Intervengono nella discussione sulle linee generali il sottosegretario di Stato per la giustizia COSIMO MARIA FERRI (Vedi RS) e i deputati SALVATORE MICILLO (M5S) (Vedi RS), LUCA D'ALESSANDRO (PdL) (Vedi RS), DANIELE FARINA (SEL) (Vedi RS), FRANCESCO SANNA (PD) (Vedi RS), STEFANO BORGHESI (LNA) (Vedi RS), ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI (PD) (Vedi RS), GIULIA SARTI (M5S) (Vedi RS), PINA PICIERNO (PD) (Vedi RS), ANDREA COLLETTI (M5S) (Vedi RS), MICHELA ROSTAN (PD) (Vedi RS), MATTEO BIFFONI (PD) (Vedi RS) e LAURA GARAVINI (PD) (Vedi RS).
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COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, devo dire che, dopo l'appassionato intervento dei relatori, il Governo vuole, in questa fase, sottolineare e ringraziare innanzitutto tutta la Commissione giustizia, il suo presidente e, in particolar modo, i due relatori, che oggi, in maniera molto professionale, incisiva e, devo dire, ben argomentando, hanno illustrato e spiegato l'importanza di questo intervento legislativo.
Come Governo, oltre a esprimere soddisfazione, vogliamo sottolineare l'importanza, in questo momento storico, di un intervento legislativo di iniziativa parlamentare – quindi, in questa fase, il Governo ha sempre il potere di emendare, ma anche di esprimere un proprio parere – e vogliamo esprimere soddisfazione per la serietà e il dibattito che vi è stato in Commissione, che ha consentito di arrivare ad un voto all'unanimità.
La Commissione, e i relatori in primis, si sono posti giustamente l'interrogativo, che è emerso anche in sede di audizione – perché sono state effettuate diverse e interessanti audizioni di magistrati, professori e altri soggetti operatori del diritto, che hanno contribuito al dibattito – e hanno evidenziato la necessità di questo intervento normativo, che doveva migliorare le norme esistenti, doveva colmare dei vuoti legislativi e doveva consentire alla politica di dare una risposta chiara e forte di fronte a una materia di fronte alla quale non si possono chiudere gli occhi.
Infatti, oggi il legame, laddove vi è, tra politica e mafia va spezzato in maniera decisa. Prima uno dei due relatori, l'onorevole Mattiello, ha sottolineato che occorre vedere i dati con cui molte delle nostre amministrazioni comunali ed enti locali sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose e altre situazioni sono emerse anche in sede di attività investigative, comunque definite anche con sentenza dell'autorità giudiziaria. La stessa Cassazione, quando si parla di giurisprudenza, ha indicato in maniera chiara quali fossero i vuoti da colmare e in che modo il giudice si era dovuto necessariamente fare interprete per colmare vuoti in modo coerente e sempre nel rispetto delle norme.
Il segnale forte di questa iniziativa legislativa, secondo me, è una grande novità, perché si ampliano i confini della punibilità. Questo è importante perché, nel vuoto normativo, laddove non era definita e tipizzata la norma, l'unico modo per colpire in maniera pregnante e incisiva questo accordo tra politica e mafia e questa accettazione tra chi procacciava i voti e chi offriva il procacciamento era quello di inserire e di prevedere questa ipotesi nel concorso esterno nel reato associativo, che è una figura creata dalla giurisprudenza, su cui tanto si è discusso, che è ormai pacifico che possa sussistere – vi sono più sentenze delle sezioni unite –, ma in questo caso la giurisprudenza indicava dei limiti probatori.
Infatti, occorreva una prova molto rigida, e quindi non sempre la condotta riusciva ad essere punita. Questa norma, quindi, colma un vuoto legislativo senza ricorrere al concorso nel reato associativo, allarga la punibilità e, come è stato detto, fa riferimento non solo al denaro ma «ad altra utilità». Infatti, nella formulazione sottoposta alla vostra attenzione si fa riferimento a «chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti (...) in cambio dell'erogazione di denaro o di altra utilità (...)».
Questa è la novità certamente più significativa. Inoltre, è molto positivo che con questo intervento legislativo si tuteli l'inviolabilità della libertà di voto, perché un voto non libero scardina il sistema, e quindi è importante che vi sia stata questa attenzione.
Si è parlato poi molto in punto di pena, e la Commissione ha votato una previsione da quattro a dieci anni. Si è parlato, inoltre, anche di attenzionare e valutare quale fosse il momento idoneo consumativo, nella configurazione e nella disciplina di un nuovo reato, e si è arrivati in Commissione a punire chi accetta consapevolmente il procacciamento di voti. Devo dire che il Governo era aperto anche ad altri tipi di formulazione, ma riteneva – e ritiene – opportuno, che si arrivasse ad una ipotesi, comunque, che nascesse da un confronto dibattimentale e che fosse espressione – come è stato – di una unanimità reale, a cui si è giunti con grande attenzione.
Inoltre, questa norma aiuta a definire anche i rapporti tra l'articolo 416-ter del codice penale e il reato, che già esiste, della corruzione elettorale. Non dimentichiamoci, infatti, che c’è già una fattispecie e quindi, dal punto di vista giuridico, occorreva tipizzare in modo sempre più tassativo, indicando gli elementi, e bene, l'intenzione del legislatore, perché, comunque, questi vuoti legislativi erano colmati dalla giurisprudenza, che aveva definito la distinzione tra il reato di corruzione elettorale, il 416-ter vigente – con quell'errore che è già stato segnalato e che consente oggi di recuperare e di rivedere e, quindi, di eliminare l'errore stesso che era nella vecchia formulazione dell'articolo – e il concorso esterno nel reato associativo, su cui mi sono già soffermato. Anche in questo caso, dunque, si dà una risposta nell'indicare gli elementi costitutivi della nuova fattispecie, in modo da tenerla ben distinta da reati che rimangono, perché rimane sia il concorso esterno nel reato associativo (che ovviamente è frutto della giurisprudenza, ma che qualora sussistano i presupposti indicati anche dalle due sentenze delle sezioni unite, può esser sempre contestato) sia il reato della corruzione elettorale, chiaramente. Quale era la difficoltà ? Per questo va veramente un plauso alla Commissione che ha compiuto il suo lavoro in tempi – sottolineiamo i tempi – rapidissimi, perché non dimentichiamo che l'intervento e il lavoro della Commissione si è svolto in poco tempo e il Governo lo ha seguito con grande attenzione. Quindi davvero un plauso convinto a tutta la Commissione: in poco tempo si arrivati alla formulazione all'unanimità di una norma, che aveva richiesto anni ed anni di dibattito giurisprudenziale. Riporto, infatti, anche un passaggio di una audizione che è stata svolta in Commissione, a proposito della interferenza tra una nuova fattispecie de iure condendo e, quindi, del 416-ter e il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso: «In base alla famosa sentenza Mannino del 12 luglio 2005, la Corte di Cassazione aveva già stabilito, sul piano astratto, che commette questo reato proprio l'uomo politico che si impegna a favorire gli interessi del gruppo mafioso in vista di una competizione elettorale. Quella sentenza, peraltro, ha sottoposto tale punibilità ad alcune condizioni piuttosto restrittive sul piano giuridico, quali la serietà e la concretezza dell'impegno assunto dal politico, in considerazione anche del suo ruolo politico e, soprattutto, la verifica probatoria ex post dell'efficacia causale di tale impegno, così da restringerne l'applicazione e condizionarla ad accertamenti probatori spesso difficili, se non addirittura impossibili». Quindi, con questa norma si superano queste osservazioni in punto di prova, si facilita l'accertamento investigativo, e si allarga la punibilità. Si allarga la punibilità. Questo è il segnale forte che in questo momento il Parlamento sta dando, e su cui il Governo è d'accordo.
Comunque il Governo seguirà come sempre con grande attenzione il dibattito e, in sede di replica, si riserverà di tener conto di tutte le osservazioni e del contributo che, ne siamo certi, deriverà da questa Assemblea, così com’è stato in Commissione. SALVATORE MICILLO. Signor Presidente, colleghi deputati, dopo ventuno anni questa Aula torna ad occuparsi dell'articolo 416-ter. Lo fa in prossimità di un anniversario importantissimo, l'attentato al magistrato Paolo Borsellino, che perse la vita a causa di una violenta deflagrazione in Via d'Amelio a Palermo. Avevo 12 anni quando appresi dai notiziari televisivi cosa fosse successo ad un valoroso servitore dello Stato, portando nei miei valori, da quel momento, il coraggio di un uomo che ha pagato per aver cercato la verità. Borsellino indagava, tra l'altro, anche sugli appalti che spesso sono stati il pactum sceleris tra politica e cosche mafiose. Ma non deve essere più così.
All'indomani della visita di Don Luigi Ciotti al Senato, avvenuta il 7 maggio scorso, con noi parlamentari dai braccialetti bianchi, abbiamo confermato l'impegno assunto a febbraio di trovarci qui dentro, entro cento giorni dall'elezione, con il preciso compito di comprendere nello scambio tra elettore o associazione criminale e politica dall'altra, oltre all'erogazione di denaro, anche quella di altra utilità, andando oltre il vile denaro, togliendo quel velo, nemmeno ingenuo, dietro cui politica e mafia fanno affari. Da oggi intendiamo metterci un punto. Ancora mi risuonano nella mente le parole di Don Ciotti: «Se la mafia è la peste, la corruzione è il suo agente, il parassita che divora le risorse economiche e morali di una democrazia». Ed ancora: «Un Paese che dice “no” alla corruzione è un Paese consapevole, che crede nelle libertà e nella dignità dei suoi cittadini e che non vuole giochi di potere della politica ma servizio al bene comune».
Libertà e trasparenza è il nostro programma, libertà e trasparenza in ogni direzione, chiediamo. Tutto ciò che non rende libero un individuo finisce per favorire altri individui e indi lo sfacelo italiano. Con questo spirito abbiamo presentato il 10 maggio scorso la nostra proposta di modifica dell'articolo 416-ter mediante proposta di legge n. 923, senza operare distinzioni tra chi operasse consapevolmente e chi inconsapevolmente il mero scambio elettorale. Io ti do una certa quantità di denaro, tu mi dai un certo numero di voti, sapendo che ignorantia legis non excusat. La legge intesa come giurisprudenza e legislazione deve rendere consapevole l'inconsapevole, richiamandolo alle sue responsabilità penali laddove quelle civiche sono inesistenti, formando una coscienza laddove c’è un rapporto mercenario tra il dovere di uomo e il diritto di voto da elettore. La legge non può infatti alleggerire la responsabilità di un individuo, giustificandolo con: non lo sapevi, non potevi saperlo, non hai agito, perciò, con consapevolezza, ma al contrario deve dire: dovevi saperlo.
Garantire un voto per ricevere denaro è un delitto; accettiamo il novellato in esame dell'articolo 416-ter che introduce, oltre al denaro, anche ogni altra utilità contrattuale sul banco del do ut des, ma non accettiamo il passaggio del «consapevolmente». Chi può stabilire se un individuo è o meno consapevole di quello che sta facendo ? Di quale macchina della verità si intende dotare le procure d'Italia ? Posso essere consapevole di un'azione per poi, una volta scoperta, rinnegarla, farmi scudo del fatto che non sapessi ? La consapevolezza per il novellato 416-ter andrebbe a stare ora in rapporto allo scambio politico-elettorale, come il «non era capace di intendere e di volere» all'atto del compimento di un delitto.
«Consapevolmente» è un'attenuante, l'intento da parte di PD e PdL di limare quella che doveva essere sul nascere una nuova pagina della messa in moto dell'economia italiana, sapendo che i programmi-ombra di alcuni politici sono il frutto anche di accordi segreti maturati in campagna elettorale tra quelli che saranno gli appalti da concedere e la legislazione del parlamentare.
Ed io, giovane del Sud d'Italia, intendo parlare proprio a nome della mia generazione, che più di ogni altra continua a pagare la libertà con cui sono stati gestiti in passato voti non puliti degli elettori. Quel «consapevolmente» diventa ancora più gattopardesco se si pensa che l'ambiguità del termine favorirà la deresponsabilizzazione dei due protagonisti.
Basterà che uno solo abbia agito senza la consapevolezza dello scambio per assolverlo dall'aver commesso il fatto ? Con la nuova formulazione della norma il politico che si coalizza con la mafia per ottenere voti viene punito, quindi, solo se agisce consapevolmente. Mi risulta abbastanza difficile immaginare il politico che si relazioni con la mafia inconsapevolmente, senza saperlo. Per entrare a fondo nella mente di chi ha elaborato questa proposta è tuttavia necessario analizzare approfonditamente l'espressione utilizzata.
Sappiamo che il dolo è la volontaria violazione di un dovere giuridico, ma non basta. All'estensore della norma non basta una formulazione generica del dolo, bensì preferisce essere ancora più preciso. L'estensore della norma vuole proprio arrivare alla figura conosciuta come «dolo intenzionale». Tale figura di dolo si differenzia dal cosiddetto «dolo diretto». Ebbene, nel dolo intenzionale il soggetto attivo vuole realizzare, attraverso la sua condotta, proprio l'evento descritto nella norma penale. Esempio di scuola è chi spara nei confronti di una persona con il fine di uccidere tale persona. Nel dolo diretto, invece, il soggetto attivo non vuole realizzare, attraverso la sua condotta, proprio l'evento descritto nella norma penale, bensì tale soggetto attivo configura tale evento come altamente probabile. Esempio di scuola è il proprietario di una nave che causa un incendio della sua imbarcazione al fine di farsi pagare dall'assicurazione e nella consapevolezza che così operando l'equipaggio morirà.
Senza adesso scendere nello specifico del diritto penale però, non si comprende la necessità di precisare l'intenzionalità della condotta del politico che scende a patti con la mafia. La fattispecie punibile è, pertanto, solo ed esclusivamente quella in cui il politico, attraverso la sua condotta, intende accettare la promessa di voti sporcati da intermediazione mafiosa. L'impressione che si potrebbe avere è quasi quella di voler rendere più difficile la prova di un simile reato e di volere tutelare un tale pactum sceleris.
L'intervenire sull'articolo 416-ter, alla luce degli scandali politici e delle diverse inchieste giudiziarie succedutesi in questi ventuno anni successivi al formulato del 1992, era un dovere da parte nostra. Mi permetto solo di ricordare che la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20924 dell'11 aprile 2012, ha ritenuto integrato il reato di cui all'articolo 416-ter del codice penale, laddove oggetto materiale dell'erogazione fosse costituito non dall'erogazione di denaro bensì da posti di lavoro.
Non possiamo, quindi, tacere il fatto che attraverso l'aggiunta dell'inciso «altra utilità» un grande passo avanti si sta facendo nella tutela del vivere civile e della correttezza dei rapporti elettorali. L'inciso «altra utilità» costituisce senza dubbio alcuno una spinta propulsiva in avanti verso il buon funzionamento delle amministrazioni dello Stato, anche decentrate.
Quando abbiamo presentato, il 10 maggio scorso, la nostra proposta di legge di modifica di detto articolo, qui alla Camera – proprio questa in cui oggi mi trovo a discutere – devo ammettere che non mi sarei aspettato di trovare almeno altre due proposte di legge presentate da deputati di altri schieramenti politici, del tutto simili, se non identiche, alla mia. Questa similitudine tra proposte di legge, a ben ragionare, è dipesa dal fatto che molti parlamentari hanno aderito alla campagna di sensibilizzazione partita dall'associazione «Riparte il futuro» e da don Luigi Ciotti, coinvolgendo 277 deputati di tutti gli schieramenti politici, sia di centrodestra che di centrosinistra. Trattasi di deputati che sono pubblicamente impegnati a lottare nei confronti della dilagante corruzione, attraverso l'aggiunta dell'inciso «altra utilità» all'originaria formulazione della norma contenuta nell'articolo 416-ter del codice penale. Tale campagna, promossa anche da «Libera» e dal «Gruppo Abele», si è fatta portavoce di un'istanza chiara, che non dà adito a fraintendimenti: per la ripresa economica del Paese è indispensabile contrastare il fenomeno sistemico che fagocita ogni giorno le nostre risorse e induce alla mollezza, al tornaconto personale, alla rassegnazione.
Le originarie istanze contenute nelle proposte di legge summenzionate sono state affiancate da proposizione e depenalizzazione, che davvero nulla avevano a che fare con la ratio della riforma. Sono emerse nuove criticità che non si possono rendere evidenti oggi in quest'Aula. Per enucleare tali criticità è necessario raffrontare la vecchia disciplina contenuta nell'articolo 416-ter con quella oggetto della discussione. Parliamo della vecchia formulazione, ricordando che il soggetto attivo del reato è un uomo politico, candidato alle elezioni, il quale accetta la promessa di voti da parte di un'associazione mafiosa e, in cambio di tale promessa, versa denaro a tale associazione mafiosa. Colui che promette i voti – cioè il mafioso –, invece, non viene sanzionato all'articolo 416-ter, bensì viene sanzionato dal combinato disposto del primo e terzo comma dell'articolo 416-bis e, pertanto, risponde del reato di associazione mafiosa in qualità di membro di tale associazione, la cui pena prevista – ricordiamolo – va dai 7 ai 12 anni.
La giurisprudenza ha chiarito che il politico è consapevole non solo quando eroga materialmente denaro, ma anche quando promette tale erogazione di denaro. Quindi promessa di voti effettuata dal mafioso contro promessa di dono effettuata dal politico.
Mi avvio alla conclusione. Fatte queste dovute precisazioni, per prima cosa mi auguro che le criticità che ho sottolineato poc'anzi possano essere corrette in Aula attraverso mirati emendamenti: l'ultima spiaggia della legalità applicata, l'ultimo salvataggio che ancora possiamo operare su questo articolo. È un contentino, forse, un piccolissimo passo avanti, una goccia. Il MoVimento 5 Stelle avrà la pazienza di ripulire, goccia a goccia, l'oceano della corruzione in Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). LUCA D'ALESSANDRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo che approda oggi in Aula e che è stato approvato dalla II Commissione (giustizia), ha visto un'approvazione all'unanimità e questo risultato, che possiamo giudicare assolutamente importante e straordinario per le mediazioni che ci sono state all'interno della Commissione, è arrivato grazie anche al contributo, direi importante, del gruppo del Popolo della Libertà. Esso nasce da un'esigenza specifica e profonda di modificare l'articolo 416-ter sia per l'indeterminatezza che esso aveva prima, sia per un errore, come è già stato detto in quest'Aula, che esso portava con sé. Infatti, nella infelice determinazione dell'articolo 416-ter, si faceva riferimento a un articolo 416-bis dove però non era compreso il riferimento alla promessa di voti. Quindi, in qualche modo, noi andiamo ad intervenire su una materia che, da una parte, corregge un errore e, dall'altra, crediamo che codifichi un comportamento delittuoso in maniera chiara anche per evitare che ci sia quell'aleatorietà che, in qualche maniera, possa portare da una parte, all'indeterminatezza del reato – sicché ci possa essere da parte anche degli organi inquirenti una discrezionalità che potrebbe far male anche per quanto riguarda le indagini – e dall'altra parte, fare in modo che sia finalmente chiaro questo reato, sì da punirlo in modo severo.
L'esigenza di modificare l'articolo 416-ter muove dal fatto che la definizione del prezzo dello scambio, prevista nel testo attuale, è riferita esclusivamente in termini monetari, cioè alla semplice erogazione di denaro. Già in quest'Aula è stato detto che è importantissima la introduzione delle «altre utilità», perché in questa maniera finalmente si introduce un elemento ulteriore quale può essere l'assunzione, quale può essere il conferimento di un incarico, quale può essere comunque un qualche cosa tipo un appalto che, indirettamente, porta del denaro o comunque sicuramente porta dei vantaggi. Come detto, quindi, data la varietà delle prestazioni che si possono avere con lo scambio politico-mafioso e che anche solo indirettamente costituiscono uno scambio di denaro, ma possono rappresentare anche altro, in passato questa norma, così costruita, aveva impedito sostanzialmente che il patto tra politico e mafioso potesse essere efficacemente contrastato dal nostro ordinamento. Il nuovo testo, quindi, ha come obiettivo quello di circoscrivere il reato che rischiava, come ho detto, di essere troppo aleatorio e, quindi, inefficace sia sotto il profilo della punibilità, sia sotto il profilo delle polemiche politiche che ne potevano seguire nel momento in cui ci fossero delle inchieste.
L'elemento importante del reato di scambio politico-mafioso è, quindi, rappresentata da quella che è la consapevolezza del reato. Sotto questo punto di vista il PdL ha avuto parte attiva e rivendica questa parte attiva nell'introduzione di questo inciso, perché la consapevolezza è fondamentale ed è importante che due soggetti che stanno stipulando un patto per commettere un reato abbiano consapevolezza del reato che si va a commettere.
Altrimenti, come ho detto prima, si rischia in qualche maniera di mantenere tutta un'aleatorietà che non produce gli effetti che si vogliono avere rispetto al reato che vogliamo perseguire.
Ad integrazione della maggiore efficacia della fattispecie del reato, poi, il primo comma dell'articolo 416-ter, in cambio del procacciamento dei voti, non prevede più l'erogazione di denaro, come ho detto, ma anche di «altra utilità» e quindi altro vantaggio, come ho detto, o profitto di natura economica, che possa essere diretta o indiretta. Io ritengo che questo passaggio sia fondamentale, perché negli ultimi anni noi abbiamo assistito a tutta una serie di comportamenti che in qualche modo rimanevano al confine tra il vantaggio che si veniva ad acquisire durante lo scambio elettorale e poi, dopo, l'effettivo risultato.
Per quanto riguarda l'accettazione, la cosa importante è che questa, e quindi il reato, si consumi nel momento in cui essa avviene, quindi è importante il momento della consumazione del reato.
Per quanto riguarda invece la pena, il testo unificato prevede la reclusione da 4 a 10 anni, riducendo dunque la pena attuale, che era da 7 a 12 anni. Questa pena è identica a quella prevista per il delitto di associazione mafiosa. Nel corso dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione giustizia è stato infatti sottolineato che il concorso esterno in associazione mafiosa, connotato dal mantenimento e dal rafforzamento dell'associazione mafiosa, viene punito con la pena da 7 a 12 anni. Si è scelto quindi di modificare la pena prevista all'interno dell'articolo 416-ter, che contiene una fattispecie di reato che è indipendente dall'effettivo rafforzamento dell'associazione criminale. In altre parole, noi andiamo a colpire un comportamento specifico. È vero che l'associazione criminale di fatto, contribuendo all'elezione del singolo parlamentare, si può rafforzare, perché di fatto rafforza la sua rappresentanza condizionando l'attività parlamentare di un singolo esponente, ma i due reati, cioè l'associazione mafiosa o il concorso esterno in associazione mafiosa, ed il reato di scambio politico-mafioso sono assolutamente distinti sotto il profilo della condotta generica, perché per il fatto che uno accetti il voto di scambio, non per questo viene integrato come possibile mafioso.
Per quanto riguarda poi il testo del disegno di legge, noi come Popolo della Libertà rivendichiamo il ruolo avuto per arrivare a questa formulazione. Siamo certi che in questo modo si riuscirà ad evitare da una parte che effettivi reati commessi ai sensi dell'articolo 416-ter, quindi lo scambio politico-mafioso, non vengano poi puniti – mentre vanno assolutamente perseguiti in modo severo –, ma allo stesso tempo noi in questo modo, con questa formulazione, siamo certi che riusciremo ad evitare per il futuro tutte quelle fattispecie in cui un'eccessiva aleatorietà possa portare ad una discrezionalità del comportamento dei pubblici ministeri e delle inchieste, che in qualche modo, in passato, hanno potuto essere soggetti a critiche, poiché non sempre è facile poi individuare il confine tra un comportamento di accettazione, e quindi di accordo effettivamente compiuto per quanto riguarda l'accettazione di voti (e quindi torniamo alla parola consapevolezza), e altro. Per tali motivi noi sosteniamo convintamente questo disegno di legge. DANIELE FARINA. Signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi deputati, io penso che questa di oggi sia un'occasione. Possiamo prenderla breve, ma anche larga: breve nei tempi, un po’ più larga però nei contenuti; non ci capiterà molte altre volte in questa legislatura, breve o lunga che sia, di poter discutere di questi temi.
Non è un caso, infatti, che Sinistra Ecologia Libertà partecipi a questa discussione sulle linee generali che parla di mafie e di voti con deputati del nord del Paese. Vuole marcare il punto di chi ha visto crescere per decenni nei propri territori presenze e movenze. Decenni di insediamento, neppure tanto nascosto, che ha goduto di silenzi ed assenze, finché estese inchieste dei magistrati hanno reso assordanti i silenzi e insostenibili quelle assenze. Dunque, non nord e non sud, ma l'intero Paese e larga parte del mondo. Dobbiamo chiederci, infatti, da dove deriva il potere che consente a organizzazioni criminali – perché di articolo 416-bis anche stiamo parlando – di confrontarsi da pari, o peggio con la politica contrarre patti, dettare condizioni o farsi direttamente politica, governo dei territori.
Io non sono uno specialista dell'antimafia, affronto il problema da un'angolatura insolita. Cosa ha permesso, come dicevo, a queste organizzazioni di esplodere dal loro alveo di esercizio storico, di fare il salto di modernizzazione e globalizzazione ? Cosa ha prodotto la contrapposta e, tuttavia, insufficiente ipertrofia degli apparati dello Stato al suo contrasto, al contrasto di queste organizzazioni ? Cosa hanno prodotto fenomeni culturali di reazione – benvenuti – e una miriade di associazioni e movimenti, che sono anche la spinta che ci ha dato forza e velocità nel portare in Aula questo provvedimento ? Io dico che in molte storie e processi del capitalismo c’è un'accumulazione originaria o condizioni che consentono un salto rivoluzionario, la transizione da una fase ad un'altra. Questo è avvenuto per quelle organizzazioni. È avvenuto attraverso il controllo del traffico degli stupefacenti. Da lì sono state accumulate e in gran parte affluiscono le risorse che poi decliniamo in attività pervasive, che si chiamano edilizia, cantieri, distribuzione commerciale, in generale appalti, fino ai meccanismi della finanza e del credito internazionali. Il carattere globale di quelle organizzazioni nasce da quel flusso annuale di risorse stimato mai sotto i 60 miliardi di euro – sessanta – largamente importante rispetto a tutte le altre attività tipiche. È diventata ormai tipica essa stessa, quest'attività.
Lo Stato ha da decenni dato «in appalto» questo settore – le droghe – a queste aziende, senza nessuna concessione onerosa – permettetemi quest'amara ironia – ma, anzi, pagandone i costi sociali. Abbiamo una qualche idea di quale sia lo stock di ricchezza accumulato da quei flussi nel corso degli anni ? Con questo provvedimento, la riscrittura dell'articolo 416-ter, proviamo ad ampliare il «secchiello» – perché di questo si tratta – con cui magistratura e organi di polizia cercano di arginare quello che è un mare. Certo, un punto di vista, però alcuni elementi di ancoraggio alla realtà abbastanza significativi. Ci sono Stati nel mondo, perfino continenti e nazioni, che, compreso l'errore, provano oggi a tornare indietro, a recidere gradualmente la vena che alimenta la «Piovra», a partire dalla nazione leader dell'Alleanza atlantica. Noi siamo a tecniche riparative, benvenute, ma insufficienti.
Potremmo sequestrare beni e incarcerare all'infinito, ma è una guerra difficile se non interverremo drasticamente sulle linee di rifornimento degli avversari. Perché Piovra è un luogo culturale, filmico-datato, che rimanda forse ad altri tempi della storia delle organizzazioni criminali. Una mafia che forse non esiste più o esiste limitatamente. Oggi siamo di fronte, come persone assai più competenti di me dicono da tempo, ad una diffusione virale, capace di rigenerarsi, che corre lungo contesti non preindustriali, ma che ha saputo saltare nelle sue propaggini più evolute direttamente nel terzo millennio. Proiettarsi nel nuovo senza perdere totalmente l'antico. Se questo punto di vista ha un qualche fondamento, c’è da sorridere del nostro dibattito, dell'appassionato discutere che ci conduce a questo 416-ter riformulato, aggiornato ai tempi e all'uso potenziale. C’è la malinconia degli strumenti utili, ma insufficienti. Pure, non possiamo tradire la mobilitazione che in tutto il Paese si è spesa verso questo obiettivo. Un passaggio corto, ma innervato dalle centinaia di esperienze che hanno fatto rivivere in forma nuova beni, lottato, rischiato, a volte pagato o semplicemente fatto il proprio lavoro nella fiducia che lo Stato avrebbe fatto la sua parte.
Questa parte ora tocca a questa Camera, a questo Parlamento. Se qualcuno spera che questo testo, questa riformulazione, venga addolcito al Senato, io invece invito i colleghi senatori semmai ad irrobustirlo, a non lasciarsi distogliere dagli avvocati di sempre, in Parlamento non mancano mai. E al tempo stesso però di non prestare troppo orecchio a quei cultori della forca che discutono solo di pene, sempre da aumentare, senza alcuna visione che si avvicini ad una strategia.
Spero che riusciremo anche in Aula a votare tutti insieme quest'unico articolo, così come è accaduto in Commissione. Non nascondo infine che provo un certo senso di isolamento intervenendo in quest'aula così poco frequentata nel frangente di un provvedimento diciamo delicato. Ma non siamo soli. Con noi c’è un bel pezzo di Paese, la maggioranza, quello migliore, che magari la stessa sensazione l'ha avuta nella gestione di una cooperativa, di un'indagine, nel chiedere giustizia, o semplicemente nella vita quotidiana. E in ultimo, come potremmo noi chiedere rispetto nei tempi della casta se per primi, come parte di una fondamentale istituzione della Repubblica, questa, ci tirassimo indietro ? FRANCESCO SANNA. Presidente, colleghi, era il 16 marzo di quest'anno, mentre noi eleggevamo i Presidenti della Camera e del Senato, quest'ultimo proveniente dai vertici della magistratura antimafia, a Firenze oltre 150 mila persone, provocate dall'impegno di diversi decenni dell'associazione Libera e di tante altre che hanno cura della memoria delle vittime della mafia, ne hanno ripetuto il nome. Erano oltre 900 le vittime della mafia a Firenze il cui nome è riecheggiato mentre noi iniziavamo questa legislatura.
Vedete, molte volte mi è capitato di sentire in queste settimane che non c’è un'attenzione particolare del Parlamento e del Governo alla lotta contro la mafia, che non saremmo pronti quindi a fare le cose che servono per uscire da un'indifferenza nella quale si sta ricacciando questa lotta. Mi permetto di dire che non son d'accordo, che non è vero. Se potessi dire i primi due provvedimenti che questo Parlamento, questa Camera, ha esaminato in Aula, d'iniziativa del Parlamento e non del Governo, ma con il Governo ben presente, bene, è stata l'istituzione della Commissione antimafia, e oggi questo provvedimento.
In Senato si sta discutendo, e sta andando velocemente avanti l'iter che completa il ragionamento delle leggi anticorruzione partite la scorsa legislatura, e tra le disposizioni che sono all'esame dell'altro ramo del Parlamento ce ne sono alcune che connettono fortemente l'esigenza di combattere la corruzione con l'esigenza di cancellare la cosiddetta zona grigia che è il terreno fertile nei rapporti tra l'organizzazione criminale e la cosa pubblica, che è poi il tema di cui oggi noi stiamo discutendo. Le relazioni dei nostri colleghi hanno definito in maniera molto puntuale il carattere delle disposizioni che noi stiamo discutendo e che nelle prossime ore andremo, io spero, ad approvare. Dai primi interventi, mi pare che sia necessario scolpire una caratteristica della previsione del testo unificato che noi andiamo a considerare.
E cioè che non stiamo parlando – lo vorrei dire al collega del MoVimento 5 Stelle che è intervenuto – nella formulazione attuale, che certo contiene quel «consapevolmente» che forse avremmo potuto evitare di introdurre, perché, lo anticipo, è una superfetazione, secondo me, del dolo, al quale però qualsiasi condotta di reato configurata dal codice penale come delitto deve sottostare, a meno che noi non vogliamo considerare un delitto come colposo, ma non si tratta di questo, non si tratta di questa fattispecie: non vi sono delitti che possano avvenire ad insaputa dell'autore, ad insaputa nella consapevolezza dell'autore.
Allora, proviamo a dare qualche interpretazione e qualche segnale a futura memoria dell'interprete, perché il nostro articolo 12 delle preleggi ci ricorda che nell'applicare la legge attribuiamo ad essa un senso che non può che essere quello fatto palese dal significato delle parole nella loro connessione, ma anche dalla intenzione del legislatore, e io la voglio lasciare qui la mia intenzione del legislatore. Stiamo parlando di un reato a dolo generico per il quale l'autore ha coscienza e volontà di realizzarne gli elementi costitutivi, e gli elementi costitutivi, badate, ci sono tutti dentro il testo che noi abbiamo davanti, e che ci è stato ben raccontato dai relatori. Ciò perché io devo avere, se sono dalla parte della mafia, la semplice coscienza e volontà di fare il mafioso, cioè di procacciare voti con la modalità dell'articolo 416-bis, che è la modalità dell'intimidazione, che è la modalità della minaccia, che è la modalità della violenza, in tutte le forme che conosciamo, tipiche dell'organizzazione criminale, e se sono un uomo politico che questo procacciamento ricerca dando in cambio la mia messa a disposizione futura, non sto andando lì a contrattualizzare uno per uno l'alterazione dei percorsi corretti della macchina amministrativa che magari domani andrò guidare, non sto nemmeno andando a contrattualizzare, e quindi non c’è dolo specifico, il mio movente, tipo voglio arrivare primo nella competizione elettorale, voglio arrivare a fare il sindaco o l'assessore; no, voglio semplicemente prendere i tuoi voti, e basta questo per configurare il reato. Questo lo lasciamo a futura memoria di chi dovesse avere dubbi su come si configura la condotta e il suo elemento psicologico.
Perché era necessario mettere e completare il disegno del codice penale su questi temi ? È successo pochi giorni fa, durante il weekend: in un paese della Calabria è stata arrestata tutta la giunta, insieme a dei mafiosi. Il sindaco e un pezzo importante del consiglio comunale è stato fatto eleggere da una campagna, casa per casa, intimidatrice di diverse cosche criminali.
Probabilmente costoro, la parte politica, non sarebbe stata colpita se non avessero ecceduto, sia i mafiosi sia quelli che mi viene difficile chiamare politici, ma chiamerei mafiosi che simulavano la politica, in un'arrogante provocazione, cioè il fatto che le due cosche rivali si riunivano insieme alla giunta in uno studio di un professionista e in quella sede decidevano chi doveva essere l'affidatario, l'aggiudicatario, degli appalti pubblici. Questa arroganza li ha consumati. Ma se avessero preso i voti e avessero genericamente messo a disposizione l'attività amministrativa, la magistratura probabilmente, con l'attuale 416-ter, non li avrebbe potuti colpire. Avrebbe certamente colpito i mafiosi, avrebbe forse, come ha fatto, cercato la prova per la quale l'integrazione tra l'attività dell'amministrazione pubblica e la mafia era così stretta da configurare il concorso nell'associazione mafiosa, ma l'accordo che ha «stuprato» la democrazia in quel paese, l'accordo politico-mafioso sarebbe rimasto sulla parte della politica totalmente non punito.
Ecco quello che stiamo facendo noi, ed è il punto centrale della nostra proposta: noi vogliano in questa norma, con questa norma – di cui mi onoro di essere stato il primo firmatario, uno di coloro, insieme a tanti colleghi del gruppo del Partito Democratico, mentre, lo voglio ricordare, il secondo firmatario della nostra proposta oggi svolge il ruolo di Presidente del Consiglio – punire l'accordo in quanto tale, vogliamo punire la realizzazione del contratto illecito dell'impegno a portare i voti con l'intimidazione tipica del metodo mafioso e il mettersi a disposizione nell'attività politica e amministrativa garantendo vantaggi economici, economicamente valutabili in una serie indefinita.
Non vogliamo, come è stato detto forse per non confondere le carte e le acque, ed evitare che ci sia questa attenzione, questa prudenza, questa immaginazione di una magistratura ed una polizia che sta lì a cercare di incriminare gli amministratori pubblici, non vogliamo con queste norme punire una attività, diciamo così, meramente clientelare. Ci sono già quelle norme, c’è la corruzione, c’è la coercizione elettorale, punita con anni di galera, questa è un'altra cosa, e qui sta la differenza di pena che noi abbiamo voluto caratterizzare anche nell'ambito di una differenziazione del reato da quello definito dal 416-bis.
E qui vorrei aggiungere al nostro dibattito il fatto che noi stiamo creando dei reati che possono tra loro concorrere; ossia non basta che uno sia mafioso e semplicemente ponga in essere questa sua attività corruttiva della democrazia, per essere punito con un'unica pena. Sarà possibile individuare la sua appartenenza al sistema mafioso e magari dopo anni, l'evento, la condotta di scambio elettorale politico-mafioso che comporterà per lui una accentuazione significativa della pena. Io spero che questo sia deterrente anche sul versante della criminalità organizzata, oltre che della politica.
Concludo, Presidente, dicendo che questa è davvero una norma di ordine pubblico democratico, è anche una riforma che precede quelle costituzionali ed elettorali di cui abbiamo tanto bisogno, e sta bene che sia così, perché prima della legittimazione dell'Esecutivo, prima della legittimazione del Parlamento c’è il tema della genuinità e della libertà del voto, del popolo che elegge il Parlamento e determina l'indirizzo politico di questo Paese.
È, lo vorrei dire, una applicazione diretta, quella che stiamo facendo, dell'articolo 48 della Costituzione, che ci ricorda che il voto è personale, uguale, libero e segreto, ma non può esserci voto personale se al posto tuo entra nella cabina elettorale la mafia; non può esserci un voto uguale, perché in quella coercizione c’è il massimo della diseguaglianza; non può essere un voto segreto se è vero che il sistema della scheda ballerina, che racconta Saviano, è un sistema ancora molto spesso utilizzato, perché nella mancanza di segretezza, preceduta dalla violenza e dalla intimidazione, c’è la cancellazione totale della libertà.
E su questo vorrei dire che servirebbe, signor rappresentante del Governo, sperimentare nel nostro Paese sistemi di voto che la segretezza vera, per esempio il voto elettronico, riuscissero a garantire in maniera del tutto diversa da quanto oggi il nostro sistema carta, matita, copiativa e schede che vanno a che vengono, in qualche modo garantiscono, o meglio sarebbe dire non garantiscono. Dice Saviano: «In un'inchiesta di qualche anno fa sul voto di scambio c’è un'intercettazione incredibile: “Ma quanti voti abbiamo avuto ?”. “7.821”. “E quei 21 chi sono ?”. “Hanno votato gratis”».
Ecco, noi vogliamo che da qui parta la fine della coercizione nella politica, che si torni a respirare, che in tante realtà il respiro diventi l'avvento di nuovi gruppi dirigenti, di giovani, di donne, di gente libera che faccia funzionare meglio la macchina amministrativa e che riporti alla politica con la «p» maiuscola.
Quello che stiamo facendo è il cercare di erigere un muro tra quello che la politica, la sua credibilità, il suo modo di essere esigente, e che deve ripartire dalle aule del Parlamento, vuole con questa norma proporsi, e quello che invece noi vediamo ancora drammaticamente evidente in tante amministrazioni. Spero che con l'approvazione di questa disposizione, piccola ma adatta al nostro tempo, si arrivi a mettere una grande distanza tra la politica vera, e quella che invece è la confusione, la mafia che entra nelle istituzioni, la zona grigia di cui non solo non vogliamo più sentire, ma che vogliamo combattere con i sistemi più efficaci possibili (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia). STEFANO BORGHESI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, la modifica alla normativa sullo scambio elettorale politico-mafioso, in particolare dell'articolo 416-ter di cui oggi si discute in Aula dopo l'esame in Commissione, e che in molti, anche cittadini, tramite un'espressa petizione popolare, ormai chiedevano, ha visto l'appoggio e il contributo della Lega Nord, in linea con l'impegno e l'attenzione da sempre dimostrato dal nostro partito in tema di lotta alla mafia. Non a caso, è stato proprio un Ministro dell'interno della Lega Nord, Roberto Maroni, con cui sono stati ottenuti risultati eccezionali e senza eguali in precedenza nella lotta alla criminalità organizzata, tanto da farne oggetto di apprezzamento anche da altri Paesi stranieri, che ne hanno fatto elogio e un modello.
A parlare sono i dati, documentati anche nei dossier che venivano periodicamente pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, ottenuti grazie anche all'impegno delle forze dell'ordine: 8.466 i mafiosi arrestati, di cui 32 latitanti di massima pericolosità, per un totale di 778 operazioni di polizia giudiziaria. Ma la lotta alla mafia non si è limitata all'arresto dei suoi esponenti, bensì il Ministro Maroni ha voluto colpirla nel cuore, nei suoi interessi economici, nelle risorse che consentono all'organizzazione di finanziarsi e finanziare tutte quelle attività legate alla micro e macrocriminalità: un duro colpo che ha portato a settembre 2011 a 55.087 beni sequestrati di cui 2.282 aziende, per un valore complessivo di ben 25,3 miliardi di euro. Si tratta di un patrimonio ingente, che è stato – sempre per volere del Ministro Maroni, e per la prima volta nella storia di questo Paese – così impiegato: per quanto riguarda le somme di denaro sequestrate alla mafia e i proventi derivanti dai beni sequestrati, sono stati immessi nel Fondo unico di giustizia, novità introdotta dal Governo nel 2008, per essere impiegati in progetti nel settore della sicurezza e della giustizia; le somme, infatti, sono divise al 50 per cento tra il Ministero dell'interno e quello della giustizia. Per quanto riguarda invece i beni immobili, con la legge del 31 marzo 2010, n. 50, per volere del Ministro Maroni è stata istituita l'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con il compito di provvedere alla loro gestione e destinazione ad uso sociale.
Tra le diverse misure introdotte da Maroni, inoltre, occorre ricordare l'inasprimento del regime di carcere duro per i colpevoli dei reati di mafia e camorra, l'esclusione dagli arresti domiciliari per tutti i reati di criminalità organizzata, il divieto di patteggiamento in appello, nuove norme in materia di lotta all'infiltrazione mafiosa negli appalti, e l'approvazione del primo codice delle leggi antimafia: ciò per fornire agli operatori uno strumento unico e veloce da utilizzare, contenente tutte quelle norme prima disperse nel nostro impianto normativo e molto spesso non coordinate fra loro.
Questo per dire che ogni iniziativa volta a migliorare e inasprire la lotta alla criminalità organizzata non può che vedere la Lega Nord favorevole: così come nel caso del provvedimento che ci troviamo oggi qui a discutere. Si tratta di un intervento di modifica alla normativa vigente in relazione al reato di scambio elettorale politico-mafioso, attualmente disciplinato dal menzionato articolo 416-ter del codice penale, introdotto dal decreto-legge n. 306 del 1992 e convertito dalla legge n. 356 del 1992.
Risale infatti proprio al 1992 il primo intervento mirato proprio ad affrontare il problema delle collusioni e delle contiguità tra i rappresentanti degli organi elettivi e le associazioni criminali di tipo mafioso; in particolare, l'articolo 11-ter del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, il cosiddetto decreto «Scotti-Martelli», convertito poi dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ha inserito nel codice penale l'articolo 416-ter, rubricato: «scambio elettorale politico-mafioso».
Il testo unificato all'esame dell'Assemblea novella dunque questo stesso articolo 416-ter del codice penale sotto un duplice profilo: da un lato, accentua la distinzione tra il delitto di scambio elettorale politico-mafioso e la fattispecie di associazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis, sempre risalente alla sopra richiamata normativa del 1992, anche attraverso una differenziazione dell'entità della pena; dall'altra, mediante una diversa formulazione della fattispecie, ne estende l'applicabilità anche a situazioni che prima sfuggivano alle maglie del dettato legislativo, modifiche rispetto alla disciplina vigente che si reputano necessarie per una lotta e un contrasto più efficaci ed efficienti alle diverse nuove e mutevoli forme che la malavita organizzata adotta per alterare le competizioni elettorali e la corretta dialettica democratica... ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, voglio iniziare il mio intervento leggendo le parole di Don Luigi Ciotti, il quale dice: «Il testo approvato all'unanimità dalla Commissione giustizia della Camera è una risposta concreta alla domanda di giustizia e di impegno portata avanti dalla società civile contro la corruzione, una vera e propria peste che distrugge lo sviluppo, le risorse, l'economia del Paese». Queste parole ci rendono bene l'idea, quindi, di qual è l'importanza e il valore di quello che oggi stiamo discutendo e di quello che io spero, domani, diventi norma di legge, approvata all'unanimità da questo Parlamento. È un passo in avanti dopo quello che molti hanno ricordato essere stato, purtroppo, il fallimento del tentativo di un grande uomo, che ha lottato contro la criminalità organizzata, come il giudice Falcone, quando, appunto, portando in Aula questa norma, fu bocciata dal Parlamento.
Oggi, quindi, noi siamo di fronte a un importante provvedimento, che vede anche un'altra cosa in campo: la sinergia tra quello che, nella società, si esprime e si è espresso grazie al gruppo Abele e all'associazione Libera – che hanno promosso la campagna «Riparte il futuro», una campagna contro la corruzione – e quello che in quest'Aula è rappresentato da ben 377 parlamentari, di cui circa 250 deputati, una buona parte del Partito Democratico, i quali si erano costituiti in un gruppo interparlamentare, i cosiddetti «Braccialetti bianchi» – io ne ho uno al polso – che avevano promesso all'inizio di questa legislatura, in campagna elettorale, e sottoscritto proprio questa campagna, dicendo che, in cento giorni, avremmo portato in Aula e approvato la modifica dell'articolo 416-ter del codice penale.
Lo voglio ricordare perché, molto spesso, in questi ultimi periodi, si è sentito attaccare la classe politica, la classe dirigente di questo Paese e il Parlamento, con attacchi che hanno alimentato anche la non credibilità della classe dirigente di questo Paese. Oggi, forse, l'approvazione della norma, così come è stata licenziata all'unanimità dalla Commissione giustizia – lo dice anche Don Luigi Ciotti – può essere un passo avanti anche nel recupero di autorevolezza e di credibilità del Parlamento e della sua classe politica e noi – come Partito Democratico –, lo voglio sottolineare ancora, ci batteremo proprio perché non ci sia il depotenziamento, attraverso emendamenti, della norma approvata all'unanimità in Commissione giustizia. Lo dico e lo affermo con forza perché penso che questo sia il punto e il passo in avanti che è stato fatto e verso il quale non si può ritornare indietro, se non inficiando quello che dicevo prima, cioè la credibilità di questa classe dirigente.
Per un Paese come il nostro, infatti, nel quale il fatturato annuo della corruzione e della criminalità organizzata viene stimato in 130 miliardi di euro, oggi l'attuale norma, il 416-ter, risulta inadeguata e non risponde alle esigenze che negli anni si sono sempre più manifestate come esigenze reali di un cambiamento di passo dell'enunciazione del diritto nei confronti della fantasia e della creatività delle organizzazioni criminali e la connivenza del potere politico. Oltre al denaro, appunto, ogni altra utilità: la merce di scambio, cioè quello che viene, in campagna elettorale e anche dopo, promesso sono varie cose – lo sappiamo tutti – oggetto di inchieste giudiziarie: qualcuno prima – il collega Sanna – ricordava la vicenda di Scalea, ma ne possiamo ricordare altre, possiamo ricordare, per esempio, la compravendita di voti nel precedente consiglio regionale della Lombardia, possiamo ricordare il recente caso del figlio dell'ex governatore Lombardo in Sicilia. Con riguardo a questo aspetto, l'unità del Paese viene dimostrata.
Ma appunto la merce di scambio è costituita da tante cose: da attribuzioni di posti di lavoro per sé e per altri, dalla concessione di appartamenti nelle case popolari, dal rilascio di autorizzazioni o licenze per attività commerciali ad aziende, dalla variazione dei piani urbanistici, dalla promessa di assegnazione di appalti e subappalti – in particolare di subappalti, lo ricordo bene e come calabrese lo dico con forza –, raccomandazioni e benefici e tante altri favoritismi. Ecco, oggi noi siamo in linea con quanto purtroppo molte volte ci è stato segnalato nelle relazioni della Procura nazionale antimafia, più in generale dalla magistratura e dalla stessa Commissione antimafia della scorsa legislatura. Ciò che appunto continua a sfuggire ancora con l'attuale formulazione del 416-ter alle maglie della giustizia è che spesso è un'entità che non emerge, non costituisce la minima parte di quella che oggi è la realtà del nostro Paese, ma ne costituisce la maggior parte; è un'entità che attanaglia gli stessi valori fondanti di questa democrazia. La criminalità organizzata ha grande interesse a far sì che dalle consultazioni elettorali vengano elette persone disponibili, se non addirittura stessi rappresentanti delle organizzazioni criminali, in grado appunto di favorirle attraverso diversi tipi di favori, di aiuti, di concessioni. Il potere criminale è in grado di spostare ingenti pacchetti di voti – e non è soltanto un problema territoriale, non è più legato soltanto al sud di questo Paese – e di condizionare l'intero risultato elettorale. Oggi quindi quello che noi stiamo discutendo e quello che noi vogliamo domani approvare è una necessità; è la necessità di dotare la nostra legislazione di strumenti che diano possibilità alle forze inquirenti, da un lato, di individuare i crimini e, dall'altro, alla magistratura di punire severamente queste forme di scambio, questo uso distorto e opportunistico del potere politico e della rappresentanza pubblica. Per combattere quindi la corruzione e la criminalità organizzata serve la decisione e la determinazione di tutti coloro che in quest'Aula ritengono che la corruzione e la criminalità organizzata non debbano essere più un elemento strutturale della nostra società, ma debbano essere finalmente sconfitte. E allora io credo e ritengo che l'approvazione di questo provvedimento sarà un forte segnale e che questa volta potremo dimostrare ai cittadini italiani che questo Parlamento fa finalmente sul serio contro la corruzione e contro la criminalità organizzata e andare fino in fondo a combatterla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). GIULIA SARTI. Signor Presidente, finalmente siamo giunti in questi giorni ad approvare una proposta di legge, come è già stato ricordato, attesa da molto molto tempo. Io non voglio stare qui oggi a ripercorrere la storia di questo importantissimo articolo, il 416-ter, che ha visto la luce in quel difficile 1992, nel momento immediatamente successivo alle stragi, né voglio stare qui a spiegare il contenuto della riforma che è già stata ben spiegata dai relatori e da tutti i miei colleghi. Mi preme piuttosto sottolineare, a nome del MoVimento 5 Stelle, quanto lo scambio elettorale politico-mafioso sia ancora oggi di notevole attualità. Non c’è bisogno di andare tanto lontano nel tempo per trovare numerosi esempi in tutta Italia di politici che si sono avvalsi della complicità di certi boss o affiliati a qualche cosca mafiosa per riuscire ad essere eletti. In Commissione giustizia, durante la corposa discussione che ha accompagnato l'adozione di questo testo, l'onorevole Cariello, deputato del Popolo della Libertà, ha affermato che secondo lui in realtà esistono due Italie. Ebbene, ci preme qui affermare che purtroppo quando si parla di mafia di Italia ce n’è una soltanto. Ricordiamo tutti il giorno dell'arresto del consigliere regionale del PdL Domenico Zambetti con l'accusa di aver pagato 200 mila euro in cambio di quattromila voti.
Non solo, la ’ndrangheta, addirittura, come è emerso dalle intercettazioni, lo rendeva un suo ostaggio. Il politico corrotto era stato obbligato a fare assumere in un ente pubblico, l'Aler, Azienda lombarda per l'edilizia residenziale, la figlia del boss Eugenio Costantino, a far rinnovare il contratto di parrucchiera per la sorella, ad assegnare una casa dell'ente pubblico alla sua amante e, ovviamente, a falsificare contratti pubblici a favore della ’ndrangheta.
In manette, quel giorno, era finito anche Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, il celebre ex sondaggista di Silvio Berlusconi, che per la DDA di Milano si sarebbe incaricato personalmente di raccogliere i voti nelle periferie milanesi, in accordo con i clan. Costo, 50 euro: questo è il prezzo che l'assessore avrebbe pagato per i pacchetti di preferenze offerti dalla criminalità organizzata calabrese nella regione del Nord.
Alle ultime elezioni, infatti, Zambetti aveva conquistato oltre 11 mila consensi, risultando così tra i più votati. Ma per ottenere il risultato, si sarebbe rivolto ai portavoce dei clan calabresi, pagandogli in varie rate, appunto, circa 200 mila euro. Vorrei ricordare e citare alcune parole di Ilda Boccassini a riguardo, la quale dichiarava: «che un candidato si rivolga alla criminalità organizzata come fosse una holding in grado di portare voti è un qualcosa di devastante per il principio stesso della democrazia».
Purtroppo, però, Zambetti era solo la punta dell’iceberg. I fatti accaduti proprio pochi mesi fa, per i quali è tuttora in corso il processo, rappresentano la prova che non si era trattato di un episodio isolato, ma che, al contrario, dietro si celava un vero e proprio sistema di corruzione, ormai collaudato e certificato, al quale si accompagnava una commistione con alcune delle cosche ’ndranghetiste.
Lo stesso giorno, guarda caso, in data 10 ottobre 2012, si scioglieva anche il consiglio comunale di Reggio Calabria. Le motivazioni erano contenute in un rapporto di ben 250 pagine, dalle quali emergeva il potere di controllo della ’ndrangheta su imprese municipali, bandi di gara, raccolta dei rifiuti, ma anche sul settore legale, arrivando a detenere persino la gestione dei beni confiscati alla stessa mafia calabrese.
E poi ancora, un altro esempio: l'eurodeputato Antinoro del partito «I Popolari di Italia Domani», in pratica ex UdC, condannato anche in appello proprio qualche giorno fa, il 5 luglio, per avere pagato 3 mila euro in cambio di 60 voti ad esponenti di Cosa Nostra dei mandamenti di Resuttana e dell'Arenella durante le elezioni regionali del 2008.
Il tribunale, nella motivazione della sentenza di primo grado, aveva scritto: il dubbio di un possibile legame con il boss Salvo Genova getta una pesante ombra sulla personalità di Antinoro, screditandone l'immagine pubblica con un sospetto di disponibilità verso certi ambienti mafiosi che va ben oltre il disvalore della condotta di corruzione elettorale accertata.
Insomma, il 2012 verrà ricordato un po’ come l'annus horribilis dei rapporti tra ’ndrangheta e politica del Nord Italia. Ciò, chiaramente, non significa che la liaison sia una novità degli ultimi mesi, ma, piuttosto, che, a partire dalle maxi operazioni contro la ’ndrangheta del 2011, come «Crimine-Infinito», tali relazioni sono venute alla luce con un'ampiezza e simultaneità mai registrata prima.
Gli arresti in Liguria, poi, che hanno inserito nella lista degli indagati anche gli ex sindaci PdL di Bordighera e Ventimiglia, comuni sciolti, anche questi, per mafia, rappresentano solo gli ultimi grani di un lungo rosario. Ciò che è certo è che le inchieste del 2012 hanno dipinto, comunque, scenari inquietanti, in cui logiche clientelari si mescolano a forme di voto di scambio, con tariffe e accordi che hanno soffocato quelle che sono le normali competizioni democratiche.
Qualche migliaio di preferenze per la promessa di appalti e lavori, 20 mila euro per il volantinaggio tra gli amici degli amici alle porte di Torino, 200 mila euro per un pacchetto di 4 mila preferenze in Lombardia non sono che degli esempi.
Quello che chiediamo oggi è, dunque, che ciascun rappresentante non attenda sempre l'intervento della magistratura per scoprire i capienti vasi di Pandora che si nascondono dietro i partiti, ma che, piuttosto, attenda ad una seria e responsabile autodisciplina da parte dei partiti stessi, dotandosi di regole severe per giungere davvero ad avere liste pulite e per punire con l'espulsione dal partito chi si macchia di condotte illecite.
Era l'8 settembre 2007, quando 350 mila persone gridavano in Piazza Maggiore a Bologna «Fuori i condannati dal Parlamento !». Quelle tre proposte di legge di iniziativa popolare contenenti richieste tutt'altro che estranee, ma anzi ovvie, ad una vera democrazia, hanno contribuito alla nascita di questo movimento che ancora oggi è qui a battersi perché a fare le leggi ci sia chi non è corrotto, in alcun modo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Il nostro appello, quindi, è che la modifica dell'articolo 416-ter, di cui ci stiamo occupando oggi, non sia altro che un punto di partenza all'interno di un sistema articolato e complesso, rivolto ad una repressione severa ed efficace di tale reato. Facciamo dunque in modo che l'onestà torni ad essere di moda, con particolare riferimento ai contesti istituzionali, anche se, perché ciò davvero avvenga, dovrebbe essere un principio base della vita di ognuno di noi. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). PINA PICIERNO. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, quando si volge lo sguardo all'indietro, quando si ripensa a quelli che sono stati i momenti più importanti che hanno segnato, che hanno migliorato, la nostra legislazione antimafia, ci si trova di fronte ad un dato inequivocabile, un dato drammatico e inequivocabile, e cioè che ogni passo in avanti, ogni singolo miglioramento della nostra legislazione antimafia, si è avuta come reazione rispetto al sacrificio, ma vorrei dire all'omicidio, di un servitore dello Stato. Ed è l'uccisione del generale Dalla Chiesa, e poi la reazione che si ebbe nell'opinione pubblica, che portò ad introdurre nel nostro ordinamento l'articolo 416-bis. Prima – lo voglio ricordare –, per tutte le tipologie dei delitti di mafia si faceva ricorso all'associazione per delinquere. Dopo l'omicidio Dalla Chiesa, fu invece Pio La Torre ad organizzare la risposta dello Stato. Fu Pio La Torre a tipizzare in maniera più efficace il fenomeno mafioso e ne definì – come sappiamo – alcuni tratti specifici. Sappiamo anche che gli costò la vita. Pio La Torre venne ammazzato alle 9,20 del 30 aprile dello stesso anno, 1982, mentre raggiungeva la sede del Partito comunista. E ci vollero, Presidente, ancora morti per definire nell'ordinamento lo scambio politico-mafioso: arriviamo al 1992, alle stragi del 1992, alle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E Giovanni Falcone aveva capito benissimo come il cuore del rapporto perverso tra mafia e politica non è tanto nello scambio di denaro, perché le mafie non hanno bisogno dei soldi dei politici. Le mafie hanno bisogno di ben altre utilità: hanno bisogno di appalti, hanno bisogno di informazioni riservate, hanno bisogno di condoni, hanno bisogno, Presidente e colleghi, della disponibilità dei rappresentanti delle istituzioni.
Dalle mie parti – io sono campana, sono casertana – c’è un modo per definire i politici che sono nella disponibilità degli uomini dei clan, i politici su cui si punta. Li chiamano «cavallucci»: sono i cavalli su cui i clan puntano per vederli poi eletti al comune, alla provincia, alla regione, in Parlamento. Questo, Giovanni Falcone lo sapeva benissimo. Sapeva benissimo quanto le organizzazioni mafiose si nutrono della disponibilità e del consenso di quegli uomini. Ed è per questo che, nel suo testo originario, non si limitava la tipizzazione del reato dello scambio mafioso allo scambio di denaro, appunto. E tuttavia, nemmeno dopo la sua morte, la politica ebbe la forza di andare fino in fondo e si approvò una norma debole, una norma monca, una norma parziale. Ed è per questo che io oggi voglio ricordarla, la lezione di Giovanni Falcone. E mi piacerebbe poter dire che voglio ricordare anche la debolezza della politica e delle istituzioni in quella circostanza.
Ma in questo caso, colleghi, purtroppo non c’è bisogno di grandi sforzi di memoria, perché negli anni questa debolezza si è acuita. L'incapacità di dare risposte serie e concrete alla lotta alle mafie è stata in questi anni la regola, non l'eccezione drammatica. La lotta alle mafie non è mai stata la priorità delle istituzioni democratiche e nemmeno di questo Parlamento. Per questo io innanzitutto voglio ricordare, oggi, in quest'Aula, i nomi di Dalla Chiesa, di Pio La Torre, di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone (Applausi). E ricordo anche che l'anniversario della morte di Paolo Borsellino ricorrerà tra pochissimi giorni. Perché se oggi siamo qui, se siamo alla vigilia di un risultato fondamentale, e cioè finalmente la tipizzazione efficace del reato di scambio elettorale politico-mafioso, lo dobbiamo anche al sacrificio, alla memoria, alla lezione altissima di questi servitori dello Stato. E nelle ore di confronto dei lavori in Commissione per arrivare ad una formulazione unitaria del testo, noi lo abbiamo sentito il fresco profumo della libertà, quello che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità, come ci ha insegnato il giudice Borsellino, lo abbiamo sentito nella fatica e nella bellezza del confronto con i colleghi di tutte le forze parlamentari, così come lo abbiamo sentito nelle parole dei cittadini che hanno sottoscritto l'appello di «Riparte il futuro», più di 270 mila cittadini che attraverso l'appello lanciato da Libera e dal gruppo Abele hanno chiesto a questo Parlamento di riformare l'articolo 416-ter. Ed io vorrei dire «grazie» al ognuno di quei cittadini. E vorrei dire «grazie» anche a Don Luigi Ciotti. Grazie, Don Luigi, per aver fatto sentire a quest'Aula, finalmente, il morso del più, come lo chiami tu sempre, che significa responsabilità, responsabilità a fare presto, a fare bene, responsabilità a fare di più. E noi abbiamo lavorato pensando alle tante persone perbene che hanno scelto di fare la propria parte, a quelli che si trovano nelle cooperative che lavorano le terre confiscate, tra gli imprenditori, tra i negozianti che hanno denunciato le estorsioni, abbiamo pensato a chi lavora nelle associazioni, a chi lavora nei movimenti contro le mafie, tra gli studenti, tra i familiari delle vittime, tra chi dedica il proprio tempo a portare la propria testimonianza tra i giovani. Ognuno di loro, colleghi, sa che non basterà il proprio impegno per vincere la battaglia contro le mafie eppure ci provano lo stesso, e lo fanno per non rassegnarsi a chi dice che tanto mai nulla potrà cambiare, resistono, resistono per non abituarsi alla rassegnazione. E tutte queste persone, tutti questi cittadini hanno da sempre guardato a questa Aula, alle istituzioni democratiche, con fiducia e con speranza. Ed è bello. È bello poter dire che questa Aula è stata, è finalmente all'altezza di quelle speranze e di quella fiducia. È bello sapere che oggi a vincere è la politica, quella da sempre al servizio del Paese, quella della democrazia, quella dei cittadini. Perché il testo che abbiamo licenziato all'unanimità in II Commissione (Giustizia) permetterà di tranciare in maniera netta i legami perversi tra politica e mafia, colpendo al cuore il funzionamento stesso della criminalità organizzata che, proprio grazie a questo sistema di rapporti illegali, prospera e si rinnova. Tutti coloro che hanno indagato sulle mafie, tutti quelli che le hanno studiate, tutti quelli che ce le hanno raccontate, tutti i magistrati, i giornalisti, i servitori dello Stato, ci hanno spiegato che il cuore delle organizzazioni criminali è negli affari che conducono a quel confine sottile, per certi aspetti sottilissimo, che esiste tra lecito e illecito, quel confine che esiste proprio con l'appoggio, con il consenso, con la collusione e qualche volta semplicemente con il silenzio di chi riveste ruoli di responsabilità nella politica, nell'amministrazione e anche nell'economia. Sono questi i legami che dobbiamo smascherare e che dobbiamo interrompere e la riforma dell'articolo 416-ter, la formulazione che, lo voglio ricordare ancora, abbiamo approvato all'unanimità, la norma di cui discutiamo oggi, finalmente, lo ripeto, finalmente, ci permette di farlo.
E allora io credo che noi dobbiamo andare avanti, dobbiamo proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso insieme, dobbiamo dichiarare in maniera chiara, in maniera netta, in maniera inequivocabile guerra a chi ha violentato la nostra terra, a chi l'ha privata di futuro disseminandola, per esempio, di rifiuti tossici, di paura, di violenza. Il Parlamento italiano non deve essere soltanto accanto, deve essere davanti a chi rischia, a chi combatte, a chi ci mette la faccia, a chi organizza la speranza, l'unica vera arma di resistenza in territori complicati come quello da cui provengo.
E permettetemi anche di mandare un abbraccio qui, da quest'Aula, a don Maurizio Patriciello e, insieme a lui, a tutti quelli che hanno imparato sulla loro pelle che la camorra non ammazza soltanto con le pistole, ammazza anche con i rifiuti tossici. E allora noi dovremmo qui oggi fondare un nuovo patto sociale, fondato sulla legalità come presupposto per la ricostruzione morale di questo Paese. Colleghi, costruiamo insieme una nuova etica della responsabilità al di là delle maggioranze e delle opposizioni, perché la legalità, la guerra contro chi ha violentato questo Paese non è una guerra di destra, non è una guerra di sinistra, non è un tema di Governo e non è nemmeno un tema di lotta, dovrebbe essere la premessa della politica.
Per questo io vi chiedo di stringerci intorno all'idea di fare presto, di fare meglio e di fare di più, tutti quanti insieme: facciamolo. Io credo sarà il modo migliore per ricordare Giovanni Falcone, per ricordare Paolo Borsellino, per ricordare la loro sete di verità, che nessuno ha potuto comprare, la loro onestà, che nessuno è riuscito a scalfire, e la loro moralità, che nessuno è riuscito a piegare (Applausi). ANDREA COLLETTI. Colleghi, sarò brevissimo per evitare che i fatti vengano sopraffatti dalle nostre parole, spesso vuote (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi stiamo discutendo di una proposta di legge meritoria, certo. Sicuramente migliorativa della precedente norma che era vieppiù inutile. Però, è sufficiente questa norma così come è uscita dalla Commissione ? Noi l'abbiamo votata, l'abbiamo votata per spirito di servizio, anche se speravamo in qualcosa di più, ed infatti la riteniamo ancora insufficiente. Infatti, questa norma è un chiaro compromesso, purtroppo, tra i due partiti di maggioranza. Un compromesso che su norme di questa portata non dovrebbe mai esserci, perché su alcune cose non bisogna avere alcun compromesso.
Con l'attuale formulazione succede che il politico che chiede al mafioso il procacciamento di voti senza arrivare ad un accordo risulti difficilmente imputabile, nonostante l'articolo 56 del codice penale, quindi nonostante il cosiddetto «delitto tentato». E allora ci chiediamo se una proposta di legge di tal fatta, se pur meritoria perché allarga la portata dell'accordo, la portata dell'imputabilità, non sia fatta apposta per salvare alcune categorie di persone, in specie le categorie dei politici. Ed è proprio per questo che abbiamo presentato un emendamento per allargare la portata della norma, un emendamento che – siamo sicuri – verrà approvato da tutto questo Parlamento.
Come ultima cosa – proprio per non dilungarmi – vediamo una locuzione che è stata messa nel testo unificato: «accetta consapevolmente», «chiunque accetta consapevolmente». Ora immaginiamo ci possa essere un'accettazione a sua insaputa, un po’ stile «casa al Colosseo di Scajola ?» Allora serve a qualcosa questo avverbio «consapevolmente» ? Non serve a niente, ma in realtà c’è un rischio, un rischio ben chiaro: il rischio che inserendo questo avverbio si depotenzi la norma perché, anche senza questo avverbio, in realtà è necessario il dolo specifico – qui entriamo più nel tecnico. C’è già il dolo specifico, perché inserire ancora il «consapevolmente» ? A che pro ?
E allora, forse, può anche sembrare che si stia tentando di restringere la portata di questa norma, restringerla dalla parte del dolo, che è la parte più rischiosa perché è la parte più difficile da provare. Già sappiamo che l'utilità della norma precedente, ed ancora in vigore, era il fatto che si chiudeva con la dazione di denaro, e già sappiamo, come hanno detto tutti, che il denaro era l'ultima cosa che, forse, cercavano le associazioni mafiose. Però, d'altra parte, era il dolo specifico ad essere sempre difficile da dimostrare. Ma se andiamo ad aggravare questo dolo specifico, quanto sarà difficile dimostrare questa fattispecie incriminatrice ? Molto difficile. E, allora, in queste ventiquattr'ore che ci separano dal voto, vi invitiamo, e invitiamo noi stessi, a riflettere sulla portata degli emendamenti affinché tutti insieme possiamo riuscire a ragionare se un compromesso vale una norma di questa portata (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). MICHELA ROSTAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo quest'oggi ad approfondire un tema estremamente delicato e complesso, specie per il nostro Paese e per il momento storico, economico, sociale e politico che esso sta attraversando in questi mesi. Un approfondimento che però non può prescindere dall'acquisizione collettiva, da parte di quest'Aula, della consapevolezza di quanto sia dilagante e distruttivo il fenomeno della corruzione. Un fenomeno che trova nel voto di scambio politico-mafioso il suo più bieco e cinico strumento di attuazione. È nel voto di scambio, infatti, che si concretizza la peggiore mortificazione di una democrazia e l'offesa più grave a ciò che lo Stato e il suo popolo dovrebbero insieme rappresentare. È necessario colpire ed arginare in modo drastico tale fattispecie. E questo ancor di più quando sullo sfondo del voto di scambio si manifesta la grigia e maleodorante presenza di un ritorno di tipo mafioso e distorto dell'esercizio del consenso. Di tanto dovrà – e sono sicura che così sarà – convincersi quest'Aula, e di tanto la comunità che rappresentiamo è probabilmente già convinta e ferma, come è emerso dall'ottimo lavoro svolto da Don Ciotti con Libera e con il gruppo Abele, ai quali va il mio ringraziamento per l'impegno profuso. Un ringraziamento che rivolgo anche ai colleghi aderenti al movimento dei Braccialetti bianchi ed ai componenti della Commissione giustizia che in modo rapido, molto efficiente e funzionale hanno licenziato il testo che oggi è posto all'esame dell'Aula.
Nel periodo forse più difficile che stiamo attraversando, l'opinione pubblica italiana avverte il bisogno di ricevere, da chi ha l'onere e l'onore di rappresentarla in Parlamento, prove tangibili di lotta alla corruzione e, al tempo stesso, di ricostruzione di un elevato profilo morale ed etico della politica. Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese e le loro dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che spesso vengono faticosamente alla luce. Questo è quanto affermato di recente dal presidente della Corte dei conti: la corruzione in Italia vale circa 60 miliardi di euro l'anno, una cifra da capogiro, una stima impressionante, che rende improcrastinabile un intervento ed una reazione forte da parte dello Stato. In questo scenario è necessario, a mio avviso, un esame del ruolo e della funzione che negli ultimi decenni hanno assunto le mafie nel nostro Paese. Non siamo più di fronte a semplici organizzazioni criminali, bensì siamo innanzi a veri e propri sistemi di potere che hanno avuto la capacità di sprovincializzarsi, di diffondersi all'estero, di compenetrarsi nelle istituzioni, nello Stato e negli enti locali. È una mafia, quella moderna, che si caratterizza per un rapporto peculiare che l'organizzazione intrattiene con il territorio e con l'autorità politica. L'uso della violenza non è più fine a se stessa, ma è strumentale all'instaurazione di un controllo del territorio sempre più totalizzante che porta il sistema mafioso sino quasi a sostituirsi allo Stato nell'esercizio delle sue funzioni, quali la gestione delle economie, il mantenimento dell'ordine e l'amministrazione della giustizia.
Questo stesso potere si traduce al contempo nel controllo di risorse politiche fondamentali (il voto), che consentono alle mafie di porsi come interlocutori della politica, affiancando o sostituendo alla logica della contrapposizione quella dello scambio, del ricatto, dell'infiltrazione, il tutto finalizzato alla gestione diretta e/o indiretta delle risorse destinate dallo Stato alle nostre comunità. Questo fenomeno, purtroppo, ha trovato terreno fertile nel quale attecchire specie nel Mezzogiorno d'Italia, in quelle terre più sofferenti, soprattutto a partire dagli anni Sessanta e Settanta, durante i quali il meridione ha perso il decisivo treno del rilancio economico, alla cui assenza ha fatto da contraltare la diffusione di un sempre crescente arretramento sul piano sociale. Un periodo, quello prima indicato, durante il quale le nostre regioni sono state destinatarie di risorse assolutamente straordinarie, la cui gestione tuttavia, anche a causa di quella strisciante connivenza tra pubblico e criminalità organizzata, non ha mai portato al consolidamento strutturale di un percorso di sviluppo, bensì al foraggiamento di localismi e clientelismi di vario genere. Tutto questo ha determinato la creazione di veri e propri governi mafiosi e paralleli dell'economia e della finanza pubblica, che si sono concentrati in alcune aree delle tre regioni meridionali più esposte a questi fenomeni, tra le quali – consentitemi una breve digressione personale – anche e soprattutto quell'area disgraziata posta al confine tra le province di Napoli e Caserta, feudo incontrastato della camorra, dei clan partenopei, di quella Gomorra raccontata da Saviano e a tutti tristemente nota, che da decenni stritola e mortifica la mia comunità di provenienza ed un territorio nel quale quotidianamente si assiste alla mortificazione della dignità umana, dei più elementari diritti civili e politici e ad una dilagante corruzione che consuma le già scarse risorse a disposizione della collettività, senza in alcun modo consentire la costruzione di un futuro e di una prospettiva di sviluppo.
Le mie riflessioni trovano conferma nelle vicende che hanno interessato dapprima molti comuni meridionali, sciolti per mafia o camorra, vicende che al tempo stesso iniziano ad interessare da tempo oramai anche il settentrione, nel segno di una malavita che tende a spostarsi e ad ampliare il proprio raggio d'azione. Un condizionamento insostenibile, inaccettabile ed intollerabile. La riforma dell'articolo 416-ter del codice penale, che ci apprestiamo a varare, è un primo segnale che quest'Aula deve dare all'esterno. Si tratta di una riforma indispensabile per dare forza ad una norma che altrimenti sarebbe rimasta monca e pertanto inefficace. Troppe, tante sono le utilità che oggi possono essere oggetto di voto di scambio politico-mafioso: appalti, consulenze, incarichi, autorizzazioni, concessioni, tutti atti pubblici che spesso, per i singoli appartenenti alle organizzazioni criminali, possono avere un valore inestimabile, essere oggetto di voto di scambio politico-mafioso e rappresentare una contropartita ben più preziosa di una semplice somma di denaro.
Ben venga dunque il giusto ed opportuno completamento della dizione dell'articolo 416-ter, che diversamente sarebbe rimasto confinato, nella sua applicabilità, alle sole ipotesi di trasferimento di denaro in cambio del voto, ipotesi evidentemente non facilmente rintracciabili, individuabili e, nella stragrande maggioranza dei casi, perseguibili, proprio perché ad esse sono subentrate quelle fattispecie più complesse di cui parlavo. È una modifica normativa che sento ancor più necessaria ed indispensabile per ridare la giusta dignità alla libertà nell'esercizio del diritto di voto, specie in quelle terre del Mezzogiorno dove l'esercizio libero e non condizionato è sistematicamente messo a rischio da una pluralità di concause, a prescindere dalla corruzione. È per tutto questo, dunque, che ho aderito alla proposta di modifica dell'articolo 416-ter.
Un uomo dello Stato, delle istituzioni, esempio di vita e di onestà, specie per tanti giovani come me e come gli altri colleghi, che al tempo della strage di Capaci erano ancora adolescenti, Giovanni Falcone, affermava che «bisogna rendersi conto che la mafia è un fenomeno terribilmente serio e grave e che va combattuto non pretendendo l'eroismo di inermi cittadini, ma coinvolgendo nella lotta le forze migliori delle istituzioni». La riforma che ci apprestiamo a varare va nella direzione di elevare il livello di preservazione di quelle istituzioni, nel cui coinvolgimento credeva fortemente Giovanni Falcone.
Una riforma che non può che essere l'inizio di un percorso di lotta alla corruzione e, al tempo stesso, di reimpiego di tutte quelle risorse che potremo liberare sottraendole al malgoverno determinato dal voto di scambio politico-mafioso e destinandole al riscatto sociale ed economico di quei territori e di quelle fasce di popolazione disagiati che potranno così essere liberi di vivere ed esercitare democraticamente il proprio diritto di voto e la propria libertà di autodeterminazione politica.
Concludo: legalità e libertà, diceva Wolfgang Goethe. E questo principio, questo bisogno di legalità, trovano nell'affermazione e nella tutela della libertà del voto la loro massima espressione. E noi dobbiamo, perciò, partendo da oggi, partendo da qui, lavorare affinché questa libertà possa essere sempre più un diritto assoluto ed un bene intoccabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). MATTEO BIFFONI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, c’è un considerevole rischio di cedere alla retorica nell'intervenire su un argomento come la modifica del testo dell'articolo 416-ter del codice penale. Ma io e i colleghi che sono intervenuti, abbiamo voluto affrontare e abbiamo superato questo pericolo in un'occasione come quella di oggi, consapevoli del fatto che non si discute di una mera modifica del codice penale. No, Presidente, cari colleghi, quella di oggi è una modifica che ha anche un'innegabile valenza politica in quanto simboleggia la prova dell'impegno di questo Parlamento a dare, come ci eravamo ripromessi nel momento in cui abbiamo iniziato a indossare questi braccialetti bianchi, una rapida e tecnicamente valida risposta a quello che non poteva non essere considerato che un vulnus all'efficacia nella lotta alla corruzione, a un sistema di potere che non deve trovare cittadinanza alcuna in un Paese civile e che deve essere combattuto con i migliori strumenti possibili.
Inquadriamo quello di cui stiamo parlando. Per dottrina e giurisprudenza, la materia dell'articolo 416-ter del codice penale rientra in quella categoria di reati plurioffensivi che, insieme all'interesse all'ordine pubblico, è deputata a presidiare il principio di legalità democratica e rappresentativa delle istituzioni politiche. In particolare, la prescrizione in analisi mira ad arginare l'incidenza del fenomeno mafioso sulla ricerca del consenso, onde evitare una compromissione dello stesse fondamenta su cui si edifica il nostro assetto statuale. Secondo alcuni, l'interesse all'ordine pubblico riceverebbe addirittura tutela mediata e anticipata attraverso la difesa delle istituzioni dalle infiltrazioni e dai condizionamenti mafiosi, assumendo, invece, valore preminente lo scopo di salvaguardare i cardini su cui regge il nostro sistema repubblicano, con la garanzia che l'accesso alle cariche elettive avvenga in regime di parità tra i contendenti e, più in generale, che la cittadinanza possa liberamente esprimere le proprie preferenze. Ecco quello di cui stiamo parlando.
L'attuale formulazione dell'articolo 416-ter del codice penale sullo scambio elettorale politico-mafioso, che limita la punizione a chi ottiene la promessa di voti in cambio di erogazioni in denaro, non basta. Come larga parte della dottrina, gli operatori di diritto – già ce lo accennava il giudice Falcone – e la campagna contro la corruzione promossa dal gruppo «Abele» e dall'associazione «Libera Riparte il futuro» hanno notato, tale formulazione lascia ampie sacche di impunità relativamente ad un comportamento che mina dal profondo la tenuta democratica del nostro Paese. L'attuale definizione del fatto tipico è, purtroppo, a causa di quella che appare una scelta più che discutibile del legislatore, idonea ad annacquare fortemente l'efficienza repressiva della norma, l'alveo operativo dell'articolo 416-ter, laddove al suo interno si è identificato il pretium sceleris, non già in una certa utilità come facciamo ora, bensì nella sola somministrazione di denaro e non abbraccia quel composito ventaglio di casi, di frequente verificazione nell'ambito di simile humus delinquenziale, in cui il compenso offerto a fronte della promessa di voti si sostanzi in vantaggi diversi dalla pura materia monetaria: appalti, posti di lavoro, incarichi professionali, concessioni, autorizzazioni.
La nuova formulazione della legge ha, dunque, l'effetto di allargare l'applicazione della legge stessa. Offrire denaro, infatti, non è l'unica possibilità che il politico mette in campo nello scambio corruttivo. Può utilizzare ben altri favori: promesse di informazioni su appalti, permettendo così l'infiltrazione criminale nell'economia, posti di lavoro da garantire ai clan presenti sul territorio, protezione dall'azione repressiva, ostacolando in diversi modi il lavoro delle forze di polizia, ma anche poltrone, cariche influenti e così via.
La criminalità organizzata, disponendo spesso di un interminabile flusso di soldi provenienti dai suoi lucrosi traffici, non avverte certo il bisogno di approvigionarsi elemosinando denaro da questo o quell'esponente di partito. Anzi, talvolta opta, viceversa, lei stessa ad investire le proprie risorse, finanche nella conquista di posti di vertice a livello politico: in proposito, e al di là di stereotipati luoghi comuni, non può essere tralasciato il dato fenomenologico per il quale non è sempre il politico ad accostarsi alle «famiglie» per guadagnare voti, essendo piuttosto i loro affiliati a concorrere in prima persona all'occupazione dei gangli del potere.
La politica deve fare la sua parte, sempre: aver accolto nei tempi debiti ed efficacemente l'appello che ci ha rivolto Libera assume, secondo me, anche il significato di aiutare a preservare quel sentimento di obbligo politico tra la cittadinanza e le istituzioni, evitando quel sentimento, ogni tanto immotivato, talvolta, purtroppo, giustificato, di assuefazione alla paralisi dell'intervento quando si parla delle regole per il ceto politico. Ecco, mi auguro davvero che quella significativa unanimità raggiunta in commissione, trovi corrispondenza in quest'Aula.
Vi è una vastissima area di cittadini attivi, competenti e appassionati, che hanno a cuore la politica e che premono perché si faccia tutto quello che è necessario affinché il tema della legalità non sia mai dato per acquisito: iniziamo dunque recidendo una volta per tutte i legami perversi tra politica e mafia e colpendo dritto il funzionamento stesso della criminalità organizzata, che proprio grazie a questo sistema di rapporti illegali, soprattutto in un periodo di difficoltà economica come quello che il Paese attraversa, rischia di rafforzarsi e di mettere a repentaglio le stesse istituzioni democratiche, tenendole in ostaggio attraverso l'appoggio di colui verso il quale ha concordato di fare convergere i suffragi, ottenendone l'appoggio e la copertura.
La criminalità organizzata, e coloro che dei suoi malsani servigi intendono avvalersi, non troveranno alcun margine nelle urne, qualunque siano i termini dello scambio, nel momento in cui questa modifica diverrà legge. È una enorme, formidabile diga a difesa della politica vera.
Lo scambio elettorale politico-mafioso dimostra quanto sia pericoloso il fenomeno della corruzione, smascherando le sue forme più estreme per comprendere anche quelle meno visibili, ma più diffuse, che spesso sono considerate solo atti di malcostume: se si vuole ribadire la necessità di rompere il legame che unisce il mondo della politica a quello della criminalità organizzata, il tema del voto di scambio politico-mafioso è di importanza cruciale perché riguarda quel patto malavitoso che consente l'ingresso della criminalità organizzata nelle Istituzioni e pertanto appare urgente, oltre che necessaria.
Avevamo deciso di non condannare a un'effimera sopravvivenza l'articolo 416-ter del codice penale: per questo, il testo dell'articolo, nel corso delle audizioni e attraverso il certosino lavoro dei relatori e della Commissione, è cambiato più volte, per raggiungere quell'equilibrio tecnico che sappia dare le giuste garanzie a chi vi viene involontariamente ed inconsapevolmente coinvolto, e sanzionare duramente, ma equamente, chi si macchia di un tale reato: adesso dobbiamo solo compiere l'ultimo passaggio, perché quando abbiamo indossato questo braccialetto abbiamo deciso che la cosa poteva e doveva essere fatta, e che bisognava solo trovare il modo: ecco, lo abbiamo trovato: adesso portiamolo a compimento. LAURA GARAVINI. Grazie Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi. Con l'approvazione, mi auguro all'unanimità di questo provvedimento, e dunque della rettifica dell'articolo 416-ter, questo Parlamento si appresta a compiere un passo avanti e un atto decisamente importante. Era ora. Ci sarebbe quasi da dire che ci sarebbe da vergognarsi di non essere riusciti a farlo prima. Perché, se le mafie oggi sono così potenti e pervasive, questo è dovuto anche al fatto che fino ad oggi non abbiamo contrastato a sufficienza le infiltrazioni della criminalità organizzata nella politica. Le mafie oggi sono così pericolose perché sono riuscite ad infiltrarsi non soltanto nel tessuto economico e sociale del paese, ma sono riuscite anche ad entrare nei meccanismi politici dell'assegnazione del denaro pubblico. E questo non soltanto a livello nazionale ma purtroppo, in modo esteso, soprattutto a livello comunale, amministrativo, in interi territori del paese. Dunque, solo se spezziamo il vincolo tra mafia e politica possiamo pensare di contrastare seriamente il crimine organizzato e con il 416-ter ci dotiamo di uno strumento utile proprio a questo scopo: a punire la concessione di privilegi che non siano solo denaro ma anche altro, che siano appalti, concessioni, cambiamenti di destinazione di terreni edificabili, posti di lavoro, condoni e quant'altro.
Altro, altre utilità conferite abusando del proprio ruolo decisionale in qualità di politico, con l'unico obiettivo di ottenere in cambio voti. Vorrei partire da un esempio concreto, vorrei illustrare come si manifesta il fenomeno del voto di scambio a partire da un caso reale, un'inchiesta vera e propria scritta nero su bianco – poco fa ne faceva cenno anche il collega Francesco Sanna – relativa all'arresto, alcuni giorni fa, in una località calabrese, Scalea, di 38 persone, compreso anche il sequestro di svariati milioni di euro. Non è di certo la più significativa, ma proprio perché così recente rende in modo esemplare quelle che sono le infiltrazioni della mafia nell'amministrazione e come tali infiltrazioni possono condizionare e monopolizzare la vita pubblica di un'intera comunità soggiogandola al potere mafioso.
Tra gli arrestati a Scalea ci sono, tra gli altri: il sindaco, cinque assessori (quello ai lavori pubblici, quella al demanio, quello al commercio), l'ex comandante dei vigili urbani e numerosi funzionari del comune, tra cui il geometra, il presidente della commissione delle gare, il responsabile dell'ufficio tecnico, il tutto sintomo di una vera organizzazione strutturata e sistemica. Con una mirata azione di procacciamento dei voti si è riusciti ad eleggere i propri uomini in posti cruciali della giunta comunale, dopodiché si è proceduto ad una minuziosa gestione criminale degli appalti pubblici. Dall'inchiesta emergono modalità esemplari tipiche di una miriade di inchieste. In questo caso il clan locale, vale a dire il clan Valente-Stummo avrebbe gestito le ultime elezioni comunali, nel 2010, riuscendo a fare eleggere i propri candidati al comune, questi si sono poi prodigati attraverso delibere in giunta e attraverso una matematica spartizione degli appalti a favorire le imprese legate alle cosche.
Dunque, come funziona il meccanismo ? La mafia controlla pacchetti di voti, elegge i propri uomini o candidati, che si impegnano a ricompensare in qualche modo il consenso elettorale ottenuto, una volta eletti la mafia li condiziona laddove vengono chiamati a deliberare in giunta su una serie di importanti decisioni, vuoi che sia quali terreni rendere edificabili – decisioni che chiaramente incrementano considerevolmente il valore dei terreni –, quali dipendenti comunali possono ricoprire funzioni importanti per l'assegnazione di fondi di pubblici, se vengono o meno eseguiti controlli volti ad evitare irregolarità, a quale impresa assegnare l'appalto «x-y», o se autorizzare o meno l'apertura di un nuovo esercizio commerciale. Ecco che il risultato del voto di scambio è che vengono favorite le imprese vicino alle cosche, quelle che operano spesso fuori dalla legalità, che dispongono di grandi quantitativi di denaro sporco e sono quindi in grado di condizionare i prezzi.
Favorite dai politici infiltrati nelle amministrazioni mafiose, queste aziende offrono prezzi bassissimi per i loro servizi, inquinando i normali equilibri della libera concorrenza e mettendo in ginocchio le imprese legali, costringendole quindi ad uscire dal mercato. Dunque, ciò che se ne ricava è una spirale infernale, una spirale dell'illegalità, una spirale che chiaramente va a favorire soltanto le aziende mafiose, dunque quelle che risultano poi sostanzialmente le uniche ad essere nelle condizioni di lavorare, di lavorare in modo redditizio, e quindi sono le uniche che sono nelle condizioni di offrire posti di lavoro, sono le uniche a dispensare commesse ad altre aziende fornitrici e dunque, alla fine dei conti, sono le uniche a produrre indotto, a produrre lavoro, a produrre ricchezza.
Dunque, davvero una spirale infernale grave, un circolo chiuso dell'illegalità che rischia di condizionare interi territori del Paese. Ecco perché è fondamentale che cerchiamo di spezzare questo circolo vizioso, e il 416-ter è uno strumento importante che ci può aiutare a farlo.
Fa piacere, signor Presidente, essere qui oggi e a prestarci, io mi auguro, a votare all'unanimità questo provvedimento. Solo sei mesi fa eravamo da soli, come Partito Democratico.
Eravamo gli unici, insieme a pochi colleghi, pecore nere all'interno di alcuni, pochi partiti, eravamo gli unici a chiedere l'adozione e la votazione del voto di scambio; i nostri emendamenti, eravamo costretti sostanzialmente ogni volta, su ogni provvedimento, a cassarli, a ritirarli, non c'erano le condizioni politiche né di maggioranza all'interno, appunto, degli equilibri di Governo che ci consentissero di approvare questo provvedimento così importante. Dunque fa piacere oggi apprestarci oggi a votarlo all'unanimità.
Va dato atto ai promotori della campagna di Riparte il futuro, di essere riusciti ad incrementare la sensibilità da parte delle diverse forze politiche finora restie all'introduzione del 416-ter; bisogna sicuramente fare tesoro di questa esperienza e dobbiamo fare sì che la si possa applicare anche per altri provvedimenti, altrettanto urgenti: penso all'adozione dell'autoriciclaggio, penso al ripristino del falso in bilancio, penso all'introduzione dei reati ambientali nel codice penale.
C’è ancora sicuramente tanta strada da fare, è molto positivo che oggi, anzi domani, con l'adozione e il voto di questo provvedimento riusciamo insieme, all'unanimità, a fare un passo avanti in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
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Intervengono nella discussione sulle linee generali i deputati FRANCESCO SANNA (PD) (Vedi RS), ANDREA GIORGIS (PD) (Vedi RS), SERGIO BOCCADUTRI (SEL) (Vedi RS), GERO GRASSI (PD) (Vedi RS), GREGORIO FONTANA (PdL) (Vedi RS) e FABIANA DADONE (M5S) (Vedi RS).
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FRANCESCO SANNA. Signor Presidente, colleghi, credo di poter dire a nome dei presenti, non tantissimi, che lei, onorevole Cozzolino, ha qualcosa di più della personale simpatia che invocava De Gasperi all'assemblea delle nazioni vincitrici della guerra in Italia nel secondo dopoguerra.
La guerra di cui noi parliamo è una guerra che ha caratteristiche diverse: più che una guerra, è una competizione di comunicazione, una competizione che riguarda la credibilità della politica, è una guerra che il sistema politico italiano deve combattere con se stesso, anche sul versante della capacità di autofinanziarsi – perché questa, mi pare sia del tutto evidente, è la nostra futura prospettiva, vedremo poi come – rispetto ad un suo profilo di credibilità persa, rispetto ad un suo profilo di distacco dai cittadini, rispetto a un suo profilo di abbandono – diciamo così – delle prassi che hanno, nei decenni precedenti, riguardato la modalità, a volte eccessivamente senza controllo, di spesa del finanziamento pubblico dei partiti. Senza, però, ricordarci di un elemento fondativo della nostra Costituzione italiana, rischiamo di andare a discutere di finanziamento fuori strada.
L'articolo 49 della nostra Costituzione, legato al modo con cui la sovranità popolare si esercita, individua nei partiti il modo con cui i cittadini, con metodo democratico – che, per quanto mi riguarda, significa partecipando alle elezioni politiche e amministrative, quindi esercitando democrazia ed essendo anche democratici al loro interno e, quindi, avendo l'obbligo di scrivere le regole che attengono alla democrazia dei partiti e dei movimenti politici – si associano per determinare l'indirizzo politico generale, non solo quando ci si presenta alle elezioni, ma quando si inventano nelle epoche storiche che si susseguono l'una dopo l'altra le forme più adeguate di partecipazione, affinché questo metodo democratico si esprima. È per questo motivo che io ritengo sia importante che il Parlamento si occupi delle modalità di finanziamento dei partiti, così come è importante che, al fianco di questo finanziamento, a oltre sessant'anni dalla scrittura dell'articolo 49 della Costituzione, ci si ponga il problema di come l'esercizio della democrazia da parte dei partiti senz'altro, ma dentro i partiti, si configuri come uno specifico obbligo, non come una semplice facoltà che i partiti hanno una volta che scelgono la strada del cimento nelle elezioni, soprattutto quelle politiche. Il fatto nuovo che si è verificato nel giro degli ultimi anni è senz'altro quello di un rigurgito di scandali, che è stato opportuno che siano emersi e siano stati repressi dalla giustizia penale nell'ambito dell'utilizzazione dei fondi del sistema pubblico di finanziamento, sistema pubblico diretto, con un'iniziativa e una reazione del sistema politico in Parlamento nella scorsa legislatura, che ha portato alla ridefinizione complessiva del carico sulla spesa pubblica del finanziamento diretto e indiretto ai partiti. Questo è il secondo elemento che dobbiamo considerare e io vi prego di considerarlo nella sua dimensione, perché, nel giro di un anno, si è avuta l'eliminazione di una norma, che io ritengo vergognosa, per cui il finanziamento pubblico interveniva linearmente nel tempo anche a favore delle forze politiche che avessero partecipato a elezioni durante una fase interrotta della legislatura e, quindi, in qualche modo portando ad una duplicazione e ad un sistema di incremento – diciamo così – eccessivo delle dotazioni finanziarie a favore dei partiti politici o delle liste che si presentavano alle elezioni, perché si trattava e si tratta anche di liste che non hanno una connotazione di partito in senso classico. E questo è uno dei limiti della legge sul finanziamento del passato. Però anche la legge che nel 2012 ha portato ad una ulteriore riduzione del 50 per cento, con la messa a disposizione della dotazione finanziaria praticamente di un semestre, oltre poco più di 90 milioni, a favore delle popolazioni colpite dal terremoto dell'Emilia, è stato un altro ulteriore passo verso un ridimensionamento del sistema di finanziamento pubblico diretto, e già in quella sede noi abbiamo avuto l'apertura a forme di finanziamento che dipendono dalla volontarietà dei cittadini, che liberamente decidono di farsi donatori di risorse private alla vita e al sistema dei partiti e dei movimenti politici. Questa è un'innovazione che ritengo molto importante, che vedremo e sperimenteremo per la prima volta proprio nell'anno 2013 e che in qualche modo costituisce – direi – un pezzo della catena evolutiva che porta invece alla presentazione, all'inizio di questa legislatura, di una serie di progetti di legge che ruotano con forte sintonia tra tutti loro attorno alla conferma ed all'accentuazione del meccanismo della volontarietà. Io credo che il disegno di legge del Governo, che pochi giorni fa abbiamo nella Commissione affari costituzionali adottato come testo base della nostra futura discussione, articolo per articolo, rappresenti bene la volontà del sistema politico di prendere atto che questa del finanziamento è una nuova sfida rispetto alla storia del passato e anche rispetto alla storia di forte ridimensionamento finanziario degli ultimi diciotto mesi.
Lo ricordo: eliminazione della disposizione che rendeva duplicabile, in caso di elezioni anticipate, il finanziamento dei partiti, dimezzamento dei fondi – oggi sono 91 milioni in ragione di anno – per definire, nel globale del finanziamento, una quota pari all'incirca ad un terzo, determinata quale cofinanziamento in seguito alla donazione volontaria da parte dei cittadini.
Quali sono gli elementi su cui, secondo me, qui, in questo Parlamento, noi potremmo convergere tutti, senza fare l'errore di fare finta che i partiti non esistano nella Costituzione e che non siano, invece, uno strumento fondamentale e importantissimo per garantire che il diritto politico di associazione si determini con capacità concreta di influenza dell'indirizzo politico del Paese, e quindi facendo finta che la politica, per definizione, non debba ricevere alcun tipo di finanziamento pubblico, nemmeno sotto forma di servizi, nemmeno sotto forma di sgravi fiscali alle erogazioni liberali, come, invece, avviene per importanti iniziative in ambito sociale e in ambito culturale ?
Vi è una teorizzazione che porta alla negazione dell'articolo 49 della Costituzione, dalla quale noi prendiamo totalmente le distanze, perché vi sono attività che attengono al sociale che sono egualmente importanti come le attività di volontariato politico che il finanziamento indiretto della politica può far conseguire.
Quindi, girando la nostra prospettiva, io non credo che le attività di un partito politico, di una sede in cui si discuta della cosa pubblica, in cui si possa rendicontare il lavoro istituzionale, in cui si possa anche fare le bucce e verificare criticamente il comportamento delle rappresentanze amministrative e istituzionali, non credo che questo lavoro di tipo politico-organizzato sia inferiore, come importanza democratica e costituzionale, a quello di una ONLUS polisportiva bocciofila, per usare un'espressione che è entrata nel linguaggio del Partito Democratico per quanto riguarda il suo modo di governarsi. Io non credo proprio che lo sia !
E allora, volontarietà dei finanziamenti, maggiori controlli sui finanziamenti da parte di organismi istituiti dalla legge, obbligo di certificazione dei bilanci, con un'esplosione e un dettaglio delle voci che attengono al modo in cui non i soldi entrano, ma come escono e per che cosa sono utilizzati, ma anche, legato a tutto questo e, se si vuole, con un sistema simile a quello del 5 per mille, che già oggi noi usiamo per le ONLUS e per le associazioni di promozione sociale, che, ripeto, non sono da meno, ma non sono di più, quanto a importanza costituzionale, rispetto ai partiti politici, una possibilità che i cittadini liberamente votino ogni anno il loro contributo.
Non uso le parole «conferiscano il loro contributo», ma si dice che i mercati votano. Bene, i cittadini possono votare ogni anno con il loro 730, decidendo liberamente di indirizzare ad uno o ad un altro, ad una o ad un'altra delle formazioni politiche, una quota del loro gettito fiscale, premiando e punendo; premiando se abbiamo fatto bene, punendo se abbiamo fatto male, oppure semplicemente sospendendo questa loro facoltà non finanziando nessuno, e quindi portando una quota di gettito dello Stato nella disponibilità completa dello Stato, a seconda della valutazione che il singolo cittadino dà del sistema politico in generale e di quella formazione politica in particolare, che se vuole sarà aiutata e se non vuole sarà ricondotta, addirittura, a soffrire la fame, nel caso in cui il comportamento politico non sia giudicato in termini positivi.
Quindi, nessuna obbligatorietà di cofinanziamento, nessuna obbligatorietà di utilizzare il 2 per mille – o quello che sarà –, in una maniera tale per cui ci sono redistribuzioni occulte di questa parte finanziaria. Ebbene, tutto questo lo stiamo facendo e discutendo nell'ambito dei lavori della I Commissione. Abbiamo – come ho detto prima – il testo base; siamo nelle condizioni di procedere rapidamente; io non credo – lo voglio dire in termini conclusivi – nella sospensione, in qualche modo, dell'erogazione, attraverso un meccanismo che, tra l'altro, dovrebbe vedere il decreto-legge del Governo intervenire come provvedimento di caso necessitato ed urgente (per provvedere a cosa, però ? Per bloccare un pagamento previsto, decurtato nelle forme e nelle quantità che ho ricordato prima, da leggi precedenti e che vede in pratica attività già svolte e prospettive di incasso, magari, già delegate al sistema bancario).
Quindi, stiamo parlando in una logica in cui probabilmente, anche con una norma transitoria, potremmo imporre – questo, sì – a chi percepisce la tranche del 31 luglio, le stesse forme molto più esigenti che stiamo immaginando, di rendicontazione, anche di queste somme.
Del resto, io vedo nel testo dei colleghi Cozzolino, Toninelli, Dadone ed altri, una prospettiva di questo tipo, dove si dice non «togliamoglieli per sempre questi finanziamenti», ma fissiamo «uno nuovo limite temporale, successivo al 31 luglio 2013, entro il quale procedere in ogni caso al pagamento delle somme dovute ai soggetti aventi diritto».
Una cosa noi però possiamo farla, che è diversa da quella di dire «no» alla parte dispositiva della mozione – ho concluso, Presidente, grazie, trenta secondi – ed è questa: prendere in questa sede un impegno solenne tra forze politiche che hanno una loro faccia da mettere davanti all'opinione pubblica, davanti al proprio elettorato, ma anche nelle relazioni tra i gruppi politici, perché, chiuso il 2013, il 1o gennaio 2014, con le proposte di legge che stiamo discutendo, inizi una storia nuova, all'insegna di principi che ho ricordato nel mio intervento. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). ANDREA GIORGIS. Grazie, Presidente. Il problema del finanziamento pubblico ai partiti è un problema spinosissimo, per il groviglio di rancori e di istintività che suscita, e tuttavia io sono convinto che debba essere trattato da un punto di vista di principio, in modo da illuminare la vera e radicale posta in gioco. E la posta in gioco che il problema del finanziamento pubblico ai partiti solleva è quella dell'autonomia della sfera politica dall'economia e dal circuito mass-mediatico.
Discutere di finanziamento pubblico dei partiti significa discutere del «se» e del «come» preservare la separazione tra i poteri; la separazione sostanziale, non la separazione formale delle funzioni; la separazione sostanziale del potere: la separazione tra potere politico, potere economico e potere culturale; quella separazione sulla quale si regge ogni ordinamento democratico.
Non è una questione di stretto diritto positivo, quella che ha a che vedere con il finanziamento pubblico dei partiti: è una questione che ha a che vedere con il tipo di democrazia che noi riteniamo sia desiderabile garantire. Ed è una questione di interesse generale che non riguarda qualche partito o qualche forza politica, ma riguarda il modo di concepire l'azione stessa della politica.
È un tema sul quale occorre, perciò, uno sforzo particolare di razionalità, di lucidità, di visione, al di là di quelle che possono essere le utilità più o meno immediate nel cercare di porsi in sintonia con una presunta opinione pubblica.
È indubbio, lo voglio dire, che la crisi economica impone una ridefinizione di tutte le spese, però altro è discutere del quantum, altro è discutere del come, ben altra cosa è invece discutere del se. Questo Parlamento da anni discute su come debba essere al meglio garantita l'autonomia della politica e la trasparenza della spesa che la sostiene.
Sul finire nella scorsa legislatura, lo ricordava prima il collega Sanna, è stata approvata una nuova disciplina, la cui applicazione non abbiamo ancora avuto modo di verificare, che però da un punto di vista astratto ha dimezzato il contributo pubblico portandolo ad un livello – vorrei che di questo fossimo consapevoli – che è inferiore, significativamente inferiore, alla media europea. Noi spesso ci interroghiamo su come rendere il nostro Paese davvero europeo. Dobbiamo farlo su tutto, anche su questo tema. Io sono certo che se noi riuscissimo ad abbandonare per un momento l'ansia di rincorrere, lo ripeto, una presunta domanda dell'opinione pubblica e con razionalità ci interrogassimo su come noi possiamo rendere l'azione politica più efficiente, più vicina alla domanda di Governo, più vicina alla domanda di giustizia sociale, più vicina alla richiesta che molti cittadini sicuramente avanzano di sentire che siamo in grado di risolvere i problemi che la crisi sta drammaticamente acuendo, ebbene, io credo che all'ultimo posto troveremmo il problema del come e quanto finanziare l'attività politica. Io penso che se riuscissimo a spiegare che dietro la questione del finanziamento ci sta la possibilità di un'azione politica nell'interesse generale, perché questa è la vera questione, questo è il mio vero cruccio: come facciamo noi a conferire autorevolezza a questa sede ? Come facciamo noi a rendere questo Parlamento così capace di svolgere la sua funzione decisionale e regolativa da far ripartire l'economia del Paese ? Come facciamo noi ad essere così tanto forti e così tanto lucidi da potere ricondurre all'interesse generale le inevitabili e fisiologiche spinte che le dinamiche del mercato producono al di là dell'interesse generale ? Regolamentare il mercato, garantire concorrenza, promuovere condizioni di uguaglianza sono il prodotto artificiale della regolazione giuridica. La concorrenza può prendere questo come esempio, meno consueto ma ugualmente importante, la concorrenza richiede istituzioni politiche autorevoli e richiede istituzioni politiche autonome. Non c’è concorrenza se non c’è regolazione politica, non c’è mercato efficiente se non c’è regolazione politica, e non c’è naturalmente giustizia sociale se non c’è regolazione politica. Questa regolazione politica ha bisogno di essere indipendente e autonoma dal mercato, ha bisogno di trovare nelle risorse pubbliche la condizione per non dover sottostare agli interessi privati. È un principio, lo ripeto, elementare, basilare, di ogni ordinamento democratico. Naturalmente ben comprendo la preoccupazione di giustificare e di far comprendere quanto prezioso sia per la democrazia garantire le condizioni materiali per la partecipazione democratica dei cittadini. Noi abbiamo il dovere naturalmente di spiegare ed è per questo che io mi auguro che nel dibattito che seguirà nei prossimi giorni, nel dibattito che si è aperto in Commissione sulla proposta di legge avanzata dal Governo, ci sia modo di spiegare che noi stiamo discutendo di una nuova forma di contribuzione, stiamo discutendo dell'introduzione di un principio che consegna ai cittadini la responsabilità di garantire le condizioni per l'autonomia della sfera politica.
E noi dovremmo spiegare che quella responsabilità, per essere bene esercitata nell'interesse generale, dovrà essere volta a consentire ai partiti politici di continuare a disporre di risorse sufficienti a poter organizzare la partecipazione. La partecipazione democratica dei cittadini alla vita politica richiede strutture e organizzazioni. E io spero, davvero, che tutti quanti, nel mentre andremo ad introdurre un principio che riconsegna la libertà ai cittadini, sapremmo anche convincerli di quanta responsabilità noi stiamo scaricando su di loro e di quanta responsabilità, quindi, noi stiamo chiedendo a quei cittadini, che, attraverso queste sedi, devono trovare tutela e garanzia dei propri diritti fondamentali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). SERGIO BOCCADUTRI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghe deputate e colleghi deputati, io penso che le parole qui dette dal deputato Giorgis, che mi ha appena preceduto, sul merito, sulla sostanza del rilievo dell'argomento sono state dette in una forma così importante, chiara e pulita che condivido, che sposo e sulle quali ovviamente non voglio tornare, perché sono state esposte le motivazioni che sono alla base anche di una discussione importante che si sta facendo in Commissione e che faticosamente, invece, fuori dalle Aule parlamentari, fuori dalle Commissioni si riesce a fare nel Paese. Faticosamente perché le pulsioni sono altre, perché la semplificazione ci racconta altro e perché, è vero, la credibilità la politica non l'ha persa perché c'erano e ci sono stati rimborsi elettorali ai partiti.
La politica la credibilità la perde prima di tutto quando non è in grado di risolvere i problemi delle vite delle donne e degli uomini che vivono in questo Paese e che lavorano in questo Paese. E la credibilità viene persa anche quando alcuni mascalzoni utilizzano le risorse pubbliche, quelle destinate all'attività politica dei partiti, ma anche quelle destinate ad altre, altre funzioni pubbliche e amministrative, per fini privati.
Ed è difficile discuterne fuori perché ormai passa l'equazione che se tu difendi un principio, un principio – fatemelo dire – che è di un Paese normale, perché non c’è un Paese normale nel mondo che non abbia il finanziamento pubblico della politica, i Paesi che non l'hanno sono regimi, quando ci provi sei un ladro, sei come tutti gli altri.
Io penso che, da questo punto di vista – è stato anche detto e utilizzato qui il linciaggio mediatico – ecco, dovremmo avere il coraggio di fare una discussione su questo proprio a partire dall'idea che non si può discutere soltanto pensando al prossimo turno elettorale o pensando appunto al consenso, perché il danno che facciamo non lo facciamo semplicemente agli altri, e quindi per un «proprio consenso», lo facciamo alla democrazia.
Si è parlato tanto, anche in queste Aule, di istituzioni che devono essere autonome dalle istituzioni economiche e finanziarie. Ma in un Paese dove non c’è il finanziamento pubblico alla politica, la politica è ostaggio proprio di quelle istituzioni economiche e finanziarie che spesso – perché ci dimentichiamo anche la portata del conflitto di interessi in questo Paese – poi sono quelle che, attraverso i media, determinano anche le discussioni; perché basterebbe, da questo punto di vista, anche guardare come sono costruite le compartecipazioni di molti importanti giornali che su questo hanno fatto importanti campagne-inchieste spesso, però, evitando poi di approfondire anche gli aspetti virtuosi che in alcuni casi ci sono stati.
Io non credo che chiedere al Governo un provvedimento – quale potrebbe essere se non quello di un decreto mi domando io – sia un affare che attiene alla democrazia su questo punto. Un Governo, quindi, che dovrebbe sostanzialmente emanare un decreto per dire: «Sospendiamo. Se fate bene, poi ve li concediamo». Tra l'altro è anche la proposta che viene introdotta nel dispositivo. Il disegno di legge del Governo è stato peraltro adottato come testo base della Commissione i cui tempi di lavoro sono stati condivisi da tutti i gruppi e stanno andando secondo il calendario che ci si è dati, senza alcun intento dilatorio da questo punto di vista. Il disegno di legge prevede che per l'esercizio in corso la rata è comunque data per intero. Quindi questa sospensione adesso e un rinvio al 31 dicembre è, nei fatti, inutile, vuota di senso perché, approvato quel testo di legge, anche in via definitiva alla ripresa della fase estiva, concluso l'iter, il disegno di legge dice che per l'anno in corso questi soldi verranno dati. Quindi questa sospensione non ha neanche un'efficacia, però introduce un elemento per me preoccupante: che si possa chiedere al Governo di intervenire in questo modo sulla vita dei partiti.
L'altra questione è il dibattito sul merito, all'interno del quale sono state dette cose importanti: in Italia ormai siamo sotto persino alla Spagna sulla spesa pro capite relativa al finanziamento dei partiti. Siamo a 1,52 euro mentre in Spagna sono a 2,46; la Germania arriva a 5,46. Il tema oggi si pone non soltanto però sui partiti. Regoliamo la vita non soltanto dei partiti politici, ma di altri soggetti e attori politici che non hanno i vincoli che giustamente sono posti ai partiti. Basta ricordare che oggi le fondazioni cosiddette politiche possono ricevere risorse e finanziamenti dalle società partecipate, cosa che è giustamente vietata ai partiti politici.
Se passiamo ad un sistema privato, vogliamo porci il tema di cosa significano i finanziamenti privati in questo Paese senza porre dei limiti, dei tetti, dei finanziamenti all'estero ? Ma qui non voglio anticipare una discussione di merito che faremo nella Commissione e che ci vedrà impegnati appunto a migliorare, dal mio punto di vista, il testo del Governo. Penso che, quindi, non ci si possa nascondere dietro l'idea della sospensione per dare il contentino al Paese e, in questo modo, evitiamo che, approvata la legge, comunque si dica che gli stiamo facendo un favore: «Fatelo voi perché così non c’è linciaggio politico». No, io non ho problemi ad andare a testa alta a spiegare perché è giusto che ci sia un finanziamento pubblico della politica. Perché è giusto che ci siano bilanci trasparenti, perché è giusto che ci sia un'inerenza della spesa dei soldi ricevuti per l'attività politica dei partiti; perché è giusto contribuire alle strutture territoriali e dire come si spendono i soldi e dirla tutta. Dirla tutta e dire tutto anche quando lodevolmente alcuni decidono di dare dei soldi al Fondo di ammortamento per i titoli di Stato, dire – ovviamente adesso lo dico senza dire che verrà fatto – però che quel Fondo prevede, dalla legge di stabilità 2012, la possibilità di detrarre il 19 per cento delle risorse versate al Fondo stesso. Dirla tutta è importante per tutti.
Infine credo che, quindi, questo dibattito dovrebbe tornare ad essere (e sarà difficile) un dibattito pacato e che guardi davvero ai rischi e alla posta in gioco. Ci credo poco perché siamo troppo abituati dall'inizio di questa legislatura a guardare a quello che accade domani e a non avere una visione del futuro, le pulsioni da campagna elettorale ovviamente giocheranno...
Da questo punto di vista noi di Sinistra Ecologia e Libertà, siccome abbiamo sempre gestito le poche risorse che ricevevamo dallo stanziamento pubblico e le tante risorse che abbiamo ricevuto dai nostri iscritti e dalle nostre scritte – basti pensare che l'anno scorso abbiamo ricevuto, pure perché non avevamo ancora partecipato alle elezioni per il rinnovo della Camera e del Senato, più risorse dai nostri iscritti che appunto risorse pubbliche e ovviamente abbiamo fatto anche una campagna elettorale con meno risorse e questo probabilmente produce anche questo –, non abbiamo alcuna difficoltà a difendere il principio, perché per noi questo è un principio di democrazia. E quindi serenamente, a testa alta, noi appunto sosterremo questo dentro queste Aule e nel Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà). GERO GRASSI. Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario e onorevoli colleghi, credo che il dibattito su questa mozione non possa prescindere da una valutazione complessiva del sistema dei partiti, della forma di Stato, del ruolo che nella democrazia hanno i partiti stessi. Se facessimo una valutazione avulsa, discuteremmo, come spesso succede, dell'oggi, ci preoccuperemmo, come spesso succede, della notizia, ma non daremmo nessun contributo alla causa per la quale invece noi dobbiamo intervenire.
Io credo che la democrazia degli Stati moderni è una democrazia che non può prescindere e che si sviluppa nei e con i partiti. Anche nei regimi totalitari c’è il partito unico. Simone Weil, nel suo pamphlet contro i partiti – contro i partiti – scriveva: un partito è in linea di principio uno strumento destinato a servire una certa concezione del bene pubblico. Nella realtà dello Stato contemporaneo, i partiti svolgono una funzione di collegamento tra governanti e governati, aggregando i cittadini sulla base di una visione comune e filtrano le esigenze dei cittadini verso le istituzioni. Più di 80 anni fa, James Bryce affermava: i partiti sono inevitabili. Nessuno ha dimostrato come il Governo rappresentativo potrebbe funzionare senza di loro. I partiti rappresentano un principio ordinatore e semplificativo, creano l'ordine dal caos di una moltitudine di elettori. Sono quindi indispensabili alla democrazia.
Ci sono una serie di dichiarazioni che parlano di partiti in crisi, di declino dei partiti, di scomparsa dei partiti, di irrilevanza dei partiti, ma gli stessi partiti mantengono un ruolo, anche in una società diversa dalla nostra come quella degli Stati Uniti. Le funzioni che i partiti esplicano – organizzazione del consenso, formazione e selezione dei candidati, coordinamento delle proprie rappresentanze – sono ritenute, nelle democrazie, sistemiche e strutturali. Si può quindi affermare che la buona salute della democrazia dipende dalla buona salute dei partiti e dire conseguentemente che in questo periodo storico la cattiva salute dei partiti produce una cattiva salute della democrazia.
Il tema del ruolo dei partiti costituisce uno degli snodi della crisi delle democrazie moderne, sulle quali – inutile negarlo – incombe la minaccia del populismo e del plebiscitarismo e della videocrazia, con il rischio di una progressiva deriva oligarchica. Di fatto, tutto questo ci induce a dire che stiamo in una postdemocrazia, nella quale le elezioni spesso si svolgono; il dibattito elettorale è ridotto ad uno spettacolo televisivo, oserei dire in alcuni casi circense, gestito da professionisti esperti di comunicazione, molto meno di partecipazione e di democrazia.
Gradirei non essere interrotto. GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, colleghi, la discussione di oggi è una tappa di un percorso già segnato: quello della cancellazione del finanziamento pubblico alla politica. È un impegno che il Popolo della Libertà ha assunto in campagna elettorale, ed è parte del contratto che abbiamo sottoscritto con gli elettori: un impegno che Governo e Parlamento stanno onorando ciascuno per la sua parte, con il nostro convinto appoggio.
Ben venga dunque anche la discussione di oggi, che rafforza il confronto su questo argomento, su un atto di indirizzo, sull'iniziativa legislativa già incardinata in I Commissione (Affari costituzionali), e della quale sono relatori i colleghi Gelmini e Fiano. Per quanto ci riguarda, siamo i primi a sollecitare una decisione rapida e chiara, senza possibilità di equivoci. Il finanziamento pubblico così come lo conosciamo, il finanziamento alla politica, deve – per quanto ci riguarda – semplicemente sparire: è un modello vecchio, già discutibile quando è stato adottato, ed oggi del tutto inaccettabile. I cittadini non lo vogliono, ed hanno perfettamente ragione.
Dico questo non certo per inseguire gli umori dell'antipolitica, umori che considero irresponsabili e pericolosi, non certo per inseguire campagne di stampa mirate a delegittimare ogni giorno i partiti e le istituzioni, senza rendersi conto, o forse invece ben consapevoli del fatto di ferire così facendo il principio stesso della democrazia. Queste ragioni non mi appartengono, non ci appartengono, non appartengono al Popolo della Libertà. Noi non vogliamo distruggere i partiti né la politica. Vogliamo proprio il contrario: restituire ai partiti e alla politica quella dignità, quella credibilità, quel decoro che per alcuni aspetti sono andati perduti.
Il vero problema, colleghi, non è l'antipolitica becera di certa piazza e di certa stampa. Il vero problema è la crisi del modello novecentesco di partito, del partito basato sul modello organizzativo leninista portato in Italia prima del Partito Comunista e poi, a sua imitazione, dai grandi partiti di massa: il partito pesante, burocratico, che permea i gangli vitali della società condizionandoli. È questo un modello costoso, fatto di una burocrazia che si autoalimenta, un apparato refrattario per sua stessa tendenza al cambiamento. È la traduzione, in un sistema democratico, del modello totalitario di partito-Stato.
Dal dopoguerra ad oggi questo tipo di partito ha occupato le istituzioni, determinando fenomeni deleteri come la lottizzazione, e quindi la corruzione, il malcostume, i favoritismi. Questo modello è già entrato in crisi nella stagione di Tangentopoli: in quegli anni difficili, i settori della magistratura approfittarono della crisi oggettiva del sistema dei partiti per realizzare un'operazione politica abile e sfacciata, un'operazione politica che distrusse i partiti democratici, e che avrebbe consentito alla sinistra postcomunista di prendere il potere senza fatica se la discesa in campo di Silvio Berlusconi non avesse cambiato radicalmente lo scenario politico nel giro di pochi mesi.
Al di là dei suoi aspetti strumentali, tuttavia, quella stagione dimostrò che il vecchio modello di partito era finito, e – consentitemi di rivendicarlo – una delle ragioni del grande successo prima di Forza Italia, e del Popolo della Libertà poi, è stata proprio il fatto di aver proposto un modello diverso di partito, di partecipazione alla politica: un partito che non si basa più sull'apparato, ma sul rapporto diretto fra leader e militanti, nel quale la democrazia interna opera, ma non è pretesto di liturgie paralizzanti e poco trasparenti. Un sistema nel quale l'omogeneità di indirizzo, e quindi la chiarezza di fronte agli elettori, ha preso il posto della lotta correntizia, con i suoi riti e con i suoi veti incrociati: quei riti e quei veti che rendono così difficile per altri grandi partiti mettersi in sintonia con i propri elettori.
Ma la crisi del 1993-1994 non è stata sufficiente a produrre un'autoriforma complessiva del sistema dei partiti, che non era possibile d'altronde senza una riforma di legge che toccasse prima di tutto la natura ambigua dei partiti.
Oggi, tagliando il cordone ombelicale del finanziamento pubblico, adottiamo definitivamente la strada di un modello privatistico di partito, rigidamente separato dallo Stato, più coerente con la lettera e lo spirito della Costituzione, ma soprattutto più coerente con il modello di democrazia liberale nel quale crediamo, un partito come libera associazione di cittadini che liberamente si danno delle regole e un programma, che liberamente scelgono i candidati da proporre agli elettori, che si autofinanziano con le risorse dei militanti e degli aderenti e de simpatizzanti. Un modello di partito davvero nuovo per forza di cose, più agile e più leggero, perché non potrà più contare sul denaro pubblico ma anche per questo più aperto, più credibile, più attento ai cittadini dai quali ora dipende non solo per il consenso elettorale, ma anche per i contributi economici. Un modello coerente, che non dipende più dal pubblico in nessuna forma, senza ambiguità, senza riserve mentali che non sarebbero accettabili e che toglierebbero valore e credibilità a questa scelta, che è definitiva.
Naturalmente tutto questo a due condizioni, dalle quali non si può prescindere in nessun caso. Una delle condizioni è la massima trasparenza che deve coniugarsi con il rispetto della privacy e del diritto alla riservatezza delle opinioni politiche, dunque tutti i movimenti di denaro a favore dei partiti dovranno essere tracciabili e verificabili, anche per cifre piccole, ma al tempo stesso – questa è la seconda condizione – chi sostiene un partito con i propri denari merita di essere considerato un cittadino benemerito, e non un sospetto criminale. La magistratura deve avere gli strumenti per compiere ogni indagine quando è necessario, ma finanziare un partito non deve essere una ragione di sospetto o di pubblica gogna. Al contrario, proprio perché è un gesto benemerito di altissimo valore civico, merita di godere del beneficio della detraibilità fiscale in misura davvero significativa.
Il nostro, onorevoli colleghi, è un atto di grande fiducia nella democrazia, nella democrazia dei partiti, perché d'ora in poi saranno i cittadini a scegliere e il sistema dei partiti se ne dovrà dimostrare all'altezza oppure soccomberà finanziariamente, prima ancora che politicamente. Partiti liberi, fatti di persone libere, nel rispetto dei limiti e dei principi fissati dall'articolo 49 della Costituzione, ma pienamente autonomi nell'ambito di quei limiti. Partiti più poveri di soldi, di sedi, di impiegati, ma più ricchi di idee, di valori e di consenso, più vicini alla volontà della gente. Dico questo considerando comunque con profondo rispetto la condizione delle persone che nei partiti lavorano e dei dipendenti che negli anni, spesso con stipendi modesti, mossi più dall'entusiasmo che dall'interesse economico, hanno reso possibile la vita dei partiti. Lo dico con chiarezza: essi non devono essere le vittime di questa nuova stagione, sono lavoratori che meritano le stesse tutele e le stesse garanzie di tutti gli altri lavoratori.
Signor Presidente, questo è il senso dell'impegno al quale abbiamo sollecitato il Governo Letta e per il quale stiamo lavorando in Commissione affari costituzionali, il nostro impegno è la riforma della politica, per questo abbiamo chiesto il consenso agli italiani e questo è l'impegno che vogliamo onorare. Oggi dalla Camera può venire una sollecitazione in questo senso o una confusa strumentalizzazione del problema, come vorrebbe parte dell'opposizione che, invece di lavorare con noi per trovare delle soluzioni, ha bisogno che non cambi nulla per poter meglio lanciare le sue grida scomposte.
Sono certo che la Camera dimostrerà anche in questo caso senso di responsabilità, che prevarrà uno spirito serio e costruttivo e che riusciremo a fare qualcosa di buono per la politica, perché è ciò che conta di più per gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente). FABIANA DADONE. Gentile Presidente, signori colleghi, rappresentanti del Governo, si è soliti dire che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, di parole, in merito ai rimborsi elettorali, che ormai più nessuno si vergogna di chiamare finanziamenti pubblici ai partiti, se ne sono sentite davvero tante. Durante l'esame delle varie proposte di legge giunte in Commissione affari costituzionali, probabilmente anche a seguito del deposito della nostra, abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Dalle favolose lectio magistralis di alcune, e cito testualmente: «Il referendum del 1993 va inteso come un pronunciamento del corpo elettorale contro una forma di finanziamento pubblico dei partiti e non contro il principio del finanziamento pubblico dei partiti», agli sfoghi meno ricercati, ma assai più ironici, di altre; anche qui cito testualmente: «Le donazioni dirette hanno un costo preciso e predeterminato e possono contare su un miglior utilizzo rispetto alle caratteristiche e peculiarità di ogni movimento e partito politico. Per esempio, Fratelli d'Italia spenderà i soldi per le sedi, Scelta Civica per la convegnistica di qualità, il PdL per i cocktail party e il PD per le marce della pace». Tutti, nonostante ciò, concordi, almeno a parole, ad abolire i finanziamenti pubblici.
Essendo, però, noi dotati di quel senso di concretezza che contraddistingue il cittadino comune e del livello di diffidenza medio dell'elettore, abbiamo pensato fosse giunto il momento di trasformare le parole in fatti: di dare un segno a tutti che ciò di cui si parla è ciò che si vuole realmente, e non che sia il solito spot elettorale, di rinunciare temporaneamente – lo sottolineo, solo temporaneamente – a 91 milioni di euro, che i partiti dovrebbero percepire a fine luglio, di sospendere l'erogazione di 180 miliardi delle vecchie lire nelle more della valutazione del testo base e del passaggio dello stesso nelle Aule di Camera e Senato.
Non è una richiesta assurda: si tratta semplicemente di una proposta di buon senso. Noi non siamo né ipocriti, né tanto meno populisti, ma i portavoce di un Movimento che ha già rinunciato a ben più di 42 milioni di euro, che sono 84 miliardi delle vecchie lire, per cui siamo semplicemente coerenti. Siamo consapevoli che in quest'Aula la coerenza è soltanto una parola, ma vogliamo darvi l'ennesima occasione di dimostrare al Paese che ci sbagliamo e che la politica non è solo una questione di soldi. I politici dovrebbero gestire un Paese così come un buon padre di famiglia gestirebbe la propria famiglia: un buon pater familias valuta tutte le situazioni prima di prendere una decisione e se si devono fare dei sacrifici è il primo a farli.
Provate, per una volta, a dare il buon esempio e a fare voi dei sacrifici, dopo averli chiesti ad ogni persona del Paese. Fingiamo, per una volta, anche solo temporaneamente, anche solo per questa volta, per favore, che la politica sia quello che dovrebbe essere: un servizio sociale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
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