Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||||
Titolo: | Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita A.C. 282-950-1122 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 29 | ||||
Data: | 18/06/2013 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione
straniera ( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it |
Il presente dossier dà conto, in primo luogo, della pdl
1122, che riprende integralmente il contenuto del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale” presentato
dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C.
5291) e approvato il 12 ottobre 2012, in prima lettura, dalla Camera dei
deputati, che lo ha modificato in modo significativo accorpandolo in 4
articoli. La pdl 282 (Causi e altri) è sostanzialmente
identica a questo testo, tranne per alcune differenze, di cui si dà conto nel
dossier, con particolare riferimento all'articolo 5 in materia di fiscalità
ambientale. La pdl 950 (Zanetti) reca norme in materia di
contrasto all'elusione fiscale e abuso del diritto. Se ne dà quindi conto in
occasione del commento a tali norme. |
|
La documentazione dei servizi e degli uffici della
Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività
degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina
ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per
fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere
riprodotti, nel rispetto della
legge, a condizione che sia citata la fonte. |
File: FI0063.doc |
INDICE
§ Articolo 2, commi
1-3 (Revisione del catasto dei fabbricati
§ Articolo 2, commi 4
e 5 (Stima e monitoraggio dell’evasione
fiscale
§ Articolo 2, commi
6-8 (Monitoraggio e riordino delle
disposizioni in materia di erosione fiscale)
§ Articolo 3, comma 1
(Disciplina dell’abuso del diritto ed
elusione fiscale)
§ Articolo 3, commi
2-7 (Gestione del rischio fiscale,
governance aziendale e tutoraggio)
§ Articolo 3, comma 8
(Semplificazione)
§ Articolo 3, commi 9
e 10 (Revisione del sistema sanzionatorio)
§ Articolo 3, comma
11 (Rafforzamento dell’attività
conoscitiva e di controllo)
§ Articolo 4, commi 6
e 7 (Giochi pubblici)
§ Articolo 5 – A.C.
282 (Fiscalità ambientale)
Articolo 1
(Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale,
procedura e disposizione finanziaria)
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema
fiscale. I decreti legislativi sono adottati secondo i princìpi e criteri
direttivi indicati nella presente legge, nel rispetto dei princìpi dello
statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212,
con particolare riferimento all’articolo 3, in materia di efficacia temporale
delle norme tributarie, e in coerenza con quanto stabilito dalla legge 5 maggio
2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, nonché con gli obiettivi di
semplificazione e riduzione degli adempimenti e di adeguamento ai princìpi
fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea.
2. Gli schemi
dei decreti legislativi di cui al comma 1, corredati di relazione tecnica, sono
trasmessi alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle
Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che
sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Le Commissioni
possono chiedere al Presidente della rispettiva Camera di prorogare di dieci
giorni il termine per l’espressione del parere, qualora ciò si renda necessario
per la complessità della materia o per il numero dei decreti legislativi.
Qualora la proroga sia concessa, i termini per l’emanazione dei decreti
legislativi sono prorogati di dieci giorni. Decorso il termine previsto per
l’espressione del parere o quello eventualmente prorogato, il decreto può
essere comunque adottato.
3. Il Governo,
qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i
testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. I
pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro
il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale
termine, i decreti possono essere comunque adottati.
4. Il Governo è
autorizzato ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni
correttive e integrative dei decreti legislativi di cui alla presente legge,
entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi
medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente
legge e con le modalità di cui al presente articolo.
5. Nei decreti
legislativi di cui al comma 1, il Governo provvede all’introduzione delle nuove
norme mediante la modifica o l’integrazione dei testi unici e delle
disposizioni organiche che regolano le relative materie, provvedendo ad
abrogare espressamente le norme incompatibili.
6. Il Governo è
delegato ad adottare, entro il termine di cui al comma 1, nel rispetto dei
princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e secondo la
procedura di cui al presente articolo, uno o più decreti legislativi recanti le
norme eventualmente occorrenti per il coordinamento formale e sostanziale dei
decreti legislativi emanati ai sensi della presente legge con le altre leggi
dello Stato e per l’abrogazione delle norme incompatibili.
7. Dai decreti
legislativi di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri o
diminuzioni di entrate a carico della finanza pubblica.
L’articolo 1 della pdl 1122 reca una delega al Governo ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in commento, uno o più decreti legislativi, recanti la revisione del sistema fiscale.
Ai sensi del comma 1, nell’esercizio della delega il Governo deve attenersi, oltre che ai singoli criteri direttivi esplicitati in ciascun articolo della proposta in esame, ai seguenti principi generali:
§ rispetto dei princìpi dello statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n.212, con particolare riferimento all’articolo 3, in materia di efficacia temporale delle norme tributarie,
§ coerenza con quanto stabilito dalla legge 5 maggio 2009, n.42, in materia di federalismo fiscale;
§ coerenza con gli obiettivi di semplificazione e riduzione degli adempimenti e di adeguamento ai princìpi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea.
Si rammenta che la proposta di legge riprende il testo
del disegno di legge delega per la
revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C. 5291) e approvato in prima lettura
dalla Camera, che lo ha modificato in modo significativo accorpandolo in 4
articoli. Tuttavia il Senato non ha concluso l'iter del provvedimento entro il
termine della Legislatura. Il testo, come emerge dall’iter parlamentare, non si
poneva come un intervento radicale, volto ad attuare un particolare modello
teorico di tax design, ma interveniva
per correggere alcuni aspetti critici
del sistema per renderlo più favorevole
alla crescita e all’equità.
La legislazione fiscale italiana è infatti il risultato di due esigenze contrapposte: da un lato, quelle, pressanti, di bilancio volte a reperire nell’immediato il maggior gettito possibile; dall’altro, quelle, meno pressanti ma pur sempre necessarie, di sistema volte a garantire, in prospettiva, un prelievo neutro ed equo.
In tale contesto, come si vedrà di seguito, negli ultimi anni il legislatore italiano ha perseguito in primo luogo l’intento complessivo - al fine di incentivare la (stagnante) crescita economica del Paese - di spostare il baricentro dell’imposizione dal “lavoro” al consumo e al patrimonio.
E’ stato da più parti sostenuto, infatti (si veda, da
ultimo, A. Zanardi “La finanza pubblica italiana. Rapporto 2012”, Il Mulino),
che le imposte sul patrimonio
immobiliare e, in misura più ridotta, quelle sui consumi, sono meno dannose
per la crescita economica rispetto alle imposte sui redditi e il loro
aumento – se associato ad una riduzione del costo del lavoro – consentirebbe di
realizzare una “svalutazione fiscale”,
aiutando la ripresa della domanda interna: l’aliquota nazionale si applica,
infatti, alle importazioni mentre le esportazioni non sono imponibili. Poiché
inoltre gli sgravi sul costo del lavoro si trasferiscono sui prezzi delle
imprese nazionali, si determina una riduzione dei prezzi della produzione
interna e un conseguente aumento di competitività. Per altro verso, misure di
detassazione dei profitti (quali, ad esempio, l’Ace) dovrebbero favorire la
ricapitalizzazione, in particolare delle banche.
Il recente Rapporto 2013 sui livelli di tassazione e di contribuzione sociale nell'Unione europea
(relativi all'anno 2011) pubblicato da Eurostat
e dalla Direzione generale fiscalità della Commissione europea, mette in
evidenza come la tassazione sul lavoro (implicit tax rate, vale a dire il
rapporto tra la somma di imposte e contributi sociali gravanti sul reddito da
lavoro dipendente e il costo del lavoro)
sia pari al 42,3%, al secondo posto nell’Europa a 27, mentre, ad esempio, le
entrate da IVA rappresentano solo il 6,2% del PIL, collocando il nostro Paese
al terz’ultimo posto tra i Paesi UE. Complessivamente, la tassazione indiretta
si colloca al di sotto della media europea, mentre quella diretta è superiore
alla media europea.
Per altro verso, il Rapporto segnala come le amministrazioni territoriali
acquisiscono il 15% delle entrate totali (collocando il nostro Paese al 5°
posto nell’Europa a 27)
Peraltro, come sottolineato anche dalla Corte dei conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della
finanza pubblica, l’originale intenzione distributiva è stata scavalcata dall’esigenza di porsi più ambiziosi obiettivi di rigore, veicolati in
larghissima parte (D.L. 98 e 138 del 2011) attraverso
la componente delle entrate. La nuova azione redistributiva ha, così,
potuto trovare solo una parziale attuazione, nella misura in cui l’aumento
impositivo che ha investito consumi e patrimoni si è tradotto in una riduzione
molto limitata del prelievo sui redditi da lavoro e d’impresa.
Considerando sostanzialmente esauriti i margini finora offerti dalle entrate volontarie, a
cominciare da quelle per giochi, e
dall’efficientamento dell’attività di riscossione,
la Corte suggeriva di puntare sull’ampliamento
della base imponibile, assegnando alla lotta
all’evasione ed all’elusione ed al ridimensionamento dell’erosione il compito di assicurare
margini consistenti per un riequilibrio del sistema di prelievo al fine di
poter almeno in parte conciliare rigore, equità e crescita.
Il Rapporto 2013
mette quindi in evidenza il problema di una pressione fiscale portata a livelli comunemente ritenuti incompatibili con le esigenze della crescita, ma funzionale al rispetto dei parametri
europei; pertanto, appare di più immediata percorribilità una
scelta volta ad aumentare l’equità
distributiva del prelievo, a semplificare
gli adempimenti, a selezionare le
combinazioni di tributi che possano trasmettere maggiori impulsi sulla crescita e sulla competitività, pur a parità di gettito.
Nell'ambito della procedura del semestre europeo, il 29 maggio 2013 la Commissione europea ha
presentato le raccomandazioni
all'Italia sul Piano nazionale di
riforma (PNR) e sul Programma di
stabilità. Contestualmente, la Commissione ha proposto la chiusura della procedura per disavanzo
eccessivo nei confronti dell'Italia, aperta nel 2009. In particolare, la
Commissione raccomanda di:
§ trasferire
il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e
ambiente, assicurando la neutralità in termini di gettito;
§ rivedere l'ambito di
applicazione delle esenzioni e delle aliquote ridotte IVA, nonché il
sistema delle agevolazioni fiscali dirette;
§ procedere alla riforma
del catasto, allineando gli estimi e le rendite ai valori di mercato;
§ proseguire la lotta
all'evasione fiscale, migliorando il rispetto dell'obbligo tributario e
contrastando in modo incisivo l'economia sommersa e il lavoro irregolare.
In secondo luogo, alcuni interventi si sono rivolti verso un sistema di tassazione del reddito cosiddetto “duale”, in cui i redditi da capitale sono esclusi dalla progressività, che è limitata ai redditi da lavoro (dipendente e autonomo) e da impresa individuale.
La tassazione “piatta” è stata adottata anche per i canoni delle abitazioni locate: l’art. 3 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, (federalismo municipale) ha istituito infatti la cosiddetta “cedolare secca” del 21 (o 19) per cento sui redditi derivanti da canoni di locazione, anche al fine di favorire l’emersione degli imponibili. Tale norma, introdotta con l’intento di favorire l’emersione dei redditi da locazione di immobili, non sembra peraltro aver ottenuto gli effetti sperati.
In questo quadro di riferimento, tra gli obiettivi delineati dalla proposta di legge delega emerge la certezza del sistema tributario, da perseguire attraverso la definizione dell’abuso del diritto, la revisione delle sanzioni penali e amministrative, il miglior funzionamento del contenzioso attraverso lo snellimento dell’arretrato.
Si intende inoltre attuare una semplificazione sistematica dei regimi fiscali e degli adempimenti “inutilmente complessi” . Allo stesso tempo, la revisione del reddito d’impresa è volta a migliore la certezza e la stabilità del sistema fiscale.
La riforma fiscale è anche orientata a proseguire nel contrasto all’evasione e all’elusione nonché al riordino dei fenomeni di erosione fiscale (cosiddette tax expeditures), con l’obiettivo di eliminare distorsioni e rendere più efficiente il sistema economico. A questo fine sono previste misure volte a definire metodologie di stima dell’evasione e di monitoraggio dei risultati della lotta all’evasione stessa.
Attraverso la riforma del catasto degli immobili si intende invece correggere le sperequazioni insite nelle attuali rendite, accentuate dall’aumento generalizzato disposto con il decreto-legge n. 201 del 2011.
In relazione al richiamato principio di delega sul coordinamento con le norme sul federalismo fiscale (comma 1), si ricorda che la finanza regionale e locale è stata caratterizzata, nel corso di questi ultimi anni, da un importante processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione.
Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, delineato dalla legge n. 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale, è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. In questo quadro, uno degli obiettivi principali della legge è stato il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.
Tale processo, finalizzato alla ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, risulta ancora in itinere. Da un lato, infatti, alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto - quali la determinazione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori diversi dalla sanità (ivi individuati nel 2001 come livelli essenziali di assistenza LEA ), ovvero l'individuazione dei fabbisogni standard - non sono ancora intervenuti. D'altro lato, il più significativo intervento attuativo della delega, costituito dalla nuova fiscalità municipale è stato più volte modificato, dopo l'entrata in vigore del relativo decreto legislativo, mediante la decretazione d'urgenza, dando luogo ad un quadro normativo mutevole ed al momento ancora non a regime, come evidenzia la complessa vicenda dell'Imposta municipale propria (IMU), per non parlare del Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares). Si tratta peraltro di un tema sul quale ha inciso negativamente l'intensificarsi dell'emergenza finanziaria, che ha posto nuove e pressanti necessità per una revisione del regime sperimentale attuale dell'imposta municipale.
Per le richiamate esigenze di risanamento dei conti pubblici, infatti, l’applicazione dell’IMU, ai sensi dell'articolo 13 del D.L. 201/2011, è stata anticipata al 2012 e la sua disciplina è stata profondamente innovata. Il predetto decreto ha altresì istituito la Tares, a totale copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, introducendo per quest’ultimo fine una significativa maggiorazione del tributo.
Successivamente, sul punto sono intervenuti dapprima il decreto-legge n. 35 del 2013 (debiti PA), che ha modificato i termini di pagamento della prima rata della Tares nell'anno 2013, consentendo ai comuni di anticiparla rispetto alla scadenza fissata al mese di luglio e, successivamente, il decreto-legge n. 54 del 2013, con il quale è stata disposta la sospensione del versamento della prima rata dell'imposta municipale propria (IMU), in scadenza il prossimo 16 giugno, per determinate categorie di immobili (abitazioni principali e assimilati, terreni agricoli e fabbricati rurali), nelle more di una “complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, ivi compresa la disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi”, volta, tra l’altro, a “riconsiderare l'articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale”.
La Corte dei
conti, nel citato Rapporto 2013 –
confermando quanto già emerso nel Rapporto
2012 - evidenzia come a fronte di un obiettivo dichiarato di invarianza
finanziaria, nelle norme di attuazione del federalismo fiscale non solo non si
trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale, ma anzi, di
pari passo con l’attuazione del federalismo nel suo interagire con la crisi
dell’economia, si è registrata una significativa
accelerazione sia delle entrate
di competenza degli enti territoriali, sia di quelle delle Amministrazioni
centrali.
In questo contesto si sono determinate significative differenze territoriali nel
prelievo a carico di famiglie e imprese. Emblematico risulta il caso delle
addizionali regionali e comunali all’Irpef, per le quali la libertà di aliquota
riconosciuta a ciascun ente ha condotto indifferentemente a scegliere fra:
un’unica aliquota per tutti i livelli di reddito; più aliquote, improntate a
progressività; un sistema di progressività per classi e scaglioni; scaglioni di
reddito imponibile coincidenti con quelli Irpef ovvero fissati in totale autonomia;
la facoltà di introdurre forme di esenzione; la facoltà di accordare detrazioni
aggiuntive; la facoltà di disporre di detrazioni dell’addizionale in luogo di
sussidi e altre forme di sostegno sociale. Differenze importanti che possono
portare a scelte di delocalizzazione delle imprese e delle stesse famiglie, e
al contempo a ricadute negative sotto il profilo della fiscal compliance.
Quanto al rispetto dei princìpi dello Statuto dei diritti del contribuente,
si ricorda che sul punto si è peraltro pronunciata più volte la Corte costituzionale (tra le altre,
vedi le ordinanze n. 41 del 2008 180 del 2007, n. 428 del 2006 e n. 216 del
2004) affermando che una disposizione di
legge successiva, in quanto dotata della stessa forza della legge n. 212 del 2000, che non ha valore superiore a quello della legge ordinaria, è idonea ad
abrogare implicitamente quest’ultima e, conseguentemente, ad introdurre
nell’ordinamento una valida norma di interpretazione autentica, ancorché priva
di una espressa autoqualificazione in tal senso.
Lo Statuto del contribuente è stato introdotto nell’ordinamento con la legge 27 luglio 2000, n.212. L’articolo 1 precisa che le norme dello Statuto costituiscono princìpi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Si chiarisce, inoltre che l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
Ai sensi dell’articolo 3, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
Le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
Per quanto attiene all’adeguamento ai princìpi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea, si ricorda, in estrema sintesi, che le norme dei Trattati europei in materia fiscale prevedono sostanzialmente il divieto di istituire tassazioni discriminatorie, rispetto a quelle applicate sui prodotti nazionali, su prodotti provenienti da altri Stati membri e l’armonizzazione comunitaria dell’IVA, delle imposte di consumo (accise) e delle altre imposte indirette. L’imposizione diretta non è invece armonizzata e rimane di competenza esclusiva degli Stati membri.
L’articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE) prevede che il Consiglio adotti le disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza. L’articolo 110 prevede poi che nessuno Stato membro possa applicare direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari. Inoltre, nessuno Stato può applicare ai prodotti degli altri Stati imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni. L’articolo 112 esclude le imposte sulla cifra d'affari, le imposte di consumo e le altre imposte indirette dall’obbligo di preventiva approvazione da parte del Consiglio per l’introduzione di misure nazionali di esonero e rimborso all'esportazione negli altri Stati membri, nonché di tasse di compensazione applicabili alle importazioni provenienti dagli Stati membri. Gli articoli da 106 a 109 del TCE disciplinano gli aiuti fiscali alle imprese.
Le
recenti tendenze della legislazione: lo spostamento del baricentro impositivo
attraverso la tassazione del patrimonio
Con il decreto-legge n. 201 del 2011, numerose
misure hanno introdotto elementi di
tassazione reale:
§
la tassazione
degli immobili situati in Italia,
sostanzialmente con la reintroduzione dell’imposta patrimoniale sulla prima
casa, che era stata abolita nel 2008. A tale scopo, è stata anticipata dal 2014
al 2012 l’operatività dell’Imposta
municipale propria (IMU) – disciplinata dalle disposizioni
attuative della delega sul federalismo fiscale – estendendo tale forma di
prelievo alla “prima casa” dei contribuenti, seppure con aliquota agevolata e
contemperata da una detrazione; l’articolo 91-bis del D.L. n. 1 del 2012 (cd. decreto liberalizzazioni) ha quindi
stabilito che, dal 2013, l’esenzione da IMU per gli immobili di enti non commerciali adibiti a
specifiche attività sia applicabile solo nel caso in cui le predette vengano
svolte con modalità non commerciali;
§
l’imposta sugli immobili detenuti all’estero (IVIE);
§
la modifica “a
scaglioni” dell’imposta di bollo,
introdotta con la manovra di agosto (D.L. 138/2011) sui soli conti bancari e
che con la citata manovra di dicembre è stata estesa a fattispecie in
precedenza escluse, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se
rappresentati da certificati;
§
l'applicazione di
un'imposta di bollo sulle attività
rimpatriate mediante il cosiddetto "scudo fiscale";
§
la tassazione
delle attività finanziarie detenute
all’estero (IVAFE);
§
la tassazione di
alcune manifestazioni di ricchezza,
quali i veicoli di grossa cilindrata (potenziando quanto già disposto con la
manovra di agosto), gli aerei e le imbarcazioni da diporto di maggiori
dimensioni.
La legge di stabilità 2013 (articolo 1,
commi da 491 a 500) ha introdotto un’imposta
sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:
§
trasferimento della proprietà di azioni ed altri
strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello
Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente
dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento
del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori
dai mercati regolamentati (over the
counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in
mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;
§
operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in
misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al
valore del contratto, secondo la tabella 3 allegata alla legge di stabilità.
La
tassazione dei redditi di natura finanziaria
Il primo disegno
di legge di delega fiscale presentato nel corso della XVI Legislatura (A.C.
4566) prevedeva l’introduzione, nell’ambito dei provvedimenti attuativi della
delega, di un nuovo regime fiscale per i
redditi di natura finanziaria, superando la distinzione tra “redditi di
capitale” e “redditi diversi” a favore di una unica categoria di “redditi
finanziari”, assoggettati ad un’imposta sostitutiva con una stessa aliquota,
non superiore al 20 per cento: tale misura è stata adottata con il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (articolo
2, commi da 6 a 34); per effetto delle modifiche operate, le precedenti
aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di
capitale e sui redditi diversi, sono unificate al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della
riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da
altri Stati (cd. white list, vale a
dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di
risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le
forme di previdenza complementare (nonché le emissioni obbligazionarie delle
società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei
servizi di pubblica utilità, assimilate ai titoli di stato dall’articolo 1 del
D.L. 83 del 2012). Le predette norme hanno altresì definito le modalità con cui
nel risparmio gestito (polizze assicurative, gestioni patrimoniali, fondi
comuni mobiliari e fondi pensione) deve essere effettuata la tassazione dei
titoli soggetti alla minore aliquota del 12,5%, al fine di non vanificare il
trattamento di favore loro riservato; inoltre, le norme hanno accordato agli
investitori la possibilità di affrancare le plusvalenze maturate al 31 dicembre
2011, allo scopo di evitare la tassazione con la maggiore aliquota del 20%.
L’intervento,
oltre all’intento di armonizzare le aliquote dei redditi delle attività
finanziarie, si è posto anche l’obiettivo di aumentare il livello di tassazione di tali redditi (per un importo
stimato dalla relazione tecnica del decreto-legge n. 138 pari a due miliardi di euro).
L’imposizione
sui consumi
Per quanto
concerne l’IVA, si ricorda che il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 ha
disposto un progressivo aumento delle
aliquote IVA: l’aliquota ordinaria
è passata dal 20 al 21 per cento da
agosto 2011. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità
2013, a decorrere dal 1° luglio 2013,
l’aliquota ordinaria è rideterminata nella misura del 22 per cento (anziché del 23 per cento fino al 31 dicembre 2013),
mentre resta ferma l’attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa
originariamente destinata ad aumentare). In sostanza dal 1° luglio 2013 le
aliquote IVA saranno le seguenti: 22 per cento (ordinaria, che aumenta così
dall’attuale valore del 21 per cento), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento
(super-ridotta).
In merito al riordino della disciplina delle accise, occorre ricordare gli aumenti delle aliquote di accisa sia
sui prodotti energetici (aventi lo
scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi
calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011), sia sui tabacchi lavorati (rispettivamente,
tra gli altri, articolo 23, comma 50-quater,
decreto-legge n. 98 del 2011,
articolo 33 e 34, legge n. 183 del 2011,
legge di stabilità per il 2012, articolo 15, decreto-legge n. 201 del 2011, articolo 3-bis, decreto-legge n. 16 del 2012, e, per i tabacchi, articolo 2,
comma 3, del decreto-legge n. 138 del
2011, articolo 6, comma 2-quinquies,
decreto-legge n. 216 del 2011). Da
ultimo, il decreto-legge n. 74 del 2012
(articolo 3) dispone un aumento dell’accisa sulla benzina e sul gasolio
usato come carburante, pari a 2 centesimi, fino al 31 dicembre 2012
volto ad alimentare il Fondo per la
ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012.
Il decreto-legge
n. 59 del 2011 (articolo 1, comma1, lett. c), nn. 9 e 10) ha poi previsto che gli oneri di protezione civile, ove si ricorra al fondo di riserva
spese impreviste, possano essere reintegrati anche mediante l’aumento dell’accisa sulla benzina e
gasolio.
Infine, l’articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 reca - tra l’altro - i criteri di revisione del sistema delle accise sull’elettricità e sui prodotti
energetici, da realizzare, entro il 31 dicembre 2012, con un decreto
Ministro
dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo
economico.
Gli
interventi sull’IRAP e sul costo del lavoro
Al fine di favorire la crescita attraverso lo
spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi, sono state adottate misure fiscali a favore del lavoro e delle
imprese (detrazioni fiscali per le nuove assunzioni e riduzione del cuneo
fiscale) nonché in favore della famiglia. Inoltre, è stato più volte prorogato
(da ultimo dalla legge di stabilità 2013) il regime fiscale - oltre che contributivo - agevolato degli emolumenti correlati ad incrementi di produttività, consistente nell’applicazione di
un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali con aliquota del
10 per cento.
Il legislatore ha poi introdotto (decreto-legge n. 201
del 2011) norme che prevedono l’integrale
deducibilità delle imposte dirette - IRES e IRPEF – dall’IRAP dovuta dalle imprese in
rapporto al costo del lavoro. Inoltre, per favorire l’accesso al lavoro da
parte di donne e giovani, è stata aumentata la misura della deduzione IRAP
disposta in caso di assunzione di tali tipologie di lavoratori, con particolare
attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
Per le predette finalità, il legislatore si è spesso
avvalso dello strumento del credito
d'imposta: in particolare, disponendone l’attribuzione alle imprese che
finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (nella
misura del 90 per cento della spesa incrementale di investimento), nonché (con
il D.L. 70 del 2011) ai datori di lavoro che assumono nelle regioni del
Mezzogiorno, ove l’assunzione riguardi "lavoratori svantaggiati" o
“molto svantaggiati”. Un’analoga agevolazione è stata introdotta per le imprese
che assumono, a tempo indeterminato, soggetti con profili altamente qualificati
(D.L. 83 del 2012).
La legge di
stabilità 2013 ha previsto una ulteriore riduzione del cd. "cuneo fiscale" conseguita mediante
l’incremento degli importi deducibili dall’IRAP per ciascun lavoratore
dipendente nonché degli importi delle deduzioni in favore dei soggetti passivi
di minori dimensioni; è stato inoltre istituito un Fondo per esentare dall’IRAP, a decorrere dal 2014, le persone
fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni, che non si
avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano anche in
locazione beni strumentali entro una soglia definita.
L’aiuto
alla crescita economica (ACE)
Nell’ambito della tassazione del reddito di impresa l’articolo
1 del decreto-legge n. 201 del 2011
ha introdotto un aiuto alla crescita
economica (ACE), rendendo deducibile il rendimento del capitale di rischio,
valutato tramite l'applicazione di un rendimento nozionale al nuovo capitale
proprio.
Tale
disposizione è stata introdotta in considerazione della esigenza di rilanciare
lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, mediante una
riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con
capitale di rischio. Ciò è finalizzato anche a ridurre lo squilibrio del
trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si
finanziano con capitale proprio, e rafforzare,
quindi, la struttura patrimoniale delle
imprese e del sistema produttivo italiano.
Nell’ambito
delle misure volte ad agevolare il
finanziamento delle imprese, l’articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 consente alle società non emittenti strumenti finanziari quotati su mercati
regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche
e dalle micro-imprese, di emettere
cambiali finanziarie e obbligazioni a condizione che l'emissione sia
assistita da uno sponsor, l'ultimo bilancio dell'emittente sia assoggettato a
revisione contabile, i titoli siano collocati esclusivamente presso investitori
qualificati che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società
emittente e destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori.
Si ricorda,
infine, che l’articolo 32-bis del medesimo decreto-legge
n. 83 del 2012 ha modificato la disciplina
dell’IVA “per cassa”, rendendo tale regime
opzionale e disponendo l’esigibilità dell’IVA “per cassa” alle operazioni
effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a due milioni di euro, in luogo dell’attuale soglia di duecentomila
euro; si prevede che il diritto
alla detrazione in capo al cessionario o al committente sorga al momento di
effettuazione dell’operazione, anche se il corrispettivo non è stato ancora
pagato (non più, dunque, al momento di effettivo pagamento del
corrispettivo).
Le
modifiche alle imposte a favore degli enti territoriali
Oltre all’introduzione dell’IMU, numerose sono le modifiche intervenute in materia di imposte
indirette delle amministrazioni territoriali.
In primo luogo, si ricorda che l’articolo 4 del D.Lgs. 23 del 2011 (federalismo municipale)
attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle
strutture ricettive situate sul proprio territorio.
Il decreto-legge n. 16 del 2011 ha quindi consentito ai comuni di
disciplinare con regolamento l’imposta
di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria 2007,
in luogo della revisione dell’imposta da effettuarsi con regolamento statale
(D.P.R.). E’ stata inoltre istituita una imposta
di sbarco.
Il medesimo decreto-legge
ha previsto altresì l’abrogazione della sospensione del potere di aumentare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e
regionali.
L'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale
sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani
e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai
servizi indivisibili dei comuni. Il
tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo
locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre
rifiuti urbani.
Interventi
in materia di semplificazione
Allo scopo di favorire la costituzione di nuove
imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, a
decorrere dal 1° gennaio 2012 è stato modificato (articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011) il regime
fiscale semplificato dei cd.
“contribuenti minimi” che si applica, per il periodo d'imposta in cui
l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono
un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo
il 31 dicembre 2007. Pertanto, il beneficio del c.d. “forfettone” (una
tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i
lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è riservato
a coloro i quali hanno iniziato l'attività a partire da tale data o vorranno
iniziarla adesso. Nello stesso tempo per questi ultimi il beneficio è aumentato:
a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi
e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento.
L’articolo 10 del decreto
legge n. 201del 2011 ha introdotto dal 2013 il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono
attività artistica, professionale o di impresa, in forma individuale o
associata (escluse le società di capitali). Si tratta di un regime finalizzato
a incoraggiare la trasparenza fiscale e l'emersione. La norma è congeniata in
modo da abbinare la volontaria
accettazione di adempimenti in grado di rafforzare fortemente i controlli e
l'accertamento da parte del fisco a una
serie di vantaggi di tipo premiale, quali: la drastica semplificazione
degli adempimenti amministrativi; il
tutoraggio prestato
dall'Amministrazione fiscale, sia ai fini degli adempimenti Iva, sia ai fini
degli adempimenti in qualità di sostituto d'imposta; una corsia preferenziale
per i rimborsi e le compensazioni
dei crediti Iva.
Da ultimo, l’articolo 13 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha rafforzato la disciplina dello sportello unico per l’edilizia
rendendolo l'unico punto di accesso per il privato per tutte le vicende
amministrative riguardanti l'intervento edilizio ed il relativo titolo
abilitativo. Lo sportello è tenuto ad acquisire altresì, anche mediante
conferenza dei servizi, tutti gli atti di assenso comunque denominati delle
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale,
del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica
incolumità.
Il processo di attuazione del
federalismo fiscale
In attuazione
della legge delega 5 maggio 2009, n. 42,
recante i principi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo
fiscale, in riferimento all' articolo 119 della Costituzione, sono stati
emanati nove decreti legislativi, finalizzati a definire il nuovo assetto dei
rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Il
quadro attuativo della delega si presenta tuttavia in concreto ancora da
completare e i contenuti di alcuni di tali decreti sono stati oggetto di
numerose e significative modifiche operate mediante la legislazione ordinaria.
I nuovi
criteri di finanziamento
Il nuovo assetto
dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali
delineato dalla legge è incentrato sul superamento
del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa
agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio
territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.
A tal fine la
legge n.42 del 2009 stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle
entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione
di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento
e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i
diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
Nel definire i
principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie
territoriali, la legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza,
istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per
le quali si prevede l’integrale
copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece,
vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri
della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle
funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.
Per le suddette
funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i
livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi
sono associati i fabbisogni standard
necessari ad assicurare tali prestazioni; le altre funzioni o tipologie di
spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione
delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale
avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza
tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.
Un diverso
trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per
gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della
Costituzione.
Per quanto
riguarda le modalità di finanziamento
delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale
esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi
e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi
erariali e dal fondo perequativo.
A tal fine la legge reca i criteri direttivi volti a
individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai
diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel
rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui
all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli
stessi di cespiti patrimoniali. Ciò al fine di definire un quadro diretto a
consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi
decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.
Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere
salvaguardato l’obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività, rispettando il principio
della capacità contributiva ai fini
del concorso alle spese pubbliche.
In linea generale, si stabilisce il principio in base
al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura
corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.
Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei
comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio,
qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione
– ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza
pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di
ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di
dissesto finanziario.
In linea generale, l'attuazione della delega deve
risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di
stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere evitata ogni duplicazione di
funzioni e dunque di costi, nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre
aumenti della pressione fiscale complessiva.
I decreti attuativi della legge delega
La legge delega ha trovato attuazione mediante
l’emanazione di dieci decreti
legislativi:
§
Decreto
legislativo 28 maggio 2010, n. 85, Attribuzione a comuni, province, città
metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale );
§
Decreto
legislativo 17 settembre 2010, n. 156, Disposizioni recanti attuazione
dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento
transitorio di Roma Capitale;
§
Decreto
legislativo 26 novembre 2010, n. 216, Disposizioni in materia di determinazione
dei costi e dei fabbisogni standard
di Comuni, Città metropolitane e Province ;
§
Decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23, Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale;
§
Decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di
entrata delle regioni a statuto
ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario;
§
Decreto
legislativo 31 maggio 2011, n. 88, Disposizioni in materia di risorse
aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione
degli squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5
maggio 2009, n. 42;
§
Decreto legislativo
23 giugno 2011, n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1
e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42;
§
Decreto legislativo
6 settembre 2011, n. 149, meccanismi
sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni ;
§
Decreto
legislativo 18 aprile 2012, n.61, Ulteriori disposizioni recanti attuazione
dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di
Roma Capitale.
§
Decreto
legislativo 26 aprile 2013, n.51, Modifiche ed integrazioni al decreto
legislativo 18 aprile 2012, n. 61, concernente ulteriori disposizioni di
attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di
ordinamento di Roma Capitale.
Profili
problematici e questioni aperte
Pur in presenza
di un corpus normativo che ha
sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge
delega, il percorso attuativo del federalismo fiscale non può ritenersi
completato, per due diversi ordini di ragioni.
La prima è
rinvenibile nelle caratteristiche della legislazione delegata che in taluni
casi, riproponendo anche per l’aspetto lessicale le disposizioni contenute
nella legge delega (ad esempio in tema di funzioni fondamentali degli enti
locali, ovvero su Roma capitale) non ha risolto alcune delle questioni
normative poste dalla delega ed in altri è intervenuta sollevando numerose questioni di coordinamento sia
tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità
regionale, rispettivamente n. 23 e n. 68 del 2011), che tra i decreti e la
disciplina generale in vigore nella materia (ad esempio per il federalismo
demaniale e per gli interventi speciali, rispettivamente decreti n. 85 del 2012
e n. 88 del 2011). Ma, più ancora, i
provvedimenti emanati rinviano a numerosi altri interventi attuativi di rango
secondario – decreti e regolamenti – che in molti casi non risultano
emanati, e ciò anche in alcuni aspetti cruciali per l’implementazione della
nuova disciplina, nei quali, potrebbe ritenersi, la delega ha posto obiettivi
ambiziosi, la cui implementazione normativa risulta oggettivamente molto
complessa: è il caso, soprattutto, della individuazione
dei fabbisogni standard, i cui termini di conclusione sono stati più volte
posposti. E l’assenza, al momento, dei fabbisogni in questione, unitamente alla
ancora non intervenuta definizione con legge dei livelli essenziali delle
prestazioni (nei settori diversi dalla sanità, ove peraltro la vigente
disciplina è risalente al 2001) ai sensi dell’articolo 117, lettera m) della
Costituzione, rende fortemente incompiuto il nuovo assetto federalista. Va
infatti rammentato come la determinazione dei fabbisogni standard costituisca
l’architrave della fiscalità federalista come delineata dalla legge n.42/2009,
in quanto è alla base (sia per il complesso delle autonomie territoriali che
per ogni singolo ente) della sequenza: costi standard, differenza tra
fabbisogno/costo standard e risorse fiscali dell’ente, perequazione integrale,
con il concorso dello Stato, del fabbisogno “scoperto” per quanto concerne i
livelli essenziali delle prestazioni e perequazione “parziale” (riferita alla
capacità fiscale) per le altre funzioni. Un altro rilevante tema concerne
infine, la mancata attuazione del
meccanismo di coordinamento finanziario dinamico della finanza pubblica
posto dal “Patto di convergenza” di cui all’articolo 18 della legge n. 42, che
peraltro, come si segnalerà anche di seguito su un’altra tematica, prefigura un
complesso disegno concertativo multilivello tra Stato ed autonomie
territoriali, la cui messa in opera è stata sicuramente ostacolata dal
succedersi di crisi finanziarie che ha contraddistinto gli ultimi anni. Ed
inoltre, la concreta realizzazione della finanza decentrata presenta problemi
tecnici di oggettiva complessità, che in molti casi hanno reso necessario, come
nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento
dei fondi perequativi per gli enti locali o dell’armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi
periodi transitori e/o di fasi di sperimentazione prima dell’entrata a regime.
Alcuni provvedimenti, infine, stentano a trovare una soddisfacente
implementazione a causa di inevitabili contrasti tra gli enti coinvolti, come
nel caso dl federalismo demaniale o dei provvedimenti su Roma capitale (su cui
non a caso si è giunti a tre decreti legislativi, il terzo in corso
d’emanazione) che danno luogo a varie difficoltà amministrative ed
ordinamentali.
La seconda
ragione può indicarsi in quello che appare oggettivamente un ripensamento da parte del legislatore
su alcune questioni importanti della delega evidenziatosi nell’ultimo anno nel
quale aspetti importanti della normativa federalista sono stati modificati con la legislazione ordinaria - a partire dal decreto-legge n. 201 del
2011 – vale a dire fuori dal procedimento previsto dalla delega medesima.
Tra le
principali questioni emerge il tema delle funzioni
delle province, per il quale, dopo le misure radicalmente innovative
dettate dal decreto-legge n. 201 del 2011 (attribuzione alle province
esclusivamente di funzioni di indirizzo e coordinamento dell’attività dei
comuni e configurazione degli organi di tali enti, ridotti al presidente della
provincia e al consiglio provinciale, come organi ad elezione indiretta), la
materia è stata di nuovo oggetto di un rilevante intervento normativo con il
decreto-legge n. 95 del 2012, con cui si è inteso effettuare un riordino
complessivo di tali enti, che ne riducesse significativamente il numero, e si è
rivista, anche modificando quanto disposto dal decreto-legge n. 201, la
disciplina di organi e funzioni. Lo stesso decreto-legge, proprio in
connessione con il riordino delle province, ha disposto l’istituzione delle
città metropolitane e ne ha definito la disciplina a regime, abrogando la
normativa per la loro istituzione dettata, sia pure in via transitoria,
dall’articolo 23 della legge n. 42. Peraltro, la mancata conversione, anche a
causa dello scioglimento delle Camere, del decreto-legge n. 188, con il quale
si completava il procedimento di riordino delle province stabilito dal
decreto-legge n. 95, e, tra l’altro, si puntualizzava la normativa relativa
alle città metropolitane, ha lasciato che il disegno complessivo di riforma delle
province e di istituzione delle città metropolitane, che era stato avviato,
rimanesse incompiuto. La legge di
stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) ha pertanto rinviato al 31 dicembre 2013 il termine sia per il riordino delle
province sia per la definizione delle modalità di elezione degli organi
dell’ente, nonché sospeso fino alla medesima data il trasferimento ai comuni
delle relative funzioni e l’applicazione della disciplina istitutiva delle
città metropolitane.
Ancor più
rilevante il tema dell'IMU per il
quale, com’è noto, il decreto-legge n. 201 del 2011 nell’anticipare in via
sperimentale l’applicazione dell’imposta al 2012, ne aveva modificato la
disciplina (rispetto a come dettata dal decreto n. 23/2011) in misura molto
significativa, per ragioni connesse in primo luogo all’emergenza finanziaria,
estendendola alla prima casa ed incrementandone, mediante l’aumento delle
rendite catastali, la base imponibile. Successivamente una diversa scelta è
stata effettuata con la legge di
stabilità per il 2013, che ha attribuito interamente ai comuni il gettito
dell’imposta (ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso
produttivo, che spetta allo Stato), con ciò per un verso ripristinando la
configurazione dell’imposta come essenzialmente municipale, ma, per altro verso
comportandone, al fine di assicurare la neutralità dell’intervento sotto il
profilo dei rapporti finanziari tra Stato e comuni, rilevanti ricadute sul
sistema perequativo definito dallo stesso decreto legislativo n. 23, con la soppressione
del fondo sperimentale di riequilibrio e l’istituzione
di un fondo di solidarietà comunale, che è alimentato con il gettito della
stessa IMU spettante ai comuni (a differenza del fondo soppresso, la cui
dotazione era costituita da un finanziamento a carico del bilancio dello
Stato); ha inoltre comportato la sospensione,
per i biennio 2013-2014 della devoluzione
della fiscalità immobiliare ai comuni. Per valutare tale vicenda, che ha
avuto un forte impatto sui contribuenti, va tuttavia tenuta presente
l’emergenza finanziaria che, soprattutto a partire dalla seconda metà del 2011,
ha reso urgente l’adozione di misure di consolidamento dei conti pubblici, nel
cui ambito un ruolo rilevante riveste la spesa, ed i connessi meccanismi di
finanziamento (devoluzione di imposte, trasferimenti e tributi propri) delle
regioni e degli enti locali: emergenza che ha costituito un serio ostacolo al
procedere del percorso della fiscalità regionale e locale.
Ulteriore
questione (limitando la rassegna alle principali) investe infine disciplina dei meccanismi sanzionatori e
premiali, dettata dal decreto legislativo n. 149 del 2011, che in alcuni
dei suoi strumenti più significativi, quali la relazione di fine legislatura o
di fine mandato e le verifiche della regolarità della gestione
amministrativo-contabile, è rimasta inapplicata
per i ritardi nell’adozione degli atti amministrativi previsti dallo stesso
decreto legislativo e necessari per dare attuazione alle misure in esso
contenute. Al fine di renderne le disposizioni immediatamente applicabili,
superando in tal modo i ritardi e gli ostacoli registrati nella fase attuativa,
si è intervenuto con il decreto legge n. 174 del 2012 sugli enti territoriali,
che ha rivisitato profondamente le norme contenuto nel decreto legislativo in
questione.
Ferme restando
tali questioni, che ovviamente non esauriscono il novero delle problematiche
poste dalla disciplina in esame, sembra più in generale ravvisarsi l’esigenza di pervenire alla definizione di
un quadro normativo dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo
certo e (possibilmente) stabile, atteso che i ripetuti interventi
legislativi, anche a breve distanza di tempo, operati prevalentemente mediante
la decretazione d’urgenza, hanno
determinato su alcuni temi importanti della disciplina attuativa della legge
delega situazioni di precarietà ed
incertezza.
Per completezza d’informazione, si
richiamano, in estrema sintesi, i precedenti
interventi di riforma del sistema fiscale.
I precedenti interventi di riforma del
sistema fiscale
Nell’esperienza
italiana del secondo dopoguerra, una prima importante fase riformatrice
coincide con la cosiddetta riforma
Vanoni, attuata tra il 1951 ed il 1954 con la legge 11 gennaio del 1951 n.
25 “Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale tributario”,
cui fece seguito, nel 1954, l’introduzione dell’imposta sulle società.
Tale riforma,
più che modificare radicalmente la struttura del sistema di imposizione, che
rimase caratterizzato da imposte dirette a carattere prevalentemente reale,
cercò di affinarne gli strumenti. Mentre era limitata l’incidenza, in termini
di gettito, delle imposte personali (complementare, progressiva e sulle
società), la quota più consistente del gettito era assicurata dall’imposta sui
redditi di ricchezza mobile, il cui presupposto era costituito dalla produzione
di un reddito, in denaro o in natura, continuativo ovvero occasionale derivante
da qualsiasi fonte non assoggettabile alle imposte sui terreni o sui
fabbricati.
La nuova legge che, come si evince dal titolo stesso,
mirava alla perequazione tributaria tra persone fisiche e persone giuridiche,
si pose come obiettivo anche quello di combattere l’evasione fiscale già molto
elevata in quegli anni cercando di stabilire un nuovo rapporto di fiducia tra
contribuenti e amministrazione. Venne sancito infatti con modalità più rigorose
l’obbligo annuale a carico dei contribuenti della dichiarazione dei redditi
attraverso l’ampliamento dei poteri di accertamento dell’amministrazione
finanziaria.
L’introduzione dell’imposta sulle società venne
disposta con la legge 6 agosto del 1954 n. 603[1].
L’altro obiettivo che la riforma si prefiggeva era
quello di procedere ad una codificazione in materia fiscale che mettesse ordine
nel fitto panorama normativo che si era stratificato nel tempo. Tale obiettivo
trovò parziale attuazione qualche anno più tardi, con l’emanazione del Testo
unico delle imposte dirette (T.U. 29 gennaio 1958 n. 645) che oltre a riunire
tutta la normativa della materia rappresenta anche il primo tentativo di dare
una nozione legislativa a varie espressioni tecniche.
Tale sistema delle imposte dirette a carattere
prevalentemente reale rimase in vigore fino alla riforma degli anni 1971-1973
che, come le successive riforme fiscali, è stata attuata mediante lo strumento
della delega.
E’ il caso, in particolare:
§ della legge 9
ottobre 1971 n. 825 (c.d. legge
Visentini), in attuazione della quale sono stati emanati, tra gli altri, il
D.P.R. n. 597/73 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche), il D.P.R. n. 633/72 (istitutivo dell’IVA), il D.P.R. n.
600/73 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), il D.P.R. n. 636/72 (revisione della disciplina del contenzioso
tributario);
§ della legge 23
dicembre 1996, n. 662, in attuazione della quale sono stati emanati
numerosi decreti legislativi, tra i quali il D.Lgs. n. 358/97 (in materia di
fusioni e scissioni), D.Lgs. n. 460/97 (relativo agli enti non commerciali e
alle ONLUS); il D.Lgs. n. 461/97 (in materia di redditi di capitale e diversi),
il D.Lgs. n. 446/97 (istitutivo dell’IRAP e recante norme in materia di tributi
locali); il D.Lgs. n. 464/97 (istitutivo della Dual income tax).
La richiamata legge
delega 9 ottobre 1971 n. 825 avviò un nuovo un processo di riforma
strutturale del sistema impositivo.
Venne introdotto il principio cardine
dell’accertamento tributario analitico e l’estensione degli obblighi contabili
a tutti i soggetti passivi tranne i lavoratori dipendenti.
L’imposta sulle persone giuridiche IRPEG, l’imposta
sulle persone fisiche IRPEF, l’imposta locale sul reddito ILOR sostituirono le
precedenti imposte a carattere reale. Tale nuova struttura del sistema,
unitamente alla revisione delle aliquote, mirava ad una più equa realizzazione
dei principi costituzionali della capacità contributiva e della progressività
dell’imposizione sanciti dagli articoli 23 e 53 della Costituzione.
Attraverso una serie di decreti delegati emanati tra
il 1973 e il 1974, oltre a ridurre fondamentalmente a tre le imposte dirette
erariali, vennero aboliti i tributi gestiti dalla finanza locale con un
accentramento del prelievo fiscale ( si passa alla c.d. finanza locale ”di
trasferimento”).
Diversamente dalla riforma precedente, venne
modificata radicalmente la struttura del gettito: l’imposizione personale
progressiva, che aveva tradizionalmente garantito una quota relativamente
esigua di gettito, divenne la parte preponderante fino a raggiungere, anche a
causa degli effetti distorsivi del “fiscal drag”, i 3/5 del gettito totale.
Contemporaneamente, si determinò una riduzione delle
imposte indirette sui consumi e sui trasferimenti la cui struttura venne
anch’essa semplificata. Il principale tributo di questa categoria diventerà
l’imposta sul valore aggiunto IVA (quasi il 70% del gettito), affiancata, per
quanto riguarda il prelievo sui trasferimenti, dall’imposta di registro,
dall’imposta sull’incremento di valore degli immobili INVIM, dall’imposta sulle
successioni e donazioni ampiamente rivista e da una serie di tributi minori
erariali e locali.
Più recentemente, una nuova stagione di riforme si è
realizzata nel corso della XIII Legislatura, in particolare in attuazione delle
numerose deleghe conferite al Governo dalla legge n. 662 del 1996.
Quanto al merito delle varie riforme realizzate, in
termini estremamente sintetici, si possono ricordare i seguenti aspetti:
a) una parziale semplificazione degli adempimenti dei
contribuenti, con la possibilità di presentare dichiarazioni unificate e di
compensare crediti e debiti, cui si accompagna la riforma delle modalità di
versamento delle imposte, con riferimento specifico alla riscossione mediante
ruolo;
b) l’istituzione di un nuovo tributo regionale, l’IRAP
destinato, insieme alla compartecipazione delle regioni all’IVA e al
rafforzamento della compartecipazione delle stesse all’IRPEF, ad avviare il
processo di potenziamento dell’autonomia finanziaria delle regioni, cui si è
accompagnata la contestuale soppressione di numerosi tributi
"minori";
c) il rafforzamento dell’autonomia regolamentare degli
enti locali per quanto concerne la disciplina dei rispettivi tributi,
nell’ambito del più generale riordino della finanza dei medesimi enti;
d) l’introduzione di una disciplina organica, almeno
sotto il profilo tributario, degli enti non commerciali e delle organizzazioni
non lucrative di utilità sociale (ONLUS), volta a promuovere lo sviluppo del
cosiddetto “terzo settore”;
e) la revisione del regime dei redditi di capitale con il
triplice obiettivo di ricondurre a tassazione le diverse tipologie di redditi,
di avviare il processo di tendenziale uniformità di trattamento e di
incentivare l’impiego del risparmio in modalità più evolute, anche ai fini
della crescita dell’investimento azionario;
f) la revisione della disciplina delle sanzioni
tributarie penali e amministrative cui si accompagna la modifica della
normativa di strumenti di definizione concordata delle controversie tra fisco e
contribuenti (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale) e la
parziale riforma del contenzioso tributario;
g) l’introduzione di un regime di tassazione agevolato
sulla parte di reddito derivante dagli investimenti realizzati con risorse
proprie o con capitale di rischio (la cosiddetta DIT - dual income tax), cui si è aggiunto un trattamento più favorevole,
sia pure di durata limitata, dei nuovi investimenti. Ad analoghe finalità è
ispirata la riforma del trattamento fiscale delle fusioni, delle scissioni e
dei conferimenti, improntata al principio della neutralità fiscale, in
considerazione dell’esigenza di non interferire nelle scelte aziendali per
quanto riguarda l’assetto da assumere;
h) la parziale revisione degli scaglioni e delle aliquote
IRPEF, accompagnate alla riforma dei regimi di detrazione e deduzione degli
oneri sostenuti, con particolare riferimento alle spese per famigliari a
carico, agli oneri sostenuti per gli interventi di ristrutturazione degli
immobili e alle spese sanitarie.
Un esteso
disegno di riorganizzazione del sistema tributario è stato delineato dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, che – su
atto d’iniziativa governativa – conferiva la delega legislativa per la riforma
del sistema fiscale statale. Il nuovo sistema fiscale si sarebbe dovuto basare
su cinque imposte (articolo 1):
§
imposta sul reddito (IRE), con riduzione a due aliquote (23% per redditi sino a 100.000 euro e
33% per redditi oltre tale importo), previsione di una soglia di reddito esente
da imposta, progressiva sostituzione delle detrazioni d’imposta con deduzioni
dall’imponibile e clausola di salvaguardia in favore dei singoli contribuenti;
§
imposta sul reddito delle
società (IRES), con aliquota unica del 33
per cento, caratterizzata fra l’altro da alcuni nuovi istituti (tassazione
consolidata di gruppo; regime della trasparenza fiscale; regime forfetario di tonnage
tax per la determinazione del reddito di alcune imprese marittime);
esenzione, a determinate condizioni, per le plusvalenze da partecipazioni, con
corrispondente indeducibilità delle relative minusvalenze, nonché esclusione da
tassazione, nella misura del 95 per cento, degli utili distribuiti da società,
anche non residenti; misure volte a contrastare la sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization); abrogazione della dual income tax (DIT);
§
imposta sul valore aggiunto
(IVA), da riorganizzare – nel
rispetto dell’ordinamento comunitario – con la riduzione delle forme di
indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, la loro
l’armonizzazione con il regime delle imposte dirette, la semplificazione degli
adempimenti formali, il coordinamento con la disciplina delle accise e la
razionalizzazione dei sistemi speciali; infine, la possibilità di determinare
ogni anno, mediante la legge finanziaria, l'ammontare del volume d'affari
detassabile qualora destinato dai consumatori finali a finalità etiche;
§
imposta sui servizi, nella quale concentrare le esistenti imposte di registro, ipotecarie e
catastali, l’imposta di bollo, le tasse sulle concessioni governative e sui
contratti di borsa nonché le imposte sulle assicurazioni e
sugli intrattenimenti.
§
accisa, riformata secondo princìpi di efficienza e semplificazione, avendo
riguardo a finalità ambientali, di equilibrio territoriale e di adeguamento
alla liberalizzazione dei servizi.
Era
inoltre prevista l’emanazione di un unico codice
tributario, articolato in una parte generale, contenente i princìpi
fondamentali del sistema fiscale, e una parte speciale, contenente la
disciplina delle singole imposte.
Erano
altresì previsti la graduale eliminazione
dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a tal fine
indicandosi come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base
imponibile, e il coordinamento del sistema fiscale statale con la finanza
decentrata.
Dai
decreti legislativi relativi all’IRES, all’IVA, all’imposta sui servizi e alle
accise non sarebbero potuti derivare oneri aggiuntivi per la finanza dello
Stato. Era invece previsto che i decreti legislativi relativi all’IRE e alla
soppressione dell’IRAP potessero recare oneri finanziari, da coprire mediante
le variazioni dell’ammontare delle entrate indicate nel documento di
programmazione economico-finanziaria e le disposizioni normative contenute
nella legge finanziaria.
La delega è stata attuata soltanto
parzialmente attraverso il decreto
legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che ha provveduto alla riforma dell’imposizione sul reddito delle
società. Alcune iniziative contemplate nella delega – segnatamente i
cosiddetti “moduli” della riforma dell’imposta sui redditi delle persone
fisiche – sono state successivamente eseguite mediante legislazione ordinaria.
Nella XVI Legislatura, il 29 luglio 2011 il Governo Berlusconi ha
presentato un disegno di legge recante
una delega legislativa per la riforma fiscale e assistenziale, volto a
razionalizzare e semplificare il quadro normativo vigente, il cui esame è stato
avviato dalla Commissione finanze il 7 settembre 2011. Nella relazione
illustrativa al disegno di legge A.C.
4566 si rileva come il sistema fiscale risulti caratterizzato da un carico
tributario troppo elevato per quanto riguarda il lavoro e, al contempo,
piuttosto contenuto per quanto riguarda il consumo; è inoltre necessario
semplificare il sistema, al fine di ridurre i tempi necessari per l’adempimento
degli obblighi fiscali. A questi fini il provvedimento prevede che l'imposta
sul reddito delle persone fisiche passi dalle attuali cinque a tre sole
aliquote, pari rispettivamente al 20, 30 e 40 per cento. Contestualmente si
stabilisce: a) l’inclusione, fra i soggetti passivi, degli enti non
commerciali; b) un nuovo sistema di determinazione dell’imponibile e di calcolo
dell’imposta, caratterizzato dall’identificazione, in funzione della soglia di
povertà, di un livello di reddito minimo personale escluso da imposizione; c)
la concentrazione dei regimi di favore fiscale su natalità, lavoro e giovani.
Si prevede inoltre l’introduzione di un nuovo regime fiscale per i redditi di
natura finanziaria con un’imposta sostitutiva non superiore al 20 per cento.
L’esame del provvedimento non è
stato concluso Si segnala peraltro che alcuni obiettivi di riforma fiscale
sono stati attuati attraverso
provvedimenti d’urgenza adottati nella XVI Legislatura (vedi supra). Nel corso del 2011, infatti, le
condizioni del ciclo economico hanno evidenziato un progressivo deterioramento
e una ripresa delle tensioni finanziarie sui mercati internazionali. In questo
scenario, l’Italia ha proseguito nel percorso di risanamento dei conti
pubblici, contemperando questa esigenza con interventi a favore della crescita
economica e dell’equità. A tal fine, il legislatore italiano ha spostato il
baricentro dell’imposizione dal “lavoro” al consumo e al patrimonio.
Il comma 2 reca disposizioni sulla procedura per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi, che, ai sensi del comma 1, il Governo deve adottare entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le Commissioni parlamentari competenti e per i profili finanziari hanno 30 giorni (prorogabili di altri 10) per l’espressione del parere, trascorsi i quali il provvedimento può essere comunque adottato. A tal fine i decreti sono corredati di relazione tecnica.
Ai fini di semplificazione della procedura, si potrebbe valutare
l’opportunità di assegnare alle Commissioni parlamentari un termine unico di
quaranta giorni per l’espressione del parere.
Il comma 3 prevede una procedura rafforzata analoga a quella prevista per i decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale: qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, il Governo è tenuto a trasmettere nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.
Il Governo, nei 18 mesi successivi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto attuativo, può adottare eventuali decreti correttivi e integrativi (comma 4).
Nel predisporre i decreti legislativi attuativi, il Governo dovrà intervenire attraverso modifiche o integrazioni dei testi unici e delle disposizioni organiche che regolano le relative materie, provvedendo contestualmente ad abrogare espressamente le norme incompatibili (comma 5). Potrà altresì adottare - seguendo la procedura già descritta - uno o più decreti legislativi recanti il coordinamento formale e sostanziale dei decreti legislativi con le altre leggi dello Stato e l’abrogazione delle norme incompatibili (comma 6).
La procedura nelle precedenti deleghe fiscali
Il disegno di legge recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale, presentato nel luglio 2011 dal ministro pro-tempore Tremonti (A.C. 4566), prevedeva (articolo 9) la costituzione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di una apposita Commissione bicamerale, composta da 15 deputati e 15 senatori[2].
La nomina dei componenti la Commissione sarebbe stata effettuata, rispettivamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato, nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, su designazione degli stessi.
La Commissione avrebbe dovuto esaminare gli schemi dei decreti legislativi delegati, predisposti in attuazione della delega, ai fini dell’espressione di un parere, nel termine di 30 giorni dalla trasmissione degli schemi dei decreti. Si prevedeva la possibilità di una proroga di 20 giorni (non rinnovabile), concessa dai Presidenti delle Camere su richiesta della Commissione, per l’adozione del parere in relazione alla complessità della materia, oppure nel caso di trasmissione di più schemi di decreto contemporaneamente.
Decorso il termine ordinario (30 giorni) e l’eventuale proroga (20 giorni) senza che la Commissione bicamerale avesse espresso il parere, esso si intendeva espresso favorevolmente.
Tale procedura risultava sostanzialmente identica alle disposizioni contenute nella delega fiscale di cui all’articolo 3, commi 13, 15 e 16, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (collegato alla finanziaria 1997). In quel caso, la Commissione bicamerale, comunemente definita “Commissione dei Trenta”, fu istituita il 30 aprile 1997.
L’articolo 3, comma 18, della legge n. 662 prevedeva inoltre l’istituzione eventuale di sottocommissioni per l’esame preliminare di singoli schemi di decreto.
La legge delega n. 80 del 2003, prevedeva, che gli schemi dei decreti legislativi adottati dal Governo, ciascuno dei quali deve essere corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in esso contenute, fossero trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro 30 giorni dalla data di trasmissione dei schemi stessi, prevedendo una eventuale proroga di 20 giorni.
La legge n. 80 prevedeva una ulteriore procedura nel caso che il Governo non intendesse conformarsi alle condizioni eventualmente formulate nei pareri parlamentari, esclusivamente con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, attraverso una nuova trasmissione - entro 30 giorni dall’espressione dei pareri - alle Camere dei testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro 30 giorni dalla data di trasmissione. Sia in caso di procedura ordinaria, che in caso di nuova trasmissione, decorso il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
L’istituzione di una Commissione bicamerale, composta da 15 senatori e 15 deputati era prevista dal comma 6 dell’articolo 11 della legge n. 80 del 2003 relativamente all’esame dello schema di decreto legislativo recante il codice “fiscale” previsto dall’articolo 2. La Commissione avrebbe dovuto esprimere tale parere entro il termine di 45 giorni, eventualmente prorogabile di altri 20 giorni.
Per quanto riguarda l’emanazione di norme correttive ed integrative dei decreti legislativi di attuazione l’articolo 3, comma 17 della legge n. 662 del 1996 aveva previsto un termine di due anni da computarsi in relazione all’entrata in vigore di ogni singolo decreto legislativo.
Il comma 7 stabilisce che dai decreti delegati di attuazione della delega non possono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Al riguardo si segnala che nell’audizione svolta presso la 6a Commissione Finanze del Senato nel corso dell’indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili (4 giugno 2013) il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Befera, ha osservato che l’attuazione della riforma del catasto è una attività assolutamente straordinaria e quindi non può essere svolta ricorrendo alle attuali disponibilità di risorse umane e finanziarie dell’Agenzia.
Attività delle Istituzioni UE
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)
Raccomandazioni di politica economica
Il 29 maggio 2013 la Commissione europea ha presentato raccomandazioni specifiche per ciascun Paese, in esito all’esame dei rispettivi Piani nazionali di riforma (PNR) e sui programmi di stabilità nell’ambito della procedura del semestre europeo.
Le raccomandazioni della Commissione, dopo una discussione preliminare in seno ai Consigli ECOFIN e del Consiglio Occupazione e affari sociali del 21 giugno, dovrebbero essere avallate politicamente dal Consiglio europeo del 27-28 giugno prossimi ed essere adottate dal Consiglio entro il mese di luglio 2013.
La Commissione e Stati membri verificheranno l’attuazione delle raccomandazioni, nel quadro di un processo di “valutazione tra pari”.
La Commissione valuterà quindi i progressi realizzati nella prossima analisi annuale della crescita, che dovrebbe essere pubblicata nel gennaio 2014.
Per quanto riguarda l’Italia (COM(2013)362), la Commissione, in tema di fiscalità, raccomanda, ribadendo nella sostanza le indicazioni contenute nelle raccomandazioni adottate nell’ambito del semestre europeo 2012, di:
§ trasferire il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e ambiente, assicurando la neutralità in termini di gettito;
§ rivedere l’ambito di applicazione delle esenzioni e delle aliquote ridotte IVA, nonché il sistema delle agevolazioni fiscali dirette;
§ procedere alla riforma del catasto, allineando gli estimi e rendite ai valori di mercato;
§ proseguire la lotta all’evasione fiscale, migliorando il rispetto dell’obbligo tributario e contrastando in modo incisivo l’economia sommersa e il lavoro irregolare.
Articolo 2,
commi 1-3
(Revisione del catasto dei fabbricati
1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, una revisione della disciplina relativa al sistema estimativo
del catasto dei fabbricati su tutto il territorio nazionale, attribuendo a
ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita, applicando,
in particolare, per le unità immobiliari urbane censite nel catasto dei
fabbricati i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) assicurare, ai sensi della legislazione vigente, il coinvolgimento dei
comuni nel cui territorio sono collocati gli immobili, anche al fine di
assoggettare a tassazione gli immobili ancora non censiti;
b) definire gli ambiti
territoriali del mercato immobiliare di riferimento;
c) operare con riferimento ai
rispettivi valori normali, approssimati dai valori medi ordinari, espressi dal
mercato nel triennio antecedente l'anno di entrata in vigore del decreto
legislativo;
d) rideterminare le
definizioni delle destinazioni d'uso catastali ordinarie e speciali, tenendo
conto delle mutate condizioni economiche e sociali e delle conseguenti diverse
utilizzazioni degli immobili;
e) determinare il valore
patrimoniale medio ordinario secondo i seguenti parametri:
1) per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria, mediante
un processo estimativo che:
1.1) utilizza il metro quadrato come unità di consistenza, specificando
i criteri di calcolo della superficie dell'unità immobiliare;
1.2) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra il
valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per
ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale anche
all’interno di uno stesso comune;
1.3) qualora i valori non possano essere determinati sulla base delle
funzioni statistiche di cui al presente numero, applica la metodologia di cui
al numero 2);
2) per le unità immobiliari a destinazione catastale speciale, mediante
un processo estimativo che:
2.1) opera sulla base di procedimenti di stima diretta con
l'applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici
per ciascuna destinazione catastale speciale;
2.2) qualora non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di
mercato, utilizza il criterio del costo, per gli immobili a carattere
prevalentemente strumentale, e il criterio reddituale, per gli immobili per i
quali la redditività costituisce l'aspetto prevalente;
3) per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico e
artistico, come individuate ai sensi dell’articolo 10 del codice dei beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42, e successive modificazioni, mediante un processo estimativo che:
3.1) considera i particolari e più gravosi oneri di manutenzione e
conservazione;
3.2) considera il complesso di vincoli legislativi alla destinazione, all’utilizzo,
alla circolazione e al restauro;
3.3) considera l’apporto alla conservazione e alla valorizzazione del
patrimonio storico e artistico nazionale;
f) determinare la rendita
media ordinaria per le unità immobiliari mediante un processo estimativo che:
1) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra i
redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei
beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale,
qualora sussistano dati consolidati nel mercato delle locazioni;
2) qualora non vi sia un consolidato mercato delle locazioni, mediante
l'applicazione ai valori patrimoniali di specifici saggi di redditività
desumibili dal mercato, nel triennio antecedente l'anno di entrata in vigore
del decreto legislativo;
g) prevedere meccanismi di
adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità
immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del
mercato di riferimento.
2. Il Governo è delegato, altresì, ad emanare, con i decreti legislativi
di cui al comma 1, norme dirette a:
a) ridefinire le competenze
delle commissioni censuarie provinciali e della commissione censuaria centrale,
anche al fine di validare le funzioni statistiche di cui al comma 1, lettera e), numero 1.2), e lettera f), numero 1), e di prevedere procedure
pregiudiziali per la definizione delle controversie, e modificare la loro
composizione, assicurando la presenza in esse di rappresentanti dell'Agenzia
delle entrate e di rappresentanti degli enti locali, i cui criteri di nomina
sono fissati d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, di
professionisti e di docenti qualificati in materia di economia e di estimo
urbano e rurale, di esperti di statistica e di econometria, nonché di
magistrati appartenenti rispettivamente alla giurisdizione ordinaria e
amministrativa;
b) assicurare la
collaborazione tra l'Agenzia delle entrate e i comuni, con particolare
riferimento alla raccolta e allo scambio delle informazioni necessarie
all’elaborazione dei valori patrimoniali e delle rendite, introducendo piani
operativi, concordati tra comuni o gruppi di comuni e l’Agenzia, volti a
stabilire modalità e tempi certi per il rispetto di tali piani;
c) prevedere per l'Agenzia
delle entrate la possibilità di impiegare, mediante apposite convenzioni, ai
fini delle rilevazioni, tecnici indicati dagli ordini professionali;
d) garantire, a livello
nazionale da parte dell'Agenzia delle entrate, l'uniformità e la qualità dei
processi e il loro coordinamento e monitoraggio, nonché la coerenza dei valori
e dei redditi rispetto ai dati di mercato nei rispettivi ambiti territoriali;
e) utilizzare, in deroga alle
disposizioni dell'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, nel quadro
della collaborazione tra i comuni e l’Agenzia delle entrate, adeguati strumenti
di comunicazione, anche collettiva, compresi quelli telematici, per portare a
conoscenza degli intestatari catastali le nuove rendite, in aggiunta alla
notifica mediante affissione all'albo pretorio;
f) procedere alla
ricognizione, al riordino, alla variazione e all'abrogazione delle norme
vigenti che regolano il sistema catastale dei fabbricati;
g) individuare, a conclusione
del complessivo processo di revisione catastale, il periodo d'imposta dal quale
sono applicate le nuove rendite e i nuovi valori patrimoniali;
h) garantire l’invarianza del gettito delle singole imposte il cui
presupposto e la cui base imponibile sono influenzati dalle stime di valori
patrimoniali e rendite, a tal fine prevedendo, contestualmente all’efficacia
impositiva dei nuovi valori, la modifica delle relative aliquote impositive,
delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate ad evitare un
aggravio del carico fiscale, con particolare riferimento alle imposte sui
trasferimenti e all’imposta municipale propria (IMU), tenendo conto, nel caso
delle detrazioni relative all’IMU, delle condizioni socio-economiche e
dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare, come rappresentate nell’indicatore
della situazione economica equivalente (ISEE);
i) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano, in sede di
revisione generale del catasto, la possibilità per il contribuente di
richiedere, in sede di autotutela, una rettifica delle nuove rendite
attribuite, con obbligo di risposta entro sessanta giorni dalla presentazione
dell’istanza;
l) prevedere, contestualmente all’efficacia impositiva dei nuovi valori,
l’aggiornamento delle modalità di distribuzione dei trasferimenti perequativi
attraverso i fondi di riequilibrio e i fondi perequativi della finanza
comunale.
3. Dall'attuazione dei commi 1 e 2 non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, per le attività previste dai
medesimi commi 1 e 2 devono prioritariamente essere utilizzate le strutture e
le professionalità esistenti nell'ambito delle amministrazioni pubbliche.
L’articolo 2, ai commi da 1 a 3, delega il Governo ad attuare una revisione della disciplina del catasto dei fabbricati attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita. Tra i principi e criteri direttivi da applicare per la determinazione del valore catastale delle unità immobiliari urbane censite al catasto fabbricati la delega indica, in particolare, la definizione degli ambiti territoriali del mercato immobiliare, nonché la determinazione del valore patrimoniale utilizzando la superficie dell’unità immobiliare in luogo del numero dei vani attualmente utilizzato.
Recenti considerazioni sul sistema catastale sono state svolte dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, Befera, di fronte alla 6a Commissione Finanze del Senato nel corso dell’indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili (4 giugno 2013):
Il direttore Befera ha evidenziato come le rendite attualmente attribuite sulla base del vigente modello di classamento fanno rilevare una diffusa iniquità, essenzialmente riconducibile all’inadeguatezza delle attuali categorie catastali, alla presenza di zone censuarie eccessivamente ampie a ad un periodo di riferimento di oltre 20 anni fa (nel 1990 ci fu l’ultima revisione delle tariffe d’estimo), nonché alla persistenza di classamenti effettuati in fase di impianto del sistema catastale. In definitiva si è prodotto un progressivo scollamento tra la realtà dei valori catastali e i valori del mercato immobiliare. Con l’introduzione dell’IMU e la rivalutazione dei coefficienti (moltiplicatore) si è ridotta la distanza tra i valori patrimoniali e quelli di mercato, ma contestualmente è aumentata l’iniquità. Peraltro il patrimonio posseduto è determinato ai fini ISEE tenendo conto della base catastale.
Nel concludere il suo intervento il direttore Befera ha sottolineato che l’orizzonte temporale dell’intera operazione di revisione non potrà che essere pluriennale presumibilmente non inferiore a cinque anni, anche se una stima più precisa dei tempi e delle risorse, umane e finanziarie, necessita di ulteriori analisi e approfondimenti.
Si ricorda che l’articolo 1 del decreto-legge n. 54 del 2012, in corso di conversione (A.C. 1012) -
che ha sospeso il versamento della prima rata dell’imposta municipale propria
(IMU) per determinate categorie di immobili (abitazioni principali e assimilati
- IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa - nonché terreni agricoli e
fabbricati rurali) - preannuncia una complessiva
riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare,
da realizzare sulla base alcuni principi esplicitati nella norma:
§ la riforma della disciplina del tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi ;
§ la modifica dell’articolazione della potestà
impositiva a livello statale e locale ;
§ l’introduzione della deducibilità ai fini
della determinazione del reddito di impresa dell’imposta municipale propria
relativa agli immobili utilizzati per attività produttive.
In tale ambito, nel corso dell’esame in sede
referente è emersa la necessità di intervenire su tutte le imposte gravanti
sugli immobili, ivi incluse l’imposta ipotecaria e l ’imposta catastale, nonché
l'imposta di registro.
Nel dettaglio, il comma 1 delega il Governo ad attuare una revisione del catasto dei fabbricati attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita, applicando per le unità immobiliari urbane censite al catasto fabbricati i principi e criteri direttivi di seguito descritti.
Normativa
Con il termine catasto sono indicati sia l'insieme delle operazioni volte a
stabilire l'estensione, la qualità, la rendita e l'appartenenza dei beni
immobili siti su un determinato territorio (accatastare), sia i documenti
contenenti i risultati di tali operazioni. In sostanza il catasto ha lo scopo
di individuare e registrare l'estensione
e l'appartenenza dei beni immobili presenti in un determinato territorio.
Tralasciando l’evoluzione storica del catasto, alla
nascita del Regno d’Italia erano presenti 22 differenti tipi di catasto,
raggruppati in 9 compartimenti.
Con la legge n. 5784 del 1870 e con il R.D. n. 267 del
1871 il Governo provvide a costituire un catasto dei fabbricati a carattere
nazionale, mentre con il R.D. n. 652 del
1939, convertito dalla legge n. 1249 del 1939, fu disciplinato
l'accertamento generale dei fabbricati urbani, la rivalutazione del relativo
reddito e la formazione del nuovo catasto edilizio urbano. Con il D.P.R. n. 1142 del 1949 fu emanato il
regolamento per la formazione del nuovo
catasto edilizio urbano.
L’articolo 9
del D.L. n. 557 del 1993 ha disposto il censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e la loro iscrizione, mantenendo tale
qualificazione, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la denominazione di “catasto dei fabbricati”. Sulla materia
è quindi intervenuta la legge n. 662 del
1996 (art. 3, co. 154 e 155) e il D.P.R. n. 138 del 1998 recante norme per
la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo delle unità
immobiliari urbane. Al riguardo si segnala che, tuttavia, la revisione è
rimasta inattuata e pertanto la
materia continua ad essere disciplinata dal D.P.R. n. 1142.
Il decreto del Ministro delle finanze n. 701 del 1994
ha disciplinato l'automazione delle
procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei
registri immobiliari.
La legge 30 dicembre 2004, n. 311, all’articolo 1, commi da 374 a 375,
ha previsto e disciplinato la facoltà di presentare
mediante strumenti telematici gli atti di aggiornamento del catasto e di
modifica delle rendite catastali: l’estensione progressiva di tale servizio a
tutti gli atti nel catasto e nei registri immobiliari è prevista dall’articolo
1, comma 3, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 81 del 2006.
L'Agenzia del territorio, nata a seguito
della riforma del Ministero dell'economia e delle finanze, è operativa dal 1°
gennaio 2001 ed è un ente pubblico dotato di personalità giuridica e autonomia
regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e
finanziaria. E' costituita da Direzioni centrali che hanno sede a Roma, da
Direzioni regionali e da Uffici provinciali.
L'articolo 64 del D.Lgs. n. 300
del 1999 attribuisce all'Agenzia del territorio la competenza a svolgere i
servizi relativi al catasto, i servizi topocartografici e quelli relativi alle
conservatorie dei registri immobiliari, con il compito di costituire l'anagrafe
dei beni immobiliari esistenti sul territorio nazionale sviluppando
l'integrazione fra i sistemi informativi attinenti alla funzione fiscale ed
alle trascrizioni in materia di diritti sugli immobili. L'Agenzia è chiamata ad
operare in collaborazione con gli enti locali per favorire lo sviluppo di un
sistema integrato di conoscenze sul territorio.
Il comma 1 dell'articolo 6 del decreto-legge
n. 16 del 2011 (semplificazioni fiscali) ha soppresso la competenza
dell’Agenzia in materia di offerta di servizi tecnico-estimativi direttamente
sul mercato, sostituita con una attività
di valutazione immobiliare e tecnico-estimativa a favore delle amministrazioni pubbliche. Lo
svolgimento di tali servizi per le amministrazioni richiedenti è inquadrato
nelle forme degli accordi di cui
all’articolo 15 della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del
1990) e deve prevedere il rimborso dei
costi sostenuti dall’Agenzia, sulla base di quanto stabilito nella
convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia per
l’erogazione dei servizi oggetto della convenzione medesima.
Si segnala, da
ultimo, che l’articolo 23-quater del decreto-legge n. 95 del 2012 ha
previsto a decorrere dal 1° dicembre 2012 l’incorporazione
dell’Agenzia del territorio all’interno dell’Agenzia delle entrate.
a)
assicurare,
ai sensi della legislazione vigente, il
coinvolgimento dei comuni nel cui territorio sono collocati gli immobili,
anche al fine di assoggettare a
tassazione gli immobili ancora non censiti;
Il decentramento delle funzioni
catastali
L’articolo 65 del D.Lgs. n. 112 del 1998 ha identificato
le funzioni in tema di catasto, servizi geotopografici e conservazione dei
registri immobiliari che rimanevano in capo allo Stato, specificando, al
successivo articolo 66, quelle che invece venivano attribuite agli enti locali.
L’articolo 67 ha previsto l’istituzione di un organismo tecnico che avrebbe
esercitato i compiti di competenza statale, nonché le funzioni conferite agli
enti locali. Tale organismo è stato identificato dall’art. 64 del D.Lgs. n. 300
del 1999 nell’Agenzia del territorio. Tuttavia il decentramento delle funzioni catastali ai Comuni, attraverso
appositi D.P.C.M. che individuavano le risorse finanziarie, umane, strumentali
e organizzative da trasferire ai Comuni per l'esercizio delle funzioni in
materia di catasto, incontrò notevoli difficoltà in sede di predisposizione dei
processi attuativi. Pertanto, con la legge
finanziaria 2007 (articolo 1, commi da 194 a 200 della legge n. 296 del
2006), il legislatore è intervento sulla materia definendo la seguente
ripartizione di competenze, volta a superare la precedente rigidità:
§ l’attribuzione allo Stato delle metodologie catastali,
di una parte della gestione operativa del catasto, comprensiva della gestione
unitaria della banca dati del catasto nonché il controllo ed il coordinamento
complessivo del sistema;
§ ai Comuni veniva affidata parte della gestione
operativa, che i Comuni possono esercitare sia direttamente - in forma singola
o associata tra Comuni che indirettamente, avvalendosi di una convenzione
decennale con l’Agenzia del Territorio per tutte o parte delle funzioni.
Sostanzialmente
i comuni sono responsabili della conservazione degli atti catastali, della loro
utilizzazione e aggiornamento e ne è prevista la partecipazione al processo di
determinazione degli estimi catastali ma è rimessa a loro la scelta del livello
di complessità e completezza che intendono assumere nella gestione diretta
delle funzioni catastali.
Con il D.P.C.M.
14 giugno 2007 e con il Protocollo
d’intesa tra ANCI-Agenzia del territorio del 4 giugno 2007 sono state
definite le modalità ed i termini per il graduale trasferimento di funzioni e
conseguente ripartizione del personale tra gli enti (D.P.C.M. 27 marzo 2008).
Tuttavia tale processo di decentramento ha incontrato
numerose difficoltà, sia per quanto riguarda il trasferimento del personale
dalle sedi provinciali dell’Agenzia ai diversi comuni, sia per effetto di
pronunce del giudice amministrativo in merito alla determinazione diretta da
parte dei Comuni.
Conseguentemente il legislatore all’articolo 19, commi da 1 a 3, del D.L. n. 78 del 2010, ha disposto, a
decorrere dal 1° gennaio 2011, l'attivazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, per l'integrazione delle banche
dati disponibili presso l'Agenzia del territorio, con l'individuazione dei
soggetti titolari dei diritti reali, demandando a più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze la disciplina
dell'accesso da parte dei comuni all'Anagrafe suddetta e le modalità di
erogazione, effetti e diritti di rilascio di un'attestazione integrata
ipotecario-catastale.
L’Anagrafe Immobiliare Integrata costituisce un archivio informatizzato dei beni immobili, riguardante
le caratteristiche intrinseche degli stessi (ubicazione, consistenza,
rappresentazione grafica, valore fiscale) ed i diritti reali, di godimento e di
garanzia, con l'indicazione dei relativi soggetti titolari. L’integrazione
delle informazioni riguarda la rappresentazione degli immobili, la loro
collocazione sul territorio, le variazioni delle caratteristiche oggettive
nonché i dati sul possesso e sui vincoli che gravano sugli immobili. Per
garantire la correttezza delle informazioni, gli aggiornamento si basano, non
solo sulle dichiarazione delle parti, ma sul riscontro con i documenti e le
banche dati certificate di riferimento.
I successivi commi 4, 5 e 6 recano la disciplina delle modalità di accesso dei comuni alle banche
dati dell'Agenzia del territorio (c.d. opzione base) e della gestione
partecipata delle funzioni di accettazione e di registrazione degli atti da
parte dei comuni e dell'Agenzia stessa (c.d. opzione evoluta), secondo quanto
verrà disposto in un D.P.C.M. Si stabiliscono inoltre le funzioni in materia
catastale che rimangono allo Stato e che verranno svolte dall'Agenzia del
territorio.
Per quanto riguarda gli
immobili non censiti in catasto (c.d. immobili
fantasma), si ricorda che prima con l’articolo 2, comma 36 e seguenti del
D.L. n. 262 del 2006 e poi con l’articolo 19, comma 8 e seguenti, del D.L. n.
78 del 2010 il legislatore indicò procedure e modalità di dichiarazione per la
presentazione in Catasto della dichiarazione di aggiornamento catastale per
quei fabbricati iscritti al catasto terreni per i quali siano venuti meno i
requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, nonché quelli
che non risultano dichiarati al catasto, disponendo l’attribuzione di una
rendita presunta da parte dell’Agenzia del territorio in caso di inottemperanza
dell’azione da parte dei titolari dei diritti reali sui predetti immobili
(provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio del 19 aprile 2011).
Al fine di rafforzare la capacità di gestione delle entrate comunali e
di incentivare la partecipazione dei
comuni all'attività di accertamento tributario, l’articolo 2, comma 10, del
D.L. n. 23 del 2011 (federalismo fiscale) ha:
§ assicurato al comune interessato
il maggior gettito derivante dall'accatastamento degli immobili finora non
dichiarati in catasto;
§ elevato dal 33 al 50 per
cento la quota del maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento dell’ente
locale nell’attività di accertamento dei tributi statali riconosciuta ai comuni
ai sensi dell'articolo 1, comma 1, D.L. n. 203 del 2005, attribuendola in via
provvisoria anche in relazione alle somme riscosse a titolo non definitivo;
da ultimo, l’articolo
1, comma 12-bis, del D.L. 138 del
2011 ha assegnato ai comuni, per
gli anni 2012, 2013 e 2014, l’intero
maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso
nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo
non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove
rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo;
§ autorizzato i singoli comuni
all’accesso, secondo le modalità stabilite con provvedimento del Direttore
dell'Agenzia delle entrate, ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, nonché
a qualsiasi altra banca dati pubblica limitatamente ad immobili presenti ovvero
a soggetti aventi domicilio fiscale nel comune, che possa essere rilevante per
il controllo dell'evasione erariale o di tributi locali.
b) definire gli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento;
c) operare con riferimento ai rispettivi valori normali, approssimati dai valori medi ordinari, espressi dal mercato nel triennio antecedente l’anno di entrata in vigore del decreto legislativo;
L’Osservatorio del mercato immobiliare
In base a quanto
disposto dall’articolo 64 del D.Lgs. n. 300 del 1999, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, l’Agenzia del
territorio gestisce l’Osservatorio del
mercato immobiliare (OMI).
Precedentemente all’emanazione del
citato D.L. n. 16 del 2012, l’Agenzia aveva anche competenza in materia di
offerta di servizi tecnico-estimativi direttamente sul mercato.
L’Osservatorio cura la rilevazione e
l’elaborazione delle informazioni di carattere tecnico-economico relative ai valori immobiliari, al mercato degli
affitti e ai tassi di rendita e la pubblicazione di studi ed elaborazioni e la
valorizzazione statistica degli archivi dell'Agenzia del territorio. Tra le sue
attività ci sono anche l'analisi, la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione
di profili teorici, applicativi e di innovazione nelle materie istituzionali,
con specifico riferimento alla definizione dei valori immobiliari. Nella banca
dati OMI, presente sul sito dell’Agenzia, sono pubblicate con cadenza
semestrale le quotazioni relative agli 8.100 comuni dell’intero territorio
nazionale, per diverse tipologie nell’ambito delle destinazioni residenziale,
commerciale, terziaria e produttiva. Le quotazioni individuano un livello
minimo e un livello massimo per unità di superficie riferite ad unità
immobiliari ordinarie (quindi non sono considerate quelle di pregio o in stato
di degrado) classificate in una determinata tipologia edilizia e situate in un
determinato ambito territoriale omogeneo: la c.d. zona OMI. Come precisato sul
sito e sul “Manuale operativo” i valori contenuti nella banca dati delle
quotazioni immobiliari non possono intendersi sostitutivi della stima, ma sono
soltanto di ausilio alla stessa, portando ad indicazioni di valore di massima.
d) rideterminare le definizioni delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali, tenendo conto delle mutate condizioni economiche e sociali e delle conseguenti diverse utilizzazioni degli immobili;
La classificazione degli immobili
L’articolo 8 del R.D.L. n. 652 del 1939
dispone che per la determinazione della rendita catastale, le unità immobiliari
sono distinte, a seconda delle loro condizioni estrinseche ed intrinseche, in categorie e ciascuna categoria in classi. Per ciascuna categoria e classe
è determinata la relativa tariffa, la
quale esprime in moneta legale la rendita
catastale.
Ai sensi dell’articolo
7 del D.P.R. n. 1142 del 1949 gli
immobili vengono classificati attraverso la suddivisione di ogni categoria –
cioè delle specie essenzialmente differenti per le caratteristiche intrinseche
che determinano la destinazione
ordinaria e permanente delle unità immobiliari stesse - in tante classi
quanti sono i gradi notevolmente diversi delle rispettive capacità di reddito,
tenuto conto delle condizioni influenti sulla relativa rendita catastale,
riferita all'unità di consistenza computata secondo le norme dell'art. 45 e
seguenti. Le categorie ordinarie riguardano i gruppi da A a C.
Non si procede
al classamento – e quindi si ha la destinazione
speciale o particolare – per le categorie comprendenti unità immobiliari
costituite da opifici costruiti per le speciali esigenze di una attività
industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle
esigenze suddette senza radicali trasformazioni. Parimenti non si classificano
le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non
siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto
terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari,
fabbricati destinati all'esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e
simili (art. 8). Gli immobili a
destinazione speciale sono ricompresi nel gruppo D, mentre quelli a
destinazione particolare sono nei gruppi E e F.
Anche il D.P.R. n. 138 del 1998, di revisione
generale delle zone censuarie, all’Allegato B, opera una distinzione tra unità
immobiliare ordinarie (gruppi R, P e T) e speciali (gruppi V e Z), ma come già
segnalato, la revisione non è stata attuata.
QUADRO
GENERALE DELLE CATEGORIE – D.P.R. n. 1142 del 1949
Immobili a
destinazione ordinaria
Gruppo A
A/1 Abitazioni
di tipo signorile
A/2 Abitazioni
di tipo civile
A/3 Abitazioni
di tipo economico
A/4 Abitazioni
di tipo popolare
A/5 Abitazioni
di tipo ultrapopolare
A/6 Abitazioni
di tipo rurale
A/7 Abitazioni in villini
A/8 Abitazioni in ville
A/9 Castelli, palazzi di eminenti pregi
artistici o storici
A/10 Uffici e studi privati
A/11 Abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi
Gruppo B
B/1 Collegi e convitti, educandati; ricoveri;
orfanotrofi; ospizi; conventi; seminari; caserme
B/2 Case di cura ed ospedali (senza fine di
lucro)
B/3 Prigioni e riformatori
B/4 Uffici pubblici
B/5 Scuole e laboratori scientifici
B/6 Biblioteche, pinacoteche, musei, gallerie,
accademie non sede in categoria A/9
B/7 Cappelle ed oratori non destinati
all’esercizio pubblico del culto
B/8 Magazzini sotterranei per depositi di
derrate
Gruppo C
C/1 Negozi e botteghe
C/2 Magazzini e locali di deposito
C/3 Laboratori per arti e mestieri
C/4 Fabbricati e locali per esercizi sportivi
(senza fine di lucro)
C/5 Stabilimenti balneari e di acque curative
(senza fine di lucro)
C/6 Stalle, scuderie, rimesse, autorimesse
(senza fine di lucro)
C/7 Tettoie chiuse od aperte
II - Immobili
a destinazione speciale
Gruppo D
D/1 Opifici
D/2 Alberghi e pensioni (con fine di lucro)
D/3 Teatri, cinematografi, sale per concerti e
spettacoli e simili (con fine di lucro)
D/4 Case di cura ed ospedali (con fine di
lucro)
D/5 Istituto di credito, cambio e assicurazione
(con fine di lucro)
D/6 Fabbricati e locali per esercizi sportivi
(con fine di lucro)
D/7 Fabbricati costruiti o adattati per le
speciali esigenze di un'attività industriale e non suscettibili di destinazione
diversa senza radicali trasformazioni.
D/8 Fabbricati costruiti o adattati per le
speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione
diversa senza radicali trasformazioni.
D/9 Edifici galleggianti o sospesi assicurati a
punti fissi del suolo, ponti privati soggetti a pedaggio.
D/10 Fabbricati per funzioni produttive connesse
alle attività agricole.
III -
Immobili a destinazione particolare
Gruppo E
E/1 Stazioni per servizi di trasporto,
terrestri, marittimi ed aerei.
E/2 Ponti comunali e provinciali soggetti a
pedaggio.
E/3 Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze
pubbliche
E/4 Recinti chiusi per speciali esigenze
pubbliche.
E/5 Fabbricati costituenti fortificazioni e
loro dipendenze.
E/6 Fari, semafori, torri per rendere d’uso
pubblico l’orologio comunale
E/7 Fabbricati destinati all’esercizio pubblico
dei culti.
E/8 Fabbricati
e costruzioni nei cimiteri, esclusi i colombari, i sepolcri e le tombe di
famiglia.
E/9 Edifici a
destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E.
IV - Entità urbane
Gruppo F
F/1 Aree
urbane.
F/2 Unità
collabenti (unità fatiscenti o inagibili).
F/3 Unità in
corso di costruzione.
F/4 Unità in
corso di definizione.
F/5 Lastrici
solari.
QUADRO
GENERALE DELLE CATEGORIE – D.P.R. n. 138 del 1998
Unità
immobiliari ordinarie
Gruppo R (Unità
immobiliari a destinazione abitativa di tipo privato e locali destinati a
funzioni complementari)
R/1 Abitazioni
in fabbricati residenziali e promiscui.
R/2 Abitazioni
in villino e in villa.
R/3 Abitazioni
tipiche dei luoghi.
R/4 Posti
auto coperti, posti auto scoperti su aree private, locali per rimesse di
veicoli.
Gruppo P (Unità immobiliari a destinazione pubblica o di
interesse collettivo)
P/1 Unità immobiliari per residenze collettive
e simili.
P/2 Unità immobiliari per funzioni sanitarie.
P/3 Unità immobiliari per funzioni rieducative.
P/4 Unità immobiliari per funzioni
amministrative, scolastiche e simili.
P/5 Unità immobiliari per funzioni culturali e
simili.
Gruppo T (Unità immobiliari a destinazione terziaria)
T/1 Negozi e locali assimilabili.
T/2 Magazzini, locali da deposito e laboratori
artigianali.
T/3 Fabbricati e locali per esercizi sportivi.
T/4 Pensioni.
T/5 Autosilos, autorimesse e parcheggi a raso
di tipo pubblico.
T/6 Stalle, scuderie e simili.
T/7 Uffici, studi e laboratori professionali.
Unità
immobiliari speciali
Gruppo V (Unità immobiliari speciali per funzioni pubbliche
o di interesse collettivo)
V/1 Stazioni per servizi di trasporto
terrestri, marittimi, aerei ed impianti di risalita.
V/2 Stabilimenti balneari e di acque curative.
V/3 Fiere permanenti, recinti chiusi per
mercati, posteggio bestiame e simili.
V/4 Fabbricati destinati all'esercizio pubblico
dei culti, cappelle ed oratori.
V/5 Ospedali.
V/6 Fabbricati, locali, aree attrezzate per
esercizi sportivi e per divertimento, arene e parchi zoo.
V/7 Unità
immobiliari a destinazione pubblica o di interesse collettivo, con censibili
nelle categorie di gruppo P, per la presenza di caratteristiche non ordinarie
ovvero non riconducibili, per destinazione, alle altre categorie del gruppo V.
Gruppo Z (Unità
immobiliari a destinazione terziaria produttiva e diversa)
Z/1 Unità
immobiliari per funzioni produttive.
Z/2 Unità
immobiliari per funzioni produttive connesse all'agricoltura.
Z/3 Unità
immobiliari per funzioni terziario-commerciali.
Z/4 Unità
immobiliari per funzioni terziario-direzionali.
Z/5 Unità
immobiliari per funzioni ricettive.
Z/6 Unità
immobiliari per funzioni culturali e per lo spettacolo.
Z/7 Stazioni
di servizio e per la distribuzione dei carburanti agli autoveicoli.
Z/8 Posti
barca compresi in porti turistici.
Z/9 Edifici
galleggianti o sospesi assicurati a punti fissi del suolo.
Z/10 Unità
immobiliari a destinazione residenziale o terziaria, non censibili nelle
categorie dei gruppi R e T, per la presenza di caratteristiche non ordinarie,
ovvero unità immobiliari non riconducibili, per destinazione, alle altre
categorie del gruppo Z.
e) determinare il valore patrimoniale medio ordinario secondo i seguenti parametri:
1) per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria mediante un processo estimativo che:
1.1) utilizza il metro quadrato come unità di consistenza, specificando i criteri di calcolo della superficie dell’unità immobiliare;
1.2) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale, anche all’interno di uno stesso comune;
1.3) qualora i valori non possono essere determinati sulla base delle funzioni statistiche di cui al presente numero, applica la metodologia di cui al successivo n. 2;
2) per le unità immobiliari a destinazione catastale speciale mediante un processo estimativo che:
2.1) opera sulla base di procedimenti di stima diretta con l’applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici, per ciascuna destinazione catastale speciale;
2.2) qualora non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di mercato, utilizza il criterio del costo per gli immobili a carattere prevalentemente strumentale, e il criterio reddituale per gli immobili per i quali la redditività costituisce l’aspetto prevalente.
3) per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico e artistico, come individuate ai sensi dell’articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 2004), mediante un processo estimativo che:
3.1) considera i particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione;
3.2) considera il complesso di vincoli legislativi alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione e al restauro;
3.3) considera l’apporto alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico nazionale;
Nell’audizione svolta presso la 6a Commissione Finanze del Senato nel corso dell’indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili (4 giugno 2013) il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Befera, ha osservato che la norma di delega, concernente le specifiche da adottare per la stima delle unità immobiliari riconosciute di interesse storico artistico, rappresenta di fatto una deviazione rispetto ai criteri generali di stima, che complicano notevolmente il processo attuativo, richiedendo una stima puntuale e diretta per ciascuno di questi beni. La stessa finalità agevolativa potrebbe ottenersi intervenendo a valle sul sistema impositivo, riconoscendo particolari agevolazioni mediante deduzioni, detrazioni e/o aliquote ridotte.
Si segnala che la p.d.l. C. 282 (Causi ed altri) prevede un ulteriore numero 4), ai sensi del quale, nel determinare il valore patrimoniale dell’immobile, per le unità immobiliari colpite da eventi sismici da altri eventi calamitosi il processo estimativo dovrà tener conto delle condizioni di inagibilità o inutilizzazione determinate da tali eventi.
La misura della consistenza dell'unità
immobiliare
L’articolo 44 del D.P.R. n. 1142 del 1949 stabilisce che
per ciascuna unità immobiliare accertata la consistenza sia determina
computandola in base agli elementi unitari di misura quale risulta al momento
dell'accertamento. L’articolo 45 specifica
che per la misura della consistenza dell'unità immobiliare con destinazione ordinaria ad uso di abitazione si assume come
elemento unitario il vano utile. Si
considera vano utile quello che ha destinazione principale (camera, stanza,
salone, galleria e simili), nell'uso ordinario della unità immobiliare. Il
successivo articolo 46 specifica le modalità di computo dei vani accessori.
Per la misura della consistenza delle unità
immobiliari con destinazione ordinaria
ad uso di alloggi collettivi
(collegi, ospizi, conventi, caserme, ospedali, prigioni e simili) di uffici
pubblici, di scuole, di musei e simili, si assume come elemento unitario il metro cubo (art. 48), mentre per le unità immobiliari con destinazione ordinaria ad uso negozi, botteghe, magazzini, locali
di deposito, laboratori per arti e mestieri, stalle, scuderie, autorimesse,
palestre, tettoie e simili, si assume come elemento ordinario il metro quadrato (art. 49).
Non si accerta
la consistenza catastale per gli
immobili a destinazione speciale o particolare. Tuttavia essi sono
descritto in catasto mediante la elencazione dei loro elementi costituitivi
(art. 53).
Si ricorda,
peraltro, che il legislatore, già con D.L. n. 557 del 1993, all’articolo 9,
comma 11, ultimo periodo, come modificato dall’articolo 1, comma 5, del D.L. n.
250 del 1995, aveva già previsto, per il futuro catasto dei fabbricati, l’assunzione del metro quadrato come parametro unitario di determinazione delle
tariffe d’estimo delle unità immobiliari a destinazione ordinaria. Infatti l’articolo 3 del D.P.R. n. 138 del 1998
aveva stabilito che l'unità di consistenza delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria indicate nel
quadro generale di cui all'allegato B, fosse il metro quadrato di superficie catastale, specificando, all’Allegato
C i criteri tecnici per la determinazione di tale superficie. Come già detto,
la revisione generale delle zone censuarie e delle tariffe d’estimo risulta inattuata.
f) determinare la rendita media ordinaria per le unità immobiliari mediante un processo estimativo che:
1) utilizza funzioni statistiche atte ad esprimere la relazione tra i redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale, qualora sussistano dati consolidati sul mercato delle locazioni;
2) qualora
non vi sia un consolidato mercato delle locazioni, mediante l’applicazione ai
valori patrimoniali di specifici saggi di redditività desumibili dal mercato, nel triennio antecedente l’anno di entrata in
vigore del decreto legislativo;
g) prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento.
La revisione delle tariffe d'estimo
La disciplina sul catasto edilizio
urbano prevedeva la possibilità di revisione
delle tariffe d'estimo in determinate zone censuarie e dei quadri di
qualificazione e classificazione in caso di sopravvenute variazioni permanenti
rispettivamente nello stato e capacità di reddito o nello stato delle unità
immobiliari (art. 34 legge n. 1249/1939 e art. 13 D.P.R. n. 1142/1949).
Numerosi interventi legislativi hanno riguardato
l'aggiornamento del catasto e la revisione delle tariffe d’estimo e della rendita
catastale, a partire dalla legge delega di riforma del sistema tributario n.
825 del 1971.
Una prima innovazione fu introdotta con il D.P.R. n. 597 del 1973, che ha ribadito
la necessità di revisione periodica dei redditi catastali e dunque delle tariffe
d'estimo delle particelle e delle unità immobiliari urbane qualora per fatti
sopravvenuti il rispettivo accatastamento non rispecchi più le condizioni
economiche e di mercato dell'immobile.
Il D.P.R. n. 604 del 1973 ha disposto la revisione generale degli estimi dei
terreni e dei fabbricati entro dieci
anni a decorrere dall'entrata in vigore dello stesso (1° gennaio 1974): il
termine, più volte prorogato, è stato attuato con D.M. 20 gennaio 1990 che ha
determinato le nuove tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane per
l'intero territorio nazionale (D.M. 27
settembre 1991).
In seguito alla dichiarazione di illegittimità degli
estimi pubblicati con D.M. 27 settembre 1991 da parte del giudice
amministrativo, la legge n. 75 del 1993 ha previsto la possibilità di ricorso
da parte dei comuni per il riesame delle tariffe e la perimetrazione delle zone
censuarie ed ha affermato la validità provvisoria degli estimi annullati sino
alla nuova revisione generale, che avrebbe dovuto essere attuata con i decreti
legislativi attuativi della delega prevista, prima dalla legge n. 549 del 1995
(ma mai emanati), e poi dalla legge n. 662 del 1996. Infatti l’articolo 3, comma 154, della legge n. 662 del 1996, che ha disposto,
con uno o più regolamenti, la revisione generale delle zone censuarie, delle
tariffe d'estimo, della qualificazione, della classificazione e del classamento
delle unità immobiliari e dei terreni e dei relativi criteri nonché delle
commissioni censuarie, secondo determinati principi, tra i quali:
§ attribuzione ai comuni di competenze in ordine alla
articolazione del territorio comunale in microzone
omogenee, secondo criteri generali uniformi.
§ individuazione delle tariffe d'estimo di reddito
facendo riferimento, al fine di determinare la redditività media ordinariamente
ritraibile dalla unità immobiliare, ai valori e ai redditi medi espressi dal
mercato immobiliare con esclusione di regimi legali di determinazione dei
canoni;
§ intervento dei comuni nel procedimento di
determinazione delle tariffe d'estimo, attraverso le Conferenze di servizi;
§ attribuzione della rendita catastale alle unità
appartenenti alle varie categorie ordinarie con criteri che tengono conto dei
caratteri specifici dell'unità immobiliare, del fabbricato e della microzona
ove l'unità è sita.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.R. n. 138 del 1998, che
all’articolo 1 ha disposto la revisione delle zone censuarie, mentre
all’articolo 2 ha previsto l’articolazione del territorio comunale in microzone, cioè quella porzione di
territorio che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici,
storico-ambientali, socio-economici, nonché nella dotazione dei servizi ed
infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi
per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione
prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano
dei redditi e dei valori, ed in particolare per l'incidenza su tali entità
delle caratteristiche estrinseche delle unità immobiliari. Si prevedeva che il
comune provvedesse alla delimitazione delle microzone entro 9 mesi dall’entrata
in vigore del decreto: in caso di inattività le delimitazione sarebbe stata
effettuata nei successivi 120 giorni dagli uffici del Dipartimento del territorio
del Ministero delle finanze (ora Agenzia del territorio).
Sulla materia è poi intervenuto l’articolo 1, comma 335 e seguenti della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), disponendo che, in
caso di unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per
le quali il rapporto tra il valore medio di mercato e il corrispondente valore
medio catastale ai fini dell'applicazione dell'ICI si discosti
significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone
comunali la revisione parziale del loro classamento è richiesta dai comuni agli
Uffici provinciali dell'Agenzia del territorio. L'Agenzia del territorio,
esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti,
attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell'Agenzia
medesima. Con determinazione del
direttore dell’Agenzia del territorio del 16 febbraio 2005 sono state
emanate le linee guida materia di classamenti catastali di unità immobiliari di
proprietà privata.
I processi di
revisione del classamento e delle rendite delle unità immobiliari di
proprietà privata sono stati avviati con Determinazione 30 novembre 2005, per
il comune di Milano; con Det. 30 novembre 2005, per il comune di Ferrara; con
Det. 30 novembre 2005 per il comune di Casale Monferrato; con Det. 31 maggio
2006 per il comune di Cervia; con Det. 31 maggio 2006 per i comuni di Perugia,
Spello e Spoleto; con Det. 31 maggio 2006 per il comune di Orvieto; con Det. 31
maggio 2006 per il comune di Bari; con Det. 30 novembre 2006 per i comuni di
Mirandola e Ravarino; con Det. 31 maggio 2007 per il comune di Atri; con Det.
30 novembre 2007 per il comune di Todi; con Det. 26 maggio 2010 per il comune
di Bassano del Grappa; con Det. 29 novembre 2010 per il comune di Lecce; con
Det. 30 novembre 2010 per il territorio di Roma Capitale.
Come evidenziato
il processo di aggiornamento delle zone censuarie, ma soprattutto di
aggiornamento delle tariffe d’estimo, non è stato di facile ed immediata
realizzazione. Tuttavia il legislatore si è trovato, nei casi di imposizione di
tributi a carico del comparto immobiliare, ma anche riferito alla fiscalità
complessiva, di fronte alla necessità di intervenire facendo riferimento anche
a principi di equità fiscale. Conseguentemente, mentre per altri settori
fiscali (imposte dirette o indirette) è potuto intervenire direttamente, per
quanto riguarda la rendita catastale e il conseguente valore catastale, si è
trovato di fronte a situazioni il cui valore non corrispondeva a quello di
mercato. Pertanto, ai fini dell'applicazione delle imposte, ha provveduto, con
l’articolo 3, comma 38, della legge n.
662 del 1996, ad una rivalutazione
delle rendite catastali urbane nella misura del 5 per cento.
Numerose
disposizioni hanno previsto l’applicazione di un moltiplicatore alle rendite catastali dei fabbricati e dei terreni
per stabilire il valore minimo da dichiarare ai fini dell’imposta di registro, dell’imposta
sulle successioni e le donazioni
e delle connesse imposte ipotecarie e
catastali. Il moltiplicatore è stato applicato altresì per determinare la
base imponibile dell’ICI.
Da ultimo, con
il comma 4 dell’articolo 13, del D.L. n.
201 del 2011, ai fini della determinazione dell’imposta municipale sugli
immobili (IMU), si è stabilito che
per i fabbricati iscritti in catasto, il valore
è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti
al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi
dell'articolo 3, comma 48, della legge
n. 662/1996, i seguenti moltiplicatori:
a) 160 per i fabbricati classificati nel
gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione
della categoria catastale A/10;
b) 140 per i fabbricati classificati nel
gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
b-bis) 80 per i fabbricati classificati nella
categoria catastale D/5;
c) 80 per i fabbricati classificati nella
categoria catastale A/10;
d) 60 per i fabbricati classificati nel
gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria
catastale D/5; tale moltiplicatore è elevato a 65 a decorrere dal 1° gennaio 2013;
e) 55 per i fabbricati classificati nella
categoria catastale C/1.
Il comma 2 delega, altresì, il Governo ad emanare (adottare) norme dirette a:
a) ridefinire le competenze e la composizione delle Commissioni censuarie provinciali e della Commissione censuaria centrale, assicurando la presenza in esse di rappresentanti dell’Agenzia, di professionisti e docenti qualificati in materia di economia ed estimo urbano e rurale, esperti di statistica ed econometria, nonché di magistrati appartenenti rispettivamente alla giurisdizione ordinaria e amministrativa e a commissioni tributarie. Le Commissioni dovranno, peraltro, avranno anche il compito di validazione delle funzioni statistiche relative alle rispettive relazioni tra il valore di mercato e tra i redditi da locazione medi con la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale anche all’interno di uno stesso comune (previste dal comma 1, lett. e), n. 1.2, e lett. f), n. 1); esse dovranno, inoltre, prevedere procedure pregiudiziali di definizione delle controversie;
Le Commissioni censuarie sono state istituite
dalla legge n. 153 del 1943 e la
loro attività è ora disciplinata dal D.P.R.
n. 650 del 1972 (artt. 16 e ss.).
Sono attualmente previste la Commissione censuaria
centrale, con sede a Roma, e le Commissioni censuarie provinciali. Le
Commissioni hanno lo scopo di coadiuvare l’Agenzia del territorio nei lavori di
formazione, di revisione e di conservazione del catasto terreni e del catasto
edilizio urbano.
La Commissione
censuaria centrale è composta di un presidente, di venti membri effettivi e
di sei membri supplenti.
Essa si articola in due distinte sezioni, ciascuna
delle quali è retta da un presidente di sezione: la prima ha competenza in
materia di catasto terreni, la seconda ha competenza in materia di catasto
edilizio urbano.
Il presidente della commissione censuaria centrale è
nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per le finanze.
I membri effettivi ed i membri supplenti sono nominati
con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella
Gazzetta Ufficiale.
Con successivo decreto ministeriale vengono nominati,
su proposta del presidente della commissione censuaria centrale, i presidenti
di sezione, scelti fra i membri effettivi delle rispettive sezioni.
Fanno parte di entrambe le sezioni:
a)
i direttori
generali dei dipartimenti del territorio e delle entrate;
b)
il direttore
centrale del catasto;
c)
il direttore
centrale dei servizi tecnici erariali;
d)
due ingegneri,
con qualifica dirigenziale, della direzione centrale del catasto e due membri
scelti tra magistrati amministrativi ovvero tra avvocati dello Stato con
qualifica non inferiore a magistrato di cassazione o equiparata.
Fanno parte soltanto della prima sezione un direttore
generale del Ministero delle politiche agricole, cinque membri effettivi e tre
supplenti scelti tra professori universitari in materia di economia ed estimo
rurale. Dei membri predetti tre effettivi e i tre supplenti sono scelti
nell'ambito dei nominativi designati rispettivamente dalle regioni, dall'Unione
province italiane (UPI) e dall'Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI),.
Fanno parte soltanto della seconda sezione un
direttore generale del Ministero dei lavori pubblici, cinque membri effettivi e
tre supplenti scelti tra professori universitari in materia di economia ed
estimo urbano. Dei membri predetti tre effettivi e i tre supplenti sono scelti
nell'ambito dei nominativi designati rispettivamente dalle regioni, dall'UPI e
dall'ANCI
Le commissioni censuarie
provinciali sono costituite di un presidente, di dieci membri effettivi e
di quattro membri supplenti.
La commissione censuaria provinciale è presieduta dal
presidente della commissione tributaria provinciale o da un presidente di
sezione della medesima commissione nominato, su sua proposta, dal presidente
del tribunale civile e penale avente sede nel capoluogo della provincia.
La commissione si articola in due sezioni composte
ciascuna di cinque membri effettivi e due supplenti; alla prima sezione è
attribuita la competenza in materia di catasto terreni; alla seconda la
competenza in materia di catasto edilizio urbano.
La presidenza delle due sezioni è attribuita ai due
membri effettivi più anziani.
I membri effettivi e supplenti sono scelti dal
presidente del tribunale civile e penale avente sede nel capoluogo della
provincia fra un numero almeno doppio di esperti designati:
1) dall'amministrazione finanziaria, per quattro membri
effettivi e due supplenti;
2) dal consiglio provinciale, sentiti i comuni, per
quattro membri effettivi e due supplenti;
3) dagli ordini e collegi delle categorie professionali,
competenti in materia catastale, per due membri effettivi.
Il presidente
della commissione attribuisce a due membri effettivi le funzioni di presidente
di sezione.
Nella regione
Valle d'Aosta le designazioni di competenza della giunta dell'amministrazione
provinciale sono effettuate dalla giunta regionale; nella regione Trentino-Alto
Adige sono effettuate, per le rispettive circoscrizioni, dalla giunta della
provincia di Trento e dalla giunta della provincia di Bolzano; nella regione
siciliana, dopo che saranno costituiti i liberi consorzi dei comuni, dalle
giunte dei consorzi stessi.
La designazione
dei membri effettivi e supplenti è fatta come segue:
a)
per la prima
sezione: tra i tecnici ed esperti in economia ed estimo rurale;
b)
per la
seconda sezione: tra i tecnici ed esperti in economia ed estimo urbano.
b) assicurare la collaborazione tra l’Agenzia ed i comuni, con particolare riferimento alla raccolta e allo scambio delle informazioni necessarie all’elaborazione dei valori patrimoniali e delle rendite, introducendo piani operativi, concordati tra comuni o gruppi di comuni e l’Agenzia, volti a stabilire modalità e tempi certi per il rispetto di tali piani;
Nella citata audizione svolta presso la 6a Commissione Finanze del Senato il Direttore dell’Agenzia delle entrate ha osservato come il rapporto di collaborazione con i Comuni sia strategico e decisivo per l’attuazione della riforma, ma allo stesso tempo necessita forse di meccanismi normativi che aiutino a risolvere problemi che possono insorgere a fronte di eventuali difficoltà al completamento delle attività richieste ai Comuni stessi.
L’articolo 19 del D.L. n. 78 del 2010, prevedendo l’attivazione, a
decorrere dal 1° gennaio 2011, dell'Anagrafe Immobiliare Integrata, costituita
e gestita dall'Agenzia del territorio, determina specifiche forme di collaborazione con i comuni. L’accesso gratuito
all'Anagrafe Immobiliare Integrata
sarà garantito ai comuni sulla base di un sistema di regole tecnico-giuridiche
emanate con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze,
previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Tali decreti
devono assicurare comunque ai comuni la piena accessibilità ed interoperabilità
applicativa delle banche dati con l’Agenzia del territorio, relativamente ai
dati catastali, anche al fine di contribuire al miglioramento ed aggiornamento
della qualità dei dati, secondo le specifiche tecniche e le modalità operative
stabilite con i medesimi decreti.
Si ricorda, inoltre, che l’Agenzia
del territorio, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 59, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice
dell’amministrazione digitale), al fine di garantire i flussi informativi con
gli enti locali, ha realizzato il Sistema
di Interscambio - le cui modalità operative e di accesso sono state
disciplinate con decreto del direttore dell’Agenzia del territorio del 13 novembre 2007
(Definizione delle regole tecnico economiche per l’utilizzo dei dati catastali
per via telematica da parte dei sistemi informatici di altre amministrazioni) –
nonché il Portale per i comuni, cioè un canale
telematico semplificato per la fornitura dati ai comuni ed alle comunità
montane che ne facciano richiesta, relativamente ai loro ambiti territoriali e
fini istituzionali. L’articolo 37, comma 54, del D.L. n. 223 del 2006 ha
specificato che i costi a loro carico per la circolazione e fruizione della
base dei dati catastali dovranno essere unicamente quelli di connessione. I
Comuni possono ricevere: informazioni utili per il controllo delle superfici
degli immobili ai fini della tassa sullo smaltimento dei rifiuti; gli esiti
delle attività di rilassamento di singole unità immobiliari richieste dai comuni;
i dati sugli accatastamenti catastali (Docfa) pervenuti nel mese; i dati
relativi a variazioni sulla titolarità di un immobile (a fini IMU). Attraverso
il Portale i comuni potranno, altresì, trasmettere all’Agenzia informazioni
sulle notifiche inviate agli interessati per l’accatastamento
c) prevedere la possibilità per l’Agenzia del territorio di impiegare, mediante apposite convenzioni, ai fini delle rilevazioni, tecnici indicati dagli ordini professionali;
Considerata la mole di attività da
svolgere, si prevede la possibilità di utilizzare, attraverso apposite
convenzioni, personale esterno all’Agenzia del territorio al fine di effettuare
le rilevazioni. Sebbene l’articolo 1 della proposta di legge in esame affermi
che dai decreti attuativi della presente delega non possono derivare nuovi o
maggiori oneri per il bilancio dello Stato, il ricorso a personale tecnico
esterno all’amministrazione sembrerebbe configurare un onere finanziario.
La p.d.l. 282 (Causi) prevede, inoltre, la possibilità di utilizzare i dati e le informazioni sugli immobili posseduti forniti direttamente all’Agenzia dai contribuenti.
d) garantire, a livello nazionale da parte dell’Agenzia del territorio, l'uniformità e la qualità dei processi e il loro coordinamento e monitoraggio, nonché la coerenza rispetto ai dati di mercato dei valori e dei redditi nei rispettivi ambiti territoriali;
La disposizione pone al centro del
processo di revisione del catasto dei fabbricati l’Agenzia del territorio,
quale soggetto garante sull’intero territorio nazionale dell’uniformità dei
processi operativi per la determinazione dei nuovi valori catastali dei
fabbricati, tenendo conto dei dati di mercato e delle diverse situazioni
territoriali.
Al riguardo si ricorda l’iniziale
formulazione dell’articolo 66 del D.Lgs. n. 112 del 1998 che fu oggetto di un
profondo confronto politico, che determinò, unitamente ad altri fattori, il
blocco del trasferimento delle funzioni catastali agli enti locali. Il testo
originario, infatti - pur mantenendo allo Stato la predisposizione di procedure
innovative per la determinazione dei redditi dei terreni e degli immobili
urbani ai fini delle revisioni generali degli estimi e del classamento - attribuiva ai comuni le funzioni
relative alla conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del
catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché alla revisione degli estimi e del classamento. Così formulata la norma i
singoli enti locali avrebbero potuto modificare estimi e classamento, anche a
scopi elettorali, determinando sperequazioni con le altre realtà locali.
e) utilizzare, in deroga alle disposizioni recate dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, adeguati strumenti di comunicazione anche collettiva per portare a conoscenza degli intestatari catastali le nuove rendite, in aggiunta alla notifica mediante affissione all’albo pretorio;
L’articolo 74 della legge n. 342 del 2000 (Misure in materia fiscale)
dispone, al comma 1, che a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a
decorrere dalla loro notificazione,
a cura dell'ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita. Dall'avvenuta notificazione
decorre il termine di 60 giorni (art. 21 D.Lgs. n. 5246/1992) per proporre il
ricorso al giudice tributario. Dell'avvenuta notificazione gli uffici
competenti danno tempestiva comunicazione ai comuni interessati.
f) procedere alla ricognizione, riordino, variazione e abrogazione delle norme che attualmente regolano il sistema catastale dei fabbricati;
Alla luce di quanto disposto dai
principi e criteri direttivi enunciati al comma 1 relativamente alla revisione
del catasto dei fabbricati, la
presente disposizione risulta esserne una conseguenza logica, in quanto
essendosi la normativa stratificata nel corso dei decenni a partire dal 1939,
risulta necessario che il Governo provveda alla predisposizione di una sorta di
testo unico, al fine di raccogliere
tutte le disposizioni vigenti sulla materia, disponendo, peraltro, l’espressa
abrogazione delle norme ormai superate.
Al riguardo, vista la vastità della
materia, sarebbe altresì utile la predisposizione di un testo unico compilativo, cioè frutto di una ricognizione e raccolta di tutte le
disposizioni catastali, comprendendovi quindi anche il catasto dei terreni,
addivenendo a una sorta di “codice catastale”.
g) individuare, dopo aver concluso il complessivo processo di revisione catastale, il periodo d’imposta dal quale sono applicate le nuove rendite e i nuovi valori patrimoniali;
Vista la
complessità del riordino del catasto dei fabbricati è necessario indicare
l’anno di applicazione del regime delle nuove rendite e dei valori
patrimoniali, sia quale garanzia nei confronti del contribuente ai sensi dell’articolo
3 (Efficacia temporale delle norme
tributarie) della legge n. 212 del 2000 (Statuto del
contribuente), sia quale termine operativo per l’Amministrazione finanziaria
per la revisione del sistema catastale dei fabbricati.
h) garantire l’invarianza del gettito delle singole imposte il cui presupposto e la cui base imponibile sono influenzati dalle stime di valori patrimoniali e rendite, a tal fine prevedendo, contestualmente all’efficacia impositiva dei nuovi valori, la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate ad evitare un aggravio del carico fiscale, con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti e all’imposta municipale propria (IMU), tenendo conto, nel caso delle detrazioni relative all’IMU, delle condizioni socio-economiche e dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare, come rappresentate nell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
Per quanto
riguarda l’indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), l’articolo 5 del D.L. n. 201 del 2011 ha previsto l’introduzione dell’ISEE per la concessione di
agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, previo
parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, la
ridefinizione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione
dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Sullo schema di
D.P.C.M. (regolamento) la Conferenza
Unificata nella seduta del 13 giugno
2013 ha sancito l’intesa. Sullo schema
si dovranno quindi esprimere le Commissioni parlamentari competenti.
In relazione
all’IMU, si ricorda che, ai sensi
dell’articolo 13, comma 10, del D.L. n. 201 del 2011, relativamente
all’abitazione principale è prevista per gli anni 2012 e 2013, la detrazione di 50 euro per ciascun
figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e
residente anagraficamente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione
principale, fino ad un limite di 400 euro. L’importo complessivo della
maggiorazione, al netto della detrazione di base di 200 euro, non potrà
superare l’importo massimo di 400 euro. I comuni possono disporre l’elevazione
dell’importo della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel
rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune che ha adottato
detta deliberazione non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria
per le unità immobiliari tenute a disposizione.
Si ricorda,
inoltre, che relativamente all’acquisto della ”prima casa”, nel caso che il venditore dell'immobile sia un privato
non soggetto ad IVA, si applica l'imposta
di registro del 3% (invece che
del 7% sul valore dichiarato), mentre le imposte ipotecaria e catastale è
determinata nella misura fissa di 168 euro ciascuna. Nel caso di acquisto da
impresa "costruttrice" o "ristrutturatrice" entro 4 anni dalla data di ultimazione
dei lavori, si dovrà pagare l'IVA
ridotta al 4% (invece che del 10%) e
le imposte di registro, ipotecaria e catastale, in misura fissa pari a 168 euro
ciascuna. Qualora l’acquisto avvenga dopo
4 anni dalla ultimazione dei lavori l’IVA ridotta ammonta al 3%.
Per quanto
riguarda l’imposta di registro, l’articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011
(federalismo municipale) reca la disciplina dei tributi applicabili ai
trasferimenti immobiliari a decorrere dal
1° gennaio 2014, stabilendo che l’imposta di registro si applichi
nella misura del 9% agli atti traslativi a titolo oneroso della
proprietà di beni immobili in genere, agli atti traslativi o costitutivi di
diritti reali immobiliari di godimento (compresa la rinuncia agli stessi) ai
provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità ed ai trasferimenti
coattivi. Se il trasferimento riguarda case
di abitazione, sempre che non si tratti di un immobile appartenente alle
categorie catastali A1, A8 e A9 (immobili signorili, ville e castelli), la
misura dell’aliquota è pari al 2%
ove ricorrano le condizioni indicate
dalla nota II-bis) dell'articolo 1 della Tariffa. In tali casi l’imposta non
potrà essere inferiore a 1.000 euro. Il successivo comma 3, in conseguenza delle modifiche apportate al TU sull’imposta di
registro e delle nuove aliquote di imposta, esenta i predetti trasferimenti immobiliari dalle
altre imposte indirette, nonché tutti gli atti e le formalità
direttamente conseguenti, posti in essere per effettuare gli adempimenti presso
il catasto ed i registri immobiliari. Infine il comma 4 dispone la generale
abolizione di tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie
anche previste da leggi speciali.
Tuttavia la legge di stabilità 2013 (legge n.
228/2012), in conseguenza dell’attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, all’articolo 1, comma 380, ha sospeso per il biennio 2013-2014 la devoluzione ai comuni del gettito della
fiscalità immobiliare prevista nel decreto legislativo n. 23/2011 (imposte
di registro, ipotecarie, ipocatastali, cedolare secca ed altre), nonché della
partecipazione comunale al gettito IVA.
i) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano, in sede di revisione generale del catasto, la possibilità per il contribuente di richiedere, in sede di autotutela, una rettifica delle nuove rendite attribuite, con obbligo di risposta entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza;
Viene prevista
una predisposizione di apposite regole procedimentali in favore del
contribuente che richiede una rettifica delle nuove rendite attribuite ad
immobili di sua proprietà, con l’obbligo per l’Agenzia delle entrate di
rispondere entro 60 giorni dalla richiesta.
Si ricorda che è
tuttora possibile richiedere con istanza di parte in carta semplice indirizzata
all’Ufficio provinciale competente dell’Agenzia, la correzione di errori -
imputabili all’ufficio - riscontrati in atti catastali.
l) prevedere, contestualmente all’efficacia impositiva dei nuovi valori, l’aggiornamento delle modalità di distribuzione dei trasferimenti perequativi attraverso i fondi di riequilibrio e i fondi perequativi della finanza comunale.
Con il D.Lgs. n. 23 del 2011 (c.d. Federalismo municipale), in attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, al fine di realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione ai comuni del gettito o di una quota di esso relativa ai tributi sugli immobili ubicati nel loro territorio (indicate all’articolo 2, commi 1 e 2) – con conseguente riduzione dei trasferimenti erariali – fu istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio per i comuni delle regioni a statuto ordinario, alimentato da tale gettito, che sarebbe stato ripartito annualmente, entro il mese di novembre, tra i comuni con decreto del Ministro dell’interno. In sostanza la perequazione veniva determinata attraverso criteri di carattere verticale. Il Fondo sperimentale di riequilibrio avrebbe avuto una durata di tre anni e sarebbe stato quindi sostituito (articolo 13 del D.L.gs. n. 23/2011), successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali, da un Fondo perequativo per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte.
L’articolo 1, comma 380, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), nell’attribuire ai comuni l’intero gettito dell’IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato, ha soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio ed istituito un Fondo di solidarietà comunale, che è alimentato con una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni, che sarà definita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Il decreto relativo al 2013 non risulta ancora emanato. La legge di bilancio di previsione per il 2013 indica una dotazione del Fondo di solidarietà comunale (cap. 1365/Interno) pari a 5.758,5 milioni per il 2013 e a 4.464,5 milioni per il 2014. In sostanza le modalità di perequazione assumono ora un carattere orizzontale in quanto il Fondo di solidarietà comunale risulta finanziato da quota del gettito IMU di spettanza comunale.
Per quanto riguarda le province si ricorda che un altro decreto attivo del federalismo fiscale, il D.Lgs. n. 68 del 2011, prevede all’articolo 21 la costituzione di un Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale delle regioni a statuto ordinario, tuttora esistente.
La p.d.l. A.C. 282 (Causi ed altri) indica un altro criterio direttivo (lettera m), ai sensi del quale si deve garantire il coordinamento con le disposizioni attuative della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
Si ricorda che i principali decreti attuativi della legge n. 42 del 2009 che hanno effetti diretti per quanto riguarda la c.d. fiscalità territoriale, considerata sia come autonomia impositiva, che come rapporti finanziari con lo Stato sono il D.Lgs. n. 85 del 2010 (federalismo demaniale), il D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) e il D.Lgs. n. 68 del 2011 (federalismo regionale e provinciale).
Il comma 3 reca, infine, una norma di garanzia ai fini dei saldi di bilancio, stabilendo che dall’attuazione dei precedenti commi non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: conseguentemente per le attività da essi previste dovranno essere utilizzate prioritariamente le strutture e le professionalità già esistenti nell’ambito delle amministrazioni pubbliche.
Al riguardo si segnala che nell’audizione svolta presso la 6a Commissione Finanze del Senato nel corso dell’indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili (4 giugno 2013) il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Befera, ha osservato che l’attuazione della riforma del catasto è una attività assolutamente straordinaria e quindi non può essere svolta ricorrendo alle attuali disponibilità di risorse umane e finanziarie dell’Agenzia.
Articolo 2,
commi 4 e 5
(Stima e monitoraggio dell’evasione
fiscale
4. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, norme dirette a:
a) definire una metodologia
di rilevazione dell'evasione fiscale, riferita a tutti i principali tributi,
basata sul confronto tra i dati della contabilità nazionale e quelli acquisiti
dall'anagrafe tributaria, utilizzando, a tal fine, criteri trasparenti e
stabili nel tempo, dei quali deve essere garantita un'adeguata
pubblicizzazione;
b) prevedere che i risultati
siano calcolati e pubblicati con cadenza annuale;
c) istituire presso il Ministero dell’economia e delle finanze una
commissione, senza diritto a compensi, emolumenti, indennità o rimborsi di spese,
composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal Ministero
dell’economia e delle finanze, dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT),
dalla Banca d’Italia e dalle altre amministrazioni interessate; la commissione,
che si avvale del contributo delle associazioni di categoria, degli ordini
professionali, delle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello
nazionale e delle autonomie locali, redige un rapporto annuale sull’economia
non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, al fine di:
1) diffondere le misurazioni sull’economia non osservata, assicurando la
massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e
dimensionale;
2) valutare l’ampiezza e la diffusione dell’evasione fiscale e contributiva,
effettuando una stima ufficiale dell’ammontare delle risorse sottratte al
bilancio pubblico dall’evasione fiscale e contributiva;
3) illustrare le strategie e gli interventi definiti e attuati
dall’amministrazione pubblica per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale
e contributiva;
4) evidenziare i risultati ottenuti dall’attività di contrasto
dell’evasione fiscale e contributiva;
5) individuare le linee di intervento e di prevenzione contro la
diffusione del fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva, nonché quelle
volte a stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.
5. Il Governo redige annualmente, all'interno della procedura di
bilancio, un rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di
contrasto dell'evasione fiscale e contributiva, distinguendo tra imposte
riscosse e accertate nonché tra le diverse tipologie di avvio delle procedure
di accertamento, in particolare evidenziando i risultati del recupero di somme
dichiarate e non versate e della correzione di errori nella liquidazione delle
dichiarazioni; il rapporto indica, altresì, le strategie per il contrasto
dell’evasione fiscale e contributiva, le aggiorna e confronta i risultati con
gli obiettivi evidenziando, ove possibile, il recupero di gettito fiscale e contributivo
attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei
contribuenti.
L’articolo 2, ai commi 4 e 5, conferisce delega al Governo al fine di introdurre nell’ordinamento disposizioni dirette a:
a) definire una metodologia di rilevazione dell’evasione, riferita a tutti i principali tributi, basata sul confronto tra i dati di contabilità nazionale e quelli acquisiti dall’anagrafe tributaria, utilizzando, a tal fine, criteri trasparenti, stabili nel tempo, cui garantire una adeguata pubblicizzazione;
b) prevedere che i risultati siano calcolati e pubblicati a cadenza annuale;
c) istituire presso il Ministero dell’economia e delle finanze una Commissione composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze, dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dalla Banca d’Italia e dalle altre amministrazioni interessate.
Si osserva che la disposizione si limita a
fissare il numero massimo di componenti della Commissione, senza specificare
quanti possano, in primis, essere indicati dall’ISTAT, dal MEF e dalla Banca
d’Italia.
La disposizione fa peraltro un generico
riferimento “ad altre amministrazioni interessate”: sarebbe necessario indicare
quali altri soggetti abbiano competenza in materia di lotta all’evasione (ad
esempio, il Ministero dell’interno, le Agenzie fiscali, la Guardia di finanza).
I componenti della Commissione non hanno diritto a compensi, emolumenti, indennità o rimborsi di spese.
La Commissione, inoltre si avvale del contributo delle associazioni di categoria, degli ordini professionali, delle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale e delle autonomie locali.
Dalla formulazione del testo si evince che
gli enti indicati possono fornire, su richiesta della Commissione,
informazioni, dati o elaborati, o essere direttamente consultati.
La Commissione redige un rapporto annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, al fine di:
1) diffondere le misurazioni sull’economia non osservata, assicurando la massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e dimensionale;
2) valutare l’ampiezza e la diffusione dell’evasione fiscale e contributiva, effettuando una stima ufficiale dell’ammontare delle risorse sottratte al bilancio pubblico dall’evasione fiscale e contributiva. La p.d.l. A.C. 282 (Causi ed altri) prevede che venga fornita la massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e dimensionale;
3) illustrare le strategie e gli interventi definiti e attuati dall’amministrazione pubblica per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva;
4) evidenziare i risultati ottenuti dall’attività di contrasto dell’evasione fiscale e contributiva;
5) individuare le linee di intervento e di prevenzione contro la diffusione del fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva, nonché quelle volte a stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.
La p.d.l. A.C. 282 (Causi ed altri) dispone inoltre che il Governo, nell’adottare i decreti legislativi attuativi, definisca le linee di intervento per favorire l'emersione di base imponibile, anche attraverso l'emanazione di disposizioni per l'attuazione di misure finalizzate al contrasto d'interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell'obbligazione tributaria, definendo attraverso i decreti legislativi di attuazione le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria nelle fasi di implementazione. Si ricorda che tale norma era stata introdotta nel corso dell’esame dell’AC 5291 al Senato.
Il comma 5 dispone che il Governo rediga annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sui risultati conseguiti sul fronte delle misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva, distinguendo tra imposte riscosse e accertate nonché tra le diverse tipologie di avvio delle procedure di accertamento, in particolare evidenziando i risultati del recupero di somme dichiarate e non versate e della correzione di errori nella liquidazione delle dichiarazioni.
Facendo riferimento alla ”procedura di bilancio”, sembrerebbe
intendersi che tale rapporto venga presentato alle Camere.
La p.d.l. A.C. 282 (Causi ed altri)
specifica che il rapporto dovrà essere presentato contestualmente alla
presentazione del Documento di economia e finanza (DEF) previsto dalla legge di
contabilità (art. 10 della legge n. 196 del 2009), che - ai sensi dell’articolo
7, comma 2, lettera a), della legge
n. 196 – deve essere presentato entro il
10 aprile di ogni anno.
Il rapporto dovrà indicare, altresì, le strategie per il contrasto dell’evasione fiscale e contributiva, che dovranno essere aggiornate e confrontate i risultati con gli obiettivi evidenziando, ove possibile, il recupero di gettito fiscale e contributivo attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei contribuenti.
Si osserva che la norma in commento (comma 5) riproduce il contenuto di
una disposizione introdotta dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012, art. 1, co. 299, lett. b),
che novellando l’articolo 2 del D.L. n.
138 del 2011, introduce il comma
36.1, che prevede la presentazione da parte del Ministro dell’economia e
delle finanze, in allegato alla Nota di aggiornamento al DEF, di un Rapporto annuale contenente i risultati
conseguiti in materia di contrasto all’evasione fiscale, indicando le
strategie relative alla predetta finalità, aggiornandole e confrontando i
risultati con gli obiettivi prefissati. Laddove possibile, nel Rapporto dovrà
essere evidenziato il recupero di
gettito fiscale attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da
parte dei contribuenti.
Si ricorda, infatti, che l’articolo 2, comma 36, del D.L. n. 138 del 2011 ha disposto, per un periodo di cinque anni, la destinazione delle maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto all'evasione ad un apposito Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale.
Le modalità di individuazione del maggior gettito da riservare all'Erario, ai sensi dell'art. 2, comma 36, del D.L. n. 138/2011 sono state definite con decreto direttoriale (Direttore generale delle Finanze e Ragioniere generale dello Stato) del 20 luglio 2012 (G.U. n. 173 del 26 luglio 2012).
Il comma 36 del D.L. n. 138/2011 è stato anch’esso integrato dalla legge di stabilità 2013 (art. 1, co. 299, lett. a), disponendo che a partire dall'anno 2013, il Documento di economia e finanza contenga una valutazione, relativa all'anno precedente, delle maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate derivanti dall'attività di contrasto dell'evasione fiscale. Dette maggiori risorse, al netto di quelle necessarie al mantenimento dell'equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo, nonché di quelle derivanti a legislazione vigente dall'attività di recupero fiscale svolta dalle regioni, dalle province e dai comuni, unitamente alle risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali, confluiscono in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e sono finalizzate al contenimento degli oneri fiscali gravanti sulle famiglie e sulle imprese, secondo le modalità di destinazione e di impiego indicate nel medesimo Documento di economia e finanza.
Per quanto riguarda la lotta all’evasione, nella recente audizione (6 giugno 2013) presso la VI Commissione Finanze della Camera dei deputati il Direttore dell’Agenzia delle entrate Befera ha evidenziato come nel 2012 l’Agenzia abbia puntato al consolidamento dell’efficacia dissuasiva, oltre che repressiva, dei controlli, attuando una strategia finalizzata all’individuazione selettiva delle situazioni a più elevato rischio di evasione e/o di elusione fiscale. Gli accertamenti, grazie alla selezione dei soggetti effettuata sulla base dell’analisi del rischio per ciascuna tipologia di contribuente e al forte utilizzo delle banche dati a disposizione dell’Agenzia, stanno diventando sempre più mirati tanto che a fronte di un numero minore di accertamenti si registra un incremento di imposta recuperata. L’attività di accertamento ai fini delle imposte dirette, IVA, IRAP e imposte di registro ha prodotto nel 2012 oltre 400.000 controlli sostanziali, a fronte dei quali sono state accertate complessivamente maggiori imposte per oltre 28 miliardi di euro. Gli interventi esterni hanno dato luogo a 9.900 verifiche e controlli mirati, con risultati soddisfacenti sia in termini di maggiore imposta IVA constatata, pari a oltre 750 milioni di euro, sia di rilievi constatati relativamente alle imposte dirette e IRAP pari, rispettivamente, a 8,1 miliardi di euro e a 6,2 miliardi di euro. Per quanto riguarda le attività volte a reprimere i fenomeni di frode in materia di IVA, gli interventi realizzati dall’Ufficio Centrale Antifrode e dagli Uffici regionali sono stati oltre 520. E’ stata constatata complessivamente una maggiore imposta IVA per oltre 800 milioni di euro, mentre i rilievi relativi a imposte dirette e IRAP constatati superano, rispettivamente, 1,6 miliardi di euro e 1,3 miliardi di euro.
Nel 2012 sono stati effettuati 949.200 controlli formali delle dichiarazioni dei redditi, 9.900 verifiche presso le sedi delle imprese o dei professionisti, 683.300 accertamenti per una maggiore imposta accertata pari a circa 28,2 miliardi di euro. Gli incassi complessivi da recupero dell’evasione ammontano nel 2012 a circa 12,5 miliardi, di cui 7,2 da accertamento, controllo formale e conciliazione giudiziale, e 5,3 miliardi da controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali e da controllo di atti registrati.
Nel “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica”, presentato
ai primi di giugno 2013 la Corte dei conti sottolinea (pag. 22 e
ss) come il contrasto all’evasione continua ad essere un elemento centrale e
imprescindibile nell’azione di risanamento della finanza pubblica, sia per i
suoi effetti diretti sull’entità delle entrate sia per la redistribuzione del
prelievo fiscale. Al riguardo va ricordato come la strategia adottata dal
legislatore nel corso della passata Legislatura sia stata caratterizzata da
andamenti ondivaghi e contraddittori”
Interessanti informazioni sono altresì contenute nel documento presentato dalla Corte dei conti per l’audizione del 3 ottobre 2012 presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato relativamente agli “elementi conoscitivi in merito ai criteri e alle modalità attraverso cui è stata operata la stima dei costi che l’evasione fiscale comporta a carico dell’intera economia nazionale”.
Una classica fonte di informazione sulla lotta all’evasione fiscale risulta essere il Rapporto annuale del Corpo della Guardia di finanza. Il rapporto sottolinea come i piani d’azione hanno riguardato, in primo luogo, il contrasto dell’evasione internazionale, mediante il rafforzamento delle attività di controllo nei confronti dei soggetti che hanno trasferito capitali all’estero, delle persone fisiche e delle società che hanno dichiarato fittiziamente la residenza o la propria sede in Paesi a fiscalità privilegiata, o che intrattengono rapporti commerciali con società controllate o collegate con soggetti ubicati in paradisi fiscali. A tale scopo, sono stati completati molteplici filoni investigativi su liste di soggetti italiani detentori di capitali e attività finanziarie in “paradisi fiscali”ed avviati ulteriori piani di controllo nei confronti di persone fisiche e società che hanno effettuato significativi investimenti immobiliari all’estero. In detto ambito, assumono particolare rilievo le informazioni acquisite mediante i canali della cooperazione internazionale in campo fiscale e tramite la rete degli esperti della Guardia di Finanza, distaccati nelle ambasciate dei principali partners comunitari ed internazionali: il costante interscambio informativo con gli interlocutori internazionali e l’approfondimento dei dati esteri fiscalmente rilevanti genera una piattaforma informativa in grado di completare ed accelerare le investigazioni sugli schemi evasivi internazionali più articolati. In questo settore, nel 2012 sono stati scoperti ricavi non dichiarati e costi indeducibili per 17.098 milioni di euro in gran parte afferenti i trasferimenti “di comodo” delle residenze di persone e società nei “paradisi fiscali”, lo spostamento all’estero di capitali mediante atti negoziali ed operazioni di ristrutturazione societaria formalmente ineccepibili, ovvero operazioni di transfer pricing. Nel dettaglio:
§ 1.984 milioni riguardano casi di esterovestizione della residenza di persone fisiche e società;
§ 13.480 milioni sono relativi a stabili organizzazioni non dichiarate di imprese estere operanti in Italia;
§ 1.084 milioni sono stati evasi mediante tecniche di transfer pricing;
§ i rimanenti 550 milioni concernono le triangolazioni con Paesi off-shore ed altre manovre elusive con l’estero.
Una parte consistente della capacità operativa è stata rivolta alla lotta all’economia sommersa, ossia ai contribuenti che, pur svolgendo attività d’impresa e professionale, non hanno dichiarato i relativi redditi.
Complessivamente, l’azione di contrasto all’evasione internazionale e all’economia sommersa ha permesso di individuare 8.617 operatori economici che non hanno presentato le dichiarazioni annuali, per ricavi non dichiarati e costi non deducibili pari a 34.458 milioni di euro.
Nel 2012 l’azione del Corpo è stata indirizzata anche al contrasto delle frodi all’IVA, per cui i Reparti hanno concentrato l’attenzione sulle filiere delle “grandi frodi carosello”, che continuano a creare gravi scompensi in alcuni segmenti del mercato nazionale e comunitario, alterando la leale concorrenza tra le imprese. Le attività ispettive hanno, altresì, riguardato le imprese che cessano l’attività entro un anno dalla data d’inizio (cosiddette “imprese apri e chiudi”) e quelle che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per almeno due anni (cosiddette “imprese in perdita sistemica”), in attuazione delle specifiche previsioni contenute nel D.L. n. 78 del 2010.
Per una disamina delle attività di lotta all’evasione e dei risultati conseguiti si rinvia al rapporto stesso:
Nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale svolta nella passata Legislatura dalla 6° Commissione Finanze e tesoro del Senato, il presidente dell’ISTAT, Giovannini; ha illustrato il Rapporto finale sull’attività del Gruppo di lavoro sull’Economia non osservata e i flussi finanziari, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze in vista della riforma fiscale. Come riportato nell’intervento l’entità del valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico è stimata per il 2008 in una forbice compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, ovvero tra il 16,3% e il 17,5% del PIL.
La stima del valore aggiunto del sommerso economico rappresenta una base di partenza naturale per realizzare una rappresentazione fiscale dell’evasione, anche se non corrisponde direttamente alle base imponibili evase. Il rapporto mostra come sia possibile, con approcci diversi, risalire dalle stime del valore aggiunto del sommerso alle basi imponibili potenziali per ciascuna imposta e alla stima dei gettiti corrispondenti. Da questi, per differenza con i gettiti effettivamente versati, si ottiene la stima del cd tax gap.”
In occasione dell’audizione svolta presso la Commissione Finanze della Camera il 21 settembre 2011 nell’ambito dell’esame del disegno di legge A.C. 4566 (XVI Legislatura), il presidente Giovannini ha altresì indicato alcune delle proposte operative elaborate dal citato gruppo di lavoro: predisporre un Rapporto annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva;
§ migliorare le stime Istat sull’economia non osservata;
§ pervenire ad una stima ufficiale dell’evasione contributiva e assicurativa,
§ migliorare le azioni di contrasto e di aumento della compliance, anche attraverso incentivi all’uso della moneta elettronica;
§ mettere in comune delle informazioni sul sistema delle imprese e dei risultati delle azioni di controllo tra le diverse amministrazioni;
§ utilizzare in modo appropriato metodologie di tipo statistico-induttivo per migliorare i meccanismi di selezione dei comportamenti anomali per PMI e lavoro autonomo;
§ incentivare la compartecipazione degli enti locali all’attività di accertamento;
§ potenziare gli studi di settore, il redditometro per l’insieme delle persone fisiche, nonché il tutoraggio preventivo per le imprese medio-grandi;
§ ridurre i margini di discrezionalità dei singoli governi nel varare condoni in materia fiscale e contributiva;
§ ridurre il numero di partite IVA;
§ rafforzare il contrasto d’interessi tra contribuenti;
§ lanciare campagne di informazione volte ad enfatizzare il comportamento dei contribuenti onesti.
Si segnala, inoltre, la pubblicazione di uno studio della Banca d’Italia (Ardizzi, Petraglia, Piacenza, Turati: La misurazione dell’economia sommersa attraverso l’approccio della domanda di circolante: una reinterpretazione della metodologia con un’applicazione all’Italia, Tema di discussione n. 864, aprile 2012), che stima l'economia sommersa, costituita da attività legali tenute nascoste principalmente per evitare il pagamento di imposte e contributi; l'altra componente dell'economia irregolare è costituita dalle attività illegali. Nello studio viene proposta una rivisitazione del metodo fondato sull'ipotesi che gli scambi al di fuori dell'economia regolare siano realizzati in larga misura attraverso il ricorso al contante per evitarne la tracciabilità. Dai risultati si evince che nel periodo 2005-2008 l'incidenza media dell'economia sommersa è pari al 16,5% del PIL; il dato corrispondente per le attività illegali è del 10,9%.
I più recenti interventi legislativi in
tema di lotta all'evasione e tax compliance
L'attenzione del legislatore si è rivolta al fronte della tracciabilità dei pagamenti, sia riducendo (articolo 12 del D.L. n. 201/2011) a 1.000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, sia introducendo (articolo 2, comma 5 del D.L. n. 138/2011) una sanzione accessoria a carico dei professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, che consiste nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine. Nel medesimo filone si muovono le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies del medesimo D.L. n. 138) che assoggettano all’obbligo di emissione di ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi di concessione. Sono previste inoltre (successivo articolo 2, comma 36-vicies bis) riduzioni delle sanzioni dovute per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) a carico di specifiche categorie di imprese di medio-piccole dimensioni, purché nelle dichiarazioni esse indichino gli estremi identificativi dei rapporti con operatori finanziari in corso nel periodo d’imposta e che, per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività, siano utilizzati esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.
Si ricordano infine le disposizioni antielusive volte a colpire (articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies del D.L. n. 38/2011) l’uso di beni intestati fittiziamente a società, ivi compresa l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato. E’ stata novellata (articolo 2, comma 36-vicies semel) inasprendola, la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA, con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali.
Nel corso del 2011 sono state apportate numerose modifiche anche alla disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria: in primo luogo sono stati rafforzati i poteri del fisco in sede di indagini finanziarie, in particolare consentendo (articolo 23 del D.L. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione per quanto riguarda le attività di natura finanziaria; sono state introdotte inoltre norme volte a razionalizzare l’attività di indagine, mediante accesso, sull’industria finanziaria. Sempre nell'ottica di rafforzare i poteri del fisco:
§ è stata introdotta (dal citato D.L. 201 del 2011) la fattispecie penale di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, ovvero di fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero in tutto o in parte, in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA;
§ è stato imposto agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti; il D.L. 95 del 2012 ha previsto inoltre che tali informazioni siano utilizzabili anche per semplificare gli adempimenti dei cittadini sulla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica valida ai fini ISEE, nonché in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima.
Sotto il profilo della tax compliance, il contribuente è stato progressivamente incentivato a scegliere la rateizzazione dei debiti tributari, con una serie di misure volte a eliminare, per quanto possibile, gli adempimenti a carico del soggetto passivo di imposta (quale, ad esempio, il gravoso obbligo di prestare idonea garanzia per accedere al beneficio della dilazione). E’ stata altresì prevista la possibilità (D.L. 16/2012) di ottenere un piano di ammortamento a rata crescente fin dalla prima richiesta di dilazione; inoltre, ai contribuenti ammessi alla rateizzazione viene estesa la possibilità di partecipare alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni di lavori, forniture e servizi.
Al fine di superare le difficoltà operative segnalate dagli operatori economici, il D.L. 16/2011 ha semplificato gli adempimenti previsti a carico dei soggetti passivi IVA in relazione alla comunicazione delle operazioni rilevanti, soggette all’obbligo di fatturazione, di importo superiore ai 3.000 euro (cd. “spesometro”), reintroducendo – di fatto – l’elenco clienti-fornitori.
Per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, l'articolo 10 del D.L. n. 201 del 2011 ha introdotto norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile. Sono infatti (articolo 10, commi da 1 a 8) riconosciuti benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza.
L’articolo 8 del D.L. n. 16
del 2012 contiene ulteriori misure di contrasto all’evasione fiscale: si
segnala la nuova disciplina dei cd.
"costi da reato", ai sensi della quale le ipotesi di
indeducibilità sono circoscritte a costi e spese direttamente utilizzati per il
compimento di fatti, atti o attività qualificabili come delitto non colposo. E’
inoltre ottimizzato il procedimento relativo alla chiusura delle partire IVA
inattive mentre, in tema di accertamenti esecutivi, si introducono specifici
obblighi informativi a carico dell’agente della riscossione nei confronti dei
contribuenti.
Documenti
all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio
rapporti con l’Unione Europea)
Il Consiglio europeo del 22 maggio 2013 ha adottato, nelle proprie conclusioni, indicazioni sugli interventi da adottare, a livello europeo e nazionale, per lottare contro l'evasione e la frode fiscale, attribuendo carattere prioritario a:
§ l’ampliamento dello scambio automatico di informazioni a livello di UE e globale. A questo scopo, il Consiglio europeo:
-
prende
atto della prossima presentazione di una proposta di revisione della direttiva
2011/16/UE relativa alla cooperazione amministrativa in
materia fiscale, per estenderne l'applicazione a tutte le tipologie di reddito.
Al riguardo, si segnala che la Commissione europea ha presentato tale proposta il 12 giugno 2013 (COM(2013)348), allo scopo di includere dividendi, plusvalenze e i saldi dei conti all’elenco delle categorie già soggette, in base alla direttiva 2011/16/UE, allo scambio automatico di informazioni a partire dal 1° gennaio 2015, ovvero: i redditi da lavoro, i compensi per dirigenti, i prodotti di assicurazione sulla vita, le pensioni, le proprietà e i redditi immobiliari.
La proposta segue una procedura legislativa speciale, che prevede l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE e la mera consultazione del Parlamento europeo;
-
invita
l'UE a svolgere un ruolo chiave nella promozione dello scambio automatico di
informazioni come nuova normativa internazionale, sfruttando lo slancio
impresso dalla recente iniziativa di cinque Paesi dell'UE (Italia, Germania, Francia, Spagna e regno Unito), a cui si sono
successivamente associati altri 12 Paesi membri (Belgio, Danimarca, Finlandia,
, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania,
Slovacchia, Slovenia e Svezia), intesa ad avviare un progetto pilota per lo scambio di informazioni sui risparmi dei non residenti, sul
modello degli accordi FACTA (foreign account tax compliance
act) stipulati con l’amministrazione
statunitense. Infine, il Consiglio europeo accoglie con favore gli sforzi in
atto in sede di G8, G20 e OCSE per sviluppare una norma
globale;
§ il rapido avvio dei negoziati per la revisione degli accordi con i Paesi terzi (Svizzera, Andorra, Liechtenstein, San Marino, Principato di Monaco) in materia di tassazione dei redditi da risparmio, al fine di introdurre - anche in questi accordi - il principio dello scambio automatico delle informazioni. In tale ambito, il Consiglio europeo auspica anche l'approvazione entro la fine dell'anno della proposta di modifica della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio (COM(2008)727), che mira ad estendere il campo di applicazione della direttiva, per includervi non solo i pagamenti di interessi ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti.
Si ricorda che il negoziato nel Consiglio dell'UE è stato a lungo bloccato a causa dell'opposizione di Lussemburgo e Austria. I Governi dei due Paesi hanno da sempre manifestato contrarietà a qualsiasi ipotesi di attenuazione del segreto bancario, ma nelle ultime settimane si è registrata una cauta apertura verso l’introduzione di un sistema di scambio delle informazioni. Va altresì sottolineato che l'adozione della nuova normativa UE renderebbe inefficaci eventuali accordi bilaterali stipulati da Paesi UE con Paesi terzi (in primo luogo la Svizzera) e finalizzati alla tassazione dei redditi dei cittadini dei medesimi Paesi che hanno investito i propri capitali in territorio elvetico;
§ l'attuazione delle misure previste nel piano d’azione contro la frode e l'evasione fiscale presentato dalla Commissione europea il 6 dicembre 2012 (COM(2012)722).
Il piano d’azione, accompagnato da due raccomandazioni
agli Stati membri, rispettivamente sui paradisi fiscali e la pianificazione fiscale aggressiva, invita gli Stati membri a introdurre nel proprio ordinamento giuridico
una clausola di salvaguardia contro la doppia imposizione, per evitare che essi
si traducano in un'assenza totale di imposizione nonché ad individuare,
utilizzando criteri comuni, i paradisi fiscali e di inserirli in apposite
“liste nere”;
§
l’approvazione, al più tardi entro la fine di
giugno 2013, della proposta
di direttiva sul meccanismo di reazione rapida contro le frodi IVA
(COM(2012)428, vedi infra);
§ il rafforzamento del Codice di condotta sulla tassazione delle imprese del 1997 introducendo misure più efficaci contro la concorrenza fiscale dannosa;
§ la presentazione da parte della Commissione entro la fine dell'anno di una proposta di revisione della direttiva sul trasferimento degli utili tra le società madri e figlie e la prosecuzione da parte della Commissione stessa del riesame delle disposizioni antiabuso della pertinente normativa UE;
§ la continuazione degli sforzi intrapresi a livello mondiale contro l'erosione fiscale, il trasferimento degli utili, la mancanza di trasparenza e le misure fiscali dannose, promuovendo norme di buona governance in materia fiscale con i Paesi terzi e negli appropriati consessi internazionali, quali l'OCSE;
§ l'approvazione entro la fine del 2013 della quarta direttiva contro il riciclaggio (COM(2013)45, presentata il 6 febbraio scorso, e tuttora all’esame delle istituzioni dell’UE), anche al fine di meglio contrastare l’evasione fiscale;
§ l'avvio dell'esame della proposta di modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune società e di taluni gruppi di grandi dimensioni (COM(2013)207, presentata il 16 aprile 2013).
Articolo 2,
commi 6-8
(Monitoraggio e riordino delle
disposizioni
in materia di erosione fiscale)
6. Fermo restando quanto previsto dal comma 5, il Governo redige altresì
annualmente un rapporto, allegato al disegno di legge di bilancio, sulle spese
fiscali, intendendosi per tale qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione
dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore, sulla base di metodi e
di criteri stabili nel tempo, che consentano anche un confronto con i programmi
di spesa, eventualmente prevedendo l'istituzione, con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, di una commissione composta da un numero massimo
di quindici esperti indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze e
dalle altre amministrazioni interessate, senza diritto a gettoni di presenza,
rimborsi o compensi.
7. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali
che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle
mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione,
ferma restando la priorità di tutela dei redditi di lavoro dipendente e
autonomo, dei redditi di imprese minori e dei redditi di pensione, della
famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate,
del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'ambiente. Il Governo
è altresì delegato a procedere, con gli stessi decreti legislativi, in funzione
delle maggiori entrate ovvero delle minori spese realizzate con l'attuazione
del comma 6 e del presente comma, alla razionalizzazione e alla stabilizzazione
dell'istituto della destinazione del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti.
8. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all’articolo 1, norme dirette a coordinare le norme di attuazione dei criteri
di delega di cui ai commi 4 e 7 con le vigenti procedure di bilancio, definendo
in particolare le regole di alimentazione del Fondo per la riduzione
strutturale della pressione fiscale, di cui all’articolo 2, comma 36, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148.
L’articolo 2, commi da 6 a 8, dispone la redazione annuale di un rapporto allegato al disegno di legge di bilancio sulle spese fiscali, cioè su tutte le forme di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, e regime di favore, prevedendo l’eventuale costituzione di una Commissione indipendente composta da un numero massimo di 15 esperti. Il Governo è delegato ad adottare decreti legislativi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono ingiustificate o superate, fermo restando determinate priorità socio-economiche, nonché a razionalizzare e stabilizzare l’istituto della destinazione del 5 per mille dell’IRPEF. Infine, il Governo è delegato a definire in particolare le regole di alimentazione del Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale.
In particolare, il comma 6 prevede che il Governo, fermo quanto previsto dal precedente articolo 2, comma 5, - vale a dire l’impegno a predisporre annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti sul fronte delle misure di contrasto all’evasione - rediga annualmente, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto sulle spese fiscali, sulla base di metodi e criteri stabili nel tempo, che consentano anche un confronto con i programmi di spesa.
Secondo la disposizione per spesa fiscale si intende qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, regime di favore.
Viene prevista l’eventuale costituzione, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di una Commissione indipendente composta da un numero massimo di 15 esperti indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze e dalle altre Amministrazioni interessate, i quali tuttavia non percepiranno gettoni di presenza, rimborsi o compensi.
Si osserva che la disposizione si limita a
fissare il numero massimo di componenti della Commissione, facendo peraltro un
generico riferimento a “altre amministrazioni interessate”, senza fornire
alcuna specifica indicazione. Inoltre non appare chiaro se le diverse agenzie
fiscali possono autonomamente indicare esperti o vi provvede direttamente il
MEF in quanto dicastero di riferimento.
Contemporaneamente
alla redazione del rapporto annuale, il primo
periodo del comma 7 delega il Governo ad introdurre norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese
fiscali (cioè esenzioni, detrazioni, deduzioni, ecc) che appaiono, in tutto
o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o
economiche o che costituiscono una duplicazione. La disposizione prevede che, nella
predisposizione dei decreti legislativi, il Governo tenga conto delle priorità di tutela dei redditi di
lavoro dipendente e autonomo, dei redditi di imprese minori e dei redditi di
pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o
socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e
dell'ambiente.
In proposito si ricorda che nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti evidenzia come la praticabilità di un intervento sulle agevolazioni riflette l’operare di una serie di limiti, condizioni e incertezze, non ultima delle quali un’incidenza distributiva sfavorevole alle classi meno abbienti. Per queste ragioni, sembra alla Corte che la pratica delle agevolazioni non possa essere aperta se non a fronte di una operazione di redistribuzione del prelievo: sarebbero più contenuti gli ostacoli, per effetto di un intervento selettivo che ridurrebbe la platea dei soggetti colpiti; sarebbero concreti gli effetti della contropartita, a seguito di una riforma che per una vasta area di contribuenti dovrebbe risultare sinonimo di riduzione del prelievo; vi sarebbe la possibilità di garantire gli equilibri distributivi che un taglio secco delle agevolazioni farebbe invece saltare.
Il comma 8 della pdl 1122 delega il Governo ad introdurre norme dirette a coordinare le norme di attuazione dei criteri di delega di cui ai commi 4 (rilevazione dell’evasione fiscale) e 7 (revisione delle spese fiscali) con le vigenti procedure di bilancio, definendo in particolare le regole di alimentazione del Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale, di cui all’articolo 2, comma 36, del decreto-legge 13 agosto 2011.
Si ricorda che l’articolo 2, comma 36, del decreto-legge 13 agosto 2011 ha disposto la destinazione delle maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto all'evasione ad un apposito Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale.
A partire dall'anno 2013, il Documento di economia e finanza contiene quindi una valutazione, relativa all'anno precedente, delle maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate derivanti dall'attività di contrasto dell'evasione fiscale. Dette maggiori risorse, al netto di quelle necessarie al mantenimento dell'equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo, nonché di quelle derivanti a legislazione vigente dall'attività di recupero fiscale svolta dalle regioni, dalle province e dai comuni, unitamente alle risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali, confluiscono in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e sono finalizzate al contenimento degli oneri fiscali gravanti sulle famiglie e sulle imprese, secondo le modalità di destinazione e di impiego indicate nel medesimo Documento di economia e finanza.
Si prevede quindi (articolo 2, comma 36.1) la presentazione da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, in allegato alla Nota di aggiornamento al DEF, di un Rapporto annuale contenente i risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione fiscale, indicando le strategie relative alla predetta finalità, aggiornandole e confrontando i risultati con gli obiettivi prefissati. Laddove possibile, nel Rapporto dovrà essere evidenziato il recupero di gettito fiscale attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da parte dei contribuenti.
Il comma 8 della pdl 282 delega il Governo
ad introdurre, a valere sulle risorse rivenienti dal predetto Fondo, norme
volte a riformare l'imposta sui redditi
delle persone fisiche sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
§
riduzione
dell'aliquota relativa al primo scaglione e al terzo
scaglione di reddito (lettera a));
Attualmente, l’IRPEF dovuta dal contribuente è
determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili,
le seguenti cinque aliquote per altrettanti scaglioni di reddito (articolo 11 del TUIR):
a)
23 per cento,
fino a 15.000 euro;
b)
27 per cento,
oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro;
c)
38 per cento,
oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro;
d)
41 per cento,
oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro;
e)
43 per cento,
oltre 75.000 euro.
§
mantenimento di un regime delle agevolazioni
fondato sul sistema delle detrazioni e concentrazione delle agevolazioni sulle detrazioni
da lavoro e per il sostegno dei carichi familiari (lettera b)), con attenuazione della decrescenza della detrazione da lavoro (lettera
c)).
I soggetti che percepiscono redditi di lavoro dipendente e assimilati hanno diritto ad una detrazione dall’imposta dovuta di importo variabile in funzione del reddito complessivo. La detrazione, che è legata in maniera inversamente proporzionale al reddito percepito nell’anno solare (fino ad annullarsi a 55.000 euro di reddito annuo) e va rapportata al periodo di lavoro prestato nell’anno, è pari a:
a. 1.840 euro, se il reddito complessivo non supera 8.000 euro. L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro. Per i rapporti di lavoro a tempo determinato, l’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 1.380 euro;
b. 1.338 euro, aumentata del prodotto tra 502 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 15.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 8.000 euro ma non a 15.000 euro;
c. 1.338 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 55.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 40.000 euro.
La predetta detrazione è aumentata di un importo pari a:
a. 10 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 23.000 euro ma non a 24.000 euro;
b. 20 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 25.000 euro;
c. 30 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 25.000 euro ma non a 26.000 euro;
d. 40 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 26.000 euro ma non a 27.700 euro;
e. 25 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 27.700 euro ma non a 28.000 euro.
Si rammenta che anche i carichi di famiglia danno diritto a detrazioni dall’imposta lorda, di importo differenziato in relazione al rapporto tra il contribuente e il soggetto a carico e in relazione al reddito percepito dal contribuente (l’importo delle detrazioni si riduce all’aumentare del reddito). Esse spettano purché (ai sensi del richiamato articolo 12, comma 2 del TUIR) le persone alle quali si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore a 2.840,51 euro. I familiari per cui possono spettare le agevolazioni sono (giusto il richiamo all’articolo 433 del codice civile):
§ coniuge, figli e in loro mancanza i discendenti più prossimi;
§ genitori e, in loro mancanza, ascendenti più prossimi;
§ fratelli e sorelle;
§ suoceri, nuore, generi;
§ adottanti.
Per il coniuge e i figli la detrazione spetta se sono fiscalmente a carico, ancorché conviventi o residenti all’estero. Per gli altri familiari si prescrive che essi siano conviventi con il contribuenti, ovvero che de da esso percepiscano assegni alimentari non risultanti da provvedimento dell’autorità giudiziaria (articolo 12, comma 1, lettera d) del TUIR).
L’articolo 1, comma 483 della legge di
stabilità 2013 ha previsto l’innalzamento dell’importo delle detrazioni
IRPEF spettanti per figli a carico. In particolare, è stata elevata da 800 a
950 euro la detrazione IRPEF per figli a carico di età pari o superiore a tre
anni, da 900 a 1.220 euro quella prevista per ciascun figlio di età inferiore a
tre anni, nonché dal 220 a 400 quella per ciascun figlio portatore di handicap.
La ricognizione delle spese fiscali (tax expenditures)
Con il termine erosione fiscale si
intendono tutti gli scostamenti previsti dalla normativa (inclusi
i regimi sostitutivi di favore) rispetto al principio generale dell’imposizione fiscale, che in qualche modo
trascende rispetto alla legislazione vigente e fa riferimento a un modello
ideale di sistema fiscale ispirato a principi generali.
Ai sensi dell’articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009, nell’ambito del disegno di legge
di bilancio, gli allegati A e B alla
nota integrativa della Tabella 1 (Stato di previsione delle entrate) recano
gli effetti connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione
di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione
della natura delle agevolazioni, dei
soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.
Tale disposizione tra l’altro prevede, per le entrate, che la nota
integrativa al bilancio di previsione specifichi gli effetti connessi alle
disposizioni normative vigenti evidenziando
separatamente gli effetti di quelle introdotte nell’esercizio, recanti
esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l’indicazione della natura
delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli
obiettivi perseguiti.
Nel rispetto della citata disposizione, l’allegato A del bilancio di
previsione per il 2013 considera gli effetti delle disposizioni in materia
di esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio ivi incluse; l’allegato B contiene solo gli effetti di
quelle introdotte nell’esercizio, ossia le disposizioni intervenute
successivamente alla presentazione del disegno di legge di bilancio per l’anno
finanziario 2012. Nell’allegato B sono, dunque, inclusi unicamente gli effetti
delle disposizioni introdotte da ottobre
2011 a settembre 2012.
Rispetto alle misure dell’allegato A inserito nella nota integrativa
dello stato di previsione delle entrate per l’anno finanziario 2012, il numero delle disposizioni
recanti esenzioni o riduzione del prelievo obbligatorio, nel complesso,
comprende 263 misure (-3), quali
risultanti dalla variazione in aumento derivante dall’ingresso di nuove
disposizioni (Allegato B) introdotte nell’esercizio e da quella in diminuzione
correlata alle disposizioni non più in vigore.
Gli effetti indicati, riferiti al triennio 2013-2015, sono stati
aggiornati per tener conto degli affinamenti delle metodologie di stima di
alcune misure nonché dei dati delle dichiarazioni dei redditi ultimi
disponibili, con estrapolazione all’anno 2013 e proiezioni per il biennio
successivo (2014-2015).
L’ammontare complessivo degli
effetti dei 263 regimi agevolativi indicato
nell’allegato A è pari a 156.231 milioni per il 2013, a 156.168
milioni per il 2014 e a 155.423 milioni per il 2015.
L’allegato B indica un
ammontare degli effetti delle 15 agevolazioni introdotte da ottobre 2011 a
settembre 2012 pari a 1.366 milioni per il 2013, a 2.950 milioni per il
2014 e a 3.638 milioni per il 2015. Tali importi sono comunque contabilizzati
anche nell’allegato A.
Oneri deducibili, detrazioni e oneri detraibili nelle dichiarazioni 2011
Secondo quanto riportato dal
Dipartimento delle finanze sulle dichiarazioni
dei redditi delle persone fisiche (Irpef) relative all’anno di imposta 2011[3], nel 2011 le deduzioni ammontano a 30,9 miliardi di euro, di cui 22,4
miliardi relative ad oneri deducibili 8,5 miliardi per abitazione principale.
Le detrazioni
ammontano a più di 62 miliardi di euro:
il 94% delle detrazioni è composto da carichi di famiglia (18,2%), redditi da
lavoro dipendente e pensione (67,1%) e oneri detraibili al 19% (8,5%).
Rispetto all’anno precedente, il Dipartimento segnala
un decremento delle deduzioni dei contributi ai servizi domestici e familiari
(-4,4%), delle detrazioni per erogazioni a favore di istituzioni religiose
(-3,5%) e delle detrazioni per erogazioni a favore delle Onlus (-6,9%),
attribuendole a scelte di riallocazione della spesa delle famiglie legate al
persistere della crisi economica, mentre continuano ad aumentare le spese
sostenute per addetti all’assistenza alla persona (+5,6%).
La relazione finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale
Si ricorda che nell’ambito
dell’istruttoria relativa al disegno di legge delega per una riforma del
sistema fiscale presentato dal Governo nella passata Legislatura – anche al
fine di conoscere le risorse finanziarie disponibili – il governo aveva
individuato quattro aree da analizzare con il supporto di quattro gruppi di lavoro:
§ il primo presieduto dal professor Piero Giarda,
dell'Università cattolica del Sacro Cuore, al fine di analizzare il bilancio
pubblico per cercare di ridurre la spesa
pubblica e il patrimonio pubblico, verificando la realizzabilità di un programma di dismissioni;
§ il secondo, presieduto dal professor Enrico
Giovannini, Presidente dell'ISTAT, avente il compito di analizzare le
caratteristiche dell’«economia non
osservata» e del suo impatto sui flussi finanziari;
§ il terzo, presieduto dal dottor Vieri Ceriani, capo
del Servizio rapporti fiscali della Banca d'Italia, avente il compito di
analizzare l'area dell'erosione fiscale,
in particolare il regime delle esenzioni e delle agevolazioni;
§ infine, il quarto gruppo di lavoro, presieduto dal
professor Mauro Marè, membro del Consiglio degli esperti del Ministero
dell'economia e delle finanze, attualmente distaccato all'OCSE, avente il
compito di analizzare l'area della
sovrapposizione tra Stato fiscale e Stato sociale.
L'articolo 1 del decreto ministeriale 22 dicembre 2010
aveva quindi previsto l'istituzione del Tavolo
per la riforma fiscale, finalizzato all'acquisizione dei contributi degli
Enti competenti nonché delle parti sociali interessate per la redazione di un
progetto di riforma dell'ordinamento fiscale.
Il 22 novembre 2011 è stata
presentata la relazione finale del
Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale[4] costituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze con la
partecipazione di 32 organizzazioni sindacali, associazioni di categoria e
ordini professionali, coordinato da Vieri Ceriani.
Partendo come base
dall’elenco delle agevolazioni contenute nel disegno di legge di bilancio per
il 2011 (242 misure), il Gruppo di lavoro lo ha integrato considerando
ulteriori misure e regimi, fino a indicare nell’elenco ben 720 misure per un ammontare di 253,7
miliardi di euro, articolate come esposto nella successiva tabella
riepilogativa per tipologia di agevolazione:
Agevolazioni a favore
delle persone fisiche, di cui: |
104,864 |
- Agevolazioni per la casa |
9,489 |
- Agevolazioni per la famiglia |
21,056 |
- Agevolazioni per lavoro e pensioni |
58,095 |
- Agevolazioni per erogazioni liberali e al terzo settore |
0,130 |
- Altre agevolazioni (comprese) |
0,216 |
- Agevolazioni fiscalità finanziaria |
15,878 |
|
|
Agevolazioni in materia
di enti non commerciali |
0,392 |
Agevolazioni reddito
impresa |
31,954 |
Misure che legano
l'imponibile alla rendita catastale |
63,955 |
Agevolazioni in materia
di accisa |
2,372 |
Agevolazioni in materia
di IVA |
40,944 |
Agevolazioni in materia
di bollo, registro e imposte ipocastali |
4,015 |
Misure in materia di
imposte sulle assicurazioni private |
1,229 |
TOTALE AGEVOLAZIONI ERARIALI |
249,725 |
Agevolazioni enti
territoriali (ICI, IPT, TOSAP, ecc) |
4,029 |
TOTALE AGEVOLAZIONI ERARIALI E LOCALI |
253,754 |
La Relazione finale sottolinea che “il
riformatore non potrà esimersi da una disamina e da un vaglio attento delle
singole misure, per decidere riguardo alla loro conservazione, soppressione o
riduzione. Alcune misure incluse nell’elenco delle spese fiscali servono a
rendere il nostro ordinamento compatibile
con quello comunitario e con gli accordi internazionali. Altre misure, come
le detrazioni Irpef per il lavoro
dipendente o per i familiari a carico, costituiscono aspetti strutturali
dell’attuale sistema impositivo e appare opportuno che la loro eventuale
abolizione (o riduzione, o riformulazione) sia inserita nell’ambito di riforme
di più ampia portata, che ne contemperino gli effetti e ne considerino tutte le
implicazioni. Altre misure sono volte ad evitare
doppie imposizioni; per altre l’eventuale soppressione potrebbe comportare
problemi di compatibilità con principi
costituzionalmente garantiti; altre ancora hanno finalità di semplificazione, o intendono favorire l’emersione di imponibili. Pertanto il Gruppo di lavoro ha
provveduto a classificare le diverse agevolazioni secondo i seguenti criteri di
classificazione:
1. Misura che evita doppie
imposizioni
Questo
codice è stato applicato nei casi in cui si potrebbero verificare duplicazioni
di imposte sui redditi. Ad esempio, in caso di: esclusione dall’Irpef degli
assegni periodici per il mantenimento dei figli, spettanti al coniuge separato;
deduzione dall’Irpef degli assegni periodici corrisposti al coniuge; riduzione
dell’imponibile per dividendi e plusvalenze da partecipazione in società di
capitali; esenzione dei redditi dei fondi comuni (mobiliari e immobiliari), che
sono tassati in capo al sottoscrittore delle quote.
2. Misura che garantisce la
compatibilità con l’ordinamento comunitario e il rispetto di accordi
internazionali
Riguarda,
ad esempio: esenzioni o esclusioni in materia di IVA e accise previste dalle
direttive europee; esenzioni da ritenute o rimborso di ritenute su dividendi,
interessi e canoni verso non residenti comunitari previsti dalle direttive
europee; deduzioni o esenzioni a favore della Chiesa cattolica previste dai
Patti Lateranensi.
3. Misura che garantisce il
rispetto di principi di rilevanza costituzionale
Si è
data un’interpretazione restrittiva a questo criterio di classificazione,
prendendo in considerazione solo i principi che hanno più strettamente
attinenza con la specifica materia tributaria: in particolare, uguaglianza,
conformità alla capacità contributiva, progressività (artt. 3 e 53 Cost.).
Inoltre a questo codice è stato attribuito il significato di segnalare
l’eventuale insorgere di problemi di compatibilità con i principi
costituzionali nel caso estremo di soppressione integrale della misura in
esame. Ad esempio, nel caso di abolizione integrale delle detrazioni per
familiari a carico, o di soppressione totale di deduzioni forfettarie di costi
di produzione del reddito (in assenza di possibilità di deduzione analitica
degli stessi costi), o ancora di abrogazione della deducibilità di contributi
obbligatori.
4. Misura finalizzata a interventi
di welfare
Si
tratta di misure rivolte all’individuo, in qualità di contribuente Irpef o di
consumatore, in campo previdenziale,
sanitario, assistenziale e
dell’istruzione. Le misure
fiscali classificate con questo codice sono, nella maggioranza dei casi,
sostituibili con interventi di spesa.
5. Misura volta a garantire la
concorrenzialità rispetto a paesi terzi
Si
tratta di misure volte a garantire la concorrenzialità rispetto a paesi
extra-UE, adottate nel quadro di politiche comuni, o di aiuti di stato ammessi.
Riguarda, in particolare, misure relative al settore dei trasporti, concernenti
accise o imposte dirette (ad esempio, la tonnage tax per il naviglio
iscritto nel registro internazionale).
6. Misura volta alla
semplificazione del sistema
Questo
codice è stato attribuito a diversi tipi di misure, volte a: escludere da Irpef
contribuenti con redditi marginali (ad esempio, fondiari); stabilire imposte
sostitutive su redditi da attività finanziarie; determinare deduzioni
forfettarie di costi ai fini delle imposte sul reddito; disporre esenzioni per
amministrazioni pubbliche o soggetti preposti alla riscossione di tributi.
7. Misura a rilevanza territoriale
Misure
che interessano aree economicamente svantaggiate, zone di montagna, ecc.
8. Misura a rilevanza sociale
Si
tratta di misure a favore delle Onlus e
del terzo settore, della cooperazione, nonché di individui o famiglie, diverse da
quelle di cui al punto 4 (welfare). Sono state censite con questo
codice, ad esempio, le misure a favore della casa, quelle che incoraggiano l’occupazione (anche in modo selettivo), le aliquote IVA ridotte sui
consumi ritenuti più necessari.
9. Misura a rilevanza settoriale
Misura
che interessa uno specifico settore produttivo (ad esempio: agricoltura,
trasporti, banche, assicurazioni, ecc.).
10. Misura volta a favorire
l’emersione degli imponibili
Questo
codice è stato attribuito a misure volte, anche attraverso la creazione di
conflitti di interesse, a favorire l’emersione di imponibili. Ad esempio:
detrazioni Irpef per ristrutturazione di edifici, per interventi di
riqualificazione energetica, per affitti a canone concordato.
11. Misura volta alla tutela
dell’ambiente e del patrimonio artistico, paesaggistico e culturale e ad
incoraggiare la ricerca e lo sviluppo
12. Misura la cui soppressione
può comportare l’esenzione dell’imponibile
Questo
codice segnala che la mera soppressione della misura, non accompagnata da altri
interventi normativi, comporterebbe l’esenzione dell’imponibile.
13. Misura rivolta a imprese o
esercenti arti e professioni, non limitata a un singolo settore produttivo
Misura
che interessa una pluralità di settori produttivi, rivolta a imprese o
esercenti arti e professioni.
14. Misura volta a favorire le
nuove iniziative, la riorganizzazione e la capitalizzazione delle imprese
Questo
codice è stato assegnato a misure come: il regime dei minimi rivolto alle nuove
iniziative produttive; l’esenzione per le somme destinate alle riserve
indivisibili delle cooperative; alle rivalutazioni e ai riallineamenti; alle
reti di imprese.
L’Allegato 2 alla Relazione finale contiene
la valutazione degli effetti finanziari delle misure che costituiscono
esenzioni e riduzioni del prelievo obbligatorio, regimi sostitutivi di favore e
agevolazioni rispetto al regime fiscale vigente, ovvero scostamenti previsti
dalla legislazione rispetto al principio generale dell’imposizione fiscale
(erosione).
Nella Sezione I sono presenti 8 schede relative alle
misure con un consistente impatto in termini di gettito. Le schede illustrano i
contenuti della disposizione, le fonti informative utilizzate e la metodologia
di quantificazione.
Nella Sezione II sono presentate 169 schede
sintetiche relative a ulteriori misure per le quali è stata possibile
effettuare la valutazione ex-post degli effetti di gettito. Per le restanti
misure l’assenza di dati fiscali e la carenza di informazioni non ha reso
possibile la stima degli effetti finanziari.
I tentativi volti a ridurre le tax
expenditures
Un primo intervento volto a ridurre la misura delle agevolazioni era contenuto nel decreto-legge 98 del 2011, il cui articolo 40, comma 1-ter, disponeva la riduzione del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento a decorrere dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al decreto-legge medesimo.
Il successivo comma 1-quater prevedeva la non applicazione di tale riduzione ove, entro il 30 settembre 2013, fossero stati adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale sovrapposti alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi (cioè riduzioni), ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2013 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014.
In seguito l’articolo
1, comma 6 del decreto-legge n. 138 del 2011 ha modificato i richiamati
commi 1-ter e 1-quater anticipando, rispettivamente, al 30 settembre 2012 e a
decorrere dal 2013 gli effetti finanziari ivi previsti, al fine di determinare un
ulteriore effetto positivo, in termini di gettito, pari a 4 miliardi nel 2012 e
a 16 miliardi nel 2013.
Con l’articolo 18 del decreto-legge n. 201 del 2011 il legislatore ha inteso “sterilizzare” le suddette riduzioni delle agevolazioni fiscali. Sostituendo il comma 1-ter del citato articolo 40 si prevedeva, al posto delle riduzioni percentuali delle agevolazioni, l’incremento di 2 punti percentuali delle aliquote IVA del 10 e del 21 per cento (che sarebbero passate al 12 e al 22 per cento) a decorrere dal 1° ottobre 2012. Inoltre, la medesima norma disponeva che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette aliquote aumentassero ulteriormente di 0,5 punti percentuali.
Il comma 1, lettera b), dell’articolo 18 citato, ha recato alcune modifiche al comma 1-quater, prevedendo che i provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale dovessero effettivamente entrare in vigore (e non solo essere adottati) alla data del 30 settembre 2012 ai fini della non applicazione della disposizione sull’aumento dell’IVA. L’articolo 18 ha altresì modificato gli effetti positivi attesi, ai fini dell'indebitamento netto, derivanti dall’articolo 40 del D.L. 98/2011, rideterminandoli in 13.119 milioni di euro per l’anno 2013 e 16.400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.
Successivamente, l’articolo 21 del D.L. 95/2012:
§
ha posticipato
(comma 1) l’incremento delle aliquote IVA del 2 per cento disposto dal D.L. 201
del 2011, fissandone la decorrenza al 1o luglio 2013 e fino al 31
dicembre 2013 (in luogo del periodo 1° ottobre 2012 - 31 dicembre 2012). Di
conseguenza, le norme vigenti prevedono che nel periodo 1° luglio-31 dicembre
2013 le aliquote IVA del 10 e del 21 per cento aumentino, rispettivamente, al
12 e al 23 per cento;
§
ha previsto la
rideterminazione, dal 1o gennaio 2014, di dette aliquote, con un
incremento dell'1 per cento, anziché del 2,5 per cento come previsto dal testo
previgente. Di conseguenza, dal 1° gennaio 2014 le
aliquote IVA del 10 e del 21 per cento saranno rideterminate, rispettivamente,
nella misura dell’11 e del 22 per cento;
§
ha demandato alla
legge di stabilità 2013 l’indicazione delle misure di attuazione del programma
di razionalizzazione della spesa pubblica (previsto dall'articolo 1, comma
1-bis, del decreto legge n. 52 del 2012) e le disposizioni di eliminazione o
riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (previste
dall'articolo 40, comma 1-quater, del decreto legge n. 98 del 2011), prevedendo
che i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti, assieme ai risparmi
derivanti dal riordino di enti ed organismi statali disposti dall'articolo 12
del citato decreto-legge n. 95 del 2012, concorrano ad evitare il previsto
aumento dal 1° luglio 2013 delle aliquote IVA.
La legge di stabilità 2013 ha quindi sostituito il richiamato articolo 40,
comma 1-ter:
§
espungendo il
riferimento al termine finale del 31 dicembre 2013; dunque dal 1° luglio 2013 l’aliquota
IVA del 21 per cento viene rideterminata al 22 per cento (e non al 23 per cento) senza prevedere ulteriori
aumenti nel 2014;
§
mantenendo l’aliquota ridotta al 10%;
Di conseguenza dal 1° luglio 2013 le aliquote IVA saranno le seguenti: 22 per cento (ordinaria, che aumenta così dall’attuale valore del 21 per cento), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta).
Da ultimo, la legge di stabilità
2013 ha previsto l’incremento o la prosecuzione di alcune misure contenute
nell’elenco delle tax expenditures:
§
estensione del beneficio dei contratti
di produttività all’anno 2014;
§
incremento della detrazione Irpef
per figli a carico;
§
aumento delle deduzioni
forfetarie Irap per i lavoratori a tempo indeterminato e per i contribuenti
di minori dimensioni.
Infine il secondo periodo del comma 7 delega il Governo a procedere, in funzione delle maggiori entrate ovvero delle minori spese realizzate con l’attuazione del presente articolo, alla razionalizzazione e stabilizzazione dell’istituto della destinazione del cinque per mille dell’imposta sul reddito IRPEF sulla base delle scelte dei contribuenti.
Il cinque per mille IRPEF
Istituito
dall’articolo 1, comma 337 e ss., della legge finanziaria per il 2006 (legge n.
266 del 2005) a titolo sperimentale e poi confermato annualmente (da ultimo
relativamente all’esercizio finanziario 2013 in relazione alle dichiarazioni
dei redditi 2012 dall’articolo 23, comma 2, del D.L. n. 95/2012), attraverso
tale strumento il contribuente può destinare una quota pari al 5 per mille del proprio gettito IRPEF ad una serie di finalità, indicando per
talune scelte anche il codice fiscale del soggetto beneficiario; per il periodo
di imposta 2013 si tratta delle seguenti finalità:
§
sostegno del volontariato e delle altre
organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle associazioni di promozione
sociale iscritte negli appositi registri nazionale, regionale e
provinciale, delle associazioni e
fondazioni riconosciute che operano in determinati settori;
§
finanziamento
della ricerca scientifica e
dell'università;
§
finanziamento
della ricerca sanitaria;
§
sostegno alle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;
§
sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche
in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di
legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;
§
sostegno alle attività di tutela, promozione e
valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (art. 23, comma 46, D.L.
n. 98 del 6/7/2011);
§
a decorrere dall’anno
finanziario 2012, finanziamento delle attività di tutela, promozione e
valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.
Anche per
l’esercizio 2013 si applica quanto
disposto dal D.P.C.M. 23 aprile 2010 relativamente alle
modalità operative per le finalità e le liste dei soggetti ammessi al riparto
della quota del 5 per mille per l’anno finanziario 2010.
L’articolo 23,
comma 2, del D.L. n. 95/2012, quantifica nell’importo di 400 milioni le risorse complessivamente destinate alla liquidazione della quota del cinque per
mille IRPEF nel 2013.
Articolo 3,
comma 1
(Disciplina dell’abuso del diritto ed
elusione fiscale)
1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle
al principio generale del divieto dell'abuso del diritto, in applicazione dei
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) definire la condotta
abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna
specifica disposizione;
b) garantire la libertà di
scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso
carico fiscale e, a tal fine:
1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa
prevalente dell'operazione abusiva;
2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l'operazione
è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che
costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono
necessariamente una redditività immediata dell'operazione ma rispondono ad
esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e
funzionale dell'azienda del contribuente;
c) prevedere l'inopponibilità
degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all'amministrazione
finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo
risparmio di imposta;
d) disciplinare il regime
della prova ponendo a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di
dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione
funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro mancata
conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul
contribuente l'onere di allegare l'esistenza di valide ragioni extrafiscali
alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;
e) prevedere una formale e
puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione
dell'accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;
f) prevedere specifiche
regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con
l'amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase
del procedimento di accertamento tributario;
Il comma 1 dell’articolo 3 delega il Governo ad attuare la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di disciplinare il principio generale di divieto dell’abuso del diritto, del quale viene fornita una prima definizione che comprende la fattispecie dell’elusione: costituisce abuso del diritto l’uso distorto di strumenti giuridici allo scopo prevalente di ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione (lettera a)).
Resta salvaguardata la legittimità della scelta tra regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario. A tal fine si prevede che l’abuso del diritto si configuri nel caso in cui lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali risulti come causa prevalente dell’operazione abusiva. Al contrario, se l’operazione è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali, l’abuso non si configura. Si precisa che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell'operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente (lettera b)).
La fattispecie abusiva è inopponibile all’amministrazione finanziaria, la quale può disconoscere immediatamente l’indebito risparmio d’imposta (lettera c)).
Nell’ambito dei principi e criteri direttivi è prevista una implementazione della disciplina procedurale sotto i seguenti profili:
§ il regime della prova: a carico dell’amministrazione è posto l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro non conformità ad una normale logica di mercato; a carico del contribuente grava l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali che giustificano il ricorso degli strumenti giuridici utilizzati (lettera d));
§ la motivazione dell’accertamento: nell’atto di accertamento deve essere formalmente e puntualmente individuata la condotta abusiva, a pena di nullità dell’accertamento stesso (lettera e));
§ il contradditorio e il diritto di difesa: devono essere garantiti in ogni fase del procedimento di accertamento tributario (lettera f)).
La norma di delega è volta a riequilibrare il rapporto tra lo strumento anti-elusione e la certezza del diritto, messa in discussione dalla prassi amministrativa di sindacare ex post le scelte dei contribuenti sulla base di orientamenti non noti al momento in cui le operazioni sottoposte a controllo sono già decise ed effettuate.
Pertanto, da un lato è stabilito il generale divieto di utilizzare in modo distorto gli strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione (lettera a)). Dall’altro lato è riconosciuto al contribuente il diritto di scelta tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale, purché essa non sia volta unicamente ad ottenere indebiti vantaggi fiscali; viene riconosciuta l’ammissibilità dell’operazione qualora essa sia giustificata da ragioni extrafiscali “non marginali”; come detto, costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e consistono in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente (lettera b)).
Si ricorda, preliminarmente, che l’abuso del diritto in materia tributaria
è un istituto di origine giurisprudenziale ed è generalmente individuato in
quelle operazioni prive di spessore economico che l’impresa mette in atto con
l’obiettivo principale di ottenere
risparmi di imposta attraverso l’utilizzo distorto di schemi giuridici.
Ognuno di questi schemi singolarmente appare perfettamente legittimo, mentre
l’illegittimità deriva dal fatto che essi nel complesso sono messi in atto unicamente per ottenere vantaggi fiscali.
L’abuso del diritto rientra tra gli istituti cosiddetti antielusivi.
Si ricorda che negli ultimi anni, su iniziativa dei gruppi
parlamentari, si è registrato un significativo dibattito in tema di abuso del
diritto il quale ha evidenziato: l’opportunità di una norma generale anti-abuso per tutte le imposte, non vincolata da
un’elencazione tassativa di fattispecie; l’assimilazione tra elusione fiscale e
abuso del diritto, a fronte di una norma antielusiva vigente nel nostro
ordinamento che è limitata alle imposte dirette e ad alcune specifiche
operazioni espressamente indicate; la fissazione di regole procedurali volte a
garantire il contribuente in ciascuna fase del confronto con l’Amministrazione.
Le esperienze maturate in altri paesi (come Francia e
Germania, sulle quali vedi oltre) mostrano che la codificazione dell’abuso del
diritto consente di dare alle imprese un quadro di certezza e stabilità
normativa e amministrativa. In questi paesi si è intervenuti legislativamente
per ampliare la portata delle norme anti-elusive esistenti e per rafforzare, al
contempo, le garanzie procedurali per i contribuenti, in particolare le imprese.
La definizione di un quadro normativo chiaro ha effetti positivi anche per
l’amministrazione finanziaria che può svolgere con maggiore rapidità ed
efficacia la sua funzione di contrasto dell’elusione, indirizzando la propria
attenzione sui casi meno dubbi e riducendo così le possibilità di contenzioso e
l’incertezza sulle sanzioni.
Tra gli atti di
indirizzo parlamentari presentati alla Camera dei deputati che impegnano il
Governo ad assumere iniziative legislative volte a disciplinare il divieto di
abuso del diritto si segnalano:
§
le mozioni Leo n.
1-00843 e Donadi 1-00846, approvate il 7 febbraio 2012;
§
l’interrogazione
a risposta immediata in Commissione Fugatti n. 5-05602, del 25 ottobre 2011;
§
l’ordine del
giorno Strizzolo 9/2561-A/165, accolto come raccomandazione dal Governo il 27
luglio 2009.
Il dibattito svolto nella Commissione Finanze della Camera ha
evidenziato come sia necessario un intervento normativo, al fine di definire in maniera esplicita il concetto
di “abuso del diritto” all’interno del diritto positivo, rendendo
distinguibile il risparmio d’imposta legittimo dal vantaggio fiscale indebito.
E’ stata inoltre sottolineata la necessità che un principio generale
anti-abuso, allo stato ancora mancante, si applichi a tutte le imposte, non sia vincolato da un’elencazione tassativa
di fattispecie elusive e venga realizzata una piena assimilazione, a livello normativo, tra elusione fiscale e abuso. La distinzione tra risparmio
d’imposta legittimo e vantaggio fiscale indebito dovrebbe far leva sul concetto
di aggiramento delle norme tributarie. La norma generale dovrebbe essere
provvista di garanzie procedurali a
favore del contribuente: attraverso la puntuale regolazione del principio
potrebbero essere rimossi alcuni fattori di criticità emersi in sede
giurisprudenziale, legati, fra l’altro, alla rilevazione d’ufficio dell’abuso e
all’incertezza sulle sanzioni applicabili.
Nel corso dell’esame del decreto legge n. 16 del 2012
(semplificazioni fiscali) sono state presentate proposte emendative volte a prevedere, in caso di elusione fiscale,
l'applicazione di sanzioni non penali
bensì amministrative, con lo scopo di restituire tranquillità ai contribuenti,
ripristinando la certezza del diritto
e delimitando con criteri certi l'area del legittimo risparmio di spesa. In
particolare l’articolo aggiuntivo Leo
8.03 mirava a disciplinare l’elusione fiscale e l’abuso del diritto
tributario, rendendo inopponibili al fisco le operazioni volte ad aggirare
prescrizioni tributarie al fine di ottenere riduzioni di imposta, in contrasto
con lo scopo della norma tributaria. Era definita come legittimo risparmio di imposta la scelta del contribuente tra
diverse fattispecie previste dall’ordinamento che pur avendo un differente
regime tributario producono effetti economici sostanzialmente equivalenti.
Le proposte sono state
peraltro ritirate a seguito
dell’impegno del Governo a definire la questione nell’ambito della delega
fiscale, attraverso “un provvedimento organico, adeguatamente approfondito e
tecnicamente funzionale, che contribuisca a stabilizzare la situazione del
Paese, senza che siano necessari ulteriori interventi correttivi”.
La proposta di legge Zanetti (A.C. 950) intende disciplinare unitariamente le disposizioni di contrasto all’elusione fiscale e all’abuso del diritto in materia tributaria, recependo i principali punti del citato A.C. 5291 e abrogando l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (descritto nel paragrafo successivo).
In aggiunta ai punti in comune con l’articolo in esame, si prevede sul fronte delle sanzioni amministrative pecuniarie la sanzionabilità della condotta elusiva, introducendo però, in ragione della mancata violazione di norme espresse, sanzioni più tenui di quelle previste per il caso dell'evasione (da un minimo del 50 per cento a un massimo del 100 per cento, contro un minimo del 100 per cento e un massimo del 200 per cento), con previsione di sanzioni viceversa più pesanti (da un minimo del 150 per cento a un massimo del 300 per cento, contro un minimo del 100 per cento e un massimo del 200 per cento) qualora il comportamento elusivo si esplichi nell'allocazione all'estero di base imponibile o imposte che sarebbero risultate dovute in Italia (ciò in ragione della particolare gravità e pericolosità sociale di questo tipo di comportamenti). Sul fronte delle sanzioni penali, si prevede la sanzionabilità della condotta elusiva solo qualora si esplichi nell'allocazione all'estero di base imponibile o imposte che sarebbero risultate dovute in Italia.
Le norme procedimentali riprendono la disciplina prevista dall’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, conseguentemente abrogato.
Nell’ordinamento giuridico italiano non è presente una
clausola antielusiva generale. La prima manifestazione normativa di contrasto
alle pratiche abusive è quella dell’articolo 10 della legge n. 408 del 1990: “È
consentito all’amministrazione finanziaria disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di
concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di
capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti e
cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni
economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di
imposta”.
Successivamente per le stesse fattispecie è subentrato
l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (inserito dall’articolo 7 del
D.Lgs. n. 358 del 1997) che costituisce attualmente la norma antielusiva di
riferimento, nell’ambito della disciplina dell’accertamento delle imposte sui
redditi, anche se applicabile ad un
numero chiuso di operazioni.
La norma dispone l’inopponibilità all'amministrazione
finanziaria degli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, se:
§
privi di valide ragioni economiche;
§
diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti
dall'ordinamento tributario;
§
volti ad ottenere
un vantaggio fiscale indebito
(riduzione d’imposta o rimborso).
L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi
tributari conseguiti mediante i suddetti atti, fatti e negozi, applicando le
imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte
dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.
Le norme antielusive si applicano in un numero
circoscritto di casi. Si tratta principalmente di operazioni straordinarie
delle società:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni
volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio
netto diverse da quelle formate con utili;
b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad
oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;
c) cessioni di crediti;
d) cessioni di eccedenze d'imposta;
e) operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544
(ossia fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni, nonché il
trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società);
f) operazioni aventi per oggetto partecipazioni sociali
(quote o azioni) o valute estere e classificazioni di bilancio;
f-bis) cessioni di beni
e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della
tassazione di gruppo (di cui all'articolo 117 del TUIR);
f-ter) pagamenti di interessi e canoni corrisposti
a soggetti residenti in Stati membri dell'Unione europea, qualora detti
pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente
da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea;
f-quater) pattuizioni intercorse tra società
controllate e collegate (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile), una
delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli che
consentono un adeguato scambio di informazioni a fini fiscali (cd. paesi white
list, articolo 168-bis del TUIR), aventi ad oggetto il pagamento di
somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.
L’amministrazione, a pena di nullità, prima di emanare l’avviso di accertamento deve
chiedere al contribuente dei chiarimenti, da inviare per iscritto entro
60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. In tale richiesta devono
essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni
antielusive.
L’avviso di accertamento
deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione
alle giustificazioni fornite dal contribuente. L’amministrazione applica le
imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte
dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. Le imposte o le maggiori imposte
così accertate sono iscritte a ruolo,
unitamente ai relativi interessi, dopo
la sentenza della commissione tributaria provinciale.
I soggetti diversi dai destinatari delle norme
antielusione che hanno partecipato alle operazioni abusive e che hanno pagato
imposte a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione
finanziaria possono richiedere il rimborso delle imposte pagate proponendo, a
tal fine, istanza di rimborso all'amministrazione entro un anno dal giorno in
cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o
conciliazione giudiziale. L’amministrazione provvede nei limiti dell'imposta e
degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.
Infine, la norma dispone la disapplicazione delle norme
tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano
deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive
altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, ove il contribuente dimostri
che, nella particolare fattispecie, tali effetti elusivi non potevano
verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore
regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente
l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la
disapplicazione.
La necessità di codificare a livello legislativo
l’istituto dell’abuso del diritto nasce a seguito della formazione, in seno
alla Corte di Cassazione, di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale
sono inopponibili all'erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di
abuso del diritto in materia tributaria.
In un primo momento (anni 2000-2002), la Corte di Cassazione, posta innanzi
alla questione dell’elusione fiscale e, in particolare, dei limiti entro cui
essa può dar luogo ad atti che vengano dichiarati privi di efficacia nei
confronti della Amministrazione, ha
qualificato come elusivi, quindi irrilevanti nei confronti del fisco, solo quei comportamenti che tali sono
definiti da una legge vigente al momento in cui essi sono venuti in essere
(cfr. Cass. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002,
n. 3345.
Tale orientamento è stato messo successivamente in
discussione a seguito della sentenza Halifax della Corte di
Giustizia UE (causa C-255/02,
depositata il 21 febbraio 2006)
nella quale, in sostanza, sono stati riqualificati a fini Iva i comportamenti del contribuente, in ragione della natura “abusiva del diritto” degli
stessi. La Corte di Giustizia in quell’occasione ha precisato che, per parlarsi
di comportamento abusivo le operazioni controverse devono - nonostante
l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni
della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale di recepimento -
procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria
all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Deve altresì risultare,
da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente
lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. Si sottolinea, tuttavia, che la giurisprudenza comunitaria è limitata ai
tributi armonizzati (IVA e dazi doganali): si veda, da ultimo, la sentenza
della Corte di Giustizia del 29 marzo 2012, causa C-417/10.
Si è quindi registrata un’evoluzione interpretativa da parte della Corte di Cassazione,
concretizzatosi in alcune pronunce della fine del 2005 (Cass. n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre
2005 e n. 22932 del 14 novembre 2005). In particolare, la sentenza n.
20816/2005 ha enunciato il principio di diritto secondo cui l'Amministrazione finanziaria, quale terzo
interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre
(prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la
simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la
loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344
c.c.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche
attraverso presunzioni.
La Corte dunque, anche con riferimento ai “tributi non armonizzati” (ovvero
soggetti alla piena normativa degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati
membri) ha avanzato il principio del disconoscimento o della riqualificazione
fiscale degli atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente, in
presenza di presupposti integranti i profili dell’elusione o comunque
dell’abuso di diritto.
Dalla sentenza n. 22392 del 2005 si ricavano i
requisiti oggettivi che caratterizzano il comportamento abusivo ai fini
fiscali:
§
l’uso distorto,
anche se formalmente lecito, degli strumenti giuridici da parte del
contribuente;
§
la presenza di un
vantaggio fiscale;
§
l’assenza di
valide ragioni economiche.
Dal 2006 e fino alla fine del 2008, la Corte di
Cassazione ha affermato il divieto dell’abuso del diritto facendo
principalmente rinvio alla giurisprudenza comunitaria. L’esigenza di un
chiarimento delle Sezioni Unite in materia tributaria sull’abuso del diritto era stato da
tempo invocata, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, per delineare e
conformare interpretazioni differenti, soprattutto per i giudici di merito, ai
fini di una individuazione di presupposti oggettivi certi su cui fondare la
pianificazione fiscale nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, con tre sentenze (n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23
dicembre 2008), si sono pronunciate sulla questione, enunciando alcuni
fondamentali principi di diritto:
§ esiste nell’ordinamento tributario un generale
principio antielusivo, la cui fonte va rinvenuta non nella giurisprudenza
comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che
informano l'ordinamento tributario italiano, segnatamente nell’articolo 53
della Costituzione che afferma i principi di capacità contributiva (comma
1) e di progressività dell'imposizione (comma 2). Tali principi costituiscono
il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che
attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere. In virtù
di tale principio generale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi
fiscali dall'utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio fiscale “in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che
giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio
fiscale”;
§ l’esistenza di questo principio non contrasta
né con le successive norme antielusive sopravvenute, che appaiono “mero
sintomo” dell’esistenza di una regola generale, né con la riserva di legge
di cui all’articolo 23 della Costituzione, in quanto il riconoscimento di un
generale divieto di abuso non si traduce nell’imposizione di ulteriori obblighi
patrimoniali non derivanti dalla legge, ma solamente nel disconoscimento degli
effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere
l’applicazione delle norme fiscali;
§
l’inopponibilità del negozio
abusivo all'erario è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità.
La Corte ricorda che, per costante giurisprudenza, sono infatti rilevabili
d'ufficio le eccezioni poste a vantaggio dell'amministrazione in una materia,
come quella tributaria, da essa non disponibile.
Una sostanziale
e incisiva rivisitazione della nozione
dell’abuso del diritto in materia tributaria si è avuta infine
con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte
ha affermato che “l’applicazione del
principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario
trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente
aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si
tratta di attività d’impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi
recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. tax shelters e quindi ad una ricerca comune a tutte le esperienze giuridiche, di
individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione
della clausola generale anti abuso”. Pertanto il
carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale di
ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività
immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e
consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Infatti “il
sindacato dell’amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una
misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè
una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico
fiscale”.
Anche dal punto di vista dell’onere della prova la sentenza n. 1372/2011 contiene un’affermazione rilevante: l’applicazione
del principio dell’abuso del diritto comporta per l’amministrazione finanziaria
l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese
dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero
vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario.
Da ultimo, la Corte
di Cassazione con la sentenza n.
7739 del 2012 ha affermato la rilevanza
penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di
abuso del diritto (si veda oltre l’approfondimento).
La Corte dei
conti, nel rapporto per il 2012 sul coordinamento della finanza pubblica,
ha affermato che la disciplina dell’abuso del diritto discendente
dall’elaborazione giurisprudenziale ha corroborato l’azione di contrasto dei
comportamenti elusivi svolta dall’amministrazione finanziaria, inducendo in
numerosi casi i grandi contribuenti a definire bonariamente la pretesa tributaria,
con evidenti benefici sul piano sanzionatorio e della certezza dei rapporti
giuridici. Tutto ciò ha dato luogo a notevoli effetti positivi in termini di
entrate erariali, tanto che gran parte dei risultati finanziari conseguiti
dall’attività di accertamento degli ultimi anni deriva essenzialmente
dall’attività antielusiva svolta nei confronti delle grandi imprese.
Rilevanza
penale dell’abuso del diritto
In una prima versione del disegno di
legge (A.C. 5291) si prevedeva l’esclusione della rilevanza penale della
condotta che integra l’abuso del diritto. Sul punto si segnala che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7739 del 2012 ha affermato
la rilevanza penale dell’elusione
attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto. In particolare,
la Cassazione ha affermato che è configurabile il reato di cui all’articolo 4
del D.Lgs. n. 74 del 2000 (infedele dichiarazione, oltre una certa soglia di
imposta non dichiarata) quando la condotta del contribuente, risolvendosi in
atti e negozi non opponibili all’Amministrazione finanziaria, comporti comunque
una dichiarazione non veritiera.
In una successiva pronuncia (sentenza
n. 19100 del 3 maggio 2013) la Cassazione ha riaffermato l'orientamento che
ammette la compatibilità fra abuso del diritto e reato. In particolare, la
Corte suprema ha stabilito che rientra nell'ambito di applicazione
dell'articolo 4 del D.Lgs. 74/2000 la condotta del contribuente idonea a
determinare una riduzione della base imponibile, realizzata attraverso
particolari conferimenti (rilevanti ex articolo 37-bis, comma 3, D.P.R.
600/1973) a una società a responsabilità limitata, comunque riferibile al suo
ambito familiare.
In
proposito, va dato conto dell'esistenza anche di pronunce di senso contrario,
secondo le quali "la violazione delle norme antielusive, in linea di
principio, non comporta conseguenze di ordine penale" (Cass. n.
23730/2006), poiché "la figura del cosiddetto abuso del diritto,
qualificata dall'adozione (al fine di ottenere un vantaggio fiscale) di una forma
giuridica non corrispondente alla realtà economica, non ha valore probatorio
perché implica una presunzione incompatibile con l'accertamento penale, ed è
invece utilizzabile in campo tributario come strumento di accertamento
semplificato…".
Tuttavia,
la tesi della possibilità di rilevanza penale dei comportamenti elusivi appare
prevalente, poiché fatta propria dalla novella del 2000 del diritto penale
tributario, come interpretata anche dalle sezioni unite della Cassazione (nn.
27/2000, 1235/2010) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 49/2002).
Al riguardo si evidenzia che il successivo
comma 9 della proposta di legge (alla
cui scheda si rimanda), nell’elencare i criteri direttivi per la revisione del
sistema sanzionatorio, esplicita che verrà dato più rilievo al reato per comportamenti fraudolenti,
simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa,
nonché all’individuazione dei confini
tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative
conseguenze sanzionatorie. Si prevede, inoltre, la revisione del regime
della dichiarazione infedele.
La dottrina ha definito l’abuso del diritto
come l’utilizzo di singole disposizioni dell’ordinamento giuridico secondo
modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate,
portano a un risultato difforme o addirittura antitetico rispetto ai principi e
alle finalità che sottendono all’ordinamento giuridico di cui quelle stesse
norme sono parte (cfr. E. Zanetti, “Abuso del diritto: in particolare sulla
rilevabilità d’ufficio e sull’applicazione delle sanzioni” , in “Il fisco” n.
38 del 18 ottobre 2010, pag. 1-6123).
In ambito
tributario, l’abuso del diritto consiste nell’utilizzo, anche combinato, delle norme di diritto positivo
che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenere risparmi di
imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche
norme di riferimento, risultano contrari
alle logiche e ai principi cui è informato l’intero ordinamento
tributario.
In dottrina, in particolare, si è discusso
dell’opportunità di considerare tra gli elementi qualificanti della fattispecie
l’assenza di “valide ragioni economiche”
nell’operazione effettuata dal contribuente. Si tratta di un elemento, come visto,
considerato essenziale dalla giurisprudenza della Cassazione.
In particolare tale requisito è contestato quando è la
stessa legge tributaria a prevedere regimi fiscali alternativi i quali hanno a
loro volta giustificazioni puramente fiscali, disgiunte dal risultato pratico
dell’operazione. Tipico, ad esempio, è il caso dell’articolo 176 del TUIR dove
la “non elusività” della scelta di cedere le partecipazioni della società
conferitaria dell’azienda anziché vendere l’azienda medesima è espressamente stabilita
dalla legge. Si tratta, quindi, di regimi diversificati per ragioni di ordine
puramente fiscale che non possono che condurre a scelte orientate da
valutazioni di natura fiscale e, come tali, non sindacabili in base al
parametro delle “valide ragioni economiche”.
Vi sono tuttavia ipotesi in cui esistono regimi
fiscali differenziati rispetto a operazioni anch’esse praticamente equivalenti
la cui ragione giustificatrice non è facilmente individuabile o perché
indeterminata fin dall’origine, o perché divenuta tale nel tempo. Si fa
riferimento alla possibilità per le società agricole di optare per la
tassazione su base catastale, riconosciuta solo alle società di persone e alle
società a responsabilità limitata, ma non alle società per azioni, e ciò in modo
del tutto indipendente da qualsiasi altra caratteristica strutturale (volume
d’affari, numero dei soci, regole organizzative interne, ecc.). Fin quando la
linea di discrimine era individuata nel carattere “personale” della società, si
poteva ipotizzare che il legislatore avesse voluto limitare il beneficio alle
sole ipotesi in cui l’attività agricola era più direttamente riferibile alle
persone fisiche. Ma l’inclusione fra i soggetti che possono esercitare
l’opzione anche delle società a responsabilità limitata rende la
discriminazione incomprensibile. Sembra allora desumibile che la scelta della
forma societaria da assumere può legittimamente dipendere da motivi puramente
fiscali senza che ciò implichi alcun abuso di diritto (cfr. Guglielmo Fransoni, «Appunti su abuso di diritto e “valide
ragioni economiche”», in "Rassegna Tributaria" n. 4 del 2010, pag.
932). Si veda inoltre Andrea Manzitti, “L’abuso del diritto va sottratto
all’equivoco”, in “Il Sole 24 Ore” del 14 aprile 2012. Si riporta, inoltre, l’opinione
critica di chi sostiene che l’espressione “abuso del diritto” confonda fenomeni
totalmente diversi quali la simulazione e l’elusione (G. Falsitta, “Manuale di
diritto tributario”, Padova 2010).
In via preliminare si evidenzia che il 6 dicembre 2012 la Commissione europea ha pubblicato un Piano di azione per il contrasto alle frodi e all’evasione fiscale nell’ambito dell’Unione europea e nei rapporti con i Paesi terzi, facendo seguito all’invito del Consiglio europeo del 2 marzo 2012 a lavorare in tal senso. Come parte di questa iniziativa, la Commissione ha rivolto una Raccomandazione agli Stati Membri affinché adottino specifiche misure volte al contrasto delle forme di pianificazione fiscale aggressiva. A tal fine, gli Stati Membri sono stati invitati a introdurre nei propri ordinamenti una norma generale antiabuso nel settore delle imposte dirette, applicabile sia ai rapporti nazionali, sia a quelli transnazionali.
Peraltro, tra le conclusioni del Consiglio europeo del 22 maggio, in gran parte dedicato a questioni di natura fiscale, tra le altre cose si attribuisce carattere prioritario a l'attuazione delle misure previste nel citato piano d'azione contro la frode e l'evasione fiscale presentato dalla Commissione europea il 6 dicembre 2012.
In particolare nella Raccomandazione del 6 dicembre 2012 la Commissione, per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non rientrano nell’ambito di applicazione delle norme nazionali specifiche intese a combattere l’elusione fiscale, invita gli Stati membri ad adottare una norma generale antiabuso adattata alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono paesi terzi. Gli Stati membri sono incoraggiati a inserire la seguente clausola nella legislazione nazionale:
«Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro «sostanza economica».
Nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 6 giugno 2013, il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, al riguardo ha evidenziato che la ratio dello schema di norma proposto dalla Commissione europea è quella tipica delle norme anti-abuso di carattere generale. L’impostazione è volta ad evitare formulazioni che possono rivelarsi a posteriori inadeguate al manifestarsi di sempre nuove forme di pianificazione fiscale e a garantire che, attraverso un’adozione uniforme, si scongiuri il rischio di arbitraggi connessi all’assenza di norme antiabuso negli Stati Membri tanto con riferimento alle operazioni domestiche quanto a quelle transfrontaliere.
Si segnala che in ambito internazionale (Ocse, Ue, G20) si registra una sempre maggiore attenzione al contrasto all'evasione fiscale internazionale e all'utilizzo dei "paradisi fiscali". In ambito Ocse, in particolare, si sta adottando un piano d'azione in materia (Base Erosion and Profit Shifting) per contrastare pratiche fiscali aggressive nell'ambito della tassazione societaria volte a eludere il pagamento delle imposte.
Il tema dell’abuso del
diritto è stato affrontato anche in
altri paesi (ad esempio, Francia e Germania), dove si è intervenuti
legislativamente, con modifiche a norme antielusive già esistenti, di cui si è
ampliata la portata. Le nuove normative prevedono un rafforzamento delle
garanzie procedurali per i contribuenti.
In Francia è prevista una norma generale anti-abuso che si
caratterizza per essere una disposizione procedurale, la quale definisce il
concetto di abuso del diritto solo in via strumentale, al fine di delimitare le
modalità a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per contrastarlo. A
partire dal 2006, alcune pronunce giurisprudenziali del Consiglio di Stato
francese, insieme a quelle della Corte di Giustizia europea, hanno alimentato
il dibattito sull’abuso del diritto, alla base del cd. “rapporto Fouquet”,
predisposto da una commissione ministeriale. In estrema sintesi, il rapporto
evidenziava come il contrasto all’abuso del diritto doveva essere affrontato in
termini di maggiore certezza giuridica e di maggiori garanzie procedurali per
il contribuente nei confronti delle pretese dell’Amministrazione. Il
legislatore francese, seguendo quanto suggerito dal “rapporto Fouquet”, ha
modificato la legislazione in materia di abuso del diritto; le nuove norme si
applicano a partire dal 1° gennaio 2009. Si è passati a una clausola generale anti-abuso basata su
una definizione più ampia del concetto di abuso, mantenendo invariate le garanzie procedurali dei contribuenti,
che ne escono anzi rafforzate grazie alla nuova composizione del comitato
consultivo. E’ infatti previsto un “comitato sull’abuso del diritto fiscale”,
che, per tutelare gli interessi e le posizioni dei contribuenti, è composto non
solo da membri di nomina governativa, come avveniva in passato, ma anche da
componenti rappresentanti delle professioni contabili e giuridiche.
In Germania già la legge generale tributaria tedesca del 1977
prevedeva una clausola generale
anti-abuso, che non definiva però il concetto di abuso del diritto; la sua
vaghezza era di ostacolo tanto ai contribuenti quanto alle autorità fiscali.
Nel corso degli anni, la Corte federale tributaria tedesca (Bundesfinanzhof, o
BFH) ha cercato di colmare questa lacuna; nelle sue pronunce sono state spesso
considerate abusive quelle strutture che apparivano inusuali, artificiose e non
finalizzate al perseguimento di valide ragioni economiche. Nel 2008 si è deciso
di introdurre una definizione di abuso del diritto: questo si verifica solo
quando il contribuente sceglie una struttura
legale “inadeguata” rispetto al fatto economico, che comporta per lui o per
un terzo, in confronto ad una forma adeguata, un beneficio fiscale non previsto dalla legge. L’abuso non si
concretizza se il contribuente dimostra che la forma giuridica scelta risponde
a ragioni extrafiscali meritevoli di tutela. L’onere della prova circa l’appropriatezza o meno delle strutture
utilizzate è a carico delle autorità fiscali tedesche. Dinanzi alla contestazione
di inappropriatezza degli schemi utilizzati, il contribuente potrà replicare
dimostrando che l’operazione è comunque motivata da rilevanti ragioni di natura
non tributaria.
In Gran
Bretagna non è presente una disciplina generale sulla frode alla legge o
sull’elusione. Ciò significa che, in linea di principio, nell’ambito di tale
ordinamento, non è di per sé illecito strutturare un negozio giuridico con
modalità tali da eludere l’applicazione di determinate disposizioni di legge,
anche qualora si tratti di leggi che vietano l’utilizzo di strutture poste in
essere al fine di non pagare i tributi.
Nel Regno Unito, pertanto, non esiste, ai fini
fiscali, una norma di legge che abbia carattere generale, mentre esistono, per
un certo numero di imposte e per specifiche finalità, una serie di norme
speciali finalizzate ad evitare che, in relazione ad una determinata
fattispecie, si possa “abusare” di un certo incentivo fiscale.
Al riguardo, occorre evidenziare che il sistema
giuridico inglese ha sempre attribuito maggiore rilievo alla “sostanza” di un
negozio giuridico, piuttosto che alla sua “forma”. Di conseguenza, se la
qualificazione giuridica che le parti hanno attribuito al negozio (es. una
donazione) non corrisponde agli effetti concretamente voluti dalle parti (es.
quelli di un “prestito”), le Corti faranno esclusivo riferimento all’effettiva
intenzione delle parti.
In tale contesto spetta al contribuente provare che
non è dovuta l’imposta relativa ad una determinata operazione e, in taluni
casi, lo stesso può addurre che la transazione è ispirata da ragioni di bona
fides commerciale e che non persegue lo scopo principale di ottenere
vantaggi fiscali. Dal canto proprio, l’Amministrazione ha ampi poteri di
accertamento dei comportamenti elusivi posti in essere dai contribuenti e ciò
spiega la possibilità, in relazione a molte disposizioni di ampio tenore, di
ricorrere a procedure di clearance (una sorta di interpello), finalizzate ad evitare l’applicazione
delle norme antielusive.
In Spagna la
normativa finalizzata a contrastare la c.d. Fraude a la Ley tributaria
non ha mai avuto una concreta applicazione, richiedendo la normativa fiscale,
fin dall’origine, l’accertamento dell’“intenzione ingannatoria”, difficilmente
accertabile nei fatti.
L’elusione in
ambito internazionale si manifesta come quell’arbitraggio che si realizza
ogni qual volta il contribuente pone in essere un’operazione transnazionale con
l’intento di trarre vantaggio dalle diverse tipologie e modalità di imposizione
esistenti nei vari Paesi, in maniera da ridurre al minimo il proprio carico
impositivo (c.d. “arbitraggio fiscale dannoso”). Ciò risulta possibile proprio
perché gli ordinamenti giuridici dei vari Stati risultano estremamente diversi
tra loro.
Lo sfruttamento delle differenze esistenti negli
ordinamenti fiscali europei deve, tuttavia, fare i conti con i principi del
diritto fiscale internazionale e del suo ruolo nell’interpretazione delle leggi
nazionali e delle Convenzioni fiscali contro la doppia imposizione, nel
rispetto dei limiti della sovranità statale e della giurisdizione nazionale in
materia fiscale. In tal senso, infatti, lo stesso Commentario al Modello di Convenzione OCSE opportunamente
modificato nel 2003, dispone all’art. 1 che “…laddove la disposizione contro
l’abuso fiscale siano incardinate alle regole fondamentali della legislazione
nazionale che determinano i fatti generatori dell’imposta, le stesse non sono
influenzate dalle convenzioni in quanto dette regole sono estranee alla materia
considerata dalle convenzioni fiscali. Pertanto, di regola non vi sarà
conflitto tra tali disposizioni e le disposizioni delle convenzioni fiscali
(…)”.
Articolo 3,
commi 2-7
(Gestione del rischio fiscale, governance
aziendale e tutoraggio)
2. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all’articolo 1, norme che prevedano forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzata tra le imprese e l’amministrazione finanziaria, nonché, per i
soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati
di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di
responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.
3. Il Governo è altresì delegato a prevedere, nell’introduzione delle
norme di cui al comma 2, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i
contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, nonché forme specifiche
di interpello preventivo con procedura abbreviata.
4. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, disposizioni per revisionare e per ampliare il sistema di
tutoraggio al fine di garantire una migliore assistenza ai contribuenti, in
particolare a quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, per
l'assolvimento degli adempimenti, per la predisposizione delle dichiarazioni e
per il calcolo delle imposte, nonché al fine di assisterli nel processo di
consolidamento della capacità fiscale correlato alla crescita e alle
caratteristiche strutturali delle imprese.
5. Nell’introduzione delle norme di cui al comma 4 il Governo prevede
l’istituzione di forme premiali, consistenti in una riduzione degli
adempimenti, in favore dei contribuenti che aderiscano ai meccanismi di
tutoraggio.
6. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all’articolo 1, disposizioni volte ad ampliare l’ambito applicativo
dell’istituto della rateizzazione dei debiti tributari, in coerenza con la
finalità della lotta all’evasione fiscale e contributiva e con quella di
garantire la certezza, l’efficienza e l’efficacia dell’attività di riscossione,
in particolare:
a) semplificando gli adempimenti amministrativi e patrimoniali a carico
dei contribuenti che intendono avvalersi del predetto istituto;
b) consentendo al contribuente, anche ove la riscossione del debito sia
concentrata nell’atto di accertamento, di richiedere la dilazione del pagamento
prima dell’affidamento in carico all’agente della riscossione, ove dimostri di
versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
7. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, disposizioni per la revisione generale della disciplina degli
interpelli, allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fini di
una migliore tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella
redazione dei pareri.
L’articolo 3, commi 2-7, delega il Governo ad introdurre norme volte alla costruzione di un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata.
Le imprese di maggiori dimensioni dovranno costituire sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni. A fronte di ciò saranno previsti minori adempimenti per i contribuenti, con la riduzione delle eventuali sanzioni, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata (commi 2 e 3).
È previsto l’ampliamento del tutoraggio dell’amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti, in particolare quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, ai fini dell’assolvimento degli adempimenti, della predisposizione delle dichiarazioni e del calcolo delle imposte e per assisterli nel processo di consolidamento della capacità fiscale correlato alla crescita e alle caratteristiche strutturali delle imprese (comma 4).
Nell’ambito della riforma del sistema del tutoraggio è prevista l’istituzione di forme premiali, consistenti in una riduzione degli adempimenti, in favore dei contribuenti che vi aderiscano (comma 5).
Il Governo è delegato, inoltre, ad ampliare l’ambito applicativo della rateizzazione dei debiti tributari, al fine di contrastare l’evasione fiscale e contributiva e di garantire la certezza, l’efficienza e l’efficacia dell’attività di riscossione. In particolare si prevede: la semplificazione degli adempimenti amministrativi e patrimoniali per accedere alla rateizzazione; la possibilità di richiedere la dilazione del pagamento prima dell’affidamento in carico all’agente della riscossione anche nel caso di accertamento esecutivo (comma 6).
Infine si prevede la revisione della disciplina degli interpelli, per garantirne una maggiore omogeneità anche ai fini di una migliore tutela giurisdizionale ed una maggiore tempestività nella redazione dei pareri (comma 7).
La ricerca di più efficaci strategie di azione da parte delle amministrazioni fiscali passa, come suggerito dall'OCSE, attraverso l'introduzione di incentivi per i contribuenti più corretti e di disincentivi per quelli che scelgono di perseverare in comportamenti di pianificazione fiscale aggressiva (aggressive tax planning). In questo contesto, diventa cruciale la costruzione di un migliore rapporto fisco-contribuenti ("enhanced relationship"), basato su dialogo, fiducia reciproca, collaborazione, piuttosto che sul confronto conflittuale.
Le esperienze di altri paesi dimostrano la validità di relazioni collaborative tra fisco e contribuenti, nonché con i consulenti fiscali, atteso il ruolo di intermediazione da essi svolto. La costruzione di un migliore rapporto tra le parti contribuisce alla creazione di un quadro ordinamentale più affidabile, in grado di favorire gli investimenti delle imprese.
Va rilevato che il recente decreto legge «salva Italia» (n. 201 del 2011, articolo 10, commi 1-13) ha già in parte anticipato tale previsione, introducendo, dal 2013, il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono attività artistica, professionale o di impresa, in forma individuale o associata (escluse le società di capitali). Si tratta di un regime finalizzato a incoraggiare la trasparenza fiscale e l'emersione.
La norma è congeniata in modo da abbinare la volontaria accettazione di adempimenti in grado di rafforzare fortemente i controlli e l'accertamento da parte del fisco (in particolare sono previsti: l'invio telematico all'amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute; la tracciabilità delle operazioni bancarie di tutti i movimenti finanziari di importo superiore a 1.000 euro; l'accesso diretto alle evidenze sulle disponibilità finanziarie) a una serie di vantaggi di tipo premiale, quali: la drastica semplificazione degli adempimenti amministrativi; il tutoraggio prestato dall'amministrazione fiscale, sia ai fini degli adempimenti Iva, sia ai fini degli adempimenti in qualità di sostituto d'imposta; una corsia preferenziale per i rimborsi e le compensazioni dei crediti Iva; l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore; la riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette.
Per i soggetti di maggiori dimensioni il Governo è delegato a disciplinare sistemi aziendali strutturati di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni.
Il comma 3 prevede che nella introduzione delle norme relative alla comunicazione e cooperazione rafforzata tra imprese e amministrazione finanziaria e alla gestione del rischio fiscale, il Governo possa, altresì, prevedere incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzione delle eventuali sanzioni, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata.
Nel corso
dell’esame parlamentare dell’A.C. 5291 era emersa al riguardo la necessità di
favorire nelle imprese la diffusione di modelli della funzione fiscale basati
non più esclusivamente sulla "minimizzazione degli oneri fiscali", ma
su una vera e propria "gestione del rischio di compliance fiscale". L'adozione di questi modelli implica che
le imprese costruiscano una "mappa" dei rischi di compliance fiscale, approntino
meccanismi di gestione e controllo dei medesimi rischi e definiscano una chiara
attribuzione delle responsabilità, nel quadro del complessivo sistema dei
controlli interni e di governance
aziendale.
Queste nuove modalità di gestione dei rischi
costituiscono la piattaforma su cui innestare nuove e più evolute forme di
verifica da parte del fisco. L'enfasi del controllo si sposterebbe sulla
verifica dell'affidabilità e coerenza del sistema di gestione e controllo dei
rischi fiscali dell'impresa, in un rapporto di interlocuzione con gli organi di
gestione aziendale e con gli auditors.
Le verifiche dovranno in ogni caso tenere conto dell'esigenza di minimizzare
gli impatti sull'ordinario svolgimento dell'attività d'impresa.
Si ricorda che l’articolo 27 del D.L. n. 185 del 2008 ha introdotto, con riferimento ai controlli fiscali nonché alle procedure di liquidazione automatica e di controllo formale, una specifica disciplina per i contribuenti di grandi dimensioni.
La macrotipologia dei "grandi contribuenti" comprende i contribuenti con volume d'affari, ricavi o compensi superiori a cento milioni di euro. In via generale, tale soglia di riferimento deve essere individuata considerando, per ciascun periodo d’imposta, il valore più elevato tra i seguenti dati, indicati nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e ai fini Iva:
§ i ricavi (articolo 85, comma 1, lett. a) e b), del Tuir)
§ l’ammontare lordo complessivo dei compensi derivanti dall’esercizio di arti e professioni (articolo 53, comma 1, del Tuir)
§ il volume d’affari (articolo 20 del D.P.R. n. 633/1972)
I grandi contribuenti sono soggetti alle seguenti attività di controllo da parte delle Direzioni regionali:
a) attività di liquidazione (articoli 36-bis del D.P.R. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. 633/1972) relativa ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi;
b) controllo formale previsto dall'articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, relativamente ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi;
c) controllo sostanziale con riferimento al quale, alla data del 1° gennaio 2009, siano ancora in corso i termini previsti dall'articolo 43 del D.P.R. 600/1973 e dall'articolo 57 del D.P.R. 633/1972;
d) recupero dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione (articolo 17 del D.Lgs. 241/1997) con riferimento ai quali, alla data di entrata in vigore del D.L. 185/2008, siano in corso i termini per il relativo recupero;
e) gestione del contenzioso relativo a tutti gli atti di competenza delle strutture stesse;
e-bis) il rimborso in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, relativo ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi.
All’interno della tipologia di contribuenti sopra descritta, vi è la sottocategoria delle "imprese di più rilevante dimensione", ossia quelle che nell’anno d’imposta considerato presentano un volume d’affari o ricavi non inferiore a centocinquanta milioni di euro (duecento milioni fino al 31/12/2010 e trecento fino al 31/12/2009). Tale soglia è funzionale all’individuazione dei contribuenti sottoposti all’ulteriore attività di tutoraggio, ed è destinata a sovrapporsi alla soglia di identificazione dei grandi contribuenti entro il 31 dicembre 2011.
L’Agenzia delle Entrate, per mezzo degli uffici delle Direzioni regionali, attiva, di norma entro l’anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni, un controllo sostanziale a carico delle imprese di più rilevante dimensione, sia in materia di imposte dirette che di Iva. Tale controllo viene attivato in base alle risultanze di specifiche analisi di rischio concernenti il settore produttivo di appartenenza dell'impresa o, se disponibile, il profilo di rischio della singola impresa, dei soci, delle partecipate e delle operazioni effettuate, desunto anche dai precedenti fiscali. L’attività di tutoraggio consiste, pertanto, in un monitoraggio dei comportamenti di queste imprese, attraverso l’utilizzo di approcci differenziati in considerazione delle caratteristiche di tale tipologia di soggetti. A ciascun contribuente tutorato viene attribuito un livello di rischio differente per grado e tipologia, funzionale all’individuazione della più adeguata modalità istruttoria da utilizzare nel controllo.
Nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze della Camera del 31 gennaio 2012, il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera ha affermato che nel 2012 l’istituto del “tutoraggio” dei soggetti di grandi dimensioni è entrato a pieno regime: la platea dei soggetti si è estesa a tutti quelli con volume d’affari o ricavi non inferiori a 100 milioni di euro. I grandi contribuenti nei cui confronti sarà svolto il tutoraggio passano quindi dai circa 2.000 del 2011 agli oltre 3.100 del 2012.
Con riferimento ai grandi contribuenti l’Agenzia delle entrate ha reso noto di aver intrapreso da tempo, anche attraverso il ruling internazionale, un percorso ispirato alla strategia delle cosiddette “enhanced relationships”. Tale strategia, fortemente raccomandata a livello OCSE (e finora pienamente sposata solo da pochi Paesi) consiste nella ricerca di un dialogo con le grandi aziende finalizzato alla prevenzione piuttosto che alla repressione delle violazioni fiscali, mediante il confronto preventivo su tematiche di particolare impatto, quali, per citare le principali, quelle che attengono al transfer pricing o a operazioni di finanza strutturata che potrebbero risultare connotate da profili elusivi o abusivi.
Il
modello 231: la responsabilità amministrativa delle società
Si rammenta che
il D.Lgs. n. 231 del 2001
(Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle
società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica) ha
introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità amministrativa delle società e degli enti per gli
illeciti penali commessi dai propri amministratori e dipendenti che si verifica per tutti quei reati commessi
a vantaggio o nell’interesse dell’organizzazione stessa, da parte dei soggetti
in posizione di vertice, oppure dai soggetti subordinati ai funzionari in
posizione di vertice, qualora il reato sia stato commesso poiché questi ultimi
non hanno osservato diligentemente gli obblighi di direzione e vigilanza.
Per non
incorrere in tale responsabilità le imprese e gli enti interessati possono
dotarsi di un modello di gestione e prevenzione dei reati
corruttivi previsto dal D.Lgs. 231/2001; in tal caso tale responsabilità viene esclusa, evitando pesanti
sanzioni a carico dell’Ente. In particolare l’articolo 6 dispone che l'ente non
risponde se prova che:
§ l'organo dirigente ha
adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli
di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di
quello verificatosi;
§ il compito di vigilare
sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è
stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di
iniziativa e di controllo;
§ le persone hanno commesso il
reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
§ non vi è stata omessa o
insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
In dottrina è stato osservato che la necessità di creare modelli
organizzativi per evitare l'applicazione di sanzioni in relazione a
comportamenti illeciti sempre più comuni (quali i reati connessi con la
sicurezza del lavoro) è stata interpretata dalle imprese e dagli enti interessati
prevalentemente in modo negativo, quale ulteriore adempimento generatore di
costi e responsabilità di cui se ne poteva fare certamente a meno. Questo modo
di interpretare la normativa ha portato le stesse a creare modelli
organizzativi "di facciata" senza vedere in questi alcuna utilità
diretta sul piano gestionale e strategico. La giurisprudenza, con sanzioni
gravi, ha punito questo tipo di approccio disattendendo il modello, in quanto
non creato a misura sull'impresa, ma copiato da un prototipo soggettivamente
inefficace.
I modelli organizzativi di cui alla citata normativa possono essere
inquadrati a fondamento di un sistema integrato di controlli che consentano di
gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso
quello fiscale), offrendo all'imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di monitorare
l'attività dell'impresa.
Il comma 4 contiene una delega al Governo per introdurre disposizioni per revisionare ed ampliare il ‘tutoraggio’ al fine di garantire una migliore assistenza ai contribuenti, in particolare quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, per l’assolvimento degli adempimenti, la predisposizione delle dichiarazioni e il calcolo delle imposte. La nuova disciplina, inoltre, è volta ad assistere i suddetti soggetti nel processo di consolidamento della capacità fiscale correlato alla crescita e alle caratteristiche strutturali delle imprese.
Il comma 5 stabilisce, inoltre, che a favore dei contribuenti che aderiscono al tutoraggio siano istituite forme premiali consistenti in una riduzione degli adempimenti.
Il tutoraggio può essere definito come il complesso di attività che vengono svolte da parte dell’Agenzia delle entrate a favore dei contribuenti, in rapporto diretto con loro. Tale servizio gratuito è stato istituito a favore delle imprese che usufruiscono del regime fiscale agevolato per le nuove iniziative produttive, previsto dal’articolo 13 della legge n. 388 del 2000 (c.d. forfettino).
Si tratta del regime fiscale opzionale della durata
massima di 3 periodi d'imposta utilizzabile da chi intraprende una nuova
attività e che consente di versare un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle
relative addizionali (regionale e comunale) del 10%. Per potersi avvalere di
questo regime devono ricorre le seguenti condizioni:
§ non si deve aver esercitato attività d'impresa/lavoro
autonomo negli ultimi 3 anni;
§ l'attività che si andrà ad esercitare non deve
costituire, in alcun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente
svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, anche occasionale;
§ nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa
svolta in precedenza da altro soggetto, l'ammontare dei relativi ricavi (non
ragguagliato ad anno) realizzati nel periodo d'imposta precedente quello
d'inizio della nuova impresa non deve essere superiore ad € 30.987,41 per le
imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi ovvero ad € 61.947,83 per le
imprese aventi ad oggetto altre attività.
§ l'imprenditore/lavoratore autonomo deve regolarmente
adempiere gli obblighi previdenziali, assicurativi ed amministrativi.
L’assistenza si svolge, prevalentemente, attraverso collegamenti telematici tra il contribuente e il sistema informativo dell’Agenzia e, in tutti i casi in cui l’informazione richiesta non può essere trattata in maniera automatica, mediante rapporti diretti con l’ufficio o tramite la posta elettronica. Gli uffici locali aiutano i contribuenti negli adempimenti tributari e forniscono consulenza nelle materie relative all’applicazione del regime fiscale agevolato.
La procedura informatica a disposizione dei contribuenti consente di comunicare i dati necessari per la elaborazione della contabilità e per il conseguente obbligo di dichiarazione, permettendo agli uffici territorialmente competenti di monitorare i dati trasmessi dai contribuenti.
Il comma 6 prevede l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’istituto della rateizzazione dei debiti tributari, in coerenza con la finalità della lotta all’evasione fiscale e contributiva e con quella di garantire la certezza, l’efficienza e l’efficacia dell’attività di riscossione. Il Governo nell’attuare tale delega deve:
a) semplificare gli adempimenti amministrativi e patrimoniali a carico dei contribuenti che intendono avvalersi del predetto istituto;
b) consentire la possibilità per il contribuente, anche ove la riscossione del debito sia concentrata nell’atto di accertamento, di richiedere la dilazione del pagamento prima dell’affidamento in carico all’agente della riscossione, ove dimostri di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
Si osserva che l’articolo 3,
comma 12, lettera g) reca un ulteriore principio di delega volto
ad ampliare la possibilità di rateizzazione in connessione a comprovate
situazioni di difficoltà finanziaria.
La rateizzazione dei debiti tributari
Per quanto concerne il pagamento delle somme iscritte a ruolo, ai sensi dell’articolo 19 del D.P.R. 602/1973 il contribuente può chiedere all'agente della riscossione, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la possibilità di dilazionare il pagamento fino ad un massimo di settantadue rate mensili. Per effetto delle modifiche operate dal D. L. n. 201 del 2011 e dal D. L. n. 16 del 2012, in caso di comprovato peggioramento della suddetta situazione, la dilazione può essere prorogata una sola volta, per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi, a condizione che non sia intervenuta decadenza, che si verifica in caso di mancato pagamento di due rate consecutive (l'intero importo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione ed il carico non può più essere rateizzato). Il debitore può chiedere che il piano di rateazione (anche in prima richiesta) preveda, in luogo di rate costanti, rate variabili di importo crescente per ciascun anno. Dopo la ricezione della richiesta di rateazione, l'agente della riscossione può iscrivere l'ipoteca sugli immobili del proprietario solo nel caso di mancato accoglimento della richiesta, ovvero nel già illustrato caso di decadenza, fatte comunque salve le ipoteche già iscritte alla data di concessione della rateazione. La possibilità di rateizzare i debiti si applica anche nei confronti degli enti previdenziali, salvo che nei casi di ottemperanza ad obblighi derivanti da sanzioni comunitarie.
Equitalia, con un comunicato dell'8 maggio 2013, ha reso noto che la soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata è stata elevata da 20 mila a 50 mila euro. Il contribuente che ha ottenuto la rateazione non è più considerato inadempiente e può richiedere il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) per partecipare alle gare di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi.
La rateazione delle somme dovute al fisco può essere chiesta nelle diverse fasi dell’obbligazione tributaria. In proposito si ricorda che il D.L. n. 98 del 2011 ha eliminato l’obbligo di prestazione di garanzia per accedere alla rateazione di debiti tributari - anche superiori a 50.000 euro - conseguenti ad istituti deflativi del contenzioso, ovvero all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale; nello stesso filone, il D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-decies) ha del tutto eliminato l’obbligo di garanzia per i pagamenti conseguenti ad “avvisi bonari”.
Si ricorda inoltre che l’articolo 2 del D.Lgs. n. 462 del 1997 prevede l’iscrizione diretta a ruolo, a titolo definitivo, delle somme dovute a seguito dei controlli automatizzati effettuati in materia di imposte sui redditi e di IVA. Il contribuente può però evitare l’iscrizione a ruolo se effettua il pagamento entro 30 giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”: in tale ipotesi la sanzione è ridotta ad un terzo del dovuto. Anche nel caso di controllo formale della dichiarazione da cui risulta un debito d’imposta il contribuente può evitare l’iscrizione a ruolo, se effettua il pagamento entro trenta giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”. La scelta di effettuare il pagamento rateale delle somme liquidate con l’avviso bonario è lasciata alla discrezionalità del contribuente, il quale però decade dal beneficio della dilazione se omette il pagamento della prima rata entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero nel caso di omissione del pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine fissato per il versamento della rata successiva. La decadenza della procedura di pagamento rateale comporta l’iscrizione a ruolo del debito relativo alle imposte, agli interessi e alle sanzioni (conteggiate in misura piena), previa deduzione di quanto è già stato versato. Per effetto delle modifiche operate con il D.L. “semplificazioni tributarie” (articolo 1, comma 1 del citato D. L. n. 16/2012) il contribuente, anche se decaduto dal beneficio della rateazione dei pagamenti conseguenti agli “avvisi bonari”, potrà in ogni caso avvalersi della dilazione specificamente prevista dall’articolo 19 del DPR n. 602 del 1973 per le somme iscritte a ruolo.
Anche per il pagamento delle somme derivanti da accertamenti esecutivi è possibile chiedere la rateazione (art. 19, DPR 602/73), ma solo dopo l’affidamento dell’atto all’agente della riscossione (30 giorni dopo la scadenza del termine per ricorrere). Ciò determina la maggiorazione dell’aggio di riscossione, cosa che non accade nella procedura ordinaria del ruolo, in cui se la rateazione viene chiesta entro 60 giorni dalla notifica della cartella l’aggio è ridotto al 3,65%.
Al fine di ovviare a tale aspetto problematico la lettera b) del comma 6 in esame prevede la possibilità di chiedere la rateizzazione prima dell’affidamento all’agente della riscossione nel caso di accertamento esecutivo, ove il contribuente dimostri di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
Sul tema della riscossione, Il 22 maggio 2013 la Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 8-00002, che impegna il governo a fornire maggiore flessibilità alle procedure di riscossione coattiva dei tributi, al fine di evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali; a ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente, in particolare procedendo, tra l'altro:
§
ad ampliare
il numero massimo di rate in cui può
essere ripartito il debito;
§
ad escludere
l'applicazione degli istituti dell'espropriazione
forzata immobiliare e dell'ipoteca
sulla prima casa di abitazione del debitore;
§ ad estendere gli attuali limiti alla pignorabilità dei beni utilizzati per l'esercizio dell'attività imprenditoriale e professionale ai debitori costituiti in forma societaria, previa proposizione di un piano di rientro rateizzato dei debiti;
§ a ridurre l'entità degli interessi di mora gravanti sul contribuente in caso di ritardato pagamento;
§ a valutare l'opportunità di limitare in materia tributaria ogni forma di applicazione del principio del cosiddetto «solve et repete» e di rimodulare la disciplina della riscossione frazionata.
Al riguardo si fa presente che il decreto-legge cd. del fare, approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2013 e in corso di pubblicazione, ha modificato la disciplina della riscossione mediante ruolo nel senso indicato dalla Commissione., con particolare riferimento alla disciplina della rateizzazione e alle disposizioni in materia di pignoramenti.
Il comma 7 prevede che il Governo introduca disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, al fine di garantirne una maggiore omogeneità, e in tal modo una migliore tutela giurisdizionale, ed una maggiore tempestività nella redazione dei pareri.
La disciplina vigente degli
interpelli
L’interpello è l’istanza del contribuente volta ad ottenere, prima di porre in essere il comportamento giuridicamente rilevante o di dare attuazione alla norma oggetto del quesito, il parere dell’amministrazione finanziaria in ordine alla interpretazione di una norma tributaria obiettivamente incerta rispetto ad un caso concreto e personale riferibile all’istante.
Le istanze di interpello all’Agenzia delle entrate concernenti i tributi gestiti dalla stessa sono raggruppabili, sotto il profilo procedurale, in tre distinte categorie: ordinario, speciale e disapplicativo.
L’interpello cosiddetto ordinario, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), consiste nella facoltà, da parte di ciascun contribuente, di porre quesiti alla Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate, se vi sono obiettive condizioni di incertezza nella normativa fiscale relativamente a casi concreti e personali.
La risposta deve essere resa nel termine di centoventi giorni; in caso di silenzio sull’istanza si forma l’assenso sulla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente; il parere dell’Agenzia non vincola il contribuente ma gli uffici dell’amministrazione finanziaria i quali, salva la possibilità di rettificare il parere, non possono emettere atti impositivi e/o sanzionatori difformi dal contenuto della risposta fornita in sede di interpello, limitatamente al quesito oggetto di interpello ed in ogni caso nel presupposto che i fatti accertati coincidano con quelli rappresentati nell’originaria istanza.
Rientrano, inoltre, in questa categoria
§ le istanze per la continuazione del consolidato nazionale a seguito di talune operazioni straordinarie che, in genere, determinano l’interruzione della tassazione di gruppo (articolo 124, comma 5, del TUIR);
§ le istanze per verificare la sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’opzione per il consolidato mondiale (articolo 132, comma 3, del TUIR);
§ le istanze per la disapplicazione del regime della c.d. participation exemption sulle partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari (articolo 113, comma 1, del TUIR: partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi realizzati per il recupero dei crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria);
§ le istanze volte a dimostrare, da parte delle imprese impegnate in processi di ricerca e sviluppo, il possesso degli ulteriori requisiti di cui all’articolo 1, comma 54, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, necessari per escludere l’applicazione del limite di utilizzazione dei crediti d’imposta di cui al medesimo articolo 1, comma 53, della stessa legge.
§ le istanze di disapplicazione della disciplina sulle Controlled Foreign Companies presentate ai sensi degli articoli 167 e 168 del Tuir; attraverso tale interpello il soggetto residente dimostra preventivamente, fornendo le informazioni necessarie e allegando idonea documentazione, la sussistenza dei presupposti per ottenere la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate, relativamente a ciascuna controllata estera.
L'interpello cosiddetto speciale, istituito dall’articolo 21 della legge n. 413 del 1991, volto ad ottenere un parere sul carattere potenzialmente elusivo di alcune operazioni o sulla corretta classificazione di alcune spese. Tale interpello può avere per oggetto soltanto determinate operazioni (trasformazioni, fusioni, ecc.), considerate potenzialmente elusive.
Rientrano, inoltre, in questa categoria le istanze, presentate ai sensi dell’articolo 110, comma 10, del TUIR per ottenere la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti o domiciliati nei territori o Stati diversi da quelli che consentono un adeguato scambio di informazioni (articolo 168-bis del Tuir);
L'interpello cosiddetto disapplicativo, previsto dall'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Mediante tale interpello, il contribuente può chiedere la disapplicazione di una norma antielusiva speciale.
Rientrano, inoltre, in questa categoria le istanze presentate dalle società non operative (articolo 30, comma 4-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724)
Tutte le tipologie di interpello, a pena d’inammissibilità, devono essere presentate in via preventiva, ossia prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione per quei comportamenti che trovano attuazione nella dichiarazione stessa. L’istanza deve contenere la rappresentazione del caso concreto prospettato dal contribuente. L’istante deve esporre in modo chiaro e documentare in maniera esaustiva tutti gli elementi utili a ricostruire la fattispecie in relazione alla quale l’Agenzia è chiamata a formulare il proprio parere.
Le istruzioni specifiche sulla trattazione delle istanze di interpello sono contenute nella Circolare n. 32/E dell’Agenzia delle entrate del 14 giugno 2010. La Circolare n. 42/E del 5 agosto 2011 contiene, inoltre, le istruzioni sulla trattazione delle richieste di consulenza giuridica.
Articolo 3,
comma 8
(Semplificazione)
8. Il Governo è delegato a provvedere, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1:
a) alla revisione sistematica
dei regimi fiscali e al loro riordino, al fine di eliminare complessità
superflue;
b) alla revisione degli
adempimenti, con particolare riferimento a quelli superflui o che diano luogo,
in tutto o in parte, a duplicazioni, ovvero che risultino di scarsa utilità per
l'amministrazione finanziaria ai fini dell'attività di controllo e di
accertamento o comunque non conformi al principio di proporzionalità;
c) alla revisione, a fini di
semplificazione, delle funzioni dei sostituti d'imposta e di dichiarazione, dei
centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali, con potenziamento
dell'utilizzo dei sistemi informatici.
Il comma 8 delega il Governo a riformare gli attuali regimi fiscali nell’ottica della semplificazione. Dovranno essere semplificati anche gli adempimenti, specialmente quelli che si ritengono superflui ai fini del controllo e dell’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, o comunque non conformi al principio di proporzionalità. Infine dovranno essere semplificate anche le funzioni dei sostituti d'imposta, dei Caf e degli intermediari, attraverso il potenziamento dell'utilizzo dell'informatica.
a) Revisione
dei regimi fiscali
La lettera a) del comma 1 delega il Governo a rivedere sistematicamente e a riordinare gli attuali regimi fiscali, al fine di eliminare complessità superflue. L'attuale sistema fiscale è caratterizzato da numerosi regimi contabili e da diversi regimi speciali di applicazione di singole imposte.
Il regime fiscale di un’impresa può essere definito come l’insieme di documenti da tenere e formalità da osservare per essere in regola con il fisco e per il calcolo esatto del risultato d’esercizio, anche ai fini della compilazione del bilancio e della dichiarazione dei redditi. Prima che dalle norme fiscali, gli imprenditori sono obbligati a tenere la contabilità dal codice civile (articoli 2214-2220).
Si
segnala che il successivo articolo 4,
comma 1, lettera b), contiene una delega dal contenuto
parzialmente sovrapponibile. Si prevede, infatti, l’istituzione di regimi semplificati per i contribuenti di minori
dimensioni, nonché di regimi
forfettari per i contribuenti di dimensioni minime, prevedendo eventuali
differenziazioni in funzione del settore economico e del tipo di attività
svolta, con eventuale premialità per le nuove attività produttive; sono
previste inoltre eventuali agevolazioni in favore dei soggetti che sostengono
costi od oneri per il ricorso a mezzi di pagamento tracciabili, in
coordinazione con analoghi regimi vigenti e con i regimi della premialità e
della trasparenza previsti dall’articolo 10 del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. 201.
I regimi fiscali vigenti
L’ordinamento contempla diversi regimi fiscali:
a)
regime ordinario,
disciplinato dall’articolo 13 e seguenti del D.P.R. n. 600 del 1973.
b)
regime semplificato per le
imprese minori, disciplinato dall’art. 18, D.P.R. n. 600/1973 (si veda anche
l’articolo 9 del D.L. n. 69/89 e l’articolo 32 del D.P.R. n. 633 del 1972,
recentemente modificato dall’articolo 3 del D.L. n. 16 del 2012);
c)
regime agevolato per le nuove
iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (c.d. forfettino), disciplinato dall’art. 13, L. 388/2000 e dal
provvedimento Agenzia Entrate 14 marzo 2001;
d)
regime dei contribuenti minimi
(c.d. forfettone), disciplinato
dall’art. 1, commi da 96 a 117, L. 244/2007;
e)
regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori
in mobilità (nuovo regime dei “minimi”),
disciplinato dall’articolo 27 del D.L. n. 98 del 2011;
f)
nuovo regime della trasparenza,
articolo 10, commi 1-13, del D.L. n. 201 del 2011.
Regime di contabilità
ordinaria
Sono
sottoposti al regime di contabilità ordinaria:
§ le società e gli enti
commerciali soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES);
§ gli imprenditori
individuali e le società di persone quando i ricavi dell’anno precedente o
quelli previsti per le imprese di nuova costituzione superano:
-
€ 400.000 in caso l’attività consista in prestazioni di servizi
-
€ 700.000 in caso di altre attività (tali soglie sono state così elevate
dall’articolo 7 del D.L. n. 70 del 2011).
Tale regime è facoltativo
per tutte le imprese che non rientrano nei casi sopra elencati. Se si vuole
adottare questo regime è necessario effettuare fiscalmente un’opzione,
consistente nel tenere il “comportamento concludente”, cioè nell’applicare
materialmente il regime e comunicare la scelta eseguita, contrassegnando la
relativa casella, nella successiva dichiarazione IVA inerente l’anno per il
quale si è utilizzato il regime ordinario.
In tale regime sono
obbligatorie le seguenti scritture contabili:
a)
il libro giornale e il libro degli inventari;
b)
i registri prescritti ai fini IVA;
c)
le scritture ausiliarie (conti di mastro) in cui registrare gli elementi
patrimoniali e reddituali che concorrono alla formazione del reddito;
d)
le scritture ausiliarie di magazzino;
e)
il registro dei cespiti.
Regime di contabilità
semplificata per le imprese minori
Possono
accedere al regime semplificato in esame le imprese che realizzano ricavi annui
non superiori:
§ a € 400.000 se esercenti
prestazioni di servizi;
§ a € 700.000 se esercenti
attività diverse (cessione di beni, produzione, ecc.).
La
contabilità semplificata è il regime naturale degli artisti e dei
professionisti, a prescindere dal volume d’affari. E’ fatta salva, in ogni
caso, la facoltà del contribuente di optare per l’applicazione del regime
ordinario.
Le
agevolazioni per i contribuenti in regime semplificato riguardano il profilo
degli adempimenti contabili; sono
previste, infatti, semplificazioni rispetto al regime ordinario quali, ad
esempio, l’esonero dall’obbligo di redigere il bilancio di esercizio e della
tenuta del libro giornale. Sono obbligatori i seguenti registri:
a)
registri IVA (fatture emesse, corrispettivi e fatture di acquisto). Su
tali registri devono essere annotate anche le operazioni non soggette ad IVA ma
rilevanti per la determinazione del reddito;
b)
registro dei beni ammortizzabili. In alternativa, il contribuente può
provvedere a specifiche annotazioni relative ai beni strumentali da ammortizzare
nel registro IVA degli acquisti;
c)
libro unico del lavoro, qualora il contribuente si avvalga,
nell’attività d’impresa, di lavoratori dipendenti o assimilati.
Ulteriori libri o registri
possono essere richieste da leggi speciali con riferimento a specifiche
attività svolte.
Regime agevolato per le
nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo
(c.d. forfettino)
Possono
accedervi le persone fisiche che avviano una nuova attività limitatamente ai
primi 3 periodi d’imposta ed in possesso dei seguenti requisiti:
a)
non aver esercitato negli ultimi 3 anni un’attività d’impresa o
professionale, anche in forma associata;
b)
l’attività non deve costituire una mera prosecuzione di altra attività
precedentemente svolta dal medesimo soggetto sotto forma di lavoro dipendente o
autonomo;
c)
l’ammontare dei ricavi o compensi non deve essere superiore a 30.987,41
euro per le imprese esercenti prestazioni di servizi e per i lavoratori
autonomi, ovvero a 61.974,83 euro per le imprese aventi per oggetto altre
attività. I medesimi limiti operano, con riferimento al periodo d’imposta
precedente quello di inizio della nuova impresa, nei casi in cui venga rilevata
un’impresa già esistente;
d)
siano regolarmente adempiuti gli obblighi previdenziali, assicurativi e
amministrativi.
Sul piano
tributario, al reddito imponibile - determinato applicando le regole del regime
semplificato - si applica un’imposta
sostitutiva dell’IRPEF e delle
relative addizionali fissata in misura pari
al 10 per cento.
In materia di IVA viene
previsto il solo pagamento annuale dell’imposta, esonerando il contribuente
dagli obblighi di liquidazione e versamento periodico nonché di pagamento
dell’acconto IVA.
Rimane,
invece, invariata la disciplina in materia di IRAP.
Gli adempimenti contabili sono limitati a:
§ conservazione dei documenti
ricevuti ed emessi;
§ fatturazione e
certificazione dei corrispettivi;
§ presentazione delle
dichiarazioni annuali;
§ versamento annuale
dell'IVA;
§ versamento dell'imposta
sostitutiva entro i termini stabiliti per il versamento a saldo dell'imposta
sul reddito delle persone fisiche;
§ adempimenti previsti per i
sostituti d’imposta, qualora sia datore di lavoro ovvero riceva fatture con
ritenute d’acconto.
Sono
invece esonerati dai seguenti obblighi:
§ registrazione e tenuta
delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi,
dell'IRAP e dell'IVA;
§ liquidazioni, versamenti
periodici e versamento dell’acconto annuale IVA;
§ versamento delle
addizionali comunali e regionali all'imposta sul reddito delle persone fisiche.
Ai
soggetti che adottano il regime agevolato per le nuove iniziative
imprenditoriali e di lavoro autonomo l’Agenzia
delle entrate fornisce, dietro richiesta, un servizio di assistenza per l’adempimento degli obblighi contabili e
fiscali previsti dalla legge.
L’assistenza
è fornita prevalentemente attraverso il servizio telematico e, in ogni caso, è
prestata attraverso rapporti diretti tra contribuente e ufficio locale
dell’Agenzia (tutoraggio dei
contribuenti assistiti). A tal fine il contribuente è tenuto a munirsi di
un’apparecchiatura informatica con determinate caratteristiche minime, per
l’acquisto della quale è possibile usufruire di un credito d’imposta fissato in
misura pari al 40% del prezzo di acquisto e comunque per un importo non
superiore a 309,97 euro.
Regime degli ex minimi
Il regime
dei contribuenti minimi è stato
istituito, con decorrenza 1° gennaio 2008, dall’articolo 1, commi da 96
a 117, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per l’anno 2008), con
funzione di agevolare, sia sotto l’aspetto degli adempimenti contabili ed
amministrativi che sotto quello del carico fiscale, le persone fisiche che
esercitano attività economicamente marginali.
Rientrano
nel regime dei “minimi” le imprese individuali e i professionisti che nell’anno
precedente:
§ hanno conseguito ricavi o
compensi non superiori a 30mila euro;
§ non hanno avuto lavoratori
dipendenti o collaboratori (anche a progetto);
§ non hanno effettuato
cessioni all’esportazione;
§ non hanno erogato utili da
partecipazione agli associati con apporto di solo lavoro;
§ nel triennio precedente non
hanno effettuato acquisti di beni strumentali per un ammontare superiore a
15mila euro (per quelli utilizzati soltanto in parte nell’ambito dell’attività
di impresa o di lavoro autonomo si considera un valore pari al 50% dei relativi
corrispettivi);
§ iniziano l’attività e
presumono di possedere i primi due requisiti sopra descritti.
Il limite
dei 30mila euro di ricavi o compensi deve essere rapportato all’anno. Il regime
dei minimi non si applica alle imprese
individuali e ai professionisti che si avvalgono di regimi speciali Iva (per
esempio, agenzie di viaggio e turismo, vendita di sali e tabacchi, ecc.); ai
non residenti; a chi, in via esclusiva o prevalente, effettua attività di
cessioni di immobili (fabbricati e terreni edificabili) e di mezzi di trasporto
nuovi; a chi, contestualmente, partecipa a società di persone, associazioni
professionali o a società a responsabilità limitata a ristretta base
proprietaria che hanno optato per la trasparenza fiscale.
Chi aderisce al regime dei
minimi paga (al posto di Ires, Iva, Irap e addizionali) un’imposta sostitutiva del 20% sul reddito calcolato come differenza
tra ricavi o compensi e spese sostenute, comprese le plusvalenze e le
minusvalenze dei beni relativi all’impresa o alla professione. Il reddito si
determina applicando il principio di cassa, che comporta un’immediata e
integrale rilevanza dei costi, anche quelli inerenti i beni strumentali.
Dal reddito si possono
dedurre per intero i contributi previdenziali, compresi quelli corrisposti per
i collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico e quelli per i
collaboratori non a carico, ma per i quali il titolare non ha esercitato il
diritto di rivalsa. E’ ammessa la compensazione di perdite riportate da anni
precedenti. Le perdite fiscali successive possono essere portate in diminuzione
dal reddito conseguito nei periodi d´imposta seguenti, ma non oltre il quinto. I
contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esonerati dagli
adempimenti ai fini Iva. Le fatture devono essere emesse senza l’addebito
dell’Iva; inoltre, l’Iva pagata sugli acquisti non è detraibile e, pertanto, si
trasforma in un costo deducibile dal reddito.
I
contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esclusi dall’applicazione
degli studi di settore.
I contribuenti “minimi”
sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture
contabili. Restano obbligatorie soltanto:
§ la numerazione e la
conservazione delle fatture d’acquisto e delle bollette doganali
§ la certificazione dei
corrispettivi
§ la conservazione dei
documenti emessi e ricevuti
§ l’integrazione delle
fatture di acquisto intracomunitario o in regime di reverse charge
Tale regime è stato riformato dall’articolo 27 del
D.L. 98 del 2011, il quale ha introdotto il
nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in
mobilità (nuovi “minimi”: si veda oltre): la platea dei potenziali beneficiari è
stata ristretta a coloro che hanno intrapreso una nuova attività a partire dal
31 dicembre 2007; contestualmente l’imposta sostitutiva è stata portata al 5
per cento.
Per gli ex minimi il comma 3
dell’articolo 27 ha disposto che dal 1° gennaio 2012, le persone fisiche che,
pur avendo le caratteristiche originariamente prescritte, non possiedono gli
ulteriori requisiti previsti dal nuovo regime fiscale di vantaggio per
l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (ovvero ne fuoriescono),
rientrano in un regime semplificato
intermedio: sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta
delle scritture contabili, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici
Iva. Sono altresì esenti dall'Irap (si veda, al riguardo, il provvedimento
dell’Agenzia delle entrate n.185825 del 22 dicembre 2011).
Tale regime agevolato esonera dai seguenti obblighi:
§ registrazione e tenuta
delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi,
dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'imposta sul valore
aggiunto;
§ tenuta del registro dei
beni ammortizzabili qualora, a seguito di richiesta dell'amministrazione
finanziaria, forniscano, ordinati in forma sistematica, gli stessi dati
previsti dall’articolo 16 del D.P.R. n. 600 del 1973;
§
liquidazioni e versamenti periodici dell'imposta sul valore aggiunto;
§ versamento dell'acconto
annuale dell'imposta sul valore aggiunto;
§ presentazione della
dichiarazione ai fini dell’imposta sulle attività produttive, di cui
all’articolo 19 del D.Lgs. n. 446 del 1997 e versamento della relativa imposta.
Restano
fermi i seguenti adempimenti:
§ conservazione dei documenti
ricevuti ed emessi, ai sensi dell'articolo 22 del D.P.R. n. 600 del 9173;
§ fatturazione e
certificazione dei corrispettivi, qualora non ricorrano le condizioni di
esonero previste per le attività di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 696 del
1996;
§ comunicazione annuale dei
dati IVA di cui all’articolo 8-bis
del D.P.R. n. 322 del1998, qualora il volume d’affari sia uguale o superiore a
euro 25.822,84;
§ presentazione delle
dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore
aggiunto;
§ versamento annuale
dell'imposta sul valore aggiunto;
§ versamento dell'acconto e
del saldo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;
§ versamento dell’acconto e
del saldo delle addizionali comunali e regionali all’'imposta sul reddito delle
persone fisiche;
§ adempimenti dei sostituti
d'imposta previsti dall'articolo 25 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dall’articolo
5 del D.P.R. n. 322 del 1998;
§ comunicazione telematica
delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto prevista
all’articolo 21, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010;
§ comunicazione all’Agenzia
delle entrate, ai sensi dell’articolo 1 del D.L. n. 40 del 2010, dei dati
relativi alle operazioni effettuate nei confronti di operatori economici aventi
sede, residenza o domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 8/E del 16 marzo 2012, ha chiarito che i contribuenti che applicano tale regime contabile agevolato sono soggetti agli studi di settore. Peraltro nella circolare si legge che nei confronti dei soggetti marginali “la ragionevole certezza che il particolare strumento accertativo possa portare a distorsioni applicative deve comportare, in linea generale, l’adozione della massima cautela nel relativo utilizzo, privilegiando, ove il controllo sia comunque ritenuto opportuno, modalità istruttorie diverse”.
I contribuenti “ex minimi” possono optare per l'applicazione del regime contabile ordinario. L'opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l'opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.
Regime fiscale di vantaggio
per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovi “minimi”)
L’articolo
27 del D.L. n. 98 del 2011 ha
riformato il regime dei minimi restringendo la platea dei destinatari del c.d.
“forfettone” (disciplinato dall’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge
244/2007 e sopra descritto) solamente a coloro che intraprendono una nuova
attività ovvero che l’abbiano iniziata a partire dal 31 dicembre 2007, per il
periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi. A
decorrere dal 1° gennaio 2012 l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e
delle addizionali regionali e comunali è ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento). Per i giovani questo
periodo di aliquota ridotta può essere maggiore di cinque anni, ma non oltre il
periodo di imposta di compimento del trentacinquesimo anno di età.
L’obiettivo dichiarato è
quello di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani ovvero
di coloro che perdono il lavoro. La norma, a tal fine, riforma e concentra gli
attuali regimi forfettari: pertanto rientra in tale nuovo regime anche il
regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo
(c.d. forfettino), disciplinato dall’articolo 13 della legge n. 388/2000.
Possono accedervi le persone fisiche che esercitano attività
d’impresa o di lavoro autonomo e che, oltre a possedere i descritti requisiti
previsti per il c.d. forfettone (articolo 1, commi da 96 a 99 della legge n.
244 del 2007), siano in possesso dei seguenti requisiti:
§
il contribuente non deve aver esercitato attività artistica,
professionale ovvero d'impresa (anche in forma associata o familiare) nei tre
anni precedenti l’inizio dell’attività;
§
l'attività da esercitare non deve costituire una mera prosecuzione di
altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o
autonomo, salvo il caso in cui l'attività precedentemente svolta consista nel
periodo di pratica obbligatoria per l'esercizio di arti o professioni;
§
nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa precedentemente svolta
da altro soggetto, l'ammontare dei ricavi realizzati nel periodo d'imposta
precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve aver superato i
30.000 euro.
A tale regime si applicano
le agevolazioni previste dal c.d. “forfettone” (articolo 1, commi da 96 a 117,
della legge 244/2007, sopra descritto). Inoltre l'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali
regionali e comunali prevista dal comma 105 dell'articolo 1 della legge n. 244
del 2007 è ridotta al 5 per cento.
Sono pertanto confermate l’esenzione dall’Irap, la non applicazione dell’Iva e
le agevolazioni contabili.
I ricavi e i compensi
relativi al reddito oggetto del regime, non sono assoggettati a ritenuta
d’acconto da parte del sostituto di imposta. A tal fine i contribuenti
rilasciano un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il reddito cui le
somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva
Sul fronte Iva, i
contribuenti sono esonerati dalle comunicazioni sia delle operazioni rilevanti
Iva (lo spesometro) sia dei dati delle operazioni con soggetti black list, mentre devono fare, come
tutti gli altri, richiesta di inserimento nell'archivio Vies se vogliono fare
acquisti intracomunitari (si veda, al riguardo, il provvedimento dell’Agenzia
delle entrate n. 185820 del 22 dicembre 2011 e la circolare n. 24/E del
2011).
Nuovo regime della
trasparenza
L'art. 10 del D.L. n. 201/2011, «al fine di
promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile», ha istituito, con
decorrenza 1° gennaio 2013, un regime fiscale di vantaggio riservato ai
contribuenti che esercitano, in forma individuale o di società di persone,
attività artistica o professionale ovvero di impresa, che prevede i seguenti
benefici: semplificazione degli adempimenti
amministrativi; assistenza negli
adempimenti da parte dell'amministrazione finanziaria; accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti Iva;
per i contribuenti non soggetti agli studi di settore, esclusione dagli accertamenti presuntivi; riduzione di un anno dei termini
di decadenza per l'attività di accertamento, salvo violazioni comportanti
l'obbligo di denuncia per i reati tributari.
I suddetti benefici sono subordinati alla
condizione che il contribuente provveda:
§
all'invio telematico
all'amministrazione dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle
risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura;
§
a istituire un conto
corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi all'attività.
§
Con provvedimento dell'Agenzia
delle entrate devono essere individuati i benefici, con particolare riferimento
agli obblighi Iva e agli adempimenti dei sostituti d'imposta. Il provvedimento,
in particolare, deve prevedere, indicando le relative decorrenze:
§
la predisposizione automatica
da parte dell'Agenzia delle entrate delle liquidazioni periodiche Iva, dei
modelli di versamento e della dichiarazione Iva, del modello 770 semplificato,
del modello Cud e dei modelli di versamento periodico delle ritenute, nonché la
gestione degli esiti dell'assistenza fiscale;
§
la soppressione
dell'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante scontrino o ricevuta
fiscale;
§
l'anticipazione del
termine di compensazione del credito Iva, l'abolizione del visto di conformità
per compensazioni superiori a 15 mila euro e l'esonero dalla prestazione della
garanzia per i rimborsi Iva.
Ai contribuenti che
rispettano le predette condizioni e che non si trovano in regime di contabilità
ordinaria sono inoltre riconosciuti i seguenti benefici: determinazione del reddito secondo il criterio di cassa e
predisposizione in forma automatica da parte dell'Agenzia delle entrate delle
dichiarazioni Irpef e Irap; esonero dalla tenuta delle scritture contabili
rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap e dalla tenuta del
registro dei beni ammortizzabili; esonero dalle liquidazioni, dai versamenti
periodici e dal versamento dell'acconto ai fini Iva.
Il comma 5 dell'articolo
10 prevede l'emanazione, da parte dell'Agenzia delle entrate, delle
disposizioni attuative, con uno o più provvedimenti, entro 180 giorni
dall'entrata in vigore del decreto. Si evidenzia che allo stato non risultano
emanati i suddetti provvedimenti attuativi.
b) Revisione
degli adempimenti
La lettera b) del comma 8 delega il Governo a rivedere gli adempimenti per i contribuenti, con particolare riferimento a quelli superflui o che diano luogo, in tutto o in parte, a duplicazioni, o risultino di scarsa utilità per l’amministrazione finanziaria ai fini dell’attività di controllo e di accertamento, o comunque che non siano conformi al principio di proporzionalità.
In tale ambito, la proposta di legge 282 (Causi) precisa che occorrerà fare riferimento anche alla struttura delle addizionali regionali e comunali, avendo anche riguardo alla tempistica dei versamenti.
Il numero degli adempimenti previsti dall’ordinamento è elevato e talvolta determina duplicazioni (si pensi a quanto avviene per le comunicazioni Iva: intracomunitarie, spesometro e black list) o è nella sua concreta attuazione molto complesso (si pensi alla predisposizione e alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi). La proposta di legge in esame si propone di semplificare gli adempimenti, specialmente quelli che si ritengono superflui o duplicati.
Nell’ottobre 2012 l'Agenzia delle entrate ha avviato una ricognizione degli adempimenti fiscali richiesti ai cittadini/contribuenti: sono 108 gli adempimenti fiscali censiti dall'Agenzia. Il Direttore dell’Agenzia, Attilio Befera, ha inviato una lettera con la 'mappatura' a tutte le associazioni di categoria: si chiede di valutare, per gli adempimenti individuati, gli oneri amministrativi ovvero la stima dei tempi necessari e dei costi sostenuti per produrre, elaborare, trasmettere e conservare informazioni e documenti; si chiede inoltre di proporre eventuali interventi di semplificazione.
Si ricorda che negli ultimi due anni, al fine di contrastare l'evasione fiscale, sono notevolmente aumentati a carico delle imprese gli obblighi di comunicazione di dati all'amministrazione finanziaria. Si segnalano, di seguito, i principali.
“Spesometro”
L’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2011 ha introdotto
l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni Iva di un
determinato valore. L’obiettivo del legislatore è quello di rafforzare gli
strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria, necessari alla
prevenzione e al contrasto dei comportamenti fraudolenti in materia di Iva
(frodi “carosello” e false fatturazioni) e in ambito di imposizione sul
reddito.
La comunicazione telematica ha per oggetto le
operazioni rilevanti ai fini Iva (imponibili, non imponibili, esenti) e si
applica esclusivamente ai soggetti passivi di tale imposta che effettuano
cessioni di beni e prestazioni di servizi, rilevanti agli effetti del tributo,
nel territorio dello Stato.
Dal 1° gennaio 2012, per le operazioni per le quali
è previsto l’obbligo di emettere fattura è stata eliminata la soglia minima di
3.000 euro: infatti il D.L. n.16 del 2012 ha stabilito che la comunicazione
deve essere inviata, per ciascun cliente e fornitore, con riferimento a tutte
le operazioni (attive e passive) effettuate.
Le operazioni per le quali non è previsto l’obbligo
di emissione della fattura devono essere comunicate solo se di importo
superiore a 3.600 euro, comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto.
Sono escluse dall’obbligo di comunicazione:
§ le importazioni;
§ le esportazioni (art. 8, comma 1,
lettere a e b del D.P.R. 633/72);
§
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute,
registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici
aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black list;
§
le operazioni già comunicate all’Anagrafe tributaria (per esempio,
fornitura di energia elettrica, servizi di telefonia, contratti di
assicurazione, atti di compravendita immobili, eccetera);
§
le operazioni intracomunitarie (per le quali è già previsto l’invio dei
modelli Intra).
Comunicazione delle operazioni
intercorse con operatori economici black
list
L’articolo 1 del D.L. n. 40 del 2010, al fine di contrastare le frodi
fiscali internazionali, in particolar modo le frodi “carosello” attuate attraverso
società costituite fittiziamente (c.d. “cartiere”), ha introdotto, per i
soggetti passivi IVA, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle entrate tutte
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute,
registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici
aventi sede, residenza o domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata di cui al
D.M. 4 maggio 1999 e al D.M. 21 novembre 2001 (Paesi black list).
Al riguardo il D.L. n. 16 del
2012 ha introdotto, ai fini dell’obbligo di comunicazione, la soglia minima di 500 euro per le cessioni di beni e le prestazioni
di servizi.
La circolare
dell’Agenzia delle entrate n. 53/E del 2010 ha chiarito che tale comunicazione non è dovuta da parte dei
contribuenti rientranti nei regimi dei minimi e delle nuove iniziative
produttive.
Archivio VIES
A fini di adeguamento alla
normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie e di contrasto
delle frodi, l’articolo 27 del D.L. n.
78 del 2010 ha introdotto specifiche misure volte a garantire un più
stretto monitoraggio dei contribuenti che effettuano operazioni
intracomunitarie e l’affidabilità dei dati relativi alle controparti negli
scambi commerciali: tutti i soggetti che intraprendono l’esercizio di
un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato o vi costituiscano
stabile organizzazione, devono manifestare, al momento della presentazione
della dichiarazione di inizio attività, la volontà di porre in essere
operazioni intracomunitarie.
I contribuenti “minimi” (articolo
1, commi 96 e seguenti, della legge n. 244/2007) possono effettuare acquisti
intracomunitari di beni e servizi (ex articolo 1, comma 100, legge
244/2007) e, in relazione a tali acquisti, essi sono tenuti a compilare
l’elenco riepilogativo delle operazioni intracomunitarie. Come precisato dalla
circolare dell’Agenzia delle entrate n. 39/E del 2011, anche tali contribuenti
devono, pertanto, manifestare la volontà di effettuare operazioni
intracomunitarie all’atto della presentazione della dichiarazione di inizio
attività o successivamente, al fine di ottenere l’inclusione nell’archivio
Vies.
I più recenti provvedimenti in
tema di semplificazione degli adempimenti fiscali
L’esigenza di semplificazione dei rapporti tra fisco e
contribuente si è manifestata, in particolare, nelle modifiche operate alla
normativa che concerne gli adempimenti.
In primo luogo, specifici interventi
hanno eliminato alcuni obblighi in
precedenza posti a carico dei contribuenti, tra cui l’obbligo di indicare il codice fiscale nelle girate degli assegni
bancari (articolo 32, comma 1 del D.L. n. 112 del 2008) e quello, posto a
carico delle imprese della grande distribuzione e del commercio al minuto, di
inviare per via telematica i corrispettivi giornalieri – con la conseguente
immissione in commercio esclusivamente di misuratori fiscali idonei alla
trasmissione telematica (articolo 16, comma 2 del D.L. 185 del 2008).
Altre modifiche hanno interessato la disciplina,
contenuta nel codice civile, relativa al libro soci e alla registrazione del
passaggio di quote nelle società a responsabilità limitata. In particolare, con
l’articolo 16 del D.L. 185/2008 è stato soppresso
l’obbligo di tenuta del libro soci per le s.r.l. Pertanto, ai fini della
iscrizione nel Registro delle imprese degli atti di trasferimento di quote
societarie si applica la disciplina - precedentemente introdotta in via
opzionale dall’articolo 36 del D.L. 112/2008 - che consente l’iscrizione in via
telematica, con sottoscrizione in firma digitale da parte di dottori
commercialisti ed esperti contabili. Ulteriori semplificazioni in materia di
adempimenti civilistici riguardano la vidimazione, la numerazione e la
bollatura dei registri contabili.
Il cd. "decreto sviluppo" (D.L. 70/2011) ha introdotto numerose
misure volte a semplificare gli adempimenti dei contribuenti. Si ricordano tra
l'altro:
§
l'elevazione degli importi delle fatture emesse che possono essere
annotate in un unico documento riepilogativo;
§
la semplificazione degli adempimenti dichiarativi relativi alle
detrazioni IRPEF per redditi da lavoro dipendente e carichi di famiglia;
§
la proroga dei termini per i versamenti e gli adempimenti che scadono di
sabato o di giorno festivo al primo giorno lavorativo successivo;
§
la semplificazione delle comunicazioni necessarie per usufruire delle
detrazioni IRPEF per le ristrutturazioni edilizie.
Specifiche misure di
semplificazione degli adempimenti sono state introdotte, da ultimo, con il
citato il decreto-legge n. 16 del 2012.
Tra le principali misure si ricordano in primo luogo le disposizioni di
salvaguardia per i contribuenti che abbiano tardivamente effettuato gli
adempimenti e le comunicazioni richiesti dalla legge per accedere ad
agevolazioni o a regimi fiscali speciali. E’ stato inoltre stabilito che gli
adempimenti fiscali e i versamenti delle imposte aventi scadenza calendarizzata
in uno dei primi 20 giorni del mese di agosto possono essere effettuati entro
il giorno 20 dello stesso mese.
Allo scopo di alleggerire gli adempimenti delle imprese, è stata
esonerata dall’obbligo di emissione della fattura l’attività di organizzazione
di escursioni, visite della città, giri turistici, gite ed eventi similari,
effettuate dalle agenzie di viaggi e turismo.
c) Revisione
delle funzioni dei sostituti d’imposta, dei Caf e degli intermediari fiscali
La lettera c) del comma 8 delega il Governo a riformare, nell’ottica della semplificazione, le funzioni dei sostituti d’imposta e di dichiarazione, dei Centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali, con il potenziamento dell’utilizzo dell’informatica.
Il sostituto
d’imposta è "chi in forza di
disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri,
per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto"
(articolo 64, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973). In sostanza si tratta del datore di lavoro o dell’ente pensionistico
che per legge sostituisce il contribuente nei rapporti col fisco, trattenendo
le tasse relative a compensi, salari, pensioni.
La sostituzione può
avvenire:
§ a titolo d'imposta,
quando il sostituto deve pagare l’intera imposta, con l'azzeramento del debito
del sostituito, il quale è libero da qualsiasi altro adempimento (ad esempio
nel caso di premi e vincite, nel qual caso chi eroga il premio opera una
ritenuta a carico del vincitore a titolo d'imposta, oppure in caso di
distribuzione di dividendi soggetti alla cosiddetta "cedolare secca"
vale a dire a titolo d'imposta quando la partecipazione non è qualificata);
§ a titolo di acconto,
quando l'obbligazione del sostituito non si estingue, ed egli rimane soggetto
passivo dell'imposta (ad esempio nel caso del datore di lavoro che opera le
trattenute IRPEF sullo stipendio del lavoratore; si parla di acconto perché il
lavoratore sarà tenuto al pagamento dell'IRPEF derivante da redditi diversi da
quello da lavoro dipendente).
Oltre alla certificazione unica (modello Cud) dei redditi di lavoro
dipendente, equiparati e assimilati che datori di lavoro ed enti pensionistici
sono tenuti a consegnare a dipendenti e pensionati, altre certificazioni devono
essere rilasciate per attestare le somme corrisposte e le relative ritenute
operate nel corso dell’anno. In particolare, tutti i soggetti che erogano
compensi e somme per prestazioni di lavoro autonomo e provvigioni inerenti a
rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di
commercio e di procacciamento di affari, devono consegnare, a chi tali somme ha
percepito, una certificazione, redatta in forma libera e sottoscritta dal
sostituto d’imposta, dalla quale risultino, oltre i dati identificativi di
quest’ultimo, la causale, l’ammontare lordo delle somme corrisposte e l’importo
delle ritenute effettuate.
Un ulteriore obbligo di certificazione ricade sui soggetti tenuti alle
comunicazioni per i titoli azionari e su quelli che hanno corrisposto utili,
ossia: società ed enti emittenti, casse incaricate del pagamento degli utili o
di altri proventi equiparati, intermediari aderenti al sistema di deposito
accentrato gestito dalla Monte Titoli Spa, rappresentanti fiscali in Italia
degli intermediari non residenti aderenti al sistema Monte Titoli Spa e degli
intermediari non residenti che aderiscono a sistemi esteri di deposito
accentrato aderenti al sistema Monte Titoli Spa, società fiduciarie, imprese di
investimento e agenti di cambio, ogni altro sostituto d’imposta che interviene
nella riscossione di utili o proventi equiparati derivanti da azioni o titoli,
associanti.
La disciplina dei Centri di assistenza fiscale (Caf), inizialmente prevista dalla
legge n. 413 del 1991, è stata oggetto di molteplici modifiche ed è attualmente
dettata dal D.Lgs. n. 241 del 1997, successivamente integrato dal D.Lgs. n. 490
del 1998.
Ai Caf sono riservate determinate attività di consulenza e di assistenza in materia tributaria, fra le quali le
attività relative alla dichiarazione annuale dei redditi dei lavoratori
dipendenti ed assimilati (il cosiddetto Modello 730 per la dichiarazione dei
redditi e il modello UNICO)
I CAF possono essere costituiti solamente dai soggetti ed alle
condizioni indicati dagli articoli 32 e 33 del D.Lgs. n. 241/1997; si tratta in
particolare di organizzazioni sindacali di lavoratori dipendenti e pensionati,
organizzazioni territoriali da esse delegate, aventi complessivamente non meno
di 50.000 aderenti, ovvero di sostituti di imposta, aventi almeno 50.000
dipendenti, o di associazioni di lavoratori promotrici di istituti di
patronato, aventi complessivamente non meno di 50.000 aderenti.
I Centri devono essere costituiti nella forma
di società di capitali: il loro oggetto sociale deve indicare lo svolgimento
dell'attività di assistenza fiscale
già indicata: essi operano previa autorizzazione del Ministero delle finanze.
Inoltre è previsto che i Centri designino uno o più
responsabili dell'assistenza fiscale
da individuare tra gli iscritti nell'albo dei Dottori commercialisti o in
quello dei Ragionieri liberi professionisti, anche assunti con rapporto di
lavoro subordinato.
I Centri di assistenza
fiscale sono, inoltre, abilitati in forma esclusiva a
svolgere le altre attività relative alla liquidazione della dichiarazione del
Modello 730, comprendenti, oltre alla consegna al contribuente di copia della
dichiarazione elaborata e del prospetto di liquidazione delle imposte, la
comunicazione ai sostituti d'imposta del risultato delle dichiarazioni stesse
ai fini del conguaglio in sede di ritenuta d'acconto e l'invio
all'amministrazione finanziaria delle dichiarazioni dei redditi. Per lo svolgimento di dette attività i Centri di assistenza fiscale ricevono
un compenso statale di 14 euro per ogni dichiarazione vistata e trasmessa.
Per intermediari fiscali si intendono i
professionisti, le associazioni di categoria, i Caf, abilitati a trasmettere
per conto di terzi la dichiarazione fiscale.
L’articolo
3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (Regolamento recante modalità per la
presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi,
all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore
aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n.
662), ai fini della presentazione delle dichiarazioni in via telematica
mediante il servizio telematico Entratel, considera soggetti incaricati della
trasmissione delle stesse:
a)
gli iscritti
negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali
e dei consulenti del lavoro;
b)
i soggetti
iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti
dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la
sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in
economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
c)
le
associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 32,
comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241,
nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze
etnico-linguistiche;
d)
i centri di
assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
e)
gli altri
incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Articolo 3,
commi 9 e 10
(Revisione del sistema sanzionatorio)
9. Il Governo è delegato a procedere, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, alla revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri
di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei
comportamenti, prevedendo: la punibilità con la pena detentiva compresa fra un
minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di
adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i
comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e
all'utilizzo di documentazione falsa, per i quali non possono comunque essere
ridotte le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata
in vigore del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; l'individuazione dei
confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle
relative conseguenze sanzionatorie; la revisione del regime della dichiarazione
infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio
correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni
all'effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni
per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché
penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità; l’estensione, ai
beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari,
della possibilità, per l’autorità giudiziaria, di affidare in custodia
giudiziale tali beni agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano
richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze
operative.
10. Il Governo è delegato, altresì, a definire, con i decreti
legislativi di cui all'articolo 1, la portata applicativa della disciplina del
raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in
presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell'articolo 331 del
codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere
del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti
di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti
legislativi.
L’articolo 3, commi 9 e 10, reca i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, che deve essere attuata secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa. Per tali fattispecie non possono comunque essere ridotte le pene minime al di sotto di determinate soglie.
Sono inoltre previste una più puntuale definizione delle fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscali e delle relative conseguenze sanzionatorie nonché la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti.
Si introduce l’estensione ai beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari della possibilità, per l’autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale tali beni agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative.
Viene poi chiarita (comma 10) la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento, in presenza di un reato tributario, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in caso di effettivo invio della denuncia entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.
Più in dettaglio, il comma 9, nel definire i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, oltre alla predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevede:
§ la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa; per i quali non possono comunque essere ridotte le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138;
L’articolo 2, comma 36-vicies semel, del decreto-legge n. 138 del 2011, ha novellato il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA.
Sono state, in primo luogo, introdotte modifiche volte, in generale, ad eliminare disposizioni di favore o ad abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. In questa direzione vanno le seguenti novelle:
- all'articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 154.937,07 euro (lettera a);
- all'articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) viene ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro e, analogamente, la soglia relativa all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione da 1.549.370,70 euro a 1.000.000 di euro (lettere b) e c);
- all'articolo 4 (dichiarazione infedele) le suddette soglie vengono ridotte rispettivamente da 103.291,38 euro a 50.000 euro e da 2.065.827,60 euro a 2.000.000 di euro (lettere d) ed e);
- all'articolo 5 (omessa dichiarazione) la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale è ridotta da 77.468,53 euro a 30.000 euro (lettera f);
- all'articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lettera g).
Ulteriori novelle al decreto legislativo n. 74 del 2000 riguardano le circostanze del reato, il procedimento applicabile e le pene accessorie.
In particolare, con la lettera h) è aggiunto un
comma all’articolo 12 (pene accessorie)
del decreto legislativo. Tale disposizione è volta ad escludere l’applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena (di cui all’art. 163 c.p.)
qualora nella commissione di uno dei delitti previsti dagli articoli da 2 a 10
del D.Lgs. n. 74 del 2000, l'imposta
evasa (o non versata) sia superiore
a 3 milioni di euro e al 30% del volume d’affari dell’evasore.
Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2,
Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri
artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8,
Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10,
Occultamento o distruzione di documenti contabili.
Le due condizioni devono ricorrere congiuntamente. Si osserva che la previsione congiunta delle due condizioni sembrerebbe mitigare la posizione dei soggetti evasori che hanno un grande volume di affari. Essi, infatti, potranno avvalersi della sospensione condizionale della pena, pur sottraendo all’erario somme anche notevolmente superiori ai 3 milioni di euro, in conseguenza della previsione del tetto del 30% del volume di affari.
Le lettere i) ed m) intervengono sull’articolo 13 (circostanza attenuante e pagamento del debito tributario) prevedendo:
- la riduzione sino ad un terzo (anziché sino alla metà) delle pene stabilite per i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento (lett. i);
- l’applicabilità del c.d. patteggiamento per i reati previsti dal decreto legislativo solo se ricorrono le circostanze attenuanti (dell’aver estinto il debito prima del dibattimento e dell’aver pagato anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie).
La lettera l) novella l'articolo 17 (interruzione della prescrizione) elevando di un terzo i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74/2000. Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili.
§ l'individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie; si ricorda, peraltro, che il comma 1 dell’articolo 3 delega il Governo ad attuare la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di disciplinare il principio generale di divieto dell’abuso del diritto, del quale viene fornita una prima definizione che comprende la fattispecie dell’elusione;
§ la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità;
§ l’estensione ai beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari della possibilità, per l’autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale tali beni agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative.
I reati tributari e le sanzioni penali
La violazione tributaria costituisce reato
quando la legge, considerandola di particolare gravità, non ritiene sufficienti
le sanzioni amministrative e quindi applica quelle, più severe, previste dal
codice penale.
Le sanzioni penali hanno natura personale e pertanto si applicano esclusivamente alle persone fisiche. Per le violazioni commesse da società o da altri enti collettivi, la sanzione è applicata ai soggetti (persone fisiche) che ne hanno la rappresentanza legale (presidente, amministratore delegato, ecc.), o ai soggetti ai quali sia comunque imputabile il reato commesso. Si rammenta peraltro che il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di responsabilità amministrativa delle società e degli enti per gli illeciti penali commessi dai propri amministratori e dipendenti che si verifica per tutti quei reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’organizzazione stessa, da parte dei soggetti in posizione di vertice, oppure dai soggetti subordinati ai funzionari in posizione di vertice, qualora il reato sia stato commesso poiché questi ultimi non hanno osservato diligentemente gli obblighi di direzione e vigilanza.
I principali reati tributari sono connessi alle
dichiarazioni fiscali e agli inadempimenti contabili e documentali (sono invece
escluse le violazioni in ambito Irap
o relative ad altre imposte indirette al di fuori dell’Iva) e sono disciplinati
dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 concernente la
disciplina dei reati in materia di imposte
sui redditi e Iva. Tale
provvedimento ha introdotto nell’ordinamento un sistema formato da un ristretto
numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, tutte
caratterizzate da dolo specifico finalizzato ad evadere le imposte, oltre a
prevedere, per le fattispecie di cui agli articoli 3, 4 e 5 (dichiarazione
fraudolenta o infedele e omessa dichiarazione), una soglia di rilevanza penale
che aggancia l’intervento punitivo al superamento di predeterminati limiti
quantitativi, espressione di un effettivo evento di danno conseguente
all’evasione.
In particolare,
il D.Lgs. n. 74 del 2000 individua i seguenti principali reati tributari, per la cui descrizione analitica si rinvia
al sito dell’Agenzia delle entrate: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Reati+tributari/:
§
dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni
inesistenti; la dichiarazione fraudolenta si distingue per l'elemento della
"frode", consistente in comportamenti ulteriori (documentazione falsa
o contraffatta, mezzi fraudolenti di qualsiasi natura) rispetto alla mera
presentazione di una dichiarazione non veritiera (art. 2, commi 1, 2 e 3);
§
dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);
§
dichiarazione infedele,
che coincide con la mancata dichiarazione di elementi attivi (o di elementi
passivi fittizi) di ammontare particolarmente rilevante (art. 4);
§
dichiarazione
omessa, che si configura solo una volta superata una soglia di punibilità (art.
5);
§
emissione di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8);
§
occultamento o
distruzione di documenti contabili (art. 10);
§
omesso versamento
di ritenute certificate (art. 10-bis);
§
omesso versamento
dell’Iva dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale entro il
termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta
successivo (art. 10-ter);
§
indebita
compensazione (art. 10-quater);
§
pagamenti
parziali, ovvero la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (che si
configura con il compimento di atti idonei a rendere inefficace la procedura di
riscossione coattiva, quali una vendita simulata a soggetto terzo) (art. 11,
comma 1);
§
pagamenti
parziali, ovvero quando, al fine di ottenere per se o per altri un
pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, si indica nella
documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale
elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi
passivi fittizi (art. 11, comma 2).
La condanna per
uno qualsiasi dei reati sanzionati penalmente comporta l’irrogazione delle
seguenti pene accessorie:
interdizione dagli uffici di rettivi delle persone giuridiche e delle imprese,
incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; interdizione dalle
funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; interdizione
dall’ufficio di componente di commissione tributaria; pubblicazione della
sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale.
Si stabilisce inoltre la riduzione delle sanzioni per le fattispecie meno gravi, ovvero l’applicazione di sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità.
Le sanzioni tributarie amministrative
La riforma della
disciplina delle sanzioni tributarie
amministrative è stata operata con i
D.Lgs. n. 471 (Riforma delle sanzioni
tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore
aggiunto e di riscossione dei tributi), 472
(Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le
violazioni di norme tributarie) e 473 (Revisione
delle sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla
produzione e sui consumi, nonché di altri tributi indiretti) del 1997.
In particolare,
l’articolo 2 del D.Lgs. n. 472 (recante la disciplina delle sanzioni tributarie
amministrative) afferma espressamente il principio
della personalità della responsabilità, stabilendo, al comma 2, che la
sanzione deve essere riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso
a commettere la violazione e, all'articolo 27, che le violazioni riferite dalle
disposizioni vigenti a società, associazioni o enti si intendono riferite alle
persone fisiche che ne sono autrici. Secondo l’articolo 11 del medesimo
provvedimento, peraltro, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente
nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione (dipendente,
amministratore o rappresentante) nell'esercizio delle sue funzioni, sono
obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata,
sempre facendo salvo il diritto di regresso. Fino a prova contraria, si presume
autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti
illegittimi.
Dal 1° aprile
1998 (data di entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria) le
vecchie sanzioni tributarie non penali (distinte in "pena pecuniaria"
e "soprattassa") sono state sostituite dalla "sanzione amministrativa",
consistente generalmente nel pagamento di una somma di denaro cosiddetta "sanzione pecuniaria". La misura delle sanzioni è stabilita per
le singole imposte dalle specifiche norme; può essere graduata, tra un minimo e un massimo, come percentuale da applicare
all’ammontare del tributo, ovvero prefissata come importo variabile sempre tra
un minimo e un massimo. Le misure stabilite dalla legge sono aggiornabili ogni tre anni con decreto
ministeriale, tenendo conto degli indici Istat.
A questa possono
aggiungersi, in determinati casi, sanzioni
accessorie come ad esempio, la sospensione dell'attività commerciale, nei
casi di ripetuta violazione delle norme su ricevute e scontrini fiscali, ovvero
l'interdizione dalla partecipazione a gare o dall'esercizio di cariche sociali.
Se però la
violazione fiscale configura una fattispecie
di reato, si rendono applicabili anche le sanzioni penali.
Le regole in base alle quali si applicano le sanzioni possono essere
riassunte nei seguenti punti:
1.
le sanzioni hanno
carattere personale e riguardano solo chi ha commesso l'infrazione (principio di personalità) salvo
l'applicabilità dell'art. 7 del D.L. 269/2003 (vedi punto 6). Le sanzioni,
quindi, non si trasmettono agli eredi;
2.
la somma irrogata
a titolo di sanzione non produce in nessun caso interessi;
3.
nessuno può
essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore
prima della violazione (principio di
irretroattività);
4.
le leggi intervenute
dopo il fatto si applicano se più favorevoli al contribuente (principio del favor rei), a condizione
che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo. Perciò, se il
fatto commesso non è più qualificato come illecito da una norma successiva, le
sanzioni non saranno più applicabili, a meno che non siano già divenute
definitive. In questo caso, se rimane un debito residuo, questo non sarà più
dovuto (ma non sarà restituito quanto già pagato). Se la nuova norma punisce il
fatto con una sanzione più mite, si applica quest'ultima, sempre a condizione
che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo;
5.
non può essere
assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva
la capacità di intendere e di volere in base ai criteri indicati nel codice
penale (principio di imputabilità)
né coscienza e volontà della propria condotta (dolo o colpa);
6.
se l'autore della
violazione ha agito nell'interesse di una società o ente con personalità
giuridica, quest'ultimo soggetto è responsabile del pagamento della sanzione.
Ad esempio, in caso di violazione commessa dall'amministratore, è responsabile
la società, nei cui confronti verrà emessa la sanzione. Questa disposizione,
introdotta con l'art. 7 del D.L. 269/2003, introduce il principio della
riferibilità esclusiva alla persona giuridica della sanzione amministrativa
relativa al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità
giuridica e quindi capovolge la logica della norma precedente, fondata sul principio
di personalità della sanzione mutuato dal diritto penale, per cui il soggetto
nel cui interesse veniva commessa la violazione era responsabile solidalmente
con il suo autore materiale. Il vecchio principio si applica per tutte le
violazioni contestate fino al 2 ottobre 2003, il nuovo per tutte quelle che
alla suddetta data non risultano ancora contestate, o per le quali la sanzione
non sia stata irrogata, indipendentemente dalla data in cui siano state
commesse.
Le sanzioni non si applicano:
§ nei casi di obiettiva incertezza sulla portata delle
disposizioni;
§ quando la violazione deriva da equivocità dei modelli
o delle richieste di informazioni dell'Amministrazione finanziaria;
§ quando le violazioni derivano da ignoranza della legge
tributaria non evitabile. Non sono inoltre punibili le violazioni che non
arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono
sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento dei
tributi (disposizione aggiunta per effetto dello Statuto del contribuente, che
ha introdotto il divieto di sanzionare le violazioni puramente formali);
§ non è punibile il fatto commesso per causa di forza
maggiore;
§ in caso di concorso di più violazioni o di violazioni
continuate, anche in tempi diversi, si applica un'unica sanzione. In
particolare, nel caso in cui le violazioni attengono ad un solo periodo
d'imposta, la sanzione viene determinata applicando quella prevista per la
violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. La sanzione base viene
previamente aumentata di un quinto nel caso in cui la violazione rileva
rispetto a più tributi. Se invece violazioni della stessa indole vengono
commesse in più periodi d'imposta, si applica la sanzione prevista per la
violazione più grave aumentata dalla metà al triplo. In ogni caso, la sanzione
concretamente irrogata non può essere superiore a quella risultante dal cumulo
delle varie sanzioni previste per le violazioni commesse, e comunque i cumuli
delle sanzioni devono essere tali da mantenere l'ammontare delle sanzioni ad un
livello proporzionale all'entità del comportamento deviato, di modo che sia
possibile estinguerle senza venire espulsi dal processo produttivo.
Le sanzioni sono ridotte in caso di ravvedimento
spontaneo (cd. "ravvedimento operoso"), di accettazione della
sanzione o di rinuncia a impugnazioni e ricorsi (in acquiescenza, accertamento
con adesione e conciliazione, secondo le specifiche normative).
Le sanzioni devono essere sempre adeguate all'effettivo danno subito
dall'erario e all'entità soggettiva ed oggettiva delle violazioni, in modo da
assicurare uniformità di disciplina
per violazioni analoghe. Se circostanze eccezionali rendono manifesta la
sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la
sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo.
In ogni caso, le sanzioni possono
essere irrogate con due procedimenti distinti: l'atto di contestazione (art. 16 D.Lgs. 472/97) e l'irrogazione immediata (art. 17).
L'atto di
contestazione deve indicare, a pena di nullità (art. 16, comma 2):
§ i fatti attribuiti al trasgressore;
§ gli elementi probatori;
§ le norme applicate;
§ i criteri per la determinazione delle sanzioni e della
loro entità;
§ l'indicazione dei minimi edittali.
L'atto di contestazione deve altresì
indicare (art. 16, comma 6):
§ l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine
di sessanta giorni dalla sua notificazione e, ancora, l'invito a produrre nello
stesso termine le deduzioni difensive;
§ l'indicazione dell'organo al quale proporre
impugnazione immediata.
Entro 60 giorni dalla notifica del
provvedimento, il contribuente può:
§ versare un
terzo della sanzione contestata, definendo così la controversia ed
evitando eventuali sanzioni accessorie;
§
presentare deduzioni difensive o, in alternativa,
ricorrere in commissione tributaria (in quest'ultimo caso l'atto di
contestazione si considera provvedimento di irrogazione).
La presentazione
di deduzioni difensive preclude il ricorso in commissione tributaria e, d'altro
canto, l'ufficio ha da quel momento un anno di tempo per irrogare le sanzioni
con apposito atto motivato (anche in relazione alle deduzioni stesse), e solo
120 giorni per notificare eventuali misure cautelari.
In alternativa al suddetto
procedimento, ma solo per le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono,
l'ufficio può provvedere all'irrogazione
contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di
nullità. Anche in questo caso il contribuente (cioè, ciascuno dei destinatari
del provvedimento anche in solido) può, entro 60 giorni dalla notifica del
provvedimento, definire il provvedimento pagando un terzo della sanzione irrogata. La definizione si riferisce
esclusivamente alle sanzioni e non comporta acquiescenza rispetto al tributo
(che comporta invece, oltre alla riduzione delle sanzioni, la rinuncia
all'impugnazione e la definitività del provvedimento di accertamento).
Possono essere irrogate mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, le sanzioni
riguardanti l'omesso o ritardato pagamento dei tributi, anche se risultanti da
liquidazioni eseguite d'ufficio in base alle dichiarazioni presentate dai
contribuenti. Per queste ultime non è ammessa la definizione agevolata.
E’ ammessa la definizione agevolata con il pagamento
di un quarto delle sanzioni:
§
con atto di
contestazione per la violazione di norme tributarie
§
con atto
contestuale ad avviso di accertamento o di rettifica per le sanzioni collegate
al tributo cui si riferiscono.
Non è ammessa la definizione agevolata delle sanzioni:
§
con iscrizione a
ruolo per gli omessi o ritardati pagamenti dei tributi.
Il comma 10 è volto a chiarire la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale effettuato entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.
Si ricorda che la disciplina dei termini di accertamento era regolamentata
dall’originaria formulazione dell’articolo 57 del D.P.R. n. 633/72 la quale ne
statuiva la decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello
di presentazione della dichiarazione, ovvero del quinto anno per le sole
ipotesi di omissione della dichiarazione. Tale disciplina, con decorrenza dal 4
luglio 2006, è stata modificata ed integrata dall’articolo 37, comma 25 del decreto legge 223 del 2006, convertito in
legge n. 248 del 4 agosto 2006, che ha modificato l’articolo 57 citato
aggiungendo un terzo comma in base al quale le due tipologie di termini di decadenza degli accertamenti sono raddoppiate in caso di violazione che comporta l’obbligo di
denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, quindi
nel caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio
apprenda la notizia che è stato commesso uno dei reati tributari previsti dal
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Al riguardo merita segnalare che lo Statuto dei diritti del contribuente (articolo
3, comma 3, della legge 212/2000), in funzione del diritto di difesa del
contribuente, pone il generale divieto di proroga dei termini di decadenza.
La
Corte costituzionale, con la sentenza n.
247 del 2011, ha dichiarato costituzionalmente legittima la normativa che
dispone il raddoppio dei termini per
l'accertamento in presenza di un reato tributario, anche se la
contestazione della violazione penale scatta quando i termini ordinari di
accertamento sono già scaduti. Compete al giudice tributario, ove richiesto,
accertare se l'amministrazione contesti il reato tributario solo per fruire
ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Secondo la Corte, il
raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti
l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente
dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione
penale; l’obbligo di denuncia (comportante il raddoppio dei termini di
accertamento) sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive
della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato
all’autorità giudiziaria penale. In
presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare detti presupposti è comunque a carico dell’amministrazione finanziaria,
dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole.
Inoltre, nella sentenza si fa riferimento
all’obbligo di conservazione delle
scritture e dei documenti contabili ai fini dell’accertamento tributario: ne
consegue che il contribuente ha l’obbligo di conservare le scritture ed i
documenti contabili fino alla definizione degli accertamenti relativi e quindi
non può essere esonerato da tale obbligo fino alla scadenza del termine di otto
anni in presenza di regolare presentazione della dichiarazione dei redditi.
La sentenza citata ha sollevato numerose
perplessità tra le associazioni dei contribuenti. Secondo Assonime, a titolo di
esempio, la lettura della Corte Costituzionale mostrerebbe una ratio legis piuttosto anomala in un
ordinamento complessivamente orientato a principi di garanzia che trovano una
chiara indicazione sia nella Costituzione stessa sia nello Statuto del
contribuente, che pur non essendo norma costituzionale riveste, in ogni caso,
una riconosciuta valenza orientativa nell’interpretazione (vedi, al riguardo,
la circolare n. 20 del 29 luglio 2011).
L’esigenza di un intervento legislativo era
stato anche sollecitato da alcuni deputati della Commissione Finanze della Camera nel corso dell’audizione del
Direttore dell'Agenzia delle entrate sulle tematiche relative all'azione di
contrasto dell'evasione fiscale ed ai rapporti tra fisco e contribuenti del 31
gennaio 2012. In tale circostanza, era stata rilevata la necessità di
riaffermare il principio della certezza
del diritto e di porlo a presidio di tutto il sistema tributario.
La norma in commento intende pertanto circoscrivere l’ambito di applicazione del raddoppio dei termini, stabilendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale effettuato entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.
Articolo 3,
comma 11
(Rafforzamento dell’attività conoscitiva
e di controllo)
11. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di
cui all'articolo 1, norme per il rafforzamento dei controlli, secondo i
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) rafforzamento dei
controlli mirati da parte dell'amministrazione finanziaria, utilizzando in modo
appropriato e completo gli elementi contenuti nelle banche di dati e
prevedendo, ove possibile, sinergie con altre autorità pubbliche, al fine di
migliorare l'efficacia delle metodologie di controllo, con particolare
rafforzamento del contrasto delle frodi carosello, nonché degli abusi nelle
attività di incasso e trasferimento di fondi (money transfer) e di trasferimento di immobili;
b) previsione dell'obbligo di
garantire l'assoluta riservatezza nell'attività conoscitiva e di controllo fino
alla completa definizione dell'accertamento; l’effettiva osservanza, nel corso
dell'attività di controllo, del principio di ridurre al minimo gli ostacoli al
normale svolgimento dell'attività economica del contribuente, garantendo in
ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; il rafforzamento del
contraddittorio nella fase di indagine e subordinazione dei successivi atti di
accertamento e di liquidazione all'esaurimento del contraddittorio
procedimentale;
c) potenziamento e
razionalizzazione dei sistemi di tracciabilità dei pagamenti, prevedendo
espressamente i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità e promuovendo adeguate forme di coordinamento con gli Stati esteri, in
particolare con gli Stati membri dell’Unione europea;
d) potenziamento dell'utilizzo
della fatturazione elettronica.
L’articolo 3, comma 11, indica i principi e i criteri da perseguire nell’introduzione di norme volte al rafforzamento dei controlli fiscali. Si intende dunque prevedere il rafforzamento dei controlli mirati, possibilmente in sinergia con altre autorità pubbliche. Si prevede l’obbligo di garantire la riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell’accertamento il quale, nel corso dell’attività di controllo, deve essere ispirato al principio di riduzione al minimo degli ostacoli al normale svolgimento dell’attività economica del contribuente. Deve inoltre essere rispettato il principio di proporzionalità e rafforzato il contraddittorio con il contribuente. Si prevede quindi che, nella riforma dell’attività dei controlli, siano espressamente previsti i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità e che sia potenziato l’utilizzo della fatturazione elettronica.
Nella recente audizione (6 giugno 2013) presso la VI Commissione Finanze della Camera dei deputati il Direttore dell’Agenzia delle entrate Befera ha evidenziato come nel 2012 l’Agenzia abbia puntato al consolidamento dell’efficacia dissuasiva, oltre che repressiva, dei controlli, attuando una strategia finalizzata all’individuazione selettiva delle situazioni a più elevato rischio di evasione e/o di elusione fiscale. Gli accertamenti, grazie alla selezione dei soggetti effettuata sulla base dell’analisi del rischio per ciascuna tipologia di contribuente e al forte utilizzo delle banche dati a disposizione dell’Agenzia, stanno diventando sempre più mirati tanto che a fronte di un numero minore di accertamenti si registra un incremento di imposta recuperata. L’attività di accertamento ai fini delle imposte dirette, IVA, IRAP e imposte di registro ha prodotto nel 2012 oltre 400.000 controlli sostanziali, a fronte dei quali sono state accertate complessivamente maggiori imposte per oltre 28 miliardi di euro. Gli interventi esterni hanno dato luogo a 9.900 verifiche e controlli mirati, con risultati soddisfacenti sia in termini di maggiore imposta IVA constatata, pari a oltre 750 milioni di euro, sia di rilievi constatati relativamente alle imposte dirette e IRAP pari, rispettivamente, a 8,1 miliardi di euro e a 6,2 miliardi di euro. Per quanto riguarda le attività volte a reprimere i fenomeni di frode in materia di IVA, gli interventi realizzati dall’Ufficio Centrale Antifrode e dagli Uffici regionali sono stati oltre 520. E’ stata constatata complessivamente una maggiore imposta IVA per oltre 800 milioni di euro, mentre i rilievi relativi a imposte dirette e IRAP constatati
superano, rispettivamente, 1,6 miliardi di euro e 1,3 miliardi di euro.
Il potenziamento dell’attività di accertamento dei tributi
Lo sforzo del legislatore fiscale di rafforzare e rendere più efficiente l’attività di accertamento dei tributi si è concretato, negli ultimi anni, in una serie di interventi volti sia all’inasprimento che all’intensificazione dei controlli.
In tale contesto, all’Agenzia delle entrate è stato affidato un ruolo centrale nel coordinamento del servizio di accertamento e riscossione, attraverso l’ottimizzazione delle risorse, l’incremento della capacità operativa in specifici settori e la collaborazione con altri enti.
In particolare, il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8, commi 24 e 24-bis) ha disposto la possibilità di espletare concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti dell'Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dell’ Agenzia del territorio, salva la facoltà di affidamento a tempo determinato ai propri funzionari delle medesime posizioni ed ha consentito alla Guardia di Finanza di effettuare un piano straordinario di assunzioni nel ruolo di ispettori, anche utilizzando le vacanze organiche esistenti.
Inoltre, nella prospettiva del federalismo fiscale è stato previsto un maggior coinvolgimento degli enti territoriali nell’attività di accertamento e riscossione, sia dalle disposizioni del D.L. 78/2010, sia dalle norme in materia di federalismo municipale. Il decreto-legge n. 138 del 2011 ha previsto ulteriori disposizioni volte complessivamente ad incentivare la partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario. In particolare, per il triennio 2012-2014, è stato attribuito ai comuni l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento.
Nel corso del biennio 2011-2012 la disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria ha subito numerose modifiche, volte al complessivo rafforzamento dei predetti strumenti.
In primo luogo, sono stati rafforzati i poteri del fisco in sede di indagini finanziarie, consentendo (ai sensi dell’articolo 23, comma 24 del D.L. n. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione, per quanto riguarda le attività da essi svolte aventi natura finanziaria; sono state inoltre introdotte disposizioni di razionalizzare delle indagini, svolte mediante accesso, sull’industria finanziaria. Il medesimo provvedimento ha altresì previsto una serie di disposizioni in materia di studi di settore dirette, tra l’altro, a modificare il contenuto degli atti di accertamento nel caso di congruità alle risultanze degli studi di settore e ad innalzare del 50 per cento la misura delle sanzioni per l'ipotesi di omessa presentazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti.
L'attenzione del legislatore si è poi rivolta al fronte della tracciabilità dei pagamenti, mediante la riduzione (articolo 12 del D.L. 201/2011) a 1000 euro della soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore e con l’introduzione (articolo 2, comma 5 del D.L. 138/2011) di una sanzione accessoria a carico dei professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, che consiste nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine. Nel medesimo filone si muovono le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies del medesimo D.L. 138) che assoggettano all’obbligo di emissione di ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi di concessione.
Il decreto-legge n. 201 del 2011 ha poi introdotto la fattispecie penale (articolo 11, comma 1) di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento. L’articolo 8 del D.L. 16 del 2012 contiene ulteriori misure di contrasto all’evasione fiscale: si segnala la nuova disciplina dei cd. "costi da reato", ai sensi della quale le ipotesi di indeducibilità sono circoscritte a costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di fatti, atti o attività qualificabili come delitto non colposo, alle specifiche condizioni di legge.
In particolare, i principi e i criteri di delega elencati dall’articolo in esame sono i seguenti:
a) rafforzamento dell’utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria di controlli mirati utilizzando in modo appropriato e completo gli elementi contenuti nelle banche dati e prevedendo, laddove possibile, sinergie con altre autorità pubbliche nell’ottica di migliorare l’efficacia delle metodologie di controllo;
Controlli mirati e sinergie tra autorità
preposte all’accertamento
Tra le principali disposizioni volte a istituire o rafforzare forme di controllo mirato con riguardo a specifiche tipologie di contribuenti, di attività o di agevolazioni fiscali, si ricorda anzitutto l’insieme di norme relative alle procedure di accertamento (articolo 27, commi da 9 a 15 del D.L. n. 185 del 2008) nei confronti di imprese di grandi dimensioni, ossia quelle con un volume d'affari o ricavi non inferiori a trecento milioni di euro. L’articolo 12 del D.L. n. 78 del 2009 ha poi previsto l’istituzione da parte dell'Agenzia delle entrate, in coordinamento con la Guardia di finanza, di una unità speciale per il contrasto della evasione ed elusione internazionale, per l'acquisizione di informazioni utili alla individuazione dei predetti fenomeni illeciti ed il rafforzamento della cooperazione internazionale. Specifici interventi di potenziamento dei controlli doganali e di quelli in materia di giochi sono stati previsti dal D.L. n. 16 del 2012; il medesimo provvedimento (articolo 8, comma 8) dispone che l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza, in sede di pianificazione degli accertamenti fiscali da essi compiuti, tengano conto anche delle segnalazioni non anonime di violazioni tributarie, incluse quelle relative all’obbligo di emissione della ricevuta o dello scontrino fiscale
Numerose sono altresì le disposizioni che prevedono sinergie tra autorità preposte ai controlli fiscali o contributivi, nonché quelle volte a favorire i flussi informativi: l’articolo 7, comma 2, lettera h) del D.L. 70 del 2011 consente alle Agenzie fiscali, agli enti di previdenza e assistenza obbligatoria e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di stipulare, nei limiti delle risorse disponibili in base alla legislazione vigente, apposite convenzioni con le Amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici economici e le Autorità amministrative indipendenti per acquisire, in via telematica, nel rispetto dei principi di cui alla vigente normativa in materia di privacy, i dati e le informazioni personali - anche sensibili e in forma disaggregata - che gli stessi detengono per obblighi istituzionali, al fine di ridurre gli adempimenti dei cittadini e delle imprese e rafforzare il contrasto alle evasioni e alle frodi fiscali e contributive, nonché per accertare il diritto e la misura delle prestazioni previdenziali, assistenziali e di sostegno al reddito. L’articolo 5 del D.L. 201 del 2011, accanto alla revisione dell’ISEE, ha affidato a un provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di definire le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE. Il medesimo provvedimento (all’articolo 11, comma 2) ha imposto agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti. Le informazioni così comunicate sono utilizzate dall'Agenzia delle entrate per l’elaborazione con procedure centralizzate di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione nonché – ai sensi del D.L. 95 del 2012 - anche per semplificare gli adempimenti dei cittadini sulla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica valida ai fini ISEE e in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima.
L’articolo 11, comma 6 del D.L. n. 201 del 2011, nell’ambito dell’attività di scambio di informazioni tra Agenzia delle Entrate e INPS relativamente ai soggetti non residenti ed ai percipienti utili da contratti di associazione in partecipazione, dispone che l’INPS fornisca all'Agenzia delle entrate ed alla Guardia di finanza i dati relativi alle posizioni di soggetti destinatari di prestazioni socio-assistenziali, affinché vengano considerati ai fini della effettuazione di controlli sulla fedeltà dei redditi dichiarati, basati su specifiche analisi del rischio di evasione.
In merito ai profili di riservatezza, con il provvedimento n. 145 del 17 aprile 2012 l'Autorità Garante per la privacy ha espresso il proprio parere sullo schema di provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate riguardante le modalità con le quali le banche dovranno comunicare a fini di controllo fiscale all'Agenzia le informazioni relative ai conti correnti bancari (saldo iniziale e finale, importi totali degli accrediti e degli addebiti delle numerose tipologie di operazioni effettuate), indicando le specifiche misure di sicurezza necessarie alla protezione dei dati dei cittadini.
In particolare, si è sottolineata la necessità di integrare lo schema di provvedimento con l'individuazione di adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica e organizzativa, anche in relazione al trattamento posto in essere dagli operatori finanziari per la comunicazione annuale, volte a garantire che, qualora la trasmissione non avvenga con interconnessione application-to-application tra i rispettivi sistemi informativi. Tra le misure richieste dal Garante, si richiamano in questa sede gli opportuni meccanismi di cifratura e di sicurezza dei dati, volti a proteggere le informazioni e ad assicurare l'integrità del contenuto dei files, nonché l’uso di protocolli informatici sicuri per le eventuali trasmissioni interne all'operatore finanziario. Il Garante richiede inoltre che i soggetti incaricati del trattamento relativo alle comunicazioni all'archivio dei rapporti finanziari siano scelti dagli operatori finanziari sulla base di elevati requisiti di idoneità soggettiva, preferibilmente tra soggetti che abbiano un rapporto stabile con essi.
Inoltre, si richiede all'Agenzia deve predisporre l'uso di canali di comunicazione diversi e alternativi al servizio Entratel, soprattutto per le comunicazioni da parte di soggetti detentori di una elevata quantità di dati come i gruppi bancari; ove l'Agenzia ritenga di utilizzare il predetto servizio telematico Entratel, ovvero altro canale telematico, si richiede l’introduzione di misure e accorgimenti volti – tra l’altro - ad assicurare che l'operatore finanziario possa inviare il file, già cifrato all'origine, in un'unica soluzione e che venga effettuata la certificazione digitale delle postazioni client o altra misura equivalente. Sono previsti ulteriori requisiti in ordine alla sicurezza delle postazioni periferiche, come l'utilizzo di strumenti software integrativi idonei a rilevare altre qualità inerenti la sicurezza (antivirus, programmi di protezione contro il malware etc.) e l’utilizzo di sistemi di autenticazione informatica basati su tecniche di strong authentication, consistenti nell'uso contestuale di almeno due differenti tecnologie di autenticazione per tutti gli utilizzatori del sistema. L'Agenzia, a prescindere dalla modalità di trasmissione prescelta, deve assicurarsi che il procedimento di cifratura del file da trasmettere da parte dell'operatore finanziario possa avvenire già contestualmente alla estrazione dei dati dai sistemi, o, quantomeno, nella fase immediatamente successiva, preferibilmente con l'utilizzo di strumenti automatici che non prevedano l'intervento di un operatore. Laddove siano previsti casi di trattamento dei dati oggetto della comunicazione integrativa annuale ulteriori rispetto a quanto previsto nello schema di provvedimento in esame, l'Agenzia deve sottoporre alla verifica preliminare del Garante tale circostanza. Infine, si richiede che nello schema di provvedimento siano esplicitati i periodi di conservazione dei dati necessari e che, in ogni caso, allo scadere di tale periodo deve essere disposta l'integrale e automatica cancellazione degli stessi.
L'Autorità ha, inoltre, dato parere favorevole ad un altro schema di provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate riguardante le modalità tecniche di accesso da parte dei Comuni alle banche dati e di trasmissione delle dichiarazioni dei contribuenti ai fini della partecipazione dei Comuni stessi all'accertamento fiscale e contributivo; anche in tal caso sono state richieste misure tecniche e organizzative a protezione dei dati dei cittadini, con l'integrazione dello schema con la definizione delle modalità di accesso alle banche dati dell'Agenzia del territorio e dell'Inps. Limitatamente a questo aspetto, il Garante ha chiesto che lo schema gli venga nuovamente sottoposto.
b) previsione dell’obbligo di garantire l’assoluta riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell’accertamento; effettiva osservanza, nel corso dell’attività di controllo, del principio di ridurre al minimo gli ostacoli al normale svolgimento dell’attività economica del contribuente, garantendo in ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; rafforzamento del contraddittorio nella fase di indagine e subordinazione dei successivi atti di accertamento e liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale;
I principi che presiedono all’attività di controllo fiscale
L’articolo 14 della Costituzione, nello stabilire il principio di inviolabilità del domicilio, autorizza all’effettuazione di ispezioni, perquisizioni e sequestri nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. In particolare, si prevede una riserva di legge per la disciplina degli accertamenti e delle ispezioni effettuate, tra l’altro, a fini economici e fiscali. L’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972 reca la disciplina sostanziale di accessi, ispezioni e verifiche in materia di IVA, applicabile anche alle imposte sui redditi in virtù del richiamo operato dall’articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973 .
In sintesi, gli impiegati dell'Amministrazione finanziaria possono essere autorizzati ad accedere ai locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indichi lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono. L'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti o professioni deve essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. Per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della Repubblica. È in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale.
Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia. Alle condizioni di legge, l’Amministrazione finanziaria può effettuare accessi anche presso le pubbliche amministrazioni, per rilevare direttamente dati e notizie, nonché presso le banche e l'Amministrazione postale.
Le suddette disposizioni sono da integrarsi con quanto previsto dallo Statuto del contribuente (articolo 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212), ai sensi del quale tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente.
La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni.
Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l'eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente. In particolare (comma 5 dell’articolo 12 dello Statuto - modificato, da ultimo, dall’articolo 7, comma 2, lettera c) del decreto-legge n. 70 del 2011) la permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni. Sono previsti termini di permanenza inferiori (così come dell'eventuale proroga), ovvero non superiori a quindici giorni lavorativi, contenuti nell'arco di non più di un trimestre, ove la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi.
In entrambe le ipotesi (termini ordinari e abbreviati), ai fini del computo dei giorni lavorativi devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente.
Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente (organo collegiale costituito presso le articolazioni regionali degli uffici erariali avente compiti di rivolgere richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, con poteri di raccomandazione e accesso agli uffici medesimi secondo la disciplina dell'articolo 13 dello Statuto).
Per effetto delle modifiche operate dal citato D.L. 70/2011 (articolo 7, comma 2, lettera d)), le tutele in materia di accesso disposte dall’illustrato articolo 12 dello Statuto dei diritti del contribuente sono estese anche alle attività di controllo o ispettive svolte dagli enti di previdenza e assistenza obbligatoria.
c) potenziamento e razionalizzazione della tracciabilità dei pagamenti prevedendo espressamente i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità;
Le più recenti disposizioni in materia di tracciabilità dei pagamenti
L’articolo 12 del D.L. 201/2011 ha ridotto da 2.500 a 1.000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, con finalità di contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale. Nell’ottica dello snellimento burocratico e della semplificazione, inoltre, diverse norme (medesimo articolo 12 del D.L. n. 201 del 2011; articolo 16 del D.L. n. 5 del 2012) hanno esteso al bacino delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici (anche previdenziali) l’obbligo di effettuare pagamenti mediante strumenti diversi dal contante. Da ultimo, l'articolo 3 del D.L. n. 16 del 2012 ha previsto una deroga al tetto per l'uso del contante per determinate transazioni legate al turismo effettuate da cittadini non europei; per usufruire della deroga è necessario seguire un'apposita procedura.
d) potenziamento
dell’utilizzo della fatturazione
elettronica.
Si segnala che la direttiva 2010/45/UE sulla
fatturazione elettronica è stata recepita dai commi da 324 a 335, della legge
di stabilità 2013
La fatturazione
elettronica
La direttiva 2010/45/UE del
13 luglio 2010, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per
quanto riguarda le norme in materia di fatturazione, è stata recepita dai commi da 324 a 335, della legge di
stabilità 2013 (L. n. 228/2012) attraverso una serie di modifiche ed
integrazioni ad alcuni testi normativi (soprattutto al decreto IVA n. 633 del
1972 ed al decreto-legge n. 331 del 1993).
Le nuove disposizioni concernono in particolare l’emissione della
fattura, la fattura elettronica, la fattura semplificata e l’esigibilità
dell’imposta nelle operazioni transfrontaliere. Tra queste si segnala la
definizione di fattura elettronica (ossia la fattura che è stata emessa e
ricevuta in un qualunque formato elettronico) e l'introduzione della fattura
semplificata, che può essere emessa per operazioni di ammontare non superiore a
100 euro, nonché nel caso di fatture rettificative: in tali ipotesi si consente
l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati identificativi de
cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il codice fiscale o il
numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario o committente
stabilito in un altro Stato membro UE, è possibile indicare soltanto il numero
di identificazione IVA attribuito da detto Stato membro.
La nuova disciplina si applica a decorrere dalle operazioni effettuate a
partire dal 1° gennaio 2013.
I contenuti della direttiva 2010/45/UE
In particolare, la direttiva 2010/45/CE modifica la direttiva
2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, per
quanto riguarda le norme in materia di fatturazione, introducendo modifiche in
tema di esigibilità dell’IVA e di semplificazione della fatturazione.
Sotto il primo profilo, gli Stati membri, entro il 31 dicembre 2012,
potranno introdurre un regime di contabilità di cassa che consente di pagare
l'IVA solo quando il pagamento ad essa relativo viene effettivamente incassato.
Come emerge dai considerando della direttiva, tale regime ha lo scopo di
aiutare le piccole e medie imprese che hanno difficoltà a versare l’IVA prima
di aver ricevuto i pagamenti dai loro acquirenti. In tal modo, si afferma, gli
Stati membri potranno introdurre un regime facoltativo di contabilità di cassa
che non andrà ad incidere negativamente sui flussi di cassa legati alle loro
entrate IVA.
In Italia, la disciplina
dell’IVA per cassa, introdotta col
D.L. n. 185 del 2008, è stata da ultimo innovata profondamente dall’articolo
32-bis del D.L. 83 del 2012, ai sensi del quale: il regime “per cassa” è
opzionale; l’esigibilità dell’IVA “per cassa” si applica alle operazioni
effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a due milioni
di euro; il diritto alla detrazione in capo al cessionario o al committente
sorga al momento di effettuazione dell’operazione, anche se il corrispettivo
non è stato ancora pagato.
La direttiva prevede inoltre la possibilità di emettere fatture semplificate per importi
inferiori ai 100 euro. Dal 1° gennaio 2013 sono introdotte disposizioni di
omologazione a livello europeo del contenuto della fattura, sia cartacea che in
forma elettronica, con l'obiettivo di renderne uniforme l'utilizzo e la
comprensione da parte dell'emittente e del destinatario, ancorché identificati
ai fini IVA in Stati membri diversi dell'Unione.
Le disposizioni incoraggiano, inoltre, il ricorso alla fatturazione
elettronica mediante la soppressione degli ostacoli giuridici alla trasmissione
e all’archiviazione dei documenti dematerializzati. La direttiva introduce un
principio in base al quale ogni soggetto passivo stabilisce il modo in cui
assicurare l'autenticità dell'origine, l'integrità del contenuto e la
leggibilità della fattura: i soggetti passivi, pertanto, non sono obbligati a ricorrere
ad una particolare tecnologia di fatturazione elettronica. Per motivi di
certezza, viene riconosciuta agli Stati membri la possibilità di richiedere che
la conservazione elettronica delle fatture sia obbligatoriamente accompagnata
dalla conservazione di quei dati che garantiscono l'autenticità dell'origine e
l'integrità del contenuto di ciascuna fattura.
Viene introdotta una diversa definizione di fattura elettronica. La
precedente definizione (“trasmissione o messa a disposizione per via elettronica
dei dati di fatturazione”) è sostituita con “fattura emessa e ricevuta in
formato elettronico”. Si afferma dunque la piena parificazione tra le fatture
cartacee e quelle elettroniche.
Vengono inoltre stabilite regole
più precise per determinare gli obblighi per le imprese in tema di
fatturazione: normalmente si applicheranno le norme dello Stato membro in cui
si considera effettuata la cessione di un bene o la prestazione di un servizio.
Sono modificati gli obblighi
relativi alle informazioni che devono figurare sulle fatture per permettere un
miglior controllo dell'imposta, garantire un trattamento più uniforme alle
cessioni di beni/prestazioni di servizi e contribuire a promuovere la
fatturazione elettronica.
Le norme di
recepimento
In primo luogo, le norme in
commento modificano numerosi articoli del D.P.R. n.633 del 1972 (decreto IVA).
Anzitutto la lettera a) del comma 325 modifica il quarto
comma dell'articolo 13, concernente la base imponibile, ai fini della
conversione in euro degli importi in valuta contenuti sulla fattura. Si
introduce pertanto la possibilità di effettuare la conversione in euro, per
tutte le operazioni effettuate nell'anno solare, sulla base del tasso di cambio
pubblicato dalla Banca centrale europea.
La lettera b) reca modifiche all'articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972
concernente i soggetti passivi, dirette sostanzialmente a prevedere che nel
caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto
passivo stabilito in un altro Stato UE, sia il cessionario che il committente
possano adempiere agli obblighi di fatturazione e di registrazione.
La lettera c) modifica l'articolo 20 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente
il volume d'affari: in particolare viene soppresso il riferimento alle
prestazioni di servizi, non soggette ad IVA, rese a soggetti stabiliti in un
altro Stato membro della comunità tra le voci che non concorrono a formare il
volume di affari del contribuente.
Fatturazione delle
operazioni
La lettera d) sostituisce
pressoché integralmente l'articolo 21 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente
la fatturazione delle operazioni.
In primo luogo, è recepita una
definizione di fattura elettronica simile a quella introdotta dalla direttiva
2010/45/UE: si prevede pertanto che per fattura elettronica si intenda la
fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico; si
prevede altresì che il ricorso alla fattura elettronica sia subordinato
all'accettazione da parte del destinatario.
L'emissione della fattura,
cartacea o elettronica, da parte del cliente o del terzo residente in un Paese
con il quale non esiste alcuno strumento giuridico che disciplini la reciproca
assistenza è consentita a condizione che ne sia data preventiva comunicazione
all'Agenzia delle entrate e purché il soggetto passivo nazionale abbia iniziato
l'attività da almeno cinque anni e nei suoi confronti non siano stati
notificati, nei cinque anni precedenti, atti impositivi o di contestazione di
violazioni sostanziali in materia di imposta sul valore aggiunto. Con provvedimento
del direttore dell'Agenzia delle entrate sono determinate le modalità, i
contenuti e le procedure telematiche della comunicazione. La fattura, cartacea
o elettronica, si ha per emessa all'atto della sua consegna, spedizione,
trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente.
Si prescrive l’indicazione in
fattura di apposite diciture per determinate fattispecie: tra le altre, viene
introdotto l’obbligo di indicare il numero di partita IVA del cessionario o
committente, ovvero il numero di registrazione ai fini dell’IVA per i soggetti
stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, ovvero il codice
fiscale se il cessionario o committente non agisce nell’esercizio d’impresa,
arte o professione (lettera f) del comma 2 citato).
Vengono apportate modifiche
riguardanti l'autenticità dell'origine, l'integrità del contenuto e la
leggibilità della fattura: si prevede pertanto che il soggetto passivo debba
assicurare autenticità, integrità e leggibilità dal momento dell'emissione della
fattura fino al termine del suo periodo di conservazione; autenticità
dell'origine ed integrità del contenuto possono peraltro essere garantite
mediante sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento
affidabile tra la fattura e la cessione di beni o la prestazione di servizi ad
essa riferibile. Le fatture redatte in lingua straniera sono tradotte in lingua
nazionale, a fini di controllo, a richiesta dell'amministrazione finanziaria.
Si prevede la possibilità di
emettere fatture periodiche entro il giorno 15 del mese successivo a quello di
effettuazione delle operazioni, purché queste trovino riscontro in un documento
di trasporto (per le cessioni di beni) e in idonea documentazione (per le
prestazioni di servizi). Ulteriori modifiche sono quindi apportate, per tenere
conto delle disposizioni comunitarie sui termini di fatturazione, in relazione
alle prestazioni di servizi rese nei confronti di soggetti stabiliti
nell’Unione europea (lettera c) del comma 4) e alle prestazioni di servizi rese
a o ricevute da soggetti passivi stabiliti fuori dell’UE (lettera d) del comma
4).
Si individuano le annotazioni che
devono essere contenute nella fattura ("operazione non soggetta",
"operazione non imponibile", "operazione esente",
"regime del margine - beni usati", "regime del margine - oggetti
d'arte" o "regime del margine - oggetti di antiquariato o da
collezione", "regime del margine - agenzie di viaggio") in luogo
dell'ammontare dell'imposta per determinate tipologie di operazioni.
In materia di annotazioni, la
lettera g) modifica altresì l'articolo 74 del D.P.R. n. 633, al fine di
prevedere, in determinate ipotesi, l'obbligo di inserire nella fattura
l'annotazione “inversione contabile”.
Si ricorda che la direttiva
2010/23/UE ha modificato la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne
l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione
contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi.
L'inversione contabile, o reverse
charge è un particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore
aggiunto, per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o
prestazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è
tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del cedente o prestatore.
Quest'ultimo soggetto emette
fattura senza addebitare l'imposta ed applica la norma che prevede
l'applicazione del regime del reverse charge (articolo 17 comma 6 del D.P.R.
633/1972). Il destinatario della cessione di beni o della prestazione del
servizio deve integrare la fattura ricevuta con l'indicazione dell'aliquota
propria della operazione messa in essere dal cedente o prestatore del servizio,
della relativa imposta e inoltre deve registrare il documento sia nel registro
delle fatture emesse o dei corrispettivi, che nel registro degli acquisti a tal
punto da rendere neutrale l'effetto della imposta.
In merito all’obbligatorietà
dell’emissione della fattura, si prevede l'emissione per le operazioni non
rilevanti territorialmente in Italia ed effettuate nei confronti di soggetti
passivi debitori dell’imposta in un altro Stato membro dell’Unione europea; un
analogo obbligo viene stabilito per le operazioni non soggette ad IVA che si
considerano effettuate fuori del territorio dell’Unione europea.
Le fatture emesse dal cessionario
di un bene o dal committente di un servizio in virtù di un obbligo proprio
devono recare l'annotazione "autofatturazione".
Fattura
semplificata
La lettera e) inserisce nel D.P.R. n. 633 del 1972 l'articolo 21-bis, diretto
a disciplinare la fattura semplificata.
La fattura semplificata può
essere emessa per operazioni di ammontare complessivo non superiore a 100 euro,
nonché nel caso di fatture rettificative (note di variazione): in tale ipotesi
si consente l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati
identificativi del cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il
codice fiscale o il numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario
o committente stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, è possibile
indicare soltanto il numero di identificazione IVA attribuito da detto Stato
membro.
Inoltre, si prevede che sia
sufficiente indicare sulla fattura semplificata l'ammontare del corrispettivo
complessivo e dell’imposta incorporata ovvero dei dati necessari per
calcolarla: non è pertanto necessario indicare la base imponibile
dell’operazione e la relativa imposta.
Viene infine specificato che, con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze:
§
il predetto limite di 100 euro potrà essere elevato fino a 400 euro;
§
potrà essere consentita l’emissione di fatture semplificate anche senza
limiti di importo per le operazioni effettuate nell’ambito di specifici settori
di attività o da specifiche tipologie di soggetti per i quali le pratiche
commerciali o amministrative ovvero le condizioni tecniche di emissione delle
fatture rendono particolarmente difficoltoso il rispetto degli adempimenti
previsti per l’emissione delle fatture.
Tenuta e
conservazione dei registri e dei documenti
La lettera f) sostituisce il terzo comma dell'articolo 39 del D.P.R. n. 633
del 1972, concernente la tenuta e la conservazione dei registri e dei
documenti.
In particolare con la modifica
apportata viene previsto che le fatture elettroniche debbano essere conservate
in modalità elettronica, in conformità alle disposizioni del decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 21, comma
5, del decreto legislativo n. 82 del 2005 (Codice dell'amministrazione
digitale).
Si ricorda che tale disposizione
stabilisce che gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla
loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalità
definite con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie.
Si prevede altresì che le fatture
create in formato elettronico e quelle cartacee possano essere conservate
elettronicamente; per fatture create in formato elettronico si intendono quelle
che, ancorché create elettronicamente, non possono definirsi fatture
elettroniche per la mancanza della loro accettazione da parte del destinatario.
Cessioni e acquisti
intracomunitari
Il comma 326 apporta alcune
modifiche al decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 recante una serie di disposizioni
tributarie.
In particolare la lettera a) ne
modifica l'articolo 38, comma 5, lettera a),
concernente gli acquisti intracomunitari, prevedendo che non costituisce
acquisto intracomunitario l'introduzione nel territorio dello Stato di beni
oggetto di perizie (secondo il testo integrato dalla norma in esame) o di
operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali, se i beni sono
successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo
d'imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato
membro ovvero fuori del territorio UE.
La lettera b) sostituisce l'articolo 39 del decreto-legge n. 331 del 1993,
dedicato all'effettuazione delle cessioni e degli acquisti intracomunitari.
Per effetto delle modifiche
apportate si prevede anzitutto che le cessioni intracomunitarie e gli acquisti
intracomunitari di beni si considerano effettuati all'atto dell'inizio del
trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto,
rispettivamente, dal territorio dello Stato o dal territorio dello Stato membro
di provenienza. Tuttavia se gli effetti traslativi o costitutivi si producono
in un momento successivo alla consegna, le operazioni si considerano effettuate
nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un
anno dalla consegna.
Si recepisce la soppressione,
disposta dalla direttiva 2010/45/UE, dell'obbligo di emissione della fattura
per gli acconti incassati in relazione ad una cessione intracomunitaria: si
prevede pertanto che se anteriormente al verificarsi dell'evento di cui al
comma 1 è stata emessa la fattura relativa ad un'operazione intracomunitaria,
questa si considera effettuata, limitatamente all'importo fatturato, alla data
della fattura.
Sono infine disciplinate alcune ipotesi in cui le cessioni, i
trasferimenti di beni e gli acquisti intracomunitari, se effettuati in modo
continuativo in un periodo superiore ad un mese solare, si considerano
effettuati al termine di ciascun mese.
La lettera c) modifica
l'articolo 41 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato alle cessioni
intracomunitarie non imponibili, integrando la disposizione con il riferimento
alle perizie - accanto alle operazioni di perfezionamento o di manipolazioni
usuali - analogamente a quanto visto supra alla lettera a); la lettera d)
abroga invece il comma 3 dell'articolo 43 del decreto-legge n. 331 del 1993,
concernente la base imponibile e l'aliquota, a fini di coordinamento con la
modifica apportata all'articolo 13 del D.P.R. n. 633 del 1972 su cui vedi
supra.
La lettera e) reca alcune
modifiche all'articolo 46 del decreto-legge n. 331 del 1993, concernente la
fatturazione delle operazioni intracomunitarie.
In particolare al comma 1, nel caso di acquisto intracomunitario senza
pagamento dell'imposta o non imponibile o esente, si precisa che in luogo
dell'ammontare dell'imposta nella fattura deve essere indicato il titolo con
l'eventuale indicazione della relativa norma comunitaria o nazionale.
La modifica apportata al comma 2 dell'articolo 46 interviene sul termine
di fatturazione, prevedendo che per le cessioni intracomunitarie l'emissione
della fattura sia effettuata entro il giorno 15 del mese successivo a quello
dell'operazione; analogamente si interviene sui termini di fatturazione con la
modifica apportata al comma 5.
Anche la lettera f) - recante
modifiche all'articolo 47 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato alla
registrazione delle operazioni intracomunitarie - ridefinisce i termini di
fatturazione, in particolare per la registrazione delle fatture.
Analogamente la lettera g)
modifica il primo comma dell'articolo 49 del decreto-legge n. 331 del 1993,
dedicato alla dichiarazione e al versamento dell'imposta per gli enti non
commerciali e per i prodotti soggetti ad accisa, intervenendo sui termini di
presentazione, entro ciascun mese, di una dichiarazione relativa agli acquisti
registrati con riferimento al secondo mese precedente.
Il comma 329 modifica l'articolo 1, comma 1, lettera a), primo periodo,
del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746 in materia di IVA.
Esso prevede che ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore
abituale non si tenga conto delle operazioni non rilevanti territorialmente in
Italia ed effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori dell’imposta in
un altro Stato membro UE nonché delle operazioni non soggette ad IVA che si
considerano effettuate fuori del territorio UE (di cui all'articolo 21, comma
6-bis, del decreto del D.P.R. n. 633
del 1972).
Sanzioni tributarie non penali
Il comma 327 modifica l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 18
dicembre 1997, n. 471 in materia di sanzioni tributarie non penali, in cui
viene disciplinata la violazione degli obblighi relativi alla documentazione,
registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore
aggiunto: la modifica apportata specifica che le sanzioni ivi previste
(sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei
corrispettivi non documentati o non registrati) si applicano a chi viola
obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione non solo di
operazioni non imponibili o esenti ma anche di operazioni non soggette a IVA.
Apparecchi misuratori fiscali
Il comma 328 interviene sulla disciplina degli apparecchi misuratori
fiscali, modificando l'articolo 1 della legge 26 gennaio 1983, n. 18.
Esso prevede che le fatture di cui agli articoli 21 e 21-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (su cui
vedi supra) possano essere emesse, alle condizioni previste dagli stessi
articoli, mediante gli apparecchi misuratori fiscali (in relazione alle
cessioni di beni effettuate in locali aperti al pubblico o in spacci interni,
per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura, e per le
somministrazioni in pubblici esercizi di alimenti e bevande non soggette
all'obbligo del rilascio della ricevuta fiscale); in tale ipotesi per
l'identificazione del soggetto cedente o prestatore le fatture possono recare i
dati identificativi determinati con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze.
Articolo 3,
comma 12
(Revisione del contenzioso tributario e
della riscossione degli enti locali. Ulteriori principi in materia di
riscossione)
12. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di
cui all'articolo 1, norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del
contribuente, nonché per l'accrescimento dell'efficienza nell'esercizio dei
poteri di riscossione delle entrate degli enti locali, secondo i seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) ampliamento dell’istituto della conciliazione giudiziale relativamente
alle controversie tributarie di competenza delle commissioni tributarie;
b) miglioramento dell'efficienza delle commissioni tributarie attraverso
la ridistribuzione territoriale del personale giudicante;
c) riordino della disciplina della riscossione delle entrate degli enti
locali, al fine di:
1) assicurare certezza, efficienza ed efficacia nell’esercizio dei
poteri di riscossione, rivedendo la normativa vigente e coordinandola in un
testo unico di riferimento che recepisca, attraverso la revisione della disciplina
dell’ingiunzione di pagamento prevista dal testo unico di cui al regio decreto
14 aprile 1910, n. 639, le procedure e gli istituti previsti per la gestione
dei ruoli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 602, adattandoli alle peculiarità della riscossione locale;
2) assicurare competitività, certezza e trasparenza nei casi di
esternalizzazione delle funzioni in materia di riscossione, nonché adeguati
strumenti di garanzia dell’effettività e della tempestività dell’acquisizione
da parte degli enti locali delle entrate riscosse, attraverso la revisione dei
requisiti per l’iscrizione all’albo di cui all’articolo 53 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, l’emanazione
di linee guida per la redazione di capitolati di gara e per la formulazione dei
contratti di affidamento o di servizio, l’introduzione di adeguati strumenti di
controllo, anche ispettivo, la pubblicizzazione dei principali elementi dei
contratti stipulati e l’allineamento degli oneri e dei costi secondo le
modalità e nella misura massima stabilite dall’articolo 17 del decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e successive modificazioni;
3) prevedere l’affidamento dei predetti servizi nel rispetto della
normativa europea, nonché l’adeguata valorizzazione e messa a disposizione
delle autonomie locali delle competenze tecniche, organizzative e
specialistiche in materia di entrate degli enti locali accumulate presso le
aziende del gruppo Equitalia, anche attraverso un riassetto organizzativo del
gruppo stesso;
4) assoggettare le attività di riscossione coattiva a regole
pubblicistiche, a garanzia dei contribuenti;
5) prevedere un codice deontologico dei soggetti affidatari dei servizi
di riscossione e degli ufficiali della riscossione, da adottare con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze;
6) prevedere specifiche cause di incompatibilità per i rappresentanti
legali, amministratori o componenti degli organi di controllo interni dei
soggetti affidatari dei servizi;
d) rafforzamento, costante aggiornamento, piena informatizzazione e
condivisione tra gli uffici competenti dei meccanismi di monitoraggio e analisi
statistica circa l’andamento, in pendenza di giudizio, e circa gli esiti del
contenzioso tributario, al fine di assicurare la tempestività, l’omogeneità e
l’efficacia delle scelte dell’amministrazione finanziaria in merito alla
gestione delle controversie, nonché al fine di verificare la necessità di
eventuali revisioni degli orientamenti interpretativi dell’amministrazione
stessa, ovvero di interventi di modifica della normativa tributaria vigente;
e) progressivo superamento del principio della compensazione delle spese
all’esito del giudizio;
f) previsione della non pignorabilità dei beni mobili strumentali all’esercizio
di arti, imprese e professioni, necessari al proseguimento dell’attività
economica;
g) ampliamento della possibilità di rateizzazione, in connessione a
comprovate situazioni di difficoltà finanziaria, e riduzione delle sanzioni in
caso di regolare adempimento degli obblighi dichiarativi.
L’articolo 3, comma 12, delega il Governo all’introduzione di norme aventi lo scopo di rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente e rendere più efficienti i poteri di riscossione delle entrate degli enti locali.
Al fine di raggiungere il primo obiettivo, il Governo dovrà prevedere l’ampliamento dell’istituto della conciliazione giudiziale relativamente alle controversie tributarie di competenza delle commissioni tributarie nonché il miglioramento dell'efficienza di queste ultime attraverso la ridistribuzione territoriale del personale giudicante.
Il riordino della riscossione delle entrate locali dovrà improntarsi a criteri di certezza, efficienza ed efficacia, di competitività, certezza e trasparenza nei casi di esternalizzazione dei poteri di riscossione, nonché di garanzia quanto alla trasparenza, effettività e tempestività dell’acquisizione da parte degli enti locali delle entrate riscosse.
Altri principi in materia di riscossione locale riguardano:
§ il rispetto della normativa europea nelle procedure di affidamento dei servizi;
§ la messa a disposizione delle autonomie locali delle competenze tecniche, organizzative e specialistiche in materia di entrate degli enti locali accumulate presso le aziende del gruppo Equitalia, anche attraverso un riassetto organizzativo del gruppo stesso;
§ l’assoggettamento delle attività di riscossione coattiva a regole pubblicistiche, a garanzia dei contribuenti;
§ la previsione di un codice deontologico dei soggetti affidatari dei servizi di riscossione e degli ufficiali della riscossione;
§ la previsione di specifiche cause di incompatibilità per i rappresentanti legali, amministratori o componenti degli organi di controllo interni dei soggetti affidatari dei servizi.
I principi e i criteri direttivi afferenti al rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente sono i seguenti:
§ ampliamento dell’istituto della conciliazione giudiziale relativamente alle controversie tributarie di competenza delle commissioni tributarie (lettera a));
§ miglioramento dell'efficienza delle commissioni tributarie attraverso la ridistribuzione territoriale del personale giudicante (lettera b)).
§ rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio e analisi statistica circa l’andamento e gli esiti del contenzioso tributario, al fine di assicurare la tempestività, l’omogeneità e l’efficacia delle scelte dell’amministrazione finanziaria in merito alla gestione delle controversie, nonché al fine di verificare la necessità di eventuali revisioni degli orientamenti interpretativi dell’amministrazione stessa, ovvero di interventi di modifica della normativa tributaria vigente(lettera d));
§ progressivo superamento del principio della compensazione delle spese all’esito del giudizio (lettera e)).
Sotto il profilo della formulazione del
testo si segnala la disomogeneità della norma in commento, che reca principi in
materia di contenzioso alle lettere a), b), d) ed e); norme in materie di
riscossione degli enti locali alla lettera c) e, infine, norme in materia di
riscossione alle lettere g) ed f). Si segnala peraltro che ulteriori principi
in materia di riscossione sono rinvenibili all’articolo 3, comma 6, con
riferimento alla rateizzazione dei debiti.
Lo stato del contenzioso tributario e le
misure di accelerazione
Nella Relazione
di monitoraggio sullo stato del contenzioso tributario e sull’attività delle
commissioni tributarie per l’anno 2011 si registra un netto calo dei
ricorsi presentati nelle Commissioni tributarie nel 2011 rispetto all'anno
precedente (-8,84%), in particolare presso le Commissioni tributarie
provinciali (-10,64%), mentre nelle Commissioni regionali si osserva una
flessione minore (-1,35%).
Gli enti
impositori maggiormente coinvolti nei ricorsi presentati in primo grado nel
2011 sono l'Agenzia delle entrate (61,16%), Regioni, Province e Comuni (16,53%)
ed Equitalia (11,27%), per circa il 90% dei ricorsi presentati. La maggior
parte dei ricorsi sono stati presentati nelle CT provinciali del meridione
(54,52%).
In ordine alla tipologia dei tributi oggetto dei ricorsi, nel 2011 l'Irpef/Ire raggiunge circa
il 16% del totale, l'Irap anche in combinazione con altre imposte raggiunge il
19%, l'Iva presa singolarmente o in combinazione con altre imposte raggiunge il
6% del totale. Rispetto al 2010, le cause aventi per oggetto l'Irpef/Ire
registrano un calo di tre punti percentuali.
Presso le CT provinciali gli esiti favorevoli al contribuente e all'Ufficio raggiungono
rispettivamente il 35,15% e il 39,84% del totale; rispetto al 2010 non si
registrano sostanziali variazioni. Presso le CT regionali gli esiti risultano
per il 44,37% favorevoli al contribuente e per il 42,54% favorevoli
all'ufficio; rispetto al 2010 si registra un incremento della percentuale degli
esiti favorevoli all'ufficio di 2,61 punti percentuali e un decremento pari a
2,46 punti percentuali delle sentenze a favore del contribuente.
Le spese
del giudizio liquidate con la sentenza risultano compensate presso le CTP nell'82,23%
dei casi. Esaminando i dati dei ricorsi pendenti al 31 dicembre 2011, si
registra un incremento degli stessi rispetto a quelli del 2010 pari al 3,90%.
Si segnala, infine, che la L. 24 febbraio 2012, n. 14, ha differito al 31
dicembre 2013 il termine per l'esaurimento dell'attività della CTC.
Le disposizioni
in materia di contenzioso tributario introdotte negli ultimi anni hanno
perseguito, in primo luogo, il fine di agevolare lo smaltimento delle liti fiscali pendenti (articolo 55 del D.L.
112/2008; articolo 3 del D. L. 40/2010 e, da ultimo, articolo 39, comma 12 del
D.L. 98 del 2011), introducendo in particolare forme di definizione agevolata delle controversie “minori” (dal
valore non superiore a 20.000 euro).
Il D.L. n. 216 del 2011 (art. 29, comma 16-bis) ha prorogato il termine per
accedere alla definizione agevolata
delle liti fiscali pendenti: in particolare, il termine della pendenza
della lite dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni
grado del giudizio è stato differito dal 1° maggio 2011 al 31 dicembre 2011.
Conseguentemente il termine per il versamento delle somme che consentono
l’accesso alla procedura, scaduto il 30 novembre scorso, è stato fissato al 31
marzo 2012.
Analoga funzione di alleggerimento del contenzioso è
svolta dalle disposizioni della legge di
stabilità 2013 (articolo 1, comma 527 della legge n. 228 del 2012) che
introducono una sanatoria per i debiti fiscali di modesta entità (fino
a 2000 euro) purché iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999.
Inoltre, (articolo 1, comma 544 del medesimo
provvedimento) in tutti i casi di riscossione
coattiva di debiti fino a 1000 euro, intrapresa successivamente al 1°
gennaio 2013 e salvo il caso in cui l'ente creditore abbia notificato al
debitore la comunicazione di inidoneità della documentazione da lui inviata,
non si può procedere alle azioni cautelari ed esecutive prima del decorso di
centoventi giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio
delle iscrizioni a ruolo.
Il citato decreto-legge n. 98 del 2011 (articolo 39,
comma 9) ha introdotto l’istituto della mediazione
tributaria.
In particolare, per quanto riguarda il reclamo, per le controversie di valore
non superiore a ventimila euro relative ad atti dell’Agenzia delle entrate,
notificati a decorrere dal 1° aprile 2012, da esperire in via preliminare ogni
qualvolta si intenda presentare un ricorso, pena l’inammissibilità dello
stesso. In ambito tributario – ove peraltro vige il principio della
indisponibilità dei diritti - la mediazione applicabile è unicamente quella
prevista dall’articolo 17-bis del
D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui per le controversie di valore non superiore
a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi
intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo. Si
tratta di uno strumento deflativo
del contenzioso, con il quale si prevede la presentazione obbligatoria di
un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso: con essa il contribuente
chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi
motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della
Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale. E’ in
facoltà del contribuente inserire nell’istanza anche una proposta di
mediazione. L’Agenzia delle entrate ha pubblicato la circolare 9/E del 17 marzo
2012, avente ad oggetto i chiarimenti e le istruzioni operative sulla
mediazione tributaria, con la quale ha in particolare chiarito l’ambito
applicativo del nuovo strumento, operativo al momento solo in una fase
antecedente il contenzioso (dunque prima dell’instaurazione del primo grado di
giudizio).
In particolare, il contribuente deve esperire la fase
amministrativa ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati
dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle entrate,
e il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro.
Ne deriva che sono oggetto di mediazione le
controversie relative a:
§
avviso di
accertamento;
§
avviso di
liquidazione;
§
provvedimento che
irroga le sanzioni;
§
ruolo;
§
rifiuto espresso
o tacito della restituzione di tributi, sanzioni
§
pecuniarie e
interessi o altri accessori non dovuti;
§
diniego o revoca
di agevolazioni o rigetto di domande di
§
definizione agevolata
di rapporti tributari;
§
ogni altro atto
emanato dall’Agenzia delle entrate, per il quale la
§
legge preveda
l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni
§
tributarie.
L’agenzia
ritiene oggetto di mediazione anche il rifiuto tacito della restituzione di
tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti, sulla
base delle seguenti considerazioni.
Il dimensionamento delle Commissioni
tributarie e le misure di razionalizzazione
Già dal 2007
il legislatore tributario persegue l’obiettivo di ridistribuire
territorialmente e razionalizzare l’impianto delle Commissioni Tributarie.
L’articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007,
n. 244 (legge finanziaria 2008) ha introdotto norme volte a “delocalizzare” la
Commissione Tributaria Centrale (CTC), con l’obiettivo di accelerare il
processo di smaltimento delle controversie ancora pendenti. Si è infatti
disposto che, a partire dal 1° maggio 2008, il numero delle sezioni giudicanti
della CTC fosse ridotto a 21, ciascuna con sede presso ogni Commissione
tributaria regionale e presso le Commissioni tributarie di secondo grado di
Trento e Bolzano. Alle sezioni regionali della CTC, oltre ai giudici già in
organico presso la stessa CTC, sono stati applicati giudici in servizio presso
le CTR e le CTP della relativa regione.
Il medesimo articolo 1, comma 352, stabilisce anche
che i processi pendenti dinanzi alla CTC siano attribuiti alla sezione
regionale nella cui circoscrizione ha sede la commissione che ha emesso la
decisione impugnata. Tali sezioni sono divenute, per effetto della disposizione
normativa, competenti, in via esclusiva, alla trattazione delle liti pendenti.
Al fine di accelerare lo smaltimento del contenzioso
pendente dinanzi alla CTC e garantire che le attività delle 21 sezioni delocalizzate
sia esaurita entro la data fissata dalla legge (originariamente fissata al 31
dicembre 2012 dal D.L. n. 40 del 2010 e posposta al 31 dicembre 2013 dall’articolo 29, comma 16-decies del D.L. n. 216 del 2011), il Consiglio di Presidenza della
giustizia tributaria, con delibera n. 2684 del 30 novembre 2010, ha fissato il
carico di lavoro minimo in n. 130 ricorsi per giudice ad anno ed approvato le
graduatorie regionali per l’applicazione alle sezioni della CTC dei giudici (n.
447) delle CTP.
Il citato articolo 39 del decreto-legge 98 del 2011
(come modificato dal decreto-legge 138 del 2011) ha poi rafforzato le cause di incompatibilità dei giudici tributari e
incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici
togati. Al fine di coprire 960 posti vacanti presso le commissioni tributarie a
decorrere dal 1° gennaio 2012, è stato tra l’altro predisposto un bando riservato a magistrati ordinari,
amministrativi, militari e contabili che non prestino già servizio presso le
predette commissioni.
Per quanto concerne la disciplina dell’incompatibilità, le nuove norme
sanciscono che sono incompatibili con l’esercizio delle funzioni di giudice
tributario coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o
accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, detengono
le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di
consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle
controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di
contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori.
Sono altresì incompatibili con il ruolo di giudice tributario coloro che sono
iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli, e il relativo personale
dipendente, individuati nell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546 - che disciplina l’assistenza tecnica - ed esercitano, anche in
forma non individuale, le attività individuate in precedenza, nonché i coniugi,
i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di
coloro che sono iscritti in albi professionali, ovvero esercitano le attività
sopraindicate nella regione e nelle province confinanti. Infine, non possono
essere componenti dello stesso collegio giudicante, oltre a coniugi, parenti e
affini entro il quarto grado, come già stabilito all’articolo 8, anche i
conviventi. La stessa disposizione stabilisce che, nel caso di mancata
rimozione nel termine indicato delle cause di incompatibilità, i giudici decadono.
L’articolo 39, comma 4, del decreto-legge n. 98 del 2011 ha indetto una apposita procedura concorsuale, senza previo
espletamento della procedura per trasferimento, per la copertura di 960 posti vacanti presso le commissioni
tributarie, riservati ai magistrati e agli avvocati e procuratori dello
Stato che non prestino già servizio presso le predette commissioni.
L’articolo 4, commi 39 e 40, della legge n. 183 del 2011 ha disposto norme di dettaglio riguardanti
il concorso, prevedendo, in primo
luogo, la nomina e l’immissione in servizio dei candidati risultati idonei,
anche in sovrannumero; sono inoltre previste procedure di interpello per
i trasferimenti dei componenti delle commissioni tributarie per la
copertura di posti resisi vacanti a livello nazionale nelle commissioni
provinciali o regionali. Il comma 39-bis
(introdotto dall’articolo 12, comma 4-bis,
del D.L. n. 16 del 2012) ha
istituito il ruolo unico nazionale
dei componenti delle Commissioni
tributarie presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria,
nel quale sono inseriti i componenti delle commissioni tributarie provinciali e
regionali, nonché i componenti della commissione
tributaria centrale. Nel ruolo unico sono inseriti, anche se
temporaneamente fuori ruolo, i componenti delle commissioni tributarie
provinciali e regionali, nonché i componenti della commissione tributaria
centrale in servizio secondo la rispettiva anzianità di servizio nella
qualifica. A decorrere dall'anno 2013,
il ruolo unico è reso pubblico
annualmente, entro il mese di gennaio, attraverso il sito istituzionale del
Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
La legge n. 228
del 2012 ha quindi modificato le procedure
di trasferimento dei componenti delle Commissioni tributarie nominati a
seguito del concorso bandito il 3 agosto 2011 ed immessi in servizio, anche in sovrannumero, nella sede di
commissione tributaria scelta per prima da ciascuno di essi. In particolare si
prevede il loro inserimento in organico previo espletamento della procedura di
interpello bandita dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per
la copertura di posti resisi vacanti a livello nazionale nelle commissioni
provinciali o regionali. Le domande dei componenti in sovrannumero sono
proponibili sia per la copertura della sede presso la quale sono soprannumerari
sia per la copertura di altre sedi.
Da ultimo
l’articolo 1, comma 2, della legge n. 64 del 2013 (conversione del D.L.
n.35/2013) ha escluso dall'elettorato attivo e passivo per il
rinnovo del Consiglio di Presidenza
della giustizia tributaria i componenti delle commissioni tributarie soprannumerari
che entro la data delle elezioni non
sono stati immessi nelle
funzioni giurisdizionali e i componenti della Commissione tributaria centrale.
Ulteriori disposizioni di natura
procedimentale
In questa sede si ricordano, infine,
gli interventi legislativi coi quali si è perseguito –nell’ottica della
razionalizzazione del contenzioso – il più ampio intento di allineare la disciplina del processo
tributario a quella della giustizia civile: in primo luogo, un elemento di
novità è costituito l’estensione (operata con l’articolo 37, comma 6 del citato
decreto-legge n. 98 del 2011) dell'obbligo di versamento del contributo unificato - previsto dal
Testo unico sulle spese di giustizia - anche al processo tributario, nell'ammontare e con le regole previste dal
medesimo Testo unico, tendenzialmente sulla base del valore della controversia;
inoltre, a decorrere dal 17 settembre 2011, l’articolo 2 del decreto-legge 31
agosto 2011, n. 138 prevede, per la parte ricorrente, l’obbligo di depositare,
all’atto della costituzione in giudizio, la nota contenente la richiesta di
iscrizione al ruolo del contributo unificato nel registro generale dei ricorsi
e degli appelli. Detta richiesta consente agli uffici di segreteria delle
commissioni tributarie di rilasciare al ricorrente il corrispondente numero di
ruolo del registro generale. Tale modifica allinea il processo tributario a
quello ordinario e amministrativo, venendo incontro all’esigenza di avvicinare
i vari sistemi di giustizia presenti in Italia. Con il Decreto ministeriale 27
dicembre 2011 sono stati modificati gli importi dovuti per il rilascio di copie
di atti e documenti da parte delle Commissioni tributarie. I nuovi importi si
applicano dal 1° marzo 2012. In particolare, il provvedimento prevede per la
copia cartacea il versamento di 1,50 euro per le prime 4 pagine; devono essere
aggiunti 9 euro se si richiede anche il visto di conformità.
Nell’ambito delle politiche per l’informatizzazione della pubblica
amministrazione, la Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento
delle finanze ha avviato un progetto per la scansione e acquisizione nella
banca dati del contenzioso tributario e delle sentenze di merito emesse dalle
commissioni tributarie. Ogni sentenza verrà catalogata e i dati relativi
saranno informatizzati. Questo permetterà sia agli addetti ai lavori, giudici e
personale della giustizia tributaria, sia a commercialisti e avvocati
patrocinatori del contribuente, di effettuare ricerche tematiche e di redigere
la sentenza o il ricorso in modo più preciso.
Infine, il citato D.L. n. 16 del
2012 (ai commi 3 e 4 dell'articolo 12) modifica la disciplina dell’esecuzione delle sentenze del giudice tributario,
in particolare delle sentenze concernenti le operazioni catastali, prevedendo che l'aggiornamento degli atti
catastali al passaggio in giudicato della sentenza che accoglie totalmente o
parzialmente il ricorso del contribuente. Nel contempo, al fine di assicurare
la conoscibilità dell'iter
giurisdizionale concernente i ricorsi in materia di operazioni catastali, si
prevede comunque l'annotazione delle
sentenze, non ancora passate in giudicato, nei suddetti atti catastali, secondo
modalità da stabilire con provvedimento del Direttore dell'Agenzia del
territorio.
Da ultimo, si ricorda che con il
decreto del 26 aprile 2012 del MEF (pubblicato sulla G.U. n. 102 del 3 maggio)
è avviata l'informatizzazione del processo tributario. Il decreto, infatti,
stabilisce le regole tecniche che permettono, nell'ambito del processo
tributario, l'utilizzo della posta
elettronica certificata (P.E.C.) per le comunicazioni.
Per quanto riguarda il conferimento di una delega al Governo per il miglioramento dell’efficienza dei poteri di riscossione delle entrate degli enti locali, la proposta di legge prevede i seguenti princìpi e criteri direttivi:
1. assicurare certezza, efficienza ed efficacia nell’esercizio dei poteri di riscossione mediante:
§ revisione della normativa vigente e in un testo unico di riferimento;
§ revisione della disciplina dell’ingiunzione di pagamento e recepimento delle procedure e gli istituti previsti per la gestione dei ruoli;
2. nei casi di esternalizzazione delle funzioni in materia di riscossione:
§ revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali;
§ emanazione di linee guida per la redazione di capitolati di gara e per la formulazione dei contratti di affidamento o di servizio
§ introduzione di adeguati strumenti di controllo, anche ispettivo
§ la pubblicizzazione dei principali elementi dei contratti stipulati
§ allineamento degli oneri e dei costi secondo le modalità e nella misura massima stabilite dalle attuali norme sulla remunerazione del servizio della riscossione;
3. rispetto della normativa europea, nonché adeguata valorizzazione e messa a disposizione delle autonomie locali delle competenze tecniche, organizzative e specialistiche in materia di entrate degli enti locali accumulate presso le aziende del gruppo Equitalia, anche attraverso un riassetto organizzativo del gruppo stesso;
4. assoggettamento delle attività di riscossione coattiva a regole pubblicistiche, a garanzia dei contribuenti;
5. previsione di un codice deontologico dei soggetti affidatari dei servizi di riscossione e degli ufficiali della riscossione, da adottare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze;
6. previsione di specifiche cause di incompatibilità per i rappresentanti legali, amministratori o componenti degli organi di controllo interni dei soggetti affidatari dei servizi;
Sul tema della riscossione, il 22 maggio 2013 la Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 8-00002, che impegna il governo a fornire maggiore flessibilità alle procedure di riscossione coattiva dei tributi, al fine di evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali; a ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente, in particolare procedendo, tra l'altro:
-
ad ampliare
il numero massimo di rate in cui può
essere ripartito il debito;
-
ad escludere
l'applicazione degli istituti dell'espropriazione
forzata immobiliare e dell'ipoteca
sulla prima casa di abitazione del debitore;
- ad estendere gli attuali limiti alla pignorabilità dei beni utilizzati per l'esercizio dell'attività imprenditoriale e professionale ai debitori costituiti in forma societaria, previa proposizione di un piano di rientro rateizzato dei debiti;
- a dare sollecita attuazione all'articolo 10, comma 13-quater, del decreto – legge n. 201 del 2011, che prevede la sostituzione dell'attuale sistema di remunerazione delle attività di riscossione, basato sull’«aggio», con un meccanismo basato invece sul rimborso dei costi fissi legati alle attività di riscossione;
- a ridurre l'entità degli interessi di mora gravanti sul contribuente in caso di ritardato pagamento;
- a verificare l'efficacia ed efficienza del nuovo sistema di accertamento e riscossione delle entrate comunali, al fine di rendere omogenee le procedure in materia, recependo, attraverso la revisione della disciplina dell'ingiunzione di pagamento, le procedure e gli istituti vigenti per la gestione dei ruoli, adattandoli alle peculiarità della riscossione locale;
- a valutare l'opportunità di limitare in materia tributaria ogni forma di applicazione del principio del cosiddetto «solve et repete» e di rimodulare la disciplina della riscossione frazionata.
La revisione del sistema della
riscossione delle entrate locali
Si ricorda che sostanziali novità in tema di riscossione delle entrate degli enti locali sono state recentemente
introdotte dall’articolo 7, comma 2, lettere da gg-bis) a gg-septies) del decreto-legge n. 70 del 2011. In
particolare, è stato previsto che Equitalia Spa e le società da essa partecipate
cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione -
spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e
delle società da essi partecipate. Fino alla cessazione delle attività di
competenza di Equitalia, è stata prorogata (articolo 10, comma 13-novies del D.L. 201 del 2011)
l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate
locali contenute nell’articolo 3, commi
24, 25 e 25-bis del D.L. n. 203 del
2005.
In particolare, ai sensi del citato
comma 24, alle ex società concessionarie
della riscossione è stata data la possibilità di trasferire, in via totale
o parziale, il proprio capitale sociale ad Equitalia S.p.a. (continuando
dunque, anche con assetti proprietari diversi, a svolgere l'attività di
riscossione erariale e locale).
In alternativa, e fino al momento
dell'eventuale cessione, totale o parziale, del proprio capitale sociale ad
Equitalia, ai concessionari è stato consentito di scorporare il ramo d'azienda
concernente le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti
locali, cedendolo a soggetti terzi, nonché alle società iscritte nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare
le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali
(ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).
Nel caso di scorporo e di cessione
del ramo di azienda, le norme hanno consentito ai cessionari di proseguire le attività di accertamento e
riscossione di entrate locali, in mancanza di diversa determinazione degli
enti medesimi (che avrebbero potuto optare per l’affidamento in house o per la
gestione diretta, ovvero associata, etc.), purché le società avessero i
requisiti per l'iscrizione al citato albo dei soggetti abilitati ad accertare e
riscuotere le entrate locali. Ai cessionari è stato concesso di agire mediante
la ricordata procedura dell'ingiunzione fiscale, fatta eccezione per i ruoli
consegnati fino alla data del trasferimento, per i quali avrebbero trovato applicazione
le ordinarie disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Ai sensi del successivo comma 25,
nel caso di mancato trasferimento del ramo d’azienda e ove non vi fosse diversa
determinazione dell'ente creditore, le attività di accertamento e riscossione
sono affidate a Equitalia S.p.A. o alle società partecipate, fermo il rispetto
di procedure di gara ad evidenza pubblica.
Infine, fatto salvo l'eventuale
affidamento temporaneo a Equitalia, il comma 25-bis sancisce che l'attività di
riscossione spontanea e coattiva degli enti pubblici territoriali può essere
svolta dalle società cessionarie del ramo d'azienda, da Equitalia S.p.A. e
dalle partecipate soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad
evidenza pubblica, con decorrenza 30 giugno 2013.
Dal momento di tale cessazione,
spetterà dunque ai comuni effettuare
la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali e,
ove optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni, essi dovranno
procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica. Per effetto delle modifiche operate dal D.L. n.
16 del 2012 (articolo 5, comma 8-bis),
nel caso di affidamento del servizio a soggetti esterni, la riscossione delle
entrate dovrà essere effettuata mediante l'apertura di uno o più conti correnti
di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati
alla riscossione delle entrate dell'ente affidante, sui quali dovranno affluire
tutte le somme riscosse.
Nell’esercizio dell’attività di
riscossione i comuni potranno avvalersi (lettera gg-quater) dello strumento dell’ingiunzione
fiscale (disciplinata dal regio decreto n. 639 del 1910) e delle procedure
di riscossione coattiva erariale (di
cui al titolo II del D.P.R. n. 603 del 1973) in quanto compatibili.
Inoltre, (articolo 29 comma 8-bis del D.L. n. 216 del 2011) anche la
società Riscossione Sicilia spa -
così come Equitalia Spa e le partecipate – cesserà di effettuare le attività di
accertamento, liquidazione e riscossione spontanea e coattiva delle entrate,
tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.
In materia si ricorda che, per
effetto delle norme contenute nel D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (articolo
32), dal 12 ottobre 2011 le controversie in materia di opposizione
all'ingiunzione fiscale per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti
pubblici sono regolate dal rito ordinario di cognizione, di cui al libro II del
Codice di procedura civile.
Anche i decreti legislativi di
attuazione della legge sul federalismo
fiscale recano disposizioni in materia di riscossione delle entrate locali;
in particolare, l’articolo 11 del D.Lgs. n. 149 del 2011 prevede che i criteri
generali per la gestione organica dei tributi siano definiti dalle province con
l'Agenzia delle entrate; il successivo articolo 12 affida all’accordo fra
Governo, Regioni, province e comuni la definizione di un programma pluriennale
di attività di contrasto dell'evasione fiscale, gli obiettivi intermedi che
debbono essere raggiunti da ciascun ente nell'ambito delle suddette attività
antievasione e le misure premiali o sanzionatorie in relazione al
raggiungimento degli obiettivi stessi.
La vigente remunerazione del servizio della riscossione
Si ricorda che, a legislazione vigente, agli agenti della riscossione spetta:
§ una remunerazione per l’attività da essi svolta (articolo 17 del D.Lgs. 112/1999) mediante un compenso – detto aggio - pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a carico del debitore in tutto o in parte, secondo la tempestività del pagamento;
§ il rimborso delle spese sostenute per le procedure esecutive poste in essere (cfr. infra).
In particolare, il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme ivi annotate entro 60 giorni dalla notifica (articolo 25, comma 2 del D.P.R. 602/1973), cui si aggiunge parte dell’aggio, ovvero il 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo (articolo 17, comma 1 del D.Lgs. 112 del 1999); la restante parte dell'aggio è a carico dell'ente creditore. Nel caso di pagamento successivo ai 60 giorni, l’aggio è integralmente a carico del debitore. L'agente della riscossione (articolo 17, comma 4) trattiene l'aggio all'atto del riversamento all'ente impositore delle somme riscosse. Nel caso di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento (prevista, ad esempio, per i redditi sottoposti a tassazione separata) l'aggio è a carico dell'ente creditore, se il pagamento avviene entro il sessantesimo giorno dalla data di notifica della cartella. In caso contrario è a carico del debitore. Limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo, l'aggio spetta agli agenti della riscossione nella percentuale stabilita dal decreto del 4 agosto 2000 del Ministro delle finanze.
Inoltre (articolo 17, comma 6) all’agente della riscossione spetta il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, con il quale sono altresì stabilite le modalità di erogazione del rimborso stesso. Tale rimborso è a carico dell'ente creditore, se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti di sgravio o in caso di inesigibilità. Negli altri casi è a carico del debitore. Il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive maturate nel corso di ciascun anno solare e richiesto entro il 30 marzo dell'anno successivo, è erogato entro il 30 giugno dello stesso anno. In caso di mancata erogazione, l'agente della riscossione è autorizzato a compensare il relativo importo con le somme da riversare. Il diniego, a titolo definitivo, del discarico della quota per il cui recupero sono state svolte le procedure che determinano il rimborso, obbliga l'agente della riscossione a restituire all'ente, entro il decimo giorno successivo alla richiesta, l'importo anticipato, maggiorato degli interessi legali. L'importo dei rimborsi spese riscossi dopo l'erogazione o la compensazione, maggiorato degli interessi legali, è riversato entro il 30 novembre di ciascun anno.
In caso di emanazione (articolo 17, comma 7-bis) di un provvedimento dell'ente creditore che riconosce, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo, all'agente della riscossione spetta comunque un compenso per l'attività di esecuzione di tale provvedimento; la misura e le modalità di erogazione del compenso sono stabilite con il decreto ministeriale che fissa le misure del rimborso delle spese per le procedure esecutive; sulle somme riscosse e riconosciute indebite non spetta tuttavia l'aggio.
Il decreto legge n. 201 del 2011 - intervenendo sull’articolo 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999 - ha recentemente (articolo 10, i commi da 13-quater a 13-septies) effettuato un complessivo riassetto del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione, in base al quale - in estrema sintesi - il sistema di remunerazione con aggio verrà sostituito da una forma di rimborso percentuale, alla determinato sulla base di elementi di fatto (come l’andamento della riscossione) e in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione. Le nuove norme saranno tuttavia applicabili solo a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti attuativi della nuova disciplina.
In particolare:
§ il sistema di remunerazione verrà sostituito con l’attribuzione agli agenti della riscossione di un rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato.
La previsione del rimborso è finalizzata ad assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione, a presidiare la funzione di deterrenza e contrasto all’evasione e il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari.
Tale rimborso è da calcolarsi annualmente in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, mediante decreto non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze, tenuto conto di seguenti, specifici parametri (carichi annui affidati; andamento delle riscossioni coattive; processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia S.p.A).
In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito dal
rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad
elementi di fatto (come l’andamento della riscossione) nonché in rapporto a
indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione. Il
predetto rimborso è posto a carico del
debitore:
§ nella misura del 51 per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento), con la parte rimanente che rimane a carico dell’ente creditore;
§ integralmente, per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica).
Viene abrogata (comma 13-quater, lettera b)) di conseguenza la disposizione (comma 2 dell’articolo 17 del predetto D.Lgs. n. 112 del 1999) che prevede la possibilità di rideterminare l’aggio con decreto ministeriale.
Viene novellata la disciplina in materia di rimborsi spettanti all’agente della riscossione in rapporto alle procedure esecutive; in particolare, continua ad essere attribuito all’agente un rimborso per le spese sostenute; questo, anziché essere riferito in via generica alle spese relative alle procedure esecutive, attiene agli specifici oneri connessi allo svolgimento delle singole procedure.
Rimane ferma l’attribuzione delle spese per i rimborsi in capo all’ente creditore, ove il ruolo sia annullato (per sgravio o inesigibilità) e, negli altri casi, in capo al debitore.
In luogo dell’effettuazione dei rimborsi secondo quanto stabilito da una apposita tabella (comma 6.1 dell’articolo 17), si attribuisce ad un decreto non regolamentare la determinazione:
§ delle tipologie di spese rimborsabili;
§ della misura del rimborso, che deve essere determinata anche proporzionalmente al carico affidato e progressivamente rispetto al numero di procedure attivate a carico del debitore;
§ delle modalità di erogazione del rimborso.
Inoltre (comma 13-quater, lettere d) ed e)):
§ si prevede che il suddetto rimborso non spetti sulle somme riconosciute indebite. Viene dunque eliminata la prescrizione che richiede un provvedimento di sgravio (provvedimento dell'ente creditore che riconosca, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo) e che teneva fermo il diritto al rimborso delle spese anche in tale ipotesi;
§ si pongono le spese di notifica della cartella di pagamento a carico dell’ente creditore anche nel caso di annullamento del ruolo.
Le disposizioni del D.L. 201 hanno poi previsto che il decreto col quale viene calcolato annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione, nonché le norme in materia di rimborso spese, siano emanati entro il 31 dicembre 2013.
Come già visto, la vigente disciplina della remunerazione rimane ferma fino all’entrata in vigore di tali provvedimenti attuativi.
In attesa
dell'entrata in vigore di detta riforma, il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio all’8 per cento, vale
a dire di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013.
Da ultimo, il comma 2-ter dell’articolo 10, del decreto-legge n. 35 del 2013 ha consentito ai comuni di continuare ad avvalersi di Equitalia fino al 31 dicembre 2013. Tale norma consente quindi di superare la scadenza del 30 giugno prossimo, a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata dovrebbero cessare - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.
Tale termine, inizialmente fissato al 1° gennaio 2012, è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto – legge n. 201 del 2011 e, quindi, al 30 giugno 2013 dall’articolo 9, comma 4, del decreto – legge n. 174 del 2012, in attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali.
Il citato decreto-legge n. 174 del 2012 conteneva anche la proroga – sempre al 30 giugno 2013 - dell’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del decreto-legge n. 203 del 2005. Tale termine non è stato peraltro prorogato dal D.L. 35 del 2013, restando confermata la scadenza, per le predette società, al 30 giugno 2013.
Al riguardo si fa presente che il decreto-legge cd. del fare, approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2013 e in corso di pubblicazione, ha prorogato tutte le predette scadenze – inderogabilmente - al 31 dicembre 2013.
La lettera f) prevede la non pignorabilità dei beni mobili strumentali all’esercizio di arti, imprese e professioni, necessari al proseguimento dell’attività economica, mentre la lettera g) dispone l’ampliamento della possibilità di rateizzazione, in connessione a comprovate situazioni di difficoltà finanziaria, e riduzione delle sanzioni in caso di regolare adempimento degli obblighi dichiarativi.
Al riguardo si fa presente che il decreto-legge cd. del fare, approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2013 e in corso di pubblicazione, contiene norme in materia di pignorabilità dei beni e rateizzazione dei debiti tributari nel senso indicato dalla risoluzione citata e dai principi sopra illustrati.
Si segnala, peraltro, che il comma 6 dell’articolo 3 in commento prevede
l’ampliamento dell’ambito applicativo
dell’istituto della rateizzazione dei debiti tributari, in coerenza con la
finalità della lotta all’evasione fiscale e contributiva e con quella di
garantire la certezza, l’efficienza e l’efficacia dell’attività di riscossione.
Riscossione coattiva e pignoramento dei beni
In materia di riscossione, il D.L. n. 16 del 2012 ha modificato, differenziandoli, i limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro; in tema di procedure di espropriazione immobiliare, è stata fissata la soglia di 20.000 euro quale unico limite al di sotto del quale non è possibile avviare l’esecuzione. Il medesimo provvedimento ha innalzato a 30 euro il limite al di sotto del quale non si effettua riscossione dei crediti tributari.
Da ultimo, con nota interna del 22 aprile 2013, Equitalia ha inoltre stabilito di non procedere al pignoramento sui conti correnti di banche e poste dove affluiscono i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di importo inferiore a 5 mila euro.
In particolare, in materia di beni mobili registrati del soggetto inadempiente, l’articolo 86 del DPR 602/1973 reca disposizioni in materia di fermo di beni mobili registrati (cd “ganasce fiscali”). Il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. La circolazione con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo soggiace alla medesima sanzione pecuniaria prevista per chi circoli con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, ovvero al pagamento di una somma da euro 731 a euro 2.928, nonché alla confisca del veicolo (articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). Tra le novità recate dal D.L. 70 del 2011 (articolo 7, comma 2, lettera gg-octies)), viene disposto che la cancellazione del fermo non comporti pagamento di alcuna spesa né a favore di Equitalia né a favore del Pra.
In ordine ai beni immobili del soggetto inadempiente, si rammenta che decorsi i sessanta giorni della notifica delle cartelle di pagamento il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati, per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede (articolo 77 del DPR 603/1973). In ogni caso l'agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca.
Condizione per l’esproprio di beni immobili è che l'importo complessivo del credito per cui si procede superi un determinato ammontare, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 76 del DPR 602/1973: l'agente della riscossione può infatti procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede supera complessivamente ventimila euro.
Si rammenta infine che l’articolo 1, comma 544 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) prevede che, per tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a mille euro, intrapresa successivamente al 1° gennaio 2013 (data di entrata in vigore della disposizione in esame) e salvo il caso in cui l'ente creditore abbia notificato al debitore la comunicazione di inidoneità della documentazione da lui inviata, non si possa procedere alle azioni cautelari ed esecutive prima del decorso di centoventi giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle iscrizioni a ruolo. Viene dunque abbassata la soglia di duemila euro indicata dalla lettera gg-quinquies) del comma 2 dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, disposizione contestualmente abrogata (comma 545).
La rateizzazione dei debiti tributari
Per quanto concerne il pagamento delle somme iscritte a ruolo, ai sensi dell’articolo 19 del D.P.R. 602/1973 il contribuente può chiedere all'agente della riscossione, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la possibilità di dilazionare il pagamento fino a settantadue rate mensili. Per effetto delle modifiche operate dal D. L. n. 201 del 2011 e dal D. L. n. 16 del 2012, in caso di comprovato peggioramento della suddetta situazione, la dilazione può essere prorogata una sola volta, per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi, a condizione che non sia intervenuta decadenza, che si verifica in caso di mancato pagamento di due rate consecutive (l'intero importo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione ed il carico non può più essere rateizzato). Il debitore può chiedere che il piano di rateazione (anche in prima richiesta) preveda, in luogo di rate costanti, rate variabili di importo crescente per ciascun anno.
Dopo la ricezione della richiesta di rateazione, l'agente della riscossione può iscrivere l'ipoteca sugli immobili del proprietario solo nel caso di mancato accoglimento della richiesta, ovvero nel già illustrato caso di decadenza, fatte comunque salve le ipoteche già iscritte alla data di concessione della rateazione. La possibilità di rateizzare i debiti si applica anche nei confronti degli enti previdenziali, salvo che nei casi di ottemperanza ad obblighi derivanti da sanzioni comunitarie.
Equitalia, con un comunicato dell'8 maggio 2013, ha reso noto che la soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata è stata elevata da 20 mila a 50 mila euro. Il contribuente che ha ottenuto la rateazione non è più considerato inadempiente e può richiedere il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) per partecipare alle gare di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi.
La rateazione delle somme dovute al fisco può essere chiesta nelle diverse fasi dell’obbligazione tributaria. In proposito si ricorda che il D.L. n. 98 del 2011 ha eliminato l’obbligo di prestazione di garanzia per accedere alla rateazione di debiti tributari - anche superiori a 50.000 euro - conseguenti ad istituti deflativi del contenzioso, ovvero all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale; nello stesso filone, il D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-decies) ha del tutto eliminato l’obbligo di garanzia per i pagamenti conseguenti ad “avvisi bonari”.
Si ricorda inoltre che l’articolo 2 del D.Lgs. n. 462 del 1997 prevede l’iscrizione diretta a ruolo, a titolo definitivo, delle somme dovute a seguito dei controlli automatizzati effettuati in materia di imposte sui redditi e di IVA. Il contribuente può però evitare l’iscrizione a ruolo se effettua il pagamento entro 30 giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”: in tale ipotesi la sanzione è ridotta ad un terzo del dovuto. Anche nel caso di controllo formale della dichiarazione da cui risulta un debito d’imposta il contribuente può evitare l’iscrizione a ruolo, se effettua il pagamento entro trenta giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”. La scelta di effettuare il pagamento rateale delle somme liquidate con l’avviso bonario è lasciata alla discrezionalità del contribuente, il quale però decade dal beneficio della dilazione se omette il pagamento della prima rata entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero nel caso di omissione del pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine fissato per il versamento della rata successiva. La decadenza della procedura di pagamento rateale comporta l’iscrizione a ruolo del debito relativo alle imposte, agli interessi e alle sanzioni (conteggiate in misura piena), previa deduzione di quanto è già stato versato. Per effetto delle modifiche operate con il D.L. “semplificazioni tributarie” (articolo 1, comma 1 del citato D. L. n. 16/2012) il contribuente, anche se decaduto dal beneficio della rateazione dei pagamenti conseguenti agli “avvisi bonari”, potrà in ogni caso avvalersi della dilazione specificamente prevista dall’articolo 19 del DPR n. 602 del 1973 per le somme iscritte a ruolo.
Anche per il pagamento delle somme derivanti da accertamenti esecutivi è possibile chiedere la rateazione (art. 19, DPR 602/73), ma solo dopo l’affidamento dell’atto all’agente della riscossione (30 giorni dopo la scadenza del termine per ricorrere). Ciò determina la maggiorazione dell’aggio di riscossione, cosa che non accade nella procedura ordinaria del ruolo, in cui se la rateazione viene chiesta entro 60 giorni dalla notifica della cartella l’aggio è ridotto al 3,65%. Al fine di ovviare a tale aspetto problematico l’articolo 3, comma 6, lettera b) della proposta di legge in esame prevede la possibilità di chiedere la rateizzazione prima dell’affidamento all’agente della riscossione nel caso di accertamento esecutivo, ove il contribuente dimostri di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
Articolo 4,
commi 1 e 2
(Revisione dell’imposizione sui redditi
di impresa
e di lavoro autonomo e previsione di regimi forfetari
per i contribuenti di minori dimensioni)
1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, norme per la ridefinizione dell'imposizione sui redditi,
secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) assimilazione al regime
dell’imposta sul reddito delle società (IRES) dell’imposizione sui redditi di
impresa, compresi quelli prodotti in forma associata dai soggetti passivi
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), assoggettandoli a
un’imposta sul reddito imprenditoriale, con aliquota proporzionale allineata a
quella dell’IRES, e prevedendo che siano deducibili dalla base imponibile della
predetta imposta le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci e che le
predette somme concorrano alla formazione del reddito complessivo imponibile ai
fini dell’IRPEF dell’imprenditore e dei soci;
b) istituzione di regimi
semplificati per i contribuenti di minori dimensioni, nonché, per i
contribuenti di dimensioni minime, di regimi che prevedano il pagamento
forfetario di un’unica imposta in sostituzione di quelle dovute, purché con
invarianza dell’importo complessivo dovuto, prevedendo eventuali
differenziazioni in funzione del settore economico e del tipo di attività
svolta, con eventuale premialità per le nuove attività produttive, comprese
eventuali agevolazioni in favore dei soggetti che sostengono costi od oneri per
il ricorso a mezzi di pagamento tracciabili, coordinandoli con analoghi regimi
vigenti e con i regimi della premialità e della trasparenza previsti
dall’articolo 10 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni;
c) previsione di possibili
forme di opzionalità.
2. Nell’ambito
dell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo chiarisce la
definizione di autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettabilità dei
professionisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività
produttive (IRAP).
L’articolo 4, comma 1, reca i principi e i criteri direttivi cui deve uniformarsi il Governo nell’introdurre norme per la ridefinizione dell’imposizione sui redditi. In particolare i decreti legislativi devono prevedere: l’assimilazione all’IRES dell’imposizione sui redditi d’impresa, compresi quelli prodotti in forma associata, da assoggettare a un’imposta sul reddito imprenditoriale, con un’aliquota proporzionale allineata all’IRES; le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci (da assoggettare a IRPEF) devono essere deducibili dalla predetta imposta sul reddito imprenditoriale; l’introduzione di regimi forfettari per i contribuenti di minori dimensioni, coordinandoli con analoghi regimi vigenti; possibili forme di opzionalità per i contribuenti.
Il comma 2 attribuisce al Governo il compito di chiarire la definizione di autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettabilità dei professionisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Imposta sul reddito imprenditoriale (IRI)
In particolare, il comma 1, lettera a), prevede che il Governo emani norme volte all’assimilazione al regime IRES dell’imposizione sui redditi d’impresa, compresi quelli prodotti in forma associata, dai soggetti passivi IRPEF, assoggettandoli a un’imposta sul reddito imprenditoriale, con un’aliquota proporzionale allineata all’IRES. Le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci concorrono alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF dell’imprenditore e dei soci, e sono deducibili dalla predetta imposta sul reddito imprenditoriale.
L’assetto della tassazione del reddito
di impresa nel TUIR
La disciplina del reddito di impresa, nel sistema del “nuovo” TUIR
(Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, come
modificato a seguito delle riforme del 2003 relative all’imposta sul reddito
delle società) è articolata e complessa. Come per le altre categorie di reddito
modellate dal Testo unico, tale disciplina è scomponibile in due gruppi di
norme: il primo dedicato ad identificare la fonte del reddito ed il secondo
volto a disciplinarne il calcolo. Per effetto delle riforme del 2003 (D.Lgs. n.
344 del 2003, che ha novellato la disciplina dell’imposta sul reddito delle
società - IRES), la disciplina relativa al calcolo
del reddito d’impresa è stata trasferita nell’alveo della disciplina IRES (era in precedenza racchiusa
all’interno dell’IRPEF). L’articolo 56 del TUIR prevede infatti che il reddito
d'impresa sia determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II
del titolo II del medesimo Testo Unico, salve le specificità della disciplina
IRPEF. In particolare, alcune norme relative alle società e agli enti
commerciali valgono anche per le società in nome collettivo e in accomandita
semplice.
Conseguentemente, il vigente sistema
italiano prevede due forme di imposizione sui redditi (IRPEF ed IRES) in
relazione alla natura giuridica del
soggetto passivo.
In tale ottica, è dunque sottoposta
ad IRPEF la persona fisica che percepisce reddito da attività di impresa (commerciale o derivante dalle
attività indicate all’articolo 55 del TUIR) o che produce redditi di lavoro
autonomo (redditi derivanti da arti e professioni e redditi a questi
assimilati), sussistendone i requisiti richiesti dal TUIR. I redditi prodotti
da società di persone sono tassati
in capo ai soci e dunque anch’essi soggetti a IRPEF.
Ai sensi dell’articolo 73 del TUIR,
le società e gli enti equiparati – in quanto soggetti
aventi personalità giuridica distinta da quella dei soci, secondo la normativa
civilistica – sono soggette a tassazione per il reddito prodotto nell’esercizio
della propria attività. Dunque, i redditi prodotti da società di capitali e dai soggetti
assimilati, nonché dagli enti commerciali
sono soggetti a IRES.
Si dispone che i decreti legislativi emanati dal Governo prevedano che non siano sottoposte all’imposizione sui redditi di impresa (mediante deducibilità dalla base imponibile) le somme prelevate dall’artista, dal professionista o dai soci o associati, ovvero dall’imprenditore o dai soci; parallelamente, si prevede che tali somme concorrano alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF.
Nel corso dell’esame parlamentare dell’AC 5291 è
emerso come alcuni sistemi fiscali prevedono che le attività di impresa
individuali (ivi compresa l’attività professionale) siano tassate separatamente
dalla persona fisica. Esse sono sottoposte, come le grandi imprese, all’imposta
sulle società. In tal modo, il reddito che l’individuo trae dalla propria
attività (“somme prelevate”) a titolo di remunerazione del proprio lavoro viene
considerato un costo per l’impresa medesima, come tale deducibile dall’imposta
sulle società, ed invece assoggettato alla tassazione sulla persona fisica. La
relazione propone dunque di ribattezzare l’imposta sul reddito delle società –
IRES in “imposta sul reddito
imprenditoriale – IRI”
Separando la tassazione dell’impresa da quella della
persona fisica - a prescindere dalla forma giuridica con la quale l’attività
imprenditoriale è esercitata - e introducendo un’aliquota proporzionale sulla
tassazione d’impresa, più bassa di quelle previste per l’IRPEF, secondo la
relazione si avrebbero le seguenti conseguenze:
§
analoga tassazione di tutte le attività di impresa,
indipendentemente dalla forma giuridica;
§
tassazione degli
utili non distribuiti con l’aliquota prevista per l’imposta sull’attività di
impresa, il che favorirebbe la patrimonializzazione
delle imprese, specie di quelle piccole e medie, incentivando - in generale -
il reinvestimento degli utili all’interno dell’azienda;
§
evidenziazione
del contributo lavorativo dell’imprenditore all’azienda, applicando alle somme
tratte dall’imprenditore per i propri bisogni personali e familiari una
tassazione sostanzialmente simile a quella prevista per il lavoro dipendente;
ciò consentirebbe di introdurre elementi di equità orizzontale IRPEF sui diversi tipi di lavoro svolto dalle
persone fisiche (dipendente, autonomo, imprenditoriale).
Tale intervento
si pone dunque in linea con quanto previsto dall’articolo 1 del D.L. n. 201 del
2011, che ha introdotto l’istituto dell’ACE – aiuto alla crescita economica
–consentendo di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal
rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.
Istituzione di regimi forfettari
In secondo luogo, la lettera b) del comma 1 prevede che con i decreti legislativi di attuazione siano istituiti, per i contribuenti di minori dimensioni, regimi semplificati. Per i contribuenti di dimensioni minime si prevede l’istituzione di regimi che prevedano il pagamento forfetario di un’unica imposta in sostituzione di quelle dovute, purché con invarianza dell’importo complessivo dovuto, prevedendo eventuali differenziazioni in funzione del settore economico e del tipo di attività svolta, con eventuale premialità per le nuove attività produttive; in tale ambito devono essere comprese eventuali agevolazioni in favore dei soggetti che sostengono costi od oneri per il ricorso a mezzi di pagamento tracciabili, coordinandoli con analoghi regimi vigenti e con i regimi della premialità e della trasparenza previsti dall’articolo 10 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201.
Dal tenore letterale della norma, sembra dunque evincersi che per particolari categorie di contribuenti (di “minori dimensioni”) dovrà essere prevista un’unica forma di imposizione sul reddito, anche nel caso in cui i soggetti passivi esercitino attività di impresa (la quale, nel nuovo sistema, verrebbe tassata separatamente dall’IRPEF).
Si segnala che l’articolo 3,
comma 8, contiene nel medesimo ambito una delega di carattere più generale
che prevede la revisione sistematica dei
regimi fiscali e il loro riordino, al fine di eliminare complessità
superflue.
Il nuovo assetto dei regimi forfettari e
dei cd. “minimi”
Come anticipato
in relazione all’articolo 3, comma 8, (il quale prevede alla lettera a) la delega per una revisione
sistematica dei regimi fiscali) l'articolo
27 del decreto-legge n. 98 del 2011, per favorire la costituzione di nuove
imprese, in particolare da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il
lavoro, ha disposto la riforma e la concentrazione degli attuali regimi di
tassazione forfettaria.
Sono state
dunque apportate significative modifiche al regime fiscale semplificato per i
cosiddetti “contribuenti minimi”: a
decorrere dal 1° gennaio 2012 esso trova applicazione per il periodo d'imposta
in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente in
rapporto alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o
professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, la
platea dei beneficiari del c.d. “forfettone” (una tassazione forfettaria del 20
per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno
incassano meno di 30 mila euro e che presentano specifiche caratteristiche) è
stata ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni
e mezzo o vorranno iniziarla in futuro. Nello stesso tempo, per questi ultimi
il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali
regionali e comunali viene ridotta al 5
per cento (in luogo del precedente 20 per cento).
Per effetto
delle nuove norme, il regime di vantaggio si applica anche oltre il quarto
periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ma non oltre il
periodo d’imposta di compimento del trentacinquesimo anno d’età. In sostanza,
il regime fiscale agevolato si estende
fino ai trentacinque anni, anche oltre il limite temporale dei cinque anni,
per chi abbia iniziato l’attività imprenditoriale in giovane età. Rimane fermo,
peraltro, che chi intraprende un’attività o l’abbia intrapresa dopo il 31
dicembre 2007, avendo più di trentacinque anni di età, potrà godere del
beneficio in esame entro il limite dei cinque anni.
Condizioni per
l’accesso al beneficio, come disciplinato dall’articolo 27, sono le seguenti:
a) il contribuente non deve aver esercitato attività
artistica, professionale ovvero d'impresa (anche in forma associata o
familiare) nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività;
b) l'attività da esercitare non deve costituire una mera
prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro
dipendente o autonomo, salvo il caso in cui l'attività precedentemente svolta
consista nel periodo di pratica obbligatoria per l'esercizio di arti o
professioni;
c) nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa
precedentemente svolta da altro soggetto, l'ammontare dei ricavi realizzati nel
periodo d'imposta precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve
aver superato i 30.000 euro.
Il regime
fiscale semplificato per i contribuenti cosiddetti minimi è stato in origine
introdotto dalla legge finanziaria 2008 (articolo 1, commi da 96 a 117 della
legge n. 244 del 2007) come regime “naturale”, con la facoltà di optare per
l’applicazione dell’IVA e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. Tra i
principali tratti peculiari del regime agevolato si ricorda l’esclusione
dall’IRAP, la tassazione forfettaria (ridotta al 5 per cento), l’applicazione
della “franchigia IVA”, l’esclusione dagli studi di settore e la riduzione
degli adempimenti contabili.
L’articolo 27, comma 3, si occupa invece dei soggetti che, per effetto dei nuovi
limiti posti dal D.L. n. 98 del 2011 fuoriescono
dal regime dei contribuenti minimi, pur avendo le caratteristiche
originariamente delineate dalla finanziaria 2008. Essi sono in ogni caso esentati dall’IRAP e sono esonerati dagli obblighi di
registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle
imposte dirette e dell'IVA, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti
periodici rilevanti ai fini dell'IVA; essi devono comunque conservare i
documenti ricevuti ed emessi e assolvono, se prescritti, agli obblighi di
fatturazione e di certificazione dei corrispettivi. Tali soggetti possono
comunque optare per il regime contabile ordinario.
Come chiarito
dai due provvedimenti dell’Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2011, emanati
in attuazione delle illustrate disposizioni, si avrà dunque un duplice regime
fiscale di vantaggio per i contribuenti minori:
§
il regime dei
“nuovi” minimi previsto dalla legge finanziaria 2008, alle condizioni
specificamente enunciate dall’articolo 27 del D.L. n. 98/2011 e per il limitato
periodo di tempo ivi previsto, con riduzione al 5 per cento della tassazione
forfettaria;
§
il regime di cui
all’articolo 27, comma 3 per i soggetti che, fuoriuscendo dal regime dei
contribuenti minimi per effetto del D.L. 98/2011, presentano le caratteristiche
originariamente delineate dalla finanziaria 2008, che usufruiscono solo
parzialmente dell’agevolazione.
Si ricorda
infine che l’articolo 13 della legge n. 388 del 2000 (in vigore dal 1° gennaio
2001) prevedeva un regime fiscale
agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, con
un’imposta sostitutiva dell’IRPEF del 10% e l’esonero dagli obblighi di
registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle
imposte dirette, dell'IRAP e dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché
dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'IVA
previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100.
Stante la formulazione dell’articolo 27 e alla luce di quanto rilevato anche in
dottrina (cfr. Nuovi requisiti d’accesso
per i contribuenti minimi, di Salvatore Digregorio Natoli, in “il fisco” n.
7 del 13 febbraio 2012, pag. 2-1049), tale regime sembra superato dall’intento
riformatore del D.L. n. 98 del 2011.
Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile
e lavoratori in mobilità (nuovi “minimi”)
L’articolo 27 del D.L. n. 98 del
2011 ha riformato il regime dei minimi restringendo la platea dei
destinatari del c.d. “forfettone” (disciplinato dall’articolo 1, commi da 96 a
117, della legge 244/2007 e sopra descritto) solamente a coloro che
intraprendono una nuova attività ovvero che l’abbiano iniziata a partire dal 31
dicembre 2007, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i
quattro successivi. A decorrere dal 1° gennaio 2012 l’imposta sostitutiva
dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali è ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per
cento). Per i giovani questo periodo di aliquota ridotta può essere maggiore di
cinque anni, ma non oltre il periodo di imposta di compimento del
trentacinquesimo anno di età.
L’obiettivo dichiarato è quello di favorire la costituzione di nuove
imprese da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il lavoro. La norma, a
tal fine, riforma e concentra gli attuali regimi forfettari: pertanto rientra
in tale nuovo regime anche il regime agevolato per le nuove iniziative
imprenditoriali e di lavoro autonomo (c.d. forfettino), disciplinato
dall’articolo 13 della legge n. 388/2000.
Possono accedervi le persone
fisiche che esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo e che, oltre
a possedere i descritti requisiti previsti per il c.d. forfettone (articolo 1,
commi da 96 a 99 della legge n. 244 del 2007), siano in possesso dei seguenti requisiti:
§
il contribuente non deve aver esercitato attività artistica,
professionale ovvero d'impresa (anche in forma associata o familiare) nei tre
anni precedenti l’inizio dell’attività;
§
l'attività da esercitare non deve costituire una mera prosecuzione di
altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o
autonomo, salvo il caso in cui l'attività precedentemente svolta consista nel
periodo di pratica obbligatoria per l'esercizio di arti o professioni;
§
nel caso di prosecuzione di un'attività d'impresa precedentemente svolta
da altro soggetto, l'ammontare dei ricavi realizzati nel periodo d'imposta
precedente quello di riconoscimento del beneficio non deve aver superato i
30.000 euro.
A tale regime si applicano le agevolazioni previste dal c.d. “forfettone”
(articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 244/2007, sopra descritto). Inoltre
l'imposta sostitutiva dell'imposta
sui redditi e delle addizionali regionali e comunali prevista dal comma 105
dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 è ridotta al 5 per cento. Sono pertanto confermate l’esenzione
dall’Irap, la non applicazione dell’Iva e le agevolazioni contabili.
I ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime, non sono
assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto di imposta. A tal fine
i contribuenti rilasciano un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il
reddito cui le somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva
Sul fronte Iva, i contribuenti sono esonerati dalle comunicazioni sia
delle operazioni rilevanti Iva (lo spesometro) sia dei dati delle operazioni
con soggetti black list, mentre
devono fare, come tutti gli altri, richiesta di inserimento nell'archivio Vies
se vogliono fare acquisti intracomunitari (si veda, al riguardo, il
provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 185820 del 22 dicembre 2011
e la circolare n. 24/E del 2011).
Nuovo regime della trasparenza
L'art. 10 del D.L. n. 201/2011, «al fine di
promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile», ha istituito, con
decorrenza 1° gennaio 2013, un regime fiscale di vantaggio riservato ai
contribuenti che esercitano, in forma individuale o di società di persone,
attività artistica o professionale ovvero di impresa, che prevede i seguenti
benefici: semplificazione degli
adempimenti amministrativi; assistenza
negli adempimenti da parte dell'amministrazione finanziaria; accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti Iva; per i contribuenti non soggetti
agli studi di settore, esclusione dagli
accertamenti presuntivi; riduzione
di un anno dei termini di decadenza per
l'attività di accertamento, salvo violazioni comportanti l'obbligo di
denuncia per i reati tributari.
I suddetti benefici sono subordinati alla
condizione che il contribuente provveda:
§ all'invio
telematico all'amministrazione dei corrispettivi, delle fatture emesse e
ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a
fattura;
§ a
istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi
all'attività.
Con
provvedimento dell'Agenzia delle entrate devono essere individuati i benefici,
con particolare riferimento agli obblighi Iva e agli adempimenti dei sostituti
d'imposta. Il provvedimento, in particolare, deve prevedere, indicando le
relative decorrenze:
§
la predisposizione automatica da parte dell'Agenzia
delle entrate delle liquidazioni periodiche Iva, dei modelli di versamento e
della dichiarazione Iva, del modello 770 semplificato, del modello Cud e dei
modelli di versamento periodico delle ritenute, nonché la gestione degli esiti
dell'assistenza fiscale;
§
la soppressione dell'obbligo di
certificazione dei corrispettivi mediante scontrino o ricevuta fiscale;
§
l'anticipazione del termine di compensazione
del credito Iva, l'abolizione del visto di conformità per compensazioni
superiori a 15 mila euro e l'esonero dalla prestazione della garanzia per i
rimborsi Iva.
Ai
contribuenti che rispettano le predette condizioni e che non si trovano in
regime di contabilità ordinaria sono inoltre riconosciuti i seguenti benefici: determinazione del reddito
secondo il criterio di cassa e predisposizione in forma automatica da parte
dell'Agenzia delle entrate delle dichiarazioni Irpef e Irap; esonero dalla
tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e
dell'Irap e dalla tenuta del registro dei beni ammortizzabili; esonero dalle
liquidazioni, dai versamenti periodici e dal versamento dell'acconto ai fini
Iva.
Il
comma 5 dell'articolo 10 prevede l'emanazione, da parte dell'Agenzia delle
entrate, delle disposizioni attuative, con uno o più provvedimenti, entro 180
giorni dall'entrata in vigore del decreto. Si evidenzia che allo stato non
risultano emanati i suddetti provvedimenti attuativi.
La tracciabilità dei
pagamenti
L'articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 (contrasto al riciclaggio), modificato da ultimo dall'articolo 12 del D. L. 201/2011, dispone il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro. La soglia precedente per l'utilizzo del danaro contante e dei titoli al portatore era di 2.500.
Successivamente sono stati disciplinati due casi in cui è possibile derogare al generale divieto di utilizzo del contante dai 1.000 euro: il D.L. 16/2012 ha previsto che gli operatori del settore del commercio al minuto e agenzie di viaggio e turismo possono vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, in deroga alle norme sulla limitazione all’uso del contante, utilizzando un'apposita procedura; il D.Lgs. 169/2012 ha elevato a 2.500 euro la soglia per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti.
Il D.L. 158/2012 ha disposto che i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici sia negli studi autorizzati in rete, sia intramoenia, dovranno essere effettuati unicamente mediante mezzi di pagamento che assicurino la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo.
Sul versante dei pagamenti verso la pubblica amministrazione l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che, a partire dal 1° giugno 2013, le PA e i gestori di pubblici servizi nei loro rapporti con l'utenza siano tenuti ad accettare pagamenti loro spettanti anche attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione: a tal fine devono comunicare sui propri siti istituzionali il codice IBAN per il pagamento tramite bonifico ovvero gli identificativi del conto corrente postale. Gli stessi soggetti si avvalgono, inoltre, di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l'addebito in conto corrente, indicando sempre le condizioni, anche economiche, per il loro utilizzo.
Per quanto riguarda i pagamenti nei settori del commercio e dei servizi, l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che a decorrere dal 1° gennaio 2014 i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito ovvero attraverso carte di pagamento. Con D.M. saranno disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al tema "La tutela del cliente bancario" .
L'articolo 3 del Piano straordinario contro le mafie (legge n. 136 del 2010, come modificata dal D.L. n. 187/2010) ha introdotto disposizioni volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche: è previsto in particolare che i contraenti debbano utilizzare – salvo eccezioni specificamente indicate – conti correnti dedicati alle pubbliche commesse, ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, ed effettuare i pagamenti con modalità tracciabili. La tracciabilità dei flussi finanziari è altresì tutelata mediante l’obbligo di indicare il Codice unico di progetto – CUP, assegnato a ciascun investimento pubblico sottostante alle commesse pubbliche, al momento del pagamento relativo a ciascuna transazione effettuata in seno ai relativi interventi.
Da ultimo, la lettera c) del comma 1 contempla, quale principio di delega, la possibilità di prevedere forme di opzionalità in favore dei contribuenti.
In assenza di ulteriori precisazioni da
parte della norma in esame, appare opportuno chiarire se tali “forme di
opzionalità” siano riferibili alla scelta tra regime dei minimi e regime
ordinario (di cui alla lettera b) dell’articolo in esame) ovvero, più in
generale, ad una possibile scelta in ordine alla tassazione del reddito di
impresa (di cui alla lettera a)).
Il comma 2 attribuisce al Governo,
nell’ambito dell’esercizio della delega prevista dal comma 1, il compito di
definire l’autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettabilità dei
professionisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività
produttive (IRAP).
La pdl 282 (Causi) precisa al riguardo che tale definizione dovrà essere adeguata ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale.
Come si chiarisce nel seguente approfondimento, il concetto di attività autonomamente organizzata costituisce un presupposto impositivo dell’IRAP. Tale elemento ha suscitato diversi problemi interpretativi che hanno generato un notevole contenzioso soprattutto con riferimento alla categoria degli esercenti arti e professioni. In quest’ottica, la legge di stabilità del 2013 (Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 515), nell’intento di eliminare l’eccessiva discrezionalità di valutazione circa gli elementi organizzativi idonei a configurarne il presupposto impositivo, ha introdotto a partire dal 2014 una specifica esclusione dall’assoggettamento ad IRAP per le persone fisiche esercenti arti e professioni.
In particolare nello
stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è stato
istituito un Fondo con dotazione di
188 milioni di euro per il 2014, di 252 milioni di euro per il 2015 e di 242
milioni di euro a decorrere dal 2016, volto a esentare dall’IRAP, a decorrere
dal 2014, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e
professioni, che non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che
impiegano, anche in locazione, beni strumentali il cui ammontare massimo deve
essere determinato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (non
emanato).
La
disciplina vigente dell’IRAP
L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive
– IRAP è un’imposta a carattere reale, istituita e disciplinata dal decreto
legislativo 15 dicembre 1997 n.446, emanato in base alla delega conferita con
l’articolo 3, commi 143 e seguenti, della legge n. 662/1997, in sostituzione di
numerosi altri tributi.
Presupposto d’imposta (articolo 2 del
D.Lgs. 446/1997) è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo
scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Anche l'attività così
esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni
dello Stato, costituisce presupposto di imposta.
Soggetti passivi
sono infatti le persone fisiche, le società e gli enti (privati e pubblici) che
esercitano la suddetta attività (articolo 3).
La base
imponibile (articolo 4) è il valore
della produzione netta realizzato nel territorio di ciascuna regione, che
viene determinato secondo regole differenziate per tipi di attività e soggetti
passivi.
Per quanto
riguarda l’attività di impresa, il
valore della produzione netta è dato dalla differenza tra proventi e costi
della cd. “gestione ordinaria” (rispettivamente, i valori da inserire nel conto
economico ai sensi delle lettere A e B dell’articolo 2425 c.c.), fatto salvo il
costo del personale e alcune partite espressamente indicate. L’imposta dunque
non colpisce i componenti positivi e negativi della gestione finanziaria
(lettera C dell’articolo 2425 c.c. tra cui, in particolare, gli interessi) né
quelli afferenti alla “gestione straordinaria” (lettera D).
Non si
considerano comunque in deduzione, tra l’altro, le spese per il personale dipendente e assimilato (anche se
classificate in voci diverse dalla lettera B dell’articolo 2425 del codice
civile), la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal
contratto, le perdite su crediti e l’ICI - imposta comunale sugli immobili.
Sono previste
regole specifiche di determinazione dell’imponibile per le imprese che operano
nel settore bancario e assicurativo,
alle quali si applica anche un’aliquota più elevata di quella ordinaria. Anche
per i produttori agricoli titolari di reddito agrario la legge prescrive
apposite regole di determinazione dell’imponibile.
Per i lavoratori autonomi, la base imponibile
è determinata dalla differenza tra i compensi percepiti e i costi sostenuti
inerenti alla attività esercitata, esclusi gli interessi passivi e le spese per
il personale dipendente. I compensi, i costi e gli altri componenti si assumono
così come rilevanti ai fini della dichiarazione dei redditi (articolo 8 del
d.lgs. 446/1997).
Per gli enti privati non commerciali (articolo
10, comma 1) che non svolgono attività commerciale anche in via secondaria,
l'imponibile è pari al totale dei compensi per lavoro dipendente, assimilato od
autonomo occasionale, calcolato con il criterio della competenza (criterio cd. “retributivo”). Qualora l'ente svolga
anche attività commerciale (articolo 10, comma 2) si applica, per la parte di
attività avente detta natura, il calcolo dell'imponibile avviene secondo quanto
già specificato per le imprese commerciali.
Le norme sugli
enti non commerciali si estendono agli organi e alle amministrazioni dello
Stato, alle regioni, alle province, ai comuni e agli enti pubblici non
commerciali. Ove le predette amministrazioni svolgano anche attività
commerciali, possono optare per la determinazione della base imponibile
relativa a tali attività.
L’articolo 11
del decreto legislativo n. 446/1997 reca disposizioni in materia di deduzioni IRAP ai fini della
determinazione della base imponibile. Nel dettaglio sono previste alcune deduzioni
generali, il cui importo è stabilito per scaglioni di valore netto di
produzione, e ulteriori deduzioni di natura più specifica che spettano in
presenza di determinate condizioni o requisiti (quali, ad esempio, il numero
dei lavoratori dipendenti).
L'imposta è
dovuta per periodi di imposta - a ciascuno dei quali corrisponde una
obbligazione tributaria autonoma - determinati secondo i criteri stabiliti ai
fini delle imposte sui redditi. L’ammontare da versare si ottiene applicando
alla base imponibile l'aliquota di cui all’articolo 16 del d.lgs. n. 446/1997.
In particolare, l’aliquota ordinaria (inizialmente
fissata al 4,25 per cento) ammonta al 3,9
per cento.
In materia di
agevolazioni IRAP, si ricorda che l'articolo 2 del D.L. 201 del 2011 ha reso integralmente deducibile ai fini delle
imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal periodo d’imposta in corso
al 31 dicembre 2012, la quota di IRAP
dovuta relativa al costo del lavoro. Il medesimo provvedimento ha altresì
incrementato le agevolazioni IRAP per l’assunzione di lavoratrici e giovani di
età inferiore ai 35 anni.
Di segno analogo
è l'intervento recato con la legge di
stabilità 2013 (articolo 1, commi 484 e 485 della legge n. 228 del 2012),
che ha modificato la disciplina delle
deduzioni IRAP, elevando gli importi per i lavoratori assunti a tempo
indeterminato e per i contribuenti di minori dimensioni. Tali disposizioni
si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al
31 dicembre 2013. In particolare, è stato innalzato da 4.600 a 7.500 euro
l’importo deducibile, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo
indeterminato impiegato nel periodo di imposta di riferimento da parte del
soggetto passivo IRAP. Viene altresì innalzato da 10.600 a 13.500 euro l’importo
deducibile per i lavoratori di sesso femminile, nonché per quelli di età
inferiore ai 35 anni. E’ poi elevato da 9.200 a 15.000 euro l’importo massimo
deducibile per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nelle
regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e
Sicilia, elevando altresì tale importo da 15.200 a 21.000 euro se tali
lavoratori sono di sesso femminile e per quelli di età inferiore ai 35 anni.
Infine, sono stati innalzati gli importi deducibili complessivamente dall’IRAP
in favore dei soggetti di minori dimensioni, ovvero quelli con base imponibile
non superiore a 180.999,91 euro, diversi dalle Pubbliche amministrazioni.
Tali interventi,
congiuntamente al fondo per la
concessione di un credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo nonché per la
riduzione del cuneo fiscale, istituito dalla legge di stabilità 2013
(articolo 1, commi da 95 a 97 della legge n. 228 del 2012) e alle misure di
detassazione dei contratti di produttività si inquadrano nell'alveo delle
misure adottate al fine di ridurre il cd. "cuneo fiscale", ovvero la differenza tra l'onere del costo del
lavoro e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera o lavoratore.
La dottrina e la giurisprudenza nel tempo hanno dibattuto la natura e le
caratteristiche dell’IRAP, sia sotto il profilo della compatibilità
costituzionale e comunitaria del tributo, sia in rapporto alla riforma in senso
federalista del sistema fiscale.
All’introduzione
del tributo nell’ordinamento, la dottrina ha infatti espresso dubbi sulla
compatibilità costituzionale dello stesso, specialmente per la supposta
irragionevolezza della tassazione in capo al titolare di attività produttive su
una ricchezza altrui, nonché per la tassabilità di soggetti in perdita e l’equiparazione
tra impresa e lavoro professionale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156 del 2001 ha ritenuto
non fondate le censure basate sul presunto contrasto con gli articolo 3 e 53
Cost.; essa ha infatti argomentato che è compito del legislatore desumere i
fatti espressivi di capacità contributiva “da qualsiasi indice che sia
rivelatore di ricchezza”, quindi non solo dal reddito individuale. La scelta
della base imponibile IRAP non è dunque irragionevole o contraria all’articolo
53 Cost.
Nel caso
dell’IRAP il legislatore, infatti, nell’esercizio di tale discrezionalità ha
individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli
utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle
attività autonomamente organizzate.
Nella sentenza
n. 156 del 2001 si legge che il
presupposto che giustifica il prelievo IRAP non sussiste nel caso di
un’attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione,
in quanto “ … risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle
attività produttive (con conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.
L’IRAP non è un’imposta sui redditi ma un’imposta che colpisce con carattere di
realità un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità
di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore
delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i
diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione. Essa,
dunque, non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore
aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate. Mentre l’elemento
organizzativo è connaturato alla nozione stessa d’impresa, altrettanto non può
dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con
carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività
professionale svolta in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui”.
La Corte
Costituzionale ha anche precisato che: “E’ evidente che nel caso di
un’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di
organizzazione … risulterà mancante del presupposto stesso dell’imposta sulle
attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’articolo 2,
dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la
conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa”.
Anche la Corte
di Cassazione ha sostanzialmente
seguito questi criteri interpretativi con una serie di sentenze a far data
dall’8 febbraio 2007, distinguendo alla luce dell’articolo 2 citato i casi in
cui ricorre l’autonoma organizzazione, e precisamente quando l’attività
economica è incrementata da investimenti finanziari, dalla collaborazione del
personale dipendente o dalla disponibilità di notevoli mezzi strumentali, posto
che in sostanza la presenza di questi fattori da parte dell’autonomo o del
professionista contribuiscono indubbiamente a creare valore aggiunto rispetto
all’attività individuale di costoro.
Si segnala che
nella sentenza n. 13810 del 13 giugno 2007 la Cassazione ha affermato che
l'Irap coinvolge una capacità produttiva "impersonale ed aggiuntiva"
rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e
preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte
aggiuntiva di profitto derivante da una struttura organizzativa
"esterna", cioè di un complesso di fattori che per numero, importanza
e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto
alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di
corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, numero
e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, prestazioni di terzi,
forme di finanziamento diretto ed indiretto, eccetera). È il surplus di attività
agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista
nelle incombenze ordinarie ad essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento
potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto
organizzata del solo lavoro personale.
Sotto il diverso
profilo della compatibilità comunitaria, la Corte di giustizia UE ha escluso la contrarietà delle norme in
materia di IRAP con la disciplina europea in materia di IVA (articolo 33 della
Sesta Direttiva, ora rifusa nella direttiva 2006/112/CE), in quanto l’IRAP non
costituisce una forma di ulteriore prelievo sulla cifra d’affari avente le
caratteristiche essenziali dell’IVA (vietato dalla disciplina europea). Secondo
la Corte, infatti, si tratta di due imposte aventi presupposti diversi: l’IRAP
non è proporzionale al prezzo di beni e servizi forniti, né è una forma di
prelievo concepita per “traslarsi” sul consumatore finale, in quanto non è
neutrale rispetto ai soggetti passivi.
Articolo 4,
comma 3
(Razionalizzazione della determinazione
del reddito di impresa
e della produzione netta)
3. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, norme per ridurre le incertezze nella determinazione del
reddito e della produzione netta e per favorire l'internazionalizzazione dei
soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni
degli organismi internazionali e dell'Unione europea, secondo i seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) introduzione di criteri
chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare
per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti, ed estensione
del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi
istituti introdotti dalla riforma del diritto fallimentare e dalla normativa
sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste negli
ordinamenti di altri Stati;
b) revisione della disciplina
impositiva riguardante le operazioni transfrontaliere, con particolare
riferimento all'individuazione della residenza fiscale, al regime di
imputazione per trasparenza delle società controllate estere e di quelle collegate,
al regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale
privilegiato, al regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale
dei soggetti insediati in tali Stati, al regime di applicazione delle ritenute
transfrontaliere, al regime dei lavoratori all’estero, al regime di tassazione
delle stabili organizzazioni all'estero e di quelle di soggetti non residenti
insediate in Italia, nonché al regime di rilevanza delle perdite di società del
gruppo residenti all'estero;
c) revisione dei regimi di
deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari
categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e
limitando le differenziazioni tra settori economici;
d) revisione, razionalizzazione e coordinamento della disciplina delle
società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari,
nonché delle norme che regolano il trattamento dei cespiti in occasione dei
trasferimenti di proprietà, con l’obiettivo, da un lato, di evitare vantaggi
fiscali dall’uso di schermi societari per utilizzo personale di beni aziendali
o di società di comodo e, dall’altro, di dare continuità all’attività
produttiva in caso di trasferimento della proprietà, anche tra familiari.
L’articolo 4, comma 3, reca i princìpi e criteri direttivi per l’introduzione di norme volte a ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e della produzione netta e per favorire l’internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni derivanti dagli organismi internazionali e dalla Unione Europea.
In particolare si prescrive l’introduzione di criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, estendendo il regime fiscale oggi previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento; la revisione della disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere; la revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari categorie di costi; la revisione della disciplina delle società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari, nonché delle norme che regolano il trattamento dei cespiti in occasione dei trasferimenti di proprietà.
Redazione del bilancio ed estensione del
regime fiscale delle procedure concorsuali.
La lettera a) individua anzitutto, tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega, l’introduzione di criteri di tassazione chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti.
La norma prevede inoltre l’estensione del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste in altri ordinamenti.
Il dibattito sul realizzo delle perdite
sui crediti
Dal momento che l’insolvenza del
debitore può dar luogo a perdite sui crediti, la legge consente al creditore di
rinunciare al credito o cederlo a terzi. La disciplina delle perdite sui
crediti a fini fiscali (ai sensi
dell’articolo 101, comma 5, del TUIR) è stata oggetto di modifiche ad opera dell’articolo 33,
comma 5 del D.L. 83 del 2012 (cd.
“decreto sviluppo”), che ha esteso
le ipotesi di deducibilità ex lege delle
perdite su crediti. (cfr. infra).
Prima
della citata novelle, le perdite erano deducibili dall’imponibile:
§
se risultanti da
elementi certi e precisi;
§
ove derivanti da procedure concorsuali; solo in relazione a queste ultime,
dunque, la legge riconosceva immediatamente la sussistenza dei requisiti di
“certezza” e “precisione” della perdita, detraibile senza bisogno di attendere
la conclusione delle procedure stesse.
Come
sottolineato anche dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 23
gennaio 2009, la richiamata norma subordina la deducibilità delle perdite su
crediti a rigide prescrizioni, prevedendo che le stesse rilevino fiscalmente
solo se risultano (comprovate) da “elementi certi e precisi”, fatta eccezione
per i casi di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, all’avvio
delle quali le condizioni di deducibilità devono intendersi “automaticamente”
riconosciute.
La disposizione in commento intende estendere il regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste in altri ordinamenti.
Per effetto del citato articolo 33, comma 5 del D.L. 83 del 2012 (cd. “decreto sviluppo”) è stato consentito al creditore di dedurre immediatamente le perdite sui crediti derivanti da un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ai sensi dell’articolo 182-bis della legge fallimentare). L’accordo si considera concluso dalla data del decreto di omologazione del Tribunale.
La disposizione ha introdotto poi ulteriori ipotesi di deducibilità ex lege delle perdite sui crediti; in particolare, i requisiti di deducibilità sono integrati (in quanto le perdite risultino da elementi “certi e precisi”) anche nelle seguenti ipotesi:
§ se il credito è di modesta entità, decorsi sei mesi dalla scadenza; il credito è di “modesta entità” se inferiore o pari a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione e 2.500 euro per le altre imprese;
§
ove il
diritto alla riscossione del credito sia prescritto;
§ per i soggetti che redigono il bilancio in base a principi contabili internazionali, nel caso di cancellazione di crediti dal bilancio per opera di eventi estintivi.
La disciplina delle crisi
da sovraindebitamento
Con la legge n. 3 del 2012, al fine di
contrastare l'usura e l'estorsione, il legislatore ha introdotto una nuova tipologia di concordato per comporre
le crisi di liquidità di debitori, ai quali non si applicano le ordinarie
procedure concorsuali. Viene a tal fine disciplinato l’innovativo istituto
della composizione delle crisi da
sovraindebitamento, definito come una situazione di perdurante squilibrio
economico fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile
per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere
regolarmente le proprie obbligazioni; tale situazione può determinarsi a carico
di famiglie o di imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari.
Il provvedimento delinea una procedura modellata sull’istituto del
concordato fallimentare: la legge contempla lo strumento dell’accordo con i creditori, su proposta
del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti.
Su questo
quadro normativo è poi intervenuto il decreto-legge n. 179 del 2012 che (art.
18) ha riformato il Capo II della legge 3/2012 introducendo un ulteriore
procedimento per la composizione delle
crisi da sovraindebitamento del consumatore, definito come il «debitore
persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei
all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta». Egli potrà
- con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi - proporre al
giudice un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti.
L’omologazione
da parte del giudice dell’accordo presuppone l’accettazione da parte dei
creditori che rappresentano almeno il 60 per cento dei crediti e prevede il
coinvolgimento degli “organismi di composizione della crisi da
sovraindebitamento”. Questi ultimi, costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono
in generale attività di assistenza al debitore per superare la crisi di
liquidità, nonché di soluzione delle eventuali difficoltà insorte
nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento dello
stesso.
L'omologazione
del piano da parte del giudice sarà fondata su un giudizio di meritevolezza
della condotta del debitore (basato sulla ragionevolezza della prospettiva di
adempimento delle obbligazioni) e sulla sua mancanza di colpa nella
determinazione del sovraindebitamento. In caso di contestazioni da parte dei
creditori, il giudice procederà all'omologazione soltanto se riterrà che il
singolo credito possa essere meglio soddisfatto dal piano rispetto a quanto non
sarebbe in caso di liquidazione del patrimonio del debitore.
Inoltre,
il decreto-legge ha dettato una serie di disposizioni comuni ad entrambi i
procedimenti incidendo sul contenuto del piano (sia esso prospettato dal
debitore in prospettiva di un accordo, sia invece formulato dal consumatore),
prevedendo la possibilità di un pagamento anche non integrale dei creditori
privilegiati (con l'esclusione di determinati crediti tributari e
previdenziali, dei quali è possibile la sola dilazione di pagamento).
Per
quanto riguarda invece la posizione dei creditori rimasti estranei all'accordo
proposto dal debitore, il decreto-legge ha ritenuto che questi siano sufficientemente
tutelati dalla valutazione - dell'organismo di composizione della crisi e poi
del tribunale - sulla convenienza dell'accordo di ristrutturazione rispetto
alla liquidazione dei beni del debitore.
Il legislatore ha dunque introdotto una procedura alternativa, di
liquidazione di tutti i beni del debitore, anche se consumatore, che subordina
al verificarsi di determinate condizioni e a uno specifico giudizio del
tribunale l'effetto di esdebitazione per i crediti non soddisfatti.
La disciplina delle crisi da
sovraindebitamento in Francia e in Germania
(a cura del Servizio Biblioteca)
In Francia un sistema organico di norme
presiede al regolamento stragiudiziale delle situazioni di sovraindebitamento (surendettement)
dei privati fin dal 1989. Il surendettement è caratterizzato
dall’impossibilità manifesta del debitore
in buona fede di far fronte all’insieme dei suoi debiti non professionali esigibili e in scadenza e si riferisce
pertanto solo ai debiti contratti nella gestione familiare, senza alcun
rapporto con la sua attività economica, cui il soggetto non riesca a far
fronte. Il sistema, ora contenuto nel Code de la Consommation, artt. da
L330-1 a L334-3 e artt. da R331-1 a R331-6-1, prevede una procedura di
conciliazione per la ripianificazione del debito dei privati distinta dalle
procedure concorsuali per le imprese.
La procedura ha carattere negoziale e si perfeziona
infatti in un accordo, di natura contrattuale, tra il debitore ed i suoi
creditori.
La procedura di surendettement
si svolge davanti alla “Commission
départemental de surendettement des particuliers”. La Commissione è un
organo amministrativo ed ogni Département
ha una Commission de surendettement, composta da otto membri,
cinque con poteri decisionali e due con poteri consultivi, presieduti dal
Prefetto o da un suo rappresentante, con sede presso la filiale locale della
Banque de France.
La procedura è avviata su iniziativa del debitore in
“buona fede” che si trovi in una situazione compromessa, ma con risorse economiche
o con un attivo realizzabile che permettano un recupero. La “buona fede”,
presunta salvo prova contraria, del debitore comporta una sua collaborazione
attiva nel fornire, senza reticenze o falsità, informazioni sulla sua
situazione patrimoniale. Tuttavia la determinazione dell’ambito d’intervento
della Commissione è lasciata alla piena discrezionalità del debitore che può
restringere le informazioni ai soli debiti per i quali egli abbia richiesto la
procedura senza che la Commissione possa estendere la sua indagine a tutta la
situazione debitoria.
La presentazione della domanda comporta, dopo che la Commission ne abbia accertata la
ricevibilità, l’iscrizione del debitore nel Fichier
national des incidents de remboursement des crédits accordés aux personnes
phisiques (FICP). Gestito dalla Banque de France, il Fichier consente agli
organismi di credito, con una semplice consultazione, di individuare in via
preventiva i debitori in difficoltà finanziarie. L’iscrizione dura al massimo
dieci anni e, in ogni caso, per tutto il tempo necessario all’attuazione del
piano di recupero della situazione debitoria.
La procedura di surendettement si divide in tre
fasi: la composizione amichevole (phase amiable), la composizione
“controllata” (phase de recommandation) e la fase di “congelamento”
della situazione debitoria (phase d’insolvabilité).
Nella prima fase la Commission cerca una
“composizione amichevole” e svolge il ruolo di “mediatore” tra le parti nella
prospettiva dell’elaborazione di un piano convenzionale di risanamento del
debito, approvato dal debitore e dai suoi principali creditori. La Commission
interviene soprattutto per quanto riguarda la determinazione dell’ammontare del
debito e della tempistica per la concreta realizzazione delle misure di
“rientro” della situazione debitoria (ad es., ridefinizione delle scadenze dei
pagamenti, dilazione dei debiti, riduzione dei tassi d’interesse). In questa
fase l’accordo su un Plan de redressement ha natura contrattuale tra il
debitore e i suoi creditori che lo sottoscrivono insieme al Presidente della Commission,
nella sua funzione di “arbitro”. Il giudice dell’esecuzione, dopo verifica del
rispetto delle regole, omologa l’accordo e dà ad esso forza esecutiva “erga
omnes” .
In caso di dissenso di alcuni creditori dal Piano di
copertura del debito negoziato, la Commission può decidere se
perfezionare il Plan solo con alcuni creditori e lasciare che gli altri
avviino un procedimento di esecuzione individuale o continuare con la fase
successiva della composizione “controllata”.
Nella seconda fase la Commission, su incarico
da parte del debitore, procede a predisporre autonomamente un piano di
copertura del debito, tenendo conto delle informazioni in suo possesso. Il Plan,
così elaborato, viene trasmesso al giudice dell’esecuzione per il controllo di
legittimità e, se non ci sono contestazioni, per l’omologazione.
La terza fase può aprirsi nel caso la Commission
accerti l’insufficienza o la mancanza di risorse economiche “minime” per la
sopravvivenza del debitore e della sua famiglia secondo uno standard di vita
“normale”. La Commission può procedere al “congelamento del debito”,
concedendo una “moratoria” non superiore a due anni. Al termine del periodo di
congelamento, se la situazione economica del debitore è migliorata, verrà
nuovamente programmato un nuovo Piano di recupero entro otto anni al massimo,
mentre, se la situazione non è cambiata, la Commission potrà proporre la
cancellazione parziale dei debiti, una volta accertata l’impossibilità
involontaria di farvi fronte. La cancellazione dei debiti, soggetta anch’essa
ad omologazione del giudice, è una misura della quale il debitore può usufruire
una seconda volta solo dopo otto anni.
Il giudice dell’esecuzione è competente sia per la
procedura di surendettement, sia per la procedura di rétablissement
personnel e le relative contestazioni.
Quando il debitore si trovi invece in una situazione
irrimediabilmente compromessa, senza possibilità di recupero attraverso le
misure di ripianificazione del debito sopramenzionate, può sollecitare
l’apertura di una procedura di “risanamento personale” (rétablissement
personnel). La procedura, che ha funzione liquidatoria e si profila come
una vera e propria “procedura concorsuale liquidatoria”, può essere avviata
anche dalla Commission o dal giudice dell’esecuzione con il consenso del
debitore quando ne siano accertati i presupposti.
Il procedimento, sotto il controllo dell’autorità
giudiziaria, inizia con un provvedimento di apertura del giudice
dell’esecuzione, prosegue con la nomina eventuale di un mandatario per redigere
uno stato passivo e di un liquidatore per la vendita dei beni e si conclude con
il provvedimento di chiusura. Per tutto il periodo della procedura sono sospese
le esecuzioni personali che riprenderanno alla fine del procedimento se il
giudice chiuderà la procedura, non perché sia stato realizzato l’attivo
sufficiente a pagare i creditori, ma per mancanza di attivo.
In Germania, fino alla riforma del 1994, il
diritto concorsuale tedesco poneva come proprio unico obiettivo quello di
soddisfare nel miglior modo possibile gli interessi dei creditori. La normativa
tedesca sulle insolvenze (Insolvenzordnung - InsO) del 5 ottobre 1994 ha
introdotto una disciplina speciale sull’insolvenza delle persone fisiche, volta
a favorire accordi tra debitori e creditori e a liberare e riabilitare il
debitore insolvente.
La Insolvenzordnung prevede tre distinte
procedure: le prime due - la procedura
di esdebitazione e, in via subordinata, la procedura di insolvenza semplificata - sono destinate
esclusivamente ai debitori persone fisiche (che, nel caso specifico, la legge
definisce “consumatori”) che non svolgano né abbiano svolto in passato
un’attività economica autonoma o, qualora tale attività sia stata esercitata,
solo se i “rapporti patrimoniali” siano limitati e predeterminabili (überschaubar)
e se non vi siano crediti da lavoro nei loro confronti (§ 304); la terza – la procedura della liberazione dai debiti
residui - è destinata a tutte le persone fisiche insolventi e non solo ai
debitori “consumatori”, previsti al § 304 della legge.
Presupposto per
accedere alla procedura di esdebitazione è che il debitore, nei sei mesi
antecedenti, abbia tentato inutilmente di raggiungere un accordo
extragiudiziale (außergerichtliche Schuldenbereinigung) con i creditori.
Tale procedura, non disciplinata dalla Insolvenzordnung, consiste nel
sottoporre, da parte del debitore-consumatore, ai creditori una proposta di accordo su un piano di
transazione stragiudiziale (außergerichtlicher Schuldenbereinigungsplan).
Per attivare il procedimento, il debitore deve rivolgersi a un avvocato o agli
uffici pubblici a ciò preposti (Schuldberatungsstellen). Infatti,
qualora, il tentativo di composizione stragiudiziale fallisca, solo queste
“persone o istituzioni idonee” (geeignete Personen und Stellen),
individuate dai Länder, possono rilasciare un certificato che attesti
che il debitore aveva sottoposto ai creditori un accordo di conciliazione.
La procedura
di esdebitazione (Verbraucherinsolvenzverfahren), regolata al § 305
della legge, ha inizio con una richiesta scritta di accordo giudiziale che il
debitore deve elaborare e depositare presso l’autorità giudiziaria. Alla
domanda (Insolvenzantrag) devono essere allegati la proposta di
transazione stragiudiziale e i motivi per i quali non è stata accettata, il
piano di esdebitazione giudiziale (gerechtlicher Schuldenbereinigungplan),
l’elenco dei beni patrimoniali e dei debiti dell’insolvente ed eventualmente la
richiesta di liberazione dai debiti residui (Restschuldbefreiung) (305,
comma 1).
Poiché il piano
proposto dal debitore ai creditori si fonda sul principio dell’autonomia
privata (Grundsatz der Privatautonomie), la legge non stabilisce alcuna
direttiva in ordine al suo contenuto. In ogni caso, la proposta deve tener
conto degli interessi dei creditori (§ 305, comma 1, n. 4).
In questa fase
preliminare, il giudice, dopo aver ascoltato il debitore, può respingere la
proposta di accordo ed avviare la procedura di insolvenza semplificata qualora
ritenga che il piano transattivo non sarà accettato dai creditori (§ 306, comma
1). Diversamente, il piano di esdebitazione e l’elenco dei beni patrimoniali e
dei debiti dell’insolvente vengono comunicati ai creditori che dispongono al
massimo di quattro settimane di tempo per esprimere la propria posizione su
entrambi gli atti e per verificare le informazioni in essi contenute (307,
comma 1). Decorso il termine delle quattro settimane, il debitore può, sulla
base delle indicazioni e delle posizioni dei creditori, modificare o integrare
il piano e la lista dei debiti entro un termine stabilito dal tribunale (§ 307,
comma 3).
Durante la fase
di composizione giudiziale, la procedura dell’insolvenza semplificata è sospesa
ex lege per un periodo massimo di tre mesi.
Qualora il piano
di esdebitazione venga approvato dai creditori, l’accordo raggiunto assumerà la
forma di una transazione (Vergleich), ai sensi del § 794, comma 1, n. 1,
del Codice di procedura civile (Zivilprozeßordnung) (308, comma 1).
Nel caso in cui
l’accordo sul piano di rientro non venga raggiunto, si apre la procedura
d’insolvenza semplificata (vereinfachtes Insolvenzverfahren),
regolata agli §§ 311 e seguenti della Insolvenzordnung. Il compito di
valorizzare la massa fallimentare del debitore viene svolto, nei limiti
stabiliti dal § 313, comma 3, da un amministratore fiduciario (Treuhänder)
nominato dal giudice. Il fiduciario, che non rappresenta il debitore ma assume
una posizione neutrale (Partei kraft Amtes), redige un prospetto (Insolvenztabelle)
nel quale sono indicati i creditori, l’ammontare e la causa del loro credito.
Il giudice può disporre, dietro richiesta del fiduciario e sentiti i creditori,
la rinuncia totale o parziale alla liquidazione della massa fallimentare. In
tal modo, al debitore insolvente viene data la possibilità di alienare, entro
un termine massimo, il proprio patrimonio pignorabile e di versare al
fiduciario l’importo corrispondente al valore della massa fallimentare. Compito
del fiduciario sarà quello di distribuire l’importo tra i creditori. In questi
casi, si parla di ripartizione semplificata (vereinfachte Verteilung) (§
314, comma 1, n. 1).
Infine, la Insolvenzordnung
prevede, agli §§ 286 e seguenti, la procedura della liberazione dai
debiti residui (Restschuldbefreiungsverfahren), applicabile a tutte
le persone fisiche insolventi e non solo ai debitori qualificabili come
consumatori ai sensi del § 304 della legge.
Nella richiesta
di liberazione dei debiti residui, che deve essere allegata alla domanda di
avvio della procedura di esdebitazione, il debitore deve dichiarare di essere
disposto a cedere, per un periodo di sei anni decorrenti dall’apertura del
procedimento, la parte pignorabile dei suoi crediti per rapporti di lavoro
all’amministratore fiduciario. Il presupposto della procedura è che il
patrimonio fallimentare sia stato già liquidato ma che il suo valore non sia
stato sufficiente a soddisfare le richieste dei creditori. Sulla richiesta di
liberazione dei debiti decide il giudice che la accoglie se non si verifica alcuna
delle condizioni indicate nel § 290 della Insolvenzordnung. La
liberazione dai debiti residui avviene non immediatamente ma dopo sei anni di
“buona condotta” (Wohlverhaltensphase) qualora il debitore ottemperi
agli obblighi indicati nel § 295: svolgere un’attività lavorativa adeguata;
cedere al fiduciario la metà dei patrimoni ereditati; comunicare al fiduciario
ogni cambio di residenza.
La revisione della disciplina impositiva
vigente delle operazioni transfrontaliere
La lettera b) impone al Governo di sottoporre a revisione la disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento a specifici aspetti delle predette operazioni:
§ individuazione della residenza fiscale;
§ regime di imputazione per trasparenza delle società controllate estere e di quelle collegate;
§ regime dei lavoratori all’estero;
§ regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale privilegiato e regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale dei soggetti insediati in tali Stati;
Le operazioni transfrontaliere
Si ricorda che a fini IRPEF (articolo 2, commi 2 e
ss.gg. del TUIR) si considerano residenti
in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di
imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel
territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Si considerano inoltre residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani
cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o
territori aventi un regime fiscale privilegiato. Per quanto riguarda i soggetti IRES (articolo 73 del TUIR)
si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno, in alternativa, la sede
legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio
dello Stato. Tali criteri sono alternativi ed è sufficiente che venga
soddisfatto anche uno solo di essi perché il soggetto possa considerarsi
residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato. Per le società e gli enti
il cui patrimonio è investito in misura prevalente in quote di fondi di
investimento immobiliare chiusi e quelle che detengono direttamente
partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali
residenti (“esterovestizione”), al sussistere di specifiche condizioni, il TUIR
stabilisce delle presunzioni legali di
sede o di residenza, salvo prova
contraria (presunzioni semplici; articolo 73, commi 5-bis e 5-ter del TUIR). In
particolare, l'Amministrazione finanziaria può presumere ("salvo prova
contraria") l'esistenza nel territorio dello Stato della sede
dell'amministrazione di società ed enti che detengono direttamente
partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali
residenti, quando, alternativamente: a) sono controllati, anche indirettamente,
da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un
consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in
prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
In relazione al
regime della trasparenza sulle
società estere controllate e collegate, esso è attualmente contenuto negli
articoli 167 e 168 del TUIR.
Ai sensi del
citato articolo 167, ove un soggetto residente in Italia controlli, direttamente
o indirettamente, un’impresa residente o localizzata in uno Stato o territorio
“a fiscalità privilegiata”, rientrante nell’elenco di paesi black list, i redditi conseguiti dalla
partecipata estera sono tassati separatamente per trasparenza in capo al socio residente, dopo che essi sono
stati ricalcolati secondo le disposizioni ordinarie per la determinazione del
reddito d’impresa (disciplina sulle cd. controlled foreign companies, o CFC
rule). Non vi è tassazione per trasparenza se il soggetto controllante
residente chiede e ottiene - presentando interpello - la disapplicazione della
disciplina CFC. L’ordinamento
consente la disapplicazione a due condizioni, operanti in modo autonomo e
indipendente l’una dall’altra, che sono state modificate da ultimo dall’articolo
13 del decreto legge n. 78/2009.
La prima
condizione sussiste ove il soggetto controllante residente dimostri che la
partecipata estera svolge un'effettiva attività industriale o commerciale, come
sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento;
per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si
ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei
ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento (articolo 167, comma
5, lettera a)). Per la dimostrazione
della prima esimente, il socio residente nel territorio dello Stato deve
provare il radicamento della propria partecipata nel Paese o territorio estero
di insediamento. Il comma 5-bis
dell’articolo 167 - introdotto dal Dl 78/2009 - dispone che questa condizione
non può essere invocata quando i proventi della società estera sono costituiti
per oltre il 50% da passive income o
derivano dalla prestazione di servizi infragruppo.
La seconda
“esimente” si ha quando il soggetto controllante residente dimostra che dal
possesso delle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi
in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis.
L’articolo 13
del D.L. 78/2009 ha altresì introdotto nell’articolo 167 del TUIR i commi 8-bis e 8-ter, che non si applicano alle società estere collegate di cui al
successivo articolo 168. Il comma 8-bis
estende la disciplina CFC ai soggetti controllati esteri localizzati in Stati o
territori compresi nella cosiddetta white
list, e beneficiano di una tassazione inferiore di oltre la metà rispetto a
quella cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia e che abbiano
conseguito in prevalenza passive income
o proventi derivanti dalla prestazione di servizi infragruppo. Qualora si
verifichino entrambe le condizioni indicate dal comma 8-bis, il comma 8-ter
assicura comunque al socio controllante residente la possibilità di dimostrare,
mediante la procedura di interpello di cui all’articolo 11 della legge
212/2000, che la propria controllata estera non rappresenta una costruzione
artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.
L’articolo 168
estende il criterio di imputazione per trasparenza - salvo quanto disposto al
citato comma 8-bis - anche alle
ipotesi di collegamento, ossia al caso in cui il soggetto residente in Italia
detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per
interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20 per cento agli utili
di un'impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati
o territori con regime fiscale privilegiato; tale percentuale è ridotta al 10
per cento nel caso di partecipazione agli utili di società quotate in borsa.
Tale norma non si applica per le partecipazioni in soggetti non residenti negli
Stati o territori predetti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili
organizzazioni assoggettati a regimi fiscali privilegiati. La legge (articolo
168, commi 2 e 3 ) fissa contestualmente i criteri per la determinazione
forfettaria dei redditi del soggetto non residente oggetto di imputazione.
Come chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle
Entrate n. 51/E del 6 ottobre 2010, la disciplina degli utili provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata è in linea
generale contenuta negli articoli 47, comma 4 e 89, comma 3, del TUIR (così
come modificati dall’articolo 36 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223)
relativi rispettivamente al regime di imposizione dei dividendi percepiti dai
soggetti IRPEF e all'imposizione dei dividendi percepiti dai soggetti IRES.
A prescindere dalla natura della partecipazione
detenuta (qualificata o non qualificata), tali disposizioni prevedono una deroga all’ordinaria disciplina di
tassazione degli utili da partecipazione, assoggettando ad imposizione
integrale, anziché parziale, gli utili provenienti da società o enti
localizzati in Paesi o territori aventi regime fiscale privilegiato, come
individuati dal D.M. 21 novembre 2001, a meno che gli stessi non siano già
stati imputati al socio, per trasparenza, ai sensi degli articoli 167, comma 1,
e 168 del TUIR, ovvero sia stata data dimostrazione, in seguito all’esercizio
di interpello- secondo le modalità del comma 5, lett. b) del medesimo articolo
167 - che dalle partecipazioni non è stato conseguito, sin dall’inizio del
periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in
cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. Il legislatore intende
comprendere nell’ambito applicativo dei citati articoli anche gli utili
distribuiti da una società conduit
europea, ma provenienti da Paesi o territori a fiscalità privilegiata.
L’Agenzia ha chiarito, con specifico riferimento alle
società, che il descritto regime di imposizione integrale si applica anche nel
caso di dividendi distribuiti da società conduit
“figlie” - ai sensi della Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CE
(cosiddetta direttiva madri e figlie) - della società italiana che percepisce i
dividendi, quando la fattispecie considerata ricade nell’ambito applicativo
dell’articolo 1, comma 2, della citata direttiva. La norma appena richiamata
prevede, infatti, che la direttiva madri e figlie non pregiudica l’applicazione
di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli
abusi. Al riguardo, peraltro, si ricorda che la sentenza della Corte di
Giustizia relativa alla causa C-196/04 (c.d. Cadbury-Schweppes) tende a
riconoscere (punto 55) la legittimità delle norme antiabuso nazionali nei
limiti in cui le stesse abbiano “lo scopo di ostacolare comportamenti
consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività
economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili” societari.
Nella predetta pronuncia viene, altresì, precisato che “la constatazione
dell’esistenza di una tale costruzione, richiede (…) oltre ad un elemento
soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale, elementi
oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle
condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla
libertà di stabilimento (n.d.r. vale a dire l’esercizio effettivo di
un’attività economica in un altro Stato membro) non è stato raggiunto” (cfr.
sentenza Cadbury-Schweppes, punto 64).
La vigente disciplina nazionale adotta l’approccio case by case raccomandato da una consolidata giurisprudenza
dalla Corte europea, in quanto nell’articolo 89, comma 3, del TUIR è
espressamente prevista la possibilità di presentare istanza di interpello per ottenere la
disapplicazione del regime di tassazione integrale dei dividendi, previa
dimostrazione che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i
redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
L’Agenzia delle Entrate ha inoltre rilevato come
l'applicazione del regime di tassazione integrale degli utili black list non presenti particolari
problemi operativi nell’ipotesi di holding
intermedie - qualificabili come mere conduit
company - che posseggono partecipazioni esclusivamente in società black list, per le quali l’intero utile
distribuito è generato nel paradiso fiscale in cui sono localizzate le
partecipate, ma come vi siano maggiori difficoltà nell’ipotesi di holding o
società conduit che detengono
partecipazioni anche in società residenti in Paesi considerati a fiscalità
ordinaria o che non si limitano alla mera detenzione di partecipazioni ma
svolgono esse stesse un’effettiva attività economica; in tali casi si pone il
problema di individuare la fonte degli utili erogati, individuando alcuni
criteri operativi in mancanza di un criterio espresso previsto dal legislatore:
in particolare, si ritiene che la società conduit
debba documentare di volta in volta la provenienza degli utili (se da Stati o
territori a fiscalità privilegiata, o meno) distribuiti al socio residente.
Inoltre, la Circolare n. 51/E ha chiarito i rapporti
esistenti tra la disciplina CFC e quella delle società estere controllate
(articoli 167 e 168 del TUIR) nell’ipotesi in cui tra la società residente e
quella localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata sussista un rapporto di
controllo o di collegamento qualificato. Il coordinamento tra la disciplina CFC
e quella prevista dalle norme in esame è assicurato dall’articolo 167, comma 7,
TUIR ai sensi del quale “gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai
soggetti non residenti di cui al comma 1 (le società controllate residenti in
Paesi o territori black list) non
concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino
all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo
comma 1, anche negli esercizi precedenti”.
La disposizione ha la finalità di evitare la doppia
imposizione sugli utili distribuiti dalla CFC nell’ipotesi in cui il suo
reddito sia stato precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio
italiano, previa rideterminazione dello stesso secondo le disposizioni fiscali
italiane.
Coerentemente con la citata finalità, l’imposizione
per trasparenza del reddito della partecipata black list esaurisca il prelievo fiscale in relazione al medesimo
reddito: in altri termini, se gli utili distribuiti dalla CFC originano da un
reddito precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, gli
stessi non vanno nuovamente tassati in capo al medesimo soggetto. Viceversa,
nell’ipotesi in cui oggetto di distribuzione siano utili provenienti da riserve
pregresse, vale a dire da riserve di utili costituite in periodi d’imposta in
cui non c’è stata alcuna tassazione per trasparenza, gli stessi concorrono alla
determinazione del reddito imponibile per l’intero ammontare ai sensi degli
articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR.
Concorrono, comunque, per l’intero ammontare alla
formazione del reddito imponibile del socio residente i dividendi provenienti
da una sua partecipata estera nei confronti della quale sia stata ottenuta la
disapplicazione della CFC rule a
seguito della dimostrazione della “prima esimente”.
Diversamente, a
norma dei più volte menzionati articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, sono
tassati solo per il 5 per cento del loro ammontare i dividendi provenienti da
una società in relazione alla quale sia avvenuta la dimostrazione che “siano
rispettate le condizioni di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 87”
del TUIR. Tale prova va fornita mediante interpello da presentarsi secondo le
modalità di cui all’articolo 167, comma 5, lettera b) del TUIR e ha ad oggetto
la dimostrazione che “dalle partecipazioni non sia stato conseguito, fin dall’inizio
del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi…” in Stati o
territori a fiscalità privilegiata.
In altri
termini, nel caso in cui, in sede di interpello CFC, l’Amministrazione
finanziaria non rilevi la sussistenza della seconda esimente, tale risposta
negativa produce effetti anche ai fini della disciplina fiscale applicabile ai
dividendi provenienti dalla medesima CFC.
Viceversa,
l’eventuale parere favorevole in merito alla sussistenza della citata esimente
rileva anche ai fini della disciplina dei dividendi provenienti da società black list, ma solo a condizione che
l’Amministrazione finanziaria riscontri, in concreto, la sussistenza
dell’ulteriore requisito previsto per la disapplicazione del regime di cui agli
articoli 47, comma 4, o 89, comma 3, del TUIR (e, cioè, che l’effetto di
delocalizzazione dei redditi nel paradiso fiscale non è stato conseguito “sin
dall’inizio del periodo di possesso” delle partecipazioni).
Come evidenziato
dalla dottrina (Tassabilità dei dividendi
provenienti indirettamente da “black list”: problematiche applicative - di
Marco Bargagli e Marco Thione, in “il fisco” n. 23 del 6 giugno 2011, pag.
1-3656), le disposizioni così introdotte hanno ingenerato problematiche applicative sia in capo all’Amministrazione
finanziaria, nell’espletamento dei suoi poteri istruttori, sia in capo al
contribuente nazionale ispezionato. In particolare, i principali nodi operativi
riguardano il rapporto con la disciplina delle “controlled foreign companies – CFC” (articolo 167 del TUIR), sul
quale è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la richiamata circolare n.
51/E: in relazione al caso di utili formati da proventi di diversa natura e
provenienza, la società intermedia conduit
dovrà documentare di volta in volta la provenienza degli utili distribuiti al
socio residente. Il contribuente dovrà, altresì, fornire idoneo dettaglio anche
nel caso in cui le riserve di utile della legal
entity estera intermedia, che vengono distribuiti alla casa madre italiana,
si siano formate in differenti esercizi d’imposta, sia con proventi derivanti
da controllate residenti in Paesi “black
list”, sia in Paesi a fiscalità ordinaria. In mancanza di adeguato supporto
documentale che fornisca la provenienza dell’utile, nonché l’esercizio di
formazione della provvista, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via
prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza dal Paese a
fiscalità privilegiata. Infine, la dottrina evidenzia che vi sono ulteriori
problemi di natura istruttorio/informativa rilevabili in ragione della
necessità di individuare la provenienza dei dividendi, la natura degli stessi e
la data di formazione delle riserve che vengono distribuite: nel caso di
strutture partecipative molto articolate, l’analisi potrebbe rivelarsi
complessa.
L’articolo 110,
commi da 10 a 12-bis, del TUIR reca
la disciplina della deducibilità
delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da
operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o
territori extra-comunitari con regime fiscale
privilegiato, nonché dalle prestazioni di servizi rese dai professionisti
domiciliati in detti Stati o territori. La disciplina riguarda le operazioni
intercorse tra imprese residenti
(dunque, come sottolineato dal CNDEC nello studio del 20 aprile 2012, sono
esclusi da tale disciplina gli enti non commerciali, i lavoratori autonomi e i
privati) e imprese domiciliate
fiscalmente in Stati o territori non
appartenenti all'Unione europea aventi regimi
fiscali privilegiati (ivi comprese, come chiarito nel paragrafo 9.1 della
Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 2010, anche le stabili
organizzazioni in Paesi black list di
società residenti in Italia o in Paesi a fiscalità ordinaria). Il comma 12-bis dell’articolo 110 estende la disciplina
alle operazioni intercorse con i professionisti domiciliati nei suddetti Stati
e territori.
In particolare,
il TUIR disciplina l’indeducibilità
delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da
operazioni sostenute dai soggetti residenti esercenti attività di impresa nel
territorio dello Stato, intercorse con imprese o professionisti domiciliati
fiscalmente in Stati o territori black
list (ovvero quelli individuati, con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di
tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della
mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri
equivalenti).
L’Agenzia delle
entrate (citata circolare n. 51/E del 2010, paragrafo 9.2) estende il concetto
di “spese e altri componenti negativi” a “[…] qualunque componente negativo
derivante da transazioni commerciali poste in essere con fornitori black list”; alcuni problemi applicativi
– come rilevato dal CNDEC – sono sorti con riferimento a transazioni
commerciali ed operazioni intercorse con i soli fornitori, oppure con tutti gli
operatori black list. Si è rilevato
come il riferimento alle transazioni commerciali effettuato dalle Entrate
sembrerebbe escludere i componenti negativi relativi a transazioni di natura
finanziaria, anche se la norma fa genericamente riferimento alle “transazioni;
quanto ai rapporti con fornitori black
list, non è chiaro se i componenti negativi di reddito debbano essere
necessariamente realizzati in occasione del perfezionamento di un’operazione
con fornitore black list oppure se
debbano essere separatamente indicati anche i componenti negativi “derivanti”
da operazioni intercorse con soggetti black
list e, quindi, non necessariamente fornitori, ma anche clienti,
intermediari, ecc.. In questo secondo caso, potrebbero essere interessate dalla
disciplina in esame anche operazioni attive poste in essere con clienti black list che diano origine a
componenti negativi di reddito, quali – per esempio – le perdite su crediti.
Il successivo
comma 11 dell’articolo 110 del TUIR consente alle imprese residenti in Italia
di dedurre le spese e gli altri componenti negativi sotto la condizione che
venga dimostrata “la credibilità commerciale e l’effettiva operatività del
fornitore estero localizzato nel territorio a fiscalità privilegiata o, in
alternativa, la convenienza economica delle operazioni poste in essere” (citata
circolare 51/E del 2010, al paragrafo 9.3). La legge norma prevede dunque che
le componenti siano deducibili in presenza di due circostanze “esimenti”,
alternative tra loro:
a) il fornitore estero svolge prevalentemente un’attività
commerciale effettiva;
b) le operazioni intercorse con il fornitore estero
rispondono ad un effettivo interesse economico e le stesse hanno avuto concreta
esecuzione.
Tali circostanze
possono essere dimostrate dal contribuente in sede di controllo ovvero mediante
presentazione di interpello.
§ al regime di applicazione delle ritenute transfrontaliere;
Problematiche afferenti ai redditi
transfrontalieri: UE e OCSE
Il 29 febbraio 2012, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sulla questione
dello sfruttamento delle asimmetrie tra
gli ordinamenti tributari dei vari Paesi (Paesi membri e Paesi terzi),
suscettibili di generare fenomeni di "doppia non imposizione".
Scopo della consultazione non è, infatti, di rilevare
ipotesi in cui la tassazione sia effettuata in un solo paese (per esempio,
perché l’attività svolta dal soggetto passivo è sottoposta a imposizione in un
altro paese), ma solo di casi doppia non
tassazione, ovvero casi nei quali il combinato disposto delle regole di due
paesi conduce alla non tassazione.
Nell'ambito della consultazione, la Commissione
affronta le principali tematiche in materia di mancata tassazione dei redditi
transfrontalieri, concentrandosi sull’imposizione diretta (tassazione dei
redditi societari, tassazione sul reddito dei non residenti, regime fiscale dei
capital gains, etc.).
In particolare, le domande poste dalla consultazione
riguardano le “entità ibride”, gli strumenti finanziari ibridi e l'utilizzo di
convenzioni internazionali che determinano situazioni di non tassazione del
reddito.
Per “entità ibride” si intendono le entità giuridiche
trattate in modo differente in diverse giurisdizioni; il ricorso a strumenti
finanziari ibridi concerne l’uso di strumenti che coinvolgono due o più Stati
esteri e che, nei singoli ordinamenti giuridici interessati, sono fiscalmente
trattati in modo diverso (a titolo di esempio, un medesimo strumento può essere
qualificato come capitale di prestito in uno Stato e come capitale di rischio
in un altro). Per quanto concerne l’uso delle convenzioni internazionali, il
documento di consultazione pone il caso in cui uno stesso reddito venga
qualificato differentemente alla stregua di due legislazioni nazionali che
abbiano sottoscritto convenzioni internazionali e che esso sfugga alla
imposizione in entrambi i paesi.
Ulteriori aspetti esaminati afferiscono alla materia
del transfer pricing, degli Advance Pricing Arrangements, alle
transazioni con parti correlate residenti in Paesi a bassa fiscalità, al
trattamento fiscale che in alcuni Paesi è riconosciuto al cosiddetto "passive income" (interessi attivi e
royalties), alle convenzioni contro
le doppie imposizioni con Paesi terzi.
Anche l’OCSE, nell'ambito del cosiddetto "Aggressive Tax Planning Steering Group"
del Comitato Affari Fiscali ha pubblicato il report "Hybrid Mismatch Arrangements: Tax Policy and Compliance Issues"
nel quale, oltre a illustrare il fenomeno e le operazioni che sfruttano le
differenze nel trattamento fiscale di strumenti finanziari ibridi, entità
ibride e trasferimenti ibridi tra i vari ordinamenti, segnala i risultati dei
Paesi che si sono impegnati nel contrasto a tali forme di pianificazione
fiscale aggressiva. Viene citata anche l'Amministrazione fiscale italiana che
ha, di recente, effettuato diverse contestazioni, che hanno portato a incassi
per oltre 1,5 miliardi di euro.
Da ultimo, si ricorda che i rappresentanti delle
autorità fiscali di alcuni Paesi membri dell'OCSE si sono riuniti a Montreal
dall'8 al 10 maggio 2012 per discutere il problema della doppia esenzione
involontaria causata dall'utilizzo degli hybrid
mismatch arrangements (regolazioni ibride da disallineamento fiscale).
L'incontro è stato organizzato dall'Agenzia delle Entrate del Canada (CRA - Canada Revenue Agency) in collaborazione
con l'OCSE.
Al fine di superare le problematiche afferenti alla
tassazione transfrontaliera, il legislatore italiano – anche in recepimento
delle disposizioni dettate in sede europea – è intervenuto a regolare la
materia: da ultimo si ricorda il D.Lgs.
n. 47 del 2012, recante l’attuazione della direttiva 2009/65/CE in materia
di organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), che ha apportato modifiche alla
disciplina fiscale delle ritenute sui redditi di capitale derivanti dalla
partecipazione ad OICVM italiani, al fine di evitare salti d'imposta o effetti
discorsivi.
In particolare,
l’articolo 3 modifica la legge n. 77 del 1983 in materia di fondi comuni
d'investimento mobiliare al fine di uniformare le disposizioni riguardanti la
determinazione dei redditi di capitale derivanti dalla partecipazione agli
OICVM di diritto estero a quelle previste per i fondi di diritto italiano;
viene altresì precisato che, per i fondi non armonizzati istituiti negli Stati
membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio
economico europeo inclusi nella white
list, la vigilanza prudenziale deve essere riferita al soggetto gestore e
non al fondo, come stabilito dalla direttiva 2011/61/UE sui fondi alternativi,
il cui recepimento è previsto entro il 21 luglio 2013.
§ regime di tassazione delle stabili organizzazioni all’estero e di quelle insediate in Italia di soggetti non residenti;
Stabile organizzazione
Il concetto di “stabile organizzazione” assume
importanza in relazione alla possibilità di tassare il reddito d’impresa nello
Stato in cui questo è prodotta.
Con la riforma
del diritto societario operata per mezzo del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 è
stata introdotta nell’ordinamento nazionale la definizione di “stabile
organizzazione” ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, in parte
mutuandola dall’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE.
La definizione
di legge di “stabile organizzazione” è recata dall’articolo 162 del TUIR: ai
fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, l'espressione “stabile
organizzazione” designa una sede fissa
di affari per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua
attività sul territorio dello Stato. Si ratta di una definizione generale,
cui la norma richiamata affianca una serie di ipotesi considerate “stabili
organizzazioni” tout court, per effetto della loro menzione ex lege (ad es. sede di direzione,
succursale, ufficio etc.) nonché ipotesi in cui tale istituto non si configura.
(ad es. la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e
relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di
dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi). Costituisce
in alternativa una “stabile organizzazione dell'impresa” il soggetto, residente
o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome
dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
In ordine alle
modalità di determinazione del reddito della stabile organizzazione, il TUIR,
all’articolo 151, si ispira al principio
di territorialità, secondo cui per le società ed enti commerciali non
residenti il reddito complessivo da assoggettare a tassazione è costituito
esclusivamente dai redditi che si considerano prodotti nello Stato, con la sola
esclusione dei redditi esenti da imposta e quelli assoggettati a ritenuta alla
fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Il successivo articolo 152
prevede che, in presenza di una stabile organizzazione italiana, il reddito
complessivo di un soggetto non residente si determini secondo le disposizioni
relative alla determinazione dell’imposta sul reddito delle società.
La dottrina
(cfr. E. Cacciapuoti, I rapporti tra casa
madre e stabile organizzazione: tra valore di mercato e costo storico, in
“Rassegna tributaria” n. 1 di gennaio-febbraio 2010, pag. 173) ha rilevato che
le norme del Testo Unico lasciano irrisolti numerosi problemi interpretativi e
applicativi relativi alla determinazione del reddito di una stabile
organizzazione, sia che si tratti di un soggetto estero che opera in Italia,
sia ove si presenti la necessità per un soggetto italiano di determinare la
base imponibile della propria stabile organizzazione estera, ai fini del
calcolo del credito per le imposte pagate all’estero.
Il 12 ottobre
2011, il Comitato per gli Affari Fiscali dell’OCSE ha pubblicato un documento
di consultazione pubblica[5] in ordine alla
definizione di “stabile organizzazione” nel modello di Convenzione fiscale
OCSE. Il 29 febbraio sono stati pubblicati i commenti ricevuti sull’argomento.
§ regime di rilevanza delle perdite di società del gruppo residenti all’estero.
Il consolidato fiscale mondiale
Con la riforma
del TUIR operata dal D.Lgs. 344/2003 sono stati introdotti nel nostro
ordinamento il regime opzionale del consolidato fiscale nazionale (articoli da
117 a 129 del Testo Unico) e del consolidato
fiscale mondiale. In estrema sintesi, l’adesione a tali regimi consente di
determinare l’IRES in modo unitario con riferimento al gruppo societario cui
appartengono i soggetti interessati, effettuando la somma algebrica dei redditi
complessivi netti, opportunamente rettificati, di ciascuno dei soggetti
aderenti. I vantaggi offerti da tale meccanismo consistono, in generale, nella
possibilità di compensare infragruppo, tra l’altro, gli utili e le perdite.
L'opzione per il
consolidato mondiale (artt. 130-142 del TUIR) in particolare consente di
estendere la tassazione di gruppo anche a società non residenti: alla società
controllante in Italia vengono imputati per trasparenza i redditi e le perdite
delle controllate estere in proporzione alla quota di partecipazione complessiva.
Redditi e perdite delle controllate
estere sono ricalcolati in base alle norme tributarie nazionali. Nel
consolidato mondiale l’opzione è vincolante per almeno cinque esercizi della controllante ed eventuali rinnovi sono validi
per altri tre esercizi. Per mezzo del consolidato mondiale, la consolidante può
includere nella propria base imponibile le perdite delle controllate estere e
delle imposte versate da queste nello Stato estero. In questo modo le
controllate estere vengono trattate dal fisco italiano alla stregua di stabili
organizzazioni all’estero dell’impresa italiana (articolo 131 del TUIR).
In merito si
ricorda che l’opzione per il regime del consolidato mondiale implica che non si
applichino le disposizioni di cui all'articolo 167 (cd. “regime CFC – controlled foreign companies)
relativamente alle controllate estere il cui imponibile viene incluso in quello
della società controllante. Si rinvia al riquadro precedente per
l’illustrazione di tale regime.
La problematica
della rilevanza delle perdite delle
società residenti all’estero è stata affrontata dalla Corte di giustizia europea; essa, in mancanza di un corpus organico armonizzato di principi
in materia di imposizione sul reddito delle società (per le proposte
attualmente in discussione, cfr. il riquadro Le raccomandazioni dell’Unione Europea), ha provveduto a
individuare un insieme di regole cui parametrare la legittimità del diritto
interno in materia. La Corte ha affrontato il tema alla luce della libertà di
stabilimento (articolo 49 del TFUE, ex articolo 43): esso, nell’ottica dei
giudici comunitari, è finalizzato a garantire che una società costituita ai
sensi delle leggi di uno Stato membro abbia il diritto di svolgere la propria
attività nel territorio dell’Unione attraverso rami d’azienda, controllate e
succursali, senza che gli ordinamenti nazionali possano riservare un
trattamento normativo differenziato fondato sull’ordinamento giuridico del
Paese in cui esse abbiano la sede principale; tuttavia, secondo un orientamento
consolidato, in determinate ipotesi talune misure restrittive possono ritenersi
legittime, in quanto perseguono lo scopo di evitare l’abuso di questi principi
(cd. shopping fiscale) con eventuali
finalità di elusione o evasione dell’imposta (cfr. la scheda di lettura
dell’articolo 2, commi 4-5 della pdl in esame), purché sia rispettato il
principio di proporzionalità tra la misura introdotta dallo Stato membro e lo
scopo perseguito (cfr. sentenza Marks&Spencer,
c C-446/03). In linea di principio, dunque, lo scomputo delle perdite
dovrebbe avvenire nello stato di residenza della società che le ha prodotte e,
in via sussidiaria, nello Stato della capogruppo. Tale soluzione, come rilevato
dalla dottrina, pone oneri gravosi in capo alla società che intende fruire delle
perdite di una società del gruppo; essa dovrebbe provare che quest’ultima non
abbia la possibilità di farle valere nel proprio Stato di residenza, al fine di
evitare che la medesima perdita sia dedotta due volte in via definitiva.
La lettera c) dispone la revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici;
Il
principio di inerzia
La disciplina in
materia di determinazione del reddito d’impresa (e di lavoro autonomo)
contempla, tra i principi e i criteri per l’individuazione e quantificazione
dei costi da dedurre in sede di dichiarazione, il principio di inerenza. Il
riferimento normativo, per quanto riguarda il reddito di lavoro autonomo, è
all’articolo 54, comma 1, del TUIR, mentre per la determinazione del reddito
d’impresa si fa riferimento all’articolo 109, comma 5 del predetto Testo Unico,
ai sensi del quale le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se
e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi
o altri proventi che concorrono a formare il reddito. In sostanza, affinché un
componente negativo sia preso in considerazione ai fini del computo del reddito
d’impresa, esso deve essere inerente all’attività imprenditoriale.
In ordine a
talune tipologie di spesa – stante la difficoltà nell’ascriverle all’interesse
aziendale o a quello personale del contribuente/socio – la legge detta, con
finalità di certezza del rapporto tributario, specifiche regole e percentuali
di deducibilità (ad es. per le spese relative ad apparecchi terminali per
servizi di comunicazione elettronica, quelle per rappresentanza, prestazioni
alberghiere, veicoli a motore etc.). Per le componenti negative per le quali
non sono rinvenibili così precise indicazioni, il principio di inerenza è stato
oggetto di interpretazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, della
dottrina e della giurisprudenza.
In particolare,
nel corso del tempo è stata avallata un’interpretazione ampia del principio di
inerenza, intendendosi per tale la correlazione fra onere sostenuto e attività
produttiva di reddito imponibile (cfr. le note ministeriali del 25 ottobre
1980, n. 9/2113, del 7 luglio 1983, n. 30/9/944, del 12 febbraio 1985, n.
9/1603 e del 28 ottobre 1998, n. 158/E), non più legata ai ricavi dell’impresa,
ma all’attività della stessa. Sono quindi deducibili i costi relativi
all’attività dell’impresa e riferiti ad attività ed operazioni che concorrono a
formare il reddito d’impresa.
Analogo
orientamento emerge dai pronunciamenti della Corte di Cassazione (cfr. sent. n
4554 del 25 febbraio 2010 e ord. n. 19489 del 13 settembre 2010); per
qualificare un costo come deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che
sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente
attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio
all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una
attività potenzialmente idonea a produrre utili. Per quanto concerne l’onere
della prova in ordine alla sussistenza dell’inerenza di determinati componenti
negativi, esso – per consolidata interpretazione - incombe sul contribuente
(Corte di Cassazione, sentenze del 24 febbraio 2006, n. 4218, del 22 settembre
2006, n. 20521 , del 10 novembre 2006, n. 24075 e del 29 dicembre 2006, n.
27619).
Si rammenta che
il principio di inerenza trova applicazione ai fini della detraibilità
dell’IVA, così come ai fini della determinazione della base imponibile IRAP,
pur con modalità applicative in parte diverse rispetto alla disciplina delle
imposte sui redditi (cfr. circolare 36/E del 2009 dell’Agenzia delle Entrate).
La lettera d) prescrive la revisione della disciplina delle società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari, nonché delle norme che regolano il trattamento dei cespiti in occasione dei trasferimenti di proprietà, con l’obiettivo, da un lato, di evitare vantaggi fiscali dall’uso di schermi societari per utilizzo personale di beni aziendali o di società di comodo e, dall’altro, di dare continuità all’attività produttiva in caso di trasferimento della proprietà, anche tra familiari.
Le società di comodo
In estrema sintesi, si ricorda che per società non operative (ovvero “società di comodo”) si intendono quelle che non sono preposte a svolgere un’attività economica o commerciale, ma soltanto a gestire un patrimonio mobiliare o immobiliare. L’ordinamento tributario prevede una disciplina di contrasto di tali società, volta ad evitarne l’utilizzo a fini antielusivi. La disciplina delle società di comodo è recata dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai sensi del quale le società con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando una serie di percentuali.
Da ultimo, i commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 sono intervenuti in materia di società di comodo disponendo, da una parte, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES) e, dall’altra, estendendo l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.
Il ricambio generazionale nell’impresa
Con il cd. patto di famiglia, istituto giuridico introdotto dalla legge 14 febbraio 2006, n. 55, è stata introdotta una significativa disciplina derogatoria al generale divieto di patti successori, sancito dall’articolo 458 del codice civile.
Com’è noto, tale divieto comporta la nullità dei patti con cui una persona dispone della propria successione o dei diritti che gli deriverebbero solo a successione aperta o con cui rinuncia ai diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta.
La ratio del divieto dei patti successori deriva fondamentalmente dalla necessità di tutelare la libertà del testamento e la sua revocabilità, quindi dall’esigenza di assicurare ad una persona, fino al momento della morte, la facoltà di disporre dello ius poenitendi e di decidere, quindi, della propria successione con un atto di ultima volontà.
La legge n. 55/2006 - aggiungendo il capo V-bis al titolo IV del libro II del codice civile - ha derogato ai divieti di cui all’art. 458 in relazione al solo settore della successione di impresa, ambito in cui si è ritenuto che la rigidità del divieto dei patti successori dovesse cedere terreno al diritto all’esercizio dell’autonomia privata ma soprattutto alla esigenza di garantire dinamicità agli istituti collegati all’attività d’impresa, agevolando il ricambio generazionale nell’azienda.
In particolare, il vigente art. 768-bis c.c. descrive il patto di famiglia come un contratto (da concludere con atto pubblico) con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce - in tutto o in parte - la propria azienda ad uno o più discendenti; analogo trasferimento da parte del titolare può riguardare, in tutto o in parte, anche quote societarie.
L’esigenza di garantire la continuità aziendale programmando in vita il proprio ricambio generazionale rappresenta un problema specifico per le imprese facenti capo ad un unico ceppo familiare, sia nell’ipotesi di successione di una impresa individuale, sia in quella più frequente di imprese a carattere societario. Infatti, secondo recenti stime di Bankitalia circa l’82% delle aziende italiane fanno riferimento a titolari o azionisti appartenenti alla stessa famiglia e fra questi il 50% è ultrasessantenne.
Documenti
all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Tassazione dei redditi di impresa
il 16 marzo 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva relativa ad una base imponibile comune consolidata per la tassazione delle società (common consolidated corporate tax base, CCCTB, COM(2011)121).
Il regime comune prevede, in particolare, regole per il calcolo dei risultati fiscali di ciascuna società (o succursale), il consolidamento di tali risultati, qualora vi siano altri membri del gruppo, e la ripartizione della base imponibile consolidata tra ciascuno Stato membro ammissibile. Non sarebbero invece armonizzate le aliquote d’imposta, che rimarrebbero di esclusiva competenza nazionale pur incoraggiando la Commissione una leale concorrenza tra gli Stati membri al riguardo.
La proposta viene esaminata
secondo una procedura legislativa speciale, che prevede l’unanimità in seno al
Consiglio dell’UE e il mero parere del Parlamento europeo.
Il 19 aprile 2012 il PE ha
approvato una risoluzione che reca emendamenti alla proposta di direttiva: in
particolare, il PE chiede che la CCCTB si applichi, in un una fase transitoria,
soltanto alle società cooperative europee, che hanno una natura
transfrontaliera. Dopo cinque anni,
verrebbe applicata a tutte le imprese
europee, eccetto le piccole e medie
imprese (PMI), che potrebbero optare per un regime della CCCTB su base
volontaria. Per le PMI, il Parlamento europeo chiede che la Commissione si
adoperi per ridurre i costi amministrativi e creare quindi le condizioni
necessarie affinché le imprese attive su scala transfrontaliera possano trarre
beneficio dall'adesione al regime della CCCTB.
Il negoziato in seno al Consiglio
è stato caratterizzato sinora dalla forte opposizione di alcuni Paesi (tra cui
il Regno Unito) a gran parte delle previsioni della proposta, sulla base
dell’affermazione per cui la fiscalità diretta ricadrebbe integralmente nelle
competenze normative nazionali.
Articolo 4,
commi 4 e 5
(Razionalizzazione dell’imposta sul
valore aggiunto
e di altre imposte indirette)
4. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE del
Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul
valore aggiunto, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione, ai fini
della semplificazione, dei sistemi speciali in funzione della particolarità dei
settori interessati;
b) attuazione del regime del
gruppo dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) previsto dall'articolo 11 della
direttiva 2006/112/CE.
5. Il Governo è delegato, altresì, ad introdurre, con i decreti
legislativi di cui all'articolo 1, norme per la revisione delle imposte di
registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative,
sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, secondo i seguenti princìpi e
criteri direttivi:
a) semplificazione degli
adempimenti e razionalizzazione delle aliquote;
b) accorpamento o
soppressione di fattispecie particolari.
L’articolo 4, commi 4 e 5, detta i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della delega in materia di IVA, che deve avvenire attraverso la semplificazione dei sistemi speciali nonché l’attuazione del regime del gruppo IVA.
Il Governo è inoltre delegato ad introdurre norme per la revisione delle imposte c.d. minori, vale a dire le imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, attraverso la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote nonché l’accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari.
Nel dettaglio, il comma 4 delega il Governo ad introdurre norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE in materia di IVA.
Si ricorda,
preliminarmente, che il 6 dicembre 2011 la Commissione
europea ha presentato una comunicazione
sulla nuova strategia dell'UE in materia di imposta sul valore aggiunto (COM(2011)851)
che fa seguito alla consultazione svolta sul Libro verde presentato il 1° dicembre 2010.
Secondo il rapporto allegato al Libro verde, la
complessità del sistema provoca un mancato introito da IVA, dovuto a frodi IVA,
mancati pagamenti, errori, ecc., che per il 2009 può essere prudentemente
stimato pari al 6,9% del PIL e al 12%
delle entrate IVA dell’Ue. Ciò significa un’evasione pari a circa 118,8
miliardi di euro. Secondo il rapporto, in Italia la percentuale salirebbe al 22%, per un totale di circa 29
miliardi di euro di IVA evasa rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro.
Ad avviso della
Commissione, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi
principali:
§ riduzione degli oneri amministrativi delle imprese, per agevolare il commercio
transfrontaliero, attraverso l'introduzione dello "sportello unico" e
la standardizzare delle dichiarazioni IVA;
§ ampliamento della base imponibile e limitazione del ricorso
alle aliquote ridotte;
§ potenziamento degli attuali meccanismi antifrode, tra cui Eurofisc, per ridurre la perdita di entrate dovute all'IVA non
versata.
La Commissione sottolinea
inoltre che la questione del passaggio ad un sistema IVA basato sull'imposizione nel paese di origine non è più rilevante. Pertanto, l'IVA
continuerà ad essere riscossa nel paese di destinazione (ossia il paese in cui
ha sede l'acquirente).
Il 15 maggio 2012 il Consiglio ECOFIN ha approvato le
conclusioni sulla nuova strategia UE in
materia di IVA. Il Consiglio, tra le altre cose:
§ sostiene la proposta di
creare uno sportello unico IVA entro
il 2015;
§ invita la Commissione a
chiarire meglio il valore legale e le funzioni del portale web sull'IVA che verrebbe creato al fine di fornire
informazioni in più lingue su questioni come la registrazione, la fatturazione,
le dichiarazioni IVA, le aliquote IVA, nonché gli obblighi speciali e
limitazioni del diritto a detrazione;
§ concorda sull'opportunità
di esaminare nel dettaglio il vigente
regime IVA dei servizi pubblici, al fine di promuovere una migliore
concorrenza tra settore pubblico e settore privato;
§ prende atto che la
Commissione è a favore di un uso
limitato delle aliquote ridotte da parte degli Stati membri.
Le aliquote IVA
In materia di aliquote,
l’articolo 97 della direttiva
2006/112/CE (cosiddetta direttiva IVA) stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da
ciascun Paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2015, inferiore al 15 per cento.
L’aliquota normale viene fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base
imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi (articolo 96).
Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di
applicare una o due aliquote ridotte.
Tale facoltà è ammessa esclusivamente
per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. Le
aliquote ridotte non si applicano ai
servizi forniti per via elettronica. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta
non può essere inferiore al 5 per cento.
In deroga alle regole normali,
alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere delle aliquote ridotte,
comprese le aliquote “ultraridotte”
e le aliquote zero, in alcuni ambiti.
Previa consultazione del comitato IVA, ciascuno Stato membro può
applicare un'aliquota ridotta alle forniture
di gas naturale, di energia
elettrica o di teleriscaldamento
(articolo 102).
La direttiva 5 maggio 2009, n.
2009/47/CE è intervenuta sulla direttiva 2006/112/CE apportando, tra
l’altro, modifiche all’allegato III della direttiva 2006/112/CE al fine di
ampliare l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che
possono essere assoggettate alle aliquote ridotte. Nel secondo considerando
della direttiva 2009/47/CE viene evidenziato che la Commissione europea, nella
sua Comunicazione sulle aliquote IVA
diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Consiglio e al Parlamento
europeo nel luglio 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai
servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del
mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti
positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia
sommersa.
In Italia, le aliquote IVA
sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante
l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio,
accanto all’aliquota normale (incrementata
dal 20 al 21 per cento dai commi da
2-bis a 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011) si
prevede un’aliquota ridotta del 10 per
cento (che può essere modificata
in aumento o in diminuzione per tutti i beni interessati) e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento
(che non può essere modificata in
quanto oggetto di deroga specifica
al momento della emanazione della prima direttiva IVA) per le operazioni aventi
per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato
D.P.R. n. 633.
In particolare, nella parte III
della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi
assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni
e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.
Si fa presente, inoltre, che l’ordinamento prevede anche alcuni
specifici regimi agevolati e forfetari di
applicazione dell’IVA.
In relazione
alle aliquote, si ricorda che il decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 ha disposto un progressivo
aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria
è passata dal 20 al 21 per cento da
agosto 2011. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità
2013, a decorrere dal 1° luglio 2013,
l’aliquota ordinaria è rideterminata nella misura del 22 per cento (anziché del 23 per cento fino al 31 dicembre 2013),
mentre resta ferma l’attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa
originariamente destinata ad aumentare). In sostanza dal 1° luglio 2013 le
aliquote IVA saranno le seguenti: 22 per cento (ordinaria, che aumenta così
dall’attuale valore del 21 per cento), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento
(super-ridotta).
Le aliquote ridotte assolvono una funzione redistributiva: contribuiscono alla progressività del sistema tributario tassando ad aliquota inferiore consumi “necessari” e sono state, pertanto, classificate tra le misure a rilevanza sociale nel Rapporto finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze in vista della riforma fiscale.
Il sistema
comune dell’imposta sul valore aggiunto
La politica fiscale dell'UE
ha il compito di sostenere i principi del mercato unico e della libera
circolazione dei capitali, garantendo che le norme nazionali in materia di
fiscalità siano coerenti con gli obiettivi generali dell'Unione a favore
dell'occupazione e che queste norme non comportino un vantaggio sleale per le
imprese di un paese rispetto ai concorrenti di un altro.
L'imposta sul valore aggiunto
(IVA) rappresenta una parziale eccezione e richiede un maggiore
coordinamento al livello dell'Unione europea, dal momento che è fondamentale
per assicurare il corretto funzionamento del mercato unico ed una concorrenza
leale al suo interno. L'UE ha pertanto stabilito norme comuni e un limite
minimo per le aliquote IVA applicabili.
Agli Stati membri resta comunque un considerevole margine di manovra
nella fissazione delle rispettive aliquote IVA. Ciò è dovuto in particolare
alla mancanza di aliquote massime, all'applicazione facoltativa di una o due
aliquote ridotte, alla possibilità lasciata agli Stati membri di scegliere le
categorie di beni o servizi che beneficiano di aliquote ridotte (all'interno di
un vasto elenco di prodotti che include alimentari e farmaci), nonché alle
deroghe temporanee accordate a determinati paesi UE a particolari condizioni.
Inoltre, le norme sull'IVA e le aliquote rispettano il principio europeo
per cui le decisioni sulle questioni fiscali possono essere adottate soltanto
all'unanimità, e questo al fine di salvaguardare l'autonomia nazionale.
Il sistema comune dell’imposta
sul valore aggiunto si applica ai beni e ai servizi acquistati e venduti ai
fini del consumo in ambito europeo. Il principio del sistema comune d'IVA
consiste nell'applicare ai beni ed ai servizi un'imposta generale sui consumi
esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il
numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di
distribuzione antecedente alla fase d'imposizione. A ciascuna operazione,
l'IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al
bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell'ammontare
dell'imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi
costitutivi del prezzo.
La direttiva 2006/112/CE ha
proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema
comune dell’imposta sul valore aggiunto, contenute principalmente nella
direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari
(cosiddetta “sesta direttiva IVA”), più volte modificata nel corso degli anni
da numerose direttive.
La direttiva 2006/112/CE costituisce pertanto una sorta di testo unico
di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le
numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo.
Il nuovo testo è entrato in
vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.
La direttiva 2006/112/CE
si compone di 414 articoli, raggruppati in 15 titoli e 12 allegati. La
rifusione, come previsto espressamente nel terzo considerando, ha apportato solo poche modifiche sostanziali alla
legislazione esistente. La maggior parte dei cambiamenti sono strutturali e
redazionali e servono a rendere il testo più chiaro e comprensibile, ovvero a
correggere errori e divergenze linguistiche. I riferimenti agli articoli
abrogati si intendono fatti alla nuova direttiva 2006/112/CE, secondo una
tavola di concordanza contenuta nell'allegato XII della stessa. Tuttavia, oltre
alla rielaborazione del testo, sono state introdotte alcune modifiche
sostanziali recependo anche sentenze della Corte di giustizia.
Tra le modifiche sostanziali vi è quella contenuta nell’articolo 44, che
precisa che la territorialità delle
prestazioni di servizi effettuate da
un intermediario che agisce in nome e per conto terzi (intermediario con
rappresentanza) sia sempre da ricondurre al luogo in cui avviene l'operazione
principale cui si riferisce la prestazione, salvo il caso in cui il
destinatario della prestazione sia identificato ai fini Iva in uno Stato membro
diverso da quello nel cui territorio è effettuata l'operazione principale. In
questo caso, la rifusione si è rifatta alla sentenza del 27 maggio 2004,
relativa alla causa C-68/03, che si era pronunciata al riguardo.
Altra modifica sostanziale riguarda la definizione di prodotti soggetti ad accisa ai fini
dell’applicazione della disciplina dell’IVA. L'articolo 2, paragrafo 3,
della nuova direttiva ha specificato che sono considerati prodotti soggetti ad
accisa i prodotti energetici, l'alcole e le bevande alcoliche e i tabacchi
lavorati, quali definiti dalle disposizioni comunitarie in vigore” ma non il
gas fornito dal sistema di distribuzione di gas naturale e l'energia
elettrica”: per questi ultimi valgono norme speciali circa il luogo della
cessione.
L'articolo 59 della direttiva, in relazione alla territorialità delle prestazioni di telecomunicazione, rende
obbligatorio l'utilizzo della regola dell'utilizzazione o dell'impiego
effettivi per i servizi forniti a cittadini extra-comunitari che non siano
soggetti passivi d'imposta. In questo modo, viene adottato lo stesso criterio
previsto per le prestazioni di commercio elettronico.
Modifiche alla direttiva
IVA
La direttiva 2009/47/CE del Consiglio del
5 maggio 2009 reca modifiche alla direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le
aliquote ridotte dell’imposta sul valore aggiunto.
Ai sensi del secondo considerando della direttiva, la Commissione, nella
sua comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale
presentata al Parlamento europeo e al Consiglio nel 2007, ha concluso che
l’applicazione di aliquote ridotte ai
servizi prestati localmente non pone reali problemi per il buon
funzionamento del mercato interno e può, a determinate condizioni, avere
effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta contro
l’economia sommersa. È dunque opportuno offrire agli Stati membri la
possibilità di applicare aliquote IVA ridotte ai servizi ad alta intensità di lavoro che sono oggetto delle
disposizioni temporanee applicabili fino al termine del 2010 nonché ai servizi di ristorazione e catering.
Il quarto considerando precisa inoltre che la direttiva 2006/112/CE può
essere modificata per consentire l’applicazione di aliquote ridotte o di un’esenzione,
rispettivamente, in un numero limitato di situazioni specifiche per motivi sociali o sanitari nonché per
precisare e adeguare al progresso
tecnologico il riferimento ai libri nell’allegato III di tale direttiva. Le
premessa della direttiva enuncia le finalità e i principali elementi di novità
che essa apporta.
La direttiva 2009/69/CE del Consiglio del 25 giugno 2009 modifica la direttiva
2006/112/CE in relazione all'evasione
fiscale connessa all'importazione.
L'importazione di beni è esente dall'imposta sul valore aggiunto (IVA)
se ad essa fa seguito una cessione o un trasferimento di tali beni a un
soggetto passivo in un altro Stato membro. Le condizioni alle quali è concessa
la suddetta esenzione sono fissate dagli Stati membri. L'esperienza tuttavia
dimostra che le divergenze nell'applicazione di questa disposizione sono
sfruttate dagli operatori per evitare il pagamento dell'IVA sui beni importati
in tali circostanze. Per prevenire detto sfruttamento la direttiva specifica,
per determinate operazioni, una serie di condizioni minime a livello
comunitario per l'applicazione di tale esenzione.
La direttiva 2009/132/CE del Consiglio del 19 ottobre 2009 ha determinato
l'ambito d'applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c), della direttiva
2006/112/CE in materia di esenzione
dall'IVA di talune importazioni definitive di beni.
Si
ricorda poi la direttiva 2009/162/UE
del Consiglio del 22 dicembre 2009 che modifica
varie disposizioni della direttiva 2006/112/CE.
Le principali modifiche sono introdotte sulle disposizioni relative
all'importazione e al luogo di tassazione delle cessioni di gas e di energia
elettrica. In particolare, la direttiva 2006/112/CE non applicava il regime
speciale derivante dalla direttiva 2003/92/CE relativamente alle norme sul luogo di cessione di gas e di energia
elettrica alle importazioni e cessioni di gas trasportato mediante i
gasdotti che non fanno parte della rete di distribuzione e soprattutto ai
gasdotti transfrontalieri. La direttiva si prefigge quindi di chiarire che il
regime speciale si applica alle importazioni e alle cessioni di gas effettuate
mediante ogni sistema del gas naturale situato nel territorio della Comunità o
ogni rete connessa a un siffatto sistema. Si introduce altresì una procedura
semplificata di consultazione preliminare del comitato IVA, volta a garantire
che la Commissione e gli altri Stati membri vengano correttamente informati in
presenza di riduzione di aliquota da parte di uno Stato membro in questo
settore estremamente sensibile.
A norma dell'articolo 131 e dell'articolo 143, lettere b) e c),
della direttiva 2006/112/CE, gli Stati
membri esentano le importazioni definitive di beni che fruiscono di una franchigia doganale diversa da quella
prevista dalla tariffa doganale comune. Pur ritenendo auspicabile la più
stretta unità possibile tra il regime doganale e quello applicabile in materia
d'imposta sul valore aggiunto, è tuttavia opportuno tener conto, ai fini
dell'applicazione di quest'ultimo regime, delle differenti finalità e strutture
dei dazi doganali, da un lato, e dell'imposta sul valore aggiunto, dall'altro.
La direttiva prevede quindi un regime dell'imposta sul valore aggiunto
differente per le importazioni nella misura necessaria a soddisfare gli
obiettivi dell'armonizzazione fiscale. Le esenzioni all'importazione possono
essere concesse solo qualora esse non rischino di falsare le condizioni di
concorrenza sul mercato interno. Inoltre, alcune franchigie applicate negli
Stati membri sono state istituite da convenzioni tra alcuni Stati membri e
paesi terzi le quali, in considerazione del loro oggetto, riguardano soltanto
lo Stato membro firmatario. Non è proficuo determinare sul piano comunitario le
condizioni di concessione di siffatte franchigie. È sufficiente autorizzare gli
Stati membri interessati a mantenerle.
Successivamente,
la direttiva 2010/23/UE del
Consiglio del 16 marzo 2010 ha modificato la direttiva 2006/112/CE per quanto
concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di
determinati servizi a rischio di frodi.
Ai sensi del secondo considerando della direttiva, tenuto conto della
gravità delle frodi in materia di IVA, è opportuno che gli Stati membri siano
autorizzati, a titolo temporaneo, ad applicare un meccanismo in base al quale l’obbligo di versare l’IVA spetti
al soggetto al quale sono trasferite le
quote di emissioni di gas a effetto serra definite all’articolo 3 della
direttiva 2003/87/CE e altre unità che possono essere utilizzate per
conformarsi alla stessa direttiva.
La direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010 reca modifiche alla
direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione.
In particolare, oltre ad introdurre alcuni chiarimenti tecnici in
materia di fatturazione elettronica, la direttiva, per aiutare le piccole e
medie imprese che hanno difficoltà a pagare l'IVA all'autorità competente prima
di aver ricevuto i pagamenti dai loro acquirenti/destinatari, dà agli Stati
membri la possibilità di autorizzare la contabilizzazione dell'IVA tramite un
regime di contabilità di cassa che consenta al fornitore/prestatore di pagare
l'IVA all'autorità competente quando ha ricevuto il pagamento relativo alla
cessione/prestazione e che stabilisca il suo diritto a detrazione quando paga
una cessione/prestazione. In tal modo, gli Stati membri potranno introdurre un
regime facoltativo di contabilità di cassa che non andrà a incidere
negativamente sui flussi di cassa legati alle loro entrate IVA.
La direttiva 2010/45/UE è stata recepita
dai commi da 324 a 335, della legge di
stabilità 2013 (L. 228/2012) attraverso una serie di modifiche ed
integrazioni ad alcuni testi normativi (soprattutto al D.P.R. n.633 del1972 ed
al decreto-legge n.331 del 1993). Le nuove disposizioni concernono in
particolare l’emissione della fattura, la fattura elettronica, la fattura
semplificata e l’esigibilità dell’imposta nelle operazioni transfrontaliere.
Tra queste si segnala la definizione di fattura
elettronica (ossia la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque
formato elettronico) e l'introduzione della fattura semplificata, che può essere emessa per operazioni di
ammontare non superiore a 100 euro, nonché nel caso di fatture rettificative:
in tali ipotesi si consente l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati
identificativi de cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il
codice fiscale o il numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario
o committente stabilito in un altro Stato membro UE, è possibile indicare
soltanto il numero di identificazione IVA attribuito da detto Stato membro. La
nuova disciplina si applica a decorrere dalle operazioni effettuate a partire
dal 1° gennaio 2013.
La disciplina dell’IVA per cassa,
introdotta col D.L. n. 185 del 2008, è stata da ultimo innovata profondamente
dall’articolo 32-bis del D.L. 83 del
2012, ai sensi del quale:
§
il regime “per cassa” è opzionale;
§
l’esigibilità dell’IVA “per cassa” si applica alle operazioni effettuate
da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a due milioni di euro, in
luogo dell’attuale soglia di duecentomila euro;
§
il diritto alla detrazione in capo al cessionario o al committente sorga
al momento di effettuazione dell’operazione, anche se il corrispettivo non è
stato ancora pagato (non più, dunque, al momento di effettivo pagamento del
corrispettivo).
La direttiva 2010/88/UE del Consiglio del
7 dicembre 2010 proroga la durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima fino al 31 dicembre 2015.
L'Unione
europea, infine, con Regolamento 15
marzo 2011, n. 282, è intervenuta sulla disciplina in materia di territorialità IVA al fine di
assicurare una omogeneità nell'applicazione tra i paesi membri delle
disposizioni previste dalla direttiva 2008/8/CE. In particolare, viene fornita
una definizione di stabile organizzazione (art. 53) e vengono forniti
chiarimenti in merito all'applicazione dell'imposta rispetto alla fornitura di
specifici servizi tra i quali si segnalano il commercio elettronico, le
traduzioni di testi e la radiodiffusione televisiva delle partite di calcio.
Da
ultimo, il Regolamento di esecuzione n.
79/2012 della Commissione Europea del 31 gennaio 2012 reca le modalità
d'applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 904/2010 del Consiglio
relativo alla cooperazione amministrativa
e alla lotta contro la frode in materia
d'imposta sul valore aggiunto.
Tra i principi e criteri direttivi per l’attuazione della delega si ricorda, in primo luogo, la razionalizzazione, ai fini della semplificazione dei sistemi speciali, in funzione della particolarità dei settori interessati (lettera a)).
La disposizione sembra prefigurare un adattamento dei regimi speciali, vigenti in alcuni settori, alla disciplina generale, al fine di evitare che le particolarità dei singoli settori producano distorsioni nell’applicazione dell’imposta ovvero oneri maggiori rispetto a quelli derivanti dal regime ordinario.
Si ricorda che l’esigenza di procedere al riordino e alla progressiva riduzione dei regimi speciali è stata sottolineata anche dalla Commissione europea nel citato Libro verde sul futuro dell’IVA – Verso un sistema IVA più semplice, solido ed efficiente (COM(2010) 695).
Si evidenzia che il D.L. n. 63 del 2013 (con il quale sono state prorogate ed estese le disposizioni in materia di agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie) ha previsto, a copertura delle norme introdotte, la modifica alla disciplina IVA delle cessioni di prodotti editoriali e delle somministrazioni di alimenti e bevande.
In particolare l’articolo 19 elimina dal 1° gennaio 2014 l'applicazione di aliquote IVA agevolate sugli allegati e sui supporti integrativi a quotidiani e prodotti editoriali. L'articolo 20 incrementa (dal 4 al 10 per cento), a decorrere dal 1° gennaio 2014, l'aliquota IVA applicabile alla somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici collocati in stabilimenti, ospedali, case di cura, uffici, scuole, caserme e altri edifici destinati a collettività.
I regimi
speciali IVA
Il criterio generale di determinazione dell’imposta sul valore aggiunto
delineato dalle direttive comunitarie è oggetto di precise deroghe, puntualmente e tassativamente individuate dal legislatore
comunitario. In particolare, per determinati settori di attività, sia per la
peculiare rilevanza socio-economica di quel settore, sia per la necessità di
razionalizzare e semplificare il momento impositivo, sono stati previsti alcuni
regimi speciali nei quali l’imposta
dovuta, ad esempio, non viene determinata in modo analitico, ma con criteri forfetari. Tra i principali
regimi speciali si ricordano il regime per gli spettacoli, per le agenzie di
vendita all’asta e per quelle di viaggio e turismo, per il commercio dei beni
mobili usati, per le associazioni sportive dilettantistiche, per le prestazioni
dei gestori di telefoni posti a disposizione del pubblico, nonché per la
vendita di qualsiasi mezzo tecnico, per fruire dei servizi di
telecomunicazione, fissa o mobile, e di telematica, nonché per le imprese
agricole e per l’editoria, secondo quanto di seguito brevemente indicato.
Il regime
speciale IVA per le PMI
Il Libro verde IVA ricorda, tra l’altro, che tanto lo Small business act quanto la Strategia
per la crescita e l’occupazione UE 2020 auspicano un regime speciale a favore delle PMI atto a ridurre gli oneri amministrativi
risultanti dall’applicazione delle normali disposizioni in materia di IVA: le
imprese aventi un fatturato annuo inferiore a una determinata soglia possono
beneficiare dell’esenzione IVA. Tuttavia, questi regimi costituiscono una
risposta frammentaria al fatto che i costi di conformità dell’IVA sono
proporzionalmente più elevati per le piccole imprese che per quelle grandi,
soprattutto se esercitano la loro attività in tutta l’UE. La soluzione più
ovvia, ad avviso della Commissione consisterebbe nell’istituire un regime esteso a tutta l’UE,
caratterizzato da una soglia comune.
Il regime
speciale IVA applicabile alle imprese agricole
Oltre ai regimi per le piccole imprese, un regime speciale è stato
introdotto negli anni Settanta per gli agricoltori. In estrema sintesi, l’articolo 34 del D.P.R. n. 633/1972
prevede una serie di agevolazioni variabili in funzione della tipologia e del
volume d’affari del contribuente, ove ne sussistano i requisiti soggettivi. Si
tratta di un regime opzionale, per cui l’imprenditore (individuale, società di
capitali o di persone) può scegliere anche per l’applicazione del regime IVA
ordinario (articolo 34, comma 3). La principale caratteristica del regime
speciale riguarda le modalità di calcolo dell’IVA dovuta per le cessioni di
prodotti agricoli o ittici. Il regime si applica in presenza di cessioni
riguardanti prodotti e animali elencati nella tabella A, parte I allegata al D.P.R.
n. 633/1972.
In particolare, le disposizioni prevedono che l’IVA assolta sugli
acquisti (da portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 del citato D.P.R.
n. 633/1972) sia “forfetizzata”, ossia sia calcolata in una misura pari
all’importo che risulta dall’applicazione di determinate “percentuali di
compensazione” all’insieme delle operazioni imponibili effettuate. Di
conseguenza, tale modalità forfettaria di calcolo della detrazione esclude che
l’imprenditore detragga l’IVA effettivamente pagata sugli acquisti.
Le percentuali di compensazione sono stabilite, per gruppi di prodotti,
con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro per le
politiche agricole (DM 12 maggio 1992 come successivamente modificato; da
ultimo, con DM 23 dicembre 2005).
Il comma 2 del richiamato
articolo 34 definisce i criteri soggettivi per l’applicazione del predetto
regime, considerando produttori agricoli:
§
gli imprenditori agricoli così come definiti dal codice civile (articolo
2135: soggetti che svolgono attività di coltivazione del fondo, di
selvicoltura, di allevamento di animali e attività connesse) e quelli che
esercitano attività di pesca in acque dolci, di piscicoltura, di mitilicoltura,
di ostricoltura e di coltura di altri molluschi e crostacei, nonché di
allevamento di rane;
§
gli organismi agricoli di intervento, o altri soggetti per loro conto,
che effettuano cessioni di prodotti in applicazione di regolamenti della Unione
europea concernenti l'organizzazione comune dei mercati dei prodotti stessi;
§
le cooperative e loro consorzi di imprenditori agricoli che utilizzano,
per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile,
prevalentemente prodotti dei soci; le associazioni e loro unioni costituite e
riconosciute ai sensi della legislazione vigente, che effettuano cessioni di
beni prodotti prevalentemente dai soci, associati o partecipanti, nello stato
originario o previa manipolazione o trasformazione, nonché gli enti che
provvedono per legge, anche previa manipolazione o trasformazione, alla vendita
collettiva per conto dei produttori soci.
All’interno del regime speciale IVA è previsto un regime agevolato dei cd. “conferimenti”, ossia dei passaggi di beni
dalle imprese agricole socie alle cooperative, alle associazioni tra produttori
o ad altri organismi associativi, che vengono considerati come cessioni di
beni. In particolare, al posto delle aliquote ordinarie (articolo 34, comma 1,
ultimo periodo), alle cessioni effettuate da produttori agricoli ad organismi
associativi che hanno scelto il regime speciale si applicano le percentuali di
compensazione. Dunque le cooperative in regime speciale operano la detrazione
forfetizzata per la cessione dei suddetti prodotti agricoli e ittici.
Inoltre, l’articolo 34, comma 6 prevede un regime di esonero dall’IVA in favore dei produttori che nell’anno
precedente hanno realizzato (in caso di inizio di attività, che prevedono di
realizzare) un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per
almeno due terzi da cessioni di prodotti ittici/agricoli. Essi sono esonerati
dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili,
compresa la dichiarazione annuale, fermo restando l’obbligo di conservazione di
fatture e bollette doganali. Alle cessioni effettuate da tali soggetti
(articolo 34, comma 1) si applicano le aliquote corrispondenti alle percentuali
di compensazione.
Il regime
speciale per il settore dell’editoria
Il regime speciale per il
settore dell’editoria è dettato dall’articolo
74, comma 1, lettera c) del D.P.R. n. 633 del 1972. La disciplina in questione
si caratterizza per l’applicazione di un’imposta “monofase”, condensata in capo
ad un unico soggetto passivo, la quale assorbe quella inerente ad ogni altra
operazione relativa al commercio delle pubblicazioni. Si stabilisce, infatti,
che per il commercio di giornali quotidiani, di periodici, di libri, dei
relativi supporti integrativi e di cataloghi, l'imposta è corrisposta, con
aliquota del 4%, dagli editori sulla base del prezzo di vendita dell'imposta al
pubblico, in relazione al numero delle copie vendute. In alternativa, l'imposta
può essere applicata in relazione al numero delle copie o consegnate o spedite,
diminuito della resa forfetaria del 60 per cento per i libri e per i giornali
cataloghi, quotidiani e periodici, esclusi quelli pornografici e ceduti con
supporti integrativi o altri beni. L’articolo 52, comma 75 della legge n.
388/2001 ha portato al 70 % per i libri e dell’80% per i giornali quotidiani e
periodici la diminuzione della resa forfetaria in questione.
Come anticipato, l’articolo 19
del D.L. n. 63 del 2013 ha eliminato dal 1° gennaio 2014 l'applicazione di
aliquote IVA agevolate sugli allegati e sui supporti integrativi a quotidiani e
prodotti editoriali. Mentre la normativa originaria prevede per i supporti
integrativi l'applicazione dell'aliquota IVA agevolata del 4 per cento qualora
il costo del supporto non superi il cinquanta per cento del prezzo della
confezione, con la norma citata si applicherà comunque ai supporti integrativi
l'aliquota IVA propria di ciascuno dei beni ceduti. Con riferimento ai beni
diversi dai supporti integrativi, ceduti con giornali, quotidiani ecc. con
prezzo indistinto ed in unica confezione, mentre la normativa originaria
prevede che solo qualora il costo del bene ceduto (anche gratuitamente) con la
pubblicazione è superiore al dieci per cento del prezzo dell'intera confezione
l'imposta si applica con l'aliquota di ciascuno dei beni ceduti, per effetto
della norma in esame a tali beni si applicherà comunque l'aliquota IVA propria
dei beni ceduti. Infine non si considerano supporti integrativi o altri beni
quelli che, integrando il contenuto dei libri, giornali quotidiani e periodici,
esclusi quelli pornografici, sono ad esso funzionalmente connessi e tale
connessione risulti da dichiarazione sostitutiva di atto notorio, presentata
prima della commercializzazione presso il competente ufficio IVA.
La lettera b) riguarda l’attuazione del regime del gruppo IVA previsto dall’articolo 11 della direttiva 2006/112/CE.
Regime del gruppo IVA
L’articolo 11 della direttiva n. 2006/112/CE (direttiva IVA) ha stabilito
che, previa consultazione del comitato consultivo dell'imposta sul valore
aggiunto, ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello
stesso Stato membro che siano giuridicamente
indipendenti, ma strettamente
vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi.
Uno Stato membro che esercita l'opzione prevista al primo comma, può
adottare le misure necessarie a
prevenire l'elusione o l'evasione fiscale mediante l'esercizio di tale disposizione.
Per quanto riguarda la normativa
nazionale vigente, si ricorda che nell’articolo 73, ultimo comma, del D.P.R.
633/1972 è previsto un sistema di
compensazione che agevola i gruppi
societari.
La disciplina è diversa dalle disposizioni comunitarie contenute
nell’art. 11 della direttiva 2006/112: mentre la direttiva comunitaria
riconosce un unico soggetto passivo giuridico e fiscale, pur in presenza di
soggetti giuridici indipendenti, il nostro ordinamento mantiene l’autonomia
delle singole società interessate, le quali:
§
partecipano alla compensazione ma conservano sempre e comunque la
propria autonomia giuridica e fiscale;
§
sono singolarmente soggette a tutti gli obblighi di legge in qualità di
contribuenti d’imposta;
§
restano sotto l’esclusiva competenza degli Uffici delle entrate nella
cui circoscrizione hanno il loro domicilio fiscale per quanto concerne il
controllo delle dichiarazioni, le rettifiche e l’irrogazione delle sanzioni.
Le norme comunitarie, invece, implicano che la normativa nazionale che
adotta l’IVA di gruppo autorizzi i soggetti, in particolare le società,
caratterizzati da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo,
a non essere più considerati soggetti passivi distinti ai fini dell’IVA per
essere ritenuti unico soggetto passivo.
In questo senso, qualora uno Stato membro applichi questa disposizione,
il soggetto o i soggetti giuridicamente dipendenti alla luce della disposizione
non possono essere considerati soggetti passivi in base alla normativa. Ne
consegue che l’assimilazione a un soggetto passivo unico esclude che detti
soggetti, giuridicamente dipendenti, continuino a presentare separatamente
dichiarazioni e a essere individuati, tanto all’interno quanto all’esterno del
loro gruppo, soggetti passivi, atteso che unicamente il soggetto passivo unico
è autorizzato a presentare le dichiarazioni d’imposta. L’art. 11 della
direttiva 2006/112 presuppone quindi necessariamente, qualora uno Stato membro
ne faccia applicazione, che, per effetto della normativa nazionale di
trasposizione, il soggetto passivo sia unico e che al gruppo sia assegnato un
unico numero di partita IVA.
Il Governo è inoltre delegato ad introdurre norme per la revisione delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, attraverso la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote nonché l’accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari (comma 5).
Altre imposte indirette
L'imposta di
registro
L'imposta di registro, regolata dal Testo unico dell'imposta di registro
(D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) è dovuta al momento della registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle
Entrate. Essa si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata
all'erogazione di un servizio da parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in
proporzione al valore economico dell'atto o del negozio. Il legislatore pone
quale presupposto dell'imposta di registro la richiesta della registrazione
dell'atto o del negozio. In virtù di tale presupposto gli atti rilevanti si
articolano in: atti soggetti a registrazione in termine fisso; atti soggetti a
registrazione in caso d'uso; atti non soggetti a registrazione. In base alla
peculiarità dell’atto che deve essere registrato, l’imposta può essere
predeterminata dalla legge, proporzionale in percentuale al valore dell’atto da
registrare, o fissa, a prescindere dal valore dell’atto.
Con la circolare n. 18/E l'Agenzia delle entrate ha
elaborato una Guida operativa sulla tassazione degli atti notarili. Il
documento costituisce una trattazione sistematica delle disposizioni
applicabili ai fini dell'imposta di registro e di altri tributi indiretti,
aggiornato con le indicazioni di prassi e le novità normative introdotte fino
al 31 dicembre 2012.
L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale
L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale
sono regolate dal Testo unico delle
disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (D.Lgs. 31
ottobre 1990, n. 347) e hanno per oggetto i trasferimenti immobiliari, sia a titolo gratuito sia a titolo
oneroso. Si applicano per autotassazione e versamento diretto.
L’imposta ipotecaria ha come presupposto
le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione nei
pubblici registri immobiliari. La base imponibile, per i trasferimenti a titolo
oneroso e per le donazioni, è la stessa accertata ai fini dell’imposta di
registro; per i beni trasmessi per successione a causa di morte è determinata
secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di successione.
L’ammontare della tassa ipotecaria e del tributo speciale catastale e i tributi
speciali catastali (D.L. n. 533/54) varia in funzione della tipologia di
servizio richiesto. Gli importi sono indicati, rispettivamente, nella tabella
allegata al D.Lgs. n. 347/90 e nella Tabella A allegata al D.L. n. 533/1954.
L’imposta catastale ha come presupposto
l’esecuzione delle volture catastali. La voltura è l’annotazione con la quale,
a seguito del trasferimento di un bene, viene mutata nei registri catastali
l’intestazione del bene stesso dal precedente possessore a quello attuale. E’
anche essa un’imposta proporzionale e ha la stessa base imponibile dell’imposta
ipotecaria.
La stipulazione
degli atti sopra indicati comporta l’obbligo di eseguire alcune formalità
presso la Conservatoria dei pubblici
registri immobiliari (imposta ipotecaria) nonché il compimento di
variazioni degli atti del Catasto
(imposta catastale). La misura dell’imposta è determinata in misura fissa in
alcuni casi (ad es. è stabilita in 168 euro ciascuna per l’acquisto della prima
casa), ovvero in misura proporzionale applicando alla base imponibile
l’aliquota indicata nella Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/90 e corrispondente
alla tipologia di atto stipulato.
L'imposta di
bollo
L'imposta di bollo è una imposta applicata alla produzione, richiesta
o presentazione di determinati documenti, regolata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642. Sono soggetti all'imposta di bollo
gli atti, i documenti e i registri indicati nella tariffa allegata al D.P.R.
L'imposta non si applica agli atti legislativi e, se non espressamente previsti
nella tariffa, agli atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle
province, dei comuni e loro consorzi. L'imposta di bollo può essere fissa o
proporzionale. Per gli atti, documenti e registri soggetti a bollo solo in caso
d'uso l'imposta è dovuta nella misura vigente al momento in cui se ne fa uso.
Si ricorda che l’articolo 6 della
citata legge delega n. 80 del 2003 –
che riproduce in una formulazione pressoché identica l’articolo in commento –
annoverava, tra i tributi che dovevano confluire nella nuova tassa sui servizi,
la tassa sui contratti di borsa, nel
frattempo abolita dall’art. 37 del D.L. 248/2007.
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate
ha chiarito che restano soggetti
all’imposta fissa di registro gli atti pubblici e le scritture private
aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società o
enti, nonché soggetti all’imposta di
bollo gli atti relativi al trasferimento di quote sociali, sottoposti a
registrazione mediante procedure telematiche.
Si ricorda, da ultimo, che i
decreti-legge n. 98 e 201 del 2011 e n.
16 del 2012 intervenendo sull’articolo 13 della Tariffa allegata al D.P.R.
n. 642 del 1972, hanno modificato la disciplina dell'imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli,
bancari e postali, rimodulando gli importi in funzione degli ammontari
depositati.
La tassa
sulle concessioni governative
La tassa sulle concessioni governative è disciplinata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641. Oggetto della
tassa sulle concessioni governative sono i provvedimenti amministrativi e gli
altri atti elencati nell'annessa tariffa,
vale a dire le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, ecc., che di volta
in volta vengono rilasciate dagli organi dell'Amministrazione pubblica per
consentire agli interessati di compiere taluni atti e esercitare determinati
diritti. L'articolo 2 del D.P.R. n. 641/72 indica le specie di tassa alle quali
l'atto amministrativo può essere assoggettato dal momento della sua formazione
e fino a che dura la sua efficacia: 1. la tassa
di rilascio, la quale è dovuta quando viene emanato l'atto e va corrisposta
«non oltre la consegna di esso all'interessato»; 2. la tassa di rinnovo, la quale è dovuta sugli atti che, giunti a
scadenza, vengono di nuovo posti in essere; 3. la tassa per il visto e quella per la vidimazione debbono essere
corrisposte al momento dell'espletamento della indicate formalità; 4. la tassa annuale, il cui obbligo di
pagamento sorge alle scadenze fissate dalla legge per mantenere l'efficacia
dell'atto. Sono previsti particolari casi di esenzione, quali quello relativo
ad atti e i provvedimenti concernenti le ONLUS, nonché gli atti costitutivi,
gli statuti ed ogni altro atto necessario per l'adempimento di obblighi dei
movimenti o partiti politici, derivanti da disposizioni legislative o
regolamentari.
L’imposta
sulle assicurazioni
L’imposta sulle assicurazioni, disciplinata dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, si
applica ai premi versati dai contraenti. In particolare, sono soggette alle
imposte stabilite nell'annessa tariffa ordinaria, di cui all’allegato A alla
citata legge n. 1216:
a)
le assicurazioni
riguardanti beni immobili o beni mobili in essi contenuti che non siano in
transito commerciale, quando i beni immobili sono situati nel territorio della
Repubblica;
b)
le assicurazioni
riguardanti veicoli, navi od aeromobili immatricolati o registrati in Italia;
c)
le assicurazioni
aventi durata inferiore o pari a quattro mesi e relative a rischi inerenti ad
un viaggio o ad una vacanza, quando sono stipulate nel territorio della
Repubblica;
d) le assicurazioni riguardanti le merci trasportate da o
verso l'Italia, quando sono stipulate per conto di soggetti domiciliati o
aventi sede nel territorio della Repubblica e sempreché per dette assicurazioni
non sia stata pagata imposta all'estero;
e) le assicurazioni contro i danni diverse da quelle
indicate alle precedenti lettere a), b), c) e d), quando il contraente ha nel
territorio della Repubblica il proprio domicilio ovvero, se trattasi di persona
giuridica, la sede o lo stabilimento cui si riferisce il contratto o cui sono
addette le persone assicurate;
f) le assicurazioni sulla vita, quando il contraente ha
nel territorio della Repubblica il proprio domicilio o, se trattasi di persona
giuridica, la sede o lo stabilimento cui sono addette le persone assicurate.
L’imposta varia
dal 2,5% (polizze infortuni e malattie) sino al 21,25% (polizze incendio e
furto). Tale imposta non si applica ai contratti di assicurazione sulla vita ed
ai contratti di capitalizzazione stipulati a partire dal 1° gennaio 2001.
Da ultimo, l’articolo 5, comma 2, del decreto-legge n.
16 del 2012 ha anticipato versamento in acconto dell’imposta di bollo
virtuale da parte delle assicurazioni al 16 maggio di ogni anno.
L’imposta sugli intrattenimenti
L’imposta sugli intrattenimenti è
disciplinata dal D.Lgs. 26 febbraio
1999, n. 60, che reca gli adempimenti concernenti sia le attività
soggette all'imposta sugli intrattenimenti di cui alla tariffa allegata al D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 640, sia le manifestazioni spettacolistiche e assimilate,
soggette all'imposta sul valore aggiunto, elencate nella Tabella C allegata al D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633. Il citato decreto legislativo ha riformato il regime
tributario degli spettacoli, dei giochi e degli intrattenimenti, secondo i
seguenti criteri-guida: a) abolizione dell'imposta sugli spettacoli e
istituzione della nuova imposta sugli intrattenimenti limitatamente a tre
categorie di attività e precisamente: esecuzione di musica non dal vivo, con
esclusione dei concerti musicali, vocali e strumentali soggetti ad Iva;
utilizzazione degli apparecchi da divertimento o intrattenimento; ingresso
nelle case da gioco e nei luoghi specificamente riservati all'esercizio delle
scommesse, nonché esercizio del gioco nelle case da gioco e negli altri luoghi
a ciò destinati. b) riconduzione di tutte le altre attività spettacolistiche
nel regime Iva ordinario. E' soggetto d'imposta chiunque organizza gli
intrattenimenti e le altre attività di cui alla tariffa allegata al D.P.R.
ovvero esercita case da gioco. La base imponibile è costituita dall'importo dei
singoli titoli di accesso venduti al pubblico per l'ingresso o l'occupazione
del posto o dal prezzo comunque corrisposto per assistere o partecipare agli
intrattenimenti ed alle altre attività elencati nella tariffa, al netto
dell'imposta sul valore aggiunto in quanto dovuta.
Dalla formulazione letterale della disposizione non appare, peraltro,
chiaro se la razionalizzazione e la concentrazione delle imposte sopra
richiamate sarà operata mediante la soppressione delle medesime e la
contestuale introduzione di una nuova ed unica imposta sui servizi ovvero
attraverso la razionalizzazione e l’armonizzazione della disciplina delle
imposte stesse.
Tenuto conto della diversità dei presupposti e della struttura delle
imposte sopra richiamate, non appare inoltre chiaro, in assenza di specifici
principi e criteri direttivi al riguardo, quali saranno gli elementi
caratterizzanti del sistema di imposizione sui servizi di cui la disposizione
in esame prospetta l’introduzione.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 1 del decreto-legge n. 54 del 2012, in corso di conversione (AC1012) che ha sospeso il versamento della prima rata dell’imposta municipale propria (IMU), per determinate categorie di immobili (abitazioni principali e assimilati - IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa - nonché terreni agricoli e fabbricati rurali) preannuncia una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base alcuni principi esplicitati nella norma:
§ la riforma della disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi ;
§ la modifica dell’articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale ;
§ l’introduzione della deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell’imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive.
In tale ambito, nel corso dell’esame in sede referente è emersa la necessità di intervenire su tutte le imposte gravanti sugli immobili, ivi incluse l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale, nonché l'imposta di registro.
Si ricorda, inoltre che la Commissione Finanze del Senato ha avviato una indagine conoscitiva sulla fiscalità immobiliare (http://www.senato.it/3518?indagine=4).
Le imposte indirette delle
amministrazioni territoriali
Il D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale ha
disciplinato l’assetto delle competenze
fiscali tra Stato ed enti locali, a decorrere, in una prima fase di avvio
triennale, dal 2011, e poi a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione,
in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta
municipale (IMU), successivamente modificata
dal decreto-legge n. 201 del 2011, che ne ha – tra l’altro – anticipato, in via sperimentale,
l’entrata in vigore al 2012.
Si prevedeva, tra
l'altro, l'attribuzione ai Comuni del
gettito relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di
locazione immobiliare, nonché una quota, pari al 30 per cento, del gettito
delle imposte di registro, ipotecarie e
catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al
21,7 per cento nel 2011 ed al 21,6 per cento dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti, che
assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti. Tale norma ha
trovato attuazione con il D.M. 21 giugno
2011.
La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 380 e da 382 a 384 della legge n. 228 del 2012) ha innovato il predetto assetto della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU, conseguentemente ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e comuni attualmente delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011, nell’ambito del quale si dispone l’abrogazione di numerose disposizioni. In particolare, viene attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.
Viene contestualmente istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, del quale sono anche stabiliti la dotazione finanziaria ed i criteri di riparto, alimentato da una quota dell'imposta municipale propria (di spettanza dei comuni) da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.
Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa, per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni stessi e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (articolo 2, commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.
Tares
L'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
L'imposta di scopo
L’imposta di scopo è regolata dall’articolo 1, commi 145-151, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevede la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche. In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche. Soggetto passivo dell’imposta è il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, situati nel territorio del Comune, o titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi. Per gli immobili concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario. Nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario.
L'imposta di soggiorno
L’articolo 4 del D.Lgs. 23 del 2011 (federalismo municipale) attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. L’imposta può essere istituita da:
§ comuni capoluogo di provincia;
§ unioni dei comuni;
§ comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.
L’imposta, istituita con deliberazione del consiglio, è applicabile secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a:
§ interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive;
§ interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali;
§ relativi servizi pubblici locali.
Imposta di sbarco
L’articolo 4, comma 2-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 4 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) consente ai comuni delle isole minori, ovvero a quelli nel cui territorio insistono isole minori, di istituire, in alternativa all’imposta di soggiorno, un’imposta di sbarco, destinata a finanziare interventi in materia di turismo, di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali e dei servizi pubblici locali. Essa si applica nella misura massima di 1,50 euro ed è riscossa dalle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea unitamente al prezzo del biglietto. L'imposta non è dovuta:
§ dai soggetti residenti nel comune;
§ dai lavoratori (intendendosi persone che si recano nell’isola per motivi di lavoro);
§ dagli studenti pendolari (cioè studenti non residenti che si recano nell’isola per motivi di studio);
§ dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l'imposta municipale propria (IMU) e che sono parificati ai residenti (cioè dai possessori di seconde case presenti sull’isola e relativo nucleo familiare).
Potere degli enti
locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali
Si ricorda, infine, che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 ripristina il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall'anno di imposta 2012; questo potere era stato sospeso, fino all'attuazione del federalismo fiscale.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
In materia di imposta sul valore aggiunto, come accennato in relazione alle conclusioni del Consiglio europeo del 22 maggio (vedi supra), è in corso di esame presso le Istituzioni dell’UE la proposta di direttiva sul meccanismo di reazione rapida contro le frodi IVA (COM(2012)428).
La normativa vigente prevede che,
in caso di frodi IVA, gli Stati membri possano agire solo in base a complessi
regimi di deroga. Lo scopo della proposta è di introdurre nella direttiva IVA
una base giuridica che, in situazioni molto specifiche, consenta agli Stati
membri di adottare misure immediate, con una procedura denominata
"meccanismo di reazione rapida" (Quick
Reaction Mechanism – QRM).
In particolare, si propone che, in casi di frode improvvisa e massiccia nel settore dell'IVA che potrebbero
dare origine a perdite finanziarie gravi
e irreparabili, la Commissione adotti (secondo la procedura di
comitatologia) atti di esecuzione che autorizzano uno Stato membro a introdurre
le seguenti misure particolari di deroga alla direttiva 2006/112/CE:
§
la designazione
del soggetto passivo come soggetto
debitore dell'IVA nell'ambito di determinate cessioni di beni e prestazioni
di servizi;
§ qualsiasi altra misura determinata
dal Consiglio dell’UE, che delibera all'unanimità su proposta della
Commissione.
Sulla proposta, che segue una procedura legislativa speciale (che prevede l’unanimità in seno al Consiglio e la mera
consultazione del Parlamento europeo), il Parlamento europeo si è già
espresso nella seduta del 7 febbraio 2013, e si è in attesa dell’approvazione
definitiva da parte del Consiglio dell’UE
Procedure di contenzioso
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 3 giungo 2010 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare in cui sostiene che alcune norme del D.P.R. 633/1972 contrastano con la direttiva 2006/112 relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in quanto escludono dall’imposta alcune operazioni considerate “non commerciali” che dovrebbero, invece, essere colpite o che dovrebbero, quanto meno, essere qualificate “esenti” piuttosto che “escluse”.
In particolare, la Commissione ricorda che l’art. 2 della citata direttiva impone l’IVA a tutte le cessioni di beni o le erogazioni di servizi eseguite, dietro corrispettivo, da un soggetto “passivo”, inteso come l’esercente di un’attività oggettivamente economica, risultando indifferente lo scopo, lucrativo o meno, della stessa attività. L’art. 132 della direttiva medesima prevede, al massimo, che determinate attività economiche, in quanto finalizzate ad uno scopo “pubblico”, possano essere “esenti”, ma non “escluse”, e pertanto tali da concorrere in ogni caso alla formazione dell’imponibile IVA e da andare soggette a fattura e registrazione.
Le operazioni che, a norma dell’art. 132, possono essere esenti da IVA sono:
a) quando sono effettuate dai servizi pubblici postali, le prestazioni di servizi e le cessioni di beni accessori a dette prestazioni, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni;
b) l'ospedalizzazione e le cure mediche nonché le operazioni ad esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici e altri istituti della stessa natura debitamente riconosciuti;
c) le prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dallo Stato membro interessato;
d) le cessioni di organi, di sangue e di latte umani;
e) le prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio della loro professione dagli odontotecnici, nonché le forniture di protesi dentarie effettuate dai dentisti e dagli odontotecnici;
f) le prestazioni di servizi effettuate da associazioni autonome di persone che esercitano un'attività esente o per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi, al fine di rendere ai loro membri i servizi direttamente necessari all'esercizio di tale attività, quando tali associazioni si limitano ad esigere dai loro membri l'esatto rimborso della parte delle spese comuni loro spettante, a condizione che questa esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza;
g) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l'assistenza e la previdenza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale;
h) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con la protezione dell'infanzia e della gioventù, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale;
i) l'educazione dell'infanzia o della gioventù, l'insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili;
j) le lezioni impartite da insegnanti a titolo personale e relative all'insegnamento scolastico o universitario;
k) la messa a disposizione, da parte di istituzioni religiose o filosofiche, di personale per le attività di cui alle lettere b), g), h) ed i) e per fini di assistenza spirituale;
l) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni loro strettamente connesse effettuate nei confronti dei propri membri nel loro interesse collettivo, dietro pagamento di quote fissate in conformità dello statuto, da organismi senza fini di lucro, che si prefiggono obiettivi di natura politica, sindacale, religiosa, patriottica, filosofica, filantropica o civica, purché tale esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza;
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica;
n) talune prestazioni di servizi culturali e le cessioni di beni loro strettamente connesse effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro interessato;
o) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni effettuate dagli enti o dagli organismi le cui operazioni sono esenti a norma delle lettere b), g), h), i), l), m) e n) in occasione di manifestazioni per la raccolta di fondi, organizzate a loro esclusivo profitto, purché l'esenzione non sia tale da provocare distorsioni della concorrenza;
p) il trasporto di malati o feriti in veicoli all'uopo equipaggiati da parte di organismi debitamente autorizzati;
q) le attività degli enti radiotelevisivi di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale.
Ad avviso della Commissione, l’art. 4, comma 4 del citato D.P.R. 633/1972 contrasterebbe con la norma europea, in quanto dispone per gli enti diversi dalle società commerciali che esercitino un’attività finalizzata al profitto solo in via secondaria - in quanto l’attività prevalente non è orientata a fini di lucro - che siano “escluse” dall’IVA le transazioni, dietro corrispettivo, eseguite in relazione a detta attività principale non lucrativa. Inoltre, lo stesso art. 4 prevede che la cessione di beni e l’erogazione di servizi a favore degli associati – in cambio dell’aumento della quota associativa ovvero dietro corrispettivo specifico – siano “escluse” dall’IVA in quanto afferenti ad una finalità “pubblica”. Secondo la Commissione, anche queste cessioni di beni o erogazioni di servizi dovrebbero essere considerate “commerciali”, in quanto sia la maggiorazione della quota dia l’esborso specifico sono dei corrispettivi e, quindi indizio di “commercialità”: tali fattispecie non possono dunque essere “escluse” dall’IVA, ma – al massimo – essere considerate “esenti”, a condizione che:
§ non avvengano dietro corrispettivo;
§ laddove si presentino come cessione di beni, non siano autonome, ma risultino connesse ad un servizio pertinente allo scopo dell’ente;
§ l’esenzione concessa non alteri la concorrenza;
§ la finalità “pubblica” dell’ente sia riconducibile esclusivamente a una delle ipotesi di cui all’art. 132 della direttiva 2006/112.
Articolo 4,
commi 6 e 7
(Giochi pubblici)
6. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui
all’articolo 1, il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi
pubblici, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime
concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della
fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per la prevenzione del
riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il
regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi.
7. Il riordino di cui al comma 6 è effettuato nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) raccolta sistematica e
organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale
ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi e loro
adeguamento ai più recenti princìpi, anche di fonte giurisprudenziale,
stabiliti a livello dell’Unione europea, nonché all’esigenza di prevenire i
fenomeni di ludopatia e di gioco minorile, con abrogazione espressa delle
disposizioni incompatibili ovvero non più attuali;
b) riserva alla legge ordinaria o agli atti aventi forza di legge
ordinaria, nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione, delle materie
riguardanti le fattispecie imponibili, i soggetti passivi e la misura
dell’imposta;
c) disciplina specifica dei singoli giochi, definizione delle condizioni
generali di gioco e delle relative regole tecniche, anche d’infrastruttura, con
provvedimenti direttoriali generali;
d) riordino delle disposizioni vigenti in materia di disciplina del
prelievo erariale sui singoli giochi, distinguendo espressamente quello di
natura tributaria in funzione delle diverse tipologie di gioco pubblico, nonché
in materia di disciplina relativa alle corse ippiche;
e) rivisitazione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli
altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di
raccolta delle giocate;
f) anche al fine di contrastare più efficacemente il gioco illegale e le
infiltrazioni delle organizzazioni criminali nell’esercizio dei giochi
pubblici, rafforzamento della disciplina in materia di trasparenza e di
requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti che, direttamente o
indirettamente, controllino o partecipino al capitale delle società
concessionarie dei giochi pubblici, nonché degli esponenti aziendali,
prevedendo altresì specifiche cause di decadenza dalle concessioni o cause di
esclusione dalle gare per il rilascio delle concessioni;
g) riordino e implementazione delle disposizioni vigenti relative ai
controlli e all’accertamento dei tributi gravanti sui giochi, al fine di
rafforzare l’efficacia preventiva e repressiva nei confronti dell’evasione e
delle altre violazioni in materia, ivi comprese quelle concernenti il rapporto
concessorio;
h) riordino e implementazione del vigente sistema sanzionatorio, penale e
amministrativo, al fine di aumentarne l’efficacia dissuasiva, prevedendo
sanzioni aggravate per le violazioni concernenti il gioco on-line;
i) razionalizzazione territoriale della rete di raccolta del gioco, a
partire da quello praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110,
comma 6, lettere a) e b), del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e
successive modificazioni; revisione della disciplina delle licenze di pubblica
sicurezza, di cui al predetto testo unico, idonea a garantire, previa
definizione delle situazioni controverse, controlli più efficaci ed efficienti
in ordine all’effettiva titolarità di provvedimenti unitari che abilitano in
via esclusiva alla funzione di raccolta lecita del gioco;
l) anche a fini di rilancio, in particolare, del settore ippico:
1) istituzione dell’Unione ippica italiana, associazione senza fine di
lucro, soggetta alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali, cui si iscrivono gli allevatori, i proprietari di
cavalli e le società di gestione degli ippodromi che soddisfano i requisiti
minimi prestabiliti; previsione che la disciplina degli organi di governo
dell’Unione ippica italiana sia improntata a criteri di rappresentanza delle
diverse categorie di soci e che la struttura organizzativa fondamentale preveda
organismi tecnici nei quali sia assicurata la partecipazione degli allenatori,
dei guidatori, dei fantini, dei gentlemen e degli altri soggetti della filiera
ippica;
2) previsione di un fondo annuale di dotazione per lo sviluppo e la
promozione del settore ippico, alimentato mediante quote versate dagli iscritti
all’Unione ippica italiana nonché mediante quote della raccolta delle scommesse
ippiche, del gettito derivante da scommesse su eventi ippici virtuali e da
giochi pubblici raccolti all’interno degli ippodromi, attraverso la cessione
dei diritti televisivi sugli eventi ippici, nonché da eventuali contributi
erariali straordinari decrescenti fino all’anno 2017;
3) attribuzione al Ministero delle politiche agricole alimentari e
forestali di funzioni di regolazione e controllo di secondo livello delle corse
ippiche, nonché all’Unione ippica italiana di funzioni, fra l’altro, di
organizzazione degli eventi ippici, di controllo di primo livello sulla
regolarità delle corse, di ripartizione e di rendicontazione del fondo per lo
sviluppo e la promozione del settore ippico;
4) nell’ambito del riordino della disciplina sulle scommesse ippiche,
previsione della percentuale della raccolta totale, compresa tra il 74 e il 76
per cento, da destinare al pagamento delle vincite.
L’articolo 4, commi 6 e 7 conferisce delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, confermando il modello organizzativo del sistema costituito dal regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi.
La riserva statale sull’organizzazione dei giochi trova il suo fondamento nell’esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica, di contrastare il crimine organizzato, di proteggere la pubblica fede contro il rischio di frodi e di salvaguardare i minori di età e i soggetti più deboli da una diffusione del gioco incontrollata, indiscriminata e senza regole.
Considerando le numerose nuove modalità di gioco affermatesi negli ultimi anni, rispetto soprattutto ai classici giochi del Lotto, del Superenalotto, delle classiche lotterie nazionali, delle scommesse sportive e ippiche, il Ministero dell’economia, attraverso l’Azienda autonoma dei monopoli di Stato ha ritenuto di dover canalizzare le varie forme di gioco e scommessa in circuiti improntati ai principi della trasparenza, della tutela del consumatore e, più in generale, della legalità.
Il modello italiano di esercizio del gioco pubblico con vincite in denaro si basa da un lato sulla riserva in favore dello Stato in materia di giochi e scommesse e, dall’altro, sulla concessione di servizio, mediante la quale l’Amministrazione affida ad un soggetto privato, prescelto sulla base di selezioni ad evidenza pubblica, nel pieno rispetto della normativa comunitaria, l’esercizio del gioco, ampliando la sfera giuridica del destinatario e mantenendo sull’attività stringenti poteri di controllo.
Anche sulla base della legislazione europea e degli interventi della giurisprudenza comunitaria è divenuta sempre più pressante l’esigenza di assicurare l’apertura della concorrenza tra gli operatori economici interessati alle concessioni e la necessità di tracciare chiaramente la distinzione tra la figura della concessione e l’altro strumento tipico di affidamento a terzi, cioè l’appalto. Al concessionario, a differenza che all’appaltatore, non solo viene chiesto di farsi carico, in tutto o in parte, del peso dell’intervento, ma si trasferisce il rischio finanziario dell’investimento derivante dallo sfruttamento della gestione, per un determinato periodo di tempo, del business connesso alla concessione.
Al riguardo, si ricorda che la sentenza della Corte di giustizia (Quarta Sezione) del 15 settembre 2011 (causa C-347/09) ha chiarito le condizioni alle quali le norme sulla libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi consentono ad uno Stato membro di istituire un monopolio per la gestione di giochi d’azzardo: si tratta, in particolare, di ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la tutela dell’ordine sociale, a condizione che le restrizioni alla libera prestazione di servizi soddisfino i requisiti di proporzionalità. La massimizzazione delle entrate fiscali o dei profitti degli operatori economici non costituiscono giustificazioni per l’ordinamento dell’Unione.
L’andamento
della raccolta e delle entrate erariali
La più recente fase di sviluppo (2010-2012) risulta caratterizzata dal fatto che il sostenuto aumento della raccolta non è coinciso con un analogo incremento delle entrate erariali, le quali hanno invece registrato una sensibile contrazione.
Nel 2010 la raccolta ammontava a 61,4 miliardi di euro, per poi aumentare a 79,9 miliardi nel 2011 e a 88,6 miliardi nel 2012.
Contestualmente le entrate erariali sono diminuite, passando da 8,731 miliardi del 2010, a 8,649 miliardi nel 2011 e quindi a poco più di 8 miliardi nel 2012.
La riduzione delle entrate è ascrivibile ai seguenti fattori:
§ la decisa diminuzione delle entrate derivanti dal Lotto, Superenalotto e Scommesse (con raccolta in sensibile calo);
§ il rilevantissimo aumento della raccolta derivante dalle slot machine, dovuto alla introduzione delle Videolotteries (VLT) e dai giochi online: tale aumento, stante il livello di tassazione assai basso rispetto a quello degli altri giochi, non produce entrate idonee ad assorbire il decremento di cui al precedente punto.
Il trend negativo delle entrate sta inoltre proseguendo nel 2013, nonostante che, a far corso dallo stesso anno, la tassazione del gioco mediante slot machine sia stata incrementata.
In un successivo box sono riportati i dati sui singoli giochi.
Il contrasto al gioco illegale
Numerosi interventi nel settore dei giochi hanno perseguito l’obiettivo di contrastare il gioco illegale: la assegnazione di nuove concessioni con conseguente apertura di nuovi punti di gioco, la creazione di nuove forme di gioco nonché la legalizzazione di giochi già esistenti.
Nello specifico il contrasto al gioco illegale viene operato attraverso maggiori poteri di contrasto assegnati all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la predisposizione di programmi di controllo, la presenza di specifici requisiti richiesti ai concessionari, la previsione di nuove sanzioni, sia di natura penale che amministrativa, nonché la sospensione della concessione.
Peraltro l’articolo 15-ter del D.L. n. 78 del 2009 dispone che l’AAMS promuova un piano straordinario di contrasto del gioco illegale, con la costituzione di un apposito Comitato, operante presso l’AAMS e presieduto dal Direttore Generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, di cui sono chiamati a far parte rappresentanti di vertice della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della stessa Amministrazione autonoma. Il Comitato sovraintende alla definizione, secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, di strategie ed indirizzi, alla pianificazione ed al coordinamento di interventi organici, sistematici e capillari sull'intero territorio nazionale per la prevenzione e repressione del gioco illegale, la sicurezza del gioco e la tutela dei minori.
Nella “Relazione sulle infiltrazioni mafiose del gioco lecito e illecito” approvata il 20 luglio 2011 dalla Commissione Parlamentare antimafia, veniva affermato che, nel 2006, la raccolta effettiva derivante dagli apparecchi da divertimento “ammonterebbe a 43,5 miliardi di euro”, a fronte di una raccolta ufficiale che, in tale anno, era pari a 15,4 miliardi di euro.
Secondo l’Agenzia delle dogane e dei monopoli[6], “posto che la raccolta per il 2012 degli apparecchi in questione è stata pari a circa 50 miliardi di euro, è da ritenere che la maggior parte della raccolta illegale stimata per il 2006 sia stata gradualmente assorbita dalla rete ufficiale, la quale non solo garantisce gettito erariale ma, soprattutto, presenta il vantaggio di incanalare la gestione del gioco in un circuito controllato che consente di tutelare i minori ed i soggetti più deboli e di prevenire il rischio di infiltrazioni della criminalità, anche organizzata.
Tali conclusioni sembrerebbero confortate da una ulteriore analisi. Attualmente, il numero degli apparecchi AWP regolarmente autorizzati ammonta a circa 380.000. La Commissione Parlamentare “antimafia”, nella relazione approvata nella seduta del 17 novembre 2010, stimava, con riferimento all'anno 2006, che a fronte di 200.000 apparecchi AWP allora regolarmente collegati, vi erano “almeno altrettanti apparecchi illegali”. Considerato che attualmente, come già ricordato, gli apparecchi legali sono circa 380.000, se ne deduce che la maggior parte degli apparecchi che la stima per il 2006 considerava illegali dovrebbero essere confluiti nel circuito ufficiale, soprattutto ove si consideri che oggi sono presenti sul mercato 50.000 apparecchi VLT.”
I poteri di controllo
Tra i numerosi interventi legislativi che hanno riguardato i poteri di controllo il D.L. n. 39 del 2009, all’articolo 12, comma 1, lettera i), attribuisce ai concessionari poteri di accesso, di ispezione tecnica e amministrativa sugli apparecchi da gioco, con l’obbligo di segnalazione all’AAMS e agli organi di polizia delle illiceità riscontrate.
Inoltre l’articolo 15 del D.L. n. 78 del 2009, al comma 8-duodecies, dispone che anche gli uffici dell'AAMS, nell'adempimento dei loro compiti amministrativi e tributari, possano avvalersi delle attribuzioni e dei poteri affidati agli uffici delle Entrate in materia di controlli IVA, ai sensi degli articoli 51 e 52 del DPR n. 633 del 1972 (facoltà di invio di questionari, di convocazione dei soggetti interessati, di richiesta di documentazione, di accesso e di ispezioni).
Il successivo articolo 15-bis, al comma 4, prevede che gli uffici dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (A.A.M.S.) esercitino i poteri e le attribuzioni di accertamento e di controllo previsti in materia di IVA dall’articolo 51 del DPR n. 633 del 1972, ad essi attribuiti ai sensi dell'articolo 39-quater del D.L. n. 269 del 2003, anche per gli ambienti dedicati ad ospitare gli apparecchi da gioco non collegati alla rete telematica. Il comma 5 estende i poteri di accesso ed ispezione tecnica ed amministrativa attribuiti ai concessionari di rete ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera i) del D.L. n. 39 del 2009, anche negli ambienti che ospitano apparecchi da gioco non collegati alla rete telematica (cioè apparecchi abusivi).
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 69, novellando il comma 8-duodecies dell’articolo 15 del D.L. n. 78 del 2009, è intervenuta in merito ai rapporti tra le autorità preposte all’attività ispettiva e di vigilanza in materia tributaria e gli organi di polizia giudiziaria, al fine di rafforzarne la relativa azione.
Il successivo comma 80 consente all’A.A.M.S. di esercitare una serie di poteri in materia di controllo, di indirizzo, di segnalazione alle autorità competenti e di sanzioni in merito allo svolgimento dell’attività da parte dei concessionari dei giochi, anche avvalendosi, mediante convenzioni non onerose, di soggetti qualificati nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.
Il D.L. n. 98 del 2011, dell’articolo 24, commi da 13 a 16, dispone in ordine alle attribuzioni degli uffici dell’AAMS in materia di controllo e di accertamento, prevedendo per essi - in ragione della loro capacità di valutare, con immediatezza, l'entità della violazione - anche la possibilità di irrogare sanzioni tributarie ed amministrative. Inoltre, ai sensi del comma 15 gli appartenenti all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), nell’esercizio dei poteri conferiti dalla legge assumono la qualità di agenti di polizia tributaria.
Il D.L. n. 16 del 2012, all’articolo 10, comma 1, ha autorizzato l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) a costituire, avvalendosi di risorse proprie, un fondo – con una dotazione non superiore a 100.000 euro annui - destinato ad effettuare da parte del personale AAMS operazioni di gioco presso locali in cui si effettuano scommesse o sono installati apparecchi da gioco con vincita in denaro (c.d. newslot e VLT – videolottery, indicati all’articolo 110, comma 6, lett. a) e b), del R.D. n. 773/1931) al solo fine di verificare eventuali violazioni in materia di gioco pubblico, ivi comprese quelle relative al divieto di gioco dei minori.
In particolare il comma 7 indica i princìpi e criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi nel riordino della materia:
a) raccolta sistematica ed organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi e loro adeguamento ai più recenti princìpi, anche di fonte giurisprudenziale, stabiliti a livello dell’Unione europea, nonché all’esigenza di prevenire i fenomeni di ludopatia e di gioco minorile, con abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili ovvero non più attuali;
La raccolta sistematica ed organica delle disposizioni vigenti in funzione della loro portata generale ovvero della loro disciplina settoriale, anche di singoli giochi si rende necessaria alla luce della mole di disposizioni di rango primario che si sono stratificate, a partire dal R.D.L. n. 1933 del 1938 di riforma delle leggi sul lotto pubblico, e dei numerosi decreti del direttore dell’AAMS intervenuti nell’ultimo decennio: è sicuramente necessario provvedere alla elaborazione di un testo unico delle norme sui giochi.
La razionalizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti nel settore dei giochi, attraverso un coordinamento formale delle vigenti disposizioni di carattere generale e di quelle relative ai singoli giochi, anche per adeguare il sistema alle evoluzioni giurisprudenziali, a livello nazionale ed europeo, potrà servire a riordinare in maniera sistematica in particolar modo la fiscalità gravante sui giochi, anche al fine di riequilibrare il prelievo ed evitare sperequazioni della domanda dettate da motivi di natura esclusivamente fiscale.
La disciplina dei giochi pubblici, intendendosi in senso più ampio giochi e scommesse, è contenuta in numerose disposizioni legislative, nonché in decreti del direttore dell’Azienda autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) che si sono stratificate negli anni. I continui interventi legislativi sono stati finalizzati da un lato a contrastare il fenomeno del gioco illegale, e dall’altro, talvolta, a reperire maggiori entrate per la copertura degli oneri recati dalle manovre di finanza pubblica.
La legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009), al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line), prevedendo 200 nuove concessioni novennali da assegnare secondo specifici requisiti e condizioni. In particolare, i nuovi concessionari sono tenuti a operare tramite il sistema centrale dell’AAMS, mentre il giocatore deve stipulare con il concessionario un apposito contratto di “conto di gioco”.
Anche la ricostruzione delle zone terremotate dell’Abruzzo (D.L. n. 39 del 2009) è stata parzialmente finanziata intervenendo nel settore dei giochi.
Il D.L. n. 78 del 2009 è intervenuto sulla materia agli articoli 15-bis e 15-ter, con la previsione di un piano straordinario di contrasto al gioco illegale. Il successivo articolo 21 reca norme sul rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita.
Nel D.L. n. 40 del 2010 sono state introdotte disposizioni in materia di esercizio dell'attività di gioco e di riorganizzazione e potenziamento dell'AAMS.
Con la legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi da 64 a 82 della legge n. 220 del 2010) si è inteso rafforzare l’azione di contrasto al gioco gestito e praticato in modo illegale e a tutelare i consumatori - in particolar modo i minori di età - e, al contempo, si è intervenuti per recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale.
Con l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 sono state adottate numerose disposizioni in materia di giochi, sia sotto l’aspetto del prelievo fiscale - quali la liquidazione automatica dell’imposta unica dovuta sulle scommesse e sui giochi a distanza (commi 1-7) o la determinazione forfetaria del prelievo erariale unico (commi 17 e 18) - che relativamente alle competenze di accertamento in materia di giochi pubblici (commi da 8-16) e ai requisiti per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sul divieto di gioco per i minori (commi 19-23), sull'obbligo di segnalare da parte degli operatori bancari, finanziari e postali il trasferimento di somme verso operatori di gioco illegali (commi 29-31), nonché sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38). Viene istituito il Bingo a distanza (comma 33) e regolamentato il “poker sportivo” (ovvero i tornei non a distanza di poker: comma 34), e sono previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40). Inoltre si stabilisce che una quota pari al 3 per cento delle spese annue per la pubblicità dei prodotti di gioco venga destinata al rifinanziamento della Carta acquisti (comma 32).
Il D.L. n. 138 del 2011 ha attribuito all'AAMS il compito di emanare con propri decreti entro il 12 ottobre 2011 disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate. In attuazione di questa norma è stato emanato il decreto 12 ottobre 2011 dell'AAMS che individua le seguenti linee di intervento:
§ Lotto e 10&Lotto, con rimodulazione dell’orario di raccolta, dell’importo delle giocate, dell’incremento del payout, l’introduzione di nuove sorti e concorsi a tema in concomitanza con particolari eventi o festività di rilievo nazionale.
§ SuperEnalotto e Win for Life, con una nuova modalità di estrazione del SuperEnalotto condivisa con altri paesi europei con un’unica estrazione settimanale autonoma e distinta dalle altre e il restyiling del gioco Win for life.
§ Lotterie a consumo, con l'avvio della gara sulle lotterie a consumo effettuate con il resto della spesa nei grandi supermercati (c.d. Resto in gioco).
§ applicazione di un prelievo sulle vincite pari al 6% sulla parte delle vincite eccedenti i 500 euro relative alle VLT, Gratta e Vinci e SuperEnalotto (e giochi accessori, comprensivi della modalità online, come il Win for Life, e il “Si vince tutto"). Il prelievo del 6% non riguarderà le seguenti categorie di gioco: scommesse ippiche e sportive, Bingo, lotterie tradizionali (Lotteria Italia) e tutti i giochi a distanza (esclusi quelli sopra menzionati) che restano soggetti all’attuale normativa di settore.
Da ultimo, il D.L. n. 16 del 2012 reca, all’articolo 10, numerose disposizioni per il potenziamento dell’accertamento in materia di giochi nonché misure per la tracciabilità dei pagamenti.
I giochi attualmente offerti dal mercato italiano possono essere pertanto distinti in otto gruppi, che comprendono tipologie di gioco omogenee per caratteristiche della domanda e per strategie di sviluppo ed organizzazione della filiera:
giochi numerici a quota fissa (ad esempio, il Lotto);
giochi numerici a totalizzatore (ad esempio, l “Superenalotto”);
apparecchi da intrattenimento (AWP e VLT);
lotterie ad estrazione istantanea (“Gratta & Vinci”) e ad estrazione differita (ad esempio, la Lotteria Italia);
giochi a base ippica;
giochi sportivi e Scommesse diverse da quelle ippiche (sportive e non sportive);
bingo;
gioco “a distanza” o gioco on line.
Aspetti di diritto comunitario
I servizi di gioco d'azzardo
sono disciplinati dall'articolo 56 del
Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) relativo alla libera prestazione dei servizi,
conformemente al quale gli operatori autorizzati in uno Stato membro possono
fornire i propri servizi ai consumatori di altri Stati membri, a meno che
questi ultimi non impongano, solo in via eccezionale, restrizioni proporzionate
e giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico, quali la tutela dei
consumatori o il mantenimento dell'ordine pubblico.
A tale proposito nel “Libro verde sul gioco d’azzardo on line” [7] vengono
richiamati alcuni princìpi guida stabiliti in materia dalla Corte di giustizia,
che tra l’altro ha:
§
riconosciuto
alcuni motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori
e la prevenzione della frode e dell'istigazione a sperperare al gioco, nonché
la generale esigenza di mantenere l'ordine pubblico. Ha sottolineato altresì
che tutti i problemi sociali riconosciuti possono giustificare un sufficiente
margine di discrezionalità da parte delle autorità nazionali nel determinare la
tipologia di servizi offerti in questo settore necessari per la tutela dei
consumatori e dell'ordine pubblico;
§
stabilito che
questo tipo di servizi e le restrizioni transfrontaliere che possono derivare
dall'approccio normativo in materia devono determinare una riduzione effettiva
delle opportunità di gioco d'azzardo ed essere applicati in modo uniforme e
sistematico a tutte le offerte di servizi disponibili nel territorio. Qualora
le autorità di uno Stato membro incitino i consumatori a partecipare a
lotterie, giochi d'azzardo e scommesse a beneficio finanziario delle casse
pubbliche, non potranno essere invocate preoccupazioni di ordine pubblico
relative alla necessità di ridurre le possibilità di scommettere per
giustificare le restrizioni che dovranno essere proporzionate e applicate senza
discriminazioni. Inoltre, la procedura di rilascio della licenza dovrà
rispettare i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione e
trasparenza;
§
in virtù
delle caratteristiche specifiche dei servizi di gioco d'azzardo on-line, gli
Stati membri possono adottare misure volte a restringerne o disciplinarne la
prestazione al fine di combattere la dipendenza dal gioco e proteggere i
consumatori contro i rischi di frode e criminalità.
Sul Libro verde la VI Commissione Finanze nella seduta del
10 novembre 2011 ha approvato un documento
finale nel quale, tra l’altro, si invita il Governo ad adoperarsi affinché:
§
siano
rinforzati tutti gli strumenti per un più rigoroso contrasto di tutte le forme
di gioco illegali o prive di titolo pubblico, al fine di rispondere alle
prioritarie esigenze di tutelare i diritti dei consumatori, in specie dei
minori, di assicurare l'ordine pubblico e di garantire gli interessi erariali;
§
sia ribadita
la fondatezza e la compatibilità con i principi dell'Unione europea dell'assetto
concessorio adottato dall'ordinamento italiano, in particolare al fine di
evitare che l'ingresso indiscriminato nel mercato italiano di operatori di
gioco on-line basati in altri Stati membri possa determinare un indebolimento
degli strumenti regolatori posti a tutela dei consumatori, oltre a
rappresentare una forma di concorrenza sleale nei confronti degli operatori
nazionali, sottoposti ad un regime di requisiti ed obblighi molto più rigoroso;
§
in tale
contesto, sia definitivamente riconosciuto il diritto di ciascuno Stato membro
dell'Unione europea ad assoggettare gli operatori titolari di un'autorizzazione
o concessione rilasciata da altro Stato membro che offrano servizi di gioco
d'azzardo via internet anche in quest'ultimo Stato, a requisiti ed obblighi
riconducibili alla tutela di interessi pubblici, quali: la valutazione delle
qualifiche professionali e dell'integrità degli operatori stessi; la protezione
dei consumatori contro i rischi di frode; il contrasto alle infiltrazioni del
settore da parte della criminalità organizzata; la lotta alle diverse forme di
dipendenza patologica dal gioco;
§
sia adottata
una nozione di «servizio di gioco d'azzardo on-line» ampia, che ricomprenda
servizi quali le scommesse sportive anche nel settore ippico, i giochi da
casinò, le scommesse con spread (o spread
betting), i giochi multimediali o promozionali, i servizi di gioco
d'azzardo gestiti da e a beneficio di associazioni di beneficenza e
organizzazioni senza scopo di lucro, le lotterie;
§
si promuovano
misure comuni per perseguire le frodi sportive legate alle scommesse sportive e
per prevenire e rimuovere i conflitti di interesse tra gli operatori del
settore delle scommesse e i club sportivi, le squadre e gli atleti in attività;
§
si valuti
l'opportunità di estendere a livello europeo il divieto assoluto, già vigente
in alcuni Stati membri, tra i quali l'Italia, di partecipazione ai giochi
d'azzardo on-line da parte dei minori;
§
in tale
ambito, si elaborino norme comuni in materia di pubblicità dei giochi d'azzardo
- televisiva o a mezzo stampa scritta, ivi inclusi comunicazioni e promozioni
commerciali on-line e forme di marketing diretto - che tutelino
sufficientemente i minori e i consumatori vulnerabili;
§
siano
rafforzati i meccanismi di identificazione dei titolari dei conti di gioco.
Per quanto riguarda il diritto derivato dell’UE, sebbene i
servizi di gioco d'azzardo non siano disciplinati da una normativa settoriale
specifica e siano stati esclusi da una serie di atti legislativi orizzontali
quali la direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno, in quanto essi
non rappresentano un normale servizio (come peraltro ribadito in diverse
occasioni dalla Corte di giustizia europea) o la direttiva 2000/31/CE sul
commercio elettronico, essi sono comunque soggetti alle disposizioni delle
direttive 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi, 2005/29/CE sulle
pratiche commerciali sleali, 1997/7/CE sulla vendita a distanza, 2005/60/CE sul
riciclaggio di proventi di attività criminose, 1995/46/CE sulla protezione dei
dati personali, 2002/58/CE sulla tutela della vita privata nel settore delle
comunicazioni elettroniche, e 2006/112/CE sul sistema comune d'imposta sul
valore aggiunto.
Nel corso degli anni le modalità
di partecipazione ai bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni per le
diverse tipologie di gioco sono state più volte oggetto di giudizio sia in sede
comunitaria, che da parte delle autorità nazionali (Consiglio di Stato e TAR).
Da ultimo il D.L. n. 16 del 2012, all’articolo 10, comma 9-octies, recependo la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione
europea del 16 febbraio 2012 nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10 (cd
“Costa-Cifone”) dispone che, in considerazione della scadenza (30 giugno 2012)
di circa 1.000 concessioni ippiche e/o sportive, l'Amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato bandisca con immediatezza, comunque non oltre il 31 luglio
2012, una gara per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse su eventi
sportivi, anche ippici nel rispetto, almeno, dei seguenti criteri:
a)
possibilità
di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di
gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede
legale ove operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo
rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell'ordinamento di tale Stato e che
siano altresì in possesso dei requisiti di onorabilità, affidabilità ed
economico-patrimoniale individuati dall'AAMS;
b)
attribuzione
di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016, per la raccolta, esclusivamente
in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi
presso agenzie, fino a un numero massimo di 2.000, aventi come attività
esclusiva la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici, senza vincolo
di distanze minime fra loro ovvero rispetto ad altri punti di raccolta, già
attivi, di identiche scommesse;
c)
previsione,
quale componente del prezzo, di una base d'asta di 11.000 euro per ciascuna
agenzia;
d)
sottoscrizione
di una convenzione di concessione di contenuto coerente con ogni altro
principio stabilito dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione
europea del 16 febbraio 2012, nonché con le compatibili disposizioni nazionali
vigenti in materia di giochi pubblici;
e)
possibilità
di esercizio delle agenzie in un qualunque comune o provincia, senza limiti
numerici su base territoriale ovvero condizioni di favore rispetto a
concessionari già abilitati alla raccolta di identiche scommesse o che possono
comunque risultare di favore per tali ultimi concessionari;
f)
rilascio di
garanzie fideiussorie.
Ludopatia
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 70, primo periodo, ha previsto che con decreto interdirigenziale dell’AAMS e del Ministero della salute fossero adottate, d'intesa con la Conferenza unificata, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, linee d'azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo. Lo schema di decreto, trasmesso nel mese di giugno 2011, è tuttora all’esame della Conferenza unificata. La legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 391, ha prorogato il termine per l’emanazione del decreto al 30 giugno 2013.
Successivamente è intervenuto l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011, il quale, al comma 23, ha disposto che, ai fini del miglior conseguimento degli obiettivi di tutela del giocatore e di contrasto ai fenomeni di ludopatia connessi alle attività di gioco, l’AAMS, nell'ambito degli ordinari stanziamenti del proprio bilancio, avvii, in via sperimentale, anche avvalendosi delle strutture operative del partner tecnologico, procedure di analisi e verifica dei comportamenti di gioco volti ad introdurre misure di prevenzione dei fenomeni ludopatici.
L’articolo 7, comma 5-bis, del D.L. n. 158 del 2012 reca una disposizione di indirizzo, ai sensi della quale il Ministero dell’istruzione segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del gioco responsabile affinché gli istituti, nell’ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all’abuso o all’errata percezione del medesimo.
Inoltre l’articolo 7, comma 5, del D.L. n. 158 del 2012 prevede l’obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita):
§ sulle schedine e tagliandi dei giochi;
§ sugli apparecchi di gioco (c.d. AWP – Amusement with prizes), cioè quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico;
§ nelle aree e nelle sale con videoterminali (c.d. VLT – Video lottery terminal);
§ nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi;
§ nei siti internet destinati all’offerta di giochi con vincite in denaro.
In caso di inosservanza
di tali disposizioni è prevista la sanzione
amministrativa di 50.000 euro nei confronti del
concessionario degli apparecchi di gioco, del titolare della sala o del punto
di raccolta dei giochi (relativamente agli apparecchi AWP e VLT), del titolare
del punto vendita delle scommesse, se diverso dal concessionario (comma 6).
Per quanto riguarda i giochi on line, si ricorda che la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) all’articolo 24, comma 17, prevede che i concessionari adottino ovvero mettano a disposizione strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario (lettera e). Inoltre la successiva lettera h) attraverso il c.d. “conto di gioco” crea una sorta di autolimitazione obbligatoria per il giocatore, in quanto al momento dell’apertura del conto stabilisce i propri limiti di spesa settimanale o mensile, con conseguente inibizione dell’accesso al sistema in caso di raggiungimento della soglia predefinita. Per i giocatori è prevista anche la facoltà di auto-esclusione dal sito del concessionario, con conseguente impedimento ad un nuovo accesso. Peraltro, attraverso l’anagrafe dei conti di gioco, viene monitorata l’attività di ciascun giocatore, in quanto all’apertura del conto il giocate deve fornire il proprio codice fiscale (che viene incrociato con la banca dati SOGEI al fine di verificarne l’effettiva esistenza) e il sistema di controllo permette di tracciare e memorizzare in modo nominativo tutte le transazioni di gioco dei giocatori italiani.
Si segnala che gli aspetti
sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo sono stati oggetto di
una indagine conoscitiva svolta
dalla XII Commissione Affari sociali
della Camera dei deputati nella XVI
Legislatura.
In occasione dell’audizione in Commissione Affari sociali della Camera nell'ambito di tale indagine conoscitiva la Conferenza delle Regioni ha approvato una relazione sul gioco d'azzardo patologico. Nel documento le Regioni fanno notare come non esiste un quadro normativo di riferimento che definisca il gioco d'azzardo patologico come un problema di salute e ne stabilisca la responsabilità della cura. Di conseguenza le iniziative di prevenzione, cura e assistenza alle persone con problemi di gioco d'azzardo patologico (Gap) e dei loro familiari, non essendo inserite nei Lea, sono state lasciate alla sensibilità di alcuni amministratori regionali e di professionisti del settore, sia appartenenti alle Aziende Sanitarie Locali che al privato sociale.
Al riguardo si segnala che l'articolo 5, comma 2, del D.L. n. 158 del 2012 ha previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro.
La
tutela dei minori
Alcune disposizioni in tema di tutela dei minori erano originariamente contenute all’articolo 110, commi 8 e 8-bis, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773 del 1931).
Dopo aver ricompreso l'esclusione dall'accesso al gioco nei confronti dei minori in diverse disposizioni legislative in cui si delineavano le finalità dell’intervento, oppure si indicavano gli obblighi ai quali si sarebbe dovuto sottoporre il concessionario, con l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 il legislatore, oltre a ribadire al comma 20 il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha provveduto - ai successivi commi 21 e 22 - ad inasprire le sanzioni. In particolare:
§ il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di 18 anni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro (in precedenza da 500 a 1.000 euro);
§ indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista dal presente comma è punita con la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da 10 fino a 30 giorni (in precedenza fino a 15 giorni); il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all'interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento;
§ per i soggetti che nel corso di un triennio commettono tre violazioni, anche non continuative, è disposta la revoca di qualunque autorizzazione o concessione amministrativa;
§ in caso di utilizzo degli apparecchi e dei congegni da gioco (slot machine, videolottery), il trasgressore è altresì sospeso, per un periodo da uno a tre mesi, dall'elenco dei soggetti incaricati della raccolta delle giocate, e conseguentemente i concessionari per la gestione della rete telematica non possono intrattenere, neanche indirettamente, rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con il trasgressore.
Da ultimo, l’articolo 7, comma 8, del D.L. n. 158 del 2012 prevede il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi VLT (video lottery) e nei punti vendita in cui si esercita – quale attività principale – quella di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi. Il titolare dell'esercizio commerciale, del locale ovvero del punto di offerta del gioco con vincite in denaro è tenuto ad identificare i minori di età mediante richiesta di esibizione di un documento di identità, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta.
Si segnala, infine, che l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in collaborazione con la Polizia di Stato, ha sviluppato il progetto educativo “Gioco on-line: rischi e pericoli” al fine di porre l’accento sul divieto per i minori di partecipare a tutte quelle forme di gioco che prevedono vincite in denaro, e di sensibilizzare circa i rischi e i pericoli che derivano da un accesso irresponsabile o improprio al gioco on line.
b) riserva alla legge ordinaria o agli atti aventi forza di legge ordinaria, nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione, delle materie riguardanti le fattispecie imponibili, i soggetti passivi e la misura dell’imposta;
c) disciplina specifica dei singoli giochi, definizione delle condizioni generali di gioco e delle relative regole tecniche, anche d’infrastruttura, con provvedimenti direttoriali generali;
I principi e criteri direttivi indicati alle lettere b) e c) sono volti a definire le fonti di regolazione dei diversi aspetti legati all’imposizione, nonché alla disciplina dei singoli giochi, per i quali si dispone una riserva di legge esplicita alla legge ordinaria o agli atti aventi forza di legge ordinaria (lettera b), mentre i provvedimenti del direttore generale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli recheranno la specifica disciplina dei singoli giochi, la definizione delle condizioni generali di gioco e delle relative regole tecniche, anche di infrastruttura (lettera c).
Con l’evoluzione delle tipologie di gioco e le nuove modalità di svolgimento dei giochi (ad esempio, il gioco on line) che si sono manifestate negli ultimi anni, il legislatore ha in alcuni casi disciplinato in maniera dettagliata direttamente in norma primaria il nuovo gioco introdotto, in altri casi ha invece sommariamente definito il nuovo gioco, delegando ad un provvedimento dell’AAMS la disciplina specifica.
La disposizione in esame ha lo scopo soprattutto di razionalizzare la misura dell’imposta e le fattispecie imponibili tra i vari giochi, che spesso risultano così diverse tra essi sia per quanto riguarda l’aliquota del prelievo, sia per quanto riguarda la base imponibile. Al riguardo si vedano i box relativi alla successiva lettera d).
d) riordino delle disposizioni vigenti in materia di disciplina del prelievo erariale sui singoli giochi, distinguendo espressamente quello di natura tributaria in funzione delle diverse tipologie di gioco pubblico, nonché in materia di disciplina relativa alle corse ippiche; la pdl 282 (Causi) prevede inoltre il riordino della disciplina relativa agli obblighi di rendicontazione;
Prelievo erariale unico
La disposizione richiama la disciplina
del prelievo erariale sui singoli giochi, volendo riferirsi a tutte le entrate
affluenti al bilancio dello Stato dal comparto dei giochi. Infatti il prelievo erariale – così definito - è
previsto per alcune tipologie di gioco, quali il gioco del Bingo, mentre per
gli apparecchi da gioco esiste il prelievo
erariale unico (PREU). Per talune scommesse dell’ippica nazionale,
l’articolo 1, comma 498, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004)
dispone che il 6% della raccolta sia ripartito come entrate erariali. Per le lotterie
(differite ed istantanee) viene destinata all’erario la quota residuale tra il valore dei biglietti venduti, l’aggio ai
rivenditori, il compenso al concessionario, il pay out, il compenso AAMS e le spese di gestione. Analogo differenziale
è previsto per il gioco del lotto (c.d. differenziale per il banco), in quanto,
la raccolta viene contabilizzata quale entrata lorda del bilancio dello Stato:
considerando poi per il pagamento delle vincite contabilizzato nella spesa del
bilancio, si determina l’utile erariale finale. Tale utile, tuttavia varia nel
tempo, in quanto ad un aumento della raccolta non corrisponde automaticamente
un aumento dell’utile erariale poiché potrebbero aumentare anche le vincite;
analogamente ad una diminuzione della raccolta l’utile erariale potrebbe
aumentare in caso di diminuzione delle vincite.
Apparecchi
da gioco
L’articolo 39 del D.L. n. 269
del 2003, al comma 13 ha stabilito che agli apparecchi e congegni di cui all'articolo 110, comma 6, del TULPS (R.D.
n. 773/1931) collegati in rete, si applichi un prelievo erariale unico fissato (originariamente) in misura del
13,5% delle somme giocate, dovuto dal soggetto al quale l'Amministrazione
autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) ha rilasciato il nulla osta.
Successivamente
l’articolo 30-bis del D.L. n. 185 del
2008 ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il prelievo erariale
unico di cui all'articolo 39, comma 13, del D.L. n. 269/2003 fosse determinato
applicando, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, determinate aliquote per scaglioni riferiti alla
raccolta delle somme giocate, varianti
dal 12,6% all’8%:
Da ultimo,
con il decreto direttoriale AAMS 12
ottobre 2011 (G.U. n. 265 del 14 novembre 2011), in attuazione di quanto
disposto dall’articolo 2, comma 3, del D.L. n. 138 del 2011, sono stati
individuati gli interventi in materia di giochi pubblici utili per assicurare
le maggiori entrate previste dal citato articolo 2, comma 3, rinviando a
successivi provvedimenti da adottare entro il 31 dicembre 2012 le disposizioni
di dettaglio per la concreta applicazione delle disposizioni contenute nel
decreto direttoriale stesso relativamente al gioco del Lotto (art. 2), a nuove
modalità dei giochi numerici a totalizzatore nazionale (art. 3).
L’articolo 5 del decreto direttoriale
dispone la variazione della misura del
prelievo erariale unico (PREU).
In
particolare la misura del prelievo sugli apparecchi di cui all'articolo 110,
comma 6, lettera b), del R.D. n. 773
del 1931 (c.d. videolottery – VLT),
è variata, ai sensi del comma 1, come segue:
§
a decorrere dal 1° gennaio 2012 si applica un
prelievo del 4% sull'ammontare delle
somme giocate e una addizionale pari al
6% sulla parte della vincita eccedente
i 500 euro;
§
a decorrere dal 1° gennaio 2013, ferma
l'addizionale sulle vincite eccedenti l'importo di 500 euro, il prelievo
sull'ammontare delle somme giocate è del 4,5%.
La misura
del PREU sugli apparecchi di cui
all'articolo 110, comma 6, lettera a),
del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. newslot), viene variata, ai sensi
del comma 2, come segue:
§
a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre
2012, al fine di consentire i necessari adeguamenti tecnologici dei
suddetti apparecchi, necessari per dare attuazione alla variazione della quota
destinata alle vincite di cui alla successiva lettera b), si applica un prelievo dell'11,80% sull'ammontare delle somme giocate;
§
a decorrere dal 1° gennaio 2013 la percentuale
destinata alle vincite (pay-out) è
fissata in misura non inferiore al 74% e, per gli anni 2013 e 2014, si applica
un prelievo del 12,70%
sull'ammontare delle somme giocate;
§
a decorrere
dal 1° gennaio 2015, il prelievo
sulla raccolta di gioco è fissato nella misura del 13% delle somme giocate.
Bingo
Il decreto del Ministro delle
finanze 31 gennaio 2000, n. 29, determinava l’ammontare del prelievo erariale
sul gioco del Bingo nella misura del 20% delle somme giocate. Al fine di
rilanciare il gioco attraverso un aumento della quota destinata al montepremi,
il D.L. n. 39 del 2009, art. 12, lett. p-bis),
disponeva, in via sperimentale, una riduzione della quota destinata al prelievo
erariale all’11% della raccolta. Da
ultimo, l’articolo 10, comma 9-septies,
del D.L. n. 16 del 2012 ha posto a regime tale variazione.
Nella successiva tavola sono posti a raffronto, per ciascuna tipologia di gioco, la base imponibile e le diverse aliquote di quota destinata all’erario:
GIOCHI |
BASE IMPONIBILE |
ALIQUOTA |
||
|
|
|
||
LOTTO |
|
|
||
Lotto tradizionale |
|
"differenziale
per il banco" |
||
10 e Lotto |
|
"differenziale
per il banco" |
||
GIOCHI NUMERICI A
TOT. NAZ |
|
|
||
Superenalotto |
Raccolta |
53,62% |
||
Superstar |
Raccolta |
38,27% |
||
Vinci per la vita – Win for Life |
Raccolta |
23,27% |
||
LOTTERIE |
|
|
||
Lotterie differite |
|
valore
residuale |
||
Lotterie istantanee |
|
valore
residuale |
||
GIOCHI A BASE
SPORTIVA |
|
|
||
Concorsi pronostici |
ammontare della somma giocata al netto di diritti fissi
e compensi ai ricevitori |
33,84% |
||
Scommesse a quota fissa |
ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa |
da
3% a 2% fino a 7 eventi; da 8% a 5,50% oltre 7 eventi |
||
Scommesse a totalizzatore |
ammontare della somma giocata
per ciascuna scommessa |
20,00% |
||
GIOCHI A BASE
IPPICA |
|
|
||
Ippica Nazionale |
ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa |
6,00% |
||
Scommesse ippiche |
quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa |
15,70% |
||
V7 |
posta di gioco |
15,00% |
||
BINGO |
|
|
||
Bingo |
prezzo di vendita delle cartelle |
11,00% |
||
APPARECCHI |
|
|
||
Apparecchi comma 6a (AWP) |
somme giocate |
2012: 11,80% |
||
Apparecchi comma 6b (VLT) |
importo totale della raccolta di gioco costituita
dalle somme puntate per attivare ogni singola partita |
2012: 4,00%
|
||
Apparecchi comma 7 |
imponibile medio annuo forfetario |
8,00% |
||
GIOCHI DI ABILITA'
A DISTANZA (SKILL GAMES) |
|
|
||
Giochi di abilità a distanza |
somma giocata |
3,00% |
||
GIOCHI DI CARTE E
GIOCHI DI SORTE A QUOTA FISSA |
|
|
||
Poker cash |
quota raccolta non restituita al giocatore (margine
lordo del concessionario) |
20,00% |
||
|
|
L’andamento dei singoli giochi
L’evoluzione del mercato dei giochi di cui si è detto ha in specie comportato, nell’ultimo biennio, lo spostamento della domanda verso giochi, di recente introduzione, caratterizzati da vincite immediate e frequenti nonché da più alti “pay out”, come le “VLT” o il “10&lotto”, a discapito dei giochi con caratteristiche opposte, come il Superenalotto ed il gioco del Lotto “tradizionale”.
In particolare, nel 2012 (ma il trend è costante anche nei primi mesi del 2013), si è verificata una rilevante crescita della raccolta relativa alle VLT a scapito di quella relativa alle new slot (AWP) e, per la prima volta, il “sorpasso” della raccolta complessiva mediante VLT e AWP su quella dei giochi tradizionali.
Più in dettaglio, il comparto “apparecchi da divertimento ed intrattenimento” ha prodotto, nel 2012, una raccolta (al lordo delle vincite restituite) pari a 50 miliardi di euro, in aumento di oltre 5 miliardi rispetto al 2011 (44,9).
Il relativo gettito erariale è stato pari a 4,1 miliardi di euro, in aumento di poco rispetto a quello del 2011 (3,9).
Quindi, rispetto all’anno precedente, nel 2012 la raccolta è aumentata dell’11,5%, mentre il gettito del 5,5%.
Tale apparente discrasia deriva dal fatto che nel 2012 l’aumento della raccolta è da attribuire esclusivamente alle VLT, per le quali il PREU era poco più di un terzo di quello applicabile alle AWP.
La raccolta di gioco attraverso tali ultimi apparecchi ha segnato una diminuzione di oltre l’8% (raccolta 2011: circa 30 mld; raccolta 2012: circa 27,4 mld).
L’aumento della raccolta derivante dalle VLT è attribuibile soprattutto alla circostanza che, rispetto al numero di apparecchi attivi nel 2011 (31.757), nel 2012 hanno funzionato circa 46.679 apparecchi, pari ad un aumento del 46%.
La diminuzione della raccolta derivante da AWP può essere attribuita:
a) alla trasmigrazione di parte dei giocatori dalle AWP alle VLT;
b) all’offerta illegale di gioco mediante apparecchi privi di concessione e del collegamento alla rete telematica dell’Amministrazione ovvero di apparecchi manomessi;
c) alla crisi economica e finanziaria che ha ridotto il reddito delle famiglie destinato ad attività di gioco (a tale ultimo riguardo, è bene osservare che l’aumento della raccolta da VLT non costituisce un elemento di contraddittorietà. Infatti, in relazione alla capacità di spesa delle famiglie italiane, l’elemento di riferimento utile non è dato dalla raccolta ma dalla c.d. “spesa”, cioè la differenza tra le somme giocate e le somme vinte);
d) alle azioni messe in campo dagli enti locali, mediante leggi regionali o provinciali, ordinanze dei sindaci, che hanno:
- limitato o escluso la presenza di apparecchi da determinati luoghi sensibili (vicinanza alle scuole, chiese, ecc.);
- ridotto gli orari di apertura degli esercizi;
- limitato il rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.
Tali azioni, ispirate dal fenomeno della ludopatia e/o finalizzate alla tutela dei minori, non coordinate con l’attività dello Stato centrale, creano uno stato di incertezza normativa ed operativa che finisce con il contribuire in modo decisivo alla riduzione della raccolta e del gettito.
Nel 2012, inoltre, si è registrata una significativa crescita dei nuovi giochi online (poker e casinò) in termini di raccolta, alla quale tuttavia corrisponde un incremento assai contenuto del gettito erariale, trattandosi di giochi ad altissimo pay out.
Il prospetto che segue dà conto del complessivo andamento della raccolta, delle vincite, della spesa effettiva (differenza tra raccolta e vincite) e delle entrate erariali nel 2012, raffrontate a quelle dell’anno precedente. Dati in miliardi di euro |
|||||||||
|
Raccolta |
Vincite |
Spese |
Entrate erariali |
|
||||
|
2011 |
2012 |
2011 |
2012 |
2011 |
2012 |
2011 |
2012 |
|
AWP (Slot) |
30,0 |
27,4 |
22,7 |
20,7 |
7,2 |
6,7 |
3,6 |
3,2 |
|
VLT (videolottery) |
14,9 |
21,3 |
13,6 |
18,9 |
1,2 |
2,5 |
0,3 |
0,9 |
|
Lotterie e gratta e vinci |
10,2 |
9,8 |
7,4 |
7,0 |
2,8 |
2,8 |
1,3 |
1.6 |
|
Lotto |
6,8 |
6,2 |
4,0 |
4,1 |
2,8 |
2,1 |
1,7 |
1,12,4 |
|
SuperEnalotto |
2,4 |
1,8 |
0,9 |
0,7 |
1,5 |
1,0 |
1,1 |
0,8 |
|
Bingo |
1,8 |
1,7 |
1,3 |
1,2 |
0,5 |
0,5 |
0,2 |
0,2 |
|
Poker e casino on
line |
8,4 |
14,0 |
8,0 |
13,5 |
0,5 |
0,5 |
0,1 |
0,1 |
|
Scommesse sportive |
3,9 |
4,0 |
3,0 |
3,3 |
0,9 |
0,7 |
0,2 |
0,2 |
|
Scommesse ippica |
1,4 |
1,0 |
1,0 |
0,7 |
0,4 |
0,3 |
0,1 |
0,05 |
|
TOTALE |
79,8 |
87,1 |
62,1 |
70,0 |
17,7 |
17,1 |
8,6 |
8,1 |
|
La sola pdl 282 (Causi) (lettera e)) prevede la definizione delle competenze in materia di orari di apertura e chiusura degli esercizi autorizzati all'offerta di giochi pubblici con vincita in denaro, per le tipologie di controlli da effettuare nei medesimi esercizi, al fine di garantire regole trasparenti ed univoche da attuare in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale, e per la salvaguardia dei profili di pianificazione urbanistica e la valutazione dell'impatto sociale propri delle amministrazioni comunali;
e) rivisitazione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate;
La determinazione dell’aggio e del compenso verso il concessionario del gioco e gli altri operatori (venditore finale) varia a seconda della tipologia del gioco.
La legge istitutiva della tipologia di giochi provvede a definire la tipologia della corresponsione dell’aggio e del compenso, che può essere in misura fissa o variabile rispetto all’ammontare della raccolta, rinviando alla loro determinazione alla convenzione di assegnazione della concessione del gioco dopo aver espletato la relativa gara.
Ad esempio nel gioco del lotto spetta al rivenditore finale un aggio pari all’8 per cento della raccolta complessiva delle giocate effettuate nella ricevitoria, mentre per il concessionario viene determinato in funziona della raccolta.
Nelle lotterie ad estrazione differita (Lotteria Italia) al rivenditore finale spetta il 10 per cento dei biglietti da lui venduti, mentre la quota destinata al concessionario viene definita annualmente con la convenzione.
Nelle lotterie istantanee e on line al rivenditore finale spetta una quota pari all’8 per cento delle giocate, mentre al concessionario va una quota pari al 3,90 per cento.
L’articolo 17 dello
schema di convenzione relativo all’esercizio dei giochi pubblici definisce
il “Compenso e i corrispettivi del concessionario”.
A fronte degli adempimenti connessi all’affidamento delle attività e delle funzioni previste dalla concessione, per ciascuno dei giochi pubblici, il concessionario percepisce, a decorrere dall’avvio della raccolta, un compenso pari a:
a) per le scommesse sportive a quota fissa, le somme ottenute detraendo dal movimento netto l’imposta unica di cui al D.Lgs. n. 504/1998, nonché l’importo delle vincite;
b) per le scommesse sportive a totalizzatore, un compenso pari all’11,45% del movimento netto;
c) per le scommesse ippiche a totalizzatore, l’importo risultante dall’applicazione delle seguenti aliquote sulle quote di prelievo sull’introito lordo annuo delle medesime scommesse, determinate ai sensi dell’articolo 12, comma 1, del DPR n. 169/1998:
• 42,50% fino a euro 4.131.655,19 di introito lordo;
• 34,20% da euro 4.131.655,20 a euro 8.263.310,38 di introito lordo;
• 30,40% oltre euro 8.263.310,38 di introito lordo;
d) per le scommesse ippiche a quota fissa, l’importo determinato nel modo seguente: su ciascuna scommessa viene applicata la percentuale di prelievo lordo, stabilita sulla base della tipologia di scommessa effettuata dal giocatore e del numero di cavalli partenti; dal prelievo lordo così determinato è detratta l’imposta unica, di cui al D.Lgs. n. 504/1998 ed è applicata la percentuale di prelievo per l’UNIRE di cui al decreto interministeriale 15 febbraio 1999; l’importo residuale, detratti gli importi delle vincite, costituisce il compenso del concessionario;
e) per i concorsi a pronostici sportivi e ippici, un compenso pari all’11,45% del movimento netto;
f) per i giochi di ippica nazionale, un compenso rispettivamente pari all’11,45% del movimento netto, per le formule di scommessa denominate accoppiata, tris, quarté e quinté, ed al 9% del movimento netto per la formula di scommessa denominata vincente;
g) per i giochi di abilità a distanza le somme ottenute detraendo dal movimento netto l’imposta unica nella misura del 3%, nonché il montepremi spettante al giocatore stabilito almeno pari all’80% del movimento netto medesimo, al netto dell’eventuale quota parte destinata al jackpot;
h) per il Bingo, di cui al decreto del Ministro delle finanze del 31 gennaio 2000, n. 29, le somme ottenute detraendo dal movimento netto il prelievo fiscale ed il compenso del controllore centralizzato del gioco, pari rispettivamente all’11% ed all’1%, nonché il montepremi spettante al giocatore stabilito dal concessionario nella misura almeno pari al 70%.
f) anche al fine di contrastare più efficacemente il gioco illegale e le infiltrazioni delle organizzazioni criminali nell’esercizio dei giochi pubblici, rafforzamento della disciplina in materia di trasparenza e di requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti che, direttamente o indirettamente, controllino o partecipino al capitale delle società concessionarie dei giochi pubblici, nonché degli esponenti aziendali, prevedendo altresì specifiche cause di decadenza dalle concessioni o cause di esclusione dalle gare per il rilascio delle concessioni;
L'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011, al comma 24, novellando l'articolo 2 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, ha esteso l’ambito dei soggetti nei cui confronti devono essere effettuati gli accertamenti antimafia anche con riferimento alla materia dei giochi pubblici, prevedendo che, nel caso di società di capitali concessionarie nel settore dei giochi pubblici, la documentazione concernente i “requisiti antimafia” prevista dal regolamento stesso, debba essere riferita anche ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 2 per cento, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Nell'ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre società di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dell'organo di amministrazione della società socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale società, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Il successivo comma 25 non consente la partecipazione a gare né il rilascio o rinnovo di concessioni in materia di giochi pubblici al soggetto il cui titolare o il rappresentante legale risulti condannato anche con sentenza non definitiva, ovvero imputato o indagato per reati di associazione a delinquere (art. 416 c.p.), mafia (art. 416-bis c.p.), ricettazione (art. 648 c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.) o impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.) ovvero, se commesso all’estero, per un delitto di criminalità organizzata o di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite.
Il medesimo divieto si applica anche al soggetto partecipato in misura superiore al 2 per cento del capitale o patrimonio da persone fisiche condannate, imputate o indagate, per uno dei predetti delitti.
A tal fine il comma 26 stabilisce che i soggetti, costituiti in forma di società di capitali, che partecipano a gare o a procedure ad evidenza pubblica nel settore dei giochi pubblici, devono dichiarare il nominativo dei soggetti che detengono una partecipazione superiore al 2 per cento; in caso di dichiarazione mendace è disposta l’esclusione dalla gara in qualsiasi momento della procedura. La revoca è comunque disposta qualora nel corso della concessione vengono meno i requisiti previsti. Per le concessioni in corso tale dichiarazione è richiesta in sede di rinnovo.
Sono definiti i requisiti per la conduzione di esercizi di gioco pubblico, escludendo dalla possibilità di essere titolari o conduttori di esercizi commerciali, locali o altri spazi in cui sia offerto gioco pubblico le persone nei cui confronti sussistano le condizioni ostative di cui all'articolo 10 della legge n. 575 del 1965 (Legge antimafia) e le società o imprese sulle quali penda la sussistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.
g) riordino e implementazione delle disposizioni vigenti relative ai controlli e all’accertamento dei tributi gravanti sui giochi, al fine di rafforzare l’efficacia preventiva e repressiva nei confronti dell’evasione e delle altre violazioni in materia, ivi comprese quelle concernenti il rapporto concessorio;
Programmi
di controllo
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 81 dispone, al fine di contrastare il gioco illecito e l’evasione fiscale, un programma straordinario di almeno 30.000 controlli nel 2011 in materia di giochi pubblici da parte dell’A.A.M.S., avvalendosi della collaborazione della SIAE e della Guardia di finanza.
Il D.L. n. 158 del 2012, all’articolo 7, comma 9, prevede un piano annuale di controlli, predisposto da AAMS, d’intesa con la SIAE, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza di almeno 5.000 verifiche specificamente destinate al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi commerciali in cui sono presenti apparecchi di gioco AWP o attività di scommessa su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, collocati in prossimità di istituti scolastici primari e secondari, di strutture sanitarie ed ospedaliere, di luoghi di culto. Si prevede, inoltre, la possibilità di segnalazione all’AAMS da parte degli agenti di Polizia locale di violazioni in materia di giochi con vincite in denaro constatate nel corso della loro attività ordinaria.
Nella attività di controllo e di contrasto al gioco illegale, nel 2012 l’AAMS ha effettuato verifiche su 27.376 esercizi, ravvisato 530 violazioni penali, denunciando all’Autorità giudiziaria 528 persone, effettuando 281 sequestri penali, nonché ha accertato 2.972 violazioni amministrative.
Da tale attività di controllo è stata accertata maggiore imposta per oltre 44 milioni e sono state applicate sanzioni per circa 42 milioni. (Fonte: Documentazione depositata dal Direttore generale delle dogane e dei monopoli nel corso dell’audizione del 6 giugno 2013 presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati).
h) riordino e implementazione del vigente sistema sanzionatorio, penale e amministrativo, al fine di aumentarne l’efficacia dissuasiva, prevedendo sanzioni aggravate per le violazioni concernenti il gioco on-line;
Nuove sanzioni
A mero titolo esemplificativo di quanto possa essere variegata e stratificata la materia delle sanzioni relative al gioco, e la conseguente necessità di definire una sorta di testo unico in materia, si illustrano di seguito le fattispecie sanzionatorie, sia penali che amministrative, introdotte negli ultimi anni.
L’articolo 24 della legge n. 88 del 2009, al comma 23, integrando l’articolo 4, comma 1, della legge n. 401 del 1989 punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza, senza la prescritta concessione, qualsiasi gioco istituito o disciplinato dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Chiunque, ancorché titolare della prescritta concessione, organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge è punito con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.
L’articolo 15-bis del D.L. n. 78 del 2009, al comma 2, modificando il comma 9, lettera c), dell’articolo 110 del R.D. n. 773 del 1931, determina l’ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria - nei confronti di chiunque sul territorio nazionale distribuisce od installa o comunque consente l'uso in luoghi pubblici od aperti al pubblico od in circoli ed associazioni di apparecchi o congegni da gioco non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate - in 4.000 euro per ciascun apparecchio, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 1.000 euro ad un massimo di 6.000 euro per ciascun apparecchio precedentemente prevista. La stessa sanzione si applica nei confronti di chiunque, consentendo l'uso di apparecchi e congegni conformi alle caratteristiche e prescrizioni indicate, corrisponde a fronte delle vincite premi in danaro o di altra specie, diversi da quelli ammessi.
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 65, modifica l’articolo 5 del D.Lgs. n. 504 del 1998 relativo alle sanzioni relative all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.
Il particolare il comma 1 del nuovo articolo 5, prevede, nel caso in cui il soggetto passivo sottrae, in qualsiasi modo, base imponibile all'imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse, la sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento della maggior imposta e se la base imponibile sottratta è superiore a 50.000 euro, anche la chiusura dell'esercizio da uno a sei mesi.
Il comma 2 punisce con la sanzione amministrativa pari al 30% degli importi non pagati nel termine prescritto il soggetto passivo che, nell'ambito degli adempimenti previsti dal D.P.R. n. 66 del 2002 (imposta sui concorsi pronostici e sulle scommesse), omette, in tutto o in parte, ovvero ritarda il pagamento dell'imposta dovuta.
l comma 3 assoggetta alla sanzione amministrativa da 516 a 2.000 euro il soggetto che non presenta o presenta con indicazioni inesatte la dichiarazione d'inizio di attività.
Il comma 4 persegue le giocate simulate, prevedendo l’applicazione di una sanzione amministrativa pari alla vincita conseguente alla giocata simulata oltre alla chiusura dell'esercizio da tre a sei mesi. In caso di recidiva è disposta la chiusura dell'esercizio da sei mesi ad un anno e la revoca della concessione qualora, dopo l'applicazione di tale sanzione, sia accertata una ulteriore violazione.
Il comma 5 estende i poteri sanzionatori dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, prevedendo l’applicazione degli articoli 9 (Violazioni degli obblighi relativi alla contabilità) e 11 (Altre violazioni in materia di imposte dirette e di IVA) del D.Lgs. n. 471 del 1997 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi).
Il comma 6 dispone circa l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie in materia di concorsi pronostici e scommesse, prevedendo l’applicazione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 472 del 1997 e dell’articolo 7, del D.L. n. 269 del 2003 (Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie). Il successivo comma 7, qualora la violazione non sia stata già oggetto di comunicazione di omesso versamento e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di contestazione, stabilisce la riduzione delle sanzioni (un dodicesimo del minimo) in caso di pagamento entro 30 giorni a seguito del mancato pagamento del tributo (ravvedimento operoso) o (un decimo del minimo) qualora la regolarizzazione delle violazioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro un anno dalla violazione.
Infine il comma 8 dispone che il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno.
Il successivo comma 72, sostituendo il comma 5-bis dell'articolo 38 della legge n. 388 del 2000, dispone la decadenza automatica del nulla osta quando gli apparecchi e congegni risultino temporaneamente non collegati alla rete telematica, in considerazione dell'apposizione degli stessi in stato di magazzino, ovvero, di manutenzione straordinaria, per un periodo superiore a 90 giorni, anche non continuativi, in luogo dei 60 giorni precedentemente previsti.
Il D.L. n. 98 del 2011, all’articolo 24, comma 17, prevede che, nelle ipotesi in cui non sia leggibile il contatore degli apparecchi da divertimento, in quanto i dati non siano stati memorizzati, non siano leggibili, risultino memorizzati in modo non corretto o siano stati alterati, l'importo forfetario giornaliero, previsto dall’articolo 39-quater, comma 3, secondo periodo, del D.L. n. 269 del 2003, e definito con decreto direttoriale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (280 euro per apparecchio) sia raddoppiato.
Il successivo comma 18, novellando l’articolo 39-quinquies del D.L. n. 269 del 2003, provvede a raddoppiare le sanzioni previste per gli apparecchi che erogano vincite in denaro privi del necessario nulla osta e nelle ipotesi di apparecchi e congegni muniti del nulla osta il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo.
Tali sanzioni – precedentemente indicate in un importo variabile dal 120 al 240 per cento del PREU dovuto, con un minimo di 1.000 euro - vengono elevate ad un importo che va dal 240 al 480 per cento dell'ammontare del PREU dovuto, con un importo minimo di 5.000 euro.
L’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 ha provveduto - ai commi 21 e 22 - ad inasprire le sanzioni. In particolare:
§ il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di 18 anni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro (in precedenza da 500 a 1.000 euro);
§ indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista dal presente comma è punita con la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da 10 fino a 30 giorni (in precedenza fino a 15 giorni); il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all'interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento;
§ per i soggetti che nel corso di un triennio commettono tre violazioni, anche non continuative, è disposta la revoca di qualunque autorizzazione o concessione amministrativa;
§ in caso di utilizzo degli apparecchi e dei congegni da gioco (slot machine, videolottery), il trasgressore è altresì sospeso, per un periodo da uno a tre mesi, dall'elenco dei soggetti incaricati della raccolta delle giocate, e conseguentemente i concessionari per la gestione della rete telematica non possono intrattenere, neanche indirettamente, rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con il trasgressore.
Il comma 9-quinquies dell’articolo 10 del D.L. n. 16 del 2012, novellando l’articolo 110 del R.D. n. 773/1931, comma 9, lettera e), dispone che nel caso in cui la reiterazione di una violazione delle norme in materia di installazione di apparecchi da gioco sia commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica, la sanzione della preclusione alla concessione di nuove autorizzazioni per cinque anni si applica alla persona giuridica o all'ente.
Il D.L. n. 158 del 2012, all’articolo 7, comma 6, prevede la sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro per il committente del messaggio pubblicitario e per il proprietario del mezzo di comunicazione in caso di violazione delle norme sui messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro, nonché la sanzione amministrativa di 50.000 euro nei confronti del concessionario degli apparecchi di gioco, del titolare della sala o del punto di raccolta dei giochi (relativamente agli apparecchi AWP e VLT), del titolare del punto vendita delle scommesse, se diverso dal concessionario che non abbia ottemperato alle informazioni sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita.
Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), all’articolo 1, comma 475, lettera c), ha novellato il comma 9 dell’articolo 110 del TULPS (R.D. n. 773/1931) prevedendo sanzioni per violazioni sulla distribuzione, installazione o utilizzo di tutte le tipologie di apparecchi da gioco (lettera f-bis) e in particolare delle video-lottery (lettera f-ter). In particolare:
§ f-bis): chiunque, sul territorio nazionale, distribuisce od installa apparecchi e congegni di cui al presente articolo o comunque ne consente l'uso in luoghi pubblici od aperti al pubblico o in circoli ed associazioni di qualunque specie non muniti delle prescritte autorizzazioni, ove previste, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro per ciascun apparecchio.
§ f-ter): chiunque, sul territorio nazionale, distribuisce od installa o comunque consente l'uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli ed associazioni di qualunque specie di apparecchi videoterminali non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate nel comma 6, lettera b) (c.d. video lottery), e nelle disposizioni di legge ed amministrative attuative di detta disposizione, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro per ciascun apparecchio videoterminale.
Al riguardo l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha emanato una circolare esplicativa n. 491 del 13 giugno 2013, contenente, peraltro, una interessante tavola sinottica delle sanzioni amministrative previste relativamente agli apparecchi da gioco (allegato 1).
i) razionalizzazione territoriale della rete di raccolta del gioco, a partire da quello praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), TULPS (R.D. n. 773 del 1931); revisione della disciplina delle licenze di pubblica sicurezza, di cui al predetto Testo unico, idonea a garantire, previa definizione delle situazioni controverse, controlli più efficaci ed efficienti in ordine all’effettiva titolarità di provvedimenti unitari che abilitano in via esclusiva alla funzione di raccolta lecita del gioco;
L’articolo 7, comma 10, del D.L. n. 158 del 2012 (c.d. decreto Balduzzi) prevede che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi da gioco AWP (art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS n. 773 del 1931) sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi.
Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 158 del 2012 e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all'esito dei controlli, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo, ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali.
La normativa sull’esercizio del gioco è contenuta nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. n. 773 del 1931, al quale si affiancano i singoli regolamenti comunali in materia.
Si ricorda che l’articolo 86 del TULPS, al primo comma, prevede che non possono esercitarsi, senza licenza del questore, alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili.
Il quarto comma specifica che relativamente agli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici di cui al successivo articolo 110, commi 6 e 7, la licenza è altresì necessaria:
a) per l’attività di produzione o di importazione;
b) per l’attività di distribuzione e di gestione, anche indiretta;
c) per l’installazione in esercizi commerciali o pubblici diversi da quelli già in possesso di altre licenze previste al primo o secondo comma o all’articolo 88 ovvero per l’installazione in altre aree aperte al pubblico od in circoli privati.
Il successivo articolo 88 del TULPS stabilisce che la licenza per l'esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione.
L'articolo 2, comma 2-ter, D.L. n. 40 del 2010 ha interpretato il comma 88 del TULPS nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Il successivo comma 2-quater specifica che la licenza di cui all’articolo 88 è richiesta altresì per la gestione delle sale ove si installano gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera b) (VLT). La norma dispone, infine che, nell’ambito del piano straordinario di contrasto del gioco illegale previsto dall’ articolo 15-ter del D.L. n. 78 del 2009, sono elaborate specifiche azioni finalizzate al costante monitoraggio e alla repressione dei fenomeni elusivi delle disposizioni di cui all’ articolo 88.
Da ultimo, con la circolare n. 491 del 13 giugno 2013 l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha definito l’ambito di utilizzo dei diversi apparecchi da gioco (AWP e VLT) , a seguito delle sanzioni previste dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012, art. 1, co. 475, lett. c). Poiché per gli apparecchi VLT è necessaria la licenza di cui all’articolo 88 del TULPS, le sanzioni introdotte dalla legge di stabilità 2013 si applicano anche all’installazione o all’utilizzo di apparecchi AWP in locali in cui si esercitano scommesse che risultino privi dell’autorizzazione di polizia di cui all’articolo 88.
l) la sola pdl 1122 (Capezzone) prevede inoltre, anche a fini di rilancio, in particolare, del settore ippico:
1) istituzione dell’Unione ippica italiana, associazione senza fine di lucro, soggetta alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, cui si iscrivono gli allevatori, i proprietari di cavalli e le società di gestione degli ippodromi che soddisfano i requisiti minimi prestabiliti; previsione che la disciplina degli organi di governo dell’Unione ippica italiana sia improntata a criteri di rappresentanza delle diverse categorie di soci e che la struttura organizzativa fondamentale preveda organismi tecnici nei quali sia assicurata la partecipazione degli allenatori, dei guidatori, dei fantini, dei gentlemen e degli altri soggetti della filiera ippica;
L'articolo 14, comma 28, del D.L. n. 98 del 2011 ha trasformato l’UNIRE (Unione per l'incremento delle razze equine) in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico – ASSI, struttura a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, secondo quanto previsto dall’articolo 8 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, posta sotto la vigilanza del Ministro delle politiche agricole.
Un anno dopo il comma 9 dell’articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012 ha disposto
la soppressione dell'Agenzia per lo
sviluppo del settore ippico – ASSI,
demandando a successivi decreti di natura non regolamentare del Ministro delle
politiche agricole alimentari e forestali, il trasferimento delle risorse
umane, strumentali e finanziarie degli enti incorporati, nonché la ripartizione
tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l’Agenzia
delle dogane e dei monopoli delle funzioni già attribuite ad ASSI dalla
normativa vigente, delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali e
dei relativi rapporti giuridici attivi e passivi.
Nella precedente Legislatura la XIII Commissione Agricoltura della Camera dei deputati ha esaminato talune proposte di riforma del settore dell’ippica, anche di fronte ad una situazione di profonda crisi divenuta ormai strutturale dell’intero comparto, caratterizzata peraltro dal blocco dei pagamenti arretrati nei riguardi degli allevatori e degli ippodromi. Tali proposte non hanno completato l’iter previsto per la fine anticipata della Legislatura. Parte della riforma era, comunque, confluita nel disegno di delega fiscale esaminato nel corso della medesima Legislatura il cui contenuto è stato ripreso dalla proposta di legge in esame.
Nella Legislatura in corso la Commissione Agricoltura ha iniziato l’esame della p.d.l. A.C. n 753 (Faenzi, Russo) recante l’istituzione dell'Unione ippica italiana, nonché disposizioni per la promozione del settore ippico nonché in materia di scommesse ippiche, che ripropone diverse disposizioni del testo base adottato dalla XIII Commissione nella precedente Legislatura.
All’Unione potranno partecipare, secondo modalità che saranno definite con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, gli allenatori, i guidatori, i fantini, i gentlemen e gli altri soggetti della filiera ippica (art. 2, co. 1, lett. e) dell’A.C. 753).
2) previsione di un fondo annuale di dotazione per lo sviluppo e la promozione del settore ippico, alimentato mediante quote versate dagli iscritti all’Unione ippica italiana nonché mediante quote della raccolta delle scommesse ippiche, del gettito derivante da scommesse su eventi ippici virtuali e da giochi pubblici raccolti all’interno degli ippodromi, attraverso la cessione dei diritti televisivi sugli eventi ippici, nonché da eventuali contributi erariali straordinari decrescenti fino all’anno 2017;
L’articolo 8 dell’A.C. n. 753, precedentemente citato, prevede la costituzione di un fondo annuale di dotazione per lo sviluppo e la promozione del settore ippico - costituito, dal 1o gennaio 2014 al 31 dicembre 2017- dalle seguenti risorse:
a) la quota annuale di iscrizione degli associati all’Unione ippica italiana;
b) la quota della raccolta delle scommesse su eventi a base ippica di pertinenza dell'Unione; la quota sarà versata mensilmente alla stessa Unione dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli entro la fine del mese successivo a quello di pertinenza;
c) i proventi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi, internet, mobile, audio-video, relativi alle immagini ippiche con qualsiasi mezzo tecnologico trasmesse o veicolate e ogni altro sfruttamento di immagine, modulate da apposito regolamento da sottoscrivere da parte degli operatori;
d) fino all'anno 2017, un eventuale contributo, stabilito con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, a valere sulle maggiori entrate maturate annualmente, non superiore al 4 per cento del prelievo erariale unico (PREU) maturato nell'anno precedente relativamente agli apparecchi e congegni da intrattenimento e divertimento;
e) un contributo mensile di importo pari alle imposte derivanti dalle attività di raccolta dei giochi pubblici effettuate nel mese all'interno degli ippodromi. A decorrere dal 1o gennaio 2014 gli ippodromi potranno commercializzare al loro interno i giochi pubblici con vincita in denaro, oltre a quelli già previsti dalla legge, ferma restando la disponibilità da parte della società di gestione dell'ippodromo delle necessarie concessioni o di adeguati contratti con società concessionarie; il contributo sarà destinato dall'Unione al miglioramento della gestione degli impianti ippici e delle razze indigene;
f) un contributo mensile pari al 50 per cento delle imposte derivanti dalle scommesse su eventi virtuali assimilabili a corse ippiche.
3) attribuzione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di funzioni di regolazione e controllo di secondo livello delle corse ippiche, nonché all’Unione ippica italiana di funzioni, fra l’altro, di organizzazione degli eventi ippici, di controllo di primo livello sulla regolarità delle corse, di ripartizione e di rendicontazione del fondo per lo sviluppo e la promozione del settore ippico;
La ripartizione di funzioni tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l’Unione ippica italiana sono anch’esse definite nel testo dell’A.C. 753 (artt. 3 e 5)
4) nell’ambito del riordino della disciplina sulle scommesse ippiche, previsione della percentuale della raccolta totale, compresa tra il 74 e il 76 per cento, da destinare al pagamento delle vincite.
Le corse ippiche
L’articolo 3, comma 77, della legge n. 662 del 1996, ha previsto che l'organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli siano riservate ai Ministeri delle finanze e per le politiche agricole, i quali possono provvedervi direttamente ovvero a mezzo di enti pubblici, società o allibratori da essi individuati.
Ai sensi del successivo comma 78 è stato emanato con il D.P.R. 8 aprile 1998, n. 169 il regolamento recante il riordino della disciplina organizzativa, funzionale e fiscale dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonché per il riparto dei proventi.
In particolare il D.P.R. n. 169 del 1998 aveva attribuito all’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE) le competenze del Ministero per le politiche agricole in merito all’incremento e al miglioramento delle razze equine, all'organizzazione delle corse dei cavalli, alla valutazione dell'idoneità delle strutture degli ippodromi e degli impianti di allevamento, allenamento ed addestramento e alla determinazione degli stanziamenti a premi. L'esercizio delle scommesse sulle corse di cavalli, che si svolgono in Italia e all'estero, tanto negli ippodromi quanto fuori di essi, è esclusivamente riservato al Ministero delle finanze e al Ministero per le politiche agricole. A tal fine sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti d'intesa con il Ministero per le politiche agricole, il Ministero delle finanze esercita il totalizzatore nazionale, cui vengono, in tempo reale, direttamente riversati i dati relativi alle scommesse, e vigila sulla regolarità delle gare e del gioco.
Le competenze dell’allora Ministero delle finanze sono ora svolte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS).
L’articolo 2 del D.P.R. n. 169 reca le
disposizioni in tema di concessioni
per l'esercizio delle scommesse, mentre all’articolo 4 sono indicate le
tipologie di scommesse consentite: a totalizzatore nazionale o a quota fissa,
rinviando ad un decreto (ora direttoriale) l’individuazione delle singole
scommesse. Infine l’articolo 12 indica le finalità di intervento dell’UNIRE, a
cui destinare annualmente quote adeguate dei proventi derivati dalle
scommesse.
Si segnala che l’articolo 10, del D.L. n. 16 del 2012, al
comma 3, prevede che con regolamento
venga modificato il D.P.R. 169 del 1998 al fine di:
§
rilanciare
il settore dell’ippica, che ha registrato una diminuzione del numero delle
scommesse;
§
assicurare
il regolare svolgimento delle competizioni;
§
organizzare
la gestione dei giochi secondo efficienza ed economicità;
§
prevedere
criteri trasparenti e conformi al diritto europeo per la scelta dei
concessionari;
§
assicurare
il coordinamento tra il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero
delle politiche agricole, alimentari e forestali;
§ garantire una ripartizione delle risorse che consenta all’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) di svolgere i propri compiti istituzionali;
§ prevedere misure organiche per la promozione della salute e del benessere del cavallo.
La raccolta dei giochi a base ippica nel 2012, rispetto al 2011, è scesa da 1,4 miliardi del 2011 a 1 miliardo (-26,2%), la vincite sono scese da 1 miliardo a oltre 700 milioni (-25,6%). Analogamente c’è stata una riduzione del 27,3% delle entrate erariali.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 23 ottobre 2012 la Commissione europea ha presentato un piano d'azione sul gioco online (COM(2012)596), nel quale propone una serie di iniziative a tutela dei consumatori e contro le frodi e il riciclaggio di denaro, tra cui:
§ l'istituzione di un gruppo di esperti allo scopo di facilitare gli scambi di esperienze in materia di regolamentazione tra Stati membri;
§ lo sviluppo di più efficienti strumenti di controllo dell'età (per proteggere gli adolescenti e altri gruppi vulnerabili) e di filtri online del contenuto;
§ l'individuazione di metodi efficaci di cura e prevenzione della dipendenza dal gioco d'azzardo;
§ un più rapido scambio di informazioni, dei meccanismi di segnalazione e una cooperazione a livello nazionale e internazionale tra parti interessate, per combattere il fenomeno delle partite truccate.
Articolo 5 –
A.C. 282
(Fiscalità ambientale)
1. In considerazione delle politiche e delle misure adottate dall'Unione
europea per lo sviluppo sostenibile e per la green economy, il Governo è
delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, nuove
forme di fiscalità, finalizzate a preservare e a garantire l'equilibrio
ambientale e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici,
anche in funzione del contenuto di carbonio, in conformità con i princìpi che verranno
adottati con l'approvazione della proposta di modifica della direttiva
2003/96/CE di cui alla comunicazione COM (2011) 169, del 13 aprile 2011,
prevedendo che il maggior gettito sia destinato prioritariamente alla riduzione
della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro, e al finanziamento
delle tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione del
finanziamento dei sussidi alle fonti di energia rinnovabili. La decorrenza
degli effetti delle disposizioni contenute nei decreti legislativi adottati in
attuazione del presente articolo è coordinata con la data di recepimento, negli
Stati membri dell'Unione europea, della disciplina armonizzata stabilita dalla
citata proposta di direttiva.
L’articolo 5 dell’AC 282 delega il Governo ad introdurre nuove forme di fiscalità al fine di preservare e garantire l’equilibrio ambientale (green taxes); si prevede inoltre la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici anche in funzione del contenuto di carbonio, come previsto dalla proposta di Direttiva del Consiglio europeo in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Il gettito derivante dall’introduzione della carbon tax è destinato prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro, e al finanziamento delle tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione del finanziamento dei sussidi alle fonti di energia rinnovabili.
Al fine di non penalizzare, sotto il profilo della competitività, le imprese italiane rispetto a quelle europee, l’entrata in vigore delle disposizioni riguardanti la fiscalità ambientale sarà coordinata con la data di recepimento della disciplina armonizzata decisa a livello europeo.
La norma riproduce sostanzialmente l’articolo 14 del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C. 5291) e approvato in prima lettura dalla Camera. Tale articolo era stato soppresso, in considerazione del fatto che la proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia (COM(2011)169) in discussione a livello europeo, che mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali, non è ancora stata approvata in via definitiva.
Nel corso dell’esame parlamentare dell’AC 5291, la Banca d’Italia aveva messo in evidenza
il ruolo della tassazione ambientale per la ripresa di un percorso di sviluppo
che non si ripercuota negativamente sull’ambiente. Si suggeriva, in primo
luogo, l’introduzione di imposte disegnate in modo da internalizzare i costi
esterni associati all’impatto ambientale. Inoltre, si segnalava come l’imposta
ambientale fornisca un incentivo allo sviluppo di tecnologie innovative che
facilitano la riduzione dell’impatto ambientale delle attività di produzione e
consumo, accrescendo le prospettive di una crescita guidata dai cosiddetti
settori verdi. Si proponeva, quindi, di destinare il gettito alla riduzione di
imposte più distorsive – come quelle sui fattori produttivi – oppure al
finanziamento di misure atte a limitare gli effetti negativi del consumo di
risorse ambientali (investendo in tecnologie verdi o per il ripristino del
capitale naturale). (vedi anche http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td10/td744_10/td_744_10)
Si segnala
peraltro che Confindustria aveva espresso
le proprie perplessità in merito all’eventuale introduzione di nuove tasse
nell’attuale momento di crisi economica che, in ogni caso, dovrebbero essere
coordinata a livello europeo per non generare svantaggi competitivi.
In relazione all’introduzione di una tassazione
ambientale, lo studio dell’Agenzia
Europea per l’Ambiente, Environmental
Tax Reform in Europe: implications for income distribution and opportunities
for eco-innovation mette in evidenza come i governi potrebbero diminuire le
tasse sul reddito, spingere l’innovazione e tagliare le emissioni introducendo
tasse specifiche e molto ben mirate sulle singole attività inquinanti, reinvestendo
il ricavato nel far crescere l’economia del futuro attraverso le nuove fonti e
il risparmio energetico, i mezzi alternativi, e la riconversione delle linee di
produzione nella direzione di nuovi prodotti a minore impatto ambientale:
http://www.eea.europa.eu/publications/environmental-tax-reform-in-europe
http://www.eea.europa.eu/publications/environmental-tax-reform-opportunities
L’Istituto Bruno Leoni, nel rapporto
“Europa 2020. Una proposta alternativa” suggerisce l’introduzione della carbon tax, che viene ritenuta più
trasparente e meno distorsiva del cap
& trade (vale a dire l’attuale sistema dello scambio delle quote di
emissione), in quanto più stabile e prevedibile, nonché meno soggetta alle
interferenze politiche. All’introduzione di una carbon tax – secondo il rapporto - dovrebbero corrispondere la
razionalizzazione della tassazione fiscale e degli incentivi e disincentivi
regolatori alle varie fonti. Il gettito dell’imposta dovrebbe essere impiegato
per ridurre l’Irpef, in modo da restituire ai consumatori quel potere
d’acquisto che gli viene sottratto.
La tassazione ambientale
Il regolamento 691/2011/Ue, entrato in vigore l’11 agosto 2011, vincola gli Stati membri a comunicare annualmente i dati relativi a emissioni atmosferiche, tasse ambientali e contabilità dei flussi di materia a livello macroeconomico. In particolare, il regolamento istituisce un quadro comune per la raccolta, la compilazione, la trasmissione e la valutazione di conti economici ambientali europei quali conti satellite del Sistema europeo dei conti. Vengono, in quest’ottica, forniti agli Stati membri metodologia, regole, definizioni, classificazioni e regole contabili comuni, destinate ad essere utilizzate in sede di compilazione dei conti economici ambientali.
L’imposta ambientale viene definitiva come un’imposta la cui base imponibile è costituita da una unità fisica (o un equivalente di un’unità fisica) di qualcosa che produce sull’ambiente un impatto negativo specifico e dimostrato e che è classificata come imposta nel SEC 95.
Ai sensi del medesimo regolamento, le tasse ambientali comprendono:
§ le tasse sull'energia, vale a dire quelle sui prodotti energetici utilizzati sia per i trasporti (benzina e diesel) che per i bisogni industriali e domestici (petrolio gas, carbone ed elettricità);
§ le tasse sui trasporti si riferiscono a quelle legate alla proprietà ed all'utilizzo dei veicoli a motore ed anche quelle su altri mezzi di trasporto come gli aerei ed i servizi di trasporto connessi (sono sia una tantum che periodiche come la tassa annuale di circolazione);
§ le tasse sull'inquinamento riguardano quelle sulle emissioni in atmosfera misurate o stimate (ad eccezione delle tasse sulla CO2), le tasse sull'acqua e per la gestione dei rifiuti.
§ le tasse sulle risorse riguardano l'estrazione e l'utilizzo delle risorse naturali come gas e petrolio, ma anche licenze per caccia e pesca.
Facendo una panoramica sul quadro europeo, con riferimento a dati 2008, Eurostat (Environmental statistics and accounts in Europe) spiega che le tasse sull'energia rappresentano la più forte proporzione di tasse ambientali in tutti gli Stati membri ad eccezione di Malta. Le proporzioni più elevate di tasse sull'energia sono state osservate in Lituania, Lussemburgo e in Repubblica Ceca (93% del totale delle tasse ambientali ciascuno) e in Slovacchia (90%). Le più forti proporzioni di tasse sui trasporti si trovano a Cipro (50% del totale delle tasse sull'ambiente), a Malta (48%) e in Irlanda (47%), mentre le proporzioni più elevate di tasse sull'inquinamento e le risorse vengono osservate in Danimarca (31%), in Olanda (17%) e in Estonia (14%)”.
In Italia le tasse ambientali rappresentano il 2,4% del Pil: 78,3% per imposte sull’energia, 20,4% per quelle sui trasporti e solo l’1,3% per ciò che riguarda inquinamento e impiego delle risorse.
In tale ambito, l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Atri esempi di tassazione ambientale riguardano:
§ l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, il cui gettito è destinato prioritariamente al completamento dei sistemi di monitoraggio acustico e al disinquinamento acustico e all'eventuale indennizzo delle popolazioni residenti delle zone A e B dell'intorno aeroportuale, di cui all’articolo 90 della legge n. 342 del 2000, trasformata in imposta regionale, a decorrere dal 2013, dal D.Lgs. n. 68 del 2011 in materia di federalismo regionale;
§ il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica, introdotto con l’art.3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995 n. 549. Il 20 per cento del gettito derivante dall'applicazione del tributo affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette;
§ la tassa sulle emissioni di anidride solforosa (SO2) e di ossidi di azoto (NOx) istituita, a carico dei grandi impianti di combustione, dall'art. 17, comma 29, della L. 449/1997.
La tassazione energetica
In materia di tassa sull’energia, la direttiva 2003/96/CE, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, anche al fine di recepire il protocollo di Kyoto, ha ampliato l’ambito delle accise armonizzate, al fine di estenderlo in generale a tutti i “prodotti energetici” (tra cui il gas naturale) e l’elettricità, introducendo dunque livelli minimi di tassazione anche per i suddetti prodotti. Di conseguenza, con il D.Lgs. n. 26/2007, di recepimento della direttiva 2003/96/CE, il Testo Unico delle Accise – TUA, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504). è stato oggetto di profonde modifiche.
In merito alla proposta di revisione della direttiva sulla tassazione dell'energia, (COM(2011)169), volta principalmente a distinguere tra tassazione dell'energia collegata ad emissioni di CO2 e tassazione dell'energia basata sul contenuto energetico dei prodotti; a rivedere i livelli minimi di imposizione; a fissare livelli minimi di tassazione nazionale; ad abolire il trattamento fiscale differenziato per il gasolio usato come carburante per usi commerciali ovvero per usi non commerciali; a razionalizzare il sistema delle esenzioni in materia, l'Italia - secondo quanto emerge dalla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2011 (Doc. LXXXVII, n. 5) - ha manifestato diverse perplessità, in particolare per quanto riguarda la rigidità del nuovo calcolo della tassazione, nonché in merito all'abolizione di alcune agevolazioni.
In tale settore, si ricordano gli aumenti delle aliquote di accisa sui prodotti energetici (aventi lo scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011). Il comma 50-quater dell’articolo 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha confermato dal 1° gennaio 2012 gli aumenti delle aliquote di accisa sui carburanti disposte dalla determinazione del Direttore dell’Agenzia delle Dogane n. 77579 del 28 giugno 2011, con maggiori entrate attese pari a 2 miliardi di euro. La legge di stabilità per il 2012 (articolo 33, comma 30 della legge 12 novembre 2011, n. 183) ha disposto l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina, sulla benzina senza piombo e sul gasolio utilizzato come carburante in misura tale da determinare maggiori entrate pari a 65 milioni di euro per l’anno 2012, a copertura degli oneri derivanti dalle norme sulle modalità agevolate di ripresa della riscossione di tributi e contributi nelle zone dell'Abruzzo colpite dagli eventi sismici dell'aprile 2009. Aumenti delle accise sui carburanti (compreso il GPL e il gas naturale per autotrazione), operativi già dal mese di dicembre 2011, sono stati disposti dall'articolo 15 del D.L. 201 del 2011.
L’articolo 3-bis de decreto-legge n. 16 del 2012 ha disposto, dal 1° giugno 2012, l’eliminazione dell’esenzione d’accisa sull’energia elettrica utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh. Viene conseguentemente rideterminata la misura dell’accisa sull’elettricità utilizzata nei luoghi diversi dalle abitazioni, differenziandola sulla base del consumi. Sono a tal fine introdotti specifici obblighi di comunicazione periodica dei consumi all’Agenzia delle dogane. L’articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 prevede una nuova definizione delle imprese energy intensive basata sulla normativa europea e finalizzata alla revisione delle accise sull’energia e sugli oneri generali di sistema gravanti su tali imprese, da realizzare, entro il 31 dicembre 2012, con un decreto Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo economico.
Si ricorda infine che il D.L. 74 del 2012 ha previsto che il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012 sia alimentato, per un ammontare pari a 500 milioni di euro, anche mediante un aumento pari a 2 centesimi, fino al 31 dicembre 2012, dell’accisa sulla benzina e sul gasolio usato come carburante. Con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 487) le aliquote fissate con il predetto provvedimento sono state stabilizzate. Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2013 le aliquote di accisa sono confermate nelle seguenti misure: benzina e benzina con piombo: euro 728,40 per mille litri; gasolio usato come carburante: euro 617,40 per mille litri.
L’Ires sul settore energetico
L’articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto un'addizionale all'imposta sui redditi nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro. L’aliquota, fissata in origine al 5,5% e successivamente elevata al 6,5% (articolo 56 della l. n. 99 del 2009, “collegato energia”), è stata da ultimo innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (ai sensi dell'articolo 7, comma 3 del decreto-legge n. 138 del 2011). E' stata ampliata la platea di soggetti passivi cui si applica tale addizionale, estesa - tra l'altro - anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale.
La legge n. 7 del 2009 (ratifica trattato Italia-Libia) ha introdotto una ulteriore addizionale IRES al 4% (la cui disciplina è stata modificata dall'articolo 25-bis del decreto-legge n. 216 del 2011) per le imprese operanti nel settore degli idrocarburi con determinati requisiti, tra cui una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro.
Le detrazioni per la riqualificazione
energetica degli edifici
L’art. 1, commi da 344 a 349, della legge n. 296 del 2006 ha stabilito la detrazione del 55 per cento delle spese sostenute per gli interventi sugli immobili intesi a favorire il risparmio energetico, prevedendo limiti massimi di spesa distinti a seconda della tipologia di interventi effettuati e la rateazione in più anni.
Da ultimo, l’articolo 4 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha prorogato le detrazioni fino al 31 dicembre 2012, estendendole alle spese per interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, ed ha stabilito che a decorrere dal 2013 la detrazione sia assimilata alla detrazione del 36 per cento per le ristrutturazioni edilizie di cui all’art. 1 della legge n. 449 del 1997. Tale detrazione, resa permanente dal medesimo provvedimento mediante l’introduzione del nuovo articolo 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), che riepiloga la disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, spetta su di un ammontare massimo di spesa di 48.000 euro per ciascuna unità immobiliare ed è fruibile in rate annuali di pari importo, il cui numero è fissato tenendo anche conto dell’età del contribuente.
L’articolo 11 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha disposto quindi l’innalzamento della detrazione a fini Irpef dal 36 al 50% e del limite dell’ammontare complessivo da 48.000 a 96.000 euro in relazione alle spese per le ristrutturazioni edilizie sostenute dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto) fino al 30 giugno 2013.
Il decreto-legge n. 63 del 2013 ha prorogato le predette detrazioni al 31 dicembre 2012, innalzando al 65 per cento quelle per interventi di efficienza energetica, con l'esclusione delle spese per gli interventi di sostituzione di impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta efficienza ed impianti geotermici a bassa entalpia nonché delle spese per la sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria (articolo 14).
Gli
incentivi per le fonti rinnovabili
Da ultimo, sono stati firmati i due decreti interministeriali che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (cd. Quinto Conto Energia) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas). In particolare sono previsti:
§ un ampliamento del budget di spesa, per un totale di 500 Milioni di Euro annui - pari a ulteriori 10 Miliardi di Euro di spesa su 20 anni - suddivisi tra Fotovoltaico (200 Milioni) e Non-Fotovoltaico (300 Milioni);
§ una forte semplificazione delle procedure per l’iscrizione ai registri;
§ l’innalzamento delle soglie di accesso ai registri per tutte le categorie rilevanti. In particolare, per il fotovoltaico, vengono esentati dai registri gli impianti a concentrazione, quelli innovativi e quelli realizzati da Amministrazioni pubbliche, oltre a quelli in sostituzione di amianto fino a 50 KW. Inoltre, sono esentati gli impianti tra 12 e 20 KW che richiedono una tariffa ridotta del 20%;
§ un premio per gli impianti fotovoltaici realizzati in sostituzione di coperture in amianto e per quelli con preponderante uso di componenti europei;
§ un incremento degli incentivi per alcune specifiche tecnologie che presentano una forte ricaduta sulla filiera nazionale, ad esempio: geotermico innovativo, fotovoltaico a concentrazione e innovativo;
§ una rimodulazione dei termini di pagamento dei certificati verdi;
§ la conferma della priorità di accesso al registro per gli impianti realizzati dalle aziende agricole.
Gettito delle tasse ambientali Italia, 1990-2009 (milioni €)
Anno Tasse
Ambientali
1990 22.353
1991 27.474
1992 29.000
1993 29.435
1994 31.128
1995 34.121
1996 35.038
1997 36.361
1998 36.759
1999 39.373
2000 37.863
2001 37.886
2002 37.447
2003 40.103
2004 39.368
2005 40.149
2006 41.342
2007 41.450
2008 39.499
2009 41.293
Fonte: Istat 2011 (http://www.istat.it/it/archivio/51482)
In tema di tassazione ambientale si segnala:
§ una elaborazione realizzata dalla CGIA di Mestre in materia di destinazione del gettito da tassazione ambientale
http://www.cgiamestre.com/2011/11/solo-l%E2%80%991-del-gettito-delle-imposte-%E2%80%9Cecologiche%E2%80%9D-va-a-tutela-dell%E2%80%99ambiente/ e l'allegata tabella
http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2011/11/Imposte-ambientali-in-Italia-modificato.doc
§ uno studio del Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche dell’Università degli Studi di Foggia sulla fiscalità ambientale: http://www.dseagmeg.unifg.it/dwn/quaderno6-Fulghesu.pdf
§ l'articolo di A. Elia sull’indagine Istat sopra citata
http://www.alternativasostenibile.it/articolo/imposte-ambientali-in-italia-indagine-dell-istat-2702.html e i relativi allegati. Degli allegati si
segnala in particolare
§ le proposte di Legambiente:
http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/proposte_a_passera.pdf
Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 13 aprile 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia (COM(2011)169), che mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali.
In particolare, le imposte sull'energia vigenti sarebbero
divise in due componenti:
§ una parte, basata sulle emissioni di CO2 rilasciate dal prodotto energetico, ammonterebbe a 20 euro per tonnellata di CO2;
§ l'altra basata sul contenuto energetico (energia effettiva generata dal prodotto misurata in gigajoule (GJ)), corrisponderebbe a 9,6 euro/GJ per i carburanti per motori, e 0,15 euro/GJ per i combustibili per riscaldamento. Essa si applicherebbe a tutti i carburanti e combustibili utilizzati per i trasporti e il riscaldamento.
La direttiva sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dal 2013. Per allineare completamente la tassazione del contenuto energetico sono previsti lunghi periodi transitori, fino al 2023, in modo da lasciar tempo al settore di adeguarsi al nuovo regime.
La proposta segue una procedura legislativa speciale, che prevede la
mera consultazione del Parlamento europeo e l’unanimità in seno al Consiglio
dell’UE.
Il 19 aprile 2012 il PE ha espresso il proprio parere sulla proposta
prospettando alcuni emendamenti che,
prevedono, tra le altre cose, di mantenere invariato il vantaggio fiscale di
cui beneficia il diesel in molti Paesi membri, rispetto alla benzina, al fine
di evitare un aumento del prezzo del diesel (che tuttavia produce più emissioni
di CO2 rispetto alla benzina).
La proposta è stata esaminata dal Consiglio ECOFIN del 22 giugno 2012,
dal quale è emerso un sostanziale
accordo tra i Paesi membri circa
la fissazione di aliquote minime per
la tassazione dei prodotti energetici, lasciando ai singoli Governi la discrezionalità per quanto concerne la ripartizione tra le componenti dell’imposta
(CO2 e contenuto energetico).
Procedure di contenzioso
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 27 novembre 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per violazione della direttiva 2003/96/CE sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, in relazione all'applicazione di una aliquota di accisa ridotta da parte della Regione Friuli Venezia Giulia.
La Commissione rileva che l’art 3, comma 15 della legge 549/1995, consente alle regioni e alle Province autonome la possibilità di applicare una riduzione del prezzo alla pompa delle benzine, a favore dei cittadini residenti. La riduzione si limita alla differenza di prezzo alla pompa rispetto a quello praticato negli Stati confinanti, e la riduzione fiscale è inversamente proporzionale alla distanza dei punti vendita dal confine. Gli artt. 10 e 11 della legge regionale 47/1996 definiscono le modalità di copertura del costo della riduzione. In base a tali disposizioni, i fornitori di carburante compensano la riduzione dei prezzi a vantaggio dei gestori delle stazioni servizio. L’amministrazione regionale, a sua volta, rimborsa ai fornitori di carburante gli importi versati ai gestori delle stazioni.
La Commissione ritiene che tale sistema
costituisca una riduzione, tramite
rimborso, dell’accisa, non consentita
dalla direttiva 2003/96/CE, che si basa su un importo nazionale unico per prodotto e per uso.
I sistemi fiscali in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna alla luce delle più recenti misure adottate
Appendice (a cura del Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione Straniera)
L’imposta sul reddito è disciplinata dall’art. 1A e ss. del Code général des impôts (Codice generale delle imposte).
Con la legge finanziaria per il 2011 (Loi n. 2010-1657 du 29 décembre 2010 de finances pour 2011- LF 2011) è stato recentemente modificato il calcolo dell’imposta sul reddito.
Il nuovo art. 197 del Code général des impôts, modificato dalla Loi n. 2010-1657, stabilisce attualmente le seguenti aliquote, in base alla suddivisione dei contribuenti in quattro fasce di reddito:
Reddito (in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 5.963 |
0% |
Dalla frazione superiore a 5.963 fino a 11.896 |
5,5% |
Dalla frazione superiore a
11.896 fino a 26.420 |
14% |
Dalla frazione superiore a
26.420 fino a 70.830 |
30% |
Per la frazione superiore a
70.830 |
41% |
Alla fine del 2011 il Governo francese ha approvato una serie di misure per ridurre il deficit pubblico, tra cui l’introduzione di un “contributo eccezionale sugli alti redditi”. La legge finanziaria per il 2012 (Loi n. 2011- 1977 du 28 décembre 2011 de finances pour 2012 – LF 2012) ha fissato al 3 per cento il tasso del contributo da applicare sulla frazione di reddito fiscale superiore a 250.000 euro per le persone celibi, nubili, vedove o divorziate, a 500.000 euro per le coppie in regime matrimoniale o di PACS. Il tasso del contributo è innalzato al 4 per cento sulla frazione del reddito fiscale di riferimento superiore a 500.000 euro per le persone celibi, nubili, vedove o divorziate, e a 1 milione per le coppie in regime matrimoniale o di PACS. Il contributo, provvisorio, dovrebbe applicarsi fino all’anno d’imposizione fiscale, nel corso del quale il deficit pubblico sia pari a zero.
In base al meccanismo del “quoziente familiare” (quotient familial), disciplinato dagli artt. 194-195 del Code général des impôts, il contribuente è assoggettabile all’imposta sul reddito per l’insieme degli utili e redditi dei membri della famiglia fiscale (foyer fiscal), composta dal contribuente, dall’eventuale coniuge (o dal partner per i PACS), dagli eventuali figli minori, nonché dalle eventuali persone invalide conviventi a carico.
Per determinare il quoziente familiare occorre determinare il numero delle quote (o parti, rappresentative dei carichi di famiglia) che spettano a ciascun tipo di contribuente (ad es. il celibe, lo sposato, il divorziato, il vedovo), del quale sono considerate le persone a carico.
Il quoziente familiare è il risultato della divisione del reddito complessivo del foyer fiscal per il numero delle quote che ad esso spettano. Il numero delle quote incide in modo considerevole nel determinare l’imposta sul reddito da liquidare.
Nello specifico l’imposta è calcolata figurativamente sul quoziente familiare, quindi solo su una quota del reddito complessivo, ma l’effettivo del carico fiscale risulta poi dal prodotto delle “imposte individuali” per il numero delle parti (o quote) che compongono la famiglia fiscale.
L’art. 194 del Codice generale delle imposte presenta una tabella in cui è indicato il numero delle quote da prendere in considerazione per la divisione del reddito complessivo del foyer fiscal:
Situazione della famiglia |
Numero delle parti (o quote) |
Celibe, divorziato o vedovo senza figli a carico |
1 |
Coniugato senza figli a carico |
2 |
Celibe o divorziato con un figlio a carico |
1,5 |
Coniugato o vedovo con un figlio a carico |
2,5 |
Celibe o divorziato con due figli a carico |
2 |
Coniugato o vedovo con due figli a carico |
3 |
Celibe o divorziato con tre figli a carico |
3 |
Coniugato o vedovo con tre figli a carico |
4 |
Celibe o divorziato con quattro figli a carico |
4 |
Coniugato o vedovo con quattro figli a carico |
5 |
Celibe o divorziato con cinque figli a carico |
5 |
Coniugato o vedovo con cinque figli a carico |
6 |
Celibe o divorziato con sei figli a carico |
6 |
Si consideri ad esempio una coppia di coniugi con due figli a carico.
In base al meccanismo del quoziente familiare, a questa famiglia fiscale saranno attribuite tre quote (una quota per ogni coniuge e una mezza quota per ciascun figlio).
Ipotizzando che il reddito complessivo della coppia sia di 55.000 euro, l’imposta calcolata, senza tener conto del quoziente familiare, sarebbe approssimativamente di 10.934 euro.
Il calcolo della tassa, sulla base delle aliquote previste per l’imposta sul reddito, sarebbe infatti il seguente:
Aliquote per fasce di reddito |
Calcolo dell’imposta (in euro) |
0% su 5.963 euro |
0 |
5,5% su 5.932 euro (11.896-5.964) |
326 |
14% su 14.523 euro (26.420-11.897) |
2.033 |
30% su 28.582 (55.000- 5.963 -5.932-14.523) |
8.575 |
Totale |
10.934 |
Per calcolare il quoziente familiare di questa famiglia fiscale occorre dividere il reddito complessivo del foyer fiscal (55.000 euro) per tre (le tre quote che gli spettano). Si otterrà un quoziente di 18.333 euro.
Su tale ammontare si applicano allora le “imposte individuali”, utilizzando i medesimi scaglioni:
Aliquote per fasce di reddito |
Calcolo dell’imposta (in euro) |
0% su 5.963 euro |
0 |
5,5% su 5.932 euro (11.896-5.964) |
326 |
14% su 6438 euro (18.333-5.963 -5.932) |
901 |
Totale |
1.227 |
In base al meccanismo del quoziente familiare, tale ammontare deve essere quindi moltiplicato per il numero delle quote per ottenere il carico fiscale complessivo, che risulterà quindi di 3.681 euro (1.227 x 3).
Come si può constatare, applicando il quoziente familiare, il carico fiscale complessivo è inferiore all’ammontare che l’imposta sul reddito avrebbe senza l’introduzione di tale meccanismo. Inoltre, tanto più alto sarà il reddito complessivo, maggiore sarà il beneficio ottenibile. Per evitare di favorire i redditi più alti, il legislatore ha limitato il vantaggio dell’applicazione del quoziente, fissando un tetto (plafond). In base a tale meccanismo, determinati contribuenti, il cui reddito eccede un dato importo, possono avere un vantaggio di imposta che non può superare una certa cifra. Il vantaggio massimo è fissato per ogni mezza quota o quota che compone il proprio foyer fiscal[8].
La prima Legge finanziaria correttiva per il 2011 del 29 luglio 2011 (I LFR 2011) ha introdotto la riforma della fiscalità del patrimonio. La riforma ha alleggerito la tassazione della detenzione del patrimonio a favore di una tassazione più pesante della trasmissione del patrimonio ed ha proceduto alla modifica dell’impôt de solidarité sur la fortune - ISF e alla soppressione dello “scudo fiscale”, dispositivo che limitava l’ammontare complessivo delle imposte dirette pagate da un contribuente.
a) Imposta di solidarietà sul patrimonio
L'imposta di solidarietà sul patrimonio (impôt de solidarité sur la fortune - ISF) [9] è un’imposta prevista nell’ordinamento francese, ma assente nella maggior parte degli altri paesi del mondo. Al pagamento dell’ISF sono tenute le persone fisiche e le coppie sulla base del loro patrimonio netto che comprende i beni immobili, gli attivi professionali (che possono essere esonerati a determinate condizioni), i beni mobili, altri beni materiali (gioielli, cavalli, automobili, yachts, barche da diporto, aerei da turismo, etc.), diritti e titoli (valori mobiliari, buoni del Tesoro, buoni di risparmio, etc.).
Le precedenti disposizioni prevedevano 6 aliquote d’imposta per scaglioni a partire da un patrimonio di 800.000 euro. La recente riforma del luglio 2011 ha soppresso le prime tranches d’imposta. Applicabile sul patrimonio detenuto al 1° gennaio 2011, la riforma della tabella (barème) delle aliquote dell’ISF permetterà ai francesi con un patrimonio inferiore a 1,3 milioni di euro di non pagare più l’ISF dal 2012[10].
L’ISF comprenderà 2 aliquote d’imposta per scaglioni di patrimonio:
§ 0,25% tra 1,3 e 3 milioni di euro (con pagamento dell’ISF contemporaneamente all’Imposta sul reddito IR);
§ 0,50% per i patrimoni superiori a 3 milioni di euro (con obbligo di riempire una dichiarazione ISF).
Per limare gli effetti negativi delle soglie sarà messo a punto un dispositivo di detrazione (décote) per i patrimoni compresi tra 1,3 e 1,4 milioni di euro e tra 3 e 3,2 milioni di euro.
Occorre segnalare che dal 2010 è stato previsto un dispositivo che permette ai sottoscrittori di fondi d’investimento a favore delle PMI di beneficiare di una riduzione del 25% sull’imposta sul reddito o del 50% sull’ISF (LF 2010, art. 20). Le riduzioni d’IR e d’ISF per i sottoscrittori di capitali delle PMI e di entreprises innovantes sono state ulteriormente definite: si applicano soltanto alle partecipazioni a società in difficoltà d’accesso al finanziamento in fondi privati o in fase di crescita (inizio attività o espansione) (LF 2011, art. 38).
b) Modifiche patrimoniali a titolo gratuito e successioni
Secondo la riforma del luglio 2011, le donazioni in franchigia d’imposta saranno possibili ogni 10 anni, invece che ogni 6 (I LFR 2011, art. 7). Inoltre è stata mantenuta la sola riduzione del 50% per i donatori al di sotto dei 70 anni di età, mentre è stata soppressa la riduzione del 30% per i donatori tra i 70 e gli 80 anni (I LFR 2011, art. 8).
Sono stati infine elevati di 5 punti i due ultimi scaglioni d’imposta, rispettivamente dal 35 e 40% al 40 e 45%, applicati alle successioni più importanti[11], alle donazioni consentite tra consanguinei in linea diretta e alle donazioni tra coniugi o tra partenaires legati da PACS (I LFR 2011, art. 6).
In Francia sono previste due tipologie di imposte fondiarie:
§ la tassa fondiaria sulle proprietà costruite (TFPB);
§ la tassa fondiaria sulle proprietà non costruite (TFPNB).
Queste tasse contribuiscono alla formazione delle risorse fiscali dei comuni.
La tassa fondiaria sulle proprietà costruite (taxe foncière sur les propriétés bâties –
TFPB) è disciplinata dal Code général
des impôts, artt. 1380 e ss.
La tassa fondiaria sulle proprietà non costruite (taxe foncière sur les propriétés non bâties – TFPNB) è disciplinata dal Code général des impôts, artt. 1393 e ss.
Con riferimento all’imposta fondiaria sulle proprietà costruite (taxe foncière sur les propriétés bâties), l’art. 31 della prima Legge finanziaria correttiva per il 2011 (I LFR 2011) stabilisce alcune modifiche. È in particolare stabilito che i contribuenti tenuti a pagare la tassa fondiaria sulle proprietà costruite (TFPB) con valore di abitazione principale possono godere di uno sgravio fiscale. Hanno diritto a tale beneficio i contribuenti il cui reddito non superi una determinata somma, stabilita all’art. 1417, comma II, del Codice generale delle imposte (l’ammontare totale dei redditi dell’anno precedente a quello in cui è calcolata l’imposta fondiaria non deve essere superiore a 23.572 euro per la prima parte (o quota) del quoziente familiare, aumentata di 5.507 euro per la prima mezza parte supplementare e di 4.334 euro per ogni altra mezza parte considerata per il calcolo dell’imposta sul reddito). Lo sgravio fiscale è uguale alla frazione della quota dell’imposta dovuta superiore al 50% dei redditi del contribuente (Code général des impôts, nuovo art. 1391 B ter, come modificato dall’art. 31 della LFR 2011).
Il proprietario o l’inquilino di un locale ad uso abitativo è inoltre tenuto al pagamento di una speciale imposta, chiamata tassa d’abitazione (taxe d’habitation ), disciplinata dal Code général des impôts, artt. 1407 e ss. Anche questa imposta contribuisce alla formazione delle risorse fiscali dei comuni.
Le più recenti riforme hanno cercato di utilizzare la leva tributaria per migliorare la competitività delle imprese e modellare un “ambiente fiscale” ad esse più favorevole. In particolare la Legge finanziaria per il 2011 (LF 2011) e la IV Legge finanziaria correttiva per il 2010 (IV LFR 2010) hanno disegnato una vera e propria riforma della fiscalità delle imprese, coinvolte, tra l’altro, nel finanziamento del bilancio per il 2011 e della riforma delle pensioni.
Il regime fiscale delle imprese è disciplinato essenzialmente dal Code général des impôts, artt. 205 e ss.
Le società francesi sono assoggettate, in particolare, all’imposte sul reddito d’impresa, sugli immobili, sulla formazione professionale, sull’apprendistato, sui piani di costruzione edile, nonché ad un’imposta fissa (imposition forfaitaire annuelle - IFA) e al contributo economico territoriale che ha sostituito l’imposta locale sugli affari (taxe professionnelle)[12].
La riforma fiscale delle imprese ha toccato in particolare l’imposizione fiscale dei risultati d’impresa, la fiscalità fondiaria e il regime dell’IVA (per quest’ultimo aspetto si rinvia allo specifico paragrafo sull’IVA), oltre ad abolire, dal 1° gennaio 2010, la taxe professionnelle[13].
All'imposta sul reddito delle società (impôt sur les sociétés – IS) sono assoggettate le società di capitali, le società civili che esercitano attività industriali o commerciali e le associazioni che svolgono attività con scopo di lucro.
Le società francesi possono optare per un regime d’integrazione fiscale, il “regime di gruppo”, che permette ad una società francese (società-madre) d’integrare nei suoi utili imponibili quelli delle sue filiali francesi (società-figlie) delle quali controlli almeno il 95% del capitale. In questo caso la società madre paga l’IS sull’insieme degli utili del gruppo (Code général des impôts, artt. 223A e ss.).
Anche la nuova figura dell’imprenditore individuale a responsabilità limitata (EIRL), istituita nel 2010[14], può optare tra l’imposta sul reddito (IR) e l’imposta sulle società (IS).
L’IS è calcolata principalmente sul totale degli utili annuali realizzati dalla società nei suoi stabilimenti in Francia, in base al principio di territorialità.
Oltre ai redditi di esercizio derivanti dall’attività dell’impresa, altri elementi compongono la base imponibile, tra i quali: ammortamenti, rimanenze, accantonamenti, erogazioni liberali (deducibili almeno in parte), spese di viaggio, vitto, alloggio e rappresentanza (deducibili), spese per mezzi di trasporto, telefoni fissi o mobili (deducibili), appartamenti e terreni non strumentali (deducibili), compensi degli amministratori (deducibili in parte)[15], acquisti di beni e servizi dai “paradisi fiscali”[16], interessi, dividendi, plusvalenze e, tra le altre, spese per la ricerca e lo sviluppo che comportano per una quota percentuale un credito d’imposta, c.d. Credit d’impôt recherche (CIR)[17]. Sono inoltre deducibili altre imposte e tasse relative all’attività, quali le imposte indirette, diverse dall’IVA, su beni e servizi acquistati dalla società in quanto parte del costo d’acquisto, e l’IVA a credito non recuperabile. Viceversa non sono deducibili l’imposta sul reddito e l’addizionale del 3,3%.
Per cifre d’affari annuali[18] superiori o uguali a 7.630.000 euro il tasso d’imposta IS è pari al 33,33% dell’insieme degli utili imponibili. Le imprese con ricavi superiori a tale cifra sono tenute in ogni caso al pagamento di un’addizionale, a titolo di contributo sociale, del 3,3% dell’imposta sulla fascia di reddito che eccede i 763 000 euro (portando così l’aliquota effettiva al 34,43%).
In caso di cifra d’affari annuale inferiore a 7.630.000 euro, il tasso d’IS dipende da condizioni legate al capitale della società:
§ se il capitale è stato versato interamente dagli associati ed è detenuto per almeno il 75% da persone fisiche, il tasso d’imposta è del 15% sui primi 38.120 euro di utili e del 33,33% per gli utili restanti;
§ se il capitale non è stato versato interamente dagli associati ed è detenuto per meno del 75% da persone fisiche, il tasso d’imposta è del 33,33% degli utili[19].
La riforma ha previsto inoltre una maggiore trasparenza fiscale del regime d’imposizione delle società di persone (società in nome collettivo, società familiare a responsabilità limitata, società civili professionali e così via) mettendo fine alle doppie imposizioni e alle ottimizzazioni fiscali generate dal precedente sistema[20]. La riforma, che comporterà la scomparsa delle società di persone come soggetto fiscale, si applicherà agli esercizi contabili e ai periodi d’imposizione aperti a partire dal 1° gennaio 2012 (IV LFR 2010, art. 13).
Inoltre sono previste dalla riforma:
§ l’estensione del regime d’imposizione dei redditi accessori, già previsti in materia di utili industriali, commerciali e agricoli, alle società di persone titolari di utili non commerciali (IV LFR 2010, art. 13);
§ l’estensione del regime delle zone franche d’oltremare alle società che facciano parte di un gruppo fiscale integrato con l’applicazione di una riduzione sul risultato imponibile per gli esercizi a partire dal 1° gennaio 2011 (IV LFR 2010, art. 51).
Le imprese sono tenute, come le famiglie, al pagamento della taxe foncière relativa alle proprietà costruite (TFPB) e non costruite (TFPNB). Tali tasse sono dovute dalle imprese sui beni immobili di cui siano proprietarie (es. i locali commerciali, gli stabilimenti, etc.) e il valore locativo catastale contribuisce alla formazione parziale della base di calcolo dell’imposta. Per quanto riguarda la fiscalità fondiaria delle imprese sono state modificate dal 2011 le modalità di calcolo dei valori locativi dei locali commerciali delle imprese in 5 dipartimenti-campione, attraverso l’abbandono del riferimento ad un locale-tipo e l’adozione di una griglia tariffaria, al fine di adeguare le basi imponibili ai valori di mercato (IV LFR 2010, art. 34). La riforma dovrebbe essere estesa a tutto il territorio a partire dal 2014.
L'imposition forfaitaire annuelle (IFA) è un’imposta diversa dall’imposta sulle società (IS) che deve essere pagata anche in assenza di utili d’impresa (Code général des impôts, artt. 223-septies-223-decies ). In linea di principio ogni impresa soggetta all’IS è anche tenuta al pagamento dell’IFA. Tuttavia diversi tipi d’impresa sono dispensate dall’IFA in ragione dell’attività svolta o di particolari esoneri fiscali di cui godono (ad esempio: gli organismi senza fini di lucro, soggetti all’IS solo sui redditi del loro patrimonio; le nuove società il cui capitale sia costituito almeno per il 50% da apporti in denaro, esonerate per i primi tre anni di attività; nuove società impiantate in particolari zone del territorio o nelle zone franche urbane, esonerate temporaneamente dall’IS; centri di gestione e associazioni autorizzate, jeunes entreprises innovantes, imprese partecipanti ad un progetto di ricerca e sviluppo etc.).
L’IFA costituisce un onere deducibile dal risultato imponibile all’IS, a titolo dell’esercizio contabile in corso al 1° gennaio dell’anno di esigibilità dell’imposta. A titolo dell’esercizio 2011, soltanto le imprese la cui cifra d’affari (CA), maggiorata dei prodotti finanziari, è superiore a 15 milioni di euro sono assoggettabili all’IFA.
L’attuale ammontare dell’imposta, diviso per scaglioni di cifra d’affari (CA), è il seguente:
§ tra 15 milioni e 75 milioni di euro di CA, l’IFA è di 20.500 euro[21];
§ tra 75 milioni e 500 milioni di euro di CA, l’IFA è di 32.750 euro;
§ per cifre d’affari superiori a 500 milioni di euro, l’IFA è di 110 000 euro.
La soppressione dell’IFA, inizialmente prevista per il 2011, è stata rinviata al 2014 (LF 2011, art.20).
Incentivi fiscali: il Credito d’imposta
“Ricerca” (CIR)
Secondo uno studio del KPMG[22], la Francia era già nel 2008 al 2° posto per le attività di Ricerca e Sviluppo, con un tasso effettivo negativo di 25,7% grazie al Credit d’impôt recherche (CIR), contro il 13,8% del Regno Unito e il 33,5% della Germania (che non ha il CIR, ma accorda delle sovvenzioni – vedi infra).
Il dispositivo del rimborso immediato del credito d’imposta per la “ricerca” -Credit d’impôt recherche (CIR)[23]-, rafforzato per il periodo 2009-2010 a sostegno delle jeunes entreprises innovantes (JEI) e delle entreprises de croissance “Gazelles” indebolite dalla crisi economica, è stato più volte prorogato, esteso alle PMI in difficoltà economica e messo a punto negli anni successivi.
La Loi de finances 2011 (art. 41) ha trasformato da temporaneo a permanente il CIR e ha precisato i contorni di questo particolare credito d’imposta. In particolare:
§ ha rivisto il calcolo forfettario delle spese di funzionamento (rientrano attualmente nella base di accertamento (assiette) del CIR il 50% delle spese del personale e delle dotazioni per l’ammortamento);
§ ha fissato un tetto massimo alle spese eleggibili a titolo di CIR fino al triplo delle spese direttamente supportate dall’impresa;
§ ha ridotto i tassi di credito, maggiorati nei primi due anni di applicazione del dispositivo (rispettivamente al 40% e al 35%);
§ ha previsto la deduzione delle spese d’intermediazione in proporzione ai vantaggi ottenuti o eccedenti l’assiette del CIR.
Altri incentivi
fiscali che ammettono regimi di totale o parziale esonero fiscale sul
reddito sono previsti per le jeunes
entreprises innovantes (JEI), il cui capitale sia posseduto per il 50% da
persone fisiche, per le PMI in stato di crisi localizzate in determinate aree,
per le società soggette a incentivi regionali per lo sviluppo in determinate
aree geografiche (ad es. Corsica, Territori d’oltremare, zone urbane depresse,
etc.) e per altre tipologie di piccole e medie imprese.
La riforma della fiscalità delle imprese del 2011 ha comportato in particolare:
§ la proroga, per un periodo ridotto a 8 anni complessivi (dai precedenti 14), e riorganizzazione del regime fiscale delle imprese create o “riprese” (riservato alle imprese con meno di 10 dipendenti) nelle zones de revitalisation rurale (ZRR) o delle zones d’aide à finalité régionale (AFR), che prevede un esonero completo d’imposta per i primi 5 anni di vita della nuova impresa, esonero che decresce parzialmente nei successivi 3 anni (LF 2011, art. 129);
§ un credito d’imposta a favore di cointeressenze in imprese con meno di 50 dipendenti, del quale è stato innalzato (LF 2011, art.131) il tasso dal 20 al 30% e ridefinita la base di accertamento (assiette) come la differenza tra l’ammontare dei premi versati per l’esercizio in corso e la media dei premi versati secondo l’accordo di interessenza precedente o comunque all’ammontare dei premi dovuti a titolo dell’esercizio precedente, con valutazioni a livello di ogni società per le società membri di un gruppo fiscale;
§ agevolazioni fiscali per gli auto-imprenditori come, ad esempio, la semplificazione del calcolo della soglia della cifra d’affari (IV LFR 2010, art. 54).
Negli anni recenti sono state introdotte diverse modifiche al “Prestito a tasso zero - PTZ”, creato nel 1995 per favorire l’accesso alla prima casa. Il dispositivo è stato sostituito dal 2011 da un nuovo “Prestito a tasso zero rinforzato – PTZ plus”. La Loi de finances 2011 (LF 2011, art. 90) ha creato, tra l’altro, un nuovo credito d’imposta a favore degli istituti di credito che accordano un “PTZ plus” alle persone fisiche per la costruzione o l’acquisto della loro residenza principale[24]. A partire dal 1° gennaio 2011 il nuovo dispositivo “PTZ plus” e il relativo credito d’imposta hanno sostituito il precedente “PTZ” [25]. Gli interessi del PTZ non possono più essere parzialmente dedotti dall’imposta sul reddito delle persone, ma in compenso il beneficio di tale prestito non è più condizionato ad un livello minimo di risorse ed è ammesso in qualunque luogo si trovi l’alloggio. Anche il credito d’imposta “PTZ plus” è la contropartita della rinuncia da parte degli istituti di credito agli interessi (l’ammontare del credito è uguale alla differenza tra la somma attualizzata delle mensilità dovute a titolo dello “PTZplus” e la somma attualizzata delle somme percepite per un prestito di uguale ammontare e di uguale durata a condizioni normali secondo il tasso alla data di emissione dell’offerta di prestito). Le disposizioni per gli istituti di credito si applicano ai prestiti emessi dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2014.
Gli istituti di credito abilitati a rilasciare i prestiti sono convenzionati con lo Stato e le condizioni di attribuzione e le modalità del prestito sono fissate ogni anno con decreto, al quale è allegato uno studio d’impatto, finalizzato a limitare il costo annuale del credito d’imposta “PTZ plus” ad un massimo di 2,6 miliardi di euro.
Un’ulteriore riforma del “PTZ plus” è stata introdotta dalla Legge finanziaria 2012 (LF 2012, art. 86) che ha ridotto l’ammontare complessivo destinato al finanziamento di questo dispositivo ed ha previsto un’ammissione al prestito riservata soltanto alle operazioni di compra-vendita relative ad alloggi di nuova costruzione o ad alloggi già esistenti venduti dai locatori « sociali » ai relativi conduttori.
Sono infine da segnalare, tra le altre modifiche più recenti:
§ l’applicazione di un’eccezionale “exit taxe” del 10% sulle riserve di capitale in franchigia d’imposta per le imprese d’assicurazione (LF 2011, art. 23);
§ l’adattamento della tassa sui veicoli delle società ad un nuovo concetto di “veicolo da turismo” per l’applicazione di diversi dispositivi fiscali (LF 2011, art. 24);
§ la creazione di una tassa di “rischio sistemico” sulle banche, che istituisce, a partire dal 2011, una tassa computata sulle esigenze minime in fondi propri, richieste dalla regolamentazione prudenziale e dovute ad un tasso dello 0,25% dalle imprese del settore finanziario per le quali l’ammontare di tali esigenze superi i 500 milioni di euro (LF 2011, art. 42);
§ la creazione di un contributo eccezionale a carico delle imprese del settore petrolifero (I LFR 2011, art. 16);
§ una “exit taxe” sulle plus-valenze sulla cessione delle partecipazioni significative per i contribuenti che trasferiscono il loro domicilio fiscale fuori dal territorio francese (I LFR 2011, art. 48).
Dal 1° gennaio 2010 la taxe professionnelle è stata soppressa e sostituita dalla nuova contribution économique territoriale (CET), composta da due tasse a carico delle imprese, la cotisation foncière des entreprises (CFE) e la cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises (CVAE), che contribuiranno al finanziamento delle collettività territoriali (LF 2010, art.2). A compensare il mancato introito fiscale derivante alle collettività territoriali dalla riforma, è stata creata anche una imposition forfaitaire sur les entreprises de reseaux (IFER) (LF 2010, art.2, comma 3).
a) Contributo economico territoriale
Al pagamento della cotisation foncière des entreprises - CFE sono tenute, in linea di principio e salvo i diversi casi di esonero e di riduzione della base imponibile, tutte le persone fisiche e le società che esercitano un’attività professionale autonoma e indipendente al 1° gennaio 2010. L’impresa è obbligata al pagamento della CFE in ogni comune dove disponga di locali o terreni. I comuni sono i soli beneficiari dei proventi della CFE.
La CFE, tassa auto dichiarativa, è calcolata sul valore locativo dei beni immobili assoggettabili alla tassa fondiaria, utilizzati dall’impresa per i bisogni della sua attività nel corso del periodo di riferimento. Il valore locativo corrisponde alla somma stabilita dall’amministrazione fiscale per il calcolo dell’imposta fondiaria[26].
Sono tenuti invece alla cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises - CVAE, salvo i diversi casi di esonero, le persone fisiche e le società che esercitino in Francia un’attività professionale autonoma a titolo abituale al 1° gennaio dell’anno d’imposizione e realizzino una cifra d’affari superiore a 152.500 euro.
La CVAE è ripartita tra i comuni (26,5%), i dipartimenti (48,5%) e le regioni (25%).
La CVAE, tassa auto dichiarativa come la CFE, è pari all’1,5% del valore aggiunto prodotto dall’impresa nel corso dell’anno per il quale l’imposta è dovuta (o nel corso dell’ultimo esercizio di dodici mesi compiuti nel corso di quell’anno, se l’esercizio non coincide con l’anno di calendario). Il valore aggiunto corrisponde alla differenza tra la cifra d’affari realizzata e gli acquisti di beni e oneri fiscali deducibili. Non vengono considerati ai fini del calcolo i prodotti e gli oneri finanziari ed eccezionali.
Il valore aggiunto considerato per il calcolo della CVAE è in ogni caso fissato ad un tetto massimo di:
§ 80% della cifra d’affari (CA) per l’impresa che realizzi una CA pari o inferiore a 7.600.000 euro;
§
85% della cifra d’affari (CA) per l’impresa che
realizzi una CA superiore a 7.600.000 euro.
b) Imposta forfettaria sulle imprese di rete
L'imposition forfaitaire sur les entreprises de réseaux - IFER[27] è stata invece creata per limitare i guadagni delle grandi imprese di rete che beneficiano appieno della soppressione della tassa professionale (sebbene la loro attività sia assai poco “delocalizzabile”), nonché per limitare il costo della soppressione della tassa professionale per i conti pubblici. La nuova imposta dovrebbe comportare un gettito di circa 1,5 miliardi di euro. Beneficiari dell’imposta sono le collettività territoriali e i loro raggruppamenti, a partire dal 2011.
L’IFER riguarda le imprese in tre settori economici – energia, trasporti ferroviari e telecomunicazioni – e si basa su sette categorie d’impianti, aventi ciascuno proprie regole di base imponibile e di calcolo:
§ per il settore energia sono soggetti all’IFER gli impianti eolici e idroeolici, le centrali nucleari o termonucleari; gli impianti fotovoltaici e idraulici; i trasformatori elettrici;
§ per il trasporto ferroviario è soggetto all’IFER il materiale rotabile destinato al trasporto passeggeri;
§ per il settore telecomunicazioni sono soggetti all’IFER le stazioni radioelettriche e i trasmettitori principali.
Tra le diverse
iniziative assunte nell’ambito del Grenelle
de l’environnement del 2007, una misura significativa è stata rappresentata
dall’istituzione di una tassa ecologica
per le automobili (LF 2008).
In vigore dal 2008 il bonus/malus ecologico per l’acquisto di autoveicoli “puliti” ha completato il dispositivo messo a punto con la riforma, varata nel 1998, del calcolo della potenza fiscale dei veicoli, che tiene conto anche delle emissioni di biossido di carbonio (CO2), e con la successiva “supertassa CO2”[28]. I veicoli nuovi più “puliti” possono beneficiare di un bonus ecologico, una defiscalizzazione finanziata, in parte, dal malus, supertassa calcolata in base alle emissioni di biossido di carbonio/Km, pagata sui veicoli più “inquinanti” del parco automobili francese (di norma veicoli usati)[29]. Dal 1° gennaio 2009 i veicoli più inquinanti sono inoltre soggetti ad un malus annuale di 160 euro.
Dopo una prima modifica del bonus/malus ecologico già nel 2011, che aveva ridotto i vari premi del bonus e abbassato le soglie per l’applicazione del malus, di 5 gr. di CO2/km per il 2011 e poi di altri 10 grammi supplementari dal 1° gennaio 2012, la Legge finanziaria 2012 (LF 2012, artt. 55 e 56) ha ulteriormente ridimensionato il dispositivo per ridurne il relativo costo per lo Stato. Sono state aumentate le soglie dei malus ecologici più elevati, per i veicoli di gamma alta - il malus di 1.100 euro è portato a 1.300 euro, il malus di 1.600 euro è portato a 2.300 euro, il malus di 2.600 euro è portato a 3.600 euro – e, dal 2° gennaio 2012, è stata abbassata a 190 grammi di CO2/Km la soglia oltre la quale viene applicato il malus annuale.
La Taxe sur la Valeur Ajoutée (TVA) è disciplinata dal Code général des impôts, artt. 256 e ss; sono previste attualmente quattro tariffe.
L’aliquota ordinaria è attualmente fissata al 19,60% (Code général des impôts, art. 278). La prima legge finanziaria correttiva per il 2012 del 14 marzo 2012 (I LFR 2012, art. 2) ha tuttavia previsto, a partire dal 1° ottobre 2012, l’aumento del tasso normale dell’IVA dal 19,60 al 21, 20 per cento.
Un’aliquota ridotta al 5,5% è prevista per le operazioni riguardanti la produzione e lo scambio di determinati prodotti considerati di prima necessità – prodotti alimentari, abbonamenti a gas ed energia elettrica e alle reti di fornitura di energia, presidii e servizi destinati ai portatori di handicap (Code général des impôts, artt. da 278-0 bis).
Un’aliquota ridotta intermedia al 7% è stata introdotta dal 1° gennaio 2012 (IV LFR 2011, art. 13-III e I LFR 2012, art. 2) per le operazioni, beni e servizi assoggettate in precedenza alla riduzione dell’IVA al 5,5 %, ma non considerati “di prima necessità” (Code général des impôts, artt. da 278 bis a 279 bis).
Un’aliquota ridotta al 2,1% è applicabile per determinate prestazioni, ad esempio ai diritti di ingresso alla prima rappresentazione di un determinato spettacolo artistico e all’acquisto di determinati prodotti farmaceutici (Code général des impôts, artt. da 281-quater a 281-nonies).
Nell’ambito della riforma della fiscalità a favore delle imprese del 2011, è stata data una nuova definizione della cifra d’affari e del valore aggiunto necessari al calcolo dell’IVA e delle riduzioni ed esoneri facoltativi della cotisation foncière des entreprises - CFE e della cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises - CVAE (LF 2011, art.108).
È stato inoltre messo
a punto un sistema di consolidamento in
seno a determinati gruppi fiscali anche per il pagamento dell’IVA. Con il nuovo
sistema una sola società di un gruppo fiscale, assoggettato all’IVA, potrà
dichiararsi soggetto d’imposta anche per il pagamento dell’IVA dovuta dagli
altri membri del gruppo, con il loro accordo. Tale società opererebbe così una
forma di compensazione, dichiarando e pagando solo l’ammontare netto dovuto dal
gruppo, e potrebbe eventualmente sollecitare e ottenere il rimborso del credito
d’imposta dell’IVA di tutto il gruppo (IV LFR 2010, art. 50). Le disposizioni sono
entrate in vigore dal 1° gennaio 2012, con la possibilità, in
quella data, di scegliere il nuovo sistema che comunque sarebbe applicato a
partire dal primo giorno del primo esercizio contabile successivo.
Per ciò che riguarda le accise, sono previste diverse imposte sulla fabbricazione, vendita e circolazione di determinati prodotti di consumo, come ad esempio i prodotti del tabacco e le bevande alcoliche. Tali imposte sono denominate comunemente “accises” e sono disciplinate dal Code général des impôts (artt. 302 B e ss).
È inoltre prevista una “tassa interna di consumo” sui prodotti energetici, tra cui i prodotti petroliferi. La tassa è percepita dalla dogana. Le tariffe della tassa sono fissate dal Code des douanes (art. 265).
La «Taxe sur
les transactions financières»
La prima Legge finanziaria correttiva per il 2012 (I LFR 2012, art. 5) ha previsto e disciplinato la tassazione delle transazioni finanziarie con l’obiettivo di assicurare una giusta partecipazione del settore finanziario allo sforzo di raddrizzamento dei conti pubblici, anticipando l’introduzione di un dispositivo analogo a livello europeo. A partire dal 1° agosto 2012, saranno applicate in Francia (Code général des impôts, artt. 235 ter ZD - 235 ter ZD ter) tre tasse relative a: le acquisizioni a titolo di capitale di società quotate in borsa con sede in Francia la cui quotazione di borsa sia superiore a 1 miliardo di euro al 1° gennaio dell’anno d’imposizione; le operazioni finanziarie ad “alta frequenza”; gli acquisti di credit default swaps di uno Stato sovrano.
In Germania, l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Einkommensteuer) è disciplinata dall’Einkommensteuergesetz - EStG (Legge sull’imposta sul reddito) nel testo coordinato dell’8 ottobre 2009, modificato da ultimo il 22 giugno 2011. L’imposta ha carattere progressivo e si applica alle seguenti tipologie di reddito:
§ proventi derivanti da attività agricole e forestali (§§ 13-14a EStG);
§ redditi derivanti da attività commerciali o industriali (§§ 15–17 EStG);
§ redditi da lavoro autonomo (§ 18 EStG);
§ redditi da lavoro dipendente (§§ 19–19a EStG);
§ redditi da capitale (§ 20 EStG);
§ proventi da noleggio e leasing (§ 21 EStG);
§ altri proventi (§§ 22–23 EStG).
La seguente tabella riassume le aliquote dell’imposta sul reddito per l’anno 2011:
Reddito
(in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 8.004 |
0% |
Da 8.005 a 52.881 |
14% |
Da 52.882 a 250.730 |
42% |
Oltre 250.730 |
45% |
Su tale imposta è applicata, inoltre, un’addizionale di solidarietà sociale (Solidaritätszuschlag) pari al 5,5% (Solidaritätszuschlaggesetz, art. 4).
Ai sensi dell’articolo 106, commi 3 e 5, della Legge fondamentale, le entrate derivanti dall’imposta sul reddito spettano alla Federazione, ai Länder e ai comuni. Questi ultimi ricevono il 15% del gettito dell’imposta sul reddito, mentre il restante 85% è diviso a metà (42,5% ciascuno) tra il Governo federale e i governi dei singoli Länder. Responsabile dell’accertamento e del prelievo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è l’ufficio delle imposte (Finanzbezirk) del distretto in cui è domiciliato il contribuente.
Il sistema riguardante la tassazione delle imprese (Unternehmensbesteuerung) comprende tre categorie di imposte: imposta sui redditi delle società; imposta sul giro d’affari; imposta sul patrimonio.
L’imposta sui redditi di impresa (ditta individuale, società di persone e società di capitali) è riscossa in tutta la Germania in modo uniforme.
I redditi delle ditte individuali e delle società di persone sono tassati sulla base del “principio della trasparenza” (Transparenzprinzip), in quanto sono assoggettati all’imposta sul reddito (Einkommesteuer) dei soci dell’impresa stessa, ai sensi del § 15, comma 1, periodo 1, n. 2, della Legge sull’imposta sul reddito (Einkommesteuergesetz). Il socio, dunque, sarà chiamato al pagamento dell’imposta sul reddito sulla base delle sue entrate derivanti dalla società di persone.
La tassazione delle società di capitali si basa, invece, sul “principio della separazione” (Trennungsprinzip); gli utili sono assoggettati all’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Körperschaftsteuer), ai sensi dell’omonima legge federale (Körperschaftsteuergesetz).
L’aliquota fiscale ordinaria è del 15%; analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, anche sull’imposta che grava sulle società è applicata un’addizionale di solidarietà sociale (Solidarietätszuschlag) pari al 5,5%, che porta quindi l’aliquota effettiva al 15,83%.
Anche i dividendi sono soggetti a tassazione. Quelli percepiti da persona fisica non titolare di reddito d’impresa sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta con aliquota effettiva del 26,38% (percentuale del 25% aumentata dall’addizionale 5,4%). Per i dividendi percepiti da persona fisica titolare di reddito d’impresa è stabilita, invece, una tassazione del 60%, secondo le aliquote previste per le persone fisiche. I dividendi percepiti da persona giuridica sono esenti da tassazione, ad eccezione di una somma pari al 5% dei dividendi lordi percepiti, a titolo di spese indeducibili.
Le società che esercitano un’attività
d’impresa sono inoltre soggette all’imposta locale sugli affari, disciplinata dall’omonima Legge (Umsatzsteuergesetz).
L’imposta è calcolata applicando all’aliquota base del 3,5% un moltiplicatore
che varia, a seconda delle zone, dal 200% al 490%. L’imposta locale sugli
affari non è deducibile dall’imposta sul reddito.
Le proprietà immobiliari, sia possedute a titolo privato sia appartenenti al patrimonio aziendale, sono soggette all’imposta locale applicata al valore fiscale dell’immobile. L’imposta è calcolata applicando all’aliquota base dello 0,35% un moltiplicatore che varia, a seconda delle zone, dal 280% all’810%. L’imposta sugli immobili è deducibile dall’imposta sul reddito e dall’imposta locale sugli affari.
Oltre al sistema di tassazione appena delineato, si segnalano – in riferimento agli ultimi anni - due provvedimenti legislativi che hanno interessato la fiscalità societaria, il primo contenente misure di sgravio fiscale, il secondo l’estensione della eco-tassa ad imprese esentate fino a quel momento.
La legge per l’accelerazione della crescita economica, del 22 dicembre 2009 (Gesetz zur Beschleunigung des Wirtschaftswachstums (Wachstumsbeschleunigungsgesetz), ha introdotto alcune misure finalizzate alla semplificazione e all’alleggerimento della gestione fiscale delle piccole e medie imprese:
§ possibilità di dedurre gli interessi fiscali passivi. La soglia di esenzione per il limite degli interessi (Zinsschranke) sulla durata è di tre milioni di euro. Sono considerati deducibili gli interessi passivi che, al netto degli interessi attivi, non eccedano il limite del 30% del EBITDA (utile al lordo di interessi, imposte e ammortamento);
§ possibilità di dedurre ulteriormente le perdite subite a causa del risanamento economico. Anche i nuovi soci possono dedurre le perdite, purché reinvestano nell’impresa o mantengano i posti di lavoro;
§ possibilità di ammortizzare nell’esercizio i beni di valore inferiore a 410 euro. In alternativa è concessa una singola posizione contabile (Sammelposten) per tutti i beni di valore compreso tra 150 e 1000 euro.
La legge finanziaria per il 2010 (Gesetz über die Feststellung des Bundeshaushaltsplans für das Haushaltsjahr 2010 -Haushaltsgesetz 2010) ha introdotto l’eco-tassa anche per le imprese che prima ne erano esentate, mentre le compagnie aeree vengono coinvolte nel meccanismo fiscale legato al bilancio di emissioni di anidride carbonica, anticipando così una misura che sarà prevista a livello europeo dal 2013.
La manovra coinvolge le imprese, sia attraverso l’introduzione di una tassa sui carburanti (come compensazione del ricorso all’energia atomica), sia attraverso la partecipazione, a partire dal 2012, del settore bancario ai costi della crisi finanziaria, con la reintroduzione del privilegio fiscale nella procedura fallimentare e con l’obbligo per la Deutsche Bahn (le ferrovie tedesche) di versare un consistente dividendo allo Stato.
L’imposta sul valore aggiunto (Umsatzsteuer) è regolata in Germania, in ottemperanza con le direttive comunitarie in materia, dalla Umsatzsteuergesetz (UStG), del 26 novembre 1979, modificata da ultimo il 21 luglio 2011 (BGBl. I. S. 1501).[30]
L’aliquota ordinaria dell’IVA è pari al 19% (art. 12 comma 1 UStG) ed è stata progressivamente innalzata nel corso degli anni, salendo in particolare dal 16 al 19% a partire dal 1° gennaio 2007.
L’aliquota ridotta del 7% (art. 12 comma 2 UStG) è riservata ad alcune tipologie di beni e attività commerciali:
§ fornitura di cibo;
§ latte e bevande a base di latte;
§ fornitura di libri, giornali e riviste;
§ trasporto pubblico su percorsi inferiori a 50 km
§ trasferimento, concessione ed esercizio dei diritti derivanti dal diritto d'autore;
§ prestazioni di odontotecnici e dentisti, quali installazioni di protesi e apparecchi ortodontici;
§ biglietti per concerti, spettacoli teatrali e musei, proiezione di film, spettacoli circensi e altre manifestazioni artistiche;
§ prestazioni della associazioni senza scopo di lucro.
Per le aziende è possibile anche pagare l’IVA sottoponendosi ad un calcolo forfettario, senza quindi dover calcolare l’importo in base alle singole fatture, risultante dall’applicazione dell’aliquota del 7% al fatturato dell’azienda (art. 23 UStG).
Sono del tutto esenti dall’IVA alcune specifiche prestazioni (art. 4 UStG), tra le quali:
§ forniture verso paesi extraeuropei;
§ forniture ad aziende comunitarie;
§ vendite e servizi sottoposti alla normativa sulle assicurazioni, scommesse e lotterie, servizi postali;
§ buona parte dei servizi bancari agli individui;
§ servizi postali;
§ trasporto aereo e marittimo;
§ affitto e cessione di terreni;
§ attività medica e ospedaliera, tranne alcune prestazioni odontoiatriche.
Sono inoltre esentate dal pagamento dell’IVA le piccole aziende, il cui fatturato nell’anno solare precedente non abbia oltrepassato i 17.500 euro e che non preveda di superare i 50.000 euro nell’anno in corso (art. 19 UStG).
Secondo i dati dell’istituto federale di statistica, le entrate derivanti dalla riscossione dell’IVA nel 2010 hanno raggiunto la cifra di 136 miliardi di euro, contribuendo in questo modo ad oltre un quarto delle entrate fiscali tedesche[31].
Le accise sono regolate da norme specifiche, a seconda della tipologia di beni a cui si applicano. Originariamente tali imposte gravavano su categorie di beni di lusso, mentre ora colpiscono numerose tipologie di beni di consumo quotidiano e generalizzato. La normativa tedesca, in particolare, prevede la tassazione di combustibili fossili e nucleari, energia, caffè, tabacco e alcolici.
La competenza normativa in materia di accise è della Federazione (Bund) (Grundgesetz, art. 106, comma 1, n. 2,), in quanto è quest’ultima a riscuoterne i proventi. Un’eccezione è rappresentata dalla tassa sulla birra, di competenza regionale. Le tasse sui consumi locali sono invece di competenza dei Länder e il loro gettito va agli enti locali.
Quella che produce il maggior gettito è l’accisa sui combustibili[32]. Fino al 2006 riguardava solo i combustibili fossili, successivamente si è deciso di applicarla anche ai combustibili derivanti da oli vegetali, biodiesel, bioetanolo e idrocarburi sintetici prodotti da biomassa. L’energia elettrica viene tassata separatamente.
Secondo i dati statistici aggiornati al 2010, la tassa sui combustibili, con quasi 40 miliardi di gettito, rappresenta il 7,5% delle entrate fiscali tedesche.[33]
Le altre accise, in ordine di rilevanza, sono quelle che gravano sul tabacco (13,5 miliardi di euro), sull’energia (6 miliardi), sui superalcolici (1,6 miliardi) e sul caffè (1 miliardo). La tassa sulla birra, l’unica – come ricordato - ad essere riscossa dai Länder, produce un gettito di circa 700 milioni di euro.
L’imposta sul reddito (Income tax), attualmente disciplinata dall’Income Tax Act 2007, si applica al reddito complessivo delle persone fisiche residenti nel Regno Unito, ovunque i redditi siano stati prodotti (c.d. world-wide principle). Tale imposta si applica a differenti tipologie reddituali quali – solo per citare i principali - i redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, i redditi da pensioni, i redditi da locazione, i dividendi, i capital gains e i redditi percepiti dai trust. Viceversa, hanno diritto all’esenzione le seguenti tipologie: redditi derivanti da assegni di mantenimento ai figli; redditi da interessi su rimborsi fiscali; indennità di maternità; pensioni corrisposte alle vedove di guerra; pensioni di invalidità per i disabili.
Ai fini della determinazione della Income tax, il periodo di imposta nel Regno Unito va dal 6 aprile di ogni anno al 5 aprile dell’anno successivo.
L’imposta è soggetta ad aliquote progressive, per scaglioni di reddito, fino a un massimo del 50%. Per ciascuna categoria di reddito la normativa interna prevede specifiche regole di determinazione del reddito complessivo, partendo dai compensi lordi percepiti ed applicando ad essi le deduzioni personali stabilite per legge.
La seguente tabella riporta le aliquote delle imposte sul reddito delle persone fisiche per l’anno fiscale 2011-2012:
Scaglioni di reddito (in sterline) |
Aliquote sui redditi diversi da quelli di capitale |
Aliquote sui redditi da capitale |
Aliquote sui dividendi |
Da 0 a 2.560 (Scaglione base per i redditi da capitale) |
- |
10% |
- |
Da 0 a 35.000 (Scaglione base) |
20% |
20% |
10% |
Da 35.001 a 150.000 |
40% |
40% |
32,5% |
Oltre 150.000 |
50% |
50% |
42,5% |
Inoltre, per ogni anno di imposta, tutti coloro che risultano fiscalmente residenti nel Regno Unito hanno diritto alla cosiddetta Personal Allowance, che consiste in una detrazione di imposta sul reddito personale dal livello di reddito complessivo, purché questo non superi le 100.000 sterline. Per le due fasce di età più avanzate (65-74 anni; dai 75 in avanti) tale detrazione viene aumentata, a condizione che il reddito complessivo non superi le 24.000 sterline. A partire dall’anno fiscale 2011-2012 le tre soglie di reddito deducibile (quella ordinaria e quelle previste per le persone anziane) sono state elevate di 1000 sterline la prima e di 450 sterline ciascuna delle altre due.
La seguente tabella riassume le Personal Allowances per l’anno di imposta 2011/2012[34]:
Personal Allowance |
Limite di reddito |
7.475 (ordinaria) |
100.000[35] |
9.940 (65-74 anni di età) |
24.000 |
10.090 (oltre 75 anni di età) |
24.000 |
La riscossione delle imposte avviene in modo differente, a seconda che il dichiarante sia un lavoratore dipendente o un lavoratore autonomo.
Nel primo caso si applica il cosiddetto sistema PAYE (Pay As You Earn), in base al quale il lavoratore dipendente riceve la propria retribuzione al netto delle ritenute d’acconto prelevate dal datore di lavoro, mentre il saldo definitivo, a credito o a debito, viene determinato annualmente in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi. Analogo criterio viene seguiti per i redditi da pensione.
Per i lavoratori autonomi o nel caso di operazioni fiscali complesse è invece prevista la modalità dell’autodichiarazione (self assessment), che comporta la compilazione e l’invio della propria dichiarazione dei redditi (anche in formato elettronico) all’HM Revenue & Customs (HMRC)[36], (il Dipartimento britannico delle Entrate e delle Dogane).
Con la prima manovra finanziaria del 2010 approvata dal nuovo Parlamento[37] (Finance (No. 2) Act 2010, del 27 luglio 2010), è stata elevata al 28% l’aliquota della tassa sulle rendite finanziarie (Capital gains tax) per i percettori di redditi elevati (higher taxpayers e additional rate taxpayers), ossia per coloro ai quali si applicano le due aliquote più alte dell’imposta sul reddito (rispettivamente, 40% e 50%). Per gli altri percettori di reddito (basic taxpayers), ossia per quanti dichiarano un reddito inferiore alle 35.000 sterline, l’aliquota della tassa sui capital gains resta pari al 18%. Anche per i redditi provenienti dallo svolgimento di determinate attività economiche sono previste più elevate soglie di esenzione fiscale (fino a 5 milioni di sterline di reddito imponibile per i casi in cui sono applicabili le esenzioni note come Entrepreneur’s relief).
L’imposta sulle società (Corporation tax) è applicata sugli utili delle società di capitali (le companies, enti dotati di piena personalità giuridica ai sensi del Company Act), delle stabili organizzazioni di società non residenti nel Regno Unito (per la quota di utili attribuibile ad esse), delle società cooperative, nonché sui profitti generati da enti di beneficenza o da altri enti privi di personalità giuridica.
Analogamente alle persone fisiche, anche le società sono soggette alla tassa sui capital gains (nel caso delle società, la tassa è denominata “Corporation tax on chargeable gains”), che si applica altresì ad ogni profitto scaturente dall’attività di negoziazione ed investimento (ad eccezione dei dividendi).
Per le società, l’esercizio fiscale va dal 1° aprile di ogni anno al 31 marzo dell’anno successivo. Se, come spesso accade, il periodo contabile di una società non coincide con l’esercizio fiscale, è necessario ripartire gli utili tra i due esercizi fiscali di riferimento, considerato che il contribuente è tenuto a pagare l’imposta entro nove mesi dalla fine del periodo contabile, mentre la dichiarazione dei redditi va presentata entro dodici mesi dalla stessa data.[38]
Tra le misure di agevolazione alle imprese, annunciate nel 2010 dal nuovo Governo Cameron ed orientate a creare le condizioni per la ripresa economica nazionale, è stata previsto un abbassamento della Corporation tax di quattro punti percentuali, dal 28% al 24%, nell’arco di quattro anni, a decorrere dall’aprile 2011. Il minor gettito è bilanciato dalla riduzione della capital allowance, ossia delle detrazioni in conto capitale di cui si avvalgono le imprese.
È inoltre prevista l’applicazione di un’aliquota ridotta, pari al 20%, per le piccole imprese (small companies) con profitti non superiori a £ 300.000. Le società che rilevano utili superiori alla soglia suddetta, ma inferiori alla soglia minima prevista per l’applicazione dell’aliquota ordinaria (£ 1.500.000), hanno diritto di scomputare dall’imposta, calcolata mediante l’applicazione dell’aliquota ordinaria, un tasso marginale di riduzione denominato Marginal Rate Relief, dipendente dalla tipologia di attività esercitata, dal periodo contabile e dal reddito imponibile dichiarato.
La diminuzione del primo punto (dal 28% al 27%) è stata introdotta dal Finance (No. 2) Act 2010, mentre l’ultima legge finanziaria (Finance Act 2011, del 19 luglio 2011) ha ridotto l’imposta del secondo punto, portando così l’aliquota all’attuale 26% per l’anno fiscale 2011-2012 (art. 4 della legge).
Inoltre, l’art. 5 del Finance Act 2011 ha già previsto l’ulteriore (e penultima, secondo il piano del Governo) riduzione dell’1% per l’anno 2012-2013.
L’imposta sul valore aggiunto (Value Added Tax – VAT) è stata introdotta nel Regno Unito nel 1973 in seguito all’ingresso del Paese nella Comunità Europea. La VAT è attualmente disciplinata dalla Value Added Tax 1994.
Dal punto di vista procedurale, il sistema si basa sull’istituto della rivalsa dell’Iva relativa agli acquisti, che si contrappone all’imposta dovuta sulle operazioni attive compiute, mentre per i soggetti passivi l’obbligo di registrazione ai fini Iva scatta quando il volume di affari, conseguito nei 12 mesi precedenti e relativo alle operazioni imponibili effettuate all’interno del Regno Unito, supera il limite delle 73mila sterline. Qualora il contribuente ritenga che il superamento del suddetto limite sia una circostanza del tutto eccezionale e temporanea, lo stesso potrà richiedere una deroga all’obbligo di registrazione ai fini IVA attraverso la presentazione di un’apposita istanza all’HMRC, nella quale andrà indicato e motivato in dettaglio il carattere di eccezionalità e temporaneità delle operazioni compiute.
L’art. 3 del Finance (No. 2) Act 2010 ha aumentato di 2,5 punti l’aliquota ordinaria IVA, che è dunque salita dal 17, 5% al 20% a decorrere dal 4 gennaio 2011.
La legislazione britannica prevede inoltre un’aliquota ridotta, pari al 5%, per i seguenti beni e servizi:
§ sedili auto per bambini;
§ carburante per uso domestico;
§ materiali e installazioni a risparmio energetico;
§ materiali per il riscaldamento;
§ fornitura di gas;
§ ristrutturazione di immobili e modifiche alla destinazione d’uso degli edifici;
§ prodotti sanitari femminili.
Sono invece esenti dalla VAT alcune tipologie di beni e servizi, tra le quali:
§ prodotti per l’infanzia;
§ prodotti editoriali (libri e giornali);
§ alimenti;
§ locazione di terreni e fabbricati;
§ servizi di istruzione ed educazione;
§ servizi medici;
§ servizi postali forniti dalla Royal Mail.
Al fine di contrastare le frodi nel settore delle accise, dal 1° ottobre 2006 il Regno Unito impone l’applicazione di speciali contrassegni sulle bevande alcoliche destinate al mercato interno. Pertanto tutti prodotti alcolici, vini o vini fabbricati con aggiunta di alcole, aventi una gradazione uguale o superiore a 30% vol. e contenuti in recipienti di capacità da 35 cl o superiori, dovranno essere muniti di un particolare “sigillo” (stamp duty) volto a dimostrare l’avvenuto pagamento dell’accisa.
Sempre sul versante della lotta alle frodi fiscali, il Finance (No. 3) Act 2010, del 16 dicembre 2010 (in vigore dal 1° aprile 2011) ha previsto nuove misure di rafforzamento dei poteri di controllo per porre un freno all’evasione delle accise (art. 29 e allegato 13).
L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas-IRPF) è disciplinata dalla Ley 35/2006 e dal relativo regolamento contenuto nel Real Decreto 439/2007.
La Ley 39/2010, de 22 de diciembre, de Presupuestos Generales del Estado para el año 2011 (legge di bilancio per il 2011) ha aggiunto due nuove aliquote alle quattro previste dalla legge del 2006 (art. 63): una quinta aliquota del 44% per i redditi superiori a 120.000,20 euro e una sesta aliquota del 45% per i redditi superiori a 175.000,20 euro.
In sintesi, le aliquote IRPF per il 2011 sono le seguenti:
Reddito (in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 17.707,20 |
24% |
Da 17.707,21 a 33.007,20 |
28% |
Da 33.007,21 a 53.407,20 |
37% |
Da 53.407,21 a 120.000,20 |
43% |
Da 120.000,21 a 175.000,20 |
44% |
Oltre 175.000,20 |
45% |
La seconda disposizione finale del Real Decreto-ley 20/2011, de 30 de diciembre, de medidas urgentes en materia presupuestaria, tributaria y financiera para la corrección del déficit público ha aggiunto una trentacinquesima disposizione aggiuntiva alla citata legge 35/2006, stabilendo delle addizionali temporanee alle predette aliquote rispettivamente dell0 o,75%, del 2%, del 3%, del 4%, del 5%, del 6% e del 7% (distinguendo in quest’ultimo caso i redditi tra 175.000,21 e 300.000,20 euro ed oltre tale cifra). Pertanto le aliquote IRPF complessive per il 2012 e per il 2013 sono le seguenti:
Reddito (in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 17.707,20 |
24,75% |
Da 17.707,21 a 33.007,20 |
30% |
Da 33.007,21 a 53.407,20 |
40% |
Da 53.407,21 a 120.000,20 |
47% |
Da 120.000,21 a 175.000,20 |
49% |
Da 175.000,21 a 300.000,20 |
51% |
Oltre 300.000,20 euro |
52% |
L’imposta patrimoniale (Impuesto sobre el Patrimonio), disciplinata dalla Ley 19/1991, è stata di fatto soppressa a decorrere dal 1° gennaio 2008. L’art. 33 della legge, come modificato dalla Ley 4/2008, ha disposto infatti un bonus del 100% sulla quota intera dell’imposta per i soggetti passivi obbligati al pagamento.
Tuttavia il Real Decreto-ley 13/2011, de 16 de septiembre, por el que se restablece el Impuesto sobre el Patrimonio, con carácter temporal, ripristinando la precedente versione dell’art. 33 (quella vigente fino al 2008), ha mantenuto tale imposta con carattere temporaneo per gli anni 2011 e 2012. Il 1° gennaio 2013, salvo ovviamente ulteriori modifiche che dovessero essere approvate nel frattempo, tornerà infatti in vigore il testo dell’art. 33 così come formulato dalla Legge 4/2008 e verrà dunque sancita la definitiva abolizione dell’imposta.
L’imposta grava sui contribuenti con redditi superiori a 700.000 euro, con un’esenzione di 300.000 euro per il valore dell’abitazione principale (vivienda habitual) ed è applicata con aliquote comprese tra lo 0,2% e il 2,5%. Il gettito proveniente dalle nuove imposte è riscosso dai Governi delle Comunità autonome, che sono anche autorizzati a modificare le aliquote e le soglie di esenzione.
L’Impuesto sobre sociedades è regolata dal Real Decreto Legislativo 4/2004.
L’aliquota dell’imposta sul reddito delle società è dal 2008 del 30%. Per il periodo impositivo iniziato il 1° gennaio 2011, alle piccole e medie imprese (Empresas de Reducida Dimensión) con fatturazione fino a 10 milioni di euro è applicabile un’aliquota ridotta del 25% per la base imponibile fino a 300.000 euro (restando del 30% per la quota che supera tale cifra). Analogamente alle imprese con fatturazione fino a 5 milioni di euro e con meno di 25 dipendenti sono applicabili due aliquote ridotte: 20% fino a 300.000 euro, 25% per la restante base imponibile. Tale ultima misura è stata estesa anche al 2012 dal citato decreto-legge 20/2011.
L’art. 9 del Real Decreto-Ley 9/2011 ha introdotto alcune novità in materia di imposta sulle società. Le misure adottate sono rivolte soprattutto alle grandi aziende e non comportano aumenti impositivi, modificando solo alcuni aspetti, quali i pagamenti frazionati.
Imposte a
carico delle persone fisiche e giuridiche
L’Impuesto sobre Bienes Inmuebles (IBI) è disciplinata dalla Ley Reguladora de las Haciendas Locales di cui al Real Decreto Legislativo 2/2004 (artt. 60 e ss.), nonché dalla Ley del Catastro Inmobiliario di cui al Real Decreto Legislativo 1/2004.
Essa è dovuta dalle persone fisiche e giuridiche proprietarie di immobili; l’aliquota varia a seconda del comune interessato.
Il citato decreto-legge 20/2011 ha disposto un incremento del gravame del 10% per gli immobili con revisione catastale anteriore al 2012.
L’Impuesto sobre Actividades Económicas è un’imposta comunale che grava su tutte le attività economiche di persone fisiche e giuridiche ed è disciplinata dal Real Decreto Legislativo 1175/1990 e dalla Ley Reguladora de las Haciendas Locales di cui al Real Decreto Legislativo 2/2004 (artt. 78 e ss.). Essa consiste in un importo forfettario stabilito dall’ente territoriale competente a seconda del territorio in cui si esercita l’attività, a cui si aggiungono o sottraggono dei coefficienti correttivi.
IVA, accise
ed altre imposte indirette
L’Impuesto sobre el valor añadido (IVA) è regolata dalla Ley 37/1992 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 1624/1992.
A partire dal 1° luglio 2010, essa comprende tre aliquote: 18% (ordinaria); 8% (ridotta), prevista tra l’altro per alcuni prodotti alimentari e sanitari e per il trasporto passeggeri, 4% (superridotta) per i prodotti di prima necessità, come verdure, latte, pane, frutta, e per libri, riviste e specialità farmaceutiche. In precedenza le aliquote previste erano rispettivamente: 16%, 7% e 4%.
Il Real Decreto-Ley 9/2011 ha
disposto, alla quarta disposizione transitoria,
che per il periodo compreso tra il 20 agosto 2011 e il 31 dicembre 2011 si
applichi l’aliquota superridotta del 4% (in luogo di quella dell’8%)
alle consegne di immobili residenziali (inmuebles
destinados a vivienda). Tale ultima misura è stata estesa anche al 2012 dal citato decreto-legge 20/2011.
Esistono inoltre diverse accise (Impuestos especiales), previste dalla Ley 38/1992 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 1165/1995. Tra queste, le imposte speciali di fabbricazione su alcool e bevande alcoliche, idrocarburi, prodotti del tabacco, elettricità.
Sempre nell’ambito dell’imposizione indiretta, da quasi 20 anni è in vigore l’imposta sui trasferimenti patrimoniali (Impuesto sobre Transmisiones Patrimoniales y Actos Jurídicos Documentados), disciplinata dal Real Decreto Legislativo 1/1993 e dal relativo regolamento di cui al Real Decreto 828/1995. Essa prevede tre aliquote: 7%, per i beni immobili e diritti reali su immobili; 4%, per beni mobili o semimobili; 1%, per diritti reali di garanzia, prestiti e cessione di crediti.
La riforma
del finanziamento e della fiscalità delle Comunità autonome
In Spagna, le Comunità autonome godono di “autonomia finanziaria, per lo sviluppo e l’esecuzione delle loro competenze con riguardo ai principi di coordinamento con la finanza statale e di solidarietà fra tutti gli spagnoli” (art. 156 della Costituzione). Le entrate delle Comunità sono “costituite da:
a) imposte cedute totalmente o parzialmente dallo Stato, addizionali su imposte statali e altre partecipazioni nelle entrate statali;
b) proprie imposte, tasse e contributi speciali;
c) contributi di un fondo di compensazione interterritoriale e altre assegnazioni a carico del Bilancio generale dello Stato;
d) rendite derivanti dal loro patrimonio ed entrate di diritto privato;
e) proventi di operazioni di credito” (art. 158 Cost.).
A partire dagli anni ’90 sono state attuate alcune riforme del sistema fiscale, ispirate ai principi del federalismo fiscale, che hanno ridotto la dipendenza dai trasferimenti statali. L’autonomia finanziaria è stata ampliata con la cessione di maggiore tributi statali, inclusi i relativi poteri impositivi. I tributi ceduti sono di titolarità nazionale, ma lo Stato ha effettuato una cessione alle Comunità di alcune competenze.
Da ultimo, la Legge 22/2009, a carattere ordinario, ha disciplinato il nuovo sistema di finanziamento delle quindici Comunità di regime comune (con esclusione solamente dei Paesi baschi e della Navarra) e delle Città autonome di Ceuta e di Melilla, mentre la Legge organica 3/2009 ha apportato le dovute modifiche alla precedente Legge organica 8/1980 sul finanziamento delle Comunità autonome.
In aggiunta ai principi costituzionali dell’autonomia finanziaria delle Comunità autonome, del coordinamento con la finanza statale e della solidarietà tra i cittadini, sanciti dall’art. 156 della Costituzione e sviluppati dalla legge organica 8/1980, la Legge organica 3/2009 ha aggiunto altri due principi:
1) la garanzia di un livello base equivalente nel finanziamento dei servizi pubblici fondamentali, indipendentemente dalla Comunità autonoma di residenza;
2) la corresponsabilità delle Comunità autonome e dello Stato, in accordo con le loro competenze in materia di entrate e di spese pubbliche.
L’attuazione del primo principio si realizza mediante la creazione del Fondo di Garanzia dei Servizi Pubblici Fondamentali (Fondo de Garantía de Servicios Públicos Fundamentales), che ha il fine di assicurare alle diverse Comunità le medesime risorse per abitante, con riguardo a servizi pubblici fondamentali come l’istruzione, la sanità e i servizi sociali essenziali. L’introduzione del nuovo fondo determina la modifica del preesistente Fondo di Sufficienza (Fondo de Suficiencia), che viene destinato a coprire la differenza tra le necessità di spesa di ogni singola Comunità e la somma di tutte le loro risorse tributarie e dei trasferimenti che esse ricevono dal Fondo di Garanzia dei Servizi Pubblici Fondamentali; cambia anche la denominazione del fondo, rinominato Fondo di Sufficienza Globale (Fondo de Suficiencia Global), in quanto destinato ad assicurare le necessità di finanziamento delle Comunità in relazione a tutte le competenze esercitate.
Il principio della corresponsabilità fiscale tra Stato e Comunità autonome riceve invece un’ulteriore spinta dall’aumento della quota di tributi statali ceduti alle Comunità autonome e dal conseguente ampliamento delle competenze normative ad esse assegnate. In particolare:
§ la cessione parziale dell’IRPF (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas) passa dal 33% al 50%;
§ la cessione parziale dell’IVA (Impuesto sobre el Valor Añadido) passa dal 35% al 50%;
§ la percentuale di cessione delle diverse Imposte di Fabbricazione (Impuestos Especiales de Fabricación) passa dal 40% al 58% (accise sui tabacchi, sugli alcolici e gli altri prodotti intermedi e sugli idrocarburi).
Un altro punto degno di menzione nella legge organica 3/2009 è costituito dalla definizione delle incompatibilità tra tributi locali e statali: non si fa più riferimento alla “materia imponibile” ma più limitatamente al “fatto imponibile”, al fine di ridurre la conflittualità tra Stato e Comunità autonome nella ripartizione dei tributi.
A sua volta la legge 22/2009, oltre a completare e a trattare in dettaglio, per la sua parte, i punti della riforma esposti, ha disciplinato due nuovi fondi di convergenza autonomica (fondos de convergencia autonómica), creati con risorse aggiuntive dello Stato, sempre al fine di garantire l’uguaglianza tra i cittadini e favorire l’equilibrio economico e territoriale delle Comunità autonome.
In dettaglio, sono stati istituiti: il Fondo di Competitività (Fondo de Competitividad), inteso a rafforzare l’equità e l’efficienza nel finanziamento delle necessità dei cittadini e ridurre le differenze nelle risorse pro capite tra le Comunità, incentivando al contempo l’autonomia e la capacità fiscale delle regioni; il Fondo di Cooperazione (Fondo de Cooperación), che ha il fine ultimo di equilibrare e armonizzare lo sviluppo regionale, stimolando la crescita della ricchezza e la convergenza tra le Comunità autonome in termini di reddito.
La legge 22/2009, infine, con riguardo alla cessione di altri tributi statali, introduce alcune modifiche relative all’imposta sui trasferimenti patrimoniali e gli atti giuridici documentati, alla tassa sulle riffe, tombole, scommesse e combinazioni aleatorie, all’imposta sull’elettricità e all’imposta speciale su determinati mezzi di trasporto.
In attuazione del nuovo sistema di finanziamento regionale, si è resa quindi necessaria l’approvazione nel 2010 di quindici leggi di modifica degli statuti di autonomia delle singole Comunità autonome[39], al fine di recepire il nuovo regime generale di cessione dei tributi dello Stato, che prevede l’aumento della quota di gettito ceduto alle regioni in relazione ad alcune imposte. In particolare è stata inserita, in ciascuno degli statuti delle Comunità, la cessione parziale dell’IRPF al 50%, la cessione parziale dell’IVA al 50% (ad eccezione delle Isole Canarie) e la percentuale di cessione delle diverse imposte di fabbricazione al 58%.
È stato infine ceduto interamente alle comunità autonome il gettito relativo alle seguenti imposte: imposta sul patrimonio, imposta sulle successioni e donazioni, imposta sui trasferimenti patrimoniali e gli atti giuridici documentati, imposta speciale sull’elettricità, imposta speciale su determinati mezzi di trasporto (ad eccezione delle Canarie), imposta sulle vendite al dettaglio di determinati idrocarburi (ad eccezione delle Canarie), tributi su giochi e scommesse.
Approvazione della Legge organica in
materia di stabilità di bilancio e sostenibilità finanziaria
La Ley
Orgánica 2/2012, de 27 de abril, de Estabilidad Presupuestaria y Sostenibilidad
Financiera ha dato attuazione all’art. 135 della Costituzione, come modificato
nel 2011, in materia di stabilità di bilancio.
La legge fissa i principi vincolanti per i
pubblici poteri, a cui deve adeguarsi la politica di bilancio del settore
pubblico orientata alla stabilità di bilancio e alla sostenibilità finanziaria,
nonché i relativi procedimenti di effettiva applicazione. Tale politica
concerne le pubbliche amministrazioni: l’Amministrazione centrale (Stato e
organi dell’Amministrazione centrale), le Comunità autonome, gli enti locali,
le amministrazioni della Sicurezza sociale, nonché enti pubblici
imprenditoriali, società commerciali e altri enti di diritto pubblico
dipendenti dalle pubbliche amministrazioni. I principi stabiliti dalla legge
sono i seguenti: stabilità di bilancio, sostenibilità finanziaria, pluriannualità,
trasparenza, efficienza nell’assegnazione e utilizzazione delle risorse
pubbliche, lealtà istituzionale. Lo Stato e le Comunità autonome
potranno incorrere nel deficit strutturale solo in caso di catastrofi naturali,
recessione economica grave o situazioni di emergenza straordinaria che sfuggono
al controllo delle pubbliche amministrazioni e pregiudicano considerevolmente
la loro situazione finanziaria o la sostenibilità economica o sociale, previa
approvazione da parte della maggioranza assoluta del Congresso dei deputati.
Il Governo potrà, infine, sottoporre al
vaglio del Tribunale costituzionale tutte le disposizioni normative e le
risoluzioni adottate dagli organi delle Comunità autonome, nonché gli stessi
bilanci di ciascuna Comunità, che violino i principi del nuovo articolo 135
della Costituzione.
[1] L’imposta colpiva nella misura del 7,5 per
mille il patrimonio imponibile e nella misura del 15% la parte del reddito
superiore al 6% del patrimonio.
[2] Si ricorda che la costituzione di una
Commissione parlamentare bicamerale per l’esame di decreti legislativi
attuativi è stata, da ultimo, prevista dalla legge 5 maggio 2009, n. 42,
recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
[3] http://www.finanze.gov.it/stat_dbNew2011/contenuti/Comunicato_stampa22mar2013.pdf
[4] http://www.tesoro.it/documenti/open.asp?idd=28892
[5] Il documento di consultazione ed I pareri
sono reperibili al seguente indirizzo internet:
http://www.oecd.org/document/52/0,3746,en_2649_33747_49679284_1_1_1_1,00.html
[6] Documentazione depositata nell’audizione del 6 giugno 2012 presso la Commissione Finanze della Camera dei deputati.
[7] Il 10 novembre 2011 la Commissione Finanze
della Camera dei deputati ha approvato il Libro verde della Commissione UE.
[8] Cfr. la scheda informativa “il quoziente familiare” sul sito Service public.it:
http://vosdroits.service-public.fr/particuliers/F2705.xhtml#N100CF. Cfr. anche
Luca Conte Papuzzi, “In Francia il quoziente familiare riduce la progressività”
(2007), articolo pubblicato sul sito “Fisconelmondo.it”:
http://www.famiglienumerose.org/news_files/Francia_qfam.pdf.
[9] L’ISF è un’imposta dichiarativa e
auto-liquidata. Entro il 15 giugno le persone assoggettate all’ISF devono esse
stesse fare una stima dettagliata del valore dei loro beni al 1° gennaio
dell’anno di riferimento, calcolare l’ammontare dell’imposta e inviare la loro
dichiarazione, accompagnata dal pagamento all’ordine del Tesoro Pubblico, al
servizio delle imposte delle imprese da cui dipende il loro domicilio. Per un
approfondimento sull’attuale ISF si segnala la scheda su L’impôt de solidarité sur la
fortune sul portale Impots.gouv.fr.
[10] È stato calcolato che con la riforma circa
300.000 francesi non saranno più tenuti all’ISF.
[11] Per un approfondimento sulla fiscalità applicata ai diritti di
successione e le relative riduzioni ammesse si segnala la scheda del portale
d’informazione giuridica Net-IRIS relativa al Barème
des droits de succession.
[12] Per una
descrizione generale dell’imposizione fiscale delle società in Francia, si segnala
dallo studio Deloitte - Confindustria, Imposizione
societaria - Regimi fiscali a confronto, giugno 2011, il capitolo dedicato
alla Francia (pp. 25-33).
[13] La taxe
professionnelle è stata abolita dalla Loi
de finances 2010, n.2009-1673 (LF 2010). Accusata dagli imprenditori di
penalizzare i loro investimenti e di favorire le “delocalizzazioni”, la taxe era versata dalle imprese e serviva
a finanziare soprattutto le collettività territoriali ed altri organismi, quali
le camere di commercio o le camere dei mestieri. Per le imprese gli effetti
della riforma sono stati immediati. Per le collettività territoriali,
l’attuazione si sta realizzando in due tappe: nel 2010 le collettività
territoriali hanno percepito il prodotto della tassa professionale con la garanzia
di un gettito non inferiore a quello percepito nel 2009, in modo che i bilanci
2010 non fossero colpiti dalla riforma; a partire dal 2011, le collettività
territoriali beneficiano delle nuove imposte a loro favore, per un ammontare
totale almeno equivalente a quello delle precedenti entrate fiscali.
[14] Loi n. 2010-658 du 15 juin 2010 relative à l’entrepreneur individuel à
responsabilité limité. Il nuovo dispositivo previsto dalla legge permette
all’imprenditore di dichiarare, al registro di commercio o al repertorio dei
mestieri, secondo il caso, la lista dei beni che egli intende destinare
all’attività professionale, distinguendoli dal suo patrimonio personale. La
riforma permette quindi di proteggere il patrimonio personale dell’imprenditore
in caso di difficoltà.
[15] Nell’ambito delle uscite deducibili dal reddito imponibile delle
società figurano, tra gli altri, i gettoni di presenza per gli amministratori
non dipendenti della società ed altre forme di compenso e remunerazioni,
deducibili per una parte. Tali deducibilità sono state progressivamente
ridotte, ad esempio dal 2009 la deduzione fiscale delle liquidazioni (parachutes dorés) concesse dalle società
anonime quotate in borsa ai presidenti, direttori generali, amministratori
delegati o membri dei direttivi è stata limitata solo ad una quota di tali
liquidazioni che non deve superare, per ogni beneficiario, sei volte il tetto
annuale della sicurezza sociale (LF 2009, art. 21).
[16] Dal 1° gennaio 2010 sugli acquisti (prima
deducibili) da Paesi “non cooperativi”, ossia Paesi extracomunitari senza
accordi di scambio d’informazioni con la Francia, viene applicata una ritenuta
alla fonte del 50%.
[17] Vedi infra.
[18] La
cifra d’affari (CA) rappresenta la somma degli affari (escluse le tasse)
realizzati dall’impresa con i terzi nell’esercizio della sua normale attività
professionale normale e corrente. La CA permette di apprezzare la dimensione
dell’impresa e corrisponde alla somma delle vendite di merci, prodotti
fabbricati, delle prestazioni di servizi e dei prodotti delle attività
collegate.
[19] I dati sono tratti dalla pagina web su l’impôt des sociétés del portale
dell’amministrazione fiscale francese Impots.gouv.fr.
[20] La riforma armonizza il regime delle società
di persone con quello degli altri Paesi UE attraverso la determinazione del
reddito imponibile e un’imposizione fiscale calcolati sui risultati d’impresa a
livello di associati (a differenza del precedente sistema che operava il
calcolo fiscale a livello di società, ma l’imposizione a livello di associato).
[21] Fino a 15 milioni di euro l’IFA non è
dovuta.
[22] KPMG,
Choix concurrentiels 2008. Guide
pour la localisation des entreprises à l’échelle internationale : comparaison
de la compétitivité de 10 pays pour les coûts d’implantation et d’activités
d’une entreprise (Allemagne, Australie, Canada, Etats-Unis, France, Japon,
Italie, Mexique, Pays-Bas, Royaume-Uni)
[23] In Francia il credito d’imposta “ricerca” (crédit d’impôt recherche - CIR) è
un’agevolazione fiscale destinata ad incoraggiare le imprese in materia di
R&S. Il CIR consiste in una riduzione d’imposta calcolata in funzione delle
spese di R&S dell’impresa. L’eccedenza del CIR non ancora impegnato fa
nascere un credito nei confronti dello Stato che l’impresa può utilizzare.
[24] Il prestito “PTZplus”
non può essere concesso che per l’abitazione principale e a persone fisiche che
non siano state proprietarie di alloggio nei due anni precedenti l’emissione
dell’offerta di prestito. La legge prevede alcune eccezioni per i titolari di
una carta d’invalidità, per coloro che beneficiano di un sussidio per
handicappati o per le vittime di catastrofi che abbiano reso inabitabile la
loro residenza principale. Per approfondimenti sul precedente “PTZ” e sull’attuale “PTZplus” si segnala il sito internet PTZplus.
[25] Il precedente credito d’imposta sugli
interessi del credito sopportati per l’acquisto o la costruzione
dell’abitazione principale (il cui rimborso era previsto secondo il precedente
dispositivo) si applica ancora solo ai prestiti oggetto di un’offerta emessa prima
del 1° gennaio 2011, con riserva che l’abitazione venga acquistata al più tardi
entro il 30 settembre 2011 o, entro la stessa data, venga avviato il cantiere
di costruzione.
[26] Ulteriori informazioni sulle due tasse del
contributo economico territoriale sono reperibili nelle pagine web dedicate a La cotisation foncière des entreprises e
alla cotisation
sur la valeur ajoutée des entreprises sul sito dell’Agence pour la creation d’entreprises -
APCE.
[27] Per un approfondimento sull’IFER e sui
possibili effetti dell’applicazione dell’imposta si segnala L’imposition forfaitaire sur les entreprises
de reseaux (IFER), Allegato IX al Rapport
Durieux, presentato a maggio 2010 al termine di una Mission voluta dai Ministri dell’economia e del Bilancio su l’Evaluation des effets de la réforme de la
taxe professionnelle sur la fiscalité des collectivités locales et sur les
entreprises.
[28] La nuova tassa ecologica ha sostituito la
“Supertassa CO2”, istituita nel 2004 per penalizzare i veicoli più inquinanti.
[29] Il governo francese sperava che il bonus/malus fosse “neutro” in termini
fiscali, ma il successo della misura è stato tale da far lievitare i costi a
carico dello Stato francese, con l’aumento, tra l’altro, della vendita delle
piccole autovetture meno inquinanti e la diminuzione degli acquisti delle
automobili di grossa cilindrata.
[30] Uno studio approfondito ed aggiornato riguardante l’IVA in
Germania e negli altri paesi europei, in funzione di una sua possibile riforma,
è stato commissionato dal Ministero delle Finanze ad un gruppo di economisti
delle Università di Erlangen-Nürberg, Saarland e Mainz. Il volume, dal titolo Analyse
und Bewertung der Strukturen von Regel- und ermäßigten Sätzen bei der
Umsatzbesteuerung unter sozial-, wirtschafts-, steuer- und haushaltspolitischen
Gesichtspunkten, è stato
pubblicato nel settembre 2010 ed è consultabile all’indirizzo
http://www.bundesfinanzministerium.de/nn_54192/DE/Presse/Pressemitteilungen/Finanzpolitik/2010/09/20100923-PM33-Gutachten,templateId=raw,property=publicationFile.pdf.
[31] Istituto statistico federale, Entrate
fiscali tedesche negli ultimi 3 anni,
http://www.destatis.de/jetspeed/portal/cms/Sites/destatis/Internet/DE/Content/Statistiken/FinanzenSteuern/Steuern/Steuerhaushalt/Tabellen/Content75/KassenmaessigeSteuereinnahmen,templateId=renderPrint.psml
[32] Testo vigente della Energiesteuergesetz è disponibile all’indirizzo
http://www.gesetze-im-internet.de/energiestg/index.html.
[33] Statistico federale, Entrate fiscali tedesche, cit. Uno studio
sull’evoluzione delle entrate fiscali derivanti dalla tassa sui combustibili è
stato pubblicato dal Ministero delle Finanze nel 2009, ed è consultabile
all’indirizzo
http://www.bundesfinanzministerium.de/nn_4192/DE/BMF__Startseite/Service/Downloads/Abt__IV/060,templateId=raw,property=publicationFile.pdf.
[34] Il sistema fiscale britannico prevede anche
altre personal allowances, come, ad
esempio, quelle per i non vedenti.
[35] A partire dall’anno fiscale 2010-2011,
laddove il reddito superi le 100.000 sterline, la detrazione subisce una riduzione
di una sterlina per ogni due sterline che superino il suddetto tetto massimo.
La medesima riduzione è prevista per le detrazioni riservate agli anziani.
[36] L’attuale Dipartimento è stato costituito
nell’aprile 2005 ed è sorto dalla fusione dei due organismi precedenti, l’Inland Revenue e il HM Customs & Excise.
[37] Nel corso del 2010 sono state approvate tre
leggi finanziarie (nei mesi, rispettivamente, di aprile, luglio e dicembre), ma
in realtà il primo Finance Act 2010
(8 aprile 2010) è stato approvato dal precedente Parlamento pochi giorni prima
del suo scioglimento e pertanto, come precisato nel corpo della scheda, il
provvedimento in questione (pur indicato nel titolo come seconda legge
finanziaria) rappresenta la prima finanziaria approvata dalle nuove Camere
costituitesi in seguito alle elezioni del maggio 2010. Alla fine del 2010 è
stata approvata una seconda manovra finanziaria, denominata pertanto Finance (No. 3) Act 2010.
[38] Ad esempio, se il periodo contabile di una
società va dal 1 settembre 2010 al 31 agosto 2011, i primi sette mesi (212
giorni) saranno di competenza del periodo fiscale 2010-2011 e la società dovrà
quindi pagare l’imposta sui 212/365 del reddito imponibile al tasso previsto
per l’anno fiscale 2010-2011, mentre i restanti cinque mesi (153 giorni)
saranno ascritti al periodo fiscale 2011-2012 e dunque ai 153/365 del reddito
imponibile si applicherà l’aliquota prevista per l’anno d’imposta 2011-2012.
[39] Si tratta delle leggi da 16/2010 a 30/2010,
pubblicate sul Bollettino ufficiale dello Stato del 16 luglio 2010:
http://www.boe.es/boe/dias/2010/07/17/index.php.