TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 464 di Giovedì 14 aprile 2011

PROPOSTE DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

Alla IX Commissione (Trasporti):
ZELLER ed altri: «Disposizioni in favore delle vittime del disastro ferroviario della Val Venosta/Vinschgau». (3403)

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Alla VII Commissione (Cultura):
S. 2146 - GRIMOLDI ed altri: «Aumento del contributo dello Stato in favore della Biblioteca italiana per ciechi "Regina Margherita" di Monza e modifiche all'articolo 3 della legge 20 gennaio 1994, n. 52, concernenti le attività svolte dalla medesima Biblioteca» (approvata dalla VII Commissione permanente della Camera e modificata dal Senato). (2064-B)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALLA SITUAZIONE DELLE CARCERI

La Camera,
premesso che:
le carceri italiane versano in uno stato di sovraffollamento non tollerabile: le 206 strutture penitenziarie presenti sul territorio nazionale ospitano 67.961 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 45.022, con un tasso di sovraffollamento del 151 per cento che posiziona, secondo questo specifico indice, il nostro Paese tra quelli meno civili d'Europa;
metà della popolazione carceraria, il 43,25 per cento, è costituita da imputati in attesa di giudizio, il cui regime custodiale risulta, se possibile, peggiore di quello riservato ai condannati. Da un lato, infatti, la cronica insufficienza e il degrado delle carceri italiane fanno sì che sia disattesa la previsione ordinamentale che ne prescriverebbe la custodia in strutture diverse da quelle previste per i condannati; dall'altro, rispetto a questi ultimi, dai quali devono essere comunque separati seppure all'interno di strutture comuni, essi scontano un regime più rigido, con intollerabile pregiudizio del principio di innocenza non essendosi formato nei loro confronti un giudicato penale di condanna;
la politica criminale degli ultimi anni, segnatamente degli ultimi tre, ha pericolosamente oscillato tra provvedimenti, anche di natura processuale, la cui natura straordinaria ha avuto come effetto l'incentivazione delle spinte securitarie e l'istituzionalizzazione dell'emergenza, senza risolverla né sul fronte dell'ingolfamento processuale né su quello del trattamento sanzionatorio;
in particolare, tra il 2007 e il 2010 è stato riassorbito l'effetto della legge 31 luglio 2006, n. 241, di concessione dell'indulto. La popolazione carceraria è passata, infatti, dai 39.005 detenuti del 31 dicembre 2006 ai 68.258 del 30 giugno 2010, secondo i dati diffusi dall'associazione Antigone;
della legge 26 novembre 2010, n. 199, cosiddetta «svuota carceri», che consente la detenzione domiciliare per i condannati a pena pari o inferiore ai dodici mesi, anche come residuo di pena maggiore, hanno beneficiato, secondo i dati del Ministero della giustizia, 1.788 detenuti, a fronte di una platea di potenziali destinatari stimata in 7.992 beneficiari, e ciò anche a causa della mancata predisposizione di un'adeguata rete di servizi sociali e di pubblica utilità. Tale carenza si è scaricata, come era prevedibile, su tutti quei detenuti privi di famiglie pronti ad accoglierli e in misura maggiore sui cittadini extracomunitari, che non hanno potuto godere degli effetti della norma, anche quando condannati per quei reati di minore gravità che sono presupposti ai fini della concessione del beneficio;
il ricorso a provvedimenti deflattivi connotati da urgenza e contingenza, come quelli sopra menzionati, è contraddetto da misure di segno contrario, come quella contenuta nella legge 15 luglio 2009, n. 94 (pacchetto sicurezza), che ha modificato l'articolo 135 del codice penale, aumentando il parametro di conversione delle pene detentive in pene pecuniaria da 38 a 250 euro per giorno, impedendo così ai meno abbienti di accedere al beneficio, con sostanziale sacrificio del principio di uguaglianza;
il Ministro della giustizia ha più volte annunciato un «piano carceri» per la costruzione di nuovi stabilimenti di pena, con un investimento pubblico di 670 milioni di euro volto a creare 9.700 posti letto in più, comunque insufficienti rispetto ai 23.600 ad oggi necessari;
secondo la ricerca effettuata dal centro studi dell'associazione Ristretti Orizzonti, sulla base dei dati ufficiali forniti dalla ragioneria generale dello Stato, dalla Corte dei conti e dal Ministero della giustizia - dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro, ma l'andamento della spesa non risulta in alcun modo collegato a quello della popolazione detenuta. Infatti negli anni 2007-2010 le spese di personale sono state tagliate di 119.225.000 euro (circa il 5 per cento del budget a disposizione nel 2007), mentre nello stesso periodo le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di 205.775.000 euro, pari al 31,2 per cento. Così mentre il sovraffollamento è cresciuto, portando la popolazione detenuta quasi a raddoppiare, passando dalle 39.005 unità del 1o gennaio 2007 alle 67.961 del 31 dicembre 2010, la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro);
nel dettaglio - sempre secondo la ricerca dell'ufficio studi di Ristretti Orizzonti - di questi 113 euro di spesa pro capite: 95,3 (pari all'84,3 per cento del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6,2 per cento del totale) sono spesi per il cibo, l'igiene, l'assistenza e l'istruzione dei detenuti; 5,60 (5,4 per cento del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4,1 per cento del totale) per il funzionamento delle carceri (elettricità, acqua e altro). Al netto dei costi per il personale penitenziario e per l'assistenza sanitaria, di competenza del Ministero della salute, nel 2010 la spesa complessiva per il «mantenimento» dei detenuti è stata pari a 321.691.037 euro, quindi ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno;
il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) nel 2009 rilevava la relazione inversamente proporzionale tra numero dei detenuti e personale penitenziario. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono stati 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità ed oggi risulta, pertanto, scoperta per circa 6.000 unità;
l'esperienza dimostra che esiste una correlazione tra l'accesso ai benefici concessi dall'ordinamento e la riduzione del tasso di recidiva e, per converso, una correlazione tra il numero di carcerazioni e l'aumento del tasso di recidiva; il che, se non dimostra, di per sé, l'effetto positivamente «causale» dei benefici sulla riabilitazione sociale dei detenuti, dimostra che le misure alternative alla detenzione non scaricano affatto un maggior costo sociale sulla popolazione generale,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte ad adeguare, in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, la spesa pro capite per detenuto, prevedendo, rispetto alla base del 2007, una riduzione non superiore a quella media relativa al comparto Ministeri;
a predisporre sul piano normativo un complesso di riforme - dalla depenalizzazione dei reati minori, ad una più ampia e più certa accessibilità delle misure alternative alla detenzione, dalla definizione di parametri più accessibili per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie, ad una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere - che avrebbero, nel complesso, un effetto strutturalmente deflattivo, concorrendo a migliorare le condizioni di detenzione e a rendere servibili quegli strumenti di trattamento che perseguono le finalità rieducative costituzionalmente connesse alla pena;
a implementare il «piano carceri» attraverso il ricorso a forme di partecipazione privata ai programmi di edilizia penitenziaria, utilizzando quegli strumenti di mercato che, anche sul piano urbanistico, possono incentivare gli investitori privati a collaborare con lo Stato ad un progetto di riconversione del sistema e dei modelli di detenzione e di riqualificazione delle case circondariali e di reclusione non più utilizzabili per l'ospitalità dei detenuti.
(1-00612) «Della Vedova, Perina, Granata».
(7 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal settimo rapporto sulle carceri, presentato il 22 ottobre 2010 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota pari a 68.527, ben quasi 24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare (stimata in 44.612 posti letto) e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d'Italia, precisamente quelli di Padova, Roma Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia Capanne, Como, Firenze Sollicciano, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Novara, Bologna, Gorizia, Trieste e Pistoia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori (numero dei detenuti presenti, metri quadri a disposizione per carcerato, condizioni igieniche ed ambientali, numero di ore trascorse al di fuori della cella), normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento;
il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è composto da imputati: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
nel febbraio 2009 il Ministro della giustizia aveva annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
a distanza di un anno, il 13 gennaio 2010, il Governo proclamava lo «stato d'emergenza» nelle carceri italiane, stanziando fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre;
qualche mese dopo, anche in relazione all'esiguità delle risorse stanziate (in parte anche a detrimento dei fondi raccolti dalla Cassa delle ammende tra i detenuti per il loro reinserimento), il piano è stato ridotto a meno di 10.000 posti detentivi da realizzare entro il 2012;
anche se il Ministro della giustizia sostiene che nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati 2.000 posti detentivi, ad oggi nessun effetto del piano carceri si è prodotto; non si sa se quei 2.000 posti già realizzati siano parte del piano o di ampliamenti e ristrutturazioni già programmati da tempo, né se siano effettivamente operativi grazie alla disponibilità del personale necessario;
sempre nel gennaio 2010 il Ministro della giustizia Alfano prometteva l'imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio 2010 ribadiva l'impegno assunto, abbassando i reclutamenti «in prima battuta» a mille: sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari;
se il trend prima descritto dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, per aumentare ancora nel 2012, a fronte di un vertiginoso calo di agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
la polizia penitenziaria soffre, infatti, di paurose carenze. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 68.000 e l'organico amministrato raggiunge 37.348 unità (vi è un poliziotto ogni due detenuti, sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà). Da queste cifre bisogna sottrarre il personale non in servizio attivo, ossia 3.109 unità, a causa di malattia, aspettativa, motivi di salute o prepensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
anche il Sottosegretario per la giustizia Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che: «Il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
in molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze al riguardo, ma risulta inaccettabile, soprattutto, la differenza che si registra tra aree diverse del Paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle aziende sanitarie locali regionali, la situazione appare più grave;
anche le drammatiche condizioni di salute degli agenti e la stessa sicurezza degli istituti non possono essere ignorate dal Ministero della giustizia e dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'istituto femminile di Rebibbia (dove è addirittura iniziato lo sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire i turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute), sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento (368 detenute, a fronte di una capienza regolamentare prevista di 274 posti) e della gravissima carenza di personale, ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi dell'intero sistema carcerario nazionale;
non servono soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le emergenze: è ora di tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti, di fronte agli enormi rischi della protesta in atto va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
neanche la salute dei minori viene tutelata come si dovrebbe in tutti i 19 istituti penali minorili, in cui vive un piccolo esercito di 426 ragazzi fra i 14 e 18 anni. Due detenuti su tre sono in attesa di giudizio, il resto invece sta scontando la pena. La maggior parte sono stranieri, spesso rom. Ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del Sud;
non sono i numeri ad allarmare, ma un sistema che non è a misura di minore. Se la detenzione è diventata davvero l'estrema ratio dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, gli istituti penali minorili sono «contenitori di marginalità sociale», rivela «Ragazzi dentro», il primo rapporto sulle carceri minorili presentato il 24 marzo 2011 da Antigone;
il problema non riguarda solo le strutture perennemente con «lavori in corso», ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere rapporti con le famiglie;
le cifre fornite rappresentano il segno di una crisi che l'annunciato impegno del Governo non è riuscito a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. In questa situazione il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
infatti, di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Complessivamente, i suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009, mentre 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010;
come se non bastasse, da circa due anni i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni. La pianta organica ministeriale prevede 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. In servizio al 1o settembre 2010 risultavano 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, ossia circa un operatore ogni sessanta detenuti;
quanto descritto esprime, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, in corso di ratifica, ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri,

impegna il Governo:

ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso iniziative volte alla riduzione dei tempi di custodia cautelare, alla rivalutazione delle misure alternative al carcere, alla riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché all'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
ad assicurare risorse idonee a conseguire un adeguamento dell'attuale pianta organica del personale di polizia penitenziaria al fine di affrontare la situazione emergenziale di cui in premessa;
ad adottare iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
a promuovere, per quanto di competenza, la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi;
ad accelerare, anche alla luce degli eventi più recenti, la stipula di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00614) (Nuova formulazione) «Rao, Ria, Galletti, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Binetti, Capitanio Santolini, De Poli, Anna Teresa Formisano, Libè, Mantini, Tassone, Nunzio Francesco Testa».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
nel nostro stato sociale di diritto, dove la persona assurge a ruolo centrale, la pena cessa di avere un'impronta autoritaria di conformazione delle condotte e diventa uno degli strumenti per la rieducazione del reo, che aspira al recupero del cittadino dopo un percorso trattamentale. Il carcere si pone, quindi, come esperienza provvisoria che prelude al rientro nella società;
in questo contesto si inserivano le misure alternative alla detenzione introdotte con la «legge Gozzini» nel 1986 e con la «legge Simeone-Saraceni» nel 1998 e che vengono applicate successivamente alla condanna dal magistrato di sorveglianza. La ratio è quella di favorire un reinserimento sociale nella fase conclusiva di una pena lunga o di sostituire pene detentive brevi, mediante un approccio di ricucitura graduale e controllata con la società civile;
è noto che l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esse la politica, la società civile, la magistratura, ma soprattutto i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
se le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile, bisogna chiedersi perché. Vi è stata da vari anni una contrazione nell'ambito delle politiche di sicurezza della possibilità di utilizzo delle cosiddette misure alternative: sono costanti l'elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, l'introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, l'innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso emblematico è la «legge ex Cirielli» n. 251 del 2005, che ha accorciato i tempi di prescrizione per alcuni reati e ha introdotto limiti alla concessione delle misure premiali ai recidivi reiterati, categoria che ricomprende in sé anche reati per fatti di scarso allarme sociale e magari per fatti distanti decenni nel tempo;
già l'11 e il 12 gennaio del 2010, con la discussione sulla mozione Franceschini 1/00302 e sulle altre mozioni abbinate, la Camera dei deputati si è occupata della situazione carceraria: il Governo, ad oggi, deve ancora dare attuazione a molti degli impegni assunti con l'approvazione di quella mozione Franceschini e delle altre mozioni abbinate;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il Ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio dei ministri). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal Ministro nel mese di gennaio 2010 tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2010 e 100 milioni del bilancio della giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, prevedendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione giustizia, né il Ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno mai fornito, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del piano di interventi; dell'assunzione dei 2.000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
la presente mozione si rende necessaria per dare un nuovo forte indirizzo alla «politica carceraria» del Governo,

impegna il Governo:

a ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana;
a reperire le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria, nonché del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia (educatori, assistenti sociali, psicologi), avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie e che sia in grado di supportare l'auspicata riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione;
a promuovere la modifica del comma 1-bis dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena, tenendo conto che è opportuno che l'effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni, nonché a rafforzare le piante organiche degli uffici di sorveglianza e a favorire, nell'ambito di una corretta collaborazione istituzionale, l'elaborazione di linee guida o di protocolli operativi utili a rendere chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell'azione della magistratura di sorveglianza (così da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere);
ad effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», valutando anche di procedere in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013;
ad informare tempestivamente il Parlamento in merito allo stato di attuazione del piano carceri relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria, per i quali il commissario straordinario, in base agli articoli 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, può procedere in deroga alle ordinarie competenze;
ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere.
(1-00615) «Ferranti, Amici, Tidei, Melis, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Andrea Orlando, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Touadi, Rampi».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
il problema principale per l'amministrazione della giustizia italiana resta la lentezza del sistema giudiziario che, di fatto, impedisce al cittadino di fruire della giustizia quale servizio di un moderno Stato democratico;
nel campo del processo civile sono stati ottenuti risultati encomiabili: nel 1980, infatti, l'arretrato civile, già allora considerato grave, era pari a 1.394.826 procedimenti, nel 1990 cresceva a 2.414.050 e nel 2000 raggiungeva il traguardo di 4.896.281 procedimenti. Il 31 dicembre 2009 si avvicinava alla soglia dei 6 milioni, segnando il record assoluto di 5.826.440 di arretrato pendente;
dopo anni di costante, quanto inesorabile, aumento della pendenza dell'arretrato, gli uffici della statistica del Ministero della giustizia hanno registrato nel 2010 un risultato straordinario: il numero dei processi civili pendenti, nel giugno del 2010, è sceso del 4 per cento, arrivando a 5.600.616 rispetto al 2009, con una diminuzione pari a meno 223.824 procedimenti, cosa che finalmente marca una decisa inversione del trend negativo;
quest'inversione di tendenza rappresenta un risultato non occasionale che trova la sua spiegazione nella convergenza di almeno tre fattori positivi introdotti dal Governo Berlusconi: le riforme in materia di processo civile, la sempre più completa informatizzazione degli uffici giudiziari, le modifiche normative delle spese di giustizia, in particolar modo della disciplina del contributo unificato che ha abbattuto sensibilmente il numero delle opposizioni a sanzioni amministrative;
i risultati ottenuti in campo civile non sono paragonabili a quelli registrati nel campo penale, dove la lentezza del processo continua ad essere un problema irrisolto. Nel settore penale, infatti, i dati segnalano una stabilità della pendenza con un modesto decremento, poiché si passa da 3 milioni e 335 mila procedimenti pendenti al 31 dicembre 2009 a 3 milioni e 290 mila al 30 giugno 2010: segno evidente della necessità di una maggiore incisività degli interventi sul processo penale;
particolarmente grave continua ad essere la condizione di molti cittadini in attesa di giudizio: drammatica, in particolare, quella dei detenuti in attesa di giudizio;
in questo contesto va, comunque, rilevato un dato in costante aumento, la sopravvenienza, cioè, dei procedimenti penali iscritti presso le procure della Repubblica contro indagati noti per reati di competenza delle direzioni distrettuali antimafia; un dato che registra un incremento del 10,5 per cento: la dimostrazione dell'impegno di questo Governo nella costante azione di contrasto alla criminalità organizzata, un impegno che ha portato a risultati mai raggiunti fino ad ora. Ad oggi, con questo Governo si registra il più alto numero di detenuti sottoposti al regime di cui al 41-bis dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico, il più alto numero di provvedimenti ministeriali di riapplicazione del citato regime del 41-bis dopo l'avvenuto annullamento disposto in sede giudiziaria dai tribunali di sorveglianza, il più basso numero di provvedimenti ministeriali di revoca del 41-bis da parte del Ministro della giustizia;
con il IV Governo Berlusconi si registra, inoltre: il più alto numero di posti di magistrati messi a concorso in soli due anni (ben 713, cui si aggiungono i 253 magistrati già assunti nel 2010, per complessive 966 unità); il più alto numero di posti di agenti di polizia penitenziaria, ben 1.800, banditi in un solo concorso; il più alto numero di nuovi posti nelle strutture carcerarie, cioè 2.000 in due anni, equivalenti al numero di nuovi posti che erano stati istituiti nei dieci anni precedenti. Il tutto senza che la gestione del tragico record di presenza nelle carceri abbia indotto al ricorso di provvedimenti generalizzati di clemenza, che quando adottati, anche nel recente passato, si sono dimostrati del tutto inefficaci;
negli ultimi dodici mesi si sono registrati risultati significativi in materia di organizzazione dei servizi e di potenziamento del sistema carcerario, nonostante i tagli determinati a livello globale dalla contingente crisi economica sui bilanci di ciascuna amministrazione pubblica;
il 2010 ha segnato un decisivo avanzamento delle tre linee di intervento su cui si articola l'azione del Governo nella delicata materia della gestione delle carceri: la deflazione dei flussi d'ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione, il piano di interventi di edilizia penitenziaria, la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria;
con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 marzo 2010 è stato nominato il commissario delegato per l'esecuzione degli interventi di edilizia penitenziaria di cui al cosiddetto piano carceri. Il 30 giugno 2010 il comitato interministeriale, presieduto dal Ministro della giustizia, ha approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di undici nuovi istituti carcerari e di venti nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l'entità degli investimenti - 675 milioni di euro - sia per la tempistica della loro esecuzione, cioè nell'arco di un triennio, sia per la portata strategica volta a soddisfare un fabbisogno carcerario pari a circa 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano;
tra il mese di luglio 2010 ed il mese di gennaio del 2011 sono state concluse quattro intese istituzionali tra il commissario delegato, le regioni ed i comuni interessati, per un ammontare di intese che coprono circa il 75 per cento del volume complessivo degli investimenti previsti nel piano carceri. Tali intese consentono la realizzazione degli interventi carcerari con le deroghe e le varianti ai vigenti strumenti urbanistici che si rendono necessari, il tutto secondo tempistiche e procedure di massima celerità e snellezza, sempre nel rispetto del dialogo con le autorità locali ed i soggetti cui è affidata la tutela dei regimi vincolistici del territorio. Senza tale regime derogatorio sarebbe stato impossibile provvedere alla localizzazione dei nuovi interventi ed alle necessarie varianti propedeutiche all'esecuzione degli ampliamenti in tempi così straordinariamente ristretti;
al di là del piano carceri si è, comunque, continuato a lavorare. Nel 2010, sono stati portati a completamento i lavori di ristrutturazione e di costruzione dei nuovi padiglioni di diverse strutture carcerarie, si è lavorato e si continua a lavorare per garantire la creazione di nuovi posti e condizioni di vivibilità per i detenuti sempre migliori;
contemporaneamente si è agito sul piano della riprogettazione della pianta organica della polizia penitenziaria, sono stati portati a termine i concorsi pendenti e si è dato corso all'immissione dei vincitori in graduatoria nell'amministrazione penitenziaria;
con l'articolo 4 della legge n. 199 del 2010 è stata autorizzata l'assunzione di circa 1.800 unità di polizia penitenziaria a copertura dell'aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed all'apertura delle nuove strutture carcerarie. In coordinamento con tale disposizione è stato, altresì, favorito il finanziamento di progetti mirati al recupero dei ristretti, anche tramite l'attivazione di nuovi posti di lavoro presso le case circondariali;
si è poi cercato di aumentare l'impegno nella gestione delle misure di esecuzione penale esterna ed anche in questo caso l'azione del Governo pare dare buoni frutti: si registra, infatti, nel 2010 un incremento del 29,5 per cento rispetto al 2009, dei detenuti interessati da tale misura, incremento destinato ad un'ulteriore crescita per gli effetti della legge n. 199 del 2010;
in questo quadro vanno ricordati due importanti interventi legislativi: la legge n. 199 del 2010, nella parte in cui introduce nuove disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, e il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che attua una decisione quadro europea in materia di trasferimento delle persone condannate. L'Italia, va sottolineato, è il primo Stato ad avere dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria, che consente di trasferire le persone condannate dall'Italia verso lo Stato membro di cittadinanza e viceversa per l'esecuzione delle pene detentive. Per la prima volta il trasferimento potrà avvenire senza un previo accordo con lo Stato estero di cittadinanza del condannato e senza il consenso della persona. Si realizza così un duplice obiettivo: da una parte, si consente al condannato di scontare la pena detentiva in un contesto, e cioè lo Stato di cittadinanza, che ne agevola il reinserimento sociale, familiare e lavorativo; dall'altra, insieme ad altre misure contenute nel piano carceri, si avvia a soluzione lo storico problema della tensione detentiva, riducendo il numero degli stranieri detenuti in Italia;
con specifico riferimento al personale penitenziario deve essere ricordato che, anche su tale fronte, il Governo si è attivato con più interventi. La legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» facendo un'eccezione al generalizzato blocco del turnover, consente negli anni 2010, 2011 e 2012 l'assunzione di personale nel limite del contingente di quello cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente. Inoltre, è stato firmato in data 4.12.2010 il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di autorizzazione all'assunzione di 760 unità nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria relativa al cosiddetto turnover anno 2010 (cessazioni di personale anno 2009);
la legge 26 novembre 2010, n. 199, recante «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno» che all'articolo 4, comma 1, lettera b) prevede: «l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto. A tale ultimo fine e per assicurare, inoltre, la piena operatività dei relativi servizi, il Ministro della giustizia è autorizzato all'assunzione di personale nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria (...)». Già durante l'iter di approvazione della citata legge, al fine di accelerare i tempi per le necessarie procedure, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale due concorsi per l'assunzione di 100 unità nel ruolo femminile e 500 unità nel ruolo maschile degli agenti ed assistenti del Corpo di polizia penitenziaria. Il numero dei posti di tali concorsi potrà essere modificato in ragione dell'individuazione e destinazione dei fondi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), della legge n. 199 del 2010;
relativamente, invece, agli assistenti sociali è stato richiesta dal dipartimento della funzione pubblica, per l'anno 2011, l'autorizzazione ad assumere, tramite procedure di mobilità da altre amministrazioni, 24 funzionari;
per quanto riguarda ancora l'implementazione delle misure alternative, si evidenzia che nel corso della presente legislatura sono state assunte specifiche iniziative legislative volte ad incentivarne il ricorso e a ridurre il tasso di carcerizzazione negli istituti di pena del Paese: si collocano all'interno di tale orientamento sia la legge 26 novembre 2010 n. 99, che il disegno di legge n. 3291-ter, ancora all'esame degli organi parlamentari;
per quanto riguarda, ancora, la legge n. 199 del 2010, questa prevede che, non oltre il 31 dicembre 2013, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggiore pena, è eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Si tratta di una misura a carattere transitorio prevista proprio per attenuare il sovraffollamento carcerario, tendente a favorire il reinserimento sociale ed applicabile quando non sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa allontanarsi dal domicilio dichiarato e commettere altri delitti;
il completamento dell'attuazione del piano carceri e la valorizzazione delle potenzialità offerte dalla legge n. 199 del 2010 in materia di detenzione domiciliare sono obiettivi fondamentali del Governo,

impegna il Governo:

a proseguire nell'attività intrapresa, dando seguito alla completa realizzazione dei nuovi istituti penitenziari ed alla programmata assunzione di nuovo personale;
a ridurre il sovraffollamento nelle carceri e migliorare le condizioni di vita dei ristretti;
a dare concreta attuazione ai principi costituzionali in materia di esecuzione della pena, sotto il profilo sia dell'umanizzazione, che della finalità rieducativa della stessa;
ad estendere la concreta applicazione del vigente principio di territorialità della pena, in modo da consentire ai detenuti - non connotati da un elevato grado di pericolosità - di conservare il patrimonio affettivo ed i legami familiari;
a favorire una migliore applicazione dei criteri di distinzione tra i detenuti, al fine di diversificare le offerte trattamentali approntate dall'amministrazione penitenziaria, in base all'effettiva pericolosità dei ristretti ed ai tempi di detenzione;
a realizzare nuovi e diversificati progetti socio-trattamentali per sviluppare le potenzialità lavorative e professionali dei detenuti e per incentivarne l'impiego in settori di interesse sociale, onde favorirne il reinserimento nella società civile a pena espiata;
ad assicurare la concreta attuazione del principio di effettività della pena anche attraverso lo sviluppo in ambito carcerario di più efficaci e moderni sistemi di controllo dei detenuti, anche al fine di agevolare il lavoro della polizia penitenziaria;
a realizzare luoghi di lavoro più consoni alla dignità dei dipendenti impegnati nell'esercizio delle diverse attività professionali all'interno degli istituti penitenziari;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne meno gravosa l'attività lavorativa.
(1-00616) «Costa, Lussana, Belcastro, Baldelli, Cassinelli, Nicola Molteni, Contento, Follegot, D'Ippolito Vitale, Isidori, Garagnani, Paolini, Ghedini, Girlanda, Holzmann, Paniz, Papa, Pittelli, Repetti, Mariarosaria Rossi, Scelli, Sisto, Torrisi, Vitali».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
il 12 gennaio 2010 l'Assemblea della Camera dei deputati aveva approvato 12 punti della mozione radicale sulle carceri che aveva ricevuto il sostegno di decine di deputati di maggioranza e di opposizione;
i 12 punti approvati impegnavano il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge Gozzini, da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario;
d) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
e) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi per ridurre il rischio di recidiva;
f) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
g) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
h) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
i) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
l) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge Smuraglia), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
m) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
n) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
i punti approvati più di un anno fa sono ancora di stringente attualità, atteso che le condizioni nei penitenziari italiani sono addirittura peggiorate: essendo aumentato il numero dei detenuti che sono passati da 64.791 al 31 dicembre 2009 ai 67.600 del 31 marzo 2011; essendo drammaticamente permanente il numero delle morti in carcere e degli altri eventi critici, ivi compresi i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo, le aggressioni al personale; permanendo la carenza di 6.000 unità nel corpo degli agenti di polizia penitenziaria; essendo stati tagliati di un ulteriore 30 per cento i già esegui fondi stanziati per il lavoro in carcere (mercedi), per la manutenzione ordinaria degli edifici, per il monte ore delle prestazioni degli psicologi, per i capitoli di spesa per i sussidi ai detenuti indigenti, per le dotazioni di generi per la pulizia personale e per la pulizia delle celle,

impegna il Governo:

a dare attuazione con urgenza agli impegni già assunti più di un anno fa con le mozioni approvate in data 12 gennaio 2010;
a rendere costantemente conto, anche rispondendo tempestivamente agli atti di sindacato ispettivo presentati, dell'attuazione degli impegni presi.
(1-00617) «Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti, Calvisi, Marrocu, Burtone, Baretta».
(12 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le carceri italiane, con un sovraffollamento di molto superiore alle soglie di tollerabilità di ogni singolo istituto, sono tali da rendere inaccettabili le condizioni di vivibilità per i detenuti mortificando lo stesso lavoro degli agenti della polizia penitenziaria;
la situazione nelle carceri è drammatica ed è precipitata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, da quando sono state approvate due leggi: l'ex Cirielli, che vieta nel caso di reati minori pene alternative, e la Fini-Giovanardi, che aumenta le sanzioni per produzione, traffico, detenzione illecita e uso di sostanze stupefacenti: l'una e l'altra stanno alimentando il sovraffollamento;
la Costituzione italiana prescrive espressamente all'articolo 27 che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato;
i dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria segnalano un'allarmante crescita media di oltre 500 reclusioni al mese, che hanno già determinato il superamento della capienza tollerabile di detenuti negli istituti di pena italiani: a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 44.000 unità, i detenuti risultano essere oltre 68.000;
alla data del 20 marzo 2011, negli istituti penitenziari italiani (circuito per adulti) erano ristretti 67.318 detenuti (64.370 uomini e 2.948 donne) a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 45.059. Un surplus di 22.259 detenuti in più rispetto alla massima capienza che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 54,2 per cento. In nove regioni italiane il tasso di affollamento varia dal 23 al 50 per cento, in dieci regioni dal 51 all'80 per cento e l'unica regione che non presenta (apparentemente) una situazione sovraffollata è il Trentino Alto Adige (ma il dato è condizionato dal sottoutilizzo del nuovo carcere di Trento). Capofila, per sovraffollamento, la Calabria (77,6 percento) seguita da Puglia (76,3 per cento), Emilia Romagna (73,7 per cento), Marche (72,1 percento) e Lombardia (65,9 per cento). L'istituto con il più alto tasso di affollamento si conferma Lamezia Terme (193,3 per cento), seguito da Busto Arsizio (164,7 per cento), Vicenza (155,5 per cento). Brescia Canton Mombello (152,5 per cento), Mistretta (137,5 per cento);
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, si sono verificati 14 suicidi in cella;
nel fine settimana del 2 e 3 aprile 2011 ci sono stati quattro tentativi di suicidio (in tre casi il detenuto è morto). Dall'inizio dell'anno le vittime sono 37, di cui 15 per suicidio, 17 per cause naturali e 7 ancora da accertare, 12 gli stranieri. Altri casi: Giuseppe Uva morto nella caserma dei carabinieri di Varese per percosse, Niki Aprile Gatti morto nel carcere di Sollicciano (la famiglia non crede che si sia ucciso). Uno dei quattro tentativi di suicidio avvenuti nel citato fine settimana è quello di Carlo Saturnio, 22 anni, di Manduria, morto il 7 aprile 2011. Il giovane, detenuto per furto, era parte civile in un processo a Lecce contro 9 agenti del carcere minorile accusati di maltrattamenti e vessazioni su detenuti. Carlo aveva denunciato le sevizie subite all'età di 16 anni;
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, in 91 istituti (sui 205 attivi) sono stati tentati 194 suicidi. I detenuti che debbono la vita a salvataggi in extremis da parte di poliziotti penitenziari assommano a 31. Il numero maggiore di tentati suicidi si è verificato a Venezia Santa Maria Maggiore (10) seguita da Como, Firenze Sollicciano e San Gimignano (7). In 134 istituti si sono verificati 1.025 episodi di autolesionismo. Il triste primato spetta a Lecce (54), seguita da Bologna e Firenze Sollicciano (33) nonché da Genova Marassi e dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli (31). Ad aggravare il quadro complessivo concorrono i 59 episodi di aggressioni in danno di poliziotti penitenziari, che contano 39 unità ferite che hanno riportato lesioni giudicate guaribili oltre i sette giorni. A Genova Marassi il maggior numero di aggressioni ai baschi blu (6) seguita dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e dagli ospedali psichiatrici giudiziari di Napoli e Como (5). Ma non mancano nemmeno le proteste. Dal 1o gennaio al 20 marzo 2011 le manifestazioni di protesta collettive, all'interno dei penitenziari, sono state 75. Gli scioperi della fame 1.153; i rifiuti delle terapie mediche 57; i rifiuti del vitto dell'amministrazione 217; gli atti di turbamento dell'ordine e della sicurezza 59. Questi numeri fotografano oltre ogni competente commento - aggiunge Sarno - la realtà che connota i nostri penitenziari, sempre più città fantasma confinate nelle retrovie dell'attenzione di chi è deputato ad analizzare e risolvere le grandi questioni sociali: i politici;
oltre a denunciare le condizioni di estremo degrado e decadenza degli istituti penitenziari, è d'obbligo rimarcare le conseguenze, dirette, che lo sfascio del sistema carcerario riversa sulla pubblica sicurezza;
la gravissima deficienza organica della polizia penitenziaria, stimata intorno alle 6.500 unità, non solo determina carichi di lavoro insostenibili e inaccettabili condizioni di lavoro, ma produce effetti devastanti per l'ordine pubblico. I cinque evasi, nelle ultime settimane (da Augusta, Voghera e Roma) testimoniano, in modo significativo e indicativo, questa eventualità. Non poter garantire, per penuria d'organico, adeguata sorveglianza ai detenuti ristretti (persino a quelli classificati «alta sicurezza») ed ai detenuti ricoverati nelle corsie ordinarie degli ospedali e non poter effettuare i servizi di traduzione in canoni di sicurezza è un grave vulnus per l'ordine pubblico;
da una denuncia contenuta in un report di Ristretti orizzonti, l'associazione che monitora la situazione delle carceri, risulta che: «Negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario italiano è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro. Dal 2007 al 2010 le spese sono state ridotte del 10 per cento, ma in modo diseguale. Il personale ha rinunciato al 5 per cento del budget, l'attività di rieducazione dei detenuti e la manutenzione delle strutture penitenziarie hanno avuto il 31 per cento in meno di fondi. Dal 2000 ad oggi il costo medio annuo del Dap è stato di 2 miliardi e mezzo. Il grosso della spesa (quasi l'80 per cento) paga i costi del personale»;
«Nel 2007 la spesa, pari a 3 miliardi e 95 milioni di euro, ha segnato il massimo storico. Nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalle ultime leggi finanziarie, la spesa è risultata essere di 2 miliardi e 770 milioni di euro, in calo di circa il 10 per cento rispetto al 2007. Il 79,2 per cento dei costi nel decennio - spiega il report - sono stati assorbiti dai circa 48.000 dipendenti del Dap (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori e altro), il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale e altro), il 4,4 per cento dalla manutenzione delle carceri e il 3,4 per cento dal loro funzionamento (energia elettrica, acqua e altro)». «L'incidenza del costo relativo al personale negli ultimi 4 anni è aumentata di ben 5 punti percentuali (dal 79,3 del 2007 all'84,3 per cento del 2010), quindi i sacrifici non si sono scaricati equamente sui diversi capitoli di spesa: al personale in 4 anni sono stati tolti 119.225.000 euro (circa il 5 per cento del budget a disposizione nel 2007), mentre nello stesso periodo le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di 205.775.000 euro, pari al 31,2 per cento»;
l'associazione spiega inoltre che «per quanto riguarda il costo medio giornaliero di ogni singolo detenuto, dal 2001 ad oggi il costo medio è stato di 138,7 euro. Questa cifra è determinata da due elementi: la somma a disposizione dell'amministrazione penitenziaria e il numero medio dei detenuti presenti in un dato anno. L'ammontare dei fondi stanziati non risulta collegato all'aumento della popolazione detenuta (tanto che dal 2007 ad oggi i detenuti sono aumentati del 50 per cento e le risorse del Dap sono diminuite del 10 per cento), quindi più persone ci sono in carcere e meno costerà il mantenimento di ciascuno di loro; così, mentre il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti (in 30 mesi i detenuti sono aumentati di quasi 30 mila unità: dai 39.005 dell'1o gennaio 2007 ai 67.961 del 31 dicembre 2010), la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro)»;
nel dettaglio, di questi 113 euro: 95,3 (pari all'84,3 per cento del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6,2 per cento del totale) sono spesi per il cibo, l'igiene, l'assistenza e l'istruzione dei detenuti; 5,60 (5,4 per cento del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4,1 per cento del totale) per il funzionamento delle carceri (elettricità, acqua e altro). Escludendo i costi per il personale penitenziario e per l'assistenza sanitaria, che è diventata di competenza del Ministero della salute, nel 2010 la spesa complessiva per il mantenimento dei detenuti è pari a 321.691.037 euro, quindi ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno;
tra le voci di spesa, i pasti rappresentano la maggiore (3,95 euro al giorno), seguita dai costi di funzionamento delle carceri (acqua, luce, energia elettrica, gas e telefoni, pulizia locali, riscaldamento e altro), pari a 3,6 euro al giorno, e dalle mercedi dei lavoranti (cioè i compensi per i detenuti addetti alle pulizie, alle cucine, alla manutenzione ordinaria e altro), che concorrono per 2,24 euro al giorno. «Al riguardo va detto che il fabbisogno stimato per il funzionamento dei cosiddetti servizi domestici sarebbe di 85 milioni all'anno, ma nel 2010 ne sono stati spesi soltanto 54: i pochi detenuti che lavorano si sono visti ridurre gli orari e, di conseguenza, nelle carceri domina la sporcizia e l'incuria», segnala il report;
per quanto riguarda la rieducazione, «la spesa risulta a livelli irrisori: nel trattamento della personalità ed assistenza psicologica vengono investiti 2,6 euro al mese, pari a 8 centesimi al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive: 3,5 euro al mese, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto;
nella colpevole indifferenza del Governo la situazione nelle carceri italiane è diventata ormai insostenibile, sia per i detenuti che per la polizia penitenziaria e la protesta delle agenti donne di Rebibbia è la risposta drammatica ed estrema di chi si sente completamente abbandonato dallo Stato»;
il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia conoscono bene la gestione dei detenuti sottoposti al regime previsto dal 41-bis. Per legge, questa tipologia di detenuti dovrebbe essere sorvegliata dal reparto specializzato della polizia penitenziaria Gom (Gruppo operativo mobile). Ma in più di una struttura (Parma su tutte, a seguire Milano Opera, Novara e altre) i detenuti al 41-bis non sempre sono affidati al personale del Gruppo operativo mobile;
i dati che si registrano sull'aumento dei suicidi nelle carceri italiane parallelamente alla crescita del numero dei detenuti risultano particolarmente preoccupanti, tenuto conto che, solo dall'inizio del 2010, sono stati riscontrati alla data del 29 luglio 2010 39 casi di suicidio nelle strutture penitenziarie del Paese, come documentato dall'associazione Antigone e dal sito del Garante dei detenuti della Sicilia;
la carenza di fondi destinati al lavoro in istituto, legata al sovrannumero, comporta una oggettiva difficoltà nel favorire un percorso riabilitativo cosicché, nella maggioranza dei casi, la reclusione intramuraria risulta essere solo un'espiazione della pena, senza che si siano oggettivamente attivate significative iniziative di rieducazione e di reinserimento;
una rappresentanza della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, recandosi in visita presso alcuni istituti penitenziari della Sicilia, ha potuto riscontrare direttamente come la carenza di fondi abbia come effetto immediato la sostanziale impossibilità di favorire un percorso riabilitativo e come l'esiguità degli spazi costituisca una minaccia alla salute fisica e mentale dei detenuti, con il risultato che appena il 10-15 per cento dei reclusi, tra l'altro, è nelle condizioni di svolgere attività lavorativa;
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti e altri atti internazionali firmati e ratificati dall'Italia stabiliscono il divieto assoluto di tortura e trattamento inumano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha più volte condannato l'Italia per le condizioni in cui tiene il proprio sistema carcerario;
il Consiglio dei diritti umani di Ginevra, nell'ambito della procedura di verifica periodica universale cui nel 2010 è stata sottoposta l'Italia, con le sue raccomandazioni ha stigmatizzato il sistema carcerario italiano;
in Italia i magistrati di sorveglianza sono 178 (l'organico è di 204) e ogni magistrato deve occuparsi mediamente di 394 detenuti;
ogni detenuto presenta circa dieci domande l'anno (ricoveri, reclami, liberazioni anticipate, misure alternative ed altro) e ogni giudice di sorveglianza è costretto a portare avanti circa quattro mila procedimenti non potendo, così, esercitare le funzioni di controllo di legalità all'interno degli istituti penitenziari attraverso lo strumento delle ispezioni;
in Italia, contrariamente a quanto previsto in ben 22 Paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria), non esiste un organismo di controllo delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà deputato a svolgere attività di protezione dei diritti delle persone ristrette;
la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri degli Stati membri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006 nel corso di una riunione dei delegati dei Ministri) ha stabilito che le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare misure di sicurezza compatibili (tra l'altro) col rischio che i detenuti si feriscano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito, in virtù di quanto previsto dall'articolo 3 della Convenzione (che sancisce in termini assoluti il divieto di tortura, pene o trattamenti disumani o degradanti), che lo Stato deve assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l'interessato a pericoli o a prove di un'intensità che eccedano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato,

impegna il Governo:

a convocare tempestivamente i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
ad informare semestralmente il Parlamento sugli esiti del progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, con particolare riferimento ai processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne più efficiente e meno pesante l'attività lavorativa;
a valutare ogni iniziativa volta all'assunzione di educatori penitenziari;
ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa e che abbiano tra i propri obiettivi quello di formare in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione, e in ogni caso poteri idonei a promuovere concretamente attività di prevenzione e soluzione dei conflitti;
a valutare l'adozione di iniziative normative volte a migliorare e tutelare la dignità personale dei detenuti e le condizioni di lavoro di tutto il personale che vi opera, nel pieno rispetto del dettato costituzionale, nonché delle disposizioni dei numerosi atti internazionali sottoscritti dall'Italia.
(1-00618) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Palomba, Di Stanislao, Paladini, Monai».
(12 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
la condizione delle carceri italiane ha raggiunto livelli di sovraffollamento non più tollerabili. Secondo i dati del rapporto Eurispes, che richiama i dati del Ministero della giustizia, il numero complessivo dei detenuti presenti negli istituti di pena alla fine del 2010 era pari a 67.961, a fronte di una capienza massima pari a 45.022 condannati. Ne deriva che attualmente nelle carceri italiane vi sono 22.939 detenuti in più rispetto a quelli regolarmente previsti;
l'analisi dei dati regionali mostra nel dettaglio una situazione drammatica: la condizione peggiore sembra spettare alla Puglia, dove la popolazione carceraria è pari a 4.755 presenze, rispetto alle 2.528 regolamentari; ovvero ogni 100 posti, vi sarebbero 88 detenuti in esubero. In Emilia-Romagna l'eccedenza è pari a 83 unità. In Sardegna la situazione sembra migliorare, dal momento che nei 12 istituti esistenti sono presenti 2.217 reclusi, a fronte dei 1.970 previsti regolarmente. La situazione migliore sembra essere quella del Trentino-Alto Adige, che registra 405 presenze rispetto alle 394 consentite;
in questa situazione il rischio concreto della diffusione di infezioni e malattie tende ad aumentare, proprio perché vengono a mancare quelle condizioni minime di salute e di prevenzione che dovrebbero essere garantite a tutti i detenuti, ma che in presenza di dati così drammatici diventa impossibile assicurare. Il rapporto Eurispes, infatti, registra, oltre alla presenza di patologie da sempre prevalenti, quali epatite b, c e aids, anche la riemersione di quelle che sembravano ormai superate, come la tubercolosi;
pertanto, la condizione delle strutture penitenziarie, oltre a determinare un peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti, produce evidenti effetti negativi dal punto di vista della tutela dei diritti degli stessi reclusi. Sul punto è intervenuta la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato l'Italia per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, a seguito del ricorso presentato da uno straniero detenuto nel carcere di Rebibbia, dove, con altre cinque persone, ha condiviso per tre mesi una cella, avendo ciascuno uno spazio a disposizione di 2,7 metri quadri. Il Comitato per la prevenzione della tortura, istituito dal Consiglio d'Europa, ha fissato in 7 metri quadri lo spazio minimo per detenuto. La mancanza evidente di tale spazio personale, secondo la Corte, costituisce violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti;
secondo lo studio effettuato dall'associazione «Ristretti orizzonti», vi è una forte relazione tra il tasso di sovraffollamento e l'elevato numero di persone che hanno deciso di togliersi la vita in carcere. Nel 2009 sono state 72 le persone che volontariamente si sono tolte la vita su un totale di 177 persone morte in carcere. Nel 2010, invece, i casi di suicidio sono stati 66, su 173 decessi complessivi; secondo i sindacati di polizia penitenziaria dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, si sono avuti 14 suicidi in carcere. Nello stesso periodo in 91 istituti, sui 205 attivi, sono stati tentati 194 suicidi; in 134 istituti si sono verificati 1.025 episodi di autolesionismo; le manifestazioni di protesta collettive, all'interno dei penitenziari, sono state 75; si sono avuti 1.153 scioperi della fame, 57 rifiuti delle terapie mediche, 217 rifiuti del vitto dell'amministrazione, 59 atti di turbamento dell'ordine e della sicurezza;
se si analizza la composizione della popolazione carceraria, si osserva che un terzo è composto da detenuti stranieri, circa 24.829; 1.300 circa sono reclusi solo per non aver eseguito l'ordine di espulsione; un altro terzo, pari a circa 26.277 detenuti, è costituito da tossicodipendenti, che insieme agli psichiatrici e agli autori dei cosiddetti reati di strada, rappresentano le categorie più comuni presenti nelle strutture carcerarie;
la situazione delle carceri è resa esplosiva anche per effetto della normativa adottata in materia di droga e di immigrazione, oltre alle disposizioni sui recidivi e sulle aggravanti dettate dalla «legge Cirielli» e dai «pacchetti-sicurezza»; se nel 2008 il numero dei detenuti era pari a 58.127 unità, la politica sulla sicurezza adottata dal Governo ha prodotto un aumento del numero dei detenuti di 10 mila persone, a fronte del successivo fallimento della cosiddetta normativa «svuota carceri», che ha concesso la detenzione domiciliare soltanto a 1.788 detenuti;
le condizioni di degrado nelle quali versano gli istituti penitenziari dipendono anche dalla mancanza di risorse a disposizione, alla luce degli effetti prodotti dai tagli delle diverse leggi finanziarie: nel 2007 lo stanziamento previsto per la gestione dell'intero sistema carcerario era pari a 3.095.506.362 euro, mentre nel 2010 le risorse disponibili sono state di appena 2.770.841.742 euro; ancora, nel 2007 la spesa media pro capite è stata calcolata in 198,4 euro per 44.587 soggetti detenuti, alla fine del 2010, invece, il costo medio giornaliero è stato calcolato in 113,04 euro, a fronte di un aumento della popolazione detenuta di 22.569 unità. Si calcola che il sistema carcerario nel suo complesso sia costato 29 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, mentre la manutenzione e le diverse attività di rieducazione hanno subito una contrazione pari al 31 per cento delle risorse;
un ulteriore elemento che incide fortemente sul sistema carcerario italiano è rappresentato dalla grave carenza di organico della polizia penitenziaria, che, secondo i dati dei sindacati, è stimato intorno alle 6.500 unità, con gravissime conseguenze sia per i carichi di lavoro, sia per le condizioni nelle quali gli agenti penitenziari si trovano costretti ad operare, sia per le ripercussioni sull'ordine pubblico;
un tale sistema carcerario rappresenta un ostacolo al recupero dei detenuti e impedisce la funzione rieducativa e di riabilitazione della pena, così come invece previsto dall'articolo 27 della Costituzione,

impegna il Governo:

a dare seguito al cosiddetto «piano carceri» per la costruzione di nuove strutture penitenziarie, al fine di risolvere la questione del sovraffollamento degli istituti, garantendo apertura e massima trasparenza nella gestione di tutte le procedure di spesa;
a prevedere misure finalizzate a prevenire la questione del sovraffollamento carcerario, anche attraverso la promozione di norme volte a garantire una più immediata accessibilità alle pene alternative alla detenzione, la riduzione delle pene previste per reati di minore entità, la limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere e la previsione di criteri più agevoli per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie;
a predisporre le misure necessarie per adeguare l'organico del personale di polizia penitenziaria e del personale addetto all'assistenza, anche attraverso la promozione di attività formative specifiche, per cercare di arginare la situazione di emergenza nella quale si trovano le strutture penitenziarie italiane nell'attesa di una definitiva soluzione.
(1-00619) «Mosella, Tabacci, Lanzillotta, Pisicchio, Vernetti, Brugger».
(12 aprile 2011)



MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DELLA LINGUA ITALIANA NELLE ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA

La Camera,
premesso che:
si registrano numerose e crescenti violazioni del regime linguistico dell'Unione europea, in contrasto con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità e quindi alla lingua, di cui all'articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e in violazione del regolamento del Consiglio n. 1 del 1958;
è, infatti, crescente il ricorso, sia nelle prassi interne delle istituzioni dell'Unione europea sia nella disciplina di specifici istituti giuridici, ad inglese, francese e tedesco quali lingue di lavoro o di comunicazione con gli Stati membri e i loro cittadini;
tali pratiche determinano un'ingiustificata discriminazione a vantaggio dei membri e dei funzionari delle istituzioni dell'Unione europea provenienti dai Paesi aventi quale lingua madre inglese, francese e tedesco e dei relativi cittadini ed imprese e a danno di quelli provenienti dagli altri Stati membri;
l'affermazione del trilinguismo appare, inoltre, suscettibile di incidere negativamente sul ruolo dell'Italia nel processo di integrazione europea e sulla competitività del sistema produttivo italiano, che è costretto a sostenere costi di traduzione ulteriori rispetto alle imprese dei Paesi che utilizzano una delle tre lingue in questione;
relativamente al funzionamento interno delle strutture amministrative delle istituzioni europee, le esigenze di riduzione dei costi di traduzione e di semplificazione possono giustificare il ricorso ad una o due lingue veicolari, quali l'inglese e, in alcuni ambiti, il francese;
il ricorso ad inglese, francese e tedesco appare, invece, del tutto ingiustificato anche sul piano pratico, essendo esso fonte di costi di traduzione e interpretariato non necessari ad assicurare l'efficace funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea;
tali costi sono, peraltro, interamente a carico del bilancio dell'Unione europea, finanziato da tutti gli Stati membri, configurando un ulteriore elemento di iniquità;
è di particolare gravità in questo contesto la trasmissione alle amministrazioni dei Parlamenti nazionali di comunicazioni dell'amministrazione del Parlamento europeo redatte in inglese, francese e tedesco. L'uso di tutte le lingue ufficiali dell'Unione europea, oltre a rispondere a precisi obblighi imposti dal Trattato, è un presupposto imprescindibile per sviluppare ulteriormente, su un piano di parità, le relazioni tra le istituzioni dell'Unione europea ed i Parlamenti nazionali, nonché per consolidare la cooperazione interparlamentare;
anche nell'attività amministrativa e di documentazione del Parlamento europeo è, peraltro, crescente il ricorso di fatto alle tre lingue sopra indicate, a fronte di una prassi consolidata che prevedeva per evidenti esigenze di semplificazione e contenimento dei costi l'utilizzo delle lingue veicolari inglese e francese. Persino il sito intranet del Parlamento europeo include dal 2009 quali lingue di navigazione l'inglese, il francese e il tedesco;
la Camera ha in più occasioni, da ultimo nella risoluzione Pescante ed altri (n. 6-00043), approvata il 13 luglio 2010, impegnato il Governo ad opporsi ai tentativi di imporre inglese, francese e tedesco quali «lingue di lavoro» di altre istituzioni ed organi dell'Unione europea;
con documento finale approvato il 22 dicembre 2010, la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati ha espresso una valutazione fermamente contraria sulla proposta di regolamento relativa al regime di traduzione del brevetto dell'Unione europea (COM(2010)350 def), in quanto essa prevede che il brevetto unico sia richiesto e rilasciato esclusivamente in inglese, francese o tedesco;
l'illegittimità del trilinguismo è stata, per alcuni profili, riconosciuta nella sentenza resa nella causa T-205/07, il 3 febbraio 2011, dal tribunale dell'Unione europea, che, accogliendo un ricorso dell'Italia, ha annullato un invito a manifestare interesse per la costituzione di un elenco di candidati ai fini dell'assunzione di agenti contrattuali delle istituzioni europee, pubblicato dall'Ufficio di selezione del personale dell'Unione europea (Epso) nelle lingue tedesca, inglese e francese. La sentenza ha, infatti, dichiarato che la pubblicazione dell'invito nelle sole tre lingue in questione costituisce una discriminazione fondata sulla lingua tra i potenziali candidati, contraria al diritto dell'Unione europea;
occorre che l'Italia elabori una strategia organica e coerente per la tutela e la promozione della lingua italiana nell'Unione europea, nonché in altre organizzazioni internazionali e sovranazionali;
a questo scopo è necessario ed urgente che i membri italiani delle istituzioni ed organi dell'Unione europea contrastino con forza ogni tentativo di violazione del regime linguistico previsto dai Trattati,

impegna il Governo:

a contrastare con intransigenza ogni tentativo di violazione del regime linguistico delle istituzioni dell'Unione europea e di marginalizzazione della lingua italiana, ricorrendo, ove necessario, anche agli strumenti giurisdizionali disponibili;
a definire, in stretto raccordo con le Camere, una strategia organica per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea;
ad opporsi, in particolare, al tentativo di affermare il ricorso alle sole lingue inglese, francese e tedesco nel funzionamento, anche al solo livello amministrativo, di ogni istituzione ed organo dell'Unione europea e a valutare l'opportunità di utilizzare un criterio oggettivo che, limitando le lingue di lavoro entro un numero massimo di sei, tenga conto del numero effettivo di parlanti all'interno dell'Unione europea;
a sostenere, nei casi in cui le esigenze di riduzione dei costi e di miglior funzionamento delle strutture amministrative delle istituzioni ed organi dell'Unione europea lo giustifichino ed il criterio precedentemente esposto non venga recepito, il ricorso, oltre alla lingua della presidenza di turno, alla sola lingua inglese, in quanto lingua veicolare di gran lunga più diffusa a livello europeo e globale, ed eventualmente alla lingua francese, se compatibile con le predette esigenze;
a concordare, con altri Paesi che sarebbero gravemente penalizzati, al pari dell'Italia, dall'adozione del trilinguismo, tutte le iniziative appropriate per assicurare il rispetto del principio della pari dignità delle lingue ufficiali dell'Unione europea.
(1-00567) (Ulteriore nuova formulazione) «Pescante, Gozi, Maggioni, Buttiglione, Ronchi, Razzi, Porcino, Pini, Farinone, Formichella, Scalia, Dell'Elce, Fucci, Nicolucci, Gottardo, Centemero, Consiglio».
(23 febbraio 2011)



INTERPELLANZE URGENTI

A)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri per i beni e le attività culturali e dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e successive modificazioni, di attuazione delle direttiva comunitaria 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato dell'elettricità, ha dato corso alla realizzazione di impianti fotovoltaici in tutte le regioni italiane;
a partire dal 2008 nella regione Molise, seguendo i procedimenti normativi in vigore e in particolare quanto previsto dalla delibera della giunta regionale del Molise n. 1670 del 13 dicembre 2004, d'attuazione al decreto legislativo n. 387 del 2003, dalla legge regionale n. 22 del 2009 e dalla delibera della giunta regionale Molise n. 857 del 25 ottobre 2010, alcuni consorzi di imprese hanno ottenuto dalla regione regolari autorizzazioni per la realizzazione di impianti fotovoltaici;
dalla stampa locale (Il Quotidiano - Termoli) del 22 marzo del 2011, si apprende che il consorzio di imprese denominato Socim lamenterebbe un blocco dei lavori per la realizzazione di due centrali solari, una delle quali già approvata dalla stessa regione Molise, a causa di cavilli burocratici e beghe tra la regione Molise e la soprintendenza ai beni culturali e paesaggistici;
stando a quanto appreso dalla stampa locale, il blocco della realizzazione di tali centrali non riguarderebbe esclusivamente il sopracitato consorzio, ma ben 50 «campi» fotovoltaici e metterebbe a rischio, non solo i 300 posti di lavoro derivanti dall'attività della società impiantistica «montenerese», ma l'intero indotto legato al fotovoltaico, stimato in circa 1600 addetti, penalizzando una regione storicamente deficitaria dal punto di vista occupazionale;
buona parte dei divieti alla realizzazione di tali centrali fotovoltaiche in Molise dipendono da pareri non favorevoli all'esecuzione dei lavori per incompatibilità paesaggistica, espressi dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise e trasmessi alla regione Molise, agli enti locali e ai richiedenti, con documenti scritti e protocollati ma al di fuori della conferenza di servizi;
tale consolidata consuetudine della direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali di disertare la sede decisoria della conferenza di servizi e di consegnare i pareri negativi all'ufficio protocollo, vietando di fatto lo svolgimento del contraddittorio, contravviene a quanto previsto dalla legge n. 241 del 1990, all'articolo 14-quater, comma 1, che recita testualmente: «il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscano oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso»;
la mancata partecipazione della direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali in relazione alla conferenza di servizi, divenuta prassi, ha prodotto decine di contenziosi, supportati da circostanziati pareri legali a loro volta corredati da abbondanti fonti giurisprudenziali, ai fini di una conclusione positiva del procedimento, in applicazione di quanto disposto al comma 1 dell'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990, e relative diffide concernenti una futura richiesta di risarcimento danni;
la descritta circostanza, secondo gli interpellanti, mette in luce un evidente conflitto interpretativo della norma di riferimento da parte delle due amministrazioni coinvolte, ovvero quella statale e quella regionale, in quanto tutti i pareri espressi dalla direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali, che riportano nell'oggetto la dicitura che richiama «parere reso ai sensi dell'articolo n. 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004», presuppongono che la struttura ministeriale considera i propri pareri resi all'interno del sub-procedimento, equiparando la consegna del documento alla partecipazione diretta in conferenza di servizi, e quindi obbligatori e vincolanti per l'intero procedimento;
in procedimenti omologhi di rispettiva competenza, in altre regioni a differenza del Molise, è emerso che il Ministero per i beni e le attività culturali in genere partecipa ai lavori delle conferenze oppure, in caso di mancata partecipazione, pone le condizioni per l'applicazione dell'istituto del silenzio assenso ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 7 della legge n. 241 del 1990 e in nessun caso è stata riscontrata l'acquisizione di pareri negativi al di fuori della conferenza di servizi;
l'assenza dei rappresentanti della direzione regionale alle conferenze di servizi e la generica dicitura di «non compatibilità con il paesaggio rurale» con cui questi pareri non favorevoli alla realizzazione degli impianti fotovoltaici sul territorio vengono motivati, oltre a non tener conto, secondo gli interpellanti, dell'esistenza di specifiche linee guida nazionali, individuate nel decreto ministeriale 10 settembre 2010, e regionali, secondo quanto disposto dalla legge regionale n. 22 del 2009, impediscono a prescindere, ai richiedenti il parere, il diritto di dimostrare l'avvenuto adeguamento dei progetti alle norme di legge in vigore sul fotovoltaico -:
se, alla luce di quanto esposto in premessa e ai fini di una più trasparente applicazione della normativa in materia di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato dell'elettricità in Molise, non si ritenga indispensabile intervenire per verificare con celerità la correttezza e la legittimità dei pareri in questione e delle procedure descritte poste in essere dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise, a tutela delle piccole imprese locali e dei relativi posti di lavoro, eventualmente danneggiati da un'erronea interpretazione o applicazione delle leggi e delle norme.
(2-01050) «Piffari, Di Pietro, Donadi, Di Giuseppe, Cimadoro, Zazzera».
(12 aprile 2011)

B)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
con decreto di sequestro preventivo emesso dal pubblico ministero, dottor Galletta, su ordine della procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lamezia Terme, dottor Vitello, è stato disposto il sequestro del campo rom di località Scordovillo e lo sgombero del campo dove sono allocate circa 600 persone stanziali, da eseguirsi entro 30 giorni dalla convalida del decreto di sequestro;
per effetto del citato decreto si è determinata una grave emergenza abitativa che richiede soluzioni immediate e procedure straordinarie;
a monte di quel provvedimento, c'è un'emergenza igienico-sanitaria e sociale, frutto di antichi ritardi, aggravata da una crescente criminalità all'interno del sopra citato campo rom, che ha reso necessario un provvedimento straordinario, per un verso, a tutela della salute dei cittadini rom, per un altro, a garanzia dell'ordine pubblico e a difesa dell'intera comunità lametina dall'attività delinquenziale rilevata dalle forze dell'ordine e dall'autorità giudiziaria;
difficilmente l'attuale amministrazione potrebbe in tempi brevi fornire risposte adeguate e complete, soprattutto con riferimento all'emergenza abitativa;
in data 4 aprile 2011, il consiglio comunale di Lamezia Terme ha approvato un ordine del giorno con il quale si chiede al Governo che venga dichiarato lo stato di emergenza rom di località Scordovillo, con contestuale nomina di un commissario straordinario, preferibilmente nella persona del prefetto di Catanzaro -:
se si ritengano sussistenti le condizioni per riconoscere lo stato di emergenza in località Scordovillo di Lamezia Terme, al fine di favorire l'attivazione di strumenti straordinari e la nomina di un commissario ad hoc con poteri eccezionali e adeguati strumenti finanziari, per fronteggiare la gravissima emergenza abitativa conseguente al provvedimento di sequestro e sfratto emanato dall'autorità giudiziaria, che provoca dirompenti (seppur necessari) effetti, sia con riferimento alla popolazione rom che all'intera cittadina.
(2-01040) «D'Ippolito Vitale, Cicchitto».
(5 aprile 2011)

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro del turismo, per sapere - premesso che:
con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stata abolita la diaria, ovvero il compenso orario, degli insegnanti che accompagnano gli studenti nei viaggi di istruzione all'estero;
la «scure» dei Governi di centrodestra contro la scuola pubblica aveva già prodotto il primo danno, ad avviso degli interpellanti, con la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria per il 2006), che aveva soppresso la diaria per i viaggi in Italia: un taglio che si sommava alla riduzione significativa del fondo di istituto e che ha colpito duramente il mercato turistico interno;
con il citato decreto-legge n. 78 del 2010, dall'anno scolastico 2010-2011 gli insegnanti che organizzano la didattica e la logistica di un viaggio d'istruzione all'estero, rimanendo in servizio per più giorni, con l'obbligo di accompagnare e sorvegliare gli alunni, 24 ore su 24, in contesti dove il controllo risulta spesso ben più difficile che in un'aula scolastica, non hanno alcun riconoscimento economico e professionale;
è evidente che per il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca il fatto che gli insegnanti accompagnino o meno gli studenti nei viaggi d'istruzione all'estero è indifferente; si tratta di una posizione del tutto coerente con le critiche mosse nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio dei ministri agli insegnanti della scuola statale;
gli insegnanti che finora promuovevano i viaggi di istruzione accompagnandovi i ragazzi lo facevano volontariamente, non obbligati per contratto, non erano la totalità degli insegnanti e non erano mai motivati dalla diaria, sempre simbolica e pagata in gran ritardo;
come conseguenza di tale improvvida decisione i viaggi d'istruzione sono crollati dopo che in modo spontaneo molti insegnanti hanno scelto di rinunciarvi, per protesta contro la soppressione della diaria, che comportava un riconoscimento, seppure minimo, di 12 euro a docente;
lo «sciopero bianco» delle gite scolastiche si è esteso in tutta Italia, mettendo a rischio i viaggi d'istruzione della primavera 2011 e con essi migliaia di posti di lavoro in un settore che è ormai diventato un business corposo e teme il crollo degli ordini per i prossimi mesi;
la soppressione della diaria si aggiunge al blocco degli scatti di anzianità che incideranno sul livello di reddito degli insegnanti che andranno in pensione in questo periodo, al taglio delle ore di compresenza, alla modifica delle finestre di pensionamento;
l'adesione allo «sciopero bianco» delle gite scolastiche è diffusa in tutto il Paese; è molto significativo il boicottaggio al Nord dove, nonostante il presidente della regione Piemonte si sia posto in contrasto con la linea del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, decidendo di sostenere con un bonus economico le scuole piemontesi che realizzeranno viaggi d'istruzione e gemellaggi culturali, la protesta si sta estendendo ugualmente;
secondo il Centro studi turistici di Firenze la spesa media per studente nel 2009 in Italia, per 2,4 giorni medi di soggiorno, è di 77 euro, che diventano 136 euro comprendendo il trasporto, mentre per i viaggi all'estero, considerando una media di 3,8 giornate, la spesa è stata di 136,78 euro, che sommati ai costi di trasporto diventano 340 euro;
la stima del fatturato complessivo del turismo scolastico è di 651 milioni di euro, quota che non tiene conto dell'indotto (bar, souvenir e altro) che portano la spesa complessiva ad almeno 1 miliardo di euro;
il taglio della diaria anche per i viaggi all'estero, ennesimo risparmio a giudizio degli interpellanti indiscriminato e irrazionale ai danni della scuola pubblica, nega agli insegnanti perfino il simbolico riconoscimento dell'iniziativa e dell'enorme responsabilità che essi assumono affrontando un viaggio di istruzione;
le agenzie di viaggi, i tour operator e le ditte di trasporto hanno espresso grande preoccupazione; i viaggi d'istruzione, infatti, garantiscono lavoro per almeno sei mesi all'anno ad alberghi, ristoranti, guide, musei in periodi nei quali il resto dell'attività è praticamente inesistente;
per quanto riguarda i conti pubblici, la mancata elargizione di una diaria agli insegnanti non compensa in alcun modo la perdita di gettito dello Stato quanto all'iva e alle tasse versate dal comparto del turismo per i viaggi d'istruzione;
gli insegnanti sono consci di cosa significa per i loro alunni la rinuncia ai viaggi d'istruzione e non hanno assunto a cuor leggero la decisione di portare avanti la protesta, ma il problema che essi pongono è di altra natura; con i tagli attuati al personale della scuola dovuti alla riforma «Gelmini-Tremonti», i docenti si trovano a volte con 30 alunni per classe, con un aggravio di responsabilità e di rischi nel caso di un viaggio o di una semplice uscita fuori dalle mura scolastiche;
la gita, che aggiunge altre responsabilità al lavoro spesso misconosciuto degli insegnanti, amplifica un disagio già presente; stupisce quindi che il Governo non colga il messaggio di un'intera categoria che con generosità, spesso aggiungendo attività di volontariato al proprio dovere, si dedica all'insegnamento e alla crescita dei bambini e dei giovani;
la situazione che si è andata creando suscita preoccupazione per il riflesso che avrà per i tour operator e gli agenti di viaggio che hanno specializzato le proprie competenze, con il rischio di perdere posti di lavoro e crescita, in un periodo già segnato dalla crisi -:
se i Ministri interpellati abbiano valutato il danno, in termini di perdita di gettito iva e di tasse su un giro d'affari di 1 miliardo di euro all'anno per i viaggi d'istruzione;
se, a fronte di un carico di lavoro aumentato e soprattutto dell'enorme responsabilità, civile e penale, che gli insegnanti assumono nei confronti degli studenti che accompagnano nelle visite di istruzione, intendano assumere iniziative per reintrodurre una diaria, auspicabilmente non più simbolica e non più pagata con grande ritardo, per gli insegnanti relativamente ai viaggi d'istruzione in Italia e all'estero;
se e quali altre misure e quale ulteriore impegno finanziario intendano assumere per sostenere e qualificare il turismo scolastico, evitando di eliminare dal piano di offerta formativa il viaggio d'istruzione, che fa parte del bagaglio di esperienza e di crescita umana e culturale dei giovani.
(2-01034) «Marchioni, Bachelet, Lulli, Sani, Martella, Mattesini, Bucchino, Sereni, Melandri, De Biasi, Mastromauro, Zampa, Santagata, Vannucci, Zucchi, Lenzi, Damiano, Pierdomenico Martino, Fluvi, Pizzetti, Zunino, Rosato, Bratti, Froner, Braga, Fadda, Oliverio, Sanga, Losacco, Cavallaro, Mogherini Rebesani, Vico, Scarpetti, La Forgia, Rigoni, Brandolini, Ginefra».
(4 aprile 2011)

D)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica del 15 marzo 2010, n. 87, «Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», ha sancito di fatto la crisi dell'istruzione e formazione professionale regionale;
istituzioni scolastiche statali, come, per esempio, gli istituti professionali di Stato (ips) vengono accreditati dalle regioni sia per conferire la qualifica professionale regionale che per attivare i percorsi triennali e quadriennali di istruzione e formazione professionale regionale, con un'offerta sussidiaria e complementare, sgravando le regioni stesse dell'obbligo di spesa;

arrivati al quinto anno, per il conseguimento del diploma di maturità ai fini dell'inserimento nell'università, le regioni dovranno ricorrere al finanziamento;
tutto questo comporta che i centri di formazione professionale accreditati presso le regioni non ricevano più da queste contributi per attivare percorsi di istruzione e formazione professionale, poiché le regioni stanno ricorrendo sempre più agli istituti professionali di Stato;
gli operatori e gli addetti della formazione professionale non hanno i titoli e la conoscenza necessaria per insegnare negli istituti professionali di Stato e la dispersione scolastica riemergerà in tutta la sua forza -:
quali iniziative si ritenga necessario assumere al fine di modificare la normativa sopra citata per permettere agli istituti professionali di continuare a svolgere la propria funzione che nel nostro Paese è un valido ed efficace legame con il mondo del lavoro.
(2-01037) «Capitanio Santolini, Galletti».
(5 aprile 2011)

E)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e per le pari opportunità, per sapere - premesso che:
la risoluzione n. 6-00052 - presentata dall'onorevole Mazzocchi ed altri, concernente iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo, approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2011, cita, a proposito del Pakistan, il caso della «signora Asia Bibi, una contadina cristiana, che è stata condannata a morte applicando la legge sulla blasfemia»;
in una recente intervista al quotidiano la Repubblica (27 marzo 2011) la signora Bibi, rinchiusa in isolamento nel carcere di Sheikpura, in attesa dell'esecuzione, dice tra l'altro: «sto male. Mi sento soffocare tra queste quattro mura. Ogni minuto che passa mi sembra l'ultimo. Piango per i miei figli e per mio marito. Sono in una situazione davvero difficile, nessuno può capire quello che sto vivendo, mi hanno condannata a morte e sono innocente»;
anche in carcere corre rischi e la sua stessa famiglia è minacciata («Ho paura. Mi sento come se la mia intera famiglia fosse stata condannata»);
la signora Bibi è certa che, se anche riuscisse ad uscire dal carcere, la sua vita e quella dei suoi familiari non sarebbero al sicuro finché si troveranno in Pakistan;
la mobilitazione internazionale che si è sollevata sul suo caso «non ha portato a nessun cambiamento nelle mie condizioni di vita»;
«due delle persone (il governatore del Punjab, Salman Taseer, e il Ministro per le minoranze religiose Shahbaz Batthi) che mi hanno più appoggiata in Pakistan sono morte»;
il desiderio più grande di Asia Bibi, una volta fuori dal carcere, è quello di incontrare Papa Benedetto XVI («Il Santo Padre ha parlato di me, questo mi ha dato moltissima speranza - conclude - mi ha spinta a continuare a vivere»);
come dichiarato formalmente dal presidente della Commissione esteri del Parlamento di Teheran, Alaheddin Boroujerdi, durante l'audizione della delegazione di parlamentari iraniani presso la Commissione III della Camera dei deputati, la condanna della signora Sakineh Mohammadi-Ashtiani alla pena di morte per lapidazione è stata definitivamente commutata in una pena detentiva;
è stato forte l'impegno del Governo, ed, in particolare, del Ministro Frattini, a favore di Asia Bibi presso le autorità pakistane -:
a che punto siano le iniziative intraprese per la salvaguardia della vita della signora Bibi;
se non ritengano opportuno, come auspicato dagli interpellanti, che il Governo prema per l'ottenimento di una grazia o comunque di una espulsione, nel contempo rendendosi disponibile per accogliere in condizione di sicurezza Asia Bibi e la sua famiglia nel nostro Paese;
se, per continuare la pregevole opera di sensibilizzazione per la difesa delle donne vessate, non intendano provvedere all'esposizione - qualora sia ritenuta «salva» la vita di Sakineh - di uno striscione con l'effigie di Asia Bibi sul palazzo del Governo all'altezza della Galleria Alberto Sordi.
(2-01048) «Renato Farina, Centemero, Di Centa, Stradella, Ceroni, Germanà, Berruti, Barani, Tortoli, Armosino, Garofalo, Repetti, Iannarilli, De Luca, Palmieri, Minardo, Gibiino, Ghiglia, Botta, Barba, Pili, Sisto, Murgia, Porcu, Vella, Saltamartini, Frassinetti, Landolfi, Savino, Mariarosaria Rossi, Cristaldi, Malgieri, Contento, Sbai, Scelli, Lisi, La Loggia, Baccini, Toccafondi, Mazzocchi, De Nichilo Rizzoli, Santelli, Di Virgilio, Mistrello Destro, Barbieri, Colucci, Migliori, Minasso».
(7 aprile 2011)

F)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
le reti di trasporto costituiscono una tematica fondamentale nelle strategie di sviluppo dell'Unione europea, in quanto consentono il superamento dei confini istituzionali degli Stati, l'affermarsi di logiche di sviluppo complessivo dell'Unione europea di «corridoio plurimodale» e l'adozione del concetto di rete transeuropea anche nel settore del trasporto (Rete TEN-T). Un primo schema di questo modello a rete è stato approvato dalla Comunità europea (CEE) già nel 1990; nel 1992, con il Trattato di Maastricht si è attribuito alla Comunità europea il compito di «contribuire alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti»; ulteriori affermazioni di tale principio sono state adottate nel 1993 dal Consiglio europeo di Bruxelles che ha avviato il processo di identificazione delle priorità infrastrutturali da finanziare e nel 1994 dal Consiglio europeo di Essen in cui viene definito un elenco di 14 progetti infrastrutturali prioritari (presentati dal cosiddetto Christophersen Group), tra i quali si evidenzia una netta prevalenza dei progetti ferroviari; più di recente, durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea nel 2003, è stato approvato il nuovo assetto delle reti TEN e sono stati identificati 17 progetti comunitari al cui interno compaiono tre corridoi plurimodali, uno dei quali è costituito dall'asse Berlino-Monaco-Verona-Palermo (Corridoio 1);
l'importanza di tale tratta è stata costantemente ribadita sia in ambito europeo che nazionale; il Governo italiano ha assunto un ruolo di iniziativa e di stimolo, organizzando a Napoli il 21 e 22 ottobre 2009 una conferenza interministeriale sul futuro delle reti transeuropee di trasporto, alla quale hanno partecipato le delegazioni degli Stati membri dell'Unione europea e di altri Stati, tra cui quelli del Mediterraneo occidentale e dell'Africa, la Turchia, la Federazione russa; in base ai dati forniti dal Governo il volano che l'Italia sta dedicando alle reti TEN è pari a circa 104 miliardi di euro di cui 59,2 miliardi di euro per il Corridoio Berlino-Palermo; il Parlamento ha costantemente confermato l'attenzione per lo sviluppo delle reti, sia in ambito di approvazione dei Documenti di programmazione economico finanziaria (DPEF, poi decisione di finanza pubblica), sia con atti di indirizzo propri (risoluzione in Commissione trasporti n. 8-00052 del 28 ottobre 2009, mozione 1-00414 votata il 14 luglio 2010);
nel presentare sul finire del novembre 2010 il Piano per il Sud, il Governo ha confermato, tra le 8 priorità strategiche, la piena centralità delle tratte ferroviarie ad alta velocità da Napoli a Palermo e del Ponte sullo Stretto, opere entrambe inserite nel progetto del Corridoio n. 1; in base ai documenti governativi nei prossimi tre anni saranno investite nel Mezzogiorno risorse per circa 21 miliardi di euro, pari al 40 per cento degli investimenti complessivi in tutta Italia; secondo Svimez, per completare il finanziamento delle opere programmate occorrerebbero nei prossimi anni un totale di 49 miliardi di euro;
in questo quadro apparentemente favorevole, sono purtroppo crescenti le obiezioni di coloro che, intendendo neanche troppo velatamente mantenere al Nord il primato economico nazionale, mettono in discussione, per motivi di costo e di opportunità, il Ponte sullo Stretto, quale elemento di maggior evidenza nella realizzazione del Corridoio n. 1, con lo scopo di affossare un progetto che potrebbe spostare dal Settentrione verso il Mezzogiorno l'asse della politica economica nazionale; giova osservare che la realizzazione del Ponte sullo Stretto, con un costo valutato ad oggi di 6,1 miliardi di euro ed un progetto definitivo presentato nel dicembre 2010, ha un costo assai inferiore al traforo del Brennero, altro elemento del Corridoio n. 1, per il quale l'Unione europea ha prorogato al 2013 la presentazione del progetto definitivo;
quel che invece si tenta di colpire è l'intero progetto infrastrutturale, che comprende l'alta velocità Salerno-Reggio Calabria, l'ammodernamento dell'autostrada col medesimo nome, il rilancio del Porto di Gioia Tauro, l'alta velocità Messina-Catania-Palermo, in quanto è di palmare evidenza che il Mediterraneo è tornato ad essere uno snodo fondamentale per l'economia mondiale e le regioni meridionali potrebbero rappresentare il futuro baricentro della zona di libero scambio euromediterranea;
in quella che appare agli interpellanti una complessiva deriva antimeridionalista va inquadrato anche lo storno dei fondi per le aree sottoutilizzate per opere non situate nelle regioni meridionali o addirittura, sulla spinta delle emergenze, per spese correnti; l'obiezione di fondo, al di là della veste «pseudo culturale» di talune posizioni, è che gli investimenti nelle regioni meridionali siano denaro buttato a causa del forte controllo del territorio della criminalità organizzata, della presenza di una classe politica locale inadeguata e del disinteresse dei cittadini meridionali alla cosa pubblica; viceversa, va osservato che mai nessuno, come l'attuale Governo, ha saputo contrastare la criminalità organizzata con tanta efficacia, sia sul fronte delle indagini che degli arresti e delle confische di beni e che gli investimenti infrastrutturali costituiscono una sorta di new deal per le regioni meridionali, necessario non solo a risollevarne le sorti economiche, ma anche le coscienze;
nel dare atto al Governo Berlusconi di essere riuscito, durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea del 2003, ad estendere il Corridoio n. 1 sino alla sua attuale configurazione, imponendo una logica imprenditoriale e di sviluppo su quella opposta di arroccamento e tutela di posizioni di rendita, i sottoscritti firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, rappresentano al Governo l'assoluta necessità di difendere con estrema fermezza in sede comunitaria quanto allora deciso, non solo per lo sviluppo del Mezzogiorno, ma anche per quello dell'Italia intera;
fonti autorevoli nell'ambito della Commissione europea ormai danno per scontato invece che sarebbe prossima la decisione di far terminare il Corridoio 1 non a Palermo, ma a Salerno, (città e porto che diventerebbero lo snodo ultimo del Corridoio), in sostanza tagliando fuori dalle grandi reti la Calabria e la Sicilia e rendendo non prioritarie le opere previste; il complessivo indebolimento dell'immagine dell'Italia, favorito dalle inchieste strumentali contro membri del Governo, da una opposizione dedita non a proposte politiche alternative, ma alle diffamazioni personali e dalle polemiche Nord-Sud, sembrerebbe dunque aver fornito alle istituzioni comunitarie l'alibi per stornare le risorse ad altre finalità apparentemente più affidabili; le decisioni che la Commissione europea maturerà sembra che matureranno nella settimana tra l'11 ed il 16 aprile 2011;
qualora le voci in questione fossero vere si tratterebbe di un gravissimo arretramento politico, culturale ed economico della Unione europea; uno sterile rifugiarsi nelle proprie posizioni di privilegio, invece di aprirsi alle economie emergenti, abbandonando a se stessa un'area che potrebbe essere determinante per il futuro sviluppo dell'economia comunitaria -:
di quali elementi dispongano in ordine alla fondatezza delle informazioni illustrate in premessa;
qualora si dimostrassero veritiere, se non ritengano opportuno intervenire ai massimi livelli e con tutta la propria autorità, affinché il Corridoio n. 1 Berlino-Palermo sia ripristinato nella sua configurazione originaria;
se non ritengano opportuno individuare ulteriori risorse per accelerare la realizzazione del complesso di opere previste nell'ambito del Corridoio medesimo.
(2-01046) «Pagano, Antonio Martino, Fallica, Marinello, La Loggia, Galati, Abrignani, Belcastro, Berardi, Catanoso Genoese, Cicu, Commercio, Cristaldi, D'Ippolito Vitale, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Garofalo, Germanà, Giammanco, Gianni, Gibiino, Golfo, Grimaldi, Iannaccone, Lo Monte, Minardo, Misiti, Misuraca, Moles, Ruvolo, Santelli, Speciale, Stagno D'Alcontres, Terranova, Torrisi, Traversa, Versace».
(7 aprile 2011)

G)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
l'entrata in esercizio dell'alta velocità ha alterato la percezione della reale situazione nella quale si trova oggi l'intero sistema ferroviario italiano che comprende anche realtà più critiche come quella della mobilità in Sicilia;
allo stato attuale, infatti, la rete ferroviaria siciliana costituisce la più estesa rete ferroviaria insulare del Mediterraneo e dell'Italia, ma è, di contro, tra le più arretrate;
negli ultimi anni quasi tutti gli investimenti sono stati fatti su pochi e costosissimi progetti, anziché sulla capillarità della rete, penalizzando così quei territori ove le infrastrutture sono più disastrate e fatiscenti;
nel panorama ferroviario nazionale, la regione Sicilia si colloca all'ottavo posto per la lunghezza complessiva dei binari (dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Campania), al quinto posto per le linee ferroviarie in esercizio (dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio) e al sedicesimo posto con 169 chilometri (12 per cento) di linea a doppio binario su 1.378 chilometri (prima di Sardegna, Molise, Basilicata e Valle d'Aosta);
alla totale assenza di investimenti infrastrutturali si aggiunge la politica di dismissione e di tagli dei convogli a lunga percorrenza tra il Nord ed il Sud del Paese e quella di abbandono del trasporto merci perpetrata negli ultimi tempi dal gruppo Ferrovie dello Stato ai danni della Sicilia;
a fronte di dichiarazioni trionfalistiche, che vedrebbero oggi il nostro come un Paese più moderno ed avanzato grazie all'alta velocità, l'infrastruttura ferroviaria è composta da materiale rotabile risalente alla metà del secolo scorso, e da linee ferrate solo in parte elettrificate;
i siciliani, anch'essi cittadini italiani, sono stati costretti a subire da troppo tempo le conseguenze di questa condizione: mancanza di investimenti, nessun miglioramento del trasporto ferroviario, ritardi, soppressioni, aumenti tariffari e i continui e definitivi tagli del servizio offerto a media e lunga percorrenza, isolando, di fatto, la Sicilia dal resto della penisola italiana;
il diritto alla continuità territoriale si colloca nell'ambito della garanzia dell'uguaglianza dei cittadini e della coesione di natura economica e sociale, diritto che deve tradursi nella capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti;
lo Stato deve farsi garante in concreto della continuità territoriale per un principio di equità e deve garantire il diritto alla mobilità a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica, in particolar modo di fronte allo svantaggio dell'insularità;
il servizio di trasporto rappresenta un servizio di interesse economico generale e si configura come elemento essenziale del diritto alla mobilità sancito e riconosciuto dall'articolo 16 della Costituzione, ossia della possibilità per tutti i cittadini di spostarsi nel territorio nazionale e comunitario con pari opportunità, accedendo ad un servizio pubblico che garantisca condizioni economiche e qualitative uniformi;
le suddette scelte attuate fino ad oggi dal gruppo Ferrovie dello Stato, principale gestore del sistema ferroviario italiano, lo rendono complice del ritardo dello sviluppo delle aree del Sud Italia e dell'accrescersi del divario con le regioni settentrionali e con il resto d'Europa, divario che, perseverando nelle stesse scelte, sarà sempre più arduo colmare in futuro;
Rete ferroviaria italiana, società del Gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce l'infrastruttura ferroviaria, e Trenitalia, società che gestisce il trasporto di passeggeri e merci, sono due aziende pubbliche che operano in regime di diritto privato. La scelta di tale forma giuridica, se da una parte richiede il rispetto di parametri di efficienza imposti dal mercato, dall'altra deve garantire l'erogazione del servizio pubblico universale, in condizioni di parità, a milioni di cittadini;
secondo il principio di uguaglianza sostanziale, di cui all'articolo 3, comma 2, della Costituzione: «È compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
è difficile che si possa immaginare una crescita economica forte, in assenza di un sistema di trasporto capillare, efficace ed efficiente, che permetta di sfruttare pienamente il mercato interno e le possibilità offerte dalla europeizzazione degli scambi commerciali -:
se non ritenga il Governo, nel suo ruolo di azionista unico e di decisore strategico del gruppo Ferrovie dello Stato, di intervenire urgentemente ed in modo risolutivo al fine di assicurare servizi di mobilità uniformi su tutto il territorio nazionale, compreso quello siciliano.
(2-01025) «Commercio, Lo Monte, Latteri, Lombardo, Brugger».
(29 marzo 2010)

H)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri della giustizia, dell'interno e degli affari esteri, per sapere - premesso che:
in un articolo del 24 gennaio 2011 de il Giornale di Luca Fazzo si riportava la notizia che tale Said Rashid, condannato in Italia nel 1986 all'ergastolo per omicidio, è attualmente presidente delle ferrovie di Stato libiche;
nel luglio del 2009 Finmeccanica ha siglato un accordo di fornitura con le ferrovie libiche per un importo di 541 milioni di euro;
alla sigla di tale accordo erano presenti il presidente di Finmeccanica Guarguaglini, il sottosegretario agli esteri Stefania Craxi, il Ministro per il trasporto libico Zidane e lo stesso Rashid;
lo stesso Rashid ha chiesto alla procura di Milano la revisione del suo processo;
la vittima dell'omicidio che ha portato alla condanna all'ergastolo di Rashid si chiama Lahderi e lo stesso venne presentato dal Capo del Sismi generale Santovito al manager di Stato Giancarlo Elia Valori -:
se risulti a che punto sia la richiesta di revisione del processo presso il tribunale di Milano;
se si ritenga corretto che il Governo italiano e un'azienda di Stato sviluppino un contratto di tale importanza con una controparte condannata all'ergastolo in Italia;
se Rashid rientri nell'elenco delle persone fisiche contro le quali il Consiglio di sicurezza dell'ONU e l'Unione europea abbiano previsto sanzioni economiche e/o limitazioni alla libertà di circolazione;
se si ritenga nell'ambito dei rapporti anche futuri con la Libia di chiedere l'estradizione del Rashid in Italia per scontare la pena cui è stato condannato.
(2-01038) «Mecacci, Fiano, Maurizio Turco, Farina Coscioni, Zamparutti, Touadi, Beltrandi, Duilio, Villecco Calipari, Nannicini, Ferrari, Capano, Bobba, Picierno, Gozi, Bucchino, Grassi, Misiani, Porta, Gianni Farina, Bossa, Tidei, Lucà, Carella, Barbi, Lovelli, Minniti, Motta, Colombo, Sarubbi, Bernardini, Burtone, Melis, Dal Moro».
(5 aprile 2011)

I)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere - premesso che:
nel febbraio del 2009 la società russa Severstal rendeva noto che stava valutando la possibilità di uscire dal gruppo Lucchini acquisito, tra il 2005 e il 2007, per il 79,82 per cento; le intenzioni di disimpegno della società russa erano conseguenti al calo della domanda di acciaio sui mercati sviluppati e alla connessa riduzione del 50 per cento delle quantità prodotte del gruppo Lucchini nel 2009 e agli alti costi di produzione; a tal fine la Severstal era alla ricerca di un nuovo soggetto imprenditoriale che subentrasse nel gruppo Lucchini, acquisendone la partecipazione del 79,82 per cento;
nel corso del 2010 notizie stampa hanno confermato che Severstal stesse trattando la vendita del gruppo Lucchini e che stesse già conducendo negoziati in tal senso con diversi potenziali investitori, tra i quali, oltre alla stessa famiglia Lucchini, si indicava inizialmente il gruppo Riva, il gruppo Arcelor Mittal, che a Piombino già controlla il gruppo Magona, e la società cinese Baosteel di Shanghai; più di recente gli acquirenti del gruppo Lucchini sono indicati nel gruppo vicentino Beltrame e nel fondo internazionale Apollo;
la ricerca di un acquirente da parte della società Severstal è stata rallentata dall'apertura della trattativa con gli istituti bancari creditori per la ristrutturazione di 770 milioni di euro di debito del gruppo Lucchini; tra gli istituti bancari esposti ci sono la Bnp Paribas, Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena; la trattativa si è rivelata, però, molto complessa, inizialmente, a causa dell'indisponibilità della proprietà, e dunque della Severstal, a garantire una ricapitalizzazione adeguata alle richieste del sistema bancario e, successivamente, dalle numerose condizioni poste dalla Severstal; in particolare, la Severstal poneva come condizioni la trasformazione di 200 milioni di debito in obbligazioni convertibili in una quota del 35 per cento del capitale, la presenza di un suo uomo in più nel consiglio di amministrazione e la vendita immediata di Ascometal, valutata in 350 milioni di euro con cui compensare debiti arretrati della Severstal;
i mancati investimenti produttivi, derivanti dalla ricerca di un nuovo proprietario, e l'ulteriore incertezza determinata dal mancato accordo di risanamento finanziario dell'azienda hanno rallentato la ripresa produttiva degli stabilimenti siderurgici, proprio nel momento in cui i segnali di ripresa del mercato la avrebbero resa possibile;
finalmente nel mese di febbraio 2011 è stato raggiunto l'accordo per la ristrutturazione del debito che, garantendo di nuovo l'accesso al credito, rappresenta il primo passo per la sopravvivenza del gruppo siderurgico se all'accordo seguirà in tempi celeri la definizione di un serio piano industriale che consenta un effettivo rilancio dello stabilimento e degli altri presidi del gruppo; infatti, l'accordo siglato tra la società russa e gli istituti bancari tutela gli assetti esistenti, confermandone la stabilità economica, ma risulta privo di ogni prospettiva di rilancio, in quanto entrambe le parti in causa non prevedono alcuna operazione di ricapitalizzazione del gruppo;
appare urgente, al contrario, definire un piano industriale che consenta a tutto il polo siderurgico italiano di intercettare i segnali di ripresa del mercato dell'acciaio nazionale e internazionale, scegliendo un nuovo soggetto industriale che, ricapitalizzando con nuovi flussi di cassa il gruppo Lucchini, confermi o programmi gli investimenti di cui lo stabilimento ha bisogno;
con la sigla dell'accordo il gruppo Lucchini è ormai controllato dalle banche che avranno tutta l'intenzione di salvaguardare i propri interessi, ma non sono in grado di delineare un percorso di rilancio industriale che può essere ottenuto solo se un nuovo soggetto industriale assume la guida del gruppo siderurgico;
come dichiarato dal sindaco di Piombino, sede dello stabilimento siderurgico, con l'avvento delle banche si delinea una soluzione solo transitoria. «Il debito non viene abbattuto, non c'è una riapertura delle linee di credito per interventi strategici. L'accordo garantisce solo la mera sopravvivenza. E in siderurgia il termine sopravvivenza equivale a deperimento»;
anche se c'è soddisfazione per l'accordo con le banche, perché esclude il grave rischio di un fallimento, rimangono inalterate le incertezze e le perplessità sul futuro dello stabilimento, anche in considerazione del fatto che la società Severstal, a seguito del suddetto accordo, ha dichiarato di non avere alcuna fretta di vendere; tale dichiarazione è oltremodo preoccupante perché la Severstal si rifiuta di ricapitalizzare l'azienda e, quindi, non consente di programmare e pianificare la produzione industriale;
il gruppo siderurgico di Piombino, che, oltre alla Lucchini comprende anche la Magona e la Dalmine, è una realtà economica strategica per il Paese ed è urgente che il Governo intervenga concretamente per delineare una soluzione industriale vincente per lo stabilimento; infatti, dopo Taranto, quello di Piombino è l'altro polo siderurgico a ciclo integrale, cioè partendo dal carbone e minerale di ferro sino all'acciaio semilavorato e a quello finito; le produzioni del gruppo siderurgico di Piombino sono importanti: si pensi alla produzione di rotaie, che potrebbero essere strategiche in un Paese come l'Italia che investe sui treni ad alta velocità; inoltre, la fabbrica occupa oltre 3000 persone, direttamente e indirettamente, e rappresenta, quindi, una componente essenziale del tessuto economico della regione;
il timore è che si perda del tempo prezioso e si opti, infine, per una dismissione del ciclo integrale, riposizionando la produzione su asset meno strategici che non prevedono l'utilizzo dell'altoforno, ma di forni elettrici. Tale soluzione determinerebbe un costo elevato sia in termini sociali, perché causerebbe il licenziamento di almeno la metà dei dipendenti, sia in termini prettamente economici, perché priverebbe l'Italia di un asset strategico in un momento in cui il settore appare in netta ripresa;
appare allo stesso tempo urgente che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intervenga per accelerare il processo di riqualificazione complessiva del sito siderurgico di Piombino mediante operazioni di bonifica sostenibili, complemento fondamentale per un effettivo rilancio produttivo del sistema industriale siderurgico -:
se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga urgente convocare i soggetti interessati al fine di consentire, in tempi ragionevoli, l'individuazione di un piano industriale di rilancio del gruppo siderurgico di Piombino che tuteli un asset fondamentale dell'economia nazionale;
se il Governo abbia conoscenza di quali siano gli investimenti programmati e le risorse effettivamente disponibili per le bonifiche dei siti siderurgici di Piombino e di quali siano le motivazioni che, fino ad oggi, non hanno consentito l'ultimazione dei lavori di bonifica;
se i Ministri interpellati non ritengano urgente delineare, per quanto di competenza, un piano industriale di riqualificazione di una parte importante del sistema industriale italiano, mediante iniziative congiunte che garantiscano il successo dell'operazione.
(2-01032) «Velo, Esposito, Marchignoli, Rosato, Sbrollini, Zunino, Lo Moro, Miglioli, Zaccaria, Garavini, Tullo, De Micheli, Recchia, Madia, Agostini, Andrea Orlando, Rossomando, Lucà, Pompili, Fadda, Bossa, Tocci, Boccuzzi, Sani, Vico, Baretta, Albonetti, Schirru, Pizzetti, Sanga, Rugghia, Tidei, Damiano».
(4 aprile 2011)

L)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
l'articolo 21 della Costituzione italiana tutela la libertà di manifestazione del pensiero, nonché il principio del pluralismo informativo - sia nella sua accezione di pluralismo interno (sentenze Corte costituzionale n. 826 del 1988 e 420 del 1994) che in quella di pluralismo esterno - tratteggiando così un principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (sentenze Corte costituzionale n. 105 del 1972 e n. 420 del 1994);
numerose disposizioni del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, richiamano l'importanza fondamentale della tutela del pluralismo informativo;
tra queste assume particolare rilevanza l'articolo 3, ove si dispone che «la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva» al pari della «tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione, la tutela dei diritti d'autore e di proprietà intellettuale, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose» rappresentano dei principi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia;
l'articolo 7 del citato testo unico relativamente ai principi generali in materia di informazione stabilisce che l'attività di informazione, mediante servizio di media audiovisivo o radiofonico, debba essere svolta nel rispetto di alcuni principi, tra cui la presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni;
l'articolo 7, comma 3, del citato testo unico prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisca ulteriori regole per le emittenti per rendere effettiva l'osservanza dei citati principi nei programmi di informazione e di propaganda delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di contenuti in ambito nazionale;
la legge 22 febbraio 2000, n. 28, in materia di parità d'accesso ai mezzi di informazione (cosiddetta legge sulla par condicio) pone vincoli sul rispetto del pluralismo durante le campagne elettorali;
nel ribadire il diritto costituzionale dei cittadini a ricevere un'informazione plurale, la Corte costituzionale ha sostenuto l'interpretazione della par condicio come principio generale da applicarsi non solo al servizio pubblico, ma anche ai privati e anche in periodi non elettorali (sentenza n. 155 del 2002);
nella medesima sentenza la Corte costituzionale ha posto in rilievo come: «Il diritto all'informazione, garantito dall'articolo 21 della Costituzione, venga qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata»;
la legge n. 103 del 1975, istitutiva della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, attribuisce alla medesima Commissione rigorosi poteri di indirizzo, di vigilanza e di controllo sul sistema radiotelevisivo, anche al fine di concretizzare le indicazioni contenute nella sentenza n. 225 del 1974 della Corte costituzionale in merito alla necessità di pervenire ad un coinvolgimento del Parlamento in materia radiotelevisiva;
in un atto di indirizzo del marzo 2003 relativo alle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo, la suddetta Commissione ha stabilito che «dai telegiornali ai programmi di approfondimento» la programmazione della Rai deve «rispettare rigorosamente, con la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti che operano nell'azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro attività al rispetto dell'imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini utenti il massimo di informazioni, verificate e fondate, con il massimo di chiarezza»;
la medesima Commissione parlamentare ha approvato, nella seduta del 18 dicembre 2002 ed integrato nella seduta del 29 ottobre 2003, una delibera relativa alla «Comunicazione politica e messaggi autogestiti nei periodi non interessati da campagne elettorali o referendarie», ove, con specifico riferimento all'informazione, si prevede che: «I programmi di contenuto informativo sono caratterizzati dalla correlazione ai temi dell'attualità e della cronaca. Nel rispetto della libertà d'informazione, ogni direttore responsabile di testata è tenuto ad assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico-parlamentare attuino un'equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche assicurando la parità di condizioni nell'esposizione di opinioni politiche presenti nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo»;
l'articolo 49 del citato testo unico affida la concessione del servizio radiotelevisivo alla Rai-Radiotelevisione italiana spa fino al 2016;
ai sensi dell'articolo 45 del citato testo unico, il Ministero dello sviluppo economico è l'organo incaricato della stipula del contratto di servizio che - entro le linee guida condivise con l'Autorità - disciplina importanti profili dell'attività radiotelevisiva (canone di abbonamento, canone di concessione, produttività aziendale e altro);
lo schema di contratto di servizio Rai 2010-2012 (doc. n. 191, XVI legislatura), in maniera simile a quanto previsto nel precedente contratto 2007-2009, stabilisce all'articolo 1, comma 2, che tra le finalità del servizio pubblico radiotelevisivo vi sia anche quella di soddisfare le esigenze democratiche, culturali e sociali della collettività e assicurare la qualità dell'informazione, il pluralismo, inclusa la diversità culturale e linguistica;
il medesimo schema di contratto di servizio, al comma 3 dell'articolo 2, stabilisce l'obbligo in capo alla società concessionaria del servizio pubblico di garantire il pluralismo, rispettando i principi di obiettività, imparzialità, lealtà dell'informazione, nonché di apertura alle differenti opinioni;
secondo l'articolo 1, comma 6, lettera b), nn. 1, 9 e 13, della legge n. 249 del 1997, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta a garantire «l'applicazione delle disposizioni vigenti sulla propaganda, sulla pubblicità e sull'informazione politica, nonché l'osservanza delle norme in materia di equità di trattamento e di parità di accesso nelle pubblicazioni e nella trasmissione di informazione e di propaganda elettorale ed emana le norme di attuazione» ed inoltre la stessa ha il compito di effettuare il monitoraggio delle trasmissioni radiotelevisive;
nella premessa alla delibera n. 243 del 2010 (recante «Criteri per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei telegiornali diffusi dalle reti televisive nazionali») la suddetta Autorità specifica che «la rappresentazione delle diverse posizioni politiche nei telegiornali non è regolata, a differenza della comunicazione politica, dal criterio della ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, ma deve conformarsi al criterio della parità di trattamento, il quale va inteso propriamente, secondo il consolidato orientamento dell'Autorità, nel senso che situazioni analoghe debbano essere trattate in maniera analoga, al fine di assicurare in tali programmi l'equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche ed il corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, secondo quanto previsto dalla già citata delibera n. 243 del 2010, procede trimestralmente e d'ufficio alla valutazione del rispetto del pluralismo politico e istituzionale di ciascun telegiornale sottoposto a monitoraggio, sia sulla Rai che sulle reti private;
dal novembre 2005 l'Isimm - Istituto di ricerche nel campo dell'informazione, della comunicazione e dell'innovazione tecnologica, con sede a Roma e Perugia - svolge per conto dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'attività di monitoraggio televisivo, al fine di fornire periodicamente i dati relativi al pluralismo politico sui media che l'Autorità utilizza trimestralmente;
tutte le reti televisive analogiche a diffusione nazionale e alcune tra le più significative reti satellitari vengono pertanto monitorate dal suddetto istituto per conto dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al fine di verificare il rispetto del pluralismo politico-sociale, degli obblighi di programmazione e della normativa in merito alla tutela dei minori;
come ben si evince dalla premessa dell'ultimo rapporto informativo elaborato dall'Isimm - reperibile sul sito dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - relativo al periodo 1-31 dicembre 2010, l'istituto di ricerche non fornisce dei dati distinti per personaggio politico, bensì i dati sono presentati in forma aggregata per singolo partito (nel caso della comunicazione politica) o per singolo organo istituzionale (nel caso della comunicazione istituzionale);
la medesima classificazione viene seguita anche in regime di par condicio ovvero in periodo elettorale, con l'ovvia conseguenza di rendere ancora più complessa la rilevazione da parte dell'Autorità e, soprattutto, di chiunque abbia interesse a conoscere il tempo effettivo impiegato da ciascun candidato o da ciascun leader politico;
questa particolare modalità di raccolta e rielaborazione dei dati ne rende difficile la lettura analitica, dal momento che, riferendosi separatamente ai partiti politici e alle cariche istituzionali, non viene resa la presenza complessiva di un determinato soggetto qualora lo stesso sia al contempo leader di partito e titolare di carica istituzionale, con l'ovvia conseguenza che i dati che verranno prodotti tenderanno a non rappresentare fedelmente la realtà; se a ciò si aggiunge la mancanza di elementi di sintesi dei dati, si comprende quanto difficile sia la lettura da parte dei cittadini;
da notizie a mezzo stampa si apprende che nel breve periodo di 20 giorni, tra il 16 gennaio e il 6 febbraio 2011, attraverso 3 videomessaggi, un audiomessaggio ed un'intervista al Tg1, il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi avrebbe occupato 2 ore e 42 minuti di antenna nei telegiornali pubblici e privati, superando nettamente il tempo utilizzato da tutti gli altri soggetti politici, ivi comprese le forze di opposizione;
dai dati menzionati si evince una netta prevalenza quantitativa delle comunicazioni provenienti dal Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi rispetto ad altri esponenti politici, siano essi titolari di cariche istituzionali o meno;
vi è poi un secondo aspetto di tipo qualitativo connesso alla difficoltà di classificare da un punto di vista tecnico, e ai fini del monitoraggio, i videomessaggi e gli audiomessaggi del Presidente del Consiglio dei ministri; non si comprende, infatti, se essi rientrino in una tipologia di comunicazione di tipo istituzionale o politico e quindi a quale disciplina debbano essere soggetti e come debbano essere conteggiati -:
di quali elementi disponga il Governo circa i fatti enunciati in premessa;
se non ritenga il Presidente del Consiglio dei ministri di astenersi per il futuro da questa tecnica di comunicazione, che, ad avviso degli interpellanti, mescola elementi di informazione a contenuti di natura pubblicitaria;
se il Governo non ritenga di dover fornire tempestivamente chiarimenti in ordine al recepimento nel contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai per il triennio 2010-2012 delle indicazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 9 giugno 2010, in particolare per quanto attiene alla definizione degli indicatori di verifica della qualità dell'informazione e al principio del pluralismo informativo;
se e quali iniziative di competenza intendano adottare per agevolare lo svolgimento dell'attività di verifica degli organismi competenti in relazione al pluralismo politico sui mezzi di comunicazione.
(2-00980) «Franceschini, Zaccaria, Donadi, Rao, Granata, Giulietti, Enzo Carra, Galletti, Leoluca Orlando, Lo Presti, Bindi, Cambursano, Occhiuto, Bressa, Bocci, Bossa, Braga, Brandolini, Burtone, Capano, Marco Carra, Castagnetti, Cenni, Codurelli, Colombo, Corsini, Coscia, Cuomo, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Farinone, Fedi, Ferranti, Fiano, Fontanelli, Froner, Garavini, Ghizzoni, Giovanelli, Gnecchi, Graziano, Laganà Fortugno, Lenzi, Levi, Lovelli, Marantelli, Marchi, Marchignoli, Mattesini, Melis, Meta, Miotto, Motta, Murer, Naccarato, Peluffo, Picierno, Realacci, Rosato, Rubinato, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Touadi, Trappolino, Tullo, Vannucci, Vico, Zampa, Lulli, Tabacci, Ventura».
(24 febbraio 2011)

M)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, per sapere - premesso che:
in data 28 giugno 2010, con protocollo n. 0258258/2010, perveniva al comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna - con sede in Ponticella, San Lazzaro di Savena - un documento a firma del sindaco di San Lazzaro di Savena, Marco Macciantelli;
lo stesso documento veniva indirizzato alla non meglio precisata società cooperativa edilizia Ca.Sa e alla compagnia carabinieri di San Lazzaro di Savena;
nel testo, il sindaco promuove un'offerta abitativa agli appartenenti alle Forze dell'ordine residenti nel comune di San Lazzaro di Savena, indirizzando tuttavia la stessa a soli due comandi (Guardia di finanza e carabinieri);
nello stesso documento, il sindaco preannuncia che è tra gli obiettivi del suo comune l'offerta di case a prezzi calmierati agli appartenenti alle Forze dell'ordine, scrivendo altresì che: «L'amministrazione sta procedendo verso l'adozione del piano operativo comunale e a partire dai primi mesi del prossimo anno sarò in grado di pubblicare bandi per l'assegnazione di aree che possano offrire risposta al bisogno di soluzioni abitative manifestato»;
a seguire, il comando regionale della Guardia di finanza Emilia Romagna, in data 11 agosto del 2010 con documento di cui al protocollo n. 0318879/10, trasmetteva ai militari per conoscenza la suddetta missiva del sindaco Macciantelli precisando che: "Si è tenuto un incontro informale tra il comando provinciale di Bologna ed il comune di San Lazzaro, dal quale è emersa la possibilità che nell'ambito del prossimo piano operativo comunale, il cui varo è considerato imminente, il comune metta a disposizione di una cooperativa edilizia, all'uopo costituita da militari del corpo, un'area di 1500 metri quadri per la realizzazione di una palazzina di 15-18 alloggi da destinare a personale residente nel territorio comunale;
in data 10 settembre 2010, con nota protocollo n. 0353082/10 del comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna avente ad oggetto: «Alloggi di edilizia sovvenzionata comune di San Lazzaro di Savena», si comunicava al personale che: «In data 23 settembre presso la biblioteca di questo comando, il luogotenente Maurizio Dori in forza al comando provinciale di Modena e nella sua qualità di presidente della cooperativa edilizia tra appartenenti al corpo »San Matteo« illustrerà le attività che la citata cooperativa potrebbe assumere con riferimento alle tematiche oggetto della nota cui si fa seguito»;
in data 18 novembre 2010, con nota avente oggetto: «alloggi in edilizia convenzionata comune di Castenaso (Bologna)», di cui al protocollo n. 0438345/10 del 10 novembre 2010, il comando regionale della Guardia di finanza Emilia Romagna comunicava: «In data 3 novembre 2010 si è tenuto presso la biblioteca del comando provinciale di Bologna l'incontro con i rappresentanti della società »Immobilare Castenaso srl«. Per informazioni e prenotazioni per le unità abitative i militari interessati potranno rivolgersi alla predetta società (...) o alla signora Rosa Capobianco, via Spinelli 24, San Lazzaro di Savena»;
a far data dall'anno 2009 erano in corso delicate attività d'indagine in carico del sostituto procuratore della Repubblica di Bologna Antonello Gustapane, delegate da questi al comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna - nucleo di polizia tributaria, relative a molteplici attività urbanistiche riferibili al comune di San Lazzaro di Savena nell'ambito di interventi di edilizia convenzionata;
le indagini vertevano sulle condotte di soggetti pubblici e, in particolare, sull'operato del predetto sindaco Macciantelli circa presunte dirette implicazioni nella gestione di gravi vicende di abusivismo edilizio afferenti un intero azzonamento urbanistico (n. 9), nonché la presenza di contratti di appalto privi di riscontro fatturativo all'interno di convenzioni urbanistiche con cui si determinavano i costi di case popolari e, infine, il rilascio da parte del comune di San Lazzaro di Savena di concessioni in sanatoria illegittime;
le indagini venivano sviluppate a seguito di due distinti procedimenti (il primo procedimento penale n. 5661/08, dottor Gustapane, l'altro a carico del consorzio Cipea di Bologna) che registravano entrambi il coinvolgimento di militari della Guardia di finanza e, in particolare, di sottufficiali del corpo beneficiari di immobili in edilizia convenzionata privi dei requisiti di reddito e coinvolti in fatti omissivi e commissivi;
ancora nell'estate 2010 veniva inoltrato alla procura di Bologna un ulteriore esposto a carico del sindaco di San Lazzaro di Savena per presunte attività omissive, che finiva ancora in carico al sostituto procuratore Gustapane, il quale delegava di nuovo le indagini al medesimo reparto della Guardia di finanza;
in tale esposto veniva illustrata la gravità di condotte dell'ente pubblico segnatamente, del sindaco che avrebbe omesso di annullare in autotutela convenzioni urbanistiche e atti di concessione in sanatoria laddove emergevano, dai dati in suo possesso e da anni in possesso del sostituto procuratore Gustapane, la falsità di contratti di appalto tesi a maggiorare dolosamente i costi di case popolari, forme di abusivismo edilizio o insanabili, ma ugualmente sanate da concessioni in sanatoria, nonché la presenza di edifici privi di collaudo statico;
dall'ottobre 2010 la conduzione delle indagini sul Cipea vennero affidate al pubblico ministero Poggioli e le nuove investigazioni affidate alla squadra mobile della questura di Bologna;
contestualmente il procedimento penale n. 5661/08 veniva archiviato dal giudice per le indagini preliminari di Bologna per avvenuta prescrizione;
veniva presentato un ulteriore esposto alle procure della Repubblica di Ancona e Bologna e al Consiglio superiore della magistratura nel quale si rilevava che era il colonnello della Guardia di finanza Ferretti a confezionare plurime bozze di archiviazione in luogo del pubblico ministero titolare delle indagini (agli atti del citato provvedimento figurano infatti plurime bozze su carta intestata della procura di Bologna trasmesse al pubblico ministero dal colonnello Ferretti identiche nei contenuti rispetto all'atto di archiviazione notificato alla parte offesa);
negli atti d'indagine relativi al procedimento penale n. 5661/08 si delineava inoltre la responsabilità di diversi sottufficiali della Guardia di finanza del comando provinciale di Bologna;
l'attività dei predetti militari non veniva neppure lambita dalle indagini condotte dal medesimo comando di appartenenza, ancorché, sempre sulla base degli atti, alcuni risulterebbero privi dei requisiti di reddito per l'acquisto di case in edilizia convenzionata presso San Lazzaro di Savena e la condotta degli stessi venisse reiteratamente denunciata nell'ambito del procedimento penale n. 5661/08;
allo stesso modo, in questo grave contesto, si evidenzia la figura centrale di un sottufficiale del medesimo reparto, Salvatore Cucinotta - ancora indagato per le vicende Cipea e per fatti di corruzione - beneficiario di immobili convenzionati benché privo degli idonei requisiti;
parallelamente la stampa locale e nazionale ha dato notizia di condotte gravissime che, nell'ambito dell'inchiesta denominata Rimini yacht, hanno portato all'arresto di ufficiali e marescialli sempre facenti capo al suddetto comando provinciale di Bologna, nonché al suicidio di un ex generale del medesimo comando, Angelo Cardile -:
se i Ministri interpellati non ritengano di disporre un'immediata ispezione nel reparto del comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna e nella sezione di polizia giudiziaria della Guardia di finanza presso la procura di Bologna per chiarire la posizione dei suddetti militari, nonché le modalità ed il contenuto dell'offerta pervenuta dal sindaco di San Lazzaro ai militari del reparto - che lo indagavano e che erano destinatari di deleghe investigative sull'operato del comune di San Lazzaro e su militari del medesimo reparto - e se e quali cooperative di militari della Guardia di finanza di Bologna siano attualmente coinvolte nelle attività urbanistiche del comune di San Lazzaro di Savena;
se risulti al Ministro della giustizia che, a fronte dell'esposto citato in premessa, siano state assunte iniziative di carattere disciplinare nei confronti del pubblico ministero Gustapane.
(2-01035) «Raisi, Della Vedova».
(5 aprile 2011)

N)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
nell'ambito del nuovo sistema amministrativo delineatosi con il decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 finalizzato al riordino della organizzazione delle amministrazioni centrali dello Stato, attuativo della delega di cui all'articolo 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59, il legislatore ha operato un intervento di rilevante impatto sulla gestione delle funzioni amministrative, mediante l'istituzione di nuovi organismi denominati agenzie;
il capo II del titolo V del citato decreto legislativo, riferito specificamente alla riforma dell'amministrazione finanziaria, ha previsto l'istituzione di quattro agenzie fiscali (entrate, territorio, dogane e demanio) disciplinandone i relativi sistemi di gestione;
l'articolo 66, comma 3, del decreto legislativo n. 300 del 1999, ha fissato i criteri basilari cui deve uniformarsi l'articolazione degli uffici, quali l'organizzazione ed il funzionamento delle agenzie fiscali mediante regole certe, chiare ed inequivocabili;
i regolamenti di amministrazione hanno definito criteri e modalità di accesso alla dirigenza prevedendo, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 29 del 1993, per i posti vacanti e disponibili, procedure selettive pubbliche per le assunzioni sia dall'esterno che dall'interno;
in virtù di tali norme, per particolari esigenze di servizio l'agenzia può stipulare, previa specifica valutazione comparativa dell'idoneità a ricoprire provvisoriamente l'incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari con l'obbligo di avviare rapidamente le procedure selettive;
l'opportunità di procedere alla stipula di contratti per il conferimento di incarichi che comportino avanzamenti di carriera, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, deve rispondere a principi e regole certe onde evitare qualsivoglia disparità di trattamento;
la Corte costituzionale con le sentenze n. 103 e n. 104 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 69 del 2011, ha negato la costituzionalità di una dirigenza di fiducia e ribadito la necessità di selezionare i dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti;
in particolare, per quanto riguarda l'Agenzia delle entrate, a quanto consta agli interpellanti, si registrano oltre a gravi anomalie per carenze dei richiesti requisiti (a volte anche del titolo di studio e, nello specifico, privi della prescritto diploma di laurea) anche un numero molto elevato di incarichi dirigenziali (circa 750) senza aver posto mai in essere le regolari procedure concorsuali previste da leggi e regolamenti e con l'autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze come si evince dalla delibera n. 55 del 2009;
non si è attinto alle graduatorie di precedenti concorsi per dirigenti, attraverso lo scorrimento delle graduatorie, nonostante la legislazione vigente ne avesse prorogata la validità (cosiddetto decreto «milleproroghe» 2010) e la recente sentenza del Tar del Lazio (sentenza registro generale n. 1686 del 15 settembre 2009) avesse dichiarato l'obbligatorietà per le amministrazioni pubbliche di far ricorso ad esse, ribadendo ulteriormente la consolidata giurisprudenza (Tar Lazio sentenza n. 536 del 30 gennaio 2003), che recita espressamente: «lo scorrimento di una graduatoria di concorso ancora valida, costituisce atto d'obbligo e non meramente discrezionale, della pubblica amministrazione» e poi ancora della sentenza n. 3055 del 9 febbraio 2009 - Sezioni unite della Corte di cassazione, che in modo inequivocabile riafferma, quale atto dovuto, lo scorrimento delle graduatorie ancora valide con atti normativi;
si è invece ritenuto, da parte del direttore dell'Agenzia delle entrate, di bandire, in data 29 ottobre 2010, un concorso per 175 posti di dirigente, con criteri, ad avviso degli interpellanti, poco chiari, in modo particolare per quanto attiene alla valutazione dei titoli di servizio per quanti abbiano beneficiato di funzioni dirigenziali conferire con criteri di dubbia legittimità;
in data 26 novembre 2010, è stato trasmesso da parte del sindacato Dirstat atto di significazione e diffida nei confronti dei Ministero dell'economia e delle finanze, nonché dell'Agenzia delle entrate - direzione centrale del personale, con invito e diffida a non dare corso alla procedura concorsuale bandita per il reclutamento di n. 175 dirigenti di seconda fascia, bandito con delibera del 29 ottobre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate a mezzo del quale sono state evidenziate le gravi situazioni di contrasto con la normativa vigente -:
come intendano procedere i Ministri interpellati, per le parti di propria competenza, nei confronti dell'Agenzia delle entrate che ha ritenuto di non procedere allo scorrimento della graduatoria ancora valida e di bandire un nuovo concorso per dirigenti, ad avviso degli interpellanti in palese contrasto con la legislazione vigente e con la consolidata giurisprudenza.
(2-01041) «Gnecchi, Giovanelli, Melis, Ciriello, Mazzarella, Mario Pepe (PD), La Forgia, Corsini, Fedi, Cavallaro, Laganà Fortugno, Farinone, Bucchino, Codurelli, Miglioli, Giorgio Merlo, Cuperlo, Cuomo, Graziano, Garavini, Porta, Grassi, Bocci, Boffa, Iannuzzi, Marchignoli, D'Incecco, Ghizzoni, Picierno, Losacco, Benamati, Bellanova, Piccolo, Vaccaro, Pes, Gianni Farina, Vassallo, La Malfa, D'Antoni, Ginoble, Giulietti, Cesare Marini, Miotto, Rampi, Rubinato, Antonino Russo, Servodio, Viola».
(5 aprile 2011)

O)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
le lesioni che coinvolgono il midollo spinale o il plesso pelvico possono compromettere la funzione erettile e una particolare forma di disfunzione erettile da neuro lesione di importante impatto sociale e clinico è quella da chirurgia pelvica o da terapia radiante;
la disfunzione erettile legata all'asportazione radicale della prostata per carcinoma è la più importante e la sua prevalenza dipende dal tipo di intervento eseguito;
i farmaci in grado di indurre un'erezione sono di due tipi: per soluzione iniettabile (aprostadil, contenuto nel caverjet) e per via orale (sildenafil, vardenafil, tadalafil);
ai sensi della nota 75, emanata dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) il 4 gennaio 2007, soltanto il caverjet rientra tra i farmaci di fascia A (rimborsabili) a carico del sistema sanitario nazionale e soltanto per disfunzione erettile da lesioni permanenti e complete del midollo spinale o del plesso pelvico iatrogene, traumatiche o infiammatorie/degenerative (tra le quali rientra senza alcun dubbio l'asportazione della prostata per carcinoma);
per i farmaci da assumere per via orale, invece, è necessario un piano terapeutico del medico specialista e la loro rimborsabilità deve essere concordata insieme all'azienda titolare del medicinale -:
come il Governo intenda intervenire per permettere anche ai farmaci per via orale diretti alla riduzione della disfunzione erettile di rientrare nella fascia A limitatamente alle gravi patologie citate in premessa.
(2-01039) «Gava, Lazzari, Golfo, Vignali, Pelino, Vincenzo Antonio Fontana, Mario Pepe (IR), Grassano, Mistrello Destro, Milanato, Scandroglio, Catanoso Genoese, Torrisi, Bocciardo, Cassinelli, Dell'Elce, Lehner, Ventucci, Scapagnini, Aracu, Garagnani, Antonio Martino, Abrignani, Nicolucci, Cazzola, Minardo, Sammarco, Gottardo, Barbaro, Barani, Ascierto, Simeoni, Abelli, Bellotti, Di Virgilio, Galati, Giorgio Conte».
(5 aprile 2011)

P)

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute e del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
il gruppo San Raffaele di Roma rappresenta una fondamentale realtà nel campo della sanità a livello nazionale, con diversi centri di riconosciuta eccellenza nel Lazio e in Abruzzo, specializzati soprattutto nei settori della riabilitazione ad alta specialità e della lungo degenza;
nei giorni scorsi, con una lettera inviata a tutte le autorità e istituzioni coinvolte, San Raffaele spa, ha preannunciato la cessazione di tutte le proprie attività sanitarie, a partire dal 15 aprile 2011, in conseguenza del collasso finanziario venutosi a determinare per la mancata soluzione delle numerose problematiche concernenti la riorganizzazione del gruppo stesso nell'ambito del complessivo riordino della sanità laziale e per il mancato pagamento delle prestazioni sanitarie già rese dalle strutture ospedaliere;
ciò comporterà un gravissimo danno per l'intero tessuto sociale del Lazio: al licenziamento dei 3171 lavoratori del gruppo si aggiunge, infatti, la necessità di procedere, da parte delle Asl di competenza, alla presa in carico dei 2283 assistiti attualmente ricoverati, al fine di garantire loro la necessaria continuità assistenziale;
è ben nota la situazione della sanità laziale, ormai giunta al collasso, che non può quindi ritenersi in grado di far fronte ad una «tragedia» di tali proporzioni;
in particolare, secondo il gruppo San Raffaele, alla situazione descritta si sarebbe giunti a causa dell'inerzia della regione Lazio, che si protrae ormai da due anni, in merito sia alla sottoscrizione di intese per la riorganizzazione del gruppo, sia ai pagamenti delle prestazioni rese;
quanto alla prima questione, la proposta di un protocollo di intesa per la riconversione dell'attività sanitaria è stata presentata dal gruppo San Raffaele a più riprese: ad ottobre 2009, ad ottobre 2010 e infine a marzo 2011, senza che nulla si sia mai determinato al riguardo;
detto protocollo presupponeva il trasferimento e la riconversione di posti letto in attuazione del decreto commissariale n. 80/2010, nonché la definizione dell'assetto dell'Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) San Raffaele Pisana con l'attribuzione dei posti letto di alta specialità, ma a tale richiesta non si è dato seguito;
sempre in merito all'Irccs, nonostante le reiterate richieste, non è stato mai possibile definire gli appositi accordi previsti dalla normativa nazionale inerenti allo svolgimento dell'attività e alle modalità di remunerazione;
dal decreto commissariale n. 9/2011, uno dei provvedimenti attuativi del decreto commissariale n. 80/2010, emerge poi chiaramente la disparità di trattamento tra l'Irccs Santa Lucia, che si è vista attribuire ben 160 posti letto di alta specialità riabilitativa sui 200 disponibili, e l'Irccs San Raffaele Pisana a cui non ne è stato assegnato alcuno. Ed, anzi, all'Irccs San Raffaele Pisana sono stati tagliati 93 posti letto di riabilitazione corrispondenti ad un terzo della propria capacità ricettiva;
peraltro, risulta agli interpellanti che in quella struttura siano attivi reparti di riabilitazione cardiorespiratoria, per le disabilità pediatriche gravi, per le malattie neuro-degenerative quali la sclerosi laterale amiotrofica (sla) e il parkinson, supportati da un centro di ricrea all'avanguardia in sede nazionale ed internazionale, che, ovviamente, dovrebbero rientrare nella qualifica di «alta specialità riabilitativa»;
sempre con riferimento all'Irccs San Raffaele Pisana la regione non sta ottemperando alla recente sentenza del consiglio di Stato n. 3083/09 e alla sentenza del Tar Lazio n. 30406/2010 in merito all'accreditamento e al relativo finanziamento delle attività di specialistica ambulatoriale, relativamente alle strutture di specialistica ambulatoriali afferenti all'Irccs San Raffaele Pisana;
quanto invece al blocco delle certificazioni e delle liquidazioni, va segnalato che la necessità manifestata dalla regione di procedere ad una verifica tecnico-contabile sulle attività rese dalla casa di cura San Raffaele Cassino nel periodo 2007-2009 (verifiche più volte sollecitate dalla stessa casa di cura) ha di fatto portato al blocco finanziario relativo a tutte le attività sanitarie della struttura, ritenendo la regione di dover compensare il credito certo della casa di cura con quello presunto (20 milioni di euro) nascente da un eventuale esito negativo delle verifiche, e ciò ben oltre il danno massimo ipotizzato dalla stessa regione: infatti, attualmente il blocco dei pagamenti ha riguardato oltre 40 milioni di euro, pari al doppio del presunto credito vantato dalla regione;
oltre a contestare la legittimità stessa della compensazione effettuata, il gruppo San Raffaele sottolinea come essa non sarebbe stata necessaria se la regione e l'Agenzia di sanità pubblica del Lazio avessero effettuato tempestivamente i controlli, che, di fatto, dopo quattro anni non sono ancora definiti ma solo recentemente iniziati a seguito dei reiterati solleciti da parte del gruppo stesso;
il blocco delle certificazioni e delle liquidazioni ha così determinato una sospensione delle risorse finanziarie provenienti da Unicredit Factor con conseguenti effetti negativi anche sulle altre strutture del gruppo San Raffaele;
nel luglio 2010 presso la regione Lazio si è tenuta una riunione tra i tecnici della Asl di Frosinone, i rappresentanti della casa di cura San Raffaele Cassino e i dirigenti regionali all'esito della quale la regione, di fatto riconoscendo l'abnormità delle trattenute effettuate sui crediti correnti della casa di cura, ha convenuto: il ripristino della regolare fatturazione mensile a decorrere da gennaio 2010; lo sblocco delle liquidazioni per fatture pregresse fino al 2009; il mantenimento del blocco su una parte delle liquidazioni pregresse 2009 con accantonamento di 6 milioni di euro a riserva, in attesa della verifica sulla valorizzazione dell'effettiva produzione; l'attivazione di un gruppo di lavoro composto da tecnici dell'Asl di Frosinone, dell'Agenzia di sanità pubblica del Lazio e della casa di cura per il controllo delle schede nosologiche e la valorizzazione delle prestazioni di riabilitazione;
tuttavia, detto accordo è rimasto inspiegabilmente senza alcun seguito da parte della regione;
altre disposizioni mai attuate parte della regione sono poi quelle relative a: riprendere le liquidazioni nel limite dell'80 per cento della remunerazione riconoscibile entro i livelli massimi di finanziamento previsti per l'anno 2009; procedere alla liquidazione e pagamento per l'anno 2010, nei limiti della valorizzazione consentita dal budget contrattato e dal sistema di remunerazione regolamentato dai provvedimenti regionali, accantonando, anche per il 2010, un'ulteriore riserva pari a complessivi 6.000.000 euro e di procedere analogamente nell'anno 2011 qualora, a seguito delle risultanze del gruppo di lavoro, l'importo da recuperare presentasse un'ulteriore esposizione;
inoltre, a ottobre 2010 il Tar Lazio ha emesso un'ordinanza in cui, dando atto dell'accoglimento del ricorso al Tar presentato dalla società San Raffaele, ha disposto di dare esecuzione al provvedimento del commissario ad acta con cui venivano assegnati alle strutture San Raffaele fondi per prestazioni di alta specialità, ammontanti a 7.329.278 euro: anche in questo caso si è ancora in attesa dell'erogazione dei fondi da parte della regione, nonostante i solleciti e gli atti di diffida già notificati;
l'inerzia della regione Lazio nei confronti del gruppo San Raffaele sembra essere in contrasto con l'atteggiamento tenuto invece dalla medesima regione nei confronti di altri soggetti privati operanti nella sanità laziale, che stipulano regolarmente intese con le autorità regionali e in tempi rapidissimi;
ove ciò rispondesse al vero, si tratterebbe di un gravissimo atteggiamento discriminatorio nei confronti di un gruppo che dà lavoro a 3171 persone e che assiste 2283 pazienti ricoverati nelle proprie strutture, per non parlare delle migliaia di prestazioni assistenziali rese in sede ambulatoriale;
appare inoltre evidente come il blocco delle liquidazioni e il continuo rinvio, da circa due anni, della stipula di intese con il gruppo San Raffaele da parte della regione Lazio abbiano creato un danno patrimoniale sempre maggiore all'intera realtà assistenziale del San Raffaele, con inevitabili ripercussioni in termini di assistenza ai malati e di occupazione, rendendo ormai insostenibile per detto gruppo il regolare pagamento degli stipendi, dei farmaci, dei presidi sanitari e di quanto altro necessario per una corretta assistenza, anche in ragione della conseguente indisponibilità degli istituti di credito a concedere ulteriori finanziamenti;
ad ulteriore riprova di quanto sopra esposto, basti considerare la mobilitazione che in questi giorni ha visto protagonisti sia i lavoratori delle strutture coinvolte che le associazioni dei parenti dei malati, che hanno inviato alla stampa e alle autorità competenti numerose lettere di protesta contro l'inerzia regionale e di solidarietà e supporto alla meritoria attività svolta quotidianamente da medici, infermieri e operatori sanitari di tali strutture -:
quali iniziative il Governo intenda porre in essere, per quanto di propria competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di dirimere l'annosa questione descritta in premessa ed impedire così che migliaia di lavoratori restino senza stipendio e migliaia di malati restino senza un'adeguata assistenza.
(2-01047) «Mario Pepe (IR), Sardelli».
(7 aprile 2011)

Q)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
la direzione generale per le politiche per l'orientamento e la formazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato ai fondi Forma.Temp. ed Ebiref che l'associazione imprenditoriale Alleanza Lavoro sarebbe sprovvista dei requisiti necessari per comparire tra le parti costituenti del fondo risultante dall'unificazione dei predetti fondi;
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha giustificato la propria posizione sostenendo che Alleanza Lavoro sarebbe sprovvista del requisito previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera h) e m) del decreto legislativo n. 276 del 2003;
a parere degli interpellanti tale posizione non sembra corretta, in punto di diritto, per i seguenti motivi:
a) il citato articolo 2, comma 1, lettera h) e m) del decreto legislativo n. 276 del 2003, definisce, rispettivamente, cosa deve intendersi ai fini del decreto con le nozioni di «enti bilaterali» e «associazioni sindacali». Con riferimento agli «enti bilaterali», la lettera h) include nella nozione tutti gli «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione delle attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento». Con riferimento alle associazioni sindacali, la successiva lettera m) include nella nozione tutte le «organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative». La lettura delle predette norme consente di riconoscere agevolmente il criterio di selezione che il decreto legislativo n. 276 del 2003 individua per consentire a soggetti associativi, siano essi enti bilaterali oppure organizzazioni sindacali, di accedere ai diversi strumenti organizzativi previsti dallo stesso decreto: tale criterio consiste nella rappresentatività comparativa;
b) il significato della predetta nozione è stato a lungo indagato dalla dottrina giuslavoristica, che ha messo in luce la differenza con il criterio di selezione dei soggetti collettivi utilizzato - con maggiore frequenza - prima dell'approvazione della riforma, consistente nella maggiore rappresentatività. Il tratto differenziale tra il vecchio criterio della maggiore rappresentatività e quello della rappresentatività comparativa ha avuto, per opinione comune della dottrina, l'effetto di incentivare il pluralismo associativo, in quanto il primo criterio aveva l'attitudine a concentrare la rappresentatività solo su un soggetto (quello dotato di maggiore rappresentanza) mentre il secondo criterio consente di legittimare la rappresentatività di tutti i soggetti associativi che hanno una base consistente di iscritti;
c) l'interpretazione di questo criterio deve, peraltro, essere operata anche tenendo conto delle linee di politica delle relazioni industriali seguite dalle parti sociali e dal Governo, a partire dall'accordo sulle relazioni industriali del gennaio del 2009. Questo accordo ha formalizzato una tendenza già emersa negli anni precedenti e confermata dagli sviluppi successivi della contrattazione collettiva: il riconoscimento del pluralismo associativo, che consente di escludere la concentrazione della legittimazione ad agire come soggetti collettivi solo in capo alle organizzazioni maggiormente rappresentative. Testimonianza di questo mutato approccio sono i numerosi accordi cosiddetti «separati» (cioè, sottoscritti solo con alcune organizzazioni rappresentative) sottoscritti tra le parti sociali, e anche dal Governo. Le considerazioni sopra sviluppate a parere degli interpellanti evidenziano la contraddittorietà con questa linea di politica delle relazioni industriali la posizione assunta dal Governo in questa circostanza, in quanto l'effetto di questa posizione sarebbe quello di tornare a un assetto della rappresentanza associativa concentrato solo su alcune organizzazioni (in questo caso, quelle dotate di maggiore rappresentatività datoriale, nel settore delle Agenzie per il lavoro);
a parere, quindi, degli interpellanti non è possibile sostenere che Alleanza Lavoro, soggetto rappresentativo di un numero indistinto di imprese del settore, e firmatario di un contratto collettivo nazionale di lavoro attualmente applicato, debba essere escluso per mancanza di rappresentatività;
non si può ignorare, inoltre, il fatto che tale rappresentatività è riconosciuta pacificamente da tutti gli attori collettivi del settore; basti, a tale proposito, ricordare che l'associazione ha ottenuto ripetuti riconoscimenti di carattere collettivo e istituzionale, quali i seguenti:
a) è stata ascoltata, il 3 marzo del 2009, nell'ambito dell'indagine conoscitiva promossa dalla Commissione lavoro del Senato della Repubblica sul funzionamento delle Agenzie per il lavoro;
b) ha stipulato, in data 8 ottobre 2009, con l'altra organizzazione datoriale esistente nel settore, Assolavoro, ma anche con Cgil, Nidil Cgil, Cisl, Alai Cisl, Uil e Uil Cpo un accordo avente per oggetto la condivisione dei contenuti del contratto collettivo siglato dalle predette parti sociali;
c) ha sottoscritto, in data 19 gennaio 2010, un protocollo di intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la realizzazione di un partenariato pubblico-privato a favore della mobilità europea geografica e professionale dei lavoratori, nell'ambito del programma comunitario Eures;
d) ha sottoscritto, in data 12 marzo 2010, un accordo quadro con Italia Lavoro spa, per la realizzazione di misure di politica attiva del lavoro;
e) è stata periodicamente consultata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per i programmi di conferimento dei dati sull'offerta di posizioni lavorative nel mercato del lavoro;
f) ha nominato, nel mese di luglio del 2010, propri membri nei consigli di amministrazione di Forma.Temp. e di Ebitemp;
g) è stata convocata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in data 25 gennaio 2011, nell'ambito delle consultazioni sul decreto legislativo sul lavoro usurante;
h) è stata invitata, in qualità di soggetto collettivo, ai congressi e ai convegni organizzati nell'ultimo biennio da Nidil Cgil, Alai-Felsa Cisl, Uil Cpo, Federmeccanica, e da diverse istituzioni nazionali e locali;
non si può dire - osservando le dinamiche delle relazioni industriali di settore dell'ultimo biennio - che Alleanza Lavoro sia un soggetto privo di legittimazione ad agire in veste di associazione datoriale di natura collettiva;
da questo punto di vista, gli interpellanti ritengono, quindi, che il riferimento operato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali all'articolo 2 del decreto legislativo n. 276 del 2003 sia poco pertinente, in quanto il criterio di selezione dei soggetti che possono partecipare alla costituzione dei fondi per la formazione dei lavoratori di settore è individuato nell'articolo 12, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003;
questa norma, per indicare i soggetti legittimati alla costituzione di un fondo per la formazione, fa riferimento alle «parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro»;
per gli interpellanti è di tutta evidenza che tale criterio è diverso da quello di cui all'articolo 2, da un lato, ed è ancora più vicino alle caratteristiche di Alleanza Lavoro, dall'altro. È diverso perché manca qualsiasi riferimento alla rappresentatività comparativa e quindi anche possibili obiezioni sul punto sono da intendersi superflue. È vicino alle caratteristiche di Alleanza Lavoro perché l'associazione ha stipulato un contratto collettivo nazionale di lavoro e ha aderito - seppure indirettamente - al contratto collettivo stipulato da Assolavoro -:
se non si ritenga necessario, alla luce delle considerazioni sopra esposte, riconsiderare la decisione presa e correggerla affinché all'associazione imprenditoriale Alleanza Lavoro sia riconosciuto quanto ad essa è stato ingiustamente sottratto.
(2-01023) «Sardelli, Belcastro, Iannaccone, Milo, Porfidia».
(29 marzo 2011)

R)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
ad oggi in Toscana non esiste un centro di identificazione ed espulsione;
nel settembre 2010 durante lo svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea il Ministro interrogato ha dichiarato che i centri di identificazione ed espulsione in Italia sono insufficienti;
durante lo svolgimento della stessa interrogazione ha ricordato che servono nuovi centri di identificazione ed espulsione, nelle regioni che ne sono sprovviste, altrimenti il rischio è che i clandestini vengano rimessi in libertà;
i centri di identificazione ed espulsione in Italia sono attualmente 13, operativi in 11 regioni;
alcune regioni hanno due centri di identificazione ed espulsione, mentre altre regioni, come la Toscana, non hanno centri e spesso i clandestini presi in queste regioni vengono rimessi in libertà;
il Governo ha iniziato una consultazione con la regione Toscana, per cercare di individuare il sito più opportuno per la costruzione di un nuovo centro di identificazione ed espulsione;
la lotta all'immigrazione clandestina è una priorità del Governo, ribadita più volte anche dal Ministro interrogato; la costruzione di un centro di identificazione ed espulsione garantirebbe ai cittadini toscani maggiore sicurezza;
il Ministro interrogato aveva annunciato l'apertura del centro di identificazione ed espulsione in Toscana entro dicembre 2010 -:
quali siano, ad oggi, i risultati della consultazione con la regione Toscana in merito alla costruzione del centro di identificazione ed espulsione;
se sia stato individuato dal Governo il sito per la costruzione del nuovo centro di identificazione ed espulsione per la Toscana;
se il Governo abbia individuato una data di inizio dei lavori per il nuovo centro di identificazione ed espulsione.
(2-01033) «Mazzoni, Toccafondi, Massimo Parisi, Migliori, Faenzi, Bergamini, Barani, Tortoli, Bianconi, Bonciani, Picchi, Speciale, Holzmann, Giulio Marini, Mazzuca, Nirenstein, Palmieri, Garofalo, Garagnani, Petrenga, Cesaro, Cosentino, Del Tenno, Marinello, Pagano, Botta, Moles, Lainati, De Angelis, Carlucci».
(4 aprile 2011)

S)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
i vigili del fuoco rappresentano ormai un insostituibile corpo di pubblica sicurezza cui però non viene corrisposto un trattamento pari a quello degli altri Corpi dello Stato preposti alle medesime funzioni;
essi, infatti, rischiano la vita come i colleghi delle forze di polizia ma con una retribuzione di circa 300 euro in meno al mese;
oltre a non veder riconosciuto come usurante il proprio lavoro, non hanno le maggiorazioni, ai fini pensionistici, previste per le Forze armate e di polizia;
aggrava notevolmente la situazione appena descritta un sistema di avanzamento professionale congelato da anni e gestito in modo superficiale (a differenza delle forze di polizia dove si è provveduto ad un riordino delle carriere), unitamente ad una sempre maggiore carenza di organico che aumenta a dismisura il rischio professionale -:
se il Ministro interpellato non ritenga opportuno, attraverso il superamento delle accennate disparità, porre il Corpo nazionale dei vigili del fuoco in piena efficienza funzionale e lavorativa, al fine di migliorare la risposta in termini di sicurezza dei cittadini;
se non intenda procedere a nuove assunzioni di personale, con esaurimento di tutte le graduatorie vigenti.
(2-01051) «Tassone, Galletti».
(12 aprile 2011)