ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 640 di mercoledì 22 giugno 2016

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozioni:
  Busto  1-01310  38847
  Palese  1-01311  38849
  Ghizzoni  1-01312  38850

Risoluzioni in Commissione:
 I e IV Commissione:
  Vito  7-01030  38855
 III e VIII Commissione:
  Daga  7-01029  38856
 III Commissione:
  Di Stefano Manlio  7-01028  38860

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Brignone  4-13555  38862
  Scotto  4-13565  38863

Affari esteri e cooperazione internazionale.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Porta  4-13564  38864
  Basilio  4-13567  38865

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Carrescia  5-08954  38866
  Martella  5-08957  38871
  Vallascas  5-08975  38871
  Terzoni  5-08976  38872

Interrogazioni a risposta scritta:
  Spessotto  4-13557  38874
  Ciprini  4-13569  38875

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 VII Commissione:
  Vezzali  5-08964  38877
  Pannarale  5-08965  38877
  Valente Simone  5-08966  38879
  Palmieri  5-08967  38880
  Coscia  5-08968  38881

Interrogazioni a risposta scritta:
  Morani  4-13570  38881
  Costantino  4-13571  38882

Difesa.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Frusone  5-08953  38883

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 VI Commissione:
  Paglia  5-08977  38884
  Laffranco  5-08978  38885
  Fregolent  5-08979  38886
  Pagano  5-08980  38888
  Pisano  5-08981  38889

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Guidesi  5-08974  38892

Interrogazioni a risposta scritta:
  Fantinati  4-13554  38893
  Paglia  4-13562  38893
  Lavagno  4-13566  38894

Giustizia.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Burtone  5-08956  38896
  Fedriga  5-08959  38896

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazione a risposta orale:
  Romano Paolo Nicolò  3-02340  38897

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
 VIII Commissione:
  De Rosa  5-08972  38898

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Spessotto  5-08949  38900
  Terzoni  5-08950  38901
  Di Stefano Marco  5-08951  38902
  Spessotto  5-08952  38903
  Giacobbe  5-08962  38903

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cozzolino  4-13556  38905
  Sottanelli  4-13563  38905

Interno.

Interrogazione a risposta orale:
  Vico  3-02339  38907

Interrogazione a risposta scritta:
  Fucci  4-13560  38908

Istruzione, università e ricerca.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Nesci  5-08961  38909

Interrogazioni a risposta scritta:
  D'Agostino  4-13561  38912
  Sammarco  4-13568  38913

Politiche agricole alimentari e forestali.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Burtone  5-08958  38913

Salute.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 XII Commissione:
  Nizzi  5-08969  38914
  Grillo  5-08970  38915
  Amato  5-08971  38917

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Agostinelli  5-08955  38918
  Brignone  5-08960  38919

Interrogazione a risposta scritta:
  Attaguile  4-13558  38920

Sviluppo economico.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  De Lorenzis  5-08963  38921
  Becattini  5-08973  38922

Interrogazione a risposta scritta:
  Bianchi Nicola  4-13559  38923

Apposizione di firme ad interrogazioni  38923

Pubblicazione di testi riformulati  38923

Interpellanza:
  Bernini Massimiliano  2-01395  38924

Interrogazione a risposta scritta:
  Parentela  4-13451  38927

Ritiro di documenti di indirizzo  38928

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo  38928

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo  38928Interrogazioni per le quali è pervenuta risposta scritta alla Presidenza:
  Attaguile  4-11934  I
  Benedetti  4-11246  II
  Borghese  4-11349  IV
  Bruno Bossio  4-00144  VIII
  Cancelleri  4-11428  XI
  Carfagna  4-11010  XIII
  Coccia  4-12324  XV
  Costantino  4-10334  XVII
  D'Ambrosio  4-05572  XXI
  De Lorenzis  4-07080  XXII
  Di Lello  4-03061  XXVIII
  Di Stefano Manlio  4-12500  XXXII
  Gallinella  4-07709  XXXV
  Ginato  4-00759  XXXVII
  Grande  4-06389  XXXIX
  L'Abbate  4-11948  XLII
  Marrocu  4-01253  XLIV
  Melilla  4-00737  XLVII
  Narduolo  4-00215  XLVIII
  Nastri  4-04263  LI
  Nicchi  4-11368  LIV
  Occhiuto  4-05532  LVII
  Oliverio  4-03360  LIX
  Parentela  4-03105  LXII
  Pellegrino  4-12680  LXIII
  Prodani  4-00417  LXV
  Prodani  4-01177  LXV
  Prodani  4-06140  LXIX
  Rampelli  4-04790  LXXIV
  Rampelli  4-07729  LXXV
  Rampelli  4-10831  LXXVII
  Realacci  4-10642  LXXIX
  Ricciatti  4-09649  LXXX
  Sbrollini  4-12433  LXXXIII
  Scotto  4-00893  LXXXV
  Sibilia  4-07188  LXXXIX
  Sibilia  4-12684  XCIII
  Sorial  4-11079  XCV
  Spadoni  4-11999  CI
  Toninelli  4-08748  CVI
  Toninelli  4-12241  CIX
  Verini  4-10554  CX
  Vignaroli  4-09936  CXI
  Zaccagnini  4-11146  CXII
  Zaccagnini  4-12952  CXV
  Zaratti  4-06526  CXVI
  Zolezzi  4-10104  CXX
  

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

   La Camera,
   premesso che:
    il grasso estratto dai frutti dalla specie di palma Elaeis guineensis risulta essere l'olio vegetale più importato nel mondo occidentale a fronte del suo ampio e versatile impiego in ambito cosmetico, alimentare, energetico;
    i bassi costi di produzione, l'assenza di sapore e di odore e la grande produttività della palma da cui viene ricavato, risultano essere incentivi per un aumento della sua coltivazione nel Sud-est asiatico (dove ad ora si concentra circa il 90 per cento della produzione), in Africa e nell'America del sud, impattando interi ecosistemi ad alta biodiversità tanto da risultarne seriamente minacciati o completamente distrutti a causa della coltivazione della palma;
    la maggior parte delle piantagioni di palma da olio sono state sviluppate incendiando le foreste con conseguente danno ambientale e climatico. La principale espansione di queste piantagioni continua a dipendere dal drenaggio della torba per rendere possibile la coltivazione, rendendola un potente fattore di moltiplicazione incontrollata di incendi. Le emissioni prodotte da tali incendi e dal degrado della torba hanno reso l'Indonesia il terzo Paese per emissioni di gas serra. Secondo il rapporto congiunto della Banca mondiale e del Governo britannico, il disboscamento indonesiano sarebbe responsabile del rilascio in atmosfera di 2,563 MtCO2e (milioni di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio);
    secondo il rapporto Fao sulle foreste del 2015, l'Indonesia ha perduto una media di un milione di ettari annui negli ultimi 25 anni, ossia da quando è esploso il boom della palma da olio (deforestazione media tra il 1990 e il 2015: 1.101.400 ha ogni anno, Global Forest Resources Assessment 2015);
    la riduzione del fenomeno di evapotraspirazione, dovuto alla distruzione della copertura forestale, è causa della variazione del regime pluviometrico a scala sovranazionale, rischiando di compromettere l'andamento della produttività dei suoli agricoli;
    il degrado della torba comporta il fenomeno della subsidenza del suolo, alla velocità media di 5 cm annui, rendendo vaste estensioni di terreno prone a inondazione e portando in circolo suoli solfati acidi che rappresentano una minaccia per l'agricoltura (Hooijer A, R. Vernimmen, M. Visser, N. Mawdsley. 2015b. Flooding Projections from Elevation and Subsidence Models for Oil Palm Plantations in the Rajang Delta Peatlands, Sarawak, Malaysia. Deltares report 1207384);
    le monoculture di palma da olio sono accompagnate da deforestazione, erosione dei suoli, contaminazione delle acque e all'inserimento di specie vegetali e animali alloctone organismi infestanti tanto da essere causa della perdita dell'equilibrio ecologico delle aree interessate;
    i tentativi di certificazione della sostenibilità della filiera con vari marchi, tra i quali il Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), non sono riusciti a ottenere una reale riduzione del tasso di deforestazione, e gli stessi marchi non garantiscono la provenienza del raccolto da piantagioni che non hanno causato deforestazione, ma ne certificano solo la «sostenibilità» a valle della catena produttiva, che va dall'olio estratto alla vendita;
    la perdita delle funzioni eco-sistemiche delle foreste tropicali danneggia irreparabilmente la possibilità di sussistenza delle popolazioni autoctone e indigene, private dell'accesso alla terra e alle risorse naturali, a vantaggio delle monocolture di palma. Secondo il Forum Permanente sulle questioni indigene delle
Nazioni Unite, 60 milioni di indigeni nel mondo corrono il rischio di perdere i mezzi di sussistenza e di conseguenza la possibilità di sopravvivenza alimentare a causa dell'espansione delle piantagioni, in violazione dei loro diritti e innescando migrazioni forzate nei territori prescelti;
    va considerata la dichiarazione del 2008 contro l'espansione delle coltivazioni di olio di palma, firmata da circa 300 associazioni in contestazione delle stesse certificazioni di sostenibilità stabilite nei criteri della RSPO, a fronte dello sradicamento dai propri territori o della riduzione in manovalanza a basso costo di un numero crescente di comunità rurali e popolazioni indigene (la cui sopravvivenza è direttamente legata all'uso sostenibile delle foreste), con conseguente perdita della loro identità culturale, autonomia e sovranità alimentare;
    si rilevano la pressione sulle popolazioni indigene e l'appropriazione delle loro terre in palese contrasto con la Convenzione per i popoli indigeni e tribali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO 169), volta a stabilire i diritti delle suddette popolazioni, con particolare attenzione al diritto di proprietà delle terre che da secoli risultano essere funzionali alla loro stessa sussistenza;
    un numero crescente di studi scientifici avvertono sui rischi dell'olio di palma per la salute umana, tra cui: uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità, che dimostra come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l'acido miristico e l'acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari; uno studio del Center for Science in the Public Interest (CSPI), che conferma il fatto che l'olio di palma aumenti i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l'acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie; recenti studi, che dimostrano che l'acido palmitico infiamma le membrane cellulari, induce l'aterosclerosi e ha un ruolo chiave nella produzione di un fattore necrotico che è all'origine di tumori; uno studio dell'American Heart Association che consiglia di limitarne l'uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo; nonché un recentissimo studio dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare in cui viene denunciato come nell'olio di palma siano contenute tre sostanze tossiche, di cui una genotossica e cancerogena, il glicidiolo, formatesi durante la raffinazione degli oli vegetali;
    la direttiva 2009/28/CE sulla produzione di energia da fonti rinnovabili introduce l'obbligo di utilizzo di biocarburanti; gli olii vegetali sono inoltre incentivati per la produzione di biocarburanti;
    nella comunicazione della Commissione europea del 19 giugno 2010 n. 2010/C 160/02 sull'attuazione pratica del regime dell'Unione europea di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi è indicato che il termine bioliquido comprenda liquidi viscosi tra cui l'olio di palma;
    la crescita di 6 volte dei biocarburanti dal 2010 al 2014 in Europa è legata principalmente alla crescita dei consumi di olio di palma, con un ammontare di circa 3,5 miliardi di litri di olio di palma bruciati per il trasporto nel solo 2014;
    un recente studio dell'Unione  europea rivela l'impatto climatico della produzione dell'olio di palma tre volte maggiore a quello dei fossili a causa della deforestazione e del drenaggio della torba del Sud-est asiatico, Africa ed America Latina, tanto da spingere la Commissione europea ad una prossima rielaborazione dei criteri di sostenibilità della Renewable Energy Directive (RED) per tutta la bioenergia compresi i bio-carburanti;
    le pressioni parlamentari – si consideri al proposito la mozione 1-00423 a prima firma del senatore Martelli, presentata in Senato in data 3 giugno 2015 – e le pressioni della società civile contro l'olio di palma sono in continuo aumento in tutto il mondo;

    il Governo italiano è firmatario delle seguenti convenzioni internazionali: Convezione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (CDB) e Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene (UNDRIP), e pertanto si impegna a rispettare tali convezioni, dichiarazioni e standard internazionali nell'attuazione di politiche che tutelino l'ambiente, le comunità locali/autoctone e la diversità bio-culturale,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative volte a escludere l'energia elettrica prodotta mediante olio di palma dalla categoria delle fonti di energia rinnovabile («fer»);
   intraprendere iniziative volte ad introdurre il divieto dell'utilizzo dell'olio di palma come carburante puro o diluito per qualunque veicolo;
   a intraprendere le iniziative normative volte ad introdurre il divieto dell'utilizzo di olio di palma (in ogni sua forma) per la produzione di energia elettrica (anche in assetto cogenerativo);
   ad assumere iniziative per prevedere un'etichettatura addizionale per i prodotti alimentari che indichi chiaramente la presenza di oli tropicali (di palma o di palmisto o cocco) nelle preparazioni alimentari tesa a specificarne il danno per la salute umana;
   ad intraprendere iniziative normative volte ad introdurre, nel più breve tempo possibile, il divieto della vendita su tutto territorio nazionale e dell'importazione di prodotti contenenti oli tropicali (di palma o palmisto o cocco) a fini alimentari e cosmetici;
   ad intraprendere iniziative volte a stabilire il divieto dell'utilizzo dell'olio di palma o palmisto come ingrediente nelle preparazioni alimentari;
   ad assumere iniziative normative finalizzate alla sostituzione dell'olio di palma con olii che non siano nocivi per la salute umana e per l'ambiente e che incentivino le economie nazionali e i settori agricoli interessati (olio di semi di girasole, olio d'oliva, e altro);
   a mettere in atto le iniziative necessarie per pervenire in tempi brevi alla ratifica della convenzione sui popoli indigeni e tribali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (convenzione ILO 169);
   ad attivarsi, nelle sedi comunitarie, per una moratoria immediata degli incentivi agli agro combustibili e all'agro energia prodotta da mono-colture estensive di palma da olio, nonché per le importazioni di olio di palma.
(1-01310) «
Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Vignaroli, Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Gagnarli, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spadoni, Grande, Di Battista, Del Grosso, Fraccaro, Scagliusi, Spessotto, Dieni, Fico, Villarosa, Alberti, Dall'Osso, Sorial, Marzana, Massimiliano Bernini, Brugnerotto, Crippa, Vallascas, Nesci, Parentela, Caso, Grillo».

   La Camera,
   premesso che:
    la dotazione iniziale dei fondi strutturali 2014-2020 assegnata agli Stati membri dell'Unione europea era stata effettuata, a suo tempo sulla base delle previsioni di crescita del prodotto interno lordo disponibili nel 2012. Il regolamento in materia prevedeva poi che nel 2016 fosse verificata la crescita effettiva nel biennio 2014-2015 e, al termine di tale verifica, sarebbe emerso che in tre Paesi, Italia, Spagna e Grecia, la divergenza tra crescita prevista è crescita effettiva sarebbe stata addirittura superiore al 5 per cento;
    lo stesso regolamento prevedeva la costituzione di una sorta di «tesoretto», una somma che l'Unione europea ha tenuto da parte per compensare proprio eventuali divergenze e quindi aiutare con un ulteriore dotazione aggiuntiva di fondi, i Paesi che, come l'Italia, hanno registrato i tassi di crescita peggiore nell'Unione europea;
    in base alle stime effettuate dalla commissione europea, all'Italia spetterebbero risorse aggiuntive per 1,4 miliardi di euro (su un totale di 4 miliardi) che si sommano ai 42,4 (più 31 di cofinanziamento nazionale) assegnati al nostro Paese per il periodo 2014-2020;
    tali risorse, la cui destinazione su obiettivi e programmi da privilegiare va stabilita dal Governo d'intesa con la Commissione europea, dovrebbero essere assegnate a fine giugno 2016, e potranno essere spese dal 2017 al 2020 per finanziare i programmi operativi regionali e nazionali in corso;
    è evidente che obiettivo della Unione europea nel prevedere questo «tesoretto» è quello di sostenere i Paesi che hanno difficoltà a crescere e che, quindi, meritano risorse aggiuntive per essere sostenuti nel processo di superamento del gap. Ed è altrettanto evidente, di conseguenza, che il Governo italiano dovrà perseguire lo stesso obiettivo e, quindi, destinare l'intera somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro alle regioni dell'Obiettivo 1, quindi alle regioni del Sud;
    la somma di cofinanziamento nazionale prevista non è uguale per tutti i programmi e su alcuni è addirittura pari a zero,

impegna il Governo,

   a rispettare la ratio e gli obiettivi del regolamento dell'Unione europea sui fondi strutturali e, in coerenza con esso, a destinare la somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro alle regioni dell'Obiettivo 1;
   a privilegiare, nell'individuazione dei progetti e dei programmi su cui incrementare i finanziamenti, quelli che richiedono un tasso di cofinanziamento nazionale più basso o pari a zero, onde evitare problemi di copertura;
   ad utilizzare parte delle risorse, a partire dal 2017, per finanziare l'esonero contributivo del 100 per cento per le aziende che assumono a tempo indeterminato, misura prevista nella legge di stabilità 2016, ma non attuata;
   ad assumere iniziative per incrementare il fondo di dotazione finanziaria per il credito d'imposta, previsto nella legge di stabilità per il periodo dal 2016 al 2019, ma con risorse risicate;
   ad assumere iniziative per incrementare le somme stanziate per le politiche giovanili che, in coerenza con la grande sensibilità dell'Unione europea su questi temi, sono a «cofinanziamento zero», come ad esempio borse di studio, dottorati di ricerca, corsi di specializzazione e altro;
   ad assumere iniziative per prevedere, trattandosi di risorse straordinarie, uno stanziamento ad hoc per un problema straordinario, come quello della Xylella, che sta azzerando l'economia olivicola pugliese, con grave pregiudizio al prodotto interno lordo agricolo meridionale e nazionale.
(1-01311) «
Palese, Pisicchio».

   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale « Education at a Glance» prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento;
    gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
    secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento;
    il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
    la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
    nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare, poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
    il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti, il calo di matricole tocca il –30 per cento al Sud, il –22 per cento al Centro ed è pari solo al –3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
    tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-nord: il citato rapporto Viesti evidenzia che al Sud la mobilità riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, di cui 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro: sono circa 29.000 ogni anno i giovani meridionali in mobilità per l'università, fenomeno importante associato con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e con un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
    la mobilità studentesca non è di per sé un fenomeno negativo quando consente ai giovani di esprimere al meglio le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni, ma nel nostro Paese si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale senza ritorno, generando da una parte una perdita per le regioni di uscita in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per le spese sostenute dalle famiglie per il mantenimento dei figli fuori sede;
    la scelta del trasferimento fuori sede per gli studi universitari dipende da più fattori; in particolare, da una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, soprattutto della Lombardia e dell'Emilia Romagna, anche per la maggiore qualità della vita nelle città universitarie, nonché dalle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord, mentre assai limitata risulta l'attrattività delle università meridionali;
    il sopra citato rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a
5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
    dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto ACHAB (Affording College with the Help of Asset Building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
    il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto ANVUR 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
    lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle Isole;
    tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario anche se deve essere registrato positivamente il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti, nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
    è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti);
    anche sotto questo aspetto si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
    eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
    anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
    il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in
altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia a fronte dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
    riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati;
    dati simili sono forniti anche dal XVIII Rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
    il XXI rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato «OD&M Consulting», mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre, il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
    i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano dunque il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
    gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
    nonostante la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
    ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n. 107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
    occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare
supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi: la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
    in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
    a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, lo Stato dispone adesso di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o ISEE, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento;
    a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n. 240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
    tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
     a) la quantificazione dei costi degli studenti in ritardo, inclusi gli studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti in ritardo, cioè «fuori corso»);
     b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
     c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
   ad adottare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato, aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (cioè il valore ISEE) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale sulla base dei fabbisogni regionali e rendere altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa
regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo ricevuto, come già stabilito dall'articolo 18, comma 1, del sopra citato decreto legislativo;
   a valutare l'opportunità di intraprendere — nel rispetto dell'autonomia delle università statali — iniziative normative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alla università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia, garantendo al tempo stesso un adeguato ristoro delle minori entrate delle università;
   ad assumere iniziative per disporre che, relativamente alle regioni dell'ex-obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n. 88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione del basso gettito che deriva loro da una più vasta platea di studenti che non pagano contribuzioni o pagano importi molto ridotti per ragioni di basso reddito familiare;
   a stabilizzare su base pluriennale le cifre e i criteri di allocazione e di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, al fine di consentire agli atenei una migliore programmazione delle risorse finanziarie sulla base di obiettivi nazionali condivisi e noti ex ante;
   a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n. 240 del 2010; dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università; il numero di studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti;
   ad adottare idonee iniziative per garantire, almeno a livello regionale, la presenza di corsi di studio in grado di soddisfare le diverse esigenze culturali e di formazione degli studenti, con particolare riferimento ad ambiti scientifici specialisti o settoriali, alle tradizioni disciplinari e alle vocazioni territoriali;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01312) «
Ghizzoni, Pisicchio, Vezzali, Santerini, Buttiglione, Coscia, Molea, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vico, Paola Boldrini, Iacono, Binetti».

Risoluzioni in Commissione:

   Le Commissioni I e IV,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante: «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, agosto 2016, uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative nazionali e degli enti pubblici non economici nazionali;
   tra i principi e criteri direttivi da rispettare nell'esercizio della delega, con riferimento all'amministrazione centrale e a quella periferica, vi sono le modificazioni agli ordinamenti del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo, anche attraverso la revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche, comprese quelle complessive di ciascuna forza di polizia, in ragione delle esigenze di funzionalità e della consistenza effettiva alla data di entrata in vigore della presente legge, ferme restando le facoltà assunzionali previste alla medesima data, nonché assicurando il mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle forze di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle occorrenti disposizioni transitorie, fermi restando le peculiarità ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna forza di polizia;
    il comma 4-bis, dell'articolo 7, del decreto-legge n. 185 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2016, reca una novella all'articolo 1, comma 5, della legge delega per la revisione dello strumento militare (legge n. 244 del 2012), aggiungendo la previsione in base alla quale una quota parte non superiore al 50 per cento dei risparmi di spesa di parte corrente di natura permanente derivanti da tale revisione, deve essere impiegato per adottare ulteriori disposizioni integrative entro il 1o luglio 2017, al fine di assicurare la sostanziale equiordinazione delle Forze armate e delle forze di polizia;
    il tema del riordino delle carriere è uno dei temi più importanti per gli appartenenti alle forze del comparto sicurezza-difesa,

impegnano il Governo:

   ad aprire un confronto diretto con i rappresentanti del comparto sicurezza-difesa;
   ad assumere iniziative normative volte:
    a) ad affrontare il problema dell'allineamento delle distinte deleghe tra Forze armate e forze di polizia, in modo da permettere una effettiva equiordinazione tra gli operatori dei diversi comparti rispettando il principio di specificità del settore,
    b) a stanziare le opportune risorse, senza le quali non ci potrà essere un vero riordino delle funzioni e delle carriere del personale.
(7-01030) «
Vito, Centemero, Palmizio, Gregorio Fontana, Secco».

   Le Commissioni III e VIII,
   premesso che:
    il 18 maggio 2016, si è tenuta alla Farnesina la Prima Conferenza Ministeriale Italia – Africa, organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con l'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). La conferenza ha riunito a Roma i governi di oltre 50 Paesi africani, i loro rappresentanti permanenti presso l'Onu a New York e i responsabili di circa 15 tra organizzazioni internazionali del sistema delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali;
    la Conferenza ha messo sul tavolo argomenti centrali per l'Africa, come la sostenibilità economica e socio-ambientale, le migrazioni, la pace e la sicurezza. Dal punto di vista dei leader africani, il tema più sentito è quello della cooperazione economica;
    durante la Prima conferenza ministeriale Italia – Africa il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato «Abbiamo nostalgia del futuro perché vediamo l'Africa non come una minaccia, ma come la più grande opportunità per l'Europa. A noi questo rapporto preme non solo per una questione etica e di giustizia. Ma anche per una visione politica e strategica.[...] «Chi pensa di risolvere costruendo muri non si accorge che sta solo imprigionando se stesso. Dobbiamo fare di più, innanzitutto a livello economico. Siamo disponibili a fare grandi investimenti dal punto di vista tecnologico, energetico e delle pmi. Dobbiamo investire negli scambi culturali e puntare sulle infrastrutture (...) le dighe, sì, ma anche la banda larga»;
    come già sottolineato nelle premesse della risoluzione n. 6-00176, a prima firma del deputato De Rosa, l'agricoltura industriale incide negativamente sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti; diversamente, i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sinergica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici; con riferimento alla risorsa acqua, gli effetti più evidenti del surriscaldamento globale consistono in una progressiva riduzione delle precipitazioni, accompagnata da una marcata accentuazione degli eventi estremi di breve durata con conseguente alternanza di piogge alluvionali e prolungate siccità e con tutto ciò che questo comporta per il dissesto idrogeologico e la carenza di acqua rispetto al fabbisogno; a causa dei frequenti quanto repentini cambiamenti delle condizioni climatiche si assiste a un progressivo intensificarsi dei fenomeni di dissesto e instabilità dei versanti (su 712.000 frane censite in Europa nel 2012, 486.000 ricadono nel territorio italiano e di cui oltre l'80 per cento è localizzato nei territori montani), con gravi problemi di sicurezza, incolumità pubblica e di tutela e mantenimento degli equilibri ecologici; secondo recenti studi delle Nazioni Unite i cambiamenti climatici possono intensificare o generare conflitti per risorse quali cibo, acqua, terre da pascolo, e potrebbero divenire, in un futuro non troppo remoto, la causa principale degli spostamenti di popolazione, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali; il dramma dei rifugiati climatici è sempre più preoccupante, determinato dalla stretta relazione tra degrado ambientale, mutamenti climatici e contesto socio-economico. Per il Rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel 2013, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici e provenienti da Paesi poveri; nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (UNEP) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici e che gli sviluppi connessi al clima in alcune aree dell'Africa potrebbero contribuire a un inasprimento della crisi dei profughi nel Mediterraneo;
    come già premesso dalla risoluzione Spadoni n. 7-00791, a prima firma della deputata nei Paesi in via di sviluppo, dal 2001, circa 227 milioni di ettari di terre sono state vendute o affittate a investitori internazionali; secondo le ricerche effettuate dalla Land Matrix Partnership, la maggior parte di queste acquisizioni di terreni è avvenuto negli ultimi due anni e l'incremento recente degli accordi di acquisizione delle terre può essere spiegata a seguito della crisi dei prezzi alimentari del biennio 2007/8, dopo il quale investitori e governi hanno ricominciato a interessarsi all'agricoltura dopo decadi di indifferenza; questo interesse nasconderebbe cause importanti: le terre acquisite sono destinate alla produzione di cibo per l'esportazione o di biocarburanti. In questi e molti altri casi si può parlare di «accaparramento di terre» o land grabbing; la definizione più citata di land grabbing è quella che emerge dalla Dichiarazione di Tirana, siglata da governi, organizzazioni internazionali e gruppi della società civile che hanno preso parte a una grande conferenza sulle regolamentazioni dei diritti
fondiari nel maggio del 2011: «acquisizioni o concessioni di terra ... (i) in violazione di diritti umani, in particolare i pari diritti delle donne; (ii) non basate sul consenso libero, preventivo e informato di chi utilizza quella terra; (iii) non basate su una valutazione rigorosa, o che non tengono conto degli impatti sociali, economici e ambientali, inclusa la loro dimensione di genere; (iv) non basate su contratti trasparenti che specificano impegni chiari e vincolanti sulle attività, i posti di lavoro e la condivisione dei benefici; (iv) non basate su una pianificazione efficace e democratica, su una supervisione indipendente e su una partecipazione significativa di tutti gli attori»;
    essendo la scarsità delle risorse un nuovo fronte per l'economia, i capitali e chi li controlla sono già entrati in competizione per l'accaparramento e la speculazione sulle risorse naturali. Il modello di crescita illimitata ha reso tali risorse non solo scarse, ma ne ha anche compromesso la qualità. Le élites finanziarie stanno avviando un processo di finanziarizzazione delle risorse naturali al fine di creare nuove classi di asset finanziari basati su nuove commodity fittizie (habitat, specie, biodiversità) che complementino quelle esistenti. Questo approccio produrrà anche una nuova ondata di partnership finanziarie pubblico-private, spesso per il finanziamento delle infrastrutture fisiche e finanziarie, che aumenteranno la mercificazione dei beni comuni;
    il 28 luglio 2010 l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha votato una dichiarazione nella quale: Dichiara il diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani;
    invita gli Stati e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, competenze e tecnologie, attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale in particolare verso i Paesi in via di sviluppo, al fine di incrementare gli sforzi per fornire acqua potabile sicura, pulita, accessibile e disponibile e servizi igienico-sanitari per tutti;
    l'acqua è una risorsa vitale, alla base della catena alimentare da cui dipendono, per qualità e quantità, lo stato di salute degli esseri viventi e l'equilibrio ecosistemico: la sua gestione è cruciale ai fini della sicurezza idrica. Quest'ultima, al centro del dibattito scientifico e politico, può assumere significati diversi e riferirsi a differenti scale spaziali: disponibilità idrica; vulnerabilità al rischio; sostenibilità e bisogni umani con riferimento all'accesso e alla sicurezza alimentare, collegata anche ai cambiamenti climatici. Tale aspetto assume particolare interesse per l'accresciuta vulnerabilità della regione del Mediterraneo e le conseguenti tensioni fra gli attori sociali, politici ed economici. Del resto, anche la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza del 2011 annovera i mutamenti climatici e la scarsità di risorse idriche fra i nuovi fronti di minaccia argomentando come «la scarsità delle risorse idriche quale fattore limitante dello sviluppo, suscettibile di ridisegnare alcuni scenari di politica internazionale, si riflette nel contempo sulla disponibilità delle risorse alimentari»;
    i dati dell'Onu dicono che la popolazione mondiale cresce di circa 80 milioni di persone ogni anno, e che, secondo le previsioni, raggiungerà i 9,1 miliardi entro il 2050; di questi, 2,4 miliardi vivranno in Africa subsahariana e i cambiamenti climatici non potranno che esacerbare i rischi associati alle variazioni della distribuzione e della disponibilità delle risorse idriche;
    secondo le stime, il 20 per cento delle falde acquifere mondiali è sovrasfruttato con gravi conseguenze tra cui fenomeni di subsidenza e intrusione di acqua salata;
    le perdite economiche dovute ai rischi causati dall'acqua sono fortemente cresciute nell'ultimo decennio. Dal 1992 a oggi, inondazioni, siccità e tempeste hanno condizionato la vita di 4,2 miliardi di persone (il 95 per cento di tutte le persone
colpite da una qualunque catastrofe naturale), causando danni per 1,3 trilioni di dollari americani (pari al 63 per cento del totale dei danni causati);
    gli investimenti in infrastrutture idriche rivestono fondamentale importanza per dispiegare appieno il potenziale di crescita nelle fasi iniziali dello sviluppo economico di un paese. Con la riduzione dei vantaggi marginali dell'ulteriore sviluppo, si rende necessario spostare gradualmente l'attenzione verso la costruzione di capacità umane e istituzionali volte al miglioramento dell'efficienza e della sostenibilità idrica e in grado di garantire un maggiore sviluppo economico e sociale. Ma tali investimenti devono essere indirizzati verso politiche di generazione del reddito per i piccoli produttori al fine di stimolare la crescita economica nelle zone rurali. A titolo di esempio, il tasso interno di rendimento sugli investimenti dei progetti di irrigazione su vasta scala in Africa centrale è pari al 12 per cento, mentre per gli investimenti in progetti di irrigazione di piccola scala nel Sahel il tasso è pari al 33 per cento (UN-Water, 2013);
    le grandi infrastrutture, come ad esempio le dighe, possono comportare una perdita della biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici, pur dipendendo spesso proprio da questi ultimi per mantenere i propri livelli prestazionali. La sfida consiste nel gestire le risorse idriche in modo da conservare un mix vantaggioso di infrastrutture naturali e artificiali e la fornitura dei relativi servizi;
    l'elemento portante di numerose economie africane è l'agricoltura, fortemente dipendente da una pluviometria imprevedibile e fortemente variabile e solamente il 5 per cento dei terreni coltivabili africani viene irrigato;
    la regione è sempre più dipendente dalle importazioni. Nel 2011 i Paesi africani hanno speso 35 miliardi di dollari americani per l'importazione di alimenti (ad eccezione del pesce), mentre la quota di commercio intra-africano è inferiore al 5 per cento (Africa Progress Panel, 2014);
    è sicuramente un dato appurato che favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell'Africa Sub sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, avrà effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell'Africa sub-sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, con il fine di generare effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici;
   a favorire la cooperazione economica tra l'Italia e l'Africa finalizzata allo sviluppo di piccole e medie imprese e alla diversificazione dell'economia africana in modo da poter creare più posti di lavoro soprattutto per i giovani, con conseguenze positive anche rispetto al contrasto delle capacità di aggregazione dell'estremismo islamico;
   ad adoperarsi, nelle opportune sedi europee e a livello nazionale, affinché sia promossa la coerenza delle politiche con gli obiettivi di sviluppo, garantendo che politiche settoriali come quelle commerciali, di investimento, agricole, energetiche e climatiche non finiscano per promuovere forme di «accaparramento» della terra;
   a dare crescente supporto ai Paesi africani, attraverso l'attivazione di specifici programmi di cooperazione internazionale finalizzati al trasferimento tecnologico e di conoscenze, affinché vengano poste le basi per la creazione di modelli di sviluppo sostenibile liberi dalla dipendenza delle fonti fossili;

   a promuovere la gestione sostenibile del suolo nelle aree soggette a migrazione attraverso meccanismi atti a salvaguardare e migliorare l'agricoltura locale, attraverso pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;
   a favorire forme di cooperazione tra i piccoli produttori italiani e quelli africani, attraverso scambi di buone pratiche ed esperienze col fine di promuovere una agricoltura sostenibile sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, promuovendo, a livello normativo e finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse nell'ottica degli obiettivi ambientali;
   a promuovere progetti di sostegno all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico, e ad assumere iniziative per riconsiderare invece gli investimenti previsti in grandi opere infrastrutturali come le dighe che sono in fase di progettazione nel continente africano e che avranno un forte impatto ambientale e antropologico in termini di biodiversità e diritti dei popoli indigeni;
   a sostenere i progetti di cooperazione che includano attività di formazione, di microcredito e di «capacity building» nel comparto ingegneristico e in settori tecnici e manifatturieri di alta specializzazione, a sostegno della piccola e media impresa.
(7-01029) «
Daga, Scagliusi, Terzoni, Mannino, Zolezzi, Busto, De Rosa, Micillo, Vignaroli, Spadoni, Del Grosso, Di Battista, Manlio Di Stefano, Grande, Sibilia».

   La III Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 77, paragrafo 2, lettera a), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) ha stabilito la competenza dell'Unione europea sulla politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata;
    il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, più volte modificato, norma gli obblighi e le esenzioni dall'obbligo per i visti relativi ai soggiorni di breve durata per i cittadini di Paesi terzi che entrano. Il regolamento contiene un elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto o sono esenti dall'obbligo del visto all'atto dell'attraversamento della frontiera esterna dell'Unione europea;
    il visto per soggiorno di breve durata rilasciato da uno dei paesi dello spazio Schengen dà diritto a viaggiare in tutti i 26 Stati Schengen per soggiorni di non più di 90 giorni in, un periodo di 180 giorni;
    l'articolo 1 del regolamento (CE) n. 539/2001, introdotto dal regolamento (UE) n. 509/2014, stabilisce i criteri secondo cui si determina la decisione riguardate la permanenza o l'esenzione dei visti. Ci si riferisce in particolare «all'immigrazione clandestina, all'ordine pubblico e alla sicurezza, ai vantaggi economici, segnatamente in termini di turismo e commercio estero, e alle relazioni esterne dell'Unione con i Paesi terzi in questione, includendo anche considerazioni relative ai diritti umani e alle libertà fondamentali, nonché tenendo conto delle implicazioni di coerenza regionale e reciprocità». Parimenti importante risulta essere in questo contesto la sicurezza dei documenti di viaggio emessi dagli stessi Paesi terzi;
    come noto lo spazio e la cooperazione Schengen, che prendono origine e nome dal trattato di Schengen del 1985 e che sono successivamente stati integrati nel quadro legislativo dell'Unione europea attraverso il trattato di Amsterdam del 1997, istituiscono un territorio dove la libera circolazione delle persone è garantita attraverso l'abolizione delle frontiere interne e la sostituzione di queste con un'unica frontiera esterna. All'interno dello spazio Schengen sono stabilite regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d'asilo e controlli alle frontiere. Pertanto risulta evidente come l'esenzione dall'obbligo di visto comporta una totale e incondizionata possibilità di muoversi ed operare all'interno di tutti i 26 Stati attualmente aderenti allo spazio Schengen;
    la Georgia, l'Ucraina, il Kosovo e la Turchia figurano attualmente nell'allegato I del regolamento (CE) n. 539/2001, ovvero tra Paesi i cui cittadini devono essere in possesso del visto per entrare nel territorio dell'Unione europea;
    con quattro diverse proposte (COM(2016) 142 final; COM(2016) 236 final; COM(2016) 279 final; COM(2016) 277 final) il 4 maggio 2016 la Commissione europea ha proposto la liberalizzazione dei visti per, rispettivamente, Georgia, Ucraina, Turchia e Kosovo;
    il consiglio giustizia e affari interni del 9-10 giugno 2016 ha espresso forti perplessità sulla proposta, rimandando però la decisione a successive decisioni e formazioni del Consiglio. Alcune notizie apparse sulla stampa internazionale annoverano l'Italia tra gli Stati membri che, durante il suddetto incontro, si sono schierati contro la proposta;
    negli ultimi studi pubblicati e condotti al fine di valutare l'opportunità di liberalizzare i visti, la stessa Commissione europea ha sottolineato che né la Turchia né il Kosovo sono riusciti a raggiungere tutti i requisiti che l'Unione aveva posto agli stessi come necessari al fine di ottenere il nulla osta alla liberalizzazione. Appare pertanto singolare che nonostante la stessa istituzione certifichi ufficialmente il non rispetto di tutte le condizioni necessarie alla liberalizzazione, proponga comunque di continuare l’iter delle suddette proposte;
    come riportato in diverse analisi, svolte sia da autorevoli riviste di geopolitica quali Limes che da agenzie dell'UNHCR, gli Stati per cui la Commissione ha richiesto la liberalizzazione dei visti sono da considerarsi Paesi a democrazia debole, con istituzioni democratiche instabili e giovani, che con facilità potrebbero sfociare nel centralismo. Al contempo i suddetti studi rilevano alti livelli di corruzione, infiltrata a tutti i livelli sia nel settore pubblico e governativo, che comunemente diffusa;
    testimonianze ed analisi riportano anche una situazione complessa sotto il profilo della tutela dei diritti. Solo per citare alcuni esempi è risaputo come in Turchia sia assente la libertà di stampa e le violazioni in tal senso sono rilevanti e all'ordine del giorno. Ancora, in Ucraina al termine del conflitto bellico, il rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha messo in evidenza una situazione drammatica, di torture e di esecuzioni collettive, oltre che di condizioni vitali e igienico-sanitarie particolarmente serie per i sopravvissuti e gli sfollati. Inoltre, si segnala da più parti una situazione politica interna confusa e difficoltà nel controllo delle pratiche volte a rilasciare i passaporti, con particolare riferimento agli abitanti degli Oblast di Donbass e Luhansk. In Georgia e in Turchia sono state dimostrate manchevolezze in tema di diritti umani, con trattamenti inumani e degradati subiti dai migranti da parte delle stesse autorità nazionali;
    la Turchia, nonostante la sua posizione strategica, ha in più occasioni mantenuto un rapporto ambiguo in relazione alla lotta al terrorismo dell'ISIS. È infatti dimostrato, ad esempio, come attraverso la sua frontiera con la Siria si assista ad un intenso transito di foreign fighters. Diverse fonti giornalistiche ritengono addirittura che si possa parlare di un aperto sostegno turco ai miliziani dell'ISIS. In ogni caso appare evidente, anche solo per la comprovata impossibilità della Turchia a controllare e rendere sicure le proprie frontiere, in particolare con la
Siria, che la liberalizzazione dei visti incrementerebbe il pericolo di infiltrazioni terroristiche, complicando anche i lavori di intelligence;
    il problema dei flussi migratori, che si impone ogni giorno nelle cronache e nelle discussioni politiche internazionali per la sua importanza e gravità, comporta anche la necessità di valutare attentamente il tema della libertà di circolazione delle persone, in considerazione dell'elevato numero di individui che attraversano giornalmente il Mediterraneo o altri Paesi per raggiungere luoghi più sicuri rispetto a quelli di origine. I numeri, di difficile stima, sono in ogni caso rilevanti. L'Italia, ad esempio, è interessata soprattutto dal transito dalla Romania (circa 1.081.400), Albania (495.709), Bulgaria (54.932), Serbia (46.958), Kosovo (46.468). Questi Stati, insieme con la Turchia, rappresentano i maggiori Paesi di transito per i migranti. Le cause dell'entità di questi flussi possono essere ritrovate anche negli scarsi controlli effettuati alle partenze e ai confini, favorendo così anche la diffusione della criminalità. D'altra parte, la speranza per molte persone di sfuggire alle barbarie e alla atrocità perpetrate nei rispettivi Stati d'origine alimenta anche un fenomeno di sfruttamento, che a sua volta rafforza meccanismi di corruzione e di criminalità organizzata, che va dalla predisposizione di viaggi dall'esito incerto ed economicamente eccessivi alla falsificazione dei documenti necessari per ottenere il visto d'ingresso;
    l'abolizione dei visti come proposta attualmente dalla Commissione europea rischia pertanto di far perdere il controllo sul fenomeno migratorio irregolare e di diffondere le reti criminali che lo alimentano, oltre che favorire il transito irregolare e del tutto illegale, senza più alcun controllo esterno, nel territorio dell'Unione europea,

impegna il Governo

ad opporsi alla proposta di liberalizzazione dei visti per soggiorno di breve durata dei cittadini di Georgia, Kosovo, Ucraina e Turchia, come recentemente proposto dalla Commissione europea, in ciascuna delle appropriate sedi istituzionali ed in particolare in sede di Consiglio europeo, così come in ogni formazione del Consiglio interessata.
(7-01028) «
Manlio Di Stefano, Luigi Di Maio, Battelli, Fraccaro, Petraroli, Baroni, Di Battista, Del Grosso, Grande, Sibilia, Spadoni, Scagliusi, Castelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della regione Campania, Cesare Romano, presentando una ricerca a Napoli fatta a campione sugli ambiti territoriali e su alcuni comuni (circa 45), stima in oltre 200 i casi di maltrattamenti, abusi, incesti e violenze in famiglia nei confronti di minori, perpetrati soprattutto ai danni di bambine tra i 6 e i 10 anni;
   emerge dalla ricerca che, a seguito di testimonianze dirette e indirette, sono moltissime le zone in quartieri critici del napoletano, come Salicelle, Afragola, Madonnelle, Acerra e Caivano, dove l'abuso sessuale e l'incesto sono la consuetudine;
   l'indagine svolta dal Garante, che si riferisce al periodo 2013-2014, ha interessato 45 comuni e stima che i dati emersi siano probabilmente inferiori ai dati reali molto difficili da quantificare poiché le vittime sono bambini e bambine legati da vincoli familiari ai loro aguzzini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non si ritenga urgente mettere in campo tutte le possibili iniziative per evitare il perpetrarsi di tali gravissimi fenomeni ai danni di minori e soprattutto per prevenire e contrastare un fenomeno che è una vera piaga sociale;
   se non si ritenga di dover mettere in atto tutte le iniziative possibili al fine di consentire, nella massima sicurezza un sostegno alle vittime per denunciare gli abusi;
   se non si ritenga di dover avviare un monitoraggio in tutte le regioni con l'obiettivo di pervenire a una raccolta di dati in modo da ottenere una mappatura generale che consenta di mettere in atto iniziative per il contrasto degli abusi sessuali e maltrattamenti in famiglia a danni dei minori. (4-13555)

   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante Disposizioni per la parità d'accesso ai mezzi d'informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica, a far data dalla convocazione dei comizi e fino alla chiusura delle operazioni di voto «è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni»;
   come ribadito in più occasioni dalla Corte Costituzionale, il divieto di cui all'articolo 9 della legge n. 28 del 2000 è direttamente destinato alle amministrazioni pubbliche intese come enti e organi e non già come i singoli soggetti che ne esercitano le funzioni, e «mira ad evitare che la comunicazione istituzionale delle amministrazioni venga piegata ad obiettivi elettorali, promuovendo l'immagine dell'ente, dei suoi componenti o di determinati attori politici, in violazione degli obblighi di neutralità politica degli apparati amministrativi (articolo 97 Costituzione), della necessaria parità di condizione fra i candidati alle elezioni e della libertà di voto degli elettori (articolo 48 Costituzione)»;
   come è emerso di recente da alcuni articoli di stampa (Panorama, n. 24, 15 giugno 2016), il Presidente del Consiglio Matteo Renzi avrebbe avviato le procedure per la costituzione della cosiddetta «Bestia», ovverosia quella che sembrerebbe configurarsi come una struttura parallela apparentemente operante presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri con il mero obiettivo di dirigere e orchestrare la propaganda politica elettorale in vista del referendum costituzionale, al di fuori, dunque, di ogni logica istituzionale;
   detta «Bestia» risulterebbe costituita da tre teste. Una politica, costituita da un gruppo ristretto e vicino al Presidente del Consiglio dei ministri, che studia la demoscopia, determina la strategia comunicativa e, infine, scrive discorsi e organizza la raccolta fondi. La seconda testa, quella digitale, che dovrebbe corrispondere ad una sorta di war room con una trentina di addetti aventi il compito di operare sui social media e su internet in modo tale da orientare il voto referendario. Infine, la terza testa, per quanto risulta agli interroganti, risulterebbe composta da circa venti persone, una per ogni regione italiana, per governare i volontari dei Comitati per il sì al referendum;
   come emerge dalla stampa nazionale, la guida di questa struttura è stata affidata a consulenti che sarebbero attivi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri come Jim Messina, consulente americano, in passato a capo delle campagne elettorali del Presidente Barack Obama, e oggi fondatore di una società di consulenza privata, la Messina Group, con sede anche in Europa, a Londra e con altrettanti interessi in Italia;
   tali notizie appaiono, con tutta evidenza di eccezionale gravità, considerato che agli interroganti non appaiono chiari i motivi per i quali una struttura di comunicazione di tal fatta invece di essere collocata nelle sedi del Partito democratico possa essere invece operante presso gli uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   soprattutto non appare chiaro il modo con cui questa struttura venga pagata, se con risorse private o risorse a carico del Stato –:
   se possa assicurare che tale struttura, ove effettivamente costituita, non sia incardinata presso la Presidenza del Consiglio o presso una qualunque altra struttura pubblica, né che si avvalga in qualunque modo di risorse pubbliche. (4-13565)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:

   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha stipulato una serie di convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione e l'elusione fiscale;
   le convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono trattati internazionali con i quali i Paesi contraenti regolano l'esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti;
   nell'area dell'America latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali solo con l'Argentina, il Brasile, l'Ecuador e il Venezuela, ma non lo ha ancora fatto con l'Uruguay, Paese dove risiedono decine di migliaia di italiani e operano migliaia di imprese italiane;
   l'assenza di una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni fiscali con l'Uruguay non solo crea problemi di potestà impositiva e di doppia tassazione per le numerose collettività di emigrati, lavoratori e pensionati, ma può compromettere e limitare anche l'avvio di attività economiche e finanziarie di imprese italiane e uruguayane che rischiano un'applicazione incerta o penalizzante di norme che se invece fossero regolate da una convenzione eliminerebbero le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti e contrasterebbero l'elusione e l'evasione fiscale;
   l'Uruguay fa ora parte dei 130 Paesi membri del Global Forum sulla trasparenza fiscale e sullo scambio di informazioni, con segretariato presso l'Ocse, al quale il G20 ha affidato il compito di promuovere e monitorare l'effettiva trasparenza fiscale per quanto riguarda lo scambio di informazioni su richiesta (con l'emissione periodica di giudizi e rating sulla performance) e il nuovo standard unico globale di scambio automatico di informazioni fiscali a fini finanziari;
   recentemente, nell'anno in corso, l'Uruguay ha anche firmato la Multilateral Convention on Mutual Administrative Assistance Tax Matters espandendo così la propria capacità di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale internazionale e impegnandosi pienamente a procedere a scambi di informazioni fiscali in funzione delle regole Ocse;
   con l'Uruguay tentativi negoziali sono stati esperiti dall'Italia nel 1988 e, successivamente, nel 2009; una prima bozza di accordo è stata inviata a Montevideo il 5 aprile 2011, sulla quale non si sa se l'Uruguay abbia finora trasmesso le proprie osservazioni –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per accelerare e definire l'iter negoziale finalizzato alla stipula di un accordo contro le doppie imposizioni fiscali tra l'Italia e l'Uruguay e soddisfare così le aspettative e le richieste pressanti di cittadini e imprese al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio e stimolare così una ripresa dei rapporti economici e finanziari tra i due Paesi. (4-13564)

   BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dei 12 elicotteri venduti nel 2010 alla Difesa indiana da AgustaWestland (ora divisione elicotteri di Finmeccanica) e finiti al centro di un caso di corruzione internazionale continua a rendere tese le relazioni tra il Governo di New Delhi e il gruppo italiano leader nazionale della produzione industriale bellica;
   nei giorni scorsi il Ministero indiano delle finanze ha pubblicato alcuni documenti da cui emerge che Indian Rotorcraft, joint venture tra AgustaWestland e il gruppo Tata Sons, è stata ammessa dal Governo nell'elenco delle imprese autorizzate a investire direttamente secondo la formula Fdi (Foreign Direct Investment), accogliendo le raccomandazioni formulate dal Foreign Investment Promotion Board. La notizia contraddice l'informazione secondo la quale New Delhi avrebbe inserito Finmeccanica e le sue controllate nella blacklist che le escluderebbe dagli affari sul mercato indiano;
   l'India è tra i Paesi – nonostante il persistere di livelli di povertà diffusa tra la popolazione – che stanno aumentando il budget per le spese militari, assieme ad Arabia Saudita e Cina ed è per questo ritenuto un partner strategico per l'industria armiera italiana;
   la vicenda della commessa dei 12 elicotteri in configurazione Vip aveva un valore di circa 560 milioni di euro. Dopo che nel 2014 l'India ha deciso di rescindere il contratto, ha stimato i danni in circa 648 milioni di euro, notificando contemporaneamente l'avvenuta richiesta di escussione delle garanzie e controgaranzie rilasciate in relazione al contratto per circa 306 milioni, compreso anche un performance bond;
   AgustaWestland e AgustaWestland International si sono opposte e ne è scaturita una battaglia legale presso il Tribunale di Milano. L'esito è stato un parziale accoglimento del reclamo presentato dal Ministero della difesa indiano: i giudici hanno revocato l'inibitoria per l'intero importo del performance bond, pari a circa 28 milioni di euro, e fino alla concorrenza dell'importo di circa 200 milioni di euro per quanto riguarda le advance bank guarantees. Invece è rimasta inibita l'escussione delle garanzie per altri 50 milioni di euro: la cifra è pari alla riduzione «che, in virtù di quanto stabilito dal contratto, avrebbe dovuto essere effettuata sul valore delle advance bank guarantee in seguito all'avvenuta accettazione dei primi tre elicotteri da parte del cliente», si legge nei documenti finanziari di Finmeccanica;
   il gruppo di piazza Monte Grappa sarebbe così riuscito a contenere i danni, Relativamente alla parte di fornitura già effettuata, e cioè i tre elicotteri consegnati (assieme a materiali di ricambio e di supporto), la recuperabilità degli attivi netti iscritti nel bilancio del gruppo ammonta a 110 milioni di euro. L'altro dato è che il magazzino residuo relativo al programma risulta interamente destinabile ad altri contratti, quindi la divisione elicotteri potrà rivenderli con poche modifiche ad altri committenti;
   nel frattempo è stato avviato l'arbitrato alla Camera di commercio internazionale di Parigi e ancora si discute sulla «compromettibilità» degli arbitri, sollevata dalla controparte indiana. «La società», è la posizione di Finmeccanica, «oltre a opporsi alle eccezioni di cui sopra, all'esito della decisione sulle questioni preliminari insisterà sulla fondatezza delle proprie pretese»;
   i giornali di New Delhi, ripresi anche dalla stampa italiana, parlano di pressioni della Marina indiana sul proprio Governo per concludere un contratto con Finmeccanica per la fornitura di siluri. Si tratta di ordigni d'ultima generazione, sofisticatissimi: i Black Shark, squalo nero, prodotti in Italia dalla Wass. La flotta locale sta per mettere in mare il primo dei nuovi sottomarini costruiti su licenza francese, che rischia però di rimanere disarmato. Ma essendo stati tutti gli accordi con Finmeccanica e le sue controllate bloccati dopo lo scandalo per le forniture di elicotteri Agusta e la vicenda delle tangenti ad essa legati, anche questo potenziale contratto rischia di saltare;
   – infatti la Wass – un'azienda interamente controllata da Finmeccanica con 358 dipendenti a Livorno e 75 a Pozzuoli, tutti altamente qualificati – è finita nella black list. Ma in questo modo i super-sottomarini indiani rischiano di rimanere senza arpioni. «A che serve un fucile senza pallottole ?», si chiede «The Times of India» descrivendo l’affaire. Per questo il Ministero della difesa indiano sta valutando una «eccezione speciale» permettendo l'acquisto di 98 siluri made in Italy: «Non è stata ancora presa una decisione. Ma lo stiamo attivamente considerando», ha spiegato una fonte del ministero al quotidiano;
   lo sblocco del contratto sarebbe chiaramente un'ottima notizia per Finmeccanica: la commessa vale circa 300 milioni di euro, con parte degli ordigni hi-tech da costruire a Livorno e parte da realizzare su licenza in Asia. E soprattutto potrebbe riaprire le porte del ricco mercato indiano all'industria bellica nazionale, con l'eccezione forse della sola Agusta: una occasione per i radar di Selex, le artiglierie navali di Oto Melara e gli aerei di Alenia, che potrebbero recuperare ordini fino a sei miliardi di dollari;
   appare però evidente che la mancanza di trasparenza e i ripetuti scandali prodotti dalla pratica delle tangenti come nel caso degli elicotteri Augusta rischiano di minare la credibilità di Finmeccanica e delle sue controllate danneggiandola sul mercato globale –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto per evitare che casi di corruzione e di tangenti come quello della vicenda degli elicotteri Augusta abbiano a ripetersi; in particolare, se – rispetto a Finmeccanica, azienda di proprietà dello Stato – si sia provveduto a rimuovere i responsabili di queste pratiche e ad impartire linee guida ai suoi dirigenti atti ad escludere il ripetersi di pratiche in contrasto con la legge e ogni logica di trasparenza;
   quale sia la situazione attuale delle relazioni tra India ed Italia in merito al commercio bilaterale di sistemi d'arma ed in particolare se risulti persistere nei confronti di Finmeccanica un divieto generalizzato alla commercializzazione di armi in India (presenza nella blacklist del Governo indiano) o se ci si avvii ad un suo superamento sia pur parziale come da informazioni esposte in premessa.
(4-13567)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   CARRESCIA, BRAGA, GADDA, GIOVANNA SANNA, ZARDINI e COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 maggio 2016 è stato  abrogato il decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52, recante il regolamento che ha istituito il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
   il nuovo regolamento (decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78), reca disposizioni relative al funzionamento e all'ottimizzazione del SISTRI, in attuazione dell'articolo 188-bis, comma 4-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il quale dispone che «con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si procede periodicamente, sulla base dell'evoluzione tecnologica e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria, alla semplificazione e all'ottimizzazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, anche alla luce delle  proposte delle  associazioni rappresentative degli utenti,  ovvero  delle  risultanze  delle rilevazioni di soddisfazione dell'utenza; le semplificazioni e l'ottimizzazione sono adottate previa verifica tecnica e della congruità dei relativi costi da parte dell'Agenzia per l'Italia digitale»;
   l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, prevedeva che tale semplificazione fosse realizzata in via  prioritaria, con l'applicazione dell'interoperabilità e la sostituzione dei dispositivi token usb, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   il contratto con Selex SeMa, la società controllata da Finmeccanica che ha realizzato e gestito il Sistri, sottoscritto il 14 dicembre 2009 e in essere fino al 30 novembre 2014, è stato più volte prorogato ex lege fino al 31 dicembre 2016;
   alla scadenza naturale del contratto, perciò, i costi connessi alla sua realizzazione erano già stati ammortizzati e già dal 2015 non dovevano più essere compresi nel calcolo del contributo annuale pagato dalle imprese, contributo che concerne sia la realizzazione sia la gestione, articolata in manutenzione e aggiornamento (articolo 7 del decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52);
   dal 2015 le imprese aderenti avrebbero dovuto pagare solo il costo della manutenzione e degli aggiornamenti mentre hanno continuato a pagare come negli anni precedenti;
   il Parlamento più volte si è pronunciato in merito alla riduzione degli importi dovuti dalle imprese con atti di indirizzo politico quali:
    la risoluzione n. 00119 approvata il 17 giugno 2015 dalla Commissione ambiente, come riformulata su richiesta del Governo, che testualmente impegnava l'Esecutivo, fra l'altro, «a valutare l'adozione di tutti gli atti necessari a ridurre il contributo annuale di iscrizione al SISTRI previsto dal decreto ministeriale 18 febbraio 2011 n. 52, e successive modificazioni, dalla data del 1o gennaio 2016 scorporandone la parte relativa agli oneri di costituzione del SISTRI e limitandolo solo a quelli di funzionamento»;
   l'ordine del Giorno n. 25 del 22 dicembre 2015, accolto dal Governo, con il quale si impegnava lo stesso a ridurre il contributo annuale di iscrizione;
   l'ordine del giorno n. 9/3513-A/93, accolto dal Governo il 10 febbraio 2016 che, nelle premesse segnala che «in sede di approvazione del Parere reso dalla VIII Commissione Ambiente nel corso dell’iter di conversione del decreto-legge n. 210 del 2015, la Sottosegretaria rappresentante del Governo ha comunicato che lo schema di Decreto Ministeriale di modifica di quello del 18 febbraio 2011 e finalizzato alla
riduzione del contributo annuale per l'iscrizione al SISTRI, nel rispetto dell'impegno di cui alla citata Risoluzione n. 800199, ovvero la riduzione a partire dal 2016, era stato trasmesso già nel dicembre 2015 al Consiglio di Stato»;
   il nuovo regolamento prevede, o meglio ipotizza, un sistema più semplice, ma il costo di tale nuovo sistema rischia di ricadere nuovamente sulle imprese che dovranno pagare la realizzazione del SISTRI-bis e, nelle more, continuare a sborsare per l'ammortamento di un bene già pagato (l'attuale Sistema di tracciabilità);
   l'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, prevede che la riduzione del contributo si applicherà solo a coloro che aderiscono al SISTRI «su base volontaria» e quindi praticamente a nessuno;
   solo all'articolo 23, comma 4, ultimo periodo, c’è l'indicazione di una «rimodulazione» dei contributi dovuti dalla categoria dei trasportatori che, in assenza di più precise indicazioni potrebbe, addirittura, concretizzarsi in un aumento dei contributi stessi;
   gli impegni assunti dal Governo tramite il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare erano ben altri: dalla risposta relativa all'attuazione dell'Odg n. 9/03513-A8 del 10 febbraio 2016 si evince che dal 2010 al 2014 le imprese hanno pagato allo Stato 131.063.022,03 euro a fronte di una prestazione da parte di Selex quantificata dall'Agenzia per l'Italia Digitale (d'accordo anche l'Avvocatura dello Stato) in soli 57.837.889 + IVA, pari a 70.562.224,58 euro;
   nella sentenza del TAR Lazio n. 05569/2016 dell'11 maggio 2016 relativa al ricorso proposto da Selex contro Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e CONSIP in merito alla gara per l'affidamento in concessione del SISTRI, la società Selex «ha rappresentato di aver ricevuto in pagamento un importo di 46,1 milioni di euro e di aver citato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiedendo una somma pari a 186.605.714,00 euro»;
   nella risposta alla sopra citata il Ministero ha invece affermato che Selex ha fatturato 242.884.113,67 + IVA pari a 296.318.618,7 euro e che sono state contestate fatture per euro 192.273.718,91. Dai dati disponibili emerge dunque una differenza di circa 6.000.000 di euro fra quanto contestato e quanto Selex sostiene invece di poter esigere, come pure fra quanto la ditta dichiara di avere incassato (46,1 milioni) e quanto il Ministero dichiara di avere pagato (57 milioni e rotti più IVA, pari a circa 70 milioni);
   tra il 2010 e il 2014 le imprese hanno versato 131.063.022,03 euro a fronte di un servizio da pagare a Selex stimato in 70.562.224,58 euro, cioè 60.500.797 di euro in più del valore del servizio reso;
   nel 2015 Selex ha stimato e fatturato per i propri «costi di produzione» 21.580.552,80 di euro (IVA inclusa), mentre lo Stato ha incassato per il contributo SISTRI 31.962.207,43 di euro, cioè oltre 10 milioni in più;
   per il 2016 i dati forniti sono antecedenti al 30 aprile 2016 e non è possibile effettuare un calcolo puntuale;
   il decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, andrebbe, pertanto, immediatamente modificato prevedendo la riduzione del contributo annuale di iscrizione, la riduzione dei costi delle USB e dei black box;
   su tali strumentazioni per altro sorgono perplessità riguardo ai dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: la previsione del loro costo «per gli ulteriori anni di durata del contratto» nella risposta sopra richiamata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è di 75,00 euro + IVA (cioè 91,50 euro lordi) per il dispositivo USB e di 500 euro + IVA (610 euro per il B/B black box);

   il soppresso decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52 (All. 1o seconda fase, n. 5), indicava, però, importi diversi e decrescenti negli anni che andavano dai 60 euro del 2010 ai 40 euro del 2013 per i dispositivi USB e dai 400 euro del 2010 ai 250 euro del 2013 per i B/B;
   va rilevata anche un'altra discrasia nella risposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito all'attuazione dell'ordine del giorno 9/3513-A8, a fronte di un corrispettivo ritenuto congruo di 57.837.889 euro + IVA, pari a 70.562.224,58 euro, sono state pagate fatture solo per 69.640.141 euro, a fronte di un afflusso di contributi per il 2010 - 2014 ben superiore;
   inoltre, risulta agli interroganti incomprensibile il fatto che a fronte di un costo di un token di 91,50 euro sia stato effettuato un pagamento di 3.272.955,84 euro (fattura 154/2010) che corrisponde a 35.770,009 unità di prodotto;
   per la fattura n. 155 del 2010 di 11.440.396,80 euro la fornitura risulta corrispondere a 18.754,74 Black Box, un altro prodotto che appare difficilmente frazionabile e che è venduto ad unità intere;
   dalla sentenza n. 05569/2016 del TAR Lazio emergono, però, altri due preoccupati aspetti:
    il primo è che l'articolo 12 del contratto stipulato nel 2009 prevedeva che alla scadenza del rapporto, fissato inizialmente al 30 novembre 2014, l'infrastruttura del SISTRI dovesse passare definitivamente e gratuitamente nella proprietà del Ministero resistente; l'automatismo alla scadenza fisiologica del contratto sarebbe stato, tuttavia, annullato, secondo Selex, dall'entrata in vigore dell'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013, il quale prevede che il contenuto e la durata del contratto con Selex service management s.p.a. e il relativo piano economico-finanziario siano modificati (comma 9) e che il termine finale di efficacia del contratto sia prorogato al 31 dicembre 2016; se alla scadenza del contratto originario e cioè nel 2014, l'infrastruttura fosse passata definitivamente e gratuitamente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pare evidente che ciò sarebbe dipeso dal fatto che negli anni decorsi dal 2009 in poi l'intero sistema era stato pagato dallo Stato con le risorse derivanti dai contributi annuali delle imprese. La proroga del termine del contratto Selex se davvero si configurasse come una modifica contrattuale tale che il concessionario avrebbe diritto anche ad un «importo pari al valore della infrastruttura non ancora recuperato» suonerebbe non solo come l'ennesima beffa di questa assurda vicenda, ma comporterebbe da parte delle imprese l'obbligo di pagare un'altra volta un bene che già dovrebbe essere di proprietà pubblica dal 30 novembre 2014;
    il secondo aspetto è che la sostituzione dell'attuale sistema informatico di tracciabilità è solo e del tutto ipotetica; come rileva il TAR Lazio «Il punto 8 del capitolato tecnico (cfr pagg. 72 e ss.) prevede, infatti, due scenari: il primo coincide con la presa in carico dell'attuale sistema informatico sviluppato e gestito dalla società ricorrente mentre il secondo prevede la mancata presa in carico dell'attuale sistema e la conseguente realizzazione di un nuovo sistema informatico da parte del nuovo gestore; lo stesso punto 8 del capitolato specifica, altresì, che, solo al momento della stipula del contratto di concessione con il nuovo gestore (alla cui gara la società ricorrente non ha partecipato), il Ministero resistente provvederà a comunicare se si procederà o meno alla presa in carico dell'attuale sistema informatico SISTRI.». In altri termini, conclude il giudice amministrativo, «(...) non può dirsi quindi smentito che l'oggetto della procedura selettiva (...) non preveda, se non come una delle possibili ipotesi, il passaggio obbligatorio dell'infrastruttura informatica realizzata dalla società ricorrente; in altre parole, tale evenienza costituisce una possibilità (recte: opzione) che si concretizzerà, se del caso, solo al momento della stipula del contratto di concessione con il nuovo gestore, laddove - è lecito supporre - il Ministero resistente
abbia conseguito la disponibilità della struttura informatica realizzata dalla società ricorrente, previo riconoscimento della relativa titolarità»; da tutto ciò consegue che la procedura selettiva indetta da Consip non contiene clausole che dispongano, in via diretta, dell'infrastruttura informatica realizzata dalla società ricorrente, ma si limita a prevedere due opzioni alternative, l'una che prevede la presa in carico da parte del nuovo gestore del sistema sviluppato da Selex spa e l'altra che prescinde da tale passaggio con conferimento dell'incarico al concessionario entrante di realizzare un nuovo sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti; lo stesso bando di gara prevede, altresì, che la scelta sull'opzione da preferire sarà effettuata dal Ministero resistente all'atto della stipula del contratto con il nuovo concessionario;
   al riguardo, non è affatto inverosimile immaginare che l'introduzione di una tale opzione nel bando di gara sia il frutto proprio della situazione di incertezza in ordine alla titolarità dell'attuale infrastruttura SISTRI, venutasi a creare tra il Ministero resistente e la società ricorrente (come peraltro dimostra il contenzioso civile di recente avviato dinanzi al tribunale di Roma);
   si prospetta quindi non la presa in carico della piattaforma Selex, bensì la realizzazione di un nuovo sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti. Nel primo caso il costo dovrebbe essere pari a zero (articolo 12 del contratto Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Selex del 2009); nel secondo, quello più probabile, i costi rischiano di essere addebitati ancora una volta alle imprese –:
   se non ritenga doveroso chiarire, in modo trasparente, i termini e le cifre reali in merito al contratto Selex per la realizzazione di sistema SISTRI sia per il periodo 2009-2014 sia per il 2015-2016, oltre alle discrasie emerse nelle risposte alle interrogazioni e nelle risposte inviate in merito all'attuazione degli ordini del giorno sopra richiamati, e fra tali affermazioni e gli atti del ricorso amministrativo davanti al TAR Lazio;
   se non consideri opportuno assumere iniziative per modificare il decreto ministeriale 78 del 2016, con particolare riguardo:
   a) all'Allegato 1 per ridurre di almeno il 25 per cento gli importi dei contributi annuali di iscrizione per tutte le categorie a decorrere dal 1o gennaio 2017 in considerazione del fatto che nel 2015, a fronte di costi, IVA inclusa, per 21.580.552 euro si sono registrate entrate per contributi di 31.962.207,43, superiori del 48 per cento ai costi di realizzazione del sistema;
   b) alla necessità di prevedere la compensazione, applicata su più anni, con quanto maggiormente versato nel periodo 2010-2014 o, in via subordinata, almeno negli anni 2015 e 2016, dalle imprese aderenti al SISTRI;
   c) alla necessità di prevedere che i costi per la realizzazione del nuovo sistema di tracciabilità non debbano comunque gravare sulle imprese perché il nuovo sistema viene introdotto per l'inefficienza di quello esistente e perché il sistema di tracciabilità attuale è stato già abbondantemente pagato dalle imprese;
   d) alla necessità di fissare un termine breve per l'emanazione dei decreti previsti dall'articolo 2, comma 1;
   e) alla revisione del meccanismo del «visto» di cui all'articolo 2, comma 2, per i manuali e le guide del concessionario, introducendo una procedura di verifica più incisiva e non meramente passiva;
   f) all'articolo 20 che prevede una convenzione con il servizio pubblico di raccolta per il conferimento a quest'ultimo, indistintamente, di rifiuti fra i quali rientrano, nel testo attuale, anche quelli speciali pericolosi che, proprio in quanto pericolosi, non sono, ex lege, «assimilabili» ai rifiuti urbani. (5-08954)

   MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una ondata di maltempo molto intensa è tornata a colpire il litorale veneto nel corso degli ultimi giorni;
   in particolare i forti venti di scirocco hanno determinato violente mareggiate e persino il fenomeno dell'acqua alta a Venezia evento rarissimo nel mese di giugno;
   lo scirocco ha spinto il mare verso l'arenile e i lidi con ombrelloni e sdraio sono finiti sott'acqua;
   per gli operatori economici il mese di giugno 2016 e stato disastroso prima con trombe d'aria e ora con le mareggiate;
   a questo bisogna aggiungere il fenomeno dell'erosione che continua purtroppo a interessare il litorale;
   Jesolo, Bibione, Chioggia, il Lido di Venezia sono le aree maggiormente interessate –:
   se, in considerazione di quanto riportato in premessa, il Governo non intenda attivare un tavolo interministeriale per affrontare le questioni concernenti il futuro del litorale veneto, in particolare per valutare l'opportunità di misure di sostegno in favore degli operatori economici, così duramente colpiti dal susseguirsi delle ondate di maltempo. (5-08957)

   VALLASCAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2016, è stata pubblicata l'11a indagine sul servizio idrico integrato a cura dell'Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva che analizza le diverse componenti del servizio idrico integrato;
   nell'indagine sono stati presi in considerazione, tra le altre cose, la tariffa per il servizio acquedotto, i costi di depurazione e fognatura, la spesa media per gli utenti domestici, la dispersione e i dati relativi alle nuove regole, i disservizi e le sanzioni;
   secondo quanto rilevato, le tariffe più elevate a livello regionale si sarebbero riscontrate in Toscana, Marche, Umbria, Emilia Romagna e Puglia;
   tra i dati, acquista particolare rilievo quello relativo alla dispersione idrica, secondo il quale in Italia un terzo dell'acqua immessa nelle tubature andrebbe sprecata. Al vertice della classifica tra le regioni con i maggiori sprechi ci sarebbero il Lazio, con un livello di disperazione idrica pari al 60 per cento, e la Sardegna, con il 52 per cento;
   il costo dell'acqua, secondo l'indagine, sarebbe in costante crescita: +5,9 per cento rispetto al 2014 e +61,4 per cento rispetto al 2007;
   l'indagine riferisce anche in merito alle condanne ricevute dall'Italia da parte della Corte di giustizia europea per inadempienze sul sistema delle reti fognarie e trattamento delle acque reflue e della procedura d'infrazione avviata nel 2014, che interesserebbe 817 agglomerati;
   l'Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva riferisce, inoltre, delle indagini istruttorie dell'Antitrust su presunte pratiche commerciali scorrette, di alcuni gestori, nella procedura di fatturazione, richieste di pagamento di morosità pregresse ai nuovi clienti subentranti, modalità di gestione dei reclami e procedure di messa in mora e distacco;
   in particolare, secondo l'indagine, l'Antitrust avrebbe sanzionato, con le succitate motivazioni, quattro gestori: Abbanoa (Sardegna), sentenza successivamente annullata dal Tar del Lazio, Acea Ato2 (Lazio), Gori (Campania), CITL (provincia di Caserta);
   al di là delle decisioni assunte dall'Antitrust e degli annullamenti del Tar di competenza, da numerose notizie di stampa, emergerebbe una situazione, generale profondamente critica sotto il profilo organizzativo e gestionale di alcuni gestori del servizio idrico integrato;
   risulterebbe, ad esempio, che l'operato di Abbanoa, gestore unico del servizio idrico integrato della Sardegna, sin dalla sua costituzione, si sia caratterizzato per una molteplicità di disservizi nell'approvvigionamento, nella potabilizzazione, distribuzione della risorsa idrica, nei processi di depurazione delle acque reflue, nonché nel sistema della contabilizzazione dei consumi a cui si aggiungerebbe la sofferenza finanziaria dell'azienda riscontrata in anni passati;
   in particolare, una delle criticità più rilevanti, alla base di profondi malumori diffusi tra gli utenti del servizio, sarebbe rappresentata da un sistema di contabilizzazione e fatturazione dei consumi che si connoterebbe per i forti ritardi nell'invio delle fatture commerciali – ritardi in alcuni casi anche di diversi anni –, nella misura che Abbanoa, sistematicamente, ricorrerebbe a forme di conguaglio che risulterebbero particolarmente onerose per gli utenti. A questa situazione si aggiunge l'emissione da parte dell'azienda di fatture commerciali relative al «conguaglio regolatorio» con «partite pregresse» che la gestione commissariale straordinaria per la regolamentazione del servizio idrico integrato della Sardegna (ex autorità d'ambito) avrebbe deliberato il 26 giugno 2014;
   questa situazione che riguarderebbe anche altre aziende di gestione del sistema idrico integrato rischia di ripercuotersi pesantemente sugli utenti che potrebbero usufruire di un servizio di qualità inferiore a fronte di una spesa finale eccessivamente elevata e socialmente insostenibile –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per evitare che sugli utenti del servizio idrico integrato ricadano gli alti costi derivanti dalle criticità e dai disservizi di gestione;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per ridurre le percentuali di dispersione della risorsa idrica;
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare per contenere i rincari del costo dell'acqua. (5-08975)

   TERZONI, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   5 giugno 2016 è stata la giornata mondiale dell'ambiente. In quella occasione il WWF ha diffuso i dati relativi al bracconaggio mettendo in evidenzia il dato che indica in 213 miliardi di dollari il fatturato di tale attività illecita che risulta essere il quarto mercato criminale del pianeta;
   l'emergenza bracconaggio, spiega il WWF, «ha raggiunto un livello di attenzione talmente elevato da avere targets dedicati nell'importante Agenda 2030 con gli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati da tutti i paesi del mondo lo scorso anno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite la cui implementazione è stata oggetto della seconda United Nations Enviroment Assembly (UNEA2), tenutasi a Nairobi presso la sede dell'UNEP dal 23 al 27 maggio scorsi dove è stata lanciata la campagna Wild for Life dedicata ad arrestare il traffico di specie che a livello mondiale rischiano l'estinzione»;
   durante l'assemblea ambiente delle Nazioni Unite sono stati forniti i dati riguardanti le gravi perdite di biodiversità registrate negli ultimi anni in Africa: ogni anno vengono bracconati più di 30.000 elefanti, in Tanzania e in Mozambico in soli 5 anni sono stati persi tra il 50 e il 60 per cento della popolazione di questa specie. Inoltre ogni anno viene ucciso il 10 per cento dei gorilla di pianura, mentre in Zimbabwe è scomparso in pochi anni il 60 per cento della popolazione di rinoceronti e in 10 anni è scomparso quasi il 70 per cento degli elefanti di foresta del bacino del Congo;
   secondo le Nazioni Unite il bracconaggio e il commercio illegale di natura non si ferma alle specie così dette carismatiche: «l'indagine dell'UNODC, analizzando 164.000 sequestri in 164 paesi diversi ha riscontrato la presenza di ben 7000 specie oggetto di crimini. La cattura, l'uccisione, la trasformazione e la commercializzazione illegale di queste specie contamina un'infinità di prodotti e settori: dalla moda (come pelli e avorio) all'arredamento (come alberi e altre piante in via d'estinzione), dal cibo (come scimmie e pangolini) ai prodotti farmacologici tradizionali (come parti di tigre e corna di rinoceronti) e agli animali domestici (come pappagalli e rettili)».
   l'Italia non è esente da questi crimini e sempre secondo l'ufficio UNODC, ad esempio, milioni di uccelli ogni anno vengono uccisi da doppiette, trappole e reti;
   il WWF in occasione della giornata dell'ambiente ha inteso lanciare un messaggio per acuire a sensibilità verso questi crimini chiedendo che l'Italia si doti di un piano nazionale per fronteggiare il fenomeno illegale della cattura, uccisione e importazione di specie selvatiche e un maggiore coordinamento tra le forze dell'Ordine per rafforzare l'efficacia della sorveglianza, accurate indagini, condanna dei responsabili e un inasprimento delle sanzioni e delle pene per i reati contro la fauna selvatica;
   proprio in questo campo il Corpo Forestale dello Stato ha nel nostro territorio un ruolo fondamentale;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo forestale dello Stato (MIPAF-CFS) è autorità competente al rilascio di alcune certificazioni CITES (la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) e ai controlli di polizia (cosiddetto « Enforcement»);
   nell'ambito del sistema CITES e delle sue attività, il Corpo Forestale dello Stato, oltre a essere autorità amministrativa per le contestazioni di natura amministrativa, si occupa del rilascio dei certificati CITES necessari alla riesportazione e utilizzo commerciale di numerose specie di animali e piante protette e del controllo tecnico-specialistico ai fini del rispetto della Convenzione;
   la convenzione di Washington viene considerata uno dei più importanti strumenti normativi internazionali per la conservazione della biodiversità del nostro pianeta. Attraverso questa Convenzione ogni Paese monitora e regolamenta il commercio nazionale ed internazionale di esemplari e prodotti derivati da specie animali e vegetali al fine di scongiurarne l'estinzione;
   i dati relativi ai controlli eseguiti nel 2015 dal Corpo forestale dello Stato, consultabili sul sito, evidenziano a mole di lavoro necessaria a svolgere al meglio quanto previsto dalla convenzione di Washington:
   in un solo anno sono stati eseguiti controlli su 12.574 animali vivi, 6.896 piante vive e 221.230 parti e prodotti derivati. Dei controlli su animali vivi, tra le principali specie controllate, si segnalano 2.500 esemplari della famiglia Testudinidae spp. (tartarughe di terra), 1.000 pappagalli, 130 primati (scimpanzé, macachi, cercopitechi etc.), 100 felini (tigri, leopardi, ghepardi, linci, leone, serval etc.), 250 boidi (pitoni, boa), 380 tra rapaci diurni e notturni;
   dei controlli su parti e prodotti derivati, tra le categorie merceologiche, si segnalano: 210.000 prodotti in pelle di rettile (Crocodylia spp., Boidae spp., Pythonidae spp., Varanidae spp., Chelonidae spp.), 7.000 tra zanne e oggetti in avorio, 26 mila tonnellate di legname, 33 tonnellate di piante di aloe, 110 chilogrammi di caviale;
   durante questa attività, eseguita perlopiù nelle strutture aeroportuali e navali,
è stata sequestrata merce per un valore di circa un milione di euro e sono state comminate sanzioni amministrative per un totale di 270 mila euro –:
   se i Ministri interrogati intendono assumere iniziative normative per accogliere la richiesta avanzata dal WWF circa la necessità di dotare il Paese di un piano nazionale per fronteggiare il fenomeno illegale della cattura, uccisione e importazione di specie selvatiche, non solo a difesa degli uccelli, rispetto ai quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha appena avviato un processo di consultazione per la redazione di un piano, su sollecitazione dell'Unione europea;
   come verrà garantita l'attività attualmente svolta nell'ambito della convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, in seguito al previsto accorpamento del Corpo Forestale dello Stato con l'Arma dei carabinieri in attuazione della legge n. 124 del 2015.
(5-08976)

Interrogazioni a risposta scritta:

   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, COZZOLINO, DA VILLA e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 2 giugno 2016 la Commissione petizioni del Parlamento europeo ha avviato la discussione della petizione «qualità dell'aria a Venezia dell'aria a Venezia» (n. protocollo 2288/2014) – presentata il 3 novembre 2014 da alcune associazioni ambientaliste – relativamente all'inquinamento atmosferico prodotto dalle navi, all'inadeguatezza del sistema di rilevazione degli inquinanti e alla mancanza di provvedimenti e piani per la difesa e la tutela della salute pubblica;
   la petizione, oltre a sottolineare l'inopportuna localizzazione delle stazioni di misurazione dei principali inquinanti dell'aria, solleva diverse criticità in particolare in merito alla mancata osservanza della direttiva 2008/50/CE dovuta al non rispetto dei limiti di PM10 e di NO2 con riferimento al traffico acqueo a Venezia;
   inoltre, dalla petizione emerge come l'inopportuna localizzazione del punto di campionamento determini rilevazioni falsate e non rappresentative degli inquinanti da polveri sottili e ossido di azoto, come si evince dal confronto tra le misure effettuate da Arpav in due località nel 2012;
   l'unica stazione di misurazione nel centro storico di Venezia si trova infatti a Sacca Fisola e, come documentato nella petizione, trovandosi sopravento rispetto alle emissioni derivanti dal traffico acqueo, è qualificabile come «stazione di fondo», mentre la citata direttiva richiede che le stazioni siano posizionate nei pressi delle sorgenti di emissione;
   nonostante l'inopportuna localizzazione della stazione, tale da sottostimare l'inquinamento reale, i limiti previsti dalla legislazione europea per il PM10 e per il NO2 risultano ampiamente superati: per esempio la misura delle polveri ultrasottili effettuata nei pressi della stazione di Sacca Fisola, in più occasioni, è stata attorno alle 2000 particelle di polveri ultrasottili per centimetro cubo, mentre le misure prese sottovento al traffico (alle Zattere e a S. Elena) si sono rilevate da 4 volte a 80 volte maggiori;
   l'ampio superamento dei limiti previsti dalla legislazione comunitaria per il particolato (PM10) e per l'ossido di azoto espone la popolazione residente e i turisti che visitano ogni anno la città a gravi rischi per la salute;
   a tal propositi, si ricorda come la Commissione europea abbia già aperto due procedure di infrazione per la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50/CE per quanto riguarda il PM10 e NO2 in Italia e che con decisione C (2012) 4524 def del 6 luglio 2012 la stessa Commissione abbia richiesto piani di qualità dell'aria adeguati per NO2 in Veneto;
   dato che Venezia è l'unica città pedonale d'Europa e che la direttiva richiede di misurare la qualità dell'aria in prossimità di fonti di traffico e non solo nelle stazioni di fondo, non valutare l'impatto del trasporto locale e marittimo equivale, ad avviso degli interroganti, ad una violazione degli obblighi di cui dalla direttiva e più precisamente degli articoli 6 e 7 della direttiva 2008/50/CE;
   la Commissione petizioni rileva come, considerate le circostanze specifiche di Venezia, la situazione attuale non risulti compatibile con l'allegato sezione III B paragrafo 1 (a), della direttiva (Ubicazione su macroscala dei punti di campionamento) e con l'allegato V, sezione A, paragrafo 2 secondo il quale: «Per valutare l'inquinamento nelle vicinanze di fonti puntuali, il numero di punti di campionamento per le misure fisse deve essere calcolato tenendo in considerazione delle densità di emissione, gli probabile profilo di distribuzione dell'inquinamento dell'aria ambiente e della potenziale esposizione della popolazione»;
   a Venezia l'emergenza ambientale da polveri sottili è ormai costante e nonostante la normativa europea abbia posto un limite al PM2,5 – che deve essere contenuto in 25 microgrammi per metro cubo d'aria a partire dal 1o gennaio 2015 – questo inquinante non viene rilevato da ARPAV –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro intenda adottare affinché vengano rispettate le norme comunitarie contenute nella direttiva 2008/50/CE relativamente al numero e alla ubicazione dei punti di campionamento per la misurazione dei, principali inquinanti dell'aria nella città di Venezia, nonché all'estensione della misurazione dell'inquinamento anche alle polveri ultrasottili PM2,5, a tutela della salute dei cittadini; (4-13557)

   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, DE ROSA e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si tratta, in particolare, della zona della valle del Nestore, ma anche di altre realtà del nostro Paese, che negli anni ’80 e ’90, è stata interessata dal traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero; esso rappresenta un allarme ambientale di dimensioni tutt'altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine al possibile verificarsi di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all'assenza di analisi preventive;
   recentemente, si è attivata anche la Procura della repubblica di Perugia che ha aperto una indagine a carico di ignoti con l'ipotesi di reato di disastro ambientale e altre fattispecie contro la salute pubblica;
   i carabinieri del Noe hanno posto i sigilli su un'area di 255 ettari tra i comuni di Panicale e Piegaro: campi coltivati, pozzi, laghetti sono stati isolati e prosegue la ricerca di prove per l'ipotizzato danno all'ambiente e alla salute dei cittadini. Il decreto di sequestro ha raggiunto i anche la società Valnestore Sviluppo, la Comunità Montana, il Consorzio Consenergia Green, l'Enel e svariati privati i cui possedimenti ricadono nella zona interessata;
   secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria del 17 giugno 2016: «I pm ritengono infatti che gli accertamenti effettuati da quando è esplosa l'inchiesta “Valle dei Fuochi” abbiano rilevato la contaminazione delle acque di falda e accertato l'affioramento di rifiuti (solidi urbani e ceneri di varia provenienza) dimostrando “il venir meno anche di quelle prescrizioni minimali” impartite con le autorizzazioni rilasciate negli anni ’80. E gli esiti analitici dei campionamenti effettuati evidenziano anomalie. Sul primo dei tre pozzi controllati (impianti sportivi di Tavernelle) risulta il superamento delle concentrazioni di arsenico (19,8 su limite di 10 microgrammi per litro), ferro (6432 su 200 di limite), manganese (903 su 50 di limite). Il pozzo della vecchia centrale Enel evidenzia il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) per solfati (403 su limite 250) e manganese (565 su 50) e c’è poi il pozzo di un privato sul quale verranno effettuati ulteriori accertamenti per i valori di radioattività misurati. I laghi “Forest”, “Nero”, e “Enel piccolo” evidenziano valori anomali di solfati, boro e manganese. Passando alle ceneri, in località Poderaccio emerge il superamento delle Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) per selenio (3,4 su 3), vanadio (98 su 90) e floruri (2,6 su 1,5). Situazione più complessa in località Macereto dove sono più significativi i superamenti dei valori per selenio e vanadio (249 su 90)»;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e la città di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali, ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   Carlo Romagnoli, referente Isde (acronimo inglese che sta per associazione internazionale dei medici per l'ambiente) dell'Umbria, il 25 febbraio 2016 ha relazionato davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sugli ecoreati: il suo intervento che tocca preliminarmente alcuni casi (si veda Papigno) si incentra sul nesso causale tra fattore ambientale e patologie. Nel suo discorso, pur non facendo riferimento a fattispecie particolari ma che interessa il caso Valnestore, dove c’è un'incidenza di tumori sopra la media regionale, il dottor Romagnoli ha spiegato – secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria che riporta uno stralcio della relazione – che «Relativamente agli effetti sulla salute si tratta di ricordare che è dimostrato in letteratura scientifica che i residenti nei dintorni di siti inquinati hanno una maggiore incidenza di malattie e anche una maggiore probabilità di trasmettere alla prole una suscettibilità a sviluppare malattie in età adulta. Per l'attività che svolgiamo – Isde fa advocacy degli esposti – abbiamo contatti con cittadini e comitati, che ci segnalano una situazione diffusa di esposizione involontaria a sostanze il cui effetto è noto e che dovrebbero, avendo un effetto noto, non essere disperse nell'ambiente. Questo crea una condizione di emergenza. Non dobbiamo aspettare che si determinino le malattie»;
   questo è quanto evidenziato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   dunque, da quanto emerge dalla indagine della procura di Perugia e dai primi rilievi, si sarebbe sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio sia stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività,
con potenziali pericolosi effetti sulla salute umana –:
   quali iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per quanto di competenza, anche in accordo con le istituzioni locali, per tutelare i cittadini dalle possibili ripercussioni sulla salute, causate dalla contaminazione dei terreni e delle falde acquifere ovvero da altre fonti inquinanti o nocive presenti nei territori della Valnestore;
   quali iniziative intendano promuovere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, a tutela del territorio e dell'ambiente della Valnestore, affinché l'area interessata riacquisti la bellezza originaria e ai residenti venga garantita la sicurezza rispetto alla salubrità del territorio;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per informare la cittadinanza in particolare della Valnestore circa la situazione ambientale descritta in premessa. (4-13569)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:

   VEZZALI e MONCHIERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana tra i principi fondamentali annovera la promozione della cultura, della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione;
   una gran parte del patrimonio storico immobiliare del nostro Paese è di proprietà di privati; questo patrimonio è sottoposto al vincolo delle soprintendenze che hanno il compito di valutarne la loro tutela e conservazione e di richiederne interventi di manutenzione;
   «il codice dei beni culturali e del paesaggio» (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede all'articolo 31 che in caso di restauro o altri interventi conservativi autorizzati su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore del bene, la soprintendenza possa pronunciarsi – a richiesta dell'interessato – sull'ammissibilità dell'intervento ai contributi statali previsti e ne certifichi il carattere di necessità;
   il lento e farraginoso meccanismo di erogazione di questi contributi che si aggiunge ai limiti della disponibilità che il Ministero alloca annualmente ha avuto come inevitabile conseguenza l'accumulo di debiti nei confronti dei privati, che si possono stimare in oltre 100 milioni di euro;
   il Governo, nell'assestamento di bilancio 2015 (capitolo 7441), ha previsto 10 milioni di euro da destinare all'estinzione dei debiti progressi nei confronti dei proprietari;
   l'esiguità dell'importo rispetto al volume dei crediti vantati dai privati fa presagire almeno 10 anni o più di attesa per i rimborsi delle somme già spese;
   questo tipo di patrimonio immobiliare ha comunque bisogno di interventi continui e questi ritardi nell'erogazione dei contributi statali rischiano di condizionare pesantemente le disponibilità finanziarie dei privati che, dopo tanti anni di attesa, hanno poche garanzie di recuperare le somme investite –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per aumentare le risorse destinate a questo tipo di interventi per recuperare una parte del debito pregresso predisporre con tempestività le erogazioni di acconti per coloro che finora non hanno ricevuto nulla e provvedere ai saldi per quei privati che hanno i crediti più datati. (5-08964)

   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato sul suo sito istituzionale il bando per il concorso per immettere nei ranghi dell'amministrazione 500 nuovi funzionari da assumere a tempo indeterminato presso, il MiBACT e da inquadrare nei seguenti profili professionali: antropologo (5 posti), archeologo (90 posti), architetto (130 posti), archivista (95 posti), bibliotecario (25 posti), demoetnoantropologo (5 posti), promozione e comunicazione (30 posti), restauratore (80 posti) e storico dell'arte (40 posti);
   dopo appena due giorni il professor Giovanni Solimine, componente del Consiglio superiore dei beni culturali e i professori Muro Guerrini, Luca Bellingeri, Paolo Matthiae e Gino Roncagli, componenti l'intero Comitato tecnico scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali, rassegnano le dimissioni in protesta per il numero largamente insufficiente di posti a bibliotecario previsti dal bando. Denunciando la scarsa attenzione ancora una volta riservata dal Ministero al comparto delle biblioteche, le dimissioni sono motivate dalla convinzione di non poter fornire, in tali condizioni di scarsità di risorse, alcun utile contributo alle biblioteche statali;
   i dimissionari ritengono profondamente sbagliata la scelta rivendicata dal Ministro di basare la ripartizione dei posti a concorso sull'organico determinato nell'agosto 2015, essendo totalmente slegata da un'effettiva analisi dei fabbisogni reali, e contestano all'azione del Ministero l'assenza di disegno di ampio respiro e di visione organica finalizzati a valorizzare il ruolo delle biblioteche nelle politiche culturali, per la formazione, la ricerca e l'accessibilità della conoscenza;
   nella generale scarsità di attribuzione di risorse umane a ciascun profilo professionale, il ricorso a meri parametri aritmetici eufemisticamente definiti dallo stesso Ministro interrogato, «equa e proporzionale assegnazione di risorse umane», provoca maggior sofferenza in un settore già duramente provato ai limiti del collasso dalla riduzione degli orari di apertura, dalla scarsa accessibilità del patrimonio, dall'invecchiamento delle collezioni, dal costante abbassamento del livello dei servizi erogati, dalla contrazione dell'utenza; tutti fattori che hanno condotto ad una crescente marginalizzazione delle biblioteche statali nel panorama bibliotecario nazionale;
   la determinazione del 2015 non risultava da una visione ampia in un conseguente disegno organico, limitandosi invece a fotografare uno status quo determinato da scelte effettuate negli anni precedenti e spesso scellerate. Peraltro, detta determinazione pur riferendosi alle figure professionali, non ha riguardato attribuzioni finalizzate ad una allocazione funzionale, essendo oltre un terzo di tali figure ordinariamente impiegato in contesti diversi dalle biblioteche statali;
   la valutazione risalente all'anno 2015 è già oggi obsoleta e lo sarà ulteriormente nel 2017, quando i bibliotecari vincitori del concorso prenderanno servizio. Basti considerare che l'età media dei bibliotecari già in organico è la più alta dell'intero comparto dei beni culturali: da una rilevazione effettuata nel 2015 risulta che solo il 2,7 per cento, del personale in servizio ha un'età inferiore ai 50 anni e il 63 per cento dei bibliotecari supera i 60 a fronte del 35 per cento fra gli architetti, 29 per cento fra gli archeologi, 15 per cento fra gli storici dell'arte e 14 per cento fra gli amministrativi; nel tempo tale situazione è lapalissianamente destinata a peggiorare. Nel corso del 2016 sono previsti 37 pensionamenti e nell'arco dei prossimi 5 anni circa il 60 per cento dei bibliotecari lascerà il servizio; questo semplice dato rende evidente l'insufficienza dei 25 posti da ricoprire nel 2017;
   l'istituzione delle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche del gennaio 2016 prevede l'aggiunta di nuove figure con competenze bibliotecarie in posti tuttora scoperti che se dovessero restare tali determinerebbe il fallimento della riforma stessa;
   la perdita di autonomia da parte di biblioteche – anche di grande rilievo –
conseguente al passaggio sotto la direzione di un polo museale ha solo mascherato le carenze di organico dirigenziale, ma non ha migliorato la funzionalità e la progettualità specifiche che dovrebbero caratterizzare le istituzioni bibliotecarie;
   l'effetto riduttivo delle piante organiche prodotto dalla messa a concorso di soli cinquecento posti e distribuiti secondo le proporzioni sopra descritte colpisce soprattutto le regioni del Sud Italia che, a causa dell'irragionevole squilibrio territoriale accumulatosi negli ultimi trent'anni di politica clientelare, risultano paradossalmente in esubero d'organico, nonostante la situazione reale mostri la gravissima crisi in cui versano biblioteche, archivi e patrimonio storico-artistico, spesso inaccessibili e in preda la degrado. A tale stato di fatto il Ministero risponde con un bando che prevede la rimozione radicale dei qualificatissimi giovani meridionali in attesa di un'occupazione: alla Campania, alla Puglia, all'Abruzzo, alla Sicilia ed alla Calabria non verrà assegnato alcun storico dell'arte, mentre alla fortunata Basilicata ne toccherà uno, mentre al Molise due –:
   se il Ministro non ritenga opportuna una revisione radicale del bando quale primo atto concreto di una serie di iniziative da mettere in campo, attribuendovi le necessarie dotazioni finanziarie, anche mediante l'accesso ai fondi europei, affinché sia riaffermato e potenziato il ruolo insostituibile delle biblioteche nella conservazione e crescita di un bene comune di inestimabile valore culturale e scientifico e la sua accessibilità pubblica e gratuita, in tal modo rispondendo efficacemente alla crescente domanda di respiro europeo di lettura, studio, ricerca, informazione, aggiornamento, scambio, entro il quadro più ampio delle politiche dell'istruzione, di accesso alla conoscenza e di formazione permanente dei cittadini. (5-08965)

   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 dicembre 2013, visto il decreto direttoriale del 6 dicembre 2013, con il quale è stato disposto l'avvio di una procedura per la selezione di 500 giovani laureati da formare per la durata di 12 mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano presso gli istituti ed i luoghi della cultura statali, viene definito il contingentamento regionale dei posti assegnati a livello territoriale. Inoltre, viene integrato l'allegato contenente titoli, soggetti ed attribuzione del punteggio;
   inizialmente il bando era rivolto a neo laureati con il massimo dei voti e prevedeva un compenso di 3,20 euro all'ora, per 30 ore settimanali;
   la pubblicazione del bando ha sollevato non poche proteste fra i giovani laureati e gli archeologi. Al riguardo il presidente della Confederazione italiana archeologi, Alessandro Pintucci, ha affermato che «un assegno di 5.000 euro per lavorare un anno intero rappresenta di fatto un'autentica umiliazione» e «con questa elemosina il sistema politico ci vorrebbe rendere tutti suoi clienti. Tra un anno quei 500 giovani, saranno di nuovo a bussare alle porte di qualcuno per chiedere di estendere il contratto per qualche mese o di essere assunti come novelli miracolati»;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali pro tempore Bray, il 16 dicembre 2013, attraverso una nota diramata sul sito, a seguito delle numerose proteste sorte dalle comunità interessate, ha apportato delle modifiche al bando. Il risultato è un aumento della retribuzione corrisposta per ora di lavoro, lasciando però di fatto immutato il compenso complessivo di 5.000 euro lordi per un anno di attività, caratterizzando così a tutti gli effetti quella che doveva essere una «proposta di lavoro» in un tirocinio di formazione rivolto a giovani laureati;
   nel rispondere all'interrogazione parlamentare n. 4-02955 il Ministro Franceschini aveva specificato che «la procedura selettiva in parola intende essere un'occasione per aprire una prospettiva di lavoro con il completamento di un percorso formativo nell'ambito di un'attività di collaborazione retribuita»;
   le delegate del Comitato nazionale 500 giovani per la cultura, Marta Laureanti e Eleonora Belli, 31 anni, in un'intervista rilasciata alla Repubblica degli Stagisti, raccontano di non percepire l'indennità da gennaio 2016 e di aver avuto un incontro con la direzione generale del Ministero nel corso del quale avrebbero appreso che «l'interruzione dei pagamenti è da imputare a un errore clamoroso del MEF che, anziché utilizzare un fondo pubblico di spesa del 2014, stanziato appositamente per noi, ha impiegato un fondo del 2015, con conseguente intervento della Corte dei Conti che ha bloccato tutto. Il responsabile ci aveva assicurato che la cosa si sarebbe risolta in quindici giorni. E specificò che dalla cifra totale sarebbero state detratte altre voci che nei mesi passati non erano state prese in considerazione: Inail ed Irpef» –:
   al fine di restituire dignità ai giovani laureati selezionati, quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere per il sollecito pagamento delle indennità spettanti e per chiarire le reali prospettive della formazione svolta. (5-08966)

   PALMIERI, DE GIROLAMO e BERGAMINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso termale denominato «Acque della salute» e noto anche come «Terme del corallo» di Livorno è considerato tra i primi in Italia, per eleganza, ingegneria, qualità, efficacia delle cure termali, ricchezza artistica, livello architettonico e stile liberty con il quale fu progettato e realizzato dall'ingegner Angelo Badaloni tra il 1903 ed il 1904;
   costruito in cemento armato (primo edificio in Toscana e tra i primi in Italia), fu medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Parigi (1904), ma, dopo i fasti iniziali, è giunto ai giorni nostri in stato di totale abbandono;
   da anni si valutano numerose ipotesi per il restauro, il recupero e la riqualificazione dell'intera struttura, ma, ad oggi, niente di concreto è stato fatto;
   nel marzo 2016 è stata approvata dal consiglio regionale della Toscana una mozione di Forza Italia che chiede per le suddette terme l'applicazione della legge n. 622 del 1996 «per la definizione di nuovi giochi ed estrazioni settimanali del gioco del Lotto», la quale prevede che ogni anno venga riservata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo una quota degli utili derivanti dal gioco per iniziative ed interventi culturali, ambientali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari del nostro Paese, nonché per interventi di restauro paesaggistico o di promozione della cultura del nostro Paese;
   nel 2007, per la regolamentazione del procedimento di assegnazione, venne incrementata la quota destinata al fondo ex articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'autorizzazione «alla spesa di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2016»;
   la mozione approvata dal consiglio regionale ha impegnato la giunta regionale «ad attivarsi per esprimere ogni possibile capacità di interlocuzione ed intervento interistituzionale al fine di favorire l'inserimento degli interventi di recupero dello stabilimento "Acque della Salute di Livorno", tra gli interventi di destinazione della quota di proventi del gioco del Lotto da destinare a quanto disposto dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996» –:
   quali siano i criteri di allocazione e destinazione sul territorio nazionale della quota degli utili derivanti dal gioco del lotto riservata, ai sensi dell'articolo 3, comma 83, n. 622 del 1996 e dalla conseguente normativa del 2007, al recupero e alla conservazione dei beni culturali archeologici, storici, artistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività culturali e se fra questi il Ministro interrogato preveda l'inserimento delle «Terme del corallo» di Livorno.
(5-08967)

   COSCIA, NARDUOLO, RAMPI, MANZI, BONACCORSI, GHIZZONI, MALISANI, ASCANI, BLAZINA, CAROCCI, COCCIA, CRIMI, DALLAI, D'OTTAVIO, IORI, MALPEZZI, PES, ROCCHI, SGAMBATO e VENTRICELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   affermare il valore dei libri e della lettura significa garantire al Paese una crescita non solo culturale, ma anche economica e occupazionale;
   elemento essenziale per qualsiasi tipo di promozione è la comunicazione;
   proprio per raggiungere tale obiettivo, si apprende positivamente dell'iniziativa avviata dal Ministro interrogato che ha firmato nei giorni scorsi il «Patto per la Lettura» con il direttore generale della Rai, il presidente di Mediaset, l'amministratore delegato de La7, l'Executive Vice President di Sky Italia, e l'amministratore delegato di Discovery;
   tra i punti più importanti del patto, figurano l'impegno delle tv di pubblicizzare e diffondere i progetti nazionali di promozione della lettura realizzati del Centro per il libro e la lettura al fine di informare e coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini, di promuovere e valorizzare la letteratura specifica per bambini e ragazzi attraverso programmi e format rivolti ai più giovani, di creare occasioni di promozione della lettura e dei libri all'interno di ogni genere di programma e non esclusivamente nei contenitori culturali, di realizzare contenuti dedicati alla promozione della lettura in un'ottica multipiattaforma allo scopo di creare un'interazione con i nuovi media digitali e i social network, di creare e sviluppare approfondimenti e progetti sui più importanti appuntamenti italiani legati ad autori, titoli, generi e festival e di valorizzare la memoria dei grandi autori della letteratura italiana in particolar modo in occasione di anniversari e ricorrenze;
   tale promozione, avviata dal Governo, conferma la volontà politica della maggioranza espressa nella Commissione competente, di portare a termine l’iter di approvazione della proposta di legge n. 1504 e abbinate sulla diffusione del libro e sulla promozione della lettura –:
   come intenda provvedere all'attuazione del patto sottoscritto al fine di concretizzare l'obiettivo condiviso di promuovere la diffusione del libro e la lettura. (5-08968)

Interrogazioni a risposta scritta:

   MORANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Vittorio Sgarbi, in qualità di assessore per la rivoluzione – cultura e agricoltura – difesa del paesaggio e del centro Storico del comune di Urbino, come si può evincere da alcune interviste rilasciate al Resto del Carlino, riferendosi all'esclusione della città di Urbino dalla candidatura a Capitale europea della cultura 2019, avrebbe fatto riferimento a delle presunte, gravi, violazioni delle procedure per le selezioni delle capitali nazionali della cultura; selezioni che per Sgarbi non avverrebbero in modo regolare ma a seguito di segnalazioni politiche al Presidente del Consiglio dei ministri;
   si tratta di affermazioni e illazioni, a giudizio dell'interrogante, molto gravi, diffuse a mezzo stampa e aggravate dall'incarico pubblico che Sgarbi ricopre, e che causano grave pregiudizio all'immagine del Ministero al quale, inoltre, lo stesso Sgarbi, appartiene, essendo stato recentemente riammesso in servizio nei ruoli della Soprintendenza di Venezia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle suesposte gravi dichiarazioni, diffuse inoltre a mezzo stampa, provenienti da un proprio funzionario, e se non ritenga dunque necessario adottare le opportune iniziative di competenza nei suoi confronti. (4-13570)

   COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Reggia di Venaria apre ufficialmente i suoi spazi al pubblico il 12 ottobre 2007, dopo circa 10 anni di lavori di ristrutturazione. Si è trattato di un cantiere su cui sono state impegnate grandi risorse provenienti in gran parte da fondi comunitari, cantiere che è stato per anni il più grande d'Europa. Oggi la Reggia di Venaria è tra i beni protetti dall'Unesco;
   per l'organizzazione dei servizi necessari alla sua apertura la regione Piemonte predispone un bando di gara spedito in data 27 aprile 2007 che viene aggiudicato definitivamente all'A.T.I. CODESS CULTURA Soc. Coop – Società servizi socioculturali cooperativa sociale Onlus - Arethusa s.r.I - Cooperativa lavoratori ausiliari del traffico L.A.T - Cooperativa sociale P.G Frassati Onlus;
   avverso tale aggiudicazione, in data 7 giugno 2007, la seconda in graduatoria, il concorrente REAR Soc. Coop (Capogruppo) e CO.PA.T Soc. Coop – Pulintec Servizi s.r.l. proponeva ricorso al Tar e vedendosi accolto il ricorso, subentrava nel servizio a CODESS dopo 8 mesi circa dall'apertura del complesso. L'intera vicenda giuridica si concluderà poi ben oltre la scadenza naturale dell'appalto, con il riconoscimento da parte del Tar delle ragioni di CODESS avverso le decisioni del neo-nato consorzio La Venaria Reale, il quale ha lasciato gestire il servizio per l'intero periodo a REAR, nonostante il fatto che, a livello giuridico, le ragioni dei concorrenti parevano comunque in continua alternanza;
   l'ingresso della REAR è stato subitaneo e «traumatico»; nell'arco di 15 giorni i lavoratori che precedentemente operavano presso la Reggia di Venezia si sono visti recapitare le lettere di licenziamento da CODESS;
   il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato ai lavoratori da CODESS era il MULTISERVIZI PULIZIE FISE. Il subentro della REAR, che anche per tramite di funzionari della Reggia e per esplicita volontà della REAR, si voleva eseguire senza adempiere regolarmente al passaggio diretto delle maestranze ai sensi dell'articolo 4 del CCNL Multiservizi, normalmente previsto in cambio d'appalto, ma tramite «chiamate dirette» negli uffici della REAR (procedura anche «consigliata» dai funzionari della Reggia);
   tale situazione ha visto nascere una vertenza sindacale tesa da un lato ad assicurare che tutti i lavoratori in appalto venissero assunti da REAR (che non considerava il caso di fattispecie un cambio di appalto) e dall'altro al riconoscimento dell'applicazione del CCNL finora applicato per garantire i livelli di reddito;
   REAR era intenzionata infatti ad applicare un altro CCNL, notoriamente peggiorativo: il CCNL multiservizi unici;
   la vertenza (sintetizzata nel verbale della prefettura si conclude, anche a seguito dell'intervento della regione Piemonte con la vittoria del sindacato a vedersi applicato il Multiservizi Fise;
   ciononostante, alcuni lavoratori, a causa della paura, della confusione che regnava in quei giorni e anche a causa dei sedicenti consigli provenienti dai funzionari della Reggia si sono recati negli uffici REAR prima dell'accordo che ha posto fine alla vertenza e si sono visti applicati il Contratto collettivo nazionale di lavoro dell'Unione nazionale della cooperativa italiana (UNCI);
   come si vedrà, questo ultimo fatto avrà per tali lavoratori delle conseguenze che si protraggono finora, anche perché il tipo di contratto a loro proposto è stato non solo il contratto UNCI ma addirittura un contratto «a chiamata»;
   questo primo appalto finirà dopo un lungo periodo di proroga che vedrà il Consorzio (che nel frattempo si è costituito giuridicamente come ente strumentale) cercare di fronteggiare le vertenze sindacali nate per rivendicare una paga più consona al servizio fornito, l'applicazione del contratto di settore e la risoluzione di quelle storture ancora presenti a causa della politica sindacale di REAR che continuava ad applicare il CCNL UNCI a un discreto numero di lavoratori (anche provenienti da altri cantieri ma poi messi stabilmente ad operare in Reggia) e a causa del clima volutamente ostile e anti-sindacale della REAR;
   il periodo si conclude comunque positivamente per i lavoratori, con la stipula del Protocollo d'intesa tra organizzazioni sindacali e consorzio teso a definire i contenuti del nuovo bando di gara e con la conseguente aggiudicazione definitiva dell'appalto all'A.T.I LA CORTE REALE s.r.l., di cui fa parte anche la REAR;
   il CCNL applicato ai lavoratori da ATI LA CORTE REALE è quello accordato nel protocollo d'intesa e previsto nel bando di gara: il CCNL FEDERCULTURE;
   l'organizzazione del lavoro, nonché la mobilità interna e le procedure per la sostituzione del personale dimissionario sono regolate da un accordo quadro tra azienda e Organizzazioni sindacali tuttora vigente. Fine principale di tale accordo è pervenire nel tempo a una sempre maggiore stabilizzazione del personale ad oggi purtroppo ancora precario, poiché «a chiamata»;
   durante il periodo che va dall'aggiudicazione all'ATI LA CORTE REALE ad oggi, le condizioni e l'organizzazione del lavoro non sono rimaste del tutto inalterate: vi sono state delle riduzioni abbastanza contenute nel servizio riguardanti in un primo momento il lavoro «a chiamata» (inizialmente previsto anche nell'accordo quadro come lavoro da utilizzarsi nelle mostre temporanee al fine di garantire a questi lavoratori un bacino più o meno sicuro di ore da cui attingere) che è stato ridotto ai minimi termini e utilizzato o in via di grandi eventi straordinari o in via di sostituzione personale per ferie, malattie o aspettative –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, per quanto di competenza, nella gestione della vertenza assumere ogni iniziativa che favorisca l'applicazione dei contratti di riferimento Federculture che tradizionalmente tutelano e migliorano la qualità del lavoro e i termini contrattuali e valorizzano la professionalità delle maestranze, oggi perlopiù assunte con contratti multiservizi, essendo il contratto Federculture l'unico contratto specificatamente indirizzato al settore culturale, soprattutto in ambito imprenditoriale. (4-13571)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:

   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che il generale Biagio Abrate, già capo di Stato maggiore della Difesa e precedentemente segretario generale della Difesa, sia stato recentemente richiamato in servizio;
   il generale Abrate ha lasciato l'incarico e il servizio attivo il 31 gennaio 2013 –:
   se risponda a verità che il generale Biagio Abrate sia stato richiamato in servizio e, in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni che hanno indotto il Ministro a richiamare il generale Abrate anziché utilizzare un dirigente militare della difesa già in servizio. (5-08953)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:

   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 183 del 2015, il cui contenuto è confluito nella legge di stabilità 2016, è stata avviata la procedura di risoluzione per quattro banche italiane, ovvero la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca Marche, la CariChieti e la Cassa di Risparmio di Ferrara;
   questo ha significato il conferimento delle attività in sofferenza ad una «bad bank», di tutte le altre ad una «banca ponte» fino alla cessione, e l'azzeramento del valore di 2 miliardi di azioni e 1 di obbligazioni subordinate;
   la scelta di percorrere la via della risoluzione fu motivata con l'adozione della direttiva BRRD, che tuttavia avrebbe avuto effetto solo dal 1o gennaio 2016, e soprattutto con l'opposizione della Commissione europea, che avrebbe considerato aiuto di Stato l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per la ricostituzione del capitale sociale degli istituti in difficoltà;
   venne allora citata una corrispondenza fra Governo e Commissione, e venne richiamata in particolare la comunicazione 2013/C 216/01, con la quale l'Unione europea dichiarava inammissibile qualunque intervento pubblico che non prevedesse preliminarmente l'azzeramento del valore di azioni e obbligazioni subordinate;
   si sostenne che l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi appartenesse appunto alla categoria degli interventi vietati, nonostante una comunicazione non abbia valore normativo e nonostante questo raccolga capitale da privati, anche se per obbligo di legge;
   in queste ore, dopo un lungo commissariamento, è stata individuata una soluzione per Cassa di Risparmio di Cesena, che prevede l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per una ricapitalizzazione tramite aumento di capitale di euro 280 milioni di euro;
   in questo contesto si produrrà un sostanziale azzeramento del valore delle azioni storiche, che passeranno da 19 euro del 2014 a 10-80 centesimi, e la proprietà passerà al Fondo, che ne gestirà la cessione ad altro operatore del settore;
   all'assemblea dei soci del 28 giugno 2016 sarà tuttavia proposta l'assegnazione di warrant gratuiti nel numero di 4 o 5 per ogni azione agli attuali azionisti al valore di 50 centesimi, da convertire poi eventualmente in azioni nei prossimi 5 anni;
   si produrrà così la soluzione proposta da molti anche per gli azionisti delle 4 banche sottoposte a risoluzione e che il Governo ha sempre rifiutato di adottare;
   è comunque evidente come si renda possibile nel giugno 2016, dopo la piena entrata in vigore della direttiva «BRRD», ciò che non si volle considerare nel novembre 2015, ovvero l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, la tutela piena degli obbligazionisti, la corresponsione di warrant agli azionisti –:
   quale sia la posizione del Governo sulla questione e sulla base di quali presupposti sia stata assunta, atteso che potrebbe determinarsi una palese disparità di trattamento, in assenza di novità normative significative, fra le quattro banche avviate a risoluzione e Cassa di risparmio di Cesena. (5-08977)

   LAFFRANCO e PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, in considerazione delle gravi difficoltà finanziarie dei contribuenti, il legislatore è intervenuto offrendo la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni, nel tentativo di salvaguardare realtà economiche in crisi e di scongiurare i fallimenti industriali e le conseguenti ripercussioni occupazionali;
   i dati forniti da Equitalia mostrano che le dilazioni di pagamento rappresentano un fenomeno in costante crescita: dal 2008 ad oggi sarebbero state gestite circa 5,6 milioni di istanze di rateizzazione, per un valore di oltre 107 miliardi di euro e quasi la metà delle riscossioni avverrebbe mediante il pagamento dilazionato;
   nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria, svoltasi il 9 marzo 2016, l'amministratore delegato di Equitalia ha confermato il trend sopra riportato, affermando che, attualmente, sono attive circa 30 milioni di rateizzazioni, per un controvalore di circa 38 miliardi di euro;
   per fare fronte all'esigenza dei cittadini di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate, il legislatore è più volte intervenuto in materia apportando puntuali modifiche all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973;
    nello specifico, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato disposizioni di carattere eccezionale (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto «Milleproroghe» e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014) per consentire ai debitori decaduti dal beneficio della rateazione, entro e non oltre il 31 dicembre 2014, di essere riammessi, su specifica richiesta, al pagamento rateale;
   con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159 (recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 11 marzo 2014, n. 23), è stata concessa la possibilità ai debitori decaduti nei 24 mesi antecedenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, di rimettersi in regola, presentando apposita richiesta entro 30 giorni dalla suddetta data al fine di ottenere la ripartizione delle somme iscritte a ruolo non ancora versate fino ad un massimo di 72 rate mensili;
   il decreto legislativo n. 159 del 2015 ha altresì previsto che, in caso di decadenza dei piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere un nuovo piano di rateizzazione a condizione che al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano, già scadute a tale data, vengano integralmente saldate;
   situazione diversa si verifica per i debitori che hanno ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, e che una volta decaduti non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
   coloro che, in caso di peggioramento della propria situazione economica, non abbiano chiesto tempestivamente una proroga del piano in essere, ovvero la relativa conversione in un piano straordinario, saranno quindi esposti alle azioni cautelari ed esecutive di Equitalia;
   un'ultima possibilità, in termini temporali, è stata concessa con la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, commi da 134 a 138), che consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio che spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
   alla luce della normativa sopra riportata, nonché dell'ultima previsione contenuta nella legge di stabilità 2016, è del tutto evidente che il rischio di fallimento rappresenta una realtà concreta sia per molte imprese italiane sia per tutte quelle famiglie che non potendo ottemperare ai propri debiti si trovano a dover fronteggiare una situazione di grande incertezza;
   lo stesso amministratore delegato di Equitalia, nel corso dell'audizione sopra richiamata ha sottolineato che è necessario trovare soluzioni adeguate per fronteggiare tale situazione, poiché grazie ai pagamenti a rate, le famiglie e le imprese in difficoltà economiche riescono, nel tempo, a regolarizzazione il loro debito con l'Erario e di conseguenza Equitalia è in grado di riscuotere le somme che gli enti creditori le affidano, nel modo meno invasivo possibile, facilitando il rapporto con i debitori interessati e favorendo, al contempo, un clima di minor tensione sociale e di maggiore fiducia nelle istituzioni;
   il 24 maggio 2016 è stata approvata la risoluzione n. 7-00976, attraverso la quale si impegna il Governo ad assumere iniziative che consentano a coloro che sono decaduti dai piani di rateazione, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, di poter ottenere, attraverso semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione senza necessità di pagare le rate scadute; a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 3, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 si applichino anche ai piani di dilazione concessi ai sensi dello stesso articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602, in data antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, per i quali, alla data di entrata in vigore della nuova norma, non si sia già verificata la decadenza, saldando, contestualmente alla presentazione di una richiesta apposita, tutte le rate precedentemente scadute; a prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateazione in data successiva al 15 ottobre 2015, nelle ipotesi di definizione degli accertamenti di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, o di omessa impugnazione degli stessi, alla data di entrata in vigore della nuova norma, possano ottenere, a semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione, senza necessità di pagare le rate scadute –:
   con quali tempi e con quali modalità il Ministro interrogato intenda dare seguito a quanto stabilito nella risoluzione n. 7-00976, richiamata in premessa, al fine di scongiurare rischi che possano portare al fallimento di molte imprese italiane. (5-08978)

   FREGOLENT e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la rendita erogata dall'INAIL ad infortunati sul lavoro e vittime di malattie professionali è attualmente esente da imposizione fiscale in forza di un orientamento amministrativo e giurisprudenziale consolidato che ne ha evidenziato la natura risarcitoria;
   l'articolo 6, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi — TUIR di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti;
   la circolare del Ministero delle finanze n. 23 del 20 giugno 1986, riprendendo i contenuti di precedenti pronunciamenti (circolari Ministero finanze n. I/RT del 15 dicembre 1973 e n. 29 del 31 maggio 1979), ha confermato l'assunto secondo il quale le rendite da infortunio, ad esclusione della indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, costituiscono erogazioni a carattere risarcitorio e in quanto tali non possono essere considerate ai fini delle imposte sui redditi;
   in termini analoghi si è espressa la commissione tributaria centrale (decisione della XVI sezione, n. 16468, del 21 dicembre 1978 e decisione della XXIV sezione, n. 2070, del 14 luglio 1983);
   successivamente il Ministero del lavoro (Divisione III, protocollo n. 1441 del 31 marzo 1987) e il Ministero del tesoro (RGS-Igop protocollo n. 129430 del 10 settembre 1987) si sono espressi per l'esclusione delle rendite INAIL dai redditi valutabili (ex articolo 23 della legge n. 41 del 1986) ai fini della determinazione del reddito familiare del soggetto richiedente gli assegni familiari; mentre il Ministero della sanità (circolare n. 100/SCPS/010/3641 del 20 maggio 1987) si è pronunciato per l'esclusione della rendita (ex articolo 28 della legge n. 41 del 1986) dalla formazione del reddito valutabile ai fini della concessione dell'esenzione dai tickets sanitari;
   numerose pronunce della (Corte di cassazione (Cassazione 18 luglio 1985 n. 4237; Cassazione 21 giugno 1991 n. 6982; Cassazione 18 luglio 1995 n. 7792), hanno più volte ribadito la non assoggettabilità all'imposta sul reddito delle persone fisiche degli importi erogati dall'INAIL a titolo di rendita per invalidità, visto il carattere risarcitorio di dette prestazioni;
   con la risoluzione 155/E del 24 maggio 2002, l'Agenzia delle entrate, in tema di risarcimento danni o di indennizzi percepiti da un soggetto, ha chiarito che è principio generale quello per cui, laddove l'indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di reddito, vanno assoggettate a tassazione e, così, ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente; viceversa, laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite (il cosiddetto danno emergente), ed abbia, quindi, la precipua funzione di reintegrazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a tassazione;
   l'articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, in tema di danno biologico, afferma la necessità di corrispondere le prestazioni per il ristoro del danno biologico in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato, sottolineando ulteriormente il carattere non reddituale della prestazione, principio ormai definitivamente assodato nell'elaborazione giurisprudenziale;
   sarebbe tuttavia necessario un riconoscimento legislativo di tale principio, che tuteli definitivamente gli oltre 800.000 titolari di rendita da eventuali provvedimenti futuri di diverso indirizzo –:
   se non ritenga utile assumere iniziative normative, al fine di stabilire, in linea con quanto già accertato in via giurisprudenziale, che la rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale erogata dall'INAIL ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha carattere risarcitorio del danno subito dall'assicurato per effetto dell'evento invalidante e, pertanto, è esclusa dalla formazione del reddito del percipiente ai fini delle imposte sui redditi. (5-08979)

   PAGANO e CAUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «decreto Ronchi») ha soppresso la tassa per lo smaltimento dei rifiuti (cosiddetta TARSU), istituendo una specifica tariffa di igiene ambientale (cosiddetta TIA) per la gestione dei rifiuti urbani commisurata al servizio svolto, invece che alla superficie dell'utenza; la TIA promuove l'uso razionale e sostenibile delle risorse, secondo il principio del «chi inquina paga», e cerca di favorire i meccanismi atti ad incentivare il consumatore alla riduzione dei rifiuti prodotti;
   sulla natura di questa tariffa, si è ben presto aperto un dibattito tra chi la riteneva un corrispettivo per un servizio reso e chi, invece, ne sottolineava la natura tributaria;
   almeno limitatamente alle utenze non domestiche, la TIA si configura come tariffa da esigere a pagamento di un servizio, e non come tassa a copertura di un costo, e quindi non dovrebbero esserci dubbi sulla possibilità per i soggetti di poter scaricare l'Iva relativa;
   a fronte di sentenze tra loro contrastanti, è intervenuto il legislatore, che, con una specifica norma (comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge n. 248 del 2005) ha disposto che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani»;
   ciò non è stato sufficiente per dirimere la questione, in quanto molti giudici (per ultima anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione con ordinanza 13894/2009), ritenendo costituzionalmente illegittima la norma del 2005, hanno investito della questione la Corte costituzionale, sul presupposto della natura corrispettiva della tariffa d'igiene ambientale;
   la Consulta, nella parte motiva della sentenza n. 238 del 2009, relativa alla conformità costituzionale del citato comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, ha affermato che la tariffa rifiuti (TIA), avendo comunque natura tributaria come la vecchia tassa sui rifiuti (TARSU), non può essere assoggettata al pagamento dell'Iva;
   a fronte di tale sentenza, numerosi cittadini hanno iniziato a chiedere alle aziende, la restituzione dell'IVA che avevano versato all'atto del pagamento delle fatture/bollette relativa al servizio di igiene urbana; i giudici ordinari di merito aditi, nella preponderante maggioranza dei casi, hanno accolto le domande proposte dai cittadini, condannando le aziende gestrici della TIA alla restituzione di quanto percepito per l'Iva;
   la sentenza 15 marzo 2016 n. 5078 delle Sezioni Unite della Cassazione è ulteriormente intervenuta su tale questione, confermando che la TIA «non è assoggettabile ad Iva in quanto essa ha natura tributaria mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo e non quando si paga un'imposta sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente»: interpretazione in linea con la previsione di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto;
   tra le argomentazioni a sostegno della decisione, vengono ricordati dalla Corte di cassazione alcuni elementi che caratterizzano la cosiddetta TIA e cioè: l'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente; la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici; l'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad Iva»; nella medesima sentenza la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   le aziende erogatrici del servizio di igiene urbana, uniformandosi a quanto stabilito dalle ripetute pronunce relative alla restituzione dell'Iva versata dai cittadini, hanno iniziato a chiederne il rimborso all'Agenzia delle entrate, alla quale, ovviamente, essa era stata puntualmente riversata;
   l'Agenzia delle entrate, a fronte di tali richieste, ha sempre opposto il proprio rifiuto, prevalentemente in forma di silenzio, in qualche caso con esplicita nota di diniego, agendo secondo una prassi amministrativa consolidata; tale prassi trova peraltro riscontro in alcune circolari del Ministero delle finanze (ad esempio la n. 111/1999) e almeno due risoluzioni dell'Agenzia delle entrate (n. 25/2003 e n. 250/2008), che hanno confermato l'applicabilità dell'Iva alla TIA, in ciò confliggendo con quanto determinato dalla giurisprudenza, da ultimo con la citata sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione n. 5078/2016;
   l'atteggiamento di assoluta chiusura tenuto sin qui dall'Amministrazione finanziaria dello Stato ha costretto le aziende del settore, da un lato, a resistere alle domande dei cittadini, pur nella consapevolezza della fragilità delle proprie difese, con un incalcolabile danno sia economico sia di immagine, e, dall'altro, ad aprire un ulteriore fronte di contenzioso nei confronti dell'Agenzia delle entrate dinanzi al giudice tributario, per ottenere il rimborso delle somme erogate;
   si ricorda inoltre che la TIA era dovuta anche nel caso in cui il contribuente non avesse fatto un utilizzo del servizio, e soprattutto era commisurata come i criteri tipici dei tributi, gravando quindi di più sui non residenti, che sono quelli che producono meno rifiuti da smaltire;
   in un quadro già così complesso, si innestano altri due problemi:
    1) l'intervenuta detrazione dell'Iva da parte di chi ha ricevuto queste fatture nell'esercizio di impresa, arte e professione;
    2) l'ipotesi di indetraibilità dell'Iva sui beni e servizi acquistati per lo svolgimento del servizio da parte dei comuni o dei gestori del servizio, in quanto «trasformazione» del corrispettivo in tassa: qualora, prevalesse l'interpretazione che la frazione del tributo imputabile all'Iva no è scaricabile, questa si tradurrebbe in un significativo aggravio dei costi per gli enti e le imprese, dato che l'aliquota è fissata al 10 per cento –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere le criticità evidenziate in premessa, con particolare riferimento ai numerosi contenziosi tra l'Agenzia delle entrate e le aziende erogatrici del servizio e al ristoro delle maggiori somme pagate dai cittadini. (5-08980)

   PISANO e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 60, comma 1, lettera c), del TUIR, sono redditi assimilati a quello di lavoro dipendente le «somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato nei confronti del soggetto erogante da rapporti di lavoro dipendente»; la percezione di una borsa di studio, dunque, dà origine ad un reddito che viene «assimilato» a quello da lavoro dipendente e pertanto tassato ai fini IRPEF;
   in deroga a tale regime di imponibilità, l'ordinamento giuridico disciplina specifici casi di esenzione: a titolo esemplificativo, sono riconosciute esenti dall'IRPEF le borse di studio corrisposte a titolo di assistenza scolastica agli studenti iscritti a corsi di studi universitari nonché le borse di studio corrisposte per la frequenza di corsi e per attività di ricerca post laurea (articolo 6, comma 6, della legge 30 novembre 1989, n. 398);
   accanto alle specifiche ipotesi di esenzione, sussistono tuttavia fattispecie di dubbia tassabilità; è il caso delle borse di studio finanziate, in tutto in parte, attraverso risorse a carico del fondo sociale europeo;
   la questione della tassabilità ai fini IRPEF della quota di borsa di studio finanziata dal fondo FSE, è stata per la prima volta affrontata dalla direzione regionale entrate della regione Puglia che, con nota prot. n. 917 del 9 luglio 2010, in risposta all'interpello proposto dalla regione Puglia in merito alla questione delle borse di studio «ritorno al futuro» (istituite con D.D. n. 376 del 9 aprile 2008), ha stabilito la completa esenzione da qualsiasi forma di tassazione della quota di borsa studio rappresentativa dei fondi comunitari e quindi da quest'ultimi direttamente proveniente;
   richiamando la sentenza della Corte di giustizia della CE n. 427/05 del 25 ottobre 2007, recepita dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2082 del 30 gennaio 2008, con la quale è stato sancito il divieto di detrazione o trattenuta relativamente a somme erogate dalla Unione europea a titolo di contributo (salvo i casi di stretta connessioni del contributo con la produzione di redditi d'impresa o da lavoro), la direzione regionale, ha non solo, stabilito l'inapplicabilità ai contributi FSE della ritenuta prevista ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (condividendo l'interpretazione dell'ente), ma ha anche riconosciuto l'integrale esenzione ai fini IRPEF: come chiarito dall'Agenzia, «l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai soggetti che frequentano i master, corrisponderebbe ad un prelievo specificatamente connesso al contributo stesso e come tale risulterebbe in contrasto con la previsione del principio dell'integrità dei 917-216/2010 pagamenti di cui all'articolo 80 del Regolamento (CE) n. 1083 del 2006»;
   l'articolo 80 del regolamento (CE) 1083/2006 introduce, infatti, il principio dell’«integrità del contributo», prevedendo che «gli Stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari.». Con tale disposizione (applicabile nell'ordinamento interno), dunque, si riconosce l'esenzione da ogni forma di prelievo o onere dei contributi erogati dall'Unione europea;
   sennonché, il condivisibile orientamento espresso dall'Amministrazione finanziaria è stato successivamente superato da un diverso e contrario orientamento; in particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interpellato dalla regione Sardegna in merito al trattamento fiscale da riservare alle borse di studio finanziate nell'ambito del POR F.S.E. 2007-2013, ha espresso un parere sulla questione e, con nota n. 4397 del 17 ottobre 2011, ha ritenuto che soggetto «beneficiario dei finanziamenti» (ex articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083 dell'11 luglio 2006) deve ritenersi la regione e non i soggetti percettori finali delle singole somme e, pertanto, l'amministrazione regionale in qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto IRPEF prevista dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 sull'intero importo della borsa di studio, compresa la parte finanziata dal fondo sociale europeo;
   adeguandosi al parere espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Agenzia delle entrate ha pertanto proposto una soluzione interpretativa del tutto contrapposta a quella assunta con la nota n. 917 del 2010 e, con nota n. 8285 del 14 marzo 2012, ha comunicato alla regione che «lo scrivente ritiene che la Regione Puglia, in qualità di sostituto d'imposta, debba applicare la ritenuta a titolo d'acconto dell'IRPEF ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973»;

   a parere degli interroganti, la soluzione prospettata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, peraltro non supportata da alcuna argomentazione giuridica, non trova sostegno nel chiaro tenore letterale dell'articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083/2006, ove per soggetti beneficiari si intende chiaramente i destinatari finali dei contributi e non anche le regioni; lo stesso regolamento definisce il beneficiario: «un operatore, organismo o impresa, pubblico o privato, responsabile dell'avvio o dell'avvio e dell'attuazione delle operazioni; nel quadro del regime di aiuti di cui all'articolo 87 del trattato, i beneficiari sono imprese pubbliche o private che realizzano un singolo progetto e ricevono l'aiuto pubblico»; così definito, è evidente a tutti che per beneficiario debba intendersi il soggetto ultimo destinatario delle somme ovvero colui che, sempre secondo le definizioni del regolamento, attua l'operazione», (ovverosia «il progetto o un gruppo di progetti selezionato dall'autorità di gestione del programma operativo in questione o sotto la sua responsabilità, secondo criteri stabiliti dal comitato di sorveglianza ed attuato da uno o più beneficiari, che consente il conseguimento degli scopi dell'asse prioritario a cui si riferisce»); inoltre, a conferma che il beneficiario sia proprio il soggetto ultimo destinatario delle somme, sempre l'articolo 80 precisa che sulle somme corrisposte «Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari»; è manifesta, a giudizio degli interroganti, l'erroneità della tesi del Ministero: non si vede come si possa riferire tale norma alle regioni, che ovviamente non scontano alcuna imposizione fiscale o altro onere sulle somme comunitarie che gestiscono. Con la sua interpretazione il Ministero ha dunque svuotato di contenuto il principio applicativo di cui all'articolo 80. Di contro, non può negarsi sul piano logico-giuridico che la quota comunitaria delle borse di studio è esente da imposizione quando non diretta alla specifica produzione di un reddito;
   fatto sta, però, che da segnalazioni pervenute si apprende dell'emissione, da parte dell'Agenzia delle entrate, di avvisi di accertamento con i quali si sta procedendo al recupero delle maggiori imposte sui contributi FSE percepiti e non dichiarati per l'annualità 2011. Al riguardo, è opportuno precisare che l'omessa indicazione in dichiarazione dei contributi FSE consegue a sua volta all'omessa indicazione dei detti contributi nei CUD/CU rilasciati dalla regione (l'interpretazione contraria dell'Ade è infatti intervenuta solo nell'anno 2012 e per di più in risposta ad un interpello di parte, quindi senza alcuna diffusione pubblicitaria); l'errore sarebbe al più imputabile alla regione e non tanto agli ignari contribuenti;
   inoltre, si evidenzia che oltre al recupero delle maggiori imposte, l'Agenzia delle entrate ha anche provveduto all'applicazione e irrogazione di sanzioni amministrative per omessa e infedele dichiarazione; si rammenta però che l'articolo 10 dello statuto dei diritti del contribuente dispone che non possono essere irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, «qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa». Inoltre, prevede altresì che le sanzioni «non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria»; nel caso in esame, sussistono tutti i presupposti per l'applicazione della norma: la circolare dell'Agenzia delle entrate del 2011 aveva espressamente esentato da imposizione i contributi FSE; mentre l'omessa indicazione in dichiarazione deriva dall'errata compilazione dei CUD da parte della regione;
   è dovere dello Stato, come sancito dall'articolo 80 del regolamento (CE), assicurarsi che i soggetti a cui è destinata la
borsa di studio ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine possibile e nella sua totale integrità –:
   se condivida l'orientamento espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota n. 4397 del 17 ottobre 2011 in merito alla definizione di soggetto «beneficiano dei finanziamenti» e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per prevedere l'esenzione ai fini fiscali dei contributi comunitari FSE o comunque chiarire il regime fiscale applicabile, nonché promuovere l'adozione di un atto di indirizzo operativo per gli uffici periferici dell'Agenzia delle entrate volto ad escludere, a fronte della indubbia incertezza applicativa (generata peraltro da contrastanti orientamenti dell'Amministrazione), l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei casi di omessa dichiarazione dei contributi FSE.
(5-08981)

Interrogazione a risposta in Commissione:

   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 è stato indetto il bando di concorso per il reclutamento di n. 15 sottotenenti in servizio permanente effettivo del «ruolo speciale» del Corpo della Guardia di finanza, terminato in data 24 dicembre 2015 con la determina del comando generale, che assegnava, per l'appunto, i predetti posti ai vincitori;
   al concorso parteciparono oltre 100 candidati, risultandone idonei 36; la graduatoria finale pertanto era composta da 30 «altri ispettori» e 5 «laureati», rimanendo pertanto capiente di 21 militari risultati idonei, al netto dei quindici assegnatari dei posti;
   in data 10 giugno 2016, il comando generale della Guardia di finanza, nonostante la predetta graduatoria aperta e capiente per n. 21 posti complessivi, invece che attingervi ha bandito un nuovo concorso per 15 posti, in contrasto con la ratio di spending review e di contenimento della spesa pubblica;
   i recenti interventi del legislatore, infatti, sono orientati a far sì che in tutti i comparti del pubblico impiego, inclusi quelli speciali, le amministrazioni procedano prima all'esaurimento delle graduatorie vigenti ed ancora valide e solo successivamente procedano ad indire nuovi bandi concorsuali;
   la stessa legge di stabilità per il 2016 ha previsto lo scorrimento delle graduatorie per altri comparti del pubblico impiego connotati da specialità (diplomatici, prefetti e avvocati dello Stato), in coerenza con l'obiettivo di contenimento dei costi;
   peraltro, anche altre Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato e penitenziaria) effettuano lo scorrimento delle graduatorie prima di bandire un nuovo concorso, per cui solo la Guardia di finanza e il Comando dei carabinieri si avvalgono ancora oggi del principio della discrezionalità amministrativa per motivare le scelte di reclutamento;
   tale nuovo concorso, inoltre, appare ancora più insensato all'interrogante alla luce della prossima approvazione dei decreti legislativi sul riordino delle carriere nelle forze di polizia anche ad ordinamento militare come la Guardia di finanza, che dovrebbe contemplare la soppressione del «ruolo speciale» e l'entrata in vigore del periodo transitorio –:
   come i Ministri interrogati ritengano che il nuovo bando di concorso indetto il 10 giugno 2016 richiamato in premessa si concilii con le esigenze di spending review considerato che per l'interrogante esso rappresenta un inutile e superfluo aggravio dei costi della spesa pubblica, alla luce sia della vigenza di una graduatoria di ben 21 idonei su 15 posti da ricoprire e sia della probabile prossima soppressione del ruolo speciale per cui il bando medesimo è bandito, e di conseguenza se e quali iniziative di propria competenza intendano adottare in coerenza con gli obiettivi di spending review. (5-08974)

Interrogazioni a risposta scritta:

   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comando della polizia municipale di Verona dispone di 280 fra agenti ed ufficiali;
   considerato il personale part-time e gli inidonei ai servizi esterni, sono 210 gli agenti operativi;
   tra cantieri, manifestazioni, concerti e la presenza massiccia dei turisti nel centro storico, il lavoro per la polizia municipale non diminuisce neppure in estate, a scuole chiuse;
   a settembre 2016, scadranno i dieci contratti a tempo determinato che il comune finanzia con i proventi delle sanzioni;
   inoltre, per contratto, ogni agente ha diritto a due settimane di ferie, da metà giugno a metà settembre;
   stando alle dichiarazioni dei vertici del comando, pubblicate nei giorni scorsi sui quotidiani locali, all'appello mancherebbero, quindi, circa 50 agenti, tenendo presente che il parametro è di un vigile ogni mille abitanti;
   il 30 aprile 2016 il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, in visita a Verona, aveva sottolineato come i comuni del Veneto – una delle sei regioni che non ha personale sovradimensionato – potessero indire concorsi per l'assunzione di agenti di polizia municipale;
   il comune di Verona sembra si stia attivando per procedere all'assunzione, tramite concorso, di una trentina di agenti a tempo indeterminato, anche se, scrivono i giornali, il numero dipenderà dalle disponibilità del bilancio comunale, sottoposto, come si sa, alla disciplina di molte norme in vigore che limitano, nell'ambito del cosiddetto patto di stabilità per gli enti locali, le risorse destinate ai territori da parte del Governo anche per il capitolo della sicurezza –:
   quali eventuali iniziative di competenza si ritenga di assumere nell'ambito dei rapporti tra enti locali e Governo al fine di contemperare il rispetto del patto di stabilità con le esigenze dei territori legate al tema centrale della sicurezza. (4-13554)

   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   CDP immobiliare spa, società controllata al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti, partecipa a Quadrifoglio Modena spa al 50 per cento, con le azioni restanti detenute da La Ciminiera spa, le cui azioni sono a sua volta possedute da imprese di costruzioni, private e cooperative locali;
   la società è stata costituita nel 2005 allo scopo di ristrutturare a fini residenziali e commerciali l'ex Manifattura Tabacchi di Modena, edificio storico di grande rilevanza architettonica, risalente per la parte più antica al 1500 e per la restante parte esempio di architettura industriale del 1800, posto per questo sotto la tutela della Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici;
   i lavori del primo lotto si sono sostanzialmente conclusi nel 2014 e hanno condotto alla realizzazione di 77 appartamenti e loft con box e cantine, 16 uffici, 13 negozi, 2 laboratori, con un investimento complessivo che si aggira sui 60 milioni di euro;
   ad oggi risultano venduti solo 10 appartamenti e due locali per attività commerciali;
   nei giorni scorsi la stampa ha parlato dell'intenzione di CDP immobiliare spa di liberarsi delle proprie quote, ammettendo di fatto il fallimento dell'operazione;
   tale volontà sarebbe tuttavia frustrata dall'opposizione degli istituti di credito, evidentemente poco disposti a veder uscire il socio detentore del 50 per cento delle azioni senza un piano di rientro delle linee di finanziamento accordate e di rilancio dell'attività, e in presenza di un partner privato in difficoltà per la persistente stagnazione del mercato delle costruzioni;
   si parla anche di difficoltà dovute a controversi 2 in essere con alcune delle ditte realizzatrici dei lavori, che avrebbero comportato la mancata finitura di alcuni appartamenti, accentuando la difficoltà di vendita. Al momento, a quanto risulta all'interrogante, sono bloccati anche i lavori di completamento di alcuni appartamenti per cui promettenti acquirenti hanno già versato consistenti anticipazioni, casi per i quali si profilano inevitabili iniziative giudiziali;
   inoltre, la società Quadrifoglio ha chiuso l'ufficio vendite e, a quanto consta all'interrogante, risulterebbe non pagare con regolarità le sue quote di spese condominiali;
   CDP spa è diventata in questi anni la destinataria dei progetti di dismissione del demanio pubblico, senza che, a giudizio dell'interrogante, sia mai stato chiaro dove finisse il bisogno di liquidità dei Governi in carica e dove iniziasse l'effettivo interesse della società all'acquisizione degli immobili;
   si ricorda che i bilanci di CDP immobiliare sono stati in perdita per oltre 46 milioni di euro nel 2013 e per poco meno di 164 milioni di euro nel 2014;
   operazioni come questa dovrebbero indurre a grande prudenza nell'attivazione di nuove iniziative immobiliari in spazi già acquisiti, come alcune ex caserme, e ancor più nell'acquisizione di ulteriori volumi, come quelli ipotizzati sulle carceri di Roma, Napoli e Milano;
   se infatti è comprensibile la necessità di non far apparire tali operazioni come funzionali esclusivamente al soddisfacimento di volontà governative, si deve sempre ricordare che in definitiva si opera con la raccolta del risparmio postale –:
   se risultino al Governo le descritte difficoltà in merito all'operazione su Manifattura Tabacchi Modena e come si intenda operare, per affrontare volontà di risolvere nell'interesse dei pochi residenti, di coloro che hanno già versato le anticipazioni in attesa del rogito, e della città, trattandosi di uno dei più qualificati interventi di recupero storco e urbanistico, teso a riqualificare l'intera area nord del centro storico;
   se non si ritenga di sospendere eventuali iniziative simili in altre città un momento non brillante per il mercato immobiliare. (4-13562)

   LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di pubblicità immobiliare costituisce elemento essenziale del sistema economico italiano ed ha l'importante ruolo di controllore e garante delle risultanze dei registri pubblici immobiliari. Tale attività, però, non è demandata dal codice civile genericamente ad un ufficio, bensì ad una specifica funzione giuridica, ovvero quella del Conservatore dei registri immobiliari;
   infatti, gli articoli da 2673 a 2681 del codice civile indicano espressamente lui per i doveri e gli obblighi fondamentali atti a garantire una corretta ed affidabile pubblicità immobiliare, una pubblicità che dia certezza dei suoi contenuti e che possa essere opponibile a chiunque;
   questa personalizzazione è certamente anomala nel diritto italiano quando si fa riferimento ad un'attività statale, ma così fu disegnata dal legislatore, sin dall'unità d'Italia, proprio per la sua specificità e per garantire che ogni delicata decisione riguardo alla pubblicazione o meno di una formalità fosse riferibile esattamente ad un soggetto nella sua totale autonomia, e non ad una generica struttura organizzativa;
   per raggiungere tale obiettivo il legislatore è giunto addirittura a porre il conservatore in una anomala posizione che non ha eguali nelle strutture statali: per le attività che svolge è posto sotto la vigilanza del Ministero della giustizia, mentre dal punto di vista amministrativo è sottoposto al Ministero dell'economia e delle finanze;
   dopo alterne vicende, la funzione del conservatore dei registri immobiliari e oggi demandata, nell'ambito dell'Agenzia delle entrate, al capo reparto del servizio di pubblicità immobiliare;
   con provvedimento dell'allora direttore generale dell'Agenzia del territorio del 10 maggio 2011, pubblicato sul sito istituzionale dell'Agenzia del territorio, ai sensi dell'articolo 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e conseguente disposizione organizzativa n. 90 del 28 luglio 2011, è stata regolamentata la funzione del conservatore e le modalità di preposizione dell'incarico. Infatti, il conservatore ritornava alla titolarità della funzione ed alla sua autonomia nello svolgimento della stessa, mentre l'incardinamento gerarchico rimaneva solo per le funzioni amministrative che anche il conservatore, nella sua contestuale veste di capo reparto pubblicità immobiliare, ha l'onere di svolgere;
   anche le modalità di nomina dei nuovi conservatori era caratterizzato da una particolare procedura di interpello più garantista della qualità ed imparzialità della scelta, che vedeva l'intervento del direttore regionale. Da quel momento in poi si ripristinarono quei principi di legalità che devono permeare tutto il sistema di pubblicità immobiliare;
   con l'accorpamento delle attività dell'Agenzia del territorio in quelle delle entrate, compresa la funzione giuridica della pubblicità immobiliare, i nuovi vertici stanno intervenendo sulla figura senza tenere conto della specificità della funzione giuridica del conservatore, vi è quindi il rischio che si perdano nuovamente gli elementi di garanzia  posti dalle decisioni del 2011;
   inoltre, la nota direttoriale prot. n. 74638 del 17 maggio 2016, a firma della dottoressa Orlandi che, riportando un verbale di intesa sottoscritto da alcune sigle sindacali il 28 aprile 2016, che concedeva a detta figura un beneficio economico rispetto alla alta professionalità necessaria per lo svolgimento della funzione ed alla responsabilità civile e penale che ne sovviene, ha sostanzialmente revocato le nomine dei conservatori esistenti con decorrenza dal 1° luglio 2016, e demandato ai direttori provinciali di confermare o meno i titolari esistenti, o nominarne di nuovi, secondo criteri discrezionali. A rendere problematica tale impostazione è la limitazione di sei mesi di tali nomine ed il rinvio ad ulteriori successive decisioni;
   si assiste quindi ad una diversa considerazione delle funzione del conservatore che, dal codice civile è riconosciuto come soggetto dotato di piena titolarità ed autonomia verso l'esterno (fino alla difesa diretta e personale dei principi giuridici della pubblicità immobiliare dinanzi agli organi giudiziari, come previsto dalle procedure di reclamo ex articoli 113-bis e 113-ter delle disposizioni per l'attivazione del codice civile e disposizioni transitorie), mentre, all'interno degli uffici i conservatori vengono considerati come semplici impiegati sottoposti, negando di fatto l'autonomia che il codice ha sempre riconosciuto loro;
   quanto sopra esposto potrebbe portare ad un'incertezza della legalità del sistema di pubblicità immobiliare, con conseguenze rilevanti per cittadini ed imprese e riflessi sul sistema del credito –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro dell'economia e delle finanze al fine di eliminare le distorsioni e le contraddizioni prodottesi nei servizi di pubblicità
immobiliare a seguito della nota direttoriale prot. n. 74638 del 17 maggio 2016, e degli atti conseguenti, fino alla richiesta di annullamento della stessa;
   se i Ministri interrogati, ognuno per quanto di competenza, ritengano di assumere iniziative, anche normative, volte a tutelare il sistema di pubblicità immobiliare e conseguentemente le funzioni attribuite dall'articolo 2673 del codice civile alla figura del conservatore, stabilendo in modo univoco i limiti e le prerogative spettanti ai conservatori nell'ambito dell'Agenzia delle entrate presso cui sono incardinati. (4-13566)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2016, intorno alle ore 4 del mattino all'interno di una cella presso l'istituto penitenziario di Matera è stato appiccato un incendio;
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione solo grazie all'intervento di due agenti di polizia penitenziaria è stato possibile scongiurare che tale circostanza si trasformasse in tragedia;
   i due agenti hanno messo in sicurezza non soltanto gli occupanti della cella coinvolta nell'incendio, ma l'intero reparto denominato «SIRIO» dell'istituto penitenziario dove vi sono numerosi detenuti;
   i due agenti hanno subito un'intossicazione a causa del fumo sviluppatosi per via dell'incendio e per questo accompagnati all'Ospedale «Madonna delle Grazie», con una prognosi di tre giorni ciascuno;
   le cause dell'incendio sono oggetto di indagine, ma questo non toglie che occorra un'attenta riflessione sulle carenze di organico che interessano l'istituto penitenziario materano;
   le organizzazioni sindacali del corpo di polizia penitenziaria chiedono da tempo un adeguamento delle piante organiche ed un rafforzamento del personale in servizio per poter svolgere in piena sicurezza il proprio lavoro;
   anche in considerazione di quanto recentemente accaduto presso l'istituto penitenziario di Potenza e il carcere minorile della città capoluogo con agenti feriti da parte di detenuti, su cui l'interrogante ha presentato atti di sindacato ispettivo ancora in attesa di risposta, sarebbe opportuno analizzare con la massima attenzione la situazione degli istituti penitenziari lucani –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo intenda porre in essere, con la massima urgenza, per potenziare gli organici di polizia penitenziaria presso gli istituti presenti in Basilicata, al fine di prevenire situazioni di estremo pericolo. (5-08956)

   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   appare necessario, a parere degli interroganti, prevedere delle norme in materia di impignorabilità della prima casa, soprattutto al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa appunto, che costituisce tra l'altro un elemento fondamentale di aggregazione familiare e di coesione sociale e che consente dunque di tutelare le famiglie e il diritto, di tutti, ad avere un alloggio anche al fine di scongiurare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe, anche in relazione alle difficoltà degli enti locali di mettere a disposizione alloggi di edilizia sociale;
   tale previsione andrebbe nella direzione già oggi esistente a norma del decreto-legge 21 gennaio 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetto «decreto del fare», in tema di non pignorabilità della prima casa per debiti fiscali, estendendola anche ai debiti sorti in ambito privatistico, in tema della cosiddetta garanzia generica, ovvero ex articolo 2740 del codice civile «Responsabilità patrimoniale» in forza della quale il creditore in caso di inadempimento contrattuale può ottenere soddisfazione agendo sulla totalità dei beni del debitore, beni mobili ed immobili, crediti e diritti di ogni genere in forza di un titolo esecutivo ex articolo 474 del codice di procedura civile  –:
   se il Governo intenda adottare le opportune iniziative al fine di estendere l'attuale previsione normativa di cui al decreto-legge 21 gennaio 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetto «decreto del fare», in tema di non pignorabilità della prima casa per debiti fiscali, anche ai debiti sorti in ambito privatistico, in tema di cosiddetta garanzia generica, ovvero ex articolo 2740 del codice civile «responsabilità patrimoniale», in forza della quale il creditore in caso di inadempimento contrattuale possa ottenere soddisfazione agendo sulla totalità dei beni del debitore, beni mobili ed immobili, crediti e diritti di ogni genere in forza di un titolo esecutivo ex articolo 474 del codice di procedura civile. (5-08959)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

   PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, PESCO, CARINELLI, LIUZZI, SPESSOTTO e TRIPIEDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 aprile 2016 l'organizzazione sindacale, Fata Cisal aveva indetto per il 17 giugno 2016 uno sciopero nazionale del personale non dirigente della Società Enav, Alitalia SAI e Aeroporti di Roma della durata di 24 ore. A tale sciopero hanno successivamente aderito, anche se con modalità e motivazioni diverse, altre sigle sindacali quali Licta, Filt Cgil, Fit Cisl, Ultratrasporti, Cub Trasporti, Unica, Confael Assovolo Trasporto Aereo, Ugl Techno Sky e USB del Gruppo Meridiana Fly;
   tale suddetto sciopero è stato proclamato in primis per criticare la decisione del Governo di alienare, per una ipotetica e opinabile riduzione del debito pubblico, il 49 per cento del capitale sociale di Enav spa e in secundis, in particolare le organizzazioni sindacali non firmatarie degli accordi sottoscritti il 2 agosto 2013, per ridiscutere il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore del trasporto aereo il cui attuale regime, in particolare per i servizi ATM diretti e complementari, non garantisce più i livelli di tutela normativa e retributiva dei controllori di volo, creando di fatto forti disparità tra vecchi e nuovi lavoratori in servizio dando origine a vere e proprie forme di dumping sociale all'interno delle società del gruppo Enav;
   contro tale sciopero si sono subito attivate le società direttamente interessate all'erogazione dei servizi del trasporto aereo. In particolare, la stessa Enav che, con nota del 31 maggio 2016, ha comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le gravi ripercussioni per il traffico aereo di tale sciopero, considerando che nella fascia oraria di 24 ore attraversano lo spazio aereo nazionale all'incirca 5300 voli tra nazionali, internazionali e sorvoli. Anche Meridiana Fly e Alitalia Sai, con distinte comunicazioni del 7 e 8 giugno 2016, hanno rappresentato al Ministero le implicazioni negative di tale sciopero per le loro società. In particolare, Alitalia avrebbe dovuto cancellare ben 330 voli con un impatto sulla mobilità di all'incirca 37 mila passeggeri ai quali, considerando l'elevato coefficiente di riempimento tipico delle giornate di inizio estate, non era possibile garantire una riprotezione in giornata;
   in virtù di tali pressioni lo stesso 8 giugno 2016 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. 22660, rivolgerà l'invito alle organizzazioni sindacali di valutare l'opportunità di sospendere le azioni di sciopero onde consentire il superamento delle sopracitate criticità. Invito che verrà reiterato in occasione del tentativo di conciliazione tra le parti, promosso presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 10 giugno 2016, che però avrà esito negativo;
   la mancata positiva conciliazione tra le parti ha spinto il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad emanare il 13 giugno 2016 l'ordinanza ministeriale n. 185T per imporre il differimento dello sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali per il 17 giugno 2016 al fine di evitare un grave e irreparabile pregiudizio al diritto alla libera circolazione delle persone costituzionalmente garantito;
   contro la sopracitata ordinanza ministeriale le sigle sindacali Unica e Licta, relativamente al solo differimento dello sciopero nazionale dei controllori di volo dell'Enav, programmato per soli 4 ore (dalle ore 13:00 alle ore 17:00) del 17 giugno, hanno proposto ricorso al Tar del Lazio che con decreto n. 3302 del 2016 ha accolto l'istanza cautelare sospendendo l'ordinanza in quanto non sono «... ravvisabili nella situazione in esame i presupposti applicativi dell'articolo 8 della citata legge n. 146 del 1990, per quanto riguarda l'iniziativa autonoma del Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro dallo stesso delegato (nella fattispecie: Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti) sotto il profilo della necessità ed urgenza di provvedere – per “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti” – e della necessaria previa informativa alla Commissione di Garanzia»;
   oltre alle argomentazioni della sentenza del Tar Lazio va anche evidenziato che in questa vicenda il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha agito, secondo gli interroganti, in palese conflitto di interessi, considerando che la rappresentante del Governo nel tentativo di conciliazione tra le parti datoriali e sindacali era la vice capo di gabinetto del Ministro, Dottoressa Maria Teresa di Matteo, attuale membro del consiglio di amministrazione di Enav Spa oltre ad esserne stata presidente nel recente passato. Praticamente è venuto meno, ad avviso degli interroganti, il ruolo super partes del Ministero in una delicata vicenda che vede contrapposti personale non dirigente e management non solo direttivo ma anche azionario della stessa Enav che per legge è sottoposta alla vigilanza dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per evitare in futuro il ripetersi di episodi lesivi del diritto costituzionale (articolo 40 della Costituzione) dei lavoratori di esercitare lo strumento dello sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano e per evitare che il Governo possa perdere il suo ruolo di imparzialità e neutralità nelle circostanze in cui tale diritto costituzionalmente garantito riguardi società direttamente controllate. (3-02340)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:

   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio comunale di Paderno Dugnano è interessato dal cantiere relativo al progetto di ammodernamento della strada provinciale 46 «Rho Monza» del concessionario società Milano Serravalle;
   il comune di Paderno Dugnano ha presentato ricorso contro tale progetto e, nelle more dell'udienza di merito fissata il 12 marzo 2015, ha partecipato ai tavoli tecnici attivati con decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014 finalizzati a migliorare il progetto medesimo;
   con decreto ministeriale n. 274 del 17 novembre 2014 sono state date prescrizioni alla società Milano Serravalle per migliorare ulteriormente il progetto nel territorio di Paderno Dugnano;
   le valutazioni espresse dall'amministrazione comunale confermano la necessità di migliorare il progetto dell'ammodernamento della strada provinciale n. 46 Rho Monza, non prestando acquiescenza rispetto ai rilievi svolti e al contenzioso promosso, nella consapevolezza che è di rilevante interesse per la comunità locale rappresentata proseguire nell'azione per il contenimento degli impatti dell'infrastruttura, conseguendo il miglioramento dei lavori avviati con il cantiere;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 2 del 7 gennaio 2014 inerente alla procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di riqualificazione con caratteristiche autostradali della strada provinciale 46 Rho Monza, ha decretato la compatibilità ambientale del progetto stesso, presentato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Lombardia e la Liguria ed appaltato dal concessionario società Milano Serravalle, facendo salvo l'esito del tavolo tecnico di consultazione, allargato alle istituzioni interessate, per l'individuazione di ipotesi progettuali migliorative dal punto di vista ambientale nel tratto compreso nel comune di Paderno Dugnano;
   il tavolo tecnico, istituito dal provveditorato in esecuzione del decreto ministeriale suddetto, ha approfondito l'entità e la qualità delle opere di mitigazione, esaminando in data 3 luglio 2014 le problematiche evidenziate dal comune di Paderno Dugnano con proprio documento prot. n. 34299 del 30 giugno 2014, individuando, pertanto, nuove specifiche opere ambientali da eseguire durante le singole fasi di cantiere, oltre alla necessità di realizzare specifici interventi di contenimento degli impatti, di mitigazione acustica e visiva dell'opera, e indicando nuove compensazioni ambientali aggiuntive, da eseguire su aree di proprietà o messe a disposizione dal comune, rispetto al progetto esaminato con decreto ministeriale n. 2 del 2014;
   la conclusione del tavolo tecnico formulata dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche con decreto n. 8598 in data 3 ottobre 2014, individua il fabbisogno di nuove mitigazioni e compensazioni emerse dal documento proposto dal comune di Paderno Dugnano, che si sostanziano in ulteriori misure integrative di mitigazione ambientale, di interventi paesaggistici e di estensione del verde, nonché di compensazioni ambientali e sociali aggiuntive da introdurre nel territorio del comune di Paderno Dugnano, con particolare riguardo agli edifici residenziali di via Colzani/San Michele e l'edificio scolastico Curiel di via Trieste, maggiormente esposti all'opera infrastrutturale di ammodernamento della strada provinciale 46 Rho Monza, richiedendo al concessionario società Milano Serravalle di elaborare la progettazione delle opere compensative entro 40 giorni dall'emissione del decreto interministeriale di attuazione del decreto n. 8598;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha preso atto delle risultanze del tavolo tecnico e del decreto del provveditorato n. 8598 in data 3 ottobre 2014, facendo proprie le considerazioni svolte, recepite nel decreto n. 274 del 17 novembre 2014 che ratifica le prescrizioni del decreto del provveditorato di Milano sopra richiamato;
   per dare adempimento al decreto ministeriale n. 274 del 2014, la società Milano Serravalle ha chiesto al comune di
Paderno Dugnano di condividere la sintesi dei primi interventi da avviare per la mitigazione e compensazione ambientale aggiuntiva di quella prevista nel progetto sottoposto al citato decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014, che indica le priorità degli interventi eseguibili su aree di proprietà comunale già disponibili;
   l'amministrazione comunale ha svolto un confronto tecnico con la società Milano Serravalle per esaminare le puntuali specifiche opere di mitigazione e di compensazione integrative, di cui è stata chiesta la progettazione e l'attuazione con il documento comunale del 30 giugno 2014 ed il decreto ministeriale n. 274 del 2014 in base ai contenuti della relazione tecnica;
   la commissione giudicatrice presso il provveditorato interregionale alle opere pubbliche ha aggiudicato provvisoriamente la vittoria all'A.T.I., guidata da Fincosit, con un punteggio derivante dalla somma dei risultati: offerta tecnica, offerta tempo e offerta economica. Per quest'ultima Fincosit ha offerto un ribasso pari al 26,1 per cento e con un prezzo corrispondente quindi a euro 113.338.805;
   a pagina 45 dell'appalto concorso «Progetto esecutivo di offerta», con cui Fincosit si è aggiudicata la gara, al numero d'ordine progressivo 306, si trova il capitolo riguardante la previsione di costruzione di un ponte ad arco per una spesa prevista pari a euro 12.205.404,31;
   successivamente, la redazione del progetto esecutivo di Serravalle accoglie le prescrizioni e le indicazioni ricevute ai vari livelli, tra cui l'eliminazione del ponte ad arco sulla strada statale 35, che viene riprogettato come risulta dagli elaborati classificati 9 gennaio 2002 PO 01 – ponte su strada stradale 35, inseriti nel progetto avente cod. 5017 (aggiornamento ottobre 2013);
   al momento non è dato conoscere il costo di questa variante, presumibilmente inferiore al progetto originario, e la destinazione che questo risparmio ha avuto;
   una istanza di accesso civico, presentata il 25 gennaio 2016 dal CCIRM che, tra altri vari capitoli, riguardava anche questo aspetto, è stata respinta dalla presidenza della regione Lombardia, sistema dei controlli, prevenzione della corruzione, trasparenza –:
   se il Governo possa indicare l'ammontare del costo della variante che modifica il progetto originario del ponte ad arco e come si intendano utilizzare eventuali risparmi generati dalla variante succitata. (5-08972)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti sindacali e da segnalazioni ricevute da alcune strutture territoriali che Trenitalia starebbe procedendo alla soppressione di diversi treni nonché alla riduzione di carrozze e alla chiusura delle vetture dei treni della DPLH (divisione passeggeri long haul) servizio universale, per mancanza di personale equipaggi;
   come denunciato dalle principali sigle sindacali, in questi giorni i treni notte 774 e 764 stanno viaggiando con un solo agente di scorta, così come gli intercity diurni 596 e 597 che svolgono i collegamenti con solo 4 carrozze in servizio;
   per mancanza di personale è stato soppresso ad esempio il 22 maggio 2016 l'IC 687, Milano-La Spezia, cancellazione che ha avuto l'onore delle cronache nazionali, così come risultano parimenti soppressi i treni 660-681 sulla tratta Genova-Ventimiglia;
   si sottolinea altresì come i suddetti treni, rientrando nell'ambito del contratto di servizio universale, sostenuto da contributi dello Stato, non dovrebbero essere soggetti a soppressione o a riduzioni di composizione;
   la mancanza di personale, oltre che gravare pesantemente sui servizi svolti e sull'immagine dell'azienda Trenitalia, si sta ripercuotendo sui lavoratori costretti a affrontare utenti indignati a causa dei disservizi, ed esponendoli a rischi di aggressioni verbali e fisiche;
   l'utilizzazione di personale di macchina per svolgere funzioni di CST alla scorta treni non appare agli interroganti giustificabile, così come l'utilizzazione di capi deposito negli equipaggi MEC 2 e i tentativi aziendali di abilitare il PdM al modulo di accompagnamento treno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità esposte in premessa relativamente alle cessioni di treni e alle chiusure di vetture del servizio universale e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare, anche nei confronti della DPLH/SU, al fine di ristabilire il corretto svolgimento dei collegamenti ferroviari e garantire, altresì, la sicurezza del materiale rotabile nonché la salvaguardia della professionalità dei lavoratore livello nazionale. (5-08949)

   TERZONI, DAGA, AGOSTINELLI, CECCONI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 14 giugno 2016 si è appreso, tramite un comunicato diffuso dal Comitato «Riprendiamoci la Strada», che nella zona della Gola della Rossa nel territorio del comune di Fabriano in provincia di Ancona sono stati affissi dei cartelli ANAS-Quadrilatero che impediscono l'accesso ai sentieri del locale parco regionale della Gola della Rossa e di Frasassi;
   da un successivo comunicato diffuso dalla sezione locale di Italia Nostra si deduce che i cantieri riguarderebbero la realizzazione lungo la strada Clementina, ex strada statale, di un viadotto di servizio per la nuova galleria, Serra San Quirico-Valtreara, compresa nel tracciato della Quadrilatero in fase di realizzazione alle pendici del Monte Revellone;
   tale viadotto, in base alla posizione della segnaletica del cantiere, dovrebbe oltrepassare il fiume Esino e il tracciato della linea ferroviaria Falconara-Orte per consentire l'accesso ai mezzi di soccorso nella futura galleria oltre a rappresentare la via di fuga della stessa;
   l'area in questione è compresa, oltre che all'interno dei confini del parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi, nei siti della Rete Natura 2000, ZPS IT5320017 Gola della Rossa e di Frasassi, e SIC IT5320004 Gola della Rossa;
   nei pressi dell'area di cantiere, con vista sullo stesso, sono presenti i resti del Monastero di Grotta Fucile edificato nel 1227 per mano di San Silvestro Guzzolini;
   per raggiungere l'area di cantiere è necessario attraversare i centri abitati delle frazioni Falcioni e Pontechiaradovo del comune di Genga, dove vige un'ordinanza sindacale che, per ragioni di sicurezza e staticità, proibisce il transito ai mezzi pesanti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato nei comunicati diffusi rispettivamente dal Comitato «Riprendiamoci la Strada» e da Italia Nostra;
   se non ritengano di dover intervenire per verificare la correttezza delle procedure autorizzative che hanno consentito l'avvio del cantiere per la realizzazione del viadotto in un'area particolare pregio storico e naturalistico. (5-08950)

   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2016 un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri puntualizzava che, ai fini della privatizzazione delle Ferrovie dello stato italiano, gli azionisti, tranne le istituzioni pubbliche, non potevano sottoscrivere e possedere azioni oltre il 5 per cento, ribadiva il tetto del 40 per cento da mettere sul mercato, ma affermava che la rete ferroviaria italiana (RFI) doveva rimanere fuori dal processo di privatizzazione per rimanere di proprietà dello Stato;
   in numerosi confronti e dibattiti che hanno coinvolto il mondo della cultura trasportistica e le Commissioni parlamentari questa posizione ha trovato unanime consenso;
   dalle dichiarazioni del Ministro interrogato e da conseguente apprezzamento dell'Amministratore delegato di Ferrovie dello stato italiano Mazzoncini, inoltre, si evince sempre di più la volontà di intervenire sulla rete ferroviaria nazionale non solo sulle nuove direttrici sia passeggeri che merci, ma anche integrando nella rete nazionale le ferrovie concesse sia quelle connesse che quelle regionali. Con risorse relativamente di basso impatto finanziario si possono, infatti, ottenere risultati di rilevanza strategica soprattutto per il trasporto pubblico locale. La gestione delle regioni nel settore ferroviario, infatti, quasi sempre è stata molto carente e inadeguata sia nella gestione dell'infrastruttura che del servizio di trasporto per assicurare ai pendolari un servizio efficiente;
   le Ferrovie del Sud-est la cui gestione fallimentare ha costretto alla nomina di un commissario da parte del Governo che ne è proprietario, sono oggetto di grande attenzione sia da parte delle Ferrovie dello Stato italiano che di numerose aziende di trasporto interessate a subentrare nella gestione del trasporto pubblico locale;
   aziende non italiane hanno mostrato interesse anche in associazione temporanee di impresa con aziende italiane di prendere parte alla eventuale gara per il servizio ferro gomma del trasporto pubblico locale attualmente gestito da Ferrovie del sud-est anche se acquisendo l'infrastruttura ferroviaria;
   le Ferrovie del sud-est e Servizi automobilistici gestiscono 474 chilometri di linee ferroviarie nelle quattro province meridionali della Puglia, collegando fra loro le città di Bari, Taranto e Lecce. Dopo quella statale risulta essere la più estesa. Se si considera poi che agisce come vettore automobilistico in funzione di adduzione o di sostituzione del vettore ferroviario, le Ferrovie del sud-est di fatto servono 130 comuni;
   l'infrastruttura ferroviaria di Ferrovie del sud-est necessita un consistente ammodernamento ed efficentamento che solo una integrazione in rete ferroviaria italiana può garantire, razionalizzandolo in un'ottica di servizio all'utenza da verificare con la definizione da parte della regione Puglia dei servizi di Trasporto pubblico locali individuati secondo le esigenze degli utenti –:
   se il Governo non intenda fare chiarezza sull'intendimento di integrare la rete delle Ferrovie del sud-est in Rete ferroviaria italiana essendone lo Stato proprietario, fugando ogni dubbio sulla possibilità che altre aziende, anche non italiane, le quali hanno già mostrato interesse, possano acquisire la proprietà della rete;
   se, per quanto riguarda il servizio di trasporto gestito attualmente da Ferrovie del sud-est che risulta integrato ferro-gomma con la scadenza obbligatoria al 2019 per l'effettuazione delle gare per il trasporto su gomma fissata dalle nuove normative europee, non intenda, d'accordo con la regione Puglia, favorire l'espletamento nei tempi più brevi possibili di tale adempimento, aprendo al mercato, come peraltro auspicato dal Governo in più riprese e in ambiti diversi e ribadito dalla Autorità di regolazione dei trasporti e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (5-08951)

   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'XI Congresso WCRR (trasporto mondiale su rotaia), tenutosi a Milano tra il 29 maggio e il 2 giugno 2016, l'amministratore delegato di Trenitalia Spa, Barbara Morgante, ha comunicato la volontà della società di trasporto di procedere, a partire dal 1o gennaio 2017, con la sospensione della formula abbonamento sui treni Freccia Rossa;
   tale decisione fa seguito all'emanazione da parte dell'Autorità di regolazione dei trasporti della delibera n. 54 dell'11 maggio 2016, relativa al contenuto minimo degli specifici diritti che i passeggeri in possesso di abbonamenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi ferroviari ad alta velocità;
   Trenitalia ha giustificato la scelta di sospendere l'erogazione degli abbonamenti con la necessità, di carattere economico, di mantenere i tassi di riempimento dei Freccia Rossa avuti su Milano con Expo 2015 e di offrire un servizio commerciale in linea con la competizione patita con altri operatori ferroviari sulle tratte più remunerative;
   Trenitalia ha inoltre sostenuto la scarsa rimuneratività degli abbonamenti per l'alta velocità e l'impegno di spesa eccessivo da affrontarsi per adeguare la società alla citata delibera dell'Autorità dei trasporti;
   è evidente agli interroganti come tale scelta arrecherebbe un grave pregiudizio per i pendolari, in particolare per quelli veneti che ogni giorno percorrono la tratta da Venezia verso Milano e da Torino nella direzione opposta, tragitti molto frequentati da coloro che lavorano, studiano o risiedono a Milano;
   se venisse meno l'agevolazione tariffaria prevista fino ad oggi per gli abbonati, i biglietti ferroviari delle tratte Frecciarossa e Frecciargento assumerebbero per molte tratte costi troppo elevati e spesso insostenibili per i pendolari, tanto da incentivare perfino l'utilizzo di un mezzo privato;
   nei giorni scorsi, il presidente dell'ART Andrea Camanzi ha ribadito in una nota scritta come il riconoscimento dei diritti degli abbonati alta velocità deciso dall'Autorità rappresenti un grande passo avanti per i cittadini e non imponga oneri insopportabili a carico delle imprese ferroviarie;
   in conclusione, sembra agli interroganti che le scelte di Trenitalia Spa in materia di sospensione degli abbonamenti sui treni ad alta velocità sembrano mirate ai soli conti della società, senza che venga tenuto in debita considerazione l'impatto che questa decisione avrebbe sulla vita e sulle tasche dei pendolari –:
   se, a fronte della volontà espressa da Trenitalia Spa di sospendere la possibilità di abbonamento sui treni Frecciarossa, il Ministro interrogato non ritenga urgente, per quanto di competenza, intavolare una trattativa con la società al fine di trovare un'adeguata soluzione garantire a pieno i diritti dei pendolari sulle tratte ad alta velocità. (5-08952)

   GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il 2 marzo 2016 ha risposto ad una interrogazione a risposta immediata in commissione VIII – atto n. 5-07647 presentata dall'on. Borghi ed altri, nel quale erano state sollevate problematiche concernenti gli impianti per il trasporto delle rinfuse sbarcate presso il terminal alti fondali del porto di Savona, sino ai parchi deposito di San Giuseppe di Cairo, oltre l'Appennino ligure, tramite un sistema integrato di trasporto costituito da nastri trasportatori e da due linee funiviarie, effettuato da Funivie s.p.a, a cui il Ministero nel 2007, ha assegnato gli impianti di trasporto in concessione venticinquennale;
   le Funivie sono una infrastruttura che, in regime di «ferrovia concessa», assicura una modalità di sbarco e trasporto oltre Appennino delle rinfuse, alternativa alla «gomma», e quindi importante e con un impatto ambientale positivo;
   la copertura dei parchi carbone di Bragno, prevista nella Convenzione tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Società «Funivie S.p.A.» del 2007, è essenziale per completare il quadro di equilibrio tra attività economiche e protezione dell'ambiente e della salute, che è appunto connaturato con l'infrastruttura;
   la documentazione che testimoniava come risultasse sospesa la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone, è stata inviata dal comune di Cairo Montenotte al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 15 luglio 2015; era stato ulteriormente sollecitato, nei giorni successivi, un incontro di approfondimento con carattere d'urgenza, al fine di verificare lo stato dell'arte e attuare le iniziative necessarie allo sblocco della situazione;
   le preoccupazioni circa il ritardo con cui si dà attuazione al progetto di copertura dei parchi (pur motivato a suo tempo dal contenzioso con l'impresa aggiudicataria dell'appalto) sono determinate, oltre che dall'urgenza di dare risposte sul piano ambientale, dalla situazione di difficoltà finanziaria che complessivamente riguarda il gruppo dal quale è partecipata la società «Funivie SpA»;
   alla richiesta fatta nell'interrogazione citata, se il Ministro intendesse riscontare la richiesta del comune di Cairo Montenotte relativa alla segnalazione della sospensione dei lavori di copertura dei parchi carbone e quali iniziative, per quanto di competenza, intendesse assumere per assicurare la ripresa e il compimento dei lavori, secondo gli accordi stipulati a suo tempo, il Governo ha risposto in quella occasione ripercorrendo la vicenda del contenzioso tra Funivie e impresa aggiudicataria dell'appalto per i lavori ed ha affermato che il tentativo di conciliazione pendente (termine degli accertamenti peritali fissato al 26 aprile 2016, con relativa successiva udienza fissata al 31 maggio 2016) «vede Funivie S.p.A. impegnata a una definizione compatibile con il mantenimento dell'obiettivo di ambientalizzazione del sito — come richiesto dalla collettività locale, in particolare dalla Comunità di Cairo Montenotte, e proposto da funivie S.p.A. ai fini del rilascio della concessione di servizio pubblico da parte del MIT — nel minor tempo possibile rispetto all'originario termine previsto»;
   nelle stessa risposta, il Governo ricordava anche che l'azienda è consapevole del fatto che la copertura dei parchi è connessa strettamente alla efficacia della concezione di servizio pubblico;
   decorso il termine del 31 maggio 2016, il comune di Caro Montenotte ha inviato una ulteriore nota, in data 7 giugno 2016, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, alla direzione generale per il trasporto pubblico locale, e per conoscenza al presidente della regione Liguria e al prefetto di Savona, per segnalare «il perdurare della situazione di inaccettabile stallo che da troppi anni compromette la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone nel sito di Bragno in Cairo Montenotte» e richiedere azioni urgenti che mettano fine all'inerzia, segnalando come, ad avviso della amministrazione comunale il disimpegno che ha caratterizzato la conduzione dell’iter procedurale riguardi un intervento prioritario per economia, territorio, ambiente, di tutta un'area –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, con la necessaria tempestività ed a garanzia degli accordi a suo tempo stipulati, per dare attuazione al progetto di copertura dei parchi carbone di Funivie s.p.a.;
   se intenda assicurare l'azione di vigilanza e di monitoraggio cui si era reso
disponibile nel mese di marzo 2016, anche affinché sia assicurata a quella importante infrastruttura ed a coloro che vi sono impiegati la necessaria continuità.
(5-08962)

Interrogazioni a risposta scritta:

   COZZOLINO, DA VILLA e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Nuova Venezia del 15 giugno 2016 pubblica un articolo che riporta i risultati del recente studio del Cnr sulla subsidenza dell'Alto Adriatico che dimostrerebbe come, sotto il peso di mezzo milione di tonnellate di cemento destinato a sostenere le 78 paratoie del Mose, sia aumentata la velocità del fenomeno di subsidenza nelle tre bocche di porto;
   come riportato dall'articolo «secondo gli ultimi rilevamenti affidati a sofisticati sistemi di Gps da satellite, la velocità di sprofondamento è aumentata: mentre in quasi tutta la laguna e nelle isole di Burano e Sant'Erasmo il terreno si è abbassato di pochi millimetri, confermando il trend degli ultimi due decenni, nelle tre bocche di porto interessate dai lavori del Mose l'abbassamento registrato è nell'ordine di molti centimetri, addirittura 7-8 secondo altri rilievi geologici in possesso del Consorzio Venezia Nuova. Un dato che preoccupa, perché nel progetto originario del Mose, il sistema di dighe mobili contro le acque alte, l'eventualità di uno sprofondamento era prevista, ma limitata a 8 centimetri nel prossimo secolo»;
   il rapporto indica con certezza che l'enorme peso delle strutture in calcestruzzo destinate a sostenere le 78 paratoie ha già prodotto gli effetti sull'equilibrio dei fondali lagunari. Fenomeno previsto, come assicurano gli ingegneri, che proprio per sostenere il peso del cemento avevano conficcato centinaia di pali lunghi 35 metri sui fondali sabbiosi delle bocche di Lido, Malamocco e Chioggia. Un assestamento è senz'altro previsto, ma per adesso gli 8 centimetri che si dovevano perdere in un secolo sono già stati persi in poco più di due anni. Ciò aggiunto alla subsidenza naturale (circa 2 millimetri, nell'area regionale) e all'eustatismo, cioè l'aumento del livello dei mari già evidente, potrebbe rappresentare un problema. Ma soprattutto, fanno notare i critici dei progetto Mose, si impone un controllo serrato sull'efficacia del progetto –:
   quali siano le ripercussioni di tale sprofondamento del fondo del bacino marino sull'ambiente, e come tale subsidenza incida negativamente sui benefici previsti inizialmente dall'opera;
   quali siano le eventuali soluzioni tecniche applicabili;
   se vi siano degli studi ed un piano di monitoraggio sullo stato dell'opera e sull'impatto che avrà sul fondale marino e, in caso affermativo, se si intenda renderli pubblici;
   in caso di mancanza di studi approfonditi, se non ritengano necessario incaricare una struttura pubblica di condurre tali indagini e il relativo monitoraggio;
   alla luce del recente studio, se non ritengano urgente e necessaria la realizzazione di un computo dettagliato sui costi e reali benefici futuri dell'opera. (4-13556)

   SOTTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, è oggetto di contrasto fra due correnti ermeneutiche in materia di sanatoria edilizia;
   tale articolo disciplina l'accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di manufatti od opere realizzati in assenza di titolo edilizio o in difformità da esso;
   al fine del rilascio del permesso in sanatoria è necessario che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza di cui al citato articolo 36;
   qualora si volesse attivare la procedura ex articolo 36, si dovrà presentare un'istanza all'ufficio comunale competente: i soggetti legittimati a farlo sono il responsabile dell'abuso e l'attuale proprietario dell'immobile, nonché il conduttore o chiunque possa vantare sul manufatto un diritto reale; trascorsi sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza, senza che l'ufficio si sia pronunciato, si formerà il cosiddetto silenzio rigetto;
   nulla vieta, tuttavia, che successivamente alla formazione del silenzio rigetto e quindi trascorsi i sessanta giorni previsti, l'ufficio comunale possa pronunciarsi con un provvedimento espresso; tale provvedimento potrà essere di diniego o di accoglimento: nel primo caso il provvedimento dovrà specificare le ragioni su cui si fonda il diniego, nell'ipotesi invece di un provvedimento di accoglimento, una volta annullato il silenzio rigetto già formatosi, si rilascerà concessione in sanatoria evidenziando la conformità al piano urbanistico attuale, nonché a quello in vigore al momento in cui è stata realizzata l'opera o eseguito l'intervento abusivo;
   a livello privatistico, l'eventuale rilascio della concessione in sanatoria, avendo efficacia ex nunc, non travolge i diritti che si sono già formati in capo ai terzi che faranno salvo un eventuale risarcimento del danno;
   da ciò emerge che, ai fini dell'ottenimento del titolo abilitativo, è necessario dimostrare la doppia conformità, ossia la conformità dell'opera o dell'intervento abusivo sia al piano urbanistico vigente al momento della presentazione dell'istanza ex articolo 36, sia al piano urbanistico che vigeva all'epoca in cui è stato realizzato il manufatto;
   parte della giurisprudenza e della dottrina hanno ritenuto che la conformità andrebbe valutata esclusivamente al momento della presentazione dell'istanza, evitando così la scure della «doppia conformità»;
   secondo tale tesi, conosciuta col nome di «sanatoria giurisprudenziale», sostenuta per anni anche da alcune sentenze del Consiglio di Stato, sarebbe assolutamente illogico ed irragionevole demolire un immobile, che seppur conforme al piano urbanistico attuale, risulti difforme dal piano urbanistico vigente al momento della sua realizzazione;
   infatti, ciò significherebbe che se l'immobile, una volta demolito perché non conforme al piano urbanistico vigente all'epoca della realizzazione manufatto, venisse ricostruito tale e quale a quello demolito sarebbe da considerarsi non abusivo in quanto conforme al piano urbanistico attuale;
   significativa è in tal senso la pronuncia n. 2835 del Consiglio di Stato, sezione VI, secondo cui è da ritenersi «palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino»;
   tuttavia, di recente il Consiglio di Stato è ritornato sulla questione, mutando nuovamente indirizzo e rigettando in pratica la soluzione della «sanatoria giurisprudenziale», sull'assunto che, a detta dei giudici amministrativi, si deve dare una maggiore tutela al principio della legalità rispetto a quelli richiamati dalla sanatoria giurisprudenziale che devono considerarsi al suo cospetto recessivi, riconfermando quindi il principio della «doppia conformità»;
   inoltre, secondo tale tesi, ammettere la «sanatoria giurisprudenziale» significherebbe introdurre surrettiziamente nell'ordinamento una atipica forma di condono
che consentirebbe al responsabile di un abuso edilizio di poter beneficiare degli effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius superveniens, piuttosto che di un'apposita disciplina legislativa condonistica;
   data l'esistenza di due correnti ermeneutiche in materia di sanatoria edilizia, se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché si proceda al più presto ad un'interpretazione autentica delle disposizioni vigenti relative all'accertamento di conformità, al fine di evitare che gli uffici comunali applichino in maniera difforme la normativa in questione. (4-13563)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

   VICO, PELILLO, GINEFRA, GRASSI, MARIANO, MASSA, MONGIELLO, VENTRICELLI, MICHELE BORDO, LOSACCO, CAPONE, CASSANO e BOCCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 giugno 2016, il questore di Taranto, dottor Stanislao Schimera ha incontrato una folta rappresentanza di produttori di uva da tavola di Grottaglie (cittadina di 32 mila abitanti ad est di Taranto), guidati dai vertici di Confagricoltura Taranto;
   dall'incontro, tenutosi presso gli uffici del commissariato di polizia di Grottaglie, è emerso un quadro molto serio e preoccupante in riferimento ai trentotto casi segnalati in meno di due mesi con tendoni danneggiati, tralci e tiranti tagliati di netto;
   anche sulla base di quanto riportato dalla stampa locale vi è un forte allarme su questo, vasto, fenomeno criminale che sta destabilizzando numerose aziende nel territorio compreso tra le province di Taranto e Brindisi;
   agricoltori e associazioni di categoria lamentano, inoltre, il prodursi di un effetto domino sul mercato e proprio agli inizi della stagione, poiché i commercianti sono preoccupati e non vogliono chiudere contratti e acquistare prodotto in queste aree considerate a rischio;
   si tratta di un settore che produce una parte considerevole dell'uva da tavola di Puglia e d'Italia, con un valore pari a 80 milioni di euro;
   il questore ha ribadito la indispensabile necessità di una piena collaborazione degli operatori agricoli per fronteggiare questa emergenza anche in considerazione dello spread esistente tra episodi e denunce, con 8 denunce a fronte di 38 episodi segnalati dagli agricoltori nel corso dell'incontro;
   in data 9 giugno 2016, il prefetto di Taranto Umberto Guidato, ha riunito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica per analizzare il caso del racket dei tendoni a Grottaglie ascoltando la testimonianza dei vertici delle organizzazioni di categoria;
   a seguito della riunione si è stabilito di schierare uomini e mezzi adeguati per debellare il fenomeno del racket che sta seminando paura tra i tantissimi produttori di uva da tavola;
   Grottaglie, con Castellaneta e Ginosa, costituisce il cuore della produzione di uva da tavola della provincia di Taranto che, da sola, produce oltre 230 mila tonnellate l'anno, quasi il 25 per cento del prodotto italiano –:
   quali ulteriori iniziative il Governo intenda porre in essere, con potenziamento di uomini e mezzi e sistemi di videosorveglianza, d'intesa con gli enti locali, per contrastare il fenomeno criminale esposto in premessa e per tutelare un settore chiave dell'agroalimentare pugliese ed italiano. (3-02339)

Interrogazione a risposta scritta:

   FUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le elezioni del presidente e del consiglio della provincia di Barletta-Andria-Trani sono state indette con decreto presidenziale n. 23 del 27 maggio 2016 e si svolgeranno domenica 9 ottobre 2016 dalle ore 8:00 alle ore 20:00;
   nel richiamato decreto viene scritto, per motivare la scelta della data, che ai sensi della legge n. 56 del 2014 il consiglio provinciale dura in carica due anni. Essendo stata effettuata la proclamazione degli eletti ormai uscenti il 14 ottobre 2014, viene sostenuto nel citato decreto, la data prescelta del 9 ottobre 2016 appare come la scelta più logica;
   tale argomentazione – che fa riferimento all'articolo 1, comma 69, della legge n. 56 del 2014 – viene ripresa in una lettera del Presidente facente funzioni della provincia di Barletta-Andria-Trani indirizzata al locale prefetto;
   a parere dell'interrogante questa interpretazione non è corretta in quanto successivamente, all'articolo 1, comma 79, la stessa Legge n. 56 del 2014, stabilisce espressamente che «in sede di prima applicazione della presente legge, l'elezione ai sensi dei commi da 67 a 78 del consiglio provinciale, presieduto dal presidente della provincia o dal commissario, è indetta:
    entro il 30 ottobre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014;
    successivamente a quanto previsto alla lettera a), entro novanta giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali.»;
   il presidente della provincia di Barletta-Andria-Trani ha rassegnato le dimissioni il 29 febbraio 2016 (dimissioni che sono diventate efficaci venti giorni dopo, cioè il 20 marzo successivo). Le elezioni avrebbero quindi dovuto essere indette per una data non successiva al 20 giugno 2016;
   il presidente facente funzione della provincia Barletta-Andria-Trani, inoltre, sostiene sempre nel citato decreto di indizione delle elezioni che – qualora il rinnovo del consiglio provinciale avesse avuto luogo prima delle elezioni per il rinnovo delle citate amministrazioni comunali non si sarebbe potuto sapere, come elettorato attivo, quali pubblici amministratori in rappresentanza delle tre città sarebbero stati coinvolti nell'elezione del consiglio provinciale, cioè se quelli in scadenza oppure quelli legittimati dal voto popolare;
   anche tale argomentazione appare, agli occhi dell'interrogante, poco plausibile in quanto dopo la definitiva efficacia delle dimissioni del presidente della provincia ci sarebbe stata la piena possibilità di organizzare già in un arco di massimo di 40 giorni, le elezioni per il consiglio provinciale, visto che i sindaci e gli amministratori comunali restano pienamente in carica fino all'elezione del nuovo sindaco e del nuovo consiglio comunale, e quindi fino ad allora sono pienamente legittimati a prendere parte all'elezione del consiglio provinciale;
   a parere dell'interrogante, alla luce di quanto esposto, è urgente e opportuno un chiarimento sull'interpretazione corretta da dare alle norme richiamate della legge n. 56 del 2014, al fine di evitare la possibilità di eventuali decisioni non pienamente fondate sul piano giuridico che vadano nella direzione di una non giustificata « prorogatio» di fatto nella carica di presidente – effettivo o facente funzione, a seconda dei casi – per un periodo inspiegabilmente lungo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se quanto verificatosi nella provincia di Barletta-Andria-Trani si basi o meno su una corretta interpretazione della legge n. 56 del 2014;
   quali eventuali iniziative di competenza i Ministri interrogati ritengano opportuno assumere per chiarire gli aspetti che ad oggi, a livello normativo, possono consentire il verificarsi di quanto descritto in premessa, così da dare un quadro normativo chiaro e inequivoco, con il possibile effetto di consentire una « prorogatio» di fatto – anche al di là dei legittimi termini – a chi ricopre cariche elettive. (4-13560)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

   NESCI, CHIMIENTI e PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-13110, gli interroganti deputati del Movimento 5 stelle, in relazione alla vicenda di un minore punito dalla propria scuola in seguito al ritrovamento di un preservativo sigillato durante un viaggio d'istruzione, hanno chiesto – tra l'altro – al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca «quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere per accertare i gravi fatti riassunti, con particolare riguardo al comportamento tenuto dal dirigente scolastico»;
   con nota del 12 maggio 2016 la deputata Dalila Nesci ha investito della specifica questione l'Ufficio del garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza, unitamente ad altre istituzioni, tra cui il Presidente del Consiglio e lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, chiedendo interventi istituzionali educativi e di tutela del minore;
   in tempi rapidi il suddetto Garante ha ritenuto opportuno, nell'ambito delle prerogative riconosciute dalla legge, avviare un confronto tra le parti al fine di esaminare il caso sottoposto alla sua attenzione nel perseguimento del migliore interesse per il minore, secondo quanto previsto dalla normativa internazionale e nazionale;
   il 10 giugno 2016, il Garante in parola convocava la deputata Nesci, il dirigente dell'ufficio scolastico regionale (Ufficio II), per l'ambito territoriale di Catanzaro, il dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo «Ugo Foscolo» di Soverato (Cosenza) e i genitori del minore;
   all'audizione intervenivano le parti invitate, ad eccezione del dirigente dell'Ufficio scolastico regionale (Ufficio II), ambito territoriale di Catanzaro, il quale delegava, in sua vede, il dirigente scolastico dell'I. C. «Ugo Foscolo» di Soverato (Catanzaro), benché nella fattispecie si trattasse di affrontare un problema delicato e di mettere in luce i singoli comportamenti delle distinte istituzioni chiamate in causa e della famiglia del minore;
   a parere degli interroganti l'assenza del predetto dirigente dell'USC e la delega conferita al dirigente dell'istituto scolastico è da ritenersi molto grave dimostrativa della sufficienza accordata alla vicenda in trattazione da parte dell'Ufficio scolastico regionale, riguardante la formazione di un minore;
   nella relazione del 16 giugno 2016, protocollo numero 71, il Garante ha precisato d'aver ascoltato le parti, dando «la parola al Dirigente scolastico dell'I.C. “Ugo Foscolo” di Soverato, il quale depositava una relazione con i relativi allegati per descrivere fatti, circostanze e motivazioni che erano state poste alla base della decisione assunta dal Consiglio di Classe della 1o C della Scuola Secondaria di I grado “Ugo Foscolo” di Soverato nella riunione del 25 maggio 2015 e ratificata con successivo decreto del 26 maggio 2015 dal Dirigente stesso provvedendo ad infliggere al minore la sanzione disciplinare «di restrizione delle uscite didattiche ed esclusione dal viaggio di istruzione nel corso dell'anno scolastico 2015-2016» per avere, in data 17 aprile 2015, presso l'Hotel Universo di Montecatini, nel corso del viaggio di istruzione compiuto nella città di Firenze, assunto un comportamento gravemente lesivo ed offensivo nei confronti di una alunna dell'Istituto partecipante al viaggio»;
   come ha ricordato il Garante nella summenzionata relazione, al minore è stato contestato «il fatto di essere stato trovato in possesso di un preservativo sigillato e di avere inviato un messaggio ai compagni sul gruppo Whatsapp, contenente una frase lesiva e offensiva, nei confronti di un'alunna di undici anni»;
   nella rammentata relazione, Il Garante ha ricordato che «il Dirigente scolastico rappresentava, altresì, che, nel Consiglio di Classe del 20 maggio 2015, era emerso che lo stesso studente aveva compiuto un atto di autoerotismo durante l'orario scolastico» e «confermava che il provvedimento disciplinare non era stato notificato ai genitori del minore, in quanto era stato preannunciato verbalmente durante i colloqui intervenuti con gli stessi»;
   «iniziato – ha scritto il Garante – il nuovo anno scolastico, nel mese di febbraio 2016, la scuola provvedeva a distribuire a tutti gli alunni l'informativa sui viaggi d'istruzione da effettuarsi durante l'anno scolastico. Tale informativa veniva consegnata anche al minore destinatario della sanzione disciplinare, ingenerando nello stesso l'aspettativa di poter prendere parte alla gita, tanto che quest'ultimo provvedeva, tramite la propria famiglia, ad effettuare l'anticipo e il saldo della quota»;
   come riportato dal Garante nella propria relazione, il «Dirigente scolastico, dopo aver avvisato oralmente i genitori, inviava loro, in data 23 marzo 2016, una «mera comunicazione» tramite raccomandata a/r, con la quale li informava che il loro figlio non poteva partecipare al viaggio di istruzione previsto dal 7 all'11 aprile 2016 a causa della sanzione disciplinare adottata dal Consiglio di Classe in data 20 maggio 2015»;
   anche nella riferita circostanza, ha scritto il Garante, «il provvedimento implicante la sanzione punitiva non veniva notificato ai familiari, con grave lesione del diritto alla difesa del minore»;
   come riportato da Garante, i genitori raccontavano la loro versione riferendo d'essere stati concordi «sulla proposta di adottare una sanzione disciplinare per il comportamento del proprio figlio, provvedendo immediatamente a privarlo, per un certo periodo di tempo, del cellulare», tuttavia lamentando di non essere «stati avvisati con atto scritto e con tempestività dell'adozione del provvedimento disciplinare e che il minore era venuto a conoscenza della sanzione di esclusione dalla partecipazione alla gita scolastica, da parte di un'insegnante, che lo aveva riferito in classe davanti a tutti, esponendolo così, ai commenti dei compagni»;
   durante una visita alla scuola di cui si tratta, i deputati del MoVimento 5 Stelle Dalila Nesci e Paola Parentela, accompagnati da loro collaboratori, hanno chiesto al dirigente dell'istituto quali interventi educativi la scuola abbia posto in essere in relazione all'asserito comportamento sessuale del minore di cui si tratta, a detta del preside tradottosi, nel concreto, anche in un atto di autoerotismo in classe;
   dalle risposte date dallo stesso preside non è emerso a parere degli interroganti un atteggiamento pronto e responsabile della scuola in merito ai disordini sessuali ascritti allo studente minore;
   codesto argomento relativo alla problematica sul comportamento sessuale del minore è stato affrontato anche nella rammentata audizione tenuta dal Garante, che alla domanda sull'impiego, nella fattispecie, delle figure socio-sanitarie previste a supporto dello studente ha ricevuto risposta negativa dal dirigente scolastico;
   nella sua relazione il Garante ha osservato, in ciò concordando con quanto evidenziato in audizione dalla deputata Nesci, che, «considerata la delicatezza e l'importanza dell'argomento trattato, è
stato inopportuno da parte dell'Ufficio Scolastico Regionale quale organo di controllo, regolarmente convocato, delegare, in sua vece, il Dirigente scolastico dell'I.C. “Ugo Foscolo”»;
   nelle osservazioni conclusive della citata relazione, anche ricordando la normativa di specie, il Garante ha osservato l'assoluta centralità del minore in tutti gli interventi correttivi ed educativi, rammentando il ruolo della scuola e della famiglia per la crescita personale del medesimo;
   con un'articolata sintesi sulla disciplina vigente in materia di sanzioni scolastiche, nella sua relazione il Garante ha rilevato come, nel caso di specie, «non siano stati adeguatamente e sufficientemente salvaguardati i diritti del minore secondo il dettato normativo vigente»;
   in particolare, il Garante ha puntualizzato che «non sono state rispettate le regole generali sull'azione amministrativa derivanti dalla legge n. 241/1990 e s.m.i. i cui princìpi, garanzie e aspetti procedurali devono essere applicati anche nel procedimento disciplinare trattandosi di uno specifico procedimento amministrativo. In particolare: 1) manca la formale comunicazione di avvio del procedimento disciplinare contenente la previa contestazione del fatto ai fini dell'esercizio del diritto di difesa e del rispetto del principio del contraddittorio con l'indicazione del termine di conclusione del procedimento; 2) manca la formalizzazione dell'istruttoria (acquisizione degli atti, delle testimonianze, delle memorie, ecc.); 3) è del tutto carente/insufficiente la motivazione che in questi casi dovrebbe essere abbastanza rigorosa anche al fine di dar conto del rispetto dei principi di proporzionalità e gradualità nell'applicazione della sanzione»;
   inoltre, il Garante ha precisato che «è evidente che l'irrorazione al minore della sanzione a distanza di un anno da quando è stata deliberata da parte del Consiglio di Classe ha assunto una funzione meramente punitiva e non educativa, in quanto non è stato preso in considerazione la condotta dello studente nel successivo anno scolastico nel corso del quale ha dimostrato un netto miglioramento evidenziato anche dal voto riportato in pagella e l'assenza di episodi analoghi a quelli constatati l'anno precedente»;
   altro aspetto rilevato dal Garante è «l'irregolare composizione del Consiglio di Classe nella seduta del 25 maggio 2015, per aver deliberato l'adozione del provvedimento disciplinare con la presenza del solo corpo docente»;
   il Garante ha scritto che «risulta, inoltre, la violazione del principio secondo cui «Ogni provvedimento disciplinare deve tutelare il diritto alla riservatezza dello studente minore» per le modalità con cui lo stesso ne è venuto a conoscenza»;
   il Garante, anche alla luce della documentazione fornita dal dirigente scolastico e richiamata nella relazione qui più volte citata, «risulta la mancata applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249 (Statuto delle studentesse e degli studenti) e s.m.i. intervenute con il decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 21 novembre 2007 e del relativo Regolamento di Disciplina attuativo adottato dall'I.C. Statale «Ugo Foscolo» in data 20 dicembre 2014 nella parte in cui non è stata offerta la possibilità al minore di convertire la sanzione in attività a favore della comunità scolastica (es. riordino del materiale didattico e delle aule, sistemazione delle aule speciali e dei laboratori, attività di supporto alla biblioteca, attività di ricerca e di approfondimento didattico, attività di volontariato interne alla scuola)»;
   «tale alternativa – ha evidenziato il Garante, che sull'esito dell'audizione ha informato gli organismi competenti in materia d'infanzia – non è stata presa in considerazione neanche nel corso del Consiglio di Classe convocato in via straordinaria in data 1o aprile 2016. Si richiama l'articolo 4 comma 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica il quale dispone che “i provvedimenti disciplinari
hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità e al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica, nonché al recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”»;
   alla luce dei fatti esposti in premessa, rispetto all'intera vicenda appare urgente verificare attraverso ispettori ministeriali, il comportamento della scuola e dell'Ufficio scolastico regionale, in particolare verificare l'adeguatezza al ruolo dei rispettivi dirigenti apicali –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per accertare le responsabilità specifiche, nella fattispecie, condotte dei dirigenti apicali dell'istituto scolastico e dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria, sia per verificarne l'adeguatezza rispetto al ruolo pubblico svolto, sia per consentire alla scuola in questione, scuola dell'obbligo, di assolvere alla sua funzione educativa senza discriminazioni e penalizzazioni a danno degli studenti. (5-08961)

Interrogazioni a risposta scritta:

   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione hanno recentemente dato risalto al caso di un'insegnante, la dottoressa Maria Erminia Maglio, affetta da ptosi palpebrale e da semiparesi ai muscoli facciali, che sarebbe stata estromessa dall'insegnamento dall'istituto agrario Pastori di Brescia in ragione del suo aspetto fisico;
   l'insegnante in questione ha conseguito la laurea magistrale in produzione animale con 110 e lode con dottorato triennale e l'abilitazione all'esercizio della professione di agronomo;
   la docente ha successivamente conseguito l'abilitazione all'insegnamento per la classe A074 presso l'università degli studi di rari, così come regolarmente certificato in data 24 luglio 2015 con un attestato del dipartimento di scienze agroambientali e territoriali;
   nel mese di settembre del 2015, la docente è stata chiamata per una supplenza di esercitazione agraria presso l'istituto agrario «Pastori» di Brescia;
   il dirigente scolastico di detto istituto, appena incontrata la docente ne avrebbe valutato l'idoneità all'insegnamento non in base ai titoli e alla certificazioni in suo possesso, ma solo in base al suo aspetto fisico. Le avrebbe chiesto, infatti, di rinunciare all'incarico, avvertendola che, in mancanza, sarebbe stata sottoposta ad una nuova visita medica per verificare l'idoneità all'insegnamento;
   l'insegnante avrebbe accettato di essere sottoposta a visita medica, nonostante l'azienda sanitaria locale di Avellino e l'ufficio del lavoro dell'università di Napoli si fossero già espresse per la sua piena idoneità all'insegnamento;
   il dirigente scolastico dell'istituto Pastori di Brescia avrebbe comunicato solo verbalmente l'esito della visita medica alla docente, informandola che, secondo il parere del medico, avrebbe potuto insegnare ma non recarsi nei laboratori e nelle aziende agricole. In ragione di tale «parere medico», il dirigente scolastico avrebbe ribadito alla docente l'invito a rinunciare alla supplenza, paventando, in mancanza, una nuova visita collegiale;
   a giudizio dell'interrogante, occorre fare chiarezza sulle «determinazioni» del dirigente scolastico fondate su presunte valutazioni mediche difformi dalle certificazioni dell'asl di Avellino e dell'ufficio del Lavoro dell'università di Napoli;
   l'aspetto fisico non può essere un parametro di valutazione per stabilire chi possa o meno insegnare –:
   se il dirigente scolastico dell'istituto agrario «Pastori» di Brescia abbia chiesto alla docente di rinunciare all'incarico di supplenza e quali siano le motivazioni che lo hanno indotto, nonostante la evidenza delle certificazioni presentate e dei titoli posseduti, a chiedere una nuova visita per valutarne l'idoneità all'insegnamento.
(4-13561)

   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 22 ottobre 2014 si sono svolte le elezioni per la nomina del direttore dell'Accademia per il triennio 2014-2017 nelle quali è risultato eletto il commissario straordinario pro tempore il Maestro Bruno Carioti;
   il 28 novembre 2014 il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III, con ordinanza n. 13309 ha sospeso, in via cautelare la nomina a direttore dell'accademia, dovendo valutare se la partecipazione del maestro Bruno Carioti alla procedura selettiva da direttore, fosse contraria alle norme (articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 1236 del 1948, articolo 1 e numero 51 dell'allegato 1 della legge n. 179 del 2009, nonché articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003) e al principio di autonomia dell'Accademia di danza e dell'alta istituzione coreutica;
   il suddetto procedimento è giunto sino al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza della VI sezione N. 05459/2015 REG.RIC del 31 luglio 2015, ha accolto la validità delle obiezioni sollevate, disponendo la sospensione della procedura di nomina del Maestro Bruno Carioti, sino al pronunciamento di merito, fissato al 21 gennaio 2016;
   il 21 gennaio 2016 si è svolta l'udienza dinanzi alla VI sezione del Consiglio di Stato e nonostante la questione da dirimere fosse relativamente semplice (si trattava di stabilire se la norma del decreto legislativo n. 1236 del 1948, espressamente mantenuta in vigore dal cosiddetto decreto «taglia leggi» – decreto legislativo 13 dicembre 2010. N. 212 – fosse da applicare in via prevalente rispetto alle norme successive), ad oggi la sentenza non è ancora stata resa nota;
   nel ricordare che sussiste un termine non perentorio di 60 giorni per la pubblicazione delle sentenze del Consiglio di Stato, giova osservare che questa situazione di incertezza si riflette sul buon andamento dell'attività ordinaria e sull'opera di risanamento dell'Accademia nazionale di danza, peraltro da poco uscita da un lungo periodo di commissariamento, in quanto l'incertezza sulla carica di direttore, non consente una programmazione a lungo termine;
   ulteriore elemento di incertezza deriva dal fatto che a quanto consta all'interrogante, risulterebbe la sconcertante mancata nomina dei nuovi organi dirigenti della Fondazione dell'Accademia di danza, anch'essa uscita nell'aprile 2016 da un lungo periodo di commissariamento. La fondazione opera in stretto concorso con l'accademia per la diffusione, mediante spettacoli, saggi, concorsi e borse di studio, della danza italiana in Italia e nel mondo –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla vicenda esposta in premessa e se non ritenga di assumere iniziative per rafforzare il percorso di risanamento dell'Accademia nazionale di danza, dando ad essa le necessarie certezze operative. (4-13568)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:

   NIZZI e RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il primo firmatario del presente atto, in diverse circostanze, ha già sollevato il tema della tracciabilità dei farmaci ed il problema della cancellazione del numero progressivo in chiaro sulle confezioni, presente sullo strato intermedio del bollino farmaceutico; in data 7 aprile 2016 il sottosegretario Vito De Filippo ha risposto all'interrogazione del sottoscritto interrogante, n. 5-08324;
   in data 13 aprile 2016 il Ministro Lorenzin, in risposta al question time in assemblea dell'interrogante dichiarava di aver chiesto elementi informativi all'Istituto Poligrafico Zecca dello Stato affermando, testualmente, che: «L'Istituto Poligrafico dello Stato ha comunicato già dal novembre 2015 di aver avviato l'adeguamento tecnologico delle macchine per la produzione del bollino e, proprio in data di ieri che l'implementazione del nuovo sistema di stampa sulle 23 macchine di produzione è ormai prossima al completamento e che di conseguenza, la risoluzione definitiva del problema è prevista entro la fine della settimana prossima e non oltre»;
   è ben noto che l'adeguamento tecnologico delle macchine e l'implementazione del nuovo sistema preannunciato come risolutivo dal Ministro, altro non è che una semplice verniciatura del numero targa, effettuata con dei gruppi di vernice, forniti, oppure realizzati ed installati dai fornitori delle 23 macchine; tali gruppi sono stati installati, a fine linea, su gran parte delle macchine a partire dal mese di novembre 2015;
   di fatto però gli interventi effettuati e l'applicazione della vernice non garantiscono per nulla il fatto che il numero di targa sia indelebile; i bollini dei farmaci sono annoverati nell'elenco delle carte valori e risultano requisito indispensabile per consentire la completa tracciabilità e quindi evitare che si perpetuino ancora danni al Sistema sanitario nazionale;
   a conferma dell'inadeguatezza del sistema scelto ed implementato, si rileva che anche in questi giorni continuano ad essere immessi sul mercato farmaci con il numero targa coperto dalla vernice come da nuova implementazione e di recentissime produzioni che presentano il consueto problema della cancellazione del numero targa tutt'altro che indelebile;
   nonostante le rassicurazioni fornite dal Ministro interrogato, che più di due mesi fa si dichiarava certo del fatto che entro pochi giorni il problema rappresentato dei bollini dei farmaci sarebbe stato risolto, ancora oggi, l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato non è in grado di risolvere tecnicamente il problema del numero stampato sul bollino che continua a non essere indelebile, mentre si destinano risorse pubbliche, a costosi quanto inutili aggiornamenti di macchinari adibiti alla stampa dei bollini stessi;
   a titolo di esempio si cita il farmaco DOC Generici srl Aripiprazolo 15 mg. Lotto 1501546b. Le confezioni di questo farmaco, a quanto risulta agli interroganti, contengono un bollino stampato con implementazione del nuovo sistema, ma con il numero targa che si cancella facilmente –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere per evitare che si continuino ancora ad immettere sul mercato bollini difettosi, adoperandosi affinché attraverso l'ausilio delle aziende farmaceutiche, si effettuino controlli per verificare che il numero targa sia indelebile prima di essere applicato sull'astuccio e promuovendo verifiche da parte del comando carabinieri per la tutela della salute affinché si accertino presso le farmacie i difetti delle confezioni dei farmaci. (5-08969)

   GRILLO, LOREFICE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE, NESCI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base della determina 12 novembre 2014 n. 1.353 dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), ad oggetto «Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano “Sovaldi” (sofosbuvir), autorizzata con procedura centralizzata europea dalla Commissione europea», la validità del contratto con l'azienda Gilead dovrebbe essere attualmente scaduta;
   la risoluzione conclusiva n. 8/00177 presentata in Commissione affari sociali della Camera dei deputati in data 27 aprile 2016, a prima firma della deputata Anna Miotto, impegnava il Governo: «ad avviare ogni utile iniziativa finalizzata a dare attuazione alla predetta direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, con particolare riferimento alle attività di controllo relative all'immissione sul mercato di specialità medicinali;
   ad adottare iniziative volte a garantire che, nel futuro, non si ricorra ad accordi con clausole di riservatezza per l'acquisto di medicinali, ad eccezione di casi straordinari – sia per la rilevanza terapeutica innovativa che per le dimensioni dell'impatto finanziario – valutando comunque, in tali specifiche circostanze, di conformarsi ai consolidati orientamenti comunitari e, ove esistenti, alle indicazioni fornite dall'EMA, nonché a sottoporre gli accordi con clausole di riservatezza alla vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione, per quanto di competenza, e, anche in attuazione dell'articolo 162 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (cosiddetto “Codice appalti”), al controllo della Corte dei conti»;
   l'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha recentemente avviato una revisione sui farmaci antivirali ad azione diretta, per valutare il rischio di cancro al fegato e di riattivazione dell'epatite B in quanto per alcuni pazienti trattati ed affetti da entrambi i virus, si è infatti verificata la ricomparsa dell'infezione;
   il libro «L'innovazione sostenibile» di Luca Pani direttore generale dell'AIFA, dedica un intero paragrafo al «caso sofosbuvir» (pagg. da 32 a 40). Il punto 2.2a approfondisce il tema dell'insostenibilità del costo del farmaco sofosbuvir riportando come, affinché il mercato funzioni correttamente quest'ultimo debba essere: «competitivo, equo e trasparente»;
   inoltre viene riportato come:
    diversi Paesi da tutto il mondo hanno guardato e ancora guardano all'AIFA con grande attenzione per il nostro approccio negoziale rigoroso e basato su avanzate procedure di accordo progressivo;
    non è chiaro come la Gilead abbia determinato il prezzo del sofosbuvir che sembra comunque molto più elevato del previsto;
    i costi di Ricerca e Sviluppo sostenuti da Pharmasset – sviluppatrice del Sovaldi acquisita nel 2012 dalla Gilead per 11,2 miliardi di euro – negli anni 2009, 2010 e 2011, il periodo in cui sofosbuvir è stato sviluppato, ammontavano a 176,7 milioni di dollari, di cui 62,4 milioni attribuiti direttamente allo sviluppo del Sovaldi;
   il ricavo di sofosbuvir – potrebbe essere pari – a 11,3 miliardi di dollari nel primo anno di lancio;
    nel condurre la trattativa con l'Azienda – Gilead –, l'AIFA non si è mai focalizzata esclusivamente sul sofosbuvir, che al momento dell'avvio della negoziazione, era, come detto, l'unico sul mercato, ma ha tenuto conto dei nuovi farmaci in via di registrazione, che avrebbero rappresentato alternative terapeutiche più che valide e i cui costi sarebbero largamente dipesi dal prezzo di riferimento negoziato per il sofosbuvir;
    la strategia dell'AIFA – osservata con attenzione anche all'estero – è stata quindi indirizzata fin dall'inizio a porre le basi per un piano farmaceutico ambizioso per l'eradicazione dell'epatite C nei prossimi anni. Ciò ha permesso all'Agenzia di chiudere l'accordo per la rimborsabilità del Sovaldi nel rispetto dei tempi auspicati dal Ministro della Salute e in modo da consentire il trattamento del più grande numero di pazienti a un prezzo medio più basso rispetto al resto d'Europa;
    ai decisori spetta il compito di stabilire quanto si è disposti a pagare e per cosa, ai produttori di fissare l'asticella del profitto...;
   in data 25 maggio 2016 nel corso del programma Report il direttore generale Luca Pani ha indicato che:
    in Germania il prezzo del trattamento con il farmaco Sovaldi è di tre volte quello che si paga – in Italia – circa 45.000 euro; in Francia intorno ai 30.000 euro; in Spagna e Portogallo circa 27.000 euro;
    l'Italia ha speso 750 milioni di euro per 50.000 pazienti entro giugno 2016;
    alla scadenza del contratto si rinegozierà drasticamente il prezzo anche perché nel frattempo sono arrivate altre molecole;
    nella cartella stampa di presentazione del rapporto OsMed 2015 è presente la nota sui farmaci anti Epatite C, trattamenti avviati nel 2015, consumo e spesa dalla quale si apprende che:
    nel 2015 sono stati avviati 31.069 trattamenti;
    la spesa a carico del SSN per i farmaci anti-HCV per l'anno 2015 è stata pari a 1,7 miliardi di euro. La sottocategoria degli altri antivirali, ricomprendenti i nuovi DAA (Direct Antiviral Antigens), ha registrato una spesa pari a 1,6 miliardi di euro;
    al 20 giugno 2016 i trattamenti risultano 49.715;
   secondo i dati a disposizione il prezzo medio dei trattamenti nel 2015 sarebbe pari a 51.498 euro (1,6 miliardi spesa 2015/31.069 trattamenti 2015) più di tre volte superiore al prezzo (15.000 euro) stimato nel corso del programma Report –:
   quale sia l'importo totale della spesa pubblica relativa ai trattamenti sia con il farmaco Sovaldi che con il Savaldi-Harvoni, e il numero dei trattamenti effettuati con i medesimi: per l'anno 2015, per l'anno 2016 fino alla scadenza della determina 12 novembre 2014, n. 1.353, dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), avente ad oggetto «Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano “Sovaldi” (sofosbuvir) e sempre con riferimento all'anno 2016 per i mesi successivi alla scadenza della succitata determina 12 novembre 2014, n. 1.353.
(5-08970)

   AMATO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 novembre 2015 sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale (Serie generale n. 261), sezione «Estratti, sunti e comunicati», le «Linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate» in ossequio alla previsione dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 187 del 2000 (legge sulla radioprotezione);
   le linee guida sono un insieme di raccomandazioni sviluppate sistematicamente, sulla base di conoscenze continuamente aggiornate e valide, redatto allo scopo di rendere appropriato, e con un elevato standard di qualità, un comportamento desiderato;
   le linee guida in oggetto sono indicazioni di percorsi assistenziali che prescindono dai diversi modelli organizzativi adottati dalle singole regioni in cui in aree geografiche ad orografia complessa lo strumento tecnologico della tele-refertazione è già una realtà e le risorse per il personale non consentono la presenza continuativa del medico radiologo anche per procedure senza utilizzo di mezzo di contrasto;
   esse sono fortemente penalizzanti la professionalità e la dignità di medici prescrittori e tecnici sanitari di radiologia medica, rischiano di porre difficoltà organizzative proprio per la indebita penalizzazione, a molti servizi radiologici che potrebbero continuare a erogare servizi solo non osservando le indicazioni contenute nelle stesse linee guida;
   la Federazione dei collegi dei tecnici sanitari di radiologia medica, come più volte espresso attraverso comunicati su quotidiani di settore, non ritiene di condividere le linee guida in oggetto per una serie di motivi tra cui: inadeguatezza circa l'appropriatezza delle prestazioni; inadeguatezza in tema di radioprotezione della popolazione; sostanziale sotto utilizzo dei sistemi di telemedicina (nello specifico, di tele-radiologia) già presenti sul territorio nazionale; se applicate, danno erariale allo Stato e alle regioni; incostituzionalità circa la competenza concorrente Stato - regioni in tema di organizzazione dei sistemi sanitari regionali; contrasto con le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge dello Stato in tema di esercizio professionale;
   alcune regioni hanno fatto investimenti in sistemi di tele-gestione per modelli organizzativi differenti da quelli indicati dalle linee guida emanate, per cui la prestazione diagnostica risulta essere sicura, di elevata qualità con un costo d'insieme più sostenibile;
   i tecnici sanitari di radiologia medica senza la presenza fisica del medico radiologo ottemperano alle procedure nei programmi di screening mammografico, nella esecuzione degli esami in sala operatoria e al letto del paziente, e nelle procedure senza mdc richieste in urgenza in reperibilità;
   nessuna procedura di diagnostica radiologica è eseguibile senza la specifica prescrizione medica e il decreto appropriatezza rafforza il ruolo e la responsabilità del prescrittore;
   la stessa federazione, in data 2 ottobre 2014, 29 maggio e 7 luglio 2015, unitamente alla Conferenza delle regioni ha chiesto il ritiro delle linee guida e la riapertura di un tavolo di confronto con gli attori interessati ed ha, inoltre, impugnato il documento ministeriale davanti al TAR Lazio al fine di ottenere la sospensiva dell'applicazione delle linee guida e di poi l'annullamento. Il Tribunale amministrativo, valutata la documentazione presentata, con particolare riferimento alla richiesta della Conferenza delle regioni, ha disposto la «cancellazione della causa dal ruolo» per concedere un congruo lasso di tempo alle parti per riaprire un tavolo di confronto volto al perseguimento di soluzioni stragiudiziali –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di pervenire alla riapertura del tavolo per la riscrittura delle linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate che rispondano ad obiettivi di sicurezza e qualità delle procedure, utilizzo integrato di risorse umane e tecnologie secondo principi di evidenza scientifica e sostenibilità economica e rispetto della pari dignità di tutti gli esercenti le professioni sanitarie coinvolti nel percorso radiologico. (5-08971)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   AGOSTINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   L'Arpam, Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche – dipartimento di Ancona – servizio di epidemiologia ambientale – ha pubblicato uno studio del maggio 2016 intitolato «aborto spontaneo ed inquinamento atmosferico: i dati nella Regione Marche»;
   lo scopo dello studio epidemiologico, pubblicato sul sito dell'Arpam, è quello di «descrivere la distribuzione e l'andamento temporale dell'evento sanitario “aborto spontaneo” nei comuni della Regione Marche e, più in particolare, di effettuare valutazioni analitiche sul rapporto della sua incidenza con la qualità stimata dell'aria outdoor attraverso la concentrazione del particolato sottile (PM2,5)»;
    è noto infatti che, se la madre è esposta ad inquinanti ambientali, il prodotto del concepimento, sia nella fase embrionale che in quella fetale, può subire dei danni in ragione della sua particolare vulnerabilità;
   recentemente si assiste ad un crescente interesse della ricerca per lo studio dei possibili effetti nocivi sulla salute riproduttiva da parte dei cosiddetti contaminanti diffusi in aria. Nella letteratura scientifica non mancano studi in cui è stata identificata un'associazione significativa tra l'aborto spontaneo ed i contaminanti atmosferici; tra questi «una recente indagine ha valutato l'associazione tra l'abortività spontanea e l'inquinamento atmosferico rilevando una correlazione positiva tra le concentrazioni in aria di PM10 e Ozono (non di biossido di azoto (NO2) ai valori misurati) e l'occorrenza degli aborti spontanei, anche a livelli di concentrazione al di sotto dei limiti indicati dalle norme sulla qualità dell'aria» (cfr. studio Arpam 2016);
    è in questo filone di ricerca che si colloca lo studio dell'Arpam 2016 che, appunto, si propone di descrivere la distribuzione spaziale e temporale dell'evento «aborto spontaneo» nei comuni della regione Marche nel periodo preso in considerazione. Lo scopo del predetto studio è, quindi, «quello di individuare l'influenza di alcuni fattori di rischio sull'occorrenza dell'evento sanitario e, più nello specifico, di effettuare valutazioni analitiche sull'incidenza della qualità dell'aria e, in particolare, dell'impatto del particolato sottile (PM2,5)»;
    esso si articola in una prima fase descrittiva del fenomeno dei ricoveri ospedalieri per abortività spontanea a livello comunale ed in una seconda fase, di tipo analitico, che tenta di indagare gli eventuali fattori di rischio associati (studio Arpam 2016). I dati dell'indagine epidemiologica de quo sono stati ricavati dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) fornite dall'Agenzia regionale sanitaria della regione Marche per il periodo che va dal 2006 al 2012; sono stati analizzati i ricoveri, ordinari e day hospital, delle donne in età fertile (15-49 anni) residenti nelle Marche, selezionate sulla base della diagnosi principale e delle diagnosi secondarie della SDO, codificata secondo la IX revisione della classificazione internazionale delle malattie (cfr. studio Arpam 2016);
    il campione oggetto di analisi riguarda i ricoveri ospedalieri per aborto spontaneo delle donne fertili (15-49 anni) residenti nei 236 comuni delle Marche nel periodo 2006-2012; gli aborti spontanei per l'intero periodo considerato in tutta la regione sono risultati 15.319, con un rapporto di abortività percentuale pari a 12,2;
   conclusivamente dall'indagine emergono «alcune anomalie del fenomeno abortivo che si manifestano in determinate aree geografiche della Regione, portando altresì all'individuazione di associazioni causali tra l'abortività spontanea e i fattori di rischio indagati, tra i quali trova un ruolo determinante soprattutto il particolato atmosferico. I risultati dell'analisi multivariata mostrano un'associazione statisticamente significativa con la classe di età 35-49 anni, la cittadinanza, i precedenti aborti e l'esposizione al particolato sottile. In particolare un'esposizione a PM2,5 compresa tra 10 e 14 μg/m3 incrementa il rischio di aborto spontaneo del 9 per cento rispetto a esposizioni inferiori a 10 μg/m3, mentre un'esposizione a PM2,5 superiore a 14 μg/m3 lo incrementa del 13 per cento»; nello studio sono quindi elencati i comuni della regione Marche per i quali emerge una situazione di criticità rispetto al riferimento regionale e che, pertanto, necessitano di particolare attenzione;
   Jesi è il comune dove è stata registrata la significatività statistica di quasi tutti gli indicatori epidemiologici utilizzati. Lo studio evidenzia criticità importanti anche con riguardo ad altri comuni delle Marche quali, in particolare, Castel di Lama, Falconara Marittima, Osimo, Macerata e Spinetoli — «che hanno fatto rilevare eccessi significativi di abortività spontanea e l'appartenenza del comune ad aggregati spaziali dell'evento in questione (cluster)»;
    anche il comune di Monteprandone è tra i comuni elencati, «tuttavia esso si differenzia per il fatto di non far rilevare una significatività statistica dell'eccesso del rapporto di abortività standardizzato (SIR), mostrando, di contro, un trend dell'esito sanitario in ascesa e, quindi, opposto rispetto al trend regionale –:
   il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza:
    a) adottare iniziative con riferimento alle criticità riscontrate nei comuni delle Marche indicati in premessa ed eventualmente quali;
    b) avviare indagini ulteriori con riguardo a quelle realtà territoriali segnalate nello studio Arpam per le quali l'evento sanitario considerato (aborto spontaneo) è risultato, sulla base di un approccio descrittivo, più frequente della media regionale o in incremento, in modo da approfondire l'eziologia del fenomeno riscontrato. (5-08955)

   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al fine di verificare la qualità e la sicurezza dei pasti serviti nelle mense scolastiche, il Ministro della salute disponeva nell'anno scolastico 2015-2016 alcune verifiche a campione avvalendosi del Nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri;
   dai 2.678 controlli eseguiti dai Nas, emerge che sono 670 le strutture risultate non conformi per le quali sono state anche disposte 37 chiusure. Sono state altresì emesse 164 sanzioni penali e 764 sanzioni amministrative per un totale di euro 491.498;
   nell'ambito dei controlli venivano inoltre sequestrati 4,264 chilogrammi di derrate alimentari risultate in cattivo stato di conservazione o alterati, con evidenti complicazioni per la tracciabilità ed etichettatura degli stessi;
   tra i controlli effettuati, va segnalata la denuncia fatta dai Nas al responsabile di una società fornitrice del confezionamento dei pasti destinati a una scuola materna della provincia di Brescia la quale forniva alimenti da agricoltura tradizionale anziché quelli biologici previsti dal capitolato;
   il Nas di Ancona poi, scopriva che in una scuola agli studenti venivano serviti alimenti dichiarati freschi e invece, le derrate venivano acquistate vicine alla scadenza per essere congelate e rietichettate per poi essere fornite alla mensa come freschi;
   preoccupanti infine anche la scoperta del Nas di Perugia che ha messo in luce la somministrazione ai bambini di alimenti pericolosi per la salute pubblica, fra cui prosciutto cotto e frittata contaminati da listeria e stafilococchi, yogurt scaduto e pane con muffa;
   tuttavia,  l'articolo 144, del decreto legislativo n. 50 del 2016 riferito ai servizi di ristorazione, enuncia che gli appalti sono aggiudicati secondo quanto disposto dall'articolo 95, comma 3. «La valutazione dell'offerta tecnica tiene conto, in particolare, degli aspetti relativi a fattori quali la qualità dei generi alimentari con particolare riferimento a quella di prodotti biologici, tipici e tradizionali, di quelli a denominazione protetta, nonché di quelli provenienti da sistemi di filiera corta e da operatori dell'agricoltura sociale, il rispetto delle disposizioni ambientali in materia di green economy, dei criteri ambientali minimi pertinenti di cui all'articolo 34 del presente codice e della qualità della formazione degli operatori» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   alla luce del preoccupante rapporto elaborato dai Nas per conto del Ministero, come intenda procedere al fine di evitare pericolose somministrazioni di cibi agli studenti nelle mense scolastiche;
   in considerazione del fatto che dal rapporto elaborato dai Nas emerge che una mensa su quattro di quelle ispezionate è risultata fuori norma, quali siano le ulteriori iniziative che vorrà mettere in campo per l'applicazione del decreto legislativo n. 50 del 2016 e più precisamente dalla disposizione del codice sugli appalti pubblici «Categorie mense»;
   se non ritenga necessario, al fine di evitare contraffazioni di derrate alimentari in ambito pubblico destinate alle persone, di dover assumere iniziative per modificare la normativa vigente in materia di procedure e criteri degli  appalti pubblici;
   se non ritenga fondamentale per la tutela della salute pubblica di dover assumere iniziative normative affinché siano modificati i requisiti necessari per la partecipazione alle gare d'appalto dei «servizi di somministrazione pasti» in modo tale da escludere aziende che da controlli effettuati siano risultate non idonee, a causa di contraffazione degli alimenti destinati alla somministrazione umana o frode.
(5-08960)

Interrogazione a risposta scritta:

   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca riportano l'apertura un fascicolo dalla procura di Ragusa relativo al decesso di una partoriente di Pachino;
   si apprende che la giovane donna è deceduta dopo essere stata portata all'ospedale Maggiore di Modica per partorire. La donna aveva dato alla luce un bambino già morto. A seguito del parto ne sono scaturite complicazioni che ne avevano obbligato il trasferimento in coma farmacologico nel reparto di rianimazione. Le sue condizioni erano apparse gravi sin da subito;
   dal susseguirsi degli eventi appare evidente come qualcosa non sia andata per il meglio durante le operazioni di stimolazione per l'espulsione del corpicino senza vita. Secondo le prime informazioni, la donna avrebbe presentato una copiosa emorragia, uno o, addirittura, più arresti cardiaci. Neanche l'immediato intervento chirurgico a cui viene sottoposta ha posto rimedio alle criticità sorte;
   le condizioni della mamma di Pachino si sono aggravate e dopo quattro giorni di agonia il suo cuore ha cessato di battere –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di verificare che tutti i protocolli siano stati seguiti, per scongiurare che altre tragedie possano di nuovo colpire le partorienti e dare risposte ai familiari circa una vicenda che appare incomprensibile. (4-13558)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Nicola Nicoletti è partner di PricewaterhouseCoopers (PwC) dall'anno 2007. Pricewaterhousecoopers è una società italiana appartenente al network internazionale Pwc, una organizzazione internazionale di servizi professionali alle imprese;
   in data 15 settembre 2013 il «Comitato di esperti» per l'Ilva (Genon, Busceglia, Lupo), nominati con decreto ministeriale n. 211 del 15 luglio 2013, ha presentato la proposta di «Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria», ai sensi del decreto-legge n. 61 del 2013. All'interno della stessa proposta di piano, il Comitato di esperti, come descritto nel verbale n. 7 del 5 settembre 2013, incontra il dottor Nicoletti della PricewaterhouseCoopers Advisory spa che ha ricevuto l'incarico di revisionare l'organizzazione e il sistema delle deleghe in materia di salute e sicurezza e il modello organizzativo e gestionale;
   da fonte stampa si apprende che nel mese di novembre 2013 Enrico Bondi, allora commissario dell'Ilva, ha chiesto al gruppo Riva Fire e a membri della famiglia Riva un risarcimento danni di 484 milioni di euro per le attività di Riva Fire sulla fabbrica. La stima del danno di cui Bondi chiede il risarcimento nel processo in corso a Milano, è supportata dalla relazione tecnica redatta dalla società di consulenza PricewaterhouseCoopers Advisory;
   nel mese di dicembre 2013 viene presentata la relazione dell'allora commissario Ilva, Enrico Bondi. All'interno della stessa relazione, nel capitolo «Processi di supporto compilance» si apprende che «in relazione alle attività aziendali afferenti i temi di salute, sicurezza, ambiente, la struttura del Commissario straordinario ha avviato l'integrale revisione della relativa organizzazione aziendale e del modello di gestione, anche con il supporto della società PricewaterhouseCoopers Advisory Spa»;
   in data 19 giugno 2014 viene presentata la relazione dell'allora sub Commissario Andrea Ronchi sul risanamento ambientale dell'Ilva di Taranto dopo un anno di commissariamento. Nei ringraziamenti, è lo stesso ex sub commissario Ronchi che ringrazia, tra gli altri, Nicola Nicoletti tra coloro con i quali ha più collaborato all'ILVA;
   in data 15 ottobre 2014 Nicola Nicoletti come consulente di PwC, accompagna il nuovo commissario Ilva Piero Gnudi (nominato Commissario in data 6 giugno 2014) in audizione al Senato presso la 10a Commissione permanente «Industria, Commercio, Turismo» –:
   se il Ministro possa indicare quali siano gli atti con cui sono stati affidati a Pricewaterhousecoopers i compiti espressi in premessa e se vi siano altri compiti affidati dalla struttura commissariale alla suddetta società di servizi professionali alle imprese PwC;
   se il Ministro possa chiarire quale sia il ruolo di Nicola Nicoletti nei confronti di Ilva e se sia inquadrato come manager ovvero consulente e in virtù di quali accordi abbia prestato servizi ovvero presta ancora servizi ad Ilva;
   se il Ministro possa fornire elementi sugli sviluppi della richiesta di risarcimento danni espressa in premessa, da parte dell'allora commissario Enrico Bondi nei confronti di Riva Fire e ai membri della famiglia Riva. (5-08963)

   BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un articolo di Francesca Milano del 3 giugno 2016 pubblicato sul sito www.ilsole24ore.com denuncia come il popolare social network Instagram rischierebbe di trasformarsi in contenitore di marchi contraffatti nel settore della moda;
   queste preoccupazioni sarebbero confermate da una ricerca, il «Social Media and Luxury Goods Counterfeit», condotta da alcuni data analyst italiani, secondo cui vi sarebbero oltre 20 mila account Instagram utilizzati da organizzazioni criminali cinesi e russe per commercializzare prodotti falsi;
   secondo la ricerca, infatti, questi account pubblicherebbero foto di prodotti della moda in vendita (tra cui molti italiani come Gucci, Prada, Fendi, Bulgari) a prezzi leggermente inferiori rispetto a quelli di mercato per poi invitare gli utenti interessati a chattare in privato su altre piattaforme in cui avviene la contrattazione ed il pagamento attraverso canali come PayPal o Western Union;
   questo meccanismo, definito «catena spezzata» in quanto si basa su un continuo cambio di piattaforme, renderebbe difficile la tracciabilità del fenomeno;
   secondo il summenzionato studio, inoltre, chi acquista prodotti contraffatti su Instagram non sarebbe consapevole di essere di fronte ad un falso: ciò accadrebbe soprattutto perché il prezzo proposto non sarebbe così basso, illudendo l'acquirente di fare un affare;
   la Camera il 30 marzo 2016 ha approvato la proposta di legge denominata «Agevolazioni per l'introduzione di sistemi anticontraffazione per consentire al consumatore l'identificazione dei prodotti di origine italiana o interamente prodotti in Italia mediante l'apposizione di segni unici e non riproducibili associati a codici a barre bidimensionali». Questo testo, ora all'esame del Senato, prevede, all'articolo 2, l'introduzione di un sistema volontario di autenticazione e di tracciabilità dei prodotti che possa consentire al consumatore, tramite il collegamento delle informazioni ad un codice operativo non replicabile, di conoscere l'effettiva origine dei medesimi attraverso adeguate informazioni sulla qualità e sulla provenienza dei componenti, delle materie prime, sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti intermedi e finiti. Sotto il profilo tecnico il citato codice identificativo consisterà in un segno unico e non riproducibile, ottimizzato per il sistema mobile (e le sue future evoluzioni) e per le applicazioni per smartphone e tablet e i loro futuri sviluppi tecnologici. Sono rimesse ad un regolamento del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle specifiche tecniche delle applicazioni volte ad assicurare la tracciabilità attraverso i codici identificativi citati, le modalità operative per le certificazioni e le modalità di accreditamento dei produttori delle medesime applicazioni, nonché le tecnologie utilizzabili;
   l'articolo 4 della succitata proposta di legge prevede inoltre che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, sia punito ai sensi dell'articolo 517 del codice penale (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) chi apponga su prodotti destinati al commercio i codici di cui alla proposta di legge che contengano riferimenti non corrispondenti al vero, o ponga in vendita o mette in circolazione i medesimi prodotti;
   a parere dell'interrogante quanto riportato, se accertato, cagionerebbe un vulnus al made in Italy nel settore della moda, con danni di proporzioni indefinibili per l'immagine della produzione nazionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso ed urgente accertare i fatti suesposti e assumere iniziative normative per la tutela del made in Italy, affinché sia garantita la tracciabilità dei prodotti del settore moda messi in vendita attraverso i social network. (5-08973)

Interrogazione a risposta scritta:

   NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, CARINELLI e TRIPIEDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Nuova Karel Soluzioni srl, società con sede a Cagliari di proprietà della Xerox spa, si occupa da anni del servizio di assistenza telefonica e di gestione telematica delle polizze della compagnia assicurativa Zurich Assicurazioni per tutto il territorio nazionale attraverso il marchio Zurich Connect. Nel mese di gennaio del 2016, secondo fonti di stampa e comunicazioni delle rappresentanze sindacali, la società Xerox spa ha annunciato che Nuova Karel Soluzioni srl non ha vinto la nuova gara d'appalto per il rinnovo della commessa con Zurich Assicurazioni;
   la commessa, unica attualmente in corso, scadrà il 31 luglio 2016 e di conseguenza i 142 dipendenti, di cui oltre il 90 per cento donne e numerosissime giovani madri, in mancanza di iniziative volte alla salvaguardia dei lavoratori suddetti, saranno licenziati;
   la società subentrante, Comdata srl, presente sul territorio nazionale con quindici sedi operative tra cui quella di Sestu (Cagliari), avrebbe manifestato l'intenzione di trasferire la commessa telefonica dalla Sardegna a Padova, nonostante la situazione di esuberi nel sito veneto e la recente apertura della cassa integrazione, non, applicando le disposizioni dell'articolo 1, comma 10, della legge 28 gennaio 2016, n. 11, secondo cui «in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, il rapporto di lavoro continua con l'appaltatore subentrante, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale»;
   Comdata srl, allo stesso tempo, avrebbe mostrato ai sindacati la volontà di assorbire circa 80 dipendenti di Cagliari in altre commesse dell'azienda, ad esempio Telecom Italia ed Eng ma a differenti condizioni economiche e contrattuali rispetto alle attuali, vale a dire con contratti part-time e stipendi pari a circa la metà di quelli oggi percepiti –:
   se Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni esposte in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare l'apertura di un tavolo tecnico interministeriale con il coinvolgimento delle aziende interessate e delle rappresentanze sindacali per addivenire a una soluzione condivisa della vertenza di cui in premessa, affinché, nel rispetto delle citate previsioni di legge, al subentro di Comdata srl, le attività della citata commessa rimangano in Sardegna, siano assorbiti nell'organico della nuova società titolare dell'appalto tutti i lavoratori di Nuova Karel Soluzioni srl e siano mantenute le attuali condizioni contrattuali e salariali per i dipendenti. (4-13559)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rubinato e altri n. 5-08842, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ginoble.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Marchi e altri n. 3-02337, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Massimiliano Bernini n. 2-01395, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 635 del 10 giugno 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   a seguito del servizio televisivo di Sky Tg24 dell'8 aprile 2016, è ritornata alla ribalta della cronaca nazionale e locale, la questione inerente lo smaltimento ed il traffico illegale di rifiuti tossici nel comune di Graffignano, in provincia di Viterbo, nei terreni in località Pascolaro e Bivio del Pellegrino;
   l'area finì al centro delle indagini del Corpo Forestale dello Stato già tra il 2006 e il 2007 e, come spiegò l'allora comandante dei nuclei investigativi provinciali di polizia ambientale e forestali (Nipaf) di Viterbo Marco Avanzo, durante il processo contro gli imprenditori imputati, i fratelli Nocchi, essa sarebbe stata interessata dallo sversamento di 20 mila tonnellate di rifiuti sversati, spalmati con le macchine operatrici e ricoperti dalla terra;
   all'epoca dei fatti (2007) il Corpo Forestale dello Stato, metteva sotto sequestro una cava delle società ICI Srl e MCI SrA. situata nel comune di Graffignano (località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro) a causa degli esiti di indagini avviate mesi prima che facevano supporre a carico della società un comportamento fraudolento teso a sversare illecitamente rifiuti pericolosi in terreni agricoli anziché conferirli per il trattamento secondo le norme europee e nazionali, a ditte specializzate;
   Nocchi Paolo è il legale rappresentante della ICI srl della Nocchi Luciano socio accomandante della Fratelli Nocchi sas, Vice presidente del Consiglio di Amministrazione della ICI srl e gestore di fatto dei siti nella disponibilità dei Nocchi in Graffignano – Località Bivio del Pellegrino e località Pascolaro e Nocchi Roberto è il legale rappresentante della fratelli Nocchi sas ed amministratore unico della Petrol Trans srl;
   in base ai risultati delle relazioni effettuate sia da ARPALAZIO, ARPA Toscana, che dalla consulenza tecnica ex articolo 359 codice di procedura penale svolta dal Dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari su richiesta del Corpo Forestale dello Stato e poi della Procura della Repubblica tribunale di Viterbo, si evince un forte tasso di inquinamento tale da necessitare un'urgente opera di bonifica;
   la vicenda giudiziaria di cui il procedimento penale n. 4250-06 del pubblico ministero dottor Stefano D'Arma, della Procura della Repubblica, tribunale di Viterbo, come spesso accade in analoghi processi per traffico illecito di rifiuti, è caduta in prescrizione, visto che i tempi delle indagini, delle analisi e del processo raramente restano contenuti nel termine massimo dei sette anni e mezzo, quindi pur essendo abbondantemente documentati gli scempi ed i rischi per la salute pubblica e per l'ambiente, non sono state individuate le responsabilità tantomeno i colpevoli della devastazione;
   in provincia di Viterbo risultano altre vicende inerenti il traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi nonché la gestione dei fanghi illecitamente smaltiti come quella riguardante la cava in località Cinelli nel comune di Vetralla (VT);
   che si concludono troppo spesso con un nulla di fatto per lo scadere dei termini previsti dalla prescrizione;
   a dieci anni dalle indagini, non solo nulla è stato fatto per caratterizzare e bonificare i terreni in località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro, ma addirittura, a pochi metri da questi sono in atto delle coltivazioni benché il presidente di Agriconsulting Spa Federico Grazioli, amministratore dei terreni confinanti col Pascolaro, abbia dichiarato alla stampa che «è tutto fermo»;

   l'ex comandante del Nipaf di Viterbo dottor Marco Avanzo, ora responsabile della 1a divisione del Cfs, dichiarava che fino a poco tempo fa nei terreni limitrofi alle aree inquinate si coltivavano anche i pomodori;
   nella relazione pratica AS/07-29 dell'intervento della sezione provinciale di Viterbo dell'Arpa Lazio con il Cfs-Nipaf del 7-8 novembre 2007, tra i «considerando che» si legge: «la zona interessata dal materiale contenente presumibilmente idrocarburi e/o oli pesanti, ricade nelle vicinanze dell'autostrada A1 e della linea ferroviaria; la stessa è attraversata da strade di scorrimento locale; la stessa viene utilizzata come zona di caccia e di pesca; durante gli scavi si è riscontrata una falda acquifera superficiale a circa 2.5 m; nelle vicinanze scorre il fiume Tevere; il terreno viene utilizzato per le coltivazioni agricole; si ritiene necessaria un'opera tempestiva di ripristino ambientale con bonifica atta a non estendere la contaminazione all'ambiente circostante e a non provocare danni all'uomo. In via precauzionale i verbalizzanti ritengono necessaria un'indagine anche alle acque citate»;
   da un punto di vista della sicurezza alimentare preoccupa quanto riportato alle pagine 7 ed 8 della suddetta relazione: «sono stati inoltre eseguiti alcuni carotaggi in località Pascolaro su terreni di proprietà dell'Azienda Agricola “Il Casettone” limitrofi a quelli dell'ICI srl nell'area ex laghetto. Tali terreni, per quanto appreso dal CFS, erano gestiti dalla ICI Srl. Tramite carotatrice (cubaggio circa 0.3 m3) è stato eseguito nell'area dell'ex laghetto un campionamento di materiale solido palabile alla profondità di circa due metri che risultava visivamente diverso da quello di superficie. Nel terreno di proprietà dell'azienda su cui erano in svolgimento attività di aratura, è stata riscontrata in superficie la presenza di materiale di colore scuro che emanava un odore pungente. In questo punto sono stati eseguiti degli scavi e, già ad una profondità di 80 cm, si è riscontrata la presenza di materiale nero che emanava un odore riconducibile ad idrocarburi. Tale materiale si presentava almeno fino alla profondità di tre metri. Durante le operazioni di scavo si avvertiva nell'aria un odore pungente ed un principio di irritazione agli occhi. Per questo motivo le operazioni di scavo non sono state protratte ulteriormente e si è provveduto al repentino interramento del materiale con uno strato di circa 20 cm di materiale visivamente terroso. Dopo questa operazione si percepiva ugualmente l'odore pungente nella zona circostante. Per quanto sopra, a scopo precauzionale, l'area veniva sottoposta a sequestro da CFS;
   al capitolo 6 della «Relazione di Consulenza Tecnica» ex articolo 359 codice di procedura penale della Procura della Repubblica, Tribunale di Viterbo, nell'ambito del P.P. n. 4205-06 RGNR Mod21, redatta dal professor Francesco Fracassi, dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari, sono descritte le risultanze delle analisi chimiche dei campioni che l'ARPA Lazio ed Umbria hanno prelevato dai siti ICI di Bivio del Pellegrino e contrada Paspolaro, e dalla MCI di Alviano; i campionamenti sono stati effettuati il 6 giugno 2007 dal professor Fracassi, per l'ottenimento di indicazioni preliminari, l'8 novembre 2007 dall'ARPA La, il 9 ed il 16 novembre 2007 dall'ARPA Umbria; le analisi di quest'ultimi prelievi sono state condotte dall'ARPA Toscana e dall'ARPA Puglia;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Bivio del Pellegrino hanno evidenziato che i rifiuti fangosi sono contaminati da oli minerali (idrocarburi totali), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e PCB (policlorobifenili che presentano caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche paragonabili alle diossine) con una elevata concentrazione, superiore a 1.000mg/l di idrocarburi totali; infatti si rilevano 4.603mg/l nel campione 1 e 1.365mg/l nel campione 2;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Contrada Pascolare dall'ARPA Puglia e dell'ARPA Puglia e a confermano che nel
sito sono stati interrati rifiuti fangosi; I-6 dimostrano i tenori di pH e la percentuale di SO, non compatibile col semplice terreno, e in modo particolare nel campione 6A si riscontrano alte concentrazioni di idrocarburi (175mg/kg), di cromo (846 mg/kg), di nichel (2.337mg/kg), di rame (1.204mg/kg) e di zinco (2.674mg/kg), mentre nel 9B si supera la CSC per gli idrocarburi, 158mg/kg contro il limite previsto di 60mg/kg;
   le analisi dei campioni del sito MCI srl di Alviano eseguiti da ARPA Toscana su disposizione del NIPAFCFS di Viterbo rilevano la probabile presenza di fanghi la cui attività di recupero è autorizzata ai sensi del punto 12.16 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 purché la somma di arsenico, cadmio e mercurio sia inferiore ad Ippm, mentre sia nel verbale n. 8/07 che nel n. 10/07 è di 8,4 ppm, il che non consentirebbe più il recupero da parte della MCI;
   la Ici non ha alcuna possibilità tecnica al recupero dei rifiuti fangosi/conferendoli perciò a terzi, tra questi la MCI srl; dalla differenza dei fanghi in ingresso e in uscita al 31 dicembre 2006 e di quelli del 2007, risulta un deposito, 11.084 tonnellate che però a seguito del verbale di sopralluogo per i campionamenti del 6 giugno 2007, presso il sito di Bivio del Pellegrino, è pari a soli 1.430 metri cubi ovvero 1.800 tonnellate, mancando perciò all'appello 9.284 tonnellate di fanghi ovvero di una quanto ingente di rifiuti a volte contaminati con sostanze pericolose;
   con il parere dell'Istituto superiore di sanità n. 20606 del 23 giugno 2009 – che integra il parere dell'ISS n. 0036565 del 5 luglio 2006 e che chiarisce alcuni passaggi in riferimento ai valori soglia degli idrocarburi presenti nei rifiuti, viene confermato che, per la pericolosità/non pericolosità del rifiuto, si deve far riferimento al tenore nello specifico idrocarburo; in caso di presenza di idrocarburi minerali con concentrazioni superiori a 1.000 mg/kg s.s. si deve procedere alla ricerca di IPA marker. Il valore limite degli stessi è individuato in 1.000 mg/kg per singolo marker acr eccezione del Dibenzo[a] pirene e Dibenzo[ah] antracene la cui concentrazione limite è misurata in 100 mg/kg;
   i forestali, tornati sul posto con la troupe di SkyTg24, hanno ripetuto le analisi e nei campi accanto a quelli sequestrati nel 2006 rilevando concentrazioni di stagno, antimonio e cadmio superiori al limite consentito, commissario Capo Forestale Renato Sciunnach Responsabile della Oilisione 1a NICAF che dichiarava «Coltivare vicino a un'area come questa è potenzialmente molto rischioso»;
   mercoledì 18 maggio 2016 è stato approvato in conferenza dei servizi presso la prefettura di Viterbo il piano di caratterizzazione proposto, dal professor Vincenzo Piscopo della Tuscia e integrato dalle richieste dell'Arpa, Lazio, finalizzato alla bonifica dei 140 ettari interessati dagli sversamenti illeciti nel comprensorio graffignanese, il cui costo nei 10 anni di «latitanza» delle istituzioni, è lievitato a 250 mila euro;
   località Pascolaro, i rifiuti sono stati sepolti a notevole profondità, perciò per la caratterizzazione di cui al punto precedente sono previsti degli scavi e sondaggi anche profondi al fine di valutare quali tipologie di sostanze siano state interrate e il livello di contaminazione delle acque, previo censimento dei pozzi fornito dalla provincia di Viterbo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare ai sensi dell'articolo 301 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni, al fine di attuare il principio di precauzione, accertare l'esistenza, nonché l'eventuale reale entità del danno ambientale ai sensi dell'articolo 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni dovuto alla contaminazione delle falde acquifere profonde e superficiali in modo particolare di quelle che alimentano l'adiacente fiume Tevere nonché dei terreni interessati dall'attività, presumibilmente
illecità, svolta nel sedime di cava, interessando altresì le aree limitrofe;
   se il Governo intenda determinare con urgenza ai sensi dell'articolo 306 decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni le misure per il ripristino ambientale considerando prioritari i rischi per la salute umana;
   se, alla luce di quanto sopraesposto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga doveroso, in caso di inadempimento e/o impossibilità nelle individuazione dell'operatore responsabile, esercitare la facoltà di cui all'articolo 305, comma 2 lettera d) del decreto legislativo n. 152 del 2006 adottando il Ministro stesso le misure di ripristino necessarie, approvando la nota spese, con diritto di rivalsa esercitabile nei termini di legge verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare al fine di scongiurare ogni tipo di contaminazione della filiera agro-alimentare da parte delle sostanze inquinanti presenti nei terreni di cui in premessa ovvero quali iniziative normative intendano predisporre al fine di vietare ogni attività agro-silvopastorale e venatoria, nelle zone inquinate e nelle eventuali fasce di rispetto, miranti alla salvaguardia della salute umana;
   se i Ministri interrogati intendano valutare se sussistano i presupposti per rivalersi in sede civile per il risarcimento del danno nei confronti del responsabile o dei responsabili dell'inquinamento che per legge è sempre tenuto alla bonifica dell'intero sito.
(2-01395) «Massimiliano Bernini, Benedetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Parentela  n. 4-13451, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 635 del 10 giugno 2016.

   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella tendopoli di San Ferdinando (RC) che, nel periodo invernale, ospita migliaia di lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro, Sekine Traore cittadino originario del Mali è stato ucciso in circostanze che la Magistratura dovrà accertare. Il centro temporaneo avrebbe dovuto essere smantellato o risanato secondo quanto disposto dal prefetto di Reggio Calabria;
   il cittadino è morto in circostanze che si sarebbero potute evitare. La rivolta del 2010 e l'episodio recente evidenziano che esistono territori con un elevato tasso di tensione sociale, una tensione pronta ad esplodere da un momento all'altro, generata da un sistema di produzione che poggia proprio sullo sfruttamento selvaggio di intere fasce di lavoratori agricoli. Da mesi il M5S, sostenendo le iniziative portate avanti da organizzazioni sindacali come l'USB e altre associazioni, denuncia la situazione dei ghetti, sia in Parlamento con risoluzioni e altri atti parlamentari sia sul territorio con missioni in diverse regioni italiane, di cui una proprio a Rosarno;
   attualmente, la tendopoli ospita almeno 500 persone, ma alcuni parlano di mille, la gran parte impegnate nella raccolta di agrumi e ortaggi. La tendopoli, realizzata a suo tempo dalla protezione civile regionale, non è al momento gestita da nessuna organizzazione, a causa della mancanza di fondi. E una drammatica richiesta d'aiuto è arrivata dal sindaco della cittadina: «Chiederò un incontro ad Alfano. Per quanto la nostra sia una comunità abituata e solidale, anche in una condizione di forte crisi dell'agricoltura, non siamo in grado di garantire un lavoro e una accoglienza dignitosa a una mole così grande di persone. Chiederò dunque di smantellare la tendopoli, non è possibile che delle persone vivano in quelle condizioni»;

   abbandonare a se stessi centinaia di persone nei campi lede la dignità di chi viene in Italia in cerca di un futuro migliore, ma, cosa che molto spesso viene dimenticata, tende a ripercuotersi sulla comunità che li ospita;
   il segretario generale del Coisp Calabria ha affermato: «la verità è che siamo costretti a operare in condizioni disastrose, senza i protocolli operativi necessari per affrontare queste emergenze e senza strumenti e normative adatte. Da tempo chiediamo di dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate che permettano di non usare la pistola, aggiungendo appositi corsi di formazione» –:
   se non ritenga urgente, oggi più che mai, sedare le tensioni sociali andando a rimuoverne le cause riscontrabili nella disorganizzazione dei campi di accoglienza temporanei e nello sfruttamento selvaggio dei lavoratori agricoli e delle loro famiglie le quali vivono molto al di sotto degli standard di sicurezza riconosciuti e garantiti a livello comunitario;
   se non intenda dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate a fronteggiare situazioni analoghe a quanto avvenuto nella tendopoli di San Ferdinando. (4-13451)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Pisicchio n. 1-01192 del 9 marzo 2016;
   mozione Ghizzoni n. 1-01294 del 7 giugno 2016;
   mozione Buttiglione n. 1-01299 del 10 giugno 2016.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Lenzi n. 5-08611 del 9 maggio 2016;
   interrogazione a risposta orale Causin n. 3-02322 del 15 giugno 2016;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-13521 del 21 giugno 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08955.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   RUBINATO, ROTTA, CASELLATO, CRIVELLARI, CASATI, GINOBLE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, ha previsto che «ferme le incompatibilità previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta»;
   tale norma, introdotta sulla base della ragionevole necessità di contenimento dei costi della spesa pubblica, ha prodotto in realtà degli effetti assolutamente irragionevoli, compromettendo di fatto la partecipazione attiva alla vita democratica del Paese attraverso l'accesso agli incarichi pubblici dei liberi professionisti che si vedrebbero in tali ipotesi rifiutato il pagamento del compenso relativo alle prestazioni rese alla pubblica amministrazione;
   l'incongruità di tale norma ha peraltro finito per determinare le dimissioni di diversi amministratori locali su tutto il territorio nazionale;
   la sezione di controllo della Corte dei Conti del Veneto aveva rimesso tale questione alla sezione delle autonomie della Corte dei Conti medesima, chiedendo quale dovesse essere l'interpretazione di questa norma alla luce del fatto che in caso di adesione ad un'interpretazione meramente letterale «difficilmente la norma potrebbe superare lo scrutinio di legittimità costituzionale e l'ingiustificata lesione di diritti costituzionali potrebbe rinvenirsi anche nella limitazione del diritto di accedere ad una carica pubblica elettiva atteso che, se il cittadino per accedere a tale carica deve abdicare al proprio diritto a ricevere il compenso per la propria attività professionale, potrebbe essere indotto a rinunciare a ricoprire la carica elettiva»;
   l'interpretazione corretta della norma pare pertanto essere quella suggerita alla Corte veneta e, tra l'altro, fatta propria dal Ministero dell'interno nella nota prot. 10313 del 5 novembre 2015 secondo cui «il divieto di cumulo degli emolumenti, preso atto che la finalità perseguita dal legislatore è la riduzione del costo degli apparati politici, deve ritenersi limitato ai costi e alle spese necessarie per l'esercizio degli incarichi conferiti dall'amministrazione in relazione alla carica elettiva e quindi all'esercizio del munus pubblico (...) esprimendo quindi l'avviso che, fatti salvi eventuali profili di incompatibilità espressamente previsti, sono esclusi dalla portata applicativa della disposizione in esame quegli incarichi, eventualmente conferiti all'amministrazione nell'ambito della sua attività libero professionale, da enti diversi da quello di appartenenza»;
   tuttavia, la sezione delle autonomie della Corte dei Conti, con la deliberazione n. 11 del 31 marzo 2016, ha statuito, confermando l'interpretazione meramente letterale consolidatasi presso alcune sezioni regionali di controllo della medesima Corte, che «la disciplina vincolistica contenuta nell'articolo 5, comma 5, decreto-legge n. 78 del 2010, si riferisce a tutte le ipotesi di incarico, comunque denominato», con la conseguenza che al titolare di carica elettiva cui è conferito qualsivoglia tipologia di incarico da altra pubblica amministrazione non può spettare alcun compenso se non il rimborso delle spese sostenute e un gettone di presenza stabilito al massimo in 30,00 euro a seduta;
   l'interpretazione meramente letterale fornita dalla sezione delle autonomie della Corte dei Conti rischia dunque di determinare per tutti i liberi professionisti come i geometri, gli avvocati, gli architetti, gli ingegneri, l'impossibilità di fatto di svolgere attività libero professionale per altri enti pubblici, se non gratuitamente, così configurando una potenziale lesione di diritti costituzionalmente garantiti, in particolare, dagli articoli 3, 41 e 48 della Costituzione –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti riportati in premessa e se e quali iniziative, anche normative, intenda adottare al fine di escludere la portata applicativa della disposizione in esame a quegli incarichi eventualmente conferiti all'amministratore, nell'ambito della sua attività libero professionale, da enti diversi da quello di appartenenza. (5-08842)

   MARCHI, BOCCADUTRI, PAOLA BRAGANTINI, CAPODICASA, CENNI, DELL'ARINGA, FANUCCI, CINZIA MARIA FONTANA, FREGOLENT, GIAMPAOLO GALLI, GINATO, GIULIETTI, GUERRA, LAFORGIA, LOSACCO, MARCHETTI, MELILLI, MISIANI, PARRINI, PILOZZI, PREZIOSI, RUBINATO, MARTELLA, BINI, VICO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il 23 giugno 2016 gli elettori britannici sono chiamati ad esprimersi sulla cruciale possibilità che il loro Paese possa o meno continuare a far parte dell'Unione europea; al termine di una campagna elettorale intensa e tesa, caratterizzata perfino da drammatici risvolti, l'esito della consultazione popolare pare assai incerto;
   all'esterno della Gran Bretagna la campagna referendaria è stata seguita con altrettanta partecipazione e l'andamento dei mercati finanziari dell'intera Europa è stato caratterizzato da una significativa volatilità dei titoli, con perdite fortemente correlate al rischio di una crisi politica dovuta alla vittoria del voto favorevole all'uscita;
   una eventuale Brexit richiederà la messa in atto di un complesso processo di negoziazione che sia funzionale alla continuità dei rapporti economici, nonché delle alleanze politiche e militari di comune interesse; tale scenario avrebbe sicuramente conseguenze finanziarie, anche se è difficile prevederne la durata e la gravità;
   se invece vincesse il remain, lo scenario risulterebbe meno critico, ma le scelte dei leader europei ancor più delicate per quanto concerne le prospettive future dell'Unione europea, che si trova nella fase più delicata dalla sua fondazione;
   in ogni caso, i vertici della Banca centrale europea dichiarano con fermezza di essere preparati a fronteggiare, con efficaci misure, le turbolenze finanziarie cui saranno sottoposti i Paesi dell'Unione europea;
   oltre agli strumenti di politica monetaria e indipendentemente dall'esito del referendum, appare più che mai ad oggi necessario rilanciare con forza il processo di integrazione, attraverso meccanismi concreti per un coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le politiche economiche di tutti Paesi membri, anche al fine di promuovere una dimensione maggiormente democratica dell'Unione europea che contrasti la diffusa disaffezione verso il progetto europeo –:
   nell'auspicata ipotesi che prevalga la volontà britannica di continuare a far parte dell'Unione europea, quali iniziative intenda promuovere il Governo per rafforzare gli obiettivi di rilancio della crescita e dell'occupazione a livello comunitario, anche in relazione alle proposte italiane contenute nell'ampia agenda strategica presentata nel mese di febbraio 2016, così da far recuperare lo spirito di progresso sociale ed economico per l'intero continente proprio dell'originario progetto europeo. (3-02337)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   a seguito del servizio televisivo di Sky Tg24 dell'8 aprile 2016, è ritornata alla ribalta della cronaca nazionale e locale, la questione inerente lo smaltimento ed il traffico illegale di rifiuti tossici nel comune di Graffignano, in provincia di Viterbo, nei terreni in località Pascolaro e Bivio del Pellegrino;
   l'area finì al centro delle indagini del Corpo Forestale dello Stato già tra il 2006 e il 2007 e, come spiegò l'allora comandante dei nuclei investigativi provinciali di polizia ambientale e forestali (Nipaf) di Viterbo Marco Avanzo, durante il processo contro gli imprenditori imputati, i fratelli Nocchi, essa sarebbe stata interessata dallo sversamento di 20 mila tonnellate di rifiuti sversati, spalmati con le macchine operatrici e ricoperti dalla terra;
   all'epoca dei fatti (2007) il Corpo Forestale dello Stato, metteva sotto sequestro una cava delle società ICI Srl e MCI SrA. situata nel comune di Graffignano (località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro) a causa degli esiti di indagini avviate mesi prima che facevano supporre a carico della società un comportamento fraudolento teso a sversare illecitamente rifiuti pericolosi in terreni agricoli anziché conferirli per il trattamento secondo le norme europee e nazionali, a ditte specializzate;
   Nocchi Paolo è il legale rappresentante della ICI srl della Nocchi Luciano socio accomandante della Fratelli Nocchi sas, Vice presidente del Consiglio di Amministrazione della ICI srl e gestore di fatto dei siti nella disponibilità dei Nocchi in Graffignano – Località Bivio del Pellegrino e località Pascolaro e Nocchi Roberto è il legale rappresentante della fratelli Nocchi sas ed amministratore unico della Petrol Trans srl;
   in base ai risultati delle relazioni effettuate sia da ARPALAZIO, ARPA Toscana, che dalla consulenza tecnica ex articolo 359 codice di procedura penale svolta dal Dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari su richiesta del Corpo Forestale dello Stato e poi della Procura della Repubblica tribunale di Viterbo, si evince un forte tasso di inquinamento tale da necessitare un'urgente opera di bonifica;
   la vicenda giudiziaria di cui il procedimento penale n. 4250-06 del pubblico ministero dottor Stefano D'Arma, della Procura della Repubblica, tribunale di Viterbo, come spesso accade in analoghi processi per traffico illecito di rifiuti, è caduta in prescrizione, visto che i tempi delle indagini, delle analisi e del processo raramente restano contenuti nel termine massimo dei sette anni e mezzo, quindi pur essendo abbondantemente documentati gli scempi ed i rischi per la salute pubblica e per l'ambiente, non sono state individuate le responsabilità tantomeno i colpevoli della devastazione;
   in provincia di Viterbo risultano altre vicende inerenti il traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi nonché la gestione dei fanghi illecitamente smaltiti come quella riguardante la cava in località Cinelli nel comune di Vetralla (VT);
   che si concludono troppo spesso con un nulla di fatto per lo scadere dei termini previsti dalla prescrizione;
   a dieci anni dalle indagini, non solo nulla è stato fatto per caratterizzare e bonificare i terreni in località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro, ma addirittura, a pochi metri da questi sono in atto delle coltivazioni benché il presidente di Agriconsulting Spa Federico Grazioli, amministratore dei terreni confinanti col Pascolaro, abbia dichiarato alla stampa che «è tutto fermo»;
   l'ex comandante del Nipaf di Viterbo dottor Marco Avanzo, ora responsabile della 1a divisione del Cfs, dichiarava che fino a poco tempo fa nei terreni limitrofi alle aree inquinate si coltivavano anche i pomodori;
   nella relazione pratica AS/07-29 dell'intervento della sezione provinciale di Viterbo dell'Arpa Lazio con il Cfs-Nipaf del 7-8 novembre 2007, tra i «considerando che» si legge: «la zona interessata dal materiale contenente presumibilmente idrocarburi e/o oli pesanti, ricade nelle vicinanze dell'autostrada A1 e della linea ferroviaria; la stessa è attraversata da strade di scorrimento locale; la stessa viene utilizzata come zona di caccia e di pesca; durante gli scavi si è riscontrata una falda acquifera superficiale a circa 2.5 m; nelle vicinanze scorre il fiume Tevere; il terreno viene utilizzato per le coltivazioni agricole; si ritiene necessaria un'opera tempestiva di ripristino ambientale con bonifica atta a non estendere la contaminazione all'ambiente circostante e a non provocare danni all'uomo. In via precauzionale i verbalizzanti ritengono necessaria un'indagine anche alle acque citate»;
   da un punto di vista della sicurezza alimentare preoccupa quanto riportato alle pagine 7 ed 8 della suddetta relazione: «sono stati inoltre eseguiti alcuni carotaggi in località Pascolaro su terreni di proprietà dell'Azienda Agricola “Il Casettone” limitrofi a quelli dell'ICI srl nell'area ex laghetto. Tali terreni, per quanto appreso dal CFS, erano gestiti dalla ICI Srl. Tramite carotatrice (cubaggio circa 0.3 m3) è stato eseguito nell'area dell'ex laghetto un campionamento di materiale solido palabile alla profondità di circa due metri che risultava visivamente diverso da quello di superficie. Nel terreno di proprietà dell'azienda su cui erano in svolgimento attività di aratura, è stata riscontrata in superficie la presenza di materiale di colore scuro che emanava un odore pungente. In questo punto sono stati eseguiti degli scavi e, già ad una profondità di 80 cm, si è riscontrata la presenza di materiale nero che emanava un odore riconducibile ad idrocarburi. Tale materiale si presentava almeno fino alla profondità di tre metri. Durante le operazioni di scavo si avvertiva nell'aria un odore pungente ed un principio di irritazione agli occhi. Per questo motivo le operazioni di scavo non sono state protratte ulteriormente e si è provveduto al repentino interramento del materiale con uno strato di circa 20 cm di materiale visivamente terroso. Dopo questa operazione si percepiva ugualmente l'odore pungente nella zona circostante. Per quanto sopra, a scopo precauzionale, l'area veniva sottoposta a sequestro da CFS;
   al capitolo 6 della «Relazione di Consulenza Tecnica» ex articolo 359 codice di procedura penale della Procura della Repubblica, Tribunale di Viterbo, nell'ambito del P.P. n. 4205-06 RGNR Mod21, redatta dal professor Francesco Fracassi, dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari, sono descritte le risultanze delle analisi chimiche dei campioni che l'ARPA Lazio ed Umbria hanno prelevato dai siti ICI di Bivio del Pellegrino e contrada Paspolaro, e dalla MCI di Alviano; i campionamenti sono stati effettuati il 6 giugno 2007 dal professor Fracassi, per l'ottenimento di indicazioni preliminari, l'8 novembre 2007 dall'ARPA La, il 9 ed il 16 novembre 2007 dall'ARPA Umbria; le analisi di quest'ultimi prelievi sono state condotte dall'ARPA Toscana e dall'ARPA Puglia;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Bivio del Pellegrino hanno evidenziato che i rifiuti fangosi sono contaminati da oli minerali (idrocarburi totali), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e PCB (policlorobifenili che presentano caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche paragonabili alle diossine) con una elevata concentrazione, superiore a 1.000mg/l di idrocarburi totali; infatti si rilevano 4.603mg/l nel campione 1 e 1.365mg/l nel campione 2;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Contrada Pascolare dall'ARPA Puglia e dell'ARPA Puglia e a confermano che nel sito sono stati interrati rifiuti fangosi; I-6 dimostrano i tenori di pH e la percentuale di SO, non compatibile col semplice terreno, e in modo particolare nel campione 6A si riscontrano alte concentrazioni di idrocarburi (175mg/kg), di cromo (846 mg/kg), di nichel (2.337mg/kg), di rame (1.204mg/kg) e di zinco (2.674mg/kg), mentre nel 9B si supera la CSC per gli idrocarburi, 158mg/kg contro il limite previsto di 60mg/kg;
   le analisi dei campioni del sito MCI srl di Alviano eseguiti da ARPA Toscana su disposizione del NIPAFCFS di Viterbo rilevano la probabile presenza di fanghi la cui attività di recupero è autorizzata ai sensi del punto 12.16 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 purché la somma di arsenico, cadmio e mercurio sia inferiore ad Ippm, mentre sia nel verbale n. 8/07 che nel n. 10/07 è di 8,4 ppm, il che non consentirebbe più il recupero da parte della MCI;
   la Ici non ha alcuna possibilità tecnica al recupero dei rifiuti fangosi/conferendoli perciò a terzi, tra questi la MCI srl; dalla differenza dei fanghi in ingresso e in uscita al 31 dicembre 2006 e di quelli del 2007, risulta un deposito, 11.084 tonnellate che però a seguito del verbale di sopralluogo per i campionamenti del 6 giugno 2007, presso il sito di Bivio del Pellegrino, è pari a soli 1.430 metri cubi ovvero 1.800 tonnellate, mancando perciò all'appello 9.284 tonnellate di fanghi ovvero di una quanto ingente di rifiuti a volte contaminati con sostanze pericolose;
   con il parere dell'Istituto superiore di sanità n. 20606 del 23 giugno 2009 – che integra il parere dell'ISS n. 0036565 del 5 luglio 2006 e che chiarisce alcuni passaggi in riferimento ai valori soglia degli idrocarburi presenti nei rifiuti, viene confermato che, per la pericolosità/non pericolosità del rifiuto, si deve far riferimento al tenore nello specifico idrocarburo; in caso di presenza di idrocarburi minerali con concentrazioni superiori a 1.000 mg/kg s.s. si deve procedere alla ricerca di IPA marker. Il valore limite degli stessi è individuato in 1.000 mg/kg per singolo marker acr eccezione del Dibenzo[a] pirene e Dibenzo[ah] antracene la cui concentrazione limite è misurata in 100 mg/kg;
   i forestali, tornati sul posto con la troupe di SkyTg24, hanno ripetuto le analisi e nei campi accanto a quelli sequestrati nel 2006 rilevando concentrazioni di stagno, antimonio e cadmio superiori al limite consentito, commissario Capo Forestale Renato Sciunnach Responsabile della Oilisione 1a NICAF che dichiarava «Coltivare vicino a un'area come questa è potenzialmente molto rischioso»;
   mercoledì 18 maggio 2016 è stato approvato in conferenza dei servizi presso la prefettura di Viterbo il piano di caratterizzazione proposto, dal professor Vincenzo Piscopo della Tuscia e integrato dalle richieste dell'Arpa, Lazio, finalizzato alla bonifica dei 140 ettari interessati dagli sversamenti illeciti nel comprensorio graffignanese, il cui costo nei 10 anni di «latitanza» delle istituzioni, è lievitato a 250 mila euro;
   località Pascolaro, i rifiuti sono stati sepolti a notevole profondità, perciò per la caratterizzazione di cui al punto precedente sono previsti degli scavi e sondaggi anche profondi al fine di valutare quali tipologie di sostanze siano state interrate e il livello di contaminazione delle acque, previo censimento dei pozzi fornito dalla provincia di Viterbo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare ai sensi dell'articolo 301 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni, al fine di attuare il principio di precauzione, accertare l'esistenza, nonché l'eventuale reale entità del danno ambientale ai sensi dell'articolo 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni dovuto alla contaminazione delle falde acquifere profonde e superficiali in modo particolare di quelle che alimentano l'adiacente fiume Tevere nonché dei terreni interessati dall'attività, presumibilmente illecità, svolta nel sedime di cava, interessando altresì le aree limitrofe;
   se il Governo intenda determinare con urgenza ai sensi dell'articolo 306 decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni le misure per il ripristino ambientale considerando prioritari i rischi per la salute umana;
   se, alla luce di quanto sopraesposto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga doveroso, in caso di inadempimento e/o impossibilità nelle individuazione dell'operatore responsabile, esercitare la facoltà di cui all'articolo 305, comma 2 lettera d) del decreto legislativo n. 152 del 2006 adottando il Ministro stesso le misure di ripristino necessarie, approvando la nota spese, con diritto di rivalsa esercitabile nei termini di legge verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare al fine di scongiurare ogni tipo di contaminazione della filiera agro-alimentare da parte delle sostanze inquinanti presenti nei terreni di cui in premessa ovvero quali iniziative normative intendano predisporre al fine di vietare ogni attività agro-silvopastorale e venatoria, nelle zone inquinate e nelle eventuali fasce di rispetto, miranti alla salvaguardia della salute umana;
   se i Ministri interrogati intendano valutare se sussistano i presupposti per rivalersi in sede civile per il risarcimento del danno nei confronti del responsabile o dei responsabili dell'inquinamento che per legge è sempre tenuto alla bonifica dell'intero sito.
(2-01395) «Massimiliano Bernini, Benedetti».

   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella tendopoli di San Ferdinando (RC) che, nel periodo invernale, ospita migliaia di lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro, Sekine Traore cittadino originario del Mali è stato ucciso in circostanze che la Magistratura dovrà accertare. Il centro temporaneo avrebbe dovuto essere smantellato o risanato secondo quanto disposto dal prefetto di Reggio Calabria;
   il cittadino è morto in circostanze che si sarebbero potute evitare. La rivolta del 2010 e l'episodio recente evidenziano che esistono territori con un elevato tasso di tensione sociale, una tensione pronta ad esplodere da un momento all'altro, generata da un sistema di produzione che poggia proprio sullo sfruttamento selvaggio di intere fasce di lavoratori agricoli. Da mesi il M5S, sostenendo le iniziative portate avanti da organizzazioni sindacali come l'USB e altre associazioni, denuncia la situazione dei ghetti, sia in Parlamento con risoluzioni e altri atti parlamentari sia sul territorio con missioni in diverse regioni italiane, di cui una proprio a Rosarno;
   attualmente, la tendopoli ospita almeno 500 persone, ma alcuni parlano di mille, la gran parte impegnate nella raccolta di agrumi e ortaggi. La tendopoli, realizzata a suo tempo dalla protezione civile regionale, non è al momento gestita da nessuna organizzazione, a causa della mancanza di fondi. E una drammatica richiesta d'aiuto è arrivata dal sindaco della cittadina: «Chiederò un incontro ad Alfano. Per quanto la nostra sia una comunità abituata e solidale, anche in una condizione di forte crisi dell'agricoltura, non siamo in grado di garantire un lavoro e una accoglienza dignitosa a una mole così grande di persone. Chiederò dunque di smantellare la tendopoli, non è possibile che delle persone vivano in quelle condizioni»;
   abbandonare a se stessi centinaia di persone nei campi lede la dignità di chi viene in Italia in cerca di un futuro migliore, ma, cosa che molto spesso viene dimenticata, tende a ripercuotersi sulla comunità che li ospita;
   il segretario generale del Coisp Calabria ha affermato: «la verità è che siamo costretti a operare in condizioni disastrose, senza i protocolli operativi necessari per affrontare queste emergenze e senza strumenti e normative adatte. Da tempo chiediamo di dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate che permettano di non usare la pistola, aggiungendo appositi corsi di formazione» –:
   se non ritenga urgente, oggi più che mai, sedare le tensioni sociali andando a rimuoverne le cause riscontrabili nella disorganizzazione dei campi di accoglienza temporanei e nello sfruttamento selvaggio dei lavoratori agricoli e delle loro famiglie le quali vivono molto al di sotto degli standard di sicurezza riconosciuti e garantiti a livello comunitario;
   se non intenda dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate a fronteggiare situazioni analoghe a quanto avvenuto nella tendopoli di San Ferdinando. (4-13451)