Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili - A.C. 331 e 927 - Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 927/XVII   AC N. 331/XVII
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 7
Data: 19/06/2013
Descrittori:
LEGGE DELEGA   PENE DETENTIVE
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


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Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili

19 giugno 2013
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale



Indice

Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|



Contenuto

Il testo unificato delle proposte di legge AC 331 e AC 927, composto di 14 articoli, prevede:

  •  la delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie;
  •  l'adozione, anche nel processo penale ordinario, della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato;
  •  una nuova disciplina della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.

 

Il Capo I, comprendente il solo articolo 1, delega il Governo sulla base di specifici principi e criteri direttivi all'introduzione di pene detentive non carcerarie (reclusione e arresto presso il domicilio) di durata continuativa o per singoli giorni settimanali o fasce orarie.

I criteri di delega prevedono che, il giudice, tenuto conto dei parametri di gravità del reato di cui all'art. 133 c.p., possa applicare:

  •  la reclusione domiciliare (presso l'abitazione del condannato o altro domicilio) in misura pari alla pena irrogata per i delitti puniti con la detenzione fino a 6 anni;
  •  gli arresti domiciliari da un minimo di 5 giorni ad un massimo di 3 anni, come pena detentiva principale, in via alternativa, per tutte le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto (indipendentemente, quindi, dall'entità), sola o congiunta alla pena pecuniaria;
  • Gli stessi criteri direttivi prevedono:
  •  per le indicate detenzioni domiciliari, il possibile utilizzo di particolari modalità di controllo di cui all'art. 275 c.p.p (braccialetti elettronici);
  •  di valutare la possibile esclusione dall'applicazione dalle reclusione domiciliare in relazione a delitti di grave allarme sociale sanzionati con pene (detentive) non inferiori nel massimo a 4 anni.;
  •  l'esclusione dall'applicazione delle nuove misure detentive dei delinquenti e contravventori abituali (artt. 102, 103 e 104 c.p.), professionali (art. 105 c.p.) e dei delinquenti per tendenza (art.108 c.p.);
  •  che reclusione ed arresti domiciliari potranno essere sostituiti con reclusione o arresto sia nel caso di indisponibilità di un'abitazione o altro domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato sia ove il condannato non rispetti le prescrizioni impartite;
  •  che per la determinazione della pena ai fini dell'applicazione delle nuove misure detentive domiciliari si applichino i criteri di cui all'art. 278 c.p.p.;
  •  che l'allontanamento non autorizzato dal domicilio equivale ad evasione;
  •  il coordinamento della nuova disciplina con quella delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi applicate dal giudice di pace previste dalla legge di depenalizzazione (L. 689/1981) nonchè con la disciplina delle misure alternative di cui all'ordinamento penitenziario.

 

Il Capo II introduce nell'ordinamento l'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova. Scopo della nuova disciplina – ispirata alla probation di origine anglosassone – è quello di estendere l'istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità.

 

L'articolo 2 del testo unificato modifica il codice penale aggiungendo disposizioni relative alla messa alla prova, sistematicamente inserita tra le cause estintive del reato. Sono, a tal fine, aggiunti al capo I del titolo IV del libro I del codice penale tre nuovi articoli.

 Il nuovo art. 168-bis c.p. prevede che nei procedimenti per reati puniti con pena pecuniaria ovvero con reclusione fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria) nonché per il catalogo dei reati in relazione ai quali l'art. 550 c.p.p prevede la citazione diretta a giudizio  l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La richiesta è interdetta ai delinquenti e contravventori abituali (artt. 102, 103 e 104 c.p.), professionali (art. 105 c.p.) e ai delinquenti per tendenza (art.108 c.p.) ovvero gli stessi soggetti per cui sono inapplicabili le nuove pene detentive domiciliari di cui all'articolo 1 della p.d.l.. L'applicazione della misura comporta condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato nonchè, ove possibile, misure risarcitorie. L'imputato è affidato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma di trattamento che può prevedere anche lo svolgimento di lavoro di pubblica utilità, attività di volontariato sociale; il programma contiene prescrizioni sui rapporti col servizio sociale o con una struttura sanitaria oltre a possibili limitazioni della libertà di dimora o di frequentare determinati locali.


Oltre ai reati puniti con pena detentiva fino a 4 anni, tale catalogo comprende (comma 2): violenza, minaccia o resistenza ad un pubblico ufficiale, oltraggio aggravato a un magistrato in udienza, violazione di sigilli aggravata, rissa aggravata, furto aggravato e ricettazione.

 

La misura del lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita a favore della collettività della durata minima di 30 gg, da svolgere presso lo Stato, regioni,enti locali ed onlus; la sua durata non può essere superiore ad 8 ore e lo svolgimento non deve pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell'imputato.

La sospensione del processo con messa alla prova può essere richiesta non più di due volte; non più di una volta se si tratta di reato della stessa indole:

  •  l'art. 168-ter prevede la sospensione del corso della prescrizione del reato durante il periodo di sospensione del processo con messa alla prova. Se la misura si conclude con esito positivo, il giudice dichiara l'estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie.
  •  l'art. 168-quater indica come motivo di revoca della messa alla prova la grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte dal giudice.

 

L'articolo 3 del testo unificato introduce nel Libro VI del codice di procedura penale il titolo V-bis (Della sospensione del procedimento con messa alla prova) che detta le disposizioni processuali relative all'istituto (artt. da 464-bis a 464-novies). Il nuovo art. 464-bis conferma che la messa alla prova può essere richiesta dall'imputato (oralmente o in forma scritta) personalmente o a mezzo procuratore speciale, ma entro determinati termini, che la norma specifica sia in relazione alla fase che al tipo di procedimento. Alla richiesta di messa alla prova va allegato un programma di trattamento che l'imputato elabora con gli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) oppure – ove l'elaborazione del programma non sia stata possibile - una richiesta dell'imputato di elaborazione dello stesso programma. I contenuti minimi del programma sono costituiti dalle modalità di coinvolgimento dell'imputato e – ove sia necessario e possibile - della sua famiglia e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale nonchè nelle prescrizioni comportamentali ed altri impegni che l'imputato accetta di assumere, sia in relazione all'attenuazione delle conseguenze del reato (condotte riparatorie, risarcimento del danno, restituzioni), sia al lavoro si pubblica utilità e alle eventuali attività di volontariato.

 Il successivo art. 464-ter detta disposizioni procedimentali relative alla richiesta di messa alla prova nel corso delle indagini preliminari mentre l'art. 464-quater riguarda la decisione del giudice sulla richiesta di messa alla prova e gli effetti della pronuncia (con ordinanza).

La concessione della messa alla prova da parte del giudice (che può anche sentire l'imputato) - valutata la gravità del reato (ex art. 133 c.p.) -  deriva della prognosi favorevole su due elementi: l'idoneità del programma di trattamento presentato e la previsione che l'imputato non commetterà altri reati.

Il programma trattamentale presentato con la domanda - già contenente prescrizioni ed obblighi per l'imputato - può essere integrato o modificato dal giudice con ulteriori obblighi e misure (su cui è, tuttavia, necessario il consenso dell'imputato) ai fini dell'idoneità. Sono, tuttavia, previsti limiti massimi di sospensione del procedimento (2 anni, in caso di reati puniti con pena detentiva; 1 anno reati puniti con sola pena pecuniaria). Contro l'ordinanza è ammesso ricorso per cassazione da parte dell'imputato, del PM o della stessa persona offesa (che tuttavia non produce  effetti sospensivi). Se la richiesta di messa alla prova è rigettata, potrà essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

L'art. 464-quinquies precisa che l'ordinanza detta i termini di adempimento delle prescrizioni e degli obblighi a carico dell'imputato relativi alle condotte riparatorie e risarcitorie (termini prorogabili solo per gravi motivi). L'art. 464-sexies prevede che il giudice, a richiesta di parte, durante la sospensione del procedimento, possa svolgere attività probatoria non rinviabile e che possa condurre al proscioglimento dell'imputato.

L'art. 464-septies disciplina l'esito della messa alla prova stabilendo che, acquisita la relazione finale degli uffici, il giudice, se l'esito è positivo, dichiara estinto il reato con sentenza. Se, al contrario, la prova ha esito negativo, adotta ordinanza di prosecuzione del procedimento. L'art. 464-opties è relativo alla possibile revoca dell'ordinanza di messa alla prova, disposta ance d'ufficio dal giudice con ordinanza. L'art. 464-novies prevede che, sia in caso di esito negativo della prova che di revoca della misura, questa non è più proponibile.

E', infine, aggiunto al c.p.p. l'art. 657-bis che, in caso di prova negativa o di una sua revoca, detrae dalla pena da eseguire il periodo di messa alla prova: 3 gg. di prova sono equiparati a un giorno di reclusione-arresto ovvero a € 250 di multa-ammenda.

 

L'articolo 4 del testo unificato novella le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale inserendovi due nuovi articoli:

  •  l'art. 141-bis, che prevede la facoltà del PM – anche prima dell'esercizio dell'azione penale -di avvisare l'interessato della possibilità di avvalersi della messa alla prova;
  •  l'art. 191-bis, relativo alle attività di pertinenza degli uffici di esecuzione penale esterna nell'esecuzione della misura. In particolare, dopo la richiesta di programma presentata dall'imputato all'UEPE, l'ufficio sulla base di indagine socio-familiare, redige il programma di trattamento su cui riceve il consenso dell'interessato nonché l'adesione dell'ente presso cui questi è chiamato a svolgerlo. Indagine e programma (il primo, in particolare, deve riferire della situazione economica dell'imputato, delle possibili attività riparatorie e della possibile mediazione da svolgere presso centri sul territorio) sono trasmessi al giudice con le considerazioni dell'ufficio; Obblighi di relazione al giudice, almeno trimestrali, sull'andamento della prova sono posti in capo agli uffici locali per l'esecuzione esterna; detti uffici, al termine della prova, trasmettono al giudice una relazione finale. Le relazione periodiche vanno depositate in cancelleria almeno 10 gg. prima dell'udienza che decide sull'esito della messa alla prova.

 

L'articolo 5 novella l'art. 3 del TU sul casellario giudiziario (DPR 313/2002) aggiungendo, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto, l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.

 

L'articolo 6 stabilisce, in relazione all'introduzione della messa alla prova, l'adeguamento (entro 90 gg.) della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna. Obblighi di relazione annuali (entro il 31 maggio) alle competenti commissioni parlamentari sull'attuazione della messa alla prova sono posti in capo al Ministro della giustizia

 

L'articolo 6-bis del testo unificato prevede – entro 3 mesi dalla data di pubblicazione della legge in esame - l'adozione di un regolamento da parte del Ministro della giustizia volto a disciplinare le convenzioni in merito al lavoro di pubblica utilità conseguente alla messa alla prova che il ministero della giustizia (o il presidente del tribunale delegato) può stipulare con enti e organizzazioni non lucrative di utilità sociale

 

Il Capo III del testo unificato disciplina il procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 7-13).

 

L'articolo 7 novella le disposizioni del codice di procedura penale in tema di udienza preliminare. Eliminando ogni riferimento alla contumacia, la proposta di legge sostituisce l'art. 420-bis c.p.p. (sulla rinnovazione dell'avviso dell'udienza) che detta le specifiche ipotesi che permettono al giudice l'adozione dell'ordinanza che dispone di procedere in assenza dall'imputato. L'art. 420-bis prevede la revoca dell'ordinanza a seguito della comparizione dell'imputato prima della decisione, disciplinando i diritti processuali di quest'ultimo ove provi che la sua contumacia è stata incolpevole. Analoga revoca dell'ordinanza di prosecuzione del processo è disposta quando risulta che il processo doveva essere sospeso per assenza dell'imputato. Ferma la disciplina dell'impedimento a comparire (art. 420-ter c.p.p.), che non viene novellata, l'art. 7 sostituisce l'art. 420-quater, con la disciplina della sospensione del processo per assenza dell'imputato e la soppressione di ogni riferimento alla contumacia: se non ricorrono le ipotesi dell'art. 420-bis né quelle dell'art. 420-ter, a fronte dell'assenza dell'imputato, il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. La riformulazione dell'art. 420-quinquies è volta a disciplinare le nuove ricerche dell'imputato e la possibile revoca della sospensione del processo.

 

L'articolo 8 novella le disposizioni in tema di dibattimento, eliminando ogni riferimento alla contumacia. L'intervento sull'art. 489 c.p.p. è volto a disciplinare l'ipotesi in cui l'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare intervenga in dibattimento e chieda di rendere dichiarazioni spontanee. Se l'imputato prova che l'assenza era incolpevole, potrà ottenere una rimessione in termini per accedere al giudizio abbreviato o al patteggiamento.

 

L'articolo 9 del testo unificato interviene, invece, sulla disciplina delle impugnazioni, ancora una volta per sopprimere ogni richiamo all'istituto della contumacia (artt. 585 e 603, co. 4) e per: prevedere che, se si è proceduto in assenza dell'imputato in carenza dei presupposti previsti dal codice ovvero quando questi non aveva avuto incolpevolmente conoscenza della celebrazione del processo di primo grado, il giudice d'appello deve dichiarare la nullità della sentenza e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado (art. 604 c.p.p.); prevedere che analogamente debba procedere la Corte di Cassazione (art. 623 c.p.p.); introdurre l'art. 625-ter, dedicato alla rescissione del giudicato, possibile quando il condannato definitivo dimostri che l'assenza al processo è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

 

L'articolo 10 interviene sul codice penale aggiungendo la sospensione del processo a carico dell'irreperibile a quelle che comportano una sospensione del corso della prescrizione.

 

L'articolo 11 attribuisce il potere regolamentare ai Ministri della giustizia e dell'Interno affinché siano disciplinate con decreto le modalità e i termini secondo i quali devono essere comunicati e gestiti i dati relativi all'ordinanza di sospensione del processo per assenza dell'imputato.

 

L'articolo 12 del testo unificato introduce l'art. 143-bis nelle norme di attuazione del c.p.p. dettando gli adempimenti conseguenti alla sospensione del processo per assenza dell'imputato.

 

L'articolo 13 novella il TU sul casellario giudiziario (D.P.R. 313/2002) aggiungendo, all'articolo 3, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto quelli di sospensione del processo per assenza dell'imputato e, all'art.icolo 5, tra le iscrizioni da eliminare, lo stesso provvedimento di sospensione, ove revocato.

 

L'articolo 14 reca la clausola di invarianza finanziaria.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina del testo unificato è riconducibile alla materia "giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale", di esclusiva competenza statale ai sensi dell'art. 117, co. 2, lett. l).



Rispetto degli altri princìpi costituzionali

In riferimento alla delega per l'introduzione delle pene detentive non carcerarie, l'art. 1 prevede tra i criteri direttivi al Governo la valutazione della possibilità di escludere l'applicazione della reclusione presso il domicilio per singoli reati di grave allarme sociale, se puniti con pena non inferiore nel massimo a 4 anni. Occorre valutare se tale previsione possa considerarsi una delega in bianco in materia penale, che rimetterebbe alla discrezionalità del Governo la selezione di singoli reati da considerarsi di grave allarme sociale, all'interno di quelli sanzionati in uguale misura.

Si ricorda, tuttavia, che la "legge anticorruzione" n. 190/2012, con riguardo ai criteri di delega per l'adozione del testo unico sull'incandidabilità (ora D.Lgs n. 39/2013), ha previsto  che il Governo potesse valutare per una serie di cariche elettive (tra cui: presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale) l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale.

 

Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la determinazione dei "principi e criteri direttivi" non e` finalizzata ad eliminare ogni discrezionalità nell'esercizio della delega, ma soltanto a circoscriverla; a tal fine, le norme deleganti debbono essere comunque idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l'attività normativa del Governo, non potendo esaurirsi in mere enunciazioni di finalità né in disposizioni talmente generiche da essere riferibili a materie vastissime ed eterogenee (sentenza n. 156/1987).
La sentenza n. 224 del 1990 sottolinea che i "principi e criteri direttivi" presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata.
Allo stesso tempo la Corte ha da tempo riconosciuto, e confermato da ultimo nella sentenza n. 98 del 2008, che "la varietà delle materie riguardo alle quali si può ricorrere alla delega legislativa comporta che neppure è possibile enucleare una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di "principi e criteri direttivi", quindi "il Parlamento, approvando una legge di delegazione, non è certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose" (sentenze nn. 340 del 2007; n. 250 del 1991). La considerazione per cui "il livello di specificazione dei principi e criteri direttivi può in concreto essere diverso da caso a caso, anche in relazione alle caratteristiche della materia e della disciplina su cui la legge delegata incide" (così ancora ordinanza n. 134 del 2003) non ha peraltro impedito alla Corte, in varie occasioni, di sollecitare una maggiore precisione da parte del legislatore delegante (ordinanza n. 134/2003, sentenza n. 53/1997, sentenza n. 49/1999).
 
Nella sentenza n. 158 del 1985, la Corte rileva, tra l'altro, che al legislatore delegato, è demandata la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante. Le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l'hanno determinata, ma, dall'altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. In particolare, la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità, inidonee o insufficienti ad indirizzare l'attività normativa del legislatore delegato. Ciò che non può essere validamente ammesso come principio e criterio direttivo è un generico rinvio alla stessa discrezionalità del governo: come affermato nella sentenza n. 68 del 1991 e ribadito nella sentenza n. 340 del 2007, per quanta ampiezza possa a questo riconoscersi, "il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega".
Ad oggi sembra tuttavia registrarsi un solo caso di accertamento di incostituzionalità di disposizioni della legge delega per violazione dell'art. 76, Cost. (fatto salvo il risalente precedente costituito dalla sentenza n. 47 del 1959, relativo ad una legge delega della regione Sicilia): si tratta della sentenza n. 280 del 2004 in cui peraltro profili inerenti all'indeterminatezza dell'oggetto della delega si confondono con quelli relativi alla mancata definizione di adeguati principi e criteri direttivi.

Si rammenta, inoltre, che su analogo testo della scorsa legislatura (AC 5019-bis), la I Commissione, in sede consultiva, richiamò nel proprio parere l'esigenza di valutare il rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. da parte della disposizione che prevedeva la sostituzione della detenzione domiciliare con la pena detentiva carceraria, nel caso in cui non risultasse disponibile un domicilio idoneo.

 

L'istituto della messa alla prova comporta, a seguito di una prognosi di colpevolezza, l'applicazione di una sanzione consistente in una prestazione di condotte da parte dell'imputato nell'ambito di un progranma di trattamento che può comprendere il lavoro di pubblca utilità. Sull'istituto della messa alla prova, già presente nel processo minorile dal 1988, la Corte costituzionale non ha mai avuto modo di pronunciarsi direttamente, pur avendo definito la messa alla prova come l'«innovazione più significativa e coraggiosa operata dal nuovo c.p.p.» (cfr. C. cost., n. 412 del 1990 e n. 125 del 1995).

La prestazione non retribuita del lavoro di pubblica utilità è già presente nell'ordinamento, ad esempio quale pena che può essere irrogata dal giudice di pace (art. 54 del d.lgs. 274/2000, sulla competenza penale del giudice di pace). Il testo unificato non qualifica espressamente il lavoro di pubblica utilità come pena, pur prevedendo che si tratta di prestazione non retribuita. Pare utile valutare se la disposizione configuri comunque una misura lato sensu sanzionatoria e se quindi risulti conforme all'art. 36, primo comma, Cost. (diritto del lavoratore alla retribuzione). Sia il testo unificato sia la disciplina del giudizio davanti al giudice di pace stabiliscono il requisito della richiesta dell'imputato per la messa alla prova con prestazione lavorativa non retribuita.

 

Si rammenta, infine, che sull'analogo testo della scorsa legislatura (AC 5019-bis), la I Commissione in sede consultiva richiamò nel parere l'esigenza di valutare il nuovo art. 657-bis c.p.p. (ora art. 3, comma 1, lett. b), del testo unificato) concernente la revoca della messa alla prova per grave o reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte. La Commissione evidenziò che la detrazione obbligatoria del periodo di prova dalla pena da eseguire doveva essere considerato alla luce del presupposto della trasgressione.