Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Contrasto dell'omofobia e della transfobia - A.C. 245 -Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 245/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 19
Data: 05/06/2013
Descrittori:
EGUAGLIANZA   SESSO DELLE PERSONE E SESSUALITA'
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Contrasto dell'omofobia e della transfobia

A.C. 245

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 19

 

 

 

5 giugno 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559  * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

avvocatura – Osservatorio sulle sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo

( 066760-9396 – * segreteria_avvocatura@camera.it

 

BIBLIOTECA - Ufficio Legislazione Straniera

( 066760- 2278 – 3242 * LS_segreteria@camera.it

 

Ufficio rapporti con l’Unione europea

( 066760- 2145 - * cdrue@camera.it

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: gi0053.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo                                                                                              3

§      La “legge Reale” e la “legge Mancino”                                                             3

§      Il dibattito alla Camera nella scorsa legislatura                                               6

§      Il contrasto all'omofobia nell’Unione europea (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)     9

§      Il contrasto all’omofobia nei principali paesi europei (a cura della Biblioteca - Ufficio Legislazione Straniera)                                                                                                       15

§      La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (con il contributo dell’Avvocatura – Osservatorio sulle sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo)          21

Contenuto della proposta di legge                                                               25

§      Art. 1  (Definizioni relative all’identità sessuale)                                            25

§      Art. 2  (Modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654)              29

§      Art. 3  (Modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205)                                                                                      31

§      Art. 4  (Pena accessoria dell’attività non retribuita in favore della collettività) 33

§      Art. 5  (Circostanza aggravante)                                                                   37

§      Testo a fronte                                                                                                41

 

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

La proposta di legge A.C. 245 (Scalfarotto e altri) intende contrastare le discriminazioni fondate su omofobia e transfobia:

§         fornendo specifiche definizioni relative all’identità sessuale (art. 1);

§         novellando la legge Reale (legge 654/1975), che punisce le condotte di apologia, istigazione e associazione finalizzate alla discriminazione (art. 2);

§         novellando la legge Mancino (DL 122/1993), che punisce le manifestazioni esteriori della discriminazione (art. 3) e aggrava i delitti commessi con tali finalità (art. 5);

§         prevedendo per i condannati per tali delitti la pena accessoria dei lavori di pubblica utilità (art. 4).

 

 

La “legge Reale” e la “legge Mancino”

La proposta di legge all’esame della Commissione Giustizia affronta il tema del contrasto all’omofobia e alla trans fobia, intervenendo sulle due leggi – una del 1975 e l’altra del 1993 – che attualmente costituiscono l’ossatura della legislazione italiana di contrasto alle discriminazioni.

 

In particolare, la legge 654/1975 (c.d. Legge Reale), di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966, all'articolo 3 sanziona le condotte di apologia, istigazione e associazione finalizzate alla discriminazione. Analiticamente, l'articolo 3 punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:

§         chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (comma 1, lett. a): reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro);

 

La giurisprudenza ha chiarito che la fattispecie consistente nel propagandare idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero nell'istigare a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi configura un reato di pura condotta e di pericolo astratto che si perfeziona indipendentemente dalla circostanza che la propaganda o l'istigazione siano raccolte dai destinatari; si tratta inoltre di ipotesi di reato a dolo generico (Cass., Sez. I, sent. n. 724 del 21-01-1998; Sez. III, sent. n. 37581 del 07-05-2008).

 

§         chiunque, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (comma 1, lett. b): reclusione da 6 mesi a 4 anni);

 

La fattispecie che sanziona la violenza commessa per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, configura invece un delitto a dolo specifico, ove l'agente operi con coscienza e volontà di offendere la dignità e l'incolumità della vittima in considerazione di fattori etnici, religiosi o razziali (Cass., Sez. III, sent. n. 7421 del 26-02-2002).

 

§         chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (comma 3: reclusione da 6 mesi a 4 anni);

 

§         chiunque promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (comma 3: reclusione da 1 a 6 anni).

 

 

Il decreto-legge 122/1993 (c.d. Legge Mancino) ha provveduto ad inasprire le pene per i delitti previsti dalla legge del 1975 e ha introdotto (articolo 1) sanzioni accessorie in caso di condanna (dall'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività all'obbligo di permanenza in casa entro orari determinati; dalla sospensione della patente di guida o del passaporto al divieto di detenzione di armi, al divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale).

Inoltre, facendo costante rinvio alle fattispecie di cui all'articolo 3 della legge 654/1975, l'articolo 2 del decreto-legge ha previsto sanzioni penali per:

§         chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli di tipo razzista, o basati sull'odio etnico, nazionale o religioso propri o usuali delle organizzazioni di cui all'art. 3 della legge n. 654/1975 (art. 2, comma 1: reclusione fino a 3 anni e multa da 103 a 258 euro);

§         chiunque acceda ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche con gli emblemi o i simboli sopra citati (art. 2, comma 2: arresto da 3 mesi ad un anno).

 

Infine, il decreto-legge ha introdotto (articolo 3) la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico: per qualsiasi reato - ad eccezione di quelli per i quali è previsto l'ergastolo - commesso per le finalità di discriminazione di cui alla legge n. 654/75, la pena viene aumentata fino alla metà. In caso di concorso di circostanze, il comma 2 stabilisce che il giudice non può ritenere le attenuanti equivalenti o prevalenti rispetto all’aggravante della finalità di discriminazione e che le eventuali diminuzioni di pena devono essere calcolate sulla pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Tale principio non opera rispetto all’attenuante della minore età (di cui all’art. 98 del codice penale).

 

La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che al fine della configurazione dell'aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, non è necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, giacché ciò varrebbe ad escludere l'aggravante in questione in tutti i casi in cui l'azione lesiva si svolga in assenza di terze persone (Sez. V, sent. n. 37609 del 11-07-2006[1]).

 


Il dibattito alla Camera nella scorsa legislatura

I provvedimenti volti a contrastare le discriminazioni fondate su motivi di omofobia e transfobia presentati nel corso della XVI legislatura sono stati oggetto di un lungo, contrastato e infruttuoso iter parlamentare[2].

La tentata modifica delle aggravanti comuni

All'inizio della XVI legislatura la Commissione Giustizia della Camera ha avviato l'esame di due proposte di legge (AA.C. 1658 e 1882), volte a fornire una tutela contro ogni discriminazione fondata sull'orientamento sessuale del singolo o sulla sua identità di genere. Entrambe le proposte novellavano la legge n. 654 del 1975, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo, integrando le ipotesi di discriminazione penalmente sanzionate dall'articolo 3.

A seguito di un ampio dibattito svoltosi in Commissione, il testo risultante dall'esame in sede referente (AC 1658-1882-A) non interveniva sulla legge del 1975, ma introduceva nell'art. 61 del codice penale una nuova circostanza aggravante dei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, consistente nell'avere commesso il fatto per finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa.

La Commissione Affari costituzionali in sede consultiva aveva formulato sul testo un parere favorevole a condizione che fosse adeguatamente definita la nozione di "orientamento sessuale", anche al fine di garantire il rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale.

Tale testo è stato respinto dall'Assemblea, a seguito dell'approvazione di una questione pregiudiziale di costituzionalità presentata dal gruppo UDC (seduta del 13 ottobre 2009). In particolare, in tale strumento procedurale si evidenziava, da un lato, la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, posto che chi subisce violenza, presumibilmente per ragioni di orientamento sessuale, riceverebbe una protezione privilegiata rispetto a chi subisce violenza tout court; dall'altro, l'indeterminatezza dell'espressione "orientamento sessuale" per violazione del principio di tassatività delle fattispecie penali di cui all'art. 25 della Costituzione.

 

Il tema è stato nuovamente posto all'attenzione della Camera con l'esame in Commissione Giustizia di due nuove proposte di legge: l'A.C. 2802 (Soro) cui è stata abbinata la proposta C. 2807 (Di Pietro). La proposta dell'On. Soro è stata anche inserita, in quota opposizione, nel calendario dell'Assemblea per il mese di maggio 2011. In prossimità dell'esame delle proposta in Assemblea, la Commissione Giustizia ha però respinto una proposta di testo unificato presentato dalla relatrice, On. Concia (seduta del 18 maggio 2011).

 

Il testo unificato proposto dalla relatrice constava di due articoli. L'articolo 1 novellava il codice penale, inserendovi:

§         l'art. 599-bis (Circostanza aggravante); la disposizione prevedeva un aumento di pena quando i delitti contro la vita e l'incolumità individuale e contro l'onore fossero commessi in ragione della omosessualità o transessualità della persona offesa;

§         l'art. 615-sexies (Disposizione comune); la disposizione prevedeva un aumento di pena quando i delitti contro la personalità individuale, contro la libertà personale, contro la libertà morale e contro l'inviolabilità del domicilio fossero commessi in ragione della omosessualità o transessualità della persona offesa.

L'articolo 2, rubricato Lavoro di pubblica utilità, prevedeva che, in caso di reati aggravati in base alle disposizioni precedenti, la sospensione condizionale della pena potesse essere subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore di enti o associazioni che hanno lo scopo di tutelare le persone omosessuali o transessuali contro le discriminazioni.

Su questo testo la Commissione ha svolto una serie di audizioni informali. In particolare, si ricorda il contributo concernente i diversi profili del testo unificato, fornito dalla Prof. Marilisa D’Amico (audizione del 26 gennaio 2011), la quale ha in particolare rilevato: con riguardo all’aggravante connessa all’omofobia, che «problemi dovuti al carattere soggettivo dell’aggravante potranno presentarsi, ma solo su di un piano probatorio, poiché potrebbe risultare difficile, a seconda dei fatti, ricostruire i motivi che hanno determinato l’agente»; con riguardo all’introduzione di autonome fattispecie di reato, che sussisterebbe «il rischio di scivolare sul delicato terreno dei reati di opinione e, dunque, di introdurre nell’ordinamento illegittime violazioni della libertà di manifestazione del pensiero».

 

La rappresentante in Commissione del Partito Democratico ha allora chiesto la revoca dell'abbinamento della proposta C. 2807 (Di Pietro), insistendo dunque per un voto sulla proposta originaria dell'On. Soro (C. 2802).

Le proposta di legge A.C. 2802, analogamente al testo unificato esaminato nel 2009, era volta ad introdurre una tutela contro le discriminazioni fondate sull'omofobia e la transfobia novellando l'art. 61 c.p. e dunque introducendo una nuova circostanza aggravante che ricorre quando l'autore del delitto ha commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia (articolo 1). La proposta conteneva però un'esplicita indicazione di tali motivi, che venivano così qualificati: motivi di odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale della vittima del reato verso persone dello stesso sesso, verso persone del sesso opposto o verso persone di entrambi i sessi.

Anche in questo caso, l'Assemblea nella seduta del 26 luglio 2011 ha approvato le questioni pregiudiziali proposte, concernenti di nuovo la tassatività dei reati (art. 25 della Costituzione), sotto il profilo dell'indeterminatezza della condotta, e il principio di uguaglianza.

La tentata modifica della legge Reale e della legge Mancino

Il tema del contrasto all'omofobia non è stato tuttavia abbandonato dal Parlamento della XVI legislatura: la Commissione Giustizia della Camera ha infatti nuovamente avviato l'esame della proposta di legge A.C. 2807 (Di Pietro e altri) – che è potuta tornare all'esame della Commissione in sede referente dopo essere stata disabbinata dall'A.C. 2802 prima del voto della Commissione - e della proposta di legge C. 4631 (Concia e altri). Entrambe le proposte intendevano contrastare i delitti commessi per finalità di discriminazione degli omosessuali o transessuali attraverso la novella della legge 654/1975 (c.d. Legge Reale) e del decreto-legge 122/1993 (c.d. Legge Mancino).

La Commissione - nella seduta del 24 ottobre 2012 - ha adottato come testo base l'A.C. 2807 che interveniva su tutte le fattispecie previste dalla legge del 1975, aggiungendo alle attuali forme di discriminazione (per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), la discriminazione fondata sull'omofobia o sulla transfobia e, conseguentemente, novellando anche il decreto-legge 122/1993. Nella seduta del 7 novembre 2012, peraltro, la Commissione ha approvato un emendamento soppressivo dell'articolo 1 delle proposta, con conseguente caducazione degli articoli seguenti.

La contrarietà della Commissione al testo della proposta nella sua complessità ha determinato la nomina di un nuovo relatore e il mandato a riferire all'Assemblea in senso contrario sulla proposta di legge C. 2807. L'Assemblea non ha poi esaminato il provvedimento.

 

 


Il contrasto all'omofobia nell’Unione europea (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Provvedimenti mirati alla specifica tutela di omosessuali e transessuali si rintracciano nell'ambito degli interventi attuati a livello europeo per prevenire ogni discriminazione fondata sull'orientamento sessuale.

In base all’articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (TUE), l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, dell'uguaglianza e della tutela dei diritti umani.

L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (dotata, in base all’articolo 6 TUE, dello stesso valore giuridico dei Trattati) sancisce il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulle tendenze sessuali.

Inoltre, il Trattato afferma, all'articolo 10, che «nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale».

Il divieto di discriminazioni per motivi legati all'orientamento sessuale trova un ulteriore riferimento normativo nell'articolo 19. La disposizione prevede che «il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale». Peraltro, in deroga alla disposizione precedente, il paragrafo 2 dell'art. 19 aggiunge che «il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare i principi di base delle misure di incentivazione dell'Unione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1».

 

La lotta contro l'omofobia costituisce peraltro una delle priorità del Programma 2010-2014 per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Programma di Stoccolma), adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009. Il Programma sottolinea in particolare che «poiché la diversità è una fonte di ricchezza per l'Unione, l'Unione e gli Stati membri devono garantire un ambiente sicuro in cui le differenze siano rispettate e i più vulnerabili siano tutelati. Occorre continuare a lottare con determinazione contro le discriminazioni, il razzismo, l'antisemitismo, la xenofobia e l'omofobia».

In questo quadro si collocano le più recenti iniziative adottate dalle istituzioni UE, con riferimento sia alla situazione all’interno degli Stati membri che all’azione esterna dell’Unione europea. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi interventi legislativi dell’Unione, disposizioni volte a tutelare le persone in condizione di vulnerabilità in ragione del loro orientamento sessuale sono contenute nella direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, sotto il profilo del riconoscimento della sussistenza di rischio di persecuzione, nonché nella proposta di direttiva, tuttora in corso di esame da parte delle istituzioni UE, relativa a procedure per la concessione e la revoca dello status conferito dalla protezione internazionale (COM(2011)319). Prosegue inoltre presso le istituzioni UE – con un iter particolarmente lungo dovuto alla contrarietà manifestata da diversi Stati membri sia sotto il profilo del merito, sia sotto quello della non conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità -  l’esame della proposta di direttiva orizzontale anti-discriminazioni, relativa alla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, anche al di fuori della sfera lavorativa, presentata dalla Commissione europea il 2 luglio 2008 (COM(2008)426).

 

La proposta intende completare la normativa europea vigente, la direttiva 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e dalla direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Essa è pertanto volta a istituire un quadro normativo generale per il divieto della discriminazione e a stabilire un livello minimo uniforme di tutela all’interno dell’Unione europea per le persone vittime di discriminazione. Al fine di rimuovere impedimenti o ostacoli, essa interviene in alcuni aspetti quali la protezione e la sicurezza sociale, l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l’istruzione e l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura. La proposta non prevede sanzioni di carattere penale.

 

Il tema della lotta all’omofobia è stato più volte affrontato dal Parlamento europeo che annualmente ha approvato risoluzioni volte a coinvolgere nella lotta all'omofobia le attività degli Stati membri e della Commissione europea. Si ricordano, ad esempio, la risoluzione sull'omofobia in Europa del 6 aprile 2007 con la quale il Parlamento ha chiesto alla Commissione di garantire che la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale in tutti i settori sia vietata completando il pacchetto legislativo contro la discriminazione basato sull'articolo 13 del trattato CE, «senza il quale lesbiche, gay, bisessuali e altre persone che si trovano a far fronte a discriminazioni multiple continuano ad essere a rischio di discriminazione».

Da ultimo, la risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 , sulla lotta all'omofobia in Europa, «condanna con forza tutte le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e deplora vivamente che tuttora, all'interno dell'Unione europea, i diritti fondamentali delle persone LGBT non siano sempre rispettati appieno; invita pertanto gli Stati membri a garantire la protezione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender dai discorsi omofobi di incitamento all'odio e dalla violenza e ad assicurare che le coppie dello stesso sesso godano del medesimo rispetto, dignità e protezione riconosciuti al resto della società; esorta gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza i discorsi d'odio omofobi o l'incitamento all'odio e alla violenza nonché ad assicurare che la libertà di manifestazione, garantita da tutti i trattati sui diritti umani, sia effettivamente rispettata» e «ritiene che i diritti fondamentali delle persone LGBT sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio; plaude al fatto che sedici Stati membri offrono attualmente queste opportunità e invita gli altri Stati membri a prendere in considerazione tali istituti».

Ancor più recentemente, nella risoluzione adottata il 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’UE, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione e il Consiglio a:

§         intervenire in modo più incisivo contro l'omofobia, la violenza e la discriminazione basate sull'orientamento sessuale, anche chiedendo ai sindaci e alle forze di polizia degli Stati membri di proteggere la libertà di espressione e di manifestazione in occasione delle marce dell'orgoglio LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender);

§         utilizzare i risultati dell'indagine in corso dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) al fine di dare finalmente seguito alle ripetute richieste da parte del Parlamento europeo e delle ONG;

§         presentare urgentemente la tabella di marcia dell'UE per l'uguaglianza fondata sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere da adottare entro il 2014.

 

Con riferimento ai contenuti delle citate risoluzioni del Parlamento europeo, si ricorda che l'Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fundamental Rights Agency, FRA) ha pubblicato, nel luglio 2011, lo studio "Homophobia, Transphobia and Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in the EU Member States". Ulteriori conclusioni in materia, sulla base di una ricerca tuttora in corso, dovrebbero essere presentate nelle prossime settimane.

 

Lo studio del 2011 rileva che nell’ambito della tutela dei diritti delle persone LGBT, l’evoluzione del quadro giuridico varia nei diversi Stati membri dell’UE e identifica alcune questioni principali all’interno delle quali è possibile individuare le seguenti tendenze:

§         incitamento all’odio e reati di odio:  lo studio riscontra una tutela limitata contro atti di intolleranza e violenza nei confronti di persone LGBT; solo un numero ristretto di Stati membri estende il diritto penale a questo ambito per contrastare tali episodi;

§         trattamento iniquo e discriminazione: la tutela delle persone transgender non risulterebbe del tutto chiara nonostante la giurisprudenza dell’UE in materia; tuttavia, sono stati istituiti numerosi organismi di parità volti a tutelare il rispetto dell’orientamento sessuale all’interno e al di fuori dell’ambito lavorativo;

§         libertà di riunione e di espressione: lo studio evidenzia difficoltà nella realizzazione degli eventi pride delle persone LGBT e episodi di contromanifestazioni aggressive; progressi sarebbero stati compiuti nella tutela dei manifestanti; lo studio riscontra inoltre casi di divieto di informazione ai minori sulle relazioni tra persone dello stesso sesso;

§         protezione internazionale delle persone LGBT richiedenti asilo: secondo i dati dello studio, molti Stati membri continuerebbero a ritenere che i richiedenti asilo alla ricerca di protezione internazionale dalle persecuzioni cui sono vittima a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere non siano autorizzati a farne richiesta qualora possano continuare a vivere nel proprio paese senza rivelare ad altri la propria omosessualità.

Lo studio conclude che tali sviluppi complessi mettono in luce come la situazione stia evolvendo con tempistiche diverse all’interno dell’Unione europea. Secondo l’Agenzia, gli ostacoli sono creati dal persistere di intolleranza e atteggiamenti negativi nei confronti delle persone LGBT. Sottolineando come la legislazione e l’accettazione pubblica procedano di pari passo, l’Agenzia raccomanda di:

§         sostenere gli impegni per una direttiva “orizzontale” in grado di garantire una equa tutela dalle discriminazioni di qualunque natura, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale ;

§         garantire un livello di tutela contro gli episodi di omofobia e transfobia che sia pari a quello garantito nel caso di incitamento all’odio e reati ispirati dall’odio motivati da razzismo o xenofobia;

§         garantire l’adeguata applicazione della tutela giuridica per le persone transgender già esistente e disposta dal diritto dell’Unione europea.

 

Per quanto riguarda le iniziative UE nel settore delle relazioni esterne, si segnala che nel giugno 2010 il Gruppo "Diritti umani" istituito in seno al Consiglio dell’Unione europea ha adottato uno strumentario per la promozione e la tutela dell'esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT).

 

Il documento contiene riferimenti agli strumenti giuridici internazionali e regionali, alle dichiarazioni e alle altre norme disponibili per la promozione e tutela dei diritti umani degli LGBT nonché una griglia di elementi di analisi e controllo al fine di valutare la situazione dei diritti umani delle persone LGBT. In tal modo il documento intende fornire al personale delle istituzioni dell'UE, delle capitali degli Stati membri, delle delegazioni, rappresentanze e ambasciate dell'UE, strumenti operativi da utilizzare nei contatti con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali (ONU, Consiglio d’Europa, OSCE) e della società civile al fine di promuovere e tutelare i diritti umani degli LGBT nell'ambito dell'azione esterna dell'UE. Particolare attenzione è rivolta al sostegno e alla protezione dei difensori dei diritti umani .

A tale scopo il documento ricorda che tutti gli Stati dovrebbero rispettare i difensori dei diritti umani come affermato nella Dichiarazione sul diritto e la responsabilità di singoli, gruppi e organi della società per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali universalmente riconosciuti (adottata nel 1998 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite). Ciononostante, i difensori dei diritti umani (giornalisti, attivisti, avvocati, sindacalisti ecc.) attivi nella promozione e nella protezione dei diritti umani degli LGBT spesso diventano oggetto di persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Ciò avviene specialmente nei paesi in cui i governi vietano il dibattito pubblico sugli orientamenti sessuali e pongono restrizioni alla libertà di associazione e di espressione su questi temi. Per essere coerente con i progressi compiuti nell'attuazione degli orientamenti dell'UE sui difensori dei diritti umani, l'azione dell'UE in questo settore dovrebbe ispirarsi ai principi seguenti:

-          incoraggiare i paesi terzi ad adottare una cultura di generale rispetto e riconoscimento dell'opera portata avanti dai difensori dei diritti umani, compresi i difensori dei diritti degli LGBT;

-          dare la priorità nei suoi lavori ai paesi in cui si nota scarso rispetto dei difensori dei diritti umani in generale e dei difensori dei diritti umani degli LGBT in particolare; reagire alle evidenti violazioni dei diritti dei difensori dei diritti umani nei paesi terzi.

 

 

 


Il contrasto all’omofobia nei principali paesi europei (a cura della Biblioteca - Ufficio Legislazione Straniera)

Diversi Stati europei hanno introdotto nei loro ordinamenti, soprattutto nell’ultimo decennio, nuovi strumenti normativi idonei ad una migliore tutela legale contro la discriminazione per orientamento sessuale.

Per quanto riguarda, in particolare, la legislazione penale in materia di omofobia, gran parte dei paesi europei ha modificato le normative nazionali per adeguarle alla lotta contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale della vittima. Alcuni Stati hanno riconosciuto il principio di non discriminazione nelle loro Costituzioni o ne hanno esteso, in via interpretativa, l’applicazione alla discriminazione per omofobia, ma la maggior parte dei paesi europei hanno previsto esplicitamente il reato di discriminazione e/o hanno introdotto il movente omofobo quale circostanza aggravante per taluni reati.

Si offre di seguito una panoramica delle disposizioni in materia di omofobia, presenti nelle legislazioni penali dei principali paesi europei.

 

Il Belgio consacra il principio di non discriminazione nella sua Costituzione (Costituzione, artt. 10 e 11), pur senza menzionare espressamente le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Dal 2003 il legislatore belga ha ampliato il campo delle discriminazioni condannabili, includendo con disposizioni specifiche a livello federale anche l’orientamento sessuale tra i motivi di discriminazione illegittima, ma è con il pacchetto di leggi federali anti-discriminazione del 2007 (legge del 10 maggio 2007) che ha previsto uno specifico “divieto di discriminazione” (art. 3) nei settori della vita pubblica rientranti nel campo di applicazione della legge. Il legislatore belga non ha introdotto un generale “reato di discriminazione” fondato sull’orientamento sessuale per i cittadini comuni, ma ha previsto la penalizzazione di taluni atti e comportamenti discriminatori di natura omofobica (artt. 21-24). La legge del 2007 ha inoltre introdotto il movente fondato sull’orientamento sessuale tra le circostanze aggravanti per alcuni reati disciplinati dal Codice penale, quali aggressione, omicidio, stupro, stalking, incendio doloso, diffamazione e calunnia, profanazione di tombe, atti di vandalismo ed altri (artt. 377bis, 405quater, 422quater, 438bis, 453bis, 514bis, 525bis, 532bis, 534bis).

Anche le tre Comunità belghe (fiamminga, francofona e germanofona) e le Regioni (Bruxelles, Fiandre e Vallonia) hanno adottato, a partire dal 2002, diversi decreti nell’intento di assicurare coerenza legislativa con la normativa antidiscriminazione approvata a livello federale.

 

In Danimarca il Codice penale (Staffeloven) punisce chiunque, pubblicamente o mirando ad una vasta diffusione, pronuncia dichiarazioni o diffonde informazioni per le quali un gruppo di persone sia minacciato, disprezzato o umiliato in ragione della sua razza, colore, origine nazionale o etnica, o del suo l’orientamento sessuale (Straffeloven, Sezione 266b (1)). Il Codice penale danese considera altresì come circostanza aggravante la commissione di un reato in base ad un movente determinato dall’orientamento sessuale della vittima (Straffeloven, art. 81, punto 6, inserito dalla Legge n. 218 del 31 marzo 2004).

 

La Francia prevede norme direttamente applicabili alla lotta contro la omofobia. A partire dal 2003, il legislatore francese ha ammesso l’omofobia fra gli elementi identificativi per alcune infrazioni penali disciplinate dal Codice penale, come nel caso del reato di discriminazione (artt. da 225-1 a 225-4, art. 432-7) ed ha riconosciuto la circostanza aggravante per i reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima (art. 132-77). Successivamente, nel 2004, ha disposto un aggravamento delle pene in caso di discriminazione, estendendo alle minacce, al furto e all’estorsione (artt. 222-18-1, 311-4 e 312-2) le fattispecie di reato cui può essere applicata la circostanza aggravante a carattere omofobo. Infine, nel 2012, il legislatore ha ulteriormente rafforzato la legislazione francese contro la discriminazione omofoba inserendo accanto a quello di “orientamento sessuale” anche il concetto di identità sessuale” negli articoli dei Codici penale e di procedura penale, dei Codici del lavoro e dello sport e di alcune leggi, riguardanti reati o comportamenti motivati da discriminazione. È stato, ad esempio, modificato l’art. 225-1 del Codice penale, in base al quale attualmente “costituisce una discriminazione ogni distinzione operata tra persone fisiche in ragione della loro origine, il loro sesso, la loro situazione familiare, il loro stato di gravidanza, la loro apparenza fisica, il loro patronimico, il loro stato di salute, il loro handicap, le loro caratteristiche genetiche, le loro tradizioni, il loro orientamento o la loro identità sessuale…”. Sono altresì punite la provocazione non pubblica alla discriminazione, all’odio o alla violenza (art. R625-7) e la la diffamazione e l’ingiuria non pubbliche nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione dell’orientamento sessuale (art. R624-3 e R624-4).

Anche la legge francese del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa contiene disposizioni a carattere anti-discriminatorio, prevedendo i reati di provocazione pubblica alla discriminazione, all’odio o alla violenza (art. 24), di diffamazione a mezzo stampa (o altro strumento di comunicazione) nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione del loro orientamento sessuale, vero o presunto (art. 32) e di ingiuria a mezzo stampa (o altro strumento di comunicazione) rivolta ad una persona o un gruppo di persone per motivi omofobi (art. 33).

 

In Germania il reato di discriminazione per l’orientamento sessuale non è previsto in modo eplicito così come il motivo omofobico non è espressamente riconosciuto tra le circostanze aggravanti. Tuttavia il Codice penale (Strafgesetzbuch - StGB) (art. 130, comma 1) punisce con la detenzione colui che, in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese e prevede una pena detentiva o una pena pecuniaria anche per chi commette gli stessi illeciti attraverso la diffusione di opere scritte (art. 130, comma 2). Sebbene il Codice penale non faccia un esplicito riferimento al background omofobico di colui che perpetra il reato, nella definizione data all’articolo 130 rientra anche la discriminazione effettuata in ragione dell’orientamento sessuale. Anche per quanto riguarda le circostanze attenuanti e aggravanti che devono essere valutate dal giudice nel formulare una sentenza (Codice penale, art. 46), non vi è una esplicita previsione rispetto all’omofobia, ma un generico richiamo alle motivazioni e finalità dell’atto oltre che alle convinzioni e agli intenti del reo.

 

In Norvegia il Codice penale (straffeloven) considera il motivo razziale come circostanza aggravante per la commissione dei delitti rientranti nei reati di lesione alla persona (art. 232) e legati al reato di danneggiamento di beni (art. 292) e non fa pertanto esplicito riferimento all’orientamento sessuale della vittima. Tuttavia l’inserimento del motivo dell’orientamento sessuale nelle norme antidiscriminazione presenti nel Codice (cfr. in particolare artt. 135a e 349) induce a ritenere che, pur in assenza di un’esplicita previsione, i “motivi razziali” possano attualmente ricomprendere anche la discriminazione omofoba, tanto più che il nuovo Codice del 2005 – sebbene non ancora in vigore (il nuovo Codice penale, approvato con la Legge 20 maggio 2005, n. 28, sostituirà l’attuale codice del 1902, ma a tutt’oggi non è ancora entrato in vigore, ad eccezione del cap. 16) - ha fatto chiarezza sul tema inserendo un articolo (art. 77), che elenca in dettaglio le circostanze aggravanti e, alla lettera i), inserisce tra queste il motivo dell’orientamento omosessuale.

 

Nei Paesi Bassi la Costituzione stabilisce che “è vietata ogni discriminazione fondata sulla religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche, la razza, il sesso od ogni altro motivo” (art. 1). Le parole “ogni altro motivo” furono inserite proprio per includere gli atti di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e la stessa giurisprudenza in materia ha in genere interpretato in tal senso il dettato dell’art. 1. Né il Codice penale, né il Codice di procedura penale prevedono l’orientamento sessuale della vittima quale circostanza aggravante. Tuttavia dal 1° dicembre 2007 è in vigore una circolare del Public Prosecution Service (l’organo titolare dell’azione penale), che impone, al momento della formulazione della richiesta di pena, un aumento del 25% della pena prevista per un determinato reato se questo è legato a una forma di discriminazione, inclusa quella relativa all’orientamento sessuale.

 

Il Portogallo, con la riforma del 2004, ha incluso nella Costituzione l’orientamento sessuale fra i fattori vietati di discriminazione (Costituzione, art. 13, comma 2) oltre alle diverse disposizioni che assicurano il rispetto del principio di eguaglianza e non discriminazione in diversi campi della vita economica, sociale e politica dei cittadini. Nel 2007 la riforma del Codice penale (Legge n. 59/2007) ha introdotto alcune misure che rafforzano l’arsenale repressivo per combattere il fenomeno dell’omofobia. Il legislatore ha previsto il reato di incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza verso persone fisiche, in ragione della loro razza, colore, origine etnica o nazionale, religione, sesso o orientamento sessuale (Codice penale, art. 240) ed ha riconosciuto l’intento dell’omofobia come una circostanza aggravante per alcuni reati, quali l’omicidio aggravato (Codice penale, art. 132) e l’offesa aggravata all’integrità fisica (Codice penale, art. 145).

 

Nel Regno Unito una specifica definizione dell’omofobia non è prevista in modo esplicito nei testi legislativi; il fenomeno ha tuttavia rilevanza penale nel quadro più generale della repressione dei reati connotati dall’odio razziale o religioso verso le vittime, così come dalla discriminazione del loro orientamento sessuale (hate crime) e il Governo ha adottato diverse iniziative in tema di omofobia nell’ambito di programmi di prevenzione. Il Crime and Disorder Act 1998 ha introdotto figure di reato connotate dall’odio diretto verso determinate caratteristiche della vittima, sue opinioni od inclinazioni personali e il Criminal Justice Act 2003 ha introdotto (art. 146) alcune aggravanti per i reati suddetti, prevedendo un incremento di pena qualora l’atto criminoso sia ispirato dall’ostilità verso l’orientamento sessuale (anche solamente presunto) della persona offesa, al pari dell’odio razziale, etnico, religioso o riferito alla eventuale condizione di disabilità della vittima.

Più di recente, il Criminal Justice and Immigration Act 2008, con la modifica del Public Order Act 1986, ha ammesso l’aggravante dell’odio fondato sull’orientamento sessuale ed ha equiparato i relativi reati a quelli ispirati dall’odio religioso o razziale. La stessa legge, tuttavia, a tutela della libertà di espressione esclude dalla nozione di hatred on the ground of sexual orientation la formulazione di opinioni critiche riferite a determinate condotte o pratiche sessuali, oppure le esortazioni a modificare o a non porre in essere tali condotte o pratiche (Criminal Justice and Immigration Act 2008, art. 74 e Schedule 16).

Applicando i criteri derivati da questa legislazione, il Crown Prosecution Service (CPS) - organo giudiziario titolare dell’esercizio dell’azione penale - ha dato una definizione dell’omofobia in un documento di indirizzo del 2007, Policy for prosecuting cases of homophobic and transphobic crime, affermando che l’elemento omofobico ricorre ogni volta che esso sia percepito come tale, indifferentemente, dal reo o dalla vittima – in ragione del suo presunto orientamento sessuale – oppure da terzi.

 

La Spagna prevede nel suo ordinamento norme specifiche relative alla discriminazione per motivi basati sull’orientamento sessuale della vittima. Il Codice penale spagnolo contiene, infatti, disposizioni riguardanti la discriminazione in base all’orientamento sessuale e considera il movente omofobico come circostanza aggravante di alcune infrazioni penali.

In particolare il Codice penale individua alcune fattispecie di reato connesse alla discriminazione per motivi omofobici (Capitolo IV, artt. 510-521). Sono puniti con pene detentive: i reati di incitazione all’odio e alla violenza contro gruppi e associazioni e di diffusione consapevole di informazioni false e ingiuriose su gruppi e associazioni, commessi anche in ragione delle tendenze sessuali dei loro membri (art. 510).

La discriminazione commessa da un incaricato di pubblico servizio è punita con una pena detentiva e con una multa, oltre ad una inabilitazione speciale all’impiego o carica pubblica per un periodo variabile; le pene sono aumentate in caso di reato commesso da un funzionario pubblico (art. 511).

È punito con l’interdizione dall’esercizio della professione, occupazione, impresa o commercio, per un periodo variabile a seconda della gravità, il rifiuto da parte di privati nell’esercizio delle loro attività professionali o manageriali di fornire le loro prestazioni per motivi legati, tra l’altro, agli orientamenti sessuali a soggetti che ne abbiano diritto (art. 512).

Il codice penale spagnolo considera inoltre illegali le associazioni “che promuovano o ispirino discriminazione, odio o violenza contro persone, gruppi o associazioni sulla base … dell’orientamento sessuale” (art. 515, 5) e prevede specifiche pene sia per i fondatori, direttori e presidenti di tali associazioni, sia per i membri attivi (art. 517).

Il Codice penale considera poi il movente omofobico come circostanza aggravante di alcune infrazioni penali. L’art. 22, punto 4, prevede, tra le circostanze aggravanti, il fatto che il delitto sia commesso per motivi razzisti, antisemiti o altro tipo di discriminazione riferita all’ideologia, religione o credenza della vittima, l’etnia, razza o nazione a cui appartenga, orientamento o identità sessuale[3], la malattia o la disabilità. Il Codice penale detta, inoltre, disposizioni sulla discriminazione dei lavoratori in base, tra l’altro, al loro “orientamento sessuale” (art. 314).

Infine la Legge 49/2007, in materia di pari opportunità, non discriminazione ed accessibilità universale per le persone disabili, considera tra le “infrazioni molto gravi” i comportamenti gravi (conductas calificadas como graves) generati da odio o disprezzo legati all’orientamento sessuale (art. 16, comma 4, lettera e).

 

In Svezia il Codice penale considera come circostanza aggravante la commissione di qualsiasi reato in ragione dell’orientamento sessuale della vittima (Brottsbalk, cap. 29, art. 2, punto 7). Il Codice (Brottsbalk, Cap. 6, paragrafo 8) contiene peraltro disposizioni che puniscono i discorsi che fomentino l’odio, che trovano peraltro il loro fondamento anche in due leggi costituzionali relative alla libertà di stampa (Tryckfrihetsförordningen) e alla libertà di espressione (Yttrandefrihetsgrundlagen). Il Codice penale svedese, nello stesso capitolo 6, vieta ogni discriminazione contro persone in ragione della razza, colore, nazionalità, origine etnica, fede o orientamento sessuale, ma il divieto è diretto agli imprenditori e ai loro dipendenti ed è pertanto applicabile a situazioni pubbliche come l’accesso a ristoranti, taxi, teatri, etc.


La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (con il contributo dell’Avvocatura – Osservatorio sulle sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo)

 

Anche il Consiglio d'Europa ha in più occasioni approvato documenti di condanna di ogni discriminazione basata sull'orientamento sessuale. Da ultimo si ricorda la Risoluzione dell'Assemblea parlamentare del 29 aprile 2010 (n. 1728) nella quale, come in precedenti atti (si pensi alla Raccomandazione n. 1117 del 1989), viene trattato anche il tema delle discriminazioni in danno dei transessuali.

 

Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, relativa a fattispecie in cui venivano in rilievo gli orientamenti o l’identità sessuale dei ricorrenti, emerge la tendenza del Giudice a ricondurre le violazioni della Convenzione talora riscontrate soprattutto all’art. 8 CEDU, relativo al diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, piuttosto che all’articolo 14 CEDU, relativo al divieto per gli Stati di effettuare discriminazione degli individui nel godimento di diritti e libertà.

Perciò, nell’esame dei ricorsi in materia, la Corte ha svolto un’indagine diretta prima di tutto a verificare se nella fattispecie vi fosse un’ingerenza dello Stato nell’esercizio del diritto di cui all’art. 8 CEDU e, in caso affermativo, se tale ingerenza fosse prevista dalla legge e costituisse una misura che, in una società democratica, fosse necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Dalle considerazioni in diritto svolte dalla Corte lungo tale percorso sono desumibili i seguenti principi:

§         l’orientamento sessuale costituisce una manifestazione essenzialmente privata della personalità umana (sentenza Dudgeon c. Regno Unito del 22 ottobre 1981);

§         la dignità e la libertà dell’individuo sono l’essenza stessa della Convenzione e l’art. 8 CEDU attua una protezione della sfera personale che comprende il diritto di ciascuno di stabilire i dettagli della propria identità come essere umano (sentenza, Grande Camera, Christine Goodwin c. Regno Unito, 11 luglio 2002);

§         il concetto di “rispetto” della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU manca di chiarezza, fatto che emerge in particolare con riferimento agli obblighi positivi che esso implica e alle esigenze sottese che variano molto a seconda delle fattispecie, delle prassi e delle condizioni di ciascuno Stato membro: per verificare se tali obblighi sono adempiuti occorre tener conto del giusto equilibrio che deve sussistere tra l’interesse generale e quelli dell’individuo, equilibrio che non ricorre ove l’individuo è posto quotidianamente in una situazione globale incompatibile con il rispetto della vita privata (B. c. Francia. sentenza del 25 marzo 1992);

§         appare ragionevole esigere dalla società che si accettino degli inconvenienti per consentire ad alcune persone di vivere nella dignità e nel rispetto, conformemente all’identità sessuale scelta a prezzo di grandi sofferenze. (Christine Goodwin c. Royaume-Uni cit.);

§         può esservi una grave violazione relativa alla vita privata, quando un conflitto tra la realtà sociale e il diritto pone una persona transessuale in una situazione anormale che ispira sentimenti di vulnerabilità, umiliazione e ansia (sentenza Christine Goodwin cit.);

§         l’identità sessuale è uno degli aspetti più intimi della vita privata di una persona e quindi appare eccessivo richiedere la prova della necessità medica del trattamento (sentenza Van Kück c. Germania, 12 giugno 2003);

§         lo Stato può imporre restrizioni al diritto di un individuo al rispetto della propria vita privata laddove esista un minaccia reale per l’efficacia operativa delle forze armate poiché non è concepibile il buon funzionamento di un esercito senza regole giuridiche che impediscano ai militari di recarvi pregiudizio. Le autorità nazionali non possono, però, addurre tali regole per ostacolare l’esercizio da parte dei membri delle forze armate del diritto al rispetto della vita privata, di cui godono i militari, come tutte le altre persone che si trovano sotto la giurisdizione statale. Inoltre, le affermazioni circa l’esistenza di un rischio per l’efficacia operativa militare devono essere fondate su ragioni particolarmente solide  e convincenti non su espressioni stereotipate che esprimono sentimenti che vanno dall’ostilità verso gli omosessuali a un vago malessere generato  dalla presenza di colleghi omosessuali. Nella misura in cui queste propensioni negative corrispondono a pregiudizi di una maggioranza eterosessuale verso una minoranza omosessuale, la Corte ritiene di non poter giustificare ingerenze nel diritto dei ricorrenti, allo stesso modo in cui riterrebbe ingiustificabili ingerenze nei confronti di persone di razza, origine o colore differente (sentenza Smith e Grady c. Regno Unito, 27 settembre 1999).

 

La Corte europea ha censurato le autorità statali che hanno opposto un rifiuto allo svolgimento di una manifestazione di promozione dei diritti degli omosessuali, quando lo stesso non sia supportato da alcuna ragionevole e necessaria giustificazione, ma si fondi soltanto sulla riprovazione verso l’orientamento sessuale espresso dai manifestanti. Il margine di apprezzamento di cui godono gli Stati si restringe drasticamente quando siano in gioco aspetti particolarmente sensibili della vita privata degli individui. In questo senso, non costituisce ragionevole e obiettiva giustificazione di pubblico interesse, capace di legittimare il trattamento deteriore, la circostanza che la maggioranza della popolazione non condivida le idee promosse dai manifestanti (cfr. Genderdoc-M c. Moldavia (9106/06), sentenza del 16 febbraio 2012)[4].

 

Più in particolare, per quanto riguarda il contenuto specifico della proposta di legge, si ricorda che nella sentenza Vejdeland ed altri c. Svezia (ricorso 1813/07), del 9 febbraio 2012, la CEDU ha affermato che «Non costituisce ingerenza illegittima nell’esercizio della libertà di espressione condannare chi renda dichiarazioni di incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali. Il diritto di cui all’articolo 10 incontra un limite invalicabile nel rispetto dei valori fondamentali di una società democratica, quali la tolleranza e il rispetto della reputazione e dei diritti altrui. Pertanto, a condizione che le pene siano proporzionate, è legittimo che gli Stati membri si dotino di una legislazione penale che sanzioni l’omofobia».

 

 


Contenuto della proposta di legge

Art. 1
(Definizioni relative all’identità sessuale)

 

L’articolo 1 della proposta di legge definisce l’espressione “identità sessuale”.

Tale definizione è volta a circoscrivere il campo d’applicazione delle fattispecie penali novellate dagli articoli successivi, al fine di evitare la censura – mossa nella scorsa legislatura ad alcune proposte in tema di omofobia – di indeterminatezza della fattispecie penale.

 

In relazione al testo unificato C. 1658 Concia e C. 1882 Di Pietro (Disposizioni in materia di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere), la Commissione affari costituzionali affermò  che “pur prendendo atto che la locuzione «orientamento sessuale» ricorre in fonti di diritto internazionale e comunitario, nonché di ordinamenti stranieri, si ritiene che, nel momento in cui tale nozione è immessa nella legislazione penale italiana, essa debba essere adeguatamente definita, anche al fine di garantire il rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale” (parere dell’8 ottobre 2009).

La stessa questione pregiudiziale di costituzionalità, approvata sul medesimo testo dall’Assemblea della Camera (seduta del 13 ottobre 2009), sottolineava che «in assenza di una nozione di orientamento sessuale, la circostanza aggravante, nella parte in cui dà rilevanza all'orientamento sessuale, viola il principio di tassatività della fattispecie penale, a tal fine si evidenzia come dell'espressione “orientamento sessuale” non sia data una definizione, né sia rinvenibile nell'ordinamento penale. L'espressione è estremamente generica in quanto può indicare fenomeni specifici come l'omosessualità oppure, più in generale, ogni “tendenza sessuale” comprendendo anche incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, masochismo e qualsiasi altro genere di scelta sessuale, che nulla ha a che vedere con l'omosessualità; inoltre l'indeterminatezza concettuale dell'espressione orientamento sessuale non consente di individuare le fattispecie meritorie di una particolare tutela».

Nel corso dell’esame della proposta C. 2802 Soro, che introduceva un’aggravante per l'aver agito per motivi di «omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi», di nuovo la questione di pregiudizialità costituzionale approvata dall’Assemblea della Camera faceva leva sulla violazione dell’art. 25 della Costituzione (seduta del 26 luglio 2011).

 

 

In particolare, nel concetto di identità sessuale i proponenti ricomprendono:

-          il sesso biologico della persona

-          la sua identità di genere

-          il suo ruolo di genere e

-          l’orientamento sessuale.

 

In base alla lettera a), infatti, identità sessuale è l’insieme, l’interazione o ciascuna delle suddette quattro componenti.

 

La complessità del concetto di identità sessuale è peraltro accolta da tempo dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Nella nota sentenza n. 161 del 1985, che affrontava il tema della transessualità, la Consulta ha infatti riconosciuto l’affermarsi di «un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero "naturalmente" evolutisi, sia pure con l'ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. […] la concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l'equilibrio, privilegiando - poiché la differenza tra i due sessi non é qualitativa, ma quantitativa - il o i fattori dominanti».

 

 

La lettera b) definisce l’identità di genere come la percezione che ciascuno ha di sé, anche quando non corrispondente al proprio sesso biologico.

 

La lettera c) definisce il ruolo di genere come qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse all'essere uomo o donna.

 

La lettera d) definisce l’orientamento sessuale come l’attrazione emotiva o sessuale del singolo nei confronti di persone dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi.

 

Si osserva che l’espressione “orientamento sessuale” è già presente nella legislazione italiana. Ad esempio:

-          nel D.Lgs. n. 216 del 2003, di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Il provvedimento, che introduce la locuzione anche nello statuto dei lavoratori (L. 300/1970, art. 15) non reca peraltro la definizione di “orientamento sessuale”;

-          nel D.Lgs. n. 165 del 2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il cui art. 7 afferma che le pubbliche amministrazioni «garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro».

 

La definizioni date coprono tutte le possibili caratteristiche biologiche, di identità, di ruolo o di orientamento sessuale della persona e dunque si adattano, ad esempio, tanto ad un uomo che abbia una percezione di sé come uomo, una manifestazione esteriore conforme alle aspettative sociali dell’essere uomo e un’attrazione emotiva o sessuale verso persone di sesso opposto (eterosessuale), quanto ad un uomo, che abbia una percezione di sé come uomo, una manifestazione esteriore conforme con le aspettative sociali connesse all’essere uomo e un’attrazione emotiva o sessuale nei confronti di persone dello stesso sesso (omosessuale), quanto ad un uomo che abbia una percezione di sé come donna, una manifestazione esteriore contraria alle aspettative sociali connesse all’essere uomo ed un’attrazione emotiva o sessuale verso persone dello stesso sesso (transessuale).

 

Pertanto sulla base dell’estensione semantica delle definizioni, le singole fattispecie penali dovrebbero riferirsi a qualsiasi orientamento sessuale.

 

Si rammenta che la Corte costituzionale ha ritenuto determinate le norme penali che fanno riferimento a termini non necessariamente tecnici. Secondo la Corte, «non può infatti essere imposto al legislatore il medesimo coefficiente di specificazione di ogni singolo elemento del reato, né può essere certamente escluso a priori il ricorso ad espressioni indicative di comuni esperienze o a termini presi dal linguaggio comunemente usato» (sentt. n. 31 del 1995, n. 122 del 1993, n. 475 del 1988, n. 79 del 1982; n. 34 del 1995).


Art. 2
(Modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654)

 

L’articolo 2 della proposta novella l’articolo 3 della c.d. legge Reale, inserendo tra le condotte di apologia, istigazione e associazione finalizzata alla discriminazione anche quelle motivate dall’identità sessuale della vittima, come definita dall’articolo precedente.

 

In particolare, la proposta di legge interviene sul delitto di apologia e istigazione alla discriminazione:

§         per inasprire la pena, sostituendo (lett. a) le pene alternative della reclusione o della multa con la sola pena della reclusione (confermandone la durata massima in un anno e sei mesi);

§         per sostituire il verbo propagandare con il verbo diffondere («idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico»);

§         per sostituire il verbo istigare con il verbo incitare («a commettere o commette atti di discriminazione»). Con riguardo sia agli atti di discriminazione sia alla commissione di violenza o di atti di provocazione alla violenza, la proposta di legge intende dunque reintrodurre il testo originario di questa disposizione della legge del 1975, in vigore fino al 2006, ovvero fino all’entrata in vigore dell’articolo 13 della legge 85 del 2006[5] che ha novellato il testo;

§         per inserire tra i motivi della discriminazione l’identità sessuale della vittima.

 

Si ricorda che i correttivi apportati dalla legge sui reati d’opinione (n. 85 del 2006) all’art. 3 della Legge Reale intendevano accentuare il tenore offensivo delle condotte punite. La sostituzione dei termini «diffonde» e «incita», rispettivamente con «propaganda» ed «istiga», introduceva infatti tipi di comportamenti per i quali è ormai sperimentato il richiamo ad un implicito requisito di “idoneità” dell’atto ad offendere gli interessi protetti, nella direzione di temperare indeterminatezza ed eccessiva anticipazione della soglia di punibilità dell’incriminazione.

Il testo della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, che la legge Reale ratifica, utilizza l’espressione «incitamento alla discriminazione», del quale è rimasta traccia nell’art. 3, comma 3, della legge, che vieta «ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

 

La giurisprudenza ha affermato che, anche a seguito delle modifiche apportate dall'art. 13 della legge 85 del 2006 all'art. 3, comma 1, lett. a), della legge 13 ottobre 1975, n. 654, sussiste continuità normativa tra le corrispondenti fattispecie incriminatrici, in quanto la condotta consistente nel "propagandare" idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico era già ricompresa in quella, originariamente prevista, consistente nel "diffondere" in qualsiasi modo le medesime idee (Cass., Sez. III, Sent. n. 37581 del 07-05-2008).

Quanto al rapporto tra i due termini “istigare” e “incitare”, si ricorda che con la sentenza n. 31655 del 24/01/2001, la sez. V della Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge Reale, «che vieta la partecipazione, la promozione e la direzione di organizzazioni di ogni tipo aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, in quanto l'incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta che realizza un "quid pluris" rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali».

 

Occorre inoltre considerare l’intento dei proponenti di allargare l’ambito di applicazione delle fattispecie, ripristinando la terminologia originaria del 1975, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale sul c.d. principio di offensività, riconducibile all'art. 25, secondo comma, Cost. (nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso).

In particolare, si ricorda che nella sentenza n. 265 del 2005 la Corte costituzionale ha ribadito che «il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale («offensività in astratto»), e dell'applicazione giurisprudenziale («offensività in concreto»), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato (v. sentenze numeri 360 del 1995, 263 e 519 del 2000, ove viene appunto definita la duplice sfera di operatività, in astratto e in concreto, del principio di necessaria offensività, quale criterio di conformazione legislativa delle fattispecie incriminatrici e quale canone interpretativo per il giudice)».

 

A seguito della modifica, pertanto, le fattispecie penali, inasprite nelle sanzioni e modificate negli elementi costitutivi, si applicano anche laddove siano motivate dall’identità sessuale della vittima. A tal fine, occorre considerare il concetto di ”identità sessuale” secondo la definizione contenuta nell’art. 1 della proposta di legge.

 

 


Art. 3
(Modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205)

 

Gli articoli da 3 a 5 della proposta di legge novellano il decreto-legge n. 122 del 1993[6] (c.d. legge Mancino).

 

In particolare, l’articolo 3, con finalità di coordinamento, aggiunge la discriminazione motivata dall’identità sessuale della vittima nel titolo del provvedimento, nella rubrica del primo articolo e tra le finalità che aggravano i delitti comportando un aumento di pena sino alla metà.

In particolare, per quanto riguarda le novelle all’art. 3 del decreto-legge (circostanza aggravante), la proposta sostituisce l’espressione «finalità» (di discriminazione) con l’espressione «motivi».

Quindi, sulla base delle modifiche, la pene per i reati punibili con pena diversa dall’ergastolo sono aumentate fino alla metà ove tali reati siano commessi per motivi relativi all’identità sessuale della vittima (ovvero per motivi di discriminazione o di odio etnico).

 

In merito, si ricorda che la Cassazione, con la sentenza n. 42258 del 08-06-2006 della Sezione V, ha affermato che «La finalità di odio o di discriminazione prevista come circostanza aggravante (art. 3 del D.L. 26 aprile 1993 n. 122) non può essere confusa con i "motivi" dell'azione criminosa, dovendo questa risultare non semplicemente il frutto di riconoscibili pulsioni interne di un certo tipo (eventualmente valutabili sotto diversi profili quali, ad es., quelli di cui all'art. 61 n. 1 c.p.), ma lo strumento per il conseguimento, da parte dell'agente, di obiettivi costituiti: -quanto all'odio, proprio dalla sua voluta e ricercata manifestazione, onde renderlo percepibile all'esterno dal destinatario dell'azione criminosa e, eventualmente, anche da terzi estranei; -quanto alla discriminazione, dall'adozione di comportamenti che non si limitino ad esprimere sentimenti di generico rifiuto o di antipatia, pur se possano ritenersi censurabili, ma (secondo la nozione di "discriminazione" contenuta nell'art. 1 della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la legge 11 ottobre 1975 n. 654), abbiano "lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica»[7].

 

Dal punto di vista della formulazione del testo, si evidenzia l’esigenza di specificare che tale sostituzione va operata ovunque l’espressione ricorra; nel comma 1 dell’art. 3, infatti, il termine “finalità” ricorre due volte. Nel secondo caso, come meglio chiarito dal testo a fronte, occorre anche coordinare il genere dell’aggettivo («medesime») con il sostantivo che viene modificato (“motivi”).

 

 


Art. 4
(Pena accessoria dell’attività non retribuita in favore della collettività)

 

L’articolo 4 sostituisce la disciplina della pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività. A tal fine la proposta di legge (comma 3 dell’art. 4):

§         elimina dall’articolo 1 del decreto-legge n. 122/1993 tutte le disposizioni che attualmente regolamentano tale pena accessoria, come una delle possibili pene accessorie cui il giudice può ricorrere (art. 1, comma 1-bis, lett. a); commi da 1-ter a 1-sexies);

§         introduce un nuovo articolo 1-bis nel decreto-legge 122/1993.

Dalla novella si ricava che in sede di condanna il giudice:

-          dovrà sempre disporre la pena accessoria dei lavori di pubblica utilità;

-          potrà disporre la pena accessoria dell’obbligo di dimora (lett. b), della sospensione della patente o dei documenti per l’espatrio (lett. c), del divieto di partecipare per minimo 3 anni ad attività di propaganda elettorale (lett. d).

 

Si ricorda che l’istituto del lavoro di pubblica utilità assolve nel nostro ordinamento penale diverse funzioni.

In base all’art. 54 del decreto legislativo 274/2000[8], sulla competenza penale del giudice di pace, il lavoro di pubblica utilità è una pena che il giudice può irrogare «solo su richiesta dell'imputato»; non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.

Il lavoro di pubblica utilità è anche, già attualmente in base al decreto-legge 122 del 1993, una possibile pena accessoria nonché in base all’art. 186 del Codice della strada una pena sostitutiva (il codice della strada prevede che la pena detentiva e pecuniaria comminata in caso di guida sotto l’influenza dell’alcool possa essere sostituita, se non vi è opposizione da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità).

Il codice penale, infine, non contempla il lavoro di pubblica utilità come pena accessoria (negli artt. 19 e ss.) ma si riferisce a questa attività esclusivamente nell’art. 165 (e poi nell’art. 635, relativo al delitto di danneggiamento), come ad un’attività che il condannato deve svolgere, se non si oppone, per poter accedere alla sospensione condizionale della pena; in quel caso la durata della prestazione non può essere superiore alla durata della pena sospesa.

 

La proposta di legge introduce nel decreto-legge un nuovo articolo 1-bis, espressamente dedicato alla disciplina della pena accessoria che assume le seguenti caratteristiche:

 

§         la pena accessoria è sempre irrogata dal giudice (comma 1 dell’art. 1-bis) con la sentenza di condanna per uno dei delitti di apologia, istigazione e associazione finalizzati alla discriminazione previsti dalla Legge Reale (art. 3, L. 654/1975) e per il delitti tipizzati dalla legge di prevenzione e repressione del genocidio (L. 962/1967). Sul punto la novella non innova in quanto si tratta del campo d’applicazione delle pene accessorie già previste.

Si ricorda che la legge sul genocidio sanziona, oltre al reato di pubblica istigazione e all’apologia del genocidio (art. 8) anche le più gravi fattispecie di atti diretti a commettere genocidio, anche mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori e deportazione a fini di genocidio (artt. 1-5).

 

§         L’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità deve essere adempiuto dopo aver scontato la pena detentiva. Sul punto la novella non innova quanto già previsto dal comma 1-quater dell’art. 1.

 

§         La pena accessoria ha una durata da 6 mesi ad un anno e non deve pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato (comma 2 dell’art. 1-bis). Attualmente il comma 1-quater dell’art. 1 del decreto-legge 122/93 disciplina la pena accessoria in modo analogo, prevedendone però una durata più limitata (massimo 12 settimane).

 

§         Possono costituire oggetto dell’attività non retribuita le seguenti prestazioni lavorative (comma 3 dell’art. 1-bis):

-          opere di bonifica e restauro degli edifici danneggiati con scritte, emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti finalizzati alla discriminazione. Previsione analoga è attualmente contenuta nel comma 1-quinquies dell’art. 1;

-          attività in favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, quali quelle operanti nei confronti delle persone disabili, dei tossicodipendenti, degli anziani, degli stranieri extracomunitari o in favore delle associazioni di tutela delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender. La proposta riprende l’attuale formulazione del comma 1-quinquies dell’art. 1, aggiungendo il riferimento alle associazioni di tutela di omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender;

-          attività per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale e per altre finalità pubbliche. Previsione analoga è attualmente contenuta nel comma 1-quinquies dell’art. 1.

 

§         L’attività può essere prestata tanto in favore di strutture pubbliche quanto di organizzazioni private (comma 4 dell’art. 1-bis). Previsione analoga è attualmente contenuta nel comma 1-sexies dell’art. 1.

 

Il comma 2 della disposizione in commento demanda ad un regolamento del Ministro della giustizia il compito di disciplinare le modalità di svolgimento dell’attività di pubblica utilità. Il Ministero dovrà provvedere entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge. La proposta di legge ricalca l’attuale contenuto del comma 1-ter dell’art. 1. Peraltro non è esplicitato al comma 3 se le altre “finalità pubbliche” delle associazioni debbano essere individuate dal regolamento.

 

In sintesi si rileva dunque che la riforma della pena accessoria si caratterizza per le seguenti novità:

-          la pena accessoria del lavoro di pubblica utilità non ha più carattere eventuale (il giudice può disporre) bensì obbligatorio (il giudice dispone);

-          la durata della pena accessoria aumenta (passando da un massimo di 12 settimane a un massimo di un anno);

-          l’attività in favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato è estesa alle associazioni di tutela di omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender.

 


Art. 5
(Circostanza aggravante)

 

L’articolo 5 interviene – analogamente all’articolo 3 – sull’articolo 3 del decreto-legge 122/1993, sostituendo il comma 2.

 

In ordine alla formulazione del testo si suggerisce di inserire nella medesima disposizione tutte le novelle all’articolo 3.

 

La proposta riscrive la disposizione sul concorso tra circostanze e specifica che l’aggravante prevista dal comma 1 dell’articolo 3 è da ritenersi sempre prevalente sulle eventuali attenuanti.

 

In merito si osserva che già attualmente il comma che si intende sostituire afferma che «Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98 del codice penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma 1, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante».

 

Formulazioni di questo tenore si rinvengono, oltre che nel comma 2 dell’art. 3 del decreto-legge 122/1993, anche ad esempio, nell’art. 280 del codice penale (Attentato per finalità terroristiche o di eversione); nell’art. 280-bis c.p. (Atti di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi); nell’art. 1, 1° e 3° co., D.L. 15.12.1979, n. 625 (Reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico); nell’ art. 7, D.L. 13.5.1991, n. 152, conv. in L. 12.7.1991, n. 203 (Metodo mafioso» e «Agevolazione mafiosa»); art. 291-ter del TU dogane (Contrabbando di tabacchi lavorati esteri).

 

Si rileva che il principio affermato dall’art. 69 del codice penale, sulla piena comparabilità di tutte le circostanze, ovvero del necessario bilanciamento che il giudice è chiamato ad effettuare tra le circostanze aggravanti ed attenuanti è stato inizialmente derogato dal legislatore limitatamente ad alcuni settori nevralgici per la tutela dell'ordinamento statale (come la lotta al terrorismo e all'eversione, il contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso). Tali deroghe sono state poi nel corso degli anni costantemente ampliate in base alla necessità di proteggere alcune precise scelte di politica criminale, per la tutela di un catalogo sempre più ampio di beni giuridici. In questo senso si inquadra anche l’attuale previsione dell’art. 3, comma 2 del decreto-legge 122/1993.

Attraverso la valorizzazione del profilo della ricerca di una maggiore individualizzazione della pena, perseguito dal legislatore anche attraverso la predeterminazione normativa dell'esito del giudizio di bilanciamento, la Corte costituzionale ha sempre affermato la legittimità delle deroghe di legge al principio fissato all'art. 69 (cfr. ad esempio Corte costituzionale, sentenza n. 38 del 1985; sentenza n. 194 del 1985).

 

La nuova formulazione suggerita dalla proposta di legge si discosta però dalla tradizionale deroga all’art. 69, che prevede che «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti».

 

Il nuovo testo del comma 2 impedisce infatti al giudice di valutare qualsiasi circostanza attenuante, ivi compresa la minore età dell’autore del reato: nell’applicazione dell’articolo 69 del codice penale (concorso di circostanze aggravanti e attenuanti) il giudice dovrà ritenere l’aggravante prevalente e dunque «non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti».

La disposizione elimina ogni discrezionalità del giudice, che si troverà ad applicare l’aumento di pena sino alla metà senza poter apprezzare né le concrete modalità dell’azione né le caratteristiche personali del reo.

 

Si evidenzia che la Corte costituzionale è particolarmente critica verso ogni previsione che impedisca al giudice di adeguare il trattamento sanzionatorio alla personalità del reo.

In particolare, si ricorda la sentenza n. 38 del 1985 con la quale la Corte – chiamata a pronunciarsi sulle aggravanti per finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico (art. 1, comma terzo, del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, così come convertito nell'art. 1 della l. 6 febbraio 1980, n. 15) - ha sottolineato che «l'autentica preoccupazione del legislatore è stata soltanto quella di non consentire che l'aggravante che introduceva potesse essere posta nel nulla dal potere discrezionale del giudice mediante il suo dissolvimento nel giudizio di equivalenza o addirittura di prevalenza delle attenuanti: ed è questo appunto ciò che soltanto si è inteso vietare. Ma si tratta già di una grave limitazione, che non avrebbe potuto sopportarne una ancora più ampia senza alterare in modo irragionevole l'integrità del giudizio di valore dell'illecito nei suoi criteri e nella sua globalità. Tanto più poi se si considera che autorevoli voci della dottrina ritengono che, a differenza del giudizio di equivalenza, quello di prevalenza è privo di fondamento logico e può condurre a gravi arbitri».

Più recentemente, con la sentenza n. 168 del 1994, la Corte ha introdotto - con una sentenza di tipo additivo - un limite, non previsto dalla legge, alla comparazione tra circostanze, sottraendo al giudizio di bilanciamento l'attenuante della minore età di cui all’art. 98 c.p. nel caso in cui concorra con una o più aggravanti che comportino la pena dell'ergastolo o che accedano ad un reato per il quale è prevista la pena base dell'ergastolo.

 

Tale precedente induce a considerare con attenzione la disposizione della proposta di legge che elimina dalla salvaguardia delle circostanze attenuanti il richiamo all’art. 98 del codice penale.

 

 

Si ricorda, inoltre, che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, che stabilisce il divieto di prevalenza delle attenuanti nel caso di concorso con la recidiva reiterata ex art. 99, 4° co. e con le aggravanti in tema di concorso di persone nel reato di cui agli artt. 111 e 112, 1° co., n. 4, la Corte costituzionale (sentenza n. 251 del 2012) ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, quinto comma del TU stupefacenti sulla recidiva di cui all'art. 99, 4° co.

La Corte ha censurato la norma per le conseguenze manifestamente irragionevoli sul piano sanzionatorio che l'applicazione dell'art. 69, 4° co. determina con riferimento ai casi in cui sia configurabile l'attenuante prevista per il fatto di lieve entità: «La manifesta irragionevolezza delle conseguenze sul piano sanzionatorio del divieto di prevalenza dell'attenuante di cui al 5° comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata è resa evidente dall'enorme divaricazione delle cornici edittali stabilite dal legislatore per il reato circostanziato e per la fattispecie base prevista dal 1° co. della disposizione citata e dagli effetti determinati dal convergere della deroga al giudizio di bilanciamento sull'assetto delineato dallo stesso art. 73: nel caso di recidiva reiterata equivalente all'attenuante, il massimo edittale previsto dal 5° co. per il fatto di "lieve entità" (sei anni di reclusione) diventa il minimo della pena da irrogare; ciò significa che il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di "lieve entità" (un anno di reclusione) viene moltiplicato per sei nei confronti del recidivo reiterato, che subisce così di fatto un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto dall'art. 99, 4° co. per la recidiva reiterata, che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi». La norma è stata dichiarata illegittima anche per violazione del principio di proporzionalità della pena ex art. 27, 3° co., Cost., nonché della funzione rieducativa della stessa: «L'incidenza della regola preclusiva sancita dall'art. 69, 4° co. sulla diversità delle cornici edittali prefigurate dal 1° e dal 5° co. dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, che viene annullata, attribuisce alla risposta punitiva i connotati di "una pena palesemente sproporzionata" e, dunque, "inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato"».

 

 


Testo a fronte

Normativa vigente

A.C. 245

L. 13 ottobre 1975, n. 654

Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966

Art. 3

 

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione, è punito:

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 4 della convenzione, è punito:

a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

a) con la reclusione fino a un anno e sei mesi chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall'identità sessuale della vittima;

b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall'identità sessuale della vittima;

2.  (Soppresso).

 

3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall'identità sessuale della vittima. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

 


 

Normativa vigente

A.C. 245

D.L. 26 aprile 1993, n. 122

Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa

Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica, religiosa o motivata dall’identità sessuale della vittima

Art. 1

Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi

Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall'identità sessuale della vittima

1. (Il comma che si omette sostituisce l'art. 3, l. 13 ottobre 1975, n. 654).

1. Identico.

1-bis. Con la sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, il tribunale può altresì disporre una o più delle seguenti sanzioni accessorie:

1-bis. Identico.

a) obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 1-ter;

a) soppressa; (v. infra, art. 1-bis)

b) obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un'ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno;

b) identica:

c) sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l'espatrio per un periodo non superiore ad un anno, nonché divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere;

c) identica;

d) divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni (5).

d) identica;

1-ter. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro di grazia e giustizia determina, con proprio decreto, le modalità di svolgimento dell'attività non retribuita a favore della collettività di cui al comma 1-bis, lettera a).

Abrogato. (La medesima disposizione è contenuta nell’art. 4, comma 2, della proposta di legge)

1-quater. L'attività non retribuita a favore della collettività, da svolgersi al termine dell'espiazione della pena detentiva per un periodo massimo di dodici settimane, deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato.

Abrogato. (v. infra, art. 1-bis, comma 2)

1-quinquies. Possono costituire oggetto dell'attività non retribuita a favore della collettività: la prestazione di attività lavorativa per opere di bonifica e restauro degli edifici danneggiati con scritte, emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui al comma 3 dell'art. 3, L. 13 ottobre 1975, n. 654 ; lo svolgimento di lavoro a favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, quali quelle operanti nei confronti delle persone handicappate, dei tossicodipendenti, degli anziani o degli extracomunitari; la prestazione di lavoro per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale, e per altre finalità pubbliche individuate con il decreto di cui al comma 1-ter.

Abrogato. (v. infra, art. 1-bis, comma 3)

1-sexies. L'attività può essere svolta nell'ambito e a favore di strutture pubbliche o di enti ed organizzazioni privati.

Abrogato. (v. infra, art. 1-bis, comma 4)

 

 

 

 

 

Art. 1-bis

Attività non retribuita in favore della collettività

 

1. Con la sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, il giudice dispone la pena accessoria dell'obbligo di prestare un'attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 2.

2. L'attività non retribuita in favore della collettività, da svolgersi al termine dell'espiazione della pena detentiva per un periodo da sei mesi a un anno, deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato.

3. Possono costituire oggetto dell'attività non retribuita in favore della collettività: la prestazione di attività lavorativa per opere di bonifica e restauro degli edifici danneggiati con scritte, emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui al comma 3 dell'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni; lo svolgimento di lavoro in favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, quali quelle operanti nei confronti delle persone disabili, dei tossicodipendenti, degli anziani, degli stranieri extracomunitari o in favore delle associazioni di tutela delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender; la prestazione di lavoro per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale e per altre finalità pubbliche;

4. L'attività può essere svolta nell'ambito e in favore di strutture pubbliche o di enti e organizzazioni privati.

 

 

 

 

Art. 2

Disposizioni di prevenzione.

 

(omissis)

Identico.

 

 

 

 

Art. 3

Circostanza aggravante

 

1. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà.

1. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per motivi di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso o relativi all'identità sessuale della vittima, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime motivi, la pena è aumentata fino alla metà.

2. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98 del codice penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma 1, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.

2. La circostanza aggravante prevista dal comma 1 è sempre considerata prevalente sulle ritenute circostanze attenuanti, ai fini del bilanciamento di cui all'articolo 69 del codice penale.

 

 

 

 

Artt. 4-8

(Omissis)

Identico.

 

 



[1]     In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto integrata l'aggravante in questione nella condotta del soggetto attivo che aveva proferito l'espressione ingiuriosa "non voglio vedere marocchini davanti al locale" e successivamente aveva aggredito la persona offesa che si era rifiutata di allontanarsi, cagionandole lesioni, affermando che tale condotta si pone come consapevole esteriorizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato su un pregiudizio di razza, avuto riguardo alle peculiari modalità dell'azione nonché al contesto ambientale della stessa.

[2]     Miglior sorte non avevano avuto analoghi progetti di legge presentati nel corso della XV legislatura (2006-2008).

[3]     L’espressione “identidad sexual” è stata inserita, accanto a quella già esistente di “orientación sexual”, da una delle ultime leggi di modifica al Codice penale, la Ley Orgánica 5/2010, del 22 giugno 2010.

[4]     Ancor prima, con la sentenza del 21 ottobre 2010 (Alekseyev c. Russia, ricorsi 4916/07; 25924/08; 14599/09) la CEDU aveva affermato che «Costituisce violazione dell’articolo 11 della Convenzione il rifiuto di autorizzare una manifestazione di promozione e tutela dei diritti fondamentali delle minoranze sessuali, quando lo stesso non soddisfi il vaglio di necessità in una società democratica, così come previsto dal secondo comma della norma in oggetto. In particolare, le proteste provenienti da parte della società civile e dalle comunità religiose, nonché le minacce di attuare contro manifestazioni non integrano il pericolo alla pubblica sicurezza che giustificherebbe la misura restrittiva della libertà di riunione. La norma, infatti, impone oltre ad un dovere di non ingerenza un obbligo positivo di protezione da parte dello Stato, che assicuri le condizioni di libero confronto tra le opinioni avversarie, quale strumento necessario della formazione di una sfera pubblica comunicativa e aperta».

[5]     Legge 24 febbraio 2006, n. 85, Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.

[6]     D.L. 26 aprile 1993, n. 122, Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205.

[7]     Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto non adeguatamente motivata la sentenza di merito che, con riguardo a vari reati commessi in occasione di una sorta di "spedizione punitiva" organizzata in danno dei gestori e dei clienti di un locale pubblico considerato luogo di ritrovo di soggetti di orientamento politico opposto a quello degli agenti, aveva ritenuto sussistente l'aggravante in questione per avere gli stessi agenti, nel corso dell'azione criminosa, rivolto ai presenti, oltre ad epiteti ingiuriosi, anche l'espressione "amici dei negri").

[8]     Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468.