| Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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| Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
| Titolo: | I temi dell'attività parlamentare nella XVI Legislatura - Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica | ||
| Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 1 | ||
| Data: | 15/03/2013 | ||
| Descrittori: |
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| Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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Il tema delle riforme costituzionali è stato al centro del dibattito politico e istituzionale anche nella XVI legislatura, sia con proposte di legge di iniziativa parlamentare, sia con iniziative legislative del Governo di modifica costituzionale.
Il Parlamento è stato infatti impegnato nell'esame di proposte di revisione costituzionale volte ad incidere su alcuni importanti aspetti dell’ordinamento della Repubblica, ma anche in altre iniziative, miranti a incidere su singoli punti della Carta costituzionale o a modificare altre leggi costituzionali.
In un solo caso tali iniziative hanno condotto all’approvazione definitiva e all’entrata in vigore di una legge di revisione costituzionale: con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 è stato introdotto nella Costituzione, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, il cosiddetto "pareggio di bilancio".
In tutti gli altri casi invece le Camere hanno esaminato proposte di legge costituzionali, il cui iter parlamentare non si è concluso prima dello scioglimento delle Camere. In particolare sono stati oggetto di discussione parlamentare:
Con riguardo all’ultimo punto citato particolarmente acceso è risultato il dibattito sull’approvazione della legge 124/2008 (“lodo Alfano ”), che dispone la sospensione dei processi penali per le alte cariche dello Stato, ossia il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, il Presidente della Camera ed il Presidente del Consiglio. La Corte costituzionale, con (sentenza n. 262 del 2009 ), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge per violazione del combinato disposto degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 138 (procedimento di revisione costituzionale) della Costituzione.
Sull'istituto del legittimo impedimento è intervenuta la legge 51/2010, che, senza modificare direttamente l'art. 420-ter c.p.p., che regola l'istituto, con disposizione autonoma, di natura transitoria, ha disciplinato l'impedimento a comparire nelle udienze, quale imputato, del Presidente del Consiglio e dei Ministri. Su tale normativa si è pronunciata la Corte, con la sentenza n. 23 del 2011 , dichiarandone in parte l'incostituzionalità per la fattispecie di impedimento continuativo certificato dalla Presidenza del Consiglio, nonché per la mancanza della previsione di una valutazione in concreto da parte del giudice dell'impedimento addotto.
Nel quadro del completamento della riforma del titolo V della Costituzione, si inserisce l’approvazione della legge di delega sul federalismo fiscale, sull’attuazione dell’articolo 119, che riconosce l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (si vedano sul punto le aree Regioni, autonomie e servizi pubblici locali e Finanza regionale e locale ).
Parallelamente al pieno riconoscimento dell'autonomia degli enti territoriali, sì è proceduto ad una riorganizzazione delle strutture del governo centrale, con una consistente riduzione del numero dei ministeri (da 18 a 12) e la previsione di un limite massimo al numero dei membri del Governo. Peraltro, la legge 172/2009 innalza da 12 a 13 il numero dei ministeri e da 60 a 63 il numero dei componenti del Governo.
Per quanto riguarda la materia elettorale , nessuno dei tentativi di riforma delle legge elettorale nazionale, sia a livello parlamentare che attraverso lo strumento del referendum popolare, è andato a buon fine. Le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 sembrano peraltro avere segnato il superamento di quella tendenza bipolare che aveva caratterizzato le precedenti elezioni del 2006 e del 2008.
La legge 10/2009 ha introdotto la soglia di sbarramento del 4 per cento per le elezioni del Parlamento europeo , al fine di superare la frammentazione della rappresentanza politica.
Di particolare rilievo è l’approvazione, sul finire della legislatura, della legge 215/2012 volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali. La legge modifica il sistema elettorale comunale , introducendo la doppia preferenza di genere, che consente all’elettore di esprimere due preferenze, purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.
Nel corso della seconda parte della XVI legislatura, in concomitanza con l'acuirsi delle tensioni sui debiti sovrani dell'area dell'Euro, è emersa a livello comunitario l'esigenza di prevedere negli ordinamenti nazionali ulteriori e più stringenti regole per il consolidamento fiscale e, in particolare, di introdurre, preferibilmente con norme di rango costituzionale, la "regola aurea" del pareggio di bilancio. Con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 è stato pertanto introdotto nella Costituzione, in coerenza anche con quanto disposto da accordi internazionali quali il c.d. Fiscal compact, il principio dell'equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio.
L’obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo non discende dalle disposizioni dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, ma da impegni previsti da strumenti di diversa natura introdotti nel quadro della nuova governance economica europea.
In primo luogo, con il Patto europlus, accordo non giuridicamente vincolante adottato dai Capi di Stato e di governo dell’area euro nel marzo del 2011, gli Stati dell’area euro e alcuni altri Stati membri dell’UE hanno assunto l’ulteriore obbligo di recepire nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale le regole del Patto di stabilita' e crescita.
Agli Stati membri è stata rimessa la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere, purché di natura vincolante e l'esatta forma della regola da applicare a livello sia nazionale che subnazionale.
In seguito, la direttiva 2011/85/UE concernente i requisiti per i quadri di bilancio nazionali, entrata in vigore nel novembre 2011, ha fissato regole minime perché sia garantita l'osservanza da parte degli Stati membri dell'obbligo, derivante dal Trattato, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
In particolare, la direttiva ha stabilito l’introduzione di:
La materia disciplinata dalla direttiva costituisce peraltro oggetto di ulteriore intervento legislativo dell’UE prospettato dalla proposta di regolamento recante disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’eurozona (COM(2011)821, parte del cosiddetto two pack), attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.
In particolare, l’art. 4 prevede che gli Stati membri dispongano di regole di bilancio numeriche sul saldo di bilancio che, applicate ai processi di bilancio nazionali, conseguono l'obiettivo di bilancio a medio termine.
Tali regole interessano l'insieme delle pubbliche amministrazioni e sono vincolanti, preferibilmente di natura costituzionale.
Infine, il Trattato sulla stabilita', il coordinamento e la governance nella Unione economica e monetaria cosiddetto Fiscal compact, concordato al di fuori della cornice giudica dei Trattati, all’articolo 3, ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l’osservanza nella procedura di bilancio nazionale, le seguenti regole, in aggiunta a e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell’UE:
In coerenza con l’evoluzione della governance economica europea e analogamente a quanto previsto in altri ordinamenti europei, anche il Parlamento italiano, oltre a ridisegnare la propria disciplina contabile ordinaria - attraverso la legge n.196 del 2009 e le successive modificazioni apportate dalla legge n.39 del 2011 - ha quindi provveduto a introdurre nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni.
Il disegno di legge costituzionale recante l’introduzione di tale principio nella Carta costituzionale è stato definitivamente approvato il 18 aprile 2012, ed è ora divenuto la legge costituzionale n.1/2012, pubblicata nella G.U. del 23 aprile 2012. Il testo scaturisce dall'unificazione di sei proposte di iniziativa parlamentare e un disegno di legge governativo, il cui esame è iniziato presso la Camera dei deputati (A.C. 4205 e abbinate). Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera, sia al Senato, la modifica costituzionale, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014, non è stata sottoposta a referendum popolare.
Quanto al contenuto, la citata legge costituzionale, novellando gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost., introduce il principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio, cd. “pareggio di bilancio”, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle suddette regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo.
In particolare, il principio del pareggio è contenuto nel novellato articolo 81, il quale stabilisce, al primo comma, che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi - avverse o favorevoli - del ciclo economico.
Ai sensi del secondo comma dell’articolo 81, alla regola generale dell’equilibrio di bilancio è possibile derogare, facendo ricorso all’indebitamento, solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che ai sensi dell’articolo 5 della legge costituzionale possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali.
Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso all'indebitamento connesso a eventi eccezionali, il secondo comma dell’articolo 81 prevede che esso sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
A corredo del principio del pareggio di bilancio, il nuovo terzo comma dell’articolo 81 prevede che ogni legge - ivi inclusa la legge di bilancio, che in virtù della riforma acquista un carattere sostanziale - che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Il quarto comma dell’articolo 81 conferma il principio dell’annualità del bilancio e del rendiconto consuntivo, che devono essere presentati dal Governo e approvati dalle Camere. Il quinto comma conferma invece la possibilità dell’esercizio provvisorio per un periodo non superiore complessivamente a quattro mesi.
Ai sensi del nuovo sesto comma dell’articolo 81, la definizione del contenuto della legge di bilancio, delle norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono demandati a una apposita legge “rinforzata” da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
Tale legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio è stata approvata al termine della legislatura (legge 24 dicembre 2012, n. 243, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2013), in conformità al dettato della legge costituzionale che ne prevedeva l’approvazione entro il 28 febbraio 2013.
Con apposita novella all'articolo 97 della Costituzione, l'obbligo di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza l’ordinamento dell'Unione Europea, viene esteso a tutte le pubbliche amministrazioni.
Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, la legge costituzionale apporta talune modifiche l'articolo 119 della Costituzione, al fine di specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; è inoltre costituzionalizzato il principio del concorso di tali enti all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Con una modifica al sesto comma dell’articolo 119 viene altresì precisato che il ricorso all'indebitamento - che la vigente disciplina costituzionale consente esclusivamente per finanziare spese d’investimento - è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
La legge costituzionale novella, inoltre, l’articolo 117 della Costituzione, inserendo la materia della armonizzazione dei bilanci pubblici nel novero delle materie sulle quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva.
Infine, ulteriori disposizioni del testo della legge costituzionale dettano i principi cui dovrà attenersi la suddetta legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio, oggetto di approvazione a maggioranza qualificata di cui al nuovo sesto comma dell’articolo 81 della Costituzione, la quale dovrà disciplinare, tra l'altro, l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale dovranno essere attribuiti compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio.
La legge costituzionale dispone, da ultimo, che le Camere esercitino, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, la funzione di controllo sulla finanza pubblica, con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.
Le nuove disposizioni costituzionali troveranno applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.
Nel corso della XVI legislatura sono state adottate disposizioni che hanno riguardato la Corte dei conti, sia sotto il profilo del contenimento della spesa dell'istituzione, sia sotto il profilo dell'introduzione di misure organizzative e di misure riguardanti le funzioni esercitate.
La Corte dei conti è organo di controllo contabile e giudica in materia di giudizi di conto e di responsabilità contabile nella gestione delle risorse pubbliche. Inoltre, la Corte giudica sulle pensioni civili, militari e di guerra.
Alcuni provvedimenti approvati nella legislatura contengono, tra le altre, disposizioni che modificano in parte le funzioni e l’organizzazione della Corte.
Sotto tale profilo, che ha comportato l’adozione di misure per l’intero panorama istituzionale, vanno ricordate le seguenti disposizioni:
Le misure entrate in vigore sono di seguito indicate con riferimento al Presidente della Corte, al Consiglio di Presidenza e alle sezioni regionali.
In merito al Presidente, la linea di tendenza delle modifiche introdotte è nel senso di un rafforzamento del ruolo, sia nei confronti dell’Organo che presiede, sia nei confronti degli Organi costituzionali.
Tale linea emerge in primo luogo dal comma 7, dell’art. 11 della L. 15/2009, che definisce il Presidente “organo di governo dell'istituto”. In questa qualità gli sono attribuite specifiche competenze raccordate a sistema con altre già previste dall’ordinamento attraverso una specifica clausola di chiusura secondo la quale “esercita ogni altra funzione non espressamente attribuita da norme di legge ad altri organi collegiali o monocratici della Corte”.
Le attribuzioni specifiche riguardano:
La medesima linea emerge da ulteriori disposizioni:
Per il Consiglio di Presidenza, le cui attribuzioni sono stabilite dall’art. 10 della L. 117/1988, si è operato, oltre che nella direzione di prevederne l’attivazione a supporto di funzioni conferite al Presidente, anche nel senso della riduzione dei componenti.
In particolare, l’art. 11, comma 8, della legge 15/2009, che lo definisce organo di amministrazione del personale di magistratura, ha ridotto i membri del Consiglio da 17 a 11, diminuendo da 10 a 4 i rappresentanti eletti dalla magistratura contabile, fermo restando il numero dei membri di diritto (3) e dei membri scelti dal Parlamento (4).
Per le sezioni regionali, l’art. 11, comma 4, della legge 15/2009 ha novellato l’art. 7 della legge 131/2003, c.d. legge La Loggia, prevedendo la possibilità che ne sia integrata la composizione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da due componenti designati, salva diversa previsione dello statuto della Regione, rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal Presidente del Consiglio regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a livello regionale. Tale novella, da mettere in relazione alle ulteriori funzioni di controllo conferite alla Corte dalla già citata L. 15/2009, più avanti illustrate, recupera sostanzialmente una disposizione analoga già contenuta nello stesso articolo, che era stata abrogata dalla legge finanziaria per il 2008, art. 3, comma 61, L. 244/2007.
La scelta di tali componenti è effettuata tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica cinque anni e non sono riconfermabili. Lo status dei predetti componenti è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della Regione. La nomina è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica.
Le innovazioni introdotte nell’ordinamento della Corte dei conti dal punto di vista delle funzioni attengono sia alla funzione di controllo che a quella giurisdizionale e sono orientate, in linea di massima, verso un loro rafforzamento, che, da un punto di vista operativo, ha trovato un supporto in disposizioni per l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione da parte della Corte dei conti con l'art. 20-bis del D.L. 95/2012.
L’articolo 11 della L. 15/2009 ha introdotto una nuova tipologia di controllo sulle amministrazioni statali: esso non riguarda gli atti, ma le attività e ha ad oggetto le “gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento” (commi 2, 3 e 9), sulle quali la Corte dei conti potrà effettuare controlli anche su richiesta del Parlamento. In caso di riscontro di gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme, nazionali o comunitarie, ovvero da direttive del Governo, la Corte ne individua, in contraddittorio con l'amministrazione, le cause e il Presidente della Corte ne dovrà dare comunicazione al ministro competente. Questi può disporre la sospensione dell'impegno delle somme già stanziate sulla base delle proprie valutazioni, anche di ordine economico-finanziario. Il decreto di sospensione dell’impegno è comunicato al Parlamento e alla presidenza della Corte.
Analogamente si procede qualora emergano rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, nell'erogazione di contributi ovvero nel trasferimento di fondi. In tal caso, dopo la fase di contraddittorio e dopo la comunicazione con decreto motivato del Presidente, entro sessanta giorni l'amministrazione competente adotta i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti, ferma restando la facoltà del Ministro, con proprio decreto da comunicare alla presidenza della Corte, di sospendere il termine stesso per il tempo ritenuto necessario ovvero di comunicare, al Parlamento ed alla presidenza della Corte, le ragioni che impediscono di ottemperare ai rilievi formulati dalla Corte.
Va ricordato che l’art. 13 del disegno di legge A.C. 3209-bis, il cui esame non è pervenuto a conclusione, prevedeva la ricorribilità delle deliberazioni delle sezioni di controllo della Corte dei conti sulla gestione aventi particolare rilevanza per il sistema di finanza pubblica, davanti alle sezioni riunite della Corte dei conti, da parte degli organi politici di vertice delle amministrazioni o degli enti interessati.
L’art. 17 del D.L. 78/2009, ha esteso l’ambito di applicazione del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti anche agli atti e ai contratti per incarichi temporanei a soggetti estranei alla pubblica amministrazione o relativi all’affidamento di studi o consulenze (comma 30), attribuendolo alla competenza della Sezione centrale del controllo di legittimità (comma 30-bis). L’ambito soggettivo del controllo non comprende le regioni e gli enti locali, secondo quanto rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza 172/2010, interpretazione già adottata dalla Delibera della Corte dei conti n. 20/2009/P della sezione centrale di controllo di legittimità su atti del governo e delle amministrazioni dello Stato.
Inoltre, l’art. 19, comma 2, del D.L. 78/2009 ha previsto che siano inviate alla sezione competente della Corte dei Conti le delibere autorizzative all’assunzione di nuove partecipazioni societarie e al mantenimento delle attuali da parte delle pubbliche amministrazioni.
Il D.Lgs. 149/2011, come modificato dal D.L. 174/2012, stabilisce competenze della Corte dei conti in connessione con la previsione di meccanismi sanzionatori di regioni ed enti locali. In particolare, l’art. 1 ha previsto l’invio alla competente sezione regionale della Corte dei conti della Relazione di fine legislatura regionale, redatta dal servizio bilancio e finanze della regione e dall'organo di vertice dell'amministrazione regionale, e sottoscritta dal Presidente della Giunta regionale; la sezione, entro trenta giorni dal ricevimento, esprime le proprie valutazioni al Presidente della Giunta regionale che sono pubblicate nel sito istituzionale della regione entro il giorno successivo al ricevimento da parte del Presidente della Giunta. L’art. 2 dello stesso D.lgs. ha previsto la competenza certificatrice della Corte dei conti in merito alle condizioni di grave dissesto finanziario delle regioni, con riferimento al disavanzo sanitario, ai fini dello scioglimento di consigli regionali ai sensi dell’art. 126 Cost., primo comma. Inoltre, l’art. 4 del medesimo atto ha stabilito l’invio alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti della relazione di fine mandato provinciale e comunale. Ulteriori competenze della Corte sono previste dall’art. 5 in tema di regolarità della gestione amministrativo-contabile di regioni ed enti locali.
L’art. 1, comma 3, del D.L. 59/2012, nell’introdurre una specifica disciplina in tema di ordinanze di protezione civile, è intervenuto anche sul controllo della Corte dei conti sui provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza. In particolare, è stato novellato il comma 2-septies dell’art. 2 del D.L. 225/2010, estendendo il c.d. silenzio assenso, già previsto per l’esecutività dei suddetti provvedimenti qualora la Corte non si esprima nel termine di 7 giorni, anche al profilo dell’efficacia degli stessi provvedimenti.
L’art. 1 del D.L. 174/2012, ha notevolmente rafforzato il controllo della Corte dei conti sulla legislazione di spesa e sui bilanci preventivi e i rendiconti delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale; la verifica di tali atti è estesa all’accertamento che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla regione, nonché dei risultati definitivi della gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale. Il controllo comprende la regolarità della gestione e l'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni alle regioni, in merito ai quali la Corte dei conti ha deliberato Linee guida pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'8 marzo 2013, n. 57. Alle regioni è quindi preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria. Lo stesso articolo ha attribuito alla Corte dei conti il controllo sul rendiconto di esercizio dei gruppi dei consigli regionali e sulla documentazione a corredo. Sulle disposizioni del decreto-legge è intervenuta la Deliberazione n. 15/SEZAUT/2012/INPR della Corte dei conti recante Prime linee interpretative per l'attuazione dei controlli introdotti dalle stesse disposizioni. Sulle tipologie di controlli stabiliti dal D.L. all’esito della conversione, si veda lo specifico approfondimento.
Va fatto presente che in tale disciplina è stata inserita, con l'art. 1, comma 230, della legge di stabilità 2013, L. 228/2012, la previsione di un Fondo di rotazione per le regioni in squilibrio finanziario di 50 milioni di euro. Tali somme sono finalizzate ad anticipazioni di cassa per il graduale ammortamento dei disavanzi e dei debiti fuori bilancio accertati e per il concorso agli oneri derivanti dall'attuazione del piano di stabilizzazione finanziaria predisposto dai presidenti di Regione in qualità di commissario ad acta.
Gli artt. 3 e 6 del medesimo D.L. 174/2012 hanno rafforzato il controllo dell’organismo contabile sugli enti locali. In merito a tali controlli la Corte dei conti ha adottato il 20 dicembre 2012 le Linee Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la valutazione della sua congruenza (art. 243-quater commi 1-3 del TUEL) e, l'11 febbraio 2013, Linee guida per il referto semestrale del Sindaco per i comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e del Presidente della provincia sulla regolarità della gestione amministrativa e contabile, nonché sull’adeguatezza ed efficacia dei controlli interni, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'8 marzo 2013, n. 57. Anche per tali enti è stato previsto un Fondo di rotazione per anticipazioni finalizzate al risanamento finanziario degli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario, il cui piano è sottoposto, sia per la congruità che per l'attuazione, alla Corte dei conti.
L'art. 20 della legge 243/2012, sull’attuazione del pareggio di bilancio, ha attribuito alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione dei bilanci delle regioni, degli enti locali e delle amministrazioni pubbliche non territoriali. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a quanto disposto dal presente comma in conformità ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione. Tale previsione è accompagnata da un rinvio ad altra fonte ordinaria per la disciplina delle forme e delle modalità del controllo.
L’attività giurisdizionale della Corte dei Conti si fonda sull’articolo 103, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. Gli interventi normativi in questo settore di attività della Corte dei conti hanno riguardato:
Nel corso della XVI legislatura è stata risollevata in ambito parlamentare la questione dei conflitti di interessi che possono riguardare determinati titolari di incarichi pubblici i quali siano, al contempo, titolari di attività economiche di rilevante portata. La I Commissione della Camera ha iniziato, senza portarlo a conclusione, l'esame di alcune proposte di legge in materia.
Il tema della risoluzione dei conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo è stato oggetto di discussione parlamentare solo nell’ultimo periodo della XVI legislatura, collegandosi in parte al dibattito sulle riforme costituzionali della forma di governo. E’ stato infatti sottolineato nel corso del dibattito come la questione della regolazione del conflitto d'interessi modifichi le sue caratteristiche a seconda della scelta del sistema istituzionale che si adotta.
La questione è stata in primo luogo affrontata nel corso delle audizioni, presso la I Commissione della Camera, del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (seduta del 29 marzo 2012) e del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (seduta del 4 aprile 2012), sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi. Nel dibattito condotto in occasione delle audizioni è emersa da più parti la volontà politica di modificare la normativa vigente in materia.
L’esame di alcune proposte di legge in materia è iniziato, presso la Commissione affari costituzionali della Camera, il 7 agosto 2012 con lo svolgimento delle relazioni da parte dei due relatori (on. Bressa e on. Calderisi). L’esame è stato quindi più volte rinviato e non è stato portato a conclusione.
I progetti di legge presentati (A.C. 442; A.C. 1915; A.C. 2664; A.C. 2668 e A.C. 4874) intervengono con diverse soluzioni legislative, ma hanno un tratto in comune che è costituito dall’individuazione di un sistema di incompatibilità più stringente rispetto alla normativa vigente recata dalla legge 215/2004.
Le questioni più rilevanti trattate dalle diverse proposte di legge sono le seguenti:
Con specifico riguardo alle posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni, si segnala che nel corso della XVI legislatura il Parlamento è intervenuto con riguardo al divieto per i soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani (di cui all’articolo 43 del D.Lgs. 31 luglio 2005 n. 177). Nel corso della XVI legislatura il divieto è stato più volte prorogato, da ultimo fino al 31 dicembre 2013. E’ stato altresì ridefinito ( dall’articolo 3 del D.L. 31 marzo 2011, n. 34, convertito con modificazione dalla legge L. 26 maggio 2011, n. 75) l’ambito di applicazione del divieto, prevedendo che esso si applichi ai soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma che, sulla base dell'ultimo provvedimento di valutazione del valore economico del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) adottato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, hanno conseguito ricavi superiori all'8 per cento di tale valore. Viene poi introdotta una deroga al divieto qualora la partecipazione riguardi imprese editrici di giornali quotidiani diffusi unicamente in modalità elettronica.
La questione dei conflitti di interessi ha trovato una definizione legislativa nel nostro ordinamento per la prima volta nella XIV legislatura, con l’approvazione della L. 215/2004.
Il tentativo di disciplinare la materia, infatti, era già stato affrontato nelle precedenti due legislature senza alcun esito legislativo, nonostante l’iter parlamentare fosse giunto, in entrambi casi, a un’avanzata fase della deliberazione.
Nel corso della XV legislatura è stata risollevata in ambito parlamentare la questione dei conflitti di interessi in occasione dell’esame di una proposta di legge (non approvata) di riforma della legge del 2004.
Nel corso della XVI legislatura è stata risollevata in ambito parlamentare la questione dei conflitti di interessi che possono riguardare determinati titolari di incarichi pubblici i quali siano, al contempo, titolari di attività economiche di rilevante portata. La I Commissione della Camera ha iniziato, senza portarlo a conclusione, l'esame di alcune proposte di legge in materia.
Con D.P.C.M. 12 maggio 1994 il Presidente del Consiglio pro tempore Berlusconi costituisce un Comitato di esperti con il compito di studiare gli aggiornamenti e le integrazioni della legislazione vigente allo scopo di evitare qualsiasi ipotesi di commistione di interessi pubblici e privati in chi ricopre cariche di Governo.
Nel settembre 1994 il Comitato presenta un documento conclusivo, recante uno schema di articolato successivamente formalizzato dal Governo in un disegno di legge (A.S. n. 1082) presentato al Senato.
Approvato il 13 luglio 1995 in un testo unificato con gli abbinati disegni di legge d’iniziativa parlamentare, il disegno di legge viene trasmesso alla Camera, che non ne inizia l’esame.
Il 22 aprile 1998 la Camera approva, a larghissima maggioranza, il testo unificato (A.C. n. 1236 ed abb.) di quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare. Tra queste, la proposta di legge A.C. n. 3612 (d’iniziativa del deputato Veltri) riproponeva in larga misura i contenuti del testo unificato approvato in prima lettura dal Senato nella precedente legislatura, e la proposta di legge A.C. n. 4410 (on. Berlusconi ed altri) riproduceva, con alcune modifiche, il disegno di legge presentato dallo stesso Berlusconi nella XII legislatura.
Al Senato il testo proveniente dalla Camera è esaminato (A.S. n. 3236) congiuntamente ad altre due proposte parlamentari, nel corso di un iter a più riprese interrotto, fino alla sua approvazione, con modificazioni, il 27 febbraio 2001, in una situazione di forte divaricazione tra maggioranza e opposizione. La Camera non ne riprende l’esame per il sopraggiunto scioglimento anticipato.
La L. 215/2004 prende le mosse da un’iniziativa governativa (A.C. n. 1707) presentata alla Camera il 4 ottobre 2001.
Al disegno di legge governativo sono abbinate, durante l’esame in sede referente presso la Commissione affari costituzionali, le proposte di iniziativa parlamentare A.C. n. 210 (on. Piscitello), A.C. n. 1865 (on. Bressa ed altri), A.C. n. 2148 (on. Soda), A.C. n. 2191 (on. Bertinotti ed altri) e A.C. n. 2214 (on. Rutelli ed altri).
Nel corso dell’esame, la I Commissione svolge, nelle sedute del 28 e 29 gennaio 2002, alcune audizioni volte ad approfondire le problematiche inerenti la disciplina per la risoluzione dei conflitti di interessi.
Accanto alla relazione di maggioranza, presentata dalla I Commissione il 22 febbraio 2002 sul testo licenziato per l’Assemblea (A.C. n. 1707-A), vengono presentate due relazioni di minoranza (A.C. n. 1707-A-bis ed A.C. n. 1707-A-ter).
L’articolato, approvato dall’Assemblea della Camera il 28 febbraio 2002, è trasmesso al Senato (A.S. n. 1206); ad esso sono abbinati sette disegni di legge di iniziativa parlamentare. La 1ª Commissione del Senato ha presentato, il 18 giugno 2002, una relazione di maggioranza (A.S. n. 1206-A) ed una di minoranza (A.S. n. 1206-A-bis).
L’Assemblea del Senato approva il disegno di legge, con modificazioni, nella seduta del 4 luglio 2002.
Il disegno di legge è dunque nuovamente approvato dalla Camera dei deputati, con ulteriori modifiche relative alle sole modalità di copertura finanziaria, il 22 luglio 2003 (A.C. n. 1707-B). Nel successivo passaggio al Senato, giunto a conclusione il 10 marzo 2004, viene approvata una modifica che richiede un’ulteriore trasmissione alla Camera, ove il testo (A.C. n. 1707-D) è definitivamente approvato il 13 luglio 2004.
Pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 193 del 18 agosto 2004, la L. 215/2004 è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo.
Il 13 settembre 2006 la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha avviato l’esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. n. 1318, on. Franceschini ed altri) intesa a sostituire integralmente la disciplina recata dalla L. 215/2004.
L’esame impegnava la Commissione per numerose sedute, nel corso delle quali si procedeva, tra l’altro, all’audizione dei presidenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione nazionale per le società e la borsa nonché, nell’ambito di un’apposita indagine conoscitiva, all’audizione di esperti in materia di diritto costituzionale, diritto societario, diritto tributario e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nella seduta dell’11 maggio 2007 la Commissione dava mandato al relatore (il Presidente on. Violante) di riferire favorevolmente all’Assemblea su un testo notevolmente modificato ed ampliato rispetto a quello iniziale.
Il 15 maggio iniziava la discussione in Assemblea sulla proposta di legge, con la discussione sulle linee generali e (il giorno successivo) l’esame di varie questioni pregiudiziali e di una sospensiva. L’Assemblea passava quindi (nella seduta dell’11 luglio) all’esame degli articoli, che tuttavia non proseguiva in sedute successive prima della fine anticipata della legislatura.
Il testo elaborato dalla commissione reca una serie di incompatibilità generali tra la carica di governo ad altri incarichi o attività e pone l’obbligo di opzione per coloro che incorrono in tali incompatibilità.
Viene poi introdotta una particolare forma di incompatibilità patrimoniale e viene istituita una autorità indipendente con compiti di prevenzione dei conflitti di interesse.
Le proposte di legge esaminate nel corso della XVI legislatura intervengono a ridisciplinare la risoluzione dei conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo sostituendo la vigente normativa recata dalla legge 215/2004 che viene contestualmente abrogata dalle proposte di legge, ad eccezione dell' A.C. 1915 e A.C. 2664 che pur non abrogando escplicitamente la legge di fatto la sostituiscono con una nuova disciplina.
I progetti di legge intervengono con diverse soluzioni legislative, ma un tratto in comune di essi è costituito dall’individuazione di un sistema di incompatibilità più stringente rispetto alla normativa vigente.
Alcune proposte prevedono anche un apparato sanzionatorio sotto forma di ammenda pecuniaria direttamente applicabile dall’Autorità antitrust o da una autorità ad hoc (A.C. 442).
Da segnalare l’introduzione nel nostro ordinamento, da parte di alcune proposte (A.C. 442, A.C. 1915, A.C. 2664) di un istituto tipicamente anglosassone quale il blid trust (o fondo cieco) quale mezzo di risoluzione di conflitti di interessi.
Tutte le proposte hanno ad oggetto le situazioni di incompatibilità dei titolari delle cariche di governo statali, ad eccezione della sola proposta A.C. 2664, che inserisce tra i titolari di cariche di rilevanti ai fini della proposta anche i presidenti delle regioni ordinarie e delle regioni a statuto speciale.
Due delle proposte di legge recano anche una disposizione di delega per estendere anche agli organi di governo delle autonomie territoriali le disposizioni introdotte a livello statale (A.C. 442 e A.C. 1915).
L’ A.C. 2668 prevede come facoltativo l’intervento delle regioni di disciplinare la materia.
Princìpi generali e destinatari della disciplina
Gli A.C. 442, A.C. 1915, A.C. 2668 e A.C. 4874 introducono princìpi generali riferibili a tutti i titolari di cariche pubbliche: l’obbligo di operare nell’esclusiva cura degli interessi pubblici; quello, conseguente, di astenersi da qualunque decisione che possa produrre un vantaggio rilevante nel loro patrimonio o in quello dei congiunti o di altri soggetti ad essi legati da rapporti di interesse; la definizione di “conflitto di interessi”, individuata dalla presenza (in capo al titolare o a un congiunto) di un interesse economico privato tale da condizionare l’esercizio delle sue funzioni pubbliche o da alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza, ovvero dalla preposizione del titolare alla cura di un tale interesse.
La pdl A.C. 1915 estende l’obbligo di astensione anche al personale sottoposto ai poteri di nomina, di revoca e di indirizzo da parte dei titolari di cariche pubbliche (art. 1, comma 4).
Tutte le proposte di legge individuano i principali destinatari della disciplina di prevenzione del conflitto nei titolari di cariche di governo: Presidente del Consiglio, vicepresidenti del Consiglio, ministri, vice ministri, sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo.
Le pdl A.C. 442 e A.C. 1915 nel definire il concetto di conflitto di interessi (articolo 2) vi comprendono le situazioni soggettive non solo dei titolari di cariche di governo, ma anche delle seguenti cariche:
Tuttavia, la disciplina di prevenzione e di risoluzione di conflitti di interesse si applica esclusivamente ai titolari di cariche di governo, mentre per le cariche di governo negli organi delle autonomie territoriali di cui sopra le due proposte dispongono una delega il Governo a disciplinare in modo analogo la materia, nel rispetto delle competenze legislative regionali.
Diversamente l’ A.C. 2664, all’art. 1, oltre ai predetti soggetti responsabili di cariche governative, insieme ai commissari straordinari, inserisce tra i titolari di cariche di rilevanti ai fini della proposta anche i presidenti delle regioni ordinarie e delle regioni a statuto speciale.
La pdl A.C. 2668 si limita a prevedere la facoltà da parte delle regioni di disciplinare la materia al rispettivo livello istituzionale, sulla base dei principi stabiliti per gli organi di governo statali.
Autorità di controllo
Un rilevante elemento di novità dell’ A.C. 442 è costituito (capo III, artt. 3-6) dall’istituzione di una apposita Autorità indipendente, denominata “Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione”. Ad essa sono attribuiti i compiti e i poteri previsti dal testo al fine di prevenire ed eventualmente sanzionare i conflitti di interessi, fatte salve alcune specifiche competenze rimaste in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Si è ritenuto opportuno infatti separare anche sul piano istituzionale i compiti di verifica del buon funzionamento del mercato da quelli di prevenzione di forme di scorretto esercizio degli incarichi di governo.
L’articolo 4, comma 2, prevede che la nuova Autorità è destinata ad assorbire anche le competenze dell’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione.
L’Alto commissario è stato soppresso dal decreto-legge 112/2008 (art. 68, comma 6) che ne ha disposto il trasferimento delle funzioni al Ministro competente. In attuazione dell’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata dall’Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116, è stato designato quale Autorità nazionale anticorruzione il soggetto al quale sono state trasferite le funzioni dell’Alto commissario ai sensi del citato D.L. 112/2008. Con D.P.C.M. del 2 ottobre 2008 tale Autorità è stata individuata nel Dipartimento della funzione pubblica.Successivamente, l’art. 1 della L. 6 novembre 2012 n. 190 (legge anticorruzione) ha individuato l’Autorità nazionale competente nella Civit.
L’ A.C. 1915 mantiene invece l’impostazione della legge 215, che affida all’Autorità antitrust i compiti di controllo in materia di conflitti di interessi, ma in virtù dei nuovi compiti e funzioni attribuiti all’Autorità ne prevede il potenziamento (art. 7) con le seguenti misure:
Anche, l’ A.C. 4874 conferma che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è il soggetto deputato a vigilare sull’osservanza, nella gestione del patrimonio, dei principi e dei criteri stabiliti dalla proposta nonché sull’effettiva separazione della gestione.
Sono inoltre individuate (art. 13) le procedure istruttorie e la tutela giurisdizionale per gli atti dell’Autorità garante che, per l’espletamento delle funzioni a essa attribuite dalla proposta in esame, può chiedere a qualsiasi organo della pubblica amministrazione e a ogni altro soggetto pubblico o società privata, nei limiti di competenza consentiti dall’ordinamento, i dati e le notizie concernenti la materia disciplinata dalla legge stessa, avvalendosi dei poteri a essa attribuiti dalla normativa vigente.
La norma rimette a un decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita l’Autorità garante, la fissazione delle disposizioni che garantiscono al titolare della carica di governo e al gestore interessati, la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio e la verbalizzazione nei procedimenti di accertamento e di applicazione delle sanzioni previsti dagli articoli 4, 5, 6 e 8.
Obblighi di dichiarazione
L’ A.C. 442 (artt. 7-17) reca le norme per la prevenzione del conflitto di interessi dei titolari delle cariche di governo. Va infatti rilevato che l’impianto del testo elaborato dalla Commissione ha finalità preventive; mira cioè ad evitare l’insorgere di conflitti di interessi, piuttosto che ad intervenire ex post sugli atti eventualmente adottati in presenza di tali conflitti.
In particolare, l’art. 8 pone in capo ai titolari delle cariche di governo e ai loro congiunti obblighi di dichiarazione funzionali a far emergere le situazioni di conflitto di interessi. I medesimi obblighi sono indicati, sostanzialmente negli stessi termini, all’art. 10 dell’A.C. 1915 e all’art. 3 dell’A.C. 2668.
Sostanzialmente, viene confermata la previsione di dichiarazione dei casi dei conflitti di interesse, prevista dall’art. 5 della legge 215, che diventa però più dettagliata prevedendo un elenco tassativo di situazioni da dichiarare.
Fa eccezione la pdl A.C. 4874 (l’art. 4), che stabilisce l’obbligo per i titolari delle cariche pubbliche di presentare all’Autorità antitrust tutti i dati relativi alle attività economiche con particolare riferimento alle imprese di cui, direttamente o indirettamente, detengono o hanno detenuto nei dodici mesi precedenti la titolarità, ovvero il controllo ai sensi della legislazione vigente in materia ovvero una partecipazione superiore al 2% del capitale sociale (sono, altresì, tenuti ad effettuare comunicazioni analoghe entro quindici giorni per ogni successiva variazione dei dati forniti).
La maggior parte delle proposte mantengono in capo all’autorità di controllo l’accertamento sulla rilevanza delle dichiarazioni in ordine all’esistenza di possibili conflitti di interesse.
La proposta A.C. 4874 prevede, tra l’altro, che un decimo dei componenti di ciascuna Camera può richiedere all’Autorità garante di svolgere tali accertamenti.
Incompatibilità
Le proposte di legge recano un’articolata serie di incompatibilità tra la carica di governo e determinati incarichi, cariche o attività. Tra queste, è incluso l’esercizio di attività imprenditoriali, anche per interposta persona o attraverso società fiduciarie; sono tuttavia previste deroghe sia per il piccolo imprenditore, sia per l’imprenditore individuale (A.C. 442 art. 10; A.C. 1915 art. 12; A.C. 2668 art. 4, A.C. 2664 art. 2; A.C. 4874, art. 3).
Alcune delle proposte prevedono che, nel caso in cui il titolare versi in una situazione di incompatibilità, l’Autorità gliene dà comunicazione, invitandolo ad optare, entro trenta giorni, tra la carica di governo e la posizione incompatibile. In caso di mancato esercizio dell’opzione entro il termine, si intende che l’interessato abbia optato per la posizione incompatibile con la carica di governo.
Le pdl A.C. 442 e A.C. 2668 individuano una diversa specie di incompatibilità, avente carattere patrimoniale, che sussiste se il titolare della carica di governo ha la proprietà di un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro (art. 11 della pdl 442) o ai 30 milioni (art. 4 della pdl A.C. 2668) in beni (ad esclusione dei titoli di Stato) la cui natura, tenuto conto delle specifiche funzioni di governo dell’interessato, è tale da determinare un conflitto di interessi; ovvero abbia la proprietà o il controllo di un’impresa che svolge la propria attività in regime di autorizzazione o di concessione rilasciata dallo Stato.
Anche la pdl A.C. 2664 prevede tale incompatibilità senza però porre un limite minimo all’ammontare del patrimonio (art. 2).
Qualora sussista una situazione di questo tipo, l’Autorità invita l’interessato ad optare (tale possibilità non è contemplata dalla pdl A.C. 2664, tra il mantenimento della carica di governo o il mantenimento della posizione incompatibile ovvero la scelta per la risoluzione della condizione di incompatibilità, secondo modalità da concordare con l’Autorità. La mancata opzione è intesa, anche in questo caso, come rinunzia alla carica di governo.
La pdl A.C. 1915 (art. 13) prevede la stessa incompatibilità patrimoniale che viene estesa anche a:
La pdl A.C. 1915, inoltre introduce, (art. 9) una speciale causa ostativa all’assunzione di cariche di governo, vietando a coloro nei confronti dei quali è stato disposto il rinvio a giudizio (ai sensi del’art. 429 c.p.p.) di ricoprire dette cariche.
Obblighi di astensione
L’ A.C. 442 all’art. 9 - e in termini analoghi l’art. 11 dell’A.C. 1915 e l’art. 6 della pdl A.C. 2668 - include tra i poteri dell’Autorità la concreta individuazione dei casi in cui il titolare della carica di governo deve astenersi, nell’esercizio delle sue funzioni, da atti che:
L’ A.C. 4874 individua, all’art. 2, gli obblighi per il Presidente del Consiglio dei ministri, per i singoli Ministri e per i Sottosegretari di Stato di astensione da atti di governo se i medesimi possono influenzare specificatamente, in virtù dell’ufficio ricoperto, i propri interessi.
Tali soggetti non possono partecipare alle deliberazioni attinenti alla carica ricoperta né adottare atti di rispettiva competenza quando coinvolgano, direttamente o indirettamente, interessi propri per quanto di loro conoscenza (sulla sussistenza degli stessi obblighi delibera il Consiglio dei ministri per i Sottosegretari di Stato mentre per i commissari straordinari del Governo provvede il Presidente del Consiglio). La norma rimette, poi, a un regolamento del Consiglio dei ministri il compito di assicurare adeguate forme di pubblicità agli adempimenti di sopra rendendo noti i casi di mancata partecipazione a deliberazioni, motivata ai sensi del medesimo comma.
Separazione degli interessi
L’ A.C. 442 prevede una specifica procedura, recata agli artt. 12 e 13, nel caso in cui l’Autorità accerti:
In tali casi sorge un obbligo di “separazione degli interessi”, se del caso attraverso l’istituzione di un “trust cieco”, definito dall’art. 14 come “quella tipologia di trust ove il trustee ha la più ampia discrezionalità in merito alla consistenza qualitativa dei beni in trust, mentre i beneficiari ne possono avere solo una conoscenza quantitativa”, e disciplinato in dettaglio dagli artt. 15-17.
L’alienazione dei beni non è dunque un’ipotesi esclusa, ma è prevista solo “quale extrema ratio, quando cioè rappresenti l’unica misura possibile per evitare il conflitto di interessi nella specifica situazione” (così la relazione illustrativa).
Il capo IV (artt. 18-20) reca le sanzioni amministrative previste in caso di violazione degli obblighi di dichiarazione e degli obblighi di astensione.
Anche l’ A.C. 4874 prevede forme di trasferimento delle attività economiche in modo da evitare l’insorgere di conflitti di interesse. In questo caso però tale trasferimento è conseguente all’eventuale mancato rispetto dell’obbligo di effettiva separazione gestionale delle imprese.
Il procedimento previsto dagli articoli 5 e seguenti prevede che entro 45 giorni dall’assunzione della carica, i titolari delle cariche di governo sono tenuti a adottare misure dirette ad assicurare che le attività economiche di rispettiva pertinenza siano esercitate secondo criteri e in condizioni di effettiva separazione gestionale al fine di evitare qualsiasi ingerenza ovvero influenza di fatto da parte del titolare della carica di governo.
In caso di accertata inadempienza i titolari sono tenuti alla alienazione o trasferimento delle attività economiche da parte dei titolari di cariche di governo e le relative sanzioni in caso di inadempienza.
Nel caso di trasferimento viene scelto un gestore dal presidente dell’Autorità garante, d’intesa con il presidente della Commissione nazionale per la società e la borsa, sentito il titolare della carica di governo.
L’art. 4 dell’ A.C. 2664 disciplina le modalità attraverso le quali è ammesso porre fine al conflitto di interessi. In particolare si prevede che il soggetto possa:
Infine, l’art. 5 stabilisce che tali disposizioni non si applicano ai casi di incompatibilità diversi da quelli dovuti alla titolarità di attività economiche assegnando alla magistratura ordinaria il compito di accertare l’effettiva sussistenza delle condizioni di incompatibilità previste dal testo in esame su istanza dei soggetti a cui tali condizioni di incompatibilità sono contestate.
Sostegno privilegiato nel settore delle comunicazioni
L’ A.C. 442 (artt. 23-24) interviene in materia di “sostegno privilegiato” ai candidati o ai titolari di cariche di governo, da parte di imprese operanti nel settore delle comunicazioni, delle telecomunicazioni e dell’editoria, anche a mezzo Internet; sono definiti al riguardo i poteri di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia durante le campagne elettorali sia al di fuori di tali periodi.
Disposizioni analoghe agli articoli19 e 20 della pdl 1915.
L’art. 10 dell’ A.C. 4874 reca norme in merito alle attività economiche concernenti il settore delle comunicazioni di massa stabilendo che, in tal caso, l’Autorità garante accerta se i criteri e le condizioni di effettiva separazione gestionale risultano soddisfatti, anche in riferimento ai princìpi stabiliti dalla legge n. 28/2000 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) e dal testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al D.Lgs. n. 177/2005, in modo che non sia favorito l’interesse del titolare della carica di governo interessato mediante forme di sostegno privilegiato in violazione dei princìpi del pluralismo, dell’obiettività e dell’imparzialità dell’informazione. Per tale accertamento e per l’eventuale applicazione delle sanzioni, l’Autorità garante acquisisce preventivamente il parere e le proposte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, salvo urgenza.
Sanzioni
E’ previsto un articolato sistema di sanzionatorio volto a punire le violazioni delle regole sul conflitto di interessi. In particolare sono punite con diverse sanzioni amministrativa pecuniaria che nel complesso vanno da un minio di 20.000 ad un massimo di 150.000 euro le violazioni dell’obbligo di dichiarazione, le violazioni all’obbligo di astensione e il compimento di atti in conflitto di interessi in violazione delle misure preventive (artt. 18, 19 e 20 dell’ A.C. 442; artt. 14, 15 e 16 dell’ A.C. 1915; artt. 7-10 dell’ A.C. 2668).
Disposizioni di delega
Le pdl A.C. 442 (art. 21) e A.C. 1915 (art. 17) prevedono una delega al Governo per disciplinare i conflitti di interessi negli organi di governo di regioni ed enti locali, nel rispetto delle competenze legislative regionali, ma anche in conformità dei principi desumibili dal provvedimento in esame.
Incandidabilità e ineleggibilità
L’ A.C. 1915 interviene, oltre a disciplinare i conflitti di interessi dei titolari di cariche di governo, introduce alcune nuove cause di incandidabilità e ineleggibilità ad alcune cariche elettive, e precisamente:
Par condicio
La sola proposta di legge A.C. 2668 dispone in ordine alla parità di accesso ai mezzi di comunicazione durante la campagna elettorale al fine di assicurare condizioni di uguaglianza tra i sessi per accedere alle cariche elettive in attuazione dell’art. 51 Cost..
A tal fine l’art. 11 sancisce il principio della parità di accesso, limitata però ai soli capi delle coalizioni e dei capi delle liste che si candidano alle elezioni politiche, ai contenuti informativi e ai programmi delle reti televisive nazionali pubbliche e provate.
In caso di violazioni sono previste pene pecuniarie fino a 1 milione di euro.
Composta da dieci articoli, la legge 20 luglio 2004, n. 215 affronta il tema dei conflitti di interesse che possono riguardare determinati titolari di incarichi pubblici i quali siano, al contempo, titolari di attività economiche di rilevante portata.
Preliminarmente, la legge individua (articolo 1) i destinatari della disciplina nei “titolari di cariche di Governo”, nel cui ambito sono ricompresi (comma 2):
La legge impone a tali soggetti di dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e di astenersi dal compimento di atti – inclusa la partecipazione a deliberazioni collegiali – “in situazione di conflitto di interessi” (comma 1).
La definizione di conflitto di interessi, ai fini dell’individuazione degli atti dai quali è obbligatorio astenersi, è resa dal successivo art. 3. Ai sensi del comma 3, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano disposizioni idonee ad assicurare il rispetto del principio di cui al comma 1.
La disciplina delle incompatibilità è recata dall’articolo 2, in cui sono elencate le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulta incompatibile con la titolarità di cariche di Governo. La disposizione colma una lacuna dell’ordinamento provvedendo a introdurre una disciplina organica delle cause di incompatibilità dei membri del Governo in precedenza oggetto di singole disposizioni di legge.
L’incompatibilità riguarda:
Il decreto-legge 138/2011 ha ampliato (senza modificare testualmente la legge 215) il novero delle incompatibilità delle cariche di governo comprendendovi qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica (in pratica sindaci e presidenti di provincia) relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, popolazione superiore a 5.000 abitanti. Le incompatibilità si applicano a decorrere dalla XVII legislatura.
Nel testo originario la legge 215 prevedeva anche l’incompatibilità tra le cariche di Governo e quella di amministratore locale. Per effetto della successiva L. 88/2005, di conversione del D.L. 44/2005, tale incompatibilità è venuta meno: l’art. 3-ter del decreto, introdotto in sede di conversione, novella infatti il comma 1, lett. a) dell’art. 2 per aggiungere alle eccezioni ivi elencate quella relativa alla carica di amministratore di enti locali, come definita dall’art. 77, co. 2, del Testo unico sugli enti locali. Tale disposizione individua come segue gli amministratori degli enti locali:
Gli incarichi e le funzioni incompatibili cessano con effetto dalla data del giuramento relativo agli incarichi di Governo e comunque dalla data di effettiva assunzione delle cariche. Dagli incarichi e funzioni incompatibili non può derivare, per tutta la durata della carica di Governo, alcuna forma di retribuzione o vantaggio per il titolare. Dopo il termine dell’incarico di Governo, l’incompatibilità sussiste per ulteriori dodici mesi nei confronti di cariche in enti di diritto pubblico e in società con fini di lucro che operano in settori connessi con la carica ricoperta. Quanto ai rapporti d’impiego o di lavoro pubblico o privato, è previsto il collocamento in aspettativa (o analoga posizione prevista dai rispettivi ordinamenti).
La legge individua quindi le situazioni in cui si determina il conflitto di interessi (articolo 3).
Esso sussiste quando il titolare di cariche di Governo partecipa all’adozione di un atto – anche formulando la proposta – o omette un atto dovuto:
trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi del precedente art. 2, ovvero
avendo l’atto o l’omissione un’“incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, o delle imprese o società da essi controllate, con danno per l’interesse pubblico.
A fini interpretativi, giova rimarcare che:
la situazione di conflitto non concerne (solo) l’adozione di atti, bensì la partecipazione a tale adozione: può dunque trattarsi di deliberazioni collegiali ovvero di atti conseguenti all’adozione di un procedimento al quale il titolare di cariche di governo prende parte, anche attraverso la formulazione della proposta;
la situazione di conflitto può derivare anche da un’omissione, quando essa abbia ad oggetto un atto dovuto (non sembra dunque rilevare l’omissione di un atto qualora residui un margine di discrezionalità in ordine alla sua adozione);
l’incidenza patrimoniale dell’atto o dell’omissione deve essere non solo specifica ma “preferenziale”.
l’incidenza dell’atto o dell’omissione può riguardare non solo il patrimonio (personale) del titolare, coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ma anche quello delle imprese o società da essi controllate. Il concetto di “controllo” è definito mediante rinvio all’art. 7 della L. 287/1990.
Ai sensi dell’art. 7 citato, si ha controllo:
- dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
- dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
- esercita un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali;
- diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio;
- diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi.
Il controllo è acquisito dal soggetto che sia titolare o beneficiario dei rapporti giuridici suddetti ovvero che, pur non essendo titolare o beneficiario, abbia il potere di esercitare i diritti che ne derivano.
Al di fuori delle ipotesi di incompatibilità, per le quali l’insorgenza del conflitto è in re ipsa, il conflitto è configurato, come si è detto, in termini di “incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare e degli altri soggetti individuati: assume dunque rilievo la sola natura patrimoniale degli interessi. Ulteriore condizione che deve ricorrere perché si abbia conflitto è la sussistenza di un danno per l’interesse pubblico in conseguenza dell’atto.
La sussistenza di una situazione di conflitto di interessi (potenziale, deve intendersi) fa sorgere nel titolare della carica di governo l’obbligo di astensione di cui all’art. 1.
Viene ribadita la validità delle norme generali poste a tutela della concorrenza (articolo 4), stabilendo, tra l’altro, che la violazione del divieto di atti e comportamenti che costituiscano o mantengano una posizione dominante nel settore delle comunicazioni (ai sensi dell’art. 2 della L. 249/1997 e dell’art. 14 della L. 112/2004) è sanzionata anche quando sia compiuta dall’impresa facente capo al titolare di cariche di Governo avvalendosi di atti posti in essere dal titolare medesimo. Resta altresì ferma, in presenza dei rispettivi presupposti, l’applicabilità delle norme civili, penali, amministrative e disciplinari vigenti.
Il riferimento alla L. 112/2004 è stato introdotto nell’articolo in esame dal successivo D.L. 233/2004, che ha inteso adeguare e coordinare alcuni passaggi della L. 215/2004 con il dettato della L. 112/2004 (così detta “legge Gasparri”), che regola l’assetto del sistema radiotelevisivo e introduce, in particolare, il concetto di “sistema integrato delle comunicazioni”.
Il decreto-legge, nello specifico, ha novellato la legge in esame in soli due punti (artt. 4 e 7) con il dichiarato intento di introdurre richiami alla “legge Gasparri” o in sostituzione di norme superate, o in aggiunta a norme che restano in vigore, ma che sono divenute insufficienti a regolare le funzioni previste dalla legge sul conflitto di interessi in materia di comunicazione.
Chi assume la titolarità di cariche di Governo ha l’obbligo di rendere note (articolo 5) all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (così detta “Anti-trust”):
Il termine per la presentazione della dichiarazione, complessivamente pari a 90 giorni, è sdoppiato in 30 giorni per la dichiarazione delle situazioni di incompatibilità, e in ulteriori 60 giorni per quella concernente le attività patrimoniali. Si precisa inoltre che tra le attività patrimoniali da dichiarare sono comprese le partecipazioni azionarie. Le successive variazioni dei dati patrimoniali sono anch’esse oggetto di dichiarazione.
Gli obblighi di dichiarazione sono estesi al coniuge ed ai parenti entro il secondo grado.
Le dichiarazioni sono rese anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando le incompatibilità o i dati patrimoniali afferiscano a settori di sua competenza. Le dichiarazioni incomplete o non veritiere o la mancata effettuazione delle dichiarazioni stesse costituiscono reato.
Le due menzionate Autorità di garanzia provvedono agli accertamenti di competenza, con le modalità di cui ai successivi artt. 6 e 7, entro i 30 giorni successivi al ricevimento delle dichiarazioni.
L’articolo 6 individua le nuove funzioni assegnate dalla legge all’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di conflitti di interessi.
Nel dettaglio, l’Autorità è competente ad accertare la sussistenza di:
Nel primo caso, l’Autorità promuove, nei casi d’inosservanza, gli adempimenti volti a superare la situazione di incompatibilità, eseguiti poi dagli organi di volta in volta competenti, e ne dà comunicazione ai Presidenti delle due Camere.
In particolare, l’Autorità, accertata la situazione di incompatibilità, promuove:
Nella seconda ipotesi, l’Autorità non ha poteri diretti nei confronti del titolare di cariche di Governo, ma comunica ai Presidenti delle Camere gli accertamenti svolti, indicando la situazione di privilegio. L’“Anti-trust” può invece diffidare ed eventualmente infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che pongano in essere comportamenti volti ad avvantaggiarsi degli atti adottati in situazioni di conflitto d’interesse.
La legge attribuisce all’Autorità antitrust un potere di esame, controllo e verifica degli effetti dell’azione del titolare della carica di governo. Tale attività deve essere focalizzata a rilevare l’eventuale incidenza specifica e preferenziale, con danno per l’interesse pubblico, dell’azione del titolare della carica di governo sul proprio assetto patrimoniale, su quello del coniuge o dei parenti entro il secondo grado nonché su quello delle imprese o società da essi controllate.
È in ogni caso caso fatto salvo l’obbligo di denunzia all’autorità giudiziaria, quando i fatti abbiano rilievo penale.
Vengono indicate le modalità degli accertamenti dell’Antitrust, che procede d’ufficio alle verifiche di competenza, valutate preventivamente e specificatamente le condizioni di proponibilità ed ammissibilità della questione.
A tale fine, l’Autorità corrisponde e collabora con gli organi delle Amministrazioni, acquisisce i pareri delle altre Autorità amministrative indipendenti competenti e le informazioni necessarie per l’espletamento dei compiti che il disegno di legge le affida, con i limiti opponibili all’autorità giudiziaria.
Nell’esercizio di tali funzioni, l’Autorità si avvale dei poteri riconosciuti dalla L. 287/1990, in quanto compatibili.
È garantita la partecipazione procedimentale dell’interessato ai sensi della L. 241/1990, ma viene fatto salvo quanto previsto dell’art. 14, co. 3, della L. 287/1990, che stabilisce che le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le imprese oggetto di istruttoria da parte dell’Autorità sono tutelati dal segreto d’ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni.
Come si anticipava, a seguito degli accertamenti o dell’irrogazione di sanzioni pecuniarie previsti dall’articolo in esame, l’Anti-trust deve effettuare una comunicazione motivata diretta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
Tale comunicazione deve indicare:
All’Antitrust viene inoltre attribuito un potere regolatorio in riferimento alle procedure istruttorie, ai criteri di accertamento per lo svolgimento dei compiti ad essa assegnati dal provvedimento in esame, nonché in relazione alle modifiche organizzative interne. Tale potere è stato esercitato con l’adozione della Deliberazione del 16 novembre 2004, su Criteri di accertamento e procedure istruttorie relativi all’applicazione della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.
Il successivo articolo 7 attribuisce anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni specifici compiti nella materia in esame. Tali compiti – di vigilanza, di accertamento e sanzionatori – sono indirizzati non al titolare di cariche di governo ed ai suoi comportamenti, bensì ai comportamenti delle imprese che facciano capo al titolare medesimo – ovvero al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, o che siano da essi controllate – qualora tali imprese operino nei settori del sistema integrato delle comunicazioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. g) della L. 112/2004[16]: si tratta del “settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni”.
Oggetto del controllo sono gli (eventuali) comportamenti che:
Tali leggi costituiscono i principali provvedimenti di ordine generale volti a disciplinare l’esercizio dell’attività radiotelevisiva, l’assetto complessivo del settore delle comunicazioni e la comunicazione politica attraverso i mezzi di informazione. Ciascuna di esse reca una pluralità di specifici obblighi e divieti a carico delle imprese operanti nel settore, nonché di sanzioni per la violazione dei medesimi, e pone in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni specifiche competenze afferenti alla regolazione del settore, alla vigilanza, all’accertamento delle infrazioni ed all’irrogazione di sanzioni.
L’articolo in esame fa rinvio alle leggi sopra richiamate anche per definire i poteri attribuiti all’Autorità, le procedure che essa deve seguire e le sanzioni da questa irrogabili. In aggiunta a ciò, estende all’Autorità quanto già disposto nel precedente art. 6 con riguardo ai poteri ed alle modalità di accertamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Anche l’Autorità per le comunicazioni, come già previsto per l’Anti-trust, qualora accerti che l’impresa abbia adottato comportamenti che forniscono un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo in violazione delle disposizioni di cui alle quattro leggi sopra citate, ha il potere di comminare, previa diffida, le sanzioni specificamente previste per tali infrazioni dalle leggi medesime: le sanzioni pecuniarie, peraltro, sono aumentate sino a un terzo.
L’Autorità informa il Parlamento degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.
La legge attribuisce anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un potere regolatorio in ordine alle procedure istruttorie, ai criteri di accertamento per lo svolgimento dei compiti ad essa assegnati dal provvedimento in esame, nonché in relazione alle modifiche organizzative interne. Tale potere è stato esercitato con l’adozione della Deliberazione del 1 dicembre 2004, Regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi, successivamente abrogata e sostituita dalla Deliberazione del 13 ottobre 2005, Modifiche e integrazioni al regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi.
Le due Autorità comunicano ogni sei mesi alle Camere, attraverso apposite relazioni, lo stato delle attività di controllo e vigilanza che sono ad esse attribuite (articolo 8).
Le ultime relazioni trasmesse sono le seguenti:
Le violazioni agli obblighi di dichiarazione di cui al precedente art. 5 (dichiarazioni di denuncia delle situazioni di incompatibilità e dei dati relativi alle proprie attività patrimoniali), di cui si siano resi responsabili i titolari delle cariche di Governo sono tutte sanzionate ai sensi dell’art. 328 del codice penale.
Si prevedono le seguenti ipotesi di violazione degli obblighi di dichiarazione:
Un’ulteriore condizione per l’applicazione dell’art. 328 c.p. si verifica quando l’interessato non ottemperi ad una specifica richiesta dell’autorità competente in un termine stabilito dalla stessa autorità, e comunque non inferiore a 30 giorni. Le autorità competenti sono l’Autorità per le comunicazioni, nel caso le dichiarazioni relative alle incompatibilità o ai dati patrimoniali riguardino il settore delle comunicazioni, e l’Autorità anti-trust negli altri casi.
Entrambe le Autorità, una volta verificate le irregolarità, ne danno comunicazione documentata sia all’autorità giudiziaria competente, sia ai Presidenti delle Camere.
L’articolo 9 dispone un incremento del ruolo organico di ciascuna Autorità, in conseguenza dei nuovi compiti ad esse attribuiti in materia di conflitti di interessi.
Il 26 ed il 27 maggio si svolgerà il turno ordinario di elezioni comunali del 2013. Per la prima volta le cittadine ed i cittadini avranno la possibilità di votare con la "doppia preferenza di genere", potranno cioè esprimere due preferenze (anziché una), purché riguardanti candidati di sesso diverso.
Nei giorni di domenica 26 e lunedì 27 maggio 2013 si svolgerà un'importante tornata di elezioni comunali. L'eventuale turno di ballottaggio avrà luogo domenica 9 e lunedì 10 giugno 2013.
Alle regioni a statuto speciale è peraltro riconosciuta la facoltà di indire le elezioni in una data diversa.
Il voto riguarderà oltre 650 comuni. L'unico capoluogo di regione coinvolto è Roma Capitale; tra i capoluoghi di provincia si segnalano i più popolosi: Catania, Messina, Brescia, Siracusa e Vicenza. (elenco completo)
L’elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni avviene:
Non è invece previsto lo svolgimento delle elezioni provinciali, in attesa del definitivo riordino delle province e della ridefinizione del relativo sistema elettorale.
Nel corso della XVI legisltatura è stata approvata la legge 23 novembre 2012, n. 215, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali, che ha modificato la normativa per l’elezione dei consigli comunali.
In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura:
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi.
La legge n. 94/2009, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, ha introdotto per le elezioni dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa un turno straordinario elettorale, tra il 15 ottobre e il 15 dicembre (il turno ordinario è tra il 15 aprile e il 15 giugno), per il caso in cui la scadenza della durata dello scioglimento cada nel secondo semestre dell’anno.
Il decreto-legge 18 settembre 2009, n. 131 ha inoltre disposto il rinvio, a seguito degli eventi sismici che hanno colpito l'Abruzzo, del turno elettorale ordinario del 2010 delle elezioni amministrative da tenersi nella provincia dell'Aquila.
Per l’abbinamento delle elezioni amministrative con le altre consultazioni da tenersi nel corso dell’anno si rinvia al tema Norme in materia elettorale.
Nel corso della XVI legislatura, il Senato ha approvato una proposta di legge che modifica i criteri per la determinazione della popolazione residente relativamente alle elezioni comunali e provinciali, utlizzando come base di calcolo i dati annuali dell’ISTAT, comunicati ufficialmente al Ministero dell’interno e relativi alla fine del penultimo anno precedente, anziché i risultati dell’ultimo censimento ufficiale, effettuato ogni 10 anni (A.C. 4998). Il provvedimento non è però stato approvato dalla Camera.
E' stato inoltre avviato presso la Camera l'esame di:
Determinazione della popolazione negli enti locali
Prescrizione per i reati elettorali
Riequilibrio di genere
Soglia di sbarramento nelle elezioni regionali e amministrative
La legge 23 novembre 2012, n. 215, reca disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali
La novità più significativa è la modifica della legge per l’elezione dei consigli comunali con l’introduzione di misure volte a rafforzare la presenza delle donne, ma di notevole rilievo sono anche gli interventi volti a consolidare la parità di genere nelle giunte e, più in generale, in tutti gli organi collegiali non elettivi di comuni e province.
Per l’elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, è peraltro previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall’ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.
Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall’ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. L’impossibilità di rispettare la quota non comporta dunque in questo caso la decadenza della lista.
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale norma ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (ai quali, come visto, non si applica la quota di lista). Essa risulta però priva di sanzione esplicita: tra le verifiche che è chiamata a compiere la Commissione elettorale non viene infatti inserito alcun controllo sul rispetto di questa disposizione.
Le disposizioni esaminate per l’elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 si applicano anche ai consigli circoscrizionali. La disciplina delle modalità di elezione dei consigli circoscrizionali è peraltro rimessa agli statuti comunali; saranno pertanto questi ultimi a dover intervenire, introducendo le necessarie modifiche.
Nel caso in cui lo statuto rinvii, ai fini dell’elezione del consiglio circoscrizionale, alle disposizioni per l’elezione del consiglio comunale, come ad esempio accade a Roma, la nuova normativa appare comunque immediatamente applicabile, senza necessità di modifiche.
La legge nulla dispone in ordine ai consigli provinciali, in quanto il sistema elettorale per questi organi, oramai divenuti di secondo grado (eletti dai consiglieri comunali), è ancora in via di definizione.
Per una valutazione circa l’efficacia delle nuove misure ai fini dell’aumento della rappresentanza femminile, qualche elemento può trarsi dalla situazione dei consigli regionali, in quanto diverse leggi elettorali regionali già prevedono quote di lista analoghe a quelle della nuova legge; la Campania inoltre ha già introdotto anche la doppia preferenza di genere.
Per elezioni regionali, le quote di lista contribuiscono notevolmente all’aumento del numero di donne candidate, ma hanno un impatto molto minore sul numero di donne elette.
Ben più rilevante è invece il meccanismo della doppia preferenza di genere: non è un caso che la Campania sia la regione con la maggior percentuale di donne elette (23%).
La nuova legge prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell’ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina.
La disposizione si riferisce formalmente anche alla nomina della giunta provinciale, ma si ricorda che quest’organo risulta in via di soppressione.
La norma si inserisce in un nutrito filone di giurisprudenza amministrativa che ha più volte annullato le delibere di nomina delle giunte che non rispettavano i principi in materia di parità di genere previsti dai rispettivi statuti.
I giudici amministrativi hanno inoltre riconosciuto il carattere vincolante e non meramente programmatico dei principi di parità di accesso agli uffici pubblici e di pari opportunità sanciti dall’art. 51, primo comma, Cost. e riconosciuti a livello legislativo, dichiarando l’illegittimità delle giunte composte da soli uomini anche in assenza di una specifica disposizione statutaria al riguardo (cfr., fra le altre Tar Sicilia, Palermo, sentenza 15 dicembre 2010, n. 14310; Tar Calabria, Reggio di Calabria, sentenza 27 settembre 2012, n. 589).
Un sentenza del TAR Lazio, fra le prime ad applicare la nuova legge, si è spinta oltre e, dopo aver ribadito il carattere vincolante ed immediatamente precettivo dei principi costituzionali di uguaglianza e di parità di accesso agli uffici pubblici, ha rilevato che “l’effettività della parità non può che essere individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi dunque nel 40 per cento di persone del sesso sotto-rappresentato.” La sentenza ha dunque annullato la delibera di nomina di una giunta comunale, che vedeva la presenza, oltre al sindaco, di una sola donna su sette assessori, pur in assenza di norme dello statuto sulle pari opportunità nella composizione degli organi politici (Tar Lazio, sentenza 21 gennaio 2013, n. 633).
La legge modifica inoltre la norma del testo unico degli enti locali (TUEL) che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità.
In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per “garantire”, e non più semplicemente “promuovere” (come nel testo previgente), la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri statuti e regolamenti alle nuove disposizioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Per le elezioni regionali è introdotto il principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.
In realtà il principio già esiste a livello costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost.), ma, trattandosi di una materia rimessa alle regioni, alla legge statale è consentito intervenire solo per le determinazione dei principi fondamentali.
Nella legge sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (cd. legge sulla par condicio), viene inoltre sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.
La nuova legge introduce infine una disposizione volta a consentire, in caso di violazione della norma del codice delle pari opportunità che riserva alla donne un terzo dei posti nelle commissioni di concorso, l’intervento delle consigliere di parità, anche con ricorso in via d’urgenza al giudice.
Composto da 754 deputati, il Parlamento europeo è una delle assemblee rappresentative democratiche più grandi del mondo. Il suo ruolo si è notevolmente rafforzato dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Il Parlamento europeo è l'unica istituzione dell'Unione europea eletta direttamente e a suffragio universale dai 500 milioni di cittadini europei. E’ attualmente composto da 754 deputati, eletti ogni cinque anni nei 27 Stati membri.
Il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha decisamente rafforzato i poteri legislativi del Parlamento europeo, estendendo in misura rilevante la procedura di co-decisione, che vede il Parlamento sullo stesso piano del Consiglio.
Le ultime elezioni si sono svolte tra il 4 ed il 7 giugno 2009. Il rinnovo avrà pertanto luogo nel 2014.
Le modalità di elezione del Parlamento europeo sono disciplinate autonomamente da ciascuno Stato membro.
In Italia, il sistema elettorale è proporzionale ed i seggi sono assegnati nel collegio unico nazionale, a liste concorrenti presentate nell’ambito di 5 circoscrizioni molto ampie.
La scheda elettorale è unica, si vota per una delle liste e si possono esprimere da una a tre preferenze.
Sono ammesse all’assegnazione dei seggi le liste che hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi.
Questa soglia di sbarramento è stata introdotta dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10, con lâ€intento di arginare la frammentazione della rappresentanza politica.
I seggi sono attribuiti proporzionalmente ai voti conseguiti in ambito nazionale con il sistema dei quozienti interi e dei maggiori resti. I seggi conseguiti da ciascuna lista sono quindi riassegnati alle circoscrizioni in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna di esse. Determinato il numero dei seggi spettanti alla lista in ciascuna circoscrizione, sono proclamati eletti i candidati con il maggior numero di voti di preferenza.
Il Trattato di Lisbona prevede che il numero dei membri del Parlamento europeo non possa essere superiore a 751 (750 membri più il Presidente), con una rappresentanza per Stato membro che non può essere inferiore a 6 e superiore a 96 deputati. Al momento delle elezioni del Parlamento europeo, nel giugno 2009, era tuttavia ancora vigente il Trattato di Nizza, che prevedeva 736 seggi complessivi, di cui 99 per la Germania (3 in più rispetto a quanto previsto dal Trattato di Lisbona).
Il Consiglio europeo ha ritenuto dunque necessario prevedere norme transitorie per integrare la composizione del Parlamento europeo fino al termine della legislatura 2009-2014, in modo da garantire i seggi aggiuntivi agli Stati membri che ne hanno diritto in base al Trattato di Lisbona, senza togliere alla Germania i 3 seggi ulteriori previsti dal Trattato di Nizza (i membri del PE diventano così per la legislatura in corso 754 anziché 751 come previsto dal Trattato di Lisbona). In particolare, la Spagna avrà 4 deputati in più; Austria, Francia e Svezia 2; 1 ciascuno per Bulgaria, Italia (che passa da 72 a 73), Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Regno Unito.
Sulla base della decisione del Consiglio europeo, il 23 giugno 2010 si è svolta una Conferenza intergovernativa per procedere alla firma del Protocollo che modifica il Protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie allegato al Trattato di Lisbona. Il Protocollo stabilisce l’incremento temporaneo di 18 seggi del Parlamento europeo, prevedendo altresì che spetti agli Stati membri designare i rispettivi membri supplementari, nel rispetto del proprio ordinamento nazionale ed a condizione che siano stati eletti a suffragio universale diretto, indicando tre possibili opzioni: 1) elezioniad hoc; 2) designazione sulla base dei risultati delle ultime elezioni per il Parlamento europeo; 3) nomina da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali al proprio interno, ferma restando l’incompatibilità tra le due cariche.
La legge 14 gennaio 2011, n. 2, ha proceduto alla ratifica del Protocollo ed ha scelto per l'assegnazione del seggio aggiuntivo spettante all'Italia, tra le tre possibili opzioni previste, l'utilizzazione dei risultati delle ultime elezioni europee, soluzione adottata da diversi Stati membri. All'assegnazione del seggio si procede attraverso l'utilizzazione del maggior resto non assegnato all'esito delle elezioni europee del 2009.
Sulle elezioni del Parlamento europeo
In Italia, la disciplina del sistema elettorale delle elezioni europee è contenuto nella legge 24 gennaio 1979, n. 18, modificata e integrata da provvedimenti successiva tra cui, da ultimo, dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 che ha introdotto una soglia di sbarramento.
In sintesi, si tratta di un sistema elettorale proporzionale con soglia di sbarramento del 4% e possibilità di voto di preferenza; i seggi sono assegnati nel collegio unico nazionale, a liste concorrenti presentate nell’ambito di 5 circoscrizioni molto ampie.
Il diritto di voto è esercitato dai cittadini con almeno 18 anni di età, mentre per candidarsi l’età minima è di 25 anni.
Le candidature si presentano nell'ambito di 5 circoscrizioni di dimensione sovra regionale; un candidato può presentarsi in più circoscrizioni.
Le liste dei candidati devono essere sottoscritte da non meno di 30.000 e non più di 35.000 elettori. Ogni regione che compone la circoscrizione deve essere rappresentata da almeno il 10% dei sottoscrittori. Sono esonerati dall’obbligo di sottoscrizione i partiti politici che hanno almeno un rappresentante al Parlamento europeo o al Parlamento nazionale.
La scheda elettorale è unica, si vota per una delle liste e si possono esprimere da una a tre preferenze.
Sono ammesse all’assegnazione dei seggi le liste che hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi. I seggi sono attribuiti proporzionalmente ai voti conseguiti in ambito nazionale con il sistema dei quozienti interi e dei maggiori resti. I seggi conseguiti da ciascuna lista sono quindi riassegnati alle circoscrizioni in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna di esse. Determinato il numero dei seggi spettanti alla lista in ciascuna circoscrizione, sono proclamati eletti i candidati con il maggior numero di voti di preferenza.
Al fine di promuovere l’accesso delle donne alla carica di membro del Parlamento europeo, una norma transitoria ha stabilito, limitatamente alle elezioni del 2004 e del 2009, che nelle liste di candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.
Le votazioni si svolgono nelle giornate di sabato e di domenica.
Il 24 e 25 febbraio 2013 si sono svolte le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Si è votato, come per le precedenti elezioni politiche del 2006 e 2008, con il sistema proporzionale con soglie di sbarramento e premio di maggioranza, introdotto dalla legge n. 270 del 2005. Contemporaneamente alle elezioni politiche, si sono svolte le elezioni per il rinnovo dei Consigli regionali di Lombardia, Lazio e Molise.
Gli elementi essenziali del sistema di elezione delle due Camere e la disciplina della campagna elettorale, dei finanziamenti a partiti e candidati e dei rimborsi elettorali sono illustrati nel Manuale elettorale 2013 a cura della Camera dei deputati.
| Manuale elettorale 2013 | EPUB |
Il 22 dicembre 2012, il Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti della Camera e del Senato, con proprio decreto, ha sciolto le Camere con un lieve anticipo rispetto alla scadenza naturale; inoltre, con un distinto decreto, su proposta del Governo, ha indetto le elezioni politiche per il 24 e 25 febbraio 2013. Lo stesso decreto ha fissato la data della prima riunione delle nuove Camere per il 15 marzo 2013.
Si è votato, come per le precedenti elezioni politiche del 2006 e 2008, con il sistema proporzionale con soglie di sbarramento e premio di maggioranza, introdotto dalla legge 270/2005.
I principali elementi che caratterizzano tale sistema sono:
Per poter accedere all’assegnazione dei seggi alla Camera, sono previste soglie calcolate sul totale dei voti validi a livello nazionale, pari al 10 per cento per le coalizioni, al 2 per cento per le singole liste che aderiscono ad una coalizione, al 4 per cento per le liste non coalizzate e per quelle le cui coalizioni non hanno raggiunto il 10 per cento. Per il Senato le percentuali di soglia sono più alte: rispettivamente il 20, il 3 e l’8 per cento, calcolate su base regionale, anziché a livello nazionale.
Il premio di maggioranza è attribuito secondo modalità sensibilmente diverse tra i due rami del Parlamento. Alla Camera, il premio è assegnato alla coalizione di liste (o lista singola) più votata a livello nazionale. Il premio consiste nell’assegnazione di un certo numero di seggi necessario a raggiungere la quota di 340 deputati su 630. Se la coalizione raggiunge o supera tale soglia, ovviamente il premio non scatta.
Al Senato, il premio è attribuito a livello regionale: in ciascuna regione (tranne Molise, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, regioni per le quali vigono disposizioni particolari) viene assegnato alla coalizione (o alla lista) più votata in quella regione il numero di seggi necessario a raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione.
I seggi sono ripartiti tra le regioni in proporzione alla popolazione residente, ma nessuna regione può avere meno di sette senatori, tranne la Valle d’Aosta che ne ha uno e il Molise, che ne ha due.
Non è previsto alcun quorum minimo per l’attribuzione del premio che è assegnato alla coalizione (o alla lista) più votata.
Infine, sia alla Camera sia al Senato non è prevista l’espressione del voto di preferenza, e l’ordine degli eletti è dato dalla successione dei candidati in ciascuna lista.
Una diversa disciplina elettorale è prevista per la rappresentanza dei cittadini italiani residenti all’estero (sei senatori e dodici deputati eletti con metodo proporzionale in una apposita “circoscrizione Estero”). Sono altresì previste specifiche disposizioni per talune regioni (Molise, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) caratterizzate da bassa popolazione o dalla presenza di consistenti minoranze linguistiche.
Il D.L. 223 del 18 dicembre 2012, modifica, in caso di conclusione anticipata della legislatura, alcune norme sul numero di sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste di candidati, sulle cause di ineleggibilità e sulla garanzia del diritto di voto ai cittadini che si trovano temporaneamente all’estero per motivi di servizio o per missioni internazionali (si veda il tema Norme in materia elettorale). Le disposizioni si applicano limitatamente alle elezioni politiche del 2013.
Sulla materia delle cause di incandidabilità, è stato emanato il D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235. Il provvedimento reca un testo unico della normativa in materia di incandidabilita' alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni dei Comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.
Contemporaneamente alle elezioni politiche si sono svolte le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali della Lombardia, del Lazio e del Molise.
Il 24 e 25 febbraio 2013 si sono svolte, contemporaneamente alle elezioni politiche, le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali e per l'elezione del presidente della regione in Lombardia, Lazio e Molise a seguito dello scioglimento anticipato dei rispettivi consigli regionali.
Scioglimento dei consigli regionali. Nelle regioni Lazio e Lombardia una crisi politica ha portato allo scioglimento anticipato dei rispettivi consigli regionali. Nel caso della regione Lazio, il 27 settembre 2012 il presidente della Regione Polverini ha firmato la lettera di dimissioni che è stata trasmessa al Presidente del Consiglio regionale e, conseguentemente, questi, il 28 settembre 2012, con proprio decreto, in ottemperanza all'articolo 126, comma 3, della Costituzione e agli articoli 19 e 44 dello Statuto regionale, ha dichiarato l'esistenza della causa di cessazione dalla carica del Presidente della Regione, in considerazione delle dimissioni, ed ha contestualmente provveduto a dichiarare sciolto il Consiglio regionale. Il 26 ottobre 2012 hanno presentato le proprie dimissioni i consiglieri della regione Lombardia provocando lo scioglimento del Consiglio. Per quanto riguarda la regione Molise, invece, una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato le elezioni regionali svolte nel 2011, confermando la decisione del TAR che aveva disposto l’annullamento delle operazioni elettorali a causa delle irregolarità riscontrate nella raccolta delle sottoscrizioni delle candidature di alcune liste e in una dichiarazione di autentica di sottoscrizione di accettazione di una candidatura (Sez. V, sent. 16-29 ottobre 2012, n. 5504).
Nel 2013 si svolgeranno anche le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale e l'elezione del presidente della regione nelle regioni autonome Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta. Le elezioni precedenti si sono tenute, nella prima regione, il 13 e il 14 aprile 2008 contemporaneamente alle elezioni politiche, mentre nella regione Valle d'Aosta i comizi si sono tenuti il 28 maggio 2008. In autunno, inoltre, saranno rinnovati i consigli delle Province autonome di Bolzano e di Trento, dove si è votato, rispettivamente, il 26 ottobre e il 9 novembre 2008.
Data delle elezioni. La decisione di svolgere le consultazioni elettorali delle tre regioni in questione in contemporanea con le elezioni politiche è stata assunta a seguito del decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento delle Camere del 22 dicembre 2012. Il coevo Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha stabilito la data delle elezioni politiche per il 24 e 25 febbraio 2012. Per le regioni Lombardia e Molise, il prefetto del capoluogo di regione, con proprio decreto, ha provveduto ad indire i comizi per la medesima data del 24 e 25 febbraio ed a ripartire i seggi nelle circoscrizioni provinciali (per la regione Molise, decreto del Prefetto di Campobasso 27 dicembre 2012; per la regione Lombardia, decreto del Prefetto di Milano del 27 dicembre 2012). Per il Lazio, invece, il Presidente della Regione – competente ad indire le elezioni ai sensi di quanto dispone la normativa regionale - con decreto n. 420/2012 del 22 dicembre 2012 ha provveduto ad indire i comizi elettorali, rinnovando il precedente decreto n. 412 del 1° dicembre 2012 che fissava la data delle elezioni per i giorni 10 e 11 febbraio 2013.
Si ricorda che il decreto-legge 98 del 2011 (art. 7) ha introdotto il cosiddetto election day prevedendo che le consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei presidenti delle province e delle regioni, dei consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, si svolgono, compatibilmente con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, in un'unica data nell'arco dell'anno.
Numero dei consiglieri regionali. L’articolo 2 del decreto-legge 174/2012, conferma, tra l'altro, la Riduzione del numero dei consiglieri regionali e degli assessori disposta dal decreto legge 138/2011; la norma pone dei termini temporali per l'adeguamento della normativa regionale e dispone, nel caso di mancato adeguamento alla data di indizione delle elezioni, che le elezioni si svolgano considerando il numero massimo di consiglieri previsto dall’art. 14, del D.L. 138/2011. La regione Molise con propria legge n. 21 emanata il 5 ottobre 2012 ha ridotto il numero dei consiglieri da 30 a 20 (escluso il Presidente). Nella regione Lombardia, il numero di consiglieri regionali (80 consiglieri) era già conforme al parametro del D.L. 138/2011 al momento dell’emanazione del decreto-legge 174/2012. Nella regione Lazio, che ha adottato lo statuto ai sensi del l'art. 123 della Costituzione, la modifica del numero di consiglieri sarebbe potuta avvenire solo con la modifica statutaria. Tuttavia, il Presidente della Regione ha provveduto a diminuire il numero dei consiglieri regionali da 70 a 50, con il primo decreto di ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni (n. 412 del 1° dicembre 2012) in attuazione dell'articolo 14 del decreto legge 138/2011 e dell'articolo 2 del decreto legge 174/2012. Al riguardo si segnala che il 15 gennaio 2013 il TAR del Lazio (Sez. II bis, Ordinanza n. 168/2013) ha respinto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia del decreto n. 412 del 1° dicembre 2012 del Presidente della Regione Lazio, con cui sono stati ripartiti i seggi per le elezioni regionali del 24 e 25 febbraio 2013, ed è stato fissato il numero complessivo del consiglio regionale in 50 membri oltre il presidente e ha fissato per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 7 marzo 2013.
Anche nel Friuli Venezia Giulia, infine, è stato ridotto il numero dei consiglieri regionali con la legge costituzionale 1/2013 che modifica l'articolo 13 dello statuto (L.cost. 1/1963) in modo tale che il numero dei consiglieri regionali sia determinato in ragione di uno ogni 25.000 abitanti (anziché 20.000) e frazioni superiori a 10.000 abitanti sulla base della popolazione residente secondo l'ultima rilevazione ISTAT "Movimento e calcolo della popolazione residente" annuale (anziché sulla base dell'ultimo censimento). Secondo il nuovo testo i consiglieri da eleggere nel 2013 saranno 50, al posto degli attuali 59 consiglieri in carica.
Le modifiche apportate dalla legge costituzionale 1/1999 agli articoli 121, 122 e 123 della Costituzione, hanno conferito alle regioni a statuto ordinario potestà legislativa in materia elettorale nei «limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Ciascuna regione, inoltre, adotta uno statuto che ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.
Nelle regioni che non hanno adottato una propria legge elettorale, il sistema elettorale è disciplinato dalla normativa nazionale, costituita da un complesso di norme il cui nucleo fondamentale sono la legge 108/1968, la legge 43/1995, l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 ed infine la legge 165/2004, che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale.
Quanto alle leggi elettorali delle regioni, nessuna di esse ha modificato sostanzialmente il sistema di elezione stabilito dalle leggi nazionali; tutte conservano l’impianto proporzionale in circoscrizioni corrispondenti al territorio delle province e l’esito maggioritario in sede regionale. Tutte recepiscono espressamente la legislazione nazionale per quanto le leggi regionali non dispongono diversamente.
Le regioni Campania, Marche, Toscana, Umbria e Veneto (quest'ultima regione ha adottato la legge regionale nel gennaio 2012, perciò non è stata ancora applicata) hanno emanato proprie leggi elettorali che sostituiscono quasi integralmente la disciplina statale. Le regioni Calabria, Lazio, Puglia e Lombardia hanno approvato leggi elettorali che in varia misura e per aspetti diversi sostituiscono, integrano e modificano la legislazione nazionale. La regione Piemonte ha modificato parzialmente soltanto le disposizioni che disciplinano la presentazione delle liste circoscrizionali e regionali.
Nelle regioni Liguria, Emilia-Romagna, Basilicata, Molise e, salvo quanto detto sopra, Piemonte si applica la disciplina nazionale.
Il sistema elettorale vigente nelle regioni in cui si applica la disciplina nazionale e quello vigente in ciascuna regione che ha adottato una propria normativa è illustrato con schede analitiche nel dossier Documentazione e ricerche n. 120, redatto in occasione delle elezioni regionali del 2010. Rispetto alle informazioni contenute nel dossier, occorre ora aggiungere la normativa adottata dalla regione Lombardia, illustrata di seguito in modo sintetico (nonché la normativa della regione Veneto, come ricordato sopra), mentre nulla è cambiato per la regione Lazio. Quanto alla regione Molise, non citata nel dossier, in essa si applica la disciplina nazionale, in quanto – in relazione al sistema elettorale - non ha adottato alcuna norma.
La regione Lombardia ha adottato la LR 31 ottobre 2012, n. 17, recante Norme per l'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione, con la quale apporta alcune modifiche alla disciplina dettata dalla legislazione nazionale, pur non alterandone l'impianto sostanziale. E' abolito il cosiddetto 'listino', tutti i consiglieri regionali sono perciò eletti sulla base delle liste circoscrizionali; diverso anche il sistema di attribuzione del premio di maggioranza: assegnato alla coalizione che sostiene il candidato alla carica di Presidente risultato vincente sulla base dei voti ottenuti dallo stesso candidato Presidente (se inferire al 40% dei voti validi, il premio è pari al 55% dei seggi del Consiglio – escluso il Presidente, se è uguale o superiore al 40% dei voti validi il premio è pari al 60% dei seggi). La legge introduce, inoltre, norme sulla parità di genere (le liste sono composte seguendo l'ordine dell'alternanza di genere) e il divieto di candidatura alla carica di Presidente della regione per chi ha già ricoperto due mandati consecutivi.
Il 28 e 29 marzo 2010 si sono svolte le elezioni regionali e il primo turno di quelle amministrative.
L'abbinamento di tali elezioni è stato stabilito con un emendamento introdotto dalla Camera al decreto-legge 131/2009, (A.C. 2775). Il decreto-legge è stato adottato per disporre il rinvio, a seguito degli eventi sismici che hanno colpito l'Abruzzo, del turno elettorale ordinario del 2010 delle elezioni amministrative da tenersi nella provincia dell'Aquila.
Con l'accorpamento di elezioni regionali e amministrative si è perseguito l'obiettivo di contenere gli oneri finanziari delle consultazioni elettorali e di limitare i disagi per la chiusura delle scuole che sono sedi di seggi elettorali.
Il 5 marzo 2010 il Governo ha adottato il decreto-legge 29/2010 riguardante la presentazione delle liste dei candidati alle elezioni regionali, il contenzioso sull'ammissione delle liste stesse e l'affissione dei manifesti elettorali.
Presso alcune regioni le disposizioni del decreto-legge sono state applicate, in sede di contenzioso, dai competenti organi sotto più profili, tra i quali quello dell'ammissione di talune liste inizialmente escluse.
L'Assemblea della Camera nella seduta del 13 aprile 2010 ha approvato un emendamento soppressivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge (A.C. 3273) che pertanto è stato respinto.
Al fine di salvaguardare gli effetti prodotti dal decreto-legge durante la sua vigenza, è stata approvata una legge di sanatoria di inizativa parlamentare (L. 60/2010).
Il 22 settembre 2009 la Commissione Affari costituzionali della Camera aveva iniziato l'esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. 2669) in materia di sistema elettorale regionale, provinciale e comunale, riguardante:
L’esame del provvedimento non si è concluso al termine della legislatura.
Sul sistema elettorale regionale
Sull'abbinamento delle elezioni regionali e amministrative e sul procedimento elettorale
Sulle modifiche alla disciplina elettorale
1.I risultati delle elezioni regionali 2013
2.I risultati delle elezioni regionali 2010
Nel 2011 è stato celebrato il 150° anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia. Pertanto, il 17 marzo 2011 è stato dichiarato festa nazionale, con osservanza del completo orario festivo e imbandieramento degli edifici pubblici. Inoltre, nel corso della legislatura, sono state istituite con legge sei nuove "giornate nazionali", solennità che non comportano gli effetti propri della festività. Nell'ambito delle manovre di contenimento della spesa pubblica, il D.L. 138/2011 ha previsto una misura di razionalizzazione delle festività nazionali mediante loro accorpamento.
Solo per il 2011, la giornata del 17 marzo è stata dichiarata «festa nazionale» dall’articolo 7-bis del D.L. 64/2010, in quanto ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell'Unità d'Italia.
Tuttavia, poiché la stessa disposizione non ha disciplinato gli effetti conseguenti alla dichiarazione di festività nazionale, è intervenuto il D.L. 5/2011 per sancire gli effetti civili della festività, riconoscendo l’osservanza del completo orario festivo e l’imbandieramento degli edifici pubblici, ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge n. 260 del 1949.
Per evitare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, il decreto ha stabilito una misura di compensazione, disponendo che gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre o per una delle altre festività soppresse ai sensi della legge n. 54/1977, non si applicano a una di tali ricorrenze ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia proclamata per il 17 marzo 2011. Con riguardo al lavoro pubblico, si prevede – per le medesime finalità – che siano ridotte a tre le giornate di riposo compensativo delle festività soppresse riconosciute dalla normativa vigente e, in base ad essa, dai contratti e accordi collettivi.
Con la legge 222/2012 (art. 1, co. 3), il 17 marzo di ogni anno è “Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”, senza gli effetti stabiliti per il 2011.
Nel corso della XVI legislatura, il Parlamento ha istituito con legge sei nuove solennità civili. La proclamazione delle ricorrenze non determina riduzione dell’orario di lavoro negli uffici pubblici ai sensi dell’art. 3 della L. 260/1949, né, ricorrendo in giorni feriali, determina un giorno di vacanza o riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado ai sensi degli artt. 2 e 3 della L. 54/1977. Piuttosto, nelle giornate prescelte si svolgono celebrazioni solenni, manifestazioni e iniziative di sensibilizzazione sui temi della ricorrenza.
In particolare, la L. 41/2009 ha istituito la “Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia” con cadenza il 5 maggio. La L. 162/2009 ha individuato il “Giorno della memoria dei militari italiani caduti per la pace” nel 12 novembre, data dell’attentato di Nassiriya.
Una ulteriore solennità civile è stata introdotta dalla L. 101/2011, che riconosce il 9 ottobre come “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”. A partire dal 2011, il decreto-legge n. 225/2011 (articolo 2, co. 3-decies), ha istituito una giornata dedicata alla memoria delle vittime del terremoto che ha colpito il territorio dell’Abruzzo e, in particolare, della provincia de L’Aquila il 6 aprile 2009 nonché, più in generale, alla memoria delle vittime di tutti gli eventi sismici e calamità naturali. La Giornata viene celebrata il 6 aprile.
Infine, con la legge 222/2012 (art. 1, co. 3), la Repubblica riconosce il 17 marzo di ogni anno “Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”. Al fine di perseguire l’attuazione del Protocollo di Kyoto, l’articolo 1 della legge 10/2013 ha individuato il 21 novembre quale Giornata nazionale degli alberi.
Altre proposte sono state esaminate da entrambi i rami del Parlamento, senza concludere l'iter.
Nel corso della legislatura, è stata approvata una norma che mira a razionalizzare il godimento delle festività, prevedendone un eventuale accorpamento per finalità di contenimento della spesa.
La disposizione è contenuta nell’articolo 1, comma 24, del D.L. 138/2011, in base alla quale, a decorrere dal 2012, con d.P.C.M. sono fissate annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi patroni, in modo tale che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva ovvero coincidano con tale data.
Sono espressamente escluse dalla applicazione della disposizione le festività del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno. Il decreto deve essere emanato entro il 30 novembre dell'anno precedente e può incidere sulle date in cui ricorrono tre categorie di festività:
a) festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede (considerate le esclusioni descritte, si tratta solo dei giorni di lunedì dopo Pasqua e del 26 dicembre);
b) celebrazioni nazionali;
c) festività dei Santi patroni.
La disposizione non ha ricevuto applicazione. Nella seduta del 20 luglio 2012, infatti, il Consiglio dei Ministri ha esaminato la questione del calendario delle festività e ed ha deciso di non procedere all’accorpamento delle festività per tre ragioni. Anzitutto perché, secondo le stime della Ragioneria generale, la misura non dà sufficienti garanzie di risparmio. Inoltre, perché non esistono in Europa previsioni normative di livello statale che accorpino le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni. Infine, perché, secondo il Governo, l’attuazione della misura nei confronti dei lavoratori privati violerebbe il principio di salvaguardia dell’autonomia contrattuale, con il rischio di aumentare la conflittualità tra lavoratori e datori di lavoro.
Il comma 92 dell’articolo 1 della L. 228/2012, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo con una dotazione di un milione di euro per l’anno 2013, al fine di consentire la promozione e lo svolgimento di iniziative per la celebrazione del settantesimo anniversario della Resistenza e della guerra di liberazione. Il fondo è destinato a finanziare le iniziative promosse dalla Confederazione italiana fra le associazioni combattentistiche e partigiane.
La I Commissione della Camera ha avviato l’esame della proposta A.C. 4858 che modifica la disciplina per la concessione della decorazione «Stella al merito del lavoro», istituita con il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3167, attualmente recata dalla L. 5 febbraio 1992, n. 143. L’esame non si è concluso prima della fine della legislatura.
L’elenco dei giorni considerati festivi a livello nazionale è riportato all’articolo 2 della legge n. 260/1949. Tale elenco ha peraltro subìto, negli anni, gli effetti di vari interventi normativi, tra i quali si ricordano:
Attualmente sono considerati giorni festivi ai sensi della L. 260/1949:
In tali giorni si osserva il completo orario festivo e il divieto di compiere determinati atti giuridici.
Occorre inoltre ricordare che, ai sensi dell’art. 6 dell’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984 (ratificato con L. 121/1985) di modifica al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, è stato stabilito che l’elenco delle festività religiose riconosciute come giorni festivi dalla Repubblica italiana è determinato d’intesa fra quest’ultima e la Santa Sede. In attuazione del suddetto art. 6, è stato adottato il D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792, recante il cui art. 2 stabilisce che sono festività religiose:
Le ricorrenze dei Santi patroni non costituiscono "festività" ai sensi della legge 260/1949, ma ad esse sono spesso ricollegati gli effetti civili propri delle festività ad opera dei contratti collettivi di lavoro. L'unica ricorrenza di questo genere prevista dalla legge è la festa dei SS. Pietro e Paolo, che riguarda esclusivamente la città di Roma e che è prevista dagli accordi tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede.
Il complesso dei giorni festivi può dunque riassumersi come segue:
Festività ex L. 260/1949 e successive modificazioni e integrazioni |
Festività religiose ex D.P.R. 792/1985 |
tutte le domeniche |
tutte le domeniche |
1° gennaio (Capodanno) |
1° gennaio (Maria Santissima Madre di Dio) |
|
6 gennaio (Epifania del Signore) |
lunedì dopo Pasqua |
|
25 aprile (anniversario della liberazione) |
|
1° maggio (festa del lavoro) |
|
2 giugno (fondazione della Repubblica) |
|
|
29 giugno (SS. Pietro e Paolo), per il solo comune di Roma |
15 agosto (Assunzione della Beata Vergine Maria) |
15 agosto (Assunzione della Beata Vergine Maria) |
1° novembre (Ognissanti) |
1° novembre (tutti i Santi) |
8 dicembre (Immacolata Concezione) |
8 dicembre (Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria) |
25 dicembre (Natale) |
25 dicembre (Natale del Signore) |
26 dicembre |
|
Nelle ultime legislature, il Parlamento è intervenuto, con una frequenza crescente, ad istituire e riconoscere con legge nuove ricorrenze civili a livello nazionale, senza attribuire a tali celebrazioni carattere di giorno festivo.
La già ricordata legge 260/1949 introduce, all'art. 3, l'espressione “solennità civile” che, ai sensi della legge 5 marzo 1977, n. 54, non determina riduzioni di orario di lavoro negli uffici pubblici. Tale espressione è stata successivamente impiegata dal legislatore in relazione alla istituzione di alcune ricorrenze nazionali. Si vedano, ad esempio: legge 31 luglio 2002, n. 186; legge 30 marzo 2004, n. 92; legge 10 febbraio 2005, n. 24; legge 3 agosto 2007, n. 126; legge 12 novembre 2009, n. 162; legge 14 giugno 2011 n. 101.
Le tabelle che seguono elencano le ricorrenze civili non festive, istituite con legge, ovvero con fonti di livello inferiore.
Ricorrenze istituite con legge
Data |
Ricorrenza |
Norme di riferimento |
7 gennaio |
Giornata nazionale della bandiera |
|
27 gennaio |
Giorno della Memoria (in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti) |
|
10 febbraio |
Giorno del ricordo (in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale) |
|
11 febbraio |
Anniversario della stipulazione del Trattato e del Concordato con la Santa Sede |
|
21 febbraio |
Giornata nazionale del Braille |
|
17 marzo |
Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera |
|
6 aprile |
Giornata della memoria per le vittime del terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito la provincia dell’Aquila e altri comuni abruzzesi, nonché degli altri eventi sismici e delle calamità naturali che hanno colpito l’Italia |
|
5 maggio |
Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia |
|
9 maggio |
Giorno della memoria (dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice) |
|
9 settembre |
Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare |
|
28 settembre |
Insurrezione di Napoli |
|
2 ottobre |
Festa nazionale dei nonni |
|
4 ottobre |
Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena |
|
9 ottobre |
Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo |
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1ª domenica di novembre |
Giorno dell’unità nazionale |
|
9 novembre |
Giorno della libertà (in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino) |
|
12 novembre |
Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace |
|
20 novembre |
Giornata italiana per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza |
|
21 novembre |
Giornata nazionale degli alberi |
Data |
Ricorrenza |
Atto |
9 febbraio |
Giornata nazionale degli stati vegetativi |
Dir.PCM 26/11/2010 |
23 marzo |
Giornata della prevenzione oncologica |
Dir.PCM 24/05/2001 |
24 marzo |
Giornata nazionale della lettura |
DPCM 15 luglio 2009 |
27 marzo |
Giornata mondiale del teatro |
Dir. PCM 6/11/2009 |
Fissata dal Ministro per la salute tra il 21 marzo il 31 maggio |
Giornata per la donazione degli organi |
Dir. PCM 27/03/2000 |
1° maggio |
Giornata nazionale dell’epilessia |
Dir. PCM 23/04/ 2002 |
2a domenica di maggio |
Giornata nazionale della bicicletta |
Comunicato del Min. ambiente - G.U. 16/4/2010 |
3a domenica di maggio |
Giornata nazionale della musica popolare |
Dir.PCM 13/05/2004 |
Giornata nazionale del malato oncologico |
Dir.PCM 19/1/2006 Dir.PCM 5/3/2010 |
|
Ultima domenica di maggio |
Giornata nazionale del sollievo |
Dir.PCM24/05/2001 |
1° domenica di giugno |
Giornata nazionale dello sport |
Dir. PCM 27/11/2003 |
Indetta annualmente in genere in coincidenza con la giornata mondiale per la donazione del sangue |
Giornata nazionale per la donazione del sangue |
Dir. PCM 6/06/2003 |
28 giugno |
Giornata nazionale per la prevenzione e la cura dell'incontinenza |
Dir.P.C.M. 10-5-2006 |
8 agosto |
Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo |
Dir. PCM 1/12/2001 |
1° domenica di ottobre |
Giornata nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche |
DPCM 28/02/03 |
12 ottobre |
Giornata nazionale di Cristoforo Colombo |
Dir. PCM 20/02/2004 |
2° domenica di ottobre |
Giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro |
Dir.PCM 24/04/1998 Dir.PCM 7/03/2003 |
5 dicembre |
Giornata nazionale della salute mentale |
Dir.PCM 25/06/2004 |
Il Miur individua la data d’intesa con la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome |
Giornata nazionale della Scuola |
La L. 41/2009 istituisce la “Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia” quale momento di riflessione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla lotta contro gli abusi sui minori. La data prescelta per la celebrazione è quella del 5 maggio.
In occasione della Giornata, le regioni, le province e i comuni possono promuovere, nell'ambito della loro autonomia e delle rispettive competenze, apposite iniziative, in particolare, nelle scuole di ogni ordine e grado, in considerazione del compito loro attribuito “di formare i giovani affinché contribuiscano a costruire un mondo rispettoso dei diritti di ogni essere umano”. Tali iniziative non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La L. 162/2009 istituisce il “Giorno della memoria dei militari italiani caduti per la pace”, individuandolo nella giornata del 12 novembre, data in cui persero la vita nell’attentato di Nassiriya diciassette militari e due civili italiani.
In occasione della ricorrenza, le amministrazioni pubbliche possono organizzare cerimonie commemorative e celebrative, nonché promuovere, in particolare nelle scuole, l'organizzazione di studi, di convegni e altre iniziative di riflessione sulle missioni internazionali di pace e sul valore del sacrificio dei caduti militari e civili. Nell’ambito delle attività previste per la Giornata del ricordo, la legge dispone altresì l’organizzazione di un premio a cura del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per i venti migliori lavori - quali saggi, componimenti e rappresentazioni artistiche - realizzati da studenti degli istituti superiori di secondo grado, ciascuno in rappresentanza di una regione italiana, e aventi ad oggetto i temi del sacrificio dei caduti nelle missioni internazionali per la pace, della fratellanza e nella cooperazione trai popoli.
Successivamente all’entrata in vigore della legge, l’articolo unico della legge 204/2012 ha modificato la data della ricorrenza della "Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare", istituita nel 2002 e stabilita in origine per il 12 novembre. Per evitare la coincidenza con il Giorno della memoria dei militari caduti per la pace, la nuova data è stata fissata per il 9 settembre.
Una ulteriore solennità civile è stata introdotta dalla L. 101/2011, che riconosce il 9 ottobre come “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”, allo scopo di sviluppare una maggiore consapevolezza dei rischi connessi ad interventi che alterano gli equilibri del territorio e della necessità di tutelare il patrimonio ambientale del Paese.
L'articolo 2, co. 3-decies del decreto-legge n. 225/2011, ha istituito, a partire dal 2011, una nuova ricorrenza civile, dedicata alla memoria delle vittime del terremoto che ha colpito il territorio dell’Abruzzo e, in particolare, della provincia de L’Aquila il 6 aprile 2009 nonché, più in generale, alla memoria delle vittime di tutti gli eventi sismici e calamità naturali che si sono verificati in Italia. La Giornata viene celebrata ogni anno, il giorno 6 aprile. La disposizione specifica che tale giornata non costituisce festività ai fini lavorativi.
Con l'articolo 1, co. 3, della legge 222/2012 la Repubblica riconosce il 17 marzo “Giornata dell’unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”. Il riconoscimento è operato allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica. La disposizione di legge specifica che la proclamazione della Giornata non determina alcun effetto civile.
Al fine di perseguire, attraverso la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l’attuazione del Protocollo di Kyoto, l’articolo 1 della legge 10/2013 individua il 21 novembre quale Giornata nazionale degli alberi.
La I Commissione della Camera ha approvato in sede legislativa la proposta di legge A.C. 4195, che prevede nell'ambito del «Giorno della Memoria», già istituito dalla legge n. 211/2000, la celebrazione del ricordo dei venti bambini ebrei della scuola di Bullenhuser Damm, uccisi per mano nazista, dopo essere stati deportati nel campo di sterminio di Auschwitz e utilizzati in esperimenti medici nel campo di sterminio di Neuengamme nel 1945. L’intento della proposta – che, nella versione originaria individuava uno specifico momento di ricordo nella giornata del 20 aprile – è di istituire momenti comuni di narrazione e riflessione, in modo particolare nelle scuole, su quanto è accaduto ai bambini ebrei deportati e, più in generale, ai bambini vittime di guerre e di persecuzioni. Nel testo approvato, le iniziative si svolgeranno nel Giorno della memoria già individuato nel 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli nel Campo di Auschwitz, nel 1945. L’iter della proposta si è interrotto al Senato, ove è stata trasmessa (A.S. 3614) in prossimità della scadenza anticipata della legislatura.
La I Commissione della Camera ha esaminato la proposta di legge A.C. 656 ed abb., recante l’istituzione della “Giornata della memoria per le vittime delle mafie”, individuandola nella giornata del 21 marzo (insieme all’A.C. 1925), data in cui l’Associazione “Libera. Associazioni nomi e numeri contro le mafie” celebra da dieci anni la memoria delle vittime di mafia. Sono state abbinate anche la proposte di legge A.C. 833 e A.C. 3179 che, pur con le stesse finalità, propongono che il giorno della memoria sia fissato il 23 maggio, anniversario dell’attentato in cui trovarono la morte il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta. Nel corso dell’esame delle proposte si è registrata una generale condivisione dei gruppi sull’istituzione di una giornata delle memoria. Tuttavia, per addivenire ad una soluzione condivisa anche in merito alla data, la Commissione ha costituito un Comitato ristretto che non ha concluso i suoi lavori entro il termine della legislatura.
Con l’intento di sostenere la testimonianza e la memoria storica sui fatti di mafia e di terrorismo, la I Commissione ha avviato l’esame anche della proposta di legge A.C. 2417. Nel caso di specie, l’iniziativa legislativa non era tesa a istituire una nuova ricorrenza civile, bensì a prevedere la concessione di un “attestato” di testimone della memoria storica, rilasciato dal Ministero dell’interno alle vittime, oltreché ai familiari superstiti, dei reati di tipo mafioso e degli atti di terrorismo nonché delle stragi di tale matrice, sia compiuti nel territorio nazionale sia all'estero, qualora abbiano coinvolto cittadini italiani. Il testo della proposta prevede per i possessori dell’attestato il riconoscimento di una nuova tipologia di permesso lavorativo straordinario retribuito, nella misura massima di 150 ore annue individuali, al fine di effettuare interventi pubblici di ricordo, testimonianza e memoria storica nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università del territorio nazionale.
Nel corso della legislatura è stato avviato, ma non concluso, anche l’esame della proposta di legge A.C. 3658, volta ad istituire in tutto il territorio nazionale la giornata del Calendario gregoriano, in memoria di Aloysius Liliu (Luigi Lilio), ideatore della riforma del Calendario gregoriano, adottato in tutte le nazioni del mondo. Nella ricorrenza non festiva, da celebrarsi ogni 21 marzo, si prevedono iniziative culturali nelle scuole, nonché cerimonie e incontri di approfondimento e analisi storica sull'importanza del Calendario gregoriano e sulla figura e l'opera del suo ideatore.
Al Senato è stato altresì avviato l’esame del disegno di legge A.S. 2558, volto ad estendere il “Giorno della memoria” (27 gennaio) alle etnie dei rom e dei sinti che, come il popolo ebraico, dal maggio del 1940 e fino al 1944 subirono deportazioni nei campi di concentramento e una serie di rastrellamenti.
La Camera ha esaminato il disegno di legge presentato dal Governo che introduce un sistema di elezione di secondo grado per il presidente della provincia e per i consiglieri provinciali. L'esame del provvedimento non si è concluso.
Il disegno di legge (A.C. 5210) attua (e in alcuni punti modifica) quanto disposto dal D.L. 201/2011 (art. 23) che ha riformato la materia delle funzioni e degli organi delle province, assegnando ad esse esclusivamente funzioni di indirizzo e di coordinamento e disponendo la riduzione del numero dei consiglieri provinciali e la loro elezione da parte dei consigli comunali.
L’introduzione di un nuovo sistema elettorale provinciale si inserisce nel processo di generale riordino dell’istituto della provincia avviato nella XVI legislatura (si veda in proposito il tema Province e città metropolitane).
Il nuovo sistema elettorale delineato dal disegno di legge del Governo è un sistema proporzionale, con voto di lista e preferenze, senza coalizioni, né soglie di sbarramento, né premi di maggioranza. In estrema sintesi:
I sindaci e i consiglieri comunali eletti nei consigli provinciali mantengono le rispettive cariche nel comune di provenienza, ma non cumulano le indennità.
La relazione tecnica del Governo ha stimato una notevole riduzione della spesa presunta per le elezioni provinciali, pari secondo la nuova normativa, a 707.500 euro, a fronte di spese, a legislazione vigente, di oltre 318 milioni di euro.
La I Commissione ha esaminato questo disegno di legge, al quale è stata abbinata la proposta di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 5531), tra il giugno e il dicembre 2012, senza tuttavia pervenire alla sua approvazione.
Successivamente, con un emendamento al disegno di legge di stabilità, è stato prorogato al 31 dicembre 2013 il termine, originariamente fissato al 31 dicembre 2012, entro il quale è adottata la legge elettorale provinciale (art. 1, comma 115, L. 228/2012) .
Si ricorda che, nelle more dell’approvazione della nuova legge elettorale, i consigli provinciali in scadenza non sono rinnovati e le province sono rette da commissari di governo.
Nella XVI legislatura si sono registrati diversi interventi normativi diretti a modificare la disciplina dell'elettorato passivo. Di particolare rilievo l'introduzione di cause di incandidabilità alla carica di parlamentare a seguito di sentenza definitiva di condanna penale.
La legge 175/2010 ha introdotto una nuova fattispecie di ineleggibilità connessa alla violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.
In primo luogo, questa legge interviene sulla disciplina delle misure di prevenzione, introducendo il delitto di violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale, nelle forme previste dalla legge 212/1956 (affissione di stampati, giornali murali o manifesti di propaganda, propaganda elettorale luminosa o figurativa, lancio di volantini) per le persone sottoposte a tali misure. Il delitto è punito con la reclusione da 1 a 5 anni e la pena si applica anche al candidato che, conoscendo la condizione di persona sottoposta in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede alla medesima di svolgere attività di propaganda elettorale e se ne avvale concretamente (art. 10, commi 5-bis.1 e 5-bis.2 L. 575/1965, introdotti dall'art. 1 della L. 175/2010, poi confluiti nel D.Lgs. 159/2011, Codice antimafia, artt. 67, comma 7 e 76, comma 8).
La condanna comporta, inoltre, l’interdizione dai pubblici uffici dalla quale consegue l'ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell'interdizione dai pubblici uffici (art. 2, L. 175/2010).
Nella XVI legislatura sono state introdotte nell’ordinamento alcune cause di incandidabilità alla carica di parlamentare. In precedenza l’istituto dell’incandidabilità era previsto esclusivamente per le elezioni regionali e amministrative.
Le stesse cause di incandidabilità costituiscono cause ostative all'assunzione di incarichi di governo a livello nazionale, regiobnale e locale.
Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale emerge che le cause di incadidabilità costituiscono una specie delle cause di ineleggibilità (sent. 141/1996); tuttavia, a differenza di queste ultime, che possono generalmente essere rimosse entro un termine predefinito, le cause di incandidabilità precludono la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo per il tempo previsto dalla relativa disciplina.
Una prima causa di incandidabilità è stata introdotta dal D.Lgs. 149/2011 (premi e sanzioni) adottato in attuazione della legge sul federalismo fiscale (L. 42/2009).
Il presidente di regione rimosso a seguito di grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario è incandidabile alle cariche di deputato e senatore, nonché alle cariche elettive a livello locale, regionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni (art. 2, comma 3, D.Lgs. 149/2011).
Parimenti i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, al Parlamento nazionale e a quello europeo, nonché alle cariche elettive di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali (art. 248, comma 5 del D.Lgs. 267/2000, come modificato dal comma 1, art. 6 del D.Lgs. 149/2011, e dal comma 1, lett. s) dell'art. 3 del D.L. 174/2012).
Ulteriori cause di incandidabilità sono previste dal decreto legislativo recante il testo unico in materia di incandidabilità (D.Lgs. 235/2012), adottato dal Governo in base alla delega disposta dall’art. 1 della L. 6 novembre 2012, n. 190 (legge anticorruzione); questa delega, tra i principi e i criteri direttivi, prevede la temporanea incandidabilità a parlamentare di chi abbia riportato condanne definitive per alcuni delitti, ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il testo unico contenuto nel decreto legislativo prevede l’incandidabilità alla Camera e al Senato e che, comunque, non possa ricoprire la carica di deputato e di senatore chi è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), per tre categorie di condanne definitive riferite a delitti, non colposi, consumati o tentati.
La prima categoria riguarda le fattispecie di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale (si tratta di gravi delitti quali quelli concernenti mafia, terrorismo, stupefacenti ecc.)
La seconda categoria è costituita dalle condanne a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti previsti nel Libro II, Titolo II (Delitti contro la pubblica amministrazione), Capo I (Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del codice penale.
La terza categoria riguarda i casi di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni stabilita in base all’art. 278 c.p.p. Tale articolo disciplina la determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari.
Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o sia comunque accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera in sede di verifica dei poteri, a norma dell’art. 66 Cost., il quale prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
Con la XVI legislatura al numero di cariche incompatibili con quella di parlamentare si sono aggiunte anche quelle di presidente di provincia e di sindaco di comuni con più di 5.000 abitanti. Il D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (art. 13, comma 3), ha, infatti, stabilito l’incompatibilità tra le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo, con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti. La norma dispone l’applicazione di tali incompatibilità a partire dalle elezioni politiche del 2013.
Tuttavia, la Corte costituzionale ne ha anticipato, in un certo senso, il principio ispiratore, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della L. 60/1953 (relativa alle incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20 mila abitanti (sent. 277/2011).
La Camera dei deputati ha recepito la sentenza della Corte costituzionale con la decisione della Giunta delle elezioni adottata nella seduta del 14 dicembre 2011 che ha accertato l'incompatibilità con il mandato parlamentare delle cariche di sindaco di comune con popolazione superiore a 20 mila abitanti ricoperte da 6 deputati.
La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha invece ritenuto di non applicare gli effetti della sentenza a due senatori/sindaci sui quali la Giunta si era già pronunciata in precedenza (seduta del 21 dicembre 2011).
Nella legislatura sono state introdotte ulteriori cause di incompatibilità parlamentari con cariche in organismi (quali ad esempio autorità e agenzie di settore) ad opera dei provvedimenti istitutivi dei medesimi organismi.
Infine, la legge anticorruzione (art. 1, co. 49, L. 190/2012) reca una delega per modificare la disciplina dell’attribuzione di incarichi dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, compresa la modifica della disciplina vigente in materia di incompatibilità tra gli incarichi dirigenziali e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate. Tra i principi e criteri direttivi è prevista l’esclusione del conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive nel periodo, comunque non inferiore ad un anno, immediatamente precedente al conferimento dell’incarico.
Legge 175/2010
Testo unico incandidabilità
La legge 175/2010 introduce il divieto per il sorvegliato speciale - ai sensi della legge 575/1965 (ora Codice antimafia, D.Lgs 159/2011, v. ultra) - di svolgere le attività di propaganda elettorale.
Il legislatore non ha fino ad oggi espressamente definito il concetto di propaganda elettorale. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per propaganda elettorale si intende la "specifica attività che si svolge nell'ambito del procedimento preparatorio della scelta e che è volta ad influire sulla volontà degli elettori nel periodo che precede le elezioni. Essa si connota [...] per la sua inerenza, diretta o indiretta alla competizione elettorale, sia quando ha, come scopo immediato o mediato, quello di acquistare voti o sottrarne agli avversari, sia quando ha come scopo, anche mediato, di convincere l'elettore a non votare, oppure a presentare scheda bianca, a rendere il voto nullo o ad esprimerlo in modo inefficace" (Corte di cassazione, sentenze n. 477/1998, e n. 11835/1989). Pure in assenza di una definizione generale di propaganda elettorale, già attualmente esistono fattispecie penali che fondano sulla definizione di tali attività – fornita dalla giurisprudenza – condotte penalmente rilevanti (cfr. ad es. art. 99 del D.P.R. 361/1957). Alcune leggi speciali disciplinano invece specifiche attività attraverso le quali si può svolgere la propaganda elettorale.
La ratio dell'introduzione di limitazioni allo svolgimento della propaganda elettorale da parte del sorvegliato speciale è stata così esposta dal relatore del provvedimento nel corso della seduta della Camera dei deputati del 24 febbraio 2010: "L'esigenza di introdurre nell'ordinamento questo divieto nasce da una considerazione tanto semplice quanto nei fatti da molti confutata. La considerazione è la seguente: è del tutto incongruente che la legge privi dell'elettorato attivo e passivo le persone sottoposte a sorveglianza speciale di polizia in forza di apposito decreto del tribunale (tali, per esempio, gli indiziati di appartenere alla mafia o ad altre organizzazioni similari), ma le lasci del tutto libere di svolgere propaganda elettorale e quindi di esercitare una loro influenza sul terreno politico, circostanza questa che offre alle stesse persone ampi spazi di pressione, soprattutto nei piccoli centri del Mezzogiorno d'Italia, sugli orientamenti dell'elettorato. Poiché si tratta di persone riconosciute socialmente pericolose, è fin troppo evidente come, in ipotesi del genere - si pensi, soprattutto in certe zone, ai fiancheggiatori di gruppi mafiosi -, possano risultarne favoriti i perversi intrecci di interesse tra le medesime e gli uomini politici ad esse legati. È questo per l'appunto ciò che la proposta in esame vorrebbe evitare. Al delinquente sottoposto a sorveglianza speciale non interessa tanto di essere persona dentro le istituzioni elettive come comune, provincia, regione o Parlamento. Ha invece interesse che vi sia chi lo possa aiutare o agevolare nella realizzazione di interessi specifici e particolari e, più precisamente, nella realizzazione del malaffare. Introducendo il divieto di propaganda elettorale per il sorvegliato speciale e sanzionando nel contempo anche la condotta del candidato che si rivolge per la propaganda al sorvegliato speciale, si recide alle origini e in maniera concreta l'intreccio delinquenza, politica e malaffare, bonificando le istituzioni. Con il testo in esame si mira a fare in modo che il delinquente non possa procedere alla raccolta dei voti, perdendo così il suo potere contrattuale nei confronti del politico. Questi, a sua volta, non sarà più in alcun modo condizionato dal delinquente. Infatti, è nella fase elettorale che si stringono rapporti sulla base dei quali esponenti della criminalità organizzata offrono voti ai candidati in cambio di favori futuri che spesso attengono al campo degli affari pubblici e, in particolare, agli appalti. A questo proposito vorrei sottolineare che non ritengo sufficiente la normativa vigente per scongiurare tali rischi. L'articolo 416-ter del codice penale, infatti, punisce il cosiddetto voto di scambio solo nel caso in cui sia comprovato lo scambio di denaro tra il candidato e l'elettore. Proprio in ragione della difficoltà di provare tale scambio la predetta disposizione ha trovato finora una scarsa applicazione, mentre nella realtà si registra una stretta collusione tra politica e criminalità organizzata proprio nella fase elettorale. È quindi necessario adottare norme che impediscano ai candidati di affidarsi, per la loro campagna elettorale, ai pregiudicati che hanno il controllo del territorio e che ostentano la loro disponibilità in fase elettorale, perché sicuri della non punibilità " (cfr. resoconto stenografico della seduta della Camera del 24 febbraio 2010).
L'art. 10 della legge 575/1965 prevede una serie di sanzioni accessorie nei confronti del soggetto al quale sia stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione.
L'art. 1 della legge 175/2010 aggiunge al citato art. 10 due nuovi commi.
L'art. 2 della legge 175/2010 disciplina gli effetti della condanna alla pena della reclusione per il delitto previsto dal nuovo comma 5-bis.2 dall’art. 10 della legge 575/1965. Ai sensi del comma 1, tale condanna - anche se conseguente all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) - comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio regolamento.
Il comma 2 stabilisce, al primo periodo, che dall’interdizione dai pubblici uffici consegue l’ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva.
La disposizione in questione ribadisce quanto previsto dall'art. 28 c.p., ai sensi del quale l'interdizione temporanea dai pubblici uffici priva il condannato, durante l'interdizione, del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale e di ogni altro diritto politico. Si ricorda inoltre che l'art. 2 del D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 stabilisce che non sono elettori (e dunque non possono essere eletti) coloro che sono sottoposti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. Per quanto riguarda le elezioni regionali e amministrative, l'art. 19 della legge 55/1990 e l'art. 58 del decreto legislativo 267/2000, prevedono la non candidabilità per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo.
Infine, il secondo periodo del comma 2 dell'art. 2 stabilisce che la sospensione condizionale della pena non ha effetto "ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici".
A tal proposito, si ricorda che l'art. 166 c.p. prevede che la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie. Successivamente, con legge 15/1992 è stato modificato il comma 2 dell'art. 2 del D.P.R. 223/1967, per prevedere che, al contrario, la sospensione condizionale della pena non ha effetto "ai fini della privazione del diritto di elettorato". La disposizione in esame riproduce dunque la formulazione del suddetto art. 2, comma 2, del D.P.R. 223/1967, ampliandone però l'oggetto, in quanto essa si riferisce a tutti gli uffici pubblici e non solo al diritto di elettorato (che rappresenta solo uno degli uffici pubblici oggetto dell'interdizione di cui all'art. 28 c.p.).
Con l'entrata in vigore del Codice antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs 159/2011), le disposizioni della legge 175/2010 sono confluite nel corpus del Codice. Il divieto di propaganda elettorale è ora sancito dall'art. 67, comma 7, del Codice, mentre le sanzioni previste per il reato sono contenute nell'art. 76, comma 8. Gli effetti della condanna per il divieto di propaganda elettorale sono, invece, oggetto dell'art. 76, comma 9, del Codice antimafia.
Il Parlamento nella XVI legislatura è stato impegnato dalle proposte di revisione costituzionale volte a dare maggiore efficienza all'ordinamento della Repubblica, garantendo al contempo la rappresentatività delle istituzioni democratiche, ma anche da altre iniziative, miranti a incidere su singoli punti della Carta costituzionale o a modificare altre leggi costituzionali.
Il dibattito – che aveva attraversato l’intero corso delle legislature precedenti – sulle riforme costituzionali da adottare al fine di dare maggiore efficienza all’ordinamento della Repubblica, garantendo al contempo la rappresentatività delle istituzioni democratiche è ripreso in ambito politico sin dall’avvio della XVI legislatura.
Il tema è emerso in ambito parlamentare in più occasioni: si ricordano i richiami al tema operati, alla Camera, nel corso della discussione di mozioni sulle riforme costituzionali, sul “lodo Alfano” e in tema di giustizia (seduta del 9 giugno 2009) e al Senato, in occasione dell’esame delle mozioni sulle riforme costituzionali (seduta pomeridiana del 2 dicembre 2009).
Sulla base degli orientamenti emersi in sede parlamentare, la Commissione Affari costituzionali della Camera e la Commissione Affari costituzionali del Senato hanno avviato il 7 giugno 2010 un’indagine conoscitiva sulle questioni inerenti al processo di revisione costituzionale in materia di ordinamento della Repubblica, articolata in tre sessioni di audizioni, incentrate sui seguenti temi:
Il 25 luglio 2012, con 153 voti favorevoli, 138 contrari e 7 astenuti, il Senato ha approvato in prima lettura la riforma del Parlamento e della forma di Governo, nel testo proposto dalla Commissione e ampiamente modificato dall'Assemblea (A.S. 24 e abbinate). Il progetto di legge è passato all'esame della Camera (A.C. 5386). L'esame in sede referente presso la Commissione Affari costituzionali non è stato portato a conclusione.
Gli elementi caratterizzanti della riforma approvata dal Senato riguardano:
Oltre alle citate proposte di revisione costituzionale volte ad incidere su alcuni importanti aspetti dell’ordinamento della Repubblica hanno impegnato il Parlamento nella XV legislatura anche altre iniziative, miranti a incidere su singoli punti della Carta costituzionale o a modificare altre leggi costituzionali.
In un solo caso tali iniziative hanno condotto all’approvazione definitiva e all’entrata in vigore di una legge di revisione costituzionale: con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 è stato introdotto nella Costituzione, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, il cosiddetto "pareggio di bilancio". Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera, sia al Senato, la modifica costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum popolare.
Negli altri casi, ai quali di seguito si accenna, l’iter parlamentare non si è concluso prima dello scioglimento delle Camere.
Fin dall’approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale posto dalla nuova ripartizione di attribuzioni legislative tra Stato e regioni è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale.
Nell’ultimo periodo della XVI legislatura il Governo Monti ha approvato, nella seduta del 9 ottobre 2012, un disegno di legge costituzionale di riforma del Titolo V. Come è risultato dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri, l’intervento si è reso necessario alla luce delle criticità emerse nel corso degli anni; tuttavia, dato il breve spazio di legislatura ancora a disposizione, l’obiettivo era quello di apportare modifiche quantitativamente limitate, ma significative dal punto di vista della regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le regioni.
L’intervento riformatore si incentra anzitutto sul principio dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ordinamento, prevedendo che la sua garanzia, assieme a quella dei diritti costituzionali, costituisce compito primario della legge dello Stato, anche a prescindere dal riparto delle materie fra legge statale e legge regionale. E’ la cosiddetta clausola di supremazia presente in gran parte degli ordinamenti federali.
Si tende, inoltre, ad impostare il rapporto fra leggi statali e leggi regionali secondo una logica di complementarietà e di non conflittualità, con alcune innovazioni particolarmente incisive.
Si attribuisce inoltre alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio nell’area della legislazione concorrente, prevedendo che spetta alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica. Si dispongono, poi, confini meno rigidi fra potestà regolamentare del Governo e potestà regolamentare delle regioni, prevedendo in modo semplice che lo Stato e le regioni possano emanare regolamenti per l’attuazione delle proprie leggi.
L’esame del disegno di legge (A.S. 3520), è iniziato al Senato, presso la I Commissione, ma si è subito interrotto in quanto contemporaneamente presso la I Commissione della Camera era in corso l’esame di diverse proposte di legge costituzionali vertenti sul medesimo tema. A seguito di intese tra i due Presidenti delle Camere si è convenuto che il disegno di legge governativo proseguisse alla Camera in abbinamento alle proposte di legge di iniziativa parlamentare già incardinate.
Le proposte di legge costituzionale abbinate al disegno di legge del governo intervengono sulla ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni delineata dall’articolo 117 della Costituzione. Le proposte di legge Zaccaria (A.C. 445), Carlucci (A.C. 763), Mantini (A.C. 1709), Borghesi (A.C. 2801), Laffranco (A.C. 4423) e Libè (A.C. 4806 e A.C. 5432) Palumbo, sono volte ad ampliare l’ambito di intervento del legislatore statale; la proposta di legge Zaccaria (A.C. 445), in particolare, introduce una cd. clausola di supremazia, che consente un intervento della legge statale nelle materie di competenza concorrente o residuale regionale.
La proposta di legge Volontè (A.C. 1372) disegna un diverso equilibrio tra attribuzioni legislative statali e attribuzioni legislative regionali, con una notevole riduzione delle materie di competenza concorrente, che per la maggior parte transitano nella competenza regionale, e nell’individuazione espressa di alcune materie attribuite alla competeza esclusiva delle regioni. Essa inoltre ha un contenuto più ampio rispetto alle altre, in quanto non si limita ad intervenire sull’art. 117 Cost., ma modifica molti altri articoli del titolo V.
Come si è detto, l’esame delle proposte parlamentari e del disegno di legge governativo non è stato portato a conclusione.
Nel corso della XVI legislatura presso il Senato è iniziato l'esame congiunto di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a modificare la disciplina costituzionale in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum (A.S. 83 ed abbinate).
Alcune proposte miravano ad una revisione complessiva della disciplina di questi due importanti strumenti di democrazia diretta, prevedendo tra l'altro la possibilità di sottoporre a referendum popolare (referendum propositivo o deliberativo) le proposte legislative di iniziativa popolare in caso di mancata approvazione entro un determinato termine e introducendo l'istituto del referendum confermativo, che può essere attivato prima dell'entrata in vigore di una legge.
Altre proposte erano invece volte più specificamente a rivitalizzare l'istituto del referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione, disponendo l'aumento del numero di sottoscrizioni necessarie per la richiesta di referendum, abbassando il quorum di partecipazione per la validità dello stesso ed anticipando il controllo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale.
Tra le iniziative di riforma costituzionale che hanno caratterizzato la XVI legislatura vanno menzionate le proposte di modifica degli articoli 41, 97 e 118 Cost. finalizzate a rafforzare la garanzia costituzionale della libertà economica.
In particolare presso la Camera è iniziato l'esame di un disegno di legge costituzionale del Governo, presentato il 7 marzo 2011 (A.C. 4144), che riguarda la c.d. Costituzione economica. L'Assemblea della Camera ha modificato il testo approvato in commission, ma non ha portato a conclusione l'esame.
Il nucleo fondamentale delle modifiche, con riferimento all’articolo 41 Cost., estende la garanzia costituzionale della libertà dell’iniziativa economica privata anche alla libertà dell’attività economica, da intendersi quale successivo momento di svolgimento connesso alla fase iniziale di scelta dell’attività stessa. Il terzo comma del vigente art. 41 viene, poi, interamente riscritto da un emendamento introdotto nel corso dell’esame in Commissione, per il quale la legge e i regolamenti disciplinano le attività economiche al solo fine di impedire la formazione di monopoli pubblici e privati e, come aggiunto da un emendamento approvato in Assemblea, nel rispetto del principio di libera concorrenza.
Si stabilisce infine che la legge si conformi ai principi di fiducia e di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini, prevedendo, di norma, controlli successivi.
Completano la riforma della costituzione economica la modifica degli articoli 97 e 118 della Costituzione. Quanto all’articolo 97, relativo alla pubblica amministrazione, si specifica che le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà e dei diritti dei cittadini e del bene comune e l'esercizio, anche indiretto, di queste è regolato in modo che ne siano assicurate l'efficienza, l'efficacia, la semplicità e la trasparenza. E’ sostituita l’espressione “pubblici uffici” con quella di “pubbliche amministrazioni”, organizzate secondo disposizioni di legge. Tra i criteri da rispettare nella definizione dell’ordinamento degli uffici amministrativi viene introdotto il principio di distinzione tra politica e amministrazione. E’ infine specificato che la carriera dei pubblici impiegati è regolata in modo da valorizzarne la capacità e il merito.
La modifica del quarto comma dell’art. 118 della Costituzione, riguarda la c.d. sussidiarietà orizzontale,stabilendosi che lo Stato e gli altri enti territoriali esercitano le attività che non possono essere svolte adeguatamente dai cittadini singoli o associati.
Una complessiva riforma del titolo IV della parte II della Costituzione, relativo alla magistratura è stata oggetto di un disegno di legge costituzionale presentato nel corso della XVI legislatura dal governo Berlusconi (A.C. 4275).
Uno dei princìpi ispiratori della riforma è l’affermazione di una netta distinzione, nell’ambito della categoria dei magistrati, tra giudici e pubblici ministeri. Corollario di tale distinzione è la separazione delle carriere ed una disciplina differenziata della posizione di autonomia e indipendenza del pubblico ministero, in parte già desumibile dall’ordinamento costituzionale vigente.
Il riconoscimento quale ordine autonomo e indipendente da ogni potere, che nel testo vigente riguarda tutti i magistrati, viene riferito unicamente ai giudici allo stesso modo, l’esercizio della giurisdizione è limitato ai giudici. Per l’ufficio del pubblico ministero, viene previsto che esso sia organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza. La possibilità per la legge di prevedere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari viene estesa ai pubblici ministeri e non più limitata alle funzioni attribuite a giudici singoli.
E’ inoltre oggetto di modifica il principio dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, con l’attribuzione alla legge della determinazione dei criteri per tale esercizio.
Sono oggetto di modifica le attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura (CSM).
Quanto alla polizia giudiziaria, viene meno il riferimento al potere della magistratura di disporre «direttamente» della polizia giudiziaria ed la disciplina del rapporto tra magistratura e polizia giudiziaria è rimessa alla legge.
Sono poi ampliate le attribuzioni del Ministro della giustizia, con la costituzionalizzazione della funzione ispettiva e della relazione annuale al Parlamento.
All’articolo 111 Cost., che sancisce i princìpi del giusto processo, è aggiunto un nuovo comma sull’appellabilità delle sentenze.
Una nuova disposizione costituzionale riguarda la responsabilità dei magistrati. È sancita la responsabilità diretta dei magistrati per atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato ed è introdotto il principio della responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personali.
Nel corso della XVI legisatura la Camera ha esaminato alcune proposte di legge costituzionale volte a modificare la disciplina sul passaggio di comuni e province ad altra regione.
Inoltre, la Camera ha approvato un progetto di legge finalizzato a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica, economica e sociale ed a equiparare tra l’elettorato attivo a quello passivo (A.C. 4358 – A.S. 2921). Il Senato non ha concluso l'esame del testo.
Il disegno di legge prevedeva l’equiparazione dell’età per l’esercizio del diritto di voto passivo e attivo e il conseguente abbassamento dei limiti di età per l’eleggibilità a Camera e Senato. L’equiparazione del diritto di voto passivo e attivo costituisce una prima attuazione del nuovo articolo 31 della Costituzione, integrato dal medesimo progetto di legge. Una modifica, infatti, stabilisce che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti la partecipazione dei giovani alla vita politica, economica e sociale della Nazione. Inoltre, con l'approvazione di un emendamento da parte dell'Assemblea della Camera, si introduce in Costituzione il principio della equità fra le generazioni.
Al Senato è iniziato e non concluso l'esame una proposta di legge recante disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (A.S. 2180) per il quale si rinvia all'approfondimento: Legge 124/2008 - "Lodo Alfano" e una proposta di legge relativa al potere di rinvio delle leggi alle Camere del Presidente della Repubblica (A.S. 797).
Infine, sia la Camera, sia il Senato, hanno approvato le proposte di legge costituzionale volte a ridurre il numero dei membri dei consigli regionali delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna: per il contenuto delle relative leggi, si veda il tema Riduzione del numero dei consiglieri regionali.
L'ordinamento costituzionale di alcuni Paesi stranieri
La riforma degli artt. 41, 97 e 118 Cost.
La riforma del Parlamento e della forma di Governo
La riforma del Titolo V
Pareggio di bilancio
Partecipazione dei giovani alla vita della Nazione
Fin dall’approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale posto dalla nuova ripartizione di attribuzioni legislative tra Stato e regioni è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale.
Un primo elemento di difficoltà consiste nel fatto che, tra le materie attribuite alla competenza esclusiva statale, ve ne sono alcune di carattere trasversale, che fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che pertanto si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle regioni (ex multis: sentenza n. 171/2012, n. 235 del 2011, n. 225/2009, n. 12 del 2009, n. 345/2004, n. 272/2004). Con riferimento a tali materie sono stati coniati in dottrina i termini di materie- funzioni o materie-valori.
Le principali materie trasversali sono state individuate in:
- tutela della concorrenza¸ cui è sotteso “l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese” (sentenza n. 14/2004); tale materia “si caratterizza dunque per la natura funzionale […] e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale (sentenza n. 345/2004);
- tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con riferimento alla quale la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che “non si può discutere di materia in senso tecnico, perché la tutela ambientale è da intendere come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di «materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato spettano le determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (ex multis: sentenza n. 171/2012, n. 235/2011, n. 225/2009, n. 12/2009);
- determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anch’essa ritenuta non una materia in senso stretto, ma “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (ex multis, sentenza n. 282/2004).
Uguale carattere “espansivo” deve essere riconosciuto anche ad altre materie di competenza statale, quali l’ordinamento penale (sentenza n. 185/2004), l’ordinamento civile (sentenze n. 233/2006, n. 380/2004 e n. 274/2003), politica estera e rapporti internazionali dello Statoe rapporti dello Stato con l’Unione europea (sentenza n. 239/2004).
Del resto anche alcune delle materie di competenza concorrente presentano un carattere trasversale, che consente alla legislazione statale di incidere, sia pure solo con norme di principio, su materie rimesse alla legislazione residuale delle regioni.
Viene in primo luogo in questione la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, alla base dei ripetuti interventi statali volti al contenimento delle spese degli enti territoriali. Al riguardo la Consulta ha ritenuto che costituiscono principi fondamentali della materia le norme che “si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi” (sentenza n. 193/2012; nello stesso senso, sentenze 148/2012, n. 232/2011 e n. 326/2010, n. 159/2008, n. 95/ 2007, n. 449/2005, n. 390/2004).
Ma vi sono diverse ulteriori materie ascritte alla competenza concorrente che si prestano ad incidere sugli ambiti propri di altre materie riservate alle regioni, fra le quali la tutela della salute, le professioni (sentenze n. 222/2008 e n. 355/2005) e laricerca scientifica (sentenza n. 133/2006).
La complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende inoltre molto spesso difficile la riconduzione sic et simpliciter di una normativa ad un’unica materia, determinandosi invece un intreccio tra diverse materie e diversi livelli di competenza che la Corte stessa non ha esitato a definire “inestricabile”.
Come rilevato nella fondamentale sentenza n. 50 del 2005, in caso di interferenze tra norme rientranti in materie di competenza statale ed altre di competenza concorrente o residuale regionale, “può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi”. I principi enucleati dalla Corte sono il principio di prevalenza, che può applicarsi “qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre”, ed il principio di leale collaborazione, “che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni” ed impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze (nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 213/2006, n. 133/2006, n. 231/2005)
Numerosissimi sono i casi in cui è emersa la necessità di attivare procedimenti destinati ad integrare il parametro della leale collaborazione, in particolare attraverso il sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali, all’interno del quale “si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse locali” (sentenza n. 31/2006, nello stesso senso, ex multis sentenze n. 114/2009).
Il principio di leale collaborazione, cui la Corte ha fatto ampio ricorso nei casi di cd. “attrazione in sussidiarietà” è divenuto così un princìpio-cardine e costituisce una fondamentale chiave di lettura per delineare il quadro delle attribuzioni nei frequenti casi di intersezione e sovrapposizione tra competenze statali e competenze regionali
Il principio di leale collaborazione è «suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità» (sent. n. 308/2003), a seconda del quantum di incidenza sulle competenze regionali. Una nutrita giurisprudenza costituzionale ha spesso richiesto per l’adozione di una disciplina, segnatamente di carattere regolamentare, in ambiti normativi di pertinenza regionale, la previa intesa in sede di Conferenza unificata o di Conferenza Stato-regioni, al fine di garantire un contemperamento tra potestà statali e prerogative regionali; l’intesa è stata talora costruita come intesa “forte”, con un livello di codecisione paritaria tra Stato e regioni (sentenza n. 383/2005). In altri casi di minore impatto sulle competenze regionali, la Corte ha invece ritenuto sufficiente l’acquisizione di un parere della Conferenza (sentenza n. 200/2009, 232/2009).
Un altro principio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale che determina un’attribuzione di competenze diversa da quella desumibile dal tenore letterale dell’art. 117 Cost. è quello della c.d. “attrazione in sussidiarietà”, enunciato per la prima volta nella sentenza n. 303 del 2003.
A partire da tale sentenza, la Corte costituzionale ha dato un'interpretazione dinamica dell'attribuzione di funzioni amministrative all'art. 118, primo comma, Costituzionale., in base al quale le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possono essere allocate ad un livello diverso di governo per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. L'allocazione delle funzioni amministrative si riflette anche sulla distribuzione delle competenze legislative: il principio di legalità di cui all'art. 97 Cost. impone infatti che le funzioni amministrative siano organizzate e regolate dalla legge. Ne consegue che l'attrazione allo Stato delle funzioni amministrative comporta la parallela attrazione della funzione legislativa.
Pertanto anche se – sulla base di un’interpretazione strettamente letterale del dettato costituzionale - in una materia di competenza concorrente lo Stato dovrebbe limitarsi a stabilire i principi fondamentali, in virtù della capacità ascendente del principio di sussidiarietà, la normativa statale può anche presentare norme di dettaglio. La valutazione della necessità del conferimento di funzioni amministrative ad un livello superiore rispetto a quello comunale (cui spetterebbero tali funzioni in base all'art. 118, co. 1) spetta al legislatore statale ma deve essere proporzionata, non irragionevole e operare nel rispetto del principio di leale collaborazione.
Allo stesso modo e negli stessi limiti sono giustificati interventi della legislazione statale in ambiti materiali di competenza residuale (sentenze n. 76 del 2009, n. 88 del 2007 e n. 214 del 2006).
In particolare, la sentenza n. 6 del 2004 ha fissato le condizioni per l’applicazione del “principio di sussidiarietà ascendente”. Affinché la legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che:
- rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni;
- detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni;
- risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine;
- risulti adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione;
- preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali.
Tale impostazione è stata confermata dalla successiva giurisprudenza (sentenze n. 383/2005, n. 248/2006 e n. 88/2009).
L’attrazione in sussidiarietà ha trovato applicazione principalmente nei settori delle infrastrutture (sentenza n. 303/2003), dell’energia (sentenze n. 4/2004 e n. 383/2005), dell’ordinamento della comunicazione (sentenza n. 163/2012) e del turismo (sentenze n. 76/2009, n. 88/2007 e n. 214/2006).
Un ulteriore elemento di criticità deriva dal fatto che la distinzione tra principi fondamentali e norme di dettaglio, che costituisce il discrimen tra competenza statale e competenza regionale nelle materie di legislazione concorrente, appare ben chiara in linea astratta ma comporta non pochi problemi interpretativi una volta calata sul piano concreto delle singole e specifiche disposizioni.
In linea generale, dunque, il vaglio di costituzionalità, che deve verificare il rispetto del rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio, “va inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri e obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (sentenze n. 16/2010, n. 237 del 2009 e n. 181 del 2006). Peraltro, il carattere di principio di una norma non è escluso, di per sé, dalla specificità delle prescrizioni, qualora la norma «risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione» (sentenze n. 16/2010, n. 237/2009, sentenza n. 430/2007).
E’ sul piano concreto, come detto, che insorgono le maggiori difficoltà interpetative, in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, la nozione di principio fondamentale “non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. È il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l'interprete deve valutare nella loro obiettività.” (sentenza n. 50/2005). Ne consegue che “l'ampiezza e l'area di operatività dei principî fondamentali […] non possono essere individuate in modo aprioristico e valido per ogni possibile tipologia di disciplina normativa. Esse, infatti, devono necessariamente essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere conto, in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si presentano» (sentenza n. 336/2005).
La sentenza n. 16/2010 ha infine aggiunto che, “nella dinamica dei rapporti tra Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia.”
In conclusione, nonostante siano oramai trascorsi undici anni dalla riforma del titolo V, l’attribuzione di una determinata disciplina normativa alla sfera di competenze dello Stato o delle regioni non sempre si fonda su criteri definiti, in quanto la ripartizione di competenze delineata dall’art. 117, commi secondo, terzo e quarto, Cost., pur in apparenza piuttosto rigida, dà luogo ad una serie di interferenze e sovrapposizioni fra i diversi ambiti materiali tali da rendere incerta l’attività dell’interprete.
Con la conseguenza che, come dimostrato dall’enorme contenzioso costituzionale sul punto, per determinare i confini tra attribuzioni statali e regionali, bisogna spesso attendere l’intervento della Corte costituzionale, le cui decisioni, per loro stessa natura, soffrono del forte limite della riferibilità a singole e specifiche disposizioni e per questo non sempre risultano idonee alla costruzione di un corpus unitario e definito di principi-guida per l’interprete.
L’ordinamento della Repubblica italiana forma oggetto della Parte seconda della Costituzione (artt. 55 e seguenti), modificata in più parti nel corso degli anni. La riforma più ampia è intervenuta con la L.Cost. 3/2001, che ha ridefinito i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali.
Completano l'ordinamento della Repubblica alcune leggi costituzionali, tra cui la L.Cost. 1/1948 e la L.Cost. 1/1953 (che disciplinano la Corte costituzionale) e gli statuti delle cinque Regioni a ordinamento speciale. La normativa elettorale è invece contenuta in leggi ordinarie.
Il sistema costituzionale italiano si fonda sull’interazione e sul bilanciamento tra i vari poteri dello Stato, piuttosto che su una loro rigida divisione.
Il Parlamento è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, con eguali compiti e poteri. La Costituzione ha adottato un modello di bicameralismo paritario e perfetto, nel quale la differenziazione tra le due Assemblee concerne le modalità di formazione e non le funzioni. Oltre ad alcune differenze nei sistemi elettorali, riconducibili alla necessità di tener fermo il principio costituzionale secondo cui il Senato è eletto su base regionale, ulteriori elementi di distinzione riguardano i requisiti di età per l’elettorato attivo e passivo e il numero dei componenti: 630 alla Camera e 315 al Senato, oltre ad alcuni senatori di diritto e a vita.
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.): pertanto, per divenire legge ciascun progetto di legge deve essere approvato, nell'identico testo, da entrambi i rami del Parlamento. I progetti di legge costituzionale richiedono una doppia approvazione da parte di ciascuna Camera, e, nella seconda votazione, il voto a maggioranza dei due terzi dei componenti o a maggioranza assoluta essendo in tal caso possibile la loro sottoposizione a referendum popolare.
Anche il popolo può incidere sulla funzione legislativa: 50.000 elettori possono presentare un progetto di legge, e 500.000 elettori possono chiedere un referendum per abrogare, anche in parte, una legge.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. È eletto dal Parlamento in seduta comune delle due Camere, integrato da delegati regionali. Il suo mandato dura sette anni (artt. 83-85 Cost).
Tra i poteri presidenziali, alcuni hanno una diretta incidenza sul Parlamento: il Capo dello Stato indice le elezioni; può sciogliere le Camere sentiti i loro Presidenti; promulga i progetti di legge approvati dal Parlamento, che solo dopo la sua firma divengono leggi, e può rinviarli alle Camere invece di promulgarli, chiedendone (per una sola volta) il riesame; può inviare messaggi alle Camere.
Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate e presiede il Consiglio superiore della magistratura. Nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questi, i ministri, che formano il Governo (art. 92 Cost.).
Dopo la nomina del Capo dello Stato, il Governo deve ottenere la fiducia di ciascuna delle due Camere, alle quali si presenta entro dieci giorni dalla sua formazione per esporre il suo programma; concluso il dibattito, le Camere votano per appello nominale una mozione di fiducia (art. 94 Cost.).
Il rapporto di fiducia può essere messo in discussione attraverso la presentazione di una mozione di sfiducia alla Camera o al Senato. Il Governo stesso può chiedere in modo formale di verificare la maggioranza che lo sostiene, ponendo la questione di fiducia sull’approvazione (o sulla reiezione) di proposte che ritiene essenziali per la sua azione. L’approvazione del voto di sfiducia, facendo venir meno il rapporto fiduciario con le Camere, comporta l’obbligo per il Governo di dimettersi.
Il Governo può adottare atti con forza di legge su delegazione del Parlamento (decreti legislativi); o anche di sua iniziativa, ma solo in casi straordinari di necessità e di urgenza (decreti-legge): i decreti-legge decadono se non sono convertiti in legge dalle Camere entro sessanta giorni.
Sono organi ausiliari di Parlamento e Governo (artt. 99-100 Cost.) il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.
Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e le Città metropolitane (queste ultime sono enti costitutivi della Repubblica art. 114 Cost.). Agli enti diversi dallo Stato è riconosciuta la condizione giuridica di “enti autonomi” con propri statuti, poteri e funzioni. Le Città metropolitane, previste dalla Costituzione dopo la riforma del 2001, non sono state ancora istituite.
Pertanto, gli enti territoriali sono tutti dotati di autonomia normativa (statutaria e regolamentare), amministrativa e finanziaria; soltanto le Regioni sono dotate di potestà legislativa. Tra le venti Regioni italiane, cinque (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardegna e Sicilia) per motivi storico-geografici o etnico-linguistici dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, definite nei rispettivi Statuti speciali adottati con legge costituzionale (art. 116 Cost.).
La ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni è così definita dall’art. 117 Cost.:
Le funzioni amministrative (art. 118) spettano in via generale ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano attribuite agli altri livelli territoriali o allo Stato secondo i “princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.
Sull’applicazione concreta di questa disciplina, introdotta dalla riforma costituzionale del 2001, ha inciso in misura significativa l’opera di interpretazione svolta dalla Corte costituzionale.
Ai sensi dell’art. 101 Cost., la giustizia è amministrata in nome del popolo, e i giudici sono soggetti soltanto alla legge.
A tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, questa dispone di un organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura (art. 104 Cost.) e gode di specifiche garanzie costituzionali.
La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici ordinari: è vietata l’istituzione di giudici straordinari o speciali. La tutela degli interessi legittimi dinanzi alla pubblica amministrazione è rimessa al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa, mentre la Corte dei conti giudica in materia di contabilità pubblica (artt. 102 e 103 Cost.).
Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112 Cost.). Specifiche disposizioni sono poste a tutela del “giusto processo regolato dalla legge” (art. 111 Cost.).
Il sistema italiano di giustizia costituzionale è basato su un modello accentrato, nel quale il controllo sulla compatibilità delle leggi con la Costituzione spetta ad unico organo, la Corte costituzionale.
Essa è composta di quindici giudici, che durano in carica per nove anni. Cinque giudici sono eletti dal Parlamento in seduta comune, cinque dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti), cinque sono scelti dal Presidente della Repubblica (art. 135 Cost., primo comma).
La Corte costituzionale giudica (art. 134):
La questione di legittimità costituzionale di una legge può essere portata dinanzi alla Corte per il tramite di un’autorità giurisdizionale, nel corso di un giudizio (procedimento in viaincidentale). La Costituzione prevede anche (art. 127) il ricorso diretto alla Corte, ma solo da parte del Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, o da parte di una Regione a tutela della propria competenza, avverso leggi dello Stato o di altre Regioni (procedimento in via d’azione o principale, esercitabile entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge).
Un conflitto di attribuzione tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni può sorgere quando un atto, diverso da una legge o da un atto con forza di legge (contro i quali lo Stato o le Regioni possono ricorrere in via principale), determina una lesione della competenza statale o regionale. I conflitti tra poteri dello Stato hanno ad oggetto la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali e possono insorgere tra organi appartenenti a poteri diversi, che siano competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono (L.Cost. 87/1953, art. 37).
The organization of the Italian Republic is both the subject of the second part of the Constitution (from art. 55 onwards), which has been variously modified since its approval (the widest ranging reform was introduced by Const. Law 3/2001, which redefined the relations between State, Regions and Local Authorities.), and of several constitutional laws. The latter include Const. Laws 1/1948 and 1/1953 (both regulating the Constitutional Court) and the Statutes of the five Special Regions. All electoral legislation is on the other hand covered by non-constitutional laws.
The Italian constitutional system aims to provide a system of checks and balances between the various powers of the State rather than on a rigid division of them.
The Parliament is composed of the Chamber of Deputies and the Senate of the Republic, which have the same functions and equal powers. The Constitution adopted a model of an equal and perfect bicameralism in which the difference between the two Houses lies in how their members are elected rather than in their functions. Beyond the differences in their electoral systems, which are necessary to respect the constitutional principle according to which the Senate is elected on a regional basis, other differences include age requirements for the active and passive electorate and the number seats in the respective Houses: 630 for the Chamber of Deputies and 315 (plus a number of appointed life senators and ex-Presidents of the Republic) for the Senate.
The legislative function is performed collectively by the two Houses (art. 70): consequently, in order to become law, an identical text of each bill must be approved in both Houses of Parliament. Constitutional bills require double approval by each House and an absolute majority vote in the second round of voting.
With the exception of certain bills, including constitutional and budget bills, all bills may be subject to total or partial abrogation by popular referendum if 500,000 voters or more request it . Similarly if 50,000 citizens sign their names in support of a draft bill, they may presente it to the Parliament.
The President of the Republic represents national unity. He is elected by Parliament with the two Houses sitting in joint session, together with the delegates from all the Italian regions. His term of office lasts seven years (arts. 83-85).
Several of the President’s powers have a direct effect on Parliament. The Head of State can call elections, dissolve the two Houses after consulting their Presidents; promulgate the bills approved by Parliament, which become law only after he has signed them, and can send them back to the Houses instead of promulgating them, requesting (only once) that they should be re-examined and he may make formal communications to the two Houses.
The President of the Republic is the commander of the Armed Forces and chairs the Superior Judicial Council. He nominates the President of the Council of Ministers (Prime Minister) and, after consulting the latter, the ministers, who form the Government (art. 92).
After nomination by the Head of State, the Government must obtain the confidence of each of the two Houses, before which it must appear no later than ten days after its formation in order to illustrate its programme; at the conclusion of the debate, the Houses vote on a motion of confidence by roll call (art. 94).
The confidence relation may be challenged by presenting a no confidence motion in the Chamber of Deputies or the Senate. The Government itself may formally request the verification of the majority supporting it by raising the question of confidence in the case of the approval (or rejection) of proposals deemed essential to its action. Approval of the vote of no confidence means the end of the confidence relation with the Houses and entails the compulsory resignation of the Government.
The Government may be delegated by Parliament to adopt enactments having the force of law (legislative decrees); or else it may do so on its own initiative, but only in exceptional cases of necessity and urgency (decree-laws): decree-laws lose their force unless they are converted into law by the Houses within sixty days.
The National Council of the Economy and Labour, the Council of State and the Court of Accounts are ancillary organs of Parliament and the Government (arts. 99-100).
The State, the Regions, the Provinces, the Municipalities and the Metropolitan cities (the Metropolitan Cities have yet to be instituted) are jointly considered constituent entities of the Republic (art. 114). The entities other than the State are recognized as having the juridical status of “autonomous entities” with their own statutes, powers and functions.
The territorial entities all possess normative (statutory and regulatory), administrative and financial autonomy; only the Regions enjoy legislative powers. Of the twenty Italian Regions, five (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardinia and Sicily) for historical-geographic or ethno-linguistic reasons enjoy special forms and conditions of autonomy, as defined in their respective Special Statutes adopted by means of a constitutional law (art. 116).
The division of legislative competence between State and Regions is defined in art. 117 as follows:
As a general rule administrative functions (art. 118) are the prerogative of the Municipalities except when, in order to ensure unity of application, they are attributed to the other territorial levels or to the State in accordance with the “principles of subsidiarity, differentiation and adequacy”.
The work of interpretation carried out by the Constitutional Court has had a significant influence on the concrete application of these provisions, which were introduced by the 2001 constitutional reform.
Within the meaning of art. 101, justice is administered in the name of the people and the judges are subject only to the law.
For the purpose of safeguarding the autonomy and independence of the judiciary, the latter possesses an organ of self-government, the Superior Judicial Council (art. 104) and enjoys specific constitutional guarantees.
The jurisdictional function is performed by ordinary magistrates: the appointing of extraordinary or special judges is not allowed. The safeguarding of legitimate interests vis-à-vis the public administration is the task of the Council of State and the other organs of administrative justice, while the Court of Accounts rules on matters of public accounting (arts. 102 and 103).
The public prosecutor is obliged to take compulsory action in criminal cases (art. 112). Specific provisions exist to safeguard “due process of the law” (art. 111).
The Italian system of constitutional justice is based on a centralized model, in which control over the compatibility of laws with the Constitution is exerted by a single body – the Constitutional Court.
It is composed of fifteen judges, who remain in office for nine years. Five judges are elected by Parliament sitting in joint session, five others by each of the superior judicial bodies (three by the Court of Cassation, one by the Council of State, and one by the Court of Accounts), five are selected by the President of the Republic (art. 135, paragraph one).
The Constitutional Court is competent to rule (art. 134):
The issue of the constitutional legitimacy of a law may be brought before the Court through a jurisdictional authority in the course of a judgment (as an incidental proceeding). The Constitution also makes provision (art. 127) for direct recourse to the Court but only by the Government when it considers a regional law has overstepped the competence of the Region or by a Region in order to safeguard its own competence against laws of the State or of other Regions (active or principal proceeding, which may be undertaken within sixty days after the publication of the law in question).
A conflict of attribution may occur between the State and the Regions or among the Regions when an enactment other than a law or an enactment having the force of law (against which the State or Regions can appeal via a principal proceeding) is prejudicial to the competence of the State or the Region. Conflicts among the powers of the State that aim to delimit the sphere of attributions determined for the various powers by constitutional norms and may arise among bodies belonging to different powers which are competent to declare definitively the will of the power to which they belong (Law 87/1953, art. 37).
Le Commissioni Affari costituzionali e Giustizia hanno avviato, il 3 maggio 2011, l’esame del disegno di legge costituzionale A.C. 4275, presentato dal Governo Berlusconi, che propone una complessiva riforma del titolo IV della parte II della Costituzione, relativo alla magistratura. Le Commissioni hanno svolto sui temi della proposta riforma costituzionale un'ampia indagine conoscitiva.
Uno dei princìpi ispiratori della riforma è l’affermazione di una netta distinzione, nell’ambito della categoria dei magistrati, tra giudici e pubblici ministeri (art. 4, cpv., primo comma).
Corollario di tale distinzione è la separazione delle carriere (art. 4, cpv., secondo comma) e una disciplina differenziata della posizione di autonomia e indipendenza del pubblico ministero, in parte già desumibile dall’ordinamento costituzionale vigente.
Il riconoscimento quale ordine autonomo e indipendente da ogni potere, che nel testo vigente riguarda tutti i magistrati, viene riferito unicamente ai giudici (art. 2); allo stesso modo, l’esercizio della giurisdizione è limitato ai giudici (art. 3).
Per l’ufficio del pubblico ministero, è previsto che esso sia organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza (art. 4, cpv., terzo comma).
La possibilità per la legge di prevedere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari viene estesa ai pubblici ministeri e non più limitata alle funzioni attribuite a giudici singoli (art. 8). E’ inoltre oggetto di modifica il principio dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, con l’attribuzione alla legge della determinazione dei criteri per tale esercizio (art. 13).
Le attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura (CSM) sono ripartite tra 3 diversi organi:
Nei due Consigli superiori il rapporto tra il numero dei membri “togati” (eletti dai giudici) ed il numero membri “laici” (eletti dal Parlamento) è di parità, in luogo dell’attuale rapporto di 2/3 di membri togati e 1/3 di membri laici. Inoltre, i membri togati sono eletti previo sorteggio degli eleggibili.
Ai due Consigli superiori sono attribuite le funzioni relative alla carriera, rispettivamente, dei giudici e dei pubblici ministeri. I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico, né esercitare funzioni diverse da quelle previste dalla Costituzione.
Alla Corte di disciplina spettano i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Essa si compone di una sezione per i giudici, i cui componenti sono eletti per metà dal Parlamento in seduta comune e per metà da tutti i giudici, e di una sezione per i pubblici ministeri, i cui componenti sono eletti per metà dal Parlamento in seduta comune e per metà da tutti i pubblici ministeri. Anche in tal caso, l’elezione dei membri togati avviene previo sorteggio degli eleggibili.
Viene poi introdotta una deroga al principio di inamovibilità dei magistrati, con la previsione che i Consigli superiori possano destinare i magistrati ad altre sedi, in caso di eccezionali esigenze, individuate dalla legge, attinenti all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 9).
Quanto alla polizia giudiziaria, viene meno il riferimento al potere della magistratura di disporre «direttamente» della polizia giudiziaria ed la disciplina del rapporto tra magistratura e polizia giudiziaria è rimessa alla legge (art. 10).
Sono poi ampliate le attribuzioni del Ministro della giustizia, con la costituzionalizzazione della funzione ispettiva e della relazione annuale al Parlamento (art. 11).
All’articolo 111 Cost., che sancisce i princìpi del giusto processo, è aggiunto un nuovo comma sull’appellabilità delle sentenze di condanna (art. 12). La legge può disporre eccezioni alla loro appellabilità, in relazione alla natura del reato, delle pene e della decisione. Le sentenze di proscioglimento sono appellabili solo nei casi previsti dalla legge.
L'azione penale deve essere esercitata secondo i criteri stabiliti dalla legge (art. 13).
Una nuova disposizione costituzionale riguarda la responsabilità dei magistrati. È sancita la responsabilità diretta dei magistrati per atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato ed è introdotto il principio della responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale (art. 14).
I princìpi contenuti nella legge costituzionale non si applicano ai procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore (art. 15).
Con l'avvio della XVI legislatura, è entrata in vigore la riduzione del numero dei ministeri, passati da 18 a 12, e la limitazione del numero complessivo dei membri del Governo, in base a quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2008 e dal successivo decreto-legge 85/2008. La legge 172/2009 ha istituito il Ministero della salute, portando così a 13 il numero dei ministeri.
Nell’ultima parte della XV legislatura, la legge finanziaria 2008 (L. 244/2007, art. 1, commi 376 e 377) ha modificato, con decorrenza dal Governo successivo a quello in carica, la composizione del Governo:
La nuova disciplina, la cui efficacia era differita a partire dal Governo successivo a quello allora in carica, ha trovato applicazione in occasione della formazione del nuovo Governo all’avvio della corrente legislatura.
La legge 172/2009 ha innalzato da 12 a 13 il numero dei ministeri, prevedendo lo sdoppiamento del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali in Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero della salute. Inoltre, la legge ha aumentato da 60 a 63 il numero massimo dei componenti del Governo, ivi compresi ministri senza portafoglio, vice ministri e sottosegretari. Successivamente, il numero complessivo è stato elevato a sessantacinque, con il decreto-legge 195/2009 in materia di rifiuti (artt. 15, co. 3-bis e 3-ter).
La legge finanziaria 2008 ha disposto sul numero dei ministeri, ma non anche sulla denominazione e sulle attribuzioni di ciascuno: non ha indicato, infatti, espressamente quali dei 18 preesistenti ministeri dovessero intendersi soppressi e quali altri ne dovessero esercitare le competenze.
All’inizio della XVI legislatura è dunque intervenuto il decreto-legge 85/2008, al fine di dare attuazione al nuovo assetto del Governo e di superare possibili incertezze interpretative. Il decreto-legge, convertito dal Parlamento (A.C. 1250) con l’approvazione della legge 121/2008, stabilisce la seguente denominazione dei ministeri:
e precisa quali trasferimenti di competenze ne conseguono. In particolare:
Altre disposizioni prevedono la ricognizione amministrativa delle strutture ministeriali trasferite e adempimenti organizzativi e finanziari di varia natura.
Nel corso della XVI legislatura sono stati emanati regolamenti di riorganizzazione relativi ad alcuni tra i ministeri interessati dalla riforma:
Gli schemi relativi all'organizzazione di altri dicasteri sono stati sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti.
Sul decreto-legge di attuazione del nuovo assetto del Governo
Sull'istituzione del Ministero della salute
Sui regolamenti di organizzazione dei Ministeri
L’art. 95 Cost., terzo comma, riserva alla legge l’ordinamento della Presidenza del Consiglio e la determinazione del numero, delle attribuzioni e dell’organizzazione dei ministeri. La riserva di legge per l’ordinamento della Presidenza del Consiglio è stata attuata dalla legge 400/1988, ampiamente modificata per questo aspetto dal D.Lgs. 303/1999, adottato in base alla delega contenuta nella legge 59/1997, c.d. legge Bassanini 1.
La riserva di legge in tema di ministeri è stata attuata dal suddetto D.Lgs. 303/1999, e dal D.Lgs. 300/1999, anch’esso di attuazione della legge 59/1997.
Tale riserva di legge ha una portata “biunivoca” che comprende la funzione attribuita al ministero e la titolarità della medesima funzione da parte dello stesso ministero. L’effetto di tale nesso è chiarito dalla giurisprudenza costituzionale che, nel valutare la portata di una richiesta di referendum abrogativo riferita ad un ministero, ha affermato che “la domanda di pura e semplice soppressione totale di un Ministero, attraverso l'abrogazione delle norme che ne prevedono l'esistenza, implica la soppressione delle relative funzioni, quando, come accade di regola nel vigente ordinamento costituzionale e amministrativo, il Ministero è il solo titolare di tali funzioni ad esso attribuite dalla legge, ai sensi dell'art. 95, terzo comma, della Costituzione” (sent. 17/1997).
Nel 1997 – nel quadro di un ampio progetto di riordino amministrativo mirante, tra l’altro, alla semplificazione degli apparati e delle procedure ed alla riallocazione delle competenze amministrative presso i vari livelli territoriali di governo – la citata legge (L. 59/1997) conferiva tra le altre una delega legislativa per la riforma dell’organizzazione del Governo, espressamente intesa a razionalizzare l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione di ministeri, nonché di amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo.
Tra i princìpi e criteri direttivi della delega vi erano i seguenti: procedere alla razionalizzazione e redistribuzione delle competenze tra i ministeri, in ogni caso riducendone il numero, anche con decorrenza differita all’inizio della nuova legislatura; eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali, sia all’interno di ciascuna amministrazione, sia fra di esse, sia tra organi amministrativi e organi tecnici, con eventuale trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti, e ridisegnare le strutture di primo livello, anche mediante istituzione di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie e aziende, anche risultanti dalla aggregazione di uffici di diverse amministrazioni, sulla base di criteri di omogeneità, di complementarietà e di organicità (cfr art. 12, co. 1, lett. f) e g), della L. 59/1997).
La menzionata delega diede origine al D.Lgs. 300/1999. Quest’ultimo prevedeva, tra l’altro, una riduzione a dodici del numero complessivo dei ministeri e definiva, per ciascuno, gli ambiti di competenza e le linee generali dell’organizzazione interna.
I dodici ministeri previsti erano i seguenti:
Tale previsione, tuttavia, non ha mai avuto applicazione nella sua formulazione originaria. Essa infatti avrebbe dovuto essere applicata a partire dalla XIV legislatura, allorché però fu emanato il D.L. 217/2001. Il decreto-legge, modificando il testo originario del D.Lgs. 300/1999, portò a quattordici il numero dei ministeri, re-istituendo il Ministero delle comunicazioni e il Ministero della salute (già della sanità), le competenze dei quali scorporava rispettivamente da quelle del Ministero delle attività produttive e del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
All’inizio della XV legislatura, in una fase sostanzialmente contestuale alla formazione del nuovo Governo, è intervenuto il D.L. 181/2006 (ampiamente modificato e integrato nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione). Il decreto-legge – come già avvenuto con il precedente, citato D.L. 217/2001 – ha modificato l’organizzazione del Governo stabilita dal D.Lgs. 300/1999:
La redistribuzione delle competenze è risultata in parte consequenziale alla scelta stessa di creare nuovi ministeri, in parte innovativa anche per altri profili rispetto al quadro delineato dalla riforma del 1999 (come già modificata dal citato D.L. 217/2001).
In particolare:
Ulteriori aspetti della redistribuzione di funzioni non hanno determinato la creazione di nuovi ministeri.
Tra questi si ricordano:
Mentre le prime tre aree di competenza erano in precedenza proprie del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le successive afferivano ad un ambito di intervento (enti locali) prevalentemente riconducibile al Ministero dell’interno. Con specifico riferimento alla materia del turismo, le relative funzioni, già proprie del Ministero delle attività produttive, vengono attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri; si è disposto peraltro il trasferimento al Ministero per i beni e le attività culturali delle dotazioni finanziarie, strumentali e di personale della preesistente Direzione del turismo, prevedendo contestualmente l’istituzione presso il Ministero per i beni e le attività culturali di una nuova struttura per il turismo, della quale si avvale il Presidente del Consiglio per lo svolgimento delle relative funzioni. Alla Presidenza del Consiglio è altresì trasferita la segreteria del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica); nonché alcune funzioni relative alle pari opportunità in materia di lavoro nell’attività di impresa già spettanti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Ulteriori, dettagliate, disposizioni disciplinano l’adeguamento degli assetti organizzativi e del personale alle disposizioni recate dal decreto, mirando in particolare a garantire in tale processo l’invarianza dell’onere finanziario.
I commi 2, 3 e 4 dell’art. 1 del disegno di legge di conversione recavano una delega al Governo finalizzata all’adozione di uno o più decreti legislativi per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri con le disposizioni del decreto-legge. La delega non è stata esercitata entro il termine fissato (18 luglio 2008).
Ulteriori, specifiche misure sono sopravvenute ad opera del successivo D.L. 262/2006:
I commi 376 e 377 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2008 hanno modificato la composizione del Governo, riducendo il numero dei ministeri e fissando un tetto al numero complessivo dei componenti.
La nuova disciplina, che innova (senza novellarla) quella recata dal D.Lgs. 300/1999, ha efficacia “a partire dal Governo successivo a quello in carica” alla data di entrata in vigore della legge finanziaria; essa ha dunque trovato applicazione in occasione della formazione del primo Governo della XVI legislatura.
Il primo periodo del comma 376 ridefinisce indirettamente il numero dei ministeri, mediante un richiamo alle relative disposizioni del D.Lgs. 300/1999 nella sua formulazione originaria, cioè in quella pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 203 del 30 agosto 1999, antecedente alle modifiche apportate dal D.L. 217/2001 e dal successivo D.L. 181/2006 (vedi supra).
In altre parole, la disposizione in esame fa sostanzialmente rivivere – limitatamente a questo solo aspetto (numero dei ministeri) – la disciplina dell’organizzazione del Governo di cui al testo originario del D.Lgs. 300/1999, ove si istituivano e disciplinavano dodici ministeri.
Il secondo periodo del comma 376 pone un limite (questa volta esplicito) anche al numero complessivo dei componenti del Governo “a qualsiasi titolo”, comprendendo in tale nozione allargata di componente del Governo i ministri senza portafoglio, i viceministri e i sottosegretari. Tale numero non potrà essere superiore a sessanta.
Considerando la carica di Presidente del Consiglio dei ministri e quella dei titolari dei dodici ministeri, se ne desume che il Governo non può contare più di quarantasette tra vicepresidenti del Consiglio (che non siano al contempo titolari di ministero), ministri senza portafoglio, viceministri ed altri sottosegretari di Stato.
Una deroga a tale disposizione è stata introdotta dall’art. 1, co. 2, del D.L. 90/2008, ove si dispone che un sottosegretario di Stato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sia preposto alla soluzione dell’“emergenza rifiuti” nella regione Campania e consente a che tale incarico sia attribuito al Capo del Dipartimento della protezione civile.
Ai sensi del medesimo comma 376, il contingente governativo dovrà inoltre essere configurato “in coerenza” con il principio di cui all’articolo 51, primo comma, secondo periodo, della Costituzione, a mente del quale la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini ai fini dell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Come si ricava da quanto sin qui detto, il testo in esame ripristina solo il numero, ma non anche la denominazione e la ripartizione delle attribuzioni fra i ministeri di cui all’originario D.Lgs. 300/1999. Il comma 376 non indica infatti quali dei preesistenti ministeri devono intendersi soppressi e quali altri ne debbano esercitare le competenze.
Soccorre a tale riguardo il successivo comma 377, ove si prevede che, a decorrere dalla reviviscenza (ai sensi e nei limiti di cui al comma precedente) del testo originario del D.Lgs. 300/1999 - cioè presumibilmente a decorrere dalla data del decreto di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri - sono abrogate tutte le disposizioni non compatibili con la riduzione del numero dei ministeri, ivi comprese quelle recate dal D.L. 217/2001 e dal D.L. 181/2006 (i quali, come si è innanzi ricordato, hanno modificato il decreto legislativo istituendo nuovi ministeri e modificando l’assetto delle competenze).
Sembra dover intendersi che l’abrogazione ha ad oggetto le disposizioni, introdotte successivamente al D.Lgs. 300/1999, che hanno disposto l’istituzione di nuovi ministeri, ma non necessariamente quelle che ne hanno modificato la denominazione o le competenze, salvo che tali modifiche risultino incompatibili con la prevista riduzione numerica.
L’individuazione dell’esatta portata abrogativa del comma 377 deve altresì tener conto dell’ultimo inciso del comma, il quale fa comunque salve svariate disposizioni del D.L. 181/2006.
Si tratta dei seguenti commi dell’art. 1 del decreto-legge:
All’inizio della XVI legislatura è intervenuto il D.L. 85/2008, con la finalità dichiarata di dare attuazione al nuovo assetto strutturale del Governo, come ridefinito dall’art. 1, co. 376 e 377, della legge finanziaria 2008, anche allo scopo di superare eventuali incertezze interpretative potenzialmente derivanti dalla sintetica formulazione dei due commi.
L’articolo 1 del D.L., al comma 1, novella il co. 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 300/1999, stabilendo come segue la denominazione dei dodici ministeri:
I commi successivi esplicitano gli accorpamenti e i trasferimenti di competenze che ne conseguono, e recano ulteriori disposizioni attuative.
In particolare, i commi 2 e 7 attribuiscono al Ministero dello sviluppo economico le funzioni in materia di commercio internazionale e comunicazioni, in precedenza spettanti ad altri ministeri ora soppressi. I commi 3 e 10 disciplinano funzioni e denominazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in cui vengono accorpate le funzioni esercitate dal Ministero delle infrastrutture e da quello dei trasporti. I commi 4, 6 e 12 disciplinano il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in cui vengono accorpate le funzioni dei ministeri del lavoro e previdenza sociale, della salute e della solidarietà sociale. Sono escluse da tale accorpamento le funzioni relative alle politiche antidroga, al Servizio civile nazionale e alcune funzioni in materia di politiche giovanili, attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
I commi 5 e 11 accorpano nel Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca le funzioni del Ministero dell’istruzione e del Ministero dell’università e della ricerca e ne definiscono la nuova denominazione. Il comma 9 adegua la denominazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e definisce le competenze in materia di vigilanza sui consorzi agrari.
Il comma 14 attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri una serie di competenze in materia di politiche giovanili, per la famiglia e per le pari opportunità, riprendendo con talune modifiche e integrazioni il contenuto delle lettere d), e), f) e g) dell’articolo 1, comma 19 del D.L. 181/2006, che aveva previsto un analogo conferimento di funzioni. Correlativamente, il comma 13 fa venir meno, nelle previsioni legislative vigenti, la denominazione “Ministro per le politiche della famiglia”. Il comma 15 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro, da questi delegato, competente per la semplificazione normativa il compito di esercitare il coordinamento unitario delle funzioni di semplificazione normativa.
I commi 8, 16 e seguenti disciplinano la ricognizione in via amministrativa delle strutture ministeriali trasferite e recano disposizioni organizzative e finanziarie di varia natura.
Natura derogatoria ha avuto la disposizione dell’art. 1 del D.L. 90/2008, che ha istituito un Sottosegretario di Stato presso la Presidenza del Consiglio per la soluzione dell'emergenza rifiuti nella regione Campania: la formulazione normativa ne afferma l’assoluta irripetibilità e straordinarietà per far fronte alla situazione in corso e ne limita gli effetti fino al 31 dicembre 2009.
Nel corso della XVI legislatura la composizione del governo è stata ulteriormente modificata.
Dapprima, la legge 172/2009 ha disposto l’aumento del numero dei ministeri da dodici a tredici e l’incremento del numero complessivo dei membri del Governo da sessanta a sessantatre, ivi compresi Ministri senza portafoglio, vice Ministri e Sottosegretari. Inoltre, la legge ha sostituito il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali con il “Ministero della salute” e il “Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.
Successivamente, il numero complessivo dei membri del Governo è stato elevato a sessantacinque, con il decreto-legge 195/2009 in materia di rifiuti (art. 15, co. 3-bis e 3-ter).
La tabella che segue pone a confronto le diverse composizioni del Governo secondo le formulazioni del D.Lgs. 300/1999 succedutesi nel tempo. Il carattere neretto evidenzia le differenze rispetto al testo originario.
| Art. 2, co. 1, del D.Lgs. 300/1999 |
| Testo originario | Testo modificato dal D.L. 217/2001 |
Testo ulteriormente modificato dal D.L. 181/2006 | Testo ulteriormente modificato dal D.L. 85/2008 |
| 1. A decorrere dalla prossima legislatura, i ministeri sono i seguenti: | 1. I ministeri sono i seguenti: | 1. I ministeri sono i seguenti: | 1. I ministeri sono i seguenti: |
| 1) Ministero degli affari esteri | 1) Ministero degli affari esteri; | 1) Ministero degli affari esteri; | 1) Ministero degli affari esteri; |
| 2) Ministero dell’interno | 2) Ministero dell’interno; | 2) Ministero dell’interno; | 2) Ministero dell’interno; |
| 3) Ministero della giustizia | 3) Ministero della giustizia; | 3) Ministero della giustizia; | 3) Ministero della giustizia; |
| 4) Ministero della difesa | 4) Ministero della difesa; | 4) Ministero della difesa; | 4) Ministero della difesa; |
| 5) Ministero dell’economia e delle finanze | 5) Ministero dell’economia e delle finanze; | 5) Ministero dell’economia e delle finanze; | 5) Ministero dell’economia e delle finanze; |
| 6) Ministero delle attività produttive | 6) Ministero delle attività produttive; | 6) Ministero dello sviluppo economico; | 6) Ministero dello sviluppo economico; |
| 7) Ministero del commercio internazionale; | |||
| 7) Ministero delle comunicazioni; | 8) Ministero delle comunicazioni; | ||
| 7) Ministero delle politiche agricole e forestali | 8) Ministero delle politiche agricole e forestali; | 9) Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; | 7) Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; |
| 8) Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio | 9) Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio; | 10) Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; | 8) Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; |
| 9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti | 10) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; | 11) Ministero delle infrastrutture; | 9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; |
| 12) Ministero dei trasporti; | |||
| 10) Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali | 11) Ministero del lavoro e delle politiche sociali; | 13) Ministero del lavoro e della previdenza sociale; | 10) Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali; |
| 12) Ministero della salute; | 14) Ministero della salute; | ||
| 11) Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca | 13) Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; | 15) Ministero della pubblica istruzione; | 11) Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; |
| 16) Ministero dell’università e della ricerca; | |||
| 12) Ministero per i beni e le attività culturali. | 14) Ministero per i beni e le attività culturali. | 17) Ministero per i beni e le attività culturali; | 12) Ministero per i beni e le attività culturali. |
| 18) Ministero della solidarietà sociale. |
Nel corso della XVI legislatura, la legge elettorale nazionale è stata oggetto, sia a livello parlamentare che attraverso lo strumento del referendum popolare, di diverse proposte di riforma, nessuna delle quali è andata a buon fine. Le elezioni del 24 e 25 febbraio si sono così svolte con il sistema proporzionale con soglie di sbarramento e premio di maggioranza, introdotto nel 2005. In prossimità delle elezioni è stato adottato un decreto-legge che ha previsto una consistente riduzione del numero di sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste elettorali.
Le modifiche riguardano:
Alcune delle disposizioni introdotte dal decreto-legge erano state adottate anche in occasione delle precedenti elezioni politiche del 2006 e del 2008.
L’art. 7 del decreto-legge n. 98/2011 ha introdotto in via generale il cd. election day, stabilendo, a decorrere dal 2012, lo svolgimento in un’unica data nell'arco dell'anno delle elezioni politiche, comunali, provinciali e regionali, compatibilmente con i rispettivi ordinamenti. Restano ferme le disposizioni speciali vigenti in caso di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa.
Se nel corso dell’anno si svolgono le elezioni del Parlamento europeo, le elezioni politiche, amministrative e regionali si effettuano nella data stabilita per le elezioni europee.
In precedenza, nel corso della XVI legislatura, diverse disposizioni hanno previsto l’abbinamento delle consultazioni elettorali da svolgere nel corso dell’anno, con l'obiettivo di contenere gli oneri finanziari e di limitare i disagi per la chiusura delle scuole sedi di seggio elettorale.
In particolare:
- il decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, ha introdotto una disciplina volta a consentire lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee e delle elezioni amministrative del 2009, prevedendo, tra l’altro, lo svolgimento delle operazioni di voto, diversamente da quanto solitamente previsto, nelle giornate di sabato (dalle ore 15 alle ore 22) e domenica (dalle ore 7 alle ore 22);
- la legge 40/2009 ha consentito poi il contemporaneo svolgimento dei referendum da tenersi nel 2009 con i ballottaggi per le elezioni dei presidenti delle province e dei sindaci, prevedendo, per gli adempimenti comuni, l’applicazione della normativa sui referendum. A tal fine la legge ha disposto lo svolgimento dei referendum abrogativi in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 30 giugno, introducendo così una deroga per il solo 2009, alla disciplina generale, in base alla quale la data del referendum deve essere fissata in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno;
- il decreto-legge 18 settembre 2009, n. 131 ha abbinato il primo turno delle elezioni amministrative del 2010 con le elezioni regionali.
Il decreto-legge 49/2008 ha introdotto il divieto di portare all'interno delle cabine elettorali telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini. La norma è volta a garantire la segretezza del voto.
La violazione del divieto è sanzionata penalmente, con l'arresto da tre a sei mesi e con l'ammenda da 300 a 1000 euro.
La legge 46/2009 consente agli elettori affetti da gravissime infermità , tali che l'allontanamento dall'abitazione risulti impossibile, di esercitare il diritto di voto nella propria dimora. La legge amplia l’ambito di applicazione della disciplina introdotta dal D.L. 1/2006.
Il decreto legge 11 aprile 2011, n. 37 è intervenuto in materia di:
Il lungo cammino delle proposte di riforma elettorale al Senato inizia nel dicembre 2008, con lâ€esame da parte della Commissione Affari costituzionali di due proposte di legge di iniziativa popolare, limitate all’introduzione di norme di democrazia paritaria (A.S. 2 e abbinate), all’ampliamento delle cause di ineleggibilità ed alla reintroduzione del voto di preferenza (A.S. 3).
Dopo oltre un anno di interruzione, il dibattito riprende nel settembre 2010, con l’abbinamento di numerose altre proposte di riforma, e procede a fasi alterne; l’iter è segnato anche dalla pronuncia della Corte costituzionale sull’inammissibilità dei referendum in materia elettorale e dalle sollecitazioni del Presidente della Repubblica, che nel luglio 2012 invia una lettera ai presidenti delle Camere.
Le proposte all’esame della Commissione sono di contenuto variegato: alcune mantengono il sistema elettorale vigente, introdotto nel 2005, apportandovi alcune modifiche; altre prevedono il ripristino del sistema elettorale precedente al 2005; altre ancora propongono sistemi elettorali completamente nuovi. Diverse proposte, inoltre, introducono misure volte a garantire la rappresentanza di genere.
La Commissione Affari costituzionali del Senato approva, nella seduta dell’11 ottobre 2012, un testo unificato, che però non approda mai in Aula a causa dell’impossibilità di trovare un’intesa tra i diversi gruppi parlamentari.
Il 21 e 22 giugno 2009 si sono svolti tre referendum abrogativi in materia elettorale, che non hanno però raggiunto il quorum di partecipanti richiesto dall’art. 75 della Costituzione (maggioranza degli aventi diritto). Hanno infatti preso parte alla consultazione referendaria il 23,3 per cento degli aventi diritto per i primi due quesiti ed il 23,8 per cento per il terzo.
I primi due referendum erano volti a modificare le leggi elettorali di Camera e Senato abrogando le disposizioni che permettono il collegamento di più liste in coalizioni. L’esito positivo avrebbe determinato l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista singola – e non più alla coalizione di liste – che ottiene il maggior numero di voti.
Il terzo referendum era finalizzato a sopprimere la possibilità per un candidato di presentarsi in più circoscrizioni alle elezioni della Camera.
La Corte costituzionale ha invece dichiarato inammissibili due richieste di referendum popolare che prevedevano l’abrogazione della vigente disciplina per le elezioni politiche al fine di tornare all’applicazione del sistema elettorale precedentemente vigente (sentenza n. 13/2012).
Secondo la Corte, l’eventuale approvazione dei referendum avrebbe comportato la soppressione della vigente disciplina ma non la reviviscenza della normativa precedente, determinando una lacuna normativa non ammissibile in materia elettorale. Le leggi elettorali sono infatti leggi costituzionalmente necessarie, l'esistenza e la vigenza delle quali sono indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità delle Camere.
Oggetto di intervento nel corso della XVI legislatura sono stati altresì i sistemi elettorali vigenti per le Elezioni regionali, per le elezioni comunali e per le elezioni europee.
Il nuovo sistema elettorale per le province risulta invece ancora in via di definizione.
Una riforma del contenzioso elettorale è stata infine operata dal nuovo Codice del processo amministrativo (libro IV, titolo VI: artt. 126-132), in base alla delega dell'art. 44 della L. 69/2009. Occorre precisare che tale delega prevedeva, tra i principi e criteri direttivi, l'introduzione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. L’art. 126 del decreto delegato (D.Lgs. 104/2010) ha affidato al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, ma non all’elezione dei membri della Camera e del Senato. Come si legge nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo presentato alle Camere per il parere delle competenti commissioni parlamentari: il legislatore delegato non ha ritenuto di esercitare la delega sul punto, nonostante un tentativo operato in questo senso da parte della commissione redigente istituita presso il Consiglio di Stato, in considerazione del fatto che i tempi serrati della fase preparatoria delle elezioni politiche - insuperabili per il vincolo posto dall'articolo 61 della Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche entro 70 giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere - hanno sconsigliato di intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo di competenza dell'Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Corte di cassazione, indicata dalla commissione redigente (Atto del Governo n. 212).
Sui referendum in materia elettorale del 21 giugno 2009
Sul decreto-legge in materia di segretezza del voto
Sul decreto-legge per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee ed amministrative
Sul disegno di legge sullo svolgimento dei referendum da tenersi nel 2009
Sull'ammissione degli elettori disabili al voto domiciliare
Sulla composizione delle Commissioni elettorali
Sullo svolgimento delle elezioni politiche del 2013
Riduzione dei rimborsi per le spese elettorali dei partiti, istituzione di un sistema di «cofinanziamento», rafforzamento dei controlli e della trasparenza dei bilanci: sono questi i punti principali della legge n. 96 del 2012 approvata definitivamente dalle Camere il 5 luglio 2012. Non è invece giunto a conclusione l'esame dei progetti di legge sulla disciplina dei partiti politici.
La legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici, è intervenuta sulla disciplina dei rimborsi elettorali e sul controllo dei bilanci dei partiti, con l’obiettivo di garantire la trasparenza e la correttezza della loro gestione contabile.
Le principali innovazioni contenute nel provvedimento, che ha origine da alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate alla Camera (A.C. 4826 ed abbinate), sono le seguenti.
Riduzione dei rimborsi. I contributi a carico dello Stato in favore dei partiti politici sono ridotti del 50% (anche quelli in corso di liquidazione). I risparmi di spesa così realizzati sono destinati, per l’esercizio finanziario 2012 e per quello del 2013, alle zone colpite da calamità naturali.
Cofinanziamento. Viene modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni e come contributo per il finanziamento delle attività istituzionali dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti.
Controlli e sanzioni. Si prevede l’obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte nell'albo della CONSOB. Il controllo dei bilanci revisionati è affidato ad una Commissione di nuova istituzione composta da 5 magistrati designati dai vertici delle massime magistrature (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti). E' previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare anche alla decurtazione dell'intero importo dei contributi nel caso di mancata presentazione del bilancio.
Trasparenza. I documenti di bilancio sono pubblicati (anche in formato open data) sul sito internet del partito o del movimento e in apposita sezione del sito della Camera. Viene ridotto l’importo (da 50 mila a 5 mila euro) al di sopra del quale è necessario dichiarare pubblicamente i contributi dei privati ai partiti.
Statuti dei partiti. Per accedere ai contributi loro spettanti i partiti devono dotarsi di uno statuto, conforme ai principi di democrazia interna, e di un atto costitutivo che trasmettono ai Presidenti delle Camere.
Detrazioni fiscali. La detrazione dall'imposta delle erogazioni liberali ai partiti, ora al 19%, passa al 26% e viene abbassato (a 10.000 euro) il limite massimo dell'importo detraibile. L'innalzamento dell'aliquota al 26% viene estesa anche alle donazioni a favore delle ONLUS.
Limiti di spesa per le campagne elettorali. Viene fissato un tetto di spesa delle campagne elettorali anche per le elezioni europee e per le comunali, analogamente a quanto avviene per le elezioni politiche e regionali.
Pari opportunità. Qualora un partito o movimento politico abbia presentato, nel complesso dei candidati ad esso riconducibili, un numero di candidati del medesimo sesso superiore ai due terzi del totale i contributi pubblici ad esso spettanti sono ridotti del 5%.
Delega. Il Governo è delegato ad emanare un testo unico che raccolga tutte le disposizioni in materia di finanziamento della politica entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Tale delega non è stata esercitata.
Il 3 dicembre 2012 il Presidente della Camera e il Presidente del Senato hanno nominato i componenti della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici su designazione dei vertici delle magistrature (determinazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 dicembre 2012, n. 283).
La riduzione dei contributi pubblici ad opera della legge 96/2012 si pone a conclusione di un ciclo di interventi normativi che ne hanno progressivamente ridotto l’entità.
Già nella XV legislatura, la legge finanziaria 2008 ha ridotto di 20 milioni di euro (circa il 10%) l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e movimenti politici delle spese elettorali e referendarie (L. 244/2007, art. 2, co. 275).
Successivamente, nella XVI legislatura l’importo dei contributi è stato ridotto prima del 10% dal decreto-legge 78/2010 (art. 5, comma 4), e poi di un ulteriore 10% dal decreto-legge 98/2011 (art. 6).
Queste due ultime riduzioni, che avrebbero dovuto applicarsi a partire dalla legislatura successiva, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla legge 96/2012, che ha trovato immediata applicazione anche sui contributi in corso di erogazione.
La I Commissione della Camera ha esaminato una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare in tema di disciplina dei partiti politici, in attuazione dell'art. 49 della Costituzione (A.C. 244 e abb.).
Nella seduta del 9 maggio 2012 la Commissione ha adottato il testo unificato elaborato dal relatore che ha costituito la base per il seguito della discussione.
Il testo unificato individua la natura giuridica dei partiti, che sono definiti “libere associazioni di cittadini” (art. 2) e stabilisce alcuni principi fondamentali cui si conformano i loro statuti (art. 3). Sono, inoltre, individuate alcune regole per lo svolgimento delle elezioni primarie (facoltative) per la selezione dei candidati alle competizioni elettorali (art. 4) e viene disciplinata la cessazione del partito politico (art. 5).
E’ quindi proseguito l’esame del testo con la fase emendativa che ha visto l’approvazione dei primi due articoli e di alcuni emendamenti al terzo. Tra le modifiche più rilevanti, l’introduzione dell’obbligo di trasmissione dello statuto alla Commissione di controllo dei bilanci dei partiti (istituita dalla legge 96/2012), la quale, verificata la conformità dello statuto ai principi di legge, iscrive il partito in un apposito registro; tale iscrizione costituisce requisito per l’accesso ai contributi pubblici.
Nella seduta del 13 dicembre 2012 la Commissione ha interrotto l’esame del provvedimento, in quanto la maggioranza dei gruppi aveva constatato che non vi fossero le condizioni per proseguire nell'esame del provvedimento.
Si segnala, inoltre, che il decreto legislativo 150/2009 (art. 52) in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ha introdotto il divieto per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi di direzione del personale a soggetti che abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali.
Il Consiglio dei Ministri del 30 aprile 2012 ha esaminato il rapporto sulla spending review Elementi per una revisione della spesa pubblica, illustrato dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il programma di governo, Piero Giarda, che analizza le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni.
In quella sede il Governo ha ritenuto necessario un attento esame anche delle risorse pubbliche destinate alle imprese e di quelle che affluiscono ai partiti politici e ai sindacati. Per quanto riguarda i partiti e i sindacati, il Consiglio dei Ministri ha conferito al professor Giuliano Amato l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati.
Il rapporto Amato, costituito da tre note, in materia di finanziamento della politica, legge sui partiti e finanziamento dei sindacati, è stato predisposto tra maggio e giugno 2012 e pubblicato nella rivista “Rassegna parlamentare” (n. 4 del 2012).
Il 12 settembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativa allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee, volta a sostituire il vigente regolamento (CE) n. 2004/2003.
Disciplina dei partiti politici
Finanziamento della politica
In Italia il sistema dei partiti può contare su due principali fonti di finanziamento:
Sono inoltre previsti contributi statali agli organi ufficiali di informazione dei partiti (giornali e radio) ed agevolazioni fiscali (possibilità di detrazione d’imposta per le erogazioni di privati ai partiti; esenzione delle imposte per i trasferimenti ai partiti e per la registrazione degli statuti).
Il contributo pubblico a favore di partiti o movimenti politici venne introdotto per la prima volta dalla legge 2 maggio 1974, n. 195. Si tratta, della prima legge generale sul finanziamento dei partiti: la parte relativa al finanziamento statale è stata abrogata, mentre sono rimaste in vigore le disposizioni relative ai contributi dei privati. La legge 195/1974, in seguito modificata e integrata dalla legge 18 novembre 1981, n. 659 e da altri provvedimenti (art. 1, legge 8 agosto 1980, n. 422; art. 1, legge 8 agosto 1985, n. 413). In base a tali leggi, si prevedevano:
Con il referendum popolare del 18 aprile 1993, è stata disposta l’abrogazione delle disposizioni di legge che erogavano finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti politici. Pertanto, l’unica forma di contributo da parte dello Stato che ha continuato a sussistere è quella relativa al rimborso delle spese elettorali.
La legge 6 luglio 2012, n. 96, cha ha ridotto l’ammontare dei contributi, ha modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato, oltre che a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni, anche come contributo per il finanziamento delle attività istituzionali dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti.
Per gli anni 2012 e 2013 i risparmi derivanti dalla riduzione sono destinati agli interventi nelle aree colpite da calamità naturali a partire dal 2009.
La disciplina dei contributi pubblici ai partiti è recata principalmente dalla L. 157/1999, di riforma del sistema di finanziamento dei partiti, successivamente più volte modificata, da ultimo ad opera della citata L. 96/2012.
I criteri per il riparto delle somme da assegnare sono contenuti nella L. 515/1993 e nella L. 43/1995.
Le spese dei partiti e dei movimenti politici rimborsabili sono quelle sostenute per le campagne elettorali relative ai seguenti organi:
I rimborsi sono corrisposti ripartendo, tra i movimenti o partiti politici aventi diritto, quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato della Repubblica; Camera dei deputati; Parlamento europeo; consigli regionali (L. 157/1999, art. 1, commi 1 e 3).
L’ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, a 15.925.000 euro (art. 1, commi 1, 3 e 5, L. 157/1999).
La determinazione in misura fissa dell’ammontare di fondi è stata introdotta dalla L. 96/2012: in precedenza l’ammontare di ciascun fondo era fissato, per ciascun anno di legislatura, alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero degli iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera.
Per il rimborso a partiti o movimenti politici delle spese sostenute in campagna elettorale nella circoscrizione Estero ci sono specifiche disposizioni. Esse prevedono l’incremento dell’ammontare dei due fondi relativi alle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera nella misura dell’1,5 per cento, destinando le somme relative all’erogazione del rimborso per le elezioni politiche nella circoscrizione Estero (art. 1, commi 1-bis e 5-bis, L. 157/1999).
Sono escluse dal rimborso le campagne per le elezioni negli enti locali (consigli comunali e provinciali), ad eccezione delle consultazioni per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, l’insieme dei cui componenti forma il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige (Al riguardo si veda la L. 29 novembre 2004, n. 298, Interpretazione autentica dell'articolo 1, comma 1, della L. 3 giugno 1999, n. 157 e dell'articolo 6, comma 2, secondo periodo, della L. 23 febbraio 1995, n. 43, in materia di rimborso per le spese elettorali sostenute dai movimenti o partiti politici per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano).
La legge prevede inoltre una forma di rimborso per le campagne relative ai referendum abrogativi di cui all’art. 75 e dei referendum costituzionali exart. 138 della Costituzione (art. 1, co. 4, L. 157/1999).
Viene attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero delle firme valide raccolte fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e, comunque, entro un limite massimo pari complessivamente a 2.582.285 euro annui, a condizione la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto.
Si ricorda, infine, che la legge 96/2012 ha abrogato il fondo di garanzia per il soddisfacimento dei debiti dei partiti e movimenti politici maturati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 157/1999, alimentato dall’1 per cento delle risorse stanziate per l’erogazione dei rimborsi elettorali (fondo previsto dall’art. 6-bis, comma 2, legge 157/1999).
La legge 96/2012, oltre a ridefinire la formazione dei fondi, ha ridotto l’ammontare complessivo dei contributi di circa il 50%, fissandolo a 91.000.000 euro l’anno (art. 1).
L’ammontare dei rimborsi elettorali era già stato ridotto ad opera di diversi interventi adottati negli anni precedenti.
La legge finanziaria 2008 ha ridotto di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008 l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e movimenti politici delle spese elettorali e referendarie, di cui alla L. 157/1999 (art. 2, co. 275, L. 244/2007).
Successivamente, l'art. 5, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 ha ridotto (a partire dalla XVI legislatura) del 10% l'importo di 1 euro che, ai sensi del già ricordato art. 1, comma 5, primo periodo, della legge 157/1999, doveva essere moltiplicato per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera, al fine di determinare l'ammontare dei fondi per i rimborsi, per ciascun anno di legislatura.
Inoltre, la stessa norma ha abrogato la disposizione che consentiva il versamento delle quote annuali anche in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati. Anche questa disposizione sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dalla legislatura successiva (vedi oltre).
Il decreto-legge 98/2011 (art. 6) ha apportato un'ulteriore riduzione del 10% al suddetto importo, che si viene a cumulare alle due riduzioni sopra ricordate in modo da raggiungere una riduzione complessiva del 30%. In effetti, anche la prima riduzione, nel 2008, che interveniva in termini assoluti (20 milioni) e non percentuali, ha avuto l’effetto di una riduzione di circa il 10%.
Come per la riduzione del 2010, anche quella disposta dal decreto-legge 98 non incide sull’ammontare dei rimborsi destinati ai comitati promotori dei referendum e troverà applicazione a decorrere dal primo rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Viene, invece, anticipata l’abrogazione della disposizione che consentiva il proseguimento del versamento dei contributi anche in caso di scioglimento anticipato.
Le riduzioni introdotte dal D.L. 78/2010 e D.L. 98/2011, che avrebbero dovuto applicarsi a partire dalla XVII legislatura, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla legge 96/2012, che ha trovato immediata applicazione anche sui contributi in corso di erogazione nel 2012.
La L. 157/1999 (art. 2) rinvia, per la determinazione degli aventi diritto alla ripartizione dei fondi e per il calcolo di tale ripartizione, ad eccezione degli importi per i rimborsi relativi alla circoscrizione Estero, alle leggi vigenti in materia (in particolare, con riferimento ai rimborsi elettorali per le elezioni politiche, all’art. 9, L. 515/1993; per le elezioni regionali, all’art. 6, L. 43/1995; per le elezioni europee, all’art. 16, L. 515/1993).
La legge 96/2012 (art. 6) è intervenuta, in primo luogo, provvedendo a fissare un criterio comune a tutti i tipi di elezione (ad eccezion e sempre delle elezioni nella circoscrizione Estero) per l’accesso ai rimborsi, individuato nell’ottenimento di almeno un candidato eletto. Inoltre, i partiti sono tenuti ad adottare un atto costitutivo ed uno statuto, pena la decadenza dal diritto ai contributi (art. 5, L. 96/2012).
In particolare, il fondo relativo alla Camera dei deputati è ripartito in proporzione ai voti di lista conseguiti tra i partiti e movimenti che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto (in precedenza il requisito consisteva nel superamento della soglia dell’1 per cento dei voti validamente espressi).
Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica è invece ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è in primo luogo suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra le liste di candidati presentatisi nella regione con il medesimo contrassegno, in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo le liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione. In precedenza, in alternativa al candidato eletto, era previsto anche il criterio del conseguimento del 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale e del 15 per cento per i candidati non collegati ad alcun gruppo (art. 9, co. 2, L. 515/1993).
Per quanto riguarda i rimborsi per le campagne elettorali nella circoscrizione Estero, gli importi aggiuntivi derivanti dall’incremento dell’1,5 per cento dei due fondi relativi al rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera (vedi supra) sono ripartiti, in primo luogo, tra le quattro ripartizioni in cui si suddivide la circoscrizione Estero (rispettivamente comprendenti gli Stati e i territori afferenti all’Europa, all’America meridionale, all’America settentrionale e centrale ed all’Africa, Asia, Oceania e Antartide), in proporzione alla popolazione.
In ogni ripartizione, la relativa quota è quindi proporzionalmente suddivisa tra le sole liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un eletto o almeno il 4 per cento dei voti validi nella ripartizione (art, 1, co. 5-bis, L. 157/1999).
Il fondo per le elezioni del Parlamento europeo è suddiviso tra i partiti e movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un rappresentante eletto, in proporzione ai voti riportati da ciascuno di essi sul piano nazionale (art. 16, L. 515/1993).
Infine, per le elezioni regionali la legge prevede la distribuzione del fondo tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione.
Tuttavia, poiché l’ammontare complessivo dei fondi relativi a ciascuna delle elezioni è attualmente determinato in ragione del numero degli aventi diritto al voto, l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, ha ritenuto di dover estendere lo stesso criterio del numero di elettori anche per la ripartizione del fondo tra le regioni. (Questo criterio è stato applicato la prima volta con Delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 22 luglio 1999, Piano di ripartizione del fondo relativo alle spese elettorali dei movimenti e partiti politici per il rinnovo del consiglio regionale della Sardegna, pubblicato sulla G.U. n. 173 del 26 luglio 1999).
Nell’ambito di ciascuna regione, la quota spettante è quindi ripartita, proporzionalmente ai voti riportati, tra le liste che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto al consiglio regionale della regione interessata (art. 6, co. 2, L. 43/1995).
L’erogazione dei rimborsi relativi ai referendum è subordinata (per quanto riguarda i referendum abrogativi) al raggiungimento, nella consultazione referendaria, del quorum di validità di partecipazione al voto (50 per cento più uno degli aventi diritto al voto); (art. 1, co. 4, L. 157/1999).
L’erogazione del rimborso è disposta con decreti del Presidente della Camera dei deputati o del Presidente del Senato della Repubblica, secondo le rispettive competenze. Il Presidente della Camera provvede anche all’erogazione dei contributi relativi alle elezioni europee e regionali ed ai referendum.
I partiti o movimenti politici che intendono usufruire dei rimborsi sono tenuti a farne richiesta, a pena di decadenza, al Presidente del ramo del Parlamento competente, entro 30 giorni dalla data delle elezioni (art. 3, L. 96/2012).
In precedenza la richiesta doveva essere presentata entro 10 giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste (art. 1, co. 2, L. 157/1999).
Quanto alle modalità di corresponsione dei rimborsi, il contributo è versato sulla base di quote annuali entro il 31 luglio di ogni anno. In caso di scioglimento anticipato del Senato o della Camera, il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi si interrompe. Le somme erogate o da erogare ai partiti a titolo di rimborso per le spese elettorali possono costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi (art. 1, co. 6, L. 157/1999). I rimborsi relativi ai referendum sono corrisposti in un’unica soluzione, entro il 31 luglio dell’anno in cui si è svolta la consultazione referendaria (art. 1, co. 6, L. 157/1999).
I rimborsi elettorali sono posti a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai partiti e movimenti politici (art. 6-bis, L. 157/1999).
La legge 96/2012, come anticipato sopra, ha introdotto, a fianco dei contributi per le spese elettorali, una nuova forma di contribuzione alla politica a titolo di cofinanziamento ai partiti e movimenti politici (art. 2) modellata sul sistema tedesco della legge sui partiti (Parteiengesetz). Non si tratta di una risorsa aggiuntiva: il meccanismo è basato su due diverse modalità di corresponsione del fondo per il finanziamento della politica (come si è detto pari a 91 milioni): il 70% continua ad essere erogato come contributo alle spese elettorali (ed anche per il funzionamento delle attività politiche) dei partiti, mentre la quota restante del 30%, è attribuito in proporzione alla capacità di autofinanziamento. In pratica per ogni euro ricevuto da privati nell’ambito di erogazioni liberali, comprese le quote di iscrizione, il partito riceve 50 centesimi di contributo, nel limite massimo di 10.000 euro annui per ogni persona fisica o ente erogante.
Hanno diritto alla quota di cofinanziamento i partiti che hanno conseguito un candidato eletto nell’elezione di riferimento, oppure che abbiano ottenuto almeno il 2% dei voti validi alle elezioni della Camera. Pertanto la platea dei partiti che possono accedere al cofinanziamento è più ampia rispetto a quella dei partiti che usufruiscono dei contributi elettorali, comprendendo anche quelli che non hanno nessun eletto ma che hanno una minima rappresentanza a livello nazionale.
L’ammontare stabilito dalla legge (il 30% dei 91 milioni) rappresenta la cifra massima impegnabile: ai partiti spetta un rimborso proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione e i contributi non attribuiti sono versati all’entrata del bilancio dello Stato.
Le modalità di attribuzione delle quote di cofinanziamento sono le stesse previste per i contributi elettorali.
Un’ipotesi di finalizzazione del finanziamento pubblico ai partiti è contenuta nella legge 157/1999 (art. 3) ed è intesa a promuovere la partecipazione delle donne alle attività politiche.
Si prevede, a carico dei partiti, l’obbligo di destinare almeno un importo pari al 5 per cento del totale dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative connesse alle predette finalità. Dell’effettivo adempimento di tale obbligo, è data notizia attraverso l’iscrizione della quota in una apposita voce nell’ambito del rendiconto annuale previsto dalla L. 2/1997.
In caso di inottemperanza a tale obbligo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad un ventesimo dell’importo complessivamente per l’anno in corso a titolo di rimborsi per le spese elettorali e di contributi di cofinanziamento (art. 9, co. 13, L. 96/2012).
Per quanto riguarda la promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, l’art. 3 della L. 90/2004, modificativa della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, ha introdotto il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che, nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.
Per i movimenti o partiti politici che non abbiano rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del contributo alle spese elettorali corrisposto dallo Stato: l’importo del rimborso previsto dalla L. 157/1999 è ridotto, fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito.
La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui sopra è invece erogata, quale “premio”, ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuta proclamata eletta una quota superiore a un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita proporzionalmente ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico.
La disposizione illustrata è successivamente confluita nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (art. 56, D.Lgs. 198/2006) ed è stata applicata alle elezioni europee del 2004 e del 2009.
La legge disciplina due forme di finanziamento dei privati alla politica: il finanziamento ai partiti in generale e quello ai singoli candidati nel corso delle campagne elettorali.
Con la legge 195/1974 sono stati introdotti alcuni limiti alla contribuzione dei privati a favore delle forze politiche e misure finalizzate a garantire la trasparenza delle relative fonti di finanziamento.
La legge delimita l’ambito dei soggetti privati che possono erogare contributi ai partiti.
Possono versare contributi ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari, i singoli privati (persone fisiche) e le persone giuridiche (enti, associazioni, società, ecc.). Per queste ultime i finanziamenti sono ammessi soltanto se:
E’ invece vietata la contribuzione ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20% o di società controllate da società pubbliche anche con una partecipazione inferiore al 20% se questa ne assicura comunque il controllo (art. 7, co. 2, L. 195/1974).
La violazione delle disposizioni illustrate è punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, e con la multa fino al triplo della somma versata o percepita (art. 7, co. 3, L. 195/1974).
La L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso tali divieti (e le relative sanzioni) ai finanziamenti e contributi, in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, a:
Fermi i divieti generali di finanziamento dei partiti, previsti dall’art. 7 della L. 195/1974 e sopra illustrati, le persone fisiche e le persone giuridiche possono contribuire alle attività di partiti e movimenti politici, mediante erogazioni in denaro o fornendo beni e servizi, senza limiti di importo.
La legge impone peraltro il rispetto di alcuni obblighi posti a tutela della trasparenza.
Ad esempio, quando il contributo privato supera, nell’arco dell’anno, la somma di 5.000 euro, il donatore e il beneficiario sono tenuti a sottoscrivere una dichiarazione congiunta indirizzata alla Presidenza della Camera dei deputati. (art. 4, co. 3, L. 659/1981, il limite originario – 50.000 euro – è stato così ridotto dalla L. 96/2012). Inoltre, i partiti hanno l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale al Presidente della Camera (v. infra, Obblighi di dichiarazione).
Per la violazione di tali disposizioni è prevista una multa da due a sei volte l’importo del contributo non dichiarato e la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici (art. 4, co. 6, L. 659/1981).
Per quanto riguarda la sanzione penale prevista dalla L. 659/1981, va peraltro rilevato che la giurisprudenza prevalente ritiene che essa sia stata sostituita con sanzione pecuniaria amministrativa già a partire dal 1981, sulla base dei criteri generali dettati dalla L. 689/1981, Modifiche al sistema penale, in materia di depenalizzazione di delitti e contravvenzioni.
I contributi da parte dei privati sono soggetti ad un regime fiscale agevolato sotto forma di detrazione di imposta (art. 15, co. 1-bis e art. 78, D.P.R. 917/1986, vedi infra, Il regime fiscale del finanziamento privato).
Inoltre, la legge stabilisce limiti di spesa per le campagne elettorali: le spese elettorali dei partiti o formazioni politiche che partecipano alla elezioni per il rinnovo delle Camere non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero complessivo dei cittadini iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni (o collegi) in cui il partito o movimento o lista presenta candidature, a tal fine sommando le iscrizioni nelle liste elettorali per la Camera e quelle per il Senato (art. 10, L. 515/1993).
Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito che partecipa alle elezioni regionali non possono superare la somma risultante dall’importo di 1 euro moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ciascun partito ha presentato proprie liste (art. 5, co. 3, L. 43/1995). Il limite delle spese riferibili a ciascun partito (o gruppo di liste) è stato elevato dalla Regione Lazio (L.R. n. 2/2005, art. 9) e dalla Regione Toscana (L.R. n. 74/2004, art. 14), che hanno legiferato in materia.
Limiti di spesa per le campagne elettorali dei partiti, prima non previsti, sono stati introdotti dalla legge 96/2012, anche per le consultazioni elettorali provinciali e comunali (art. 13) e per quelle europee (art. 14).
Una disciplina speciale è prevista per la raccolta di contributi per le campagne elettorali da parte dei singoli candidati. Restano ferme le disposizioni stabilite in generale per il finanziamento dei partiti politici (trasparenza dei finanziamenti da parte di società; divieto di ricevere finanziamenti da organi della p.a. o da essa partecipati; obbligo di dichiarazione dei contributi superiori, nell’anno, a 5.000 euro, etc., sulle quali vedi supra) che la citata L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso anche ai candidati.
I candidati alle elezioni politiche possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale (art. 7, co. 3, L. 515/1993). Ciascun candidato comunica al competente Collegio regionale di garanzia (organo istituito presso ciascuna Corte di appello) il nominativo del mandatario elettorale da lui designato.
La legge prevede, inoltre, un tetto massimo per le spese relative alla campagna elettorale di ciascun candidato, che non possono superare l’importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 52.000 per ogni circoscrizione (o collegio) elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni (o collegi) elettorali nei quali il candidato si presenta (art. 7, co. 1, L. 515/1993).
Come per i partiti politici, sono previsti limiti di spesa per le campagne elettorali dei candidati che si presentano alle elezioni regionali, ma non per quelli che partecipano alle consultazioni elettorali europee, provinciali e comunali.
Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alle elezioni regionali in una lista provinciale non possono superare l’importo massimo dato dalla cifra fissa pari ad euro 38.802,85 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,0061 per ogni cittadino residente nella circoscrizione. Per i candidati che si presentano nella lista regionale il limite delle spese per la campagna elettorale è pari ad euro 38.802,85. Per coloro che si candidano in più liste provinciali le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una candidatura aumentato del 10 per cento. Per coloro che si candidano in una o più circoscrizioni provinciali e nella lista regionale le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una delle candidature nelle liste provinciali aumentato del 30 per cento (art. 5, co. 1, L. 43/1995. Gli importi originari sono stati rivalutati dal D.M. 1° marzo 2010).
I limiti di spesa per ciascun candidato sono stati elevati dalla Regione Lazio (L.R. n. 2/2005, art. 9) che eleva la cifra fissa a 50.000 euro e la cifra variabile a 0,03) e ridotti dalla Regione Toscana (L.R. n. 74/2004, art. 14) l'importo massimo è dato dalla cifra fissa pari a euro 10.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della circoscrizione. La legge regionale della Toscana inoltre, poiché elimina la lista regionale, introduce un limite di spesa specifico per il candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale, pari a euro 110.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della Regione.
Per tutti i contributi ai partiti che - nell’arco di un anno - superino la somma di 5.000 euro il donatore e il beneficiario hanno l’obbligo di effettuare entro tre mesi (o entro il mese di marzo dell’anno successivo) una dichiarazione congiunta al Presidente della Camera (art. 4, co. 3, L. 659/1981).
Tale disposizione non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari; nell’ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera, l’obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce.
I rappresentanti dei partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati che concorrono per le elezioni politiche hanno inoltre l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale presentando ai Presidenti delle rispettive Camere, entro 45 giorni dall’insediamento, un consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e le relative fonti di finanziamento. I controlli su tali rendiconti sono effettuati dalla Corte dei conti, cui i Presidenti delle Camere trasmettono la documentazione, attraverso un Collegio di controllo sulle spese elettorali, a tal fine istituito, composto da tre magistrati estratti a sorte tra i consiglieri in servizio (art. 12, L. 515/1993).
Il referto sui consuntivi delle spese elettorali e sui relativi finanziamenti relativi alla campagna per le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 è stato trasmesso dalla Corte dei conti al Parlamento il 4 dicembre 2009.
Il referto della Corte dei conti sulle politiche 2006 è del marzo 2008.
Inoltre i legali rappresentanti o i tesorieri dei partiti o dei movimenti politici che hanno ottenuto almeno il 2% dei voti validi alla Camera, oppure che hanno almeno un rappresentante eletto in uno degli organi per i quali sono previsti i contributi elettorali (Camera, Senato, Parlamento europeo o consiglio regionale) devono trasmettere al Presidente della Camera, entro il 15 giugno di ogni anno, un rendiconto di esercizio, corredato di una relazione sulla gestione e di una nota integrativa. Il rendiconto deve riportare le somme relative ai crediti per contributi elettorali e ai rimborsi elettorali. Nella relazione devono essere indicate le spese sostenute per le campagne elettorali e l’eventuale ripartizione tra i livelli politico-organizzativi del partito o del movimento dei contributi per le spese elettorali ricevuti.
Il rendiconto di esercizio, prima della approvazione da parte del partito è sottoposto al giudizio di una società di revisione esterna.
Il controllo successivo dei rendiconti è effettuato dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, organismo istituito dalla legge 96/2012 (art. 9).
La Commissione sostituisce il Collegio di revisori nominati d’intesa tra i Presidenti delle due Camere, all’inizio di ciascuna legislatura che effettuava un controllo formale dei bilanci dei partiti ai sensi della previgente disciplina (art. 1, co. 14, L. 2/1997).
La Commissione è composta da 5 membri designati dai vertici delle tre massime magistrature, nella seguente proporzione:
Le designazioni sono ratificate dall’atto di nomina congiunto dei Presidenti delle Camere. Il 3 dicembre 2012 il Presidente della Camera e il Presidente del Senato hanno nominato i componenti della Commissione su designazione dei vertici delle magistrature (determinazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 dicembre 2012, n. 283).
Come prevede la legge, con tale atto è stato anche individuato, tra i componenti, il Presidente-coordinatore della Commissione.
I membri della Commissione sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata.
I componenti della Commissione non percepiscono alcun compenso per l’attività prestata di controllo sui bilanci dei partiti. Il mandato dei membri della Commissione è di 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.
La sede della Commissione è stabilita presso la Camera; le risorse di personale di segreteria necessarie all’operatività della Commissione sono garantite congiuntamente e in pari misura da Camera e Senato.
La Commissione effettua il controllo sui bilanci verificando anche la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate alla documentazione prodotta.
In caso di inottemperanza o di irregolarità nella formazione del bilancio è previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare alla decurtazione dell’intero importo dei contributi pubblici.
La legge del 2012 ha introdotto anche un obbligo di trasparenza: i bilanci sono pubblicati, anche in formato open data, sia sui siti internet dei partiti, sia in quello della Camera.
Inoltre, la legge dispone in ordine alla destinazione dei contributi che devono essere finalizzati esclusivamente al finanziamento dell’attività politica, ponendo nel contempo alcuni vincoli per il loro impiego, quali il divieto a investire la liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli pubblici degli Stati dell’Unione europea.
I membri delle due Camere sono tenuti, entro tre mesi dalla proclamazione, a presentare presso l’Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza, e al competente Collegio di garanzia elettorale, una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di mezzi propagandistici messi a disposizione dal partito di appartenenza (art. 2, co. 1, L. 441/1982; art. 7, co. 6, L. 515/1993). Anche i candidati non eletti sono tenuti alla dichiarazione al Collegio di garanzia elettorale, ma anche agli adempimenti sotto indicati (art. 7, co. 7, L. 515/1993).
Alla dichiarazione debbono essere allegate in copia le dichiarazioni inviate al Presidente della Camera relative ai contributi ricevuti - anche al di fuori della campagna elettorale - che superino da parte di una singola fonte in un anno la somma di 5.000 euro (art. 4, co. 3, L. 659/1981; art. 2, co. 2, L. 441/1982).
L’obbligo di dichiarazione sussiste a carico sia di chi riceve, sia di chi eroga il finanziamento, e può essere assolto, soltanto per i contributi erogati per la campagna elettorale, anche mediante la autocertificazione dei candidati (art. 4, co. 4, L. 659/1981).
Oltre alle informazioni previste dalla legge 659/1981 e legge 441/1982, alla dichiarazione deve essere allegato un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute, nel quale vanno riportati i contributi e servizi provenienti dalle persone fisiche, se di importo o valore superiore a 5.000 euro, e tutti i contributi e servizi di qualsiasi importo o valore provenienti da soggetti diversi. Alla dichiarazione devono essere inoltre allegati gli estratti del conto corrente bancario e postale utilizzati (art. 7, co. 6, L. 515/1993). Le verifiche sull’osservanza della legge sono effettuate dal Collegio regionale di garanzia elettorale (art. 14, L. 515/1993). Per il parlamentare eletto che violi tali disposizioni, le sanzioni possono giungere sino alla decadenza dalla carica (art. 15, co. 7, L. 515/1993).
La legge 2/1997 ha disciplinato il regime fiscale delle erogazioni liberali delle persone fisiche e giuridiche in favore dei partiti (art. 5 e 6 che hanno aggiunto, rispettivamente, il comma 1-bis all’art. 13-bis, successivamente rinumerato come art. 15, e l’art. 91-bis, successivamente rinumerato come art. 78, del D.P.R. 917/1986, recante il Testo unico delle imposte sui redditi).
La legge prevede che sono detraibili le erogazioni in favore dei partiti che abbiano presentato proprie candidature alle elezioni politiche o europee, ovvero abbiano almeno un rappresentante eletto in un consiglio regionale.
Tali requisiti sono stati introdotti dalla legge 96/2012. In precedenza, nel silenzio della norma, l’Agenzia delle entrate aveva individuato come destinatari delle erogazioni suscettibili di detrazione i partiti o movimenti politici che nel periodo d’imposta in cui è effettuata l’erogazione hanno almeno un parlamentare eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica (Risoluzione 15 febbraio 2005, n. 15).
Il sistema si basa sul principio della detraibilità di quote dell’erogazione liberale a favore di movimenti o partiti politici dall’imposta sui redditi.
In particolare la legge prevede:
Inoltre, l’art. 5 della L. 157/1999 ha previsto una ulteriore agevolazione, stabilendo i trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni
L'imposta sulle successioni e donazioni, già soppressa dall’articolo 13 della L. 383/2001, è stata nuovamente istituita dal comma 47 dell’art. 2, del D.L. 262/2006.
Nella XVI legislatura sono state adottate misure di contenimento delle spese del Parlamento che hanno inciso, tra l'altro, sulle indennità dei deputati e dei senatori. E' stata anche regolamentata la contribuzione ai gruppi parlamentari, mentre non si è concluso l'esame di una specifica disciplina del trattamento dei collaboratori dei parlamentari.
Il decreto-legge 78/2010 (art. 5, comma 1), in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ha previsto, nell’ambito del contenimento della spesa pubblica, anche la riduzione delle spese degli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, Senato, Camera e Corte Costituzionale), rimettendone la concreta determinazione all’autonomia di ciascun organo. Gli importi corrispondenti alle riduzioni sono destinati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Tra le diverse misure adottate dalla Camera in attuazione del decreto-legge, si ricorda la riduzione di 1.000 euro dei rimborsi spesa forfetari dovuti mensilmente a ciascun deputato: 500 euro decurtati dalla diaria di soggiorno e 500 dal rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori (deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del 27 luglio 2010).
Successivamente, in attuazione dell’art. 13 del decreto-legge 138/2011, che prevedeva riduzioni di spesa per gli anni 2011, 2012 e 2013, è stato operato un taglio alla indennità dei deputati in misura pari al 10% per la parte eccedente i 90 mila euro annui e fino a 150 mila e al 20% per la parte eccedente i 150 mila (deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera del 28 settembre 2011).
Tra le altre misure adottate dalla Camera si ricordano:
Per un esame dettagliato di tutti gli interventi si veda Camera dei deputati, Le misure per la riduzione della spesa, 20 dicembre 2012
Per le riduzioni di spesa adottate dal Senato si veda la pagina dedicata al Trattamento economico dei senatori sul sito del Senato.
Il decreto-legge 98/2011 ha stabilito un tetto al trattamento economico omnicomprensivo corrisposto ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice di diversi organismi pari alla media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro (art. 1).
Il 1° settembre 2011 si è insediata una Commissione, presieduta dal Presidente dell’ISTAT, che avrebbe dovuto provvedere, entro il 1° luglio di ogni anno, alla ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici riferiti all’anno precedente. Il 31 marzo 2012 la Commissione ha trasmesso al Governo il rapporto finale per l’anno 2011, rimettendo il mandato affidatole, in quanto le criticità riscontrate hanno impedito di portare a compimento la ricognizione.
Successivamente, presso la I Commissione della Camera è iniziato l’esame della proposta di legge di iniziativa popolare A.C. 5105 finalizzata all’adeguamento alla media europea degli stipendi, emolumenti, indennità degli eletti negli organi di rappresentanza nazionale e locale, alla quale sono state poi abbinate altre proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 324 ed altre). La Commissione ha adottato come testo base il testo unificato proposto dai relatori il 20 dicembre 2012, senza tuttavia proseguire oltre l’esame.
Il testo base prevede che l’indennità parlamentare sia determinata, al netto dei contributi previdenziali e assistenziali in misura pari all'indennità spettante ai membri del Parlamento europeo, ai sensi dello Statuto dei deputati del Parlamento europeo adottato con la decisione 2005/684/CE, Euratom del Parlamento europeo, del 28 settembre 2005, e delle misure di attuazione del medesimo, adottate con la decisione 2009/C159/01 dell'Ufficio di presidenza del Parlamento europeo, del 19 maggio e 9 luglio 2008.
Con deliberazione del 25 settembre 2012, la Camera ha modificato il proprio regolamento introducendo una nuova disciplina dei gruppi parlamentari e del loro finanziamento.
Per la prima volta, è stata introdotta una definizione dei gruppi, indicati quali associazioni di deputati, ai quali, in quanto soggetti necessari al funzionamento della Camera, sono assicurate, a carico del bilancio della Camera, le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività.
I gruppi devono dotarsi di uno statuto e i contributi loro spettanti devono essere destinati esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare.
Inoltre, viene introdotto l’obbligo per ciascun gruppo di presentare un rendiconto di esercizio annuale, pena la decadenza dai contributi. Allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione contabile e finanziaria, si prevede il ricorso ad un’unica società esterna di revisione legale.
Il controllo sui rendiconti è effettuato a cura del Collegio dei Questori della Camera.
Analoghe misure sono state adottate dal Senato (deliberazione 21 novembre 2012).
La Camera ha approvato una proposta di legge concernente la regolamentazione del rapporto di lavoro dei collaboratori parlamentari (A.C. 2438 e A.C. 5382).
Di particolare rilievo la previsione che gli Uffici di presidenza definiscono l’ammontare del contributo spettante ai parlamentari per la retribuzione dei collaboratori e disciplinano il pagamento diretto da parte dell’amministrazione e l’assolvimento dei relativi oneri amministrativi, fiscali e previdenziali.
Il testo della proposta di legge è stata trasmessa il 4 ottobre 2012 al Senato (A.S. 3508) che però non ne ha iniziato l’esame.