Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Il funzionamento dei sistemi elettorali in Europa - L'esperienza di Francia, Regno Unito, Spagna e Germania - Seconda Edizione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 18
Data: 24/01/2017
Descrittori:
FRANCIA   GERMANIA
GRAN BRETAGNA   SISTEMI ELETTORALI
SPAGNA     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Il funzionamento dei sistemi elettorali
in Europa

 

L’esperienza di Francia, Regno Unito, Spagna
e Germania

 

 

 

 

 

 

n. 18

 

II edizione

 

gennaio 2017

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 / 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

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File: ac0146.doc

 


INDICE

PREMESSA                                                                                                         1

FRANCIA                                                                                                             3

§  Il sistema costituzionale                                                                                   3

§  Il sistema elettorale dell’Assemblea nazionale                                                5

§  Il sistema elettorale del Senato                                                                        7

§  L’elezione del Presidente della Repubblica                                                     8

§  Sistema elettorale e sistema dei partiti                                                            9

REGNO UNITO                                                                                                  11

§  Il sistema costituzionale                                                                                 11

§  Il sistema elettorale della Camera dei Comuni                                              13

§  Sistema elettorale e sistema dei partiti                                                          15

SPAGNA                                                                                                            21

§  Il sistema costituzionale                                                                                 21

§  Il sistema elettorale del Congreso de los Diputados                                      23

§  Sistema elettorale e sistema dei partiti                                                          27

GERMANIA                                                                                                        33

§  Il sistema costituzionale                                                                                 33

§  Il sistema elettorale del Bundestag                                                                36

§  Sistema elettorale e sistema dei partiti                                                          41

§  Gli interventi del Tribunale costituzionale federale in materia elettorale        46

 

 


PREMESSA

 

 

 

Il presente dossier si propone di fornire una panoramica sul funzionamento dei sistemi elettorali delle Camere basse dei principali paesi europei, offrendo una ricostruzione delle modalità di interazione tra sistemi elettorali ed assetto dei partiti, nell’ambito dei diversi ordinamenti costituzionali.

 

 

 

I sistemi politici di Francia, Regno Unito, Spagna e Germania sono sempre stati caratterizzati da una maggiore stabilità dei governi rispetto allo scenario italiano, stabilità dovuta anche alla natura bipartitica o comunque bipolare di tali sistemi, tendenzialmente dominati da due grandi partiti.

Questa situazione risulta al momento in evoluzione, in quanto negli ultimi anni, segnati dalla pesante crisi economica, si sono affermate nuove forze e movimenti politici che hanno messo in discussione il carattere bipolare di quegli assetti, determinando la perdita di consensi dei partiti maggiori, soprattutto di quelli di sinistra.

Nel 2016 lo stallo determinatosi in Spagna, con due elezioni consecutive e 10 mesi senza un Governo nella pienezza dei poteri, l’esito del referendum sulla Brexit nel Regno Unito, la fortissima affermazione alle elezioni regionali in Germania di un partito anti-europeista, la decisione del Presidente Hollande di non ricandidarsi alle elezioni presidenziali di Francia sono stati i segnali di una situazione di incertezza, che sta portando ad una maggiore frammentazione dei sistemi partitici. Non è un caso che in questi paesi si inizi a parlare di una crescente “italianizzazione della politica”.

 

 


FRANCIA

Il sistema costituzionale

La Francia costituisce l’esempio classico di forma di governo semipresidenziale.

La forma di governo è caratterizzata dall’elezione popolare diretta sia dell’Assemblea nazionale che del Presidente della Repubblica e dalla ripartizione del potere esecutivo tra quest’ultimo ed il Primo ministro (la cd. “aquila a due teste”, secondo la nota espressione di Duverger).

Il Presidente della Repubblica, nonostante la Costituzione (art. 5) sembri attribuirgli un ruolo prevalentemente di garanzia, in realtà dispone di poteri molto incisivi, tra i quali il potere di scioglimento dell’Assemblea nazionale senza controfirma ministeriale, tanto più rilevanti in quanto non esistono strumenti che possano mettere in discussione la sua responsabilità politica.

Occorre dunque sottolineare la preminenza del potere esecutivo nei confronti delle assemblee parlamentari, a causa del depotenziamento a livello costituzionale di alcune prerogative parlamentari e anche grazie al sistema elettorale maggioritario, che assicura alla coalizione vincente una solida maggioranza all’Assemblea nazionale.

 

Fra le più rilevanti previsioni costituzionali che depongono nel senso di una prevalenza del ruolo dell’esecutivo, si possono indicare:

§  l’assenza della previsione esplicita di un voto iniziale di fiducia al Governo e la previsione di una maggioranza qualificata per l’approvazione della mozione di censura, per la quale è richiesto il voto favorevole della maggioranza dei componenti l’Assemblea (art. 49 Cost.);

§  il potere del Governo di porre la questione di fiducia sui progetti di legge finanziaria o di finanziamento della previdenza sociale e, nel limite di uno per sessione parlamentare, su qualsiasi altro progetto di legge; in tal caso il progetto, senza essere posto in votazione, è considerato approvato, salvo il caso in cui sia approvata una mozione di censura, presentata nelle successive 24 ore (art. 49, terzo comma, Cost.);

§  il potere del Governo di richiedere il cd. ‘voto bloccato’, ossia che l’assemblea si pronunci con un solo voto su tutto o parte del testo in discussione, con i soli emendamenti proposti o accettati dal Governo, senza che in tal caso sia messa in discussione la responsabilità politica del Governo (art. 44 Cost.);

§  un sistema delle fonti del diritto in cui i rapporti tra legge e regolamento sono regolati non in base al principio gerarchico, secondo la concezione tradizionale del principio di legalità, ma in base ad un criterio di competenza. La Costituzione elenca infatti le materie riservate alla legge, rimettendo tutte le altre materie alla disciplina regolamentare (artt. 34 e 37);

§  il potere del Presidente della Repubblica, su proposta del Governo, di richiedere il referendum popolare su un’ampia serie di progetti di legge (art. 11 Cost.). Questo potere è stato utilizzato in passato anche per l’approvazione di riforme costituzionali.

 

Il Parlamento francese è costituito dall’Assemblea nazionale e dal Senato (art. 24 Cost.).

L’Assemblea nazionale, composta da 577 deputati, è l’organo rappresentativo dei cittadini, in quanto è eletta a suffragio universale diretto, mentre il Senato, composto da 348 senatori, è eletto a suffragio indiretto e rappresenta le collettività territoriali.

La sola Assemblea nazionale è titolare del rapporto di fiducia con il Governo e può far valere la responsabilità del Governo attraverso il voto di una mozione di censura (art. 49 Cost.).

Diversamente del Senato, inoltre, l’Assemblea nazionale può essere sciolta anticipatamente dal Presidente della Repubblica (art. 12 Cost.), che gode anch’egli di una legittimazione popolare diretta, essendo eletto a suffragio universale diretto.

Ulteriori differenze tra i due rami del Parlamento riguardano:

-    l’età per l’elettorato passivo: 18 anni per l’Assemblea nazionale, 24 anni per il Senato;

-    la durata del mandato: 5 anni per i deputati dell’Assemblea nazionale, 6 anni per i senatori;

-    le modalità del rinnovo: per il Senato, si ha un rinnovo parziale ogni tre anni che riguarda ciascuna volta la metà dei seggi, mentre per l’Assemblea nazionale il rinnovo è unitario ogni 5 anni (salvo scioglimento anticipato). Il Presidente dell’Assemblea nazionale è eletto per la durata della legislatura; il Presidente del Senato è eletto dopo ciascun rinnovo parziale.

 

Nel procedimento legislativo, all’Assemblea nazionale è riconosciuta una posizione dominante.

Per essere approvato in via definitiva, qualunque progetto di legge deve essere votato da entrambe le Camere nello stesso testo. Se però ciò non avviene dopo due letture da parte di ciascuna Camera - o dopo una sola lettura quando il Governo ha richiesto la “procedura accelerata” - il Primo ministro può chiedere la riunione di una Commissione bicamerale paritetica (la Commission mixte paritaire), incaricata di proporre un testo di mediazione. Se, dopo un’ulteriore lettura da parte di ciascun ramo del Parlamento, non si raggiunge un l’accordo, il Governo può chiedere all’Assemblea nazionale di deliberare in via definitiva. Questa deliberazione deve avvenire a maggioranza assoluta dei membri, se si tratta di un disegno di legge organica.

Devono comunque essere votate da entrambe le Camere nello stesso testo le leggi organiche relative al Senato.

Nel procedimento di revisione costituzionale, inoltre, al Governo non è consentito, in caso di disaccordo tra le Assemblee, di interrompere la navette e chiedere la costituzione della Commissione bicamerale paritetica, né domandare all’Assemblea nazionale di decidere in via definitiva.

Spetta infine all’Assemblea nazionale l’esame in prima lettura dei progetti di leggi finanziarie e di finanziamento della sicurezza sociale, mentre il Senato ha la priorità nell’esame delle progetti di legge riguardanti l’organizzazione delle collettività territoriali.

 

In materia di controllo sul Governo, le due Camere hanno gli stessi poteri, con la rilevante eccezione della votazione della mozione di censura, prerogativa esclusiva dell’Assemblea nazionale.

 

Nella pratica, i poteri legislativi e di controllo delle due Camere non si discostano di molto e il Senato non si è mai veramente affermato, anche a causa del mancato compimento di un reale decentramento autonomistico, come assemblea rappresentativa degli interessi delle collettività territoriali, svolgendo piuttosto un ruolo di camera di garanzia e di riequilibrio politico. Non a caso si parla, per il sistema francese, di bicameralismo “quasi perfetto”.

 

Il sistema elettorale dell’Assemblea nazionale

L’Assemblea nazionale francese è eletta con un sistema maggioritario a doppio turno, nell’ambito di collegi uninominali.

 

Il sistema è in vigore fin dal 1958, anno di approvazione della Costituzione della V Repubblica, con l’eccezione di un breve periodo tra il 1985 ed 1986, in cui è stato applicato un sistema proporzionale

 

L’attuale Sistema è stato introdotto dalla legge n° 86-825 dell’11 luglio 1986 di modifica del Codice elettorale. La disciplina elettorale francese è contenuta nel Codice elettorale che reca una parte di disposizioni comuni per tutti i tipi di elezioni e una parte di disposizioni speciali, tra cui quelle relativa all’Assemblea nazionale.

 

Le circoscrizioni elettorali

 

Sono istituiti 577 collegi (circonscriptions électorales), uno per ciascun deputato da eleggere all’Assemblea nazionale, di cui 566 individuati all’interno dei dipartimenti metropolitani e d’oltremare e nei territori d’oltremare, e 11 istituiti all’estero (i francesi stabiliti all’estero hanno diritto di voto nell’Assemblea nazionale a seguito di una legge costituzionale del 2008).

Il découpage delle circoscrizioni elettorali deve rispettare una serie di criteri enunciati dalla giurisprudenza del Consiglio costituzionale: la delimitazione delle circoscrizioni elettorali deve basarsi su criteri essenzialmente demografici, cui può derogarsi solo in presenza di «imperativi di interesse generale»; in ogni caso lo scarto tra la popolazione di una circoscrizione e la popolazione media delle circoscrizioni del dipartimento non può superare il 20%; deve essere garantita la continuità territoriale delle circoscrizione, salvo eccezioni giustificate da ragioni geografiche o demografiche.

Per espressa disposizione costituzionale (art. 25, terzo comma), una commissione indipendente deve pronunciarsi con un parere pubblico sui progetti di testo e sulle proposte di legge che delimitano le circoscrizioni per l’elezione dei deputati o che modificano la ripartizione dei seggi dei deputati o dei senatori.

 

Nessuno può essere candidato in più di una circoscrizione (art. 156 cod. el.).

 

Votazione e formula elettorale

 

Il sistema elettorale è basato su uno scrutinio uninominale maggioritario a due turni (art. 123 cod. el.).

Le votazioni si svolgono in un’unica giornata, di domenica (artt. 54 e 55 cod. el.).

Sono eletti al primo turno i candidati che ottengono contemporaneamente i seguenti risultati:

§  la maggioranza assoluta dei voti espressi;

§  un numero di voti almeno pari al 25% degli elettori iscritti (art. 126 cod. el.).

 

Nei collegi dove non si verificano queste due condizioni si procede ad un secondo turno di votazioni, che si svolge nella domenica successiva a quella del primo turno (art. 56, cod. el.).

Partecipano al secondo turno i candidati che hanno ottenuto al primo turno un numero di voti almeno pari al 12,5% degli elettori iscritti. Se solo un candidato soddisfa tale requisito, è ammesso al secondo turno anche il candidato che dopo di lui abbia ottenuto il maggior numero di voti in assoluto. Se, invece, nessun candidato ha ottenuto il 12,5%, passano al secondo turno i due candidati che hanno ottenuto il maggio numero di voti (art. 162).

Per essere eletti al secondo turno è sufficiente la maggioranza relativa dei voti. In caso di parità è eletto il candidato più anziano (art. 126).

 

 

Parità di accesso di donne e uomini alle cariche elettive

 

Al fine di garantire il principio costituzionale della parità di accesso di donne e uomini ai mandati elettorali e alle funzioni elettive, è prevista una misura volta a favorire la tendenziale uguaglianza del numero di candidati uomini e di candidate donne dello stesso partito o gruppo politico, applicandosi in caso contrario una riduzione del finanziamento pubblico.

In particolare, se la differenza tra il numero di candidati di un partito o gruppo politico di ciascun sesso è superiore al 2%, la prima tranche del finanziamento pubblico al partito o gruppo politico è ridotta in misura pari ai tre quarti della predetta differenza.

Dunque, se un partito presenta il 51% di candidati di sesso maschile ed il 49% di candidate di sesso femminile, la differenza è del 2% e non si dà luogo ad alcuna decurtazione. Se invece, ad esempio, i candidati uomini sono il 60% e le candidate donne sono il 40%, la differenza è del 20%; il finanziamento pubblico è allora ridotto in misura pari a tre quarti di questo 20%, cioè del 15%.

 

I deputati supplenti e le elezioni suppletive

 

La legge elettorale limita i casi di elezioni suppletive, prevedendo, contestualmente all’elezione del deputato, quella di un supplente, chiamato a sostituirlo in caso di morte, nomina al Governo o al Consiglio costituzionale o per il prolungamento oltre i 6 mesi di un incarico temporaneo affidato dal Governo (artt. 176-178 cod. el.).

Solo per gli altri casi di vacanza del seggio (annullamento dell’elezione da parte del giudice, decadenza, dimissioni o elezione del deputato al Senato o al Parlamento europeo), si svolge un’elezione suppletiva, che comunque non può avere luogo nei 12 mesi precedenti la fine della legislatura.

Dopo la legge costituzionale del 23 luglio 2008, i deputati nominati membri del Governo possono, al termine delle loro funzioni ministeriali, riprendere il loro seggio di deputato.

Il sistema elettorale del Senato

Il Senato è composto da 348 senatori, eletti a suffragio universale indiretto per 6 anni. Ogni 3 anni si procede ad un rinnovo parziale, che riguarda ciascuna volta la metà dei seggi.

 

I senatori sono eletti a suffragio indiretto, in ogni dipartimento, da un collegio ristretto di “grandi elettori”, composto da deputati, consiglieri regionali, consiglieri dipartimentali e delegati di consigli municipali.

I consigli municipali risultano di fatto decisivi, in quanto costituiscono il 95% del collegio. In particolare, il sistema determina una sovrarappresentazione dei piccoli comuni rurali (che sono circa 30.000) all’interno del collegio dei grandi elettori.

Il numero dei delegati municipali all’interno del collegio dei grandi elettori varia in base alla popolazione dei comuni:

- i comuni con meno di 9.000 abitanti esprimono da 1 a 15 delegati;

- nei comuni con popolazione compresa tra i 9.000 ed i 30.000 abitanti tutti i consiglieri municipali (da 29 a 69) sono delegati;

- i comuni con più di 30.000 abitanti esprimono, oltre ai consiglieri municipali, delegati supplementari (eletti a scrutinio proporzionale dal consiglio municipale, in ragione di un deputato ogni 1.000 abitanti oltre i 30.000).

 

Sono previsti due modi di scrutinio:

§  lo scrutinio uninominale maggioritario a due turni, che si applica nei 70 dipartimenti di dimensioni minori, che eleggono da 1 a 3 senatori;

§  il sistema della rappresentanza proporzionale, con liste bloccate, che si applica nei 39 dipartimenti più estesi, che eleggono 4 o più senatori.

Per i seggi da attribuire con sistema proporzionale, al fine di garantire il principio della parità di accesso di donne e uomini ai mandati elettorali, è previsto che su ogni lista, lo scarto tra il numero dei candidati di ciascun sesso non può essere superiore a uno e che ogni lista è composta alternativamente da un candidato di ciascun sesso.

 

I francesi stabiliti all’estero sono rappresentati da 12 senatori, eletti con il sistema proporzionale, dai 155 componenti del Assemblea dei Francesi all’Estero.

 

Nel complesso, 180 seggi sono assegnati con il sistema proporzionale (circa il 52 % del totale) e 168 con il sistema maggioritario.

L’elezione del Presidente della Repubblica

A differenza di quanto avviene per l’Assemblea nazionale e per il Senato, le modalità di elezione del Presidente della Repubblica, con sistema maggioritario a doppio turno, sono disciplinate a livello costituzionale.

 

Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni a suffragio universale diretto. Non può esercitare più di due mandati consecutivi (art. 6 Cost.).

Possono candidarsi tutti i cittadini che abbiano compiuto 23 anni, a condizione di aver ottenuto il sostegno di cinquecento eletti a livello nazionale o locale; è inoltre richiesta una particolare ripartizione geografica dei sostenitori (che devono provenire da almeno 30 dipartimenti o collettività d’oltremare; i sostenitori provenienti dallo stesso dipartimento o collettività d’oltremare non possono inoltre essere più di un decimo). La validità delle candidature è verificata dal Consiglio costituzionale.

Il Presidente della Repubblica è eletto con sistema maggioritario a doppio turno.

Il Presidente è eletto a maggioranza assoluta dei voti espressi. Se tale maggioranza non viene conseguita al primo scrutinio, si procede ad una nuova votazione il quattordicesimo giorno successivo.

Possono presentarsi al secondo turno soltanto i due candidati che abbiano raccolto il maggior numero di voti al primo scrutinio, a meno che i candidati più favoriti non si ritirino (art. 7 Cost.).

Sistema elettorale e sistema dei partiti

Il sistema maggioritario a due turni per l’elezione dell’Assemblea nazionale è stato introdotto nel 1958, in luogo del vigente sistema proporzionale, con la finalità di porre un argine alla frammentazione dei partiti ed all’instabilità dei governi.

Esso ha certamente portato alla bipolarizzazione del sistema politico, per la quale è stata determinante anche l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che avviene anch’essa con sistema maggioritario a doppio turno.

La tradizione pluralista del sistema partitico ha fatto peraltro sì che il bipolarismo non si traducesse in bipartitismo è si è assistito piuttosto ad una profonda riorganizzazione del sistema e ad una nuova strutturazione più funzionale alla nuova forma di governo semipresidenziale, che postula l’alternanza. Un’ulteriore conseguenza è lo sradicamento delle ali estreme, in quanto i partiti che si pongono al di fuori dei due poli hanno scarse possibilità di essere rappresentati in Parlamento (a titolo esemplificativo, nelle elezioni del 2012, il Front National, pur avendo conseguito il 13,8% dei voti al primo turno, ha ottenuto solo 2 seggi nell’Assemblea nazionale).

Negli anni Settanta e Ottanta ha prevalso il modello della cd. ‘quadriglia bipolare’, caratterizzato dalla presenza di due poli formati entrambi da due partiti di forza pressoché equivalente (a sinistra: partito socialista e partito comunista; a destra: partito gollista e partito liberale).

Successivamente, da un parte, la dissoluzione del partito comunista nel polo di sinistra e l’emergere in quel polo di forze di diversa ispirazione (radicale, ambientalista…), dall’altra, l’affermazione a destra di una forza politica destinata a restare fuori dal sistema (il Front National) hanno mutato lo scenario e hanno portato al rafforzamento in entrambi i poli di un partito che ha una posizione dominante, affiancato da formazioni politiche di minor peso (a sinistra prevale il Parti socialiste-PS; a destra, l’Union pour un mouvement populaire-UMP, erede del partito gollista).

Al consolidamento di questa situazione ha successivamente contribuito la riforma costituzionale del 2000, che ha ridotto il mandato presidenziale da 7 a 5 anni, facendolo coincidere con quello dell’Assemblea nazionale, e la modifica nel 2001 del calendario elettorale, assicurando la precedenza delle elezioni presidenziali rispetto a quelle legislative, con l’obiettivo di evitare le situazioni di ‘cohabitation’ (ossia la compresenza di un Presidente della repubblica e di un’Assemblea nazionale di diverso colore politico). Da allora la maggioranza dell’Assemblea nazionale è sempre stata espressione della stessa maggioranza politica del Presidente della Repubblica e le elezioni dell’Assemblea nazionale hanno sempre subito un effetto di “trascinamento” da parte delle presidenziali (così nel 2002, nel 2007 e nel 2012). Da qui il rafforzamento dei due partiti che esprimono i due principali candidati alla Presidenza della Repubblica.

Nelle ultime elezioni legislative (2012), i voti conseguiti dai due partiti principali si sono peraltro attestati sotto il 30% (il PS ha conseguito il 29,3% dei voti, l’UMP il 27,1%).

Merita altresì di essere segnalato il dato dell’affluenza alle urne, molto più alto per le elezioni presidenziali rispetto a quelle dell’Assemblea nazionale (nel 2012, 79,5% nel primo turno delle presidenziali a fronte del 57,2% del primo turno per le elezioni dell’Assemblea Nazionali).

 

Per ciò che attiene al concreto funzionamento del sistema a doppio turno, in un numero molto esiguo di collegi i deputati sono eletti al primo turno (nelle elezioni del 2012, solo 36 su 577, ossia il 6%).

Nella maggior parte dei collegi si procede dunque ad un secondo turno, in cui generalmente si contrappongono due candidati degli opposti schieramenti, anche quando il numero dei candidati dei due schieramenti che ha superato la soglia per accedere al secondo turno è superiore. Dopo il primo turno, in cui si misura il peso politico di ciascun partito, si consolidano infatti - e a volte di delineano – le alleanze, e ciascuno schieramento sceglie il candidato su cui puntare, mentre gli altri si ritirano, sulla base dei cc.dd. accordi di desistenza.

Oltre ai candidati dei due schieramenti, ve ne possono essere altri di forze politiche che si pongono al di fuori dei due poli, i quali peraltro hanno scarse possibilità di essere eletti.

Gli accordi di desistenza possono inoltre riguardare collegi in cui hanno superato il turno solo due candidati dello stesso schieramento: in tal caso uno dei due candidati si ritira, assicurando l’automatica elezione dell’altro.

 

 

 

 


REGNO UNITO

Il sistema costituzionale

Il sistema costituzionale britannico rappresenta un unicum nel panorama internazionale in quanto fondato su una costituzione non scritta, ma frutto di una plurisecolare tradizione di natura consuetudinaria o convenzionale (le cc.dd. constitutional conventions). Non deve tuttavia essere sottovalutata la rilevanza nel sistema delle fonti scritte, sia che si tratti di documenti risalenti nel tempo, quali la Magna Charta Libertatum (1215) o il Bill of rights (1688), sia che si tratti di vere e proprie leggi approvate dal Parlamento (statute law).

 

Il Regno Unito è il primo paese in cui si è affermata una forma di governo parlamentare: alla fine del Settecento è riconosciuto il principio secondo cui il Primo Ministro deve godere della fiducia della Camera dei comuni e già in precedenza il parlamento aveva costituito un rilevante limite ai poteri della Corona.

Lo Stato mantiene tuttora il carattere monarchico, ma la Corona riveste un ruolo prevalentemente simbolico dell’unità nazionale ed i poteri che le sono riconosciuti hanno natura eminentemente formale (ccdd. Royal Prerogatives) e sono di fatto esercitati dal governo.

Nel governo, il Primo Ministro ha una posizione dominante ed è scelto dal sovrano, che nomina il leader del partito vincitore delle elezioni. La premiership nel governo è infatti tradizionalmente considerata coincidente con la leadership del partito maggioritario.

 

Sulla base della tradizione costituzionale, inoltre, il Parlamento è formalmente composto dalla Corona e da due Camere, la Camera dei Comuni (House of Commons) e la Camera dei Lords (House of Lords), secondo la formula del Crown in Parliament. Con questo termine si designa un’istituzione complessa che sintetizza i caratteri di una sovranità che nei paesi continentali è riconosciuta allo Stato o al popolo.

Il peso della Camera dei Lords è peraltro andato progressivamente riducendosi nel tempo e pertanto l’attività del parlamento si concentra prevalentemente nella Camera dei comuni.

Anche nell’ambito Camera dei comuni, peraltro, una posizione di netta preminenza è riconosciuta al Primo Ministro, che generalmente gode dell’appoggio incondizionato della maggioranza parlamentare e dispone dell’ordine del giorno della Camera. I disegni di legge approvati sono di regola di iniziativa governativa (ccdd. Public Bills), mentre le procedure parlamentari rendono difficoltoso l’iter delle proposte dei singoli parlamentari (cc.dd. Private Members Bills).

 

Sul piano del procedimento legislativo, la funzione legislativa della Camera dei Lords è, da un punto di vista formale, equivalente a quella della Camera dei Comuni. Esistono tuttavia alcune incisive limitazioni al potere legislativo dei Lords.

In particolare, la competenza legislativa della Camera dei Lords in materia finanziaria e tributaria è formalmente esclusa da una tradizionale riserva di competenza (c.d. privilegio finanziario) a favore della Camera dei Comuni. Inoltre, la Camera dei Lords non può impedire la sanzione reale di una legge quando la Camera dei Comuni la abbia approvata in due sessioni diverse, con intervallo di almeno un anno. Nella pratica, comunque, i Lords non negano il proprio assenso alle leggi approvate dai Comuni.

Oltre alle leggi parlamentari, ampio spazio è riconosciuto alla produzione normativa governativa.

 

La forma di governo parlamentare pertanto si fonda non tanto sui poteri separati di un Parlamento che legifera e di un governo che amministra, quanto sul rapporto cooperativo tra gli stessi.

 

Negli ultimi dieci anni si è peraltro assistito ad una rilevante evoluzione del sistema, con il progressivo intervento della legge in ambiti in precedenza lasciati alle convenzioni costituzionali. Questa evoluzione ha avuto inizio nel 2005, con il Constitutional Reform Act 2005, che ha istituito la Corte suprema, ed è poi proseguita con il Constitutional and Reform Act 2010, che, oltre ad intervenire sullo status dei parlamentari, ha disciplinato i principi del pubblico impiego e la ratifica dei trattati.

Nello stesso senso si segnalano il Parliamentary Voting System and Constituencies Act 2011, sulla riduzione del numero dei deputati (su cui v. infra), e soprattutto il Fixed-term Parliaments Act 2011, che per la prima volta disciplina lo scioglimento del parlamento e il rapporto fiduciario tra Camera dei comuni e Governo, facendo venir meno in particolare la prerogativa regia di scioglimento anticipato della Camera dei comuni, esercitata su impulso del Primo Ministro.

Secondo la nuova legge, si deve procedere allo scioglimento anticipato della Camera dei comuni quando la Camera medesima approva, a maggioranza dei due terzi, una mozione per lo svolgimento di elezioni anticipate o quando approva, a maggioranza semplice, una mozione di sfiducia nei confronti del governo, senza poi accogliere, nei successivi 14 giorni, una mozione di fiducia per un nuovo esecutivo.

Sono stati così introdotti nel sistema costituzionale britannico alcuni istituti della razionalizzazione parlamentare tipici degli ordinamenti costituzionali continentali, disciplinando ambiti dapprima rimessi all’accordo continuativo delle parti.

Il sistema elettorale della Camera dei Comuni

La Camera dei Comuni (House of Commons) è l’organo direttamente rappresentativo del popolo del Regno Unito ed è attualmente composta da 650 deputati.

 

Formula elettorale

Le elezioni si svolgono con sistema maggioritario a turno unico (cd. first-past-the-post).

 

Il sistema è attualmente codificato nel Representation of the people Act 1983 (Schedule 1 – Art. 18). Esso è stato gradualmente introdotto nel corso dell’Ottocento: con il Representation of the people Act del 1832 e, soprattutto, con il Reform Act del 1867 ed il Redistribution of the seats Act del 1885, in forza dei quali il collegio uninominale ha sostituito su tutto il territorio nazionale il collegio binominale (in alcuni casi anche trinominale e quadrinominale) previsto dal precedente sistema.

 

Il territorio nazionale è diviso in collegi uninominali, nei quali sono presentate singole candidature.

Viene eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti.

È un sistema elettorale estremamente semplice ed immediatamente comprensibile per l’elettore.

D’altro canto, esso è spesso criticato perché non in grado di garantire adeguatamente la rappresentatività. Essendo sufficiente la maggioranza relativa dei voti per l’elezione, tutti i voti attribuiti ai candidati non eletti – che potrebbero anche costituire una maggioranza consistente – rimangono privi di rappresentanza.

 

 

I collegi elettorali

 

Fondamentale è la definizione dei collegi elettorali (constituencies), che avviene sulla base di revisioni periodiche affidate a commissioni indipendenti, le Boundary Commissions.

Le Boundary Commissions sono 4 organi indipendenti, una per ciascuna delle aree nazionali (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord), che hanno il compito di riferire al Parlamento e di effettuare proposte al Governo.

Ciascuna Commissione è composta dal Presidente (Speaker) della Camera dei Comuni, che formalmente la presiede  ma che per prassi non partecipa ai lavori , e da altri 3 membri.

Il Vicepresidente, che di fatto guida Iavori, è un giudice dell’High Court, nominato dal Lord Cancelliere (un membro del Governo che generalmente è anche Ministro della giustizia). Gli altri due membri sono nominati al termine di un processo di selezione pubblica.

 

Conseguenza delle revisioni periodiche è stata per lungo tempo la variabilità del numero dei collegi elettorali e, conseguentemente, dei deputati (nelle elezioni del 2010 sono stati eletti 650 deputati, nelle precedenti elezioni del 2005 i deputati erano 646, in quelle del 2001 i deputati erano 659).

Le revisioni dei collegi sono inoltre frequentemente oggetto di contestazioni da parte delle forze politiche che si ritengono danneggiate.

 

Il Parliamentary Voting System and Constituencies Act 2011 ha peraltro determinato a livello legislativo il numero dei collegi elettorali, e quindi dei deputati, fissandolo a 600, con finalità anche di contenimento dei costi della politica.

Con la stessa legge è stata dettata una nuova disciplina per la definizione dei collegi elettorali, con la previsione di un limite numerico e di un limite di ampiezza geografica. In particolare, al fine di garantire una maggiore omogeneità numerica nell’elettorato dei collegi, è previsto un limite massimo del 5% alla differenza tra il numero degli elettori di ciascun collegio e la cd. ‘quota elettorale’, ossia il numero medio di elettori per collegio (che si ottiene dividendo il numero totale degli elettori per il numero totale dei collegi). L’area di ciascun collegio non può poi superare i 13.000 chilometri quadrati. Sono previste eccezioni legate alla particolare situazione di alcuni collegi (così per 4 collegi insulari, per i collegi dell’Irlanda del Nord e per i collegi di ampiezza superiore ai 12.000 km2).

Le proposte delle Boundary Commissions al governo sulla modifica dei collegi divengono inoltre vincolanti.

Entro il 1° ottobre 2013, le Commissioni avrebbero dovuto formulare le proposte di revisione dei collegi, in attuazione della nuova legge, al fine di pervenire alla riduzione del numero dei deputati prima delle prossime elezioni del 2015.

 

Per le elezioni del 2015 sono stati dunque mantenuti i 650 collegi delle precedenti elezioni.

 

 

 

 

La promozione della rappresentanza di genere

 

Le misure per favorire la rappresentanza femminile nelle assemblee elettive sono rimesse alla libera scelta dei partiti.

Il Sex Discrimination (Election Candidates) Act 2002 consente ai partiti di adottare, nella selezione dei candidati alle elezioni, regole volte a ridurre le disuguaglianze nel numero di uomini e donne eletti.

Con questa base normativa il Labour Party ha potuto proseguire la pratica – precedentemente dichiarata illegittima - delle cc.dd. all-women shortlists, in base alla quale nella metà dei collegi elettorali, in cui i precedenti candidati non si ripresentano, la selezione della nuova candidatura avviene sulla base di un elenco di sole donne.

Il termine per mantenere misure di questo tipo, originariamente fissato nel 2015, è stato esteso fino al 2030 dall’Equality Act  del 2010.

 

 

Le elezioni del maggio 2015 hanno portato alla House of Commons 191 deputate su 650 seggi, con una percentuale del 29 per cento, la più alta nella storia del Regno Unito.

I risultati sono però molto diversi a seconda dei partiti: le deputate del Labour Party, le donne sono il 43 per cento, quelle dello Scottish National Party il 36 per cento, mentre il Conservative Party ha eletto il 21 per cento di donne e nessuno degli 8 deputati dei Liberal Democrats è donna.

 

 

Sistema elettorale e sistema dei partiti

Il sistema maggioritario a turno unico, con collegi uninominali, è tradizionalmente considerato la ragione principale del bipartitismo che ha caratterizzato il sistema politico britannico per molti anni.

In realtà, il bipartitismo ha origini risalenti nel tempo ed è sempre stato radicato nella cultura politica del paese. Già nella seconda metà del XVII secolo è ben delineata la divisione tra due fazioni politiche, i tories, sostenitori della monarchia, della Chiesa anglicana, delle tradizioni della proprietà fondiaria e dei ceti rurali, ed i whigs, favorevoli al potere parlamentare e alla tolleranza religiosa e sostenuti dall’aristocrazia cittadina e dai suoi interessi di carattere commerciale.

Nel corso dell’Ottocento, le due forze politiche assumono una struttura organizzativa vera e propria di partito: i tories costituiscono il Conservative Party, i whigs il Liberal Party. Questo assetto si mantiene fino all’inizio del Novecento, quando, soprattutto grazie all’estensione del suffragio, si afferma il Labour Party, espressione politica dei sindacati e dei socialisti, a scapito dei liberali, che conoscono un rapido declino.

La formula elettorale maggioritaria uninominale ha dunque contribuito al consolidamento di un sistema politico già formato incentrato su due partiti, attraverso la tendenziale sottorappresentazione delle terze forze che si presentavano sulla scena politica.

Nel cd. ‘modello Westminster’, i due principali partiti si alterano alla guida del Paese.

Peraltro, negli ultimi è la natura bipartitica del sistema è stata messa in discussione. Non solo e non tanto perché nel Regno Unito risultano registrati oltre 400 partiti e formazioni politiche, quanto perché si è registrata una tendenza ad un progressivo ridimensionamento dei due partiti maggiori e all’affermazione di nuove forze politiche.

Le elezioni del maggio 2010 sono state caratterizzate dall’affermazione di un terzo partito di ispirazione liberale, i Liberal Democrats, che ha assunto un ruolo determinante per la formazione dell’esecutivo.

Il Conservative Party, vincitore delle elezioni dopo 13 anni di governo dei laburisti, con il 36,1% dei suffragi ha conseguito 306 seggi, ossia il 47,1% del totale, insufficienti dunque per raggiungere la maggioranza assoluta. Il Labour Party con il 29% dei voti ha  ottenuto 258 seggi (39,7%). I Liberal Democrats, terza forza del paese, con il 23% dei voti avevano ottenuto l’8,8% seggi (57 seggi), a riprova della tendenza del sistema maggioritario a un turno a sottodimensionare le formazioni politiche diffuse a livello nazionale di medie e piccole dimensioni[1].

Le elezioni del 2010, dunque, hanno determinato, per la seconda volta dal dopoguerra, un Hung Parliament (letteralmente: Parlamento ‘appeso’ o ‘in sospeso’), ossia una Camera dei comuni in cui nessuno dei due partiti principali dispone della maggioranza assoluta necessaria per formare il Governo. L’altro caso di Hung Parliament si era verificato dopo le elezioni del febbraio 1974; in quell’occasione il Labour Party formò un governo di minoranza con il compito di portare il paese a nuove elezioni, che si svolsero 7 mesi dopo.

I Liberal Democrats sono dunque stati il vero ago della bilancia tra conservatori e laburisti, decidendo, dopo trattative con entrambi i partiti, di allearsi con i conservatori di David Cameron, che ha assunto il ruolo di Primo Ministro, mentre il leader dei lib-dem Nick Clegg è divenuto vice-primo ministro. Per la prima volta dal dopoguerra il Regno Unito è dunque guidato da un governo di coalizione, per la cui formazione sono stati necessari ben 5 giorni dallo svolgimento delle elezioni (un tempo lunghissimo per gli standard britannici).

 

Oggetto della trattativa che ha portato al nuovo esecutivo è stata anche la legge elettorale, contestata dai liberal-democratici per i suoi effetti eccessivamente maggioritari. L’accordo di coalizione ha dunque previsto lo svolgimento di un referendum per il superamento del sistema maggioritario a turno unico in favore del sistema con voto alternativo.

 

Il sistema con voto alternativo, adottato per le elezioni della Camera dei Rappresentanti australiana, è un sistema con collegi uninominali che prevede che gli elettori indichino non il voto per un solo candidato ma l’ordine di preferenza tra i vari candidati. Si tratta dunque di una sorta di via di mezzo tra un sistema maggioritario a turno unico ed uno a doppio turno, che favorisce l’elezione non tanto del candidato più votato quanto di quello meno ostacolato[2].

 

Il referendum elettorale si è svolto il 5 maggio 2011 ed il 67,9% dei votanti si è espresso contro il superamento del vigente sistema maggioritario a un turno. L’affluenza alle urne è stata del 41,97% (non era previsto un quorum di partecipazione per la validità).

 

Particolare clamore ha destato alle elezioni europee del maggio 2014, l’affermazione come primo partito dell’anti-europeista UK Independence Party (UKIP), con il 26,6% dei suffragi. Si è infatti trattato della prima volta in cui un’elezione non è stata vinta da uno dei due principali partiti e per di più da una forza politica non rappresentata in Parlamento.

 

Contrariamente alle previsione di tutti i sondaggi preelettorali, che avevano escluso il delinearsi di una maggioranza netta, le ultime elezioni del maggio 2015 hanno visto una chiara affermazione del Conservative Party del Primo Ministro David Cameron, che, con il 36,9% dei suffragi, ha ottenuto 331 seggi (+24 rispetto alle precedenti elezioni), assicurandosi la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni.

La seguente tabella riporta i risultati delle elezioni, in cui la partecipazione al voto è stata del 66% (+0,9 rispetto alle elezioni del 2010).

 

 

Partiti politici

Numero dei voti ottenuti

% Voti

Numero dei seggi

%  Seggi

Conservative Party

11.334.920

36,9%

331

50,9%

Labour Party

9.344.328

30,4%

232

35,7%

UKIP

3.881.129

12,6%

1

0,2%

LibDem

2.415.888

7,9%

8

1,2%

Scottish National Party

1.454.436

4,7%

56

8,6%

Green Party

1.154.562

3,8%

1

0,2%

Democratic Unionist Party

184.260

0,6%

8

1,2%

Playd Cimru

181.694

0,6%

3

0,5%

Sinn Fein

176.232

0,6%

4

0,6%

Ulster Unionist Party

114.935

0,4%

2

0,3%

Social Democratic and Labour Party

99.809

0,3%

3

0,5%

Altri

349.487

1,1%

1

0,2%

 

 

Il Labour Party, con il 30,4% dei voti e 232 seggi (-26), ha ottenuto il risultato più debole degli ultimi 28 anni. Il partito laburista in parte ha pagato il suo sostegno alla campagna del ‘no’, a fianco dei conservatori, nel referendum per l’indipendenza della Scozia del 18 settembre 2014, che ha determinato la sua netta sconfitta in questa parte del territorio, in parte non ha convinto l’elettorato per la mancanza di un progetto realmente alternativo a quello dei conservatori.

 

I Liberal Democrats, precedentemente al Governo con i conservatori, hanno subìto una disfatta: 7,9% dei voti e 8 seggi (-49).

 

Il secondo vincitore delle elezioni è stato lo Scottish National Party, guidato da Nicola Sturgeon, che si è presentato solo in Scozia, feudo storico del partito laburista, ottenendo con il 4,7% dei suffragi ben 56 seggi (+50) sui 59 della Scozia.

L’anti-europeista UK Indipendence Party non ha ripetuto il successo delle elezioni europee, ma si è comunque affermato come terza forza politica per numero di voti (12,6%), ottenendo peraltro un solo seggio.

I 18 seggi dell’Irlanda del Nord sono stati appannaggio di partiti territoriali; tra questi, il Democratic Unionist Party, con 8 seggi (a fronte di uno 0,6% di voti a livello nazionale).

 

I risultati dimostrano chiaramente come il sistema elettorale maggioritario a turno unico amplifichi i risultati dei partiti concentrati territorialmente, come lo Scottish National Party e i partiti dell’Irlanda del Nord, e penalizzi i partiti di piccole e medie dimensioni diffusi a livello nazionale, come l’UKIP.

Dopo le elezioni il Governo è stato dunque di nuovo affidato al Primo ministro uscente David Cameron, che aveva peraltro assunto l’impegno politico di organizzare, in caso di rielezione, un referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (cd. Brexit).

 

Come noto, il referendum sulla Brexit, svoltosi il 23 giugno 2016, ha visto la vittoria dei Leavers, favorevoli all’uscita dall’Europa.

Questo risultato ha determinato la caduta del governo Cameron, che aveva invece sostenuto il Remain, e la formazione di un nuovo governo conservatore guidato da Theresa May.

Il Labour Party, anch’esso in favore del Remain, non è stato in grado di approfittare della crisi governativa per presentarsi all’elettorato come un’effettiva alternativa al governo conservatore, secondo i canoni del ‘modello Westminster’. Esso stesso è stato coinvolto da una crisi interna, che ha finanche portato, nell’agosto del 2016, ad un ricorso in sede giudiziaria sulle regole del partito per l’elezione del leader.

 

 


SPAGNA

Il sistema costituzionale

La forma di governo prescelta dalla Costituzione spagnola del 1978 è la monarchia parlamentare, sintesi della tradizione del regime monarchico con l’affermazione del Parlamento (Cortes Generales) quale primario organo costituzionale.

Nella Costituzione il re è il capo dello Stato, simbolo della sua unità e continuità, il quale arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni, assume la più alta rappresentanza dello Stato spagnolo nelle relazioni internazionali ed esercita le funzioni espressamente conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi (art. 56).

Il Parlamento spagnolo, organo rappresentante del popolo e al quale spetta l’esercizio della potestà legislativa dello Stato, è formato da due Camere: il Congresso dei deputati (Congreso de los Diputados) e il Senato (Senado).

Il Congresso dei deputati è composto da 350 membri, eletti secondo il sistema proporzionale d’Hondt, a liste bloccate, con soglia di sbarramento al 3% dei voti ottenuti dai partiti nelle singole circoscrizioni elettorali, corrispondenti alle province. Il Senato invece, definito “Camera di rappresentanza territoriale” (art. 69 Cost.), ha un numero variabile di membri, poiché è in parte eletto direttamente, secondo un sistema maggioritario corretto, basato su un numero di senatori scelti in ogni circoscrizione provinciale e insulare, e in parte eletto indirettamente dalle assemblee legislative delle singole Comunità autonome. Entrambe le Camere durano in carica per quattro anni.

 

Sebbene la Costituzione attribuisca l’esercizio della funzione legislativa ad entrambe le Camere, il sistema vigente può definirsi di bicameralismo differenziato. Solo in materia di revisione costituzionale il Senato è posto sullo stesso piano del Congresso dei Deputati (articoli 66, 167,168 Cost.).

La prima lettura di un progetto o di una proposta di legge deve sempre avere luogo presso il Congresso dei Deputati, con l’eccezione dei progetti governativi riguardanti il Fondo di Compensazione Interterritoriale, la cui prima lettura avviene al Senato, in quanto “Camera di rappresentanza territoriale”.

Le proposte di legge di iniziativa del Senato, che abbiano ivi superato la fase di “presa in considerazione”, devono essere inviate al Congresso per l’avvio del procedimento legislativo (artt. 87, 88, 89 Cost.).

Il Presidente del Congresso deve informare immediatamente il Presidente del Senato dell’approvazione di un progetto di legge ordinaria od organica. Il Senato può:

    opporre il suo veto a maggioranza assoluta entro due mesi dal ricevimento. Il termine si riduce a 20 giorni nel caso di progetti dichiarati urgenti dal Governo o dal Congresso. Tale veto può essere superato dal Congresso con una prima votazione a maggioranza assoluta, ovvero, in una seconda votazione a distanza di due mesi dal voto del Senato a maggioranza semplice;

    apportare emendamenti entro due mesi dal ricevimento, ferma restando la facoltà del Congresso di accettarli o respingerli a maggioranza semplice. Anche in questo caso il termine si riduce a 20 giorni per i progetti di legge dichiarati urgenti.

La terza lettura al Congresso dei Deputati è sempre definitiva (art. 90 Cost.).

Sempre all’interno del procedimento legislativo, va segnalato anche che i decreti-legge adottati dal Governo, in casi di straordinaria e urgente necessità, vanno presentati sempre al Congresso dei deputati e che quest’ultimo ha la facoltà esclusiva di convalidarli nel testo del Governo, senza necessità di sottoporli all’esame del Senato.

Per quanto riguarda le funzioni, oltre a partecipare all’esercizio della potestà legislativa dello Stato e controllare l’azione del Governo nei limiti posti dalla Costituzione, il Senato:

-              partecipa all’autorizzazione dei trattati, per i quali la Costituzione espressamente richiede l’autorizzazione di entrambe le Camere (e cioè quelli di carattere politico, militare, o che riguardino l’integrità territoriale dello Stato o i diritti e i doveri fondamentali, o che implichino oneri per la finanza pubblica o modificazioni di leggi) e può richiedere al Tribunale Costituzionale la dichiarazione di costituzionalità dei trattati internazionali (art. 94 e 95 Cost.);

-              sceglie 4 membri del Consiglio Generale del Potere Giudiziario e 4 giudici del Tribunale Costituzionale (artt. 122 e 159 Cost.);

-              partecipa all’approvazione degli accordi di cooperazione tra le Comunità Autonome e alla distribuzione delle risorse presenti nel Fondo di Compensazione per correggere gli squilibri economici interterritoriali (art. 145, 158 Cost.);

-              valuta l’esigenza di un intervento normativo dello Stato di armonizzazione delle disposizioni normative delle Comunità Autonome con l’interesse generale (art. 150 Cost.);

-              partecipa alla ratifica degli Statuti delle Comunità Autonome (art. 151 Cost.);

-              approva a maggioranza assoluta l’adozione di misure per obbligare le Comunità Autonome all’adempimento degli obblighi costituzionali o per prevenire gravi violazione contro gli interessi generali nazionali (art. 155 Cost.);

-              può proporre (mediante un quorum di 50 senatori) ricorso di incostituzionalità innanzi al Tribunale Costituzionale (art. 162 Cost.).

 

Con riferimento ai rapporti con il potere esecutivo, la fiducia iniziale è espressa dal solo Congresso dei deputati (non anche dal Senato) e investe il Presidente del Governo e non anche i membri del Governo. Pertanto, la fiducia iniziale al Presidente del Governo e l’approvazione di mozioni di fiducia o di censura al Governo stesso possono essere presentate e votate soltanto presso il Congresso dei deputati.

L’unica procedura a disposizione del Congresso dei deputati per rimuovere il Governo è dunque rappresentata dalla mozione di censura, secondo il meccanismo della sfiducia costruttiva. La mozione di censura deve essere proposta da almeno un decimo dei deputati e deve includere la proposta di una candidatura alternativa alla presidenza dell'esecutivo. Se il Congresso dei deputati approva a maggioranza assoluta la mozione, il Governo è tenuto a presentare le dimissioni al Re ed il candidato proposto nella mozione si intenderà investito della fiducia della Camera e sarà nominato dal Re Presidente del Governo.

D’altra parte, il Presidente del Governo spagnolo dispone del potere di proporre al Re lo scioglimento del Congresso dei deputati. L’esercizio di tale può essere paralizzato dall’approvazione di una mozione di sfiducia costruttiva.

 

Il sistema elettorale del Congreso de los Diputados

Il Congreso de los Diputados è composto da 350 deputati eletti direttamente in 52 circoscrizioni, con sistema proporzionale, con liste bloccate e con una soglia di sbarramento del 3%, che si applica a livello circoscrizionale.

Diversi elementi del sistema elettorale, tra i quali la previsione di circoscrizioni di piccola dimensione e l’applicazione del metodo di riparto proporzionale D’Hondt, alterano la natura proporzionale del sistema e fanno sì che esso produca effetti assimilabili a quelli di un maggioritario.

 

I principi fondamentali del sistema elettorale sono previsti a livello costituzionale. In particolare l’art. 68 Cost. prevede che:

§  il Congresso dei deputati è composto da un minimo di 300 a un massimo di 400 Deputati;

§  la circoscrizione elettorale è la provincia; la legge distribuisce il numero totale di deputati assegnando una rappresentanza minima iniziale a ciascuna circoscrizione e distribuendo i rimanenti in proporzione alla popolazione;  fanno eccezione Ceuta e Melilla (due énclaves nel territorio del Marocco), rappresentate ciascuna da un Deputato;

§  l’elezione avviene in ogni circoscrizione attenendosi a criteri di rappresentanza proporzionale.

La legge elettorale rientra inoltre tra le leggi organiche, per la cui approvazione è richiesta la maggioranza assoluta del Congresso (art. 81 Cost.).

 

La disciplina elettorale spagnola è contenuta nella Ley Orgánica del Régimen Electoral General n. 5/1985 (LOREG), e successive modificazioni e integrazioni.

 

La Ley organica n. 5/1985 (LOREG) reca la disciplina comune a tutti i tipi di elezioni (elettorato attivo e passivo, regole generali di procedimento elettorale, costituzione dei seggi, presentazione delle candidature, spese e contributi elettorali) e la disciplina specifica per ciascun tipo di elezione. Le norme per l'elezione del Congreso e del Senado sono contenute nel Titolo II; i primi due capitoli (articoli 154-160) recano le norme sulla ineleggibilità e sulle incompatibilità; il Capo III (articoli 161-173) reca le norme sul sistema elettorale; seguono le norme sulla procedura elettorale (articoli 167-173) e sulle le spese e i contributi elettorali (articoli 174-175).

 

La legge elettorale stabilisce in 350 il numero dei deputati (art. 162, comma 1).

A ciascuna delle 50 province, che costituiscono le circoscrizioni elettorali,  sono assegnati inizialmente due deputati (mentre Ceuta e Melilla eleggono, ciascuna, un deputato); i restanti 248 seggi sono ripartiti tra le province in proporzione alla popolazione, con il sistema dei quozienti interi e dei maggiori resti (art. 162, commi 2 e 3).

 

Applicando il sistema dei quozienti interi e dei maggiori resti, si divide il numero totale degli abitanti delle province per il numero dei seggi da ripartire, ossia 248; successivamente si divide il numero degli abitanti di ciascuna provincia per il quoziente ottenuto e si assegna alla provincia in numero di seggi pari al numero intero (senza decimali) risultante da tale divisione; i restanti seggi sono attribuiti alle province che abbiano ottenuto le frazioni decimali maggiori, in ordine decrescente fino ad esaurimento.

 

Il decreto di convocazione specifica il numero di deputati da eleggere in ciascuna circoscrizione (art. 162, comma 4).

L’attribuzione di due deputati in numero uguale a tutte le circoscrizioni (circa il 29% dei seggi) implica una sovrarappresentazione delle circoscrizioni meno popolose.

L’elevato numero delle circoscrizioni, inoltre, fa sì che solo 6 circoscrizioni su 52 eleggano un numero di deputati pari o superiore a 10 (Madrid 36, Barcellona 31, Valencia 16, Alicante e Siviglia 12 ciascuna, Malaga 11,  Murcia 10, così nelle ultime elezioni del 2016).

 

Le candidature sono presentate in liste concorrenti nella circoscrizione. Possono presentare liste di candidati, i partiti e le federazioni registrate, le coalizioni di partiti e di federazioni (che devono costituirsi entro 10 giorni dalla convocazione) o raggruppamenti di elettori che abbiano raccolto le sottoscrizioni di almeno l’1% degli iscritti alle liste elettorali della circoscrizione (i partiti non rappresentati alle Camere devono invece raccogliere lo 0,1% di sottoscrizioni) (art. 44 e 169).

Le liste contengono un numero di candidati pari al numero di deputati da eleggere; possono essere presentate liste di supplenti, in numero comunque non superiore a 10 (art. 46).

Deve essere indicato l’ordine di collocamento (art. 46), particolarmente importante perché i candidati sono eletti secondo quest’ordine (cd. ‘lista bloccata’).

Le liste devono avere una composizione equilibrata tra uomini e donne, in modo che i candidati di ciascun genere rappresentino almeno il 40%. La proporzione minima del 40% deve essere mantenuta anche per ogni gruppo di 5 candidati nella lista; se il numero di posti da coprire è inferiore a cinque, la proporzione di donne e uomini deve essere più vicina possibile all’equilibrio numerico (art. 44-bis).

Nessuno può essere candidato in più di una circoscrizione (art. 46).

 

La scheda reca il contrassegno e il simbolo del partito o federazione o coalizione o del raggruppamento di elettori che presenta la candidatura, nonché l'elenco dei candidati (art. 172). A fianco del nome dei candidati può essere indicata la loro condizione di indipendenti o, in caso di coalizioni o federazioni, la denominazione del partito di appartenenza di ciascuno (art. 46, comma 7).

 

L’elettore dispone di un voto che esprime in favore di una delle liste circoscrizionali. Non è prevista l'espressione del voto di preferenza.

 

I seggi sono assegnati tutti a livello circoscrizionale. Non sono previsti meccanismi che consentano il recupero a livello nazionale dei voti espressi a livello circoscrizionale non utilizzati per l’assegnazione di seggi.

I seggi spettanti alla circoscrizione sono assegnati alle liste con sistema proporzionale, applicando il metodo d’Hondt. Alla assegnazione partecipano soltanto le liste che hanno ottenuto un numero di voti validi pari ad almeno il tre per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione (art. 163).

 

Secondo il metodo d’Hondt, si divide il totale dei voti di ogni lista per 1, 2, 3, 4… fino al numero di seggi da assegnare. I seggi sono assegnati alle liste seguendo l’ordine decrescente dei quozienti così ottenuti.

 

 

Riprendendo l’esempio pratico fornito direttamente dalla legge elettorale spagnola (art. 163), si può ipotizzare che in una circoscrizione che elegge 8 deputati, 480.000 voti siano così ripartiti tra 6 liste:

A: 168.000 voti; B: 104.000 voti; C: 72.000 voti;  D:64.000 voti; E: 40.000 voti; F: 32.000 voti.


 

Divisione

1

2

3

4

5

6

7

8

A

168.000

84.000

56.000

42.000

33.600

28.000

24.000

21.000

B

104.000

52.000

34.666

26.000

20.800

17.333

14.857

13.000

C

72.000

36.000

24.000

18.000

14.400

12.000

10.285

9.000

D

64.000

32.000

21.333

16.000

12.800

10.666

9.142

8.000

E

40.000

20.000

13.333

10.000

8.000

6.666

5.714

5.000

F

32.000

16.000

10.666

8.000

6.400

5.333

4.571

4.000

 

Alla lista A sono dunque assegnati 4 seggi, alla lista B 2 seggi, alle liste C e D un seggio ciascuna.

 

Secondo la legge elettorale spagnola, inoltre, in caso di quozienti identici, il seggio è attribuito alla lista che ha ottenuto il maggior numero totale di voti. In caso di due liste con un uguale numero totale di voti, la prima parità è risolta mediante sorteggio e le successive con il metodo dell’alternanza.

 

I seggi attribuiti alla lista sono attribuiti ai candidati secondo l'ordine in cui sono inclusi nella lista.

L’adozione del metodo d’Hondt, che costituisce il meno proporzionale tra i criteri di ripartizione proporzionale, favorisce la sovrarappresentazione dei partiti maggiori, estromettendo dal riparto i partiti minori.

Questo effetto è del resto accentuato dalle ridotte dimensioni delle circoscrizioni. Come già rilevato, 46 circoscrizioni su 52 eleggono un numero di deputati inferiore a 10. In questi casi è altamente improbabile che il sistema possa funzionare come un sistema realmente proporzionale.

La soglia di sbarramento del tre per cento ha dunque nella pratica effetto soltanto nelle due circoscrizioni maggiori (Madrid e Barcellona), mentre nelle altre circoscrizioni esiste una soglia implicita che supera ampiamente questo valore.

 

In conclusione, il numero relativamente ristretto di deputati da eleggere (350), la configurazione delle circoscrizioni elettorali, numerose e di piccole dimensioni, la distribuzione di 100 seggi in misura fissa (2 per circoscrizione provinciale), l’applicazione del metodo d’Hondt sono tutti elementi che concorrono ad attenuare fortemente il carattere proporzionale del sistema ed a far sì che esso produca effetti assimilabili a quelli di un sistema maggioritario.

 

 

Sistema elettorale e sistema dei partiti

La costituzionalizzazione nel 1978 del principio proporzionale trova il suo fondamento nel disfavore per la formula maggioritaria, adottata nella II Repubblica (dal 1931 al 1939). Il sistema maggioritario aveva contribuito ad una radicalizzazione del confronto politico, spingendo i partiti ad allearsi in due coalizioni che lasciavano poco spazio alle posizioni moderate ed aprendo la strada agli estremismi che sarebbero stati causa delle guerra civile e dell’avvento del regime autoritario franchista.

Fin da subito fu peraltro avvertita l’esigenza di adottare correttivi che garantissero la governabilità. La stessa Costituzione, se, da un lato, enuncia il criterio proporzionale, dall’altro, contiene una serie di prescrizioni (sul numero di deputati, sulla coincidenza tra circoscrizione elettorale e provincia, su un numero fisso di deputati da assegnare a ciascuna circoscrizione) che contribuiscono ad attenuare il carattere proporzionale del sistema elettorale.

Le caratteristiche enunciate dalla Costituzione del 1978 erano del resto quelle del sistema elettorale adottato in via provvisoria l’anno precedente, che si proponeva di coniugare pluralismo politico e stabilità istituzionale, sistema elettorale poi ripreso dalla Ley organica del 1985 (LOREG).

Dopo la prima fase successiva alla caduta di Franco nel 1977, in cui il governo fu guidato dal partito centrista Unión de Centro Democrático (UCD), dal 1982 al 2015 la scena politica spagnola è stata dominata da due grandi partiti: a sinistra il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), a destra il Partido popular (PP), che si sono sempre alternati al governo.

Il sistema elettorale ha contribuito al rafforzamento dei due partiti. Come si è già detto, pur essendo il sistema formalmente proporzionale, alcune caratteristiche, in primis la presenza di piccole circoscrizioni che eleggono un numero ristretto di candidati, fanno sì che esso produca effetti tendenzialmente maggioritari, sovrarappresentando i partiti maggiori che si presentano su scala nazionale.

Effetti di sovrarappresentazione riguardano anche i partiti fortemente radicati a livello regionale, mentre sono correlativamente sottorappresentati i partiti minori di livello nazionale.

La distribuzione parlamentare dei seggi mostra così una forte rappresentanza dei due partiti maggiori, affiancati da una serie nutrita di partiti minori che dispongono di un numero piuttosto esiguo di seggi.

 

Del resto, fino alle elezioni del 2011 sono stati i partiti maggiori i grandi catalizzatori di voti.

Alle elezioni del 2008, nessun partito, oltre a PP e PSOE, ha raggiunto il 4% dei suffragi a livello nazionale.

Leggermente più variegata la situazione alle elezioni del 2011, in cui la coalizione di sinistra formata da Izquierda Unida e Los Verdes ha sfiorato il 7% dei consensi e due formazioni politiche hanno superato il 4% (Unión Progreso y Democracia, nato da una scissione dal PSOE, ha ottenuto il 4,7% e il partito catalano Convergencia i Unió il 4,2%).

 

Più in generale, l’attribuzione dei seggi sulla base dei risultati circoscrizionali fa peraltro sì che risultino ben rappresentati i partiti nazionalisti o regionalisti a carattere locale e penalizzati  i partiti minori di livello nazionale.

 

Nel 2011, tra i partiti regionalisti il partito catalano Convergencia i Unió, con il 4,2% ha ottenuto il 4,5% dei seggi (16 seggi), la coalizione della sinistra radicale indipendentista basca (AMAIUR), presentatasi per la prima volte alle elezioni, con l’1,4% dei voti ha conseguito il 2% dei seggi (7 seggi), che si aggiungono ai 5 seggi (1,4%) ottenuti dal Partido Nacionalista Vasco con l’1,3% dei voti.

Per i partiti diffusi a livello nazionale, la coalizione Izquierda Unida-Los Verdes con il 6,9% dei consensi, ha ottenuto il 3,1% dei seggi (11 seggi), e la formazione Unión Progreso y Democracia, con il 4,7% dei voti ha conseguito l’1,4% dei seggi (5 seggi).

 

Fino al 2015, dunque, il panorama politico spagnolo è stato dominato dal Partido popular (PP) ed dal Partido Socialista (PSOE) ed il sistema istituzionale spagnolo si è caratterizzato per la stabilità dei governi.

Dal 1982 al 2015 si sono succeduti 4 Presidenti del Governo: Felipe González del PSOE (1982-1996), José Maria Aznar del PP (1996-2004), José Luis Rodríguez Zapatero del PSOE (2004-2011) e Mariano Rajoy del PP (2011-2015).

Una peculiarità del sistema è stata la formazione esclusivamente di governi monocolore, composti cioè esclusivamente da rappresentanti del partito vincitore delle elezioni (PP o PSOE). Dal 1982 al 2015, 5 governi su 9  hanno potuto contare sulla maggioranza assoluta dei seggi conseguita dal partito più forte. Negli altri casi si è comunque ritenuto opportuno che il partito maggiore avesse il controllo pieno del governo e quest’ultimo si è formato grazie all’appoggio esterno di forze parlamentari minori.

 

Lo scenario è radicalmente mutato con le elezioni del 20 dicembre 2015, che hanno di fatto segnato la fine del bipartitismo spagnolo.

I due partiti principali hanno ottenuto il risultato peggiore della loro storia. Considerati congiuntamente, il Partido popular (PP) ed il Partido Socialista (PSOE) nel 2008 avevano conseguito ben l’84% dei voti e nel 2011 rappresentavano quasi tre quarti dell’elettorato (73%). Nel 2015 hanno ottenuto il consenso di poco più della metà degli elettori.

Il Partido popular (PP) del premier uscente Mariano Rajoy si è confermato primo partito, ma con solo il 28,9% dei voti rispetto al  44,6% del 2011, conseguendo 123 seggi (-63).

Il Partido Socialista (PSOE) di Pedro Sanchez ha confermato il trend negativo del 2011, con il 22,1% dei voti e 90 seggi (-20).

Due nuovi partiti si sono affermati con risultati notevoli: il partito della sinistra radicale Podemos di Pablo Iglesias ha ottenuto il 19,2% dei voti e 63 seggi ed il partito centrista Ciudadanos (C’s) di Alberto Rivera ha conseguito il 14% dei voti e 40 seggi.

 

Per la prima volta nella storia della Spagna, la sera delle elezioni non è stato chiaro chi avrebbe governato il Paese e hanno avuto luogo lunghe ed infruttuose trattative tra i partiti per la formazione di un governo di coalizione.

Le due coalizioni più probabili per affinità politiche – Partido popular- Ciudadanos a destra e Partido socialista-Podemos a sinistra – non hanno ottenuto la maggioranza assoluta e sono pertanto risultate strade non percorribili.

Si è dunque profilata l’ipotesi di un governo di grande coalizione PP-PSOE, poi superata a causa dell’assoluta indisponibilità di Sanchez, leader del PSOE.

È stata infine scartata l’ipotesi di un governo di minoranza del PP, per il rifiuto dei partiti minori di fornire l’appoggio esterno.

 

Nel mese di febbraio, il Re di Spagna ha conferito l’incarico a Sanchez di formare il Governo, dopo il rifiuto di Rajoy di accettare l’incarico. Sanchez ha avviato le trattative per un governo PSOE-Podemos-Ciudadanos presto naufragate per la netta opposizione di Podemos a sostenere un governo con il partito centrista Ciudadanos.

L’unica strada è dunque stata quella dello scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni, che hanno avuto luogo il 26 giugno 2016.

 

Le nuove elezioni hanno confermato il quadro quadripartitico ed hanno dimostrato la tenuta dei due principali partiti, soprattutto del Partido popular che si è confermato primo partito, aumentando il proprio consenso al 33,6% (+4,7%) dei voti ed ottenendo 137 seggi (+14).

Il PSOE ha aumentato leggermente la percentuale di consensi, con il 22,8% (+0,7%), con una perdita peraltro in termini di seggi (85 seggi, - 5).

Podemos, presentatasi alla elezioni in coalizione con l’Izquierda Unida, ha fallito l’obiettivo del superamento del PSOE, ottenendo comunque il 21,2% dei suffragi (+2%) e 71 seggi (+8).

Ciudadanos ha subito un calo lieve nella percentuale di consenso (13,2%, -0,8%), subendo peraltro una perdita consistente in termini di seggi (32, -8).

 

Per il nuovo governo, si è dunque profilata un’alleanza tra Partido popular e Ciudadanos, che peraltro, con 169 seggi, non disponeva della maggioranza assoluta. Oltre all’appoggio della Coalición Canaria, che disponeva di un solo seggio, il nuovo governo necessitava dell’astensione del PSOE o di altri partiti.

Le trattative per la formazione del nuovo governo sono state complesse per la difficoltà di raggiungere un accordo politico tra Rajoy del PP e Rivera di Ciudadanos e per le incertezze del PSOE sull’astensione; è stato anche paventato il rischio di ricorrere per la terza volta alle elezioni.

Dopo le dimissioni di Sanchez, il PSOE ha accettato di consentire la formazione del nuovo Governo.

Il 29 ottobre 2016, dopo dieci mesi di stallo, si è insediato il nuovo Governo Rajoy, che ha ottenuto la fiducia, con 170 voti a favore, 111 contrari e 68 astensioni di deputati del PSOE.

 

Nell’accordo di governo raggiunto tra PP e Ciudadanos è prevista una riforma della legge elettorale, richiesta da Ciudadanos che giudica la legge vigente troppo favorevole ai grandi partiti.

L’accordo prevede quali principi della riforma il rafforzamento della proporzionalità, l’elezione diretta dei sindaci, il superamento delle ‘liste bloccate’, l’introduzione di sistemi elettronici di voto, il miglioramento delle procedure per l’esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini residenti all’estero, la riduzione della durata delle campagne elettorali e dei limiti alle spese elettorali.

Il Partido popular si è riservato la possibilità di presentare iniziative che consentano di garantire il Governo della forza politica più votata.

 

 

La seguente tabella riassume i risultati delle ultime quattro elezioni:

 


 

 

 

2008

2008

2008

2011

2011

2011

2015

2015

2015

2016

2016

2016

Partito

 

%voti

Seggi

%seggi

%voti

Seggi

%seggi

%voti

Seggi

%seggi

%voti

Seggi

%seggi

Partido Popular (PP)

39,9%

152

43,4%

44,6%

186

53,1%

28,9%

123%

35,1%

33,6%

137

39,1%

Partido Socialista Obrero Espaňol (PSOE)

44,4%

169

48,3%

28,7%

110

31,4%

22,1%

90%

25,7%

22,8%

85

24,3%

Podemos*

 

 

 

 

 

 

19,2%

63%

18,0%

21,2%

71

20,3%

Ciudadanos (C’s)

 

 

 

 

 

 

14,0%

40%

11,4%

13,2%

32

9,1%

Izquierda Unida** (IU)

3,8%

2

0,6%

6,9%

11

3,1%

3,7%

2%

0,6%

 

 

 

Convergència i Uniò (CIU)

3,1%

10

2,9%

4,2%

16

4,6%

 

 

 

 

 

 

Altri

8,9%

17

4,9%

15,6%

27

7,6%

12,1%

32%

9,1%

9,2%

25

7,1%

 

*Nel 2016 si è presentato come Unidos Podemos, in coalizione con Izquierda Unida e altri partiti della sinistra              

**Nel 2011 in coalizione con Los Verdes, nel 2015 nella coalizione Unidad Popular, nel 2016 in coalizione con Podemos             

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Per quanto riguarda il funzionamento del sistema elettorale nello scenario con quattro partiti medio-grandi diffusi a livello nazionale, nelle ultime elezioni del 2016 risulta sovrarappresentato il partito maggiore (PP: con il 33,6% dei voti consegue il 39,1% dei seggi), i due partiti intermedi risultano rappresentati in maniera quasi proporzionale (PSOE: con il 22,8% dei voti consegue il 24,3% dei seggi; Podemos con il 21,2% dei voti consegue il 20,3% dei seggi), mentre il più piccolo dei quattro partiti risulta sottodimensionato (Ciudadanos con il 13,2% dei voti ottiene il 9,1% dei seggi).

 

L’attribuzione dei seggi a livello circoscrizionale fa comunque sì che siano numerose le formazioni politiche rappresentate in Parlamento, anche se molte dispongono di un numero molto limitato di seggi.

 

 

 


GERMANIA

Il sistema costituzionale

 

La Repubblica federale tedesca è uno Stato federale in cui vige una forma di governo parlamentare razionalizzata.

 

Il Bundestag (‘Dieta federale’) è il Parlamento nazionale della Repubblica federale tedesca. È eletto ogni quattro anni a suffragio universale ed è la Camera che intrattiene il rapporto fiduciario con il Governo, approva le leggi federali e delibera il bilancio federale.

 

Nel sistema costituzionale tedesco al Bundestag è affiancato il Bundesrat (‘Consiglio federale’) che rappresenta gli interessi dei Länder (Stati federali) a livello nazionale e partecipa al procedimento legislativo solo nelle materie espressamente previste dalla Costituzione.

Ogni Land ha almeno tre voti; i Länder con più di due milioni di abitanti ne hanno quattro; quelli con più di sei milioni di abitanti ne hanno cinque; quelli con più di sette milioni di abitanti ne hanno sei. Ogni Land può delegare tanti membri quanti sono i suoi voti. I voti di un Land possono essere espressi soltanto globalmente e solo dai membri presenti o dai loro supplenti: è quindi necessario che i Governi locali concordino preventivamente le direttive da impartire ai loro rappresentanti nel Bundesrat.

Attualmente il Bundesrat è composto da 69 membri (art. 51 Cost.).

 

Secondo la Legge fondamentale (Grundgesetz) il rapporto fiduciario si instaura fra il Bundestag e il Cancelliere federale. Questi viene eletto senza dibattito dal Bundestag su proposta del Presidente federale. È eletto chi ottiene i voti della maggioranza dei membri del Bundestag. L'eletto deve essere nominato dal Presidente federale.

Se il candidato proposto non viene eletto, il Bundestag può eleggere un Cancelliere federale a maggioranza dei suoi membri entro i quattordici giorni successivi alla votazione. In assenza di elezione entro questo termine, ha luogo immediatamente una nuova elezione, nella quale è eletto colui che ottiene il maggior numero di voti. Se l'eletto ottiene i voti della maggioranza dei membri del Bundestag, il Presidente federale lo deve nominare entro sette giorni dall'elezione. Se l’eletto non raggiunge tale maggioranza, il Presidente federale, entro sette giorni, deve nominarlo o sciogliere il Bundestag (art. 63 Cost.).

Il Cancelliere federale:

§  propone al Presidente federale la nomina e la revoca dei ministri (art. 64 Cost.);

§  determina le direttive politiche del Governo e ne assume la responsabilità (art. 65 Cost.);

§  guida l’attività dei Ministri secondo un regolamento stabilito dal Governo federale ed approvato dal Presidente federale (art. 65 Cost.).

Il Parlamento può sfiduciare costruttivamente (a maggioranza assoluta) il Cancelliere in qualsiasi momento della legislatura e in tal caso il Presidente federale deve nominare Cancelliere il candidato indicato nella mozione (l'art. 67, primo comma, della Legge fondamentale recita così: "Il Bundestag può esprimere la sfiducia al Cancelliere federale soltanto eleggendo a maggioranza dei suoi membri un successore e chiedendo al Presidente federale di revocare il Cancelliere federale. Il Presidente federale deve aderire alla richiesta e nominare l'eletto").

Nell’esperienza tedesca è comunque possibile porre anticipatamente fine al mandato di un governo mediante le dimissioni del Cancelliere. Il Cancelliere tedesco non dispone, invece, del potere di sciogliere anticipatamente il Bundestag. Può però proporre al Presidente federale lo scioglimento del Bundestag nel caso in cui una mozione di fiducia presentata dallo stesso Cancelliere federale (o la questione di fiducia posta su di un progetto di legge, art. 81, comma 1, Cost.) non venga approvata dalla maggioranza dei membri del Bundestag. Il potere di scioglimento viene meno qualora il Bundestag elegga, a maggioranza dei suoi membri, un altro Cancelliere federale (art. 68 Cost.).

 

Per quanto riguarda il procedimento legislativo, i progetti di legge vengono presentati al Bundestag dal Governo federale, dai membri del Bundestag e dal Bundesrat. I progetti di legge governativi, prima di essere presentati al Bundestag, devono essere presentati al Bundesrat che esprime il proprio parere entro sei settimane - il termine può essere prolungato a nove settimane su richiesta del Bundesrat o abbreviato a tre settimane per provvedimenti designati dal Governo come urgenti - (art. 76 Legge fondamentale). Le leggi federali sono approvate dal Bundestag.

 

Dopo l’approvazione del Bundestag, le leggi federali devono essere immediatamente trasmesse al Bundesrat. Se la legge non incontra il consenso della maggioranza del Bundesrat, questo può richiedere, entro tre settimane dal ricevimento del provvedimento, la convocazione della Commissione di conciliazione composta da un uguale numero di membri di ciascuna Camera.

Qualora la Commissione proponga un cambiamento del testo legislativo approvato, il Bundestag deve procedere ad una nuova deliberazione. Il Bundesrat ha una settimana di tempo per sollevare, con la maggioranza assoluta, opposizione contro la legge davanti allo stesso Bundestag.

Si segue la stessa procedura quando non si pervenga ad una decisione della Commissione di conciliazione perché non si riesce a raggiungere una maggioranza o perché la proposta di mediazione formulata dalla Commissione non incontra il consenso del Bundesrat.

L’opposizione del Bundesrat può tuttavia essere respinta dal Bundestag.

Se l’opposizione è stata deliberata con la maggioranza assoluta dei voti del Bundesrat, può essere respinta con una deliberazione della maggioranza assoluta dei membri del Bundestag.

L’opposizione deliberata invece a maggioranza di due terzi dei voti del Bundesrat, può essere respinta dal Bundestag con deliberazione a maggioranza di due terzi dei voti che non sia comunque inferiore alla maggioranza dei membri (art. 77 Legge fondamentale).

 

 

In determinati casi, specificamente enumerati dalla Legge fondamentale, il Bundesrat è titolare di un diritto di collaborazione paritaria con il Bundestag nella funzione legislativa, per cui senza la positiva deliberazione del Bundesrat la legge non può perfezionarsi.

 

Le leggi per le quali la Legge fondamentale richiede l’espressa approvazione del Bundesrat (c.d. Zustimmungsgesetze) sono:

• le leggi costituzionali, per la cui approvazione è necessaria la maggioranza dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat (art. 79 Legge fondamentale);

• le leggi che incidono sull’ordinamento finanziario dei Länder (articoli 104a , commi 3 e 4, 107 e 108);

• le leggi che interessano il sistema amministrativo dei Länder (articoli 84 e 85);

• leggi relative a: modificazioni territoriali dei Länder (art. 29, comma 7); trattamento economico e previdenziale dei dipendenti pubblici (art. 74a, commi 2 e 3); determinazione dei compiti comuni dello Stato e dei Länder (art. 91a, comma 2); esercizio della giurisdizione della Federazione attraverso i tribunali dei Länder (art. 96, comma 2).

In seguito alla riforma costituzionale approvata nel 2006 è stato notevolmente ridotto il novero di leggi che richiedono il consenso obbligatorio del Bundesrat ai sensi dell’art. 84 Cost., comma 1 (disciplina dell’organizzazione degli uffici e procedura amministrativa), e sono state introdotte nuove fattispecie di codecisione per le leggi federali che comportano rilevanti oneri finanziari a carico dei Länder.

 

Dopo l’approvazione del Bundestag, le leggi federali devono essere immediatamente trasmesse al Bundesrat. Se la legge non incontra il consenso della maggioranza del Bundesrat, questo può richiedere, entro tre settimane dal ricevimento del provvedimento, la convocazione della Commissione di conciliazione composta da un uguale numero di membri di ciascuna Camera.

La legge è approvata solo se la Commissione raggiunge un accordo su un testo accettato da entrambe le Camere.

Il sistema elettorale del Bundestag

Il Bundestag è composto da (almeno) 598 membri ed è eletto con un sistema cha da un punto di vista formale può essere definito ‘misto’: metà dei seggi sono assegnati con sistema maggioritario a turno unico, l’altra metà è assegnata con metodo proporzionale.

Il sistema funziona peraltro nel suo complesso come un sistema proporzionale, perché il numero totale dei seggi spettanti a ciascuna lista è stabilito con metodo proporzionale; nell’ambito dei seggi attribuiti al partito, sono poi eletti i candidati che hanno prevalso nei collegi uninominali. Un temperamento alla proporzionalità è costituito dalla presenza di una clausola di sbarramento del 5 per cento.

Il numero dei seggi del Parlamento può aumentare in quanto possono essere attribuiti ‘seggi aggiuntivi’ per garantire l’elezione di tutti i vincitori nei collegi uninominali e ‘seggi di compensazione’ per ristabilire la proporzionalità alterata proprio dall’attribuzione dei seggi aggiuntivi.

Si parla dunque con riferimento al sistema tedesco di ‘sistema proporzionale personalizzato’, in coerenza con la legge elettorale federale (BWG), che enuncia il «principio della rappresentanza proporzionale combinato con l’elezione personale dei candidati» (art. 1, comma 1).

 

Le legge elettorale federale (Bundeswahlgesetz, convenzionalmente indicata con l’abbreviazione BWG) disciplina oltre che il sistema elettorale, il diritto di voto e l'eleggibilità, la procedura e le operazioni di voto, la determinazione del risultato elettorale.

 

 

Delimitazione dei collegi uninominali

 

Per l’assegnazione dei seggi con sistema maggioritario, il territorio nazionale è suddiviso in 299 collegi elettorali (whalkreis). La delimitazione territoriale dei collegi è riportata in allegato alla legge.

I collegi elettorali devono rispettare una serie di condizioni (art. 3):

§  i collegi devono essere compresi nel territorio dei Länder - i 16 stati federali tedeschi;

§  il numero di collegi deve essere proporzionato alla popolazione di ciascun Land; nel computo del numero degli abitanti non vengono considerati gli stranieri;

§  il numero degli abitanti di un collegio elettorale non deve divergere dalla media della popolazione dei collegi elettorali di più del 15% (in più o in meno); se la divergenza è maggiore del 25%, deve essere effettuata una nuova delimitazione dei confini;

§  il collegio deve rappresentare un territorio continuo;

§  nella delimitazione dei collegi devono essere rispettati quanto più possibile i confini degli enti territoriali amministrativi.

La legge istituisce una Commissione centrale per monitorare l’andamento della popolazione nei collegi al fine di presentare proposte di modifica dei confini dei collegi medesimi.

 

La ventesima legge di modifica della legge elettorale federale del 12 aprile 2012 ha autorizzato il Ministero federale dell’interno ad apportare alcune modifiche all’allegato 2 , di cui al § 2 comma 2 della legge elettorale federale relativo alla suddivisione del territorio nazionale (in collegi elettorali, allo scopo di definire e descrivere nuovamente i collegi in ragione delle modifiche territoriali e nominative subite dai comuni in essi compresi. Trattandosi di modifiche non sostanziali, è rimasto invariato il numero complessivo dei collegi elettorali (299).

 

 

Selezione delle candidature, votazione e formula elettorale

 

Il Bundestag è composto da un numero minimo 598 membri.

Di questi, 299 sono assegnati nell'ambito di altrettanti collegi uninominali, in cui si vota con metodo maggioritario turno unico (cd. ‘first-past-the-post). Gli altri 299 seggi sono assegnati con metodo proporzionale alle liste di partito che si presentano nei 16 Länder.

Come già rilevato, il sistema ha comunque nel complesso un esito proporzionale, perché il numero complessivo dei seggi spettanti a ciascuna lista è stabilito con metodo proporzionale; nell’ambito del numero di seggi così attribuiti, la metà di essi viene assegnata ai candidati che hanno prevalso nei collegi uninominali.

 

Le candidature per i collegi uninominali e per le liste dei Länder sono presentate dai partiti, che devono eleggere nelle proprie assemblee i candidati con voto segreto, secondo le procedure previste dalla legge elettorale o dallo statuto del partito.

Nei collegi uninominali sono ammesse candidature indipendenti.

 

L'elettore dispone di due voti che esprime su un'unica scheda elettorale:

§  nella colonna di sinistra, in cui viene espresso il cd. ‘primo voto’, sono riportati i nominativi dei candidati che concorrono al seggio nel collegio uninominale, con l'indicazione del partito per il quale concorrono (o della specificazione che si tratta di candidature indipendenti);

§  nella colonna di destra, in cui viene espresso il cd. ‘secondo voto’, sono riportate le denominazioni delle formazioni che presentano una lista nel Land, affiancate dai nomi dei rispettivi primi cinque candidati; con il ‘secondo voto’ l'elettore sceglie una delle liste di partito. L'elettore non ha possibilità di modificare l'ordine delle candidature, trattandosi di liste bloccate.

 

E' ammessa la facoltà di dissociazione tra il voto del candidato e il voto di lista (cosiddetto voto disgiunto, Stimmensplitting).

 

Nei collegi uninominali, risulta in ogni caso eletto il candidato che riporta la maggioranza relativa dei ‘primi voti’ validi (sistema first-past-the-post).

 

I ‘secondi voti’ sono peraltro decisivi, in quanto determinano la consistenza numerica, in termini di seggi, di ciascun partito all'interno del Bundestag.

 

Per accedere alla ripartizione dei seggi, i partiti devono aver raggiunto il 5 per cento dei voti validi espressi a livello nazionale o, in alternativa, devono avere ottenuto almeno tre seggi nei collegi uninominali (cd. clausola di sbarramento).

Dal totale dei voti validi considerati si escludono i voti attribuiti ai partiti che non hanno superato la clausola di sbarramento.

 

Per la ripartizione dei seggi, è innanzitutto fissato il numero dei seggi da assegnare nei singoli Länder, in proporzione alla popolazione residente.

Nei singoli Länder, è quindi determinato il numero di seggi da assegnare a ciascun partito, in proporzione ai secondi voti ricevuti da ciascuna lista.

Il metodo proporzionale utilizzato in tutti i passaggi è il metodo Sainte-Laguë/Schepers (v. infra).

 

In una seconda fase, è determinato il numero di seggi da assegnare a ciascun partito a livello nazionale (cd. sovraripartizione).

A tal fine, per ciascuna lista di partito sono presi in considerazione, a livello di Land, il numero di seggi vinti nei collegi uninonimali con i primi voti ed il numero di seggi spettanti con il metodo proporzionale sulla base dei secondi voti. Il maggiore di questi due numeri costituisce il numero minimo di seggi del partito nel Land.

Sommando il numero minimo di seggi spettanti al partito in ciascun Land si ottiene il numero minimo garantito di seggi a livello nazionale.

Si rende a questo punto generalmente necessario aumentare il numero dei seggi del Bundestag per garantire che la ripartizione finale rispecchi la proporzionalità dei secondi voti (cd. ‘seggi di compensazione’). In questo modo i ‘seggi aggiuntivi’ eventualmente conseguiti da alcuni partiti nei Länder (nell’ipotesi in cui i seggi vinti nei collegi uninominali risultino superiori a quelli spettanti sulla base del calcolo proporzionale) sono bilanciati dall’attribuzione dei seggi di compensazione.

 

I seggi sono successivamente redistribuiti per ciascun partito a livello di Land, includendo i seggi di compensazione (cd. sottoripartizione), sempre utilizzando il metodo proporzionale Sainte-Laguë/Schepers  e garantendo in ogni caso l’assegnazione dei seggi vinti nei collegi uninominali.

 

Dal numero di seggi che risulta complessivamente attribuito a ciascun partito nel singolo Länd, sono sottratti quelli conquistati dai candidati del partito nei collegi uninominali del Länd, a titolo di mandato diretto. I restanti seggi sono assegnati ai candidati della lista, secondo l'ordine di presentazione.

Rimane comunque ferma la possibilità di ottenere ‘seggi aggiuntivi’ (anche in tal caso quando i seggi vinti nei collegi uninominali risultino superiori a quelli che sarebbero spettati al partito nel Land).

 

Il complesso sistema di attribuzione dei seggi volto a garantire quanto più possibile la proporzionalità, modificato da ultimo nel 2013 con l’introduzione, fra l’altro, dei ‘seggi di compensazione’ a seguito delle censure mosse dal Tribunale costituzionale tedesco, può comportare un aumento significativo del numero dei seggi, tendenzialmente maggiore quanto più alto è il numero delle forze politiche che superano la soglia di sbarramento. Secondo taluni studiosi, il numero dei seggi aggiuntivi o di compensazione potrebbe arrivare a 100[3].

 

Alle ultime elezioni del 2013 sono stati assegnati 631 seggi (33 in più rispetto al numero minimo di 598). 4 ‘seggi aggiuntivi’ sono stati assegnati al CDU (per aver vinto in più collegi rispetto al numero dei seggi spettanti sulla base dei secondi voti). 29 ‘seggi di compensazione’ sono stati attribuiti per assicurare le forze relative dei partiti in Parlamento sulla base dei secondi voti: 13 seggi sono stati assegnati alla CDU, 10 all’SPD, 4 alla Die Linke e 2 ai Verdi.

 

La legge elettorale non prevede specifiche regole per incentivare la rappresentanza femminile. Stringenti misure con questa finalità sono peraltro adottate da pressoché tutti i partiti.

 

 

Il metodo Sainte-Laguë/Schepers

 

Il metodo proporzionale utilizzato è il metodo Sainte-Laguë/Schepers, introdotto nel 2008 (in precedenza erano adottati: il metodo d'Hondt fino al 1985, ed il metodo Hare/Nyemeyer, o metodo dei resti più alti, successivamente).

Tale metodo è basato sul quoziente di attribuzione, che deve essere determinato in modo tale che tutti i seggi siano attribuiti. Il quoziente è inizialmente ottenuto dividendo il totale dei voti validi alle liste per il numero complessivo di seggi da attribuire; i seggi sono assegnati alle liste in base al risultato della divisione tra i voti validi di ciascuna lista e il quoziente. Se utilizzando questo primo quoziente si assegna un numero maggiore o minore di seggi di quelli da attribuire si corregge il quoziente – rispettivamente in aumento o in diminuzione – fino ad ottenere l'assegnazione del numero esatto di seggi.

 

Per gli arrotondamenti, alla cifra ottenuta dopo la divisione si applica l’arrotondamento aritmetico (le frazioni decimali inferiori a 0,5 si arrotondano all’unità inferiore, quelle superiori a 0,5 all’unità superiore). Peraltro, se la frazione decimale è pari a 0,5 si arrotonda per difetto o per eccesso in modo da assicurare l’attribuzione di tutti i seggi; quando sono possibili diverse attribuzioni di seggi, si procede per sorteggio.

 

 

A titolo esemplificativo, si riportano i calcoli effettuati per la ripartizione del totale dei seggi tra le liste nelle elezioni tedesche del 2009[4]:

 

 

Totale dei voti validi a livello nazionale (A)

43.371.190

Voti delle liste che non hanno superato lo sbarramento (B)

  2.606.902

Totale dei voti validi da considerare per il riparto (C=A-B)

40.764.288

Seggi da assegnare (D)

            598

Primo quoziente (C/D)

       68.168

 

 

Successivamente, si ripartiscono i seggi tra le liste che hanno superato la soglia di sbarramento, dividendo il totale dei voti di ciascuna lista per il primo quoziente (68168).

 

Partito

Voti validi

Seggi
a primo quoziente

Arrotondamenti

CDU

11.828.277

173,52

174

CSU

 2.830.238

 41,52

42

SPD

 9.990.488

146,56

147

FDP

 6.316.080

  92,66

93

Die Linke

 5.155.933

  75,64

76

GRÜNE

4.643.272

  68,12

68

Totale seggi

 

 

600

 

Il numero di seggi risultante (600) è superiore al numero dei seggi da assegnare (598). Il primo quoziente (68168) viene dunque rideterminato (in questo caso in aumento) per arrivare a distribuire 598 seggi, procedendo per approssimazioni successive. Dopo i calcoli si arriva al quoziente corretto (pari a 68.195) e si procede alla attribuzione dei seggi alle liste:

 


 

Partito

Voti validi

Seggi
a quoziente corretto

Arrotondamenti

CDU

11.828.277

173,45

173

CSU

2.830.238

41,50*

42

SPD

9.990.488

146,50*

146

FDP

6.316.080

92,62

93

Die Linke

5.155.933

75,61

76

GRÜNE

4.643.272

68,09

68

Totale seggi

 

 

598

 

* Se la frazione decimale è pari a 0,50 si può arrotondare per eccesso o per difetto, in modo da assegnare tutti i seggi. Quando, come in questo caso, sono possibili diverse attribuzioni si procede per sorteggio.

 

Il metodo Sainte-Laguë/Schepers non deve essere confuso con il metodo Sainte-Laguë, che di fatto è una variante del metodo d’Hondt.

 

Come il metodo d’Hondt, il metodo Sainte-Laguë si basa sull’utilizzo di un divisore applicato ripetutamente al totale dei voti di ciascuna lista. Cambia però il divisore: nel metodo d’Hondt, il totale dei voti è diviso per 1, 2, 3, 4…, nel metodo Sainte- Laguë, esso è diviso per 1, 3, 5, 7… I seggi sono in entrambi i casi assegnati alle liste seguendo l’ordine decrescente dei quozienti ottenuti.

Con il Sainte-Laguë risulta ridotto il vantaggio che il metodo d’Hondt attribuisce ai partiti maggiori[5]

 

Sistema elettorale e sistema dei partiti

Il sistema istituzionale tedesco è caratterizzato da un’elevata stabilità dei governi federali: basti pensare che nell’arco di 67 anni si sono succeduti solo 8 Cancellieri.

Questa forte stabilità appare innanzitutto legata ai forti poteri riconosciuti dalla Legge fondamentale al Cancelliere, nell’ambito della forma di Governo parlamentare razionalizzata.

Nel sistema costituzionale tedesco, come già detto, il Cancelliere: è il diretto titolare del rapporto di fiducia con il Bundestag; dispone di fatto del potere di nominare e revocare i ministri; può essere sfiduciato solo con una mozione di sfiducia costruttiva, che indichi cioè anche il successore; può chiedere lo scioglimento del Bundestag nel caso di reiezione di una questione di fiducia presentata dallo stesso Cancelliere (il potere di scioglimento viene meno qualora il Bundestag elegga un nuovo Cancelliere).

 

In secondo luogo ha per lungo tempo contribuito alla stabilità dei governi il sistema elettorale proporzionale, con soglia di sbarramento al 5%.

 

L’introduzione di elementi di stabilizzazione è stata fortemente voluta dopo la seconda guerra mondiale, in quanto la mutevolezza politica era considerata la causa della dissoluzione della Repubblica di Weimar, in cui, anche a causa di un sistema elettorale proporzionale puro, si erano succeduti in soli 14 anni (dal 1919 al 1933) ben 21 governi. La costituzionalizzazione del principio proporzionale nella Carta di Weimar aveva reso inoltre estremamente difficile qualsiasi modifica della legge elettorale, favorendo un multipartitismo estremo (nel 1933 nel Reichstag erano rappresentati ben 28 partiti).

La Legge Fondamentale della Repubblica federale tedesca non contiene dunque indicazione sul sistema elettorale.

L’impianto dell’attuale sistema elettorale è già chiaramente delineato nella legge elettorale del 1956 (che a sua volta costituiva un affinamento delle leggi elettorali del 1949 e del 1953); le modifiche successive (fino all’ultima riforma del 2013) non hanno alterato la natura del sistema.

La soglia di sbarramento del 5% è stata a lungo considerata un’efficace antidoto alla frammentazione partitica: da un lato, gli elettori tendono a orientarsi verso partiti in grado di superare lo sbarramento, in un’ottica di “voto utile”; dall’altro, i partiti sono indotti a restare uniti e a cercare alleanze.

Si è così affermato multipartitismo temperato, di natura tendenzialmente bipolare, in quanto il sistema ha per lungo tempo ruotato intorno ai due partiti maggiori: a sinistra, il partito socialdemocratico (SPD); a destra l’Unione cristiano-democratica, tradizionalmente alleata in Baviera con l’Unione cristiano-sociale (CDU-CSU). I leader del partito sono i candidati naturali alla carica di Cancelliere e le campagne elettorali si incentrano attorno alle loro figure.

Per circa 20 anni, dal 1961 al 1983, hanno avuto accesso al Bundestag solo 3 partiti: oltre ai due citati, superava la soglia di sbarramento il solo partito liberal-democratico (FDP), che, pur essendo il partito minore, risultava nei fatti decisivo. Nessuno dei due partiti maggiori riusciva infatti a conseguire la maggioranza assoluta dei seggi (solo nel 1957 la CDU-CSU ottenne tale maggioranza) e ciò ha consentito ai liberal-democratici di fungere da ‘ago della bilancia’, determinando con la propria alleanza il partito che sarebbe salito al governo.

Sono poi entrati in Parlamento, dal 1983, il partito ecologista dei Verdi, (Grünen), che si è alleato con i socialdemocratici, e dal 1990, con la riunificazione, il partito del socialismo democratico (PDS), erede del partito egemone della Repubblica Democratica tedesca (per il solo 1990 la clausola di sbarramento ha operato separatamente nei territori ex RFT ed ex DDR). Quest’ultimo partito, divenuto dal 2004, Die Linke (‘La Sinistra’), è stato invece per diversi anni oggetto di una conventio ad excludendum da parte delle altre forze politiche.

Nel complesso il sistema politico è rimasto generalmente caratterizzato dalla necessità per i partiti maggiori di allearsi con uno dei partiti minori per governare il Paese (dopo il 1983, le alleanze sono state PDS e Grünen a sinistra, e CDU-CSU e FDP a destra).

Nonostante l’orientamento in senso bipolare del sistema partitico, non sempre il risultato delle urne ha garantito ad uno dei due schieramenti in campo la maggioranza necessaria per governare, in quanto il sistema elettorale è pur sempre di tipo proporzionale. Nella legislatura 1966-1969, i due partiti maggiori hanno dovuto dar vita ad una ‘Große Koalition’ (‘Grande Coalizione’), sostenendo un governo unitario, con l’appoggio anche dei partiti minori.

Questa circostanza, che dapprima costituiva un’eccezione, si è ripetuta nelle elezioni del 2005 e del 2013. In entrambi i casi, il risultato elettorale avrebbe numericamente consentito alleanze di tipo diverso per il governo, senza la compresenza dei due partiti maggiori, ma questa strada non è stata ritenuta politicamente percorribile.

Nel 2005 e nel 2009, si è registrata. una tendenza alla crescita dei partiti minori, favorita dal sempre più diffuso ricorso al voto disgiunto (Stimmensplitting), tra il ‘primo voto’, assegnato al candidato del collegio uninominale ed il ‘secondo voto’, attribuito al partito. Il voto disgiunto è arrivata ad interessare più di un quarto dell’elettorato (nel 2009 è stato pari al 26,4% dei voti).

 

Alle elezioni del 2005, nel senso della ‘Große Koalition’ ha pesato l’affermazione, con quasi il 9% dei suffragi, di Die Linke, partito con cui nessun’altra forza politica intendeva stringere alleanze.

Le elezioni del 2009, che hanno visto l’affermazione dell’alleanza al Governo tra CDU-CSU e FDP, hanno visto un quadro politico con 5 forze politiche, in cui primeggiano i due partiti maggiori, mettendo peraltro in evidenza una crescita dei tre partiti minori, che hanno tutti superato il 10% (FDP: 14,6%, Die Linke: 11,9%, Grünen: 10,7%; in forte calo è risultato l’SPD che ha registrato il 23% dei voti, perdendo l’11%, mentre l’alleanza CDU-CSU è rimasta tendenzialmente stabile intorno al 34%).

 

Le elezioni del 22 settembre 2013 hanno segnato la vittoria della CDU-CSU di Angela Merkel, confermata come Cancelliera per la terza legislatura consecutiva.


 

La seguente tabella riporta i risultati delle elezioni del 2013 (grassetto) mettendoli a confronto con le precedenti elezioni del 2011 (corsivo).

 

 

Partito

Primo voto

(collegi uninominali)

Secondo voto

(scrutinio proporzionale)

Totale seggi

%

Variaz. seggi

 

seggi

voti

%

seggi

voti

%

seggi

 

 

 

CDU-

19.777.721

45.3

235

18.165.446

41.5

76

311

49,3%

+72

CSU

17.047.674

39,4

218

14.658.515

33.8

21

239

38,4%

SPD

12.843.458

29,4

59

11.252.215

25,7

134

193

30,6%

+47

12.079.758

27,9

64

9.990.488

23,0

82

146

23,5%

Die Linke

3.585.178

8.2

4

3.755.699

8.6

60

64

10,1%

-12

4.791.124

11.1

16

5.155.933

11.9

60

76

12,2%

Verdi

3.585.178

7.3

1

3.694.057

8.4

62

63

10,0%

-5

3.977.125

9.2

1

4.643.272

10.7

67

68

10,9%

FDP

1.028.645

2.4

0

2.083.533

4.8

0

0

 

-93

4.076.496

9.4

0

6.316.080

14.6

93

93

15,0%

AfD

809.817

1.9

0

2.052.372

4.7

0

0

 

=

Altri

4.069.269

7.4

0

3.307.545

11

0

0

 

=

1.275.823

3

0

2.786.902

6

 

Totale seggi nel Bundestag

631

 

+8

622

 

 

 

Le forze politiche rappresentate in Parlamento sono state quattro (oltre a CDU-CSU e SPD, Die Linke e Verdi).

L’FDP non è infatti riuscito, seppur di poco, a superare la soglia di sbarramento (4,8%), perdendo quasi 10 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni.

La soglia di sbarramento è stata inoltre sfiorata dalla formazione politica anti-europeista Alternative für Deutschland (AFD), costituitasi solo pochi mesi prima delle elezioni, che ha raggiunto il 4,7%.

 

Come si vede dalla tabella, la riduzione del numero di partiti rappresentati in Parlamento ha amplificato il vantaggio in termini di seggi dei partiti che hanno superato la soglia di sbarramento rispetto ad un funzionamento puramente proporzionale del sistema (la CDU-CSU nel 2009 ha conseguito il 38,4% dei seggi con il 33,8 per cento dei voti e nel 29, nel 2013 il 49,3% dei seggi con il 41,5% dei voti; l’SPD ha conseguito nel 2009 il 23,5% dei seggi  con il 23% dei voti e nel 2013 il 30,6% dei seggi con il 25,7% dei voti)

 

Con il 41,5% dei suffragi, la CDU-CSU ha sfiorato la maggioranza assoluta, mancandola per soli 5 seggi.

Per l’assenza dell’FDP, precedente partner di governo della CDU-CSU, si è giunti, al termine di trattative durate ben tre mesi, ad un accordo per la riproposizione per la terza volta della ‘Große Koalition’ tra CDU-CSU e SPD.

Il terzo governo di Angela Merkel ha così ottenuto la fiducia con ben 462 voti a favore (rispetto ai 316 necessari), 150 contrari e 9 astenuti.

 

I risultati delle recenti elezioni svolte in alcuni Länder nel 2016 (Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt a marzo; Meclemburgo-Pomerania e Berlino a settembre) indicano nuovamente una tendenza al ridimensionamento dei partiti maggiori a vantaggio di quelli minori.

Fortissima è stata l’affermazione del partito anti-europeista Alternative für Deutschland (AFD), che in settembre ha ottenuto il 20,8% dei suffragi in Meclemburgo-Pomerania ed il 14,1% a Berlino.

Per le prossime elezioni del settembre 2017 gli analisti danno pressoché certo l’ingresso dell’AFD e  probabile il rientro dell’FDP.

Il numero dei partiti rappresentati in Parlamento è dunque destinato ad ampliarsi e potrebbero per la prima volta essere rappresentati al Bundestag sei partiti.

 


 

Gli interventi del Tribunale costituzionale federale in materia elettorale

 

Il sistema elettorale tedesco è stato oggetto di numerosi interventi del Tribunale costituzionale federale.

Numerose sono le pronunce che hanno riguardato la “clausola di sbarramento”, che dal 1953 opera a livello federale (prima funzionava a livello di Land). Detta clausola è più volte stata oggetto delle questioni sollevate dinanzi alla Corte di Karlsruhe, con riferimento al principio di uguaglianza del voto ed al principio di uguaglianza delle chances dei partiti politici .

Il Tribunale costituzionale federale si è pronunciato, sin dal 1952, sulla “clausola di sbarramento”, fornendo al legislatore, anche nelle fattispecie in cui ha escluso l’incostituzionalità, indicazioni precise che si estendono anche alle elezioni federali per le quali la clausola è ritenuta legittima (cfr. così sentenza del 29 settembre 1990).

La prima sentenza in materia è del 1952 e si riferisce un ricorso costituzionale diretto avverso la modifica della legge elettorale del Land Schleswig–Holstein, nella parte in cui prevedeva un aumento della soglia dal 5% al 7,5% (BVerfGE, 1, 208). Il Tribunale costituzionale federale ha affermato, in tale occasione, il fondamentale significato del principio di uguaglianza del voto, riconoscendogli un valore differenziato in funzione del sistema elettorale adottato. Nel sistema maggioritario, il principio riguarda soltanto il valore numerico dei voti, perché conducono ad un risultato effettivo solo i voti espressi a favore del candidato che riesce ad ottenerne la maggior parte, mentre gli altri voti vanno irrimediabilmente perduti. Nel sistema proporzionale, al contrario, assume rilievo anche l’uguaglianza dell’effetto dei voti espressi. Il Tribunale ha dunque sottolineato che, qualora il legislatore decida di adottare il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, l’uguaglianza del voto deve essere garantita secondo quella particolare impronta che il sistema proporzionale gli attribuisce. La mancanza di una normativa costituzionale e l’assenza di un divieto di maggioritario puro “non permette, una volta accettato un sistema misto, che il legislatore ordinario giustifichi un trattamento diseguale dei voti nel computo proporzionale, al fine per esempio di escludere i piccoli partiti, sostenendo che con una elezione maggioritaria sarebbero danneggiati in modo ancor più rilevante”. È stato riconosciuto così, nel sistema proporzionale, il principio dell’”uguaglianza del risultato finale del voto”

La giurisprudenza costituzionale ha dunque ricostruito l’uguaglianza in campo elettorale come una rigorosa e formale uguaglianza. La “clausola di sbarramento” è stata dunque considerata, nelle diverse pronunce, un’eccezione alla regola, un temperamento al principio di uguaglianza del risultato finale del voto che trova la sua ragion d’essere nel valore della “governabilità”, che potrebbe essere compromesso dall’eccessiva frammentazione dei partiti cui il sistema proporzionale, favorendo i piccoli partiti, potrebbe condurre. D’altronde, “il voto non ha solo lo scopo di valorizzare la volontà politica degli elettori come singoli, onde creare una rappresentanza popolare che sia lo specchio delle opinioni politiche esistenti nel popolo, ma deve anche produrre un Parlamento come organo statale capace di funzionare”. Di conseguenza, nell’ambito del sistema proporzionale, si consente l’ascesa di piccoli partiti, ciò che può condurre a “perturbamenti della vita costituzionale”. Un’affermazione importante del Tribunale riguarda il fatto che una valutazione puramente astratta non è ammissibile, in quanto il legislatore deve tenere conto della natura del caso singolo e delle circostanze del momento storico quando valuta la verosimiglianza dell’ingresso in Parlamento di partiti minori, analizzando in concreto le eventuali disfunzioni che ne possono derivare per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’assemblea parlamentare. Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale ha riconosciuto l’incostituzionalità dell’innalzamento della clausola di sbarramento dal 5 al 7,5 per cento (BVerfGE, 1, 208).

Pur non avendo il Tribunale costituzionale escluso la legittimità in astratto di un suo innalzamento, attualmente il 5 per cento è generalmente riconosciuto come il limite massimo della soglia di sbarramento per le elezioni federali.

Deve inoltre essere segnalata la sentenza del 13 febbraio 2008, con la quale è stata dichiarata incostituzionale la clausola di sbarramento del 5 per cento nelle elezioni comunali dello Schleswig-Holstein. Tale pronuncia riveste carattere innovativo, in quanto supera la precedente giurisprudenza, che non prevedeva significative differenziazioni in rapporto agli ambiti (Bund, Land, comuni) nei quali la clausola opera. L’incostituzionalità della clausola è peraltro stata configurata alla stregua di un’incostituzionalità sopravvenuta legata al mutamento del quadro legislativo: dal momento che il consiglio comunale, a seguito di alcune riforme, non era più chiamato a designare il sindaco e molte delle sue originarie attribuzioni erano state trasferite al sindaco stesso, non si poneva più un problema di ostacoli all’efficienza dell’assemblea

Per quanto riguarda le elezioni europee, una pronuncia del 9 novembre 2011 (BVerfG, 2 BvC 4/10), ha invece dichiarato l’incostituzionalità della clausola di sbarramento del 5 per cento prevista dalla legge elettorale tedesca per dette elezioni, in quanto contrastante, nel momento storico attuale, con i principi di eguaglianza del voto e di pari opportunità per i partiti politici riconosciuti dalla Legge Fondamentale. Il Tribunale costituzionale ha ribadito che il principio dell’uguaglianza del voto di cui alla Legge fondamentale esige che il voto di ogni elettore abbia la stessa influenza sulla composizione dell’organo elettivo e che le pari opportunità tra i vari partiti politici esigonoche ogni partito abbia, in linea di principio, le stesse possibilità e chances durante l’intero procedimento elettorale e dunque anche in relazione alla ripartizione dei seggi. La soglia di sbarramento per le elezioni europee comporta invece, diversamente da quanto ritenuto in passato (sentenza del 22 maggio 1979, BVerfGE 51, 222) uno squilibrio sugli effetti del voto, poiché i voti a favore dei partiti politici che non avevano superato la soglia di sbarramento rimanevano privi di effetto, compromettendo, al contempo, anche il diritto alle pari opportunità per i partiti. Secondo il Tribunale costituzionale, il diritto elettorale per le elezioni europee è soggetto ad un severo controllo di costituzionalità che tiene conto del pericolo che la maggioranza parlamentare, attraverso formule e meccanismi elettorali (quali, ad esempio, la clausola di sbarramento), cerchi di garantire l’elezione a livello europeo dei candidati dei partiti che la compongono. L’affermazione astratta e generica secondo cui la formazione della volontà nel Parlamento europeo viene resa più difficile in assenza di una soglia di sbarramento, che garantisce contro l’ingresso di partiti piccoli, non poteva di per sé giustificare l’incidenza sui principi dell’uguaglianza del voto e delle pari opportunità tra i partiti. Per poter giustificare la soglia di sbarramento era, dunque, necessario che potesse argomentarsi nel senso (non di una generica difficoltà di decisione, ma) di un probabile pregiudizio per la funzionalità dell’organo rappresentativo. Anche se il processo deliberativo si complicasse con l’ingresso di molti piccoli partiti nel Parlamento europeo, ciò non sarebbe di per sé sufficiente per poter affermare la sussistenza di un “probabile pregiudizio” alla funzionalità del consesso parlamentare europeo, anche alla luce dei compiti attribuiti a tale Parlamento. La situazione del Parlamento europeo non sarebbe infatti paragonabile a quella del Bundestag tedesco. In proposito, si è argomentato che la soglia di sbarramento per le elezioni europee non ha ragione di essere, poiché i parlamentari europei – a differenza dei colleghi del Bundestag – non eleggono un Governo dell’Unione che esige un supporto permanente da parte del Parlamento. Né, tantomeno, la legislazione europea dipende da una maggioranza costante nel Parlamento europeo formata da una coalizione stabile di determinati gruppi parlamentari cui si contrappone la c.d. opposizione.

Il Tribunale ha tuttavia precisato come l’incostituzionalità della soglia di sbarramento, che ha per conseguenza la nullità della relativa disposizione della legge elettorale, non comporta l’inefficacia delle elezioni europee del 2009 e la necessità di nuove elezioni. Nell’ambito di una ponderazione degli interessi coinvolti, l’interesse al mantenimento dell’organo rappresentativo (alimentato dall’affidamento sulla legittimità delle elezioni europee) prevale sulla rimozione del vizio elettorale, che non risulta comunque intollerabile.

 

Altri interventi del Tribunale costituzionale federale hanno riguardato gli effetti dell’attribuzione dei “seggi aggiuntivi” sulla proporzionalità del sistema, ed hanno portato a due successive modifiche della legge elettorale, nel 2011 e nel 2013.

Con la decisione del 3 luglio 2008, il Tribunale costituzionale rilevava come, secondo il sistema elettorale allora vigente, la previsione dei ‘seggi aggiuntivi’ producesse regolarmente il cosiddetto “effetto del peso negativo dei voti” (Effekt des negativen Stimmgewichts), in base al quale un aumento dei secondi voti espressi in favore di una lista poteva paradossalmente produrre una perdita di seggi, mentre la loro diminuzione poteva portare all’effetto inverso.

Questo effetto risultava lesivo dei principi di uguaglianza e di immediatezza della scelta elettorale sanciti dalla Legge fondamentale. Pertanto, è stata dichiarata l’incostituzionalità della relativa disciplina, con l’obbligo per il legislatore di modificare la legge elettorale entro il 30 giugno 2011.

In attuazione di tale obbligo è stata adottata la dicianovvesima legge di modifica della legge elettorale federale del 25 novembre 2011.

Tale legge aveva introdotto rilevanti modifiche al sistema elettorale, introducendo una ripartizione dei seggi non più a livello nazionale, ma nell’ambito dei singoli Länd (sul base del numero dei votanti del Länd stesso) ed eliminando la possibilità del collegamento tra liste di Länd del singolo partito. La nuova normativa ha altresì previsto i cc.dd. ‘mandati compensativi’ (Zusatzmandate) per partiti che si siano candidati in più Länder, il cui numero è pari alla somma che emerge dall’addizione a livello nazionale di tutte le perdite dovute ad arrotondamenti delle liste dei Länder riconducibili allo stesso partito (sistema dei voti residui, “Reststimmen”).

La legge è stata immediatamente oggetto di ricorsi al Tribunale costituzionale federale, che, con decisione del 25 luglio 2012, è nuovamente intervenuto sul punto, dichiarando l’illegittimità costituzionale anche della nuova disciplina.

Con particolare riferimento ai ‘seggi aggiuntivi’ (Überhangmandate), la pronuncia ricorda che il sistema vigente in Germania ha il «carattere fondamentale di un sistema elettorale proporzionale», mentre l’attribuzione dei ‘seggi aggiuntivi’ senza compensazioni può snaturare tale carattere del sistema, in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e di pari opportunità per i partiti politici. Non si tratta peraltro di un’affermazione assoluta. Secondo il Tribunale costituzionale, un sistema elettorale che consente agli elettori di esprimere preferenze personali nei collegi uninominali non è di per sé incompatibile con il ricorso ad un metodo proporzionale per l’assegnazione dei seggi. Il Tribunale giudica incostituzionale l’entità del meccanismo maggioritario ed individua un numero massimo di ‘mandati in eccedenza’ che possono essere attribuiti, pari a 15, ossia alla metà del numero dei deputati necessari per la costituzione di un gruppo parlamentare secondo il regolamento del Bundestag.

Il Tribunale costituzionale ha altresì ritenuto incostituzionale la previsione della nuova legge secondo cui la quota dei seggi assegnata ad un Länd viene attribuita in base al numero dei votanti (e non in base al numero degli aventi diritto al voto o in base alla popolazione), in quanto ciò può comportare nuovamente il cd. “effetto del peso negativo dei voti”. È stata infine dichiarata anche l’illegittimità costituzionale dei cd. ‘mandati compensativi’ (Zusatzmandate), assegnati sulla base della considerazione unilaterale delle perdite dovute all’arrotondamento, senza invece tener conto dei vantaggi che dagli arrotondamenti sorgano per i rispettivi partiti politici.

Al fine di colmare la grave lacuna normativa venutasi a creare a seguito del nuovo giudizio di illegittimità costituzionale, il legislatore ha dovuto elaborare, sulla base delle indicazioni della stessa Corte, una nuova riforma elettorale, entrata in vigore nel maggio 2013.

 

Si ricorda infine che il Tribunale costituzionale federale, con decisione del  4 luglio 2012, ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina del voto dei tedeschi residenti all’estero (Auslandsdeutsche), che consentiva a costoro di eleggere i deputati del Bundestag qualora dal 23 maggio 1949 (data della proclamazione della Repubblica federale tedesca e della Legge fondamentale) avessero vissuto in Germania per un periodo di almeno tre mesi.

In base ad una legge approvata nel 2013 a seguito dell’intervento del Tribunale federale, ai tedeschi residenti all’estero è riconosciuto il diritto elettorale attivo se dopo il compimento del quattordicesimo anno di età hanno vissuto in Germania ininterrottamente per un periodo di almeno tre mesi e dalla loro partenza non siano trascorsi più di 25 anni, oppure se per altri motivi, personalmente e direttamente, hanno acquisito familiarità con la situazione politica della Repubblica federale e ne sono interessati.

 


 

 



[1]     Il quarto partito del paese, l’anti-europeista UK Independence Party (UKIP), che aveva totalizzato il 3,1% voti, non era riuscito a vincere in nessun collegio, restando privo di rappresentanza parlamentare.

Tra i partiti nazionali, solo l’ecologista Green Party (1% dei voti a livello nazionale) aveva conquistato un seggio.

I 18 seggi dell’Irlanda del Nord erano stati tutti appannaggio di partiti territoriali; tra questi, il Democratic Unionist Party, con i suoi 8  seggi (a fronte di uno 0,6% di voti a livello nazionale) si era affermato come quarta forza per rappresentanza parlamentare, seguito dal partito scozzese Scottish National Party (6 seggi con l’1,7% dei voti).

 

[2]     In particolare, in Australia il sistema del voto alternativo funziona con collegi uninominali in cui gli elettori sono tenuti ad esprimere un ordine decrescente di preferenza per tutti i candidati del collegio (cd. full preferential vote); viene eletto chi consegue la maggioranza assoluta dei voti validi. Se nessuno consegue la maggioranza assoluta con le prime preferenze, viene scartato il candidato che ha ottenuto il minor numero di voti e le sue seconde preferenze vengono ripartite fra gli altri candidati. Si procede in questo modo finché un candidato non raggiunge la maggioranza assoluta.

Una variante del sistema del voto alternativo è il sistema del voto supplementare, usato per le elezioni del sindaco di Londra. E’ un sistema maggioritario a un turno, in cui l’elettore ha la facoltà di esprimere, oltre ad una prima preferenza per il candidato prescelto (first choice), un’altra preferenza per il candidato che risulta secondo nel suo ordine di gradimento (second choice). Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta con le prime preferenze, si passa ad un secondo conteggio, cui accedono solo i due candidati con il maggior numero di prime preferenze. Le seconde preferenze degli altri candidati vengono aggiunte a quelle già ottenute dai due candidati e viene eletto chi consegue il maggior numero di prime e seconde preferenze.

 

[3]     Secondo la nota illustrativa del progetto di legge di modifica elettorale la nuova disciplina può comportare, a seguito dell’aumento del numero dei seggi, un aggravio dei costi stimato fino a 60 milioni di euro annui.

 

[4]     Si ricorda che nel 2009 il sistema di ripartizione dei seggi a livello nazionale e di Land era diverso dall’attuale.

[5]     Esiste anche un metodo Sainte-Laguë modificato, applicato per esempio in Svezia, nel quale nella prima divisione, viene utilizzato il divisore 1,4 (anziché 1); nelle successive divisioni, vengono mantenuti i divisori del Sainte-Laguë (3, 5, 7…). In tal modo si limitano gli effetti negativi per i partiti maggiori.