TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 725 di Mercoledì 28 novembre 2012

 
.

MOZIONI CONCERNENTI CRITERI DI RIPARTO DELLE RISORSE DEL FONDO PER LO SVILUPPO E LA COESIONE

   La Camera,
   premesso che:
    le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, che a distanza di dieci mesi dal suo insediamento ha riconosciuto il fatto che l'operato del suo Governo ha contribuito ad aggravare la crisi economica in atto nel Paese, fanno presagire che l'inizio della nuova stagione autunnale sarà tristemente segnato dalla chiusura delle fabbriche e dalla perdita dei posti di lavoro;
    la mancanza di provvedimenti di sostegno alle imprese, fatta eccezione per quelli adottati a solo vantaggio delle aree site nel Mezzogiorno, dalle misure di rilancio delle aree di crisi industriale nel Meridione, con il decreto-legge per la crescita, al recente decreto-legge per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, e, più in generale, la mancanza di una seria ed organica politica di rilancio del sistema industriale del Paese hanno messo in crisi le imprese, al Sud come al Nord, molte di queste già al collasso finanziario, a causa della difficoltà di accesso al credito bancario, dell'elevata tassazione, la più alta in Europa, e dei molti oneri burocratici, a cui si aggiunge il fenomeno ancora non superato dei forti ritardi nel pagamento delle forniture da parte dei soggetti della pubblica amministrazione;
    le conseguenze di questa crisi sono inevitabilmente ricadute sul mondo dell'occupazione, generando uno scenario sconfortante per il futuro. Sono circa 180 mila i lavoratori coinvolti nei 150 tavoli di crisi aperti al Ministero dello sviluppo economico, mentre a rischio sono i posti di lavoro di 30 mila persone. Si tratta di aziende strategiche per l'economia italiana che operano su tutto il territorio nazionale in settori diversi ed è, quindi, inaccettabile che il Governo continui ad operare con la logica di creare un canale privilegiato di sostegno al Sud, quando nella realtà la crisi non vede distinzioni e tocca indistintamente le imprese del Nord come quelle del Sud;
    il fondo per le aree sottoutilizzate, oggi denominato fondo per lo sviluppo e la coesione, è stato ristrutturato con le disposizioni contenute nei decreti-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009;
    con il decreto-legge n. 112 del 2008 è stata attuata una ricognizione delle risorse disponibili, al fine di rendere più trasparente ed efficiente il loro impiego; in particolare, con l'articolo 6-quinquies nel nuovo fondo infrastrutture per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale sono state convogliate tutte le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate assegnate dal Cipe per il periodo 2007-2013;
    con il successivo decreto-legge n. 185 del 2008 le risorse nazionali destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate sono state riprogrammate allo scopo di conseguire obiettivi di rilancio dell'economia italiana, già compromessa dalla crisi internazionale. A tal fine sono stati creati tre fondi settoriali, ossia: fondo sociale per l'occupazione e la formazione, il fondo infrastrutture e il fondo strategico per il Paese, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il sostegno dell'economia reale;
    la programmazione delle risorse per il periodo 2007-2013 è stata adottata dal Cipe con delibera n. 166 del 21 dicembre 2007, che evidenziava un ammontare pari a 64,379 miliardi di euro;
    successivamente, a decorrere dall'anno 2008 fino ad oggi, le risorse suddette hanno subito una serie di decurtazioni, a causa della necessità di reperire risorse destinate al riequilibrio dei saldi di finanza pubblica;
    in ogni caso, la ripartizione delle risorse, aggiornate con successive delibere del Cipe, è stata effettuata nel rispetto del criterio di riparto che assegna l'85 per cento delle medesime al Mezzogiorno ed il restante 15 per cento al Centro-Nord;
    il suddetto criterio di riparto è stato adottato a seguito dell'accordo sancito in conferenza unificata Stato-regioni nel maggio 1999 ed è stato utilizzato per tutte le successive ripartizioni effettuate dal Cipe a decorrere dall'anno 2000 ad oggi. La motivazione di base era la concentrazione degli squilibri economici e sociali nell'area del Mezzogiorno;
    dal 1999 ad oggi, con l'avvento della grave recessione che ha coinvolto l'intera area euro e, in particolare, l'Italia, appare evidente che le motivazioni alla base della suddetta ripartizione a favore del Mezzogiorno devono essere rivalutate alla luce della grave crisi in cui versano tutte le aziende italiane, soprattutto piccole e medie imprese, che sono in procinto di chiudere, con gravi ripercussioni sul tasso di disoccupazione;
    oggi appare prioritario, più che sviluppare aree del Paese ancora depresse, assicurare la continuità produttiva e la sopravvivenza delle aziende esistenti, unica soluzione per poter consentire la crescita del prodotto interno lordo, o quanto meno scongiurare il trend di decrescita del medesimo, che, dalle ultime stime, è in calo tra il 2 fino al 2,4 per cento;
    anche per il 2013 è prevista una tendenza al ribasso, con una crescita non superiore allo 0,5 per cento,

impegna il Governo

ad intraprendere le necessarie iniziative affinché siano quanto prima adottati nuovi criteri di riparto delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, ai fini di una più cospicua assegnazione delle risorse in esso contenute al sistema produttivo del Nord e del Centro-Nord, nonché al fine di garantire la sopravvivenza delle imprese ed il loro rafforzamento per il rilancio dell'economia, scongiurando in tal modo il loro fallimento.
(1-01146)
«Dozzo, Maroni, Bossi, Fava, Fugatti, Lussana, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Volpi, Dal Lago, Alessandri, Stefani, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Follegot, Forcolin, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli».
(25 settembre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 27 dicembre 2002, n. 289, legge finanziaria per il 2003, all'articolo 61, recita: «A decorrere dall'anno 2003 è istituito il Fondo per le aree sottoutilizzate, coincidenti con l'ambito territoriale delle aree depresse di cui alla legge 30 giugno 1998, n. 208, al quale confluiscono le risorse disponibili autorizzate dalle disposizioni legislative, comunque evidenziate contabilmente in modo autonomo, con finalità di riequilibrio economico e sociale»;
    il fondo per le aree sottoutilizzate (ora fondo per lo sviluppo e la coesione) è considerato dalla legge strumento di finanziamento, con risorse aggiuntive nazionali, delle politiche di sviluppo per le aree sottoutilizzate del Paese, finalizzato a garantire una maggiore concentrazione delle risorse nelle aree dove è più elevata la sottoutilizzazione del potenziale produttivo e vige uno svantaggio competitivo accumulato e prospettico;
    nel fondo di cui all'articolo 61 della legge finanziaria per il 2003, sono confluite le risorse relative all'intervento straordinario nel Mezzogiorno e all'intervento ordinario nelle aree depresse (di cui alla legge n. 64 del 1986 e alla legge n. 208 del 1998, articolo 1, comma 1, come integrata dall'articolo 73 della legge n. 488 del 2001), nonché altre risorse disponibili autorizzate da disposizioni legislative con finalità di riequilibrio economico e sociale e cioè il fondo per lo sviluppo e la coesione, quindi, compensa i territori dove operava la Cassa per il Mezzogiorno prima della sua soppressione;
    dunque, il fondo per lo sviluppo e la coesione, per definizione e per sua stessa natura, deve essere impiegato unicamente per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
    tuttavia, nel recente passato larga parte di tali fondi è stata impiegata per fini diversi rispetto a quelli originari, che per il Cnel ammonta a 28 miliardi di euro, in precedenza destinati al Sud con il rapporto 85/15 per cento;
    secondo una ricerca di Svimez, negli ultimi quattro anni l'industria al Sud ha perso 147 mila unità, pari a una riduzione del 15,5 per cento che corrisponde al triplo del resto del Paese, determinando una nuova migrazione degli abitanti verso il Nord;
    la descrizione della crisi occupazionale meridionale che ne fanno gli istituti specializzati dimostra che la crisi al Sud ha degli effetti molto più gravi rispetto al Centro-Nord, tanto da raggiungere percentuali di disoccupazione per i giovani e le donne di oltre il 50 per cento;
    per affrontare adeguatamente la grave situazione sopra esposta e ridurre il dualismo economico italiano, è necessario che al Sud siano sostenuti sia gli investimenti strategici, relativi alla ricerca e all'innovazione, sia qualificati interventi infrastrutturali volti a una ripresa dell'economia meridionale, attraverso una maggiore funzionalità nella pubblica amministrazione e un efficiente utilizzo del fondo per lo sviluppo e la coesione per le aree sottoutilizzate, che rappresentano uno strumento indispensabile per riequilibrare la realtà economica e sociale italiana,

impegna il Governo

a far sì che siano rispettati i contenuti e le finalità della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che non sono stati intaccati dalle successive modifiche normative, utilizzando le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione unicamente nelle aree definite «sottoutilizzate» ma, nella sostanza, coincidenti con il territorio ex Cassa per il Mezzogiorno.
(1-01158)
«Misiti, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Commercio, Lombardo, Oliveri».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    a decorrere dal 2003, le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate del Paese sono concentrate in un fondo di carattere generale (fondo per le aree sottoutilizzate), ai sensi della legge n. 289 del 2002. Nel fondo sono iscritte tutte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici;
    per quanto concerne il riparto delle risorse, l'articolo 61, comma 3, della legge n. n. 289 del 2002 attribuisce al Cipe il compito di ripartire, con proprie deliberazioni, la dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate tra gli interventi in esso compresi;
    il quadro strategico nazionale del 2007 prevedeva una politica regionale di sviluppo destinata in modo specifico ai territori con squilibri economici e sociali. Poi è scoppiata la crisi. E per il Sud si sono ridotte non solo le risorse aggiuntive, ma anche quelle ordinarie, rendendo difficile quell'inversione di tendenza indicata dalle proiezioni programmatiche del Governo;
    come chiarito in un recente articolo dei professori Mario Centorrino e Pietro David pubblicato dal sito lavoce.info, per accelerare i tassi di crescita delle regioni meridionali, nel 2007, in coincidenza con il ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, si stabilì di adottare una strategia di sviluppo che, per la prima volta, vedeva confluire nella stessa programmazione tutte le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate: fondi comunitari, quote di cofinanziamento nazionale e risorse aggiuntive nazionali. In totale, 124,7 miliardi di euro (60,3 di fondi strutturali e 64,4 di fondi per le aree sottoutilizzate), che nei successivi sette anni dovevano finanziare un'unica strategia di sviluppo per il Mezzogiorno, indicata nel quadro strategico nazionale;
    un documento, questo, nato dal processo partenariale che ha coinvolto comuni, province, regioni e amministrazioni centrali nella definizione di scelte strategiche, priorità di intervento e modalità attuative della spesa per lo sviluppo. Tale approccio, definito politica regionale unitaria, aveva come «precondizioni per la sua stessa efficacia» l'intenzionalità dell'obiettivo territoriale e l'aggiuntività delle risorse;
    in sostanza, a differenza delle politiche ordinarie, che sono di regola orizzontali, la politica regionale di sviluppo sarebbe dovuta risultare destinata specificatamente a quei territori che presentavano squilibri economici e sociali. E per essere efficace, cioè per raggiungere l'obiettivo di ridurre i divari, le risorse impiegate avrebbero avuto carattere di distinzione e aggiuntività rispetto a quelle ordinarie;
    in base a queste «precondizioni» la ripartizione delle spese in conto capitale della politica regionale unitaria (la spesa aggiuntiva) avrebbe dovuto essere l'85 per cento per il Sud e il 15 per cento per il Centro-Nord, in modo che la quota totale delle spese in conto capitale (ordinarie più aggiuntive) per il Mezzogiorno sul totale nazionale avrebbe dovuto crescere fino al 45 per cento;
    se questo era l'impianto strategico nel 2007, la crisi economica ha modificato tutta l'impostazione finanziaria della politica regionale unitaria. La percentuale di spesa in conto capitale nelle regioni meridionali, sul totale nazionale, evidenzia come dal 2009 questa strategia sia sostanzialmente compromessa. La quota di spesa in conto capitale per il Sud è diminuita dal 35,4 del 2009 al 31,2 per cento del 2011. In valore assoluto si è passati dai 22,4 miliardi di euro investiti nelle regioni meridionali nel 2009 ai 15,1 miliardi di euro del 2011;
    a ridursi sono state non solo le risorse aggiuntive nazionali (il fondo per le aree sottoutilizzate), utilizzate in chiave anticiclica per altri interventi su tutto il territorio nazionale, ma anche le risorse ordinarie, la cui quota destinata al Mezzogiorno sul totale è passata dal 26,8 per cento del 2009 al 18,8 per cento del 2011, contravvenendo ad una delle «precondizioni» essenziali della politica regionale unitaria;
    anche il rapporto Svimez 2012 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a Roma il 26 settembre 2012, sottolinea come negli ultimi anni la strategia complessiva volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale delle regioni meridionali sia completamente venuta meno, «essendo le risorse ordinarie un vero e proprio buco nero nello sviluppo del Mezzogiorno»;
    in sostanza, come nel precedente ciclo di programmazione, le risorse aggiuntive stanno sostituendo i tagli di quelle ordinarie, compromettendo, di fatto, l'efficacia della politica regionale unitaria;
    nel corso del 2008 sono intervenute alcune disposizioni che hanno inciso in maniera significativa sulla programmazione delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate:
     a) con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, articoli 6-quater e 6-quinquies, è stata impostata una strategia di razionalizzazione delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate, volta, da un lato, alla ricognizione delle risorse disponibili sul fondo per le aree sottoutilizzate e, dall'altro, alla concentrazione delle risorse stesse a favore di settori e di interventi considerati di rilevanza strategica nazionale;
     b) con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, all'articolo 18, ponendosi in linea di continuità rispetto a quanto disposto dal decreto-legge n. 112 del 2008, si sono previste la riprogrammazione e la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana. A tal fine sono stati costituiti tre fondi settoriali:
      1) fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
      2) fondo infrastrutture;
      3) fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale;
    ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il fondo per le aree sottoutilizzate ha assunto la denominazione di «fondo per lo sviluppo e la coesione»;
    per il periodo di programmazione 2007-2013 le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate sono state fissate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. Nel corso dell'anno 2008 sono state apportate numerose riduzioni a carico delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate, in attuazione di alcune disposizioni legislative adottate nel corso dell'anno, per un importo complessivo pari a 12,9 miliardi di euro. Altre decurtazioni delle risorse di tale fondo sono intervenute anche successivamente;
    il rapporto Svimez 2012 già citato asserisce che oggi ci vogliono quattro secoli per recuperare il gap che divide il Mezzogiorno dal Settentrione. Il rapporto parla di «desertificazione industriale». La disoccupazione tocca il 25 per cento, più del doppio rispetto a quella del Centro-Nord;
    nel 2012, il prodotto interno lordo è sceso ancora del 3,5 per cento, i consumi del 3,8 per cento e gli investimenti del 13,5 per cento. Negli ultimi quattro anni, dal 2007 al 2011, sono 147 mila i posti di lavoro persi al Sud, il triplo dei dati del Centro-Nord. In questa situazione dal 2000 al 2010 oltre un milione e 350 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno, aggravandone l'impoverimento;
    una situazione di grave e progressivo impoverimento che richiederebbe piani di emergenza ed investimenti pubblici;
    lo stesso intervento straordinario, quando c’è stato, in anni ormai lontani, era la semplice sostituzione di quello ordinario che non c'era mai stato. Era un investimento che non mirava a ridurre le differenze, ma a dare fondi ai potenti meridionali, in modo che potessero mantenere il loro potere e continuare a fare gli interessi settentrionali;
    anche i Governi di centrodestra degli ultimi vent'anni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno trascurato il Sud per compiacere la Lega. Non c’è, dunque, da stupirsi che i vecchi divari si siano allargati;
    il Meridione sconta oggi, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, il combinato disposto della peggior crisi dal dopoguerra e dell'impostazione leghista della compagine berlusconiana, che l'ha colpito sistematicamente nella convinzione che le realtà settentrionali ne avrebbero tratto giovamento. Oggi si vede con nettezza che è vero il contrario: senza politiche di coesione territoriali tutto il sistema-Paese soffre;
    la crescita dell'economia italiana è, infatti, strettamente legata allo sviluppo delle regioni meridionali e al recupero dei divari territoriali in termini di prodotto interno lordo, occupazione e infrastrutture. Con un Mezzogiorno a bassi livelli di produzione, anche se il Centro-Nord crescesse a tassi «europei», il prodotto interno lordo nazionale rimarrebbe sempre intorno alla sua media degli ultimi dieci anni: poco sopra lo zero (0,2 per cento),

impegna il Governo:

   ad intraprendere le necessarie iniziative affinché siano mantenuti ed effettivamente realizzati gli attuali criteri di riparto delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione;
   ad assegnare nel più breve tempo possibile alle amministrazioni destinatarie le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione ed a garantire che l'utilizzo di tali risorse sia oggetto di costante monitoraggio e valutazione al fine di accelerare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
(1-01159)
«Aniello Formisano, Messina, Palagiano, Palomba, Di Giuseppe, Di Stanislao, Barbato, Zazzera, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Cimadoro, Favia, Monai, Mura, Paladini, Piffari, Porcino, Rota».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il fondo per le aree sottoutilizzate (ora fondo per lo sviluppo e la coesione) è stato istituito con la legge n. 289 del 2002. La sua stessa istituzione rispondeva all'esigenza di sostenere politiche attive di sviluppo delle aree appunto sottoutilizzate;
    appare evidente e necessario sottolineare che nella sua stessa definizione si dovrebbe cogliere il suo autentico senso politico. Si dice, infatti, «aree sottoutilizzate», aree cioè in difficoltà perché male governate o non governate nella maniera più adeguata, in modo insomma da non permettere lo sviluppo delle potenzialità effettive di queste aree;
    in tale definizione, non si sa quanto volontaria, si riassume una buona dose della ormai annosa questione meridionale;
    in effetti, all'atto pratico, il fondo per lo sviluppo e la coesione rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, lo strumento principale di governo della politica regionale nazionale, in particolare per permettere la realizzazione degli investimenti necessari nelle aree, appunto, sottoutilizzate del Paese;
    le risorse finanziarie messe a disposizione del fondo per lo sviluppo e la coesione non rappresentano, però, solo un semplice strumento finanziario e un sostegno economico settoriale, in quanto sono, invece, anche un importante strumento di raccordo delle politiche regionali con le scelte e gli indirizzi della comunità europea. L'affermazione di una strategia unitaria nella programmazione degli interventi, che avviene proprio grazie all'utilizzo «locale» di tali risorse, permette, infatti, di sviluppare una politica regionale coerente con i principi e le regole comunitarie consentendo, al contempo, una maggiore capacità di spesa in conto capitale, una condizione questa necessaria per soddisfare anche quel principio di addizionalità che l'Italia è chiamata a rispettare con l'Unione europea;
    il fondo per lo sviluppo e la coesione è stato oggetto, nel tempo, di diversi interventi normativi:
     a) la legge 24 dicembre 2003, n. 350, (legge finanziaria per il 2004), ha affidato al fondo per le aree sottoutilizzate l'obiettivo di accelerare la spesa in conto capitale, includendolo tra i criteri che presiedono alla rimodulazione delle risorse. In quell'occasione si è stabilito che, per gli interventi infrastrutturali, la loro attuazione potesse avvenire esclusivamente secondo quanto stabilito dalle procedure previste dagli accordi di programma quadro, con priorità per gli interventi nei settori della sicurezza, dei trasporti, della ricerca, dell'acqua e del rischio idrogeologico;
     b) la legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha destinato al fondo per le aree sottoutilizzate, in virtù di una programmazione settennale, 64 miliardi di euro, specificando che l'85 per cento di quelle risorse fosse destinato a favore del Mezzogiorno;
     c) con il decreto-legge n. 185 del 2008 le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate sono state riprogrammate e sono stati creati tre fondi settoriali, quello sociale per l'occupazione e la formazione, quello per le infrastrutture, e quello strategico per il Paese;
     d) conseguentemente, la programmazione delle risorse per il periodo 2007-2013 è stata poi adottata dal Cipe con delibera 21 dicembre 2007, n. 166, che, come detto, evidenziava un ammontare pari a 64,379 miliardi di euro;
     e) a decorrere dall'anno 2008 fino ad oggi, le risorse sopra citate hanno subito una serie costante di decurtazioni, principalmente per reperire le risorse necessarie al riequilibrio dei saldi di finanza pubblica;
     f) ai sensi del decreto legislativo n. 88 del 2011 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali), attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il fondo per le aree sottoutilizzate ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
    il fondo per lo sviluppo e la coesione è finalizzato, riconoscendo un'intrinseca unità programmatica, ad un insieme di interventi rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
    dal quadro descritto appare evidente che anche la semplice ipotesi di non utilizzare più tali risorse a favore della aree meridionali del nostro Paese, o, comunque, utilizzarle principalmente in altre aree geografiche d'Italia, significa non aver compreso lo spirito stesso dello strumento. Non aver compreso che si tratta di un mezzo fondamentale per l'affermazione di una politica comune europea. Non aver compreso che il ritardo del meridione d'Italia è chiaramente una questione nazionale, dalla quale dipende la competitività dell'intero sistema Italia, e, quindi, la possibilità per tutti i cittadini italiani, anche quelli residenti nelle regioni settentrionali, di mantenere livelli di vita adeguati nei prossimi anni. Significa, in buona sostanza, non aver compreso l'attuale fase storica che si sta vivendo;
    un approccio localistico nell'utilizzo di tali risorse risponde, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, esclusivamente ad una visione ristretta, miope e antistorica;
    i danni prodotti dalla «moda del federalismo irresponsabile», oggi sono tutti drammaticamente sotto gli occhi. Si sono creati centri di spesa fuori da ogni controllo. Il risultato è stato: minori servizi e più tasse per tutti i cittadini italiani;
    pensare ancora il nostro Paese diviso e voler aumentare le distanze tra le sue aree geografiche appare davvero futile e dannoso. È venuto il momento della responsabilità, non è più il tempo di proclami separatisti, di chimere antinazionali, l'Italia è una e deve essere sempre più coesa se davvero si vuole affrontare, nell'interesse di tutti i suoi cittadini, la sfida europea;
    è necessario investire maggiori risorse in tutte le aree sottoutilizzate a cominciare proprio da quelle meridionali;
    bisogna legare tali investimenti alla possibilità che le forze produttive più avanzate del Paese possano investire nel Meridione, e fare in modo che le aziende del Nord trovino sempre più vantaggioso investire nel Sud. Anche per quest'azione è venuto il tempo della responsabilità e si ritiene che in questa chiave vada letto il decreto-legge sugli enti locali che il Governo ha deciso recentemente di emanare. Non è più accettabile sprecare, non è più pensabile utilizzare male le risorse disponibili;
    in questo senso, appaiono davvero preoccupanti i dati più recenti relativi allo stato di utilizzo delle risorse relative al periodo di programmazione che si è concluso nel 2007. Dati allarmanti che mettono in evidenza la permanenza di ritardi ed inefficienze, nonché la capacità di spesa da parte delle regioni, in particolare, di quelle meridionali. Diversi provvedimenti normativi hanno più volte sottolineato l'opportunità e riconosciuto la possibilità dell'utilizzo di risorse giacenti sul fondo per lo sviluppo e la coesione che ancora non sono state utilizzate,

impegna il Governo:

   a confermare i principi generali di riparto delle citate risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento);
   a ribadire, per le risorse destinate agli investimenti pubblici in infrastrutture, il criterio di distribuzione tra amministrazioni centrali e regioni (pari rispettivamente al 20 e all'80 per cento);
   a porre in essere tutte le misure ritenute idonee a garantire il più sollecito ed efficiente uso delle risorse di cui al fondo per lo sviluppo e la coesione, utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso affinché le regioni si mostrino all'altezza dei loro compiti e delle loro responsabilità;
   a prevedere, nell'annunciato progetto di revisione costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, meccanismi che permettano allo Stato di intervenire direttamente nella gestione e utilizzo delle risorse finanziarie disponibili, in caso di mancato utilizzo da parte delle regioni inadempienti;
   a garantire che le risorse disponibili siano orientate alla finalità della riduzione del divario economico tra le diverse aree del Paese.
(1-01162)
«Ossorio, Nucara, Mario Pepe (Misto-R-A), Brugger».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il fondo per le aree sottoutilizzate, istituito con la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003), rappresenta lo strumento principale di governo della politica regionale nazionale per la realizzazione degli investimenti nelle aree sottoutilizzate del Paese;
    la strategia unitaria nella programmazione degli interventi e la flessibilità nell'allocazione delle risorse permettono di impostare una politica regionale nazionale coerente con i principi e le regole comunitarie e di conseguire una maggiore capacità di spesa in conto capitale, condizione essenziale per soddisfare anche il principio di addizionalità, scaturente dagli impegni assunti dall'Italia con l'Unione europea;
    la legge 27 dicembre 2006, n. 296, attribuiva alla programmazione settennale del fondo per le aree sottoutilizzate, su base programmatica settennale, 64 miliardi di euro da destinare ad interventi, per l'85 per cento in favore del Mezzogiorno, anche attraverso il cofinanziamento e i programmi a valere sui fondi strutturali 2007-2013;
    i maggiori provvedimenti finanziari e di politica economica in chiave anticrisi emanati a partire dal 2008 sono stati finanziati attraverso la riduzione di oltre 28 miliardi di euro di risorse relative al fondo per le aree sottoutilizzate;
    l'articolo 6-quater del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, ha inserito nel nostro ordinamento i principi generali di riparto delle risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento);
    nel corso del 2010 è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
    il decreto legislativo n. 88 del 2011, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione), ha:
     a) ridefinito la finalizzazione del fondo per le aree sottoutilizzate, che ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
     b) introdotto nuove regole di responsabilizzazione dei soggetti pubblici titolari dell'utilizzo di tali risorse;
     c) previsto, per accelerare la realizzazione degli interventi e garantire la qualità degli investimenti, il «contratto istituzionale di sviluppo», che destina le risorse aggiuntive e definisce responsabilità, tempi e regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
    la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011, registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2011, ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie, essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese. In particolare, la citata delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
    la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 gennaio 2012, e successivamente modificata dalla delibera 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 aprile 2012, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno che assegna, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, 1.027 milioni di euro, di cui circa 84 milioni di euro a favore di due poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia e Puglia e 943 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, per il finanziamento di infrastrutture quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
    la delibera Cipe n. 8 del 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 maggio 2012, ha assegnato circa 750 milioni di euro, a carico della programmazione regionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il completo finanziamento degli interventi rientranti in specifici accordi di programma già sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le singole regioni del Mezzogiorno per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti;
    la delibera Cipe n. 41 del 23 marzo 2012, registrata alla Corte dei conti il 7 giugno 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 giugno 2012, ha previsto che, ai fini dell'attuazione degli interventi previsti nelle delibere CIPE n. 62 del 2011 e n. 78 del 2011, si procede attraverso lo strumento dei contratti istituzionali di sviluppo, nelle ipotesi nelle quali i soggetti attuatori siano costituiti da concessionari di pubblici servizi di rilevanza nazionale; in tutti gli altri casi si procede mediante la stipula di specifici accordi di programma quadro;
    il Cipe, in data 3 agosto 2012, ha programmato le risorse residue, oltre 4 miliardi di euro del fondo per lo sviluppo e la coesione a favore delle regioni meridionali, assegnandole alle seguenti sei categorie prioritarie di intervento: promozione d'impresa (circa 943 milioni di euro); sanità (oltre 717 milioni di euro); riqualificazione urbana (oltre 400 milioni di euro); sostegno alle scuole e alle università (circa 191 milioni di euro); altre infrastrutture (oltre 468 milioni di euro); assistenza tecnica/azioni di sistema (36 milioni di euro); copertura debito sanitario della Regione siciliana (oltre 358 milioni di euro), interventi nel settore delle bonifiche e del completamento del servizio idrico integrato (1 miliardo di euro),

impegna il Governo:

   a confermare i principi generali di riparto delle risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento), già affermati dall'articolo 6-quater del decreto-legge n. 112 del 2008;
   a stipulare, nel più breve tempo possibile, i contratti istituzionali di sviluppo o gli accordi di programma quadro, al fine di mettere a disposizione delle amministrazioni regionali le risorse per avviare concretamente le opere e dare un impulso molto importante all'economia del Mezzogiorno.
(1-01164)
«Fitto, Gioacchino Alfano, Marinello, Aracu, Baccini, Ceroni, Girlanda, Mantovano, Marsilio, Toccafondi, Traversa, Cosenza».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il Mezzogiorno ha subìto più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
    tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
    da quattro anni i consumi nel Mezzogiorno non crescono: i consumi delle famiglie hanno registrato, in particolare nel Mezzogiorno, un calo significativo nel corso della crisi, anche per quelli alimentari, riducendosi complessivamente del 4,5 per cento, a fronte di una sostanziale stazionarietà nelle regioni del Centro-Nord. Per effetto della crisi e del declino dei redditi in atto dall'inizio del decennio, il livello dei consumi delle famiglie meridionali risulta inferiore in termini reali di oltre 3 miliardi di euro rispetto al valore del 2000;
    le stime per il 2012, effettuate con il modello di previsione regionale Svimez-Irpet, evidenziano un forte peggioramento del quadro economico: aggravamento della recessione, contrazione del prodotto interno lordo superiore a quella dei partner europei, peggior andamento delle regioni meridionali;
    si conferma, inoltre, e si aggrava la tendenza ad un ampliamento del divario tra Nord e Sud: il prodotto interno lordo del Centro-Nord dovrebbe flettere del 2,2 per cento, mentre quello del Sud farebbe segnare una riduzione del 3,5 per cento: considerando questa ulteriore contrazione, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno farebbe segnare dal 2007 a tutto il 2012 una riduzione complessiva di circa il 10 per cento, ritornando ai livelli del prodotto interno lordo (a prezzi costanti) del 1997, un salto all'indietro di quindici anni (il prodotto del Centro-Nord tornerebbe ai livelli del 2002);
    le manovre restrittive comportano, secondo le stime Svimez, un effetto depressivo sul prodotto interno lordo del 2012 dell'1,1 per cento in Italia, ma assai differente a livello territoriale: 8 decimi di punto nelle regioni centro-settentrionali e 2,1 punti percentuali in quelle meridionali;
    tra il 2008 e il 2011 si sono perse nel nostro Paese 437 mila unità di lavoro, con una concentrazione territoriale impressionante: meno 266 mila nel Mezzogiorno, quasi il 60 per cento di perdite in un'area in cui sono presenti meno del 30 per cento degli occupati italiani. Per quanto riguarda i settori, si può parlare di un vero e proprio crollo per le costruzioni (meno 14,1 per cento, contro il meno 3,7 per cento del Centro-Nord) e nell'industria in senso stretto (meno 11,1 per cento nel Mezzogiorno, contro il meno 5,1 per cento nel resto del Paese), non compensate dalla dinamica del terziario che cresce al Centro-Nord (più 1 per cento), mentre riduce i posti di lavoro nel Sud (meno 1,6 per cento);
    per quanto riguarda i tassi di occupazione relativi alle classi da 25 a 34 anni, la percentuale è del 47,6 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 75,7 per cento delle regioni del Centro-Nord;
    l'impegno complessivo allo sviluppo è nei fatti mancato – causa la difficile crisi finanziaria e il rispetto dei vincoli che discendono dal patto di stabilità – determinando nel 2011 un crollo della spesa in conto capitale complessiva dell'11 per cento, che segue la riduzione del 19,6 per cento registrata nel 2010;
    il taglio drastico operato sulle spese per investimenti, ai livelli più bassi per entrambe le macroaree, è gravato prevalentemente sul Mezzogiorno (meno 18,8 per cento rispetto al meno 8,2 per cento nel Centro-Nord), determinando una diminuzione della sua quota sul totale nazionale al 31,1 per cento, dal 40 per cento del 2010: a dispetto dei tanti luoghi comuni che persistono – alimentati da una discussione parziale, disinformata e scandalistica sull'uso, il non uso e l'abuso delle risorse per la coesione – il livello di spesa per investimenti pro capite al Sud è drammaticamente inferiore al resto del Paese;
    ma ciò che emerge dai dati è, soprattutto, il fatto che la spesa ordinaria al Sud, diminuita dagli 11,3 miliardi di euro del 2010 ai 7 miliardi di euro del 2011, è l'elemento di peculiare debolezza dell'attività di investimento: la sua incidenza sulla spesa ordinaria complessiva del Paese è scesa dal 25,5 per cento nel 2010 al 18,8 per cento nel 2011 e, dunque, la spesa aggiuntiva, in leggera ripresa rispetto all'anno precedente, è risultata così di ammontare superiore a quello della spesa ordinaria (8,1 miliardi di euro rispetto a 7 miliardi di euro);
    tutto questo determina la costante violazione del principio di addizionalità della spesa a finalità strutturale pattuito con l'Unione europea, per beneficiare delle politiche di coesione, indebolendo maggiormente la posizione negoziale del nostro Paese in vista della riforma per il ciclo di programmazione 2014-2020;
    in ogni caso, l'efficacia dell'impegno aggiuntivo, vista la prassi di «sostitutività» registrata in tutti questi anni a dispetto di altri importanti vincoli, può essere garantita solo ponendo con forza, pure nell'ambito dell'attuazione del federalismo fiscale, la questione della garanzia di una spesa in conto capitale ordinaria di dimensione «adeguata» per il Mezzogiorno;
    il prossimo documento di economia e finanza, momento di programmazione complessiva dello Stato, dovrebbe essere il luogo, a differenza che nel passato, per iniziare a esplicitare quantità e «qualità» della spesa ordinaria prevista per le aree sottoutilizzate, anche al fine di stabilirne, su un piano programmatico, l'effettiva portata dell'aggiuntività degli interventi e quanto questa possa incidere negli obiettivi di convergenza che il Paese si pone;
    di fronte alla persistente mancanza, nel Mezzogiorno, di una politica complessiva di sviluppo e persino di politiche ordinarie generali adeguate (la spesa pubblica corrente pro capite sarà pure gravata da sacche di forte inefficienza, ma è più bassa rispetto al resto del Paese: e il livello dei servizi lo dimostra), anche gli interventi «aggiuntivi» e «speciali» realizzati con la «nuova» politica di coesione rischiano di continuare a perdere la loro finalità di riequilibrio territoriale, con il ben noto effetto di sostituzione (sempre più parziale, stante il livello complessivo inadeguato) della mancata spesa ordinaria. Questo, inevitabilmente, ne condizionerebbe esiti e risultati, inficiandoli ab origine,

impegna il Governo:

   a confermare la percentuale di riparto del fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
   ad assumere iniziative per attribuire al fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione di risorse iscritte in bilancio non inferiori allo 0,6 per cento del prodotto interno lordo, risorse che non possono comunque risultare inferiori allo 0,4 per cento a fine anno.
(1-01165)
«Boccia, Ventura, Baretta, Calvisi, Capodicasa, D'Antoni, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni, Vico».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2003 è stato istituito un fondo per le aree sottoutilizzate, coincidenti con l'ambito territoriale delle aree depresse di cui alla legge 30 giugno 1998, n. 208, dove confluiscono le risorse disponibili sia nazionali che comunitarie, al fine di provvedere ad un riequilibrio economico-sociale e di crescita;
    il riparto di tali somme viene deliberato dal Cipe, come da delega di cui all'articolo 61, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008;
    nel detto fondo sono confluite anche le risorse relative all'intervento straordinario per il Mezzogiorno e all'intervento ordinario per le aree depresse;
    tale fondo, oggi chiamato fondo per lo sviluppo e la coesione, avrebbe dovuto, originariamente, essere utilizzato unicamente per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
    con un recente documento, il Cnel ha, invece, evidenziato che il rapporto originario (85 per cento al Sud e 15 per cento al Centro-Nord) è stato disatteso, tanto è vero che una somma considerevole, pari a circa 23,6 miliardi di euro, è stata dirottata da spesa in conto capitale a spesa corrente;
    all'inizio erano stati destinati al Sud 36,9 miliardi di euro e 6,5 miliardi di euro al Centro-Nord. Le varie manovre, invece, hanno dirottato 19,4 miliardi di euro al Centro-Nord e 18,9 miliardi di euro al Mezzogiorno;
    l'attuale crisi economica ha prodotto un dissesto nel Mezzogiorno d'Italia, dove le percentuali di disoccupazione sono triplicate e dove il prodotto interno lordo è in costante flessione negativa;
    dalla crisi si esce solo se tutto il Paese viene messo nelle condizioni di procedere ad una crescita, in modo particolare se il territorio del Mezzogiorno viene messo nelle condizioni di poter risollevarsi economicamente e socialmente;
    in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno, secondo i dati dell'ultimo rapporto Svimez, nel 2011 ha confermato lo stesso livello del 57,7 per cento del valore del Centro-Nord del 2010. In un decennio il recupero del gap è stato soltanto di un punto e mezzo percentuale, dal 56,1 per cento al 57,7 per cento. Continuando così ci vorrebbero 400 anni per recuperare lo svantaggio;
    appare necessario ed urgente passare dalle parole ai fatti e, quindi, mettere gli enti preposti nelle condizioni di poter procedere, celermente, ad elaborare piani di sviluppo per le regioni dell'ex intervento straordinario per il Mezzogiorno,

impegna il Governo:

   a far sì che venga rispettata, d'ora in poi, la ripartizione dei fondi per lo sviluppo e la coesione;
   ad assegnare, celermente, i fondi agli enti preposti al fine di attivare, sin da subito, un programma per lo sviluppo delle regioni del Meridione.
(1-01167)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».
(9 ottobre 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER GARANTIRE ADEGUATE RISORSE AI COMPARTI DELLA SICUREZZA, DELLA DIFESA E DEL SOCCORSO PUBBLICO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ASSUNZIONE DI NUOVO PERSONALE

   La Camera,
   premesso che:
    le mafie, giovandosi della crisi di liquidità dovuta alla negativa congiuntura economica, stanno sviluppando ancor più il proprio profilo criminale nelle realtà di tutto il Paese secondo una logica predatoria, come ben evidenziato nella relazione al Parlamento del 2011 dai servizi di sicurezza e informazione;
    soggetti e gruppi di matrice eversiva sfruttano il disagio sociale, conseguente alla crisi economica che sta investendo il nostro Paese, per innalzare il livello di scontro con le istituzioni, come, peraltro, dimostrato dall'attentato compiuto a Genova, nel mese di maggio 2012, ai danni dell'ingegner Roberto Adinolfi, dirigente Ansaldo, e dalle precedenti campagne di invio di pacchi e lettere bomba;
    centinaia di uomini sono impegnati quotidianamente in Val di Susa per assicurare la tutela dei cantieri finalizzati alla realizzazione di una linea ferroviaria di alta velocità sulla tratta Torino-Lione;
    migliaia di donne e uomini delle forze dell'ordine sono impegnati quotidianamente per garantire l'ordine pubblico nelle centinaia di manifestazioni di protesta o di disagio connesse alla crisi economica che si svolgono in tutta Italia, come, per esempio, nell'ultima manifestazione di lavoratori dell’Alcoa a Roma;
    migliaia di donne e uomini del soccorso pubblico sono quotidianamente impegnati nelle emergenze grandi e piccole del nostro Paese, con professionalità e abnegazione eccezionali ed in condizione di grandissime ristrettezze materiali;
    il blocco delle assunzioni previsto dall'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012 determinerà una riduzione in tutti i Corpi dello Stato appartenenti ai comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico;
    nelle sole forze del comparto sicurezza questo significherà la diminuzione di oltre 18.000 unità nel triennio, con ricadute negative anche sull'innalzamento dell'età media delle donne e degli uomini delle forze dell'ordine;
    la lotta alle mafie, la garanzia dell'ordine pubblico, la capacità e la possibilità di intervento rapido per il soccorso pubblico e la promozione della legalità equivalgono ad un investimento per aumentare la competitività, la crescita e lo sviluppo economico del Paese, nonché la sicurezza dei cittadini, che è precondizione per il mantenimento della fiducia nelle istituzioni;
    i commi 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, prevedono per il triennio 2011-2013, rispettivamente, il divieto di superare il trattamento economico ordinariamente spettante per l'anno 2010, anche con riferimento all'assegno funzionale, al trattamento economico superiore correlato all'anzianità di servizio senza demerito, compresa quella nella qualifica o nel grado, agli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni, previsti per il personale delle forze di polizia ed armate, e il congelamento degli effetti economici delle progressioni di carriere, dei meccanismi retributivi per classi e scatti e degli adeguamenti annuali per il personale dirigente delle forze di polizia e delle stesse Forze armate;
    il legislatore, tenendo conto della specificità del comparto della sicurezza e della difesa e del soccorso pubblico, in sede di conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, ha istituito, all'articolo 8, comma 11-bis, un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012, destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle forze di polizia e delle Forze armate, interessato alle disposizioni del blocco del trattamento economico di cui ai citati comma 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78;
    dopo ripetute manifestazioni sindacali, il legislatore ha previsto, con l'articolo 1 del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2011, n. 74, l'incremento del citato fondo di 115 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011-2012 e 2013, ed ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum, in favore del personale interessato alla corresponsione delle relative indennità, bloccate dall'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010;
    l'istituzione del citato fondo è finalizzata, come emerge anche dal dibattito parlamentare relativo ai due decreti-legge sopra richiamati e dagli impegni assunti dal Governo, ad assicurare al personale interessato una compensazione economica conseguente agli effetti relativi all'applicazione del congelamento di alcuni elementi retributivi, di cui ai citati commi 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    i fondi disponibili per l'anno 2011 sono stati sufficienti per assecondare tutte le esigenze del personale, che ha maturato i requisiti per la corresponsione delle indennità cosiddette «congelate» nello stesso anno 2011, mentre le somme disponibili del sopra citato fondo sono del tutto insufficienti per gli anni 2012 e 2013;
    in merito, in sede di conversione del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, il legislatore, all'articolo 1, comma 2, per reperire le somme necessarie al soddisfacimento delle esigenze, ha previsto espressamente l'impiego delle risorse utilizzabili del fondo unico per la giustizia;
    nella versione originaria della legge di stabilità per il 2012 (legge 12 novembre 2011, n. 183) fu prevista l'abrogazione del trattamento economico accessorio per il personale della direzione investigativa antimafia;
    dopo una seria azione di protesta di detto personale, il Parlamento, mostrando di aver ben compreso i gravi effetti sulla funzionalità della struttura investigativa, accolse parzialmente le istanze del personale, non cancellando il trattamento accessorio, ma riducendo di circa il 65 per cento lo stanziamento per il 2012;
    in nessun altro contesto si è mai operato un taglio così forte sugli stipendi, tanto è vero che il personale in servizio presso gli uffici dei vari corpi di polizia continuano a percepire indennità specifiche in ragione dell'appartenenza ai medesimi uffici;
    in attuazione del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha previsto per il Ministero dell'interno una riduzione di spesa, per il 2013 e per gli anni successivi, di 131 milioni di euro, è stato inopinatamente disposto un ulteriore taglio al trattamento economico accessorio del personale della direzione investigativa antimafia, di circa 2 milioni di euro, nonostante la consistente decurtazione operata sullo stesso emolumento nel 2011;
    per fare ciò è stato necessario modificare la scheda del piano di formazione del relativo capitolo 2673 da «spesa obbligatoria», in quanto rientrante nella categoria dei redditi da lavoro dipendente, come correttamente riportato nella scheda del capitolo 2673 del 2012, a «spesa non obbligatoria»;
    successivamente, a seguito dell'interessamento del Ministro dell'interno, è stata reintegrata la somma di 2 milioni di euro, ma è stata mantenuta la dizione «onere giuridicamente non obbligatorio»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per reperire i fondi necessari a garantire l'assunzione di nuovo personale nei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, sbloccando totalmente il limite previsto dal blocco del turn over al 20 per cento per il triennio 2012/2014;
   ad attribuire priorità all'utilizzo per il 2012 e il 2013 delle risorse disponibili sul fondo unico per la giustizia, per incrementare il fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, destinato alla corresponsione di assegni una tantum ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, al personale delle Forze armate, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché ad avviare le procedure amministrativo-contabili per la corresponsione del medesimo assegno una tantum relativo all'anno 2012;
   a classificare il trattamento economico aggiuntivo per il personale della direzione investigativa antimafia nella sua formulazione originaria di «spesa avente carattere obbligatorio», trattandosi di redditi assimilabili a quelli da lavoro dipendente, e a reintegrare la somma destinata al pagamento dello stesso pari a quelle stanziate fino alla data del 31 dicembre 2011.
(1-01140)
(Nuova formulazione) «Fiano, Rosato, Arturo Mario Luigi Parisi, Naccarato, Bressa, Minniti, Villecco Calipari, Recchia, Touadi, Orlando, D'Alema, Tullo, Franceschini, Rossomando, Peluffo, Laganà Fortugno, Esposito, Garavini, Veltroni, Codurelli, Mattesini, Marco Carra, Bossa, Picierno».
(13 settembre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante congiuntura economica, le tensioni sociali che essa innesca – i tavoli di crisi aziendale aperti al Ministero dello sviluppo economico, dal Sud al Nord, coinvolgono 180 mila lavoratori – l'emergenza criminalità in varie città, da Napoli a Milano, i riflessi sull'Italia dell'assalto al consolato americano di Bengasi, con l'uccisione dell'ambasciatore americano in Libia, questione gravissima apertasi ed estesasi in poche ore ad altri Paesi della medesima area geografica e politica, costituiscono ulteriori, primari e rilevanti problemi per l'ordine pubblico;
    si è riunito nei giorni scorsi il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Ministro dell'interno, cui hanno preso parte il Sottosegretario De Stefano, i vertici delle forze di polizia e dei servizi segreti, il capo di stato maggiore della difesa, ed i componenti hanno esaminato le varie minacce – elencate nell’incipit del presente atto di indirizzo – che turbano e aggravano le condizioni del territorio nazionale;
    gli organi della stampa hanno riportato alcune considerazioni dei componenti del Comitato, come «la necessità di tenere alto il livello di attenzione attraverso una strategia che si fondi anche sul dialogo con tutte le parti interessate»; è da segnalare, nel caso di specie, che tra le vertenze che preoccupano maggiormente, anche per il contesto sociale in cui maturano, figurerebbero l’Alcoa di Portovesme, l’Ilva di Taranto e la Gesip di Palermo;
    non è chiaro come l'alta considerazione verso le forze dell'ordine e della sicurezza, oltre all'estrema necessità del loro apporto, possano sposarsi con i tagli arrecati ai comparti dalla cosiddetta spending review – senso e scopo principali della quale sono la revisione dei criteri di spesa, la razionalizzazione e la conseguente ottimizzazione delle risorse finanziarie;
    l'intero comparto sicurezza è oggetto di tagli che si susseguono dall'avvio della XVI legislatura, in dicotomico rapporto con l'accrescersi delle emergenze e in stridente contrasto con i proponimenti del precedente Governo in ordine alla priorità dell'ordine pubblico e della sicurezza per il territorio e per i cittadini; ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non sembra esservi soluzione di continuità con riguardo alle scelte compiute con la spending review dal Governo attualmente in carica;
    ai tagli alla sicurezza, inoltre, si contrappone, ad esempio, il rifinanziamento del progetto «strade sicure» – che ha visto protagonista l'Esercito – che si è rivelato costoso e fallimentare e che non può considerarsi una soluzione al blocco degli arruolamenti delle forze della sicurezza;
    altro esempio calzante è offerto dall'analisi condotta dallo stato maggiore dell'Arma dei carabinieri sui tagli da applicare in relazione ad essa: turn over bloccato per l'80 per cento, che in termini pratici consentirà il ricambio del personale tra pensionamento, in uscita, ed arruolamento, in entrata, solo per il 20 per cento; su 1.000 carabinieri che si collocano in quiescenza ne saranno arruolati solo 200; il turn over dell'Arma dei carabinieri all'anno corrisponde a 2.290 carabinieri in uscita e con il blocco del turn over il rientro sarà solo di 464 unità annue; il blocco riguarderà gli anni dal 2012 al 2014, mentre nel 2015 il blocco del turn over passerà dall'80 per cento al 50 per cento; i tagli comportano un'ulteriore sofferenza a livello operativo, una condizione di organico molto al di sotto delle necessità, il venire meno del 15 per cento del personale effettivo nei piccoli reparti; i tagli si abbatteranno, naturalmente, come una scure sulle assunzioni derivanti dai concorsi, di tutti i livelli e tipologie funzionali, dagli allievi ai marescialli, ai ruoli tecnico-logistici ufficiali, ai vice brigadieri, agli appuntati scelti;
    a tutt'oggi gli emolumenti assegnati alle forze dell'ordine risultano al di sotto di quanto sarebbe loro dovuto e, in forza del decreto-legge n. 78 del 2010 – che non ha riconosciuto, né rispettato le relative specificità –, è stato disposto il blocco stipendiale, il quale, in combinato disposto con il blocco del turn over, comporterà un aggravio di lavoro per tutti gli addetti, i quali dovranno continuare a garantire gli stessi standard lavorativi;
    è opportuno sottolineare la continua erosione, e dunque l'esiguità, delle risorse del fondo unico per la giustizia, nonché, a dispetto di quanto dichiarato dal Governo, il mancato ristoro economico di quanto dovuto ai comparti interessati quale «assegno una tantum», nonché la devoluzione della riduzione delle risorse per le missioni all'estero in favore dei medesimi comparti, al fine di risarcirli dei nocumenti economici derivanti dal blocco del tetto stipendiale (di cui al decreto-legge n. 78 del 2010) e dalle disposizioni del provvedimento in merito al riordino delle carriere,

impegna il Governo:

   a garantire, attraverso il reperimento delle necessarie risorse finanziarie, le assunzioni nei comparti dell'ordine pubblico e della sicurezza, assumendo iniziative per esonerarli totalmente dall'applicazione del blocco del turn over per gli anni dal 2012 al 2015;
   a garantire che le risorse del fondo unico per la giustizia siano effettivamente destinate al comparto della sicurezza;
   ad assumere iniziative per reperire le risorse necessarie per il completo risarcimento dei danni economici derivanti da quanto indicato nell'ultimo capoverso della premessa del presente atto di indirizzo.
(1-01147)
«Di Pietro, Favia, Donadi, Paladini».
(25 settembre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il perdurare della grave congiuntura economico-finanziaria, internazionale e nazionale, ha reso necessario, anche da parte del nostro Paese, un impegno stringente e determinato nel senso di un maggiore contenimento e un'effettiva razionalizzazione della spesa pubblica;
    nel complessivo processo di revisione attivato, numerosi sono stati gli interventi che hanno inciso pesantemente anche sul delicato settore della difesa, dell'ordine pubblico e della sicurezza;
    nel corso degli ultimi anni (a partire già dal Governo precedente), sono stati effettuati drastici «tagli» alle risorse destinate, tra l'altro, all'ammodernamento del parco auto-motoveicoli, alla manutenzione delle infrastrutture, all'adeguamento dell'impiantistica nonché all'acquisizione dei beni e servizi necessari (come carburanti, attrezzature, cancelleria, equipaggiamenti e pulizie);
    in particolare, nel recente decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le principali misure previste al riguardo sono sostanzialmente finalizzate a realizzare: consistenti risparmi mediante la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, la diminuzione dei contributi erogati all'Agenzia industrie difesa, la riduzione delle dotazioni organiche e degli oneri per la professionalizzazione delle Forze armate, per il personale, per la cosiddetta «mini-naja» nonché il ridimensionamento della dotazione di alcuni fondi, tra cui quello relativo al finanziamento delle missioni di pace per il 2012;
    tali provvedimenti rischiano, per molti aspetti, di compromettere seriamente l'operatività, l'efficienza, la funzionalità e la professionalità delle Forze armate italiane e di polizia, con evidenti ricadute sull'intero «sistema» sicurezza;
    le disposizioni che, nell'attuale contesto socio-economico, destano maggiore preoccupazione sono quelle di cui all'articolo 14, commi 1 e 2, che, in materia di assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni, prorogano di un anno i limiti stabiliti con riferimento al 2013, al 2014 e al 2015 estendendoli, altresì, ai corpi di polizia e ai vigili del fuoco;
    il comma 2, in particolare, modifica l'articolo 66, comma 9-bis, del decreto legge n. 112 del 2008, al fine di prevedere, per i corpi di polizia e dei vigili del fuoco, che: per il 2010 e 2011 (e non più «a decorrere dal 2010») le facoltà assunzionali siano limitate nell'ambito di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella del personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente; il ricambio del turn over sia limitato al 20 per cento nel triennio 2012-2014, al 50 per cento nel 2015 e al 100 per cento solo a decorrere dal 2016;
    tale misura, come ha evidenziato, altresì, la IV Commissione (Difesa) durante l'esame in sede consultiva, determina un effetto negativo sia, in generale, sulla funzionalità delle forze di polizia, compresa l'Arma dei carabinieri, sia sull'effettiva «possibilità per le amministrazioni cui fanno capo le Forze di polizia ad ordinamento militare o civile di assumere, in via definitiva, i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale, al termine di tale ferma»;
    le percentuali del turn over previste determinano, per l'Arma dei carabinieri, una contrazione effettiva stimata in circa 6.500 unità nel periodo 2012-2016, oltre all'impossibilità, per circa 2.500 volontari in ferma prefissata quadriennale, di essere immessi nelle carriere iniziali delle forze di polizia, provocando, di fatto, un'intollerabile lesione delle legittime aspettative di tanti giovani vincitori di concorso;
    per quanto concerne il concorso indetto, nel mese di febbraio 2012, dal comando generale dell'Arma dei carabinieri per il reclutamento di 1.886 allievi carabinieri effettivi, nella Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre 2012, n. 77, è stato pubblicato l'avviso relativo alla riduzione dei posti del concorso da 1.886 a 375 unità, così ripartite: n. 216 da immettere direttamente nell'Arma dei carabinieri; n. 159 da immettere nell'Arma dei carabinieri a conclusione della ferma di quattro anni quale volontario nelle Forze armate;
    a tali criticità va ad aggiungersi quanto disposto dall'articolo 2199, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che riproduce l'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, abrogata dallo stesso codice, secondo il quale i concorrenti per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato, giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di merito, vengono suddivisi in due cosiddette aliquote: una parte, corrispondente al 55 per cento, è immessa direttamente nelle carriere iniziali, la restante – pari al 45 per cento – viene immessa nelle carriere iniziali dopo avere prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
    il comma 6 dell'articolo 2199 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, dispone, in particolare, che i criteri e le modalità per l'ammissione dei concorrenti alla ferma prefissata quadriennale, la relativa ripartizione tra le singole Forze armate e le modalità di incorporazione sono stabiliti con decreto del Ministro della difesa sulla base delle esigenze numeriche e funzionali delle Forze armate, rimandando, di fatto, tali dinamiche di ammissione alle disponibilità dell'amministrazione e, quindi, ad un principio di discrezionalità amministrativa;
    malgrado la sussistenza di una seconda aliquota in tutti i concorsi, a partire dal 2006, sono stati comunque banditi nuovi concorsi che hanno determinato l'incremento delle unità di personale rientranti nella cosiddetta seconda aliquota: dal 2006 al 2011 sono stati banditi quattro concorsi per una domanda di reclutamento pari a 6.814 unità di personale;
    nonostante le evidenti e più volte ribadite esigenze di incremento delle risorse umane e strumentali in capo al Ministero dell'interno, paradossalmente, al momento, risultano inoperativi circa 1.700 vincitori di concorso, collocati nella cosiddetta seconda aliquota e non più transitati dall'Esercito alla polizia di Stato, sebbene titolari di una priorità di inserimento;
    la mancata transizione degli idonei verso il corpo della polizia di Stato, unita alla ciclica indizione di nuovi e onerosi concorsi, si configura come un paradosso: da un lato, l'amministrazione attraverso nuovi concorsi dichiara di aver bisogno di nuovi operatori, dall'altro, relega ad una condizione di transizione coloro che hanno già superato il medesimo concorso, con conseguente dispendio di risorse da parte dell'erario;
    il Ministro dell'interno, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea del 26 settembre 2012 (n. 3-02489), ha precisato «che sono allo studio misure per ridurre l'impatto dei limiti alle assunzioni, anche con riferimento agli idonei dei concorsi rientranti nella seconda aliquota che dovranno, tuttavia, tener conto dei conseguenti profili di carattere economico e finanziario», rassicurando ulteriormente che «qualsiasi progetto di riorganizzazione non potrà mai comportare la riduzione degli standard dei livelli di sicurezza né, più in generale, un arretramento dello Stato sul fronte dell'ordine e della sicurezza pubblica, la cui tutela costituisce obiettivo primario e indefettibile del Governo»;
    d'altra parte, lo spirito del provvedimento di spending review, che è quello dell'invarianza dei servizi resi ai cittadini, postula di per sé una non compressione nell'erogazione dei servizi ai cittadini, per cui, in quest'ottica, la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica dovrebbe costituire un obiettivo primario e imprescindibile del Governo;
    è indispensabile, pertanto, operare un adeguato bilanciamento tra le attuali e stringenti esigenze di riduzione della spesa pubblica e quelle, altrettanto prioritarie, di tutela e di implementazione della sicurezza dei cittadini, soprattutto in considerazione delle nuove emergenze;
    il Sottosegretario di Stato per l'interno, De Stefano, intervenendo al Senato nella discussione su mozioni vertenti su analoga materia, ha assicurato che il Governo si è fatto carico delle numerose perplessità evidenziate anche dagli operatori del settore e si sta muovendo al fine di introdurre quei correttivi necessari a superare gli effetti negativi della prevista riduzione del turn over per le forze di polizia;
    in particolare, si starebbe lavorando ad una proposta di modifica normativa che innalzerebbe la percentuale del turn over secondo un principio di gradualità per ciascuno degli anni considerati, passando dal 20 per cento del 2012 al 50 per cento per il triennio 2013-2015, al 70 per cento per il biennio 2016-2017 e al 100 per cento a decorrere dal 2018;
    secondo recenti dati forniti dal Ministero dell'interno, inoltre, le risorse del fondo unico per la giustizia, al 31 luglio 2012, ammonterebbero a circa 1 miliardo e 381 milioni di euro, di cui circa 112,5 milioni di euro sono stati riassegnati al Ministero dell'interno;
    l'articolo 2 del decreto-legge 16 ottobre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, stabilisce, al comma 7, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabilite le quote delle risorse intestate «Fondo unico giustizia» da destinare mediante riassegnazione: a) in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; b) in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; c) all'entrata del bilancio dello Stato; al comma 7-bis, che le quote minime delle risorse di cui alle lettere a) e b) del comma 7 possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità, derivanti da circostanze gravi ed eccezionali, del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia;
    il Ministro dell'interno, a margine di un convegno a Como, il 22 settembre 2012, ha dichiarato, tra l'altro, che, in questo particolare periodo emergenziale dal punto di vista sociale, economico ed internazionale (considerata, altresì, l'alta instabilità dei Paesi del Medio Oriente), anche «la disoccupazione può diventare un problema di ordine pubblico», per cui è necessario implementare e ottimizzare la capacità operativa delle forze dell'ordine impegnate sul territorio, garantendo le condizioni, anche economiche, necessarie a garantire capacità di intervento efficaci e tempestive, in relazione alle molteplici e talvolta contemporanee necessità operative,

impegna il Governo:

   a tener conto delle criticità evidenziate in premessa e ad assumere iniziative per introdurre tempestivamente, già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità, le necessarie misure volte, in particolare, ad attenuare i tagli al turn over per le assunzioni da parte delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, introducendo un innalzamento del limite previsto, per il triennio 2012-2014, dalla percentuale del 20 per cento almeno al 50 per cento e valutando la necessità di un ripristino al 100 per cento in tempi adeguati e funzionali alle effettive esigenze operative;
   ad assicurare che un'adeguata e consistente quota delle risorse del fondo unico per la giustizia sia effettivamente destinata al comparto dell'ordine e della sicurezza pubblica, al fine di garantirne una piena ed efficace funzionalità.
(1-01157)
«Di Biagio, Paglia, Briguglio, Giorgio Conte, Della Vedova, Granata, Lo Presti, Angela Napoli, Perina».
(4 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», in materia di turn over prevedeva che: «A decorrere dall'anno 2010 i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco possono procedere, secondo le modalità di cui al comma 10, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente»;
    tale disposizione, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, è stata modificata dal decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», cosiddetta spending review, che, all'articolo 14, comma 2, ha limitato ai soli anni 2010 e 2011, per i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente e stabilito, invece, che la predetta facoltà assunzionale è fissata nella misura del 20 per cento per il triennio 2012-2014, del 50 per cento nell'anno 2015 e del 100 per cento solo a decorrere dall'anno 2016;
    in buona sostanza, con la modifica all'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, introdotta dalla cosiddetta spending review, si riduce il turn over, per i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dall'attuale percentuale del 100 per cento al 20 per cento nel triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015, ripristinandolo completamente solo a decorrere dall'anno 2016;
    questo rischia di compromettere seriamente la funzionalità delle strutture dedicate alla tutela dell'ordine pubblico, della sicurezza e dell'incolumità dei cittadini;
    infatti, tale contrazione si aggiunge alle manifeste carenze di organico da più parti denunciate. Si conterebbe, infatti, ad esempio, una perdita pesante che ammonta a circa 6.000 poliziotti che si andrebbero ad aggiungere alla già esistente carenza di circa 15.000 unità: dunque, circa oltre 20.000 poliziotti in meno rispetto all'organico previsto, nell'arco di 4 anni;
    per di più, dopo tre anni di flessione, il 2011 ha registrato un aumento del 5,4 per cento dei reati; i furti e i borseggi sono saliti rispettivamente del 20 e del 16 per cento, ciò anche a causa della crisi che fa aumentare i reati predatori; la corruzione costa all'Italia tra il 2 e il 4 per cento del prodotto interno lordo; oltre a ciò, l'economia sommersa nel nostro Paese è pari al 21 per cento del prodotto interno lordo, per un valore, quindi, di 340 miliardi di euro, e l'evasione fiscale nel primo semestre 2012 è cresciuta del 14,1 per cento in media nazionale, con una punta del 14,9 per cento al Nord. Questi fenomeni, tra gli altri, poco rassicuranti, che minano lo sviluppo del Paese e gravano sulle casse dello Stato, meriterebbero, al contrario, un incremento delle risorse umane e strumentali ai fini di un loro efficace contrasto;
    oltre al contrasto della criminalità e alla lotta alle mafie, che vedono impegnati quotidianamente migliaia di uomini e donne delle forze dell'ordine, in questi mesi il personale del comparto sicurezza e del soccorso pubblico è stato sempre più impegnato a garantire l'ordine pubblico nel corso di manifestazioni di protesta (vedi Alcoa) o, come nel caso dei cantieri dell'alta velocità in Val Susa a garantire l'incolumità fisica degli operai e l'integrità delle attrezzature;
    al contrario, la contrazione del turn over comporterà la necessità di ridimensionare le dotazioni organiche dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, incidendo sull'efficienza delle strutture operative direttamente destinate al controllo del territorio, al contrasto della criminalità organizzata e comune, alla lotta all'evasione fiscale, alla tutela dell'ambiente e della salute, al soccorso e alla salvaguardia delle vite umane;
    inoltre, questa contrazione frustra le legittime aspettative di tutti quei giovani che hanno dedicato tempo e impegno nella formazione ai fini di superare concorsi già espletati (si cita, a mero titolo esemplificativo, il concorso a 490 posti allievo maresciallo dell'Arma dei carabinieri bandito nel settembre 2011 e conclusosi nel giugno 2012), e che potrebbero essere quella linfa utile e all'altezza di rinnovare la lotta alla criminalità, comune e organizzata, interna e internazionale; in particolare, si evidenzia l'impossibilità di assumere i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (VFP4) e annuale (VFP1) delle Forze armate al termine di tali ferme;
    si segnala, altresì, che a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, gli emolumenti assegnati alle forze dell'ordine hanno subito un blocco solo parzialmente bilanciato dalle misure perequative connesse al riconoscimento della specificità del comparto sicurezza e assegnate al fondo istituito dal medesimo decreto (articolo 8, comma 11-bis), che non dispone comunque delle risorse necessarie per gli anni 2012 e 2013;
    se, da un lato, quindi, è necessario concorrere al risanamento della finanza pubblica attraverso una radicale revisione della spesa generale ai fini di aumentarne l'efficacia e l'efficienza, dall'altro lato, questa esigenza va contemperata con il rispetto di principi costituzionalmente riconosciuti e con la garanzia della funzionalità di strumenti a difesa della sicurezza, dell'ordine pubblico e dell'incolumità dei cittadini, onde evitare che i costi della possibile riduzione della qualità del vivere civile e dell'immaginabile rischio del diffondersi della criminalità, comune e organizzata, non siano più elevati di quanto lo siano i risparmi quantificati con la riduzione del turn over,

impegna il Governo:

   ad assumere, quanto prima, iniziative affinché nei prossimi provvedimenti legislativi sia trovato un giusto contemperamento tra le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica e di funzionalità delle strutture impiegate nella difesa dell'ordine pubblico, della sicurezza e dell'incolumità pubblica, promuovendo specifiche modifiche alle disposizioni che stabiliscono la drastica contrazione del turn over per i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e prevedendo il ripristino immediato del turn over al 100 per cento o, in subordine, l'aumento dal 20 al 50 per cento per il triennio 2012-2014 e il reintegro al 100 per cento a decorrere dall'anno 2015, al fine di salvaguardare principi costituzionalmente riconosciuti, di non inficiare la lotta alla criminalità comune e organizzata, interna e internazionale, e rispettare le legittime aspettative di chi ha investito tempo e risorse nella formazione ai fini di servire il proprio Stato;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse da destinare al fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010.
(1-01160)
«Galletti, Tassone, Libè, Mantini, Compagnon, Rao, Ciccanti, Naro, Volontè, Bosi, Delfino».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    si osserva con preoccupazione il protrarsi della recessione economica internazionale e l'affiorare di inquietanti focolai di crisi nel Mediterraneo, specificamente legati alle ricadute della cosiddetta «Primavera araba», ma anche a circostanze del tutto indipendenti, come i gravi incidenti verificatisi in Nord Africa e Medio Oriente in seguito alla pubblicazione di un film ritenuto blasfemo dai musulmani;
    tali fenomeni sono suscettibili di produrre ricadute significative anche sulla sicurezza interna del nostro Paese, che già risente di antiche problematiche, come la sussistenza di una criminalità organizzata che detta legge in rilevanti porzioni del territorio nazionale e sta cercando di allargare la propria influenza anche al di là delle regioni di proprio tradizionale insediamento;
    si sottolineano le croniche insufficienze di personale che si riscontrano nel settore del soccorso tecnico urgente, a dispetto del periodico verificarsi nel nostro Paese di calamità naturali di varia natura, stagionali (come gli incendi estivi e le alluvioni determinate dal maltempo) o geologiche (terremoti), che consiglierebbero di investire nel potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sostenendone anche la componente volontaria, anziché ridurne la consistenza;
    pur comprendendo le ragioni di bilancio che hanno suggerito al Governo la decisione di varare piani ambiziosi di riduzione della spesa pubblica, si manifestano dubbi, sulla base delle ragioni sopra esposte, circa l'opportunità di contrarre il personale delle forze dell'ordine e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il cui turn over avverrà, a legislazione vigente, fino al 2014 soltanto nella misura del 20 per cento e nel 2015 comunque della metà, per tornare al 100 per cento solo successivamente;
    si evidenzia che il 25 febbraio 2012 il Comando generale dell'Arma dei carabinieri ha indetto un concorso per il reclutamento di 1.886 allievi carabinieri effettivi, riservato, ai sensi dell'articolo 2199 del decreto-legge 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell'ordinamento militare, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, in servizio o in congedo;
    la contrazione del turn over determinata dall'approvazione della cosiddetta spending review comporta sensibili riduzioni nei posti che verranno posti a concorso dalle forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nei prossimi anni, se non addirittura l'annullamento puro e semplice delle procedure concorsuali in programma a breve e medio termine;
     si richiama a questo proposito l'attenzione sull'avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 2 ottobre 2012, relativo alla riduzione del numero dei posti messi a concorso dall'Arma dei carabinieri il 25 febbraio 2012 dalle originarie 1.886 a 375 unità, così ripartite: 216 da immettere direttamente e 159 da incorporare a conclusione della ferma di quattro anni quale volontario nelle Forze armate;
    queste procedure concorsuali determinano in ogni caso legittime aspirazioni in coloro che vi si sottopongono, partecipando a selezioni che spesso implicano la sopportazione di sacrifici ed oneri economici significativi;
    si esprime preoccupazione per le conseguenze che quanto precede minaccia di provocare in assenza di opportuni correttivi, sotto molteplici punti di vista, giacché la drastica decurtazione del turn over nelle forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco è destinata ad elevare l'età media del personale in servizio in tempi di minacce nuove e crescenti; inoltre, mortifica le legittime aspettative insorte in chi ha già visto riconosciuta la propria idoneità per i posti messi a concorso, generando i presupposti di una futura ondata di ricorsi giudiziari avverso le decisioni che le amministrazioni interessate assumeranno e, soprattutto, mina alla radice la credibilità del regime di incentivi che dal 2004 assicura il gettito dei militari volontari arruolati dalle Forze armate;
    si stigmatizza la circostanza che i provvedimenti di riduzione del turn over rischiano di pregiudicare il rispetto da parte dello Stato dell'obbligazione contratta con i giovani che hanno liberamente scelto di servirlo volontariamente in armi, spesso in teatri ad alto rischio, come l'Afghanistan, l'Iraq ed il Libano;
    si rileva come sul punto il Governo abbia già accolto un atto di indirizzo recentemente presentato al Senato della Repubblica, in cui la gran parte di questi effetti è esplicitamente menzionata e che non casualmente prospetta l'innalzamento almeno alla soglia del 50 per cento del turn over nelle Forze di polizia;
    occorre rimarcare come l'urgenza della questione abbia trovato conferma nella circostanza di aver costituito l'oggetto di un'interrogazione a risposta immediata nella Commissione difesa della Camera dei deputati, presentata il 1o ottobre 2012 ed illustrata il giorno successivo,

impegna il Governo:

   a rivedere rapidamente le proprie valutazioni circa la riduzione del turn over praticato sul personale in uscita dalle forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, assicurando, altresì, ai militari volontari cessati senza demerito dal servizio prestato nelle Forze armate meccanismi alternativi di scivolo nella pubblica amministrazione, paragonabili a quelli che si prevede di introdurre a favore delle categorie del personale militare in uscita dall'amministrazione della difesa per effetto della spending review, o compensazioni che siano comunque in grado di conservare al volontariato militare la sua attuale competitività sul mercato del lavoro;
   con riferimento al concorso indetto il 25 febbraio 2012 dall'Arma dei carabinieri, a mantenere aperta e valida la graduatoria a profitto di tutti gli originari 1.886 aspiranti carabinieri che risulteranno idonei vincitori, in luogo dei 375 ora previsti, fino al suo totale assorbimento.
(1-01161)
«Gidoni, Chiappori, Molgora, Vanalli, Meroni, Pastore, Volpi, Bragantini, Fugatti, Lussana, Fedriga, Montagnoli, Fogliato».
(8 ottobre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    col decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il Governo ha adottato misure di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, che prevedono anche riduzioni nell'acquisto di beni e servizi (articolo 1, comma 21) e blocco parziale del turn over del personale per le amministrazioni pubbliche (articolo 14, comma 2);
    la ratio a base dell'intervento normativo è fondata sulla necessità, da tutti condivisa, di ridurre la spesa pubblica, inducendo ciascuna amministrazione, centrale e territoriale, a eliminare spese inutili o superflue e a disporre in modo più oculato delle risorse disponibili. L'esame degli esiti di tale intervento nel settore della sicurezza ha fatto, tuttavia, emergere gravi ricadute, alle quali è necessario porre rimedio, senza far venir meno l'insieme dell'impianto riformatore;
    a seguito della contrazione del turn over per le assunzioni da parte dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è stato stabilito che l'attuale percentuale del 100 per cento di ricambio scenda al 20 per cento nel triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015. Il ripristino del completo turn over è previsto solo a decorrere dall'anno 2016. L'incidenza della spending review sui mezzi è altrettanto penalizzante: ha dilatato il ritardo nei pagamenti delle locazioni degli immobili adibiti a presidi di polizia, ha determinato un sostanziale blocco dell'avvio di nuovi presidi e costringe a una riduzione dei servizi per la difficoltà di garantire il ricambio degli automezzi o di altri strumenti necessari per il lavoro. L'entità della riduzione delle spese per beni e servizi prevista dal citato decreto-legge per l'anno in corso è, con riferimento al Ministero dell'interno, di 131 milioni di euro annui a partire dal 2013 e per gli anni successivi;
    se vi è un settore che non può in questo momento tollerare decrementi di organici e di mezzi, esso è proprio quello della sicurezza. Non solo per una ragione formale, normativamente sancita da qualche anno, costituita dalla sua specificità nell'ambito del pubblico impiego, ma anche per un dato sostanziale, su cui si fonda quel riconoscimento: in tempo di crisi ciascuno dei fronti che appartiene alla competenza dei Corpi di polizia vede accentuate le esigenze, e quindi la necessità, di disporre di uomini e di mezzi per dare risposte serie, concrete ed equilibrate;
    quanto al profilo della criminalità, sia quella di tipo mafioso, sia quella priva di tale connotazione, la crisi economica e finanziaria ha moltiplicato le attività di usura e di estorsione, oltre che l'illecito reimpiego di denaro; la criminalità da strada ha fatto registrare negli ultimi mesi un sensibile aumento di furti e di rapine, anche per somme di entità limitata;
    il calo dell'occupazione, per le condizioni drammatiche nelle quali versano aziende di ogni dimensione, si traduce spesso in manifestazioni di piazza, in ordine alle quali va garantito l'equilibrio fra il diritto, costituzionalmente sancito, a esprimere la protesta e il mantenimento dell'ordine pubblico, a sua volta correlato ad altri diritti costituzionali; il contesto di tensione sociale causato dalla crisi favorisce attività di tipo antagonistico, se non eversive, e ciò richiede attenzione e dedizione costanti, sul fronte della prevenzione e dell'investigazione; antagonismo ed eversione prendono di mira importanti opere pubbliche, come la tav in Val di Susa, con notevole sforzo di contenimento, che grava per intero sul sistema sicurezza. Il lavoro delle forze di polizia continua a essere impegnativo anche quanto all'immigrazione clandestina e al contestuale soccorso prestato con generosità a chi, tentando l'ingresso irregolare in Italia, rischia la vita. Né vanno trascurati compiti non sempre adeguatamente valutati, ma ciò nonostante impegnativi e pericolosi, come i servizi di sicurezza stradale. Per concludere: in tempo di crisi, ai Corpi di polizia viene chiesto di più, sia per quantità che per qualità di lavoro; a tale maggiore impiego non può corrispondere una diminuzione degli organici e una riduzione dei mezzi;
    del comparto devono ritenersi parte integrante le varie articolazioni del soccorso pubblico, in primis i vigili del fuoco, per i quali va richiamato lo stesso riferimento alla specificità nell'ambito del pubblico impiego: il gran numero di emergenze naturali e ambientali vede chi vi è dedicato spendersi con professionalità e senza limiti, in condizione di ristrettezze sempre più significative;
    la misura di riduzione del turn over comporta un forzato e stabile cambiamento dell'organico, non concordato né con le organizzazioni sindacali, né con le rappresentanze. Il ripristino del turn over a partire dal 2016 non potrà più riequilibrare il gap determinatosi nel precedente quadriennio. Nell'immediatezza, unitamente agli effetti negativi prima illustrati, si sono manifestate inaccettabili distorsioni, a cominciare da quelle che riguarda il concorso, già espletato, per l'assunzione di circa 1.900 carabinieri: dopo aver superato le prove ed essere stati dichiarati vincitori di concorso, solo ai primi 211 partecipanti è stata garantita l'immissione in servizio, mentre agli altri 1.650 è stata conferita una pressoché inutile idoneità;
    a maggior ragione, le forze di polizia a ordinamento militare e civile, a causa dell'entità delle riduzioni del turn over, si trovano nell'impossibilità di assumere i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (vfp4) e annuale (vfp1) delle Forze armate al termine di tali ferme, come previsto dalla legge istitutiva del modello professionale delle medesime Forze armate per i vincitori degli appositi concorsi;
    questa situazione comporterà, anche qui, la lesione delle legittime aspettative dei singoli interessati vincitori di concorso, specie se si considera che la loro mancata assunzione nei tempi previsti renderà necessario prevedere la preclusione definitiva della possibilità di essere assunti per coloro che dovessero nel frattempo superare i limiti di età stabiliti per l'accesso alle carriere iniziali delle forze di polizia. A essa si sommano ulteriori effetti negativi in ordine alla funzionalità delle stesse forze di polizia, in quanto esse si troveranno, all'atto del ripristino del turn over, a dover assorbire l'elevato contingente di volontari che non è stato possibile assumere nel periodo in questione, composto di personale che avrà raggiunto una maggiore anzianità anagrafica, specie per i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (vfp4) in gran parte superiore ai 30 anni di età;
    l'equilibrio fra le esigenze di riduzione della spesa pubblica e il mantenimento degli standard di sicurezza può ben essere assicurato, fra l'altro, attingendo dalle risorse del fondo unico per la giustizia, istituito nel settembre 2008 e alimentato dal cash e dai titoli monetizzabili sottratti con sequestri e confische dalla disponibilità delle organizzazioni di tipo mafioso. Tale fondo è per legge destinato per il 49 per cento all'incremento delle risorse del Ministero dell'interno e per il 49 per cento a quello della giustizia. In data 1o agosto 2012, all'avvio dell'esame in Commissione bilancio, tesoro e programmazione alla Camera dei deputati dell’iter di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, il rappresentante del Governo ha chiarito quale sia la disponibilità del fondo unico per la giustizia, in base a una nota trasmessa dalla Ragioneria generale dello Stato: alla data del 31 dicembre 2011 le risorse in questione ammontano a 2.212,88 milioni di euro, di cui 1.065,52 milioni di euro riportati da conti correnti e depositi a risparmio. In data 7 agosto 2012, la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a utilizzare queste risorse, come la legge prescrive, per fare fronte alle emergenze dei settori della giustizia e della sicurezza,

impegna il Governo:

   ad adottare, nell'ambito dei prossimi provvedimenti di carattere finanziario, a cominciare dalla legge di stabilità, misure correttive per:
    a) elevare il limite del turn over per le assunzioni da parte delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, previsto per il triennio 2012-2014, dal 20 per cento quanto meno al 50 per cento e ripristinare l'intero turn over a decorrere dal 2015;
    b) garantire l'assunzione dei volontari in ferma prefissata delle Forze armate vincitori di concorso per l'assunzione nelle stesse forze di polizia al termine di anni di servizio prestati meritoriamente;
    c) immettere in servizio tutti i 1.886 vincitori del concorso per allievi carabinieri;
    d) coprire le spese essenziali riguardante la logistica e i mezzi del settore, superando le attuali difficoltà relative al pagamento dei canoni locativi degli immobili adibiti a presidi;
    e) utilizzare, sia pure per una parte delle predette esigenze, le risorse del fondo unico per la giustizia.
(1-01163)
«Mantovano, Cirielli, Cicu, Baldelli, Santelli, Ascierto, Barba, Cannella, De Angelis, Gregorio Fontana, Mazzoni, Sammarco, Speciale, Moles, Laffranco, La Loggia».
(8 ottobre 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA PREVIDENZIALE PER IL PERSONALE DEI COMPARTI DELLA SICUREZZA, DELLA DIFESA E DEL SOCCORSO PUBBLICO

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che con regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012 va armonizzata la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale addetto ad attività di natura particolare, come quelle del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico;
    l'intervento va graduato nel tempo e la materia oggetto di armonizzazione deve essere solo quella dell'eventuale incremento dei limiti di età per accedere alla pensione di vecchiaia e dell'aumento dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva per beneficiare della nuova pensione anticipata (ex pensione di anzianità);
    la mancanza di altro espresso criterio, diverso da quello indicato dal citato comma 18, escludono ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale del comparto difesa-sicurezza e comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, connaturati all'espletamento di attività atipiche e usuranti: esse esigono strumenti compensativi volti a differenziare la posizione lavorativa e ordinamentale, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    i limiti di età ordinamentali previsti per il personale militare, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco degli altri Stati europei risultano di larga massima inferiori a quelli già stabiliti per l'omologo personale italiano;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    la predetta disposizione fornisce una cornice di riferimento per l'intero quadro normativo riguardante le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ma è, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, altresì, che (comma 2 del predetto articolo 19) la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi». In tale contesto, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, che deve essere formalizzato entro il 30 giugno 2012, rappresenta il primo vero passo di concreta attuazione della «specificità», che lo Stato riconosce al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiamato ad assicurare il bene della vita a tutela della collettività, anche a rischio della propria incolumità personale;
    il concetto di specificità del comparto sicurezza-difesa e del comparto dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico mira proprio a rappresentare la condizione peculiare del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è assoggettato ad un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, con controlli medici, prove fisiche, severe attività addestrative;
    le statistiche rivelano che ogni anno centinaia di militari/agenti/vigili perdono, in conseguenza del servizio e per diretto effetto di attività operative ed addestrative, i requisiti di idoneità al servizio, con conseguente cessazione dal servizio attivo, o addirittura pagano con la vita l'adempimento del proprio dovere;
    il Governo, all'atto dell'emanazione del cosiddetto decreto-legge salva Italia, ha tenuto conto del particolare ruolo che tale comparto ha nell'ambito della pubblica amministrazione, prevedendo, proprio in virtù della specificità, l'emanazione di un regolamento volto ad armonizzare le regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione con quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati, previa valutazione della fattibilità funzionale e tenendo conto delle peculiarità delle singole Forze armate e corpi armati militari e civili dello Stato, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    l'assunto della specificità non può tradursi in una penalizzazione per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, posto che il mantenimento in basso, rispetto al sistema generale, del limite anagrafico ordinamentale per la cessazione dal servizio è un'esigenza funzionale dello Stato;
    per evitare tali effetti, si rende indispensabile anche un intervento, attraverso un graduale e contestuale adeguamento degli assetti ordinamentali, anche al fine di contenere il preoccupante aumento dell'età media del personale in servizio, nonché al fine di garantire la correlata funzionalità delle amministrazioni interessate e dei peculiari meccanismi di progressione in carriera;
    la norma sulla specificità, pur nel suo tratto programmatico, che ha previsto un ruolo attivo delle rappresentanze del personale nell'emanazione dei provvedimenti legislativi e regolamentari che dovranno concretamente ed effettivamente sostanziare la previsione medesima, è stata disattesa nell'esercizio della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del cosiddetto decreto-legge salva Italia;
    nonostante la declamata specificità, per tutti i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo forme previdenziali complementari, finalizzate a coprire il divario tra quanto si è percepito in servizio e quanto, invece, si è maturato in termini di pensione, mentre per il personale dei citati comparti tale forma di previdenza è tuttora da definire. Tutto ciò senza che siano mai state poste formule per tutelare gli operatori assunti dopo il 1o gennaio 1996, che sono i primi e più immediati destinatari del sistema contributivo;
    in data 15 marzo 2012 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il Cocer del comparto sicurezza e difesa per verificare le loro istanze;
    le rappresentanze del personale, in occasione di una conferenza stampa convocata sul tema il 20 marzo 2012, hanno chiesto un confronto con il Governo nella sua interezza,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, che, per esigenze funzionali, è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, con trattamenti pensionistici sostanzialmente più contenuti;
   a istituire con immediatezza un tavolo di concertazione con le rappresentanze del personale del comparto, al fine di giungere ad un regolamento condiviso, nel quale trovi concreto riconoscimento la peculiarità degli operatori del settore;
   ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte all'avvio di forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, anche attraverso il ricorso al possibile utilizzo di parte dei nuovi risparmi derivanti dalle disposizioni contenute nel richiamato regolamento di armonizzazione;
   ad avviare un tavolo di lavoro, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale, per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione in argomento, ai fini della predisposizione di un disegno di legge di delega che preveda un'attuazione differita nel tempo – coordinata con la gradualità dell'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione – e che assicuri la compatibilità finanziaria, anche attraverso un processo di razionalizzazione e modernizzazione delle strutture interessate, coerente con le misure di contenimento della spesa.
(1-00983)
«Mantovano, Cicchitto, Cirielli, Bruno, Crosetto, Cicu, Bertolini, Ascierto, Santelli, Pagano, De Angelis, Lainati, Saltamartini, Mancuso, Paniz, Lorenzin, Gibiino, Migliori, Vignali, Angeli, Pelino, Holzmann, Moles, La Loggia, Malgieri, Marsilio, Ceroni, Luciano Rossi, Di Centa, Minasso, Rampelli».
(29 marzo 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    in tutti i Paesi europei i limiti di età previsti per il personale militare e delle forze di polizia e dei vigili del fuoco risultano inferiori a quelli stabiliti per il personale italiano;
    al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, si prescrive che, mediante regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico venga armonizzata mediante un progressivo innalzamento dei requisiti attualmente previsti, tenendo conto delle peculiarità e delle specifiche esigenze;
    in considerazione del citato comma 18, si esclude ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale dei sopra menzionati comparti collegati alle attività specifiche che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione lavorativa e ordinamentale, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    l'intervento deve essere graduato nel tempo e la materia oggetto di armonizzazione deve essere solo quella del l'eventuale incremento dei limiti di età per accedere alla pensione di vecchiaia e dell'aumento dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva per beneficiare della nuova pensione anticipata (ex pensione di anzianità);
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    la suddetta previsione costituisce un quadro di riferimento per l'intero schema normativo concernente le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed è, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, altresì, che (comma 2 del predetto articolo 19) la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi». In tale contesto, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, che deve essere formalizzato entro il 30 giugno 2012, rappresenta il primo vero passo di concreta attuazione della «specificità», che il Paese riconosce al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiamato ad assicurare il bene della vita a tutela della collettività, anche a rischio della propria incolumità personale;
    il concetto di «specificità del comparto sicurezza-difesa» e del comparto dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico mira proprio a rappresentare la situazione specifica del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è assoggettato ad un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, mediante anche controlli medici, prove fisiche e severe attività a carattere addestrativo;
    ogni anno, come evidenziano gli studi e le statistiche, a seguito del servizio e per diretto effetto di attività operative ed addestrative, molti operatori perdono i requisiti di idoneità, con conseguente cessazione dal servizio attivo, o peggio cadono nell'adempimento del dovere;
    il Governo con l'emanazione del decreto-legge «salva Italia» ha considerato il particolare ruolo che tali comparti hanno nell'ambito dell'amministrazione pubblica, prevedendo, in virtù della richiamata specificità, l'emanazione di un apposito regolamento teso all'armonizzazione delle regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione a quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati;
    l'assunto della specificità non può tradursi in una penalizzazione per il personale dei comparti, considerando che il limite anagrafico inferiore per la cessazione dal servizio è un'esigenza funzionale dello Stato;
    per evitare questi effetti derivanti dall'intervento in materia e per contenere il preoccupante aumento dell'età media del personale in servizio, garantendo così la correlata funzionalità delle amministrazioni interessate, è necessario anche un parallelo e convergente intervento, attraverso un graduale e contestuale percorso di adeguamento degli assetti ordinamentali;
    risulta essere stranamente disattesa, nell'ambito della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge «salva Italia», quella concertazione con le rappresentanze dei suddetti comparti, che pur viene richiamata esplicitamente dalla previsione della specificità, mentre correttamente il Governo per disciplinare, in una ottica moderna e competitiva, le «regole» sul mondo del lavoro ha sentito l'esigenza di convocare i sindacati per un confronto, a tutto campo;
    nonostante la declamata specificità, per tutti i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo forme previdenziali complementari, finalizzate a coprire il gap tra quanto si è percepito in servizio e quanto, invece, si è maturato in termini di pensione, mentre per il personale dei citati comparti tale forma di previdenza è tuttora da definire con grave nocumento del personale. Tutto ciò senza prevedere formule per tutelare gli operatori assunti dopo il 1o gennaio 1996, immediati destinatari del sistema contributivo;
    secondo notizie di stampa del 15 marzo 2012, «il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il Cocer del comparto di sicurezza e difesa per verificare le loro istanze» e lo stesso «verrà fissato al più presto compatibilmente con l'attività di Governo»;
    le suddette rappresentanze del personale, in occasione delle loro iniziative pubbliche, hanno chiesto un urgente confronto con il Governo nella sua interezza, compreso il Ministro dell'economia e delle finanze, che è anche il vertice politico della Guardia di finanza, e non solo un «incontro», come da comunicato stampa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,

impegna il Governo:

   a salvaguardare la specificità del comparto tesa a tutelare le particolari esigenze funzionali ed operative del suddetto;
   a convocare immediatamente un tavolo di concertazione per giungere quanto prima ad un regolamento condiviso fra Governo e rappresentanze;
   ad assumere iniziative normative volte a tutelare il personale dei comparti, che, per esigenze funzionali, è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, con trattamenti pensionistici sostanzialmente più contenuti;
   ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte all'avvio di forme pensionistiche complementari, avendo cura di salvaguardare con apposite previsioni il personale attualmente in servizio e già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro;
   ad avviare un immediato tavolo di lavoro, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale, per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione citato.
(1-01007)
«Fiano, Franceschini, Letta, Bressa, Naccarato, Rosato, Recchia, Andrea Orlando, Rugghia, Zaccaria, Picierno, Graziano».
(12 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la delicatezza e la complessità del ruolo svolto e dei compiti assegnati alle Forze armate, alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco impone di considerare l'efficienza psico-fisica del personale addetto condizione indispensabile di efficienza funzionale e organizzativa delle strutture operative; su queste premesse – non su di una considerazione di favore e di vantaggio per il personale dei suddetti comparti – si fonda la differenziazione della disciplina previdenziale, che è riconosciuta in buona parte dei Paesi europei;
    su questa base, l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, ha stabilito che «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    il personale dei suddetti comparti deve operare in un sistema di vincoli del tutto peculiari e con condizioni di impiego altamente usuranti, che presuppone il costante possesso dell'idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, anche mediante controlli medici, prove fisiche e severe prove di addestramento;
    ogni anno centinaia di militari/agenti e vigili del fuoco perdono i requisiti di idoneità, anche a seguito di cause di servizio, o contraggono malattie permanenti; a questi ovviamente si aggiungono quanti cadono nell'adempimento del proprio dovere;
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dispone che «allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento (...) sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti» del personale addetto a specifiche attività, tra cui quello del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico;
    le suddette disposizioni escludono ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale dei suddetti comparti, connaturati all'espletamento di atipiche ed usuranti attività che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione del personale addetto, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    alla specificità del comparto, delineata nella legge n. 183 del 2010, occorre sottoporre anche la disciplina attuativa; alla luce di tali disposizioni, il regolamento di armonizzazione in materia pensionistica, ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011, si configura come un procedimento attuativo della «specificità», di cui alla legge n. 183 del 2010;
    la legge n. 243 del 2004 – cosiddetta legge Maroni – già prevedeva che gli addetti al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico per la loro specificità fossero esclusi dal processo di innalzamento dell'età pensionabile;
    sebbene la legge avesse previsto diversamente, non si è ancora proceduto all'istituzione di forme pensionistiche integrative e complementari per il personale del comparto sicurezza e difesa; più in generale, non sono mai state previste forme di tutela effettiva del personale assunto dopo il 1o gennaio 1996, con una carriera previdenziale interamente compresa, anche prima della recente riforma, nelle regole del sistema contributivo;
    in ragione della specificità del comparto, si configura come determinante la partecipazione delle rappresentanze del personale – così come si è verificato in altre circostanze – nella fase di definizione ed emanazione dei provvedimenti; tale prassi non risulta essere stata seguita nell'ambito della delega di cui all'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
    in data 15 marzo 2012, una nota dell'ufficio stampa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali evidenziava che «il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia e il Ministro della difesa, si è detta disponibile ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati delle forze di polizia e con il Cocer del comparto sicurezza e difesa per verificare le loro istanze» e che lo stesso «verrà fissato al più presto compatibilmente con l'attività di Governo»;
    le suddette rappresentanze del personale, in occasione di diverse iniziative sindacali, hanno chiesto un urgente confronto con il Governo, compreso il Ministro dell'economia e delle finanze, che non si limiti a configurarsi come un «incontro» – così come auspicato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – ma che si strutturi in un tavolo tecnico di confronto;
    le rappresentanze del personale hanno, altresì, chiesto che venga presentata una proposta di legge con carattere di urgenza che modifichi, sul punto, la previsione della delega prevista nel decreto-legge cosiddetto salva-Italia e preveda un passaggio parlamentare sul tema, con il rinvio del termine per l'approvazione del regolamento di armonizzazione,

impegna il Governo:

   a tutelare la specificità, anche ai fini previdenziali, del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che per esigenze funzionali è tenuto a lasciare il servizio prima degli altri lavoratori pubblici e privati, e ad istituire a tal fine, con assoluta urgenza, un tavolo di concertazione con le relative rappresentanze sindacali, al fine di giungere ad un regolamento i cui contenuti siano condivisi, nel quale riconoscere in maniera inderogabile la peculiarità degli operatori del settore;
   ad escludere, nel regolamento di armonizzazione, il ricorso a forme assistenziali non previste dalla norma di legge – come gli istituti dell'equo indennizzo, della pensione privilegiata e dell'indennità ausiliaria – che sono per loro natura funzionali alla copertura di specifici rischi professionali e non implementazione della disciplina pensionistica generale dei suddetti comparti;
   ad avviare, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione atte al riconoscimento di forme pensionistiche complementari, salvaguardando – con apposite previsioni – il personale attualmente in servizio e già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro;
   ad assumere adeguate iniziative di carattere normativo, volte a consentire il riordino dei ruoli e delle carriere del comparto sicurezza e difesa e dell'ordinamento del personale dei vigili del fuoco.
(1-01018)
«Di Biagio, Paglia, Granata, Angela Napoli, Menia, Della Vedova, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino».
(19 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la specificità del comparto sicurezza e difesa e soccorso pubblico si estrinseca, nell'efficienza psico-fisica del personale addetto, oltre che in ragione della peculiarità dei compiti esercitati, proprio nell'assoggettamento a particolari obblighi e ad un complesso di limitazioni personali, previste da leggi e regolamenti, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante;
    in virtù di tale specificità il cosiddetto decreto-legge salva Italia ha previsto che, in sede di armonizzazione delle regole di quiescenza del personale in questione rispetto a quello dei lavoratori pubblici e privati, si provveda con apposito regolamento;
    il comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, prevede che, con regolamento da adottare entro il 30 giugno 2012 ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché del comparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, nonché dei rispettivi ordinamenti;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    il comma 2 dell'articolo 19 citato prescrive che la disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede, altresì, a stanziare le occorrenti risorse finanziarie;
    in tal senso, il regolamento di armonizzazione della normativa in materia pensionistica, ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011, deve rappresentare, quindi, l'estrinsecazione di quel principio di specificità che il Paese riconosce, secondo quanto dispone la legge n. 183 del 2010, al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, proprio in virtù degli altissimi compiti di sicurezza interna e internazionale cui è destinato;
    tale regolamento rappresenterebbe un punto di riferimento per l'intero quadro normativo riguardante le Forza armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e costituirebbe, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, al comma 2 del predetto articolo 19, che la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi»;
    in considerazione di ciò, ai sensi del citato comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, si esclude, quindi, ogni intervento sugli istituti peculiari previsti per il personale del comparto in questione connaturati all'espletamento di atipiche ed usuranti attività, che rendono indispensabile disporre di strumenti compensativi volti a differenziare la posizione del personale addetto, anche ai fini dell'accesso alla pensione;
    il comparto versa già in un profondo stato di malessere e l'esasperazione e la sfiducia crescente si alimenterebbero di fronte ad un ulteriore provvedimento punitivo che si aggiungerebbe ai pesanti interventi occorsi negli ultimi anni in materia di trattamento economico, mettendo così a forte rischio la stessa efficienza ed efficacia del personale;
    inoltre, in tutti i Paesi europei, i limiti di età previsti per il personale militare e delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco sono inferiori rispetto a quelli vigenti in Italia;
    non si è ancora proceduto all'istituzione di forme pensionistiche integrative e complementari per il personale del comparto e, in generale, non sono mai state previste forme di tutela del personale assunto dopo il 1o gennaio 1996, che godrà del solo sistema contributivo;
    proprio in ragione della specificità del comparto, si configura come determinante la partecipazione delle rappresentanze sindacali del personale nella fase di definizione dei provvedimenti loro riguardanti, come accaduto in altre circostanze; al contrario, tale prassi pare, almeno sino ad oggi, disattesa nell'ambito dell'esercizio della delega di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    eppure, la norma sulla specificità di cui all'articolo 19 della legge n. 183 del 2010, pur nel suo tratto programmatico, prevede un ruolo concertativo dei sindacati e del Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer), ruolo che non può essere pretermesso dall'Esecutivo nell'esercizio del potere regolamentare di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    la disciplina regolamentare dovrà essere adottata dal Governo nel rispetto delle disposizioni legislative citate, nonché conformemente al principio di cui all'articolo 3, primo comma, della Costituzione, che impone la ragionevolezza delle distinzioni e il divieto di discriminazioni,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco, esclusivamente con riguardo al solo allungamento dell'età per il conseguimento della pensione di vecchiaia e di anzianità in relazione ai diritti quesiti e al previgente ordinamento;
   a procedere, prima dell'adozione del regolamento in questione, ad un incontro con i sindacati più rappresentativi e con il Cocer;
   ad avviare forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, nei medesimi termini previsti per il personale del comparto dello Stato, nel rispetto dei vincoli del bilancio pubblico;
   ad avviare, dopo l'emanazione del regolamento in questione, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate, un tavolo di concertazione al fine di definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli e delle carriere del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco.
(1-01052)
«Bosi, Poli, Cesa, Marcazzan, Tassone, Mantini, Libè, Compagnon, Naro, Ciccanti, Volontè, Rao, Ruggeri, Delfino, Pezzotta».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi del comma 18 dell'articolo 24 del cosiddetto decreto-legge salva Italia (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) è previsto che, con regolamento da adottare entro il prossimo 30 giugno 2012, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, si proceda all'armonizzazione dei requisiti di accesso al trattamento di quiescenza del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché del comparto del soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    in considerazione della predetta specificità lavorativa del personale del comparto sicurezza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è indubbio che un innalzamento tout court dell'età pensionabile possa ostacolare la reale capacità operativa dei lavoratori in questione, con conseguenze inevitabili anche sul livello di efficienza della sicurezza del nostro Paese;
    il riconoscimento della specificità del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico – infatti – ha proprio lo scopo di valutare la condizione peculiare del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, considerando le condizioni di impiego operativo altamente rischioso cui è soggetto, che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche;
    il requisito anagrafico è, pertanto, una condicio sine qua non per l'idoneità al servizio e per l'espletamento di tali attività operative ed addestrative; ne consegue che l'intervento regolamentare deve rispondere al principio di proporzionalità ed essere condizionato dai limiti di età del personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco nei trattamenti di quiescenza e anticipati;
    il personale del comparto sicurezza e difesa, peraltro, gode di un'autonomia contrattuale limitata rispetto all'esercizio dei diritti sindacali fondamentali, per via del mancato riconoscimento del diritto di sciopero e della piena libertà di organizzazione sindacale;
    esiste, altresì, il problema di assicurare a tutte le componenti del comparto difesa e sicurezza esposto ad attività dal rischio comparabile un trattamento equipollente sotto il profilo della tutela infortunistica, con particolare riguardo al personale volontario dei vigili del fuoco, attualmente penalizzato;
    il Governo, infatti, non ha ancora esercitato le deleghe di cui al comma 7 dell'articolo 27 della legge n. 183 del 2010, relative all'equiparazione della pensione ai superstiti riconosciuta ai familiari dei vigili del fuoco volontari deceduti per causa di servizio al trattamento economico spettante ai familiari superstiti dei vigili del fuoco in servizio permanente anche nelle ipotesi in cui i vigili del fuoco volontari siano deceduti espletando attività addestrative od operative diverse da quelle connesse al soccorso, nonché all'equiparazione del trattamento economico concesso ai vigili del fuoco volontari a quello riconosciuto ai vigili del fuoco in servizio permanente in caso di infortunio gravemente invalidante o di malattia contratta per causa di servizio, includendo anche il periodo di addestramento iniziale reso dagli aspiranti vigili del fuoco a titolo gratuito,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, con particolare riguardo all'allungamento dell'età pensionabile per il personale operativo in relazione ai diritti quesiti e al previgente ordinamento;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per eliminare le differenze di trattamento attualmente esistenti all'interno del comparto difesa e sicurezza tra categorie di personale diverse, ma esposte alla stessa tipologia di rischio, così come già previsto dalla delega di cui al comma 7 dell'articolo 27 della legge n. 183 del 2010 citata in premessa, con riferimento al personale volontario dei vigili del fuoco incaricato del soccorso tecnico urgente, il cui trattamento deve essere uniformato a quello del personale permanente in forza al Corpo;
   a garantire, con disposizioni transitorie, la certezza dei rapporti giuridici già consolidati o in via di maturazione, che, per esigenze funzionali, potranno essere prolungati solo su base volontaria;
   ad istituire con immediatezza un tavolo di concertazione con i sindacati rappresentativi ed il Cocer per giungere ad un regolamento condiviso, nel quale trovi concreto riconoscimento la peculiarità degli operatori del settore;
   ad aprire, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, un tavolo sulla previdenza complementare;
   ad avviare un tavolo di lavoro con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione, ai fini della predisposizione di un disegno di legge di delega che preveda un'attuazione differita nel tempo – coordinata con la gradualità dell'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione – e che assicuri la compatibilità finanziaria, anche attraverso un processo di razionalizzazione e modernizzazione delle strutture interessate, coerente con le misure di contenimento della spesa.
(1-01053)
«Dozzo, Fedriga, Munerato, Bonino, Gidoni, Chiappori, Caparini, Molgora, Vanalli, Meroni, Pastore, Volpi, Bragantini».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la devastante crisi economica sta interessando tutto il sistema socio-economico-produttivo del Paese;
    i Governi che si sono succeduti durante la XVI legislatura, per far fronte alla richiamata situazione economica, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo hanno, in più occasioni e con numerosi provvedimenti, irresponsabilmente addossato i costi del necessario risanamento finanziario sulle classi sociali medio-basse;
    a riprova di quanto riportato, a titolo d'esempio, si richiamano le norme contenute nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge del 22 dicembre 2011, n. 214, tra le quali, al capo IV del titolo III (Riduzioni di spesa. Pensioni), quelle che hanno innalzato significativamente i requisiti per l'accesso all'età pensionabile, bloccato gli scatti stipendiali e delle pensioni, previsto il completo passaggio al sistema contributivo, scaricando l'intero costo della crisi sui lavoratori con reddito non elevato;
    al comma 18 dell'articolo 24 del citato decreto-legge, si prescrive peraltro che, mediante regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, sia armonizzata per il tramite di un progressivo innalzamento dei requisiti attualmente previsti, pur tenendo conto delle peculiarità e delle specifiche esigenze del comparto;
    l'attuale modello di sicurezza, concepito in presenza di grandi risorse statali e della necessità di riavviare il settore industriale del Paese, risulta essere – non certo per responsabilità degli appartenenti alle Forze armate e di polizia, ma per una programmazione, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, errata, compiuta dai vari Esecutivi succedutisi nel tempo, nonché per una volontà di soddisfare le esigenze industriali, piuttosto che quelle della sicurezza – arretrato rispetto al nuovo scenario criminale nazionale ed internazionale;
    il quadro normativo di riferimento del comparto sicurezza si è connotato per una serie di tagli, adottati per tramite di manovre finanziarie presentate dall'attuale e dal precedente Governo, nella XVI legislatura, innumerevoli ed ingentissimi, tanto da determinare l'aumento vertiginoso di atti criminali non perseguiti su tutto il territorio nazionale;
    nonostante i «pacchetti sicurezza» del Governo Berlusconi, le riduzioni degli stanziamenti relativi al comparto che ricomprende polizia di Stato, polizia penitenziaria, vigili del fuoco, Corpo forestale e carabinieri hanno generato una situazione desolante, che vede, a solo titolo di esempio:
     a) agenti che non possono uscire dalle caserme perché le volanti non funzionano e non ci sono fondi per sistemarle;
     b) attese insopportabili sulla linea telefonica di emergenza 113 per assenza di personale addetto;
     c) assenza di fondi per l'acquisto di derrate alimentari sufficienti al mantenimento di standard decenti per l'alimentazione dei detenuti;
     d) sempre più frequenti difficoltà di tradurre un detenuto, colpevole o innocente che sia, per consentirgli di presenziare al suo processo;
     e) interi quartieri senza forze dell'ordine che presidiano il territorio, senza distinzione tra centro e periferia, tra le zone più tranquille e quelle più insicure, a causa della chiusura delle caserme;
     f) commissariati di polizia di Stato con incredibili carenze d'organico che, pur mantenendo attivi i servizi al pubblico, de facto non riescono a compiere tutte le attività attribuite in condizioni normali, con conseguenze nefaste sulla sicurezza dei cittadini;
     g) l'organico del Corpo dei carabinieri, così come riportato in numerose relazioni del Governo al Parlamento, sottostimato di oltre 7.000 unità;
     h) l'assenza di fondi per l'addestramento, l'esercitazione, la formazione e l'aggiornamento delle unità dei vigili del fuoco;
    nel documento di economia e finanza 2012 – all'allegato 1, punto 51 della prima tabella, sezione «lavoro e pensioni», misura: «Ampliamento della contrattazione decentrata, detassazione e decontribuzione dei salari di secondo livello», colonna: «impatto sul pubblico impiego» – il Governo prevede testualmente «per la detassazione dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico» – ovvero tutti gli ambiti relativi al presente atto di indirizzo – maggiori oneri per 60 milioni anche per il 2012;
    in aggiunta al desolante quadro descritto, il Governo dovrebbe procedere in questi giorni, e comunque non oltre il 30 giugno 2012, alla cosiddetta armonizzazione, ovvero all'inasprimento della disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale del comparto sicurezza e difesa e di quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, così come riportato in premessa;
    in tutti i Paesi europei i limiti di età previsti per il personale militare e delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco risultano inferiori a quelli stabiliti per il personale italiano;
    i firmatari del presente atto di indirizzo, fortemente contrari alla serie di provvedimenti sinora adottati, si sono battuti al fine di indicizzare completamente le pensioni, che dovrebbero continuare a seguire l'andamento dell'inflazione, per evitare che i cittadini perdano potere d'acquisto, scontrandosi con maggioranze e Governi che hanno previsto al contrario la sola reindicizzazione parziale per le pensioni sino a 1.400 euro;
    il Governo è ancora alle prese con il problema dei lavoratori prossimi alla pensione secondo le vecchie regole o che si trovano a dover lavorare anche 5 anni in più rispetto alle regole precedenti;
    i firmatari del presente atto di indirizzo, nel corso di tutta la XVI legislatura, hanno stigmatizzato i provvedimenti adottati da parte dei Governi che si sono succeduti nei confronti del predetto comparto, in quanto non si è provveduto né al reperimento delle fondamentali risorse economiche per l'esercizio della funzione, né a programmare concreti ed opportuni interventi strutturali al fine di garantire sicurezza del territorio, dei cittadini e degli operatori del settore. Non c’è stato il tanto auspicato aumento dell'organico addetto alla sicurezza, non sono stati previsti tempi certi per lo svolgimento dei processi, né aumenti di organici nella funzione giurisdizionale, né tanto meno spazi, infrastrutture o ristrutturazioni di edifici esistenti da destinare al settore penitenziario;
    le norme introdotte nell'ordinamento giuridico in materia pensionistica dal Governo Monti rappresentano un'iniqua operazione volta a far cassa, riformulando un sistema pensionistico pensato appena quindici anni prima, non rispettando i diritti acquisiti dei lavoratori, non riconoscendo, molto spesso, ai lavoratori una vita di sacrifici e la giusta aspirazione all'equità;
    la riforma della previdenza, fissando requisiti più stringenti per il pensionamento, seppur rafforzando da subito la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, ha rappresentato un costo pressoché insopportabile per i cittadini italiani, sia in termini di riduzione del potere d'acquisto che di frustrazione di aspettative individuali;
    la specificità del comparto sicurezza è volta a distinguere la particolare posizione, anche giuridica, all'interno dell'ordinamento del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco dalle altre categorie di dipendenti pubblici;
    i lavoratori della sicurezza sono assoggettati ad una serie di limitazioni ed obblighi del tutto peculiari – impossibilità di iscriversi a partiti politici, sindacati, di scioperare – nonché ad una condizione di impiego altamente usurante, che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psico-fisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa puntualmente verificati mediante controlli medici, prove fisiche e severe attività a carattere addestrativo;
    alla richiamata «specificità» non può che corrispondere una differenziazione di requisiti utili al fine del raggiungimento dell'età pensionabile, rispetto ad altri comparti della pubblica amministrazione. Differenziazione che non deve in alcun modo rappresentare un privilegio rispetto alle altre categorie, considerando che un limite anagrafico ridotto, soprattutto per i lavoratori con compiti operativi, è da considerarsi imprescindibile per il corretto espletamento della funzione sicurezza;
    non è assolutamente utile un incondizionato ed indiscriminato aumento dell'età pensionabile dei lavoratori, senza la previsione di una rivisitazione strutturale dell'intero assetto del comparto,

impegna il Governo:

   a salvaguardare la specificità del comparto, convocando celermente un tavolo di concertazione dei lavoratori del settore, con il riconoscimento della particolare attività svolta sul territorio per la sicurezza dei cittadini, tanto più in un particolare momento di forte tensione sociale;
   ad ascoltare le ragioni dei lavoratori, predisponendo interventi volti a tutelare la specificità del settore, nell'interesse generale della sicurezza e dei cittadini;
   a valutare lo spostamento degli operatori di pubblica sicurezza ad incarichi non operativi, soprattutto negli ultimi anni della vita lavorativa, quali che siano i requisiti fissati dalle normative;
   a ridisegnare il modello di sicurezza nazionale mediante l'adozione di interventi di riorganizzazione finalizzati ad eliminare sprechi o inefficienze, basandolo su programmi comuni ai singoli corpi interessati, con l'intento di generare economie di gestione e maggiore efficienza nei più svariati settori, garantendo, tuttavia, una razionalizzazione armonica di settori più eterogenei del comparto sicurezza, assumendo decise iniziative nel contrasto all'inerzia e alla resistenza al cambiamento tipiche di tutte le burocrazie, al fine di mantenere, ovvero aumentare, le tutele previdenziali dei lavoratori del settore;
   a riconsiderare la logica dei tagli indiscriminati e a provvedere, in una situazione di oggettiva crisi economica e mancanza di fondi, a distribuire gli stessi con maggiore oculatezza, con l'obiettivo primario di garantire la sicurezza dei cittadini e, al contempo, la loro incolumità e condizioni lavorative e previdenziali ottimali al personale del comparto;
   a garantire efficaci programmi di esercitazione e aggiornamento delle professionalità che permettano agli operatori di ricominciare ad effettuare i necessari addestramenti fondamentali per garantire la formazione allo svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza, rinunciando, ad esempio, per compensare le spese, all'acquisto di inutili cacciabombardieri atti ad offendere e non a difendere la sicurezza del territorio e dei cittadini italiani.
(1-01055)
«Paladini, Palomba, Aniello Formisano, Borghesi, Evangelisti, Di Stanislao».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma Amato del 1992 e successivamente la riforma Dini nel 1995 hanno decurtato il modello previdenziale dei comparti della sicurezza, difesa e soccorso pubblico, annullando, di fatto, la specificità degli appartenenti, pur riconfermando quella delle amministrazioni;
    la legge finanziaria n. 724 del 1994 ha ridotto il rendimento del modello previdenziale di questo personale dal 3,60 per cento annuo al 2 per cento. Con il decreto-legge n. 112 del 2008, si è definitivamente equiparato il rendimento della pensione dei professionisti della sicurezza a quelli del restante pubblico impiego;
    l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    tale articolo stabilisce che gli operatori dei comparti di sicurezza, difesa e soccorso pubblico e le amministrazioni di riferimento, in relazione al particolare status, devono essere valutati e considerati non solo nell'ottica di quella che è la normale dinamica contrattuale e previdenziale prevista per tutti i lavoratori; ad essi bisogna guardare in relazione alle peculiari funzioni attribuite alle amministrazioni di appartenenza, che, in assenza di operatori che siano selezionati e messi in condizioni di operare con altrettante condizioni peculiari, verrebbero vanificate e con esse le condizioni di tutela e di difesa delle istituzioni democratiche, così come quelle dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna e del soccorso alle popolazioni;
    il criterio di specificità stabilito dalla legge n. 183 del 2010 del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e del soccorso pubblico ha lo scopo di garantire la condizione peculiare del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a condizioni di impiego operativo altamente rischioso, che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche;
    l'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto salva Italia, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che, con regolamento da adottarsi entro il 30 giugno 2012, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, deve essere armonizzata la disciplina dei requisiti per l'accesso alla pensione del personale addetto a specifiche attività, tra cui quello del comparto sicurezza e difesa e quello del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, attraverso un processo di incremento dei requisiti attualmente previsti, tenendo conto delle peculiarità ordinamentali e delle specifiche esigenze;
    tale intervento di armonizzazione deve rispondere al principio di proporzionalità, principio generale del diritto, e deve essere limitato esclusivamente ai limiti di età del personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco nei trattamenti di quiescenza e anticipati, nel rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, primo comma, in forza del quale la mancanza di altro espresso criterio si traduce in un'arbitraria discriminazione di questo personale a ordinamento speciale in ragione dei peculiari compiti e dei rispettivi status;
    i limiti di età per tali trattamenti previsti per il personale militare, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco degli altri Stati europei risultano inferiori a quelli già stabiliti per il personale italiano;
    per definire l'ambito del regolamento da adottare entro il 30 giugno 2012, è utile ricordare la precedente armonizzazione in materia, disciplinata dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n.165, in attuazione degli appositi criteri di delega, di cui all'articolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, ed all'articolo 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che hanno riguardato sia l'incremento dei limiti di età per l'accesso alla pensione, sia gli specifici istituti, quali, ad esempio, l'ausiliaria e il meccanismo di calcolo dell'assegno di pensione. Questa estensione è stata possibile perché i criteri di delega facevano espresso riferimento ai «trattamenti pensionistici» e all'istituto dell'ausiliaria e non solo all'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione, come invece previsto dall'articolo 24, comma 18, del decreto-legge n. 201 del 2011;
    il Governo, all'atto dell'emanazione del cosiddetto decreto-legge salva Italia, considerando il particolare ruolo che tali comparti hanno nell'ambito dell'amministrazione pubblica ha previsto, proprio in virtù della specificità, l'emanazione di un regolamento volto ad armonizzare le regole di accesso al trattamento di quiescenza del personale in questione con quello delineato in senso generale per tutti i lavoratori pubblici e privati,

impegna il Governo

a garantire, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, tenendo conto delle ragioni per cui questo personale fino ad ora raggiunge prima l'età della pensione rispetto ad altri dipendenti pubblici e tenendo, inoltre, conto che si va verso la stesura di un regolamento di armonizzazione, che richiede particolare attenzione per salvaguardare il personale in servizio passato al sistema contributivo puro.
(1-01057)
«Misiti, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(28 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    entro il 30 giugno 2012 con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1998, si dovranno armonizzare i requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del comparto soccorso pubblico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tenendo conto delle peculiarità e delle esigenze dei settori sui quali si interverrà; questo è quanto prevede l'articolo 24, comma 18, della legge n. 400 del 1988;
    la specificità del ruolo delle Forze di polizia, delle Forze armate nonché del Corpo dei vigili del fuoco è riconosciuta ai fini pensionistici e previdenziali dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010;
    come è noto, per l'idoneità al servizio nelle Forze di polizia, nelle Forze armate e nel Corpo dei vigili del fuoco, nonché per le attività sia operative che addestrative, non si può prescindere dal requisito dell'età; tale elemento, insieme a quello del rischio operativo, non può non essere tenuto nel debito conto per quanto riguarda l'accesso e i requisiti necessari per godere dei diritti previdenziali;
    a livello europeo, proprio per la peculiarità e la specificità dei servizi prestati dalle Forze armate, dalle Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, i limiti di età, per avere diritto ai trattamenti di quiescenza anche anticipati, sono significativamente inferiori a quelli stabiliti nel nostro Paese;
    è previsto che si debba istituire un tavolo del Governo con i sindacati e il Cocer che definisca un percorso condiviso e concertato di stesura del regolamento che riconosca in maniera precisa ed effettiva la peculiarità e la specificità dei lavoratori delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco,

impegna il Governo:

   a istituire in tempi brevissimi il tavolo con i sindacati e il Cocer che definisca un percorso condiviso e concertato, previsto dal comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge «salva Italia», di stesura del regolamento che riconosca in maniera precisa ed effettiva la peculiarità e la specificità funzionale dei lavoratori delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco;
   a determinare un percorso, che coinvolga tutti i soggetti interessati, corredato da una tempistica certa, per giungere al riordino dei ruoli e delle carriere, relativo al personale interessato dal regolamento di armonizzazione, che tenga conto della specificità e della peculiarità funzionale del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco, anche ai fini dei requisiti per l'accesso alla pensione.
(1-01059)
«Moffa, Mottola, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(29 maggio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede all'articolo 24, comma 18, che con regolamento da adottare entro il 30 giugno 2012 ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale delle Forze di polizia e delle forze armate nonché del comparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti;
    l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce, anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale, «la specificità del ruolo delle forze armate, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
    la disciplina regolamentare dovrà essere adottata dal Governo nel rispetto delle disposizioni legislative citate nonché conformemente al principio di cui all'articolo 3, primo comma, della Costituzione che impone la ragionevolezza delle distinzioni e il divieto di discriminazioni;
    il principio di specificità del comparto sicurezza e difesa e del comparto dei vigili del fuoco ha lo scopo precipuo di garantire la condizione peculiare del personale militare, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a condizioni di impiego operativo altamente rischioso che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche,

impegna il Governo:

   a prevedere, nell'ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela delle specificità del personale del comparto sicurezza e difesa e del comparto vigili del fuoco esclusivamente con riguardo ai soli requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso alla pensione di vecchiaia ed anticipata, in relazione ai diritti quesiti e al previgente ordinamento, salvaguardando, comunque la disciplina in materia di maggiore valutazione dei servizi prestati e tenendo conto che lo svolgimento delle attività operative richiede inderogabili requisiti di efficienza psico-fisica, per cui determinati limiti di età, specie per i gradi inferiori, non possono essere in alcun modo superati;
   a procedere prima dell'adozione del regolamento di cui al punto 1, ad una consultazione con i sindacati più rappresentativi e con il Cocer;
   ad avviare forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, nei medesimi termini previsti per il personale del comparto Stato, nel rispetto dei vincoli del bilancio pubblico;
   ad avviare, dopo l'emanazione del regolamento in questione, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate, un tavolo di concertazione al fine di definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli e delle carriere del personale del comparto sicurezza e difesa.
(1-01091)
«Cirielli, Cicu, Paglia, Di Stanislao, De Angelis, Luciano Rossi, Mazzuca, Ceroni, Speciale, Mazzoni, Holzmann, Moles».
(20 giugno 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL PIANO NAZIONALE DI ASSEGNAZIONE DELLE FREQUENZE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'EMITTENZA LOCALE

   La Camera,
   premesso che:
    l'intero settore dell'emittenza televisiva e radiofonica locale versa attualmente in una condizione di grave criticità;
    numerosissime emittenti, presso le quali lavorano oggi oltre diecimila addetti, già indebolite dal passaggio al digitale terrestre e provate dalla critica situazione economica del Paese che ha determinato il crollo delle risorse pubblicitarie, rischiano ora la chiusura totale;
    a breve, infatti, tali emittenti saranno chiamate a liberare i canali dal 61 al 69 per doverli consegnare alle compagnie telefoniche aggiudicatarie dell'asta del dividendo digitale esterno. Tutto questo a fronte, peraltro, di un indennizzo da parte dello Stato che è stato progressivamente diminuito rispetto alle previsioni inizialmente sancite dalla legge e che, oggi, nella maggior parte dei casi, non risulta nemmeno sufficiente a coprire gli investimenti effettuati dalle aziende per il passaggio alla nuova tecnologia diffusiva;
    tale situazione non è altro che la drammatica conseguenza di una serie di errori che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, furono compiuti durante il precedente Governo Berlusconi e che origina, innanzi tutto, dal mancato rispetto sia della legge n. 249 del 1997, sia della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
    come noto, infatti, in data 28 giugno 2010, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato la delibera n. 300/10/CONS relativa al piano nazionale di assegnazione delle frequenze che, nel prevedere la realizzazione di 25 reti nazionali, determina una tipologia di assegnazione delle frequenze tale da non garantire il rispetto della riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale, e ciò nonostante che la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale risulti prevista espressamente per legge e non esista, al contrario, alcun atto normativo di rango primario o secondario che disponga che le reti nazionali debbano essere necessariamente in numero di 25;
    questa situazione era stata denunciata a suo tempo puntualmente dal gruppo dell'Italia dei Valori attraverso la presentazione di numerosi atti di sindacato ispettivo, quali, ad esempio, l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01165 presentata dall'onorevole Antonio Di Pietro già in data 6 luglio 2010, nell'ambito della quale si chiedeva al Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Paolo Romani, di assumere adeguate iniziative a tutela dell'emittenza locale;
    da allora ad oggi nessuna iniziativa concreta al riguardo è stata adottata in tal senso e le emittenti televisive e radiofoniche locali, tra le quali in particolare il Coordinamento associazioni radio tv (Car tv), chiedono con insistenza un confronto urgente con l'attuale Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, al fine di risolvere le annose questioni che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'unica soluzione praticabile che potrebbe consentire la sopravvivenza delle emittenti locali consiste nella riduzione del numero dei multiplex (e quindi delle frequenze) attualmente assegnati – in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale – all'emittenza nazionale, il che comporterebbe, inevitabilmente, la riscrittura del piano di assegnazione nazionale delle frequenze dell'Autorità delle garanzie nelle comunicazioni in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;
    si segnala, inoltre, che in un recente rapporto dell’Open Society Foundations, redatto da Gianpietro Mazzoleni, Giulio Vigevani e Sergio Splendore, si rileva, con tutta evidenza, come persino nell'era digitale i mezzi di informazione italiani operano in un clima di pesanti pressioni politiche. In particolare, la ricerca sottolinea come, di fronte alle sfide della digitalizzazione, le politiche messe in atto dal precedente Governo Berlusconi appaiono «orientate al mantenimento del duopolio Rai-Mediaset nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario». Consumo, società, servizio pubblico, giornalismo, tecnologia, business e politiche connesse ai media digitali sono i principali capitoli in cui è diviso il lavoro. «La digitalizzazione non ha prodotto un significativo impatto sulla proprietà dei mezzi di comunicazione» scrivono gli autori. Il mercato televisivo è ancora caratterizzato dal tradizionale duopolio Rai-Mediaset, che discende dall'assenza di un'adeguata normativa che regoli la concorrenza nel settore. I due giganti dell'emittenza continuano a controllare insieme circa l'80 per cento dell’audience, contro circa il 10 per cento di Sky. Si indeboliscono le emittenti locali, peggiorando conseguentemente la libertà di informazione nel nostro Paese;
    oltre alla citata questione relativa alla necessità di garantire alle emittenti locali almeno un terzo delle risorse frequenziali disponibili, il Coordinamento associazioni radio tv (Car tv), nell'ambito di una lettera inviata in data 31 gennaio 2012 al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, ha sollevato due ulteriori ordini di problemi relativi, rispettivamente, alla necessità di rivedere la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 366/10/CONS relativa al piano di numerazione dei programmi televisivi, e agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi;
    con riferimento alla questione relativa alla revisione della citata delibera n. 366/10/CONS si segnala come, su tale argomento, il gruppo dell'Italia dei Valori sia intervenuto il 14 settembre 2011 attraverso la presentazione di un'interrogazione a risposta scritta, e segnatamente la n. 4-13203, nell'ambito della quale si legge: «le associazioni di categoria delle tv locali hanno denunciato, inoltre, i criteri con i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha attribuito la numerazione dei canali digitali; l'articolo 32 del testo unico dei servizi media audiovisivi (decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44) prevede espressamente al comma 2: «Fermo il diritto di ciascun utente di riordinare i canali offerti sulla televisione digitale nonché la possibilità per gli operatori di offerta televisiva a pagamento di introdurre ulteriori e aggiuntivi servizi di guida ai programmi e di ordinamento canali, l'Autorità, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotta un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi in ordine di priorità: a) garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali; b) rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e le emittenti locali»; l'Agcom, diversamente da quanto previsto dalla legge, secondo quanto denunciato dalle associazioni di categoria delle tv locali, ha previsto l'assegnazione alle emittenti locali della numerazione a partire dai numero 10, essendo i primi nove tasti riservati alla emittenza nazionale, sulla base di graduatorie che fanno riferimento a criteri (quali il fatturato, il numero dei giornalisti assunti o altro) che nulla hanno a chiedere con le finalità previste dal citato testo unico dei servizi media audiovisivi: testo unico che fa, invece, riferimento al principio della preferenza degli utenti e quindi all'audience delle emittenti televisive; alla luce di tutto ciò dette associazioni hanno presento ricorso al Tar del Lazio che ha annullato gli atti emanati dall'Agcom relativi al piano di numerazione dei canali della televisione digitale terrestre ed in particolare la delibera con cui l'Autorità garante delle comunicazioni fissava la numerazione, la cosiddetta lcn (logistic channel number). Una pronuncia immediatamente esecutiva, cui però la stessa Agcom ha immediatamente replicato con un ricorso d'urgenza al Consiglio di Stato per ottenere – quanto meno nell'immediato – la sospensiva della decisione del tribunale amministrativo di primo grado; successivamente, il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospendere l'esecuzione di quanto stabilito dal Tar del Lazio ovvero l'annullamento della delibera n. 366 dei 2010 che, come si è detto, assegnava in automatico i numeri lcn sui tasti dei telecomandi dei televisori, lasciando al momento la questione aperta»;
    recentissimamente, la predetta questione sollevata dalle emittenti locali ha avuto ulteriori sviluppi. Infatti, il 26 gennaio 2012 il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso presentato da Sky ha annullato il piano di numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, la cosiddetta lcn (logistic channel number), contenuto nella citata delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dell'agosto 2010. Lo ha deciso con sentenza la terza sezione del Tar che, su richiesta delle emittenti Canale 34 e Più Blu Lombardia, si era già pronunciato sulla delibera in questione, annullando, il 1o agosto 2011, la parte del provvedimento che assegnava i numeri dal 9 al 19 alle emittenti locali. La sentenza del Tar era stata poi sospesa, il 30 agosto 2011, dal Consiglio di Stato. La nuova sentenza del Tar Lazio, a differenza della precedente, annulla l'intero provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che adesso dovrà emanare un nuovo regolamento sulla numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, seguendo le indicazioni fornite dal Tar, salvo che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non presenti un ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensiva dell'ulteriore decisione del giudice amministrativo di primo grado;
    alla luce di quanto precede, considerato che la possibile assegnazione dei numeri del telecomando, priva di un regolamento, rischia nella migliore delle ipotesi di generare un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder (per i conflitti di numerazione), e di far scoppiare cause e ricorsi tra emittenti, che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste, sembra dunque quanto mai urgente che l'Esecutivo ponga in essere ogni atto di competenza volto alla revisione del contenuto della citata delibera 366/10/CONS;
    con riferimento alla questione relativa agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi, si segnala che nell'ambito del rapporto (Rai – Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 dicembre 2011) si legge che: «Le simulazioni al calcolatore e le misure di laboratorio utilizzate hanno permesso di analizzare il comportamento degli amplificatori a banda larga degli impianti centralizzati di antenna in presenza di segnali lte. Simulazioni e misure, effettuate in condizioni realistiche e non eccessivamente pessimistiche, hanno concordemente mostrato che, in alcune situazioni, l'impatto dei segnali lte sull'intermodulazione dei semplificatori potrebbe essere serio, a conferma dei risultati pubblicati in ambito internazionale. Gli effetti più evidenti si hanno sui canali adiacenti (in particolare sul canale 60) ma tutti i canali nella banda uhf possono essere degradati fino alla mancanza di ricezione (pagina 52)». E ancora che: «Per ridurre gli effetti dell'interferenza dei segnali lte sui segnali ddt è quindi necessario prevedere tecniche di mitigazione, eventualmente da applicarsi in combinazione tra loro. Queste tecniche, che hanno nel loro complesso costi piuttosto elevati, ricadono sotto la responsabilità di diversi degli attori della catena trasmissiva (operatori di telefonia mobile, broadcaster, costruttori di apparati, costruttori di ricevitori DVB T/T2, utenti finali (pagina 37)»;
    sotto tale profilo, alla luce di quanto precede, non può che ritenersi fondata la preoccupazione espressa dai Coordinamento associazioni radio tv nell'ambito della già citata lettera inviata al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, sui costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese, nell'ipotesi in cui queste ultime si vedrebbero costrette a sostenere (anche solo in parte) le spese derivanti dall'implementazione delle tecniche di mitigazione causate dagli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi;
    nel mese di dicembre 2011 il Governo ha accolto tre ordini del giorno presentati rispettivamente dai gruppi parlamentari dell'Italia dei Valori, della Lega Nord e del Partito Democratico, con i quali si chiedeva di annullare la procedura del beauty contest (ovvero il bando ed il disciplinare di gara relativi all'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, segnatamente le 5 frequenze DVB-T e la frequenza in DVB-H o T2, per i sistemi di radiodiffusione digitale e terrestre) per assegnare le frequenze liberate dal passaggio della trasmissione analogica al digitale ed interessate da tale procedura con una vera e propria asta competitiva;
    nel mese di gennaio 2012, la citata procedura del beauty contest è stata sospesa per 90 giorni – sino al prossimo 19 aprile 2012 per la precisione – ma ad oggi non risulta ancora chiaro se, quando e con quali criteri verrà indetta una nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze interessate da tale procedura,

impegna il Governo:

   a convocare con la massima urgenza, presso il Ministero dello sviluppo economico, le rappresentanze delle emittenti radiofoniche e televisive locali per discutere delle problematiche che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza e soffocando l'esercizio della loro attività economica;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a dare attuazione a quanto previsto sia dalla legge n. 249 del 1997, sia dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, tese a prevedere la riduzione del numero dei multiplex attualmente assegnati – in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale – alle emittenti nazionali in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;
   a porre in essere ogni atto di competenza teso a evitare che si generi un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder per i conflitti di numerazione, ovvero il proliferare di cause e ricorsi tra emittenti televisive, che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste;
   a fornire quanto prima elementi di chiarificazione circa gli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi descritti dal citato rapporto Rai – Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 del dicembre 2011, con particolare riguardo ai rischi connessi ai costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese;
   a rendere noti con la massima sollecitudine e chiarezza i tempi e i criteri con i quali verrà indetta la nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze che il precedente Esecutivo avrebbe voluto assegnare attraverso la già richiamata procedura del beauty contest.
(1-00866)
(Nuova formulazione) «Borghesi, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».
(14 febbraio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    l'emittenza televisiva e radiofonica locale si trova in una situazione di crisi dovuta a un insieme di fattori: la nuova difficile situazione economica del Paese, il mantenimento del duopolio Rai-Mediaset nella televisione in chiaro e nel mercato pubblicitario ed il passaggio al digitale terrestre;
    numerose emittenti televisive e radiofoniche locali saranno ben presto costrette alla chiusura, con effetti negativi per i lavoratori attualmente occupati nel settore;
    non sono stati rispettati i termini della legge n. 249 del 1997 e della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
    la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 300/10/CONS relativa al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, assegnando le frequenza per la realizzazione di 25 reti nazionali, non consente di garantire il rispetto della riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
    la delibera n. 366/10/CONS, che stabilisce il piano di numerazione dei programmi televisivi, rischia di generare un caos digitale con conseguenti innumerevoli ricorsi; inoltre essa, che si occupa degli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione, comporterà un incremento dei costi che ricadranno in larga parte sui bilanci delle famiglie e delle imprese,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le problematiche descritte in premessa non mettano a rischio la sopravvivenza delle emittenti locali, con effetti negativi sull'esercizio della loro attività economica;
   a ridurre il numero dei multiplex (e quindi delle frequenze) attualmente assegnati – in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale – all'emittenza nazionale, dando attuazione a quanto previsto sia dalla legge n. 249 del 1997, sia dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
   a fornire chiarimenti sugli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione e sugli attuali impianti d'antenna televisivi, con particolare riguardo ai rischi connessi ai costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese.
(1-00990)
«Terranova, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia l'emittenza locale, con circa mille e cinquecento aziende tra televisioni e radio, ha raggiunto uno sviluppo che non ha eguali in altri Paesi;
    l'emittenza locale garantisce il pluralismo e un'informazione indipendente e legata al territorio, consente alle piccole e medie imprese di promuovere le proprie attività e favorisce lo sviluppo dell'occupazione nel settore;
    recentemente sono stati stipulati due contratti di lavoro con altrettante associazioni di categoria (Aeranti-Corallo e Frt tv locali) per la valorizzazione sia delle professionalità tecniche che di quelle giornalistiche, che in questi anni di grave crisi hanno trovato proprio nell'emittenza locale l'occasione di formarsi e lavorare;
    negli ultimi anni l'emittenza locale è stata colpita da una significativa riduzione delle misure di sostegno – le provvidenze all'editoria e i contributi diretti – operata, peraltro, con il sistema dei tagli lineari, che colpiscono indiscriminatamente tutti i destinatari;
    i tagli lineari hanno creato un pregiudizio maggiore proprio alle aziende televisive e radiofoniche locali che esercitano realmente l'attività di impresa, garantendo occupazione e realizzando prodotti di qualità legati al territorio;
    la riduzione delle misure di sostegno è arrivata in un momento di grande difficoltà soprattutto per le televisioni locali, che per adeguare gli impianti alla tecnologia digitale terrestre sono state costrette a realizzare cospicui investimenti, nonostante la crisi economica abbia fatto crollare gli introiti derivanti dal mercato pubblicitario;
    nelle regioni in cui si è già passati alla tecnologia digitale terrestre, gli ascolti delle televisioni locali hanno fatto registrare rilevanti contrazioni, con ulteriori conseguenze negative sulla raccolta pubblicitaria;
    numerose emittenti, dunque, rischiano di chiudere i battenti e migliaia di lavoratori rischiano di trovarsi disoccupati;
    diverse emittenti televisive locali, poi, sono state private delle frequenze, assegnate con un'asta alle compagnie telefoniche;
    tali emittenti saranno risarcite con un indennizzo che, nel tempo, ha subito adeguamenti al ribasso e che oggi non sarà neppure sufficiente a coprire gli investimenti sostenuti per l'adeguamento degli impianti alla tecnologia digitale terrestre;
    la sottrazione all'emittenza locale delle frequenze 61-69 mette a rischio il rispetto di quanto stabilito dalla legge n. 249 del 1997 e dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza locale;
    il precedente Governo aveva stabilito di assegnare sei nuovi multiplex all'emittenza nazionale attraverso il cosiddetto beauty contest, ma il Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, ha stabilito di bloccare tale procedura;
    dopo l'emanazione di una delibera dell'Autorità per la garanzie nelle comunicazioni nell'agosto del 2010 per determinare la posizione delle reti televisive digitali terrestri sul telecomando, si sono susseguiti diversi ricorsi all'autorità giudiziaria e sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio e del Consiglio di Stato;
    da qualche anno le emittenti locali lamentano una scarsa attenzione nei loro confronti da parte del Governo e auspicano un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria nei processi decisionali,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere iniziative volte a ripristinare i contributi e le provvidenze nella misura precedente ai tagli operati nel corso dell'ultimo triennio esclusivamente per le emittenti che possiedano determinati requisiti, da fissarsi con apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico e in una misura non inferiore al doppio di quanto precedentemente stabilito in merito alle ore di programmazione di interesse locale prodotta e al personale occupato;
   a verificare che alle televisioni locali sia effettivamente riservato un terzo delle frequenze e, in caso contrario, a ripristinare quanto prima il rapporto stabilito dalla legge n. 249 del 1997 e dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS;
   qualora dovesse rendersi nuovamente necessaria l'assegnazione di ulteriori frequenze al mercato della telefonia mobile, a reperirle senza far scendere la quota delle emittenti locali al di sotto della quota di un terzo;
   a farsi promotore di un accordo con le regioni per prevedere l'erogazione di contributi per l'adeguamento degli impianti alla tecnologia digitale terrestre che sia, al contempo, omogenea su tutto il territorio nazionale e rispondente alle esigenze dei diversi territori;
   ad intervenire nella questione della posizione delle reti televisive digitali terrestri sul telecomando per fare definitiva chiarezza, confermando quanto stabilito dalla delibera del 2010 dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che è stata peraltro accettata dalla maggioranza delle emittenti e delle associazioni di categoria;
   a convocare le associazioni di categoria delle emittenti locali per discutere delle difficoltà del settore e delle iniziative necessarie ad evitare la possibile chiusura di tante aziende e il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori.
(1-00991)
(Nuova formulazione) «Rao, Briguglio, Galletti, Della Vedova, Compagnon, Mereu, Bonciani, Carlucci, Enzo Carra, Adornato, Capitanio Santolini, Ciccanti, Naro, Volontè, Raisi, Scanderebech, Perina, Di Biagio».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione di difficoltà in cui versa l'emittenza locale è un tema serio, da affrontare con intelligenza costruttiva, senza cedere alla facile demagogia e senza indulgere ai particolarismi interessati di un settore molto variegato, in cui operano realtà profondamente diverse tra di loro;
    nel panorama e nella storia della televisione italiana, le emittenti locali hanno avuto e hanno ancora un ruolo importante, per non dire fondamentale. Lo stretto legame con il territorio, l'informazione di servizio a diretto contatto con i cittadini e l'offerta pluralistica rappresentano una risorsa fondamentale per la democrazia e per il sistema delle comunicazioni del nostro Paese;
    il Parlamento e l'azione dei diversi Governi del passato, con particolare riferimento a quello precedente, hanno sempre ritenuto prioritaria la tutela di questo settore. Il rispetto della norma che prevede l'assegnazione di un terzo della capacità trasmissiva (programmi irradiabili) ha consentito negli ultimi tre anni di portare avanti un processo di digitalizzazione e di assegnazione delle frequenze il più possibile condiviso e, comunque, attuato in modo garantistico anche nelle gare post assegnazione dei canali da 61 a 69; la tutela delle televisioni italiane nella fase di coordinamento internazionale con gli Stati confinanti, il mantenimento di risorse per i contributi ex legge n. 448 del 1998 (ammontanti a oltre 1,2 miliardi di euro in 12 anni) su livelli significativi e un'importante collocazione sul telecomando del digitale terrestre sono state le altre iniziative che hanno caratterizzato l'azione del Governo negli ultimi 3 anni, portata avanti, in tutti i passaggi della transizione, attraverso un confronto continuo con le associazioni dell'emittenza locale. Il digitale terrestre, con la sua moltiplicazione dei canali, se, da un lato, ha in alcuni casi aperto nuove prospettive al settore, dall'altro, non ha, però, consentito quel cambio di mentalità nella cultura televisiva, che con il must carry (l'obbligo di trasporto dei fornitori di contenuti privi di frequenza, peraltro disciplinato anche nei costi dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e la condivisione di uno stesso multiplex fra più soggetti, avrebbe favorito una razionalizzazione del radiospettro e un notevole contenimento di costi per gli stessi operatori anche attraverso la creazione di sinergie, evitando quell'uso inefficiente della capacità trasmissiva che rischia di riflettersi negativamente sull'intero settore;
    la logica della conversione delle frequenze 1 a 1, ostinatamente perseguita dalla totalità delle tv locali nel passaggio al digitale, ha mostrato tutti i suoi limiti di un approccio frutto di una mentalità ancora analogica; ma se con l'analogico 600 frequenze equivalevano a 600 programmi, con il digitale le stesse frequenze hanno portato a 3600 gli spazi per la diffusione dei contenuti. Scorrendo i telecomandi, gli spazi vuoti, le duplicazioni, le triplicazioni e così via degli stessi programmi diffusi, insieme agli spostamenti continui di posizione e il mancato rispetto delle regole, danneggiano soprattutto un'utenza disaffezionata e disorientata, con ricadute negative sull'acquisizione delle risorse pubblicitarie, già peraltro complicata dal momento di crisi economica generale;
    difendere questo inefficiente e dispersivo uso delle frequenze sta diventando peraltro impossibile, nel momento in cui la tendenza europea è quella della valorizzazione della risorsa spettrale e la spinta verso un suo uso più neutrale e più flessibile. Pretendere poi che il già rispettato vincolo di garantire un terzo della capacità trasmissiva in favore dell'emittenza locale, ampiamente considerato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in ogni sua delibera di pianificazione (a fronte di 21 reti nazionali sono 18 le reti locali in ogni regione), riducendo gli spazi degli altri operatori televisivi, significherebbe andare, oltre che contro la logica e gli interessi degli utenti, in contrasto con la legislazione nazionale ed europea;
    in questo contesto si inserisce il tema dell'ordinamento automatico dei canali (lcn), una funzione fondamentale per la sintonia sul telecomando, in alternativa a quella manuale autonoma, sempre possibile;
    per le tv locali, avere una numerazione adeguata e comunque certa nelle lcn (logical channel number) è ancora più importante rispetto alle televisioni nazionali, rappresentando forse il vero valore di avviamento d'impresa, molto più della risorsa frequenziale;
    nella fase di recepimento della direttiva comunitaria, detta tv senza frontiere, poi realizzato attraverso il decreto legislativo n. 44 del 2010, il Parlamento chiese al Governo pro tempore di introdurre una norma di sistema per rendere vincolante l'ordinamento automatico; il Governo pro tempore fu ben lieto di accogliere tale condizione, che demandava la regolamentazione puntuale all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale è intervenuta con tempestività ed efficacia attraverso la sua delibera n. 366/10/CONS che ha garantito all'emittenza locale un posizionamento importante – 10 numeri successivi ai primi 9 riservati alle tv nazionali ed analogiche e antecedenti ai 50 numeri riservati ai nuovi canali nazionali per poi proseguire con le numerazioni dal 70 in poi, e così in ogni seguente blocco di 100 - coerente con le posizioni consolidatesi negli anni. Oggi in tutte le regioni italiane 200 tv locali hanno o avranno un numero tra il 10 e il 19 sui telecomandi tale da garantire loro una pre-sintonia di notevole valore commerciale, mentre le altre hanno comunque un numero certo a partire dal 71 in poi;
    la decisione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha individuato criteri oggettivi già disponibili per l'attribuzione ai diversi soggetti (le graduatorie Corecom basate su fatturati e occupazione) sono state giudizialmente contestate da alcuni soggetti, ma ad oggi il sistema sembra ancora tenere e anzi andrebbe forse consolidato, dando forza di legge alla delibera n. 366/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
    in ogni caso si auspica che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Ministero competente siano in grado di tutelare adeguatamente in giudizio, attraverso l'Avvocatura dello Stato, l'attuale ordinamento dei canali che, se sconvolto, rischia di gettare nel panico e nel caos soprattutto la sintonia delle emittenti locali rispetto a quella di una diffusione nazionale più consolidata e che, in ogni caso, verrebbe autonomamente risintonizzata dall'utenza; la riprova di ciò è la preoccupazione delle associazioni veramente rappresentative delle emittenti locali rispetto alle decisioni assunte in primo grado dal Tar del Lazio (oggi sospese), contro le quali si sono prontamente costituite in giudizio;
    da ultimo, il percorso di generale razionalizzazione del comparto delle comunicazioni, tale da portare a una contiguità tra le bande in cui viene diffuso il segnale televisivo con quello dei servizi di comunicazione mobile conseguenti al rilascio dei canali da 61 a 69 oggetto della gara di ottobre 2011, comporta una serie di processi tecnico-operativi piuttosto complicati. Il Ministero dello sviluppo economico, con il passato Governo, stava iniziando ad affrontare il problema con studi e approfondimenti ed è auspicabile che tale problematica sia oggetto della dovuta attenzione anche da parte dell'attuale Esecutivo per individuare e far introdurre tutti gli accorgimenti tecnici necessari,

impegna il Governo:

   ad affrontare con urgenza le problematiche dell'emittenza locale, coinvolgendo le associazioni rappresentative degli operatori del settore;
   a mantenere il rispetto della normativa vigente sulla base di quanto previsto dal piano nazionale di ripartizione delle frequenze per un'adeguata riserva dei programmi irradiabili in favore dell'emittenza televisiva locale;
   ad adottare gli opportuni interventi al fine di garantire un uso efficiente della risorsa radioelettrica;
   a porre in essere ogni atto di competenza, anche in sede giudiziale, finalizzato a evitare conflitti di numerazione sul telecomando della tv digitale terrestre, anche attraverso una legificazione della delibera n. 366/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa al fine di evitare l'interferenza dei segnali della telefonia mobile sugli attuali impianti di diffusione televisiva.
(1-00992) «Romani, Saglia, Baldelli».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    l'emittenza televisiva locale è di fondamentale importanza in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo informativo, sociale e culturale;
    la capacità delle televisioni locali di operare come aziende di comunicazione, oltre che editoriali, ha portato all'ottimizzazione dello spettro radioelettrico dedicato alle trasmissioni televisive consentendo lo sviluppo di una rete di aziende produttrici di apparati di trasmissione che costituiscono, ancora oggi, un comparto fra i primi cinque al mondo;
    il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha congelato l'attribuzione delle misure compensative finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze nella banda 790-862 megahertz e con tre differenti provvedimenti cautelari i giudici amministrativi hanno sospeso il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 23 gennaio 2012, che dava il via libera all'assegnazione dei canali 61-69 uhf acquistati dalle telco nell'asta lte (long term evolution) pubblica del settembre 2011;
    le compensazioni di natura economica previste dal comma 9 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (175 milioni di euro per lasciare volontariamente i multiplex digitali occupati) sono insufficienti se commisurate al reale valore delle frequenze e ai relativi investimenti, non proporzionate agli incassi della gara (che ha fruttato allo Stato 3,9 miliardi di euro) e non prevedono alcuna defiscalizzazione degli indennizzi;
    a tal proposito il Governo ha accolto come raccomandazione l'ordine del giorno Caparini n. 9/4612/154 contenente l'impegno a «definire un congruo compenso per la cessione delle risorse frequenziali»;
    il ritardo nella pubblicazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dei decreti di fissazione delle date relative agli switch-off 2012, oltre che nell'emanazione da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del piano di assegnazione delle frequenze per le regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia con conseguente differimento nell'emanazione dei bandi per l'assegnazione dei diritti di uso delle frequenze e per l'attribuzione delle numerazioni lcn (logical channel number) da parte del Ministero dello sviluppo economico, impedisce la transizione nelle sopra citate regioni nei tempi calendarizzati;
    250 milioni di euro previsti dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, da prelevare dalle risorse derivanti dal canone Rai, destinati alle emittenti locali nel 2008 sono stati ridotti a 152 milioni di euro, nel 2009 a 95 milioni di euro e nel 2010 a 66 milioni di euro. Sono riduzioni sistematiche e con effetto retroattivo che nel 2011 ammonteranno ai due terzi del dovuto;
    la Camera dei deputati ha approvato l'ordine del giorno Caparini n. 9/5025/127 che ha impegnato il Governo a valutare l'opportunità di varare nei prossimi mesi norme a tutela delle tv locali quali: norme in favore del fondo per l'emittenza locale recuperando i tagli e riportando, così, la sua capienza a 150 milioni l'anno a partire già dal 2011 e ad attuare una capienza di 270 milioni dal 2014 secondo quanto previsto dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993; norme per consentire alle tv locali, già autorizzate nell'analogico, a continuare a diversificare parzialmente la programmazione per zone; norme per riequilibrare le percentuali di pubblicità degli enti pubblici da destinare ai vari mezzi di comunicazione (l'attuale normativa prevede che alle tv e radio locali vada solo il 15 per cento contro il 50 per cento della carta stampata) ed, infine, ad assegnare le numerazioni lcn nazionali e di genere (informazione, sport eccetera) a quelle tv locali che rispondono agli stessi requisiti delle reti nazionali, in termini di copertura, patrimonio netto e numero di dipendenti, abolendo il privilegio sinora assicurato alle sole tv nazionali di ottenere numeri favoriti sul telecomando;
    il rigetto dell'istanza di riesame, presentata alla direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione del Ministero dello sviluppo economico da Aeranti-Corallo e dalla associazione tv locali Frt, relative alle risposte rese ai quesiti n. 35 e 113 (contraddittorie rispetto alle risposte rese con riferimento ai quesiti 36 e 111) ha contribuito alla già notevole incertezza regolamentare dell'attuale quadro giuridico, in quanto, secondo il Ministero dello sviluppo economico, in base alle risposte ai quesiti 35 e 113, chi rilascia volontariamente una frequenza ponendo contemporaneamente in essere un accordo di carattere societario con altro soggetto al fine di condividere lo stesso multiplex, conserva la qualificazione giuridica di operatore di rete, mentre, al contrario, nelle risposte ai quesiti 35 e 113, il medesimo Ministero ha affermato che il soggetto partecipante al volontario rilascio che diffonde il proprio marchio/palinsesto ex analogico attraverso un operatore di rete di una società controllante, controllata o collegata, perde la qualificazione giuridica di operatore di rete (in base alla quale è, peraltro, possibile accedere ai contributi di cui alla legge n. 448 del 1998);
    l'articolo 32 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, al comma 2, prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotti un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisca con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, anche nel rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali;
    sulla base del decreto del Ministro delle comunicazioni, assunto di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, 5 novembre 2004, n. 292, «Regolamento recante nuove norme per la concessione alle emittenti televisive locali dei benefici previsti dall'articolo 45, comma 3, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modifiche e integrazioni», i contributi erogati alle emittenti televisive locali sono annualmente assegnati nella misura di un quinto in parti uguali a tutti i richiedenti che ne abbiano titolo e per i restanti quattro quinti sulla base delle graduatorie regionali, al primo 37 per cento dei collocati in graduatoria, arrotondato all'unità superiore;
    la sopra citata graduatoria viene, allo stato, stilata sulla base di una particolare formula di calcolo che considera due elementi di valutazione meramente quantitativi: la media dei fatturati realizzati nel triennio precedente e il personale dipendente applicato all'attività televisiva. Criteri che escludono ogni forma di analisi qualitativa del servizio effettivamente erogato;
    sembra opportuno modificare il meccanismo di calcolo con cui oggi vengono distribuiti i finanziamenti pubblici alle televisioni locali introducendo una maggiore progressività di erogazione e una maggiore attenzione all'aspetto qualitativo, considerando la natura e le finalità dei contenuti;
    l'articolo 490 del codice di procedura civile prevede, per la pubblicità delle aste giudiziarie, solo la carta stampata e internet: tale previsione sembra incompleta, tralasciando il mezzo televisivo, che ha invece un livello di diffusione molto più elevato. L'inclusione del mezzo televisivo potrebbe far crescere e aumentare le offerte per le aste giudiziarie, dando loro maggiore trasparenza, oltre ad assicurare entrate per le tv locali e, indirettamente, benefici a tutto il sistema delle pubbliche e medie imprese;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 8, del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, può irrogare sanzioni per violazioni dei regolamenti di attuazione delle norme in materia di diritto di cronaca, da un minimo edittale di circa 10.300 euro ad un massimo di circa 258.000 euro senza che sia fatta alcuna distinzione tra l'ambito locale o nazionale di esercizio dell'attività radiotelevisiva da parte del soggetto che ha commesso la violazione accertata. Si tratta di un'equiparazione che evidentemente non tiene conto del ridotto bacino di utenza delle tv locali, che comporta nei fatti una minore incisività della violazione, oltre che delle minori capacità economiche delle stesse;
    la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'emissione dei provvedimenti sanzionatori nei confronti delle televisioni locali, applica il principio del cumulo materiale delle violazioni riscontrate, anziché quello del cumulo giuridico, con l'effetto di determinare, all'esito di un controllo periodico, le sanzioni stesse attraverso la moltiplicazione dell'importo edittalmente previsto per le singole violazioni per il numero delle stesse, anche in caso di un unico controllo e di un'unica contestazione;
    il Governo ha accolto l'ordine del giorno Comaroli n. 9/4940-A/60, che ha impegnato il Governo a valutare l'opportunità di ridurre il trattamento sanzionatorio nei confronti dell'emittenza locale, al fine di ripristinare la condizione di parità di trattamento tra le sanzioni applicabili nei confronti delle emittenti radiotelevisive operanti in ambito locale e quelle nazionali;
    l'attuale normativa impone limiti e restrizioni alla crescita del settore quali: la limitazione a due canali per ogni multiplex affittabili ai fornitori di contenuti nazionali, il contenimento in 12 ore la durata delle trasmissioni in contemporanea tra emittenti e i requisiti minimi di capitale sociale (6,2 milioni di euro) e dipendenti (20) per il rilascio dell'autorizzazione di fornitore di servizi di media audiovisivi nazionali;
    partendo da una migliore utilizzazione delle frequenze televisive assegnate e da un quadro normativo stabile, gli operatori di rete potrebbero costituire un'importante risorsa per le centinaia di migliaia di piccole e medie imprese che, per la loro competitività, sono bisognose di accesso alla banda larga;
    l'ordine del giorno Caparini 9/4086/15 che impegnava il Governo pro tempore a «valutare l'opportunità di intervenire tempestivamente, con gli appositi strumenti normativi, affinché il Ministero dello sviluppo economico nella definizione delle prescrizioni per i titolari dei diritti d'uso delle radiofrequenze destinate alla diffusione di servizi di media audiovisivi l'operatore di rete televisiva su frequenze terrestri in tecnica digitale in ambito locale possa concedere capacità trasmissiva ai fornitori di servizi di media, ai fornitori di servizi di media audiovisivi lineari, ai fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, ai fornitori di contenuti audiovisivi e di dati ed ai fornitori di servizi media radiofonici autorizzati in ambito nazionale» è stato accolto dal Governo pro tempore;
    una nuova asta di assegnazione di ulteriori frequenze, da realizzarsi nel prossimo triennio, dovrà essere orientata alla neutralità tecnologica, così come previsto dalla direttiva europea, in modo da riscuotere interessi anche di nuovi soggetti oltre a quelli già scontati degli operatori di telecomunicazioni mobili,

impegna il Governo:

   ad intervenire per sostenere l'emittenza locale, reintegrando di almeno 150 milioni di euro le risorse previste per l'anno appena concluso e per quello in corso, creando le condizioni affinché, a partire dall'anno 2014, le risorse a disposizione del comparto raggiungano i 270 milioni di euro previsti dall'articolo 10 del decreto-legge n. 323 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 422 del 1993 (poi reso operativo dalla legge n. 488 del 1998);
   ad assumere iniziative normative per innalzare a 400 milioni di euro il capitolo di spesa per delle compensazioni di natura economica previste dal comma 9 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, per le emittenti televisive locali che hanno ceduto le proprie frequenze a favore degli operatori dei servizi mobili in banda larga che hanno partecipato all'asta lte;
   a prevedere misure di defiscalizzazione delle compensazioni di natura economica previste dal comma 9 dell'articolo della legge 13 dicembre 2010, n. 220, affinché la plusvalenza derivante dall'incasso della misura economica non concorra alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette in quanto esente;
   ad adottare le iniziative di competenza affinché si assegnino le numerazioni lcn nazionali e di genere alle emittenti locali che rispondono agli stessi requisiti delle reti nazionali in termini di copertura, patrimonio netto e numero di dipendenti;
   a chiarire che un operatore di rete che rilascia volontariamente una frequenza, ponendo contemporaneamente in essere un accordo di carattere societario con altro soggetto al fine di condividere lo stesso multiplex, conserva la qualificazione giuridica;
   ad assumere le iniziative di competenza per aumentare da 2 a 4 i canali per ogni multiplex per cui è possibile la cessione della banda a fornitori di contenuti nazionali;
   ad assumere le iniziative normative per innalzare da 12 a 18 ore il limite di interconnessione tra emittenti locali;
   ad assumere le iniziative di competenza, anche normative, affinché possano essere modificati i requisiti per accedere alla licenza di fornitore di servizi media audiovisivi nazionale, riducendo da 6,2 a 2 milioni di euro il capitale sociale minimo e da 20 a 10 i dipendenti richiesti;
   a rispettare quanto previsto dall'articolo 4 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2008, come modificato dal decreto dello stesso Ministro in data 19 novembre 2010 e dall'articolo 10, comma 4, della deliberazione n. 366/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che prevede l'attribuzione della numerazione lcn almeno 15 giorni prima dello switch-off di ogni area tecnica;
   a riservare un adeguato ruolo agli operatori di rete in ambito locale quali aziende di telecomunicazione in ambito televisivo per i nuovi servizi in banda larga, nell'ambito delle frequenze a loro assegnate, improntati sulla neutralità tecnologica, al fine di ottimizzare l'utilizzo dello spettro elettromagnetico;
   ad intervenire con le apposite iniziative normative affinché le sanzioni irrogate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 5, comma 8, del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, siano ridotte di un decimo per le emittenti locali, in ragione del minore bacino di utenza e della minore capacità economica;
   ad intervenire con le apposite iniziative normative affinché le sanzioni irrogate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in caso di un unico controllo e di un'unica contestazione alle tv locali vengano determinate con l'applicazione del principio del cumulo giuridico e non del cumulo materiale;
   ad assumere le iniziative di competenza dirette a riequilibrare l'accesso alla pubblicità degli enti pubblici tra i diversi media e le emittenti locali;
   ad assumere le iniziative di competenza per modificare il meccanismo di calcolo per la ripartizione dei finanziamenti pubblici alle televisioni locali introducendo una migliore progressività di erogazione con particolare attenzione all'aspetto qualitativo del segnale televisivo quanto alla natura e finalità dei contenuti;
   a prevedere la possibilità per l'emittenza locale di pubblicizzare le vendite e le aste giudiziarie, come previsto dall'articolo 490 del codice di procedura civile.
(1-00994)
«Caparini, Fava, Crosio, Comaroli, Negro, Munerato, Rainieri, Lanzarin, Fugatti, Fedriga, Stucchi, Volpi, Pini, Consiglio, Bitonci».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 6 agosto 1990, n. 223, «Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato», comunemente conosciuta come «legge Mammì», che ha disciplinato in modo definitivo il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, nel prevedere due distinte discipline specifiche, la prima dedicata alla radiodiffusione privata e la seconda relativa alla società concessionaria del servizio pubblico, detta principi fondamentali secondo i quali la diffusione di programmi radiotelevisivi ha carattere di preminente interesse generale ed il pluralismo, l'obbiettività, la completezza, l'imparzialità dell'informazione e l'apertura alle diverse opinioni socioculturali, politiche e religiose, nel pieno rispetto dei principi costituzionali, devono rappresentare gli scopi principali e fondamentali del sistema radiotelevisivo;
    con la sentenza n. 102 del 1990, la Corte costituzionale ha stabilito che per l'esercizio di impianti radiotelevisivi, che comporta l'utilizzazione di un bene comune, l'etere, naturalmente limitato, si rende necessario un provvedimento di assegnazione della banda di frequenza;
    il piano nazionale delle frequenze proposto dal Ministro dello sviluppo economico regola la ripartizione delle frequenze utilizzabili dai vari servizi di telecomunicazione e, dopo aver suddiviso il territorio nazionale in «bacini di utenza», tenendo conto dell'entità numerica della popolazione servita, delle condizioni geografiche, urbanistiche, socioeconomiche e culturali, determina le zone di servizio in modo da consentire la ricezione dei programmi delle varie emittenti senza disturbi;
    a partire dal 2004, con la cosiddetta legge Gasparri, che ha, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, sostanzialmente legalizzato e rafforzato il duopolio Rai-Mediaset, rendendo impossibile l'ingresso di altri operatori sul mercato dell'emittenza televisiva e nel mercato pubblicitario, la legislazione ha, di fatto, marginalizzato il ruolo e la funzione delle emittenti televisive locali, realtà diffusa su tutto il territorio nazionale e presidio del pluralismo informativo;
    l'articolo 8, comma 2, del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, riserva comunque all'emittenza locale un terzo della capacità trasmissiva stabilita dal piano di assegnazione delle frequenze;
    il 28 giugno 2011 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera n. 300/10/CONS, al fine di consentire la progressiva digitalizzazione del territorio nazionale, secondo il calendario nazionale di switch-off, ha dettato i criteri generali per la definizione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale, prevedendo 25 reti nazionali e non tenendo conto della riserva di un terzo delle frequenze per le emittenti locali;
    in data 28 luglio 2011, le commissioni tecniche regionali sull'emittenza radiotelevisiva hanno approvato un documento nel quale si evidenzia che nella suddetta delibera n. 300/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, relativa al piano di assegnazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva terrestre in tecnica digitale, nel prevedere la realizzazione di 25 reti nazionali, non è stato rispettato il vincolo della riserva di un terzo dei canali irradiabili previsto dalla legge n. 249 del 1997, lasciando le emittenti locali in una situazione di assoluta incertezza riguardo alle possibili interferenze ed all'effettivo utilizzo delle frequenze stesse. Nello stesso documento si sollecitano il Ministero dello sviluppo economico e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a rivedere l'assegnazione delle frequenze;
    il decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, ha poi inferto un ulteriore colpo al pluralismo informativo, sottraendo numerose frequenze attualmente a disposizione delle emittenti locali per destinarle alle compagnie telefoniche e lasciando invariato il numero di frequenze occupate da Rai e Mediaset;
    infatti, a seguito dell'applicazione dell'articolo 4 del suddetto decreto-legge, che ha disposto la riduzione delle risorse frequenziali ad esclusivo discapito delle emittenze locali e, per converso, a vantaggio delle multinazionali telefoniche, dislocando le frequenze da 790 a 862 MHz (canali UHF 61-69) a favore della telefonia mobile di quarta generazione (LTE), la cosiddetta banda larga mobile, si assisterà alla prevedibile conseguenza di generare forti interferenze nelle centraline di ricezione dell'utenza e un sensibile aumento dei campi elettromagnetici nei centri abitati;
    la potenza di trasmissione diffusa dalle stazioni di telecomunicazioni di Tim, Vodafone, 3 Italia e della stessa Wind potrebbe avere un effetto di saturazione dei filtri delle antenne televisive riceventi situate nelle vicinanze e potrebbe provocare l'oscuramento o il disturbo dei canali tv e migliaia di famiglie potrebbero essere costrette a fare interventi per riposizionare l'impianto di ricezione e per applicare filtri che evitino le interferenze del potentissimo segnale LTE. Il costo peserà, dunque, sull'utente finale;
    inoltre, il suddetto «esproprio» delle frequenze ai danni esclusivamente delle emittenze locali verrà compensato mediante la corresponsione di indennizzi, peraltro inadeguati rispetto agli investimenti da queste affrontati, a carico dello Stato;
    in molte regioni, poi, la pessima gestione della numerazione automatica dei canali ha provocato altri gravi danni alle tv locali, a causa dell'assegnazione tardiva delle posizioni sul telecomando avvenuta a distanza di oltre un anno dal passaggio alla tecnologia digitale e del mancato rispetto delle preferenze degli utenti. Ciò ha causato un crollo degli indici d'ascolto delle stesse emittenti, non più facilmente visibili come lo erano con il sistema analogico, con conseguente perdita del loro valore di avviamento;
    i suddetti provvedimenti, riducendo l'offerta televisiva, rappresentano una violazione del pluralismo dell'informazione e penalizzano quelle imprese della comunicazione che fanno del proprio radicamento sul territorio un elemento qualificante;
    i problemi dell'emittenza locale non possono essere affrontati come una semplice crisi di settore che investe alcune aziende. La sopravvivenza delle emittenti locali nel passaggio dal sistema analogico al sistema digitale terrestre rappresenta, oltre che un'esigenza fondamentale nei confronti degli utenti, anche un'espressione del valore costituzionale del diritto al pluralismo informativo (articolo 21 della Costituzione);
    in data 8 luglio 2011, il Ministero dello sviluppo economico ha indetto una procedura selettiva in modalità beauty contest per l'assegnazione di diritti d'uso di sei frequenze in banda televisiva per sistemi di radiodiffusione in digitale terrestre, procedura ancora in corso;
    le procedure di aggiudicazione in modalità beauty contest si caratterizzano per essere aperte solo a quegli operatori interessati che rispettino le caratteristiche individuate dall'ente aggiudicatore, con conseguente restrizione sotto il profilo concorrenziale e senza che sia garantita l'effettiva competitività;
    l'assegnazione delle dette frequenze avverrebbe sostanzialmente a titolo gratuito ed esclusivamente a favore di operatori nazionali,

impegna il Governo:

   a promuovere azioni per favorire il pluralismo informativo tutelando le emittenti locali;
   ad impegnarsi affinché venga garantito il rispetto della riserva all'emittenza locale di un terzo della capacità trasmissiva stabilita dal piano di assegnazione delle frequenze;
   a tutelare, nel processo di digitalizzazione, le emittenti locali dal rischio di perdere le proprie frequenze televisive e comunque ad assumere iniziative normative per defiscalizzare gli indennizzi per il rilascio dei canali da parte delle stesse;
   a garantire che la numerazione dei canali digitali sul territorio regionale avvenga in ossequio alle vigenti disposizioni di legge, ovvero secondo le preferenze degli utenti;
   a revocare o rivedere la procedura di assegnazione delle frequenze attraverso il beauty contest e di procedere verso la «procedura aperta», stabilendo le condizioni economiche di assegnazione delle suddette frequenze tramite asta pubblica, nel rispetto del principio del libero mercato.
(1-00995)
«Oliveri, Lo Monte, Lombardo, Commercio, Brugger».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    nel panorama nazionale sia economico che informativo un ruolo rilevante lo riveste l'emittenza locale televisiva e radiofonica che ha un forte radicamento nel territorio e rappresenta un punto di riferimento per i cittadini e i settori produttivi locali, oltre che un presidio democratico e pluralista che non ha eguali in altri Paesi dell'Unione europea;
    l'emittenza televisiva e radiofonica locale è composta da una rete capillare di oltre mille e cinquecento aziende e cooperative che occupano oltre diecimila persone;
    si tratta, con tutta evidenza, di un settore che non solo va tutelato, ma deve essere messo nelle condizioni di operare e di continuare ad essere quel settore vitale anche economico, in particolare nella difficilissima congiuntura economica e recessiva, tenuto conto che le piccole e medie imprese del nostro Paese affidano all'emittenza locale l'informazione sui loro prodotti;
    non è possibile giudicare positivamente la situazione di confusione evidente nella numerazione dei canali televisivi che, ad oggi, ingenerano sconcerto tra i cittadini e che si risolve in un danno alle emittenti che vengono danneggiate nella raccolta pubblicitaria; da qui la necessità di garantire alle tv locali una pre-sintonizzazione che assume anche un valore commerciale notevole;
    sarebbe opportuno dare un quadro di riferimento ancora più stabile procedendo alla trasformazione in legge della delibera n. 366/10/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
    è da evitare una problematica contiguità tra i segnali televisivi e i segnali dei servizi di telefonia mobile derivanti dal rilascio dei canali da 61 a 69, che potrebbe creare interferenze dei segnali di telefonia mobile e dei segnali degli impianti di diffusione televisiva, con la necessità, quindi, di adottare le iniziative tecnico-operative affinché questo non avvenga,

impegna il Governo:

   a rispettare integralmente quanto previsto dal piano nazionale di ripartizione delle frequenze allo scopo di garantire l'emittenza televisiva locale;
   a far pervenire al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione e sulle problematiche insorte relative al piano nazionale di ripartizione delle frequenze;
   ad adottare le opportune iniziative di propria competenza al fine di recepire sotto forma di legge la delibera 366/10/CONS dell'organo di garanzia;
   ad attuare tutti i processi tecnico-operativi che consentano di impedire le interferenze tra i segnali televisivi e quelli dei servizi di telefonia mobile derivanti dal rilascio dei canali dal 61 al 69.
(1-01002)
«Pionati, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(2 aprile 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    le tv locali in Italia sono oltre 600 e, insieme alle radio, raggiungono i circa 1500 operatori complessivi del settore; rappresentano una realtà industriale che non ha eguali in Europa, garantendo ogni giorno un'informazione legata al territorio, che offre accesso alle realtà produttive locali, a partire dalla piccola e media impresa, e che concorre al complessivo pluralismo delle opinioni;
    il passaggio dall'analogico al digitale terrestre ha liberato cinque multiplex, ossia i pacchetti di frequenze utilizzabili per la trasmissione televisiva;
    per potenziare i servizi web attraverso la telefonia mobile (lte), è stata effettuata nel mese di settembre 2011 una gara per l'assegnazione delle frequenze dello spettro elettromagnetico da destinare ai servizi della banda larga mobile; si sottolinea come le frequenze per le telecomunicazioni siano state recuperate attraverso la riduzione delle frequenze destinate alle tv locali: in pratica delle attuali 56 frequenze, 9 sono state sottratte all'emittenza locale;
    infatti, i canali 61-69 della banda 800 dovranno essere liberati dalle emittenti locali entro il 31 dicembre 2012; in cambio si concede un indennizzo pari a 175 milioni di euro; tale cifra è stata notevolmente ridotta rispetto alle previsioni iniziali che stabilivano l'assegnazione del 10 per cento degli incassi derivanti dalla vendita delle frequenze alle compagnie telefoniche (asta lte) alle suddette emittenti locali;
    di conseguenza, le associazioni di categoria delle tv locali lamentano che la somma loro destinata risulta insufficiente anche solo per coprire i costi sostenuti dalle emittenti per il passaggio al digitale;
    il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, all'articolo 25, comma 1, lettera a), n. 2, ha disposto che alla scadenza del 31 dicembre 2012 «in caso di mancata liberazione delle frequenze, l'amministrazione competente procede senza ulteriore preavviso alla disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi degli organi di polizia delle comunicazioni»;
    le tv locali che rimarranno senza canali potranno affittare uno spazio nei multiplex delle emittenti che hanno mantenuto la possibilità di essere operatori di rete; ciò nonostante, per far transitare il segnale, occorrerà chiedere un passaggio;
    il beauty contest, voluto dal precedente Governo, lanciato su analoghe frequenze avrebbe consentito agli aggiudicatari di disporre gratuitamente dello stesso bene pubblico, salvo poterlo rivendere dopo appena cinque anni; tale meccanismo non avrebbe neppure aperto il mercato tv a nuovi ingressi, ma consolidato le posizioni dominanti;
    gli evidenti squilibri a danni di operatori tv minori e locali realizzati con la transizione al digitale possono essere risolti con una porzione molto limitata delle frequenze inserite nel beauty contest;
    il Ministro dello sviluppo economico ha comunicato al Consiglio dei ministri nella riunione del 20 gennaio 2012 la decisione di sospendere per 90 giorni la procedura di assegnazione delle frequenze per avere il tempo di definire al meglio la destinazione delle frequenze;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella riunione del consiglio del 22 febbraio 2012, ha approvato il piano di assegnazione delle frequenze televisive digitali delle regioni Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia (delibera n. 93/12/CONS), corrispondente ai territori regionali che saranno oggetto di switch-off nel 2012;
    il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha congelato l'attribuzione delle misure compensative finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze nella banda 790-862 MHz;
    con tre differenti provvedimenti cautelari, i giudici amministrativi hanno, infatti, sospeso il decreto del Ministro dello sviluppo economico varato il 23 gennaio 2012 che dava il via libera all'assegnazione dei canali 61-69 UHF, regolarmente acquistati nell'asta lte pubblica del settembre 2011 (che ha fruttato allo Stato 3,9 miliardi di euro), decreto che assegnava alle emittenti locali 175 milioni di euro di indennizzi per lasciare volontariamente i multiplex digitali occupati;
    sono diverse le iniziative messe a punto dalle regioni a sostegno dell'emittenza locale; la regione Umbria ha insediato una commissione tecnica regionale sull'emittenza radiotelevisiva per discutere di un sostegno finanziario alle emittenti (il bando della regione attende, prima di poter essere emanato, la verifica dell'effettiva disponibilità finanziaria); la regione Toscana intende promuovere una politica di sostegno all'emittenza locale e si vuole portare avanti un tavolo tecnico; la regione Marche ha chiesto un incontro con i tecnici del Ministero dello sviluppo economico e con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per chiarire quali frequenze potranno essere assegnati alle tv locali senza interferenze; infine, in Abruzzo è stato promosso un bando che prevede il finanziamento dei progetti fino al 50 per cento delle spese sostenute per il passaggio al digitale terrestre delle tv locali;
    da notizie apparse sugli organi d'informazione il Governo sarebbe intenzionato ad azzerare il beauty contest, con la conseguenza che nessuna frequenza tv sarà attribuita gratuitamente alle emittenti televisive nazionali; si andrà, quindi, verso una vendita a pacchetti con durate diverse, in particolare la banda larga 700 verrà aggiudicata per un periodo di tre anni da qui al 2015, il resto dei canali più strettamente televisivi sarà assegnato per un periodo più lungo; sarà, quindi, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a stabilire tempi e modalità dell'asta, che potrebbe essere indetta prima dell'estate 2012 se la decisione del Governo passerà l'esame della Commissione europea;
    su tale materia il gruppo del Partito Democratico è già intervenuto innumerevoli volte con atti di indirizzo e di controllo, discussi ed approvati sia nelle competenti commissioni sia in Aula mediante ordini del giorno,

impegna il Governo:

   a convocare un tavolo di confronto con le associazioni delle emittenti locali e con le regioni per cercare di pianificare una strategia che individui una risoluzione delle questioni aperte, affinché si riesca a trovare un equilibrio nella stabilizzazione del settore;
   ad assumere iniziative di carattere normativo, per quanto di competenza, per salvaguardare le tv locali e ripartire la riduzione delle frequenze per un terzo a carico delle tv locali e per due terzi a carico di quelle nazionali, come previsto dalla normativa vigente;
   a varare prima del periodo estivo norme a tutela del fondo per l'emittenza locale recuperando i tagli e riportando la sua capienza a 150 milioni di euro l'anno a partire già dal 2011 e a dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 10 del decreto-legge n. 323 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 422 del 1993;
   ad assumere ogni utile iniziativa, anche normativa, affinché l'ammontare dei risarcimenti, già di per sé inadeguati e insufficienti a ripagare le tv locali degli investimenti effettuati per la digitalizzazione delle reti, sia completamente defiscalizzato e proporzionato alle reali dimensioni d'impresa e agli investimenti compiuti da ogni singola emittente;
   a valutare la possibilità di utilizzare una parte della capacità trasmissiva non più destinata al beauty contest a favore di tv locali nelle aree del Paese in cui fosse impossibile rispettare la riserva di un terzo a loro favore.
(1-01005)
«Peluffo, Meta, Zampa, Gentiloni Silveri, Boffa, Bonavitacola, Cardinale, Gasbarra, Ginefra, Laratta, Lovelli, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tullo, Velo».
(11 aprile 2012)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLA CALABRIA

   La Camera,
   premesso che:
    il contesto recessivo, che investe l'economia dell'Occidente e il Paese, rischia di travolgere in maniera più incisiva le regioni del Mezzogiorno e, in particolare, la Calabria, come confermano autorevoli centri di ricerca istituzionali e come può agevolmente evincersi dagli indicatori economici e sociali, i quali evidenziano che il dato regionale dell'occupazione, già gravemente in affanno, nella prima parte del 2012 è diminuito in Calabria di circa il 5 per cento ed il prodotto interno lordo pro capite permane nettamente il più basso d'Italia, ben al di sotto della soglia dei 18.000 euro, considerata la frontiera della vivibilità;
    il dato occupazionale desta maggiore preoccupazione se si considera che il tasso di disoccupazione complessivo della Calabria (19,5 per cento) è circa il doppio della media nazionale (10 per cento) e cresce, in particolare, per le donne, nonostante in Calabria ci siano più di 45 mila imprese femminili e, nel corso del 2011, la regione abbia visto un incremento delle imprese guidate da donne dell'1,6 per cento a fronte dello 0,4 per cento di quelle maschili;
    la crisi finanziaria globale e la crisi fiscale dello Stato italiano hanno avuto un profondo impatto sulle economie regionali. Un'approfondita analisi territoriale di inizio 2012 de Il Sole 24 Ore – Centro Studi Sintesi, attraverso la combinazione di otto rilevanti indicatori economici (propensione all’export, produttività, tasso di occupazione, indice di imprenditorialità, grado di apertura commerciale, sofferenze su crediti di impresa, numero di brevetti europei, prestiti alle imprese), ha determinato una graduatoria delle regioni italiane basata su un indice sintetico di performance che ha collocato la Calabria all'ultimo posto con un valore dell'indice pari a 11,71 (economia statica), significativamente distante dalla Basilicata (22,94), dalla Campania (24,62), dalla Sicilia (26,06) e dalla Sardegna (40,99);
    la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati di autorevoli centri di ricerca istituzionali evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
    secondo la Svimez, a fronte di un dato nazionale di 25.583 euro, il prodotto interno lordo pro capite nel 2010 ha registrato divari regionali sempre più marcati: la regione più ricca è stata la Lombardia, con 32.222 euro pro capite. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.574 euro), mentre all'ultimo posto si colloca la Calabria (16.657 euro);
    in tale ottica, occorre in particolare sostenere la crescita e l'apertura internazionale del sistema produttivo ed economico della regione Calabria, valorizzando e favorendo la penetrazione sui mercati esteri delle eccellenze territoriali, anche attraverso la promozione ed il finanziamento di specifici accordi di programma tra i competenti Ministeri, l'Istituto nazionale per il commercio estero, la regione ed i propri organismi operativi, per l'attuazione di programmi ed interventi integrati finalizzati all'attivazione di network operativi funzionali;
    nonché occorre creare condizioni realmente incentivanti per gli investitori e per rendere effettivamente Gioia Tauro un hub internazionale che restituisca all'Italia la centralità nel Mediterraneo;
    appare chiaro che, per avviare uno stabile processo di adeguamento competitivo e di sviluppo nonché idonei livelli di attrattività dei territori del Mezzogiorno, occorre mettere in campo risorse adeguate per coniugare la diffusione della cultura della legalità e della partecipazione democratica, con una costante opera di repressione e di lotta alle mafie, anche mediante il rafforzamento e la razionalizzazione della rete dei presidi di legalità sia con riguardo agli uffici di polizia giudiziaria sia con riguardo alla rete dei tribunali, valutando anche le indicazioni provenienti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del 25 gennaio 2012 e i pareri delle commissioni parlamentari rispetto all'esame del decreto legislativo n. 155 del 2012 di revisione delle circoscrizioni giudiziarie,

impegna il Governo:

   a una forte azione per lo sviluppo e l'inclusione sociale in Calabria che, con il resto del Mezzogiorno, è parte determinante della strategia di crescita dell'Italia e, pertanto, in considerazione di quanto rappresentato in premessa:
    a) a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'attività di studio o formazione (neet), nonché a continuare negli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari, da realizzare entro ottobre 2012, in particolare per:
     1) rifinanziare la misura introdotta con l'articolo 2 del decreto-legge 70 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 1 del 2012, relativa al credito d'imposta per i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati, in base anche agli esiti dei primi bandi pubblicati dalla regione;
     2) finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale della regione;
    b) a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, per i quali sono complessivamente stanziati in Calabria oltre 100 milioni di euro, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del fondo sviluppo e coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni della Calabria o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
    c) a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese della Calabria, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
    d) a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus, aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia; in questo contesto, inoltre:
     1) ad assumere in tempi rapidi ogni atto necessario per dare attuazione all'accordo di programma quadro che ha previsto finanziamenti per un totale di 459 milioni di euro a favore dell'area di Gioia Tauro, per accelerare le procedure e dare compiuta attuazione agli impegni sottoscritti, anche attraverso l'adozione di ogni atto necessario affinché l'area portuale di Gioia Tauro sia segnalata alla Commissione europea come zona in cui garantire le condizioni infrastrutturali ancora necessarie per superare l'attuale assenza di interazione tra ambito portuale e retro portuale, tra impianto portuale e sistema produttivo;
     2) a porre in essere tutte le iniziative necessarie per rispettare gli impegni assunti dal Governo, di concerto con la società Anas spa, affinché l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, relativamente alla parte già cantierata, sia completata entro il 2013, e a promuovere l'avvio della realizzazione degli ultimi 59 chilometri che vanno progettati ed appaltati, con le modalità più idonee per l'accesso alle esigenze finanziarie;
     3) ad assumere in tempi ragionevoli una posizione definitiva in merito al progetto del ponte sullo Stretto, mantenendo in ogni caso la destinazione delle somme al sistema infrastrutturale calabrese e siciliano;
    e) a finanziare il programma straordinario per gli uffici giudiziari e la polizia giudiziaria della regione Calabria, nell'interesse dei cittadini e in coerenza con le linee guida approvate all'unanimità dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere nella seduta del 25 gennaio 2012 e a garantire a tutti i livelli, tenuto conto del nesso particolarmente stretto tra sviluppo economico-territoriale e legalità, adeguati presidi di legalità, anche con riferimento al complesso della rete dei tribunali calabresi;
    f) a sollecitare i soggetti attuatori affinché avviino celermente gli interventi di riduzione del dissesto idrogeologico, di bonifica dei siti inquinati e di manutenzione del territorio di cui alle delibere Cipe del 3 agosto 2011, 20 gennaio 2012 e del 3 agosto 2012, in forze delle quali sono stati stanziati per la regione Calabria, rispettivamente, 723 milioni di euro, 199 milioni di euro e 38 milioni di euro, anche tramite le verifiche e i sopralluoghi effettuati dal team di tecnici delle strutture del Ministero per la coesione territoriale;
    g) a dare ulteriore stimolo al processo di bonifica delle aree industriali dismesse del crotonese ex Pertusola, ex Fosfotec ed ex Agricoltura, interessate da un alto livello di contaminazione da metalli pesanti del suolo e delle acque di falda;
    h) ad adottare ogni iniziativa utile per una celere attuazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici già finanziati con le risorse di cui alla delibera Cipe del 20 gennaio 2012, n. 6, dove oltre 42 milioni di euro sono destinati alle scuole della Calabria;
    i) a verificare urgentemente gli adempimenti ancora necessari per completare l’iter per la realizzazione dei nuovi ospedali previsti dall'accordo di programma integrativo sottoscritto dal Ministro della salute e dal presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007;
    l) a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
    m) a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici anche per accrescere l'offerta turistica regionale, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche di Sibari, Roccelletta di Borgia, Locri e Kroton (con l'istituzione di un parco archeologico relativo alla vecchia polis crotoniate e all'area sacra di Capo Colonna), nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari, di cui una larga parte riguarda il patrimonio archeologico della regione Calabria, nonché a verificare la possibilità, d'intesa con le diverse realtà territoriali interessate, di recuperare il tracciato dell'antica via Popilia, quale strumento per il recupero dell'identità storica di un territorio vasto e multiforme e delle sue molteplici interrelazioni.
(1-01118)
(Ulteriore nuova formulazione) «Bersani, Cicchitto, Casini, Misiti, Angela Napoli, Moffa, Belcastro, Mosella».
(31 luglio 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    la Calabria vive in questo periodo un momento difficile, di sofferenza, con ampie zone grigie di remissività allo stato attuale delle cose in ogni settore, e non riesce a liberarsi da alcuni limiti, figli di una cultura delle clientele e del favore, in luogo di quella del primato dei diritti, che ne impediscono un sano ed armonioso sviluppo della vita sociale, economica e politica;
    la politica «di clientela» in Calabria occupa troppi spazi e specula sui bisogni delle fasce più deboli della popolazione, impedendo colpevolmente la soluzione definitiva dei problemi. La particolare debolezza degli apparati produttivi e delle relazioni di mercato, l'asfissia di presidi democratici autonomi, la fragilità del tessuto associativo, la diffusione pervasiva di insediamenti mafiosi, il peso patologico del settore pubblico nell'economia fanno sì che nella regione la politica rappresenti il grande e tendenzialmente unico regolatore della vita di ciascuno e di tutti;
    i rappresentanti politici devono tornare ad essere modello di eticità, lungimiranza e dedizione alla cosa pubblica, ancor di più in una regione come la Calabria, afflitta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, da incuria e dispregio generalizzato per i beni pubblici. La politica deve tornare ad essere competenza, capacità, responsabilità;
    secondo un report della Banca d'Italia, nel 2011 l'attività economica della Calabria ha ristagnato dopo il lieve recupero del 2010;
    secondo le indagini della Banca d'Italia presso le imprese industriali con almeno 20 addetti, il 53 per cento delle aziende con sede in Calabria ha registrato un calo del fatturato, contro il 45 per cento che ha osservato un aumento. Per il 2012, il saldo dei giudizi delle imprese sul fatturato è previsto in peggioramento;
    il permanere di ampi margini di capacità inutilizzata e i segnali di ulteriore rallentamento della domanda, a cui si sono associate, a partire dalla seconda parte del 2012, le tensioni sulle condizioni di finanziamento hanno ostacolato gli investimenti da parte delle imprese: nel 2011 il saldo tra la percentuale delle aziende che indicano un incremento degli investimenti e quelle che ne indicano un calo è diventato negativo; nel 2012, in base alle indicazioni delle imprese, l'accumulazione di capitale dovrebbe diminuire ancora;
    le esportazioni di merci della regione hanno rallentato, continuando a crescere meno di quelle del Mezzogiorno e dell'Italia, per effetto di un forte calo delle vendite verso l'Unione europea e, in particolare, verso i Paesi in cui è in atto una crisi del debito (Spagna, Grecia, Portogallo);
    i comparti dell'agroalimentare, dei prodotti chimici e dei macchinari, che complessivamente costituiscono oltre il 70 per cento delle esportazioni, hanno subito una flessione;
    il settore delle costruzioni ha risentito in maniera accentuata dell'avversa congiuntura economica. Secondo l'indagine della Banca d'Italia presso le imprese del settore, la produzione e l'occupazione si sono ridotte. Sul mercato dell'edilizia residenziale, le transazioni sono diminuite per il quinto anno consecutivo;
    con riferimento ai soli servizi privati non finanziari, l'indagine della Banca d'Italia su un campione di imprese con almeno 20 addetti segnala che il 55 per cento delle imprese ha registrato un calo del fatturato, mentre solo un quinto di esse ha indicato un aumento. L'andamento del commercio ha riflesso la diminuzione del reddito disponibile reale e dei consumi delle famiglie;
    sono diminuite sia le immatricolazioni di autovetture, sia le vendite di altri beni durevoli. Ha, invece, avuto un andamento positivo il settore del turismo, dopo un triennio di crisi;
    nel 2010, il tasso di disoccupazione tra i giovani calabresi nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni è stato del 39 per cento. Questo, a fronte di un tasso di scolarità maggiore che nel resto del Paese. Nel 2008, la percentuale dei giovani iscritti alla scuola secondaria superiore era del 97,6 per cento. I laureati sono passati da 5.800 nel 2001 ad una cifra pari a 13.500 nel 2008;
    oggi si stima che il tasso di disoccupazione giovanile sia salito addirittura al 65 per cento, mentre quello delle donne al 41 per cento. Un notevole capitale umano, poco utilizzato. Infatti, soltanto il 28,3 per cento dei giovani tra i 15-34 anni risultano occupati. Un capitale umano che prende la strada dell'emigrazione e che vede come prima regione di destinazione dei flussi migratori la Lombardia e come seconda l'Emilia Romagna;
    la probabilità di trovare lavoro entro un anno per i disoccupati calabresi è stata sensibilmente influenzata dalla crisi economica, scendendo dal 29 per cento del 2008 al 23 nel 2010, valore in linea con quello del Mezzogiorno, ma inferiore di oltre cinque punti alla media nazionale;
    le ore autorizzate di cassa integrazione guadagni sono cresciute fortemente nel 2011, sebbene meno che nel 2010, con un andamento molto più negativo di quello del Mezzogiorno;
    in Calabria l'area del precariato comprende anche un bacino piuttosto largo di lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità. Sono più di cinquemila (5.200) i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità in Calabria, rispetto ai quali si perpetuano i problemi della mancata adozione di misure organiche di stabilizzazione e dell'incertezza di fondi per pagare i sussidi;
    nel corso del 2011 la crescita del credito erogato dagli intermediari bancari alla clientela residente in Calabria ha decelerato rispetto al 2010 ed è stata simile a quella media nazionale. Nei primi mesi del 2012, secondo i dati provvisori, i prestiti bancari sono lievemente diminuiti rispetto allo stesso periodo del 2011;
    nel 2011 i prestiti bancari alle famiglie consumatrici hanno rallentato; alla riduzione del ritmo di crescita registrata dai finanziamenti erogati per l'acquisto di abitazioni si è associato il calo del credito al consumo nella seconda parte dell'anno. A dicembre 2011 il tasso di interesse medio sui mutui per l'acquisto di abitazioni era superiore di 1,1 punti percentuali rispetto a un anno prima. La crisi si è riflessa in una minore partecipazione delle famiglie al mercato dei mutui immobiliari; negli anni più recenti le nuove erogazioni si sono orientate nuovamente verso formule indicizzate;
    in Calabria la crisi nel 2011 ha bruciato 249 imprese, praticamente ci sono stati 15,8 fallimenti ogni 10 mila aziende attive. A livello regionale – come rivela lo studio sull'andamento dei prestiti al sistema imprenditoriale negli ultimi dieci mesi – i più penalizzati sono gli imprenditori calabresi. Con il ricorso ai prestiti bancari, gli imprenditori delle piccole aziende calabresi sono, infatti, chiamati a pagare i tassi di interesse più alti (9,11 per cento): una regola che vale sia per il settore delle costruzioni (dove i calabresi pagano tassi dell'8,10 per cento) che per quello del manifatturiero e dei servizi. Anche in questo caso è forte divario tra Nord e Sud: in Trentino, per esempio, l'accesso al credito è relativamente meno caro: interessi al 5,5 per cento. Quasi la metà;
    l'accesso al credito è ormai sempre più un privilegio per pochi e da qui al prossimo futuro ci si troverà molto spesso dinnanzi ad imprese che «chiudono per crediti» non riscossi, e con debitore – ovviamente – la pubblica amministrazione. Infatti, ad esempio, le aziende sanitarie locali possono arrivare ad accumulare ritardi anche di oltre 4 anni;
    in un contesto così sfavorevole non aiutano, anzi penalizzano fortemente, le decisioni del Governo in materia di riduzione della spesa, in particolare sul pubblico impiego, dove addirittura si corre il rischio di mettere in discussione i livelli occupazionali esistenti, oltre che rendere, di fatto, impossibile l'accesso delle nuove generazioni al mercato del lavoro pubblico;
    gli stessi interventi previsti nel piano per il Sud varato dal Governo rischiano di essere riduttivi se non inquadrati in un modello di sviluppo compatibile con le specificità territoriali e, quindi, funzionali ad una rapida integrazione della regione Calabria nel sistema produttivo nazionale ed internazionale;
    in questo contesto, le questioni del lavoro in una regione come la Calabria, caratterizzata dalla drammatica stratificazione di emergenze sociali, ambientali e civili, possono trovare soddisfacente riscontro solo nell'ambito di comuni strategie di sviluppo;
    la più grande di dette emergenze, tale da mettere a repentaglio il futuro stesso del territorio, è data dal dissesto idrogeologico. Il degrado della regione, da questo punto di vista, evoca in termini inderogabili ed urgenti una sorta di rivoluzione culturale nelle strategie di Governo. È necessario addivenire all'allestimento di un complessivo piano di riqualificazione ambientale, sulla cui attuazione concentrare tutte le risorse finanziarie reclutabili in campo europeo, nazionale e regionale. Tale iniziativa, nel risistemare un territorio altrimenti inidoneo a qualunque sviluppo, garantirebbe un consistente tasso occupazionale, soprattutto appannaggio dei giovani, che sempre più numerosi abbandonano la loro terra alla ricerca di lavoro e di futuro;
    le condizioni del mare calabrese sono oggettivamente precarie. Questo dato, insieme a quelli inerenti al territorio, evidentemente pregiudicano, soprattutto, lo sviluppo del turismo verso il quale, indubbiamente, la Calabria può e deve aspirare;
    dal punto di vista ambientale la Calabria è «formalmente» in emergenza. La dichiarazione dello stato di emergenza è del 1997. In dodici anni per la gestione dell'emergenza ambientale in Calabria si sono avvicendati 11 commissari;
    dopo 12 anni di commissariamento, sul versante del ciclo integrato dei rifiuti, la Calabria è ancora all'anno zero, nonostante alcuni esempi di virtuosità riscontrabili in pochi comuni che, con propria iniziativa, hanno applicato il metodo della raccolta differenziata;
    i pochi impianti di trattamento e smaltimento esistenti in Calabria stanno esaurendo le loro capacità di intervento. La situazione è delicata e potrebbe esplodere da un momento all'altro. In Calabria ogni mille metri di costa c’è un depuratore. In tutto sono 700. Quelli sul litorale, però, sono solo tubi che fanno viaggiare tonnellate di rifiuti, avanti e indietro. Sono depuratori «fantasma». Il mare è sempre sporco, in certi giorni la schiuma biancastra è una striscia lunga 250 chilometri. Il Tirreno è diventato il bidone dell'immondizia di 2 milioni d'abitanti;
    un obiettivo decisivo è, dunque, connesso al potenziamento ed allo sviluppo in Calabria di attività diffuse legate all'economia verde. La sostenibilità ambientale quale patto tra le varie generazioni sarà sempre più la sfida e il metro di valutazione delle politiche pubbliche e degli investimenti economici a scala globale;
    un altro obiettivo importantissimo è relativo alla costruzione di una nuova e più efficace concezione di welfare, basato meno su trasferimenti monetari assistenziali ai singoli e più sull'offerta di servizi di sostegno ai bisognosi e ai meritevoli. Si assiste poco e male chi ne ha bisogno e disabili, ammalati cronici, intere categorie sociali sono lasciate sole. È necessario un welfare inclusivo e attivo, orientato a creare le condizioni per assicurare maggiore coesione;
    questa sfida appare tanto più difficile in quanto il governo Scopelliti dimostra tutta la propria indifferenza, se non vere e proprie ostilità, nei confronti dell'innovazione quale sistema di rigoroso rispetto delle necessità regionali. Basti rievocare l'inaccettabile «legge casa» che sostanzialmente determina una brutale espansione dei tassi della volumetria edificabile che già oggi, soprattutto lungo le coste, spicca per incompletezza strutturale e disseminato insediamento territoriale. Tanto più che da accreditatissime valutazioni di settore si desume l'inquietante dato per cui in Calabria esiste un numero maggiore di abitazioni rispetto agli abitanti;
    la stessa utilizzazione dei fondi europei ha conosciuto di recente una destinazione, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, dal chiaro tenore clientelare, rispetto al quale occorrerebbe con immediata risolutezza prendere le distanze;
    un grande piano di riqualificazione ambientale comprenderebbe, di fatto, la tutela e la valorizzazione dello straordinario patrimonio storico, archeologico e naturalistico, effettivo presupposto di uno sviluppo soprattutto turistico davvero strutturale;
    in questo quadro è inammissibile la persistenza del commissariamento per l'emergenza ambientale che per lunghi lustri ha, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, semplicemente sperperato qualche miliardo di euro senza assicurare alcun reale ritorno in termini di servizio alla popolazione;
    va citata la specifica realtà crotonese, in attesa da quasi un ventennio di un processo di decontaminazione quale intervento risarcitorio dei danni procurati all'ambiente e alla salute dei cittadini lungo oltre mezzo secolo di industrializzazione priva dei minimi presidi strutturali e tecnologici, atti a scongiurare effetti purtroppo ancora in essere e dalle proporzioni davvero drammatiche;
    la straordinarietà delle sfide presenti nella realtà calabrese, proporzionali a una sistematica inidoneità di governo, evocano responsabilità di indifferente colorazione politica;
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012, è stata decretata la compatibilità ambientale e il beneplacito al proseguimento dell'iter autorizzativo della centrale a carbone di Saline Ioniche, in provincia di Reggio Calabria. Ma sentenze della Corte costituzionale hanno stabilito il principio secondo cui la localizzazione degli impianti energetici non possa avvenire in assenza di intesa con la regione interessata (si veda la sentenza n. 383 del 2005). La letteratura scientifica dimostra in maniera inequivocabile come gli impianti a carbone costituiscono un danno conclamato alla salute delle persone e dell'ambiente. L'impatto sanitario del carbone, anche prendendo a riferimento gli impianti più moderni, è valutato almeno 5 volte superiore a un equivalente impianto a gas rispetto alle morti premature causate dall'inquinamento e circa doppio in termini di emissioni di gas climalteranti;
    la destinazione del territorio calabrese a centro per la produzione energetica non può che minare alla base ogni seria prospettiva di sviluppo turistico e agricolo della Calabria, le uniche concrete e valide alternative economiche e occupazionali a lungo termine a una miope politica economica che vede il futuro della Calabria nero come il carbone;
    in riferimento all'altra grande questione che è quella infrastrutturale, al di là di un qualche progresso registrato nei lavori di ammodernamento della A3, permane non solo la consueta deficienza viaria e ferroviaria, ma addirittura la regione è oggetto di una spoliazione di servizi che, se non riparata, è destinata a desertificare gran parte del suo territorio. In questi termini, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono violati persino fondamentali diritti costituzionali;
    la spesa dello Stato per il ponte sullo Stretto, a parte ogni altra considerazione, porterà a rinunciare alla realizzazione di opere ben più importanti e urgenti:
     a) ferroviarie: dal potenziamento e collegamento della rete tirrenica con Taranto e Bari al potenziamento dei collegamenti tra Catania, Messina e Palermo, fino all'adeguamento di linee vecchissime come la Palermo-Agrigento e la Ragusa-Catania;
     b) portuali: con il rafforzamento dei collegamenti e delle strutture nelle aree portuali di Messina, Palermo, Trapani, Catania, Villa San Giovanni, Gioia Tauro e Taranto;
     c) stradali: dall'adeguamento della statale jonica al completamento dei collegamenti alla A3 in Calabria al completamento della Palermo-Messina, fino all'adeguamento dei collegamenti tra Catania, Siracusa e Gela;
    per quanto concerne i trasporti ferroviari, i problemi principali sono dovuti all'obsolescenza delle carrozze, alla mancanza di servizi alle fermate, ai guasti alle linee elettriche;
    in nessuna regione italiana l'ammontare degli stanziamenti per il servizio (ossia il contributo a Trenitalia o agli altri concessionari per avere più treni in circolazione) e per l'acquisto di nuove carrozze arriva nemmeno allo 0,4 per cento del bilancio regionale;
    i container movimentati nel Mediterraneo mediante transhipment tra il 2006 e il 2015 cresceranno del 50 per cento; le movimentazioni Nord-Sud e viceversa nel Mediterraneo danno un ruolo decisivo al porto di Gioia Tauro se verranno sistemati e attivati i servizi ferroviari. Diventa indispensabile costruire una piattaforma logistica transnazionale che gestisca la distribuzione di merci nel continente europeo. Va costruita una rete che, oltre agli attuali porti di Corigliano e Rossano, dovrebbe coinvolgere anche i porti di Messina, Catania e Augusta. Occorre progettare e realizzare un distripark, una piattaforma logistica avanzata dove le merci vengono prelevate dai container e, attraverso attività logistiche e l'immissione di valore aggiunto (quali il confezionamento, l'etichettatura, l'assemblaggio, il controllo di qualità e l'imballaggio), vengono poi preparate per la spedizione, adattandole alle richieste del cliente finale e ai requisiti del Paese di destinazione. Questo sistema può determinare una ricaduta positiva a livello occupazionale per la molteplicità delle competenze necessarie;
    la strada statale 106, fatta eccezione per alcuni tratti, è l'identica infrastruttura degli anni ’30: non solo bandiera di arretratezza ma elemento di emarginazione di circa metà della popolazione regionale. A fronte di tutto questo le Ferrovie continuano a disconoscere il diritto alla mobilità dei calabresi e lo stesso Governo nazionale si appresta a cancellare due strutture aeroportuali. La cosa appare ai firmatari del presente atto di indirizzo come inquietante cifra della scarsa conoscenza, da parte dell'attuale Ministero, della realtà di un'intera regione;
    in Calabria si è consolidata una vera e propria «metodologia del disservizio». Tale metodologia è l'aspetto prevalente del sistema sanitario in Calabria, mostrando sempre le stesse caratteristiche di un sistema caratterizzato da debolezza strutturale in una micidiale combinazione tra Governo regionale, che non riesce a imporre scelte di rinnovamento, governo aziendale, troppo spesso senza capacità di gestione, degrado e inadeguatezza strutturale dei presidi sanitari, disorganizzazione amministrativa e gestionale, comportamenti professionali non adeguati. Tale «metodologia del disservizio» a volte può risultare fatale, pregiudica le esigenze assistenziali, impedisce un efficace governo della spesa e conduce a rilevanti disavanzi finanziari;
    il deficit corrente che si accumula ogni anno è pari ad altri 200-250 milioni di euro. La giunta Scopelliti ha certificato il debito del settore in 1,45 miliardi di euro;
    la Calabria, con 2.011.677 abitanti, ha una rete ospedaliera composta da 37 strutture pubbliche e 35 case di cura accreditate. Il rapporto tra strutture ed abitanti è di una ogni 27.937. Da una recente indagine risulta che almeno 25 delle 37 strutture sono da considerarsi inutili, antieconomiche e assommano servizi improduttivi e ripetitivi. Appare singolare la coincidenza tra reparti ospedalieri scarsamente funzionanti e cliniche private, situate a poca distanza, che operano in maniera valida sulle stesse funzioni specialistiche «disastrate» degli ospedali;
    la Calabria è la regione con il più alto numero di posti letto nelle strutture private (il 32 per cento contro il 19 per cento nazionale). La spesa per la sanità privata è tra le più alte d'Italia, pari a 1 miliardo e 200 milioni di euro all'anno (dato 2005). Nello stesso anno la spesa per le strutture pubbliche era di 1 miliardo e 600 milioni. Il secondo dato è che in Calabria il 94 per cento delle strutture socio-assistenziali sono private. Molto spesso tali numeri nascondono non solo sprechi, ma anche vere e proprie truffe;
    con un numero di strutture, pubbliche e private, abnorme rispetto alle dimensioni della regione, la Calabria non figura tra le regioni virtuose, anche con riferimento al problema delle liste d'attesa;
    non si può certo trascurare il ruolo della criminalità organizzata nel mancato sviluppo della regione. In testa alle preoccupazioni degli operatori economici risultano i problemi dell'usura e dell'estorsione. Serve un'analisi e una riflessione sui costi della criminalità in termini di mancato sviluppo e rallentamento dell'economia locale. Si rileva, peraltro, una recrudescenza degli episodi di violenza e criminalità, con un marcato aumento soprattutto nell'area del capoluogo e dello Ionio;
    un territorio riesce ad essere competitivo se è in grado di produrre conoscenza, ovvero se risulta capace di fare ricerca, elaborando le conoscenze scientifiche per future applicazioni produttive e, quindi, producendo innovazione. Da qui l'importanza, da una parte, dei processi di formazione e di accumulazione della conoscenza, responsabili della qualità delle risorse umane, e, dall'altra, del legame tra ricerca scientifica e industria, in quanto passaggio indispensabile per la crescita tangibile del sistema economico;
    lo sviluppo civile e lo stesso sviluppo economico della Calabria dipendono dalla qualità delle risorse umane, dalle competenze e conoscenze diffuse nell'intero corpo sociale. La conoscenza è l'ingrediente di base del nuovo paradigma di sviluppo. Solo attraverso rilevanti e sistematici investimenti nella formazione e nell'istruzione è possibile conseguire livelli di qualità delle risorse umane adeguati ai nuovi bisogni dell'odierna società della conoscenza;
    la lotta alla ’ndrangheta deve essere prioritaria, preventiva, quotidiana e non estemporanea dettata solo dalle emergenze. I calabresi sono desiderosi di riscatto e la lotta alle cosche passa anche, e soprattutto, dalla questione morale, divenuta ormai in Calabria più un accessorio che un valore da mantenere e perseguire,

impegna il Governo:

   ad attuare un'immediata inversione di tendenza nelle politiche finora praticate, come richiamata nelle premesse, in assenza della quale, senza alcuna indulgenza a tentazioni retoriche, la Calabria verrebbe definitivamente rigettata al di fuori del contesto nazionale ed europeo e, al contempo, alcune sue aree interne escluse dallo stesso contesto regionale;
   in particolare, a produrre uno sforzo straordinario per velocizzare, per quanto di competenza, tempi e procedure per l'erogazione dei fondi strutturali, accelerando programmi e progetti attraverso un corretto e celere utilizzo delle risorse, orientando la spesa verso tre principali ambiti d'intervento: infrastrutture, investimenti e lavoro;
   a promuovere la convocazione di un tavolo tecnico, compartecipato dai principali attori della filiera agrumicola, per formulare le linee programmatiche di indirizzo e di intervento volte a contenere i costi di produzione, riorganizzare la commercializzazione e migliorare la qualità dei prodotti, rivedere la politica dei prezzi, adoperandosi affinché le arance calabresi possano ricevere adeguata remunerazione in rapporto alla loro qualità e genuinità e a sostenere l'inserimento, nel Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, di misure per la conversione e diversificazione agrumicola, dando la priorità alle zone ad agrumicoltura commercialmente obsoleta;
   a promuovere una rimodulazione del fondo sociale europeo, concentrando le misure esclusivamente sulla «occupabilità» per dare risposte immediate ai tanti giovani calabresi sul fronte occupazionale;
   ad attivare uno specifico «tavolo Calabria» tra il Governo, gli enti territoriali e le rappresentanze delle parti sociali, mirato a superare le criticità esistenti e a favorire la piena integrazione della regione nel sistema Paese mediante iniziative per:
    a) il ripristino di una fiscalità di vantaggio per le imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato;
    b) un piano straordinario, anche con risorse europee aggiuntive, per svuotare il bacino del precariato nel settore pubblico (lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità);
    c) il sostegno agli investimenti nella green economy;
    d) il collegamento tra la riqualificazione ambientale e le politiche per l'occupazione;
    e) il sostegno alla riqualificazione dei centri storici, agevolando il rafforzamento strutturale degli edifici pubblici e delle abitazioni dei comuni calabresi (in merito soprattutto all'adeguamento sismico ed al risparmio energetico);
    f) la promozione di un'agricoltura di qualità tramite:
     1) la riduzione delle accise gravanti sui carburanti, da applicarsi al prezzo alla pompa del gasolio e dei prodotti energetici destinati all'utilizzo in agricoltura, nella pesca e nell'itticoltura, per i prossimi 3 anni per affrontare la grave crisi del settore dell'agricoltura e della pesca professionale;
     2) l'obbligatorietà dell'indicazione dell'origine o della provenienza del prodotto, nella pubblicità ed in ogni forma di comunicazione commerciale;
    g) l'accelerazione in sede comunitaria della proposta di inserire un capitolo sul Mediterraneo nel regolamento di base della nuova politica comune della pesca;
    h) il potenziamento e non smantellamento degli uffici giudiziari ubicati nelle aree ad alta densità mafiosa;
    i) la definizione di risorse certe per un piano organico di prevenzione e di recupero del dissesto idrogeologico;
    l) un nuovo impulso alla bonifica delle aree industriali dismesse del crotonese ex Pertusola ed ex Fosfotec;
    m) la rinuncia definitiva al ponte sullo Stretto;
    n) il ritiro del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012 che ha decretato la compatibilità ambientale e il beneplacito al proseguimento dell'iter autorizzativo della centrale a carbone di Saline Ioniche;
    o) la predisposizione di un piano straordinario per il potenziamento e l'ammodernamento della rete viaria (A3, strada statale 106, strade di collegamento) e del sistema ferroviario, integrando con risorse nazionali le risorse del por Calabria destinate a questo ambito;
    p) il progetto, in riferimento al porto di Gioia Tauro, di una piattaforma logistica transnazionale che gestisca la distribuzione di merci nel continente europeo, costruendo una rete con i porti di Corigliano, Rossano, Messina, Catania e Augusta e mettendo in campo una piattaforma logistica avanzata (districpark), dove le merci vengono prelevate dai container e, attraverso attività logistiche e l'immissione di valore aggiunto, vengono poi preparate per la spedizione nei vari Paesi europei;
    q) la definizione di regole più stringenti per agire sulle situazioni di conflitto di interesse con le regioni di chi partecipa agli utili delle aziende sanitarie private accreditate;
    r) la definizione di regole nazionali che riducano i posti letto nella sanità privata e le convenzioni per quei servizi già sufficientemente offerti dal settore pubblico;
    s) un maggior sostegno finanziario agli atenei regionali, aumentando gli investimenti nella ricerca applicata (università, sedi del Consiglio nazionale delle ricerche e altro);
    t) la permanenza in Calabria dei ricercatori, anche attraverso il finanziamento di tirocini di ricerca e/o di percorsi formativi di eccellenza nelle pubbliche amministrazioni, nelle università e nelle imprese.
(1-01129)
«Di Pietro, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Messina, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».
(10 settembre 2012)

   La Camera,
   premesso che:
    «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile». Questo pericolo, avvertito con lucido realismo da Corrado Alvaro, resta ancora oggi, purtroppo, drammaticamente attuale;
    la «questione calabrese», nella sua assoluta individualità, è la prova lampante della varietà ed eterogeneità assunte dalla «nuova» questione meridionale, così come chiarito dalla più accorta letteratura specialistica. Esistono specificità non solo di carattere economico, ma anche storico e sociale che fanno della Calabria un caso assolutamente particolare e, si badi, non omogeneo. Esistono, infatti, differenze sostanziali tra le singole sub-regioni geografiche, tali da richiedere interventi differenziati e coerenti con le prospettive e le suscettività dei singoli territori;
    la storia e l'evoluzione dei centri della costa jonica settentrionale sono profondamente diverse da quelle conosciute dalle genti del vicino marchesato crotonese; ma anche molto differenti dalla realtà del reggino, ossia dagli assetti e dalle condizioni sociali della costa tirrenica della regione. Eterogeneità e singolarità che, inevitabilmente, si acuiscono nel nesso tra le aree montuose dell'interno e quelle costiere. Non cogliere adeguatamente tali differenziazioni territoriali all'interno dello spazio politico-amministrativo calabrese significa, di fatto, rendere di scarsa efficacia ogni politica tesa ad affrontare, per risolverli, i preoccupanti ritardi che ne assillano le rispettive popolazioni e ostacolano lo stesso sviluppo virtuoso dell'intero Paese nel quadro europeo unitario;
    necessitano, ovverosia, interventi diversi e specifici; serve un approccio differente rispetto a quello che caratterizza l'intervento rivolto ad altre regioni del Meridione;
    la Calabria conta 2.010.709 abitanti, secondo i dati Istat. La Sicilia conta 5.045.176 abitanti, più del doppio, la Campania 5.835.561, la Puglia 4.090.402. Reggio Calabria, la città calabrese più popolosa, conta appena 186.464 abitanti, unica sopra i centomila, più città media che area metropolitana, nonostante la stretta e funzionale interazione con Messina, sulla sponda sicula. Catanzaro, con i suoi 93.144 abitanti, tende a porsi verso la soglia dei centomila. Tutte le altre città ne restano ben lontane: Lamezia Terme con 71.273 abitanti, Cosenza con 70.044 abitanti, Crotone con 62.182 abitanti, per ricordare le maggiori, mentre nel restante territorio gli ulteriori centri di livello gerarchico superiore si fermano sotto la soglia dei 50 mila abitanti;
    nel confronto con le altre regioni del Mezzogiorno la realtà urbana calabrese appare ancora più lontana da assetti capaci di esprimere una solida armatura urbana, efficientemente distribuita sul territorio regionale;
    basterebbero questi dati per rendere trasparente la particolarità della regione calabrese, tuttora povera di una concreta e solida ossatura insediativa in grado di ordinare, coordinare e promuovere la crescita e lo sviluppo del territorio regionale;
    in sostanza, non va dimenticato che il processo di urbanizzazione – che ha caratterizzato l'innovazione indotta dagli effetti diffusivi della rivoluzione francese, segnandone uno dei tratti di maggiore modernità, così come, più in generale, le rivoluzioni borghesi, da cui è scaturito il vento ideale che ha favorito la separazione della campagna e del relativo modello produttivo, dalle dinamiche proprie dei centri urbani – in Calabria inizia in maniera evidente solo nel secondo dopoguerra, cioè, con oltre 150 anni di ritardo, ed avviene, non poteva essere altrimenti, in maniera traumatica e contraddittoria, accompagnato da un consistente flusso migratorio verso i centri urbani esterni alla regione. La conseguenza maggiormente dirompente di questa drammatica storia di marginalità estrema va ricercata nello svuotamento drastico delle campagne, in una regione a forte caratterizzazione agricola, e nella nascita di piccoli centri urbani, del tutto improduttivi, perché carenti di una propria borghesia in grado di contribuire ad un coerente posizionamento competitivo nello scenario moderno;
    da ciò scaturisce la rappresentazione di una «geografia urbana» costruita su di una miriade di piccoli centri, spesso confinati, le cui modeste dimensioni si rivelano economicamente insostenibili, anche e sopratutto nell'ottica di una coerente offerta di servizi ai cittadini. Nello stesso tempo, effetto di un malinteso individualismo campanilistico, manca la propensione a creare unioni di comuni. Se ne contano solo una nella provincia di Catanzaro e tre in quella di Cosenza. Resiste, in altri termini, una tendenza al piccolo, al particolare, che non è unicamente dimensionale, bensì culturale, sociale e, quindi, inevitabilmente, geopolitica e geoeconomica;
    ulteriore tratto tipico della regione calabrese è il convivere, da secoli oramai, con una dimensione che potrebbe ben definirsi di «passaggio» e di «transizione», cioè di carattere intermedio, compresa a cavallo di due differenti egemonie. Nel regno borbonico, non a caso delle «due Sicilie», le capitali erano Napoli e Palermo. Lì erano le grandi dinastie, le famiglie nobiliari; lì erano il cuore del regno e il concreto «centro» della sua direzione politica ed economica. In quelle regioni e città – il centro di una civiltà – sarebbero nati, poi, quei ceti protagonisti delle rivoluzioni borghesi, pur essi stessi rapidamente soffocati dall'immobilismo meridionale. Al margine, vi è, poi, la dimensione di «transizione», propria della regione Calabria, territorio destinato ad un «passaggio» che non lascia spazio a forme aggregative autonome; poli gravitazionali intorno a cui costruire sviluppo autocentrato. Spazio geografico di «transito», giammai di innovazione territoriale virtuosa, realtà perpetuatasi sin da tempi remoti: da quelli della dominazione normanna, poi, molto più di recente, con il «passaggio» dei garibaldini e, infine, qualche anno più tardi, con l'avanzata senza ostacoli delle truppe alleate di liberazione;
    una dimensione di «transizione» che deve essere superata, proprio in quanto legata alla stessa confusione della «questione calabrese» con la più generale «questione meridionale», di cui certo è pur parte integrante e, tuttavia, distinta;
    da tenere presente che proprio questa dimensione di «passaggio» e di «transizione» ha determinato per la regione calabrese una realtà di isolamento ben più accentuata della «insularità» delle due grandi isole-regioni. Isolamento evidente, in particolare, se confrontato con la Sicilia perché caratterizzato da una carenza strutturale di infrastrutture e collegamenti;
    la storica carenza di una media borghesia imprenditoriale, prima ancora che industriale, è acuita dall'eterno contrasto tra i piccoli proprietari e i braccianti, dall'incapacità di una classe intermedia capace di compattarsi ed esprimere energie produttive virtuose, tratto questo davvero tipico della storia calabrese degli ultimi secoli, assolutamente determinante anche negli equilibri politici caratteristici del primo periodo repubblicano. Altrettanto interessante sarebbe riflettere sul peso politico e sociale che tuttora riveste nella regione la famiglia; anche ciò potrebbe contribuire ad avvalorare la mancanza di una rete di media imprenditorialità, la cui affermazione ha caratterizzato il processo di modernizzazione non solo in Europa, ma anche in molte altre realtà del nostro Paese;
    a confermarlo è un altro dato che traspare dalla considerazione dei caratteri salienti dell'emigrazione calabrese: quel 70 per cento del flusso che, carente di esplicita professionalità, si indirizza nel settore dei servizi (elaborazioni della Svimez su dati Istat);
    l'emancipazione economica e produttiva resta l'obiettivo da raggiungere ed ottenere, con il radicamento sul territorio di un solido capitale umano, forte di una media borghesia imprenditoriale autoctona (non di quella piccola, marginale e inadatta a costruire opportunità di sviluppo in ogni direzione). Un più operoso tessuto sociale, forte di competenze professionali e di capacità imprenditoriali, all'interno di un contesto dotato di adeguato capitale sociale, rappresenta l'unico mezzo attraverso cui si potrà conseguire una vera, vitale e persistente emancipazione economica e produttiva;
    le leve dello sviluppo, su cui innestare adeguate azioni promozionali, vanno individuate, con puntuale proiezione geopolitica, nelle naturali propensioni dei diversi territori che descrivono l'articolazione regionale della realtà calabrese, con opportuna valorizzazione dei beni ambientali e delle specificità delle tradizioni locali e delle competenze presenti nel sociale;
    prioritariamente, il settore turistico è certamente quello su cui più di ogni altro si può investire, al fine di creare un nuovo e duraturo sviluppo del territorio, rinunciando alle trasformazioni massive, di dannoso impatto ambientale e di breve vantaggiosità finanziaria: 780 chilometri di coste, tre massicci montuosi che raggiungono i duemila metri, con innevazione naturale e costante per un lungo arco di tempo durante l'anno, sono indubbi «fattori» di eccezionale potenzialità su cui sarà opportuno riflettere circa le convenienze geoeconomiche sostenibili. Parimenti, a completamento di uno scenario di straordinario impatto emotivo, è da includere la presenza di un patrimonio storico e culturale unico nel suo genere, anche per la presenza di tre importanti minoranze linguistiche. Elementi questi che fanno della Calabria una regione dotata di un vasto patrimonio su cui investire con decisione ma con altrettanta attenzione circa le reali proiezioni territoriali;
    si tratta di un investimento che è possibile solo, però, a condizione di una rinnovata azione di contrasto alla criminalità organizzata, che sui ritardi e sulla povertà della regione è cresciuta fino a diventare una delle realtà criminali più potenti del mondo. Deve assolutamente essergli sottratto il controllo del territorio. Creare lavoro è fondamentale, ma non può essere un alibi, serve, inutile nasconderlo, in Calabria come in altre regioni del sud Italia, anche un'azione decisa di repressione del fenomeno malavitoso sul territorio, un'offensiva dello Stato capace di considerarsi, su questo fronte, davvero definitivamente in guerra. Se non viene risolto questo problema, qualsiasi forma di investimento nel Meridione d'Italia finirà, comunque, per arricchire le organizzazioni mafiose: in tal caso, l'intervento pubblico non si risolverebbe solo in uno spreco di risorse, bensì, persino, in quello che, ai firmatari del presente atto di indirizzo, pare un involontario «crimine»;
    tuttavia, intervenire è indispensabile non concentrando risorse solo nel turismo, perché, com’è evidente, la regione Calabria non può essere destinataria di un'economia monosettoriale, decisamente inadeguata a soddisfare gli equilibri occupazionali e le esigenze della società. Indubbiamente, quello turistico può essere l'architrave su cui reindirizzare e, poi, rilanciare lo sviluppo regionale, investendo adeguate risorse nel settore delle infrastrutture, prima di tutto, in quanto presupposto fondamentale per la mobilità e la più ampia circolazione dei beni, in una regione che di infrastrutture è drammaticamente carente. Serve un piano di investimenti in tale ambito coerente con le reali esigenze del territorio, puntando proprio sulla funzione di «transito», sulla portualità, sull'avanmare e sulle relazioni sia di media distanza, sia di più ampia gittata nel Mediterraneo e, poi, verso l'Atlantico e il Nord Europa. In tale prospettiva, la Calabria può diventare, e tale dovrebbe essere considerata, non solo l'arteria di collegamento verso la Sicilia, ma verso l'intero Mediterraneo: non solo via terra, ma anche e sopratutto via mare. In quest'ottica, i porti di Reggio Calabria e Gioia Tauro e, innanzitutto, l'aeroporto di Reggio Calabria, rappresentano un patrimonio su cui il Governo deve investire, anche alla luce delle recenti trasformazioni in atto nella quasi totalità delle nazioni del Nord Africa. In questo senso, è bene sottolineare che la Calabria rappresenta una realtà geostrategica di primaria importanza per il nostro Paese e, per estensione, per tutta l'Unione europea;
    tuttavia, proprio in termini di opportunità di crescita intersettoriale, le più concrete remore derivano dalla circostanza che la Calabria è la regione meno industrializzata d'Italia, come dimostra il fatto che, con una popolazione che rappresenta poco più del 3 per cento di quella nazionale, il reddito prodotto dalle industrie è di poco superiore all'1 per cento. L'industria di base ha un ruolo assolutamente marginale; le rare aziende (chimiche, meccaniche, metallurgiche) si concentrano in pochissime aree, come Crotone e Vibo Valentia;
    diversamente, in questo quadro, l'agricoltura resta un settore fondamentale per l'economia della regione, considerato che, tuttora, il numero degli addetti (16 per cento) è il triplo della media nazionale, pur se, in termini di reddito prodotto, il valore aggiunto conseguito resta molto basso Un settore caratterizzato, del resto, da contraddizioni profonde sul piano del dimensionamento aziendale, dell'impiego di mezzi tecnici, delle scelte colturali, dei processi distributivi e della commercializzazione, che richiedono appropriate politiche, in grado di superare le condizioni di arretratezza che limitano le opportunità di crescita dell'agricoltura calabrese;
    l'articolo 18, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, attribuisce alla città metropolitana le funzioni fondamentali delle ex province soppresse e le seguenti funzioni fondamentali: pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; mobilità e viabilità; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale;
    in particolare, sempre ai sensi dell'articolo 18, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n 95, alla città metropolitana spettano: il patrimonio e le risorse umane e strumentali della provincia soppressa, a cui ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi; le risorse finanziarie di cui agli articoli 23-24 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68;
    ancora, ai sensi dell'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, sono organi della città metropolitana: il consiglio metropolitano; il sindaco metropolitano (il quale può nominare un vicesindaco ed attribuire deleghe a singoli consiglieri). Essi durano in carica per un periodo di cinque anni;
    si è stabilito, inoltre, che in sede di prima applicazione, è di diritto sindaco metropolitano il sindaco del comune capoluogo; successivamente lo statuto della città metropolitana potrà stabilire che il sindaco metropolitano: a) sia di diritto il sindaco del comune capoluogo; b) sia eletto secondo le modalità stabilite per l'elezione del presidente della provincia; c) sia eletto a suffragio universale e diretto, secondo il sistema previsto dagli articoli 74 e 75 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000;
    alla luce di quanto accaduto recentemente, nonché del relativo commissariamento del comune di Reggio Calabria, appare evidente l'impossibilità di procedere alla costituzione dell'area metropolitana di Reggio Calabria anche attraverso il processo democratico del coinvolgimento diretto della volontà cittadina. Tale processo, con tutte le responsabilità che comporta, ricade, infatti, nelle specifiche attività di carattere politico che ben difficilmente possono essere demandate all'attività commissariale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché in Calabria, e non solo, si promuova in tempi rapidi e con decisione, la creazione di unioni di comuni razionali con le esigenze di governo attuali, necessità questa ancora più evidente alla luce della prossima abolizione delle province;
   ad istituire un tavolo di confronto permanente con la regione, le istituzioni locali, i rappresentanti delle realtà datoriali e i principali investitori nel settore del turismo, per delineare un piano di interventi concreti, a partire dalla necessaria formazione e da investimenti finalizzati alla creazione nella regione di un sistema turistico adeguato e competitivo;
   a individuare e dare pratica attuazione ad un numero consistente di zone franche urbane per attivare un'imprenditoria endogena e attirare capitali e l'imprenditoria esogena;
   a delineare per la regione Calabria una specifica fiscalità di vantaggio, nonché strumenti di sburocratizzazione amministrativa, in particolare per investimenti nel settore turistico, in modo da convogliare verso la regione nuovi investimenti;
   a delineare, in accordo con le rappresentanze dei soggetti pubblici e privati coinvolti, gli interventi necessari per adeguare ed ammodernare il sistema infrastrutturale calabrese, rendendolo efficiente e coerente con le esigenze del territorio, in particolare, individuando specifici interventi:
    a) per lo sviluppo dell'area portuale della provincia di Reggio Calabria;
    b) per il completamento urgente dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria;
    c) per il potenziamento e la messa in sicurezza della strada statale 106 Jonica;
    d) per il potenziamento e la messa in sicurezza della strada statale 18 tirrenica;
    e) per il potenziamento e il rilancio dell'aeroporto dello Stretto, a servizio di due città metropolitane: Reggio Calabria e Messina, essendo in proposito necessario attivare investimenti infrastrutturali per rendere economico lo scalo dello Stretto;
    f) per il rafforzamento dell'aeroporto di Crotone;
   a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'attività di studio o formazione (neet), nonché a continuare negli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando una parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari, da realizzare entro ottobre 2012;
   a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, per i quali sono complessivamente stanziati in Calabria oltre 100 milioni di euro, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del fondo sviluppo e coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni della Calabria o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
   a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo, in modo integrato e intermodale, dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus e aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia;
   ad assumere in tempi rapidi ogni atto necessario per dare attuazione all'accordo di programma quadro che ha previsto finanziamenti per un totale di 459 milioni di euro a favore dell'area di Gioia Tauro, per accelerare le procedure e dare compiuta attuazione agli impegni sottoscritti, anche attraverso l'adozione di ogni atto necessario affinché l'area portuale di Gioia Tauro sia segnalata alla Commissione europea come zona in cui garantire le condizioni infrastrutturali ancora necessarie per superare l'attuale assenza di interazione tra ambito portuale e retro portuale, tra impianto portuale e sistema produttivo;
   ad assumere, in tempi ragionevoli, una posizione definitiva in merito al progetto del ponte sullo Stretto, mantenendo in ogni caso la destinazione delle somme al sistema infrastrutturale calabrese e siciliano;
   a finanziare il programma straordinario per gli uffici giudiziari e la polizia giudiziaria della regione Calabria, nell'interesse dei cittadini e in coerenza con le linee guida approvate all'unanimità dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, nella seduta del 25 gennaio 2012, e a garantire a tutti i livelli, tenuto conto del nesso particolarmente stretto tra sviluppo economico-territoriale e legalità, adeguati presidi di legalità, anche con riferimento al complesso della rete dei tribunali calabresi;
   a sollecitare i soggetti attuatori affinché avviino celermente gli interventi di riduzione del dissesto idrogeologico, di bonifica dei siti inquinati e di manutenzione del territorio di cui alle delibere del Cipe del 3 agosto 2011, 20 gennaio 2012 e del 3 agosto 2012, in forza delle quali sono stati stanziati per la regione Calabria, rispettivamente, 723 milioni di euro, 199 milioni di euro e 38 milioni di euro, anche tramite le verifiche e i sopralluoghi effettuati dal team di tecnici delle strutture del Ministero per la coesione territoriale;
   ad adottare ogni iniziativa utile per una celere attuazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici già finanziati con le risorse di cui alla delibera del Cipe del 20 gennaio 2012, n. 6, ai sensi della quale oltre 42 milioni di euro sono destinati alle scuole della Calabria;
   a sostenere, per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
   a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici, anche per accrescere l'offerta turistica regionale, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche di Sibari, Roccelletta di Borgia, Locri e Kroton (con l'istituzione di un parco archeologico relativo alla vecchia polis crotoniate e all'area sacra di Capo Colonna), nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari, di cui una larga parte riguarda il patrimonio archeologico della regione Calabria, nonché a verificare la possibilità, d'intesa con le diverse realtà territoriali interessate, di recuperare il tracciato dell'antica via Popilia, quale strumento per il recupero dell'identità storica di un territorio vasto e multiforme e delle sue molteplici interrelazioni;
   alla luce del fatto che il recupero dei centri storici e il loro mantenimento rappresentano un volano di sviluppo economico dalle enormi potenzialità e che un'azione dello Stato, in tal senso, rappresenterebbe una fonte di valore aggiunto per l'economia dell'intera nazione, a promuovere la riqualificazione dei centri storici, non solo calabresi, e ad assumere iniziative normative affinché si possa contare su un sistema di incentivi fiscali adeguato a promuovere gli interventi di ristrutturazione e valorizzazione del patrimonio architettonico, storico e culturale, valutando l'opportunità di intervenire sul sistema di detrazioni oggi vigente, affinché queste siano finalizzate, o almeno destinate in via prioritaria, alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale;
   ad individuare un piano di interventi straordinari per sostenere il settore agricolo calabrese, focalizzando quelli che possono far acquisire la tendenza alla produzione di alta qualità e alla sua adeguata commercializzazione;
   ad intervenire, con ogni mezzo a disposizione e con le iniziative che si riterranno opportune, in coordinamento innanzitutto con la regione Calabria e tutte le istituzioni preposte, per impedire e prevenire nuove speculazioni ed abusivismo edilizio;
   ad individuare le iniziative necessarie affinché sul territorio si possa promuovere il radicamento di una realtà imprenditoriale di medie dimensioni e autoctona, in modo da consentire in via prioritaria:
    a) l'affermazione di un'industria turistica moderna e adeguata, non più relegata all'iniziativa singola, individuale e sporadica;
    b) lo sviluppo delle necessarie infrastrutture, non solo turistiche e ricettive;
    c) la creazione di unioni di comuni più coerenti con le necessità organizzative e amministrative nel governo del territorio;
    d) un contrasto deciso, fermo e risoluto alla criminalità organizzata sul territorio che possa rendere attrattivi gli investimenti in Calabria;
    e) interventi fiscali incentivanti all'investimento.
(1-01170) «Nucara, Ossorio, Brugger».
(15 ottobre 2012)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   BINETTI, CALGARO, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DELFINO, ANNA TERESA FORMISANO, DIONISI, RAO, ENZO CARRA, CAPITANIO SANTOLINI, CARLUCCI, DE POLI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO e VOLONTÈ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'analisi della popolazione differentemente abile è condizionata da difficoltà oggettive che permettono una quantificazione solo parziale dei bisogni di cura dei disabili. Solo in poche realtà territoriali sono presenti dei sistemi informativi che rilevano e restituiscono dati inerenti alla domanda di servizi e alle prestazioni forniti dai vari enti;
   ciò premesso, si considerano le stime disponibili riferite al numero di disabili tenendo presente che: la definizione di disabilita non è universale (spesso si usano in modo impreciso termini come disabile, handicappato, invalido, inabile e altro); il sistema attuale di certificazione di disabilità manca di uniformità; manca una fonte anagrafica universale e, quindi, le fonti esistenti non sono né esaustive, né paragonabili tra loro;
   stimare il numero dei bambini e dei giovani disabili richiede fonti informative diverse, mentre la principale fonte utilizzata per stimare il numero delle persone con disabilità presenti in Italia è l'indagine Istat sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari del 2004-2005. Secondo l'Istat, la proporzione di persone disabili sulla popolazione residente nel nostro Paese è del 4,8 per cento;
   considerando i diversi livelli di disabilità, naturalmente quello più grave è rappresentato dal confinamento, che implica la costrizione permanente a letto, o su una sedia con livelli di autonomia nel movimento pressoché nulli, nonché il confinamento in casa per impedimento psichico o fisico;
   secondo la classificazione Istat, per esempio, solo in provincia di Roma risultano confinate più di 70 mila persone con più di 6 anni. Circa 110 mila persone presentano difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, cioè vivono con difficoltà ad espletare le principali attività di cura della propria persona, più di 80 mila presentano disabilità nel movimento, mentre le difficoltà nella sfera della comunicazione, quali l'incapacità di vedere, sentire o parlare, coinvolgono circa 40 mila persone con più di 6 anni, che richiedono un particolare lavoro di cura, spesso per la concomitante disabilità di tipo psicomotorio;
   il Centro educazione motoria della Croce rossa italiana a Roma, per l'assistenza ai disabili gravi, ma lo stesso dicasi per gli altri centri presenti nel resto dell'Italia, rischia di chiudere tra le drammatiche incertezze per utenti, famiglie e lavoratori. La struttura romana dagli anni ’50 è centro di eccellenza nell'assistenza, ma oggi sembra essere un peso per l'ente pubblico che persegue un obiettivo: il risanamento. Il futuro è legato a un debito di 27 milioni di euro accumulato dal comitato provinciale di Roma della Croce rossa italiana. Il 70 per cento degli operatori è precario;
   i familiari e gli ospiti disabili sono in mobilitazione e non si escludono forme più eclatanti di protesta. Loro non vogliono andarsene, mentre il commissario della struttura annuncia: «Inevitabile il trasferimento degli utenti», dal momento che da mesi non c’è nessuna manutenzione –:
   quali urgenti misure intenda assumere al fine di tutelare la continuità assistenziale, e con essa la salute dei cittadini, di strutture, come il Centro educazione motoria della Croce rossa italiana a Roma, che rischiano di chiudere a causa dei tagli effettuati senza adeguate misure di razionalizzazione della spesa pubblica. (3-02623)
(27 novembre 2012)

   MOFFA, D'ANNA, CALEARO CIMAN, CATONE, CESARIO, LEHNER, MARMO, MILO, MOTTOLA, ORSINI, PIONATI, PISACANE, POLIDORI, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI, SILIQUINI, STASI e TADDEI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il commissario alla sanità per la regione Lazio, Enrico Bondi, dopo aver optato per tagli lineari del 7 per cento per le strutture private e religiose, sarebbe orientato alla chiusura di interi reparti e numerosi ospedali;
   i tecnici ministeriali hanno richiesto al commissario Bondi, entro il 31 dicembre 2012, di redigere un programma operativo nel quale si faccia chiarezza sul piano di riconversione che avrebbe dovuto interessare 24 ospedali di provincia e i reparti menzionati dal decreto n. 80 del 2010;
   in sostanza ci si troverà di fronte al blocco del turn over, al mancato rinnovo dei contratti a termine (con cinquemila persone che rischiano di restare senza lavoro) e all'ulteriore taglio di 1.963 posti letto;
   di fatto, i cittadini della regione Lazio dovranno fare i conti con chiusura degli ospedali con meno di 80 posti letto e con bacino di utenza tra gli 80 mila e i 150 mila abitanti;
   la situazione si presenta ancora più drammatica considerato che anche numerosi grandi ospedali della capitale (l'Oftalmico, il Forlanini, l'Eastman e il Nuovo Regina Margherita) rischiano la chiusura;
   tutto ciò in una situazione di grave crisi economica e a fronte della mancata realizzazione, in maniera strutturale, di una rete di servizi sanitari e sociali sul territorio capace di attuare una strategia comune e di fornire ai cittadini servizi di qualità attraverso una collaborazione concreta tra pubblico e privato;
   anche l'Aris (l'Associazione degli ospedali religiosi), che ha cercato sempre di mantenere un profilo basso rispetto alle polemiche sulle scelte operate dal Governo in materia di sanità, si è trovata costretta, attraverso il suo presidente Michele Bellomo, a lanciare un grido d'allarme per questi tagli che colpiscono in maniera indiscriminata tutti i servizi, con la pretesa che le prestazioni rimangano invariate;
   quest'ultima scelta appare ancor più incomprensibile, stante il fatto che le prestazioni negli ospedali religiosi costerebbero mediamente un terzo rispetto agli ospedali pubblici;
   in tale situazione, su un tema così delicato, appare del tutto incomprensibile una scelta esclusivamente di carattere contabile che, colpendo in maniera indiscriminata, senza individuare i centri di spreco del denaro pubblico, rischia di non garantire più ai cittadini quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione in materia di tutela della salute –:
   se non si ritenga necessario, stante la situazione di grave allarme sociale che si potrebbe determinare nella regione Lazio, qualora tali provvedimenti entrassero a regime, assumere iniziative per rivedere il piano di rientro sanitario valutando la possibilità di un patto tra imprenditori privati e servizio pubblico, al fine di predisporre un rientro dell'esposizione che salvaguardi le strutture di eccellenza e alimenti un'ampia e articolata integrazione dei servizi territoriali di cura e assistenza della persona, anche mediante una riconversione dei nosocomi e delle strutture ospedaliere di cui si minaccia la chiusura, determinando così, peraltro, una più chiara analisi dei costi di funzionamento e di accreditamento, non disgiunta dalla qualità delle prestazioni. (3-02624)
(27 novembre 2012)

   MIOTTO, ARGENTIN, BOSSA, BUCCHINO, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, LENZI, MURER, PEDOTO, SARUBBI, SBROLLINI, LIVIA TURCO, MARAN, QUARTIANI, GIACHETTI, MARIANI e BRATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   attualmente è in corso di discussione la revisione della normativa sui campi elettromagnetici, che suscita notevole perplessità, in particolare rispetto alla progressiva minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici;
   le evidenze scientifiche emerse dalla ricerca epidemiologica mondiale riconosciute dall'Organizzazione mondiale della sanità hanno evidenziato che i campi elettromagnetici non vanno sottovalutati rispetto alla salute umana ed ha inserito i campi a radiofrequenza (in particolare quelli emessi dai cellulari, ma l'agente fisico è lo stesso di tutte le sorgenti di campi elettromagnetici oggetto del decreto ministeriale) fra i possibili agenti cancerogeni per l'uomo a causa dell'aumento del rischio di tumori cerebrali come il glioma (40 per cento di rischio per un uso di 30 minuti al giorno per almeno 10 anni);
   la Corte di cassazione ha confermato la sentenza della corte di Appello di Brescia del 22 dicembre 2009 che condannò l'Inail a corrispondere ad un manager la rendita per malattia professionale prevista per l'invalidità all'80 per cento legata all'uso di cordless e cellulari per motivi professionali;
   il manager aveva agito in giudizio, deducendo che, in conseguenza dell'uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al giorno, di telefoni cordless e cellulari all'orecchio sinistro aveva contratto una grave patologia tumorale (il neurinoma del Ganglio di Gasser);
   la sentenza rappresenta un decisivo passo verso il riconoscimento completo dei reali rischi per la salute da esposizione alle onde elettromagnetiche;
   le indicazioni fornite dal Consiglio d'Europa, dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e dall'Organizzazione mondiale della sanità indicano le radiofrequenze come possibili cancerogeni –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere, anche alla luce della sentenza della Corte di cassazione sopra citata, al fine di rivedere la normativa riguardante le misurazioni dei campi elettromagnetici, che, di fatto, attualmente annullano il principio di precauzione raccomandato dall'Unione europea e dalla legge quadro n. 36 del 2001, avendo recentemente affievolito le tutele ambientali in vigore, mettendo così gravemente a rischio la salute della popolazione, specialmente di quella che abita e lavora in prossimità di tali campi elettromagnetici. (3-02625)
(27 novembre 2012)

   DI BIAGIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2199, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che riproduce l'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, abrogata dallo stesso codice, dispone che i concorrenti per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato, giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di merito, vengono suddivisi in due cosiddette aliquote: una parte, corrispondente al 55 per cento, è immessa direttamente nelle carriere iniziali; la restante – pari al 45 per cento – viene immessa nelle carriere iniziali, dopo avere prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
   il comma 6 dell'articolo 2199 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, dispone, in particolare, che i criteri e le modalità per l'ammissione dei concorrenti alla ferma prefissata quadriennale, la relativa ripartizione tra le singole Forze armate e le modalità di incorporazione sono stabiliti con decreto del Ministro della difesa, sulla base delle esigenze numeriche e funzionali delle Forze armate, rimandando, di fatto, tali dinamiche di ammissione alle disponibilità dell'amministrazione e, quindi, ad un principio di discrezionalità amministrativa;
   malgrado la sussistenza di una seconda aliquota in tutti i concorsi, a partire dal 2006 sono stati comunque banditi nuovi concorsi che hanno determinato l'incremento delle unità di personale rientranti nella cosiddetta seconda aliquota: dal 2006 al 2011 sono stati banditi quattro concorsi per una domanda di reclutamento pari a 6.814 unità di personale;
   nonostante le evidenti e più volte ribadite esigenze di incremento delle risorse umane e strumentali in capo al Ministero dell'interno, paradossalmente, al momento, risultano inoperativi circa 1.700 vincitori di concorso, collocati nella cosiddetta seconda aliquota e non più transitati dall'Esercito alla polizia di Stato, sebbene titolari di una priorità di inserimento;
   il Ministro interrogato, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea del 26 settembre 2012 (la n. 3-02489), ha precisato che: «L'assunzione nel ruolo della polizia di Stato, una volta terminato il periodo di ferma, deve comunque essere valutata alla luce dei ridimensionamenti imposti dalla spending review, che incidono anche sul sistema delle dinamiche del turn over per il personale delle forze di polizia. La quota dei volontari che non potrà essere subito assunta sarà, comunque, immessa in servizio con il venir meno delle limitazioni imposte dal turn over»;
   nell'ambito della discussione parlamentare in sede referente relativa alla legge di stabilità per l'anno 2013, è stata superata una parte delle criticità relativa alla configurazione del turn over nel comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, così come delineato dalla spending review del luglio 2012: nello specifico, con i commi aggiuntivi all'articolo 3 introdotti dal relatore, i Ministeri interessati «sulla base di metodologie per la quantificazione dei relativi fabbisogni (...) procedono alla rimodulazione e alla riprogrammazione delle dotazioni dei programmi di spesa» finalizzate anche «ad assunzioni a tempo indeterminato sulla base di procedure concorsuali già avviate»;
   le assunzioni, di cui ai commi sopra indicati, sono da effettuarsi – secondo il testo del disegno di legge di stabilità per l'anno 2013 approvato dalla Camera dei deputati e all'esame del Senato della Repubblica – anche in deroga «alle percentuali di turn over di cui all'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
   stando alla rettifica normativa introdotta nel corso della sede referente della legge di stabilità per l'anno 2013, si sarebbero verificate le condizioni – auspicate dal Ministro interrogato – per consentire di valutare l'immissione in servizio delle cosiddette seconde aliquote, una volta terminato il periodo di ferma;
   in una prospettiva di reale razionalizzazione, inoltre, per far fronte al fabbisogno di personale, le amministrazioni competenti dovrebbero utilizzare le graduatorie ancora vigenti dei concorsi pubblici già espletati a decorrere dal 2006 per il reclutamento di personale a tempo indeterminato – e non limitarsi ai concorsi già avviati – ricorrendo a tali graduatorie quando si tratta di procedere all'assunzione di profili corrispondenti o analoghi a quelli previsti nei bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime;
   la mancata transizione degli idonei verso il Corpo della polizia di Stato, unita alla ciclica indizione di nuovi e onerosi concorsi, rischia di configurarsi come un paradosso: da un lato, l'amministrazione attraverso nuovi concorsi dichiara di aver bisogno di nuovi operatori, dall'altro relega ad una condizione di transizione coloro che hanno già superato il medesimo concorso, con conseguente dispendio di risorse da parte dell'erario –:
   se si intenda dar seguito a quanto auspicato nel riscontro all'interrogazione a risposta immediata citata in premessa, alla luce delle recenti evoluzioni normative, attraverso iniziative volte a far fronte al rinnovato fabbisogno di personale attingendo dalle graduatorie ancora vigenti di concorsi già espletati a decorrere dal 2006, consentendo la reale transizione nel Corpo della polizia di Stato ai vincitori dei concorsi – già espletati – rientranti nelle seconde aliquote di cui in premessa.
(3-02626)
(27 novembre 2012)

   DOZZO, MARONI, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, in materia di iscrizioni anagrafiche, come integrata dall'articolo 1, comma 18, della legge 15 luglio 2009, n. 94 («Pacchetto Maroni sicurezza»), stabilisce che: «L'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igieniche-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie;
   la citata disposizione introdotta su iniziativa dell'allora Ministro dell'interno, onorevole Roberto Maroni, è diretta a fornire ai sindaci e agli ufficiali di anagrafe la possibilità di verificare la sussistenza e i requisiti di abitabilità delle dimore per le quali venga avanzata una richiesta di fissazione di residenza;
   s'intendeva in tal modo evitare, sulla scorta di casi concretamente verificatisi, che gli uffici anagrafici potessero essere chiamati ad accogliere domande di iscrizione anagrafica per abitazioni chiaramente prive dei minimi requisiti di abitabilità;
   si riscontra da parte di alcune prefetture un'erronea interpretazione della norma citata, nel senso di ritenere che le risultanze delle certificazioni di carattere tecnico attinenti all'abitabilità non possano essere di ostacolo all'iscrizione anagrafica, in quanto la valutazione delle medesime esulerebbe dalla sfera delle competenze proprie dell'ufficiale d'anagrafe;
   una siffatta interpretazione, anche alla luce della riduzione recata da recenti provvedimenti dell'attuale Governo dei termini per le iscrizioni anagrafiche, produrrebbe l'effetto di vanificare qualsiasi controllo sull'abitabilità in occasione dell'esame delle richieste di iscrizione anagrafica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno indirizzare agli uffici anagrafici dei comuni una circolare al fine di chiarire la corretta interpretazione della norma in esame, in conformità all'intenzione del legislatore illustrata in premessa. (3-02627)
(27 novembre 2012)

   SANTELLI, DIMA, GALATI, GOLFO e TRAVERSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle elezioni amministrative del maggio 2011 è stato eletto sindaco del comune di Reggio Calabria il dottor Demetrio Arena, la cui giunta si è insediata nel mese di giugno 2011;
    il 18 novembre 2011 si è conclusa un'operazione di polizia giudiziaria denominata «Astrea», che ha coinvolto il socio privato della Multiservizi spa, società mista affidataria dei servizi di manutenzione dei beni comunali;
   il 21 dicembre 2011, nel corso dell'operazione di polizia giudiziaria denominata «Alta tensione 2», è stato tratto in arresto un consigliere comunale, immediatamente sospeso e sostituito con il primo dei non eletti della lista di appartenenza;
   in conseguenza alle predette operazioni di polizia giudiziaria, il prefetto di Reggio Calabria, dottor Luigi Varratta, con proprio decreto del 20 gennaio 2012, ha disposto l'attivazione della procedura di accesso presso il comune di Reggio Calabria;
   l'amministrazione comunale ha potuto svolgere a pieno il proprio mandato solo per sei mesi, ovvero fino all'insediamento della commissione di accesso;
   il 14 luglio 2012, al termine dell'attività ispettiva, la commissione di accesso ha depositato le proprie conclusioni, sulle cui risultanze il neo prefetto, dottor Vittorio Piscitelli, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, ha redatto la sua relazione trasmettendola al Ministero dell'interno il 26 luglio 2012;
   il 9 ottobre 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta di scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, formulata dal Ministro interrogato;
   dalla relazione della commissione di accesso emergono grossolani errori, innumerevoli inesattezze e rilevanti omissioni, travisamento dei fatti e ribaltamento delle responsabilità, tra le quali:
    a) casi di omonimia o notizie inesatte sull'attività di singoli professionisti, che hanno infangato la reputazione di onesti cittadini;
    b) vengono tacciate di contiguità con la criminalità organizzata e si adombrano sospetti del tutto infondati su importanti imprese cittadine, che, addirittura, risulterebbero fornitrici ed appaltatrici della questura e della prefettura;
    c) vengono segnalate come «infiltrate» cooperative sociali di tipo B, fornitrici dei servizi sociali al comune, in quanto composte da soggetti con precedenti penali, con ciò ignorando che le stesse, svolgendo attività di recupero di soggetti svantaggiati, devono essere composte da ex detenuti ed ex tossicodipendenti;
    d) viene addebitata al comune, secondo quanto consta agli interroganti, l'intempestività con cui ha proceduto allo scioglimento della società mista Multiservizi spa, non tenendo in considerazione che la prefettura, soltanto a seguito delle reiterate richieste del comune, ha rilasciato l'interdittiva antimafia dopo ben sette mesi;
    e) tra i consiglieri «attenzionati» non risultano, peraltro, due soggetti nei cui confronti esistono, a parere degli interroganti, motivi ben più gravi rispetto a quelli che vengono menzionati nella relazione: il primo in quanto socio in imprese confiscate e riportate nella citata relazione, il secondo in quanto imparentato con soggetti destinatari di procedimenti penali;
   molti cittadini stanno proponendo azioni giudiziarie a causa degli errori contenuti nella relazione e dell'avvenuta pubblicazione di un atto riservato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli errori contenuti nella relazione in base alla quale ha proposto il provvedimento di scioglimento e se abbia intenzione di chiedere ai propri uffici un riscontro in tal senso, anche al fine di individuare gli strumenti più idonei per salvaguardare i tanti cittadini onesti che si sono visti accusare ingiustamente di contiguità alla criminalità organizzata.
(3-02628)
(27 novembre 2012)

   ZELLER e BRUGGER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», come da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, prevede che i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuino la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f), del decreto legislativo n. 81 del 2012 e che, fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale che stabilisce tali procedure, non oltre comunque il 31 dicembre 2012, gli stessi datori di lavoro possano autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi;
   sulla base del disposto dell'articolo 6, comma 8, lettera f), sopra richiamato, la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro avrebbe dovuto adempiere al compito di «elaborare, entro e non oltre il 31 dicembre 2010, le procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi di cui all'articolo 29, comma 5, tenendo conto dei profili di rischio e degli indici infortunistici di settore»;
   sebbene con ritardo rispetto al termine inizialmente previsto, nel maggio 2012 la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro ha approvato le suddette misure;
   tali procedure avrebbero dovuto essere successivamente recepite con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'interno, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ma ad oggi non risulta ancora un intervento in tal senso da parte dei Ministeri competenti, rimanendo così la previsione normativa totalmente disattesa;
   l'adozione delle procedure standardizzate è fondamentale per le piccole realtà aziendali, che, in tal modo, potrebbero ricorrere a meccanismi prestabiliti e semplificati rispetto alle modalità attualmente indicate dagli articoli 28 e 29 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
   la data del 31 dicembre 2012, termine ultimo per ricorrere all'autocertificazione della valutazione dei rischi, la cui prossimità è imminente, mette le imprese che occupano fino a 10 dipendenti nella condizione di non sapere a quali procedure standardizzate doversi adeguare e, per di più, anche qualora le stesse dovessero essere tempestivamente notificate agli interessati a mezzo pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui alla previsione normativa, i tempi previsti risulterebbero essere eccessivamente stringenti per l'eventuale messa in regola, posto che la stessa norma, seppur fissando un termine ultimo, prevedeva comunque prima della modifica un margine di 18 mesi, successivamente ridotto a 3, dall'entrata in vigore del decreto, ai fini dell'adeguamento della documentazione necessaria (ex articolo 29, comma 5);
   un ulteriore passo in direzione della semplificazione delle procedure attualmente previste si è disposto con l'articolo 3, comma 1, lettera c), del disegno di legge del Governo recante «Nuove disposizioni urgenti di semplificazione amministrativa a favore dei cittadini e delle imprese», il quale contiene una semplificazione in relazione alla valutazione dei rischi, prevedendo che le imprese che operano in settori di attività a basso rischio possano sostituire il documento di valutazione con un modello semplificato, il che snellirebbe le procedure attualmente previste e il cui onere, in molti casi, non risulta essere proporzionato all'effettiva rischiosità delle attività svolte –:
   se il Ministro interrogato, vista l'imminenza della data del 31 dicembre 2012 e considerato il mancato recepimento, da parte dei Ministeri interessati, delle procedure standardizzate di cui sopra, non ritenga necessario assumere iniziative normative per operare una proroga, almeno fino al 30 giugno 2013, del termine per l'adeguamento. (3-02629)
(27 novembre 2012)

   MESSINA, DI GIUSEPPE, ROTA e BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore agricolo, com’è noto, sta affrontando una delle crisi più dure degli ultimi decenni, accentuata dalla situazione economica internazionale e gravata dai recenti aumenti della pressione fiscale, che certamente non contribuiscono a sostenere le imprese del settore;
   l'articolo 13, comma 14-ter, del decreto-legge n. 201 del 2011 ha introdotto l'obbligo di dichiarare al catasto urbano – entro il 30 novembre 2012, termine come da ultimo prorogato – i fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni agricoli e di presentare gli atti di aggiornamento catastale relativi alle unità immobiliari per le quali è stata attribuita la rendita presunta, previsti, rispettivamente, dal già citato articolo 13 e dall'articolo 11, comma 7, del decreto-legge n. 16 del 2012, pena l'applicazione delle sanzioni ivi previste;
   il 14 novembre 2012, la Commissione finanze della Camera dei deputati ha approvato, ancorché con il parere contrario del Governo, una risoluzione unitaria (la n. 8-00212) che impegna il Governo a disporre un'ulteriore proroga del suddetto termine – al mese di maggio 2013 – per le dichiarazioni catastali oppure, in subordine, a prevedere, fino al predetto termine del maggio 2013, la non applicazione delle sanzioni, al fine di tenere conto delle difficoltà a rispettare tali scadenze, legate ai carichi di lavoro gravanti in merito sull'Agenzia del territorio, ai ritardi derivanti al riguardo dall'incorporazione della stessa nell'Agenzia delle entrate e agli elementi di criticità segnalati dalle associazioni degli intermediari professionali che svolgono i relativi adempimenti;
   la risoluzione approvata in Commissione nasce, infatti, a fronte delle segnalate difficoltà che l'Agenzia del territorio sta incontrando nel disbrigo delle pratiche indicate e dei ritardi ulteriori che inevitabilmente deriveranno dall'incorporazione della medesima Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate;
   la proroga deliberata dalla Commissione intende, soprattutto, scongiurare il rischio che i contribuenti siano colpiti dalle sanzioni conseguenti non a inadempimento, bensì alle difficoltà amministrative e burocratiche inerenti ai loro obblighi dichiarativi –:
   in che modo e con quali iniziative si intenda dare attuazione, con la necessaria tempestività, a quanto esplicitato in premessa. (3-02630)
(27 novembre 2012)