Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - A.C. 118
Riferimenti:
AC N. 118/XVII   AC N. 878/XVII
AC N. 881/XVII   AC N. 940/XVII
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 3
Data: 16/05/2013
Descrittori:
CONSIGLIO D' EUROPA   CONVENZIONE DI ISTANBUL
DONNE   LESIONI PERSONALI
RATIFICA DEI TRATTATI   REATI SESSUALI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


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Ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2010

16 maggio 2013
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale



Indice

Contenuto|Attività parlamentare nella XVI legislatura|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|



Contenuto

Già all'inizio degli anni Novanta, il Consiglio d'Europa ha intrapreso una serie di iniziative per contrastare la violenza contro le donne: la prima strategia globale per la prevenzione della violenza e la protezione delle vittime risale al 2002, quando fu approvata una Raccomandazione – Rec(2002)5 – che invita gli Stati membri ad adottare una serie di misure fra le quali quelle di rivedere le proprie politiche nazionali, di garantire la protezione delle vittime e di elaborare piani d'azione mirati alla loro difesa, nonché alla prevenzione di tali crimini.

L'applicazione di questa Raccomandazione è regolarmente verificata attraverso cicli di monitoraggio, l'ultimo dei quali risale al 2010, subito dopo l'istituzione della Commissione ad hoc (Ad Hoc Committee on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence - CAHVIO) per la stesura della Convenzione oggi in esame, divenuta nota con il nome di "Convenzione di Istanbul". Il terzo round di monitoraggio mostrava la volontà di tutti i paesi membri del CdE di stabilire standard vincolanti in tutte le aree oggetto della Raccomandazione.

Alla Raccomandazione Rec(2002)5 aveva fatto seguito una importante campagna lanciata in tutta Europa dalla Task Force del CdE per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, le cui risultanze sono contenute nel Rapporto di Fine Attività (EG-TFV (2008) 6). Il Rapporto raccomanda proprio l'adozione di una convenzione, nell'ambito della tutela dei diritti umani, per prevenire e combattere la violenza sulle donne (la cui stesura è stata elaborata, come si diceva, dalla CAHVIO).

 

La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

La Convenzione è per molti aspetti riconducibile ad un vasto filone di sviluppi normativi e della prassi internazionale emerso sia nel contesto delle Nazioni Unite (v., ad esempio, adottata con la risoluzione assembleare del 23 febbraio 1994), sia a livello di sistemi regionali di protezione (cfr. a questo riguardo la Convenzione interamericana di Belém do Pará del 1994 sulla prevenzione, la punizione e l'eliminazione della violenza contro le donne, ed il Protocollo di Maputo alla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa, del 2003)

 Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del CdE; al momento, gli Stati firmatari sono 29, e le ratifiche 4 (Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia). L'Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012, dopo l'approvazione da parte delle Camere (v. seduta del Senato del 20 settembre 2012 e della Camera dei deputati del 2 settembre 2012) di mozioni e di ordini del giorno volti a tale fine.

Particolarmente rilevante è l'articolo 3, secondo cui la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne. 

 

La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli, e di un Allegato.

Il Preambolo ricorda innanzitutto i principali strumenti che, nell'ambito del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest'ultima si basa. Tra di essi riveste particolare importanza la CEDAW (Convenzione Onu del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) e il suo Protocollo opzionale del 1999 che riconosce la competenza della Commissione sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere e prendere in esame le denunce provenienti da individui o gruppi nell'ambito della propria giurisdizione.

Il Preambolo della Convenzione in esame riconosce inoltre che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi ed aspira a creare un'Europa libera da questa violenza.

Gli Obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1. Oltre a quanto già esplicitato nel titolo della Convenzione stessa, appare importante evidenziare l'obiettivo di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonché la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.

Di rilievo inoltre la previsione che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato (art. 2), circostanza, quest'ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.

Dopo l'individuazione delle definizioni (art. 3), l'articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata. A tal fine le Parti si obbligano a tutelare questo diritto in particolare per quanto riguarda le donne. Poiché la discriminazione di genere costituisce terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione si preoccupa di chiedere alle Parti l'adozione di tutte le norme atte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi corredate, se del caso, dall'applicazione di sanzioni.

I primi a dover rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione sono proprio gli Stati i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne (art. 5).

L'articolo 5 prevede anche un risarcimento delle vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali, che può assumere forme diverse (riparazione del danno, indennizzo, riabilitazione, ecc.). L'indennizzo da parte dello Stato è disciplinato dall'art. 30, par. 2, della Convenzione ed è accordato alle vittime se la riparazione non è garantita da altre fonti.

Il Capitolo II contiene una serie di altri impegni, di carattere politico e sociale che integrano le previsioni di prevenzione, tutela e sanzione contenute nei tre capitoli successivi. In particolare, l'articolo 7 stabilisce che le politiche nazionali adottate ai fini dell'applicazione della Convenzione, debbano porre al loro centro i diritti della vittima e debbano coinvolgere tutti i soggetti pertinenti, agenzie governative, parlamenti e autorità nazionali e locali, nonché le organizzazioni della società civile, il cui lavoro contro la violenza nei confronti delle donne deve essere incoraggiato e sostenuto a tutti i livelli (art. 9). Risorse finanziarie ed umane appropriate devono essere stanziate per attuare interventi efficaci di prevenzione e contrasto alla violenza di genere (articolo 10). Importante è anche la previsione dell'istituzione di un organismo di coordinamento per l'attuazione, il monitoraggio e la valutazione dei predetti interventi.

Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica (Cap. III). La prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscono o giustificano l'esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna le Parti non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione (art. 13), a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali.

Altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime (Cap. IV). Particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione coordinata tra tutti i soggetti, pubblici e privati, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica (art. 18). Per proteggere le vittime fondamentale è prevedere strutture atte al loro accoglimento,  attraverso un'attività informativa adeguata; è altresì necessario predisporre servizi  che deve tenere conto del fatto che le vittime, nell'immediatezza del fatto, non sono spesso nelle condizioni psico-fisiche idonee ad assumere decisioni pienamente informate.

I servizi di supporto possono essere generali (es. servizi sociali o sanitari offerti dalla pubblica amministrazione) oppure specializzati. Fra questi si prevede la creazione di case rifugio e quella di linee telefoniche di sostegno attive notte e giorno. Strutture ad hoc sono inoltre previste per l'accoglienza delle vittime di violenza sessuale (artt. 20-24).

La Convenzione stabilisce l'obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, (Cap. V, artt. 29-32) in primo luogo dall'offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza (per i risarcimenti da parte dello Stato v. supra).

La Convenzione individua anche una serie di reati  (violenza fisica e psicologica, sessuale, stupro, mutilazioni genitali, aborto forzato, molestie sessuali – artt. da 33 a 41), perseguibili penalmente, e promuove un'armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. Tra i reati perseguibili penalmente è inserito lo stalking (art. 34), definito il comportamento intenzionale e minaccioso nei confronti di un'altra persona, che la porta a temere per la propria incolumità. Quanto al matrimonio forzato (art. 37), vengono distinti i casi nei quali una persona viene costretta a contrarre matrimonio da quelli nei quali una persona viene attirata con l'inganno in un paese estero allo scopo di costringerla a contrarre matrimonio; in quest'ultimo caso, è sanzionabile penalmente anche il solo adescamento, pur in assenza di celebrazione del matrimonio. Per i suddetti reati la Convenzione prevede l'obbligo delle Parti di adottare misure legislative o di altro tipo volte a garantire che le condotte tipiche delle varie fattispecie siano sottoposte a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali.

La Convenzione torna in più punti (art. 12, par. 5 e art. 42) sull'inaccettabilità di elementi religiosi o culturali, tra i quali il cosiddetto "onore" a giustificazione delle violenze chiedendo tra l'altro alle Parti di introdurre le misure, legislative o di altro tipo, per garantire che nei procedimenti penali intentati per crimini rientranti nell'ambito della Convenzione, tali elementi non possano essere invocati come attenuante.

L'articolo 44 disciplina la determinazione della giurisdizione competente a giudicare sui reati penali contemplati dalla Convenzione.

In materia di sanzioni, la Convenzione chiede alle Parti di adottare misure per garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità (art. 45).

Le circostanze aggravanti, conformemente alle disposizioni delle normative nazionali sono contemplate all'articolo 46.

La Convenzione contiene poi un ampio Capitolo (Cap. VI) di previsioni che riguardano le inchieste giudiziarie, i procedimenti penali e le procedure di legge, a rafforzamento delle disposizioni che delineano diritti e doveri nella Convenzione stessa.

Un Capitolo apposito (Cap. VII) è dedicato alle donne migranti, incluse quelle senza documenti, e alle donne richiedenti asilo, due categorie particolarmente soggette a violenze di genere. La Convenzione mira ad introdurre un'ottica di genere nei confronti della violenza di cui sono vittime le migranti, ad esempio accordando ad esse la possibilità di ottenere uno status di residente  indipendente da quello del coniuge o del partner (art. 59). Inoltre, viene stabilito l'obbligo di riconoscere la violenza di genere come una forma di persecuzione - ai sensi della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati - (art. 60)  e ribadito l'obbligo di rispettare il diritto del non-respingimento per le vittime di violenza contro le donne (art. 61).

Nel Capitolo VIII (artt. da 62 a 65) vengono delineati gli impegni delle Parti al fine di ottenere una cooperazione internazionale per prevenire, combattere e perseguire gli atti di violenza domestica e contro le donne e per proteggere le vittime di tali reati. La cooperazione avviene anche attraverso la trasmissione di informazioni; i dati personali sono utilizzati in base agli obblighi derivanti dalla partecipazione alla Convenzione europea sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati a carattere personale.

La Convenzione istituisce all'art. 66 (Cap. IX) un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) costituito da esperti indipendenti, incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Il monitoraggio avverrà attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, raccomandazioni generali, ecc.). I privilegi e le immunità dei membri del GREVIO sono oggetto dell'Allegato alla Convenzione.

L'art. 67 stabilisce che il Comitato delle Parti, composto dai rappresentanti delle Parti alla Convenzione, si riunisca per la prima volta entro un anno dall'entrata in vigore della Convenzione per eleggere i membri del GREVIO.

La possibilità di modificare la Convenzione è descritta all'art. 72. Una volta ricevuti dal Segretario generale del CdE, gli eventuali emendamenti dovranno essere da quest'ultimo trasmessi a tutti gli Stati membri dell'organizzazione, alle altre Parti, all'Unione europea e ad ogni Stato invitato a firmare (la Convenzione è, in base all'art. 75, par. 1, aperta anche alla firma degli Stati non membri che hanno partecipato alla stesura della Convenzione e della Unione europea). L'emendamento è accettato dal Consiglio dei ministri dopo il suo esame e dopo la consultazione della Parti che non sono membri del CdE.

La composizione delle eventuali controversie avverrà, in base all'art. 74, mediante negoziato, conciliazione o arbitrato. Il Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa può proporre alle Parti delle procedure per la composizione delle controversie (art. 74).

Alla Convenzione potranno aderire, dopo la sua entrata in vigore, anche Stati non membri del CdE che non abbiano partecipato alla sua elaborazione alle condizioni previste dall'art. 76.

L'articolo 78 circoscrive le disposizioni della Convenzione alle quali è possibile apporre riserva. Tra di esse quella contenuta nell'art. 30, par. 2 in materia di risarcimento da parte dello Stato.

 

Il testo unificato in esame reca l'autorizzazione alla ratifica (art. 1) ed il relativo ordine di esecuzione (art. 2). E' infine prevista l'entrata in vigore il giorno successivo a quello della  pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (art. 3).

 

 

Il Consiglio d'Europa e il contrasto alla violenza contro le donne
La Convenzione di Istanbul
Il contenuto della convenzione
L'autorizzazione alla ratifica


Attività parlamentare nella XVI legislatura

Nella precedente legislatura sono state presentate, presso i due rami del Parlamento, diverse iniziative legislative volte ad autorizzare la ratifica della Convenzione di Istanbul, il cui iter non è però mai stato avviato. Si tratta dell'A.S. 3390 (Serafini ed altri), dell'A.S. 3488 (Finocchiaro ed altri), dell'A.S. 3489 (Carlino ed altri), dell'A.S. 3562 (Allegrini ed altri); alla Camera, dell'A.C. 5489 (Mogherini ed altri) e dell'A.C. 5615 (Sbrollini ed altri).

Anche il Governo ha presentato un disegno di legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione (A.S. 3654). Nella relazione illustrativa, si ricorda che, contestualmente alla firma, il Governo italiano ha depositato presso il Consiglio d'Europa una nota verbale con la quale ha dichiarato che "applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali". Tale dichiarazione interpretativa - apposta anche a seguito di quanto chiesto al Governo con le mozioni approvate al Senato il 20 settembre 2012 – è motivata dal fatto che la definizione di "genere" contenuta nella Convenzione - l'art. 3, lettera c) recita: "con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" - è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano.

Nessuno di questi progetti di legge è stato però oggetto di esame da parte delle competenti commissioni parlamentari.

 

Il 6 giugno 2012 la Commissione Affari sociali della Camera ha approvato una risoluzione conclusiva di dibattito, per iniziativa del deputato Murer ed altri, che impegna il Governo, tra l'altro, ad accelerare l'iter per l'adesione, in tempi brevi, dell'Italia alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

Il 20 settembre 2012, il Senato ha inoltre approvato, anche in esito alle risultanze del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne riguardanti il nostro Paese[1] un ordine del giorno (Poli Bortone e Castiglione), e sei mozioni (Carlino ed altri, Carloni ed altri, Bianconi ed altri, Franco ed altri, Aderenti ed altri, D'Alia ed altri, Baio ed altri) che impegna il Governo a sottoscrivere la Convenzione di Istanbul).



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.).



Rispetto degli altri princìpi costituzionali

I diritti delle donne sono iscritti nella Carta delle Nazioni Unite, il documento fondativo dell'ONU, adottato nel 1945, in un contesto in cui solo 25 dei 51 paesi inizialmente aderenti riconosceva alle donne gli stessi diritti di voto degli uomini (solo nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (art. 21) introdurrà il suffragio universale nella legislazione internazionale)

Nell'ambito della Commissione sui diritti dell'uomo venne inizialmente istituita la sotto-Commissione sulla condizione delle donne, deputata alla tutela e promozione dei diritti della donna. La sua prima presidentessa, la danese Bodil Begtrup, si adoperò subito affinché l'organo fosse elevato al rango di Commissione, per acquistare un maggiore peso politico. Il 21 giugno fu così istituita la Commissione sulla Condizione delle donne (CDW).

La sezione del Segretariato delle Nazioni Unite dedicato alla condizione delle donne fu istituita all'interno della Divisione per i diritti dell'uomo; nel 1978 si sarebbe poi trasformata nella Divisione per l'Avanzamento delle Donne (Division for the Advancement of Women, DAW, ora confluita in UN Women).

 

Tappa storica per la promozione dei diritti delle donne è stata l'adozione, al termine della quarta Conferenza mondiale delle Donne, della Dichiarazione finale di Pechino e della relativa Piattaforma d'Azione, sottoscritta da ben 189 paesi. Questi due documenti rappresentano tutt'oggi le disposizioni fondamentali della comunità internazionale per la promozione di maggiori poteri e responsabilità delle donne e del principio di eguaglianza di genere. Da allora, alcune parole chiave hanno fatto il loro ingresso nel dibattito politico e nell'azione dei governi, come "punto di vista di genere", gender mainstreaming e l'empowerment. Sono state identificate 12 aree fondamentali su cui concentrare le azioni; tra queste la violenza contro le donne.

La Conferenza è stata l'evento più affollato da governi, ONG e giornalisti mai realizzato dal sistema delle Nazioni Unite: 6 mila delegati da 189 Stati, oltre 4 mila rappresentanti di ONG accreditati e altrettanti giornalisti.

 

Sempre in ambito ONU, occorre ricordare la Convenzione per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) – citata come detto nel preambolo della Convenzione di Istanbul - Tale Convenzione fu adottata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1979 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1981. L'Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 14 marzo 1985, n 132.

 

La CEDAW – universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne – definisce "discriminazione contro le donne" "ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo".

Sempre nell'ambito delle Nazioni Unite, nel 2009 è stato lanciato il database sulla violenza contro le donne, allo scopo di fornire il quadro delle misure adottate dagli Stati membri dell'Onu per contrastare la violenza contro le donne sul piano normativo e politico, nonché informazioni sui servizi a disposizione delle vittime.

 

E' stato inoltre adottato nel 1999 un Protocollo opzionale alla Convenzione. In esso viene tra l'altro prevista la possibilità per i privati e le loro associazioni di adire il Comitato ONU per la eliminazioni delle discriminazioni contro le donne, inviando specifici esposti e lamentele (si tratta di un organo diverso dalla Commissione sulla Condizione delle donne).

Questo comitato, nel'ambito della sessione del luglio 2011, ha rivolto all'Italia una serie di raccomandazioni per combattere e superare definitivamente le disciminazione nei confronti delle donne, tra le quali alcune specificamente riferite alla violenza di genere.

E' stato in particolare rivolto al nostro paese uno specifico invito ad una rapida ratifica della Convenzione di Istanbul.

E' stato inoltre richiesto di :

- attuare misure complete per affrontare la violenza contro le donne nella famiglia e nella società, con attenzione anche alle donne vulnerabili da particolari circostanze, quali le donne Rom e le donne Sinti, le migranti, le anziane e le donne con disabilità;

- assicurare che le donne vittime di violenza abbiano immediata protezione, compresa l'espulsione del reo da casa, e la garanzia di poter restare in rifugi sicuri e ben finanziati su tutto il territorio nazionale; e che queste possano avere accesso al gratuito patrocinio, alla assistenza psico-sociale ed ad adeguata riparazione, incluso il risarcimento;

 - ampliare il sistema di raccolta dei dati;

- sostenere campagne di comunicazione e sensibilizzazione attraverso i media ed i programmi di educazione pubblica.

 

 

Il problema della violenza contro le donne in Italia è stato altresì recentemente all'attenzione del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU, in quanto oggetto di un rapporto della relatrice speciale sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, Rashida Manjoo, presentato il 15 giugno 2012.

 

La tutela dei diritti dell'uomo è uno dei fini delle Nazioni Unite; l'organismo politico incaricato di supervisionarne l'osservanza è il Consiglio per i diritti umani, istituito con la risoluzione 60/251 dell'Assemblea Generale ONU del 15 marzo 2006, in sostituzione della Commissione dei diritti dell'uomo.

 

Il rapporto rileva come, nonostante gli sforzi delle autorità governative per affrontare il problema della violenza contro le donne, in Italia non si è pervenuti ad una diminuzione del tasso di femminicidi né si è verificato un reale miglioramento della vita di molte donne e bambine, in particolare delle donne Rom e Sinti, delle donne migranti e delle donne affette da disabilità.

La relatrice speciale rivolge, in conclusione dell'articolato rapporto, al Governo una serie di raccomandazioni tra le quali la richiesta di ratifica della Convenzione di Istanbul. Sono inoltre raccomandate:

  1. Misure di carattere legislativo per:

- creare un'apposita struttura governativa unica che si occupi esclusivamente del problema di una uguaglianza di genere sostanziale in generale e della violenza contro le donne in particolare, per evitare duplicazioni e mancanza di coordinamento;

-  accelerare la creazione di un'istituzione nazionale indipendente per i diritti umani con una sezione dedicata ai diritti delle donne;

-  adottare una legge specifica per la violenza contro le donne;

-  affrontare il vuoto legislativo nel campo della custodia dei figli e includere norme rilevanti relative alla protezione delle donne vittime di violenza domestica;

 -  fornire educazione e formazione per rafforzare le capacità dei giudici di affrontare in maniera efficace i casi di violenza contro le donne;

 - adottare politiche a lungo termine, sensibili al genere e sostenibili per l'inclusione sociale e l'empowerment delle comunità marginalizzate, con particolare attenzione alla salute delle donne, all'istruzione, al lavoro e alla sicurezza;

- modificare il reato di immigrazione clandestina per garantire accesso alle donne migranti in situazione irregolare agli enti giudiziari e alle forze dell'ordine, senza timore per la detenzione e la deportazione;

- affrontare le attuali disparità di genere nei settori pubblico e privato implementando efficacemente le misure fornite dalla Costituzione e da altra legislazione e politiche per aumentare il numero delle donne - incluse le donne dei gruppi marginalizzati -nei settori politici, economici, sociali, culturali e giudiziari;

2. Mutamenti sociali e iniziative di sensibilizzazione:

- effettuare campagne di sensibilizzazione con lo scopo di eliminare atteggiamenti stereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini in famiglia, nella società e sul lavoro ed aumentare la consapevolezza sulla violenza contro le donne in generale e contro le donne dei gruppi marginalizzati, anche formare e sensibilizzando i media;

3. Servizi di supporto:

 - continuare ad adottare le misure necessarie, incluse quelle finanziarie, per mantenere i rifugi antiviolenza esistenti e/o crearne nuovi per l'assistenza e la protezione delle donne vittime di violenza; garantire che i rifugi operino secondo gli standard internazionali e nazionali per i diritti umani

 - riconoscere, incoraggiare e sostenere partnership pubblico-private con le organizzazioni della società civile e le istituzioni educative del livello superiore, per fornire ricerche e risposte per affrontare la violenza contro le donne.

4. Raccolta dati e statistiche:

-rafforzare la capacità dell'ISTAT, anche attraverso le necessarie risorse, per creare un sistema per la raccolta e analisi regolare e standardizzata dei dati, sulla violenza contro le donne.