Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali A.C. 750, A.C. 947, A.C. 1042 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 750/XVII   AC N. 947/XVII
AC N. 1042/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 31
Data: 19/06/2013
Descrittori:
NEGOZI E RIVENDITE   ORARIO
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo


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Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali

19 giugno 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

La disciplina degli orari degli esercizi commerciali|Contenuto delle proposte di legge|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Compatibilità comunitaria|




Le proposte di legge nn. 750 e 1042, di iniziativa parlamentare, e la proposta 947, di iniziativa popolare, prevedono norme in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali e artigianali. Tutte le proposte intervengono, direttamente o indirettamente, su quanto disposto dall'articolo 31 del D.L. 201/2011 (c.d. salva-Italia) che ha reso la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali permanente e non più solo sperimentale ed applicabile in tutto il territorio nazionale, e non solo nelle località turistiche e d'arte.

Per quel che concerne le finalità delle proposte di legge in esame, gli A.A. C.C. 750 e 947 mirano a limitare la piena liberalizzazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali e artigianali. Più in particolare la proposta di legge n.750 prevede il mantenimento della liberalizzazione completa solo per gli esercizi commerciali ricadenti nei comuni a carattere turistico o città d'arte, mentre demanda alle regioni, d'intesa con enti locali e associazioni di categoria, la definizione di un piano per la regolazione dei giorni di apertura. La proposta di legge 947, tramite l'abrogazione secca del divieto di apporre limiti e restrizioni agli orari degli esercizi commerciali, comporta l'effetto di attribuire nuovamente alle regioni la competenza a regolamentare la materia.

La proposta di legge 1042, non modifica l'impianto della liberalizzazione del comparto, ma, ribadendo il potere di coordinamento dei comuni in materia, demanda agli stessi la predisposizione di un piano per la regolazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali.



La disciplina degli orari degli esercizi commerciali

Fino al 2011 l'apertura degli esercizi commerciali è stata soggetta, in base alle norme legislative e alle disposizioni regionali e comunali, a limitazioni concernenti, in particolare, l'obbligo di chiusura domenicale e festiva e l'obbligo di rispettare determinati orari di apertura e chiusura. In tal senso, criteri generali erano stabiliti dall'art. 11 del D.Lgs. 114/1998 recante la disciplina generale per il settore del commercio.

 

 

L'impianto del D.Lgs. 114 del 1998

Il comma 1 dell'art. 11 del D.Lgs. n. 114/1998 attribuisce ai titolari di esercizi di vendita al dettaglio la libertà di determinare gli orari di apertura e di chiusura al pubblico, nel rispetto tuttavia delle disposizioni dettate in via generale dal medesimo Decreto e dei criteri emanati dai comuni, in ossequio a quanto ora disposto dall'art. 50, comma 7°, TUEL. La libertà degli esercenti di restare aperti al pubblico può essere esercitata tra le ore 7 e le ore 22 nei giorni feriali, con un limite massimo di apertura giornaliera di 13 ore e con l'obbligo di osservare la chiusura domenicale e festiva e, nei casi previsti dai comuni, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale (art. 11, commi 2 e 4). I Comuni possono individuare, previo parere delle organizzazioni di categoria e dei consumatori, giorni e zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva (comma 5). Invero, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il comma 5 non detterebbe una disposizione immediatamente precettiva, essendo indefettibile l'attuazione di essa mediante regolamentari comunali[Cons. St., Sez. V, 5 aprile 2005, n. 1548].

L'art. 12 conferma la specialità del regime degli orari nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nonché nelle città d'arte e nei loro territori, già affermata dalla previgente legislazione. Per essi viene infatti prevista la libertà degli esercenti di determinare gli orari dei propri negozi anche in deroga agli obblighi di chiusura nei giorni festivi e di riposo infrasettimanale di cui al comma 4° del precedente art. 11. Il comma 2 dell'art. 12 conferma il potere di coordinamento dei comuni ex art. 50, comma 7, TUEL (art. 36, comma 3, l. n. 142/1990), prevedendo che, nei periodi di maggiore afflusso turistico, le organizzazioni rappresentative delle categorie coinvolte (esercenti, lavoratori, consumatori) possano definire accordi con i Comuni per assicurare all'utenza idonei livelli di servizio e di informazione.

L'art. 13 del D.Lgs. n. 114/1998 esonera dall'applicazione del titolo IV alcune tipologie di attività, in virtù della tipologia dei beni oggetto di rivendita, o dei luoghi in cui tali attività sono aperte.

 

L'articolo 3 del D.L. 223 del 2006 (primo dei c.d. decreti Bersani)

Tale impianto normativo è stato (implicitamente) confermato dal primo dei c.d. Decreti Bersani (D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248.), il cui articolo 3, nel dettare molteplici disposizioni pro-concorrenza, non ha modificato la disciplina sugli orari. In particolare l'art. 3, comma 1, elimina una serie di limiti e prescrizioni alle attività commerciali in applicazione delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di libera circolazione delle merci e dei servizi, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettere e) ed m), Cost.

 

Le riforme del 2011

Nel corso del 2011, nel quadro delle riforme sistemiche anticrisi, l'art. 35, comma 6, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ha introdotto la lettera d-bis) al comma 1 dell'art. 3 D.L. n. 223/2006, intesa a liberalizzare, «in via sperimentale», gli orari di apertura e chiusura degli esercizi di vendita al dettaglio situati in località turistiche o città d'arte.

La piena liberalizzazione dei giorni e orari di apertura degli esercizi commerciali, è stata quindi realizzata con il D.L. 201/2011 (Decreto salva-Italia) che, con l'articolo 31 elimina qualsiasi vincolo su questo specifico aspetto: la limitazione dell'estensione del nastro orario giornaliero di apertura (precedentemente di tredici ore); l'obbligo di mezza giornata di chiusura infrasettimanale; l'obbligo di chiusura nei giorni festivi per i quali non sia prevista una specifica deroga.

All'esito dei due interventi normativi del luglio-dicembre 2011 il nuovo comma 1, lettera d-bis), dell'art. 3 del D.L. n. 223/2006, nella versione oggi in vigore, stabilisce che «le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio».

La nuova lettera d-bis) del comma 1° del citato art. 3 D.L. n. 223/2006, aggiunge pertanto all'elenco degli ambiti normativi, per i quali è espressamente escluso che lo svolgimento di attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni, anche la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva di tutti gli esercizi e di tutte le attività commerciali come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114.

La norma in esame, per la sua formulazione e per il suo contenuto, non necessita di alcuna attuazione ed è quindi direttamente applicativa.

Si ricorda inoltre che l'articolo 40 del D.L. 5/2012 ha soppresso il vincolo in materia di chiusura domenicale e festiva per le imprese di panificazione di natura produttiva

 

I ricorsi alla Corte costituzionale; la disciplina degli orari tra materia del "commercio" e materia della "concorrenza"

Sulla disciplina degli orari, introdotta dal citato articolo 31 del D.L. 201/2011 alcune Regioni hanno tentato un ricorso alla Corte costituzionale rivendicando la propria competenza in un ambito della regolazione commerciale dove si sostiene che la materia rilevante non sia la concorrenza ma la garanzia della fornitura del servizio al cittadino.

La Corte infatti, anteriormente alla liberalizzazione del 2011, ha costantemente ascritto la disciplina degli orari degli esercizi commerciali, alla materia del commercio di competenza esclusiva residuale delle Regioni.

Il quadro muta decisamente con l'introduzione delle disposizioni di liberalizzazione di cui all'articolo 31 più volte citato.

Con specifico riguardo a tale articolo la Corte, con la sentenza n. 299 del 2012, ha posto in luce, tra l'altro che per costante giurisprudenza costituzionale la nozione di concorrenza attribuita alla competenza esclusiva dello Stato comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche »; 2) la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere finalistico, non è una materia di estensione certa o delimitata, ma è configurabile come trasversale, «corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall'intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni ».

Dalla natura trasversale della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza la Corte ha tratto la conclusione «che il titolo competenziale delle Regioni a statuto speciale in materia di commercio non è idoneo ad impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale e che la disciplina statale della concorrenza costituisce un limite alla disciplina che le medesime Regioni possono adottare in altre materie di loro competenza» (sentenza n. 299 del 2012 citata, punto 6.1. del Considerato in diritto).

Con la sentenza 299 del 2012, e con le successive sentenze nn. 27 e 38 del 2013, la Corte qualifica dunque le norme sugli orari degli esercizi commerciali come norme di tutela della concorrenza, in quanto tale rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, e quindi abilitate a disporre costituendo un limite alla disciplina regionale.

 

Limiti agli orari degli esercizi commerciali
Il coordinamento dei comuni
Il completamento del processo di liberalizzazione
La sentenza n.299 del 2012


Contenuto delle proposte di legge

Per quanto attiene al contenuto specifico delle proposte di legge in esame, l'A.C. 750 prevede all'articolo 1:

  • che le attività commerciali siano svolte senza limiti (orari di apertura/chiusura, chiusura domenicale/ festiva, mezza giornata), quando gli esercizi siano ubicati nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte (comma 1);
  • l'abrogazione dell'intero articolo 31 del D.L. 201/2011(comma 2);

L'articolo 31, al comma 1, dispone, come si è visto la piena liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, a prescindere dal comune dove si svolge l'esercizio stesso.

Il comma 2 specifica che costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. La disposizione prevede inoltre che le Regioni e gli enti locali debbano adeguano i propri ordinamenti a tali prescrizioni entro il 30 settembre 2012. Tale disposizione va peraltro letta in combinato con quanto disposto dall'articolo 34, comma 4, del medesimo D.L. 201/2011, il quale dispone che l'introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l'esercizio di un'attività economica deve essere giustificato sulla base dell'esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità. Ciò vuol dire che l'accesso al mercato, in seguito all'intervento di liberalizzazione, di qualunque impresa commerciale può essere condizionato solo dal rispetto delle norme urbanistiche e da una valutazione di compatibilità con la tutela dei lavoratori della salute e dell'ambiente e dei beni culturali. Sulla base di tale disposizione non possono più essere posti dalle Regioni contingenti e altre limitazioni territoriali e cambia (alla luce dell'art. 34 , comma 4) il criterio delle Regioni per l'autorizzazione di nuovi sviluppi commerciali.

Con l'abrogazione dell'intero articolo 31 la proposta di legge n.750 estende dunque l'oggetto del proprio intervento normativo al di là della mera regolazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali. L'abrogazione del comma 2 dell'articolo 31 infatti fa venir meno il principio di liberalizzazione nell'ingresso al mercato di nuovi esercizi commerciali.

 

  • che le regioni, adottino, attraverso una procedura di consultazione (enti locali, organizzazioni dei lavoratori e dei consumatori), un piano per la regolazione dei giorni di apertura per gli esercizi commerciali non ubicati nelle località turistiche o città d'arte,
  • che il piano regionale preveda, per ciascuna domenica o giorno festivo, l'apertura del 25 per cento degli esercizi per ciascun settore merceologico e per ciascun esercizio commerciale non oltre il massimo annuo di dodici giorni di apertura festiva (commi 3 e 4);
  • che le regioni e gli enti locali adeguino i propri ordinamenti alle suddette prescrizioni entro il 31 dicembre 2013

 

L'articolo 2 della proposta di legge 750 istituisce l'Osservatorio sulle aperture domenicali e festive con il compito di verificare gli effetti della nuova regolazione delle aperture domenicali e festive ai sensi della presente legge. L'osservatorio dovrà esser istituito dal 1o gennaio 2014, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, presso il Ministero dello sviluppo economico e sarà composto da dieci membri, i quali svolgeranno le loro funzioni senza alcuna corresponsione di emolumenti, compensi o rimborso spese.

 

La proposta di legge n. 947, si limita ad abrogare la lettera d-bis) dell'articolo 3 del D.L. 223 del 2006 (così come modificata dall'art. 31 del D.L. 201/2011) che, come si è visto, prevede il divieto di porre limiti o restrizioni all'apertura degli esercizi commerciali.

L'effetto dell'abrogazione della citata disposizione restituisce quindi alle Regioni la facoltà di regolare la materia.

   Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale che, come si è visto (vedi paragrafo sui ricorsi alla Corte ) considera la normativa liberalizzatrice degli orari degli esercizi di vendita attratta nella competenza legislativa statale ex art. 117, comma 2, lett. e) Cost., fonti regionali di segno contrario, o comunque più restrittive, dovrebbero considerarsi illegittime. 
  Con la sentenza n.299 del 2012 la Corte infatti ha specificato che le norme contenute nell'articolo 31 citato, non attengono alla materia commercio, di esclusiva competenza regionale, ma a quella della concorrenza, di esclusiva competenza statale, in quanto attuano un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche: si tratta, dunque, di misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l'assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale.
  Con la sentenza n. 27 del 2013 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 80 della legge della Regione Toscana n. 28 del 2005 (Codice del Commercio), come sostituito dall'articolo 88 della legge della Regione Toscana n. 66 del 2011, norma che si rivolge agli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa, in relazione ai quali reintroduce l'obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo limitate deroghe, e prescrive il limite massimo di apertura oraria di tredici ore giornaliere, salvo la possibilità di introdurre deroghe da parte dei comuni, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e ), in quanto risulta palese il contrasto tra la normativa regionale impugnata e l'art. 3, comma 1, lettera d-bis ), del D.L. n. 223 del 2006, come novellato dall'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza», che ha liberalizzato gli orari e le giornate di apertura degli esercizi commerciali.

 

La proposta di legge A.C. 1042, pur mantenendo saldi i princìpi della liberalizzazione del comparto, introduce nuove disposizioni, all'interno del medesimo articolo 31 del D.L. 201/2011, prevedendo un piano territoriale degli orari degli esercizi commerciali e artigianali rivolti al pubblico a cura dei comuni. I piani sono predisposti entro il 28 febbraio con cadenza triennale. La procedura di adozione del piano prevede lo strumento della consultazione (aziende, organizzazioni dei lavoratori e dei consumatori). E' comunque fatta salva la libera prestazione di servizi, previa comunicazione al pubblico, da parte degli operatori e dei conduttori di esercizi commerciali e artigianali a conduzione familiare.

 

La predisposizione del piano da parte dei comuni, in assenza di modifiche all'impianto generale dell'articolo 31 del D.L. 201/2011 implica che il contenuto di esso deve rispettare i principi informatori delle disposizioni di liberalizzazione.

Al riguardo la proposta n. 1042 specifica che il piano ha la finalità di promuovere un'offerta complessiva del territorio anche tramite l'integrazione degli orari di funzioni e servizi affini e complementari e deve:

  • garantire la piena e costante fruibilità da parte dei cittadini degli esercizi commerciali;
  • rispettare diritti dei lavoratori;
  • assicurare l'attuazione della legge 8 marzo 200, n. 53 in tema di conciliazione di tempi di vita e di lavoro e di coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.

 

In base alla disposizione introdotta dalla proposta in esame dovrebbe ricavarsi che i comuni possono porre limitazioni parziali alla libertà di orario in presenza di problemi di coordinamento tra gli orari delle attività commerciali e le esigenze generali di funzionamento dei servizi delle città, di contemperazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, di sicurezza, quiete ed ordine pubblico. Tali limitazioni, se di ordine generale, possono essere poste solo tramite l'approvazione del piano territoriale degli orari.

Restano ferme le facoltà dei sindaci di emanare ordinanze contingibili e urgenti per situazioni e problemi particolari legati alla sicurezza, alla quiete e all'ordine pubblico e alla viabilità e traffico.

 

Con particolare riguardo alla predisposizione del piano di regolazione dei comuni occorre ricordare che il potere di coordinamento degli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali venne attribuito ai Comuni già a partire dall'art. 54 D.P.R. n. 616/1977.
Tale potere venne confermato dalla successiva normativa in tema di Enti locali dapprima dall'art. 36, comma 3, l. n. 142/1990, poi dall'art. l'art. 11 legge 3 agosto 1999 n. 265, il quale novellò il medesimo comma 3° dell'art. 36 cit. e venne sostanzialmente riprodotto nel vigente all'art. 50, comma 7, TUEL.

Anteriormente alla liberalizzazione del 2011, la giurisprudenza civile aveva espresso principi intesi a salvaguardare il potere di coordinamento dei Comuni in tema di orari anche nelle ipotesi di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 114/1998 e cioè nel caso di esercizi commerciali siti in Comuni ad economia prevalentemente turistica ovvero in Città d'arte.

Secondo la Cassazione, l'art. 12 non detterebbe alcuna possibilità per gli esercenti di derogare agli atti di coordinamento emanati dal Comune ex art. 36, comma 3, legge n. 142/1990 (ora art. 50, comma 7°, TUEL). Il che – osserva la S.C. – sarebbe «anche e decisivamente conforme alla logica che, impone che, sia pure nel contesto di una disciplina più aperta e flessibile in ragione delle esigenze turistiche, non sia lasciato agli esercenti degli esercizi commerciali il mero arbitrio di stabilire, in ordine a ciascun esercizio, orari di chiusura legati solo alla valutazione del singolo, e pertanto tali da creare disservizi e lacune nell'ambito dell'attività commerciale, che potrebbe risultare carente in alcuni orari non ritenuti remunerativi, ma pure bisognosi di copertura per soggetti residenti o dimoranti che necessitino di usufruire della rete di commercio locale in circostanze e per motivi che trascendono le connotazioni turistiche del luogo» (Cass., Sez. II, 20 gennaio 2009, n. 1378).

Le amministrazioni comunali possono dunque regolare l'attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici mediante l'esercizio del potere previsto dall'art. 50, comma 7, del d.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell'interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico.

 

 La legge 53/2000 dedica il capo VII all'introduzione di principi di gestione e coordinamento dei tempi della città intese a incentivare e agevolare l'accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione, agli esercizi commerciali e che incentivino l'uso del tempo per fini di solidarietà sociale da parte della cittadinanza. La legge n. 53 del 2000 aveva indicato come compito della Regione quello di indicare ai Comuni "criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico", fra l'altro, dei "pubblici esercizi commerciali" (art. 22), tenendo conto degli effetti "sul traffico,sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina (art. 24, comma 5). In particolare si ricorda l'articolo 24 coma 1 della legge n. 53 del 2000 in merito al piano territoriale degli orari, che è strumento unitario per finalità ed indirizzi, articolato in progetti, anche sperimentali, relativi al funzionamento dei diversi sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento.

Il piano territoriale degli orari consiste in un sistema di progetti coordinati fra loro finalizzato a riorganizzare i sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento e, più in generale, a coordinare i tempi di funzionamento delle città e a promuovere l'uso del tempo per fini di solidarietà sociale. L'elaborazione delle linee guida del piano compete al sindaco, il quale deve attuare forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche, le parti sociali, le associazioni e rappresentanze delle famiglie. Nell'elaborazione del piano si deve tenere conto degli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina. Il piano deve considerare gli orari di lavoro pubblici e privati, gli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attività commerciali, nonché delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.

 

L'A.C. 750
Gli effetti dell'abrogazione dell'articolo 31
L'A.C. 947
L'A.C. 1042
Le competenze comunali
La legge 53/2000 e i piani orari


Relazioni allegate o richieste

Le proposte di legge sono corredate della relazione illustrativa.



Necessità dell'intervento con legge

Le proposte di legge sono volte a modificare o abrogare disposizioni di rango legislativo, per cui è necessario l'intervento con legge.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina degli orari delle attività commerciali interferisce con due materie, concorrenza e commercio, la prima delle quali è attribuita alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. e) Cost.), mentre la seconda è attribuita a quella residuale (e quindi esclusiva) delle Regioni (art. 117, comma 3, Cost.).

Sotto il profilo di costituzionalità, secondo la giurisprudenza costituzionale, a seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia "commercio" rientra nella competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost (ordinanza 199/2006), e che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia «commercio» di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 350 del 2008). Tuttavia la stessa Corte (sentenza 288/2010) ha anche rilevato che pertengono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le regole in materia di commercio direttamente afferenti alla tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale e volte a garantire condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché ad assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale. Nel 2011, con la novella all'art. 3 del D.L. 223/2006 apportata dal D.L. 98/2011, la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva degli esercizi commerciali è entrata a far parte degli ambiti normativi direttamente afferenti alla tutela della concorrenza e, quindi, appare rientrante nell'ambito di materia di competenza esclusiva della legislazione statale.



Compatibilità comunitaria

Nell'ambito dell'Unione europea la Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare la piena legittimità delle discipline interne relative alla regolazione degli orari commerciali rispetto al principio di libera circolazione delle merci.

Nella sentenza della Corte di Giustizia CE, Sez. V, 20 giugno 1996, in C-418/93 viene infatti osservato che «l'art. 30 del Trattato va interpretato nel senso che non si applica ad una normativa nazionale sull'orario di apertura dei pubblici esercizi che vale per tutti gli operatori economici che svolgono attività sul territorio nazionale e che incide allo stesso modo, in diritto e in fatto, sulla vendita dei prodotti nazionali e su quella dei prodotti provenienti da altri Stati membri». Ciò in quanto, osserva il medesimo indirizzo, «le discipline nazionali che limitano l'apertura domenicale di esercizi commerciali costituiscono l'espressione di determinate scelte, rispondenti alle peculiarità socio-culturali nazionali o regionali. Spetta agli Stati membri effettuare queste scelte attenendosi alle prescrizioni del diritto comunitario» (Corte di Giustizia CE, sent. in C-418/93 cit.)