al comma 1, si prevede che gli accordi di importazione (effettuata su iniziativa di soggetti operanti nel settore energetico), dovranno conformarsi ai seguenti criteri:
a) il sostegno consiste nel riconoscimento, sull'energia immessa nel sistema elettrico nazionale, di un incentivo di pari durata e di entità inferiore rispetto a quello riconosciuto in Italia alle fonti e alle tipologie di impianti da cui l'elettricità viene prodotta nel paese terzo, in misura fissata negli accordi tenendo conto della maggiore producibilità ed efficienza degli impianti nei Paesi terzi e del valore medio di incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia;
b) le modalità di produzione e importazione devono assicurare che l'elettricità importata contribuisce al raggiungimento degli obiettivi italiani in materia di fonti rinnovabili;
c) sono stabilite le necessarie misure che assicurino il monitoraggio dell'elettricità importata per le finalità di cui all'articolo 36; il comma 2 del medesimo articolo consente che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si possa stabilire un valore dell'incentivo diverso da quello previsto alla lettera a), salvaguardando gli accordi già stipulati e contemperando gli oneri economici conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti economici del mancato raggiungimento degli obiettivi. Non risulta al momento che sia stato emanato alcun provvedimento attuativo del comma 2;
secondo quanto riportato nell'articolo sopra indicato, «I serbi stimano il costo totale del progetto in oltre 2 miliardi di euro, che sarebbero però recuperati da loro e dai loro soci privati italiani, grazie alla disponibilità dell'ex governo Berlusconi di pagare l'elettricità importata, e qui sta la questione, ben 155 euro/MWh – Megawattora – (per confronto il costo medio dell'elettricità italiana in Borsa Elettrica è stato di 63 euro/MWh nel 2013), grazie al pagamento di una tariffa omnicomprensiva che la produzione da nuovi impianti idroelettrici riceverebbe in Italia. Visto che l'import dalla Serbia legato a questo progetto potrebbe arrivare a un massimo di 6 TWh l'anno (quasi il 2 per cento dei consumi italiani), l'Italia, oltre al costo del collegamento sottomarino, potrebbe sborsare ogni anno, e per 15 anni, circa 930 milioni di euro per importare l'elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato, contribuendo notevolmente a un ulteriore rialzo del costo della nostra elettricità, senza neanche i vantaggi degli incentivi spesi nei confini nazionali»;
con riferimento a quanto da ultimo si sostiene nell'articolo, occorre inoltre considerare che in Italia vi è un eccesso di capacità produttiva nel settore elettrico italiano che dovrebbe protrarsi fino al 2020 e che non rende comprensibili le motivazioni di un accordo per l'importazione di energia;
a parere degli interroganti:
a) non è chiaro perché in un momento in cui molte centrali a ciclo combinato presenti sul territorio, che possono produrre certamente a meno di 155 euro al MWh, restano ferme per eccesso di capacità rispetto alla domanda, dovrebbe essere opportuno aggiungere ulteriori importazioni di energia. Nel 2012 il fattore di carico medio degli impianti a ciclo combinato non cogenerativi è sceso sotto le 2.000 ore (equivalenti a piena potenza), pari a circa il 22 per cento, mettendo in pericolo l'equilibrio economico-finanziario delle società che li detengono, mentre i cicli combinati cogenerativi, che godono di priorità di dispacciamento e di un migliore rendimento energetico totale, funzionano a livello più soddisfacente, mediamente 4.700 ore nel 2012 (54 per cento), anche se sensibilmente inferiore al passato. Tale situazione ha spinto il legislatore ad individuare forme di sostegno per il settore, tramite l'introduzione del meccanismo del capacity payment;
b) i contenuti dell'accordo del 2011 sono in contrasto con:
1) i criteri di attribuzione degli incentivi all'elettricità prodotta da fonti rinnovabili in Paesi extra Unione europea previsti al comma 1, lettera a), dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 28 del 2011, prevedendo per l'energia elettrica importata dalla Serbia un incentivo di entità maggiore di quello riconosciuto alla produzione di energia elettrica da fonte idraulica in Italia;
2) le previsioni di cui alla lettera b), tenuto conto che gli obiettivi di produzione italiani da fonte rinnovabile sono sostanzialmente raggiunti grazie al contributo degli impianti idroelettrici, eolici e fotovoltaici realizzati in Italia;
3) le disposizioni di cui al comma 2, poiché trattandosi di un incentivo più elevato rispetto a quello riconosciuto in Italia ai sensi del comma 1, sarebbe stato opportuno procedere all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire un diverso valore dell'incentivo da attribuire;
appare irragionevole che l'Italia si sobbarchi, oltre al costo di oltre 2 miliardi per la realizzazione del collegamento sottomarino, anche la spesa di 930 milioni di euro all'anno per 15 anni per importare l'elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato in una situazione di surplus di produzione elettrica e di obiettivi di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile al 2020 praticamente già raggiunti, contribuendo, inoltre, ad un ulteriore rialzo del costo dell'elettricità per i cittadini italiani;
appare illogico proseguire le importazioni di energia rinnovabile, in un momento in cui le centrali italiane a ciclo combinato restano ferme per eccesso di capacità rispetto alla domanda, cosa che ha indotto il Governo ad introdurre il meccanismo del capacity payment;
appare infine estremamente grave, dopo aver distrutto l'intero settore industriale operante nel settore fotovoltaico italiano, azzerando il «conto energia» in ragione dei costi eccessivi sostenuti in bolletta, attribuire un incentivo di 12 miliardi di euro a operatori privati per la realizzazione di impianti in Serbia che non necessitano di incentivi, anziché incrementare ancora la produzione sul territorio nazionale di energia verde, con le evidenti ricadute economiche, occupazionali e fiscali –:
se il Governo non intenda attivarsi al fine di arrivare all'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 28 del 2011, al fine di prevedere che il valore dell'incentivo per l'energia elettrica prodotta dagli impianti in Serbia sia conforme ai dettami di cui al comma 1;
se l'uso riservato al gruppo privato, costituito dalla società Maccaferri e dai partner serbi, di un nuovo elettrodotto che prevede un investimento pubblico di oltre 2 miliardi di euro per un periodo di 15 anni sia in contrasto con la normativa comunitaria;
se il Governo non intenda assumere alla luce delle considerazioni esposte in premessa, ogni iniziativa di competenza per rivedere tale azzardo che sembra all'interrogante produrre soltanto costi per l'Italia e utili per la parte privata.
(5-02298)
GAROFALO, CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
lo scorso 30 settembre sono scaduti i contratti degli appalti affidati nel 2012 da Poste italiane spa alle agenzie di recapito in materia di servizi postali per la consegna della corrispondenza ordinaria, raccomandata e servizi accessori;
le agenzie di recapito, che operano come imprese private negli appalti postali, fino al 1999 hanno svolto la propria attività in regime di concessione dell'allora Ministero delle Poste e, dopo la revoca della concessione, dall'anno 2000 hanno svolto il servizio di recapito per la consegna della corrispondenza ordinaria, raccomandata e servizi accessori in esclusiva per Poste italiane fino al 30 settembre scorso;
la presenza delle strutture di servizio postale, offerte dalle agenzie di recapito nelle principali città italiane, ha consentito il superamento di una serie di criticità garantendo lo smaltimento di una notevole quantità di giacenze, una maggiore celerità dei servizi offerti e un ingente risparmio economico;
nonostante l'apporto rilevante offerto negli anni dalle agenzie ex-concessionarie in termini di servizi resi agli utenti su scala nazionale, il gestore incaricato per il servizio postale universale in Italia, ovvero Poste italiane spa, non ha attualmente dimostrato di volersi avvalere del diritto di opzione previsto nei contratti (peraltro già scaduti) per la proroga di un ulteriore anno di collaborazione, sebbene ci siano state numerose richieste d'incontro da parte dei rappresentanti del consorzio;
ove non si giungesse ad una rapida definizione di proroga dei contratti, si determinerebbe il rischio di interruzione dei servizi postali offerti dalle agenzie nelle città di Catania, Messina, Livorno, Genova, Palermo, Trapani, Mazzara del Vallo, Ragusa, Como; dal prossimo 28 febbraio anche per le città di Roma, Napoli, Bari, Lecco, Mantova e dal 31 marzo anche Foggia, Lecce, Bologna e Siracusa;
le agenzie ex concessionarie, avendo lavorato dal 2000 ad oggi in regime di esclusiva per Poste italiane, non hanno una quota propria di mercato alternativa per cui, nel caso in cui venisse confermata l'intenzione di Poste di non rinnovare i contratti, sarebbero costrette a chiudere e a mettere in cassa integrazione i 600 addetti che fino ad oggi hanno garantito l'efficienza del servizio soprattutto grazie ad una profonda conoscenza delle criticità toponomastiche dei territori nei quali hanno lavorato;
a fronte del mancato rinnovo contrattuale in alcune città come Messina ad esempio, Poste italiane sta procedendo all'assunzione di nuovi lavoratori «a chiamata diretta»;
il 9 ottobre 2014 è previsto un incontro presso il Ministero interrogato, organizzato dall'ufficio di gestione delle vertenze delle imprese in stato di crisi, a cui parteciperanno i rappresentanti delle Poste italiane spa, le organizzazioni sindacali e le imprese di recapito ex-concessionarie al fine di addivenire ad una soluzione in grado di salvaguardare l'occupazione dei lavoratori interessati e, al contempo, rilanciare la pluralità dei servizi postali resi efficacemente dalle agenzie di recapito in accordo con Poste italiane spa;
della vicenda si discuterà anche in Commissione Trasporti e Poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati il 14 ottobre 2014 nel corso di un'audizione e che il confronto sarà l'occasione per individuare possibili soluzioni volte ad evitare una crisi aziendale che porterebbe al licenziamento di 600 lavoratori –:
quali orientamenti intenda esprimere, nell'ambito delle competenze proprie, con riferimento alle criticità in precedenza esposte, nell'ambito delle procedure di proroga scadute lo scorso 30 settembre 2014 per quasi la totalità dei contratti derivanti dalle procedure di gara del comparto recapito;
quali iniziative necessarie ed urgenti il Ministro interrogato intenda adottare nei riguardi del gestore incaricato del servizio postale universale in Italia allo scopo sia di rilanciare il sistema aziendale di servizi offerti dalle agenzie di recapito, che della salvaguardia dei livelli occupazionali delle aziende degli appalti postali;
se intenda infine prevedere, per quanto di competenza propria, misure ad hoc volte a salvaguardare i livelli occupazionali dei lavoratori del comparto in precedenza esposto, nel caso gli esiti derivanti dall'incontro previsto il prossimo 9 ottobre 2014, tra le parti interessate si rivelassero non soddisfacenti. (5-03742)
SCOTTO, DANIELE FARINA, NICCHI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
nel settembre 2014 il Ministro della difesa e quello della salute hanno firmato un accordo per avviare la coltivazione di marijuana a uso terapeutico nello stabilimento chimico militare di Firenze;
la prima raccolta è stata prevista per il 2015;
dovrebbe trattarsi di un progetto pilota, con l'obiettivo di saggiare la possibilità di estendere la coltivazione di canapa in alcune aree d'Italia;
questa notizia ha acceso le speranze di centinaia di agricoltori, perché in alcune aree del Paese, in cui la crisi è durissima, vi sono centinaia di ettari di campi abbandonati e la cannabis potrebbe essere una soluzione per riconvertire la sofferente floricoltura locale;
il sindaco di Sanremo, ad esempio, ha già avviato l’iter per chiedere al Ministero competente l'autorizzazione a far partire un progetto a riguardo, anche grazie alla presenza, sul territorio, di un centro di ricerca avanzatissimo nell'ibridazione delle piante;
in Emilia Romagna, poi, già da tempo viene prodotta la canapa sativa, cioè quella a basso contenuto di THC, che ha sostituito la barbabietola da zucchero, scomparsa dai terreni emiliani da quando il 90 per cento degli zuccherifici ha chiuso;
la sperimentazione voluta dai due Ministeri firmatari dell'accordo nasce per rendere disponibili farmaci a prezzi più accessibili, ma anche per arginare la diffusione e il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti o illegali, che è in rapida espansione;
secondo uno studio di Coldiretti l'Italia è all'avanguardia nelle ricerche sulle possibili applicazioni terapeutiche di linee di canapa dotate di profili specifici e puri di diversi cannabinoidi utilizzabili nel settore farmaceutico, grazie soprattutto alle ricerche che il Cra Cin di Rovigo realizza dal 2002;
in tale centro di ricerca si fanno studi nel settore della genetica dei cannabinoidi per selezionare le piante migliori e per analizzare nuove applicazioni;
tuttavia il centro è già stato commissariato ed è destinato a chiudere per via della spending review richiesta dallo Stato ai Ministeri;
in tal modo l'intero accordo tra i due Ministeri verrebbe meno, giacché l'ospedale militare di Firenze dovrà essere istruito sulla coltivazione della canapa dal Cra Cin di Rovigo;
si tratta dell'unico luogo in Italia dove la canapa indica, quella vietata in Italia, può crescere legalmente, essendo coltivata a fini scientifici;
se l'eventuale chiusura del Cra Cin avvenisse prima che tutte le competenze del centro di ricerca di Rovigo, accumulate in 12 anni di studi e lavoro, vengano trasferite allo stabilimento chimico militare fiorentino, verrebbe messa a repentaglio l'intera sperimentazione;
sembrerebbe che solo un intervento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali possa salvare il polo veneto;
il fallimento del progetto fiorentino per la coltivazione della cannabis getterebbe ulteriormente nello sconforto le decine di coltivatori che sugli eventuali sviluppi di questo progetto ripongono molte aspettative;
il centro di Rovigo, peraltro, ha i conti in ordine;
la struttura costa 40 mila euro l'anno, a cui si aggiungono gli stipendi di 6 persone (1 ricercatore, 3 tecnici e 2 amministrativi), ma ha entrate superiori ai 150 mila euro l'anno;
laddove il Cra Cin di Rovigo non fosse in grado di continuare ad operare, il programma di produzione della cannabis medicinale non potrebbe essere avviato;
la coltivazione di cannabis può generare da subito un business da 1,4 miliardi e garantire diecimila posti di lavoro dai campi ai flaconi;
lo studio della Coldiretti afferma che la campagna italiana potrebbe mettere a disposizione da subito mille ettari di terreni protetti;
si tratta di ambienti chiusi, dove possono essere effettuate le procedure di controllo per evitare il rischio di abusi;
il calcolo di Coldiretti tiene conto della disponibilità di circa mille ettari di terreno in serra, della produzione di sostanza secca di infiorescenze e foglie sommitali, del numero di cicli di coltivazione possibili all'anno e della resa in principio attivo che, secondo il Ministero della salute, viene attualmente importato con un costo di circa 15 euro al grammo;
si potrebbe evitare l'importazione e avviare un progetto di filiera italiana che unisce l'agricoltura all'industria farmaceutica;
in attesa del via libera su vasta scala della coltivazione di cannabis indica a scopo terapeutico, in Italia sta aumentando la coltivazione della variante canapa sativa;
nel 2014 c’è stato un aumento del 150 per cento dei terreni coltivati con questa varietà di canapa, che è assolutamente legale perché non contiene il principio attivo psicotropo della marijuana;
a Crispiano, in provincia di Taranto, a fine agosto è stato inaugurato un maxi impianto di trasformazione della canapa industriale, che diventerà il punto di riferimento per il centro-sud del Paese;
si tratta del secondo stabilimento nato in Italia, insieme a quello sito a Carmagnola, in Piemonte, dove viene lavorata la canapa proveniente dalle campagne del Nord;
i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato dall'edizione online del settimanale d'informazione L'Espresso il 31 ottobre 2014 dal titolo «Cannabis terapeutica, la sperimentazione a rischio stop» –:
se corrisponda a verità la possibilità di una chiusura del Cra Cin di Rovigo all'interno della spending review imposta dal Governo;
quali misure intenda il Ministro prendere per salvaguardare il Cra Cin di Rovigo, le importanti conoscenze di cui esso è portatore, i suoi lavoratori e la sua funzione nel processo di realizzazione del citato accordo tra il Ministero della difesa ed il Ministero della salute. (4-06746)
LUPO, NUTI, DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
la città di Palermo è la quinta città italiana per numero di abitanti, ed è il principale centro urbano della Sicilia e dell'Italia insulare;
alla fine degli anni Ottanta, Palermo è stata selezionata come città per lo svolgimento dei mondiali di calcio «Italia 90»; per l'occasione fu ampliato lo stadio comunale «La Favorita» oggi rinominato «Renzo Barbera»; solo qualche anno più tardi, era l'agosto 1997, l'Italia e Palermo furono selezionate per lo svolgimento della manifestazione internazionale denominata «XIX Universiade», dal 1998, anno in cui lo sciopero dei vigili urbani mandò all'aria la Palermo Supermarathon che poi non fu mai più riproposta; ad oggi la città, ha subito una continua escalation di malfunzionamenti e di infrastrutture carenti tanto che la città è stata esclusa dalla rosa di candidati a «Capitale europea dello sport 2016». Gli osservatori hanno bocciato la candidatura perché rispetto a dieci anni fa hanno riscontrato una regressione drammatica dell'impiantistica;
le condizioni degli impianti sportivi palermitani risultano essere disastrose, diverse strutture non godono dell'agibilità e altre sono abbandonate al vandalismo e al degrado. Solo a titolo esemplificativo, si citano le condizioni degli impianti sportivi comunali più significativi: il PalaMangano, edificio che dispone di una copertura lignea e fonoassorbente che consentirebbe l'utilizzo dell'edificio non solo per eventi sportivi ma anche musicali, è stato dichiarato inagibile dalla commissione comunale di vigilanza per i luoghi di pubblico spettacolo vista l'assenza dell'impianto UPS a norma; lo stadio di baseball soprannominato «Diamante», è costantemente preda del vandalismo, basti pensare che ultimamente è stato sottratto dalla struttura persino l'ascensore; i malviventi sono entrati indisturbati con un camion nella struttura e ne sono usciti senza che nessuno si accorgesse di nulla; la piscina comunale, oltre a subire continui atti vandalici, possiede un sistemi di riscaldamento a gas dal costo di gestione di centinaia di migliaia d'euro l'anno ma non è mai stato previsto alcuno investimento per l'ottimizzazione energetica né tantomeno un banale impianto di video sorveglianza per scongiurare i raid vandalici; il velodromo presenta all'interno un prato inesistente e spalti inagibili, tanto da costringere gli spettatori a sedersi per terra lungo il campo; in ultimo, il Palasport «Fondo Patti» negli anni è stato vittima di raid che hanno visto ladri e vandali depredare tubi e cavi in rame, arredi e quant'altro si potesse riciclare come materiale di seconda mano; negli anni la struttura è servita da discarica abusiva e da magazzino per il mobilio delle famiglie sfrattate dai quartieri limitrofi. Va sottolineato che nella struttura lavorano 10 custodi a cui è affidata la sorveglianza, ciò nonostante recentemente a causa dell'incuria e della mancata vigilanza si è sviluppato all'interno dell'edificio un incendio che ha devastato definitivamente il parquet;
ai sensi della legge 24 dicembre 2007, n. 2441 è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'Osservatorio nazionale per l'impiantistica sportiva, quale organismo di supporto tecnico-scientifico per l'elaborazione delle politiche nazionali per lo sport;
all'interno dei siti internet istituzionali non risultano notizie né delle riunioni del suddetto Osservatorio, l'ultima risale al 12 aprile 2012, né risultano esiti del progetto esecutivo avviato il 27 settembre 2011 dove tra gli obiettivi principali si indicano: «a) cura una ricognizione aggiornata e ripartita per ambito territoriale degli impianti sportivi esistenti, delle relative modalità di gestione e del loro effettivo utilizzo, anche al fine di predisporre un'analisi dei loro costi e benefici; b) provvede alla rilevazione costante degli elementi informativi concernenti gli impianti sportivi, con particolare riferimento al loro stato di manutenzione ed alla loro conformità alle norme di sicurezza, costituendo un'apposita banca dati» –:
quali siano gli esiti dell'attività dell'Osservatorio nazionale per l'impiantistica sportiva, che avrebbe dovuto indicare il rapporto costi-benefici degli impianti sportivi ed effettuare una ricognizione delle relative modalità di gestione nonché del loro effettivo utilizzo, con particolare riguardo alla situazione degli impianti sportivi della città di Palermo. (4-06755)
LUIGI DI MAIO, RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il sindacato di polizia Consap denuncia un fatto surreale accaduto l'8 novembre 2014 presso l'aeroporto di Comiso (Ragusa);
intorno alle ore 4 dell'8 novembre sono partiti da Agrigento tre pullman alla volta dell'aeroporto di Comiso con a bordo circa 180 migranti provenienti prevalentemente da paesi dell'Africa centrale (Ghana, Burkina Faso, Nigeria e Gambia);
giunti a Comiso attorno alle 9 di mattina, sarebbero dovuti partire alla volta di Bologna con un aereo della compagnia Niki Fly. Ma deve essersi verificato qualche disguido, dal momento che il comandante dell'aereo — dopo avere preso visione dei certificati medici che accompagnavano i migranti e necessari per essere certi che tra questi non vi fosse nessuno con malattie infettive — ha deciso di vietare il loro accesso all'aereo;
non è chiaro per quale ragione, infatti, le certificazioni rilasciate dall'ASP di Agrigento e dal CPA di Pozzallo (Ragusa) sono state ritenute non idonee. L'aereo austriaco sarebbe quindi ripartito vuoto da Comiso;
una giornalista della testata on line linksicilia.it avrebbe chiesto spiegazioni all'ufficio stampa della compagnia, il quale si sarebbe limitato a specificare che il diniego sarebbe stato dovuto a «ragioni operative» rifiutandosi di fornire ulteriori spiegazioni;
non è chiaro nemmeno se il volo in questione sia stato comunque pagato;
dopo diverse ore di estenuante attesa, alle 20,30 è stato possibile organizzare un altro volo, di un'altra compagnia che ha permesso a migranti e poliziotti di potere raggiungere finalmente Bologna, verso le 22 della stessa sera;
anche secondo quanto testimoniato dai vertici nazionali del Consap, l'approssimazione con cui viene gestito tutto il sistema dell'accoglienza e degli accompagnamenti in Italia è ormai divenuta assolutamente inaccettabile: l'inimmaginabile ed improponibile situazione che vede, da anni, i reparti mobili della polizia di Stato sostituire troppo spesso lo Stato nelle sue carenze organizzative nella ricezione di immigrati provenienti dai più disparati angoli dell'Africa ha fatto sì che il personale si ritrovi esposto pericolosamente a situazioni paradossali quali quella di Comiso;
in particolare, in questo caso, i poliziotti sono stati impegnati in un turno continuativo di 20 ore, in condizioni di stress psicofisico notevole, anche perché con il trascorrere delle ore la tensione tra i migranti — stanchi di attendere, nonché fisiologicamente affamati ed assetati — è cominciata a salire;
peraltro, stante la imprevedibilità di quanto accaduto, non era stata previsto alcun servizio di accoglienza a Comiso e sono stati i poliziotti presenti a provvedere a dissetare i migranti dopo ore di attesa –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto che appare all'interrogante molto grave;
quali siano i provvedimenti allo studio per migliorare la sicurezza delle procedure di accoglienza, con particolare riguardo agli aspetti sanitari, ed evitare che vicende come quella descritta in premessa possano verificarsi nuovamente;
quale sia il costo dei trasferimenti aerei dei migranti dai centri di accoglienza siciliani al resto d'Italia;
se, nel caso di specie, il volo partito vuoto sia stato comunque pagato.
(4-06805)
La Camera,
premesso che:
secondo un rapporto pubblicato il 20 giugno 2014 dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni in tutto il mondo ha superato i 50 milioni di persone. Alla fine del 2013 si contavano 51,2 milioni di migranti forzati, quasi 6 milioni di persone in più rispetto al 2012 dovute al massiccio esodo dalla Siria;
il fenomeno migratorio è in costante crescita ed è soggetto a continue mutazioni sia per i motivi che lo generano che le modalità con cui si manifesta: in Europa i Paesi che hanno il maggior numero di rifugiati sono la Germania (589.737; 0,72 per cento sulla popolazione residente), la Francia (217.865; 0,33 per cento) il Regno Unito (149.765; 0,23 per cento) la Svezia (92.872; 0,97 per cento) e l'Olanda (74.598; 0,44 per cento). L'Italia con oltre 65.000 rifugiati, 0,11 per cento sulla popolazione residente si colloca al sesto posto;
il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte dei trafficanti, negli anni, è considerevolmente aumentato (in generale, dal 2000 al 2013, sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra: in media più di 1.600 l'anno);
nonostante lo straordinario impegno del Governo italiano con l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum che ha salvato migliaia di vite umane, i drammi e le violazioni dei diritti umani continuano a perpetrarsi;
la Marina militare, all'interno dell'operazione Mare Nostrum, dal 18 ottobre 2013, ha assicurato il costante pattugliamento aeronavale del Mediterraneo e dello Stretto di Sicilia: 5 unità navali, circa 5 mila uomini impegnati, uomini e donne che hanno assistito direttamente 149 mila migranti, che hanno recuperato a bordo di navi che stavano affondando 93 mila persone e che hanno consegnato alla giustizia più di 500 scafisti;
l'articolo 32 della Costituzione italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività; la salute dei migranti e le tematiche della salute associate alle migrazioni hanno al momento un ruolo nodale per l'agenda internazionale dei Governi e della società civile; la salute rappresenta, non solo diritto dell'essere umano ma ricchezza fondamentale per il progresso sociale ed economico che supera i confini territoriali dello Stato;
a partire da giugno 2014 sono stati 80.000 i controlli sanitari a bordo svolti da medici della Marina militare e del servizio sanitario nazionale sulle imbarcazioni di migranti soccorse nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum e, ove questo non è stato possibile, i controlli sono stati svolti da medici a terra prima dello smistamento nei centri di accoglienza;
tale operazione dovrebbe terminare a novembre, sostituita dall'operazione Triton che Frontex farà partire il 1o novembre con il contributo di 26 Stati, operazione coordinata dalla stessa Italia e con un budget di 2,9 milioni di euro al mese;
la gestione dell'accoglienza, dell'identificazione e dell'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato; tra il 2007 e il 2013 l'Unione europea ha speso quasi 2 miliardi di euro per proteggere le frontiere esterne e solo 700 milioni di euro per il miglioramento della situazione di richiedenti asilo e rifugiati;
nell'ambito dell'accoglienza, il tema della tutela della salute è certamente importante tenendo conto della provenienza, dei motivi della migrazione spesso forzata e del percorso migratorio di queste persone, delle condizioni di viaggio e delle possibilità di inserimento sociale;
se da una parte tutte le aziende sanitarie interessate sono state in vario modo coinvolte, sorprende che il dibattito veicolato dai mass media più che sulle tutele si sia focalizzato sui pericoli. Man mano che il fenomeno degli sbarchi si è consolidato nei numeri, i giornali hanno riportato con grande enfasi il rischio delle «solite» (da almeno 30 anni ci si confronta con questi allarmismi) tubercolosi e scabbia, ma soprattutto il pericolo dell'importazione dell'Ebola, Lebbra e Vaiolo;
in relazione all'esperienza della gestione sul territorio nazionale dei casi sospetti di malattia da virus Ebola, il Ministero della salute ha stabilito un protocollo centrale in merito a casi sospetti, probabili e confermati, nonché ai contatti a cui fare riferimento nel percorso protetto diagnostico-terapeutico e di osservazione precauzionale;
la tendenza a fare delle malattie infettive uno strumento di discriminazione è parte della nostra storia recente per l'Aids e oggi per Ebola. L'uso di parole come nuova peste e catastrofe sanitaria, pandemia, malattia che non dà scampo vengono utilizzate spesso strumentalmente per evocare paure nella gente e concentrare le paure sugli stranieri come se un virus potesse distinguere un migrante da un turista, come veicolo di contagio;
se è assolutamente corretto far risalire l'allerta, attivarsi e chiedere risorse per un'azione internazionale oltre a risolvere i focolai epidemici, è anche necessario passare attraverso una corretta informazione. Il panico, la paura dello straniero, il cordone di difesa rispetto ai flussi migratori non sono funzionali a questo obiettivo;
le priorità di azione rispetto ad un focolaio epidemico, qualunque esso sia, sono la cura dei malati, l'isolamento del focolaio ed il controllo del percorso di contaminazione; l'isolamento del focolaio necessita, prioritariamente, di un'azione medica diretta sul focolaio, non di pura difesa dei confini;
l'intensificazione dei protocolli di ricerca, l'accelerazione del ritmo di lavoro per la realizzazione del vaccino, la risoluzione dell'epidemia del Senegal, i test negativi da oltre venti giorni in Nigeria e in Senegal, la sopravvivenza di personale sanitario contagiato in Spagna e in Norvegia, l'avvio di controlli di massa negli aeroporti internazionali sono il segno dell'attivazione organizzativa e dell'azione della medicina del mondo occidentale;
diventa quindi, fondamentale, accelerare la ricerca di cure efficaci e di vaccini preventivi; contribuire alla revisione della politica dell'Organizzazione mondiale della sanità sugli aiuti all'Africa, anche a sostegno del miglioramento dell'efficienza dei sistemi sanitari di quei Paesi poveri; chiedere l'intervento della FAO, perché non sia la fame a completare la strage che sta già compiendo Ebola;
la risposta ad un'epidemia, la risposta ad un virus, la risposta alla diffusione di una malattia sono fatte di medicina, affiancate a misure di polizia sanitaria, e corrette ed idonee procedure di manipolazione, diagnosi e cura. I virus, siano l'Ebola, l'HIV o gli altri agenti patogeni, non si combattono né con i confini né con la paura: c’è solo uno strumento efficace ed è la scienza,
impegna il Governo:
a predisporre, in tempi rapidi, una campagna capillare e chiara di poche e semplici informazioni sul virus, sulle modalità di contagio e sulle precauzioni igieniche, sulle disposizioni precise e tempestive che operatori della sanità devono utilizzare nel sospetto di infezione e sull'approvvigionamento dei presidi da utilizzare nei casi sospetti dall'accettazione al trasferimento nella struttura di riferimento; a garantire l'accesso dei migranti ai servizi sanitari facilitandoli con la presenza di mediatori culturali;
a proseguire nell'opera di monitoraggio e di controllo sanitario nei principali porti e aeroporti, per scongiurare ogni rischio di diffusione di malattia anche in relazione alla particolare collocazione geografica dell'Italia e del suo ruolo nell'ambito del Mediterraneo;
a predisporre una rivisitazione su base scientifica delle campagne vaccinali;
a rafforzare la rete delle unità operative di malattie infettive nel disegno già utilizzato con successo dalla campagna contro l'AIDS e, successivamente, depotenziato a seguito di riorganizzazioni e di tagli alla spesa, nonché a potenziare gli ambulatori di prima accoglienza degli immigrati;
ad attivarsi in sede europea affinché l'operazione «Triton», pur attuata nel pieno rispetto degli obblighi internazionali e dell'Unione europea, tra cui il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non respingimento, che esclude le espulsioni, preveda anche il «salvataggio di vite umane» attraverso compiti di ricerca e soccorso;
a predisporre in tempi rapidi un programma di interventi di emergenza per contrastare l'epidemia di Ebola che sta colpendo alcuni Paesi dell'Africa, prevedendo non solo adeguati stanziamenti economici ma anche l'invio di medici specializzati, di forniture di medicine e di attrezzature nonché il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza;
ad adoperarsi affinché i rifugiati e richiedenti asilo e quanti hanno subito eventi traumatici come torture, guerre o persecuzioni, abbiano adeguate cure mediche e psicologiche.
(1-00643)
(Nuova formulazione). «Amato, Dorina Bianchi, Binetti, Locatelli, Lenzi, Burtone, Albini, Beni, Carnevali, D'Incecco, Grassi, Patriarca, Miotto, Calabrò, Roccella, Buttiglione, Gigli, De Mita, D'Alia, Cera, Adornato, Piepoli, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Monchiero, Amoddio».
LATTUCA, ARLOTTI, BERLINGHIERI, BINI, COCCIA, GIULIETTI, IACONO, IORI, LODOLINI, MAESTRI, MANFREDI, PAGANI e ROMANINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'Italia è un Paese che, oltre a detenere una quota rilevantissima del patrimonio artistico e culturale mondiale, possiede oltre 5 mila chilometri di costa balneabile, caratteristica che lo contraddistingue dalla maggior parte dei paesi membri. Il turismo balneare, in un Paese come il nostro, con più coste di chiunque altro in Europa, rappresenta dunque uno dei punti di forza della nostra economia; ne sono prova i recenti dati forniti dall'Osservatorio nazionale sul turismo italiano (Isnart-Unioncamere), secondo i quali la domanda turistica balneare, pur nel contingente momento di crisi economica, non ha subìto negli ultimi anni grandi flessioni rispetto ad altre tipologie di aree turistiche; un settore che rimane il primo prodotto per la domanda turistica italiana e il secondo prodotto – dopo le città d'arte – per quella dei turisti stranieri;
gli stabilimenti balneari italiani e le aziende ad uso turistico-ricreativo costituiscono una realtà fondamentale per il sistema turistico nazionale e non è di secondaria importanza il fatto che tale settore balneare sia costituito nella quasi totalità da imprese di tipo familiare che operano nell'ambito di piccole concessioni, che negli anni hanno effettuato consistenti investimenti per offrire sempre migliori servizi, contribuendo ad innalzare l'immagine dell'intero comparto;
in particolare, gli stabilimenti balneari in Emilia Romagna sono circa 1.800 e sulle aree demaniali insistono altre strutture ricettive in grado, si stima, di garantire occupazione diretta a 7.000 unità fra concessionari e familiari a cui si aggiungono circa 25.000 dipendenti;
il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con il quale l'Italia ha recepito la direttiva 2006/123/CE («direttiva servizi», cosiddetti Bolkestein), stabilisce che dal 1o gennaio 2016, le concessioni demaniali non potranno più essere rinnovate automaticamente (non valendo più il diritto di insistenza) ma dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
l'obiettivo del legislatore comunitario attraverso la «direttiva servizi» è quello di eliminare le barriere economiche e strutturali che di fatto ostacolano la libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e la libera circolazione dei servizi tra i medesimi Stati e di garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica per l'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali previste dai trattati europei;
senza adeguati correttivi, in grado di considerare le peculiarità e le specificità di tale settore e del territorio italiano, l'applicazione di tale direttiva rischia di penalizzare gli attuali concessionari che operano nel settore balneare;
ai sensi dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modificazioni, come modificato dall'articolo 1, comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020; il comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) aveva fissato al 15 ottobre 2014 il termine temporale previsto per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime;
il termine del 15 ottobre 2014 è stato superato senza che siano intervenute ulteriori modificazioni legislative; secondo alcune informali anticipazioni, il Governo starebbe lavorando alla predisposizione di un disegno di legge ad hoc per un riordino della materia sul demanio turistico-ricreativo che, tuttavia, anticiperebbe al 2017 la scadenza delle concessioni in essere senza riconoscere alcun diritto di opzione per i concessionari;
l'esigenza di pervenire a un nuovo quadro normativo per un settore così strategico per la nostra economia non solo è urgente ma richiede l'opportunità di un percorso condiviso, anche mediante tavoli tecnici, anche da parte delle associazioni di categoria, affinché siano garantite alcune certezze per gli operatori del settore tali da favorire gli investimenti e la crescita delle imprese interessate;
un segnale positivo era giunto dalla Commissaria europea uscente per gli affari marittimi e le coste, Maria Damanaki (con la nuova Commissione UE guidata da Junker, la DG Ambiente (ENV) è stata fusa con la DG Affari marittimi e pesca (MARE) per formare la nuova DG Ambiente, affari marittimi e pesca guidata dal maltese Karmenu Vella, in sostituzione del commissario ENV, Janez Potocnik, e del commissario MARE, Maria Damanaki), secondo la quale la Commissione europea sarebbe stata disponibile a modificare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nella parte riguardante le spiagge in particolare per ciò che attiene ai vincoli applicati alle concessioni demaniali troppo rigidi, per giungere a una nuova disciplina improntata a maggiore flessibilità per i singoli Stati al fine di tener conto delle peculiarità delle proprie coste –:
se non ritenga il Governo di attivarsi in sede europea al fine di esperire tutte le azioni e gli approfondimenti necessari atti a salvaguardare gli attuali soggetti concessionari del settore, al fine di risolvere le problematiche della durata e del rinnovo delle concessioni demaniali marittime, tutelando gli investimenti e i manufatti da questi ultimi già realizzati e per assicurare la coerenza della disciplina europea del turismo balneare con le specificità nazionali e la salvaguardia dell'interesse pubblico generale, garantito anche dai servizi di salvamento in mare, tutela delle coste, primo soccorso e organizzazione dell'arenile;
quale sia l'intendimento del Governo circa la predisposizione di un disegno di legge di riordino in materia di demanio turistico-ricreativo e se non ritenga opportuno prevedere in quest'ultimo talune misure che, nell'ambito della definizione di nuovi criteri e modalità di rilascio e cessazione delle concessioni demaniali, e nel rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario in materia di concorrenza e di trasparenza, definiscano ulteriori parametri ed elementi passibili di comparazione delle offerte progettuali concorrenti, allo scopo di selezionare la migliore proposta non solo da un punto di vista economico ma dal lato della tutela delle peculiarità delle imprese turistico-balneari italiane operanti nel settore. (5-03984)
La Camera,
premesso che:
la malattia da virus ebola, precedentemente nota come febbre emorragica da virus ebola, apparsa per la prima volta nel 1976 è una malattia grave, con un tasso di mortalità che può arrivare fino al 90 per cento;
nella popolazione umana il modo più comune con cui si contrae il virus è entrare in contatto con il sudore, la saliva o sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti o persona infettata o morta a causa della malattia; l'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati, le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus, l'ebola non si diffonde via aria o con contatti casuali come sedersi vicino a una persona sull'autobus;
durante un'epidemia le persone a più alto rischio di infezione sono: operatori sanitari, familiari o altre persone a stretto contatto con persone infette, persone che hanno contatto diretto con i corpi dei defunti, nelle cerimonie funebri, cacciatori nella foresta pluviale che entrano in contatto con animali trovati morti nella foresta;
nonostante la valutazione del rischio di ebola del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie del 27 agosto 2014, la «Dichiarazione sull'epidemia di ebola» in Africa occidentale del Commissario per la salute Tonio Borg dell'8 agosto 2014 e la «Dichiarazione sulla risposta dell'Unione europea all'epidemia di ebola» del Commissario per lo sviluppo, Andris Piebalgs, e del Commissario per gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, Kristalina Georgieva, del 15 settembre 2014, il 17 settembre 2014 si leggeva su un articolo pubblicato dal quotidiano Libero che il Ministro della salute interpellato circoscriveva con assoluta sicurezza l'allarme relativo al virus ebola, affermando che «non c’è nessun rischio ebola legato all'immigrazione, si tratta di un virus limitato ad alcuni territori»;
nel corso dell'incontro informale dei Ministri, tenutosi il 22 e 23 settembre 2014, a Milano, presieduto dal Ministro interpellato nell'ambito del semestre europeo a presidenza italiana, i Ministri della salute dell'Unione europea sono stati concordi sul fatto che è necessario contrastare l'epidemia di ebola aumentando le risorse umane e finanziarie, affermando al contempo la necessità che gli Stati membri rispondano all'appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale e ha pubblicato la tabella di marcia di risposta all'ebola, tenuto conto delle conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 30 agosto 2014, con ulteriori risorse umane e finanziarie, attraverso gli appositi meccanismi ed organismi;
il Commissario europeo per la salute, Tonio Borg, ha dichiarato che il rischio ebola in Europa «rimane, comunque, basso perché una persona contagiata che abbia già i sintomi sarebbe troppo debole per viaggiare», che «la malattia non è contagiosa se non in alcune particolari condizioni, ma, nonostante tutto dobbiamo rimanere vigili, e non abbassare la guardia, con stringenti controlli negli aeroporti» e che «il nostro sistema di igiene e salute è di un livello particolarmente elevato»;
la Commissione europea ha attivato il monitoraggio la situazione attraverso il proprio Centro di coordinamento della risposta alle emergenze, che dovrebbe fungere da piattaforma per il coordinamento dell'assistenza dell'Unione europea, al fine di mobilitare squadre di risposta immediata per assicurare la diagnosi precoce, l'isolamento (dei casi sospetti e dei casi confermati in reparti diversi), il monitoraggio delle persone entrate in contatto con i pazienti e la ricerca delle catene di trasmissione, misure relative ai funerali, l'educazione e il supporto locale;
il virus dell'ebola «è una minaccia globale» e per combattere l'epidemia nei Paesi dell'Africa occidentale «c’è bisogno di tutto, ma soprattutto di personale medico», come ha sottolineato il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan durante una conferenza in cui è stato annunciato l'impegno da parte del Governo cubano di inviare 165 operatori in Sierra Leone;
le organizzazioni non governative più attive sul campo, tra queste Medici senza frontiere e la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, hanno criticato gli sforzi internazionali, definendoli pericolosamente inadeguati, in quanto le capacità estremamente limitate sul campo determinano carenze critiche in tutti gli aspetti della risposta: cure mediche di sostegno, formazione del personale sanitario, controllo dell'infezione, ricerca dei contatti, vigilanza epidemiologica, sistemi di allerta e segnalazione, educazione e mobilitazione delle comunità;
per ridurre il numero dei casi e i decessi è fondamentale accrescere la consapevolezza dei fattori di rischio e adottare le migliori e adeguate misure di prevenzione;
attualmente non esiste un vaccino autorizzato per la malattia da virus ebola. Diversi vaccini sono in fase di sperimentazione, ma nessuno è disponibile per uso clinico in questo momento;
l'8 ottobre 2014 l'Oms stimava le vittime in 4.032. Nell'ultimo bollettino del 14 ottobre il numero è salito a 4.447: 415 in più, un incremento di quasi l'11 per cento in una settimana. Nello stesso periodo, i casi accertati di contagio sono passati da 8.300 a 8.914. Solo un mese fa, il 18 settembre, l'Oms riportava 2.630 morti e 5.357 casi. Le cifre confermano dunque la temuta progressione dell'epidemia e rendono verosimili le previsioni più preoccupanti. Come se non bastasse, sempre dall'Oms si apprende che il tasso di mortalità è salito dal 50 a quasi il 70 per cento, considerando anche i decessi non accertati. Infatti l'agenzia delle Nazioni Unite concorda con altri organismi nel ritenere che il numero dei casi e delle vittime accertati sia sicuramente molto inferiore a quello reale: oltre alle persone ricoverate e decedute negli ospedali, moltissime altre, forse altrettante, sono quelle che si ammalano e muoiono a casa, assistite e sepolte dai parenti che a loro volta corrono quindi il serio rischio di contrarre la malattia;
non esistono eventuali note/circolari dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) che individuano specifiche procedure alle quali il personale di volo si dovrebbe attenere per prevenire il rischio da contagio;
unico documento regolatorio elaborato da Enac è la circolare EAL-10A, peraltro del settembre 2012 e non pienamente attinente, inerente a «Aeroporti agibili per voli provenienti da paesi extra europei o da zone sottoposte a misure sanitarie in applicazione del regolamento sanitario internazionale»;
secondo la circolare Enac EAL-10o, al punto 5.1, nel caso in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità segnali un evento che possa rappresentare un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, o in tutti i casi in cui la valutazione del rischio di diffusione di malattie trasmissibili da particolari aree geografiche indichi l'opportunità di ulteriori controlli e misure, il Ministero della salute Direzione generale della prevenzione può chiedere l'implementazione di misure di sanità pubblica e il dirottamento del traffico aereo proveniente dalle zone interessate dall'evento, sugli aeroporti designati come sanitari (Roma Fiumicino e Milano Malpensa);
il sito del Ministero della salute, afferma che in Italia sarebbero state attivate tutte le possibili misure di preparazione e risposta a livello nazionale, regionale e locale, nel caso in cui che si debba gestire un sospetto caso di Ebola, in particolare, che sarebbero state adottate tutte le misure di profilassi internazionale, nei porti ed aeroporti, attraverso i competenti uffici del Ministero, dislocati su tutto il territorio e, anche nel caso di particolari minacce per la salute, il sistema di sanità pubblica sarebbe in grado di rispondere, in base alle indicazioni centrali, al contenimento della minaccia del virus, essendo presenti, sul territorio, due strutture dotate di laboratori di massima sicurezza e di stanze ad alto isolamento (INMI Spallanzani di Roma ed Ospedale Sacco di Milano), in conformità al protocollo per il trasporto in alto biocontenimento di pazienti affetti da febbri emorragiche virali;
ma non tutto sembra così certo se Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind, afferma che ad esempio. «Gli infermieri italiani non sono adeguatamente preparati a fare fronte ad eventuali casi di Ebola: non hanno ricevuto una formazione specifica né rispetto alla malattia né circa l'utilizzo dei dispositivi di protezione. Inoltre, in molti ospedali tali dispositivi, come tute e maschere, mancano ancora». Il segretario Nursind aggiunge «che in alcuni presidi mancherebbero le tute previste come dispositivi di protezione individuale anti-Ebola e siano quindi state riprese vecchie tute in dotazione contro la Sars; ma si tratta di tute diverse e non conformi a quelle previste invece nei protocolli relativi al trattamento dei pazienti con Ebola». Tali dispositivi, precisa, «sono stati ordinati ma ancora mancano in moltissimi ospedali e, soprattutto, ad oggi, non è prevista una formazione degli infermieri sul come utilizzarli»;
l'Organizzazione mondiale della sanità ammette gli errori commessi in Africa nel contrastare Ebola. A rivelarlo è la bozza di un documento interno all'Oms ottenuto dall’Associated Press, nel quale si afferma che «quasi tutte» le persone coinvolte nel rispondere all'emergenza non hanno notato elementi di quella che è poi divenuta un'esplosione del virus. Staff incompetente, burocrazia e mancanza d'informazioni affidabili tra le cause. L'OMS non commenta il documento, limitandosi a dire che i «dettagli inclusi non saranno discussi fino a quando il documento non sarà completato e i fatti chiariti e provati. Siamo per la trasparenza e la responsabilità e pubblicheremo la revisione quando tutti i fatti saranno controllati»;
l'ospedale di Dallas, dove è stato curato Thomas Eric Duncan, il paziente «zero» con Ebola (poi deceduto) e dove due infermiere sono state contagiate dal virus, in una lettera aperta pubblicata sul Dallas Morning e sullo Star Telegram, ammette che «nonostante le migliori intenzioni, non siamo riusciti a rispettare gli elevati standard che sono al centro della storia dell'ospedale, della sua missione e del suo impegno». La missiva è firmata dall'amministratore delegato del Texas Health Resources, Barclay Berdan. «Abbiamo fatto errori nell'affrontare una situazione difficile» ammette Berdan, precisando che da quando il primo caso è stato diagnosticato sono state effettuate modifiche a tutela del personale medico. Le indagini su come le due infermiere, Nina Pham e Amber Vinson, siano state contagiate vanno avanti e arriveranno degli esperti esterni per stabilire l'accaduto,
impegna il Governo:
a predisporre un apposito capitolo di bilancio destinato ad affrontare la possibile emergenza derivante dall'eventuale epidemia di ebola e in particolare per sostenere e attivare tutte le iniziative necessarie alla attività di prevenzione e di supporto tecnico, logistico e strumentale per gli operatori che si dovesse ritenere necessario mobilitare;
a prevedere che le risorse utilizzate per affrontare, in particolare, le attività di prevenzione nazionali e internazionali del virus ebola siano escluse dai vincoli europei e dal patto di stabilità previsto per i bilanci regionali;
a predisporre un piano nazionale finalizzato a modulare gli interventi sanitari a crescere, a seconda dell'evolversi dell'epidemia in Africa ovvero eventualmente in Europa e in Italia;
a prevedere l'istituzione di ulteriori centri specializzati, oltre ai due già individuati (l'Inmi, Istituto nazionale malattie infettive-Spallanzani di Roma, e l'ospedale Sacco di Milano), anche nell'Italia meridionale dove poter ricoverare eventuali pazienti colpiti da ebola;
a riattivare i centri di infettivologia oggi dismessi presso ospedali militari che sono in stato di non utilizzo; predisporre mezzi aerei e ambulanze fornite di strutture, personale specializzato e formato, nonché di dotazioni adeguate per affrontare l'assistenza a pazienti eventualmente malati di ebola conclamato o sospetto;
a procedere alla immediata riorganizzazione del personale e della logistica sia civile che militare per renderlo idoneo alla terapia dei pazienti con patologia da Ebola anche attraverso una turnazione del lavoro che determini l'impossibilità di superare le otto ore di lavoro per il personale sia medico, che paramedico;
a mettere in atto tutte le attività affinché sia possibile richiamare in servizio il personale medico e paramedico specializzato sia civile che militare anche in deroga alla normativa vigente in materia di congedi e pensionamento;
ad incrementare e formare adeguatamente il personale medico di stanza negli aeroporti e nei porti;
a prevedere l'istituzione di unità di crisi mobili per affrontate eventuali psicosi collettive sul territorio nazionale a causa di eventuali casi di cittadini italiani colpiti dal virus ebola;
istituire una unità nazionale presso l'Istituto superiore di sanità con il compito di supporto e di coordinamento nel caso di emergenze sanitarie;
ad incrementare ulteriormente l'invio di personale medico e paramedico nei Paesi africani dove si sono evidenziati casi di ebola, dotato di attrezzature idonee, adeguatamente remunerato al fine di affrontare in loco l'espansione della patologia;
ad attivarsi in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea affinché le forme di prevenzione e le eventuali strutture sanitarie individuate siano tutte specializzate e con gli stessi standard di sicurezza, appropriatezza di cure e attrezzature anche in tutti i porti e aeroporti europei dell'est Europa;
a predisporre protocolli e procedure comuni per quanto concerne i controlli agli aeroporti, per tutelare la salute dei cittadini italiani, seguendo alcune prassi già utilizzate in molti paesi aderenti e non aderenti all'Unione europea, quali la misurazione della temperatura dei viaggiatori provenienti dall'Africa occidentale, in entrata negli aeroporti nazionali;
ad intervenire con specifiche iniziative di tutela per il personale di volo, che tengano conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato e ai rischi relativi ai loro mansionari, sia in contesti di emergenza sanitaria internazionale che non, dando attuazione al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 ai sensi dell'articolo 3, comma 2, e all'articolo 7 del decreto legislativo n. 185 del 2005;
in accordo con i Ministri dell'Unione europea, a sostenere e incoraggiare l'Unione Africana per quanto concerne la necessità di un piano d'azione globale, in quanto la situazione africana continua a deteriorarsi rapidamente e incide sull'economia e sull'ordine pubblico dei Paesi interessati, dato che la crisi dell'ebola è diventata complessa, con implicazioni di natura politica e di sicurezza e di carattere economico e sociale che continueranno a ripercuotersi sulla regione ben oltre l'attuale emergenza sanitaria.
(1-00645) «Grillo, Silvia Giordano, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Lorefice, Mantero, Castelli, Sibilia, Baroni, Spadoni».