Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: Disposizioni in materia di pensioni di importo elevato - A.C. 1253, A.C. 1547 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 1253/XVII   AC N. 1547/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 88
Data: 11/11/2013
Descrittori:
TRATTAMENTO PREVIDENZIALE     
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato


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Disposizioni in materia di pensioni di importo elevato

11 novembre 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Incidenza sull'ordinamento giuridico|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|Impatto sui destinatari delle norme|Formulazione del testo|Quadro normativo vigente|



Contenuto

Le proposte di legge C.1253 (Meloni ed altri) e C.1547 (Zanetti e altri) recano norme per la riduzione dei trattamenti pensionistici di importo elevato.

La proposta di legge C.1253 (Meloni ed altri), composta di un solo articolo, prevede il ricalcolo con il metodo contributivo dei trattamenti pensionistici superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS (pari a 64.406 euro annui).

Il comma 1 specifica che oggetto del ricalcolo sono i trattamenti pensionistici obbligatori, integrativi e complementari, i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio (ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, e decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252), i trattamenti che assicurano prestazioni definite per i dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (ivi compresi quelli derivanti dalla gestione speciale ad esaurimento di cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761) e i trattamenti erogati dalle gestioni di previdenza obbligatorie presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale già addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette.

Le norme richiamate dalla proposta di legge fanno riferimento, in sostanza, al personale della Banca d'Italia, dell'UIC, degli enti pubblici creditizi, delle regioni, del c.d. parastato, del personale addetto alle imposte di consumo, delle aziende del gas, delle esattorie e delle ricevitorie (per tale aspetto la norma ricalca la formulazione dell'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 98/2011, su cui v.oltre).

Sono esclusi dal ricalcolo le prestazioni di tipo assistenziale, gli assegni straordinari di sostegno del reddito, le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e le rendite erogate dall'INAIL.

Il ricalcolo opera anche nel caso in cui il limite di dieci volte il trattamento minimo I.N.P.S. venga superato per effetto del cumulo di più trattamenti pensionistici di cui beneficia un medesimo soggetto.

Il ricalcolo avviene secondo il sistema contributivo di cui alla legge n. 335/1995 (c.d. riforma Dini).

Il comma 2 introduce una misura di salvaguardia, prevedendo che l'importo dei trattamenti pensionistici, a seguito del ricalcolo, non possa essere comunque inferiore a dieci volte il trattamento minimo dell'INPS.

Il comma 3 prevede che i risparmi di spesa conseguiti a seguito del ricalcolo vengano destinati a misure di perequazione dell'integrazione al trattamento minimo dell'INPS, dell'assegno sociale e dei trattamenti corrisposti ai sensi della legge n. 222/1984.

La proposta di legge C.1547 (Zanetti e altri), composta di 4 articoli, introduce un contributo di solidarietà, per cinque anni, sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 60.000 euro annui.

L'articolo 1 prevede che il contributo di solidarietà si applica a tutti i trattamenti pensionistici erogati da enti di gestione di forme di previdenza obbligatoria, inclusi gli enti previdenziali privati (i cui conti non confluiscono nel bilancio dello Stato). Il contributo di solidarietà, calcolato in dodicesimi, è trattenuto alla fonte dal sostituto d'imposta che liquida il trattamento.

L'articolo 2 stabilisce che il contributo di solidarietà è dovuto, con aliquote progressive per scaglioni, sul differenziale esistente tra l'ammontare del trattamento pensionistico in essere e l'ammontare del trattamento pensionistico calcolato per intero con il metodo contributivo. Il contributo di solidarietà è pari al 10% sul differenziale fino a 10.000 euro, al 20% sul differenziale da 10.001 a 50.000 euro, al 30% sul differenziale da 50.001 a 100.000 euro e al 40% sul differenziale oltre 100.000 euro. Una norma di salvaguardia prevede che l'importo del trattamento pensionistico, a seguito del contributo di solidarietà, non possa essere comunque inferiore a 60.000 euro.


L'articolo 3 disciplina la destinazione delle somme derivanti dai contributi di solidarietà.

La quota prelevata sui trattamenti pensionistici liquidati da enti i cui conti confluiscono nel bilancio dello Stato affluisce in un apposito fondo del bilancio dello Stato, utilizzabile esclusivamente a copertura di interventi finalizzati a ridurre, anche in modo selettivo, il carico fiscale e contributivo sui redditi di lavoro dipendente o autonomo (nonché dell'attività d'impresa svolta in prevalenza con il lavoro del titolare), ovvero a copertura di interventi di finanziamento e di rifinanziamento di ammortizzatori sociali e degli asili nido.

La quota prelevata sui trattamenti pensionistici liquidati da enti i cui conti non confluiscono nel bilancio dello Stato resta nella disponibilità degli enti medesimi e deve essere integralmente reimpiegata a copertura di interventi finalizzati a migliorare i trattamenti previdenziali e assistenziali degli iscritti per i quali il calcolo del montante previdenziale è effettuato per intero sulla base del metodo contributivo.

L'articolo 4 prevede che la legge entri in vigore il 1° gennaio dell'anno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Per il primo anno di applicazione la dotazione del fondo istituito ai sensi dell'articolo 3 è pari a 100 milioni di euro, mentre negli anni successivi viene alimentato dalle sole risorse derivanti dall'applicazione del contributo di solidarietà relativo ai trattamenti pensionistici liquidati da enti i cui conti confluiscono nel bilancio dello Stato.

 

A.C. 1253
Ricalcolo dei trattamenti pensionistici
Prestazioni escluse dal ricalcolo
Destinazione dei risparmi di spesa
A.C. 1547
Contributo di solidarietà
Aliquote progressive sul differenziale
Destinazione dei risparmi di spesa
Istituzione di un Fondo


Relazioni allegate o richieste

Alle proposte di legge sono allegate le relazioni illustrative.



Necessità dell'intervento con legge

L'intervento con legge si rende necessario in quanto la materia è attualmente regolata da fonti normative di rango primario (v. sezione "Quadro normativo vigente").



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le norme contenute nelle proposte di legge sono riconducibili alla materia di potestà esclusiva statale "previdenza sociale", di cui all'articolo 117, comma 2, lettera o), della Costituzione.



Incidenza sull'ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

Le proposte di legge non prevedono il rinvio a provvedimenti di attuazione della disciplina legislativa.

Coordinamento con la normativa vigente

All'articolo 1 della proposta di legge C.1253, il richiamo alla legge 8 agosto 1995, n.335, andrebbe più specificamente riferito all'articolo 1, comma 11 (che richiama l'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione ai fini del calcolo con il metodo contributivo).


Collegamento con lavori legislativi in corso

Si fa presente l'articolo 12, comma 4, dell'AS 1120 (Legge di stabilità 2014) prevede un contributo di solidarietà, per il periodo 2014-2016, sui trattamenti pensionistici obbligatori eccedenti determinati limiti. L'aliquota del contributo è pari a: il 5 per cento per le fasce di importo superiori a 150.000 euro lordi annui e fino a 200.000 euro; il 10 per cento per le fasce superiori a 200.000 euro e fino a 250.000 euro; il 15 per cento per le fasce superiori a 250.000 euro. A tal fine, si prendono in considerazione tutti i trattamenti pensionistici obbligatori percepiti dal soggetto. Le somme derivanti dalle trattenute restano acquisite dalla gestione previdenziale che eroga il trattamento.

Merita segnalare, inoltre, che la questione dei trattamenti pensionistici di importo elevato liquidati con il metodo retributivo è stata oggetto, nell'attuale legislatura, di vari atti di sindacato ispettivo e di indirizzo.

Per quanto riguarda gli atti di sindacato ispettivo conclusi, si vedano:
  • l'interrogazione a risposta immediata alla Camera (Assemblea) 3-00043 (Meloni) (in risposta alla quale il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini ha osservato che "non è tanto l'elevato importo a destare l'attenzione, quanto i meccanismi che ad esse hanno dato luogo, in quanto soltanto in minima parte connessi ai contributi effettivamente versati dal lavoratore, e per la maggior parte legati alla peculiarità del sistema. In tale prospettiva, intendo rassicurare gli onorevoli interroganti che il sistema di tipo contributivo, direttamente commisurato agli importi di contribuzione realmente versati, attenuerà progressivamente il fenomeno fino ad eliminarlo, rendendo così trasparente e lineare la corrispettività tra retribuzione percepita, contribuzione versata e trattamento percepito. Nell'immediato, però, ogni intervento presenta evidenti complessità, in quanto i trattamenti pensionistici sono goduti sulla base di norme legittime che hanno operato nel tempo, e anche in base ai richiami della Corte costituzionale risulta complesso rispondere alle istanze di equità sociale rappresentate");
  • l'interrogazione a risposta immediata alla Camera (Assemblea) 3-00116 (Meloni) (in risposta alla quale il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini ha evidenziato la necessità di "individuare meccanismi idonei ad affrontare la questione segnalata senza incorrere in rischi di incostituzionalità. […] Quindi, posso certamente confermare la volontà di affrontare la questione segnalata dall'onorevole Meloni, ma ribadisco che essa deve essere attentamente valutata alla luce del quadro giuridico esistente e ponendo la massima attenzione ai profili di compatibilità costituzionale");
  • l'interrogazione a risposta in commissione (XI Commissione) 5-00632 (Bergamini) (in risposta alla quale il Sottosegretario Carlo Dell'Aringa ha confermato "la volontà di affrontare la questione segnalata dall'onorevole interrogante, che deve essere tuttavia attentamente valutata alla luce del quadro giuridico esistente e ponendo la massima attenzione ai profili di compatibilità costituzionale").
Si segnala, infine, che è attualmente all'esame della Camera dei deputati la mozione 1-00194 (Sorial) la quale impegna il Governo, tra l'altro, a "valutare l'opportunità di revisionare i trattamenti pensionistici erogati per prestazioni lavorative presso pubbliche amministrazioni e di elevato importo, al fine di adeguare i trattamenti medesimi alla effettiva contribuzione da parte del lavoratore beneficiario in quiescenza, riducendo la quota di trattamento acquisita in base al sistema retributivo, fissando per ciascuna forma di sistema un tetto massimo di pensione erogabile".

 

Disegno di legge di stabilità 2014
Atti di sindacato ispettivo e di indirizzo


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

La giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale, con riferimento ai principali profili della materia (natura dei contributi previdenziali, adeguatezza delle prestazioni ai sensi dell'articolo 38 Cost., limitazione di benefici precedentemente riconosciuti e conseguente discrezionalità del legislatore, tutela dell'affidamento dei singoli e sicurezza giuridica) riflette, sostanzialmente, l'evoluzione della legislazione pensionistica, segnata dall'inversione di tendenza operata a partire dagli anni '90 a fronte dell'esplosione della spesa e della necessità di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema.

Negli anni '60 e '70 la Corte è impegnata soprattutto nel tentativo di dare razionalità a un quadro normativo assai complesso e articolato (ereditato in parte dalla legislazione fascista), che si caratterizza per le numerose sentenze "additive" (le c.d. sentenze che costano) con le quali, assumendo a parametro l'articolo 3 della Costituzione(principio di uguaglianza formale e sostanziale), si procede ad adeguare le normative meno favorevoli a quelle più favorevoli, livellando verso l'alto prestazioni e benefici (tra le tante: sentenze n. 78 del 1967; n. 124 del 1968; n. 5 del 1969; n. 144 del 1971, n. 57 del 1973 e n.240/1994).

Per quanto concerne, specificamente, la possibilità per il legislatore di modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, la giurisprudenza di questo periodo (sentenze n. 26/80 e 349/85), facendo leva sull' articolo 36 Cost. e l'articolo 38 Cost., porta sostanzialmente a ritenere che il lavoratore abbia diritto a "una particolare protezione, nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa". A tale riguardo la Corte precisa, in particolare, che "proporzionalità e adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta" (sentenza n. 176/1986).

A partire dalla seconda metà degli anni ‘80, la Corte fornisce il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie. Già nelle sentenze n. 180/1982 e n. 220/1988 la Corte afferma il principio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie. Le scelte del legislatore, volte a contenere la spesa (anche con misure peggiorative a carattere retroattivo), vengono tuttavia censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n.73/1992, n.485/1992 e n.347/1997).

Quanto alla nascende che il legislatore non può prescindere dal principio di proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n. 173/1986; si vedano anche, a tale proposito, le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991).

Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, purchè ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente (sentenze n. 349/1985, n. 173/1986, n. 822/1988, n. 211/1997, n. 416/1999).

Per quanto concerne, specificamente, la giurisprudenza costituzionale relativa ai contributi di solidarietà sulle pensioni di importo elevato, si segnala, in primo luogo, la sentenza n.146 del 1972, con cui la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità dell'articolo unico della legge n.369/1968, che introduceva un contributo di solidarietà progressivo (16% fino a 12 milioni; 32% da 12 a 18 milioni; 48% oltre 18 milioni), a carico dei trattamenti previdenziali superiori a 7.200.000 lire, finalizzato a contribuire all'istituzione delle pensioni sociali. In tale occasione la Corte osservava che la legittimità del contributo, di cui evidenziava il carattere tributario in forza della progressività delle aliquote e dall'assenza di limiti temporali, si legava al nesso teleologico tra il contributo medesimo e "la destinazione del relativo provento alla realizzazione di un interesse pubblico, quale la collaborazione all'apprestamento dei mezzi per l'attuazione di quel principio generale di sicurezza sociale, sancito dal primo comma dell'articolo 38 Cost., cui è appunto informata la istituzione delle pensioni sociali".

Chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla stessa disposizione legislativa, con la sentenza n.119/1981 la Corte, prendendo atto che nel frattempo il legislatore, dando attuazione all'articolo 53 Cost., aveva provveduto ad introdurre un'imposta personale progressiva (IRPEF, introdotta a decorrere dal 1° gennaio 1974), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del contributo di solidarietà limitatamente alla sua applicazione successivamente al 1° gennaio 1974. La Corte osserva che "le pensioni assoggettate alla "ritenuta" sono state, nel biennio che intercorre tra il 1 gennaio 1974 (inizio dell'applicazione dell'IRPEF) ed il 1 gennaio 1976 (cessazione dell'efficacia delle disposizioni istitutive del contributo di solidarietà), incise da un duplice prelievo per effetto di due concomitanti imposizioni, la cui progressività, caratteristica di entrambe, non è stata nemmeno coordinata. Appare in conseguenza vulnerato il principio dell'eguaglianza in relazione alla capacità contributiva, sancito dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, atteso che, nei confronti dei titolari di altri redditi, e più specificamente di redditi da lavoro dipendente (cui la pensione, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, è assimilata), i titolari delle pensioni su cui si è applicato tanto l'IRPEF quanto la ritenuta a favore del Fondo sociale, sono stati, a parità di reddito e di capacità contributiva, colpiti in misura ingiustificatamente e notevolmente maggiore".

Successivamente, la Corte (ordinanza n.22/2003, confermata dall'ordinanza n.160/2007) ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 37 della legge n.488/1999, con cui era stato introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, un contributo di solidarietà del 2 per cento sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a un massimale annuo (123 milioni di lire). Le motivazioni della decisione si fondano sul fatto che le risorse derivanti dal contributo di solidarietà hanno "concorso inizialmente ad alimentare un apposito fondo destinato a garantire misure di carattere previdenziale per i lavoratori temporanei" e, successivamente, sono state "acquisite alle gestioni previdenziali obbligatorie". La Corte osserva, in particolare, che "il contributo di solidarietà, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso tecnico (sentenza n. 421 del 1995), va inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 della Costituzione, costituendo una prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenza n. 178 del 2000), con la conseguenza che l'invocato parametro di cui all'art. 53 Cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia della imposizione tributaria in senso stretto". La Corte aggiunge, poi, che la scelta discrezionale del legislatore "è stata operata in attuazione dei principi solidaristici sanciti dall'art. 2 della Costituzione, attraverso l'imposizione di un'ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni trattamenti previdenziali obbligatori che superino un certo importo stabilito dalla legge, al fine di concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale.

La Corte costituzionale è tornata sul tema, da ultimo, con la sentenza n. 116/2013, con cui ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 98/2011, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5% per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10% per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15% per la parte eccedente i 200.000 euro. La Corte, assumendo che il contributo di solidarietà ha natura tributaria e, quindi, deve essere commisurato alla capacità contributiva ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, ha ritenuto che la disposizione violi il principio di uguaglianza e i criteri di progressività, dando vita ad un trattamento discriminatorio. Secondo la Corte, infatti, "[…] trattasi di un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L'intervento riguarda, infatti, isoli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi". La Corte nell'evidenziare anche come sia stato adottato un criterio diverso per i pensionati rispetto a quello usato per gli altri contribuenti, penalizzando i primi, osserva che "i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento" e che "a fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici", con ciò portando a "un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita". La Corte aggiunge, poi, che "nel caso di specie, il giudizio di irragionevolezza dell'intervento settoriale appare ancor più palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 30/2004 e ordinanza n. 166/2006); sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro".

 

Giurisprudenza anni '60-'70
Giurisprudenza dagli anni '80
Natura dei contributi previdenziali
Principio di proporzionalità
Trattamenti peggiorativi retroattivi
Contributi di solidarietà
Sentenza n.116/2013


Impatto sui destinatari delle norme

Dall'applicazione delle norme deriva una significativa riduzione dei trattamenti pensionistici di importo più elevato. L'incidenza della riduzione, peraltro, è sicuramente maggiore per effetto delle disposizioni dell' A.C. 1253, sia con riferimento alla misura della decurtazione dei trattamenti (pari all'intero differenziale tra trattamento in essere e trattamento ricalcolato con il metodo contributivo, che viene invece inciso solo parzialmente e progressivamente dal contributo di solidarietà previsto dell' A.C. 1547), sia con riferimento alla durata della decurtazione (gli effetti del ricalcolo sono permanenti, mentre il contributo di solidarietà previsto dall' A.C. 1547 ha una durata di 5 anni); al contrario, per quanto concerne la platea dei soggetti coinvolti, l' A.C. 1253 fissa il limite di 64.406 euro annui (pari a 10 volte l'attuale trattamento minimo annuo INPS), superiore a quello di 60.000 euro annui stabilito dall' A.C. 1547.

Per quanto riguarda i soggetti potenzialmente coinvolti dalle proposte di legge in esame, da dati dell'INPS relativi all'anno 2012 risulta che i pensionati beneficiari di trattamenti previdenziali superiori a 10 volte il trattamento minimo INPS sono stati circa 150.000.

Con riferimento alla proposta di legge A.C.1253, va in primo luogo attentamente valutata l'opportunità di includere nel ricalcolo i trattamenti pensionistici complementari (che erano peraltro esclusi dal contributo di solidarietà di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 98/2011), in quanto si tratta di trattamenti non a carico del bilancio dello Stato, liquidati secondo le regole proprie di ciascun fondo (per lo più a capitalizzazione), tenendo conto anche dei piani individuali di investimento.

Aspetti problematici presenta, altresì, il fatto che ai fini dper coloro che hanno scelto di accedere (anche tramite il versamento della quota di spettanza del TFR) alla previdenza complementare (ad esempio, una stessa pensione, di importo anche molto limitato e interamente liquidata con il metodo retributivo, verrà sottoposta a ricalcolo se colui che la percepisce gode anche di una pensione complementare per effetto della quale l'importo complessivamente goduto superi il limite di 64.406 euro annui).

Con riferimento alla proposta di legge A.C.1547 , si osserva che l'applicazione (ai sensi dell'articolo 1, comma 2) del contributo di solidarietà anche ai trattamenti pensionistici erogati da enti di natura privatistica (le Casse professionali), nonché la previsione di uno specifico vincolo di destinazione dei relativi importi (articolo 3, comma 1, lettera b)), appare difficilmente conciliabile con l'autonomia che l'ordinamento ha riconosciuto a tali enti a seguito della privatizzazione, soprattutto con riferimento ai trattamenti pensionistici maturati e liquidati successivamente alla privatizzazione medesima, i quali non gravano in alcun modo sul bilancio dello Stato.

 

Incidenza della riduzione dei trattamenti
La platea coinvolta
Estensione alla previdenza complementare
Cumulo dei trattamenti
Effetti penalizzanti
Trattamenti erogati da enti previdenziali privati


Formulazione del testo

Proposta di legge C.1253

All'articolo 1, comma 1, occorre fare riferimento (come correttamente avviene al successivo comma 2) ai trattamenti pensionistici che superano dieci volte il "trattamento minimo INPS" (e non già "l'integrazione al trattamento minimo INPS").

Proposta di legge C.1547

Con riferimento allo stanziamento di 100 milioni di euro per il primo anno di applicazione della legge (previsto all'articolo 4, comma 2), appare necessario prevedere una norma di copertura finanziaria.



Quadro normativo vigente

L'evoluzione del sistema previdenziale

A partire dagli anni '90 il sistema pensionistico italiano è stato interessato da una serie di interventi, volti a garantirne l'equilibrio e la sostenibilità di lungo periodo. Le tappe principali di tale processo sono:

  • il decreto legislativo n. 503/1992 (cd. riforma Amato), inteso a stabilizzare il rapporto tra la spesa previdenziale e il P.I.L., con l'incremento dell'età pensionabile (65 anni per gli uomini, 60 per le donne, con una contribuzione minima di 20 anni) e l'introduzione di forme di previdenza complementare e integrativa;
  • la legge n. 335/1995 (cd. riforma Dini), che ha segnato il passaggio dal sistema retributivo (media delle retribuzioni negli ultimi 10 anni di lavoro) al sistema contributivo, basato sull'effettivo ammontare di contributi versati dal lavoratore durante la propria vita lavorativa. In particolare, fu applicato il sistema contributivo ai soggetti che avessero iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996, mentre ai soggetti che già erano in costanza di lavoro venne applicato: il sistema retributivo per coloro che avessero maturato al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di lavoro (cd. diciottisti), un sistema misto, per coloro che avessero maturato, alla medesima data, meno di 18 anni di lavoro;
  • la legge n. 449/1997 (cd. riforma Prodi), che innalza i requisiti d'età per l'accesso alla pensione di anzianità; inoltre, vengono equiparate le aliquote contributive dei fondi speciali di previdenza ed eliminate alcune condizioni riconosciute ai lavoratori durante il periodo di transizione al sistema contributivo;
  • la legge n. 243/2004 (cd. riforma Maroni), che ha elevato l'età anagrafica per il pensionamento di anzianità (60 anni per tutti a decorre dal 2008, fermo restando il requisito contributivo 35 anni). L'innalzamento ha riguardato tutti i sistemi di calcolo (retributivo, misto, contributivo). Oltre a ciò, è stata disposta la riduzione da 4 a 2 delle cd. finestre di uscita;
  • la legge n. 247/2007, che ha disposto una modifica dei requisiti per il pensionamento di anzianità (strutturandolo in maniera più graduale), con ciò introducendo, dal 1° luglio 2009, il "sistema delle quote". Ulteriori innalzamenti dell'età pensionabile sono stati inoltre disposti dal D.L. 98/2011 e dal D.L. 138/2011;
  • l'articolo 24 del D.L. 201/2011 (cd. riforma Fornero), cche segna il passaggio al sistema contributivo pro-rata per tutti dal 1° gennaio 2012. Viene innalzato ulteriormente il livello minimo di età pensionabile (portandola, a regime, a 66 anni) e viene introdotta una fascia flessibile di pensionamento, differenziata tra donne (63-70 anni) e uomini (66-70 anni). Per quanto concerne il pensionamento anticipato, la legge ha abolito il previgente sistema delle quote, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l'introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni.

I sistemi di calcolo delle pensioni.

Secondo il sistema di calcolo retributivo (applicabile alle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 2011 ai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995), la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi. Le modalità di calcolo (a decorrere dal 1988) sono state stabilite dall'articolo 21 della legge n.67/1988. Esso si basa su tre elementi:

  • l'anzianità contributiva, data dal totale dei contributi, fino ad un massimo di 40 anni, che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;
  • la retribuzione/reddito pensionabile, data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;
  • l'aliquota di rendimento, pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro il limite, per poi decrescere per fasce di importo superiore.

L'aliquota di rendimento costituisce l'elemento di raccordo tra retribuzione pensionabile e anzianità contributiva, ed è la percentuale che si applica alla retribuzione media pensionabile per ogni anno di contribuzione.

In particolare, tale aliquota si diversifica in relazione alle fasce di retribuzione pensionabile cui si applica. Più specificamente, per le anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 1993 (ai sensi dell'articolo 12 del D.Lgs. 503/1992, che ha modificato la tabella allegata all'articolo 21 della L. 67/1988), le aliquote di rendimento per ogni anno di retribuzione sono le seguenti (per il 2013, ai sensi della tabella O dell'allegato 2 alla circolare INPS 149 del 28 dicembre 2012):

  • 2% della retribuzione pensionabile fino al limite pari al tetto in vigore nell'anno di decorrenza della pensione (45.530,00 €);
  • 1,60% della fascia di retribuzione eccedente il tetto e fino al 33% del tetto medesimo (oltre 45.530,00 € e fino a 60.554,90 €);
  • 1,35% della fascia compresa tra il 33% ed il 66% del tetto (oltre 60.554,90 € e fino a 75.579, 80 €);
  • 1,10% della fascia compresa tra il 66% ed il 90% del tetto (oltre 75.579,80 € e fino a 86.507,00 €);
  • 0,90% della fascia eccedente il 90% del tetto (oltre 86.507,00 €).

Con il sistema di calcolo contributivo, introdotto dalla legge 335/1995, la prestazione pensionistica non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione accreditata a favore del dipendente nell'arco dell'intera vita lavorativa. L'importo della pensione si ottiene quindi moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta). I coefficienti di trasformazione sono i coefficienti utilizzati nel metodo di calcolo contributivo per la trasformazione del montante contributivo (cioè, il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni di lavoro attivo) in rendita. Tali indici variano in base all'età anagrafica al momento del pensionamento e sono costruiti tenendo conto della speranza di vita media al momento della pensione, incorporando il tasso di crescita del PIL di lungo periodo (stimato nell'1,5% annuo). Introdotti dall'articolo 1, comma 6, della L. 335/1995, tali i coefficienti di trasformazione sono stati rideterminati ai sensi dell'articolo 1, comma 14, della L. 247/2007, con effetto 1° gennaio 2010. Il successivo comma 15, semplificando la procedura per la rideterminazione dei coefficienti e riducendone la periodicità, ne ha disposto la rideterminazione triennale con decreto interministeriale. Il comma 16 dispone che il Governo proceda, ogni dieci anni, con le parti sociali, alla verifica della sostenibilità ed equità del sistema pensionistico. L'accesso ai trattamenti per i destinatari del sistema contributivo è condizionato alla maturazione dell'età minima di 57 anni, fatte salve alcune eccezioni. Il valore del coefficiente di trasformazione è legato all'età posseduta, aumentando al crescere della stessa. Più specificamente, si considera il limite inferiore di 57 anni (età inferiore) per arrivare ad un valore massimo del coefficiente in corrispondenza dei 65 anni (età superiore). In sostanza, quindi, un'età pensionabile più avanzata permette di conseguire una pensione più consistente.

Successivamente, l'articolo 12, comma 12-quinquies, del D.L. 78/2010, ha disposto che il richiamato adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita si applichi, sempre con la procedura di cui all'articolo 1, comma 11, della L. 335/1995, anche ai coefficienti di trasformazione per le età superiori a 65 anni.

Da ultimo, l'articolo 24, comma 16, del D.L. 201/2011 ha rideterminato i coefficienti di trasformazione con effetto dal 1° gennaio 2013.

In particolare, si estende, mediante il ricorso allo stesso decreto direttoriale di aggiornamento triennale dei coefficienti di trasformazione, di cui all'articolo 1, comma 11, della L. 335/1995 (ed in via derogatoria a quanto previsto all'articolo 12, comma 12-quinquies del D.L. 78/2010), dalla data richiamata, lo stesso coefficiente di trasformazione anche per le età corrispondenti a valori fino a 70.

Tale valore deve comunque essere adeguato agli incrementi della speranza di vita nell'ambito del procedimento già previsto per i requisiti del sistema pensionistico dall'articolo 12 del D.L. 78/2010. In relazione a ciò è altresì prevista un'ulteriore estensione del coefficiente – sempre nell'ambito della medesima procedura di cui all'articolo 1, comma 11, della L. 335/1995 - considerando quindi anche le età maggiori del limite di 70 anni, ogniqualvolta il predetto adeguamento triennale comporti, con riferimento al valore originariamente indicato in 70 anni per l'anno 2012, l'incremento dello stesso tale da superare di una o più unità il predetto valore soglia.

Con il decreto direttoriale del 5 maggio 2012 è stata adottata la tabella vigente dei coefficienti di trasformazione.

Merita ricordare, infine, che l'articolo 2, comma 18, della L. 335/1995, ha previsto un massimale annuo (su cui applicare l'aliquota di computo, cioé la percentuale che viene applicata alla retribuzione o reddito pensionabile di ogni anno per calcolare figurativamente i contributi accumulati ed ottenere il c.d. montante contributivo individuale) della base contributiva e pensionabile per i nuovi iscritti dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie, nonché per coloro che abbiano optato per la pensione con il sistema contributivo (con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successivi alla data di prima assunzione, ovvero successivi alla data di esercizio dell'opzione ). Tale massimale, ai sensi della circolare INPS n. 22 dell'8 febbraio 2013 (punto 6) è pari, per il 2013, a 99.034 euro.

Contributi di solidarietà sui trattamenti pensionistici più elevati

Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto ripetutamente sui trattamenti previdenziali di importo più elevato. In particolare si segnalano le seguenti disposizioni:

- l'articolo 37 della legge n. 488/1999, che ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a un massimale annuo (123 milioni di lire), un contributo di solidarietà del 2 per cento sulla parte eccedente. Le modalità di attuazione della disposizione sono state dettate dal decreto ministeriale 7 agosto 2000 .

- l'articolo 3, commi 102-103, della legge n. 350/2003, che ha previsto un contributo di solidarietà del 3%, per tre anni (2004-2006), sui trattamenti pensionistici corrisposti dagli enti gestori della previdenza obbligatoria con importi complessivamente superiori a 25 volte il trattamento minimo INPS. Le modalità di attuazione della disposizione sono state dettate con il D.M. 1° aprile 2004;

- l'articolo 1, comma 2, lettera u), della legge n. 243/2004(c.d. legge Maroni), che tra i principi e criteri direttivi della delega per il riordino del sistema pensionistico, aveva previsto, in via sperimentale, un contributo di solidarietà del 4% per le pensioni superiori a 25 volte il trattamento minimo INPS); la delega è rimasta inattuata.

- l'articolo 1, commi 222-223 della legge n. 296/2006, che ha previsto un contributo di solidarietà del 15%, a partire dal 1° gennaio 2007, sul TFR o il TFS e i trattamenti integrativi di importo complessivo superiore a 1,5 milioni di euro. Le modalità di attuazione delle disposizioni sono state dettate con il D.M. 29 ottobre 2010.

- l'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98/2011, che ha introdotto un contributo di perequazione, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5% per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10% per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15% per la parte eccedente i 200.000 euro. Le somme trattenute dagli enti venivano versate all'entrata del bilancio dello Stato. Tale disposizione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n.116 del 2013;

- l'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 138/2011 che ha introdotto, per gli anni 2011-2013, un contributo di solidarietà del 3% sul reddito complessivo (inclusi i trattamenti pensionistici) superiore a 300.000 euro lordi annui; la disposizione prevede, poi, che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, il contributo di solidarietà possa essere prorogato anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. Le modalità di attuazione delle disposizioni sono state dettate dal D.M. 21 novembre 2011;

- l'articolo 24, comma 21, della legge n. 201/2011(c.d. riforma Fornero), il quale ha previsto l'istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2017, di un contributo di solidarietà a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti (lavoratori dell'ex Fondo trasporti, ex Fondo elettrici, ex Fondo telefonici, ex Inpdai) e del Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea. La misura del contributo, definita in rapporto al periodo di iscrizione antecedente l'armonizzazione operata dalla legge n. 335/1995 e alla quota di pensione calcolata in base ai parametri più favorevoli rispetto al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, è pari: per i pensionati, allo 0,3% da 5 a 15 anni di iscrizione, allo 0,6% da 15 a 25 anni di iscrizione e all'1% per oltre i 25 anni di iscrizione; per i lavoratori, allo 0,5% per qualunque periodo di iscrizione. Sono escluse dal contributo di solidarietà le pensioni di importo pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo INPS, le pensioni e gli assegni di invalidità e le pensioni di inabilità.

Il trattamento minimo INPS e l'integrazione al minimo

Gli articoli 9 e 10 della legge n. 218/1952 hanno introdotto, nell'ambito dell'Assicurazione generale obbligatoria (AGO), l'istituto del trattamento minimo delle pensioni, fissandone gli importi in base all'età del pensionato e al tipo di pensione. L'articolo 10, ultimo comma, stabilisce anche che l'importo della pensione, se inferiore al minimo, debba essere integrato fino a raggiungere l'ammontare del minimo medesimo (integrazione al minimo). La suddetta normativa è stata modificata dall'art. 6 del D.L. 463/1983 (a sua volta modificato dall'art. 4 del D.Lgs. 503/1992, dall'art. 11, comma 38, della L. 537/1993 e dall'art. 2, comma 14, della L. 335/1995).

Si fa presente che, da ultimo, la circolare INPS n. 149 del 28 dicembre 2012, ha fissato per il 2013 l'importo del trattamento minimo delle pensioni in euro 495,43 euro mensili (per 13 mensilità).

La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici

La perequazione automatica dei trattamenti pensionistici viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. In particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all'anno precedente.

L'articolo 69, comma 1, della legge n. 388/2000 prevedeva che la perequazione automatica operasse nella misura del 100% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 90% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 75% per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS.

Successivamente, l'articolo 18, comma 3, del D.L. 98/2011 ha previsto, per il biennio 2012-2013, limitazioni alla rivalutazione automatica sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS. Per tali trattamenti pensionistici la rivalutazione non era concessa, con esclusione della fascia di importo inferiore a 3 volte il trattamento minimo, con riferimento alla quale la rivalutazione era comunque applicata nella misura del 70%.

Da ultimo, l'articolo 24, comma 25, del D.L. 201/2011 (c.d. riforma Fornero), ha abrogato l'articolo 18, comma 3, del D.L. 98/2011, disponendo che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, per il biennio 2012 e 2013, venga riconosciuta, nella misura del 100%, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS.

Il meccanismo di rivalutazione si applica, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della L. 448/1998, tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. L'aumento derivante dalla rivalutazione viene attribuito, per ciascun trattamento, in misura proporzionale all'importo del medesimo trattamento rispetto all'ammontare complessivo.

Si segnala, infine, che l'articolo 12, comma 1, del disegno di legge di stabilità per il 2014, attualmente all'esame del Senato (A.S. 1120) prevede, per il triennio 2014-2016, la rivalutazione nelle seguenti misure percentuali:
  • 100% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia pari o inferiore a 3 volte il trattamento minimo INPS;
  • 90% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 3 volte e pari o inferiore a 4 volte il predetto trattamento;
  • 75% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 4 volte e pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo;
  • 50% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 5 volte il medesimo minimo;
  • nessuna rivalutazione (solamente per il 2014) per i trattamenti pensionistici superiori a 6 volte il minimo.
Lo stesso comma, inoltre, prevede la soppressione del primo periodo dell'articolo 1, comma 236, della L. 228/2012. Tale periodo ha disposto (nel caso in cui determinate risorse stanziate ai fini dell'applicazione della normativa pensionistica previgente al D.L. 201/2011 a favore di determinate categorie di lavoratori cd. "salvaguardati" fossero risultate insufficienti), il blocco nel 2014 della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS.


Le pensioni nel sistema degli enti previdenziali privatizzati

Per quanto concerne gli enti gestori di forme di previdenza per i liberi professionisti, occorre ricordare che le Casse di previdenza cui sono iscritti coloro che esercitano attività professionali sono state privatizzate, dal 1° gennaio 1995, nell'ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto dalla delega legislativa di cui all'articolo 1, commi da 32 a 38, della legge n. 537/1993. In attuazione della delega è stato emanato il decreto legislativo 509/1994, che ha sancito la trasformazione in associazione o fondazione, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, degli enti dei professionisti (come la Cassa forense, quella del notariato e quella dei dottori commercialisti). Il provvedimento lasciava sostanzialmente la libertà alle Casse di decidere autonomamente il sistema di calcolo (retributivo o contributivo) dei trattamenti pensionistici.

Successivamente, l'articolo 2, comma 25, della L. 335/1995 ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi. In attuazione di tale norma è stato emanato il decreto legislativo 103/1996, che ha assicurato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale per i richiamati soggetti (e cioè ENPAP, EPPI, IPASVI, ENPAB ed EPAB). In particolare, l'articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 103/1996, ha disposto l'applicazione, per tali enti, indipendentemente dalla forma gestoria prescelta, del sistema dicalcolo contributivo, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo specifiche modalità attuative.

Da ultimo, l'articolo 24, comma 24, del D.L. 201/2011(cd. decreto "salva Italia") ha previsto che gli enti previdenziali privatizzati adottassero, ai fini dell'equilibrio finanziario delle rispettive gestioni, nell'esercizio della loro autonomia gestionale, misure volte ad assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di 50 anni. Il termine per l'adozione delle misure, inizialmente fissato al 30 giugno 2012, è stato successivamente prorogato al 30 settembre 2012 (dall'articolo 29, comma 16-novies, del D.L. 216/2011). Le relative delibere sono state sottoposte all'approvazione dei Ministeri vigilanti. La norma prevedeva che, decorso il termine senza l'adozione dei previsti provvedimenti (ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti) si applicassero, con decorrenza 1° gennaio 2012, il sistema contributivo pro-rata agli iscritti alle relative gestioni e un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati, nella misura dell'1%. Sotto la spinta del legislatore, il sistema delle Casse si è prontamente attivato, adottando misure (tra cui, in alcuni casi, il passaggio al sistema contributivo) che portano a ritenere sostanzialmente conseguiti gli obiettivi di riequilibrio finanziario richiesti.

Assegno sociale, assegno ordinario di invalidità e pensione ordinaria di inabilità

L'assegno sociale, di cui all'articolo 3, comma 6, della L. 335/1995, è una prestazione di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 1996, ha sostituito la pensione sociale (che continua comunque ad essere erogata a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto domanda entro il 31 dicembre 1995). L'assegno sociale è riservato ai cittadini italiani che abbiano 65 anni e tre mesi di età, siano residenti in Italia ed abbiano un reddito pari a zero o di importo comunque inferiore ai limiti stabiliti annualmente dalla legge. Se il soggetto interessato è coniugato, si tiene conto anche del reddito del coniuge. Sono equiparati ai cittadini italiani gli abitanti della Repubblica di San Marino, i rifugiati politici, i cittadini dell'Unione europea ed i cittadini extracomunitari che hanno ottenuto la carta di soggiorno (dal 1° gennaio 2009 è richiesto l'ulteriore requisito del soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni in Italia).

L'assegno sociale non è reversibile e non viene corrisposto se l'interessato si trasferisce all'estero. Più specificamente, la misura massima dell'assegno spettante è determinata dalla differenza tra il limite di reddito previsto annualmente e il reddito dichiarato. In relazione all'entità del reddito personale e/o coniugale, l'assegno sociale può essere liquidato in misura intera o ridotta. L'importo dell'assegno sociale per l'anno 2013 è pari a 442,30 €, per un importo annuo di 5.749,90 € (442.30 × 13 mensilità).

La legge n. 222/1984 ha introdotto nell'ordinamento una serie di provvidenze economiche a favore di specifiche categorie di invalidi. Si tratta, in particolare, dei seguenti istituti:

  • assegno ordinario di invalidità (articolo 1): è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore di soggetti la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale. Hanno diritto all'assegno di invalidità i lavoratori dipendenti, autonomi od iscritti ad alcuni fondi pensioni sostitutivi ed integrativi dell'A.G.O.. L'assegno ordinario di invalidità ha validità massima di tre anni ed è rinnovabile su domanda del beneficiario (sottoposto ad una nuova visita medico-legale). Dopo due conferme consecutive l'assegno diventa definitivo. Oltre alla riduzione della capacità lavorativa, sono richiesti almeno 260 contributi settimanali (5 anni di contribuzione e assicurazione) di cui 156 (3 anni di contribuzione e assicurazione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. Non è richiesta la cessazione dell'attività lavorativa. Al compimento dell'età pensionabile l'assegno viene trasformato, in presenza dei requisiti di contribuzione, in pensione di vecchiaia. Per il 2013 l'importo dell'assegno è di 275,87 euro (limite di reddito 4.738,63 euro);
  • pensione ordinaria di inabilità (articolo 2): è una prestazione economica (reversibile ai superstiti), erogata, a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene accertata l'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Hanno diritto alla pensione di inabilità i lavoratori dipendenti, autonomi od iscritti ad alcuni fondi pensioni sostitutivi ed integrativi dell'A.G.O.. Per ottenere la pensione di inabilità, il soggetto deve possedere un'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale. Oltre a ciò sono richiesti almeno 260 contributi settimanali (5 anni di contribuzione e assicurazione) di cui 156 (3 anni di contribuzione e assicurazione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. E', inoltre, richiesta la cessazione di qualsiasi tipo di attività lavorativa, la cancellazione dagli elenchi di categoria dei lavoratori ed albi professionali, nonché la rinuncia ai trattamenti a carico dell'A.G.O. contro la disoccupazione ed a ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della retribuzione.

 

Evoluzione del sistema previdenziale
La legge n.335/1995 (legge Dini)
Il DL 201/2011 (legge Fornero)
Sistema retributivo
Sistema contributivo
Contributi di solidarietà
Trattamento minimo e integrazione al minimo
Perequazione automatica dei trattamenti
Casse professionali
Assegno sociale
Assegno ordinario di invalidità
Pensione di inabilità