ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 287 di mercoledì 10 settembre 2014

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozioni:
  Bianchi Dorina  1-00589  16247
  Cicchitto  1-00590  16249
  Rampelli  1-00591  16250

Risoluzioni in Commissione:
 VI e XIII Commissione:
  L'Abbate  7-00460  16252
 IX Commissione:
  Bergamini  7-00459  16253

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Ventricelli  5-03508  16254
  Mannino  5-03515  16255
  Colletti  5-03524  16257

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cirielli  4-05954  16258
  Cirielli  4-05955  16259
  Cirielli  4-05956  16261
  D'Arienzo  4-05960  16262
  Matarrese  4-05969  16263
  Mannino  4-05975  16265

Affari esteri.

Interrogazione a risposta scritta:
  Cirielli  4-05970  16267

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 VIII Commissione:
  Grimoldi  5-03511  16270
  Braga  5-03512  16271
  Mannino  5-03513  16272
  Pellegrino  5-03514  16275

Interrogazione a risposta scritta:
  Russo  4-05966  16276

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazione a risposta scritta:
  Melilla  4-05953  16276

Difesa.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 IV Commissione:
  Corda  5-03520  16277
  Marcolin  5-03521  16277
  Duranti  5-03522  16277
  Vito  5-03523  16279

Economia e finanze.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Pizzolante  5-03509  16279

Interrogazioni a risposta scritta:
  Guidesi  4-05971  16279
  Scotto  4-05976  16280
  Guidesi  4-05977  16282

Giustizia.

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
  D'Alessandro  2-00671  16283

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazione a risposta orale:
  Gallinella  3-01017  16284

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Mannino  5-03510  16285

Interrogazioni a risposta scritta:
  Borghi  4-05951  16287
  Melilla  4-05952  16288
  Lodolini  4-05963  16288
  Fraccaro  4-05964  16288

Interno.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cirielli  4-05957  16289
  Molteni  4-05972  16290
  Di Stefano Marco  4-05974  16291
  Naccarato  4-05978  16291
  Nesci  4-05979  16293

Istruzione, università e ricerca.

Interpellanza:
  Melilla  2-00670  16295

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cominardi  4-05958  16296
  Carrescia  4-05962  16297
  Melilla  4-05965  16298

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Melilla  4-05961  16299
  Ricciatti  4-05967  16299

Politiche agricole alimentari e forestali.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 XIII Commissione:
  Mongiello  5-03516  16300
  Bordo Franco  5-03517  16302
  Caon  5-03518  16303
  Benedetti  5-03519  16304

Salute.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Brambilla  4-05959  16305
  D'Arienzo  4-05973  16306

Sviluppo economico.

Interrogazione a risposta scritta:
  Gallo Riccardo  4-05968  16307

Apposizione di firme ad interrogazioni  16308

Cambio di presentatore di interpellanza  16308

Pubblicazione di testi riformulati  16308

Mozioni:
  Gallo Luigi  1-00430  16308
  Bianchi Dorina  1-00585  16310

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo  16313

ERRATA CORRIGE  16313

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

   La Camera,
   premesso che:
    con l'accordo politico del 27 giugno 2013 i Governi dell'Unione europea hanno convenuto di ridurre a 959,99 miliardi di euro di impegni e a 908 miliardi di euro in termini di pagamenti il massimale di spesa dell'Unione europea a 28, per il periodo 2014-2020. Le risorse impegnabili sono pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo degli Stati dell'Unione europea in termini di impegni, rispetto all'1,08 per cento originariamente proposto dalla Commissione europea, configurando così il primo caso nella storia dell'Unione europea in cui il quadro finanziario pluriennale risulta di entità inferiore (oltre il 3 per cento) rispetto all'esercizio settennale precedente;
    si riducono le risorse per le politiche di coesione sociale e territoriale (da 354,8 a 325 miliardi complessivi), mentre più risorse saranno destinate ai capitoli su competitività e crescita (Galileo, Orizzonte 2020, reti di trasporto transfrontaliere): in tale ambito, le risorse passano da 91,5 miliardi di euro del settennato 2007-2013, ai 125,6 miliardi di euro per il periodo 2014-20120. L'Italia mantiene fondi per la coesione, con 29,34 miliardi di euro nel prossimo settennio, contro i 29,38 miliardi di euro dell'esercizio corrente; da segnalare l'attribuzione di maggiori risorse sia nel settennato, sia nel 2014, alle misure legate alla sicurezza e in particolare al potenziamento di Frontex;
    nel bilancio comunitario 2014-2020 le politiche agricole e della pesca assumono ancora un significativo rilievo (dal 42,3 per cento al 38,9 per cento del budget dell'Unione europea): per i prossimi sette anni l'agricoltura europea potrà contare su 410 miliardi di euro e all'Italia spetteranno 33,3 miliardi di euro (di cui 24 miliardi di euro per gli aiuti diretti e 9,3 miliardi di euro per lo sviluppo rurale);
    le istituzioni europee hanno introdotto una serie di disposizioni e meccanismi di flessibilità idonei a rendere il nuovo quadro finanziario pluriennale maggiormente efficace, trasparente e adeguato alle esigenze attuali e future dei cittadini dell'Unione europea;
    il 12 novembre 2013 il Consiglio dei ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea ha raggiunto l'accordo sul bilancio comunitario per il 2014, aderendo alla proposta iniziale della Commissione europea, che prevedeva impegni per 142,6 miliardi di euro e pagamenti per 135,5 miliardi di euro, leggermente inferiori rispetto a quanto richiesto dal Parlamento; tali accordi sono stati approvati dal Parlamento europeo a fine novembre 2013;
    le tre principali fonti di finanziamento dell'Unione europea sono:
     a) lo 0,73 per cento del reddito nazionale lordo di ciascun Paese membro, un introito che rappresenta i due terzi del bilancio dell'Unione europea. Il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva;
     b) le cosiddette risorse proprie tradizionali, principalmente dazi all'importazione, sui prodotti provenienti da paesi esterni all'Unione europea;
     c) una percentuale della base imponibile armonizzata dell'imposta sul valore aggiunto di ciascun paese dell'Unione europea;
    secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 l'Italia ha versato all'Unione europea 16,4 miliardi di euro, pari al 12,78 per cento del bilancio comunitario relativo al medesimo anno, in ulteriore aumento rispetto ai 16 miliardi di euro del 2011 (+2,5 per cento), ricevendo invece dal bilancio dell'Unione europea 9,7 miliardi di euro;

    nonostante il tracollo del prodotto interno lordo italiano, solo nel 2012 si registra, non la diminuzione, ma un rallentamento della crescita delle risorse trasferite dall'Italia all'Unione europea; stando ai dati della Ragioneria generale dello Stato, negli ultimi 12 anni l'Italia ha versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, una differenza di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    nell'ambito delle trattative sul riparto sia delle risorse comunitarie, sia dell'apporto degli Stati al bilancio comunitario, si sono registrati trattamenti differenziati che, sostanzialmente, si traducono in trattamenti di favore; grazie alla cosiddetta «correzione britannica», concessa in forza del minor peso che l'agricoltura ha nell'economia inglese (una decisione assunta trent'anni fa, quando l'economia britannica godeva di minori benefici rispetto agli altri Stati membri dalle politiche comunitarie), il Regno Unito continua tutt'oggi a beneficiare di più di 3 miliardi di euro all'anno, di cui 635 milioni di euro pagati dall'Italia;
    l'Italia (insieme ad altri Paesi) continua, inoltre, a sostenere una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi al Regno Unito per la correzione degli squilibri di bilancio. In base alla decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 è stata confermata, infatti, l'agevolazione in favore del Regno Unito, dell'Austria, della Germania e dei Paesi Bassi, che hanno beneficiato di aliquote di prelievo dell'IVA ridotte durante il periodo 2007-2013. Paesi Bassi e Svezia beneficiano di riduzioni lorde dei loro contributi annui basati sul reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il Fondo per lo sviluppo e la coesione si fonda sull'articolo 3 del Trattato di Roma, che prevede una politica di riavvicinamento delle economie degli Stati; in tal senso il Fondo per lo sviluppo e la coesione assiste i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria; con tale meccanismo sono finanziati sia Paesi effettivamente in ritardo di sviluppo (quali Romania, Grecia, Portogallo), sia Paesi che hanno una crescita del prodotto interno lordo nettamente positiva, come Polonia, Irlanda e, dal 2014, la Spagna;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984, nel generalizzare il meccanismo di correzione al bilancio già in vigore per il Regno Unito, ha stabilito che « (...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»,

impegna il Governo:

   a considerare, tra le priorità del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea (nel contempo avviando da subito il dibattito in sede comunitaria), la riforma dei criteri di formazione e di ripartizione del bilancio comunitario, in particolare richiedendo:
    a) la revisione delle modalità di calcolo degli apporti dei singoli Stati al bilancio, secondo criteri che tengano conto del ciclo economico e delle sperequazioni sociali nei singoli Stati;
    b) la revisione dell'attualità di tutti i meccanismi di agevolazione o di maggior favore;
    c) un più massiccio finanziamento delle politiche di coesione sociale e territoriale;
   ad avviare, nell'ambito del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea e successivamente al rinnovo del Parlamento europeo e della Commissione europea del 2014, una revisione di medio termine del quadro finanziario pluriennale entro il 2016, al fine di consentire un riesame delle priorità e degli stanziamenti per i restanti anni del quadro finanziario, alla luce dei mutamenti negli scenari macroeconomici e negli equilibri politici;
   in merito all'applicazione di molti capitoli della nuova Politica agricola comune,
a partire dalle misure transitorie per il 2014, a procedere con la massima celerità agli adempimenti di propria competenza, curando, in particolare, che le risorse vengano utilizzate in modo ottimale.
(1-00589) «
Dorina Bianchi, Bernardo».

   La Camera,
   premesso che:
    nello scenario internazionale e, in particolare, nel quadrante mediterraneo e mediorientale, si registra una perdurante instabilità, con numerosi focolai di tensione e di crisi interne ai singoli Stati, potenzialmente in grado di destabilizzare intere regioni, delineando un quadro della sicurezza quanto mai complicato e imprevedibile. In tale situazione, a fronte di significativi incrementi di spese militari in alcuni Paesi, si assiste ad una generalizzata riduzione degli investimenti nella difesa del mondo occidentale;
    in tale contesto geopolitico, se emergono con forza i vantaggi in termini operativi, capacitivi ed economici potenzialmente derivanti da un rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune europea, nell'ambito della più generale politica estera e di sicurezza comune, rimane comunque essenziale poter disporre, a livello nazionale, di uno strumento militare che, compatibilmente con le risorse disponibili, sia bilanciato e flessibile per rispondere con tempestività a crisi di carattere e dimensione non prevedibili;
    il Parlamento ha da tempo, ed in diverse occasioni, manifestato al Governo il proprio orientamento convintamente favorevole all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una riflessione profonda sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate. La Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento delle dotazioni, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti dall'Italia e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    il Governo ha annunciato l'intenzione di realizzare, entro la fine del 2014, un Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, dalla cui approvazione risulteranno definite le linee del nuovo quadro strategico di riferimento per lo strumento militare, gli obiettivi che il Paese intende perseguire e le modalità e gli strumenti da utilizzare per la protezione e la tutela dei cittadini, del territorio e degli interessi vitali e strategici del Paese;
    numerosi Paesi stanno procedendo con un rinnovo delle linee di volo delle rispettive Forze armate e, fra questi, alcuni hanno selezionato a tal fine il velivolo Joint Strike Fighter F-35 prodotto dalla Lockheed Martin, in cooperazione con altre industrie aeronautiche internazionali, anche italiane;
    il velivolo F-35 si trova tuttora nella fase di sviluppo, incontrando problemi tecnici dalla cui soluzione dipende la data della sua piena operatività;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    la partecipazione dell'Italia al programma F-35 ha già comportato un consistente esborso economico, superiore a 2 miliardi di euro, mentre le dimensioni complessive del programma ne faranno uno dei maggiori impegni di spesa per i prossimi anni, facendolo rientrare certamente fra i principali programmi di ammodernamento delle Forze armate;
    per la forte connessione internazionale del programma di produzione, di ammodernamento e di sostegno logistico durante la vita del velivolo, stimata in alcuni decenni, il programma F-35 potrà generare ritorni economici e occupazionali, nonché avanzamenti tecnologici di assoluto interesse anche per l'Italia;
    la produzione in Italia, su commessa della Lockheed Martin, di componenti strutturali del velivolo è già iniziata, ma non si hanno notizie certe relativamente alle future commesse produttive o a contratti relativi al sostegno logistico per i velivoli F-35 che verranno acquisiti dai partner internazionali;
    l'assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane è già in corso, ma i contratti relativi ai velivoli successivi ai primi sei esemplari risultano temporaneamente sospesi per decisione del Governo;
    per la rilevanza del programma F-35 in termini di capacità operative future delle Forze armate italiane, esso dovrà necessariamente essere coerente al quadro strategico di riferimento e ai compiti assegnati alle stesse Forze armate,

impegna il Governo:

   a ricercare ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua competitività quale polo produttivo e logistico internazionale;
   ad accertare nuovamente la piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di sicurezza e ai criteri tecnici e operativi delle Forze armate;
   a considerare nuovamente le scelte complessive relative al programma F-35, sulla base dell'apprezzamento dello scenario strategico, degli impegni internazionali assunti dall'Italia e delle risorse disponibili, come definiti nel Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa.
(1-00590) «
Cicchitto, Dorina Bianchi, Sammarco, Scopelliti, Tancredi».

   La Camera,
   premesso che:
    a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno emanato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa;
    in risposta alle suddette sanzioni, il 7 agosto 2014 le autorità russe hanno disposto un embargo annuale su svariate tipologie di prodotti agroalimentari provenienti da Unione europea, USA, Australia, Canada e Norvegia;
    il 5 settembre a Minsk, Ucraina e Federazione Russa hanno sottoscritto un accordo per il cessate il fuoco, per una transizione verso la pacificazione dell'area anche attraverso il riconoscimento di uno statuto di autonomia per le popolazioni russofone della regione del Donbass, nell'est dell'Ucraina;
    l'8 settembre il Consiglio dell'Unione europea ha varato nuove sanzioni indirizzate al settore energetico (sospendendole temporaneamente per verificare il progressivo rispetto degli accordi di Minsk) cui il Presidente russo Medvedev ha risposto ipotizzando la chiusura dello spazio aereo nazionale ai voli europei e statunitensi;
    dall'inizio della crisi nella regione del Donbass sono quasi un milione i profughi e gli sfollati scappati dalla guerra ed entrati in Russia, oltre 1200 i morti e 4000 i feriti tra i civili;
    è auspicabile per l'Italia e per l'Europa tutta che si ponga fine all’escalation militare e si giunga ad una soluzione politica che preveda la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Ucraina, così come la tutela e l'autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass;
    l'embargo russo colpisce duramente l’export italiano e le imprese agroalimentari italiane: le prime stime parlano di perdite di almeno duecento milioni di euro tra ortofrutta, carni fresche e lavorate, latte e derivati, pasta e pesce;
    nel 2013 le esportazioni italiane in Russia sono cresciute dell'8,2 per cento per un valore totale complessivo di 10,4 miliardi di euro, mentre le esportazioni agroalimentari hanno fatto segnare la cifra record di un miliardo di euro, rappresentando circa il 10 per cento del totale;
    oltre al danno diretto, l'Italia subirà un danno indiretto anche sul mercato interno, che verrà ulteriormente invaso da prodotti provenienti da altri Paesi dell'Unione europea a prezzo e qualità inferiore, in particolare nel settore ortofrutticolo, e che in ogni caso vedrà aumentare la quantità di prodotto disponibile a scapito dei prezzi;
    il fenomeno dell’italian sounding nel settore agroalimentare provoca già danni per oltre 50 miliardi di euro annui, e alcune aziende hanno deciso di spostare la produzione in Paesi esclusi dal blocco – come ad esempio la Serbia – producendo in loco con materie prime locali, mentre altre cercano di escogitare sistemi diversi per aggirare l'embargo;
    tutto ciò provocherà un ulteriore danno al comparto, in quanto non vi è nessuna garanzia sul rispetto delle norme e delle condizioni di produzione, delle materie prime utilizzate, così come dei disciplinari di produzione per tutti quei prodotti a marchio DOP, IGP e STG;
    una volta ristabilitasi la situazione e cessato l'embargo, non sarà automatico il ritorno ai volumi di scambi sopra citati, poiché è lecito pensare che prodotti provenienti da Paesi extra Unione europea avranno nel frattempo guadagnato quote di mercato fino a poche settimane fa detenute dai prodotti italiani, in molti casi a seguito di ingenti investimenti in termini di promozione del prodotto;
    le conseguenze si stanno facendo pesantemente sentire non soltanto in termini di mancate esportazioni, ma anche di indebolimento della struttura della rete commerciale e della distribuzione, con conseguente chiusura di aziende e perdita di occupati;
    il pacchetto di misure compensative proposto dalla Commissione europea a sostegno dell'agroalimentare comunitario è del tutto insufficiente, poiché copre solo in minima parte i danni diretti provocati dall'embargo e in nessuna misura quelli indiretti;
    alcuni prodotti risultano particolarmente colpiti: ad esempio, i formaggi a denominazione d'origine stagionati non potranno accedere agli aiuti dell'Unione europea per l'ammasso privato, correndo il rischio di una distorsione della concorrenza a vantaggio di altri formaggi;
    l'embargo russo seguito alle sanzioni dell'Unione europea è l'ennesimo duro colpo per l'agricoltura italiana già fortemente colpita nel 2014 dalle condizioni climatiche (inverno mite ed estate molto piovosa) nonché dal costante calo dei consumi interni;
    il mondo produttivo italiano, e segnatamente le associazioni dei produttori del comparto agroalimentare, ha lanciato ripetuti appelli ad intervenire a tutela del settore;
    anche da altri Stati membri dell'Unione cominciano a levarsi forti preoccupazioni sull'impatto dell'embargo ai danni di molte economie europee,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, anche in forza della Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea, di una iniziativa finalizzata alla revoca immediata delle sanzioni dell'UE contro la Russia e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica alla crisi ucraina;
   a ritirare, in ogni caso, il sostegno italiano a sanzioni che colpiscono duramente gli interessi nazionali;
   ad impegnarsi con maggiore incisività in sede di Unione europea affinché la Commissione vari misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera, ristorando i danni, contingenti e strutturali, subiti per effetto dell'embargo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà del settore agroalimentare italiano.
(1-00591) «
Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».

Risoluzioni in Commissione:

   Le Commissioni VI e XIII,
   premesso che:
    la crisi che colpisce da tempo il comparto ippico richiede interventi urgenti atti a supportare e rilanciare un settore che rappresenta una rilevante risorsa per l'intero Paese, volano di sviluppo economico ed elemento rappresentativo delle identità dei territori;
    lungi dal rappresentare una mera attività ludica, l'ippica offre numerose altre opportunità di intrattenimento socio-culturale e didattico e genera un considerevole indotto che va dalla produzione di fieno e mangimi al trasporto di cavalli, sellerie e finimenti, dalla fabbricazione e il commercio di attrezzature ed abbigliamento, ai prodotti per la salute e l'igiene dei cavalli, senza considerare gli oltre 2.000 circoli ippici affiliati alla federazione italiana sport equestri, i 440 circoli affiliati Fitetrec – Ante (turismo equestre e monta da lavoro con 15.000 iscritti) e più di 4500 agriturismi;
    stando ai dati aggiornati diffusi dall'UNIRE, il patrimonio dei cavalli censiti in Italia ammonta a 463.961 capi, il numero degli operatori del comparto ippico in senso stretto ammonta a 48.513 persone e sono oltre 610.000 gli ettari di terreno dedicati all'allevamento e alla produzione di alimenti per cavalli;
    fino ai primi anni del 1990 l'ippica italiana si è autofinanziata tramite le scommesse e la distribuzione del gioco sia in ippodromo che nella propria capillare e ben distribuita rete di vendita; il sopraggiungere di altre tipologie di scommesse, prima sportive e poi d'azzardo, i continui avvicendamenti ai vertici dei principali enti di riferimento, nel tempo soppressi, hanno in seguito determinato il tracollo dell'intero sistema;
    l'assenza di interventi strutturali di riforma del comparto, unitamente alle vicende sopra richiamate ha favorito nel corso del tempo la distrazione di fondi dal settore dell'ippica, rendendo asfittica la sua gestione ed impossibile ogni forma di rilancio e, allo stato attuale, quasi tutti i più prestigiosi ippodromi nazionali stanno chiudendo;
    la legge 11 marzo 2014, n. 23, recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, dispone, relativamente al settore ippico, e ai fini del rilancio del comparto, l'adozione di decreti legislativi che tengano conto di specifici principi e criteri direttivi,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative dirette ad istituire, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, la Commissione per il benessere del cavallo, composta da cinque membri nominati dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali scelti tra medici veterinari ippiatri esperti in problematiche relative al benessere del cavallo;
   a valutare la necessità di vietare le scommesse virtuali negli ippodromi;
   a predisporre adeguate misure per il recupero e la gestione dei cavalli a fine carriera o infortunati al fine di evitare che tali esemplari possano essere utilizzati nelle corse clandestine in mano alla criminalità organizzata ovvero destinati alla macellazione illegale;
   ad assumere iniziative affinché sia organo della lega ippica italiana di cui al numero 1) della lettera ff) del comma 2 dell'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, un consiglio direttivo, nominato da una assemblea dei soci e composto da un presidente della Lega che lo presiede, designato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, scelto tra persone di elevata esperienza manageriale e comprovata indipendenza dagli operatori del settore ippico e dai concessionari di giochi, e da dodici consiglieri, dei quali uno designato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, uno designato dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, uno designato dai soci appartenenti a ciascuna delle seguenti categorie: proprietari di trotto, proprietari di galoppo, allenatori di trotto, allenatori di galoppo, allevatori di trotto, allevatori di galoppo, due rappresentanti del «sella» (un allevatore e un rappresentante designato dalla Federazione Italiana Sport Equestri – FISE) e due designati dai soci della categoria società di gestione degli ippodromi;
   ad assumere iniziative affinché l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, con decreto del direttore generale da emanare entro il 31 ottobre 2014, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, provveda:
    a) all'assegnazione in esclusiva dell'offerta di scommesse ippiche su tutto il territorio nazionale, mediante gara pubblica, a un soggetto che non abbia interessi diretti o indiretti alla distribuzione e gestione di altri tipi di scommesse;
    b) alla riduzione del prelievo fiscale sulle scommesse ippiche effettuate dentro e fuori dagli ippodromi. In ogni caso, detto prelievo, non potrà essere superiore al prelievo fiscale applicato ad altri tipi di scommesse offerte sul territorio nazionale;
    c) all'unificazione dei totalizzatori per la gestione delle scommesse ippiche, prevedendo la razionalizzazione dei costi tecnici e organizzativi, da attuare entro il 31 marzo 2015;
    d) all'adozione, a seguito dell'attivazione del totalizzatore ippico unico, di criteri e di modalità tecniche di gestione e di ripartizione tali da assicurare: un prelievo medio ponderato su base annua, da effettuare sulle scommesse e sui giochi ippici a totalizzatore, compreso tra il 24 e il 26 per cento della raccolta; una percentuale della raccolta totale da destinare al pagamento delle vincite, denominata «payout», compresa tra il 74 e il 76 per cento; l'invarianza della remunerazione percentuale dei concessionari connessa alla raccolta delle scommesse Tris, Quarté e Quinté, già gestite dal totalizzatore dell'ippica nazionale; la remunerazione dei concessionari, per ogni altra scommessa o gioco gestiti dal totalizzatore ippico unico, nella misura del 42,5 per cento del relativo prelievo; una quota in favore della Lega pari al 50 per cento del prelievo;
    e) per le sole scommesse ippiche a quota fissa, l'adozione dei criteri e delle modalità tecniche atti ad assicurare l'applicazione di un'imposta unica e di un prelievo destinato alla Lega pari, rispettivamente, all'1,5 per cento e al 3,5 per cento della raccolta netta complessiva annua.
(7-00460) «
L'Abbate, Alberti, Gallinella, Benedetti, Gagnarli, Parentela, Massimiliano Bernini».

   La IX Commissione,
   premesso che:
    il settore dell'autotrasporto, che impiega in tutta Europa direttamente circa 10 milioni di persone, costituendo il 4,5 per cento dell'occupazione totale e generando il 4,6 per cento del prodotto interno lordo europeo, si pone come un ambito vitale e di sviluppo, radicato soprattutto nelle zone frontaliere, per l'economia del nostro Paese;
    il settore attraversa, a partire dal 2008, un periodo di durissima crisi, dovuto, oltre che allo sfavorevole andamento dell'economia, anche all'assoggettamento ad una tassazione particolarmente pesante, e tutto questo nonostante il Governo Berlusconi abbia raddoppiato i fondi per il settore destinati agli sconti sui pedaggi autostradali, allo sconto sul bollo di circolazione degli autoarticolati, alla istituzione di un fondo di garanzia per il credito al settore cui sono state ammesse quasi 10 mila aziende;
    l'allargamento dell'Unione europea non ha tutelato le aziende più esposte come quelle attive nel settore del trasporto, poiché, pur potendo il Paese appellarsi alla clausola di salvaguardia, questa può essere esercitata una sola volta in regime di reciprocità, creando più problemi di quanti ne possa risolvere;
    la crisi si è acuita anche a causa dell'attività di imprese europee che effettuano operazioni di trasporto merci sul territorio nazionale in regime di cabotaggio, spesso in condizioni di concorrenza sleale;
    tra le violazioni più ricorrenti vi sono il superamento dell'orario di lavoro, il mancato rispetto delle normative sul «cabotaggio», l'utilizzo irregolare di manodopera somministrata dall'estero;
    in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Svezia sono stati nel frattempo adottati provvedimenti restrittivi volti a contrastare il dumping sociale nell'autotrasporto;
    in data 24 giugno 2014, la Commissione europea – Direzione generale della mobilità e dei trasporti – ha riconosciuto che «le norme sul cabotaggio possono non essere applicate in modo uniforme» e, per questo, l'Unione europea «sta valutando la possibilità di modificare la vigente normativa», adottando «una proposta intesa a chiarire e a semplificare i regolamenti nel 2015»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rivedere, nell'ambito del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, la normativa comunitaria in materia di trasporti di «cabotaggio» di merci e persone, considerato l'impegno preso dalla Commissione europea il 14 aprile 2014, con la pubblicazione di una relazione sullo «stato del mercato europeo del trasporto stradale», con l'annuncio della revisione dei regolamenti (CE) n. 1071/2009 e (CE) n. 1072/2009 nell'ambito del programma REFIT (comunicazione del dicembre 2012 – Pour une réglementation de l'UE bien affûtée), in cui si mira a semplificare e a chiarire la norma in vigore piuttosto che ad aprire ulteriormente il mercato;
   a fare sì che il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea sia l'occasione per il nostro Paese per ridefinire le politiche europee di settore: dal cabotaggio alla concorrenza sleale, alla tracciabilità delle merci fino all'utilizzo della telematica a bordo dei mezzi come strumento per incrementare la sicurezza stradale, per aumentare l'efficienza logistica, per ridurre i tempi di attesa di carico e scarico delle merci stesse.
(7-00459) «
Bergamini, Biasotti, Squeri».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   VENTRICELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia attuale, riportata in questi ultimi giorni dalle maggiori testate giornalistiche nazionali, che già da sette anni l'Unione europea solleciterebbe l'Italia a prendere misure finalizzate a risolvere il problema delle discariche abusive, attualmente concentrate soprattutto a sud della Penisola;
   a seguito di una richiesta di condanna della Corte di giustizia europea da parte dell'avvocato generale della Ue per la continua utilizzazione delle discariche abusive, il nostro Paese corre il rischio di pagare una multa giornaliera di 158.200 euro fino alla piena esecuzione della sentenza del 2007, oltre a una sanzione forfettaria di 60 milioni di euro;
   tale richiesta è stata determinata dall'entrata in vigore della direttiva europea del 2006, in base alla quale gli Stati membri dell'Unione avevano l'obbligo di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento: impegno mai rispettato dall'Italia;
   l'Italia ha violato la direttiva comunitaria in materia di smaltimento di rifiuti e, sempre secondo quanto appreso, la richiesta di Bruxelles avrebbe potuto essere retroattiva con un conto enorme per le casse dello Stato, ma la Commissione Ue ha preferito procedere per gradi: prima la censura, poi il taglio dei fondi e, infine, dopo i solleciti caduti nel vuoto, una multa che scatterà con il passaggio in giudicato della causa avviata a fine marzo, motivo per il quale è essenziale agire con la massima celerità per porre rimedio a tale situazione;
   le norme violate sono la vecchia direttiva in materia di rifiuti, la direttiva relativa ai rifiuti pericolosi e quella sulle discariche, e, a quanto appreso, la Commissione avrebbe inizialmente individuato la presenza di 422 discariche illegali, contestandone in battuta finale solo due, ovvero quella di Matera/Altamura Sgarrane al confine tra Puglia e Basilicata, e un'ex discarica comunale, la Reggio Calabria/Malderiti in Calabria;
   secondo quanto risulta anche nelle conclusioni di Juliane Kokott, avvocato generale della Corte di Giustizia dell'Unione europea, è riportata la controreplica secondo cui l'Italia specificava che nell'area della presunta discarica Matera/Altamura Sgarrane, alla luce di più recenti analisi condotte in situ, non sarebbe stata constatata alcuna ex discarica; mentre nel caso della presunta discarica Reggio Calabria/Malderiti, l'Italia riferiva che in passato vi erano stati abbandonati effettivamente rifiuti, che però già da molto tempo erano stati rimossi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, dopo aver fatto tutte le verifiche del caso soprattutto rispetto alla reale esistenza delle discariche in oggetto, intervenire affinché vengano messe al più presto in atto tutte le specifiche del caso per debellare le due discariche abusive, ed evitare così che la Corte di Giustizia europea accolga le conclusioni dell'accusa, determinando il pagamento richiesto.
(5-03508)

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 1999, la dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana in ordine alla situazione di crisi determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi è stata estesa alle problematiche socio-economiche ed ambientali connesse al sistema dei rifiuti speciali, pericolosi e in materia di bonifica e risanamento ambientali, e con successivi provvedimenti è stata prorogata sino al 31 dicembre 2012;
   in seguito allo scadere della dichiarazione dello stato di emergenza, con l'Ordinanza del Capo del Dipartimento Protezione Civile n. 44 del 29 gennaio 2013, (di seguito l'ordinanza n. 44/2013) è stato disposto il trasferimento della gestione delle attività finalizzate al superamento dell'emergenza nel settore della bonifica e del risanamento dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati in Sicilia – fino a quel momento delegata al Presidente della Regione in qualità di Commissario Delegato – alla regione siciliana;
   in base all'Ordinanza n. 44 del 2013, al dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana (di seguito il Dirigente Generale) è stato affidato il compito di coordinare la transizione dalla gestione commissariale a quella ordinaria;
   la stessa ordinanza ha stabilito che la contabilità speciale aperta per fronteggiare l'emergenza in questione rimanesse aperta per altri 12 mesi, e dunque fino al 4 febbraio del 2014, e venisse intestata allo stesso dirigente generale, al quale è stata altresì conferita la facoltà di derogare agli articoli del codice dei contratti pubblici elencati nell'ordinanza n. 44 del 2013 e alle disposizioni regolamentari connesse;
   lo scorso 15 gennaio, il dirigente generale ha inviato al dipartimento della protezione civile, unitamente alla relazione sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi previsti dall'ordinanza, una nota con la quale ha chiesto il mantenimento della contabilità speciale n. 2854, per un periodo di sedici mesi decorrenti dalla data di scadenza prevista per il 4 febbraio 2014;
   nella stessa nota dello scorso 15 gennaio 2014, la richiesta di proroga è stata motivata dalla necessità di «consentire il completamento delle iniziative intraprese evitando interruzioni e/o sospensioni dei lavori in corso di realizzazione e/o l'insorgere di difficoltà nelle procedure amministrative» visto che, nella stessa nota è stato scritto, «dalla relazione che si allega si evince come numerosi interventi, non in ultimo quelli inerenti il superamento di alcune specifiche procedure d'infrazione, in materia di bonifiche e tutela delle acque in Sicilia attivati dalla struttura commissariale siano ancora in corso di esecuzione»;
   in base ai commi 2 e 4 dell'articolo 1 dell'Ordinanza n. 44 del 2013, al Dirigente Generale è stata attribuita la responsabilità di condurre le iniziative finalizzate al definitivo subentro della Regione Siciliana nel coordinamento degli interventi, di porre in essere le attività occorrenti per il proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso, nonché di provvedere alla ricognizione e all'accertamento delle procedure e dei rapporti giuridici pendenti ai fini del definitivo trasferimento degli stessi alla Regione;
   nella richiesta di proroga non si da conto in alcun modo dello stato di attuazione delle iniziative e delle attività – in capo al Dirigente Generale – finalizzate al subentro della Regione Siciliana nel coordinamento degli interventi, al proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso e al trasferimento delle procedure e dei rapporti giuridici pendenti alla stessa regione siciliana;
   ciò nonostante, il Capo del dipartimento della protezione civile, con l'ordinanza n. 158 del 19 marzo 2014, (di seguito l'Ordinanza n. 158 del 2014) – limitandosi a prendere atto della richiesta avanzata dal dirigente generale – ha disposto l'estensione di ben sedici mesi del periodo durante il quale il dirigente generale potrà operare a valere sulle risorse della contabilità speciale n. 3852, con le modalità previste dall'Ordinanza n. 44 del 2013 «per consentire il completamento degli interventi da eseguirsi nel contesto di criticità in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nella regione Siciliana»;

   in riscontro a una richiesta di accesso agli atti, il capo del dipartimento della protezione civile – lo scorso 20 agosto 2014 – ha precisato che il rendiconto di cui all'articolo 5 comma 5-bis della legge n. 225 del 1992 che i commissari delegati titolari di contabilità speciale sono tenuti a predisporre al termine della gestione commissariale non risulta agli atti dello stesso Dipartimento, e nello stesso tempo non ha fornito copia della relazione sulle attività svolte che il Commissario Delegato avrebbe dovuto trasmettere, al termine del mandato, in base a quanto disposto dall'Ordinanza n. 44 del 2013 –:
   sulla base di quali valutazioni, al momento dell'adozione dell'ordinanza n. 44 del 2013, sia stato ritenuto congruo un periodo di 12 mesi per completare le iniziative finalizzate ad assicurare il subentro della regione siciliana nel coordinamento degli interventi, le attività occorrenti per il proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso, e infine la ricognizione delle procedure e dei rapporti giuridici pendenti ai fini del definitivo trasferimento degli stessi alla regione;
   se, e con quali modalità, siano state accertate le ragioni, e le eventuali responsabilità connesse, che hanno impedito di completare – entro i 12 mesi previsti – le attività e le iniziative affidate al Dirigente Generale soprarichiamate;
   sulla base di quali valutazioni, il dipartimento della Protezione civile ha stabilito di mantenere aperta per altri 16 mesi la contabilità speciale n. 3852, e di prorogare per lo stesso periodo di tempo la stessa disciplina dettata dall'ordinanza n. 44 del 2013, senza prevedere forme di controllo e di vigilanza rispetto all'azione del dirigente generale intestatario della stessa contabilità speciale, che assicurino una tempestiva conclusione delle iniziative e delle attività affidategli, e dunque un pieno ed effettivo subentro della regione siciliana nel coordinamento degli interventi e nel proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso;
   se l'ordinanza n. 158 del 2014 determini un sostanziale cambiamento del mandato affidato al dirigente generale che – in base all'Ordinanza n. 44 del 2013 – era quello di compiere le attività elencate nei commi 2 e 4 dell'articolo 1 dell'Ordinanza n. 44 del 2013 richiamate nelle premesse, e non quello di completare gli interventi da eseguirsi nel contesto di criticità in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nella regione siciliana, come scritto nell'articolo 1 comma 1 della stessa Ordinanza n. 158 del 2014, facendo sì che il periodo di transizione si configuri come una sorta di proroga della gestione commissariale ovvero come una nuova gestione commissariale, facente capo al Dirigente Generale. (5-03515)

   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato, grazie alla legge n. 224 dell'11 luglio del 1998, varata durante il Governo Prodi ha esteso «anche a soggetti diversi dalle editrici concessionarie» la garanzia relativa ai mutui per l'editoria contratti da quotidiani di partito;
   la norma, al comma 2 dell'articolo 4, precisa che «La garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora ed indennizzi contrattuali, è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario ovvero a seguito di inizio di procedure concorsuali»;
   da notizie di stampa si apprende che: «nel 2001 Ugo Sposetti, per anni tesoriere del Pci-Pds-Ds, oggi senatore Pd e presidente della Fondazione Ds, si trova alle prese col debito monstre del partito: 447 milioni di euro. Di questi 125 milioni di euro provenivano da mutui concessi a l'Unità (di cui 82 a carico di Bnl, 32 di Intesa, 20 di Ifibanca, oggi Banco popolare). Debiti che non preoccupavano più di tanto i vertici dei Ds, perché avevano una garanzia a prova di crack: quella dello Stato. Quando la Quercia, nel 2002, chiama in aiuto un pool di consulenti tecnici per capire come evitare un fallimento che sembra sicuro, i maghi dei conti lo scrivono nero su bianco, in un documento riservato: l'obiettivo è “trasferire il debito del partito derivante dai mutui editoria allo Stato, il quale peraltro ne è già, garante”»;
   oggi la Nie (Nuova iniziativa editoriale, la società che edita l'Unità) è in liquidazione con 35 milioni di euro di passività, di cui 10 con le banche e 6,5 milioni verso i fornitori. Per le imprese editrici de l'Unità è il quarto fallimento in vent'anni. I liquidatori di Nie, a seguito dell'assemblea dei soci, hanno comunicato che il quotidiano di partito ha sospeso le pubblicazioni a far data dal 1o agosto 2014;
   le banche creditrici, capitanate da Intesa San Paolo, Bnl e Banca Popolare, hanno ottenuto dal tribunale di Roma l'emissione di decreti ingiuntivi contro la presidenza del Consiglio dei ministri per riottenere i fondi prestati. La sentenza non è esecutiva solo perché il Governo ha fatto ricorso tramite l'Avvocatura dello Stato. La decisione finale è prevista a ottobre;
   lo Stato, in quanto garante, dovrebbe pagare le banche creditrici al posto dell'Unità per un ammontare pari a 110 milioni di euro;
   stante la crisi del comparto editoriale tale vicenda potrebbe essere stata replicata, anche negli anni passati, per diverse testate di natura politica e non –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quante volte lo Stato italiano, negli ultimi dieci anni, abbia concesso tale genere di garanzie, nonché quante volte abbia dovuto pagare effettivamente i creditori e per quale ammontare. (5-03524)

Interrogazioni a risposta scritta:

   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono testimoni di giustizia tutti quei cittadini onesti che hanno avuto il coraggio di denunciare, testimoniando nelle aule dei tribunali o nelle altre sedi competenti, i misfatti delle mafie e i reati commessi dalle varie forme di criminalità organizzata;
   troppo spesso questi onesti cittadini, veri protagonisti della lotta alle mafie e alla corruzione, vengono dimenticati dalle istituzioni o, peggio ancora, lasciati soli, senza le opportune protezioni e ridotti alla povertà dopo aver avuto il coraggio di denunciare e la forza di andare contro corrente;
   il dramma quotidiano che i testimoni di giustizia sono costretti a vivere li ha portati ad associarsi e solo pochi giorni fa è sfociato in un vero e proprio presidio a Palazzo Chigi;
   in particolare, l'associazione dei testimoni di giustizia reclama l'emanazione dei decreti attuativi della legge voluta dal governo Letta, che prevede la loro assunzione nella pubblica amministrazione una volta usciti dal programma di protezione;
   il decreto-legge n. 101 del 2013, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», prevede, infatti, la possibilità che i testimoni giustizia possano essere assunti «in una pubblica amministrazione, con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio ed alle professionalità possedute»;
   in particolare, l'articolo 7 del decreto-legge dispone che «Con decreto del Ministro dell'interno, emanato ai sensi dell'articolo 17-bis, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, sentita la commissione centrale di cui all'articolo 10, comma 2, sono stabilite le relative modalità di attuazione, anche al fine di garantire la sicurezza delle persone interessate.»;
   la legge sta per compiere un anno, ma ad oggi manca, appunto, il decreto attuativo per definire le modalità di attuazione per l'assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione;
   altro problema riguarda, poi, la mancata costituzione della Commissione centrale ex articolo n. 10 decreto-legge 15 gennaio 1991 n. 8 («Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia») preposta a decidere in materia di questioni economiche, amministrative e di inserimento sociale dei testimoni di giustizia;
   a oltre 4 mesi dall'insediamento del nuovo Governo Renzi, infatti, il Ministro dell'interno non avrebbe ancora assegnato la delega per la pubblica sicurezza e, pertanto, non si sarebbe ancora provveduto alla ricostituzione della Commissione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei esposti in premessa e, se, ed entro quali tempi, si intenda emanare il decreto attuativo di cui all'articolo 7 del citato decreto-legge n. 101 del 2013;
   se ed entro quali tempi il Ministro dell'interno intenda assegnare la delega per la pubblica sicurezza al fine di provvedere alla costituzione della commissione centrale ex articolo n. 10 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8. (4-05954)

   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   continuano senza sosta gli sbarchi di migliaia di migranti che approdano sulle coste italiane, soccorsi dalle imbarcazioni della guardia costiera e della marina militare;
   al 30 giugno 2014, gli immigrati sbarcati in Italia avevano già superato il totale degli arrivi registrato nel 2011, che finora era stato fanno di record raggiungendo la ragguardevole cifra di 63 mila (nel 2013 erano stati «soltanto» 43 mila);
   i dati ufficiali forniti dal Ministero dell'interno, infatti, rilevano che nei primi sei mesi di quest'anno sono giunti via mare 61.585 stranieri, la maggior parte partiti dalla Libia;
   a distanza di quasi un anno dall'avvio dell'ormai nota operazione militare e umanitaria Mare Nostrum, emergono numerose carenze, che stanno facendo registrare un vero e proprio allarme sicurezza;
   è di pochi giorni fa, infatti, la preoccupante notizia, riportata dai maggiori quotidiani nazionali, di malattie contratte dai nostri poliziotti impegnati nei soccorsi dei migranti che, da mesi, sbarcano sulle nostre coste;
   in particolare, sembrerebbe che due agenti di Polizia sono stati contagiati dalla tubercolosi a Ferrara durante le operazioni di accoglienza dei clandestini;
   il contagio sarebbe avvenuto all'interno di una struttura predisposta per far fronte all'emergenza profughi nella quale è stata accertata la presenza di almeno un altro uomo contagiato da tubercolosi;
   in entrambi i casi sarebbero emerse le stesse, identiche carenze: nessuna protezione efficace, come mascherine di carta, guanti inadatti, controlli eseguiti negli uffici immigrazione e della scientifica non «bonificati», dove le pulizie, in certi casi, vengono effettuate anche ogni 15 o 30 giorni per carenza di personale, tanto che spesso sarebbero gli stessi agenti a pulire il proprio ufficio;
   quello della sicurezza è un tema sul quale i rappresentanti dei sindacati Sap e Siap, Luca Caprini e Alessandro Chiarelli, battono con vigore: «A Ferrara siamo ai livelli minimi assoluti di personale, non possiamo più garantire i livelli di sicurezza richiesti giustamente dai cittadini. In Italia solo quest'anno ci sono stati 1300 arruolamenti e 2500 pensionamenti e anche a Ferrara il saldo non è positivo. In più l'età media si avvicina ai 50 anni soglia dalla quale scattano le esenzioni da certi servizi»;
   secondo i due rappresentanti sindacali a Ferrara sarebbero in servizio solo due under 30 su 230 persone in servizio: «Manca il turnover, non ce ricambio generazionale e il 20 per cento del personale ha già esenzioni di vario tipo e così sono rimasti pochi poliziotti arruolabili per i servizi»;
   i sindacati della polizia continuano a lanciare i loro allarmi, giorno dopo giorno, e hanno deciso anche per un'azione durissima di protesta, sono state tolte tutte le deroghe agli orari di servizio, sia per l'ordine pubblico che per l'accompagnamento degli stranieri, ma nulla sembra cambiare;
   tra le mancanze denunciate, inoltre, non solo quelle di personale ma anche di strumenti e automobili, e la situazione è destinata inevitabilmente a collassare in maniera strutturale a breve;
   persino il segretario nazionale del Sap, Gianni Tonelli, ha denunciato la «sensazione di abbandono» percepita dagli agenti e di fronte al nuovo caso di tubercolosi è intervenuto duramente: «Il collega infettato non è andato in Sicilia o in Puglia ad accogliere i migranti, ma è stato contagiato a Ferrara da persone smistate sul territorio nazionale. È la dimostrazione che il problema non riguarda più solo gli operatori ma l'intera comunità. Non lo dico per fare terrorismo mediatico, ma il problema è di salute pubblica, perché il cordone sanitario non esiste»;
   anche secondo Medici Senza Frontiere «c’è il reale rischio che l'epidemia si diffonda in altre aree» e la stessa Organizzazione mondiale della sanità non sa cosa fare;
   se il Governo vuole che Mare Nostrum vada avanti, deve trovare i fondi non solo per i Centri di prima accoglienza, ma anche per vaccinare preventivamente tutti gli agenti impegnati nell'operazione Mare Nostrum, a tutela del loro fondamentale diritto alla salute e nell'interesse di tutti i cittadini;
   anche da Salerno arrivano notizie di una situazione ormai insostenibile: il 19 luglio alcuni uomini del reparto mobile di Napoli sono stati impegnati a Salerno per la vigilanza in un Hangar contenente circa 2.000 profughi e i poliziotti, pur stando al chiuso, erano dotati di semplici mascherine chirurgiche, praticamente inutili per proteggersi da malattie infettive quali la TBC, l'influenza aviaria o altre malattie ancora più gravi;
   questo caso non è isolato: il 18 luglio uomini del reparto mobile di Milano sono andati a prendere circa 150 eritrei da Lampedusa per trasferirli parte a Roma e parte in centri di accoglienza nel nord Italia e anche in questo caso i poliziotti erano forniti solo di mascherine chirurgiche, totalmente inutili per bloccare le malattie infettive;
   i poliziotti, ma in particolare gli uomini dei reparti mobile di tutta Italia, vengono sballottati a destra e a manca, senza nessuna profilassi seria che li tuteli;
   «Un altro episodio inconcepibile – denuncia Igor Gelarda, Segretario Regionale della Consap Sicilia – è avvenuto il 19 luglio a Palermo. Quattro poliziotti impegnati in servizio di controllo del territorio per pronto impiego, hanno ricevuto la direttiva di fare la staffetta ad un pullman con a bordo una cinquantina di migranti tra siriani, somali e palestinesi, appena sbarcati ad Augusta, destinati in alcune strutture di accoglienza della provincia di Palermo. Il problema è che nessuno aveva avvertito i poliziotti che avrebbero dovuto accompagnare dei migranti appena arrivati e pertanto questi non disponevano né di guanti né di mascherine»;
   la dirigenza della Consap continua: «così mentre si continuano a spendere milioni e milioni di euro per l'accoglienza di migranti disperati per dar loro cibo,
assistenza sanitaria, schede telefoniche e alloggi nessuno fa caso alla salute degli operatori di polizia impegnati in queste attività. Questi poliziotti hanno mogli e figli. Chi dovremo ritenere responsabile adesso se qualcuno di loro o dei loro familiari dovesse ammalarsi ? I Poliziotti contagiati si contano già a decine ! Facciamo un appello ai poliziotti stessi: le malattie che potreste prendervi, ma anche portare a casa ai vostri figli e alle vostre mogli sono potenzialmente pericolose, abbiate voi cura di voi stessi e delle vostre famiglie perché la nostra amministrazione non ne ha !» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per interrompere l'impiego di personale di polizia nelle operazioni connesse a Mare Nostrum;
   se sia stata seguita la profilassi in favore dei poliziotti impegnati nelle attività di accoglienza profughi, compresa la vaccinazione preventiva di tutti coloro che sono impegnati nel fronteggiare i numerosi sbarchi dei migranti che approdano sulle coste italiane;
   quali siano i dati sui contagi da tubercolosi, meningite o altre malattie connessi all'operazione Mare Nostrum.
(4-05955)

   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2009 il Consiglio dei ministri decideva il commissariamento dell'intero sistema sanitario della regione Campania, gravato dagli sprechi e da bilanci dissestati;
   dopo ben quattro anni di austerità, con un taglio della spesa corrente pari a 500 milioni di euro annui, la regione Campania sembrerebbe essere uscita dal dramma di una sanità in fallimento;
   nonostante ci sia ancora molta strada da fare per migliorare il sistema sanitario nel suo complesso (conti e qualità dei servizi), infatti, la regione guidata dal 2010 da Stefano Caldoro può vantare un risultato straordinario, passando da un disavanzo sanitario che nel 2009 ammontava a 773 milioni a un avanzo di gestione di 6 milioni nel 2013;
   la regione Campania, pertanto, con un anno di anticipo, ha raggiunto il pareggio di bilancio nella sanità, registrando un incremento del 10 per cento anche per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza e di organizzazione;
   importante traguardo, poi, è stato la riduzione da 427 giorni a 168 per i pagamenti dei fornitori e degli erogatori sanitari convenzionati: una riduzione che avvicina la Campania alla media nazionale che si attesta sui 100 giorni;
   nonostante tutti gli sforzi e i risultati raggiunti, la regione resta commissariata e il perdurare del blocco del turn over, che ha già determinato la chiusura dell'ospedale di Agropoli, rischia di portare alla chiusura di altre strutture della provincia di Salerno;
   a fronte di straordinari risultati, il Governo dovrebbe garantire lo sblocco del turn over, che spetta alla Campania per i risultati raggiunti in una percentuale maggior rispetto a quanto previsto per le regioni sottoposte al piano di rientro, migliorando complessivamente le prestazioni sanitarie, così come riconosciuto dallo stesso Ministero;
   a ciò si aggiunga che il fondo sanitario nazionale, unica fonte di finanziamento del sistema sanitario, è oggi distribuito alle regioni con un criterio penalizzante per la regione Campania: vale solo il criterio dell'anzianità della popolazione e la Campania, regione con la popolazione più giovane d'Italia, con una durata media della vita inferiore a quella di altre regioni, risulta la più penalizzata nella ripartizione del Fondo;
   ogni cittadino campano ogni anno, infatti, riceve circa 70 euro in meno sulla quota pro capite, che diventano oltre 350 milioni in meno nella regione;
   tutto ciò nonostante la legge 23 dicembre 1996, n. 662 («Misure di razionalizzazione della finanza pubblica») preveda all'articolo 1, comma 34, di bilanciare la ripartizione basata sul numero di abitanti con criteri correttivi più adeguati al fabbisogno sanitario, come «popolazione residente, frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso, tassi di mortalità della popolazione, indicatori relativi a particolari situazioni territoriali ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari delle regioni ed indicatori epidemiologici territoriali»;
   in un appello lanciato a tutti i sindaci per intraprendere insieme la battaglia per la sanità campana, lo stesso presidente Caldoro scrive «Le criticità sono tante e nessuno vuole nasconderle, ma è evidente che con più risorse, con le risorse che ci vengono ingiustamente sottratte, si potrebbero superare molti più ostacoli e rendere migliore la qualità dei servizi e delle prestazioni, compensando in modo più equo i tagli che le difficoltà del bilancio nazionale riservano al settore. In Campania poi la situazione è aggravata dal blocco del turn over solo parzialmente ridotto, grazie alla nostra azione di stimolo, di recente dal Governo. Con più risorse, quelle che ci toccano, e con più personale si riuscirebbe a garantire migliore sanità. D'altra parte le politiche di riequilibrio dei conti che abbiamo perseguito con costanza, i sacrifici messi in campo in questi anni, meriterebbero risposte più adeguate dallo Stato, anche in termini di parità di trattamento con altre Regioni. [...]»;
   con meno personale e meno risorse, perché penalizzata da leggi inique, la regione Campania ha garantito servizi e prestazioni a difesa della salute dei cittadini;
   il diritto alla salute è un diritto costituzionale che va tutelato e il lavoro svolto in questi anni dal presidente Caldoro per risanare una situazione debitoria vergognosa, frutto delle politiche clientelari del centrosinistra di Bassolino, non può e non deve essere vanificato;
   l'offerta sanitaria deve essere garantita in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, annullando le troppe differenze che ancora ci sono nel trasferimento pro capite, riconoscendo centralità alla persona e, quindi, razionalizzare pensando comunque a salvaguardare i livelli delle prestazioni;
   a parere dell'interrogante, sarebbe un gravissimo errore non cambiare i meccanismi, anche abbastanza farraginosi, che consentono di derogare al turn over nelle regioni sottoposte a piano di rientro –:
   se intendano adottare le opportune iniziative di competenza per consentire lo sblocco totale del cento per cento del turn over in Campania almeno per un anno, al fine di dare risposte alla domanda di salute e cura che le aziende ospedaliere e la medicina sul territorio oggi non riescono ancora a soddisfare compiutamente e lo sblocco di almeno il 50 per cento del turn over per i successivi anni. (4-05956)

   D'ARIENZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 56 del 7 aprile 2004, è stata stabilita la ripartizione tra le rappresentanze di genere, tra gli altri, anche negli organi esecutivi degli enti locali;
   in particolare, l'articolo 1 comma 137, prevede che «Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»;
   presso il comune di Oppeano (Verona), con decreto di nomina della giunta comunale prot. n. 9015 del 5 giugno 2014, il sindaco ha nominato l'organo esecutivo in parola in cui la rappresentanza di genere femminile è inferiore al 40 per cento (tre uomini e una donna), come invece diversamente disposto dalla legge n. 56 del 2014;
   nel decreto di nomina citato in precedenza si legge: «Dato atto che non si rinvengono figure esterne al Consiglio Comunale in possesso di particolari competenze ed esperienza tecnica, amministrativa o professionale per l'assunzione delle deleghe assessorili ed al contempo idonee a rappresentare i valori programmatici con vincolo di fiduciarietà politica»;
   non sono note né specificate le modalità con cui si sostiene l'assunto né si fa riferimento alle eventuali azioni avviate per l'individuazione di figure esterne al Consiglio, sia in Oppeano che altrove;
   in questo modo si dichiara, inverosimilmente ed in parte anche in maniera offensiva, che nessuna donna sia in possesso delle caratteristiche di idoneità richieste dallo statuto;
   lo statuto comunale in vigore prevede all'articolo 23 comma 2 che: «gli assessori sono scelti normalmente tra i consiglieri; possono tuttavia essere nominati anche assessori esterni al Consiglio, purché dotati dei requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di consigliere comunale ed in possesso di particolari competenze ed esperienza tecnica, amministrativa o professionale»;
   ad integrazione, come è noto, sebbene per i comuni con popolazione fino ai 3.000 abitanti, non ci siano disposizioni e limiti precisi a garanzia delle pari opportunità, ma solo disposizioni di principio, dalla consolidata giurisprudenza amministrativa si evince chiaramente che le norme dettate dagli articoli 6, 46 e 47 del testo unico degli enti locali non devono essere considerate norme di valore programmatico ma precettive. Ciò anche nel rispetto dell'articolo 51 della Costituzione italiana che sancisce proprio il principio generale delle pari opportunità;
   non è accettabile nessuna giustificazione a supporto della scelta del sindaco di Oppeano (Verona) di derogare al dettato legislativo e statutario in ordine alla rappresentanza di genere nella composizione della giunta, atteso che la recente volontà del Parlamento è stata chiaramente diversa;
   il delicato tema investe la totalità degli enti locali in quanto chiunque potrebbe adombrare una motivazione risibile come quella del comune di Oppeano (Verona) per aggirare la norma e il sacrosanto principio in essa contenuto;
   il contesto in esame è oggetto di valutazione presso la prefettura di Verona interessata da alcuni consiglieri comunali della località in parola –:
   se non ritenga urgente intervenire chiarendo i termini del contesto e per affermare, se ce ne fosse ancora bisogno, i principi insuperabili dell'equilibrio tra le rappresentanze di genere e del rispetto della norma che ne tutela la previsione.
(4-05960)

   MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, in data 11 febbraio 2014, circa 200 migranti avrebbero occupato, senza alcuna autorizzazione da parte degli organi competenti, il complesso architettonico dell'ex convento di Santa Chiara sito a Bari nel cui interrato è ubicato parte dell'archivio di Stato;
   gli organi di stampa riportano immagini dell'archivio di Stato manomesso dagli occupanti con documenti danneggiati o distrutti ed indicano che gran parte degli stessi occupanti sono rifugiati politici;
   l'edificio fa parte di un complesso di edifici in corso di ristrutturazione i cui lavori sono oggetto di co-finanziamento europeo;
   in particolare, nell'anno 2012, a seguito del decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono stati resi disponibili i fondi relativi al programma operativo interregionale (POIn) «Attrattori culturali, naturali e turismo». Per effetto di tale decreto, il progetto di ristrutturazione e valorizzazione culturale del complesso dell'ex convento di Santa Chiara potrà usufruire di 8 milioni di euro di finanziamento;
   i lavori di restauro sono stati aggiudicati in data 13 marzo 2014 ed il termine contrattuale di ultimazione è fissato al 30 giugno 2015;
   secondo quanto indicato dagli organi di stampa, l'occupazione della struttura ad opera dei migranti non solo ha determinato intollerabili situazioni di illegalità, di mancanza di requisiti minimi di sicurezza e di igiene, ma pone in serio rischio il finanziamento europeo stanziato per la sua ristrutturazione a causa dell'impossibilità di ultimare i lavori in tempo utile alla data del 30 giugno 2015;
   sotto il profilo della sicurezza si evidenzia che gli immigrati vivono in una struttura pubblica pericolante, che non ha alcun requisito di abitabilità. In particolare, occupano di fatto aree di cantiere nelle quali per legge è consentita la presenza solo agli addetti ai lavori;
   sotto il profilo delle condizioni di igiene e di vivibilità, l'edificio non garantisce requisiti minimi adeguati, poiché è completamente privo di luce, di acqua, di servizi igienici e di riscaldamento;
   la sospensione illegittima dei lavori nell'edificio causata dalla avvenuta occupazione potrebbe determinare l'impossibilità di rispettare il termine contrattuale prefissato di ultimazione e quindi il prolungamento del contratto di appalto, con relativi maggiori oneri per la pubblica amministrazione committente ed il concreto rischio di dover sopperire alle risorse comunitarie non utilizzabili attingendo a fondi statali che penalizzerebbero ulteriormente le finanze dello Stato;
   secondo quanto riferito dal responsabile unico del procedimento per il «progetto di restauro di Santa Chiara e la musealizzazione del castello normanno svevo», la mancata consegna dei lavori di ristrutturazione della struttura attualmente occupata illegittimamente potrebbe esporre la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia ad una eventuale richiesta fondata di risarcimento danni da parte dell'impresa aggiudicataria dell'appalto per prolungamento del tempo contrattuale;
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, sembrerebbe che sia la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, sia il soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia avrebbero denunciato, più volte, l'insostenibile situazione alla prefettura, alla procura della Repubblica, al comune di Bari e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a seguito della predetta denuncia, la procura ha disposto una ispezione ad opera dei NAS che hanno preso atto della situazione, ipotizzato il reato di occupazione abusiva e verificato le precarie condizioni igienico sanitarie in cui versano i migranti;
   è attualmente all'esame del consiglio comunale di Bari un ordine del giorno che impegna il sindaco a porre in essere ogni opportuna iniziativa affinché, in coordinamento con le autorità di pubblica sicurezza, l'occupazione dell'edificio possa immediatamente cessare –:
   se non intendano assumere iniziative urgenti finalizzate a sgomberare il complesso architettonico dell'ex convento di Santa Chiara affinché si possa consentire la prosecuzione dei lavori di ristrutturazione dell'edificio occupato dagli immigrati e la relativa consegna dei lavori alla data del 30 giugno 2015 al fine di non perdere il co-finanziamento POIN indicato in premessa;
   se non intendano ricollocare i 200 migranti distribuendoli, secondo disponibilità
in strutture idonee ed adeguate a garantire, in ogni caso, il rispetto dei diritti umani fondamentali, nonché i requisiti minimi di igiene e sicurezza per gli stessi;
   se non intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative per individuare i responsabili della situazione di illegalità venutasi a determinare. (4-05969)

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Augusta è uno degli agglomerati con più di 15 mila abitanti equivalenti, rispetto ai quali l'Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 19 luglio 2012, perché non aveva adottate le disposizioni necessarie ad assicurare il pieno rispetto degli obblighi fissati dagli articoli 3,4 e 10 della direttiva 91/271;
   con lo scopo di adottare le disposizioni necessarie a porre rimedio alle violazioni della direttiva 91/271 contestate nella procedura di infrazione comunitaria n. 2004/2034 – ad esito della quale è stata emessa la sentenza soprarichiamata – il CIPE, con deliberazione n. 60 del 30 aprile 2012, ha deciso di assegnare risorse per interventi nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica delle discariche a beneficio delle regioni meridionali;
   la delibera CIPE n. 60/2012 ha stabilito che la quota parte delle risorse assegnate, non impegnata al 30 giugno 2013 attraverso la sottoscrizione di impegni giuridicamente vincolanti, sarebbe stata revocate su proposta del citato Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, con una successiva delibera dello stesso CIPE;
   in conformità a quanto disposto dalla richiamata delibera CIPE n. 60/2012, il 30 gennaio 2013 è stato sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla regione siciliana l'Accordo di programma quadro, «Depurazione delle acque reflue»;
   l'Accordo di programma quadro prevede la realizzazione degli interventi classificati come cantierabili e la progettazione – al fine della successiva realizzazione – di interventi che sono stati classificati come «non cantierabili», in considerazione del fatto che non era ancora stata ultimata la progettazione;
   al fine di vigilare sugli impegni assunti da parte dei sottoscrittori dell'Accordo di programma quadro e sull'attuazione degli interventi, in base all'articolo 8 dello stesso Accordo di programma, è stata prevista la costituzione del tavolo dei sottoscrittori;
   a garanzia della tempestiva e regolare realizzazione degli interventi finanziati – che, come è stato ricordato, sono funzionali alla rimozione delle cause all'origine di procedure di infrazione aperte nei confronti dell'Italia – nell'Accordo di programma quadro sono previste attività di monitoraggio e di controllo, verifiche in itinere ed ex post degli stessi interventi nonché, agli articoli 17 e 18, apposite misure sanzionatorie, in caso di ritardi, irregolarità e inadempimenti;
   tra gli interventi «non cantierabili» – elencati nell'allegato 2 – sono ricompresi tutti quelli aventi come oggetto i lavori da eseguire nel comune di Augusta per la realizzazione della rete fognaria, dell'impianto di depurazione e dei relativi collettori di adduzione e delle condotte di scarico a servizio dello stesso impianto di depurazione;
   in relazione a singoli interventi «non cantierabili» nell'allegato 2 dell'Accordo di Programma Quadro veniva riportato il termine entro il quale era prevista l'ultimazione della fase di progettazione, e in relazione a 8 dei 12 interventi da realizzare nel comune di Augusta venivano segnalate delle criticità in ordine alla possibilità di arrivare all'approvazione del progetto esecutivo entro il termine indicato (30 giugno 2013), a causa del mancato ottenimento dei pareri e delle autorizzazioni da parte degli enti competenti;
   in relazione agli 8 interventi di cui al punto precedente, nello stesso allegato 2 veniva segnalata la possibilità che al fine di accelerare l’iter approvativo la regione siciliana sarebbe potuta intervenire anche attraverso la struttura commissariale ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3852 del 2010, ovvero con altre modalità comunque previste dall'articolo 6 dello stesso Accordo di programma quadro;
   l'operatività delle strutture commissariali – come quella prevista dalla citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3852 del 2010 – in esercizio alla data di entrata in vigore del decreto legge 15 maggio 2012, n. 59, non poteva essere prorogata o rinnovata oltre il 31 dicembre 2012 e dunque, per la prosecuzione degli interventi relativi allo stato di emergenza in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione in Sicilia, è stata adottata l'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 44 del 2013;
   l'ordinanza n. 44 del 2013 ha individuato la regione siciliana quale amministrazione destinata a subentrare al commissario delegato che aveva operato fino al cessare dello stato di emergenza;
   gli interventi da realizzare nel comune di Augusta, oltre a rimuovere le cause all'origine della condanna della Corte di giustizia europea, sono finalizzati ad assicurare, anche ad Augusta, il pieno ed effettivo godimento, da parte dei cittadini, del diritto a vedere tutelati l'ambiente in cui vivono e la loro salute –:
   se le risorse assegnate con la delibera CIPE 30 aprile 2012 e in particolare quelle destinate agli interventi aventi come oggetto la realizzazione della rete fognaria, dell'impianto di depurazione e dei relativi collettori di adduzione e delle condotte di scarico a servizio dello stesso impianto nel comune di Augusta, siano state impegnate alla data del 30 giugno 2013 ovvero se risultino, in ogni caso, oggetto di obbligazioni giuridicamente vincolanti alla data odierna;
   se e per quali degli interventi da realizzare nel territorio di Augusta – di cui all'allegato 2 dell'Accordo di programma quadro – il tavolo dei sottoscrittori sia stato informato dell'ultimazione della fase di progettazione al fine di procedere, come previsto dall'articolo dello stesso accordo, all'aggiornamento dell'allegato 1 con l'inserimento di quest'ultimi interventi;
   se, in che data, con quali modalità e procedure si è giunti, ovvero si intenda giungere all'approvazione degli interventi, da realizzare nel territorio di Augusta, rispetto ai quali nell'Accordo di programma quadro era stata segnalata la possibilità che non venissero approvati i progetti esecutivi entro il 30 giugno 2013;
   se il tavolo dei sottoscrittori abbia esaminato eventuali ritardi, problemi e questioni ovvero abbia provveduto ad approvare eventuali aggiornamenti degli impegni assunti dalle parti con riferimento agli interventi da realizzare nel territorio di Augusta;
   quale sia lo stato di avanzamento procedurale fisico e finanziario degli interventi finanziati con la delibera CIPE del 30 aprile 2012 – e oggetto dell'Accordo di programma quadro richiamato in premessa – da realizzare nel comune di Augusta;

   se e in che modo, ove si registrino gravi ritardi nell'ultimazione degli interventi previsti, intendano procedere – al di là delle misure sanzionatorie richiamate nelle premesse – affinché la città di Augusta venga dotata di un idoneo sistema di trattamento delle acque reflue urbane, anche in considerazione del fatto che il protrarsi dei gravi inadempimenti, alla base della condanna del 2012, può esporre l'Italia a un nuovo ricorso davanti alla Corte di Giustizia, e dunque a una possibile nuova condanna che, come è noto, in questo caso comporterebbe anche il pagamento di sanzioni pecuniarie. (4-05975)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da tempo, ormai, alcuni europarlamentari denunciano un dramma assurdo e doloroso, che parla di violazione dei diritti dei minori, calpestati senza nessuno scrupolo in nome del bene di uno Stato;
   si tratta delle vicende legate allo Jugendamt, agenzia federale tedesca per l'infanzia, che svolge anche un'encomiabile opera a difesa dei giovani sottoposti a violenza e ha una funzione di sostegno attivo ai tribunali e di difesa degli interessi della Germania;
   il codice sociale tedesco, infatti, prevede per legge che lo Jugendamt intervenga sempre quando ci sono delle cause di divorzio tra genitori che hanno figli minori, soprattutto quando a separarsi sono coppie binazionali;
   a riguardo, però, numerose sono le denunce presentate da cittadini europei, di nazionalità non tedesca, alla Commissione europea per le petizioni, proprio in merito all'operato dello Jugendamt in Germania;
   la Commissione per le petizioni, conformemente al proprio regolamento, si occupa di questioni che rientrano nel campo di attività dell'Unione europea e, di conseguenza, la sua competenza riguarda le disposizioni del trattato relative ai diritti fondamentali dei cittadini comunitari e a questioni che comportano una possibile discriminazione sulla base della nazionalità, dell'origine o della lingua, e all'interpretazione nell'attuazione degli atti legislativi dell'Unione europea, da parte delle autorità nazionali, tenendo sempre presente che, per tali questioni, la Corte di giustizia europea è l'unico organo competente a formulare un giudizio vincolante sull'interpretazione del diritto comunitario;
   in particolare, da un documento di lavoro del 22 dicembre 2008 della Commissione europea per le petizioni si evince che la stessa ha ricevuto «numerosissime petizioni e lettere di sostegno in merito a presunte misure discriminatorie e arbitrarie compiute dalle autorità preposte alla tutela dei giovani in alcuni Stati membri, in particolare dallo Jugendamt in Germania»;
   i cittadini europei, firmatari delle petizioni, affermano che il problema della discriminazione sulla base della cittadinanza deriva dalla procedura adottata dallo Jugendamt tedesco che discrimina il coniuge non tedesco a seguito della separazione nell'ambito di matrimoni misti, rendendo impossibile per quel coniuge avere contatti con il proprio figlio e nei casi in cui siano stati concessi incontri con il genitore, questi avvengono solo alla presenza di un supervisore, il quale durante gli incontri controlla se il genitore parla al figlio in tedesco e, nel caso in cui il figlio o il genitore parli una lingua che egli non comprende, interrompe bruscamente la conversazione;
   in caso di coppie binazionali, lo Jugendamt persegue missioni ben specifiche, come si legge nel documento del 2008: «Si deve compiere ogni sforzo per impedire che i bambini lascino il territorio tedesco; al genitore che è cittadino tedesco si deve affidare immediatamente la custodia esclusiva dei figli e, nel medio termine, la tutela genitoriale; ai bambini deve essere impedito qualsiasi contatto con la seconda cultura e lingua; i contatti con il genitore non tedesco devono preferibilmente essere interrotti se il genitore straniero rifiuta di accettare le norme tedesche, incluso l'obbligo dell'uso esclusivo della lingua tedesca durante i colloqui; si deve garantire che il mantenimento/gli alimenti siano pagati in Germania. Gli importi sono imposti al genitore straniero anche quando il genitore non tedesco non ha più pretese giuridiche sui bambini perché questi sono diventati adulti; l'accesso dei genitori stranieri a tutti i documenti e ai dati che lo Jugendamt raccoglie deve essere negato conformemente alla legge tedesca sulla protezione dei dati personali»;
   nelle conclusioni e raccomandazioni dello stesso atto si legge: «Risulterebbe tuttavia del tutto inopportuno non riconoscere il fatto che a quanto pare si sono verificati numerosi abusi dei diritti genitoriali a causa di discriminazioni basate su criteri etnici, nazionali o linguistici, che sono stati attuati non regolarmente e, a quanto risulta, non sono stati controllati. Ciò ha nuociuto agli interessi del minore in quasi tutti i casi esaminati dalla commissione per le petizioni. [...]Tutti gli Stati membri dovrebbero favorire una maggiore vigilanza democratica o parlamentare a livello nazionale e regionale sugli enti preposti alla tutela dei minori e offrire quindi ai cittadini la possibilità di cercare soluzioni efficaci più vicine al loro luogo di interesse»;
   nonostante ciò, e anche quando sono presentate denunce molto circostanziate, non è possibile per la Commissione trarre conclusioni assolute a causa della mancanza di informazioni provenienti da altre parti, né è possibile per la Commissione valutare chiaramente la portata del problema sollevato dai firmatari;
   uno di questi genitori, Marinella Colombo, ha scritto un libro eloquente, «Non vi lascerò soli», che non è soltanto un resoconto terrificante di come una madre abbia di fatto perso i propri figli (l'ultimo colloquio con loro le sarebbe stato permesso a fine 2010), ma è anche un atto di accusa contro le manchevolezze dell'Europa di oggi, dove cose così possono ancora accadere;
   secondo le notizie riportate su alcuni quotidiani nazionali, nel 2006, quando si separa dal marito tedesco, Marinella ottiene l'affidamento dei suoi due figli, da subito però lo Jugendamt si insinua nella causa di separazione; nel 2008, per non perdere il proprio lavoro, Marinella è costretta a tornare in Italia e, pur essendoci un accordo tra lei e il marito, una mattina, a sua insaputa, i figli vengono prelevati da scuola dalle forze dell'ordine e riportati a Monaco di Baviera. Marinella scoprirà anche che sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale per sottrazione di minori, emesso già mesi prima, mentre i bambini, però, erano in vacanza con il marito. La sua drammatica vicenda che dura ormai da oltre 6 anni e che l'ha fatta finire in carcere e poi agli arresti domiciliari per ben tre volte, porta alla luce le pratiche anomale e discriminanti dello Jugendamt nei confronti dei coniugi stranieri di coppie miste, testimoniate dalle cause pendenti presso la Corte europea dei diritti dell'uomo;
   in uno di questi drammatici casi di denuncia, proprio la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato la violazione dell'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, recante diritto di rispettare la vita familiare, e, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione relativa all'equa soddisfazione, ha concesso agli attori la compensazione per i danni subiti, i costi e le spese, invitando le autorità tedesche a restituire immediatamente i figli alla famiglia;

   uno speciale del telegiornale di France3 ha poi portato alla luce casi in cui il meccanismo dello Jugendamt entra in moto anche quando una famiglia decide di andare a vivere fuori dalla Germania come nel caso di una coppia il cui padre è francese, i cui figli sono stati prelevati da scuola dallo Jugendamt e affidati a un'altra famiglia;
   si sarebbero, quindi, verificati numerosi abusi dei diritti genitoriali, a danno dei minori, con evidenti discriminazioni basate su criteri etnici, nazionali o linguistici, a cui non sarebbe stato posto rimedio e, anzi, sembra che non siano stati neppure verificati;
   il «bene del bambino» per i tedeschi non sembra essere il bene superiore dei figli, come previsto da tutte le convenzioni internazionali, ma è il bene del bambino secondo la comunità tedesca, che porta ad anteporre l'essere tedesco dei bambini al loro vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l'affido esclusivo non venga mai dato al genitore straniero, e interrompendo o rendendo difficile i suoi contatti col figlio;
   se confermata, questa prassi costituirebbe una gravissima violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dei principi dell'Unione europea che proclamano il rispetto dei diritti fondamentali e dei diritti del fanciullo;
   i diritti del bambino, infatti, costituiscono parte integrante del diritto comunitario, come stabilito dall'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e sono tutelati dalla Costituzione italiana, quali principi fondamentali della cultura e del diritto italiano, il quale persegue l'interesse del minore, quale priorità dello Stato;
   l'articolo 11 del regolamento Bruxelles II bis, inoltre, prevede che il bambino possa essere ascoltato durante il procedimento di rimpatrio o di affidamento ad altre famiglie se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità e questo non accade pressoché mai, facendo supporre che il diritto tedesco non sia in accordo con quello europeo;
   la stessa eurodeputata francese Nathalie Griesbeck ha dichiarato che «Già varie volte le istanze giuridiche europee hanno sottolineato queste violazioni: da una parte la Corte di giustizia dell'Unione Europea con una sentenza del luglio 2010 e dall'altra anche la Corte europea dei diritti dell'uomo», denunciando che «lo Jugendamt non rispetta i regolamenti e le convenzioni europee. L'Europa non può intervenire con la forza, ma in ottemperanza di queste sentenze lo Jugendamt dovrà uscire dalla sua concezione restrittiva e che oltraggia, come riconosciuto dalla giurisprudenza, il diritto di vivere in famiglia e il benessere dei bambini»;
   l'europarlamentare italiana Cristiana Muscardini, in tante interrogazioni rivolte alla Commissione europea, ma anche in una lettera indirizzata, tra l'altro, a politici italiani, da Gianni Letta a Franco Frattini, all'ex ministro della Giustizia Angelino Alfano e all'allora guardasigilli Paola Saverino, i «genitori stranieri perseguiti rimangono spiazzati perché non possono beneficiare dei principi giuridici europei del Regolamento di Bruxelles II bis, mentre ne subiscono tutte le conseguenze negative, comprese quelle penali. Bisogna eliminare questo squilibrio giuridico e morale, che coinvolge anche gli aspetti politici di questa situazione malsana. Se l'Unione Europea pretende di essere la patria dei diritti umani non può continuare ad accettare una situazione simile nel settore della tutela dei minori e della genitorialità. Bisogna intervenire prima che si arrivi a una deriva nazionalistica insopportabile e inconcepibile nell'Europa unita»;
   nonostante il regolamento in questione sia obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri dal 1o marzo 2005 e nonostante l'Unione europea sia consapevole che lo Jugendamt non applica il regolamento ma il diritto di famiglia tedesco,
non dispone di competenze di controllo in tal senso;
   a questo si aggiunge il fatto che i giudici italiani non mettono mai in dubbio le sentenze o ordinanze tedesche e, anzi, pare che si prodighino, come nel caso di Marinella Colombo, a collaborare di buon grado per adempiere alle loro disposizioni;
   non è ammissibile che un Paese come la Germania, che in Europa ha un ruolo chiave nel destino di tanti Paesi, sia anche uno tra i primi a disattendere i regolamenti dell'Aja;
   se nemmeno il Governo del Paese di appartenenza è in grado di proteggere questi genitori allora si capisce come questi siano davvero abbandonati a loro stessi;
   la cosa più grave però è che non sono previste sanzioni nel caso in cui i regolamenti e le normative sulla tutela dei minori, che pure esistono, non vengano rispettati e questo potrebbe far supporre che evidentemente la tutela dei minori è meno importante di tante altre materie –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale sia allo stato attuale la situazione relativa ai numerosi abusi dei diritti genitoriali, a danno dei minori, perpetrata dallo Jugendamt e se non ritengano doveroso, in quanto rappresentanti dello Stato italiano, tutelare i bambini coinvolti in queste vicende e garantire i loro diritti, ponendo in essere un'azione diplomatica con lo Stato tedesco;
   quali iniziative ritengano doveroso adottare per avviare una riflessione nell'ambito dell'Europa sull'opportunità di dotare l'Unione europea di compiti di controllo sull'applicazione dei regolamenti da parte degli Stati membri e, soprattutto, sull'opportunità di introdurre misure sanzionatorie per alcuni specifici illeciti, come quelli a danno dei diritti fondamentali del fanciullo. (4-05970)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:

   GRIMOLDI, RONDINI e CIMBRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, come già ha preannunciato, assumerà gravosi ed onerosi provvedimenti a seguito della mancanza di interventi di depurazione della qualità delle acque del torrente Seveso, risultato tra i fiumi più inquinati d'Europa;
   dalle dichiarazioni del capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si apprende che dal primo gennaio 2016 nessuno potrà scaricare acqua non depurata nei fiumi perché scatteranno le sanzioni europee;
   il 23 luglio 2014, nell'ambito di una audizione alla Commissione ambiente della Camera dei deputati, relativa allo stato e le prospettive degli interventi contro il dissesto idrogeologico, il capo della struttura di missione si è dimostrato aperto al dialogo fra Governo e istituzioni locali e cittadini residenti per individuare moderne pratiche di intervento sul fiume Seveso, tra cui vasche di laminazione e depurazione delle acque;
   nello stesso mese di luglio 2014, il capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche ha incontrato regione Lombardia, comune di Milano e gli amministratori locali del comune di Senago, poiché il suddetto comune è interessato da un'opera di laminazione del torrente Seveso, nonostante abbia manifestato ripetutamente la sua volontà contraria, e oralmente è stato concordato con i suddetti enti che la priorità assoluta d'intervento sul torrente Seveso è la depurazione delle acque, indipendentemente dalle opere di salvaguardia idraulica e di contenimento della piena dello stesso Seveso che si andranno ad attuare;
   è stato realizzato un collettore che collega il depuratore del comune di Varedo al depuratore del comune di Pero, una condotta estesa per circa 8 chilometri che consente di razionalizzare il sistema di depurazione dell'intero ambito trasferendo i reflui dell'agglomerato Seveso Nord (Varedo, Bovisio Masciago, Barlassina, Cesano Maderno, Seveso, Lentate sul Seveso, Meda, Cabiate, parzialmente Mariano Comense) alla rete di collettori di adduzione al depuratore di Pero; occorre attivare rapidamente iniziative per la depurazione delle acque e il controllo degli scarichi industriali lungo il corso del fiume Seveso –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare sulla questione «torrente Seveso» in particolare con quali priorità e quali siano le opere e le modalità che intende attuare, per quanto di competenza, per la depurazione del torrente per evitare eventuali sanzioni dall'Unione europea e con quali tempistiche. (5-03511)

   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, «Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015», all'allegato 2 inserisce tra le opere «connesse» all'evento, con «priorità 1» l'autostrada Pedemontana Lombarda, opera che all'epoca veniva stimata di costo pari a 4559 milioni di euro, cifra corrispondente al 52 per cento del montante complessivo dei costi delle opere viarie connesse all'evento, e all'85 per cento dei costi delle opere viarie in priorità 1, prevedendo dunque uno sforzo rilevantissimo per il reperimento di finanziamenti pubblici e privati;
   dell'intera opera, sviluppata per 67 chilometri autostradali lungo l'asse principale, frazionato nei lotti A, B1, B2, C, D, oltre alle tangenziali di Como e Varese (a loro volta frazionate in due lotti ciascuna) ad oggi, risulta in via di completamento solo il solo lotto A (unitamente ai primi lotti delle tangenziali di Como e Varese);
   da alcuni mesi è stata avviata la cantierizzazione del lotto B1, lungo 7 chilometri, di collegamento tra lo svincolo Lomazzo della A9 e l'innesto della strada statale 35 a Lentate S/S, il cui completamento, nonostante rilevantissime criticità di natura idrogeologica cagionate dalla realizzazione in trincea profonda con deviazioni di importanti deflussi superficiali è annunciata entro il mese di aprile 2015;
   la realizzazione della tratta B1 comporta una serie di altre criticità di carattere ambientale e di inserimento paesaggistico, riconducibili in particolare alla realizzazione del viadotto sulla valle del torrente Lura, delle opere necessarie alla laminazione delle acque superficiali (canale di gronda e aree di laminazione), delle opere viabilistiche connesse TRCO11, oggetto di prescrizioni contenute nella delibera CIPE 97/2009 di approvazione del progetto definitivo (prescrizioni n. 34, 46, 48, 51, 53 e 110 e raccomandazioni 462 e 1129);
   tali riserve sono state puntualmente poste al Ministero interrogato, nonché alle altre istituzioni competenti, dai comuni interessati e dal Parco del Lura con lettera inoltrata in data 8 agosto 2014, chiedendo un urgente interessamento al fine di verificare, per quanto di competenza, il rispetto dei contenuti progettuali ed esecutivi dell'intero procedimento –:
   quali effettive verifiche siano state acquisite agli atti del Ministero, per quanto di competenza, circa il rispetto delle prescrizioni contenute nella delibera CIPE 97/2009 di approvazione del progetto definitivo relativamente alla tratta B1 (prescrizioni n. 34, 46, 48, 51, 53 e 110 e raccomandazioni 462 e 1129). (5-03512)

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel campo della gestione dei rifiuti, l'Italia, al pari degli altri Stati membri, è tenuta a dare attuazione alle disposizioni contenute nelle seguenti direttive dell'Unione europea che regolano alcune parti della materia: la n. 75/442/CEE e successive modifiche, la n. 91/689/CE relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi, e la n. 1999/31/CE concernente la gestione delle discariche;
   il Corpo forestale dello Stato, negli anni, ha condotto tre censimenti delle discariche abusive. Il primo è stato effettuato nel 1986, e ha riguardato 6.890 comuni italiani, evidenziando l'esistenza di 5.978 discariche abusive. Il secondo è stato redatto nel 1996, ha riguardato 6.802 comuni ed ha evidenziato l'esistenza di 5.422 discariche abusive. Il terzo, pubblicato il 22 ottobre del 2002 – a seguito della riforma della regolamentazione in materia di gestione dei rifiuti (decreto legislativo n. 22 del 1997) – ha identificato 4.866 discariche abusive, per una superficie totale di 19.017.157 metri quadrati, ed ha inoltre evidenziato l'esistenza di 1.765 discariche che non risultavano nei censimenti precedenti. L'ultimo rapporto del Corpo forestale dello Stato, inoltre, ha chiarito come 1.654 discariche abusive erano ancora in attività, e 3.212 sembravano essere invece non essere più utilizzate. Pur tuttavia, come sottolinea il suindicato studio, l'impatto ambientale delle discariche abusive non più utilizzate è ugualmente significativo, spesso perfino più impattante, di quello delle discariche in attività. Secondo tale rapporto, i risultati erano sicuramente sottostimati in quanto le competenze del Corpo forestale dello Stato coprono essenzialmente il territorio extra urbano, il che esclude le numerose discariche abusive localizzate in aree urbane; v’è da segnalare, infine, come 705 discariche riguardano rifiuti pericolosi;
   la Commissione europea è venuta a conoscenza – in particolare attraverso il 3o censimento delle discariche abusive, tramite reclami, interrogazioni di parlamentari europei ed articoli di stampa – del funzionamento di un vasto numero di discariche abusive ed incontrollate in Italia. Motivi per cui la stessa Commissione, in data 11 luglio 2003, ha inviato all'Italia una costituzione di messa in mora, aprendo così una procedura di infrazione (2003-2077) contro il nostro Paese per la cattiva applicazione degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689/CEE e dell'articolo 14, lettere a)-c), della direttiva 1999/31/CE;
   ad esito del ricorso proposto dalla Commissione Europea, la Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-135/05), il 26 aprile 2007, ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad adempiere agli obblighi ad essa incombenti: per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti; affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva in materia di rifiuti; affinché tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell'autorità competente; affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un'autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l'approvazione dell'autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l'autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l'autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l'attuazione del piano;
   il 16 aprile 2013, la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso contro l'Italia (causa C-196/13) per non aver adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 aprile 2007, nella causa C-135/05. La Commissione ha chiesto alla Corte di ordinare alla Repubblica italiana di: a) versare alla Commissione una penalità giornaliera pari a euro 256.819,2 per il ritardo nell'esecuzione della sentenza nella causa C-135/05 dal giorno in cui sarà pronunciata la sentenza nella presente causa fino al giorno in cui sarà stata eseguita la sentenza nella causa C-135/05; b) versare alla Commissione una somma forfettaria il cui importo risulta dalla moltiplicazione di un importo giornaliero pari a euro 28.089,6 per il numero di giorni di persistenza dell'infrazione dal giorno della pronunzia della sentenza nella causa C-135/05 alla data alla quale sarà pronunziata la sentenza nella presente causa;
   il 3 giugno del 2014, si è svolta la prima udienza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-196/13 per la pronuncia sulle discariche abusive;
   nel corso della seconda udienza, tenutasi lo scorso 4 settembre, l'avvocato generale della Corte, Juliane Kokott – richiamando la sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) del 26 aprile 2007 con la quale la Corte ha condannato il nostro Paese per violazioni delle direttive in materia di trattamento dei rifiuti – ha individuato tre tipi di violazioni:
    a) l'utilizzazione di discariche illegali di rifiuti, in parte con l'abbandono di rifiuti pericolosi;
    b) la mancata bonifica delle discariche illegali di rifiuti chiuse, contenenti in parte rifiuti pericolosi;
    c) la mancanza di una nuova autorizzazione per le discariche di rifiuti rimaste in funzione ai sensi della direttiva discariche;
   in merito alla prima violazione contestata (l'utilizzazione delle discariche illegali) l'Avvocato Generale ha precisato quanto segue:
    1) in base agli elementi acquisiti dalla Corte, non è escluso il fatto che le discariche fossero ancora utilizzate, al momento della pronuncia della prima sentenza;
    2) l'Italia si rifiuta espressamente di presentare osservazioni sul grado di esecuzione della stessa sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) alla data indicata;
    3) l'Italia ha anche omesso di contestare l'utilizzazione delle discariche alla scadenza del termine, e per quanto concerne le discariche Matera/Altamura Sgarrone e Reggio Calabria/Malderiti, è fondata l'accusa della Commissione, secondo la quale le stesse discariche illegali erano ancora utilizzate alla scadenza del termine impartito dalla Commissione;
   per quanto concerne la seconda violazione (la mancata bonifica delle discariche illegali), l'Avvocato Generale ha precisato quanto segue:
    1) la condanna dell'Italia per violazione dell'articolo 4, paragrafo 1, e dell'articolo 8 della vecchia direttiva in materia di rifiuti – con la richiamata sentenza del 2007 – fa sorgere l'obbligo a carico dell'Italia di verificare la necessità
di bonificare le discariche illegali di rifiuti e di realizzare le necessarie operazioni di bonifica;
    2) la condanna per violazione dell'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva relativa ai rifiuti pericolosi – con la richiamata sentenza del 2007 – impone all'Italia degli obblighi aggiuntivi connessi alla presenza nei siti da bonificare degli stessi rifiuti pericolosi;
    3) è nella facoltà della Commissione chiedere alla Corte di Giustizia di condannare uno Stato membro a causa di una generale prassi amministrativa che provoca una violazione ripetuta e prolungata del diritto dell'Unione, e che la stessa Corte – con la richiamata sentenza del 2007 – ha dichiarato espressamente, al punto 45, che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi ad essa incombenti ai sensi della normativa in materia di rifiuti, portando a sostegno di questa condanna, a titolo esemplificativo, la situazione riscontrata in determinate regioni;
   per quanto concerne la terza violazione, l'Avvocato Generale ha evidenziato che sulle nuove autorizzazioni delle discariche rimaste in funzione ai sensi della direttiva 31/1999/CE, secondo i dati forniti dalla Commissione – che non sono stati contestati dall'Italia – alla scadenza del termine di cui al parere motivato ne erano interessate almeno 93 discariche. Si trattava di 69 discariche, site in nove regioni, che l'Italia ha indicato alla Commissione nella risposta al parere motivato e di altre 24, nella regione Puglia, su cui l'Italia ha fornito indicazioni solo in seguito;
   ad esito della disamina degli elementi a disposizione – relativamente alla causa C-196/13 – lo stesso Avvocato Generale ha proposto alla Corte di condannare la Repubblica Italiana a:
    a) versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una penalità giornaliera di euro 158.200 fino alla piena esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250). Detto importo di base deve essere ridotto rispettivamente di euro 2.100, qualora l'Italia dimostri alla Commissione la bonifica di una discarica illegale chiusa contenente rifiuti pericolosi, di euro 700, ove sia provata la bonifica di un'altra discarica, e di euro 1.400, ove sia certificata la nuova autorizzazione di una discarica rimasta in funzione ai sensi della direttiva 1999/31/CE;
    b) versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una somma forfettaria di euro 60 milioni;
   con riferimento alla procedura dinanzi alla Corte di Giustizia, è stata presentata un'interrogazione a risposta immediata in Commissione (Atto Camera n. 5-03316), alla quale il Sottosegretario di Stato Ambiente e Tutela del territorio e del mare ha risposto lo scorso 24 luglio 2014, riferendo che, per far fronte all'infrazione comunitaria 2003/2007, con la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 113), è stato istituito, per gli anni 2014 e 2015 un fondo di 30 milioni di euro per la realizzazione di un piano straordinario di bonifica di 43 discariche – da adottare con un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, allora in corso di predisposizione – ma che le risorse stanziate non erano sufficienti e che, quindi, lo stesso decreto avrebbe dovuto selezionare gli interventi ritenuti prioritari;
   la probabile condanna – con la conseguente applicazione di sanzione pecuniarie – all'Italia durante lo stesso semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione Europea costituisce l'inevitabile conseguenza di una perdurante incapacità dello Stato italiano, e alle amministrazioni a diverso livello e titolo coinvolte, di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di gestione dei rifiuti;
   tutto ciò, vista la rilevanza delle sanzioni pecuniarie destinate ad aumentare nel tempo, rende necessaria la predisposizione di un apposito piano di azione che
individui un serrato crono programma delle attività e delle iniziative necessarie a dare piena esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 26 aprile 2007 –:
   con quali modalità e tempistica intenda procedere alla rimozione delle situazioni alla base della imminente nuova condanna da parte della Corte di Giustizia dell'Unione europea, a partire dall'immediato reperimento di tutte le risorse necessarie a finanziare integralmente il piano straordinario di bonifica richiamato nelle premesse, dalla tempestiva bonifica delle discariche illegali chiuse e alla chiusura e alla successiva bonifica di quelle ancora utilizzate oggetto del ricorso della Commissione Europea. (5-03513)

   PELLEGRINO, PANNARALE, ZARATTI, DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   violenti piogge hanno interessato soprattutto dal 3 settembre scorso la provincia di Foggia, e in particolar modo il promontorio del Gargano, con un bilancio di due morti, centinaia di sfollati e danni per molti milioni di euro. Solo a San Marco in Lamis si calcolano danni per 25 milioni di euro;
   già dalle prime ore, si sono verificati smottamenti provocati dal nubifragio, allagamenti con abitazioni evacuate, undici strade interrotte, migliaia di persone senza gas e energia elettrica. Il centro più colpito, oltre a Vieste, è stato Peschici, dove sono stati sfollati un migliaio di turisti;
   cinque giorni di piogge (gli esperti hanno segnalato come in un solo giorno ha piovuto quanto in sei mesi, e in una settimana quanto in un anno) e il dissesto idrogeologico hanno sbriciolato l'area;
   un dato allarmante emerge da un'analisi della Coldiretti, secondo la quale il maltempo ha messo a rischio la stabilità idrogeologica di ampie aree della Capitanata e del Gargano. L'anomalia climatica si è abbattuta su un territorio fragile con il 78 per cento dei comuni pugliesi a rischio per frane e alluvioni, di cui 35 si trovano proprio nella provincia di Foggia;
   ancora una volta, in presenza di forti e insistenti piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con frane, cedimenti di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque;
   come dichiarato dal Governatore della Puglia, Vendola, «la Puglia è la regione d'Italia che ha speso tutti i fondi a disposizione per il dissesto idrogeologico. Il punto è che abbiamo a che fare con un territorio abusato, con ferite che vengono da un modello di urbanizzazione sviluppatosi tra gli anni ‘70 e ’90 che ha prodotto cose inaudite. Ci sono costruzioni che impediscono il percorso naturale delle acque. Tutto questo va radiografato in profondità»;
   è necessario avviare un serio ed efficace piano nazionale di messa in sicurezza del nostro territorio, che stanzi adeguate risorse finanziarie e ne garantisca la loro effettiva spendibilità da parte delle regioni e degli enti locali attraverso la loro esclusione dal rispetto del Patto di stabilità interno;
   l'8 settembre, il Ministro Galletti ha dichiarato: «credo che ci siano tutte le condizioni, da quello che ho potuto vedere, per dichiarare lo stato di emergenza, l'ultima valutazione toccherà al consiglio dei Ministri» –:
   se al fine di far fronte all'emergenza conseguente all'alluvione nel Gargano, non si ritenga di dichiarare quanto prima lo stato di emergenza per i territori colpiti e lo stato di calamità naturale per i danni all'agricoltura, stanziando le indispensabili risorse finanziarie per il ristoro dei danni subiti dai privati e dalle attività produttive, per la messa in sicurezza delle aree colpite, e più in generale per il contrasto al dissesto idrogeologico dell'intero territorio nazionale, anche attraverso la previsione per le aree colpite di cui in premessa, dell'esclusione dal patto di stabilità interno delle risorse necessarie per gli interventi post-calamità provenienti dallo Stato, nonché le spese sostenute dagli enti locali a valere su risorse proprie o provenienti da donazioni di terzi. (5-03514)

Interrogazione a risposta scritta:

   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 agosto 2014 il capogruppo consiliare della lista «San Vitaliano rinasce» ha presentato un esposto al sindaco di San Vitaliano (NA), al prefetto di Napoli, all'Arpa Campania e alle forze dell'ordine per segnalare la pervasiva comparsa, su balconi, terrazze, ringhiere e nelle nostre abitazioni, di una strana sostanza, collosa ed appiccicaticcia, difficile da rimuovere anche con l'uso di specifici elettrodomestici, che tanto sta ulteriormente allarmando la popolazione residente in larga parte del Comune di San Vitaliano, paese ubicato al baricentro del così detto «Triangolo della Morte»;
   nei giorni successivi il fenomeno è stato segnalato anche dai cittadini di altri comuni della provincia di Napoli, come Cimitile, Roccarainola, Marigliano e Cicciano;
   il 6 settembre 2014 il quotidiano «Il Mattino» ha pubblicato un articolo a firma di Nello Lauro dal titolo «Nolano, l'allarme blob si allarga piovono segnalazioni all'ArpaC»;
   il servizio giornalistico riferisce che «la situazione si è allargata a macchia d'olio anche negli altri paesi dell'Agro: si tratta di una “sostanza” che si attacca ai pavimenti soprattutto all'esterno e quelli adiacenti alle finestre e non permette il passaggio delle scope elettriche che si bloccano. Anche sui mobili, secondo i residenti (soprattutto casalinghe) che hanno denunciato il fatto, si sedimenta una patina appiccicosa che rende difficile le pulizie. Stessa cosa sui parabrezza delle autovetture dove si nota un deposito di sostanza di natura ignota e finissimo, trasparente e appiccicoso ed è idrosolubile in quanto col liquido lavavetri viene asportato facilmente» –:
   quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere per risalire all'origine del fenomeno e per mettere in campo efficaci azioni di contrasto.
(4-05966)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:

   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il taglio pesante ai fondi della cultura sta determinando seri rischi all'attività dell'Archivio Centrale dello Stato; secondo il Sovrintendente dell'Archivio di Stato il fabbisogno minimo per coprire le spese incomprimibili è di 800 mila euro mentre nel 2013 sono stati attribuiti solo 650 mila euro;
   con i suoi 120 chilometri di scaffali e una media di 36 mila pezzi movimentati l'anno, l'Archivio Centrale dello Stato rappresenta da oltre mezzo secolo la memoria storica e documentaria dell'Italia;
   l'inidoneità della sede per la conservazione dei documenti è da tempo stata posta all'attenzione dei vari Governi che si sono succeduti;
   i problemi di spazio si aggravano con la declassificazione degli atti riguardanti le stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, Bologna e rapido 904 –:
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire l'attività e il futuro dell'Archivio Centrale dello Stato. (4-05953)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:

   CORDA, RIZZO, BASILIO, ARTINI, TOFALO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Arbus, al confine tra le province del Medio Campidano e di Oristano, vi è la presenza di una servitù militare di circa 1.400 ettari, utilizzata dai corpi dell'Aeronautica e della Marina militare italiana, tedesche e Nato per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra;
   al poligono di Capo Frasca è collegato l'aeroporto militare Nato di Decimomannu, situato a sud dell'isola, utilizzato anch'esso per l'addestramento di piloti di aerei supersonici al tiro;
   lo scorso 4 settembre, l'area che ospita il poligono è stata scenario di un incendio provocato dalle esercitazioni militari dei tornado dell'aviazione tedesca;
   il rogo, originato presumibilmente dalle scintille provocate dall'impatto sul terreno di un colpo inerte lanciato sul terreno durante le esercitazioni, ha distrutto ben 32 ettari di macchia mediterranea;
   il personale del Corpo forestale si è presentato sull'area colpita dall'incendio con un singolo mezzo sprovvisto di sistemi di estinzione, affidando i soccorsi ad un singolo elicottero;
   la regione Sardegna ha espresso la sua volontà di addebitare al Ministero della difesa 20 mila euro quali costi dell'intervento della macchina regionale antincendio;
   l'Aeronautica militare, su indicazione del Dicastero di appartenenza, ha annunciato la sospensione delle esercitazioni fino all'attivazione di un presidio anti-incendio idoneo –:
   quali provvedimenti siano stati assunti per impedire che nel poligono di Capo Frasca fatti analoghi abbiano a ripetersi. (5-03520)

   MARCOLIN e GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a margine del vertice Nato, svoltosi recentemente in Galles, lo staff del presidente ucraino Petro Poroshenko ha lasciato intendere che l'Italia è fra i cinque Paesi dell'Alleanza ad aver offerto la propria disponibilità ad assistere le forze armate dipendenti dal Governo di Kiev;
   negli stessi giorni è apparsa sui media la notizia che, dopo aver preso parte alla STEADFAST JAVELIN II, militari italiani parteciperanno ad un'esercitazione in programma sul suolo ucraino, la RAPID TRIDENT 14, concepita nel contesto della Partnership for Peace e presentata come routinaria, ma dall'evidente valenza politica in questo delicato momento;
   l'Italia è già soggetta a sanzioni imposte dalla Federazione Russa come ritorsione per quelle varate dall'Unione europea nei confronti di Mosca –:
   quali ragioni stiano dettando al Governo italiano scelte politicamente tanto impegnative a favore dell'Ucraina senza aver sottoposto preventivamente la questione all'esame del Parlamento. (5-03521)

   DURANTI, PIRAS, MARCON e PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   fermo restando il parere contrario del gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia Libertà, e dei sottoscrittori del presente atto, all'invio di qualsivoglia tipo di armamento e/o dotazione bellica in altri Paesi, specialmente se attraversati da guerre civili;
   in data 20 agosto 2014, su iniziativa dei presidenti delle Commissioni esteri e difesa di Senato e Camera è stata convocata una riunione d'emergenza per far fronte all'emergenza umanitaria in Iraq e decidere le misure di sostegno alla resistenza curda;
   il Governo, così come annunciato durante il dibattito nelle Commissioni parlamentari, ha fornito ulteriori dati sulla prevista fornitura di armi alle forze curde in Iraq; detto passaggio è stato inserito nella discussione sul decreto-legge sulle missioni internazionali;
   l'invio delle armi prevederebbe il seguente elenco:
    a) 100 MG 42/59 + 100 treppiedi (materiale nazionale);
    b) 100 mitragliatrici 12.7 (materiale nazionale);
    c) 250.000 munizioni per ciascuna delle due tipologie di armi;
    d) 1000 razzi RPG 7 (materiale sequestrato);
    e) 1000 razzi RPG 9 (materiale sequestrato);
    f) 400.000 munizioni per mitragliatrici di fabbricazione sovietica;
   le suddette armi e munizioni dovranno essere prelevate nei depositi in Sardegna dove sono state custodite negli ultimi anni a seguito della operazione di contrasto al traffico internazionale di armi denominata «Jadran» avvenuta nel 1994;
   la magistratura, già nel 2006, ne aveva ordinato la distruzione, che in realtà non è mai avvenuta. Per ovviare al precetto della magistratura, il Governo con dichiarazione esplicita del Ministro Pinotti ha fatto riferimento alla legge n. 108 del 3 agosto 2009 che permetterebbe al Ministero della difesa l'utilizzo di materiale d'armamento, anche a seguito di sequestro, per «fini istituzionali»;
   il dottor Sergio Finardi, direttore dell'istituto di ricerca statunitense Transarms, che si è occupato della vicenda del sequestro Jadran sin dal 2011, ha dichiarato che: «...la legge n. 108 del 3 agosto 2009, richiamata dal Ministro, prevede che gli armamenti sequestrati possano entrare nella disponibilità del Ministro della difesa solo dopo un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa e dell'economia e delle finanze...». Passaggi normativi questi, per quanto a conoscenza degli interroganti, non ancora avvenuti;
   anzidette armi verranno inviate in una zona ad alto rischio di «sviamento», dove organismi ed organizzazione non governative internazionali, hanno rilevato continue violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, poste in essere anche dalle forze armate irachene e di gruppi di miliziani sciiti che collaborano con esse;
   il Governo nazionale di Baghdad fungerà formalmente da intermediario, come pare essere, per l'invio delle armi ai Peshmerga kurdi, così come dichiarato dal Ministro Mogherini, i rischi diventano maggiori, come sottolineato inoltre dal Presidente dell'associazione umanitaria «Un ponte Per», Martina Pignatti Morano;
   le sparizioni di armi in quella regione sono un dato di fatto ampiamente documentato dai rapporti sia del Pentagono sia di centri di ricerca autorevoli come il SIPRI di Stoccolma;
   già nel 2007 un rapporto del Pentagono dettagliava come, a fronte di oltre 13 mila armi consegnate all'esercito iracheno, si era persa traccia per più di 12 mila armi tra cui figurano pistole, fucili d'assalto, mitragliatrici e lanciagranate;
   situazione simile si è verificata in Afghanistan –:
   se il Governo non intenda rinunciare alla fornitura delle armi, visti anche i casi di «sviamento», indicando in caso contrario le misure e le procedure poste a protezione e controllo dell'invio delle armi. (5-03522)

   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che non sarebbe stato permesso al CoCeR di riunirsi lo scorso 5 settembre a Savelletri Fasano;
   tra i motivi della mancata autorizzazione parrebbero esserci le concomitanti nozze della figlia di un industriale indiano, celebrate nella stessa località;
   si prefigurerebbe quindi una grave limitazione dei diritti della rappresentanza militare –:
   se corrisponda al vero tale notizia e quali siano i motivi del diniego. (5-03523)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   PIZZOLANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da quanto emerge dalla risposta fornita il 28 novembre 2013 in Commissione cultura alla Camera, all'interrogazione n. 5-1587 dal Sottosegretario di Stato, dottoressa Borletti Buitoni, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo deve corrispondere 97.263.468,66 euro a privati cittadini per interventi di restauro o conservativi autorizzati e dagli stessi eseguiti su beni d'interesse storico-artistico, collaudati fino al 31 dicembre 2011;
   il Sottosegretario ha precisato, inoltre, che l'importo complessivo è soggetto a notevole incremento, tenuto conto di tutti i lavori collaudati successivamente alla predetta data;
   mentre la dichiarata carenza di risorse finanziarie a disposizione del Ministero dei beni e delle attività culturali non consente di erogare i contributi citati, previsti dagli articoli 31, 35 e 37 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il Ministero dell'economia e delle finanze, per contro, concede, alle Società di investimento immobiliare quotate (Siiq), alle Società d'investimento immobiliare non quotate (Siinq) ed ai fondi immobiliari, tra le tante agevolazioni fiscali la considerevole cifra di 481.000.000,60 di euro, come si evince dalla relazione finale del Gruppo di lavoro sull'erosione fiscale del 22 dicembre 2011 –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di propria competenza, intendano assumere provvedimenti per sbloccare il pagamento dei 97.263.468,66 euro di contributi indicati in premessa e, se del caso, ridurre proporzionalmente una delle tante agevolazioni fiscali di cui godono i fondi immobiliari e le società di investimento immobiliare quotate e non quotate.
(5-03509)

Interrogazioni a risposta scritta:

   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale civile di Piacenza ha accolto il ricorso del comune di Piacenza e ha condannato il consorzio di bonifica a restituire al comune i tributi non dovuti;
   i giudici hanno stabilito che la quasi totalità del territorio comunale, nonché, di conseguenza, degli immobili che vi sono situati, non dev'essere assoggettata al tributo consortile, in quanto non ricevono un beneficio diretto dallo scolo delle acque nei cavi consortili;
   il consorzio di bonifica è stato condannato a restituire più di 160.000 euro oltre agli interessi legali al comune, relativamente ai tributi pagati dallo stesso comune per gli immobili di sua proprietà tra il 1997 e il 2000; il tribunale ha ritenuto dovuto esclusivamente il tributo relativo agli immobili di proprietà del comune ubicati nelle zone di Mortizza, Le Mose e Dossi di Roncaglia, in quanto tali immobili ricevono un beneficio diretto dallo scolo delle acque nei cavi consortili che deriva dallo scolo delle acque piovane in impianti gestiti dal consorzio, come il diversivo Est, il collettore Armalunga e l'impianto di sollevamento Armalunga;
   nel contempo, il tribunale ha ritenuto che l'esistenza delle opere gestite dal consorzio conferiscano al territorio – e quindi, di riflesso, agli immobili che vi sono ubicati – un mero beneficio generico che, in forza delle leggi in materia e dei precedenti di giurisprudenza consolidatisi, non giustifica la pretesa contributiva del consorzio stesso;
   il principio sancito dal tribunale è che il beneficio al restante territorio comunale, derivante dalla regimazione delle acque e dalle altre opere idrauliche gestite dal consorzio, è non solo generale, ma anche mediato dalla rete fognaria realizzata dall'amministrazione comunale e non incide direttamente a favore dei singoli immobili, per cui non è dovuto il contributo consortile per gli immobili di proprietà comunale siti nelle altre zone della città;
   si tratta di una questione aperta da dieci anni; già nel 2010 il tribunale di Piacenza aveva condannato il consorzio di bonifica a restituire i contributi riscossi per gli immobili della amministrazione provinciale posti nel territorio urbano di Piacenza, avendo accertato solamente l'esistenza di un beneficio generico e, quindi, non suscettibile di legittimare l'imposizione di tributi;
   inoltre, da quanto si apprende dai mass media (Piacenza sera.it), la sentenza si intreccia con le denunce delle politiche di riscossione e degli sprechi del consorzio di bonifica piacentino e con la richiesta inviata dal sindaco di Piacenza nei giorni scorsi al Ministero dell'economia e delle finanze e al demanio regionale di ottenere la gestione diretta, da parte del comune, degli impianti Finarda, Armalunga, canale diversivo est e ovest, attraverso una concessione prodromica anche all'acquisizione della proprietà. Ciò consentirebbe una gestione e manutenzione diretta degli impianti collegati alla rete fognaria da parte del soggetto gestore della rete, con risparmio di spesa e una funzionalità di cui beneficerebbe la collettività locale;
   la articolata decisione del tribunale potrà avere, ovviamente se diventerà definitiva, risvolti di grande portata per tutta la cittadinanza;
   i cittadini desiderano sapere se devono fare azioni legali proprie nei confronti del consorzio di bonifica oppure, viste le altre sentenze di uguale parere del passato se sia possibile estendere l'esonero a tutti i cittadini interessati, i cui immobili non godono di benefici diretti derivanti dall'azione del consorzio di bonifica –:
   di quali elementi disponga il Governo in ordine alla problematica di cui in premessa e quali siano gli orientamenti in relazione alle istanze del sindaco di Piacenza. (4-05971)

   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Unilever Italia Manifacturing s.r.l. è una società operativa di proprietà della multinazionale anglo-olandese Unilever proprietaria di molti tra i marchi più diffusi nel campo dell'alimentazione, delle bevande e dei prodotti per l'igiene e per la casa;
   uno degli stabilimenti della Unilever ha sede a Caivano, in provincia di Napoli;
   in tale stabilimento si producono i gelati della Algida, ed in esso lavorano 854 persone, senza contare i lavoratori stagionali da gennaio a settembre unitamente agli occupati dell'indotto;
   la produzione dello stabilimento di Caivano è al 60 per cento destinata al mercato italiano, ed al 40 per cento destinata al mercato europeo;
   nell'aprile del 2013 Unilever ha sottoscritto, proprio per lo stabilimento di Caivano, un contratto di sviluppo da 35 milioni di euro con Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese (e più in particolare del Mezzogiorno) e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo;
   Invitalia, a seguito di tale accordo, ha concesso alla Unilever agevolazioni per circa 10,2 milioni di euro per lo stabilimento di Caivano sotto forma di contributo in conto investimenti, come prima rata sui complessivi 35 milioni di euro come dall'Accordo di sviluppo in essere;
   il programma di sviluppo presentato dalla Unilever dovrebbe essere ultimato entro la fine del 2014 ed avrebbe come obiettivo la crescita della capacità produttiva dello stabilimento di Caivano;
   tale crescita avverrebbe attraverso una robusta iniezione di avanzate tecnologie capace di aumentare la competitività del sito produttivo e di garantire un beneficio d'immagine e reputazione dell'intera area industriale campana;
   i contenuti dell'accordo sono stati annunciati con un comunicato stampa sul proprio sito l'11 aprile 2013 da Invitalia;
   il top manager di Unilever Pierluigi Orlandi commentò allora il raggiungimento dell'accordo affermando che esso era la dimostrazione della volontà, da parte di Unilever, di continuare ad investire sul gelato ed in Italia;
   lo stesso Orlandi nella stessa occasione sottolineava come l'investimento in questione avrebbe consentito di aumentare sensibilmente la capacità produttiva della fabbrica di Caivano, che già allora era, per importanza, la seconda fabbrica di gelato Unilever in Europa e nel mondo;
   nonostante gli investimenti ed i proclami, tuttavia, il 7 agosto 2014 la Unilever Manufacturing ha avviato una procedura di riduzione del personale;
   tale procedura riguarda 25 lavoratori, afferenti a sette diversi reparti;
   alla base della scelta di operare questi licenziamenti vi sarebbero il calo delle vendite di gelati in Italia e soprattutto la minore competitività dello stabilimento di Caivano rispetto agli altri stabilimenti europei della Unilever;
   ciò sorprende non poco, dato che gli sbandierati investimenti figli dell'accordo con Invitalia dovevano garantire proprio un aumento della competitività dello stabilimento campano;
   in tale occasione la Unilever ha anche affermato l'impossibilità di poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;
   il giorno dopo la Unilever ha raggiunto un accordo con i maggiori sindacati (FLAI CGIL, FAI CISL, UILA UIL e UGL Agroalimentari) e con la RSU dello stabilimento di Caivano per stabilire i dettagli della procedura avviata il 7 agosto;
   in un contesto come quello campano, in cui la crisi economica e l'assenza di investimenti seri e cospicui sta mettendo in ginocchio migliaia e migliaia di famiglie, avvenimenti come questo peggiorano ulteriormente una situazione già intollerabile;
   le multinazionali straniere che ottengono finanziamenti pubblici per investire in stabilimenti italiani dovrebbero avere l'obbligo di mantenere inalterati i livelli occupazionali precedenti alla formalizzazione definitiva e dei citati contratti di sviluppo;
   non è accettabile l'idea che un'azienda che ottiene finanziamenti pubblici per aumentare la competitività di un suo stabilimento in Italia solo un anno dopo annunci un licenziamento collettivo per mancanza di competitività dello stesso stabilimento, prevedendo anche lauti incentivi economici all'esodo volontario;
   già negli scorsi anni altri stabilimenti di Unilever in Italia avevano visto partire corpose procedure di mobilità (basti pensare
a quella che fu avviata nello stabilimento di Casalpusterlengo nel 2009, stabilimento di Sanguinetto, stabilimento di Pozzilli, la cessione dello stabilimento di Latina a marchio Findus, la chiusura dello stabilimento di Cagliari, la chiusura della direzione di Milano, procedura di mobilità alla sede centrale in Roma, svariate procedure di mobilità presso lo stabilimento di Caivano dal 2002 ad oggi), e sembra ormai chiara l'intenzione, da parte di Unilever, di diminuire progressivamente i suoi investimenti e la sua produzione qui in Italia;
   ciò potrebbe significare un ulteriore surplus di manodopera, e di conseguenza nuovi licenziamenti –:
   quali siano i dettagli dell'accordo tra Unilever ed Invitalia, specie sui livelli occupazionali da mantenere presso lo stabilimento di Caivano (Napoli);
   se non si ritenga opportuna un'azione di monitoraggio dell'accordo di sviluppo Caivano Plant – Unilever cds 0174, prevedendo anche audizioni delle parti sociali dello stabilimento. (4-05976)

   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il complesso fenomeno delle agenzie di scommesse sfugge sempre di più alle possibilità di gestione e controllo dei Governi;
   per quel che riguarda il nostro Paese, la fotografia del fenomeno è data anche da cinquemila punti scommessa fuori dal controllo statale, 530 milioni (per ora) di mancati incassi per l'erario e un contenzioso nazionale e comunitario lungo 15 anni;
   si tratta di agenzie di scommesse collegate a bookmaker privi di concessione, aperte in ogni città senza vincoli di distanza da luoghi sensibili, senza oneri concessori e senza versare imposte al Ministero dell'economia e delle finanze, come è invece richiesto ai concessionari statali;
   grazie a cinque decisioni della Corte di giustizia europea (nel 1998, 2003, 2007, 2012 e 2013 su azioni di Stanleybet e Goldbet) e a una serie di ordinanze e sentenze sia dei tribunali penali che di quelli amministrativi, si sono sviluppate di fatto due categorie di punti vendita: una rete autorizzata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, composta da circa 7.400 punti vendita e cresciuta negli ultimi anni del 20 per cento a seguito di bandi di gara per assegnare nuove concessioni, e un network di agenzie e internet point, passato da circa 3.800 a quasi 5 mila punti negli ultimi due anni (+21 per cento, secondo il censimento realizzato da Sistema gioco Italia), collegati a bookmaker e casinò offshore senza concessione italiana piazzati all'estero, generalmente in giurisdizioni Ue, come Austria, Malta, Inghilterra ma spesso in paradisi fiscali;
   da ultimo, è stata avviata un'indagine della procura di Roma a carico della StanleyBet, società con sede all'estero ma di proprietà dell'italiano Giovanni Garrisi, che è indagato con altri undici manager della società per associazione per delinquere. L'accusa è di «esercitare (in Italia) l'attività illegale di giochi e scommesse, in assenza di qualsiasi titolo concessorio e in totale evasione di imposta», avvalendosi di una «stabile organizzazione occulta di persone e mezzi», articolata sul territorio attraverso Ctd, i centri di trasmissione dati che raccolgono le puntate e le piazzano online;
   a fine giugno 2014 la Guardia di finanza ha sequestrato materiale in alcune sedi della StanleyBet, tra cui Milano, Montecatini, Potenza, Giugliano, Roma. «I Ctd – scrivono nel decreto di sequestro i pm – sono formalmente dipendenti da un'altra società, la StanleyBet Malta Limited», con sede a Malta. In Italia opera il legale rappresentante, che al tempo stesso, è uomo «riconducibile con un rapporto di dipendenza funzionale al gruppo di Garrisi». Il meccanismo messo in piedi da Stanleybet per evadere le tasse italiane sul gioco – sostiene la procura – si baserebbe dunque su questa doppia «paternità» dei Ctd;
   l'aspetto più grave e insolito della vicenda è che la strategia difensiva di StanleyBet, oltre che svolgere un'azione di contrasto ai monopoli e dar luogo a querele ai giornali, si è manifestata anche con querele ai finanzieri che, eseguendo gli ordini delle procure, hanno operato il sequestro di materiali o provveduto alla chiusura dei punti vendita;
   si paventa anche il rischio che singoli dipendenti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e militari della Guardia di finanza ricevano dalla «Stanleybet Malta Limited» una citazione diretta in sede civile per risarcimento danni;
   ciò appare all'interrogante gravissimo ed inaccettabile, contrario a qualunque precedente o prassi in materia, ancor di più in mancanza di una chiara presa di posizione dello Stato a sostegno e tutela dei funzionari che a suo nome applicano la legge –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e come intenda intervenire a tutela dei funzionari delle Agenzie e degli agenti della Guardia di finanza coinvolti nella vicenda.
(4-05977)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il 5 agosto la sezione feriale penale della Corte di Cassazione ha confermato la custodia cautelare in carcere per Nicola Cosentino, relativa alle accuse di concorso esterno in associazione camorristica e reimpiego di capitali illeciti;
   la Corte ha quindi rigettato il ricorso di Nicola Cosentino contro l'ordinanza con cui il riesame di Napoli aveva ripristinato la misura cautelare, richiesta dalla procura di Napoli. Era stata la stessa Cassazione, nel gennaio 2014, ad accogliere il ricorso dei pm contro la scarcerazione di Cosentino e a trasmettere nuovamente gli atti al riesame. Nicola Cosentino, che era già detenuto a Secondigliano nell'ambito di un'altra inchiesta, resterà in carcere probabilmente, a questo punto, fino alla fine del processo Eco4, processo che è a metà della sua trattazione dopo oltre tre anni e mezzo;
   come sottolineato dai legali di Nicola Cosentino, che è sottoposto a misure cautelari da oltre dieci mesi, è necessaria, a parere degli interpellanti, una riflessione sulla «presunzione di pericolosità (codicistica) che ha azzerato la presunzione di innocenza (costituzionale) in uno scenario che assiste allo scadimento dell'Italia-penale nel ranking delle nazioni civili per la durata dei processi con imputati preventivamente detenuti per anni e poi assolti»;
   si tratta di dichiarazioni particolarmente forti, che però richiamano l'attenzione sull'utilizzo spesso distorto e sull'applicazione giurisprudenziale molto spesso censurabile della misura del carcere preventivo. Vale la pena ricordare che si è davanti ad una delle misure cautelari previste dall'ordinamento come garanzia per il funzionamento della giustizia, e che la sua corretta applicazione permette il regolare svolgimento del processo, proteggendolo da pericoli provenienti dall'indagato. Per espressa previsione del codice di procedura penale, il ricorso allo strumento della custodia cautelare è però da considerarsi «extrema ratio», spendibile soltanto laddove ogni altra misura appaia inutile. Inteso in questo modo è sicuramente
un aiuto efficace, ed in molti casi indispensabile, per poter assicurare i colpevoli alla giustizia; troppo spesso però, si ricorre alla carcerazione preventiva in assenza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il principio dell'assoluta indispensabilità, con inevitabili ripercussioni sull'annosa questione del sovraffollamento carcerario, senza considerare i gravissimi danni e le dolorose ripercussioni che questa può avere nel momento in cui si trasforma in una vera e propria forma di anticipazione della pena, in particolare davanti ad una sentenza di non colpevolezza, con conseguente e grave violazione dei diritti civili ed umani dei cittadini privati ingiustamente della libertà;
   le vicende contestate a Nicola Cosentino partono dal 2000, e le esigenze cautelari, negli ultimi cinque anni di battaglie legali (la prima inchiesta che lo coinvolge vede una richiesta di arresto inoltrata alla Camera nel 2009), sono state analizzate con decisioni «divergenti» prese da almeno una ventina di giudici;
   i processi sono caratterizzati dall'accusa per un reato, quello del «concorso esterno», che è di derivazione giurisprudenziale, che non ha confini delineati e che in sostanza è un «non reato» che si può contestare a tutti e a nessuno, a seconda dell'orientamento di questa o quella procura della Repubblica (non a caso, proprio per la vicenda di Nicola Cosentino, il concorso esterno è entrato e uscito dal processo);
   l'accusa a Cosentino era stata mossa dallo stesso pentito che recentemente è stato ritenuto insufficiente e inaffidabile come accusatore di un altro deputato, l'onorevole Luigi Cesaro;
   l'uso distorto della misura della custodia cautelare è, ad avviso degli interpellanti, in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza –:
   se il Ministro interpellato:
    a) ritenga di dover valutare la possibilità di attivare il proprio potere ispettivo al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare;
    b) intenda assumere le iniziative di competenza per restituire alla custodia cautelare la sua funzione di rimedio eccezionale da adottare in situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità.
(2-00671) «
D'Alessandro, Brunetta».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto ferroviario nel nostro Paese è stata, negli ultimi mesi, caratterizzata da interventi di tagli e soppressioni, che si sono inevitabilmente ripercossi sulla già precaria condizione dei pendolari italiani;
   un esempio per tutti è quello della tratta ferroviaria Orte-Roma lungo la quale effettuano fermate importanti alcuni treni gestiti dalla regione dall'Umbria, che, nel luglio scorso, ha proposto la soppressione della fermata di Orte da due treni regionali veloci RV 2481 e RV 2488;
   tale soppressione ha inasprito molto le tensioni tra i pendolari delle due regioni: il Lazio, con una situazione già particolarmente compromessa del trasporto pubblico, in particolare su ferro, e l'Umbria, che vede penalizzato il suo bilancio interno a scapito del benessere dei cittadini pendolari;
   nei mesi di luglio e di agosto è stato avviato un tavolo tecnico tra i vertici delle due regioni e dei comparti regionali umbri e laziali di Trenitalia, finalizzato al raggiungimento di una soluzione per questa difficile situazione, ma nulla è stato fatto, per l'assenza prima di Trenitalia, poi degli assessori, infine, ed è il caso dello scorso 4 settembre, per la difficoltà di arrivare ad una soluzione accettabile e condivisa;
   l'esasperazione dei pendolari ha portato anche a manifestazioni estreme, quali l'occupazione dei binari o l'esenzione volontaria dall'acquisto dei titoli di viaggio, inasprendo ulteriormente i conflitti tra le due regioni;
   i problemi di cui in parola non interessano solo la tratta Orte-Roma. Si verificano casi analoghi anche in altre regioni italiane quali, ad esempio, tra regione Piemonte e regione Liguria, oppure tra le regioni Veneto e Lombardia;
   sebbene la competenza della gestione del trasporto ferroviario regionale ed interregionale, così come disposto dalla legge n. 422 del 1997 – legge Bassanini, sia di competenza delle regioni, si ritiene che, nel caso dei trasporti interregionali, sarebbe opportuno introdurre un meccanismo di supervisione centrale e terza al fine di districare situazioni che potrebbero penalizzare una regione piuttosto che un'altra;
   se gli interessi economici di una regione non possono compromettere il diritto dei cittadini ad un trasporto pubblico efficiente, è altrettanto vero che una regione non può essere penalizzata, anche economicamente, per l'evidente mala gestione del trasporto pubblico da parte di un'altra –:
   di quali elementi disponga rispetto a quanto disposto in premessa;
   se non ritenga altresì, considerate le emergenze diffuse in tutta la penisola, assumere iniziative normative per avocare a sé le attuali competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale, in particolare per ciò che concerne la gestione dei trasporti interregionali.
(3-01017)

Interrogazione a risposta in Commissione:

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo ricostruzioni di stampa, il Governo si appresta a presentare un disegno di legge delega finalizzata al recepimento delle direttive comunitarie nn. 24 e 25 in materia di appalti e concessioni, e alla riscrittura del Codice dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture (decreto legislativo n. 163 del 2006) e del correlato Regolamento di esecuzione ed attuazione (decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010);
   secondo le stesse ricostruzioni di stampa, la norma in questione, tra le altre, cose, dovrebbe stabilire – a tutela dei principi della concorrenza – l'obbligo del ricorso generalizzato alle gare ad evidenza pubblica, ammettendo deroghe limitate a soli pochi casi codificati;
   all'interno del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, sono state introdotte disposizioni che – attraverso il coinvolgimento dell'Autorità nazionale anticorruzione anche rispetto alle fasi di esecuzione dei contratti pubblici – dovrebbero aumentare le forme di contrasto ai fenomeni di corruzione nel settore degli appalti pubblici che, come dimostrano le cronache, riguardano diffusamente anche le fasi di esecuzione dei contratti, e dunque tutto quello che accade a valle dell'aggiudicazione del contratto di appalto;
   a questo riguardo, e con specifico riferimento alla tassatività del ricorso a procedure ad evidenza pubblica nel nostro ordinamento e al pieno rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti relative all'esecuzione dei contratti pubblici – oltre alle note e diffusissime deroghe rispetto allo stesso codice previste per la realizzazione delle cosiddette grandi opere – va rilevato che, in seguito alla conversione in legge del decreto-legge n. 201 del 2011, è stato introdotto un regime derogatorio anche per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria;
   con l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, infatti, è stato inserito nell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il Codice dei contratti;
   in merito all'approvazione del citato comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – nella Deliberazione n. 43 del 4 aprile 2012 – l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva segnalato quanto segue: «Il campo di applicazione della norma recata dall'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, così come introdotto dall'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito nella legge n. 214 del 2011, ovverosia la non applicabilità del Codice per le opere di urbanizzazione primaria sotto soglia eseguite dal privato titolare del permesso di costruire, appare eccessivamente ampio. La liberalizzazione introdotta consente all'operatore privato di gestire contratti fino ad un valore di 5 milioni di euro, senza tracciabilità degli eventuali, e consistenti, ribassi d'asta, subappalti, qualificazione delle imprese esecutrici dei lavori stessi, vigilanza dell'Autorità, per opere di urbanizzazione di pubblica utilità che saranno acquisite al patrimonio comunale»;
   l'applicazione del comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 consente di selezionare, senza il ricorso a procedure ad evidenza pubblica, i soggetti che eseguono opere pubbliche – tali vanno considerate le opere di urbanizzazione destinate ad essere acquisite al patrimonio dei comuni e connesse alle infrastrutture esistenti – a valere su risorse pubbliche perché tali vanno considerati i cosiddetti oneri concessori, a detrazione parziale o integrale dei quali le opere in argomento vengono eseguite;
   lo stesso comma 2-bis solleva i soggetti che eseguono opere di urbanizzazione di importo fino a 5 milioni di euro – come evidenziato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici – dall'obbligo di rispettare tutte procedure del Codice dei contratti, finalizzate ad assicurare un ordinato e regolare svolgimento delle fasi di esecuzione dei contratti pubblici, e dunque senza adeguate garanzie rispetto alla qualità dei lavori eseguiti, all'accertamento del valore economico delle opere e alla trasparenza e alla tracciabilità dei flussi finanziari connessi;
   questa disposizione rende possibile pratiche abusive e corruttive, dal momento che permette all'amministrazione di «condizionare» il rilascio di permessi di costruire all'impegno, da parte del titolare del permesso, di affidare direttamente l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria a imprese «gradite/segnalate» dalla stessa amministrazione per importi, fino a 5 milioni di euro;
   la stessa finalità liberalizzatrice – all'origine della scelta di novellare l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 con l'inserimento del comma 2-bis – viene vanificata dall'affidamento, di fatto a una sola impresa e senza gara competitiva, di lavori pubblici fino a una soglia di 5 milioni di euro, senza alcuna garanzia sull'adeguata qualificazione tecnico-economica degli
esecutori e sulla qualità e l'effettiva rispondenza alle esigenze pubbliche delle opere di urbanizzazione che, una volta realizzate, vengono acquisite al patrimonio delle amministrazioni comunali;
   in seguito a una denuncia riguardante inadempimenti del diritto comunitario, la Commissione europea – pur non considerando l'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 in contrasto con il diritto comunitario – ha rilevato che l'interpretazione della norma non è univoca e, in particolare, che non è chiaro se l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria «a carico» del titolare del permesso di costruire vada considerata complementare o alternativa all'obbligo previsto dal comma 1 dello stesso articolo 16, e in particolare se anche in tal caso sia prevista la possibilità di scomputo totale o parziale della quota relativa agli oneri di urbanizzazione;
   in occasione della conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 24 giugno 2014, n. 90, è stato accolto un ordine del giorno presentato dalla deputata Claudia Mannino con il quale – ad esito della riformulazione proposta dal Governo – si impegna lo stesso Governo a valutare l'opportunità di rivedere, nell'ambito della preannunciata riforma della normativa sui contratti pubblici, l'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, rimuovendo il meccanismo derogatorio previsto, e prevedendo – anche per quanto concerne la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo – l'obbligo di ricorrere a gare ad evidenza pubblica e di applicare integralmente le norme vigenti in materia di esecuzione dei contratti aventi come oggetto la realizzazione di opere pubbliche –:
   se intenda procedere all'abrogazione dell'articolo 16, comma 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, cancellando una norma che, come rilevato dalla Commissione europea, non è chiara e che, in ogni caso, ha consentito e consente, tuttora, di realizzare opere pubbliche, senza alcuna delle garanzie previste dal Codice dei contratti, concernenti l'individuazione e la necessaria qualificazione dei soggetti esecutori, la qualità e la ordinata esecuzione dei lavori, il corretto accertamento del valore economico delle opere, nonché la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari connessi.
(5-03510)

Interrogazioni a risposta scritta:

   BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione Italo-Elvetica per la gestione delle acque del Lago Maggiore, la Navigazione Lago Maggiore ha concertato con le Autorità svizzere il divieto del trasporto persone in acque svizzere da parte dei motoscafisti, in assenza dell'annotazione prevista da parte dell'autorità competente;
   a tal riguardo, secondo la navigazione, competente per tale annotazione sarebbe il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   appare incerta questa interpretazione in seguito al trasferimento delle competenze in materia susseguitesi dopo la sottoscrizione della prima Convenzione Italo-Elvetica;
   secondo una diffusa ma non confermata interpretazione in merito, la competenza sarebbe in capo ai Comuni interessati in quanto fattispecie del tutto simile al servizio taxi o noleggio con conducente;
   risulterebbe altresì vietata, perché lesiva delle corse gestite dalla navigazione, la possibilità di un trasbordo dei passeggeri al confine concordando il cambio di imbarcazione con l'omologo ticinese;
    in ragione di questo, i motoscafisti italiani del territorio del Verbano Cusio Ossola hanno dovuto interrompere il servizio di trasporto richiesto dai tanti turisti stranieri che prenotano e hanno prenotato il tour del Lago da Baveno/Stresa fino a Locarno;
   il problema sarebbe facilmente risolvibile individuando quale sia l'autorità competente all'annotazione sull'autorizzazione –:
   come intenda intervenire il Ministro interrogato al fine di risolvere la problematica richiamata nel più breve tempo possibile evitando, così, il ripetersi di forti disagi per i turisti stranieri ed un indubbio danno economico per il turismo sul lago maggiore. (4-05951)

   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei primi sette mesi del 2014 in Italia si sono avuti 1.407 furti in stazioni e 2.045 a bordo dei treni con 795 arresti e 7.425 denunce alla polizia;
   sono stati 215 i ferrovieri aggrediti e malmenati in stazioni o sui treni;
   la situazione è in forte aggravamento e si pone seriamente una questione di sicurezza nelle stazioni e sui treni al fine di tutelare i viaggiatori e i ferrovieri;
   ogni regione ha le sue linee ferroviarie particolarmente a rischio: la Verona-Milano, la Napoli-Sapri, la Milano Torino tanto per fare degli esempi;
   le stazioni più grandi sono prese d'assalto da persone malintenzionate che aggrediscono, insultano, minacciano determinando un clima di paura e di insicurezza;
   in questo contesto, la polizia ferroviaria è oggetto di ridimensionamenti preoccupanti –:
   quali iniziative intendano assumere per assicurare legalità e sicurezza nelle stazioni e sui treni italiani. (4-05952)

   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 3 settembre 2014 circa 40 lavoratori operanti presso il cantiere di Ancona delle pulizie dei treni a lunga percorrenza stanno effettuando una protesta spontanea che è attualmente in atto con picchetti e sit-in giornalieri presso la stazione di Ancona, pur garantendo la pulizia dei treni;
   i lavoratori degli appalti ferroviari relativi alle pulizie dei treni della Gesafin-Gruppo Gorla di Milano hanno deciso di protestare in quanto, non solo non hanno ancora ricevuto lo stipendio di luglio comprensivo dei rimborsi dei 730 dei lavoratori medesimi, ma l'azienda non ha ancora comunicato quando ha intenzione di pagare, nonostante le numerose sollecitazioni delle parti sindacali. Da anni nel nostro territorio si avvicendano ditte concessionarie di appalti ferroviari che non corrispondono correttamente gli stipendi, i Tfr e tutte le spettanze ai propri lavoratori e questo ha creato negli anni una esasperazione tale da non poter più essere gestita e controllata nel rispetto delle regole –: 
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, coinvolgendo le parti (Trenitalia, aziende appaltatrici) al fine di trovare una soluzione immediata e definitiva a questa situazione incerta ed insopportabile, e a tutela dei diritti dei lavoratori, nonché a garanzia di una qualità del servizio indispensabile per il decoro e l'efficienza dei treni (4-05963)

   FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegnere Konrad Bergmeister, amministratore delegato della società BBT SE, con la sentenza n. 58 del 2006, è stato condannato dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Trentino Alto Adige con sede in Trento, al risarcimento del danno nei confronti della società autostrada del Brennero spa della quale era direttore generale, per un appalto illegittimo concluso con palese e macroscopica inosservanza delle puntuali disposizioni di legge, manifesta incuria dei pubblici interessi, nonché per avere agito in difformità dal lineare e trasparente servizio alla collettività nel fare oculato impiego delle pubbliche risorse. La sentenza è stata confermata in appello, con la sentenza della Corte dei conti sezione prima giurisdizionale centrale n. 155 del 2009, in seguito alla definizione agevolata del giudizio;
   la società BBT SE è una società per azioni europea, interamente di proprietà pubblica, istituita per la realizzazione di una galleria ferroviaria tra Italia ed Austria. Tale società progetta e realizza la galleria di base del Brennero. Essa è quindi affidataria della realizzazione della più grande opera pubblica d'Europa attualmente in fase di costruzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali provvedimenti intenda assumere per garantire che le nomine, in un settore così delicato e di rilevante interesse pubblico, avvengano nel rispetto dei principi di imparzialità e correttezza. (4-05964)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   continuano senza sosta gli sbarchi di migliaia di migranti che approdano sulle coste italiane, soccorsi dalle imbarcazioni della guardia costiera e della marina militare;
   al 30 giugno 2014, gli immigrati sbarcati in Italia avevano già superato il totale degli arrivi registrato nel 2011, che finora era stato l'anno di record raggiungendo la ragguardevole cifra di 63 mila (nel 2013 erano stati «soltanto» 43mila);
   i dati ufficiali forniti dal Ministero dell'interno, infatti, rilevano che nei primi sei mesi di quest'anno sono giunti via mare 61.585 stranieri, la maggior parte partiti dalla Libia;
   a questa cifra già impressionante vanno poi aggiunte le migliaia di persone soccorse nei primi venti giorni di luglio: numeri che rendono quasi certo il raggiungimento, alla fine di quest'anno, della stima, che inizialmente sembrava esagerata, di 100 mila immigrati sbarcati sulle coste italiane in dodici mesi;
   ingenti mobilitazioni hanno interessato anche il porto di Salerno, dove generalmente attraccano le navi da crociera, con una prima imbarcazione attraccata a inizio luglio;
   secondo le notizie riportate dai maggiori quotidiani locali, la nave rifornitrice Etna della Marina militare italiana, che trasportava 1044 migranti soccorsi nel canale di Sicilia, nell'ambito dell'operazione «Mare nostrum», infatti, è attraccata nel porto di Salerno lo scorso 1o luglio 2014;
   imponente è stato il servizio d'ordine predisposto dalla prefettura, con circa 300 uomini della polizia di Stato, carabinieri, esercito, capitaneria di porto e protezione civile giunti sul posto;
   probabilmente la buona prova fornita da forze dell'ordine, associazioni umanitarie e volontariato in occasione di questo primo grande esodo di massa ha fatto sì che il porto di Salerno venisse scelto anche per una seconda imponente operazione;
   a distanza di pochi giorni, infatti, la nave rifornitrice Etna della Marina militare, italiana è attraccata nel porto di Salerno, con ben 2186 migranti eritrei, somali siriani e afgani;
   i migranti, dopo una prima fase di riconoscimento e controlli sanitari, dovrebbero raggiungere le località di destinazione, tra cui le cinque province campane;
   in particolare, nel Salernitano dovrebbero rimanere almeno 250 migranti che saranno portati nei centri di accoglienza a Sud del capoluogo;
   secondo le previsioni del dipartimento immigrazione del Viminale, l'Italia dovrà attrezzarsi ad accogliere, per i prossimi mesi, non meno di altri 35 mila richiedenti asilo;
   seppur apprezzabile la mobilitazione al porto di Salerno per assistere gli immigrati, con il lodevole lavoro svolto dai cinquecento tra agenti di polizia e carabinieri, finanzieri e vigili, non si può però sottacere in merito alle preoccupazioni sugli effetti devastanti che l'ondata continua di sbarchi in porti, anche a vocazione turistica, come quello di Salerno, potrebbe a breve avere sul turismo locale;
   i continui arrivi, con cifre che generano paura, rischiano di mettere in ginocchio il turismo legato alla città, dove, soprattutto in questo periodo, attraccano numerose navi da crociera provenienti da tutto il mondo;
   secondo lo studio SRM sul ruolo del turismo nello sviluppo economico della Campania presentato a Salerno il 13 luglio 2011, Salerno è la seconda provincia campana, dopo Napoli, per concentrazione di domanda turistica con una quota del mercato turistico regionale pari al 29,0 per cento per gli arrivi (1.252.921) ed al 41,3 per cento per le presenze (7.407.571);
   l'Italia, da sempre, è meta di grande turismo da parte di viaggiatori di tutte le nazionalità e, purtroppo, la fama negativa che negli ultimi mesi aleggia sullo stivale grazie alle migliaia di profughi che accogliamo ci sta facendo perdere una fonte di guadagno, vitale per molte regioni;
   l'allarme sugli effetti negativi degli sbarchi dei clandestini sul turismo è già stato lanciato dal presidente della regione Sicilia, secondo il quale gli sbarchi dei migranti hanno un effetto psicologico negativo sui turisti, un effetto-panico irrazionale da immigrazione –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per sospendere, quantomeno, le operazioni di sbarco nei porti turistici durante il periodo estivo; quali siano gli altri porti italiani individuati per gli sbarchi degli immigrati. (4-05957)

   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Figino Serenza, in provincia di Como, dispone di un centro sportivo coperto che ha concesso parzialmente in uso alla locale comunità musulmana, affinché la possa utilizzare per la tradizionale preghiera del venerdì, malgrado siano ormai numerosi i luoghi a ciò preposti nella zona e sia consentito ai musulmani anche di pregare individualmente ovunque capiti, purché col capo rivolto alla Mecca;
   a causa del più elevato rischio terroristico comportato dall'attività di proselitismo condotta dai simpatizzanti del cosiddetto Stato Islamico sorto a cavallo tra Siria ed Iraq, l'iniziativa assunta dalle autorità di Figino Serenza è fonte di crescente allarme sociale, sia nel comune interessato che nell'attigua città di Cantù dove secondo fonti riportate dalla stampa locale un'ulteriore nuova moschea sarà aperta prima di Natale;
   la vicina Svizzera adotta di contro una politica fortemente restrittiva, che contempla addirittura il divieto di costruire minareti nel territorio della Confederazione Elvetica –:
   se il Governo, per quanto di competenza, ritenga opportuno assumere iniziative, ed eventualmente quali, per monitorare il tenore delle attività che vi si svolgono a tutela della sicurezza della cittadinanza. (4-05972)

   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il TAR Lazio, seconda sezione bis, con sentenza del 26 marzo 2014 si è pronunciato definitivamente accogliendo il ricorso presentato dalla Gilgamesh s.r.l. avverso il comune di Pomezia per: violazione degli articoli 1 e 2 legge 241 del 1990 nonché articolo 97 della Costituzione;
   il Tar ha assegnato 90 giorni di tempo al comune di Pomezia per l'adozione dei programmi integrati in variante allo strumento urbanistico generale;
   nella stessa sentenza il Tar ha nominato in qualità di commissario ad acta il prefetto di Roma o un funzionario di prefettura designato dal titolare dell'ufficio;
   i 90 giorni previsti dal Tar sono scaduti il 26 maggio 2014 –:
   quali siano le motivazioni che hanno impedito il prefetto o un funzionario di prefettura ad agire come commissario ad acta stante il perdurare dell'inerzia del comune di Pomezia inadempiente al disposto della sentenza disposta dal TAR Lazio. (4-05974)

   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 luglio 2014 la procura antimafia di Reggio Calabria ha disposto l'arresto di 24 persone tra cui Sandro Rossato, imprenditore padovano nel settore dei rifiuti, ed esponenti della ‘ndrangheta legati alle cosche Libri e Condello;
   gli arrestati sono indagati a vario titolo per associazione mafiosa (articolo 416-bis codice penale), turbativa della libertà degli incanti, aggravata dalla finalità di agevolare associazioni mafiose, intestazione fittizia di beni, sottrazione di beni sottoposti a sequestro, truffa aggravata. Gli arresti seguono un'inchiesta avviata già nel 2001 sulle infiltrazioni mafiose nella gestione delle discariche e del ciclo dei rifiuti in Calabria che, nel marzo 2006, aveva portato all'arresto dello stesso Rossato e di altre numerose persone appartenenti alla ‘ndrangheta;
   il Rossato nel corso degli anni ha costituito una vasta rete di società operanti nel settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti in Veneto e in Calabria, attraverso rapporti con imprese private e pubbliche che, alla luce dei procedimenti giudiziari in corso, devono essere approfonditi e analizzati con attenzione per prevenire e contrastare le infiltrazioni criminali, e assicurare la concorrenza e la trasparenza nell'affidamento e nella gestione dei servizi di igiene ambientale;
   la vicenda Rossato rappresenta un altro esempio di come la criminalità organizzata, attraverso la collaborazione attiva di imprenditori e professionisti settentrionali, apparentemente esterni ai gruppi mafiosi, è riuscita a inserirsi nel tessuto economico legale;
   per comprendere le dinamiche delle infiltrazioni criminali, basate sulla capacità di attivare e mantenere relazioni con imprese legali operanti in territori distanti dai luoghi di provenienza, risulta utile ricostruire in sintesi le attività di Rossato: Sandro Rossato ha per anni promosso, gestito e amministrato un insieme di società in Veneto. Dal 1988 è stato socio e amministratore con altri familiari della Rossato Fortunato srl, con sede a Pianga (Ve), società per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti;
   la famiglia Rossato ha partecipato come socio di minoranza alla costituzione della Società Estense Servizi Ambientali (SESA spa), controllata (51 per cento) dal comune di Este (Pd);
   in questi anni Rossato e Mandato hanno intrattenuto diverse relazioni societarie: tra il 2002 e il 2004 Rossato e Mandato sono stati soci della Rossato Fortunato srl e hanno collaborato attivamente;
   proprio in quel periodo la Rossato Fortunato srl ha partecipato alla costituzione della Rossato sud srl e del Consorzio stabile Airone sud;
   Sandro Rossato è stato amministratore unico della Rossato Fortunato srl fino al 2005: in base al bilancio consuntivo 2012 la società risulta di proprietà al 50 per cento di Gianni e al 50 per cento di Sandro Rossato;
   nel 2001 la famiglia Rossato ha costituito la Rossato group, una spa di servizi alle imprese per la gestione del ciclo dei rifiuti con sede in piazza Garibaldi a Padova, che è stata amministrata fino al 2004 da un consiglio d'amministrazione composto da Gianni e Sandro Rossato e da Angelo Mandato;
   in quell'anno la società è stata assorbita dalla Finam group spa, società finanziaria controllata dalla famiglia Mandato, con sede a Mirano: Finam detiene la quota di minoranza di SESA spa;
   Rossato e Mandato hanno, collaborato anche in Airone srl, società costituita tra l'azienda consorzio del mirese (51 per cento), SESA (10 per cento) per la raccolta dei rifiuti;
   Rossato Fortunato srl possiede RAMM srl, con sede a Pianga (Ve), amministratore unico Sandro Rossato e avente per oggetto i servizi per la gestione del ciclo dei rifiuti;
   il ramo d'azienda di RAMM relativo alla gestione dell'impianto di cogenerazione da biogas nella discarica di via Pontifuri a Campodarsego (Pd) è stato venduto nel febbraio 2014 a ETRA spa, società pubblica di servizi composta da 77 comuni delle province di Padova e Vicenza;
   nel gennaio 2013 nel deposito di rifiuti della Rossato Fortunato srl in via Marinoni a Pianiga (Ve) si è sviluppato un incendio di notevoli proporzioni;
   Rossato Fortunato srl ha iniziato a costituire società in Calabria nel 2000;
   Rossato sud srl, con oggetto sociale la raccolta e il trattamento dei rifiuti e sede a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.000 euro, è stata costituita nel 2000 da Edilprimavera srl (50 per cento) e, da Rossato Fortunato srl (50 per cento): Sandro Rossato è stato amministratore unico e procuratore speciale;
   dal 21 febbraio 2006 la società è sotto sequestro giudiziario;
   Edilprimavera srl è una società di costruzioni costituita nel 1988 con sede a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.800 euro. Edilprimavera è di proprietà di Giuseppe Siclari, di Giovanna e di Giuseppe Alampi ed è stata a lungo amministrata da Matteo Alampi, arrestato il 22 luglio 2014 nell'ambito dell'indagine sulle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti;
   in precedenza il tribunale di Reggio Calabria il 21 febbraio 2006 aveva disposto il sequestro preventivo della società che è stata definitivamente confiscata nel 2012;
   nel 2003 Rossato sud srl, Rossato Fortunato srl ed Edilprimavera srl hanno costituito il Consorzio stabile Airone sud, con sede a Reggio Calabria, con oggetto sociale la gestione del ciclo dei rifiuti e di impianti di discarica e di trattamento;
   Sandro Rossato è stato consigliere del consorzio fino al 21 febbraio 2006, quando il tribunale di Reggio ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo delle quote del consorzio in seguito a un'indagine per associazione di stampo mafioso;
   nel luglio 2014 lo stesso tribunale ha stabilito l'amministrazione giudiziaria del consorzio;
   nel 2005 Rosato Fortunato group srl e Biotecnogas srl hanno costituito a Milano il Consorzio stabile Globus;
   dal 2005 al 2007 sono stati consiglieri d'amministrazione Sandro Rossato e Matteo Alampi;
   sui rapporti tra Rossato e la criminalità organizzata è intervenuta la Commissione
parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che, nella sua relazione sulla regione Calabria del maggio 2011, ha spiegato che alcune cosche della ‘ndrangheta hanno costituito con Rossato società per entrare nella gestione ciclo dei rifiuti: «dal quadro probatorio – quale acclarato da una sentenza del tribunale di Reggio Calabria che, nel dicembre 2008, ha condannato tutti gli imputati per associazione mafiosa – risulta l'inserimento mafioso negli appalti dei comuni del territorio reggino. Invero, alcuni imprenditori, gli Alampi, specializzati nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in collegamento con la cosca mafiosa dei Libri, avevano costituito delle società ad hoc (la Edilprimavera, la Rossato Fortunato ed altre ancora) per effettuare tali attività» (pag. 112, Relazione Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti maggio 2011);
   la relazione prosegue spiegando che «Le discariche di Motta San Giovanni (Re) e di Gioia Tauro (Re) venivano gestite da un'ATI appositamente costituita nel settembre del 1999, composta dalla capogruppo “Rossato Fortunato srl”, società con sede in Pianga (Ve) operante nel settore dello smaltimento di rifiuti solidi, anch'essa in possesso dell'iscrizione all'Albo nazionale degli smaltitori e dalla Edilprimavera srl, con sede in Reggio Calabria, società impegnata nel settore dell'edilizia e riconducibile alla famiglia Alampi» (pag. 115 della citata relazione);
   desta particolari allarme e preoccupazione un aspetto della vicenda che manifesta i limiti e le insufficienze dei controlli basati sulle certificazioni antimafia e le forme concrete della presenza delle mafie nell'Italia settentrionale;
   infatti Rossato, sottoposto a indagini per gravi reati dal 2001, arrestato nell'ottobre 2005 per traffico illecito di rifiuti e poi nel marzo 2006 per associazione di stampo mafioso, ha svolto nel frattempo attività imprenditoriali sia con soggetti estranei alle indagini giudiziarie sia con soggetti mafiosi, costituendo con questi consorzi e società, e svolgendo così il ruolo di collegamento tra economia legale ed economia criminale che ha consentito alle organizzazioni mafiose di inserirsi nel tessuto economico per accedere alla gestione dei servizi e riciclare risorse illecite;
   Rossato, nonostante le indagini in corso e i procedimenti a suo carico, ha avuto la possibilità di continuare ad operare per lungo tempo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se le società in cui Sandro Rossato svolge un ruolo attivo siano in possesso della certificazione antimafia;
   se, in caso affermativo, siano in corso le procedure di legge per revocare tali certificazioni;
   quali atti di sua competenza intenda adottare il Ministro, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per prevenire e contrastare l'infiltrazione mafiosa nel territorio e nel tessuto economico del Veneto. (4-05978)

   NESCI, D'UVA e SARTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge nell'ultima relazione semestrale della direzione investigativa antimafia (luglio-dicembre 2013) l'organizzazione criminale della ‘ndrangheta è caratterizzata da «persistente dinamismo, robuste potenzialità organizzative, ampie disponibilità di risorse, confermata tendenza ad inclinare l'asse dei propri interessi verso i circuiti economici»;
   funzionale alle predette direttrici operative risultano – secondo la DIA — le azioni per raffittire il «tessuto di relazioni e collusioni negli ambienti politici, imprenditoriali e professionali, secondo un modus operandi che costituisce la più rilevante minaccia della matrice ’ndranghetista»;
   sempre per la DIA, «la cooptazione di amministratori pubblici inclini a prestarsi a disegni di espansione imprenditoriale delle consorterie, attraverso una sistematica elusione delle regole, accentua il rischio di alterazione dei meccanismi di funzionamento degli enti locali»;
   nella riferita ricostruzione della DIA, «le vulnerabilità che, ormai da tempo, affliggono il sistema amministrativo locale calabrese, sono sintomo di un'emergenza che non accenna ad essere contenuta e che richiede costante vigilanza e sinergica coralità nelle risposte istituzionali»;
   il Consiglio comunale di Briatico (Vibo Valentia) è stato sciolto già due volte per infiltrazioni mafiose, secondo quanto stabilito dall'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 (cosiddetto Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), rispettivamente nel 2003 e nel 2012, a riprova della pesante presenza ‘ndranghetista nel tessuto sociale, politico ed economico della zona;
   alle elezioni amministrative del 25 maggio 2014, dopo un lungo periodo di commissariamento, è stato rinnovato il consiglio comunale di Briatico;
   secondo quanto si legge su diversi articoli di stampa, inizialmente le liste che avevano annunciato di correre alle elezioni erano tre;
   il 23 aprile 2014 il movimento «Per Briatico», pur avendo con insistenza provato a formare una lista civica, è stato costretto a rinunciarvi per mancanza di disponibilità di possibili candidati;
   «L'assenza dello Stato, la situazione d'indebitamento comunale, lo stato della cosa pubblica, l'incertezza sulla propria incolumità e quella dei propri familiari, in una cittadina apatica e solo criticona, ha portato il movimento a ritenersi non ancora pronto a partecipare in modo competitivo ad un confronto elettorale per prendersi carico dell'amministrazione del Comune», aveva detto in quella circostanza Pino Conocchiella, tra i promotori del movimento «Per Briatico»;
   il 27 aprile a ritirarsi è stato Lidio Vallone, già facente parte del consiglio comunale di Briatico sciolto nel 2003 per gravi infiltrazioni mafiose, la presenza del quale nella sfida elettorale era stata in precedenza annunciata;
   nella relazione di scioglimento si parla proprio della presenza, quali assessori e consiglieri comunali a Briatico, dei boss locali Accorinti e Bonavita, soggetti iscritti al Partito Socialista di cui lo stesso Vallone è stato il leader provinciale;
   a rimanere in gara, pertanto, restava un'unica lista, «Il coraggio di cambiare», capeggiata da Andrea Niglia, eletto successivamente sindaco;
   nella nuova amministrazione formata da Niglia risultano presenti diversi uomini già facenti parte del passato consiglio comunale sciolto per mafia nel 2012, a cominciare dallo stesso sindaco, allora consigliere di minoranza;
   ancora, fra gli assessori figura Costantino Massara, già sindaco di Briatico la cui amministrazione era stata a sua volta sciolta per mafia nel 2003;
   altro assessore nominato dal sindaco Niglia è Carlo Staropoli, che nelle amministrative del 2010 era stato eletto nella lista dell'ex sindaco Francesco Prestia (contrapposto a Niglia) la cui amministrazione era stata anche questa sciolta per infiltrazioni mafiose il 24 gennaio 2012;
   Staropoli ricopriva, durante l'amministrazione Prestia, la carica di presidente del Consiglio comunale, ma si era dimesso il 22 agosto 2011;
   a pochi giorni dalla proclamazione del nuovo consiglio comunale, il Ministero dell'interno ha presentato ricorso in appello contro la sentenza della sezione civile del tribunale di Vibo Valentia che aveva sancito Andrea Niglia pur essendo stato, come detto, consigliere di minoranza all'epoca dello scioglimento;

   «per il periodo che qui interessa – si legge nella medesima sentenza – non è dato riscontrare rapporti di parentela, affinità o frequentazione del Niglia con appartenenti alle consorterie locali, non si riscontra alcun elemento (anche indiretto) con tali consorterie, non si ravvisa alcuna condotta o atto specificatamente imputabile al Niglia che abbia rivestito il ruolo di causa concomitante allo scioglimento del consiglio comunale di Briatico»;
   a spingere il Ministero sulla predetta strada sarebbe stato il precedente della sentenza del 5 febbraio 2014 del tribunale di Vibo Valentia che aveva riconosciuto l'incandidabilità per l'ex sindaco Francesco Prestia, l'ex vicesindaco Massimo La Gamba e per gli ex assessori Domenico Marzano e Gennaro Melluso;
   la prima udienza, prevista per il giorno 19 maggio 2014 davanti alla corte di appello di Catanzaro, è stata rinviata al 16 giugno, 23 giorni dopo le elezioni che hanno visto Andrea Niglia eletto nuovo sindaco di Briatico, poiché il fascicolo relativo alla sentenza di primo grado inspiegabilmente non è stato consegnato dal tribunale di Vibo Valentia a quello di Catanzaro, nonostante i due capoluoghi distino soltanto 50 chilometri;
   da pochissimo la corte di appello di Catanzaro è arrivata a sentenza dichiarando «improcedibile» il ricorso del ministero dell'interno; 
   secondo quanto riportato da «Il Quotidiano del Sud» del 3 settembre 2014, «il sindaco Niglia, rieletto nel maggio scorso, potrà pertanto continuare ad amministrare il comune di Briatico;
   la corte d'appello ha infatti ritenuto che la norma sull'incandidabilità vale solo per il turno elettorale «successivo» allo scioglimento del comune per mafia, anche se tale turno elettorale interessa comuni diversi da quello sciolto, sul presupposto che un amministratore può teoricamente candidarsi anche in elezioni che interessano comuni diversi dal proprio;
   nel caso di Briatico, dopo lo scioglimento per mafia del 2011 si sono tenuti in Calabria due turni di elezioni amministrative per altri comuni e quindi tutti gli amministratori hanno già «scontato il turno» di incandidabilità»;
   a parere dell'interrogante sussistono ragioni, perché il Ministro dell'interno, di là dalla riferita pronuncia della corte di appello di Catanzaro sulla mera incandidabilità, verifichi se vi sono effettive, concrete situazioni di rischio di inquinamento e infiltrazioni per il comune di Briatico –:
   se intendano adottare ogni iniziativa di competenza, anche di carattere ispettivo, riguardo alla ritardata consegna del fascicolo di cui in premessa, dal tribunale di Vibo Valentia alla corte d'appello di Catanzaro;
   quali verifiche e misure urgenti voglia intraprendere per assicurare che ogni precedente rapporto con l'antistato, dati i passati scioglimenti ricordati in premessa, sia stato effettivamente rimosso e per escludere che non vi siano rapporti di natura malavitosa tra istituzioni locali e associazioni mafiose sul territorio;
   se risultano precedenti di analoga fattispecie, e cioè amministrazioni che siano state sciolte per infiltrazioni mafiose e che si siano sostanzialmente riproposte a distanza di anni come avvenuto per il comune di Briatico. (4-05979)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   sono trascorsi quaranta anni dall'istituzione a Roma del primo Istituto superiore per le Industrie artistiche – ISIA, a cui hanno fatto rapidamente seguito quelli di Firenze, Urbino e Faenza;

   in questo periodo tali enti si sono affermati nel campo della ricerca e della formazione nel design, come modello di strutture che hanno trovato nella sperimentalità, nell'innovazione, nella sensibilità alle problematiche sociali e ambientali, il loro terreno di sviluppo;
   la caratteristica del modello organizzativo scelto all'atto della loro costituzione, comitato scientifico didattico, direttore, docenti scelti dal comitato, ha garantito per venti anni il successo di queste istituzioni;
   l'introduzione della riforma dell'AFAM e l'inserimento degli ISIA in quel comparto ne hanno per certi versi snaturato il loro statuto fondativo: agile e non burocratizzato, seppure anch'esso con alcuni difetti di fondo, in particolare relativi al finanziamento della ricerca e a una stabilità strutturale del finanziamento della didattica. La riforma, pur rispondendo ad alcune esigenze – validità del titolo, per citarne una –, ha però collocato tali enti in un «calderone» più ampio, con problematiche composite, con «tagli lineari» comuni a tutti, non rendendo per nulla più semplice e più efficace il lavoro degli organi di gestione degli ISIA, che comunque hanno fatto del loro meglio per arginare per quanto possibile questa situazione –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per prevedere un Istituto nazionale del design degli ISIA, che collocandosi nell'ambito del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, possa garantire con la propria autonomia statutaria, una sorta di ritorno alle origini, con l'opportunità di realizzare un salto in avanti attraverso la creazione di una risorsa più ampia per il Paese che possa attraverso l'aspetto della condivisione e dell'interazione – e l'apporto di tutto il sistema di relazioni costruito con le imprese – offrire la capacità di portare il design a essere strumento fondamentale di valore aggiunto per il sistema delle piccole e medie imprese e, di conseguenza, favorire nuove opportunità di lavoro.
(2-00670) «
Melilla».

Interrogazioni a risposta scritta:

   COMINARDI, SORIAL, ALBERTI, BASILIO e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni i cittadini hanno sentito l'esigenza di affermare il principio della sovranità alimentare concernente l'accesso agli alimenti sani e prodotti a livello locale;
   tale principio è stato recepito nella recente Costituzione dell'Ecuador, all'articolo 13, dove si promuove il principio della sovranità alimentare riconoscendo alle persone ed alla collettività l'accesso sicuro e permanente ad alimenti sani, sufficienti e nutrienti, preferibilmente prodotti localmente e nel rispetto delle diverse identità e tradizioni culturali;
   tale diritto all'accesso ad una alimentazione sana si conforma anche ai principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale ritenendosi inviolabile il diritto del cittadino all'autoproduzione e al consumo degli alimenti locali, in tutte le sue modalità, nel rispetto della salute dell'individuo e delle diverse identità e tradizioni culturali e sociali presenti sul territorio nazionale;
   tuttavia, il diritto ad una diversa alimentazione, e l'educazione anche familiare che ne consegue, viene compromesso innanzi all'obbligatorietà della mensa scolastica, obbligando gli alunni ad alimentarsi sulla base di valori e principi culturalmente e socialmente diversi rispetto a quelli che potrebbero essere praticati e condivisi nella famiglia di appartenenza, sacrificando tale diritto;
   recentemente, è apparsa sulla stampa bresciana la notizia della madre Stefania Rossini che si è vista costretta al ritiro dalla scuola dell'infanzia della figlia minore in quanto il comune di Pontevico (Brescia), a cui è affidata la gestione della mensa scolastica, aveva eliminato la possibilità di poter accedere ad una diversa alimentazione, con riferimento alle modalità di consumo degli alimenti che avveniva direttamente presso l'abitazione familiare e non presso gli edifici scolastici;
   oltre a questo aspetto, si aggiunge quello dei rincari delle mense, come nel caso riportato dal «Corriere.it» del 26 settembre 2013, dove i genitori degli alunni milanesi hanno diffidato, per tramite dei presidente Codacons di Milano Marco Donzelli, l'ufficio scolastico territoriale del comune di Milano affinché non impedisca agli stessi alunni di portarsi i pasti da casa e consumarli nel refettorio comune oppure in classe in modo tale da limitare i costi per le famiglie;
   al quale si aggiunge il caso di Legnano dove nello stesso periodo, sempre secondo «Corriere.it» è scattato lo sciopero del refettorio e i ragazzi hanno fatto «pic-nic» a scuola, portando i cibi da casa, e boicottando i pasti della Pellegrini, la società che somministrava i pranzi nelle scuole del comune alle porte di Milano;
   pertanto, è necessario che si provveda alla previsione di norme volte a impedire comportamenti discriminatori da parte degli istituti scolastici in merito a differenti forme di accesso all'alimentazione nonché a modalità di consumo alternative –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se intendano provvedere in via normativa al riconoscimento ed alla tutela del principio della sovranità alimentare a livello locale e nazionale oltre che personale;
   se l'obbligatorietà della mensa negli istituti scolastici e il mancato riconoscimento da parte della legge di forme alternative all'educazione dell'alimentazione non determini una discriminazione delle tradizioni culturali ed un ostacolo di carattere economico in palese violazione dei principi fondamentali della Costituzione. (4-05958)

   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di Governo ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   la norma necessita di una chiara interpretazione al fine di evitare sia inutili e costosi contenziosi per la pubblica amministrazione sia perché un'interpretazione ed applicazione restrittiva rischia di non cogliere la ratio legis;
   al fine di individuare l'area della effettiva portata applicativa dell'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014 occorre infatti tenere presente che: a) il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati (Atti parlamentari Camera, n. 2486-A, pagina 9) ha rilevato che «appare opportuno esplicitare più chiaramente l'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della disposizione così come novellata»; b) dalla combinata lettura dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 e dell'articolo 6 decreto-legge n. 90 del 2014, novellato appunto dal più recente decreto-legge che ne ha anche ampliato il campo di applicazione, si percepisce la effettiva ratio della disposizione la quale è volta ad evitare che pubbliche amministrazioni conferiscano incarichi dirigenziali o direttivi a dipendenti pubblici e privati a riposo tant’è che la rubrica dell'articolo 6 che recita: «Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza»; c) le eccezioni introdotte in sede di conversione dell'articolo 6 del citato decreto-legge n. 90 del 2014 confermano i rilievi del Comitato di legislazione sulla scarsa chiarezza dell'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione dell'articolo medesimo;
   una corretta e razionale lettura interpretativa della portata dell'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014, come convertito dalla legge n.114 del 2014, non può che essere finalizzata alla individuazione degli effettivi destinatari della norma che vieta ai pensionati di ricoprire «cariche in organi di Governo» delle pubbliche amministrazioni;
   un'interpretazione estesa del divieto condurrebbe ad escludere, ad esempio, un genitore pensionato dal far parte di un Consiglio di istituto di una scuola pubblica o un pensionato di una pubblica amministrazione dalla carica di componente del consiglio di amministrazione o di Presidente di un conservatorio di musica e delle accademie di belle arti, organi di governo preposti, in quest'ultimo caso, tra l'altro alla programmazione della attività didattica, all'adozione del regolamento didattico, del regolamento degli studenti, al reclutamento dei docenti, all'azione disciplinare verso docenti e studenti –:
   se il Governo e, nello specifico, il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, intenda adottare atti finalizzati a chiarire il concetto di «Organi di Governo» di cui all'articolo 6 decreto-legge n. 90 del 2014 e la portata del divieto contenuto nella norma nonché, in particolare, ritenga che un pensionato di una pubblica amministrazione possa ricoprire la carica di componente del consiglio di istituto di una scuola pubblica o di componente o presidente di un conservatorio di musica e delle accademie di belle arti. (4-05962)

   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   quattro anni fa l'ISIA (Istituto superiore per le industrie artistiche) di Roma e la Fondazione Pescarabruzzo hanno sottoscritto un protocollo d'intesa al fine di promuovere nel territorio di Pescara la formazione e la ricerca a livello universitario nel campo del design;
   nell'anno accademico 2008/2009 è stato attivato con successo un master in design dell'accoglienza, totalmente finanziato dalla suddetta Fondazione;
   a partire dall'anno accademico 2009/2010 è stato istituito dall'ISIA di Roma e approvato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un corso di diploma triennale in disegno industriale decentrato a Pescara, con fondi, sede e gestione totalmente a carico della fondazione; alla data odierna si sono avuti già numerosi laureati e si è concluso anche il primo anno accademico del corso biennale di diploma di secondo livello in «multimedia design», istituito nel frattempo;
   la fondazione Pescarabruzzo, rispettando il suo statuto, ha potuto finanziare il master, il corso triennale e quello di secondo livello quali condizioni di start up di un costituendo ISIA di Pescara, seguendo i dettami della legge di riforma del settore AFAM del 21 dicembre 1999 n. 508, in attesa del regolamento previsto dall'articolo 7 che disciplina le procedure, i tempi e le modalità per la programmazione, il riequilibrio e lo sviluppo dell'offerta didattica nel settore;
   al fine di garantire il diritto allo studio agli studenti, le due istituzioni hanno stipulato una convenzione pluriennale, per portare a conclusione tutti i cicli accademici avviati. L'ISIA di Roma ha condiviso il progetto allo scopo di favorire nella sede di Pescara la creazione di un ISIA autonomo, in quanto ne ricorrevano tutti i requisiti richiesti, confermati dalle varie bozze di regolamento proposte;
   la sempre annunciata, ma fino adesso mancata approvazione del regolamento di cui sopra, impedisce la realizzazione della procedura per tale nuova istituzione –:
   in quali tempi si intenda adottare il regolamento previsto dall'articolo 7 della legge n. 508 del 21 dicembre 1999.
(4-05965)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Cartiera Burgo di Avezzano intende cessare la sua attività produttiva;
   l'annuncio è stato dato a fine agosto 2014 in un'assemblea che si è tenuta ad Avezzano e a cui hanno partecipato anche i lavoratori;
   sono 350 i lavoratori coinvolti, 290 dipendenti della fabbrica e una sessantina che lavorano nell'indotto, tra autisti, meccanici e personale addetto alle pulizie che perderebbero il posto;
   la cartiera si è insediata ad Avezzano più di 60 anni fa. Con un piano di investimenti «aggressivo», negli anni Ottanta, la Burgo decise di convertire alla produzione di carte patinate le linee dedicate alle carte naturali, portando ad Avezzano macchinari e tecnologie di avanguardia che favorirono un forte aumento produttivo e occupazionale. Specializzata nelle carte a doppia e tripla patinatura, la cartiera svolgeva anche un importante ruolo di nodo logistico per tutto il Centro sud Italia;
   la vertenza occupazionale della Cartiera è importantissima non solo per Avezzano, ma per tutto il futuro economico della Marsica e dell'Abruzzo che vivono una situazione già molto difficile, con tante aziende interessate da processi di ristrutturazione industriale e crisi occupazionale –:
   se non ritengano di convocare le parti sociali, gli enti locali e la regione Abruzzo per cercare positive soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare un ennesimo dramma sociale. (4-05961)

   RICCIATTI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company è un'azienda multinazionale leader nel settore degli elettrodomestici che nella parte più lunga e importante della sua storia ha avuto il cuore produttivo e decisionale nelle Marche ed è appartenuta alla famiglia Merloni;
   l'azienda marchigiana ha vissuto, come altre realtà economiche nazionali, la crisi economica che l'aveva portata a perdere nel 2009 il 17 per cento dei ricavi, situazione che era tuttavia migliorata negli anni successivi grazie all'andamento positivo di alcuni mercati esteri;
   nel 2013 l'amministratore delegato Marco Milani subentrava alla presidenza ad Andrea Merloni. Per la prima volta nella storia della Indesit un manager esterno alla famiglia Merloni guidava l'azienda;
   in data 4 giugno Indesit aveva annunciato l'esubero di 1400 lavoratori in Italia, per poter rendere più competitiva l'azienda;
   a seguito di trattative tra le organizzazioni sindacali, l'azienda e le Istituzioni – Ministero dello sviluppo economico e regione Marche tra le più attive –, il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom, che vi ha aderito successivamente ad un referendum dei lavoratori dell'azienda;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto il 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici, all'interno dello stabilimento Indesit di Melano nelle Marche, finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la stampa ha reso noto che la famiglia Merloni attraverso la società Fineldo, ha ceduto alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici. Il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari;
   nonostante le diverse sollecitazioni, ad oggi non è ancora chiaro se Whirlpool riconoscerà il piano industriale siglato dalla Indesit, salvaguardando così i livelli occupazionali e gli impianti produttivi nel territorio marchigiano e campano, così come stabilito tra le parti e le Istituzioni nell'accordo del 3 dicembre 2013;
   le preoccupazioni, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali e dai lavoratori, risiedono nell'evidenza che Whirlpool produce prodotti della stessa tipologia merceologica della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle intenzioni della acquirente Whirlpool circa il riconoscimento del piano industriale siglato da Indesit il 3 dicembre 2013;
   quali strumenti di loro competenza intendano attuare, i Ministri interrogati, per salvaguardare livelli occupazionali e impianti produttivi nei territori interessati. (4-05967)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:

   MONGIELLO, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FIORIO, MARROCU, PALMA, PRINA, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le piogge eccezionali che hanno interessato il territorio della provincia di Foggia durante i primi sei giorni del mese di settembre, oltre a mettere in ginocchio l'economia, la stabilità e l'integrità socio produttiva di questa parte della regione Puglia, hanno rappresentato anche una vera catastrofe per il sistema agricolo locale;
   in merito alla gravità degli eventi meteorici, lo stesso Capo del dipartimento della protezione civile ha avuto modo di sottolineare che non si è trattato di un semplice evento calamitoso eccezionale, ma di una situazione enormemente più grave, dichiarando al riguardo come in un territorio che riceve, in 4-5 giorni, cumulate pari a quasi quattro quinti della pioggia media annuale (a San Giovanni Rotondo si sono registrate cumulate intorno a 600 millimetri mentre la cumulata media della Puglia è 800 millimetri), ci si rende ben conto che non si sta parlando di un evento di poca importanza. Anzi, forse nel caso di specie, il termine eccezionale appare essere anche tutto sommato poco comprensivo della reale dimensione del fenomeno;
   la situazione nel comparto rurale appare drammatica con intere aziende allagate e con grandine, trombe d'aria e piogge alluvionali che hanno distrutto coltivazioni e vigneti, ma che stanno anche impedendo la raccolta meccanizzata del pomodoro;
   dai primi dati resi noti dalle organizzazioni professionali agricole in merito ai danni causati alle produzioni agricole, si stima una perdita fino al 30 per cento del raccolto di pomodoro già giunto a maturazione nei campi (la provincia di Foggia è leader in Italia nella produzione di questa coltura) e lì dove sarà possibile salvare il prodotto si dovrà procedere con quella manuale e con maggiori oneri per gli agricoltori, ma tale percentuale rischia di essere molto più pesante in quei terreni dove il pomodoro non era ancora pronto per essere raccolto. Nelle campagne dell'Alto Tavoliere, in particolare nella zona di Torremaggiore, San Severo, San Paolo Civitate la grandine e le trombe d'aria hanno distrutto il 30 per cento della produzione di vigneti e oliveti;
   va fatto ad ogni modo presente che l'intera estate ha rappresentato per questa provincia una anomalia climatica quasi unica. Infatti, stando ad una ricerca commissionata dalla Coldiretti, nella Capitanata e nel Gargano si sono avute precipitazioni superiori al 150 per cento della media di questi periodi;
   le ripercussioni provocate da queste calamità atmosferiche non riguardano solo le aziende agricole e le loro produzioni, ma anche i redditi dei numerosi lavoratori agricoli che in questo periodo sono presenti nelle campagne foggiane. Infatti, in questa provincia sono impegnati soprattutto lavoratori stagionali i quali, con le produzioni ormai distrutte e con il concreto rischio di non poter lavorare nei prossimi mesi a causa dell'impraticabilità delle campagne e della mancanza delle colture da raccogliere e trasformare, non potranno raggiungere le ore necessarie per poter beneficiare delle previste prestazioni sociali come l'indennità di disoccupazione e le prestazioni accessorie;
   in questo contesto drammatico, per venire in contro alle emergenze degli agricoltori danneggiati, seppure utili, non appaiono sicuramente adeguati i vigenti strumenti risarcitori previsti dal Fondo dal fondo di solidarietà nazionale. Tale Fondo ha l'obiettivo di promuovere principalmente interventi di prevenzione per far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche, alle strutture aziendali agricole, agli impianti produttivi ed alle infrastrutture agricole, nelle zone colpite da calamità naturali o eventi eccezionali, mentre nella provincia di Foggia siamo di fronte a danni strutturali profondi ed a distruzioni irrimediabili di strutture che solo nel lungo periodo potranno essere reinstallate e riportate in piena produzione;
   in presenza dell'eccezionalità della calamità naturale che ha interessato il foggiano, oltre quindi ad attivare le misure previste dal fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004, bisognerebbe anche stanziare risorse finanziarie immediate e prevedere ulteriori ed urgenti interventi volti al ripristino e alla messa in sicurezza del territorio, al soccorso delle aziende agricole danneggiate ed a risarcire il mancato reddito dei lavoratori agricoli rimasti fermi –:
   se si intendano adottare misure straordinarie e urgenti per destinare le necessarie risorse alla rapida ripresa delle attività agricole danneggiate, al risarcimento di tutti gli operatori rurali che hanno subito perdite di reddito a seguito degli eventi alluvionali descritti in premessa, nonché alle ulteriori misure di sostegno usualmente adottate in tali occasioni, quali, in particolare, la sospensione dei termini per il pagamento delle rate delle operazioni di credito agrario di esercizio
e di miglioramento e di credito ordinario, nonché delle obbligazioni fiscali e contributive per gli agricoltori della provincia di Foggia danneggiati dagli eventi alluvionali. (5-03516)

   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il primo produttore europeo di riso, la coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo Vercelli, Novara, Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso Ferrarese, in Veneto nella bassa Veronese, in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari;
   nelle principali province risicole, le organizzazioni agricole, Confagricoltura, CIA, con l'adesione delle industrie risiere (AIRI) e delle riserie artigiane (Confartigianato), e Coldiretti sono in stato di agitazione con manifestazioni di vario tipo;
   le manifestazioni hanno lo scopo di richiamare l'attenzione del Governo e delle istituzioni, sul grave problema dell'aumento delle importazioni di riso estero proveniente da agricolture dai costi di produzione decisamente inferiori a quelli europei, infatti nell'ultima campagna di commercializzazione, nell'Unione europea queste importazioni sono aumentate di 100 mila tonnellate, di cui 84 mila provenienti dai Paesi meno avanzati (PMA) e quindi a dazio zero;
   questa situazione si sta riverberando in modo sostanziale sui prezzi di mercato, in dettaglio quelli delle varietà di riso «Lungo B» (indica), quelle che maggiormente e più direttamente subiscono la concorrenza dei risi di importazione in particolare dalla Cambogia. I prezzi sono notevolmente scesi, passando dai 26 euro al quintale dello scorso febbraio, agli attuali 22,5 euro al quintale, cifra che a denuncia dei produttori è insufficiente a coprire i costi di produzione, pur comprendendo l'aiuto diretto proveniente dalla Politica agricola comune, PAC;
   nel 2009-2010 le importazioni di riso coltivato provenienti dai Paesi meno sviluppati (PMS) sono triplicate rispetto al 2008. Nel 2012-2013 tali importazioni hanno superato quelle della Thailandia, che per anni era stata il principale esportatore di riso verso l'Unione europea. Nei primi sette mesi del 2013, su un totale di circa 169.000 tonnellate di importazioni dai PMS, 161.000 tonnellate provenivano dalla Cambogia (il 95 per cento del totale importato dai PMS), di cui 41.000 tonnellate erano già state confezionate;
   la risicoltura italiana rischia di essere fortemente ridimensionata, mettendo in pericolo un vasto territorio e tutta la filiera del comparto, con gravi ripercussioni economiche ed occupazionali, va inoltre riconosciuta la valenza ambientale delle coltivazioni di riso e la loro importanza vitale per il regime delle acque superficiali e sotterranee dell'intera pianura padana. Una risicoltura ridimensionata, esplicherebbe i suoi effetti anche sui consorzi irrigui e sul territorio, in quanto i risicoltori non avrebbero più interesse a mantenere quella rete irrigua che, fino ad oggi, ha salvaguardato il territorio dai dissesti idrogeologici e dalle alluvioni che con sempre maggiore frequenza si manifestano in altre zone;
   ad oggi non si conoscono i dati precisi né sulle importazione, né sulle caratteristiche sanitarie del riso che viene importato;
   in data 1o luglio 2014 l'interrogante ha depositato un testo di risoluzione in XIII Commissione (n. 7-00401) circa l'importazione di prodotti che presentano criticità in merito alla sicurezza alimentare, cui si propone di impegnare il Governo: «a rimuovere il segreto e a rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, al fine di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy:
    ad assumere, nel semestre di presidenza italiana, dell'Unione europea iniziative volte a garantire un reale principio di reciprocità con i Paesi terzi con cui sono in essere, e con cui si faranno, accordi commerciali di scambio di prodotti agroalimentari, al fine di applicare gli stessi elevati standard di sicurezza e controlli alimentari con lo scopo di raggiungere, realmente, gli obiettivi prefissati nel “VII Programma d'azione europeo per l'ambiente” – “Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta” – e dagli altri strumenti di politica ambientale dell'Unione europea; a far sì che il sistema dei controlli sulla sicurezza alimentare attivo in Italia possa trovare un'applicazione di reciprocità all'interno dell'Unione europea, a fronte del fatto che i livelli massimi di residui presenti negli agroalimenti dei Paesi comunitari è risultato nove volte superiore al livello italiano»;
   il Regolamento (UE) 978/2012 stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2014, in presenza di aumenti delle importazioni di prodotti esenti da dazi e provenienti da Paesi meno sviluppati che possano «causare o rischiare di causare gravi difficoltà», «i normali dazi della tariffa doganale comune possono essere ripristinati per detto prodotto» (clausola di salvaguardia, articolo 20 del regolamento (CE) n. 738/2008). Il regolamento specifica che se esistono sufficienti elementi provanti al riguardo, «la Commissione avvia un'inchiesta per determinare se è necessario ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune», inoltre il regolamento (UE) 1083/2013 consente l'apertura d'ufficio dell'inchiesta da parte della Commissione qualora vi siano «elementi di prova sufficienti a dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di istituzione della misura di salvaguardia di cui all'articolo 22, paragrafo 1, del Regolamento del Sistema delle preferenze generalizzate (SPG);
   a giudizio dell'interrogante, sarebbe necessario:
    assicurare che la Commissione europea si pronunci per l'attivazione della clausola di salvaguardia ai sensi del Regolamento (UE) 978/2012 per istituire un limite quantitativo alle importazioni di riso provenienti dai PMS;
    tutelare la filiera risicola italiana e dei consumatori italiani evitando distorsioni del mercato del riso;
   garantire i necessari controlli sulla qualità e sulla sicurezza sanitaria del riso importato;
   rendere obbligatoria in etichetta l'indicazione dell'origine territoriale del riso;
   rendere pubblici e trasparenti i dati relativi alle importazioni, al fine di garantire la tracciabilità delle produzioni e, da ultimo, per giungere ad accordi di filiera che tengano conto dei reali costi di produzione, della qualità e dei metodi di coltivazione, con lo scopo di addivenire ad una situazione economicamente sostenibile per tutti gli attori coinvolti nella filiera –:
   quali iniziative intende assumere in relazione alle esigenze e ai temi sopraindicati. (5-03517)

   CAON e GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sono ormai noti i problemi causati dalla proliferazione incontrollata di alcune specie animali quali la nutria, nelle aree rurali e fluviali, inoltre, le nutrie provocano danni economici localmente elevati per il prelievo operato, a fini alimentari, sulle coltivazioni agrarie, quali soprattutto la barbabietola da zucchero, il riso e il mais;
   la nutria è stata introdotta nel nostro Paese per la produzione commerciale di pellicce e, grazie alla mancanza di predatori naturali, al clima mite, alla possibilità di reperire cibo, nonché alle potenzialità riproduttive e all'adattabilità ad ambienti e a condizioni climatiche diversi, ha raggiunto densità anche molto elevate, determinando pesanti situazioni di impatto sui biotipi che, in taluni casi, possono risultare particolarmente pesanti. In Italia non si dispone di sufficienti informazioni per definire, neanche a un livello di dettaglio macroscopico, la consistenza di questa specie alloctona;
   il comma 12-bis dell'articolo 11 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 prevede una modifica all'articolo 2, comma 2, della legge n. 157 del 1992, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, includendo la nutria tra le specie nei confronti delle quali non si applicano le disposizioni della suddetta legge n. 157/92, in quanto non ricompresa nell'elenco di cui all'articolo 18 della citata legge, al pari delle talpe, ratti, topi propriamente detti e delle arvicole;
   inoltre, il citato decreto-legge introduce sempre all'articolo 2 della legge n. 157/92 il comma 2-bis, il quale stabilisce che la gestione e la tutela delle specie alloctone, come la nutria, effettuata dalle regioni o province autonome, è finalizzata sempre all'eradicazione o comunque al controllo delle popolazioni, fatta eccezione per le specie alloctone che saranno individuate con decreto del Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e sentito l'ISPRA;
   conseguenza imprevista della modifica apportata alla legge n. 157 del 1992 sembrerebbe essere quella che la nutria non sia più oggetto del controllo riduttivo da parte delle Regioni, ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, e che i danni da esse causati non possano essere più indennizzati dalle stesse regioni;
   il controllo previsto dal suddetto articolo 19 non può ritenersi caccia in quanto può avere ad oggetto anche specie non cacciabili e può essere effettuato anche in giorni e orari diversi da quelli previsti dal calendario venatorio;
   non solo le regioni ad oggi sembra siano impossibilitate a emanare atti sul tema, ma anche le amministrazioni provinciali non potranno più portare avanti alcuna politica di contenimento degli animali né tantomeno potranno indennizzare gli agricoltori per i danni subiti;
   sembra che la provincia di Lodi, così come alcune province della regione Veneto, abbiano sospeso l'attività di controllo. La preoccupazione delle province è dovuta soprattutto al rischio di denuncia per l'utilizzo illegittimo di armi, che è di competenza statale e limitato alle forze armate, difesa personale, poligono di tiro e caccia –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di carattere normativo, per chiarire la situazione che si è venuta a creare e in via transitoria, per consentire agli enti locali di muoversi nella certezza e continuità del loro operato finora posto in essere, assicurando agli agricoltori il diritto di ottenere il giusto ristoro ai danni subiti e un miglior livello di sicurezza per le comunità locali e i cittadini. (5-03518)

   BENEDETTI, L'ABBATE, LUPO, GALLINELLA, PARENTELA, GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in considerazione delle vicende che stanno interessando le relazioni tra la Federazione Russa e la Repubblica Ucraina, il 17 marzo 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il Regolamento Ue 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni volte a compromettere o minacciare l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza della Repubblica Ucraina;
   a seguito delle suddette sanzioni, riguardanti restrizioni ai viaggi e congelamento dei fondi e delle risorse economiche di determinate persone ritenute responsabili di azioni contrarie alla Costituzione ucraina, nonché delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi ad esse associati, la Federazione russa ha disposto, tra l'altro, la sospensione delle importazioni di frutta, vegetali, carni, pesce, latte ed altri prodotti caseari;
   le ritorsioni commerciali russe danneggiano fortemente il nostro comparto agroalimentare e colpiscono alcune delle produzioni di eccellenza quali il Pecorino, il Fiore sardo e il Parmigiano Reggiano le cui vendite all'estero, e segnatamente in Russia, valgono milioni di euro;
   dal primo settembre scorso la Federazione russa ha cessato di esportare pelli e cuoio per il mercato europeo con ulteriori gravi danni al sistema manifatturiero italiano dipendente dalla materia prima russa;
   alla luce dei recentissimi sviluppi della crisi russo-ucraina e, preso atto delle intenzioni dell'Unione europea di comminare ulteriori sanzioni alla Russia, appare indispensabile procedere ad una accurata valutazione dei danni che nuove e più restrittive ritorsioni commerciali russe potrebbero causare al nostro comparto agroalimentare, posto che le misure già prese dall'esecutivo comunitario, quali gli aiuti per l'ammasso privato dei formaggi e le somme stanziate a titolo di risarcimento dei danni ai produttori di frutta, ortaggi e altri prodotti agricoli deperibili non appaiono sufficienti a contenere le perdite totali del comparto stimabili per alcuni miliardi di euro ancorché sia prioritaria l'adozione da parte dell'Unione europea di azioni a difesa della Costituzione ucraina e di altri Paesi della politica di vicinato e della loro integrità territoriale, si ritiene che le decisioni adottate nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune dovrebbero essere assunte in modo da limitare quanto più possibile le conseguenze disastrose che eventuali contromisure possono produrre nelle economie degli Stati membri –:
   quali ulteriori e urgenti misure intenda intraprendere al fine di fronteggiare i danni causati dall'embargo russo al comparto agroalimentare italiano e se non ritenga in tale ambito di dover intervenire anche nelle opportune sedi europee.
(5-03519)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del Ministero della salute ha diffuso il 4 settembre 2014 le linee guida recanti disposizioni relative alle attrezzature delle autoambulanze veterinarie, ai requisiti del personale adibito al soccorso e al trasporto degli animali, ai dispositivi di protezione individuale e l'equipaggiamento di cui il personale deve disporre ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto ministeriale 9 ottobre 2012, n. 217;
   con questo atto, le autoambulanze veterinarie vengono divise in due categorie: quelle di mero trasporto (per le quali non è obbligatoria la presenza di un veterinario) e quelle che, oltre al trasporto, sono anche così adibite al soccorso (per le quali, oltre alla presenza del veterinario, vengono rese obbligatorie alcune attrezzature particolari);
   per le autoambulanze di soccorso si stabilisce che, in base a non specificata «normativa vigente», queste devono essere ovviamente collegate a una struttura veterinaria e che, inoltre, «necessitano della presenza di un medico veterinario» a bordo;
   si tratta di un regime diverso da quello previsto per le autoambulanze adibite al soccorso umano, che non hanno l'obbligo del medico a bordo, mentre da ora, per il soccorso di un cane o di un gatto, la presenza di un veterinario a bordo diventa obbligo tassativo;
   ciò comporterà di fatto uno stop per la gran parte delle poche autoambulanze veterinarie finora operanti in Italia e un colpo allo sviluppo, anche per la professione medico veterinaria;
   per quanto riguarda i «percorsi formativi», è facile prevedere, in assenza dello stanziamento di adeguate risorse, che i servizi veterinari delle asl non potranno realizzarli o non potranno farlo con la dovuta rapidità e quindi decideranno in ambito locale lo stop alle autoambulanze, per mancanza di personale formato –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere affinché vengano riviste tali linee guida del Ministero e sia equiparato il regime delle autoambulanze veterinarie a quello delle autoambulanze per il soccorso delle persone, che possono non avere il medico a bordo;
   se non si intenda specificare che, anche in assenza dei percorsi formativi degli operatori, le autoambulanze veterinarie potranno svolgere la normale attività almeno per un periodo di diciotto mesi dalla data di emanazione delle linee guida.
(4-05959)

   D'ARIENZO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con nota n. 2010 del 14 agosto 2014 il direttore della Croce rossa italiana della regione Veneto ha portato a conoscenza la propria volontà di emendare una determina che impone il trasferimento di 15 unità a tempo indeterminato in servizio presso gli attuali comitati provinciali Croce rossa italiana del Veneto alla sede regionale sita a Jesolo (VE);
   gli accordi sindacali stipulati nel 2013 – 26 novembre e 18 dicembre – stabiliscono un percorso di condivisione nazionale, tra gli altri, anche sul tema delicato degli eventuali trasferimenti di personale/fabbisogno di personale;
   non vi sono dubbi che la sede del confronto per l'attuazione del decreto legislativo n. 178 del 2012, base normativa sulla quale il dirigente del Veneto fonderebbe la sua decisione, sia quella nazionale come peraltro si evince dalla circolare 15/2014 del 14 agosto 2014 a firma del Capo del dipartimento RU e ICT avente per oggetto la «Predisposizione di prima ipotesi di simulazione di fabbisogno provvisorio di personale, per l'anno 2015: circolare esplicativa della ricognizione». Questa dimostra che il confronto è tuttora in corso di svolgimento;
   i trasferimenti per sé stessi non appaiono sinonimo di miglioramento dell'efficienza, atteso che verrebbe trasferito personale civile con competenze non immediatamente fungibili a livello provinciale e che, comunque, comporta invarianza di spesa per tutto il corrente anno, stante il fatto che i costi del personale stesso gravano sulla Croce rossa italiana e non sul comitato provinciale, né l'essere incardinati nei ruoli della Croce rossa italiana a livello regionale impedisce il migliore utilizzo del personale anche nei privatizzati comitati provinciali;
   i trasferimenti in questione superano di gran lunga il limite dei 50 chilometri stabiliti con decreto-legge n. 90 del 2014, a supporto e sostegno della volontà del Governo di evitare movimenti eccessivi e, pertanto, in netta contrapposizione con quanto in procinto di determinare da parte del dirigente regionale Veneto. Basti sottolineare che il costo per raggiungere la sede regionale, priva di stazione ferroviaria, supererebbe il reddito mensilmente percepito e i relativi tempi necessari impedirebbero la prosecuzione di una normale vita familiare ed affettiva;
   alcuni dei dipendenti trasferiti usufruiscono dei benefici della legge n. 104 del 1994 e altri sono delegati sindacali. Non risulta che per gli interessati sia stato avviato alcun percorso di confronto come le norme in vigore prevedono molto chiaramente;
   non risultano adottati, in altre regioni, provvedimenti similari dai rispettivi Dirigenti regionali, a prova dell'attesa e, quindi, del rispetto, da parte di quei responsabili verso le decisioni da assumere a livello nazionale;
   si ritiene doveroso e imprescindibile rimettersi al rapporto instaurato in merito dal dirigente RU e ICT con le organizzazioni sindacali prima di ogni altra valutazione da intraprendere eventualmente a livello locale –:
   se ritenga di assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza per favorire, il confronto positivamente instaurato al tavolo nazionale che, di fatto, viene messo in discussione da propositi come quelli di cui in premessa;
   se non ritenga il caso di assumere iniziative per rivedere la recente riforma che comporta altre incongruenze considerato che, per le Convenzioni di Ginevra, la Croce rossa non è assimilabile a qualsiasi ONG o associazione privata e, quindi, è necessario evitare di alterare le competenze proprie della Croce rossa italiana, in materia di emergenze in pace e in guerra e nelle calamità naturali. (4-05973)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:

   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un recente studio pubblicato lo scorso giugno, dalla Fondazione «Fare Impresa» rivolto prevalentemente all'analisi della situazione delle piccole e medie imprese, emerge che in Italia, e soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, persiste una situazione di grave difficoltà economica tale, per cui il rilancio delle attività d'impresa risulta ad oggi ancora lento e difficoltoso;
   il medesimo rapporto evidenzia peraltro il peggioramento di regioni storicamente più solide quali: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto ed in particolare, la regione siciliana che risulta quella in cui le attività delle imprese versano in uno stato di maggiore criticità, a causa, del calo delle imprese esistenti sul territorio (-6,48 per cento), abbinato ad una grave recessione: dal 2008 al 2013, infatti, sono andati persi 11,6 punti percentuali di Pil;
   la predetta regione, secondo la classifica stilata, risulta inoltre al primo posto a livello nazionale, per gravità del disagio imprenditoriale nel 2014, nonché per le criticità della situazione economica e occupazionale in riferimento allo stesso periodo;
   il documento in precedenza riportato, prosegue evidenziando che presumibilmente, tale gravissima situazione proseguirà anche nel corso dell'anno, mettendo a rischio una ripresa che in Italia, nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia, appare purtroppo molto più difficoltosa e lontana rispetto agli altri Paesi;
   l'atteggiamento sempre più ostruzionistico degli istituti di credito, che prosegue con tutte le gravissime conseguenze, rappresenta inoltre uno dei problemi più complessi che caratterizzano il sistema economico e finanziario nazionale, tanto più se rapportato ai disagi già enormi e noti che purtroppo affliggono il Mezzogiorno e la Sicilia in particolare;
   l'interrogante evidenzia a tal fine, come la medesima regione isolana, infatti, secondo i recentissimi dati, presenti il grado di disagio imprenditoriale più elevato, collocandosi nettamente al di sopra della media italiana (52,9), con un punteggio pari a 64,2;
   le analisi sulle cessazioni delle attività e i fallimenti delle imprese in Sicilia, continua il report della Fondazione in precedenza esposto, hanno ormai raggiunto livelli drammatici: ogni giorno 15 imprese cessano l'attività anche a causa della nota problematica del ritardo da parte dello Stato e degli enti locali nelle transazioni commerciali, le cui misure per fronteggiare il fenomeno introdotte nel corso della legislatura con una serie di interventi normativi finalizzati a dare attuazione alle direttive comunitarie sulla materia, non sembrano essere sufficienti a favorire la ripresa economica delle imprese creditrici siciliane;
   ad avviso dell'interrogante, in considerazione di quanto esposto risulta assolutamente necessario e improrogabile, avviare iniziative concrete da parte dei Ministeri interrogati, per contrastare un'emergenza imprenditoriale ed economica mai registrata negli ultimi trent'anni, in particolare nelle regioni meridionali e soprattutto nella regione siciliana –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per individuare strumenti finanziari e di sviluppo concreti ed utili al rilancio dell'economia nazionale, in grado di alleggerire l'attuale sistema burocratico, fiscale, anche al fine di migliorare le difficoltà di accesso al credito;
   se, stante la gravità di quanto esposto in premessa, alla luce di dati oggettivi riportati che evidenziano la necessità improrogabile, al di là dei quotidiani proclami politici, di mettere in campo ogni tipo di azione utile a risollevare un'economia territoriale del tutto abbandonata a se stessa, non ritengano opportuno intraprendere un tavolo negoziale con la regione siciliana e le categorie economiche e produttive più rappresentative, al fine di analizzare nel dettaglio la gravissima situazione economica locale ed individuare in modo congiunto gli strumenti di incentivazione e di rilancio maggiormente efficaci. (4-05968)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-02426, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prataviera.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Rampelli n. 3-01013, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Maietta.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco e altri n. 5-03504, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbanti.

Cambio di presentatore di interpellanza.

  Interpellanza n. 2-00650, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2014, è da intendersi presentata dall'onorevole Pellegrino, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Luigi Gallo n. 1-00430, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 208 del 9 aprile 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    dagli ultimi dati disponibili, risalenti al 2010, contenuti in uno studio di settore realizzato dalla Cassa Depositi e Prestiti nel 2012, il comparto del trasporto
marittimo nel 2012 ha realizzato un volume di affari di oltre 40 miliardi di euro, con una incidenza sul PIL di 2,6 punti percentuali e la capacità di occupare circa 210.000 addetti tra le varie figure professionali richieste;
    una quota consistente di tali addetti è rappresentata da personale qualificato e non, impiegato in veicoli destinati alla navigazione internazionale, la quale, sempre da dati del 2010, contribuisce al 60 per cento delle esportazioni nazionali e al 45 per cento delle importazioni;
    il decreto-legge 30 dicembre 1997 n. 457, convertito in legge del 27 febbraio 1998 n. 30, istituisce il Registro Internazionale della navigazione, introduce una serie di provvedimenti volti a favorire la competitività del sistema marittimo italiano e un osservatorio del mercato del lavoro marittimo, norme che effettivamente ottengono il risultato di aumentare le navi battenti bandiera italiana;
    con l'approvazione della legge del 16 marzo 2001 n. 88 il legislatore di fatto inverte gli effetti del comma 2 dell'articolo 318 del Codice della Navigazione introducendo la possibilità per il datore di lavoro di assumere personale marittimo non comunitario, provocando la drastica riduzione delle assunzioni di personale italiano a causa della cospicua differenza del costo della manodopera tra i lavoratori comunitari e i lavoratori stranieri;
    con il decreto ministeriale 121 del 10 maggio 2005 si è provveduto alla divisione delle carriere della gente di mare in traffico e diporto, a giudizio del presente atto di indirizzo, in palese contrasto sia con la definizione del termine diporto sia con l'articolo 115 del codice della navigazione, il quale suddivide la gente di mare in base alle categorie e non in base alla tipologia di imbarcazione, sia con la semplice considerazione che un marittimo che viene arruolato per le sue specifiche competenze professionali non è legato in alcun modo all'utilizzo che si fa dell'unità da navigazione sulla quale lavora. Di fatto tale decreto ministeriale impedisce il libero arruolamento dei marittimi poiché li costringe a scegliere tra la carriera da diporto e la carriera mercantile, riducendo al minimo la possibilità di scegliere le opportunità migliori offerte dal mercato del lavoro;
    il 30 novembre 2007 si è provveduto alla eliminazione dei titoli professionali e delle relative equipollenze per i lavoratori marittimi, in ragione dell'adeguamento alla Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia dei marittimi STCW 78/95. Tale ragione però non risulta avere una solida consistenza in quanto nessuno dei Paesi comunitari ha provveduto ad introdurre nel proprio ordinamento una norma simile. Inoltre il decreto legislativo n. 136 del 7 luglio 2011 ha introdotto la conversione dei titoli professionali acquisiti con il diploma in semplici abilitazioni, prevedendo anche il declassamento per coloro che nei cinque anni di validità del certificato di abilitazione non svolgono le funzioni per le quali il certificato è stato rilasciato. Il declassamento ha come conseguenza che il marittimo deve riprendere gli studi per poter riottenere la qualifica conseguita con il diploma. Anche tale norma non risulta essere in linea né con quanto scritto nella Costituzione Italiana né con le direttive Europee in materia né con la convenzione STCW 78/95;
    la convenzione OIL MCL 2006 n. 186 impone ai paesi aderenti di eliminare le discriminazioni in materia di impiego e di occupazione, di garantire alla gente di mare condizioni eque di impiego, di costituire un sistema per trovare impiego adeguato ed efficace;
    le tariffe minime e massime utilizzate per calcolare i compensi dovuti ai raccomandatari sono state eliminate per effetto dei commi 8 e 9 lettera h) dell'articolo 3 del decreto-legge 138/2011 convertito in legge 14 settembre 2011 n. 148, dell'articolo 34 comma 3 lettera f) del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011
n. 214 e dell'abrogazione del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 11 febbraio 2011, con la conseguenza che i compensi dovuti ai raccomandatari vengono stabiliti consensualmente tra le parti, mentre precedentemente la legge stabiliva un tetto minimo e un tetto massimo di compenso per ogni ingaggio, nonché stabiliva le tariffe obbligatorie per le prestazioni rese dai raccomandatari, il lavoro del marittimo non è attualmente considerato usurante;
    inoltre la «legge Fornero» prevede che questi possano andare in pensione all'età di 70 anni,

impegna il Governo:

   ad attuare tutte le iniziative utili affinché:
    a)  sia abrogato il decreto ministeriale 121 del 10 maggio 2005;
    b) si renda operativo e funzionante l'osservatorio del mercato del lavoro marittimo previsto dalla legge 27 febbraio 1998 n. 30;
    c) vengano ripristinati i Titoli Professionali e le relative equipollenze nonché il progetto Orione negli Istituti Nautici, anche attraverso l'aggiornamento dei programmi scolastici per ciò che concerne i correttivi riguardanti gli standard internazionali e l'implementazione dei programmi di insegnamento della lingua inglese;
    d) il lavoro dei marittimi venga considerato lavoro usurante e sia ridotta l'età pensionabile in maniera proporzionata al carico e all'entità delle mansioni svolte;
   ad adoperarsi affinché vengano rispettati i principi di equità di impiego e di eliminazione delle discriminazioni in materia di impiego e occupazione, come stabilito dalla convenzione OIL MCL 2006, anche tramite:
    a) l'introduzione per i marittimi di un salario minimo obbligatorio, non inferiore al costo medio della manodopera dei marittimi comunitari, controbilanciando l'aggravio sulle compagnie con un aumento dei benefici fiscali;
    b) l'individuazione di un sistema di calcolo degli oneri dovuti ai raccomandatari per gli ingaggi dei marittimi, che sia proporzionale all'importo mensile che la compagnia di navigazione eroga al marittimo come salario lavorativo.
(1-00430) (Nuova formulazione) «Luigi Gallo, Da Villa, Nicola Bianchi, Tripiedi, Frusone, Rizzo, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzetto, Nesci».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Dorina Bianchi n. 1-00585, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 285 dell'8 settembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale, proclamata il 15 ottobre del 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi, pur non avendo prodotto alcun risultato sul piano giuridico-legislativo, ha tuttavia rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti degli animali che, da quel momento, vengono considerati come «soggetto»;
    l'articolo 1 della Dichiarazione citata ha sancito che «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita ed hanno gli stessi diritti all'esistenza»: così con questo articolo, per la prima volta, sono stati riconosciuti un insieme di diritti che incidono sul comportamento umano e individuano responsabilità e doveri per l'uomo e per la società considerata nella sua dimensione istituzionale. Tale documento, dopo aver proclamato in modo sintetico una serie di diritti di tutti gli animali (quali il diritto ad un'esistenza dignitosa, a non essere sottoposti a maltrattamenti e a vivere in modo consono alle proprie abitudini) aggiunge che «ogni animale che l'uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita
conforme alla sua naturale longevità»: un passaggio che finalmente valuta l'animale «essere senziente» (status che verrà poi sancito nel 1997 dall'Unione europea in un allegato al Trattato di Amsterdam) e che, come tale, non può più essere considerato «una cosa» ma soggetto di un rapporto affettivo con l'essere umano, tendenzialmente destinato a protrarsi per l'intera durata della vita;
    negli ultimi anni sono state approvate numerose disposizioni che confermano il diritto degli animali. In particolare, il riconoscimento degli animali quali «esseri senzienti» ovvero esseri in grado di provare piacere o dolore e, quindi, portatori di interessi: principio introdotto dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o gennaio 2008 e che ha contribuito ad accelerare un'evoluzione normativa in tale direzione. Tale Trattato ha significativamente definito gli animali in termini corretti attraverso l'attribuzione a tutti gli animali, compresi quelli d'affezione, della capacità di sentire: caratteristica, quest'ultima, che li differenzia definitivamente sotto un profilo giuridico dalle cose mobili. Alla luce di ciò, dunque, anche il particolare legame tra uomo ed animale d'affezione evolve da una prospettiva tendenzialmente unilaterale ad una più complessa considerazione della relazione uomo-animale, dove il flusso di affetto e ausilio che si verifica è reciprocamente rilevante e dove entrambi i membri del rapporto, pur nella loro specificità, sono attivamente soggetti e partecipi;
    il Trattato di Lisbona, infatti, ha impegnato gli Stati membri a tenere pienamente conto di tale riconoscimento nella formulazione e nell'attuazione delle proprie politiche in materia di benessere degli animali. Questa importante conquista tuttavia non trova ancora adeguata applicazione da parte delle istituzioni dell'Unione europea: pertanto, occorre intervenire con misure adeguate in grado di approvare norme per una maggiore tutela degli animali;
    è comunque da considerare che da tempo l'Unione europea ha introdotto le tematiche concernenti il benessere degli animali sia nei fondi strutturali che nei programmi di ricerca e sotto questo profilo sono stati fatti importanti «passi in avanti» per permettere un miglioramento delle condizioni degli animali dal punto di vista sia della protezione che del benessere degli stessi (da ricordare, al proposito, il regolamento (CE) n. 1523/2007, recante il divieto di commercializzare pellicce ricavate da cani e gatti; la regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), la normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), le norme concernenti la conservazione degli uccelli selvatici (direttiva 2009/147/CE)). Va, inoltre, sottolineato come l'82 per cento dei cittadini europei abbia sostenuto con forza come costituisca un dovere sociale proteggere i diritti degli animali qualunque siano i costi;
    per quanto riguarda gli animali da affezione, si ricorda che nel 1991, con la legge n. 281, il nostro Paese si è dotato di una normativa in materia di animali da affezione e di prevenzione del randagismo, che ha rappresentato un importante passo in avanti per l'affermazione di un più civile rapporto tra le persone e gli animali. Si deve, comunque, ricordare che tale legge, pur essendosi rivelata valida nell'impianto e nei principi, attualmente non risulta congrua rispetto alla sua pratica attuazione. Infatti, dopo tanti anni di esperienza applicativa, occorre riconoscere che molti degli obiettivi indicati dalla legge non sono stati conseguiti. Nel 2010 il nostro Paese ha approvato la legge 4 novembre 2010, n. 201, con la quale ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987, per la protezione degli animali da compagnia, dettando specifiche norme di adeguamento interno. Con tale normativa sono stati definiti i principi fondamentali per il benessere degli animali e per il loro mantenimento. È previsto, infatti, che nessuno potrà causare inutilmente sofferenze o angosce ad un animale da compagnia, né tanto meno dare luogo al suo abbandono. Con tale legge si è, infatti, confermata l'importanza
degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società. Il proprietario, o la persona che se ne occupa, sono considerati responsabili della sua salute e del suo benessere, dovendo fornire all'animale, oltre al sostentamento, anche cure e attenzione alla sua salute e al suo benessere, favorendo il suo diritto ad un'esistenza serena: si tratta di termini importanti che hanno l'effetto di rendere l'animale d'affezione un vero e proprio soggetto giuridicamente rilevante;
    è, quindi, opportuno che l'Europa sia più attiva nel dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», prendendo come punto di riferimento tale principio generale nella predisposizione delle norme europee;
    occorre, altresì, sottolineare l'importanza della salute animale, anche per il legame tra salute degli animali e sanità pubblica. A tal fine, occorre garantire un coordinamento tra le varie istituzioni ed i vari soggetti individuati per favorire una strategia che salvaguardi la salute degli animali ed eviti la diffusione di malattie che possono danneggiare l'uomo;
    è fondamentale, altresì, adottare azioni che permettano di assicurare soluzioni concrete, etiche e sostenibili per gli animali randagi, nonché garantire strategie di gestione della popolazione canina che prevedano misure di controllo della stessa, leggi anti-crudeltà, il sostegno alle procedure veterinarie che siano necessarie a controllare il numero dei cani indesiderati e la promozione di un comportamento responsabile da parte dei proprietari di animali da compagnia;
    risulta anche opportuno adottare soluzioni concrete, nell'ottica di garantire il benessere di cani e di gatti utilizzati per scopi commerciali, un fenomeno che si sta sempre più diffondendo e sul quale occorre vigilare;
    risulta, altresì, necessario pubblicizzare al meglio informazioni in merito alle norme dell'Unione europea in materia di benessere degli animali, in modo da rendere sempre più consapevoli i soggetti legati o interessati al mondo animale, nonché adottare politiche per risolvere i problemi relativi al trasporto degli animali;
    c’è poi un aspetto che va messo in chiara evidenza: quello del furto degli animali. Infatti, la sottrazione degli animali, soprattutto quelli d'affezione, al loro legittimo proprietario rappresenta un fenomeno in larga espansione, che va affrontato con misure efficaci,

impegna il Governo:

   a dare piena applicazione, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, al riconoscimento degli animali come esseri senzienti e meritevoli di protezione;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea per assicurare un efficace controllo nell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
   a predisporre un intervento a livello europeo che consenta di adottare un programma diretto a prevenire il randagismo al fine di evitare l'uccisione indiscriminata degli animali randagi e garantire che gli Stati membri non alimentino commerci illegali di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e con elevati rischi sanitari;
   ad approfondire il problema relativo al trasporto degli animali, elemento in cui gli interessi degli operatori del settore e degli animali debbono trovare un punto di sintesi che rispetti le esigenze dei soggetti interessati;
   ad adottare misure, anche di controllo, per vietare l'importazione di animali esotici o, comunque, estranei al territorio italiano, al fine di prevenire problematiche negative rispetto alle dinamiche naturali del territorio e della sua fauna;

   a proporre in sede europea una legge quadro in materia di benessere degli animali, garantendo azioni e strategie dirette a ridurre l'utilizzo degli stessi nella ricerca;
   ad adottare misure che consentano di agevolare gli allevatori che rispettano le norme e le buone prassi per l'allevamento degli animali e investono in migliori strutture agricole;
   a valutare la necessità che i consumatori debbano essere informati sul fatto che un prodotto importato o un prodotto che contiene un prodotto importato sia ottenuto da animali custoditi nelle condizioni prescritte dalle norme europee in materia di benessere degli animali;
   ad intervenire sulla problematica relativa al furto degli animali nei modi e nei tempi che riterrà opportuni, al fine di affrontare, in termini congrui, il fenomeno che, alla luce dell'evoluzione che sta registrando nell'ambito di una società moderna, sta assumendo un rilevante valore sociale ed economico.
(1-00585) (Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Scopelliti, Saltamartini».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-05817 del 6 agosto 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Vito n. 5-03502 è stata ritirata dal
presentatore, che contestualmente ha presentato l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-03523 di contenuto analogo.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-05943 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 286 del 9 settembre 2014. Alla pagina 16228, seconda colonna, alla riga quarantaduesima deve leggersi: «prorogata ope legis al 31 dicembre 2016,» e non «prorogata ope legis al 30 dicembre 2006,», come stampato.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   FEDRIGA, PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'importanza degli ammortizzatori sociali in deroga quale unica forma di sostegno al reddito in favore di lavoratori dipendenti da imprese escluse dalla normativa generale sugli ammortizzatori sociali è comunemente riconosciuta, specie in questo periodo di grave crisi economica che ha colpito duramente le piccole e medie imprese, fondamento della nostra economia;
secondo quanto riportato dalla stampa, il Presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, ha lanciato il grido di allarme sulle risorse per la cassa in deroga: «manca un miliardo, se non arriva, migliaia di lavoratori lombardi saranno licenziati»;
in particolare, il presidente Maroni, al termine delle riunione tra la Conferenza delle regioni ed il Governo sul tema delle riforme, ha spiegato che la regione ha fatto tutto il possibile, anticipando le somme assegnate dal Governo e che si sta pagando la cassa del 2013 con le risorse del 2014, perché mancano gli stanziamenti da parte dell'esecutivo;
lo stesso Ministro del lavoro Poletti, nei giorni scorsi, ha dichiarato che la cassa integrazione in deroga necessita di un miliardo in più rispetto alle risorse destinate dal bilancio per l'anno 2014, riconoscendo l'esistenza del problema –:
se il Governo non intenda dare priorità alla soluzione della problematica in premessa, sciogliendo con urgenza il nodo del reperimento delle risorse. (5-02426)

   RAMPELLI, MAIETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nell'ambito di una fase di riorganizzazione le aziende Terna spa ed Enel distribuzione sembra abbiano intenzione di dismettere le proprie sedi calabresi;
Terna spa si appresterebbe a chiudere la sede di Cosenza, definita ad esaurimento, e quella di Castrovillari, che sarà accorpata definitivamente a quella di Rotonda, in Basilicata, nonostante l'80 per cento degli asset che saranno gestiti da quest'ultima sede si trovino in territorio calabrese;
Enel distribuzione, invece, nel piano nazionale predisposto, che prevede un taglio del 30 per cento delle strutture a livello nazionale, prospetta per la Calabria un taglio del 50 per cento delle zone e del 40 per cento delle unità operative;
le attuali sei zone potrebbero, quindi, diventare tre con la cancellazione, insieme ad altre due, di quella di Castrovillari;
non appaiono chiare né le ragioni di un taglio così pesante a carico degli impianti calabresi, né le conseguenze per l'utenza –:
quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare gli stabilimenti e gli insediamenti produttivi delle citate aziende nella regione Calabria e al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di servizio attualmente esistenti. (3-01013)

   PESCO, SORIAL, ALBERTI, BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
non c’è ancora traccia di una ripresa del credito per le famiglie e – soprattutto – per le imprese;
secondo i dati di Bankitalia i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, hanno registrato una contrazione su base annua del 3,2 per cento (-3,1 per cento ad aprile);
i prestiti alle famiglie sono scesi dell'1 per cento sui dodici mesi, come ad aprile; quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 4,7 per cento (-4,4 per cento ad aprile);
agli italiani costa caro farsi prestare denaro: i tassi d'interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,65 per cento (3,63 nel mese precedente); i tassi d'interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo fino a 1 milione di euro sono risultati pari al 4,18 per cento (4,27 per cento ad aprile); i tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati pari allo 0,87 per cento (0,89 per cento ad aprile);
anche la qualità del credito fatica a migliorare, tanto che il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze è risultato pari al 21,7 per cento, in leggero calo rispetto al 22,3 per cento di aprile;
quello che assomiglia sempre più ad un vero e proprio credit crunch rischia di causare nel nostro Paese una drammatica caduta del potere di acquisto delle famiglie e la scomparsa del tessuto delle piccole e medie imprese che è stata da sempre la colonna portante della economia italiana;
l'Istat segnala che l'industria italiana torna in rosso: a maggio produzione giù dell'1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a maggio registra un freddo -1,2 per cento rispetto al mese precedente – il risultato peggiore dal novembre 2012;
sono in arrivo nuove risorse dalla Banca centrale europea le nuove operazioni di prestito (Targeted Longer-Term Refinancing Operations) avranno una scadenza di quattro anni; su di esse le banche pagheranno un tasso molto basso, quello che normalmente versano sulle operazioni con scadenza a una settimana, maggiorato di dieci punti base: attualmente lo 0,25 per cento;
la motivazione ufficiale alla base di questa operazione è che i fondi saranno usati dalle banche per prestarli alle imprese, ma nel documento della Banca centrale europea, che spiega le technicalities delle operazioni, si scopre che potranno essere utilizzate proprio come le precedenti Ltro, che furono in larga parte impiegate per comprare titoli di Stato e lucrare così la differenza tra il loro rendimento e il tasso di favore pagato alla Bce, come sottolineato dagli economisti de lavoce.info;
infatti nella sua prima parte il provvedimento non crea nessun incentivo ad aumentare i prestiti alle imprese e non c’è nessun vincolo nella destinazione dei prestiti ricevuti dalla Banca centrale europea: possono essere usati a discrezione della banca che li riceve;
qualche incentivo in più viene dal meccanismo con il quale saranno determinate le sei tranche successive, che verranno erogate ogni trimestre, dal marzo 2015 al giugno 2016, per un ammontare complessivo stimato in circa 600 miliardi di euro: la somma che ciascuna banca potrà prendere a prestito sarà proporzionale al flusso netto di nuovi prestiti erogati;
il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha dichiarato all'assemblea annuale dell'Abi che nell'area dell'euro «la crescita è ancora molto debole» e in Italia «la ripresa stenta ad affermarsi» ma che le nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Tltro) della Banca centrale europea, finalizzate a fornire credito all'economia reale, metteranno a disposizione delle banche italiane «un ammontare potenzialmente cospicuo» che «può superare i 200 miliardi»; alle piccole e medie imprese possono arrivare risorse «stimabili in circa 120 miliardi»;
Visco ha sottolineato anche che il sistema finanziario «deve riguadagnare la fiducia del pubblico» e per farlo «non deve fare mancare il finanziamento a chi lo merita, sostenendo l'economia reale», con «limpidezza dei comportamenti e salvaguardia della legalità», anche perché la crisi «ha fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti da parte degli amministratori» degli istituti bancari –:
se sia al corrente dei dati esposti in premessa e se non intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché le banche siano maggiormente responsabilizzate e sensibilizzate in merito per fare in modo che i nuovi fondi previsti dalla Banca centrale europea possano dare respiro alle imprese e alle famiglie in difficoltà e sbloccare questa situazione di stallo della economia al più presto; e se non voglia, altresì, assumere iniziative al fine di tassare la plusvalenza realizzata dalle banche lucrando sui titoli di Stato con fondi provenienti dalla Bce, in maniera da contrastare tale forma di investimento che non risolve la crisi economica del nostro Paese, ma anzi sottrae risorse preziose.
(5-03504)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
in data 21 gennaio 2014 il TAR Lazio, con sentenza n. 733/2014/05655/2013 ha sancito il diritto dell'Istituto superiore di studi musicali (ISSM) di Teramo ad essere statizzato entro 30 giorni pena il commissariamento ad acta, condannando il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per inerzia;
la legge n. 508 del 1999 all'articolo 2 commi 2 e 7 ha disposto la trasformazione degli ex Istituti musicali pareggiati (IMP) in Istituti superiori di studi musicali (ISSM) di livello superiore universitario appartenenti al sistema nazionale dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) e la conseguente emanazione di appositi regolamenti, da emanare ai sensi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
nonostante siano trascorsi oltre 13 anni, l'applicazione delle norme di attuazione sopracitate non è ancora stata completata e gli ISSM si trovano in condizioni di limbo giuridico con l'imminente rischio, anche per gli effetti della contemporanea normativa sulla «spending review» di cessare le proprie attività mettendo a rischio sia l'attività didattica e formativa di quasi 10 mila studenti che il posto di lavoro di circa 800 docenti, alcuni di ruolo da 20-30 anni, vincitori di pubblico concorso presso l'ex istitutore/gestore ente locale territoriale di riferimento (comune o provincia);
allo stato attuale in Italia vi sono i seguenti istituti che pur producendo un'offerta formativa d'eccellenza ai propri studenti, rilasciando altresì titoli di studio legalmente riconosciuti, quasi tutti in situazione di grave criticità finanziaria:
    a) istituto superiore di studi musicali di Ancona «G. B. Pergolesi»;
    b) istituto superiore di studi musicali di Aosta della Valle d'Aosta
    c) istituto superiore di studi musicali di Bergamo «Gaetano Donizetti»;
    d) istituto superiore di studi musicali di Caltanissetta «Vincenzo Bellini»;
    e) istituto superiore di studi musicali di Catania «Vincenzo Bellini»;
    f) istituto superiore di studi musicali di Cremona «Claudio Monteverdi»;
    g) istituto superiore di studi musicali di Gallarate (Varese) «Giacomo Puccini»;
    h) istituto superiore di studi musicali di Livorno «Pietro Mascagni»;
    i) istituto superiore di studi musicali di Lucca «Luigi Boccherini»;
    l) istituto superiore di studi musicali di Modena e Carpi «Orazio Vecchi - Antonio Tonelli»;
    m) istituto superiore di studi musicali di Nocera Terinese (Catanzaro) «P.I. Tchaikovsky»;
    n) istituto superiore di studi musicali di Pavia «Franco Vittadini»;
    o) istituto superiore di studi musicali di Ravenna «Giuseppe Verdi»;
    p) istituto superiore di studi musicali di Reggio Emilia e Castelnovo né monti «Achille Peri e Merulo»;
    q) istituto superiore di studi musicali di Ribera (Agrigento) «Arturo Toscanini»;
    r) istituto superiore di studi musicali di Rimini «G. Lettimi»;
    s) istituto superiore di studi musicali di Siena «Rinaldo Franci»;
    t) istituto superiore di studi musicali di Taranto «Giovanni Paisiello»;
    u) istituto superiore di studi musicali di Teramo «Gaetano Braga»;
    v) istituto superiore di studi musicali di Terni «Giulio Briccialdi»;
la questione è stata, inoltre, oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo negli ultimi anni; ed anche nell'attuale XVII Legislatura, sia al Senato della Repubblica che alla Camera dei deputati, sono stati presentati numerosi disegni e proposte di legge in modo bipartisan da parte di quasi tutte le forze politiche recanti norme «per la statizzazione (a regime) degli istituti musicali pareggiati»:
1) atto Senato n. 322 del 26 marzo 2013, prima firma senatore Granaiola;
2) atto Camera n. 825 del 19 aprile 2013, prima firma onorevole Formisano;
3) atto Camera n. 873 del 2 maggio 2013, prima firma onorevole Vezzali;
4) atto Camera n. 882 del 7 maggio 2013, prima firma onorevole Carrescia;
5) atto Camera n. 888 del 7 maggio 2013, prima firma onorevole Albanella;
6) atto Senato n. 972 del 26 luglio 2013, a firma senatore Giannini (oggi Ministro);
7) atto Senato n. 934 del 9 luglio 2013, prima firma senatore Torrisi;
8) atto Camera n. 2156 del 4 marzo 2014, prima firma onorevole Duranti;
in tali proposte si ribadisce sostanzialmente che in coerenza con la previsione dell'articolo 2, comma 8, lettera e), della legge quadro di riforma n. 508 del 1999, l'attuazione del processo di statizzazione degli ex IMP non comporta oneri finanziari aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, né alcun incremento della pianta organica dello Stato, in quanto, nell'ambito del riordino generale e della razionalizzazione del sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica che risponde a criteri di efficienza, risparmio e qualità, il passaggio del personale docente e ATA degli ex IMP, all'atto della statizzazione, avviene tramite inquadramento in sovrannumero nei ruoli dello Stato, con graduale assorbimento sui posti resi annualmente vacanti e disponibili a seguito delle cessazioni dal servizio, entro i limiti dell'attuale pianta organica statale relativa al comparto del sistema nazionale di Alta formazione artistica, musicale e coreutica;
inoltre, la razionalizzazione del sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica conseguente all'attuazione della proposta di legge consentirebbe di includere nel sistema statale territori geografici fino ad oggi non coperti né finanziati direttamente dallo Stato, in considerazione del fatto che gli attuali enti locali territoriali istitutori/finanziatori non sono più in grado di supplire lo Stato nella funzione di gestione di questa importantissima funzione;
lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, in data 27 giugno 2013 ha interrogato, da senatrice, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle intenzioni e i tempi per dare piena attuazione al processo di riforma dell'alta formazione artistica e musicale di cui alla legge n. 508 del 1999, con particolare riguardo al processo di statizzazione degli ex IMP argomentando che: «la citata legge (n. 508 del 1999) ha dotato gli istituti superiori di studi musicali di personalità giuridica e di autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, riconoscendone il ruolo di sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, produzione e di ricerca nel settore artistico e musicale e facendoli rientrare nel novero delle istituzioni di cui all'articolo 33, comma sesto, della Costituzione italiana (istituzioni di alta cultura, cioè università e accademie)»;
conseguentemente, la senatrice Stefania Giannini, in data 26 luglio 2013 ha presentato il disegno di legge n. 972 – «Disposizioni per la statizzazione degli Istituti musicali pareggiati»;
nel corso degli ultimi anni, i regolamenti attuativi della legge n. 508 del 1999 hanno portato a compimento gli aspetti principali della citata riforma in materia di autonomia statutaria e didattica: in particolare, negli anni 2010 e 2011 tutti gli ex IMP si sono dotati di nuovo Statuto e di tutti gli organi di governo previsti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, ed hanno altresì portato a compimento il processo di trasformazione dell'ordinamento didattico, regolamentato nel decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005;
in buona sostanza, oggi, con l'entrata in vigore dello spazio comune europeo dell'istruzione universitaria, gli ex istituti musicali pareggiati sono a tutti gli effetti equiparati ai conservatori statali italiani, confluendo nell'unica tipologia degli istituti superiori di studi musicali, e questi ultimi, senza alcuna distinzione tra statali e non statali, sono stati riconosciuti appieno nel circuito universitario europeo;
nel corso degli ultimi 10 anni, quindi, gli ex IMP hanno portato a compimento un iter di statizzazione di fatto, in applicazione della legge n. 508 del 1999 e dei decreti attuativi del Presidente della Repubblica. L'unica ed ultima differenza che distingue gli ex IMP dagli ex conservatori statali è la provenienza dei finanziamenti: i primi sono finanziati esclusivamente da enti locali mentre i secondi continuano ad essere finanziati direttamente dallo Stato;
resta di fatto disatteso quanto previsto all'articolo 2, comma 8, lettera e), della suddetta legge che disciplina la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche» –:
quali iniziative il Ministro interpellato intenda intraprendere per dare piena attuazione alla sentenza del Tar del Lazio n. 733 del 2014 che, rispetto all'Istituto superiore di studi musicali di Teramo ne ha riconosciuto il pieno diritto alla statizzazione prevista dalla legge n. 508 del 1999;
quando, analogamente, tenda precedere al fine garantire il diritto alla statizzazione anche degli altri istituti superiori di studi musicali (ISSM) interessati, anche al fine di garantirne il mantenimento dell'offerta formativa e il diritto allo studio dei 10 mila circa studenti iscritti e frequentanti e la tutela dei posti di lavoro dei docenti e del personale ATA in servizio, alcuni già vincitori di pubblico concorso presso l'ente locale territoriale di riferimento e poi transitati ope legis nei ruoli dei vari istituti di appartenenza trasformati in «Enti pubblici non economici» dotati di piena autonomia e rientranti nello status giuridico di «pubbliche amministrazioni dello Stato».
(2-00650) «Pellegrino, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Duranti, Scotto».

   La Camera,
   premesso che:
    dagli ultimi dati disponibili, risalenti al 2010, contenuti in uno studio di settore realizzato dalla Cassa Depositi e Prestiti nel 2012, il comparto del trasporto marittimo nel 2012 ha realizzato un volume di affari di oltre 40 miliardi di euro, con una incidenza sul PIL di 2,6 punti percentuali e la capacità di occupare circa 210.000 addetti tra le varie figure professionali richieste;
    una quota consistente di tali addetti è rappresentata da personale qualificato e non, impiegato in veicoli destinati alla navigazione internazionale, la quale, sempre da dati del 2010, contribuisce al 60 per cento delle esportazioni nazionali e al 45 per cento delle importazioni;
    il decreto-legge 30 dicembre 1997 n. 457, convertito in legge del 27 febbraio 1998 n. 30, istituisce il Registro Internazionale della navigazione, introduce una serie di provvedimenti volti a favorire la competitività del sistema marittimo italiano e un osservatorio del mercato del lavoro marittimo, norme che effettivamente ottengono il risultato di aumentare le navi battenti bandiera italiana;
    con l'approvazione della legge del 16 marzo 2001 n. 88 il legislatore di fatto inverte gli effetti del comma 2 dell'articolo 318 del Codice della Navigazione introducendo la possibilità per il datore di lavoro di assumere personale marittimo non comunitario, provocando la drastica riduzione delle assunzioni di personale italiano a causa della cospicua differenza del costo della manodopera tra i lavoratori comunitari e i lavoratori stranieri;
    con il decreto ministeriale 121 del 10 maggio 2005 si è provveduto alla divisione delle carriere della gente di mare in traffico e diporto, a giudizio del presente atto di indirizzo, in palese contrasto sia con la definizione del termine diporto sia con l'articolo 115 del codice della navigazione, il quale suddivide la gente di mare in base alle categorie e non in base alla tipologia di imbarcazione, sia con la semplice considerazione che un marittimo che viene arruolato per le sue specifiche competenze professionali non è legato in alcun modo all'utilizzo che si fa dell'unità da navigazione sulla quale lavora. Di fatto tale decreto ministeriale impedisce il libero arruolamento dei marittimi poiché li costringe a scegliere tra la carriera da diporto e la carriera mercantile, riducendo al minimo la possibilità di scegliere le opportunità migliori offerte dal mercato del lavoro;
    il 30 novembre 2007 si è provveduto alla eliminazione dei titoli professionali e delle relative equipollenze per i lavoratori marittimi, in ragione dell'adeguamento alla Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia dei marittimi STCW 78/95. Tale ragione però non risulta avere una solida consistenza in quanto nessuno dei Paesi comunitari ha provveduto ad introdurre nel proprio ordinamento una norma simile. Inoltre il decreto legislativo n. 136 del 7 luglio 2011 ha introdotto la conversione dei titoli professionali acquisiti con il diploma in semplici abilitazioni, prevedendo anche il declassamento per coloro che nei cinque anni di validità del certificato di abilitazione non svolgono le funzioni per le quali il certificato è stato rilasciato. Il declassamento ha come conseguenza che il marittimo deve riprendere gli studi per poter riottenere la qualifica conseguita con il diploma. Anche tale norma non risulta essere in linea né con quanto scritto nella Costituzione Italiana né con le direttive Europee in materia né con la convenzione STCW 78/95;
    la convenzione OIL MCL 2006 n. 186 impone ai paesi aderenti di eliminare le discriminazioni in materia di impiego e di occupazione, di garantire alla gente di mare condizioni eque di impiego, di costituire un sistema per trovare impiego adeguato ed efficace;
    le tariffe minime e massime utilizzate per calcolare i compensi dovuti ai raccomandatari sono state eliminate per effetto dei commi 8 e 9 lettera h) dell'articolo 3 del decreto-legge 138/2011 convertito in legge 14 settembre 2011 n. 148, dell'articolo 34 comma 3 lettera f) del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214 e dell'abrogazione del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 11 febbraio 2011, con la conseguenza che i compensi dovuti ai raccomandatari vengono stabiliti consensualmente tra le parti, mentre precedentemente la legge stabiliva un tetto minimo e un tetto massimo di compenso per ogni ingaggio, nonché stabiliva le tariffe obbligatorie per le prestazioni rese dai raccomandatari, il lavoro del marittimo non è attualmente considerato usurante;
    inoltre la «legge Fornero» prevede che questi possano andare in pensione all'età di 70 anni,

impegna il Governo:

   ad attuare tutte le iniziative utili affinché:
    a)  sia abrogato il decreto ministeriale 121 del 10 maggio 2005;
    b) si renda operativo e funzionante l'osservatorio del mercato del lavoro marittimo previsto dalla legge 27 febbraio 1998 n. 30;
    c) vengano ripristinati i Titoli Professionali e le relative equipollenze nonché il progetto Orione negli Istituti Nautici, anche attraverso l'aggiornamento dei programmi scolastici per ciò che concerne i correttivi riguardanti gli standard internazionali e l'implementazione dei programmi di insegnamento della lingua inglese;
    d) il lavoro dei marittimi venga considerato lavoro usurante e sia ridotta l'età pensionabile in maniera proporzionata al carico e all'entità delle mansioni svolte;
   ad adoperarsi affinché vengano rispettati i principi di equità di impiego e di eliminazione delle discriminazioni in materia di impiego e occupazione, come stabilito dalla convenzione OIL MCL 2006, anche tramite:
    a) l'introduzione per i marittimi di un salario minimo obbligatorio, non inferiore al costo medio della manodopera dei marittimi comunitari, controbilanciando l'aggravio sulle compagnie con un aumento dei benefici fiscali;
    b) l'individuazione di un sistema di calcolo degli oneri dovuti ai raccomandatari per gli ingaggi dei marittimi, che sia proporzionale all'importo mensile che la compagnia di navigazione eroga al marittimo come salario lavorativo.
(1-00430) (Nuova formulazione) «Luigi Gallo, Da Villa, Nicola Bianchi, Tripiedi, Frusone, Rizzo, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzetto, Nesci».

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale, proclamata il 15 ottobre del 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi, pur non avendo prodotto alcun risultato sul piano giuridico-legislativo, ha tuttavia rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti degli animali che, da quel momento, vengono considerati come «soggetto»;
    l'articolo 1 della Dichiarazione citata ha sancito che «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita ed hanno gli stessi diritti all'esistenza»: così con questo articolo, per la prima volta, sono stati riconosciuti un insieme di diritti che incidono sul comportamento umano e individuano responsabilità e doveri per l'uomo e per la società considerata nella sua dimensione istituzionale. Tale documento, dopo aver proclamato in modo sintetico una serie di diritti di tutti gli animali (quali il diritto ad un'esistenza dignitosa, a non essere sottoposti a maltrattamenti e a vivere in modo consono alle proprie abitudini) aggiunge che «ogni animale che l'uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità»: un passaggio che finalmente valuta l'animale «essere senziente» (status che verrà poi sancito nel 1997 dall'Unione europea in un allegato al Trattato di Amsterdam) e che, come tale, non può più essere considerato «una cosa» ma soggetto di un rapporto affettivo con l'essere umano, tendenzialmente destinato a protrarsi per l'intera durata della vita;
    negli ultimi anni sono state approvate numerose disposizioni che confermano il diritto degli animali. In particolare, il riconoscimento degli animali quali «esseri senzienti» ovvero esseri in grado di provare piacere o dolore e, quindi, portatori di interessi: principio introdotto dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o gennaio 2008 e che ha contribuito ad accelerare un'evoluzione normativa in tale direzione. Tale Trattato ha significativamente definito gli animali in termini corretti attraverso l'attribuzione a tutti gli animali, compresi quelli d'affezione, della capacità di sentire: caratteristica, quest'ultima, che li differenzia definitivamente sotto un profilo giuridico dalle cose mobili. Alla luce di ciò, dunque, anche il particolare legame tra uomo ed animale d'affezione evolve da una prospettiva tendenzialmente unilaterale ad una più complessa considerazione della relazione uomo-animale, dove il flusso di affetto e ausilio che si verifica è reciprocamente rilevante e dove entrambi i membri del rapporto, pur nella loro specificità, sono attivamente soggetti e partecipi;
    il Trattato di Lisbona, infatti, ha impegnato gli Stati membri a tenere pienamente conto di tale riconoscimento nella formulazione e nell'attuazione delle proprie politiche in materia di benessere degli animali. Questa importante conquista tuttavia non trova ancora adeguata applicazione da parte delle istituzioni dell'Unione europea: pertanto, occorre intervenire con misure adeguate in grado di approvare norme per una maggiore tutela degli animali;
    è comunque da considerare che da tempo l'Unione europea ha introdotto le tematiche concernenti il benessere degli animali sia nei fondi strutturali che nei programmi di ricerca e sotto questo profilo sono stati fatti importanti «passi in avanti» per permettere un miglioramento delle condizioni degli animali dal punto di vista sia della protezione che del benessere degli stessi (da ricordare, al proposito, il regolamento (CE) n. 1523/2007, recante il divieto di commercializzare pellicce ricavate da cani e gatti; la regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), la normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), le norme concernenti la conservazione degli uccelli selvatici (direttiva 2009/147/CE)). Va, inoltre, sottolineato come l'82 per cento dei cittadini europei abbia sostenuto con forza come costituisca un dovere sociale proteggere i diritti degli animali qualunque siano i costi;
    per quanto riguarda gli animali da affezione, si ricorda che nel 1991, con la legge n. 281, il nostro Paese si è dotato di una normativa in materia di animali da affezione e di prevenzione del randagismo, che ha rappresentato un importante passo in avanti per l'affermazione di un più civile rapporto tra le persone e gli animali. Si deve, comunque, ricordare che tale legge, pur essendosi rivelata valida nell'impianto e nei principi, attualmente non risulta congrua rispetto alla sua pratica attuazione. Infatti, dopo tanti anni di esperienza applicativa, occorre riconoscere che molti degli obiettivi indicati dalla legge non sono stati conseguiti. Nel 2010 il nostro Paese ha approvato la legge 4 novembre 2010, n. 201, con la quale ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987, per la protezione degli animali da compagnia, dettando specifiche norme di adeguamento interno. Con tale normativa sono stati definiti i principi fondamentali per il benessere degli animali e per il loro mantenimento. È previsto, infatti, che nessuno potrà causare inutilmente sofferenze o angosce ad un animale da compagnia, né tanto meno dare luogo al suo abbandono. Con tale legge si è, infatti, confermata l'importanza degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società. Il proprietario, o la persona che se ne occupa, sono considerati responsabili della sua salute e del suo benessere, dovendo fornire all'animale, oltre al sostentamento, anche cure e attenzione alla sua salute e al suo benessere, favorendo il suo diritto ad un'esistenza serena: si tratta di termini importanti che hanno l'effetto di rendere l'animale d'affezione un vero e proprio soggetto giuridicamente rilevante;
    è, quindi, opportuno che l'Europa sia più attiva nel dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», prendendo come punto di riferimento tale principio generale nella predisposizione delle norme europee;
    occorre, altresì, sottolineare l'importanza della salute animale, anche per il legame tra salute degli animali e sanità pubblica. A tal fine, occorre garantire un coordinamento tra le varie istituzioni ed i vari soggetti individuati per favorire una strategia che salvaguardi la salute degli animali ed eviti la diffusione di malattie che possono danneggiare l'uomo;
    è fondamentale, altresì, adottare azioni che permettano di assicurare soluzioni concrete, etiche e sostenibili per gli animali randagi, nonché garantire strategie di gestione della popolazione canina che prevedano misure di controllo della stessa, leggi anti-crudeltà, il sostegno alle procedure veterinarie che siano necessarie a controllare il numero dei cani indesiderati e la promozione di un comportamento responsabile da parte dei proprietari di animali da compagnia;
    risulta anche opportuno adottare soluzioni concrete, nell'ottica di garantire il benessere di cani e di gatti utilizzati per scopi commerciali, un fenomeno che si sta sempre più diffondendo e sul quale occorre vigilare;
    risulta, altresì, necessario pubblicizzare al meglio informazioni in merito alle norme dell'Unione europea in materia di benessere degli animali, in modo da rendere sempre più consapevoli i soggetti legati o interessati al mondo animale, nonché adottare politiche per risolvere i problemi relativi al trasporto degli animali;
    c’è poi un aspetto che va messo in chiara evidenza: quello del furto degli animali. Infatti, la sottrazione degli animali, soprattutto quelli d'affezione, al loro legittimo proprietario rappresenta un fenomeno in larga espansione, che va affrontato con misure efficaci,

impegna il Governo:

   a dare piena applicazione, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, al riconoscimento degli animali come esseri senzienti e meritevoli di protezione;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea per assicurare un efficace controllo nell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
   a predisporre un intervento a livello europeo che consenta di adottare un programma diretto a prevenire il randagismo al fine di evitare l'uccisione indiscriminata degli animali randagi e garantire che gli Stati membri non alimentino commerci illegali di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e con elevati rischi sanitari;
   ad approfondire il problema relativo al trasporto degli animali, elemento in cui gli interessi degli operatori del settore e degli animali debbono trovare un punto di sintesi che rispetti le esigenze dei soggetti interessati;
   ad adottare misure, anche di controllo, per vietare l'importazione di animali esotici o, comunque, estranei al territorio italiano, al fine di prevenire problematiche negative rispetto alle dinamiche naturali del territorio e della sua fauna;
   a proporre in sede europea una legge quadro in materia di benessere degli animali, garantendo azioni e strategie dirette a ridurre l'utilizzo degli stessi nella ricerca;
   ad adottare misure che consentano di agevolare gli allevatori che rispettano le norme e le buone prassi per l'allevamento degli animali e investono in migliori strutture agricole;
   a valutare la necessità che i consumatori debbano essere informati sul fatto che un prodotto importato o un prodotto che contiene un prodotto importato sia ottenuto da animali custoditi nelle condizioni prescritte dalle norme europee in materia di benessere degli animali;
   ad intervenire sulla problematica relativa al furto degli animali nei modi e nei tempi che riterrà opportuni, al fine di affrontare, in termini congrui, il fenomeno che, alla luce dell'evoluzione che sta registrando nell'ambito di una società moderna, sta assumendo un rilevante valore sociale ed economico.
(1-00585) (Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Scopelliti, Saltamartini».

   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
l'università degli studi di Firenze ha bandito con decreti n. 2435 del 29 agosto 2014 e n. 8879 del 20 dicembre 2013 concorsi per posti di categoria D, area amministrativa-gestionale;
lo stesso ateneo aveva nel 2004 bandito un concorso per posti di analoga categoria ed area;
la graduatoria del concorso del 2004, pubblicata il 27 dicembre 2005, è stata prorogata ope legis al 31 dicembre 2016, ed in essa sono ancora presenti candidati in attesa di assunzione;
il Consiglio di Stato ha confermato recentemente, con le sentenze n. 14 del 28 luglio 2011 e n. 3407 del 4 luglio 2014, che la pubblica amministrazione è tenuta ad utilizzare prioritariamente le graduatorie concorsuali valide e già esistenti –:
quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per garantire il pieno adeguamento delle pubbliche amministrazioni al principio indicato dalla giurisprudenza. (4-05943)