Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione - A.C. 2737 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 276 | ||||
Data: | 26/02/2015 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Modifiche al
codice delle leggi antimafia e delle misure A.C. 2737 |
Schede di
lettura |
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n. 276 |
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26 febbraio 2015 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Giustizia ( 066760-9559– * st_giustizia@camera.it |
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gi0323.docx |
INDICE
Il contenuto della proposta di legge
§ Le misure di prevenzione personali (artt. 1-7)
§ Le misure di prevenzione patrimoniali (artt. 8-22, 50)
§ L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni
confiscati (artt. 23-37)
§ La tutela dei terzi (artt. 38-47)
§ I rapporti con le procedure concorsuali (artt. 48-49)
§ Le informazioni antimafia (artt. 52-53)
§ L’Agenzia nazionale (artt. 54-57)
§ Le disposizioni di coordinamento (art. 58)
L'esperienza applicativa della normativa in vigore in materia di misure di prevenzione antimafia, di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati come disciplinata dal decreto legislativo n. 159 del 2011 (cd. Codice antimafia) ha evidenziato da tempo elementi di criticità con riguardo all’efficacia della procedura e all'incisività delle misure.
In materia, la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Commissione antimafia) ha svolto un’intensa attività istruttoria, che è sfociata in una prima relazione (Doc XXIII, n. 1 ) approvata il 9 aprile 2014. Detta relazione, che ha enucleato specifici interventi correttivi al Codice antimafia, è stata successivamente discussa dall'Assemblea della Camera dei deputati il 16 e 18 giugno 2014 e dall'Assemblea del Senato della Repubblica nella seduta del 17 giugno 2014: entrambi i rami del Parlamento hanno approvato una risoluzione in materia, di identico contenuto (alla Camera, la risoluzione 6-00075, Bindi ed altri).
Ulteriori approfondimenti sulle necessarie modifiche al Codice antimafia sono contenuti nella Relazione approvata dalla stessa Commissione antimafia il 22 ottobre 2014 (Doc. XXIII n. 5), a cui è allegato un primo articolato che sintetizza le modifiche da apportare direttamente al Codice antimafia nonchè un secondo articolato che propone una delega al Governo per l’emanazione di norme integrative del Codice antimafia.
Il primo intervento normativo, in particolare, ha inteso trovare un punto di sintesi tra le diverse altre proposte di riforma già contenute nel documento della cd. Commissione Fiandaca istituita presso il Ministero della giustizia (DM 10 giugno 2013), nella relazione conclusiva della Commissione istituita (DPCM 7 giugno 2013) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (cd. Commissione Garofoli) e nei diversi progetti di legge relativi alla medesima materia, presentati in Parlamento.
La proposta di legge AC. 2727, che si compone di 58 articoli, tutti (escluso l’ultimo) di modifica del Codice antimafia (d’ora in poi: il Codice), risulta elaborato sulla base del complessivo lavoro della Commissione antimafia.
Gli elementi principali di novità riguardano i seguenti aspetti:
· la legittimazione a proporre le misure di prevenzione e una revisione e snellimento del procedimento applicativo;
· l'istituzione di sezioni specializzate di prevenzione, coincidenti con il distretto della procura distrettuale antimafia;
· l’istituzione di un registro distrettuale delle misure di prevenzione;
· la nuova disciplina di contenimento degli effetti dell’incompetenza territoriale;
· l’esecuzione del sequestro a cura della
polizia giudiziaria;
· le nuove disposizioni a tutela della
trasparenza degli incarichi di amministratore giudiziario;
· la tutela anticipata dei terzi creditori,
titolari di diritti di garanzia;
· nei
sequestri di azienda, la nuova disciplina della verifica anticipata dei crediti
e la nuovo misura del “controllo giudiziario dell’azienda”;
· il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia
nazionale.
Disposizioni in buona parte coincidenti con quelle proposte dall’AC 2737 in esame sono contenute nel Capo III (Modifiche al Codice delle leggi antimafia) del disegno di legge del Governo AS 1687 (Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti), all’esame della Commissione Giustizia del Senato.
E’ attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera un testo unificato di alcune proposte di legge (AC. 1138 d'iniziativa popolare, AC. 1039 Gadda e AC. 1189 Garavini), adottato come testo base l’8 ottobre 2014 e relativo a misure per accelerare i procedimenti in materia di contrasto ai patrimoni illeciti e per favorire il riutilizzo sociale dei beni e delle aziende confiscati alle mafie e tutelare il lavoro.
Di seguito viene data sintetica illustrazione degli articoli della proposta di legge in esame. Nei box sono riportate, ove di specifico rilievo, le considerazioni espresse dalla Commissione antimafia nelle relazioni sopracitate.
L’articolo 1 integra l’elenco dei soggetti destinatari della proposta di applicazione delle misure. E’ quindi modificato l’art. 4 del Codice cui sono aggiunti:
· gli indiziati dei reati di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e di assistenza agli associati (art. 418 c.p.);
· le persone che risultino dedite alla commissione di reati contro l'ordine e la sicurezza pubblica in occasione di manifestazioni sportive;
· gli indiziati di delitti contro la p.a., quando siano dediti abitualmente a traffici illeciti o vivano abitualmente, anche in parte, dei proventi di tali delitti.
I successivi articoli coordinano il contenuto del Codice con le novità introdotte dall’articolo 2 della p.d.l. in materia di titolarità della proposta di misure di prevenzione personali e con l’istituzione – prevista dal nuovo comma 4 dell’art. 5 del Codice - di sezioni specializzate distrettuali per la trattazione delle misure di prevenzione.
L’articolo 2 modifica
l’art. 5 del Codice (Titolarità della proposta. Competenza) per istituire le
citate sezioni specializzate per la trattazione delle misure di prevenzione (personali
e patrimoniali) presso ogni tribunale del capoluogo di corte d’appello; sezioni
distaccate di dette sezioni sono istituite nei soli tribunali
circondariali di Trapani e Santa Maria Capua Vetere (per coordinamento, si veda infra
l’art. 58, comma 2, della proposta, che modifica sul punto l’ordinamento
giudiziario).
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 si afferma che «Le misure di prevenzione, personali ma
soprattutto patrimoniali, tanto più dopo le nuove incombenze demandate ai
giudici delegati dal codice antimafia (si pensi – per tutte – alla previsione
dell'udienza di verifica crediti, incombente mutuato dalla procedura
fallimentare) costituiscono un comparto altamente specialistico che presuppone
non solo la conoscenza della normativa penale di settore anche delle norme
civili, fallimentari, tributarie, societarie. Occorre, quindi, garantire la
specializzazione dei magistrati che trattano tale complessa materia.
La
necessità di definire rapidamente i procedimenti di merito e, al tempo stesso,
di dirigere e controllare amministrazioni giudiziarie spesso imponenti rende
necessaria l'istituzione di sezioni autonome sia in primo che in secondo grado.
Va
sottolineato, nell'economia generale del sistema, che anche l'istituzione di
una sezione specializzata e autonoma presso le corti di appello è necessità
imprescindibile e direttamente proporzionale alla rapida definizione del
procedimento.
In
ragione dei dati statistici sulle pendenze […] sembra opportuno istituire
sezioni specializzate distaccate quanto meno presso i tribunali di Trapani e di
Santa Maria Capua Vetere. Al riguardo si sottolinea che tali tribunali
attualmente trattano un numero di procedimenti di prevenzione superiore a
quello del tribunale distrettuale di Bari, di Catania, di Salerno e Foggia
insieme.
La
sezione specializzata dovrebbe, quindi, essere prevista anche per la competente
corte d'appello.
La
Commissione ritiene che l'istituzione presso i tribunali distrettuali e le
corti d'appello di sezioni autonome e specializzate, previo adeguato
potenziamento delle piante organiche, sia l'unico concreto strumento per
velocizzare la trattazione dei procedimenti di prevenzione».
Lo stesso articolo 2 estende la titolarità del Procuratore nazionale antimafia alla proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali anche nell’ambito delle attività di coordinamento delle procure distrettuali antimafia (art. 371-bis, c.p.p.). Il deposito della proposta va fatto presso la cancelleria delle citate sezioni specializzate.
E, poi, previsto un coordinamento tra il procuratore della Repubblica presso il capoluogo del distretto ed il procuratore del tribunale del circondario di dimora del proposto nonché la possibilità che il PM proponente la misura di prevenzione possa esercitare le funzioni nelle udienze dei procedimenti di prevenzione.
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 si afferma che «Al fine di evitare la sovrapposizione di
proposte provenienti da autorità diverse relative al medesimo soggetto, sarebbe
opportuno prevedere un potere di coordinamento in capo al procuratore
distrettuale. Tale coordinamento eviterebbe un ingiustificato dispendio di
attività di polizia giudiziaria ed eviterebbe il rischio di proposte
patrimoniali che potrebbero anticipare il contenuto di indagini penali in corso
e dunque coperte da segreto istruttorio.
La
Commissione propone che anche il procuratore della Repubblica presso il
tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona sia legittimato a
proporre misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali, anche nel caso
di pericolosità generica. A seguito della revisione delle circoscrizioni
giudiziarie si è infatti ulteriormente parcellizzata la titolarità delle
proposte in capo al pubblico ministero presso il tribunale nel cui circondario
dimora la persona. […]
Entrambe
queste modifiche hanno il fine di evitare che nei processi di criminalità
organizzata (associazione per delinquere finalizzata al traffico di
stupefacenti ovvero associazione ex articolo 416 bis c.p.) in cui i partecipi
abbiano manifestato la pericolosità sociale nel circondario del tribunale ove
dimorano, possano essere competenti più tribunali. […] Al riguardo si sottolinea
che un eventuale errore nella individuazione del pubblico ministero competente
e, di conseguenza, del tribunale adito come competente, si traduca in vizio di
incompetenza territoriale che vanifichi l'attività fin lì svolta».
Ad analoghe esigenze di coordinamento tra le diverse competenze in materia risponde quanto previsto dall’articolo 3 della proposta di legge. La disposizione introduce un art. 5-bis nel Codice, relativo al parere del procuratore distrettuale sulle proposte degli altri soggetti legittimati alla richiesta di misure di prevenzione personali.
Gli articoli 4 e 6 della proposta di legge modificano, rispettivamente, gli articoli 6 ed 8 del Codice, in materia di divieto di soggiorno. L’attuale divieto di soggiorno in una o più province è sostituito con il divieto riferito a una o più regioni.
L'articolo 5 propone numerose modifiche al procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali antimafia, disciplinato dall’articolo 7 del Codice. In particolare:
· viene coordinata con le modifiche introdotte la previsione del termine per la decisione del tribunale (sulla richiesta di applicazione della misura con decreto motivato), con riferimento al parere del procuratore distrettuale; è precisato che il decreto motivato con cui il tribunale provvede sulla richiesta di applicazione della misura è di 30 giorni «dal deposito della proposta» (attualmente “dalla proposta”);
· vengono resi più effettivi i diritti di difesa, prevedendosi che il proposto alla misura ne conosca i contenuti già in occasione della notifica del decreto di fissazione della prima udienza; alle stesse finalità, è prevista la pubblicità dell’udienza in camera di consiglio e, a richiesta, la partecipazione del proposto detenuto tramite videoconferenza; attualmente è necessaria la sola partecipazione del difensore e del PM.
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 si afferma che «È una priorità per la Commissione
mantenere il sistema delle misure di prevenzione al riparo da possibili censure
da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Va quindi garantita la
partecipazione del proposto, ovunque sia detenuto, all'udienza camerale.
Qualora il soggetto sia detenuto fuori dal distretto la Commissione propone la
partecipazione all'udienza in videoconferenza […]. Tale soluzione, da un lato,
garantirebbe il diritto di partecipare all'udienza e di interloquire con i
difensori, dall'altro, salvaguarderebbe le ragioni di sicurezza connesse agli
spostamenti sul territorio di soggetti detenuti anche per gravi reati».
· analoga partecipazione a distanza è assicurata anche nel caso in cui sia necessario sentire i soggetti informati sui fatti rilevanti per il procedimento (attualmente è previsto l’ascolto a distanza dei soli testimoni);
· i nuovi commi da 10-bis a 10-octies determinano stringenti limiti temporali per proporre eccezioni di incompetenza territoriale e regolano gli effetti delle relative pronunce (anche in grado di impugnazione, v. articolo 16 che modifica l'articolo 27 del Codice);
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 si afferma che «Con il regime processuale attuale
l'eccezione di incompetenza territoriale può essere sollevata anche in Corte di
cassazione e dunque all'esito di un procedimento durato molti anni. È evidente
che, ove l'eccezione fosse accolta, il procedimento dovrebbe ripartire dinanzi
a una diversa autorità giudiziaria con dispendio di attività processuale
(escussione del proposto, dei terzi, eventuali conferimenti di incarichi peritali)
e ulteriore prolungamento della gestione dei beni in sequestro. Appare
auspicabile in ragione delle prospettate esigenze di celerità che
l'incompetenza territoriale sia eccepita, a pena di decadenza, subito dopo
l'accertamento – per la prima volta – della costituzione delle parti e che
l'eccezione sia decisa immediatamente».
· I medesimi nuovi commi prevedono tempi certi (15 gg dalla conclusione dell’udienza) per il deposito dei decreti del tribunale che decidono sulla proposta (prorogabili in caso di motivazione “particolarmente complessa” di ulteriori 75 giorni) e, in caso di accoglimento anche parziale, accollano al proposto le spese processuali.
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 la Commissione propone che, «nel caso di confisca, il
proposto sia condannato al pagamento delle spese processuali (come viene
disposto dal tribunale del riesame), atteso che, spesso, vengono disposti
accertamenti peritali i cui costi sono messi a carico dell'erario».
L’articolo 7 integra la formulazione dell’art. 14 del Codice, relativo alla decorrenza e cessazione della sorveglianza speciale.
Sono aggiunti due commi (2-bis e 2-ter) che prevedono la sospensione dell’esecuzione della misura nel periodo in cui il soggetto è sottoposto sia a custodia cautelare che a detenzione per esecuzione di pena.
Solo nel primo caso, tuttavia, il termine di durata della sorveglianza speciale continua sempre il suo corso dalla data di cessazione della custodia cautelare. Nel caso di espiazione di pena almeno biennale, spetterà al tribunale verificare la persistenza della pericolosità sociale del soggetto: se, assunte le opportune informazioni dai servizi penitenziari e dall’autorità di PS, il tribunale riterrà il soggetto ancora socialmente pericoloso, ordinerà con decreto la prosecuzione della sorveglianza speciale; in caso contrario, adotterà decreto di revoca della misura.
L'articolo 8, modificando l'articolo 17 del Codice:
· rende obbligatoria per le autorità competenti l’adozione, attualmente facoltativa, delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 del Codice (gli indiziati di mafia e gli altri soggetti cui possono essere applicate le misure di prevenzione personali);
· attribuisce anche al Procuratore nazionale antimafia la titolarità della proposta di misure di prevenzione patrimoniali nell'ambito delle attività di impulso e di coordinamento previste dall'articolo 371 bis, commi 2 e 3, c.p.p.
Attualmente, il P.N.A. può formulare soltanto proposte di misure di prevenzione personali. La modifica introdotta sembra rispondere alla centralità che la figura del Procuratore nazionale riveste nella lotta alle mafie e dal rilievo che in tale ambito hanno assunto le misure di aggressione dei patrimoni.
Si osserva in linea generale
che denominazione e poteri del Procuratore nazionale antimafia sono integrati
dal decreto-legge 7/2015 (A.C. 2893), con riguardo all’azione di contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale.
L’articolo 9 modifica l’art. 18 del Codice e stabilisce che, in caso di morte del proposto alla misura di prevenzione patrimoniale, la stessa possa essere eseguita sia nei confronti degli eredi e di chi risulta avere convissuto negli ultimi 5 anni con il defunto, sia nei confronti delle persone giuridiche del cui patrimonio il defunto risultava potere disporre anche indirettamente; la disposizione prevede, a tal fine, l’ausilio dell’Agenzia nazionale per la gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati (d’ora in poi: l’Agenzia nazionale).
In ragione della natura tecnica delle indagini patrimoniali, integrando l’articolo 19 del Codice, l’articolo 10 della proposta di legge prevede
l’accesso dell’autorità giudiziaria e delle altre autorità titolari della
proposta di misura di prevenzione alla banca
dati dell’Agenzia delle entrate (SID).
L'articolo 11 modifica l'articolo 20 del Codice per prevedere la possibilità del sequestro di prevenzione anticipato.
Infatti, i beni del proposto il cui valore risulti sproporzionato al reddito ovvero quando si hanno sufficienti indizi che fanno ritenere che tali beni provengano da attività illecita o ne costituiscano profitto o reimpiego, potranno essere sequestrati dal tribunale, anche d’ufficio, fin dalla presentazione della proposta di sequestro (anziché, come ora, a procedimento in corso).
Analogo sequestro anticipato è previsto dall’art. 22 del Codice ma sul presupposto d’urgenza che vi sia il “concreto pericolo che i beni di cui si prevede debba essere disposta la confisca siano dispersi, sottratti od alienati”.
Inoltre – in caso di sequestro di aziende - oltre all’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34, il giudice può adottare un nuovo strumento, il controllo giudiziario dell’azienda, previsto dal nuovo art. 34-bis del Codice (v. ultra, art. 22 della p.d.l.).
Una ulteriore integrazione all’art. 20 precisa, in caso di revoca del sequestro, l’obbligo di trascrizione e delle annotazioni nei pubblici registri, nei libri sociali e nel registro delle imprese.
Un nuovo comma 3-bis prevede che gli esiti del procedimento (decreto di sequestro e sua revoca, anche parziale), subito dopo l’esecuzione delle misure, vadano comunicati per via telematica all’Agenzia nazionale.
L’articolo 12 stabilisce – con la modifica dell’art. 21 del Codice - che la competenza per l'esecuzione del sequestro passa dall’ufficiale giudiziario alla polizia giudiziaria (l’assistenza dell’ufficiale giudiziario diventa solo eventuale).
Viene altresì disciplinato lo sgombero degli immobili occupati senza titolo, ordinato dal giudice delegato con l’ausilio della forza pubblica.
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 la Commissione propone che «il sequestro sia eseguito a
opera della polizia giudiziaria e/o con delega all'organo proponente e non
dall'ufficiale giudiziario, per evitare le difficoltà e i ritardi riscontrati
nella pratica esecuzione dei sequestri determinati dalla necessità di
raccordarsi con gli ufficiali giudiziari, oberati dal lavoro ordinario e a
organici ridotti, e di salvaguardare il necessario segreto, insito in un atto
«a sorpresa» quale è il sequestro».
L'articolo 13 modifica l'articolo 22 del Codice antimafia prevedendo l’ipotesi di sequestro urgente (quando vi è il pericolo che i beni possano essere dispersi, sottratti o venduti) disposto dal presidente del tribunale con decreto motivato, anche in assenza del parere del procuratore distrettuale in sede di convalida (previsto dal nuovo art. 5-bis del Codice, v. art. 3 della p.d.l.). Lo stesso parere diventa, invece, necessario in sede di convalida del sequestro d’urgenza da parte del tribunale.
L'articolo 14 della proposta di legge propone uno degli interventi di maggior rilievo della proposta di legge. Infatti, modifica l'articolo 23 del Codice stabilendo che nell’udienza di prevenzione debbano essere chiamati ad intervenire i terzi titolari di diritti reali di godimento su cosa propria (proprietà) o altrui (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù) e di garanzia (pegno e ipoteca). Attualmente, la citazione riguarda i soli terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro. Oltre alla rilevante previsione di intervento dei terzi titolari di diritti reali di garanzia è espunto dal testo il riferimento ai terzi titolari di diritti personali di godimento in quanto non attinenti ad un bene (ma a diritti di credito verso una persona determinata).
Nella
Relazione della Commissione Antimafia
del 9 aprile 2014 la Commissione rileva che la tutela dei terzi costituisce
una della questioni di maggiore interesse ed è uno degli argomenti più delicati
da affrontare perché comporta valutazioni di indirizzo politico dirette a
individuare ambiti di garanzia e di tutela di contrapposte posizioni di diritto
e di interesse coinvolti per il cui bilanciamento risulta auspicabile un
intervento riformatore della legislazione esistente.
Nel
procedimento di prevenzione i terzi sono:
- i
titolari di diritti reali su cosa propria: proprietà;
- titolari
di diritti reali di godimento su cosa altrui: superficie, enfiteusi, usufrutto,
uso, abitazione, servitù;
- i
titolari di diritti reali di garanzia: pegno e ipoteca.
In
base alla normativa vigente sono chiamati dal tribunale a intervenire nel
procedimento, assistiti, ove lo ritengano, da un difensore, i terzi che
risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati e i terzi che
vantano diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro al fine di
fare valere le loro ragioni sui beni.
Non
è prevista invece la citazione dei terzi titolari dei diritti reali di garanzia
che potranno svolgere deduzioni difensive solo in sede di udienza di verifica
dei crediti e quindi solo a distanza di anni dal sequestro.
Nella
maggioranza dei casi i terzi titolari di diritti reali di garanzia sono gli
istituti bancari che hanno concesso un mutuo al proposto e hanno trascritto
ingombranti ipoteche sugli immobili (intestati al proposto ovvero a intestatari
fittizi o costituenti complesso aziendale).
Una
delle criticità segnalate nella destinazione dei beni immobili, o di immobili
che fanno parte di un complesso aziendale, è la trascrizione delle ipoteche da
parte degli istituti bancari, a fronte di erogazione di mutui, sui beni
immobili. Tale vincolo ostacola la destinazione a uso sociale di detti beni.
Analogamente, l'omessa previsione di un termine differenziato «ragionato» per
la verifica dei crediti in ragione della tipologia del credito vantato dal
terzo, crea gravi difficoltà alla prosecuzione dell'attività dell'azienda in
sequestro, sia all'eventuale pagamento delle residue rate di mutuo.
La
Commissione rileva che, per le confische disposte ai sensi della legge
n. 575 del 1965, la legga di stabilità del 2013 ha regolamentato la sorte
delle ipoteche, i tempi e i modi per il riconoscimento della buona fede degli
istituti bancari, presupposto indefettibile per accedere a una tutela
risarcitoria.
La
legge di stabilità del 2013 ha, infatti, stabilito che si estinguono di diritto
tutti gli oneri e i pesi iscritti o trascritti anteriormente alla confisca
divenuta definitiva, che i terzi titolari di diritto reale di garanzia avevano
180 giorni dall'entrata in vigore della legge, o dalla futura definitività
della confisca, per chiedere ai tribunali di prevenzione, con incidente di
esecuzione, il riconoscimento della buona fede e dunque l'ammissione a una
tutela risarcitoria.
Per
i beni confiscati ai sensi del codice antimafia, invece, al momento la norma
non prevede in quale fase processuale il tribunale debba fissare l'udienza di
verifica dei crediti pregressi all'esecuzione del sequestro, limitandosi a
enunziare «anche prima della confisca». Le sezioni per le misure di prevenzione
si sono orientate, in modo pressoché unanime, a celebrare l'udienza di verifica
crediti – macchina assai complessa da mettere in moto – nel momento in cui si
Pag. 44ha certezza della definitività del provvedimento ablativo. Tale lacuna
normativa riguarda sia i crediti connessi, ad esempio, allo svolgimento
dell'ordinaria attività dell'azienda in sequestro (debiti verso fornitori,
verso i lavoratori, verso l'Erario, verso le banche sulla base di ordinari
rapporti di conto corrente funzionali all'esercizio dell'attività di impresa)
che i crediti assistiti da diritti reali di garanzia (pegno o ipoteca). Nel
rinviare al punto successivo la trattazione dell'individuazione del momento in
cui effettuare la verifica dei crediti connessi all'esercizio dell'attività di
impresa va da subito rappresentata l'irrazionalità del sistema attuale che
prevede l'immediata citazione dei terzi titolari, ad esempio, di un contratto
di locazione del bene sequestrato di cui si chiede la confisca ma non
dell'istituto bancario titolare di ipoteca sullo stesso bene.
L'udienza
per la trattazione del merito del procedimento, solitamente fissata entro
cinque-sei mesi dall'esecuzione del sequestro, sarebbe invece il primo momento
utile per citare oltre ai titolari di diritti reali o personali di godimento
anche i titolari di diritti reali di garanzia.
La
Commissione propone che debbano essere citati non solo i titolari di diritti
reali o personali di godimento ma anche di diritti reali di garanzia come,
peraltro, era già previsto dall'articolo 2 ter, comma 5, della legge
n. 575 del 1965, modificato dalla legge n. 50 del 2010. Si
ribadisce che non ha senso citare il conduttore di un contratto di locazione e
non gli istituti di credito, muniti di diritti reali di garanzia, differendo a
un momento successivo l'accertamento della buona fede. Così facendo si
determina un ingiustificato effetto negativo: la lievitazione dei costi per
interessi moratori o convenzionali in quanto il giudice delegato non può
autorizzare il pagamento delle rate di mutuo in scadenza – anche in presenza di
sufficiente liquidità perché ancora non ha accertato la buona fede e/o
l'affidamento incolpevole dell'istituto bancario.
Non
a caso, nel parere reso dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati
sul decreto legislativo n. 159 del 2011 si richiedeva che i titolari di
diritti reali di garanzia dimostrassero buona fede e inconsapevole affidamento.
Così si legge nel parere: «per gli istituti di credito...si potrebbero
utilizzare criteri più facilmente accertabili, quali ad esempio l'onere di
provare il rispetto delle norme e prassi bancarie in materia, oltre che del
disposto del decreto legislativo n. 231 del 2007 e della legge
n. 197 del 1991 in materia di antiriciclaggio».
Peraltro
dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 231 del 2007 si evince la
possibilità di comunicare all'unità di informazione finanziaria (UIF) presso la
Banca d'Italia il decreto con cui viene respinta la domanda di accertamento
della buona fede affinché vengano esercitati poteri di vigilanza per
l'antiriciclaggio.
Sarebbe
opportuno che il tribunale richieda, contestualmente all'esecuzione del decreto
di sequestro, copia integrale della pratica di mutuo, comprensiva di appunti,
annotazioni, al fine di cristallizzare la situazione esistente e acquisire,
dall'istruttoria compiuta dalla banca, elementi utili per la verifica della buona
o malafede dell'istituto erogante.
L'articolo 15 modifica l'articolo 24 del Codice relativo alla confisca dei beni sequestrati.
Anzitutto viene escluso che la disponibilità di beni di cui non si giustifichi la legittima provenienza possa essere giustificata dal provento o reimpiego di evasione fiscale. In senso conforme si è pronunciata recentemente la Suprema Corte di Cassazione (SU, sentenza n. 33451 del 30 luglio 2014).
La
Commissione antimafia, nella relazione
del 9 aprile 2014, propone di modificare l'articolo 24 del codice antimafia
prevedendo espressamente che «ai fini del giudizio sulla sproporzione non si
tiene conto dei proventi di evasione fiscale e di ogni altro tipo di attività
illecita». (…)
«Va
evidenziato che per la confisca di prevenzione non vi era alcun contrasto,
atteso che è consolidato l'orientamento secondo il quale il proposto non può
giustificare la legittima provenienza del bene allegando redditi da evasione
fiscale (provati anche mediante adesioni ai vari condoni fiscali); il contrasto
si era infatti posto solo per la cosiddetta confisca allargata; peraltro la
confisca di prevenzione può essere applicata anche nei confronti dell'evasore
fiscale, dedito a tali traffici e socialmente pericoloso.
La
Commissione rileva che sarebbe in clamoroso contrasto con i principi di
legalità e di solidarietà sanciti dalla Carta costituzionale immaginare che una
persona socialmente pericolosa possa giustificare i propri beni assumendo che
siano stati acquistati con il provento dell'evasione fiscale. Tale precisazione
normativa deve, a maggior ragione, riguardare anche le ipotesi di confisca
allargata di cui all'articolo 12-sexies
della legge n. 356 del 1992.
Inoltre, se non dispone la confisca, sarà comunque possibile al tribunale adottare le misure di amministrazione e controllo giudiziario dell’azienda di cui agli artt. 34 e 34-bis del Codice.
L’art. 15 prevede, infine, ulteriori cause di sospensione del termine per il deposito del decreto di confisca, connesse all'esercizio del diritto di difesa e all’integrazione del contraddittorio.
Integrazioni alla disciplina delle comunicazioni e impugnazioni dei provvedimenti del tribunale sono dettate dall’articolo 16, di modifica dell’art. 27 del Codice.
In particolare, si prevede con i nuovi commi da 2-bis a 2-quinquies:
· una specifica ipotesi di annullamento del decreto di primo grado del tribunale da parte della corte d’appello, a seguito di acclarata incompetenza del giudice (rimangono, però, validi gli elementi già acquisiti);
· l’imputazione all’impugnante delle spese processuali, in caso di conferma anche parziale del decreto di sequestro;
· in caso di disposizione del sequestro da parte della corte d’appello in riforma del decreto del tribunale, l’applicazione della disciplina della gestione e destinazione dei beni di cui al Codice antimafia.
Sono poi aggiunti all’art. 27:
· il comma 3-bis, che prevede: la disciplina dell’esecutività dei provvedimenti di appello che, riformando il decreto di confisca del tribunale, revocano il sequestro; le ipotesi derivanti dall’eventuale sospensione dell’esecuzione chiesta dal PG (ipotesi attualmente non prevista);
· il comma 4-bis, relativo all’obbligo del procuratore della Repubblica presso il tribunale di trasmettere al PG presso la corte d’appello sia il proprio fascicolo sul procedimento di primo grado, sia quello successivo che contenga ulteriori elementi valutativi sopravvenuti dopo la decisione di primo grado del tribunale (quest’ultimo deve essere trasmesso anche alle parti).
La
relazione della Commissione antimafia del 9
aprile 2014 rileva che al momento la normativa non prevede che il
procuratore generale possa chiedere la sospensione dell'esecutività della
revoca della confisca disposta dalla corte d'appello in pendenza del ricorso
per Cassazione. Il codice antimafia consente di paralizzare l'efficacia della
revoca del sequestro conseguente al rigetto della richiesta di confisca
disposta dal tribunale. Potrebbe, quindi, accadere che nelle more tra la
decisione della corte d'appello e quella della Corte di cassazione sul ricorso
del procuratore generale i beni oggetto del procedimento vengano dispersi
essendo oggetto di libera disposizione. Ove il ricorso del procuratore generale
fosse accolto dalla corte di legittimità sarebbero vanificati gli effetti di un
eventuale annullamento con rinvio della decisione della corte d'appello da
parte della Corte di cassazione e di un'eventuale successiva conferma della
confisca.
L’articolo 17 modifica l’art. 28 del Codice, individuando il giudice competente sulla richiesta di revocazione della confisca di prevenzione (nelle ipotesi tassativamente previste dal comma 1 dello stesso art. 28) nella Corte d’appello individuata a norma dell’art. 11 del codice di procedura penale; attualmente la richiesta è proposta alla Corte d’appello competente per territorio.
Ai sensi del citato art. 11, relativo alla competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, è stabilita una tabella in cui sono indicati in maniera tassativa i distretti di corte d'appello cui spetta la trattazione del procedimento. Per coordinamento con la modifica introdotta, in caso di accoglimento della richiesta di revocazione, sarà la Corte d’appello individuata ex art. 11 c.p.p. a provvedere alla restituzione per equivalente ex art. 46 del Codice.
L’articolo 18, modificando l'articolo 30 del Codice, investe l’amministratore giudiziario delle attuali funzioni del custode dei beni oggetto di sequestro in sede penale, stante il ruolo attivo del primo nei compiti di gestione. Si tratta di beni sui quali possono comunque intervenire anche sequestro e confisca di prevenzione.
Ulteriori modifiche riguardano l’obbligo, anche a procedimento di prevenzione in corso (e non concluso), di dichiarare con decreto l’esecuzione della confisca in sede penale.
Per garantire continuità nella gestione, un comma aggiuntivo dell’art. 30 prevede (comma 5-bis) che, in caso di sequestro di aziende, società o beni di cui sia necessaria l’amministrazione (i casi di cui all’art. 104-bis, disp.att. c.p.p.), il giudice delegato alla procedura di amministrazione, gestione e destinazione dei beni nel corso di tutto il procedimento penale sarà quello che ha emesso il decreto di sequestro (se il giudice che ha emesso tale decreto è collegiale, sarà quest’ultimo a nominare il giudice delegato)
L’articolo 19 della proposta di legge aggiunge un articolo 30-bis che coordina la disciplina penalistica con quella del Codice antimafia. Infatti, anche nei procedimenti penali in cui sono disposti il sequestro e la confisca di beni o di aziende, il giudice che dispone il sequestro nomina un amministratore giudiziario per la gestione.
Si valuti l’opportunità di coordinare in tal senso le disposizioni di interesse del codice penale e di procedura penale.
Rimane applicabile la disciplina del Codice antimafia sull’amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e tutela dei terzi nonché quella, connessa, dell’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati.
L’articolo 20 modifica l’art. 31 del Codice, prevedendo che il tribunale, in ragione delle condizioni economiche della persona sottoposta a misura di prevenzione, possa disporre di rateizzare la cauzione che a seguito dell’applicazione della misura questi deve versare alla cassa delle ammende.
Gli articoli 21 e 22 contengono disposizioni in materia di amministrazione e controllo giudiziario di attività economiche e di aziende, In particolare, riprendendo una delle proposte elaborate dalla Commissione Fiandaca (istituita con DM Giustizia 10 giugno 2013 presso il Ministero della giustizia), viene riformulato l'articolo 34 e introdotto l'articolo 34-bis nel Codice antimafia con la finalità di introdurre strumenti di gestione delle aziende più flessibili e più idonei ad una gestione moderna e di mercato
L’articolo 21 riscrive a tale scopo l’articolo 34 del Codice, in materia di amministrazione e controllo giudiziario di attività economiche ed aziende mentre l’articolo 22 detta la disciplina di un nuovo istituto, denominato controllo giudiziario (art. 34-bis).
In particolare, rispetto al vigente art. 34, la nuova disposizione:
· prevede che il tribunale competente, sempre su proposta dei soggetti di cui all’art. 17, possa adottare direttamente la misura senza disporre ulteriori indagini e verifiche;
· stabilisce che la durata dell’amministrazione giudiziaria sia possibile per un massimo di due anni (un anno, rinnovabile per sei mesi per non più di due volte); attualmente, la durata massima è di un anno e mezzo (sei mesi rinnovabili per ulteriori dodici), diversamente da ora, il rinnovo non può essere chiesto dall’autorità che propone la nuova misura (al rinnovo provvede il tribunale, d’ufficio o su richiesta del PM);
· indica più compiutamente i compiti dell’amministratore, soprattutto in relazione alle imprese esercitate in forma societaria;
· prevede l’iscrizione del provvedimento che dispone la misura, oltre che nei pubblici registri, in quelli della camera di commercio,
· prevede la possibilità, entro la data di scadenza dell’amministrazione giudiziaria, di procedere al passaggio al controllo giudiziario dell’azienda di cui al nuovo art. 34-bis.
L’articolo 22 introduce nel Codice, con l’art. 34-bis, una nuova misura di prevenzione volta ad una gestione più flessibile dell’azienda in presenza di un minor livello di infiltrazione mafiosa.
Il controllo giudiziario dell’azienda (peraltro già previsto in forma diversa dall’art. 34, comma 8, del Codice) è, infatti, destinato a trovare applicazione in luogo dell’amministrazione giudiziaria (e altresì del sequestro di cui all'articolo 20 e della confisca di cui all'articolo 24) nei casi in cui l'agevolazione dell’attività dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione derivante dal libero esercizio dell’attività economica risulti occasionale, pur sussistendo il concreto pericolo di infiltrazioni mafiose nell’attività d’impresa.
Anzitutto sono pressoché integralmente trasferite nel nuovo art. 34-bis le disposizioni sul controllo giudiziale previste dal citato comma 8 dell’art. 34 ovvero la possibilità per il tribunale di imporre l'obbligo nei confronti di chi ha la proprietà, l'uso o l'amministrazione dei beni e delle aziende di comunicare al questore ed al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a euro 10.000 (il limite attuale è di 25.822,34 euro) o del valore superiore stabilito dal tribunale in relazione al reddito della persona, al patrimonio e al volume d'affari dell'impresa. Tale obbligo deve essere assolto entro 10 gg. dal compimento dell'atto e comunque entro il 31 gennaio di ogni anno per gli atti posti in essere nell'anno precedente.
Le novità consistono:
· nella possibilità che il tribunale, con il provvedimento (assunto anche d’ufficio), possa nominare un giudice delegato e un commissario giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno ogni due mesi, gli esiti dell'attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero;
· nell’elencazione dei compiti di controllo che il tribunale può imporre al commissario giudiziario eventualmente nominato; possono esservi specifici obblighi inerenti all’impossibilità di cambiare sede dell’impresa nonché ragione ed oggetto sociale, di compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l'autorizzazione da parte del giudice delegato; di adempiere a specifici doveri informativi nei confronti del commissario giudiziario anche in relazione ad eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi; di adottare ed attuare efficacemente misure organizzative previste dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al D.Lgs 231/2001; di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi.
Per rendere più penetranti le verifiche sul corretto adempimento degli obblighi citati, il tribunale può autorizzare la polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell'impresa, nonché presso uffici pubblici, studi professionali, società, banche ed intermediari mobiliari, al fine di acquisire informazioni e copia della documentazione ritenuta utile; dall’accertamento delle violazioni può derivare la decisione del tribunale di disporre l'amministrazione giudiziaria dell'impresa di cui all’art. 34 del Codice.
L’art. 34-bis disciplina, inoltre, la procedura di revoca del controllo giudiziario avviata dallo stesso titolare dell’impresa e su cui il tribunale decide in forma camerale, con la partecipazione del Pm, del giudice delegato e, se nominato, del commissario giudiziario).
Infine, è prevista la possibilità che le stesse imprese destinatarie dell’informazione interdittiva antimafia chiedano di essere sottoposte a controllo giudiziario, con la nomina di un giudice delegato e di un commissario (quest’ultimo riferisce almeno ogni 2 mesi sulla sua attività al PM e al giudice delegato). In tal caso, come in quello di amministrazione giudiziaria, sono sospesi per l’azienda gli effetti interdittivi antimafia (ovvero l’impossibilità di stipulare contratti pubblici o ricevere concessioni, erogazioni, ecc.).
La violazione degli obblighi di comunicazione previsti per l’amministratore giudiziario dall’art. 34-bis è punita con la reclusione da 1 a 4 anni; in tal senso dispone l’art. 50 della p.d.l., modificando l’art. 76 del Codice.
Nella
relazione del 9 aprile 2014, la Commissione
antimafia evidenzia che «La crisi economica può comportare una maggiore
penetrazione della criminalità organizzata nelle aziende con alterazione del
sistema economico e dei meccanismi di libero mercato e di concorrenza: viene
immesso nel circuito legale denaro provento di attività illecite, così facendo
riciclaggio, si possono creare posti di lavoro, così acquisendo consenso
sociale, le risorse tratte dalle attività imprenditoriali affermate attraverso
il metodo mafioso vengono reimpiegate in ulteriori iniziative imprenditoriali.
Il
codice antimafia, oltre a disciplinare il sequestro e la confisca di aziende
nella disponibilità diretta o indiretta dei soggetti indicati all'articolo 16,
prevede, riprendendo l'istituto della sospensione temporanea
dall'amministrazione, l'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad
attività economiche (articolo 34).
L'amministrazione
giudiziaria è applicabile quando vi siano sufficienti elementi per ritenere che
il libero esercizio di attività economiche, comprese quelle imprenditoriali,
sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di assoggettamento
o intimidazione previste dall'articolo 416-bis c.p. o che possa agevolare
l'attività di persone proposte o sottoposte a misure di prevenzione o aventi
procedimento penale per associazione mafiosa, estorsione, sequestro di persona
a scopo di estorsione, usura, riciclaggio e può colpire i beni utilizzabili,
direttamente o indirettamente, per lo svolgimento delle predette attività.
Si
fa ricorso a questo istituto quando non ricorrono i presupposti per applicare
la misura di prevenzione patrimoniale; l'impresa non è irrimediabilmente
compromessa ma lo stato dell'infiltrazione è tale da comportare la necessità di
sostituire gli amministratori per un periodo di sei mesi, prorogabile fino ad
un anno.
La
sospensione realizza un totale, seppur temporaneo, spossessamento dell'azienda
in capo all'imprenditore a cui si sostituisce l'amministratore giudiziario
nominato dal tribunale.
Al
termine del periodo, dopo aver verificato e monitorato l'avvenuta
trasformazione della governance,
con adozione di modelli di organizzazione e allontanamento dei soggetti
compromessi, con ciò tutelando attività economiche rilevanti nelle quali la
criminalità organizzata si stava infiltrando, la sospensione può essere
revocata e l'impresa tornare risanata all'imprenditore.
Ove
non sia stato possibile risanare l'impresa, il tribunale ordinerà la confisca
dei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne
costituiscano il reimpiego.
Peraltro,
vi sono forme di infiltrazione e condizionamento mafioso di attività imprenditoriali
che non pregiudicano la sostanziale integrità dell'azienda e pertanto non
giustificano una misura così invasiva come lo spossessamento gestorio.
Lo
Stato potrebbe cioè svolgere una funzione preventiva, assicurando la continuità
dell'impresa e al contempo aiutando l'imprenditore a recidere i legami, anche
occasionali, con il contesto criminale.
La
Commissione ritiene di particolare interesse la proposta di una delle
commissioni governative sull'istituzione di un nuovo istituto, il controllo giudiziario,
destinato a trovare applicazione in luogo dell'amministrazione (e altresì del
sequestro ai sensi dell'articolo 20 e della confisca ai sensi dell'articolo 24
cod. ant.) nei casi in cui l'agevolazione «risulti
occasionale (...) e sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il
pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare» l'attività
d'impresa.
Come
scrive la Commissione istituita presso il Ministero della giustizia:
«Si
tratta di una misura del tutto innovativa, dal momento che non determina lo
«spossessamento gestorio» bensì configura ... una
forma meno invasiva di intervento: una «vigilanza prescrittiva», condotta da un
commissario giudiziario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il
compito di monitorare «dall'interno dell'azienda» l'adempimento di una serie di
obblighi di compliance imposti dall'autorità
giudiziaria. La Commissione ha, inoltre, ritenuto che l'istituto del controllo
giudiziario possa fungere da adeguato strumento per consentire la prosecuzione
dell'attività di impresa nei casi in cui le aziende vengano raggiunte da interdittiva prefettizia, garantendo così nel contempo il
prevalente interesse alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica (cfr.
commi 6 e 7 dell'articolo 34 bis). Un'altra connessa innovazione significativa
consiste sia nella previsione dell'obbligo di previa audizione della parte
interessata da parte del prefetto antecedentemente all'emissione di eventuali
provvedimenti interdittivi, sia nella puntuale
regolamentazione – quanto a procedure e presupposti – della valutazione
prefettizia delle istanze di aggiornamento delle interdittive».
Il
controllo giudiziario si colloca nel novero delle più evolute misure di
prevenzione patrimoniali e, dunque, è sempre disposto dal tribunale; la portata
innovativa è data dal fatto che può essere richiesto anche dallo stesso
imprenditore che intenda cooperare con lo Stato per liberarsi dalle
infiltrazioni mafiose.
Gli articoli 23, 24 e 25 modificano gli articoli 35, 36 e 37 del Codice, concernenti disposizioni relative agli amministratori giudiziari.
Secondo
quanto evidenziato nella relazione del 9 aprile 2014 della Commissione antimafia,
con decreto legislativo n. 14 del 4 febbraio 2010, “è stato istituito l'albo
degli amministratori giudiziari articolato in una sezione ordinaria e in una
sezione di esperti aziendali. In merito ai requisiti professionali, la
disciplina garantisce un'adeguata qualificazione degli aspiranti, laddove
prevede che possono essere iscritti nella sezione ordinaria avvocati, dottori
commercialisti ed esperti contabili iscritti da almeno cinque anni nei
rispettivi albi professionali e, nella sezione di esperti aziendali, coloro che
abbiano svolto attività professionale di gestione di aziende o di crisi
aziendali da almeno cinque anni. Tale termine, è ridotto a tre anni ove venga
attestata la frequentazione con profitto di corsi di formazione post universitari
in materia di gestione di aziende o di crisi aziendali.
L'articolo
10 del decreto legislativo n. 14 del 2010 prevedeva che, entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore, doveva essere emanato, con decreto del
Ministro della giustizia, il regolamento disciplinante le disposizioni in
materia di iscrizione nell'albo, le modalità di sospensione e cancellazione
dall'albo e di esercizio del potere di vigilanza da parte del Ministero della
giustizia. Detto regolamento è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 24
gennaio 2014 ed è entrato in vigore in data 8 febbraio 2014. Va sottolineato,
quanto alla formazione degli amministratori giudiziari che il regolamento
richiede altresì la certificazione dell'ordine professionale di appartenenza di
essere in regola con i crediti formativi professionali previsti
obbligatoriamente dal programma di formazione dell'ordine professionale.
Non
sono state, invece, ancora emanate le modalità di calcolo e di liquidazione dei
compensi agli amministratori giudiziari.
I criteri
di determinazione degli onorari degli amministratori giudiziari. L'assenza di
una disciplina normativa in materia di compensi degli amministratori rende non
più eludibile un intervento normativo che armonizzi lo stato delle prassi
adottate dai tribunali per evidenti esigenze di certezza e uniformità.
Dalle
audizioni sono emerse disparità di vedute sulla determinazione dei compensi, in
qualche caso ritenute dal direttore dell'Agenzia particolarmente onerose per la
procedura. La Commissione ritiene debba essere colmato il vuoto normativo con
l'emanazione di un testo che recepisca le indicazioni già contenute nel decreto
legislativo che ha istituito l'albo degli amministratori giudiziari, per la
determinazione del compenso agli amministratori giudiziari (articolo 42, comma
4) sulla base dei criteri previsti dall'articolo 8 del citato decreto.
La
Commissione auspica che le tabelle, di cui si attende l'emanazione dal 2010,
prevedano scaglioni differenziati per valore e tipologia dei beni (immobili o
aziende) con indicazione di minimi e massimi per ogni scaglione, consentendo al
tribunale di determinare in concreto il compenso parametrandolo all'attività
realmente svolta e ai risultati conseguiti.
Invero
i criteri e i principi indicati nell'articolo 8 sono esaustivi prevedendo ogni
possibile indice rilevante per la valutazione dell'attività professionale
prestata. A tal fine va rivolto espresso sollecito ai ministeri interessati a
emanare il previsto decreto.
L’articolo 23, di modifica dell’art. 35 del Codice (nomina e revoca dell’amministratore giudiziario), stabilisce:
· che il decreto di nomina del tribunale debba essere motivato;
· che la nomina, tra gli iscritti all’Albo degli amministratori giudiziari, avvenga secondo criteri di trasparenza che assicurino la rotazione degli incarichi;
· che prima di assumere l'incarico, l'amministratore deve depositare apposita dichiarazione sugli altri incarichi che sta ancora eseguendo;
· nuove ipotesi di situazioni ostative alla nomina (come la sottoposizione a pene accessorie previste dalla legge fallimentare o l’aver lavorato alle dipendenze del proposto alla misura di prevenzione);
· che in caso di gestioni particolarmente complesse possano essere nominati più amministratori giudiziari;
· che gli amministratori giudiziari di aziende, nei casi più complessi, devono articolare preventivamente un ufficio di coadiuzione indicandone i componenti e gli oneri, così da sottoporlo all'autorizzazione del giudice;
· che l’amministratore svolge le sue funzioni di gestione, custodia e conservazione dei beni anche durante eventuali giudizi di impugnazione.
Nella
Relazione del 9 aprile 2014, la
Commissione antimafia «auspica:
- l'identificazione
delle categorie dei professionisti, deputati ad assumere l'incarico di
amministratori (avvocati, commercialisti, aziendalisti, esperti di gestione,
ingegneri gestionali, amministratori di società con comprovata esperienza e
capacità ecc.);
- la
previsione della possibilità della nomina congiunta di più professionisti anche
per le stessa procedura, privilegiando l'apporto di professionalità, in ragione
della molteplicità degli aspetti da esaminare, degli adempimenti da compiere,
nell'ottica della salvaguardia delle esigenze di tempestività e di economicità,
evitando la nomina di consulenti, senza oneri economici aggiuntivi per la
procedura, prevedendosi in ogni caso un unico compenso determinato sulla base
delle tabelle di liquidazione che verranno emanate.
In
merito ai criteri per il conferimento degli incarichi, il codice antimafia
(articolo 35) detta esclusivamente alcuni principi in materia di
incompatibilità. Appare opportuno integrare la normativa con alcuni principi
desunti dalle prassi già seguite dalla maggior parte degli uffici giudiziari,
basate sulla rotazione degli incarichi e sulla loro equilibrata ripartizione
tra gli amministratori giudiziari, in modo da evitare eccessive concentrazioni
in capo allo stesso soggetto.
Non
si ritiene, invece, di dover indicare espressamente dei limiti quantitativi al
conferimento degli incarichi ai singoli amministratori, afferendo eminentemente
a problemi organizzativi rimessi agli uffici giudiziari. A tale riguardo, già
esistono, peraltro, regolamentazioni amministrative che attribuiscono al capo
dell'ufficio il dovere di vigilare sul numero degli incarichi conferiti ad
ausiliari del giudice».
L’articolo 24 modifica l’art. 36 del Codice relativo ai contenuti della relazione mensile che l’amministratore giudiziario deve presentare al giudice delegato.
In particolare, è ora previsto:
· che l’indicazione delle forme più idonee e redditizie dei beni sequestrati sia data anche in relazione alle decisioni del tribunale sulla gestione di aziende sequestrate;
· che la cancelleria avvisi le parti del deposito della relazione dell’amministratore sia per prenderne visione ed estrarne copia che, eventualmente, per contestare la stima dei beni; il nuovo comma 4 dell’art. 36 detta la disciplina sull’accertamento peritale sui beni, che avviene solo se le contestazioni motivate sulla stima siano ritenute ammissibili dal tribunale.
L’articolo 25, modificando l’art. 37 del Codice, relativo ai compiti dell’amministratore giudiziario:
· esclude dal versamento al Fondo unico giustizia anche le somme derivanti dall’amministrazione di beni immobili;
· demanda a un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze il compito di stabilire le norme per la gestione dei ricavi derivanti dall’amministrazione di tali beni.
L'articolo 26 modifica l'articolo 38 del Codice, ridisegnando il profilo dei compiti che l'Agenzia nazionale svolge attualmente a supporto dell’autorità giudiziaria fino alla confisca di primo grado.
Il nuovo art. 38, in particolare stabilisce che l’Agenzia
nazionale:
· svolge il suo ruolo di supporto nella gestione dei beni sequestrati fino alla confisca definitiva, sia nei procedimenti di prevenzione che in quelli penali, proponendo al tribunale l'adozione di tutti i provvedimenti necessari per la migliore utilizzazione del bene in vista della sua destinazione o assegnazione;
· comunica con l’autorità giudiziaria per via telematica attraverso il proprio sistema informativo;
· assume la gestione dei beni dopo la confisca definitiva e fino alla destinazione del bene, avvalendosi di un coadiutore individuato – per evidenti ragioni di economia sistematica – nell'amministratore giudiziario nominato dal tribunale (salvo giustificate eccezioni).
Si prevede una separata e distinta rendicontazione dell'attività di gestione a cui l'amministratore giudiziario è tenuto, per la parte riferibile alla gestione giudiziale e, come coadiutore, per la parte riferibile alla gestione di competenza dell'Agenzia, con separata approvazione del conto di gestione da parte del tribunale e da parte dell'Agenzia.
Per accelerare le richieste di utilizzo dei beni confiscati è previsto che entro un mese (anziché gli attuali sei mesi) dal deposito del decreto di confisca di primo grado l'Agenzia nazionale pubblichi nel suo sito internet l'elenco dei beni immobili confiscati.
L'articolo 27 modifica l'articolo 39 del Codice che prevede la titolarità dell’Avvocatura dello Stato per l’assistenza e la rappresentanza in giudizio degli amministratori giudiziari nelle controversie relative a rapporti relativi a beni sequestrati.
Un nuovo comma 1-bis prevede, in via residuale, che possa essere nominato a tale scopo un libero professionista.
Occorre valutare se il
professionista in questione sia necessariamente un avvocato del libero foro.
Viene infatti stabilito che, trascorsi 5 giorni dall'inoltro per via telematica da parte dell'amministratore giudiziario all'Avvocatura della richiesta di assistenza legale alla procedura, senza riscontro da parte dell'Avvocato generale dello Stato, il giudice delegato può nominare un libero professionista.
L'articolo 28 modifica l'articolo 40 del Codice sulla gestione dei beni sequestrati coordinandone, anzitutto, il contenuto con quello dell’art. 26 della p.d.l. in esame (di modifica dell’art. 38 del Codice), che proroga fino alla confisca definitiva le funzioni di ausilio e supporto dell’Agenzia nazionale all’autorità giudiziaria per la gestione dei beni.
Si precisa, poi, che gli atti di gestione reclamabili possono essere solo quelli compiuti dall'amministratore giudiziario in assenza di autorizzazione scritta del giudice delegato; si amplia il termine per il reclamo (15 giorni dall'effettiva conoscenza dell'atto); si prevede che il rito applicabile per il reclamo sia quello camerale di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale.
L'articolo 29 modifica l'articolo 41 del Codice antimafia, norma centrale del nuovo assetto della gestione delle aziende sequestrate.
Le novità introdotte riguardano:
· l’obbligo di nominare un amministratore iscritto alla sezione di esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari anche ove l’amministrazione riguardi, oltre alle aziende disciplinate dal codice civile (artt. 2555 e ss.), anche le partecipazioni societarie in società controllate (art. 2359 c.c.); la nomina avviene con decreto motivato del tribunale,
· la relazione semestrale al tribunale, che deve contenere una particolareggiata analisi sulle possibilità di concreta prosecuzione o ripresa dell’attività produttiva ora ancorata a numerosi e dettagliati parametri (dal suo grado di caratterizzazione con il proposto e i suoi familiari; la natura dell’attività; modalità e ambiente in cui è svolta; forza lavoro occupata; capacità produttiva e mercato di riferimento);
· i contenuti dell’eventuale proposta di prosecuzione dell’attività d’impresa (comprendente, in particolare, l’elenco dei creditori, anche titolari di rapporti giuridici pendenti e di coloro che vantano diritti reali personali di godimento e garanzia - come le ipoteche - sui beni aziendali; le persone che lavorano o hanno lavorato in azienda e la natura dei loro rapporti di lavoro; le organizzazioni sindacali che operano all’interno dell’azienda con le lor eventuali proposte per la ripresa dell’attività)
· tempi rapidi, da parte del giudice delegato, per autorizzare l’amministratore giudiziario a proseguire l’attività (entro 30 gg dall’immissione in possesso dell’azienda) o a sospenderla fino alla rivalutazione dopo la prima relazione semestrale;
· la possibile partecipazione dell’Agenzia nazionale all’udienza camerale in cui il tribunale esamina la prima relazione e decide sulla prosecuzione o meno dell’attività d’impresa (il PM, l’amministratore e l’Agenzia nazionale, vengono sentiti, se compaiono),
· la non operabilità delle cause di scioglimento delle società per riduzione o perdita del capitale previste dal codice civile dalla data di immissione in possesso dell’amministratore fino all’approvazione del programma di prosecuzione dell’attività;
· la previsione di un decreto del Ministro della giustizia che dovrà stabilire le modalità semplificate di liquidazione e cessazione dell’impresa ove priva di beni aziendali;
· nel caso di sequestro di partecipazioni societarie, l’attribuzione, nei limiti della quota sequestrata, dei poteri che spettano al socio.
L’articolo 30 modifica l’art. 42 del Codice in materia di spese, compensi e rimborsi all’amministratore giudiziario.
Il riferimento al comma 9 (anziché, quello attuale, al comma 8) dell’art. 35 del Codice, corregge un difetto di coordinamento delle norme vigenti).
Si segnala come non risulti ancora emanato il DPR (previsto dall’art. 8 del D.Lgs 14/2010) relativo alle tabelle per le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari.
L’articolo 31 della p.d.l. interviene sull’art. 43 del Codice in materia di rendiconto della gestione stabilendo, per coordinamento con le novità introdotte, che il rendiconto debba essere presentato al giudice all’esito della procedura e comunque dopo la confisca definitiva (attualmente dopo la confisca di primo grado), tenuto conto dei criteri di contabilità separata di cui all’art. 37, comma 5, del Codice
L’articolo 32 ha anch’esso natura di coordinamento (cfr art. 26, comma 1, della p.d.l.), integrando la formulazione dell’art. 44 del Codice con la previsione della gestione - da parte dell’Agenzia nazionale - dei beni confiscati in via definitiva nei procedimenti di prevenzione e in quelli penali.
E’, di conseguenza, abrogato il comma 2 dell’art. 44 che prevede che l’Agenzia chieda il nullaosta al giudice delegato per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione dei beni (di cui all’art. 40, comma 3).
L’articolo 33 introduce una più corretta formulazione dell’art. 45, comma 1, del Codice con la previsione della devoluzione dei beni allo Stato a seguito della irrevocabilità del provvedimento di confisca definitiva (anziché, come ora, della confisca definitiva di prevenzione, revocabile ex art. 28 del Codice).
L’articolo 34, modificando l'articolo 46 del Codice, integra le ipotesi in cui la restituzione dei beni confiscati può avvenire per equivalente con le ipotesi in cui i beni medesimi siano stati assegnati per finalità sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile.
Nei casi di restituzione per equivalente, il pagamento della somma corrispondente al valore dei beni determinato dal tribunale è posto esclusivamente a carico del Fondo unico giustizia.
L’articolo 35 riguarda il procedimento di destinazione dei beni confiscati. Modificando l’art. 47 del Codice prevede che il provvedimento di destinazione, in caso di applicazioni della disciplina a tutela dei terzi creditori, è adottato entro 30 gg., anziché dall’approvazione del progetto di riparto, dalla comunicazione del progetto di pagamento dei crediti previsto dall’art. 61, comma 4, del Codice (come modificato dall’art. 47 della proposta in esame).
L’articolo 36 modifica l’art. 48 del Codice relativo alla destinazione dei beni e delle somme confiscate. In particolare si stabilisce che i beni immobili, in coerenza con la nuova disciplina dell’Agenzia nazionale, sono mantenuti al patrimonio statale ed utilizzati dalla stessa Agenzia, previa autorizzazione del Presidente del Consiglio (attualmente del Ministro dell’interno). Inoltre, in relazione al trasferimento prioritario al patrimonio degli enti territoriali si sopprime il riferimento alle province e si aggiungono le cooperative a mutualità prevalente senza scopo di lucro agli enti che possono ottenere in concessione, a titolo gratuito, dagli stessi enti un bene immobile confiscato.
L’articolo 37 della proposta di legge modifica l’art. 51 del Codice prevedendo, al comma 2, che se il sequestro si protrae oltre il periodo d’imposta in cui ha avuto inizio il reddito derivante dai beni sequestrati è determinato provvisoriamente ai fini fiscali dall’amministratore giudiziario, tenuto al versamento delle imposte e ai relativi adempimenti dichiarativi a fini fiscali.
La
Commissione antimafia, nella relazione del 9 aprile 2014, afferma che «Va
interamente riformata, in chiave nuova e non ancora contemplata dalle proposte
sinora elaborate, la materia della tutela dei terzi creditori, oggi affidata a
un procedimento di verifica simile a quello fallimentare, del tutto avulso
dalle eventuali esigenze di gestione e di prosecuzione dell'azienda in
sequestro.
Occorre
fissare una scansione processuale all'inizio del procedimento di prevenzione,
nel quale il tribunale individua le priorità di gestione finalizzate a
garantire la prosecuzione dell'attività ponendo in essere tutti quei controlli
– se pur ancora in fase sommaria – per il mantenimento dell'esercizio
dell'azienda.
In
questa fase il tribunale deve poter effettuare una prima sommaria verifica per
stabilire quali rapporti commerciali possano essere proseguiti dall'azienda in
sequestro e quali debiti debbano essere subito onorati per consentire la prosecuzione,
rinviando alle fasi successive l'approfondimento riguardo alla buona fede dei
creditori che vantino pretese dubbie, sospette o non adeguatamente documentate.
Si
pensi alla necessità di pagare le retribuzioni e gli oneri previdenziali dei
lavoratori, i canoni di locazione e di onorare i contratti di somministrazione
in corso (forniture luce, gas, telefonia aziendale ma anche forniture connesse
all'oggetto sociale dell'attività, si pensi alla merce continuativamente
venduta in un supermercato in sequestro, alla fornitura di sigarette in un
tabaccaio, alla benzina o al gasolio fornito a un distributore di carburante).
La
ridefinizione di una tale disciplina consentirebbe di:
- regolare
con priorità assoluta i rapporti di lavoro con i dipendenti, perfezionando
conformemente alla legge i contratti, assicurando le garanzie dovute e
assicurando il pagamento delle retribuzioni, prevedendo la possibilità di
licenziamento per il dipendente che si ingerisca nella gestione giudiziaria
perché strettamente legato al proposto anche a prescindere dai rapporti di
parentela;
- distinguere
immediatamente i crediti aziendali da quelli personali, i crediti riferibili a
singoli beni o quelli riferibili alle imprese, e agevolare così le gestioni
separate – come previsto dal codice antimafia – evitando commistioni, spesso
ravvisate, tra patrimonio personale del proposto e patrimonio aziendale;
- individuare
e soddisfare in tempi ragionevoli i creditori con i quali l'azienda deve
mantenere rapporti commerciali per la prosecuzione;
- consentire
una ragionevole programmazione dell'attività di impresa, senza che il
temporaneo accantonamento di uno stock di debiti comporti dopo la confisca
l'appesantimento repentino del passivo dell'azienda, con l'eventuale cumulo
degli interessi maturati;
- consentire
già nel corso del procedimento al creditore ritenuto «sospetto» di articolare
tempestivamente ogni mezzo per dimostrare la sua buona fede e rendere più
completo il quadro probatorio sui rapporti dell'azienda prima del sequestro.
La
Commissione auspica che il termine per tale sommaria, ma funzionale e
imprescindibile, verifica coincida con quello fissato dal codice antimafia (sei
mesi) per la presentazione da parte dell'amministratore giudiziario della
relazione sullo stato dell'attività aziendale e sulle concrete prospettive di
prosecuzione dell'attività di impresa.
Per
un programma di prosecuzione che possa essere portato a termine senza
interferenze prima della confisca definitiva e della destinazione. Occorre
modificare la logica, tipica del diritto fallimentare, attualmente prevista e
sottesa alla previsione dell'udienza di verifica dei crediti, di insinuazioni
tardive, di formazione dello stato passivo, di liquidazione dei beni e del
progetto di pagamento dei crediti, fissando anche la fase processuale (decreto
di primo grado, decreto di secondo grado, definitività del provvedimento di
confisca) a cui riconnettere la fissazione della udienza di verifica dei
crediti.
Nel
decreto legislativo n. 159 del 2011 è stata delineata la figura di un giudice
della prevenzione simile a un giudice fallimentare privilegiando i diritti dei
terzi sui beni sequestrati e confiscati al di là della profonda e sostanziale
differenza tra gli istituti: l'apprensione di beni frutto di attività illecite
per la prevenzione con un provvedimento cautelare di sequestro a fronte della
gestione di beni di un imprenditore che non ha saputo gestire la propria
azienda lecita e a seguito di una sentenza dichiarativa di fallimento.
La
proposta di una disciplina che consenta di verificare le pretese dei creditori
in una con la formulazione del programma di prosecuzione dell'azienda, assume
una valenza copernicana se viene inserita in un sistema nel quale la gestione
del bene in sequestro viene mantenuta in capo allo stesso organo e agli stessi
ausiliari per tutto l'intero procedimento fino alla confisca.
In
tal modo l'amministratore giudiziario e il tribunale possono formulare un
programma di prosecuzione che si proietta nei tempi prevedibili dei tre gradi
di giudizio e può consentire al momento della confisca e prima della consegna
all'Agenzia di verificare l'esito del piano medesimo; in caso di positiva
gestione il compendio aziendale verrà offerto per la destinazione se del caso
avendo già proceduto alle operazioni di ristrutturazione del debito,
all'adempimento del dovuto anche utilizzando i proventi dell'esercizio
dell'azienda e, al contempo, ove possibile e necessario, mantenendo ancora la
continuità dei rapporti di fornitura o di finanziamento. Disfunzioni operative
possono crearsi se nel corso della gestione mutano più volte i soggetti
istituzionali chiamati a dare direttive all'amministratore o quando non si può
descrivere la concreta condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda in
attesa della decisione sulle richieste dei creditori.
Anche
su questo fronte la disciplina vigente richiede una rivisitazione in una
direzione coerente all'agevolazione delle scelte di gestione, quando l'impresa
in sequestro possa essere oggetto di programma di prosecuzione.
L’articolo 38 interviene sull’art. 52 del Codice in relazione alle condizioni la cui presenza garantisce dalla confisca i diritti di credito dei terzi che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro o i diritti reali di garanzia costituiti prima del sequestro.
Viene attualmente prevista come condizione, fatti salvi i crediti
assistiti da legittime cause di prelazione, “che
l'escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente
al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause
legittime di prelazione su beni sequestrati
“
Detta condizione è sostituita, fatta salva la presenza delle citate cause di prelazione, dalla mancata disponibilità di altri beni del preposto su cui esercitare la garanzia patrimoniale idonea a soddisfare il credito.
Per coordinamento con le modifiche introdotte, è’ poi stabilito che i citati crediti garantiti ed accertati (tramite la relativa verifica giudiziale di cui agli artt. 57 e ss. del Codice) concorrono al riparto sul valore dei beni o dei compendi aziendali ai quali si riferiscono, sulla base delle risultanze della contabilità separata della gestione e delle eventuali vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale ed ipoteca e dei singoli beni mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale (art. 37, comma 5, del Codice).
L’articolo 39 modifica l’art. 53 del Codice, relativo al limite della garanzia patrimoniale dei crediti anteriori al sequestro, prevedendone la soddisfazione da parte dello Stato, una volta verificati, nel limite del 60% del valore dei beni sequestrati o confiscati; tale valore (attualmente derivante dalla stima redatta dall’amministratore) risulta dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla loro vendita
L'articolo 40 introduce nel Codice l'articolo 54-bis in materia di pagamento di debiti anteriori al sequestro. La nuova disposizione consente all'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, di procedere al pagamento anche parziale o rateale dei crediti per prestazioni di beni o servizi, sorti prima della data del sequestro ritenuti essenziali per la prosecuzione dell'attività di impresa.
Si tratta di una previsione diretta a evitare che vengano interrotti quei singoli rapporti commerciali essenziali allo svolgimento dell'attività tipica dell'impresa da parte di alcuni creditori strategici, in conseguenza del mancato adempimento delle obbligazioni già scadute alla data del sequestro. Si prevede per tale limitata categoria di crediti la possibilità di procedere a un pagamento immediato, attribuendogli così natura prededucibile, in assenza di verifica. E’ comunque stabilita, in base all'articolo 59, comma 6, del Codice (come modificato dal successivo articolo 45 della p.d.l.), la possibilità per gli altri creditori di impugnare il provvedimento autorizzativo del pagamento.
Sempre nell'ottica di favorire la prosecuzione dell'attività, è stato altresì previsto, dallo stesso articolo 54-bis, che, in sede di redazione del programma di prosecuzione o ripresa dell'attività dell’azienda di cui all'articolo 41, il tribunale possa autorizzare l'amministratore giudiziario a rinegoziare le esposizioni debitorie dell'impresa e a provvedere ai conseguenti pagamenti, previa verifica sommaria della buona fede.
L'articolo 41 apporta alcune modifiche all'articolo 55 del Codice in relazione ai rapporti tra procedimento di prevenzione e procedure esecutive individuali.
Attualmente, il comma 2 dell’art. 55 prevede che le esecuzioni sono riassunte entro un anno dalla revoca definitiva del sequestro o della confisca e che esse si estinguono in caso di confisca definitiva. Si stabilisce ora che l'eventuale processo esecutivo pendente sul bene sequestrato sia sospeso fino al termine del procedimento di prevenzione e se ne conferma l’estinzione in caso di confisca definitiva. La nuova disposizione disciplina anche le vicende dell’esecuzione in caso di dissequestro del bene, stabilendo che il processo esecutivo debba essere riassunto entro un anno dall’irrevocabilità del procedimento che ha disposto la restituzione del bene al proposto.
Il testo del comma 3 dell’art. 55 è infine coordinato con quanto previsto dall’art. 14 della p.d.l. in relazione ai diritti di intervento in giudizio dei titolari di diritti di garanzia sul bene oggetto di sequestro. Inoltre, è integrato con la previsione della sospensione - fino alla conclusione del procedimento di prevenzione - del giudizio civile già pendente diretto a fare accertare l'esistenza di un diritto reale o personale di godimento o di garanzia da parte di un terzo su di un bene sottoposto a sequestro.
L'articolo 42 interviene sulla disciplina dei rapporti pendenti regolamentata all'articolo 56 del Codice antimafia, prevedendo la sospensione, oltre che dei contratti relativi all’azienda sequestrata, anche di quelli stipulati dal proposto che non siano stati ancora compiutamente eseguiti. E’ confermata la remissione delle sorti del rapporto contrattuale alla valutazione dell'amministratore giudiziario in ordine alla convenienza alla prosecuzione o allo scioglimento dello stesso. Al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici, viene tuttavia precisato che l'amministratore è tenuto a sciogliere la riserva sulle sorti del contratto entro il termine previsto per il deposito della prima relazione di cui all'articolo 41, comma 1-bis, e comunque non oltre sei mesi dall'immissione in possesso. Analoga precisazione riguarda lo scioglimento dal contratto da parte dell'amministratore, che dà diritto al contraente di agire per il risarcimento del danno nei soli confronti del proposto.
Agli articoli 43, 44 e 45 introducono modifiche in materia di accertamento dei crediti e dei diritti dei terzi, intervenendo sugli articoli 57, 58 e 59 del Codice antimafia.
Come indicato dalla relazione alla proposta di legge ”viene previsto un diverso modello procedurale mutuato dall'esperienza del procedimento di verifica dei crediti delineato dagli articoli 92 e seguenti della legge fallimentare (RD 267 del 1942)”.
In particolare, l’articolo 43 modifica l’art. 57 del Codice e stabilisce inequivocabilmente che la verifica dei crediti avviene dopo la confisca di primo grado, prevedendo termini più brevi per le istanze di accertamento e per l’udienza di verifica. La modifica anticipa, in particolare, la fase di accertamento dei diritti dei terzi sui beni oggetto della misura di prevenzione sia per meglio garantire detti diritti che per permettere all’amministratore giudiziario una più rapida conoscenza della situazione debitoria del proposto, utile in sede di relazione.
L’articolo 44 interviene sull’art. 58 del Codice, stabilendo che le domande di ammissione ad ulteriori crediti, proposte dai creditori dopo lo spirare del termine perentorio di 60 gg. (di cui all’art. 57, comma 2) sono essere ammesse non oltre un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (anziché dalla confisca definitiva). Viene, inoltre, precisata l’applicazione, anche in tali ipotesi, della disciplina ordinaria dell’art. 59 sulla verifica dei crediti.
Sono poi aggiunti due commi all’art. 58 che prevedono i seguenti obblighi dell’amministratore giudiziario:
· esaminare le domande, redigere un progetto di stato passivo fornendo conclusioni motivate sull’ammissione o esclusione di ogni domanda di ammissione al credito (comma 5-bis);
· depositare il progetto di stato passivo presso la cancelleria del giudice della prevenzione 20 gg. prima dell'udienza di verifica dei crediti; i creditori, presa visione delle sue conclusioni, possono presentare osservazioni scritte e depositare una documentazione integrativa (comma 5-ter).
L’articolo 45 interviene sulla disciplina dell’udienza di verifica dei crediti di cui all’art. 59 del Codice.
Oltre a modifiche al comma 1 di carattere formale, si precisa al comma 6 la possibilità per tutti i creditori - entro 30 gg. dalla comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto di approvazione dello stato passivo - di ricorrere al tribunale in opposizione dei crediti ammessi, compresi quelli di cui al nuovo art. 54-bis (i crediti per prestazioni di beni o servizi, sorti prima del sequestro e ritenuti strategici per la prosecuzione dell'attività aziendale; v. ante art. 40 p.d.l.).
Sono riformulati i commi 8 e 9 in modo da prevedere:
· limiti alla produzione di nuove prove delle parti al termine dell’istruzione; potranno, infatti, essere prodotte soltanto nuove prove documentali e solo se si provi di non esserne venuti a conoscenza tempestivamente per causa non imputabile alla stessa parte;.
· l’impossibilità, all’esito dell’udienza, di depositare memorie prima della decisione del tribunale (attualmente il tribunale fissa un termine ai fini di tale deposito e decide con decreto nei successivi 60 gg); rimane la ricorribilità per cassazione del decreto di approvazione dello stato passivo (entro 30 gg. dalla sua notifica).
Tali limiti sono introdotti in relazione all’ampliamento del contraddittorio alla fase preliminare all'udienza di verifica.
Viene, infine abrogato il comma 10 dell’art. 59 che stabilisce che - anche dopo la confisca definitiva - se sono state presentate domande di ammissione del credito, il procedimento giurisdizionale per la verifica e il riparto dei crediti prosegue dianzi al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione.
Gli articoli 46 e 47 della proposta di legge modificano in ampia misura gli artt. 60 e 61 del Codice relativi alle fasi di liquidazione dei beni ed al pagamento dei crediti
La novità più rilevante
in materia è il passaggio della
competenza sulla liquidazione ed progetto di pagamento dei crediti dall’amministratore
giudiziario all’Agenzia nazionale, che vi provvede dopo che la confisca è divenuta
irrevocabile.
Nel nuovo articolo 60 del Codice è previsto ex novo al comma 1 che, dopo che la confisca è divenuta irrevocabile, l’Agenzia paga i creditori privilegiati ammessi al passivo in ragione delle distinte masse ed ordini di privilegio previsti dalla legge.
Confermando il carattere sussidiario della vendita dei beni mobili, immobili, e aziendali, l’Agenzia nazionale vi provvede solo in caso di insufficienza delle somme apprese a soddisfare i creditori ammessi al passivo.
E’ data all’Agenzia nazionale la possibilità di differire di un anno la vendita dei beni ove conti, tramite la redditività dei beni stessi, di reperire le somme necessarie a soddisfare i crediti. La stessa relazione al provvedimento giustifica tale previsione con il fine di evitare che si verifichino situazioni in cui si procede alla vendita di beni di consistente valore a fronte di crediti insoddisfatti di importo complessivamente modesto.
Le modifiche al comma 2, relativo alle modalità di vendita dei beni, derivano dalla necessità di coordinamento con la introdotta titolarità in materia dell’Agenzia nazionale e dall’esplicita considerazione, in relazione al valore di stima, anche della relazione di cui all’art. 41 da parte dell’amministratore giudiziario esperto in gestioni aziendali.
Ad analoghe esigenze di coordinamento rispondono la modifiche del comma 4 e l’abrogazione del comma 5 dell’art. 60.
L’articolo 47 modifica l’art. 61 del Codice, relativo al progetto e al piano di pagamento dei crediti, che come accennato sono trasferiti alla competenza dell’Agenzia nazionale.
Dopo la redazione del progetto di pagamento da parte dell’Agenzia nazionale (come detto, dopo che il provvedimento di confisca sia divenuto irrevocabile), le novità relative alla procedura consistono nella conseguente soppressione al comma 4 del ruolo del giudice delegato (che attualmente può integrare il progetto di pagamento formato dall’amministratore ordinandone il deposito in cancelleria e dandone comunicazione ai creditori) in favore dell’Agenzia nazionale; sarà, quindi quest’ultima a ordinare il deposito del progetto di pagamento, dandone comunicazione agli stessi creditori.
Si osserva che il deposito
dovrebbe risultare di competenza della stessa Agenzia nazionale. Sarebbe
inoltre utile precisare se, come sembra, il deposito debba essere effettuato
presso la cancelleria del tribunale che ha ordinato la misura di prevenzione.
Decorso il termine di 10 gg. dalla comunicazione del deposito del progetto e tenuto conto delle osservazioni dei creditori, l’Agenzia forma il piano di pagamento (comma 6).
Il piano è opponibile, in sede civile, davanti alla sezione civile della corte d’appello del distretto della sezione specializzata di prevenzione, introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. c, della p.d.l. (comma 7).
La formulazione del nuovo
comma 7 dell’art. 61 fa supporre la possibilità di opposizione davanti a due
giudici diversi; in realtà, sembra che anche il “giudice penale competente ad
adottare il provvedimento di confisca” sia, a seguito della riforma introdotta,
la stessa sezione specializzata di prevenzione costituita presso la corte
d’appello distrettuale. Ne deriva che, anche in tale seconda ipotesi, il
giudice dell’opposizione è la sezione civile della corte d’appello del
distretto. Analoga necessità di riformulazione deriverebbe dal caso in cui il
comma 7 intenda, invece, riferirsi ad un’opposizione in sede penale davanti
alla citata sezione specializzata di prevenzione.
L’opposizione si svolge in camera di consiglio con il rito sommario di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile.
In presenza di somme contestate, queste vanno accantonate, procedendo all'assegnazione di quelle non controverse. Se non è possibile procedere all'accantonamento l'esecutività dei pagamenti è sospesa fino alla decisione sull’opposizione.
Gli articoli 48 e 49 della proposta intervengono sulla disciplina dei rapporti tra le procedure di prevenzione ed il fallimento, modificando gli articoli 63 e 64 del Codice antimafia che, rispettivamente, disciplinano il caso in cui il sequestro intervenga prima del fallimento e quello in cui, viceversa, prima si ha il fallimento e poi il sequestro di prevenzione.
In particolare, l’articolo 48 della proposta di legge modifica l’art. 63 del Codice, in base a cui, in caso di fallimento successivo al sequestro di prevenzione, i beni assoggettati a sequestro o confisca siamo esclusi dalla massa attiva del fallimento. Fermo tale principio, la proposta di legge:
· sottrae al giudice del fallimento il potere di procedere alla verifica dei crediti e dei diritti relativi ai beni oggetto di sequestro, affidando tale compito al giudice delegato del tribunale di prevenzione (ai sensi degli articoli 52 e seguenti del codice);
· di contro, se tutti i beni che dovrebbero comprendere la massa attiva fallimentare sono sottoposti a sequestro, consente al giudice del fallimento di dichiarare subito chiuso il fallimento;
· stabilisce che, in caso di revoca del sequestro e della confisca, i beni tornano nella massa fallimentare e dunque riattribuisce al giudice fallimentare il compito di procedere alla verifica dei crediti e dei diritti su tali beni;
· specifica che, se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, lo stesso viene riaperto, anche se sono trascorsi più di 5 anni dalla dichiarazione di chiusura (termine massimo consentito dalla legge fallimentare);
· stabilisce che il curatore fallimentare subentra nei rapporti processuale all’amministratore giudiziario.
La proposta di legge consente inoltre all’amministratore giudiziario, se il sequestro riguarda aziende o partecipazioni societarie di maggioranza, di chiedere al tribunale fallimentare l’accesso al concordato preventivo o ad altre procedure di ristrutturazione del debito. In tal caso, se l’obiettivo è la salvaguardia dell’azienda e il mantenimento dei livelli occupazionali, il piano di ristrutturazione dei debiti potrà prevedere anche la vendita dei beni sottoposti a sequestro.
L’articolo 49 interviene sull’articolo 64 del Codice, che disciplina l’ipotesi di sequestro successivo alla dichiarazione di fallimento, prevedendo che in tal caso il giudice fallimentare debba disporre la separazione di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario.
Fermo questo principio, la proposta di legge:
· - stabilisce che i diritti e i crediti su tali beni, anche se già verificati dal giudice del fallimento, debbano essere nuovamente valutati dal giudice del procedimento di prevenzione;
· afferma che eventuali giudizi di impugnazione relativi a tali beni restano sospesi in attesa dell’esito del procedimento di prevenzione;
· stabilisce che se il giudice del procedimento di prevenzione valuta positivamente i diritti ed i crediti sui beni oggetto di sequestro, gli stessi potranno essere soddisfatti sui beni oggetto di confisca.
Nella Relazione della Commissione Antimafia del 22 ottobre 2014 si auspica che i beni sottoposti a sequestro, sia nell'ipotesi di fallimento dichiarato prima del sequestro sia nell'ipotesi di fallimento dichiarato dopo il sequestro, siano esclusi dalla massa attiva del fallimento ed in conseguenza i crediti connessi a diritti su di essi gravanti non possano essere conosciuti dal giudice del fallimento, ma possano solo essere fatti valere davanti al giudice delegato della prevenzione nel procedimento di verifica della buona fede, ai sensi degli articoli 52 e seguenti. I crediti esclusi dall'accertamento del passivo in sede fallimentare si identificano in quelli che realizzano cause legittime di prelazione sui beni sottoposti a sequestro (in particolare diritti reali di garanzia o privilegi speciali).
L’articolo 51 della proposta di legge modifica l’art. 81 del Codice, che disciplina il registro delle misure di prevenzione, attualmente istituito a livello di circondario presso le segreterie delle procure e presso le cancellerie dei tribunali.
Rispetto al quadro normativo vigente, che richiede al PM presso il tribunale circondariale, al questore e al direttore della direzione investigativa antimafia, di far annotare sui registri il nome delle persone nei cui confronti vengono disposti accertamenti personali o patrimoniali, la proposta aggiunge che gli stessi soggetti dovranno dare comunicazione alla sezione specializzata della procura distrettuale della proposta di misura di prevenzione personale o patrimoniale, che sarà depositata presso la cancelleria della sezione specializzata (disciplinata dall’art. 2 e, per coordinamento, dall’art. 58 della proposta di legge, al cui commento si rinvia).
La formulazione dell’art. 81 del
Codice dovrebbe essere coordinata con l’attribuzione anche al Procuratore
nazionale antimafia della competenza a proporre misure di prevenzione sia
personali che – ai sensi dell’art. 8 della p.d.l. –
patrimoniali.
Si ricorda, sul punto, che la relazione finale della citata Commissione Garofoli suggeriva l’istituzione di un registro unico nazionale da collocare presso la Direzione nazionale antimafia. La misura, secondo la Commissione, “migliorerebbe l’accesso alle informazioni, rendendo al contempo più efficace il raccordo tra autorità giudiziarie e forze di polizia”.
Gli articoli 52 e 53 della proposta di legge intervengono sul libro II del Codice antimafia, che tratta della documentazione antimafia. In particolare, sono modificati gli articoli 91 e 93 del Codice, inseriti nel Capo IV, relativo all’informazione antimafia.
In particolare, con le modifiche all’art. 91 del Codice, l’articolo 52:
· sopprime la disposizione in base alla quale il prefetto attualmente può, previa richiesta dell’interessato, aggiornare l’esito dell’informazione antimafia quando vengono meno le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa;
· tale previsione è ora sostituita da tre nuovi commi (da 5-bis a 5-quater), attraverso i quali si disciplina il procedimento che deve seguire il prefetto per provvedere all’aggiornamento dell’informazione antimafia interdittiva. Il procedimento si attiva su istanza dell’interessato o d’ufficio: nel primo caso, alla richiesta motivata dell’interessato fanno seguito gli accertamenti del prefetto (che potrà avvalersi dei gruppi interforze) e la sua decisione; il prefetto provvede invece d’ufficio, trascorsi 24 mesi dall’emissione dell’interdittiva ovvero quando vengono meno le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
Le modifiche all’art. 93 del Codice, introdotte dell’articolo 53 della proposta di legge, invece, rendono obbligatorio per il prefetto sentire l’interessato prima di emettere l’informazione antimafia interdittiva e consentono sempre agli auditi di produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile ai fini della decisione prefettizia.
La relazione della Commissione antimafia del 9 aprile 2014 si sofferma ampiamente (pp. 49 ss.) sul ruolo dell’Agenzia nazionale, sulle criticità emerse e propone una serie di interventi modificativi sulle competenze dell’Agenzia, sui rapporti con l’autorità giudiziaria, sulle dotazioni informatiche dell’Agenzia.
Gli articoli da 54 a 57 della proposta di legge modificano le disposizioni del Codice antimafia relative all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Libro III, titolo II, artt. 110-114).
In particolare, l’articolo 54 modifica l’art. 110 del Codice, relativo a sede e compiti dell’Agenzia a cui sono apportate le seguenti novità:
· la sede principale è spostata da Reggio Calabria a Roma; a Reggio Calabria resta la sede secondaria;
· la vigilanza sull’Agenzia è tolta al Ministro dell’Interno, per essere attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri;
Nella Relazione della Commissione Antimafia del 22 ottobre 2014 si afferma che «alla luce della ridefinizione delle competenze, diventa vieppiù urgente la riscrittura delle norme di organizzazione e funzionamento dell'Agenzia. A tal fine la sede principale dell'Agenzia viene trasferita a Roma sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio al fine di rendere più efficace il coordinamento delle attività che coinvolgono la partecipazione di più istituzioni e che riguardano tutto il territorio nazionale. Viene mantenuta, come sede vicaria, la già esistente sede di Reggio Calabria per esigenze di continuità e per la prossimità della medesima ai territori tradizionalmente e maggiormente interessati dalla presenza delle organizzazioni criminali.
· le informazioni necessarie all’esercizio delle funzioni dell’Agenzia provengono da flussi di scambio (bidirezionali) che l’Agenzia intrattiene con il Ministero della giustizia, le autorità giudiziarie, le prefetture, gli enti locali, Equitalia e le altre agenzie fiscali, gli amministratori giudiziari. A tal fine si applica lo specifico regolamento (D.P.R. n. 233 del 2011)[1];
· l’ausilio che l’Agenzia deve dare all’autorità giudiziaria nell’amministrazione dei beni sequestrati (tanto nel procedimento di prevenzione, quanto nel procedimento penale) deve essere finalizzato a consentire l’assegnazione provvisoria del bene immobile e dell’azienda;
· l’amministrazione e destinazione dei beni da parte dell’Agenzia è compito che matura a seguito della definitività del provvedimento di confisca, tanto nell’ambito della confisca di prevenzione, quanto nell’ambito della confisca penale.
L’articolo 55 interviene
sugli organi dell’Agenzia, modificando
l’art. 111 del Codice.
Le novità introdotte all’art. 111 prevedono:
· che il Direttore dell’Agenzia debba essere scelto tra figure professionali che abbiano maturato esperienza specifica almeno quinquennale nella gestione dei beni e delle aziende. Possono essere selezionati per questo incarico prefetti, dirigenti dell’Agenzia del demanio, amministratori di società o magistrati (che abbiano conseguito almeno la quinta valutazione di professionalità). Alla nomina si provvedere con DPR, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri;
· che il Consiglio direttivo, presieduto dal Direttore, è composto – oltre che da 2 magistrati e 2 esperti in gestione aziendale - anche da un esperto in materia di progetti di finanziamenti europei e nazionali. Alla nomina del Consiglio si provvedere con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
· che anche il Collegio dei revisori è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
· che tra gli organi dell’Agenzia sia aggiunto il Comitato consultivo e di indirizzo, presieduto dal Direttore e così composto
- un esperto in materia di politica di coesione territoriale (nominato dalla Presidenza del Consiglio);
- un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico;
- un rappresentante del Ministero del lavoro;
- un responsabile dei fondi del Programma operativo nazionale –PON (designato dal Ministero dell’Interno);
- un rappresentante del Ministero dell'istruzione;
- un rappresentante delle regioni (designato dalla Conferenza delle regioni);
- un rappresentante del comuni (designato dall’ANCI);
- un rappresentante delle associazione potenzialmente destinatarie dei beni (nominato dal Ministro del lavoro, con rotazione semestrale);
- un rappresentante dei sindacati;
- un rappresentante delle cooperative;
- un rappresentante dei datori di lavoro.
· che alle riunioni del Comitato consultivo possano essere invitati a partecipare anche i rappresentanti degli enti locali ove sono localizzati i beni oggetto di sequestro e confisca;
· che nessun compenso spetta ai componenti del Comitato consultivo mentre i compensi degli altri organi sono disciplinati con DPCM.
L’articolo 56 novella l’art. 112 del Codice, rivedendo nello specifico i compiti dei diversi organi dell’Agenzia. Rispetto al testo vigente, la proposta AC. 2737 stabilisce che il Direttore dell’Agenzia deve convocare il Comitato consultivo e il Consiglio direttivo con frequenza periodica e, altrettanto periodicamente, deve riferire al Presidente del Consiglio dei ministri (che sostituisce la figura del Ministro dell’Interno). La nuova formulazione dell’art. 112 specifica inoltre:
· che in attesa del provvedimento definitivo di confisca l’Agenzia offre il suo ausilio all’autorità giudiziaria nelle attività di gestione dei beni; nello svolgimento di tali attività, il prefetto può essere delegato dall’Agenzia ad accedere agli atti dell’amministratore giudiziario;
· che le prefetture supportano l’attività dell’Agenzia istituendo al proprio interno nuclei composti da funzionari esperti, anche provenienti da altre amministrazioni, nonché, se necessario, da rappresentanti di categorie professionali, enti o associazioni;
Nella Relazione della Commissione Antimafia del 22 ottobre 2014 si afferma che occorre che «i nuclei di supporto istituiti presso le prefetture diventino uno snodo essenziale di raccordo tra l'Agenzia e l'autorità giudiziaria territorialmente competente ai fini della attività di ausilio alla gestione dei beni in sequestro, nonché rappresentino un braccio operativo per la stessa Agenzia con riguardo alle attività prodromiche alla destinazione. A tal fine si stabiliscono criteri specifici di selezione dei suoi componenti».
· che l’Agenzia svolge i propri compiti con delibera del Consiglio direttivo, sentito il Comitato consultivo;
· che è compito dell’Agenzia utilizzare i flussi informativi che gestisce per facilitare la collaborazione tra tutti gli operatori al fine di favorire l’attività delle aziende sequestrate o confiscate. A tal fine, l’Agenzia può supportare l’amministratore giudiziario nella scelta tra la prosecuzione dell’attività commerciale e la liquidazione dell’azienda e può stipulare protocolli d’intesa con le associazioni interessate per fornire le aziende di professionalità necessarie alla prosecuzione delle attività di impresa; può inoltre predisporre protocolli con ABI e banca d’Italia per la rinegoziazione dei rapporti bancari con le aziende sequestrate o confiscate;
· che l’Agenzia deve emanare linee guida tanto per la gestione dei beni sequestrati quanto per la confisca;
· che, in particolare, il Comitato consultivo esprime pareri sugli atti dell’Agenzia, e ogni qualvolta richiesto, presenta proposte e svolge un ruolo di intermediazione tra gli amministratori giudiziari e gli enti locali, le associazioni e le cooperative eventualmente interessati a farsi carico dei beni immobili oggetto di sequestro e confisca.
L’articolo 57 interviene sull’art. 113 del Codice, relativo all’organizzazione ed al funzionamento dell’Agenzia, per affermare l’esigenza che il personale dell'Agenzia sia selezionato con riguardo alla specifica competenza in materia di gestione delle aziende e di accesso al credito bancario e ai finanziamenti europei.
La proposta di legge non modifica l’art. 113-bis del Codice, che disciplina l’organico dell’Agenzia e l’inquadramento del suo personale, nonostante le critiche mosse a questa disposizione della Commissione antimafia.
Nella Relazione della Commissione Antimafia del 22 ottobre 2014 si afferma che occorre «strutturare l'Agenzia con una dotazione di personale adeguata e proporzionata rispetto al rilevantissimo numero di beni e aziende attualmente in sequestro o già confiscate e da troppo tempo in attesa di destinazione. La Commissione intende così porre con urgenza il tema del superamento di una disposizione, come quella in atto vigente, che prefigurando un contingente di sole 30 unità complessive in pianta stabile, di 100 in temporaneo distacco o comando e, comunque, selezionate indipendentemente dalle specifiche professionalità di volta in volta necessarie per l'assolvimento dei suoi delicati compiti, ha suscitato le più che giustificate critiche unanimi della dottrina e degli operatori nonché l'altrettanto giustificato disagio dei pur valenti funzionari che si sono avvicendati al servizio della Agenzia».
Da ultimo, l’articolo 58 della proposta di legge modifica, con finalità di coordinamento, le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario.
In particolare, la novella alle disposizioni di attuazione del codice di rito interviene sull’art. 146-bis, relativo alla partecipazione al dibattimento a distanza, per consentire l’impiego di tali modalità anche nel procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale, quando l'interessato sia detenuto in un luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne faccia tempestiva richiesta.
L’intervento sull’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), invece, va letto in combinato con l’art. 2 della proposta, relativo all’istituzione delle sezioni o collegi specializzati per i procedimenti di prevenzione.
In particolare, modificando l’art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario, la proposta prevede:
· che presso ogni tribunale distrettuale siano istituite sezioni o individuati collegi per trattare – in via esclusiva – i procedimenti di prevenzione;
· che presso i tribunali circondariali di Trapani e Santa Maria Capua Vetere siano istituite sezioni distaccate di tali sezioni (ovvero della sezione di Palermo e della sezione di Napoli).
Il nuovo comma 2-sexies dell’art. 7-bis disciplina quindi le modalità di copertura di tali sezioni e collegi (ai quali è riconosciuta priorità), demandando al CSM il compito di individuare il numero dei magistrati assegnati, che comunque non potranno essere in numero inferiore a tre.
[1] Regolamento recante la disciplina sui flussi informativi necessari per l'esercizio dei compiti attribuiti all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nonché delle modalità delle comunicazioni, da effettuarsi per via telematica, tra l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l'autorità giudiziaria, a norma dell'articolo 113, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.