Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali - A.C. 631 e abb-A
Riferimenti:
AC N. 631-A/XVII   AC N. 631/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 17    Progressivo: 1
Data: 09/12/2013
Descrittori:
MISURE CAUTELARI E LIBERTA' PERSONALE DELL' IMPUTATO     


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Misure cautelari personali

9 dicembre 2013
Elementi per l'esame in Assemblea



Indice

Contenuto|Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente|I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva|



Contenuto

Il testo all'esame dell'Assemblea è sostanzialmente volto a limitare l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere. Composto da 15 articoli, il provvedimento interviene con modifiche sul solo codice di procedura penale.

I primi tre articoli del provvvedimento novellano l'art. 274 c.p.p. allo scopo di limitare la discrezionalità del giudice nella valutazione delle esigenze cautelari, attualmente individuate nel pericolo di inquinamento delle prove (comma 1, lett. a); nel pericolo di fuga (comma 1, lett. b); nel pericolo di reiterazione dei reati (comma 1, lett. c).

L'articolo 1 novella l'art. 274 c.p.p. per escludere, nel corso delle indagini preliminari, che il riferimento a specifici comportamenti dell'indagato possa giustificare le esigenze cautelari. Tali comportamenti residuano come elementi atti a giustificare dette esigenze nei confronti del solo imputato, quindi dopo l'emissione del decreto di rinvio a giudizio.

In particolare, l'art. 1 modifica il comma 1 dell'art. 274 escludendo:

  • alla lett. a), che il rifiuto dell'indagato di rendere dichiarazioni o la mancata ammissione degli addebiti possano essere considerati elementi di concreto pericolo di inquinamento delle prove;
  • alla lett. c), che dalla personalità dell'indagato, desunta da suoi comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali possa essere desunto il pericolo di reiterazione del reato.

Gli articoli 2 e 3 del testo in esame integrano la formulazione, rispettivamente, delle lett. b) e c) del comma 1 dello stesso art. 274, prevedendo sia in riferimento al pericolo di fuga dell'imputato (lett. b) che al pericolo di reiterazione del reato dell'indagato o dell'imputato (lett. c):

  • la necessità, oltre che della concretezza, dell'attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato;
  • l'impossibilità di desumere la concretezza e l'attualità del pericolo di fuga o di reiterazione (anche in relazione alla personalità dell'imputato) esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede nonché dalle modalità e circostanze del fatto addebitato.

L'articolo 4 interviene, poi, sull'art. 275 c.p.p. in materia di scelta delle misure cautelari, con la finalità di escludere sia la custodia in carcere che gli arresti domiciliari quando il giudice ritenga che la eventuale sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere.

E' a tale scopo riformulato il comma 2-bis dell'art. 275, che attualmente prevede il divieto di applicazione della custodia cautelare quando il giudice ritenga che con la sentenza possa concedersi la sospensione condizionale della pena (ai sensi dell'art. 163 c.p.).

Le novità introdotte sono, quindi, le seguenti:

  • in caso di possibile sospensione condizionale della pena, il divieto in capo al giudice riguarda esplicitamente la custodia cautelare carceraria;
  • se il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, sia possibile sospendere l'esecuzione della pena ex art. 656, comma 5, c.p.p. (con concessione di una misura alternativa), il nuovo comma 2-bis prevede sia il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere che degli arresti domiciliari.

Stante l'esplicito riferimento testuale alla sola custodia "in carcere", nelle indicate ipotesi risulterà, evidentemente, possibile l'applicazione della custodia cautelare in istituti a custodia attenuata di detenute madri (art. 285-bis c.p.p.) nonché in luoghi di cura (art. 286 c.p.p.).

La nuova disposizione codifica quanto già affermato dalla giurisprudenza in relazione alla parificazione tra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari (v. tra le altre: Cass., sentt. nn. 58 e 3607/1997, 6480/1988, 18683/2008). Va inoltre considerato che l'art. 284, comma 5, c.p.p., prevede espressamente che l'imputato agli arresti domiciliari "si considera in stato di custodia cautelare".

Anche gli articoli 5 e 6 del provvedimento novellano l'art. 275 c.p.p.. L'articolo 5 riformula, anzitutto, il primo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. che attualmente stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta "soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata"; la custodia carceraria rappresenta, quindi, l'extrema ratio.

La nuova disposizione, confermando il carattere residuale del ricorso al carcere, specifica che tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive (in luogo di "ogni altra misura"), anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.

L'articolo 6 del testo riguarda l'applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità.

Se, in via generale, vale la regola dell'applicazione della custodia in carcere solo quando le altre misure risultino inadeguate, il secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. prevedono peraltro che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno specifico catalogo di reati ritenuti di particolare gravità, operi una presunzione di idoneità della sola misura carceraria (salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari). Quindi, l'adeguatezza della custodia in carcere risulta presunta ex lege ed il giudice non può decidere per l'applicazione di una misura cautelare diversa, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti l'insussistenza delle esigenze cautelari. Sul punto è intervenuta a più riprese la Corte costituzionale (v. ultra).

Si tratta - in base al vigente art. 275, comma 3, c.p.p. - dei reati di grave allarme sociale di cui all'articolo 51, commi 3-bis (associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, riduzione in schiavitù, tratta di persone, sequestro di persona a scopo di estorsione, ecc.), 3-quater (delitti con finalità di terrorismo) del codice di procedura penale, nonché dei delitti di cui agli articoli 575 (omicidio), 600-bis, primo comma (induzione alla prostituzione minorile), 600-ter, (pornografia minorile, esclusa la cessione del materiale, anche gratuita) e 600-quinquies (turismo sessuale) del codice penale, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Analogamente, la custodia in carcere si applica in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate.

L'articolo 6 - intervenendo sul secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. - limita la presunzione di idoneità della misura carceraria in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai soli delitti di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (art. 270-bis c.p.) e associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.).

Le modifiche all'art. 275 c.p.p. mirano ad adeguare il testo del comma 3 alle sentenze nn. 265/2010, 164 e 231/2011, 110/2012, 57, 213 e 232/2013 della Corte costituzionale. Tali sentenze hanno dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, in quanto - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una serie specifica di gravi reati è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Con riferimento alle fattispecie penali per le quali permane la presunzione di idoneità della sola misura carceraria in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (associazione sovversiva, art. 270 c.p.; associazione terroristica, anche internazionale, art. 270-bis c.p.; associazione mafiosa, art. 416-bis c.p.) si ricorda che con la sentenza 57/2013 la Corte costituzionale ha evidenziato che, una volta riconosciuta la perdurante pericolosità dell'indagato o dell'imputato del delitto previsto dall'art. 416-bis c.p., è legittimo presumere che solo la custodia in carcere sia idonea a contrastarla efficacemente.

Il nuovo terzo periodo del comma 3 prevede, poi - in caso di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il rimanente catalogo di reati - l'applicazione di una clausola di salvaguardia. Si prevede, infatti, - in ordine ai reati di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (esclusi i tre di cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis c.p.), per il reato di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile (esclusa la cessione del materiale, anche gratuita), turismo sessuale e, salvo l'assenza di circostanze attenuanti, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo – la possibilità di applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure.

Il riferimento alla ipotesi dell'eventuale soddisfacimento delle esigenze cautelari con altre misure viene incontro alla giurisprudenza costituzionale in materia.

Lo stesso art. 6 aggiunge un comma 3-bis all'art. 275 che precisa l'obbligo del giudice – nel disporre la custodia cautelare in carcere - di spiegare i motivi dell'eventuale inidoneità ad assicurare le esigenze di cautela degli arresti domiciliari con uso dei cd. braccialetti elettronici (ovvero le procedure di controllo di cui all'art. 275-bis, comma 1).

Nonostante la norma non lo espliciti, tali motivi dovrebbero essere enunciati nelle motivazioni dell'ordinanza che dispone la misura carceraria (art. 292 c.p.p.).

Gli articoli 7 e 8 del testo in esame abrogano, rispettivamente:

  • il comma 1-ter dell'art. 276 c.p.p. ovvero l'obbligo da parte del giudice di revocare gli arresti domiciliari ed applicare la custodia in carcere in caso di trasgressione del divieto di allontanarsi dalla propria abitazione;
  • il comma 5-bis dell'art. 284 c.p.p. che preclude al giudice la concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione nei 5 anni precedenti al fatto per il quale si procede.

Il successivo articolo 9 novella l'art. 292 c.p.p. relativo al contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare, con la finalità di rafforzare gli obblighi di motivazione da parte del giudice.

Le identiche modifiche - alle lettere c) e c-bis) del comma 2 – riguardano, infatti, l'obbligo di autonoma valutazione da parte del giudice sia delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi alla base della misura restrittiva sia delle concrete e specifiche ragioni per le quali le indicate esigenze di cautela non possono essere soddisfatte con altre misure. Come emerso nel corso dell'esame e dell'attività conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia, il riferimento alla "autonoma valutazione" del giudice mira ad evitare motivazioni delle esigenze cautelari "appiattite" su quelle del PM richiedente.

La mancanza di "autonoma valutazione" è considerata motivo di annullamento dell'ordinanza cautelare in sede di riesame (v. art. 309, comma 9, come modificato dall'art. 11, comma 3, del testo).

L'articolo 10 reca un'integrazione del comma 4 dell'art. 299 c.p.p.. in base al quale, nell'ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari, il giudice, su richiesta del PM, può anche applicare congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva.

Attualmente, nel caso indicato, il giudice può solo sostituire la misura in corso con altra più afflittiva oppure applicare la prima con modalità più gravi.

L'articolo 11 del provvedimento interviene sull'art. 308 c.p.p. che prevede i termini della perdita di efficacia sia delle misure coercitive (diverse dalla custodia cautelare) sia delle misure interdittive. Finalità dell'intervemto è, in particolare, quella di dilatare la durata delle misure interdittive, ritenuta troppo esigua.

L'articolo 11:

  • estende da 2 mesi a 12 mesi il periodo di possibile applicazione delle misure interdittive da parte del giudice;
  • sopprime il secondo periodo del comma 2 cioè l'attuale possibilità di disporne la rinnovazione (oltre i 2 mesi) quando le misure siano disposte per esigenze probatorie;
  • per ragioni di coordinamento, abroga il comma 2-bis (aggiunto all'art. 308 dall'art. 1, comma 78, della cd. legge anticorruzione n. 190 del 2012) che ha esteso da 2 a 6 mesi l'efficacia delle misure interdittive nel caso si proceda per numerosi, specifici delitti contro la pubblica amministrazione. Analoga soppressione concerne la previsione secondo cui - se le misure interdittive sono state disposte per esigenze probatorie - il giudice può disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'articolo 303 c.p.p.

L'articolo 12 interviene sugli artt. 309 e 324 del codice processuale penale.

All'art. 309, relativo al riesame presso il cd. tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, sono introdotte modifiche ai commi 6, 8-bis, 9 e 10 ed è aggiunto un comma 9-bis:

  • una prima novità consiste nel consentire all'imputato che lo chiede di comparire personalmente all'udienza (comma 6) e, in ogni caso, nel riconoscere il diritto di comparizione all'imputato che lo richieda (periodo aggiunto al comma 8-bis);
  • per rafforzare l'obbligo di motivazione del provvedimento genetico della misura cautelare si prevede che la mancanza di motivazione o di autonoma valutazione da parte del giudice delle specifiche esigenze cautelari o degli indizi ed elementi forniti dalla difesa dell'imputato è causa di annullamento della misura da parte del tribunale del riesame (comma 9);
  • per consentire alla difesa di prepararsi meglio e, nei casi più complessi, al giudice di studiare più attentamente la vicenda cautelare - su richiesta dell'imputato, da formulare entro 2 giorni dalla notifica dell'avviso della data fissata - l'udienza camerale, se ricorrono giustificati motivi, è differita dal tribunale per un minimo di 5 ed un massimo di 10 giorni. Di pari periodo viene prorogato il termine di 10 gg per la decisione (di annullamento, riforma o conferma) sull'ordinanza oggetto del riesame e per il relativo deposito dell'ordinanza da parte del tribunale (nuovo comma 9-bis);
  • al mancato deposito in cancelleria, entro 30 gg dalla deliberazione, dell'ordinanza del tribunale del riesame consegue la perdita di efficacia dell'ordinanza che dispone la misura coercitiva (comma 10).

L'art. 12 integra, poi, la formulazione del comma 7 dell'art. 324 c.p.p. stabilendo, in sede di riesame delle ordinanze relative a misure cautelari reali (sequestro conservativo o preventivo), l'applicazione delle disposizioni del descritto nuovo comma 9-bis dell'art. 309, ovvero il possibile differimento, per giustificati motivi, della data dell'udienza camerale del tribunale.

L'articolo 13 interviene sul citato l'art. 310 c.p.p. relativo all'appello avverso le ordinanze che dispongono misure cautelari personali.

La norma integra la scarna formulazione del comma 2, precisando che la decisione sull'appello del tribunale del riesame (entro 20 gg dalla ricezione degli atti) sia assunta con ordinanza depositata in cancelleria entro 30 gg. dalla deliberazione.

Gli articoli 14 e 15 del testo novellano l'art. 311 c.p.p. relativo al ricorso per cassazione sulle ordinanze che dispongono misure coercitive (ex art. 309) nonchè su quelle emesse in sede di appello avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali (ex art. 310 c.p.p.).

L'art. 14 esclude dalla possibilità di ricorrere per cassazione contro le indicate ordinanze:

  • il PM presso il tribunale del distretto di corte d'appello;
  • il PM che ha chiesto al giudice l'applicazione della misura nel caso in cui si tratti di ricorso contro la decisione di conferma dell'ordinanza che abbia rigettato o dichiarato inammissibile una sua richiesta.

L'articolo 15 aggiunge all'art. 311 un comma 5-bis. In base a quest'ultimo, nel caso in cui la Cassazione - su ricorso dell'imputato - proceda ad annullamento con rinvio di un'ordinanza che ha disposto o confermato una misura coercitiva ai sensi dell'art. 309, comma 9, il giudice del rinvio:

  • decide entro 10 giorni dalla ricezione degli atti;
  • deposita in cancelleria l'ordinanza nei 30 gg dalla deliberazione.

La mancata decisione come il mancato deposito dell'ordinanza nei termini indicati comportano la perdita di efficacia della misura coercitiva, ad esclusione del caso in cui l'esecuzione della misura sia sospesa ai sensi dell'art. 310, comma 3 (si tratta del caso in cui il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, abbia disposto una misura cautelare rigettata dal giudice: in tale ipotesi, l'esecuzione della decisione è sospesa fino a che essa non sia divenuta definitiva).



 

Valutazione delle esigenze cautelari
Scelta delle misure: residualità della custodia in carcere
Idoneità della sola misura carceraria
Rafforzamento obblighi di motivazione
Misure interdittive
Riesame delle misure cautelari
Appello


Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente

Il 16 ottobre 2013, la Commissione Giustizia ha deliberato un'indagine conoscitiva sulle abbinate proposte di legge C. 631 (Ferranti) e C. 680 (Gozi) recante modifiche al c.p.p. in materia di misure cautelari personali. Lo stesso 16 ottobre hanno svolto una relazione sui temi oggetto dell'indagine Rodolfo Maria Sabelli, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Valerio Spigarelli, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane, e Matteo Pinna, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane.
In data 23 ottobre sono stati auditi Giovanni Canzio, presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, Giorgio Spangher, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Enrico Marzaduri, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa e Daniele Negri, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Infine, il 24 ottobre si è svolta l'audizione di Glauco Giostra, presidente Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, di Giulio Illuminati, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Bologna, Mario Caizzone, presidente dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, Raffaele Borgia, rappresentante dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, e Giuseppe Rossodivita, rappresentante dell'Associazione Nessuno tocchi Caino.


I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva

La Commissione Affari Costituzionali ha espresso, il 5 dicembre, parere favorevole sul provvedimento con due osservazioni.

La prima, riferita all'art. 6, comma 1 del testo, chiede alla Commissione Giustizia di valutare l'opportunità di modificare il secondo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p., prevedendo che - in osservanza della giurisprudenza costituzionale - la presunzione di sola idoneità della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416-bis, 270 e 270-bis del codice penale fosse corroborata dall'assunzione di elementi specifici in relazione al caso concreto,

La seconda osservazione concerne l'opportunita di specificare maggiormente il contenuto dell'art. 8-quinquies (ora art. 11 nel testo in esame) relativo al riesame presso il tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misuta coercitiva.

La Commissione Bilancio ha espresso il 2 dicembre nulla osta.

La Commissione Affari Sociali ha espresso il 5 dicembre parere favorevole con una osservazione. Si invita, infatti, la Commissione di merito a valutare l'opportunità di reinserire nel testo la disposizione volta a modificare l'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico sugli stupefacenti, riducendo la pena per alcuni illeciti di lieve entità (da 6 a 3 anni) e, conseguentemente, l'applicabilità delle misure cautelari. Si tratta, in effetti, di una disposizione che è stata espunta dal testo (già art. 9) nel corso dell'esame.

Dopo l'espressione dei pareri, la Commissione giustizia non ha modificato il testo del provvedimento.