a riconoscere che l'aumento della disoccupazione nel Mezzogiorno costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, con la previsione di misure specifiche rivolte al Mezzogiorno;
a finanziare un piano volto a inserire nel mercato del lavoro almeno 100 mila giovani diplomati e laureati delle otto regioni del Mezzogiorno mediante stage presso imprese private, a tal fine prevedendo un compenso mensile a carico dello Stato per un periodo non inferiore a sei mesi, cui aggiungere un incentivo di 3.000 euro a favore dell'azienda in caso di assunzione a tempo indeterminato;
a riconoscere che l'aumento della disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno, costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, prevedendo anche l'introduzione di un credito d'imposta, in particolare nelle regioni obiettivo-convergenza, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono;
a proseguire nelle iniziative intraprese, coniugando, in un quadro di strategia organica, misure a favore delle imprese, provvedimenti di sostegno dell'occupazione e di salvaguardia del reddito, garantendo la necessaria copertura finanziaria, e in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, in un'ottica di rilancio del sistema produttivo e occupazionale del Sud del Paese;
a promuovere una nuova strategia per il sud fondata su un piano di intervento integrato, organico e di struttura, con logica di medio periodo, in grado di spostare risorse in tempi rapidi da impieghi improduttivi e da aree di rendita protette dalla politica, verso attività capaci di stare sul mercato, con ciò riducendo le esternalità negative (infrastrutture carenti, servizi economici e socio-sanitari malfunzionanti, pubblica amministrazione inefficiente, scuola e formazione inadeguate, criminalità che spadroneggia) e concentrando su questi beni collettivi la spesa;
a rafforzare il monitoraggio delle situazioni di crisi aziendale, con specifico riferimento alle imprese che hanno effettuato o si apprestano ad effettuare riduzioni di personale, con particolare attenzione a quelle che operano nelle aree del Mezzogiorno, al fine di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali e di scongiurare ulteriori ripercussioni sul piano sociale;
premesso che:
«il lavoro non è una merce», come sancisce il primo dei princìpi su cui si fonda l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);
una Repubblica fondata sul lavoro, quale l'Italia, oltre a riconoscere il lavoro come diritto inalienabile dell'uomo, ha il compito di promuovere le condizioni, che rendano effettivo l'esercizio di tale diritto;
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha stabilito come propria guideline quella in base alla quale una politica attiva del lavoro debba dedicare grande cura sia ad un'informazione tempestiva e significativa sulla struttura e dinamica della domanda e dell'offerta sia all'orientamento e alla formazione professionale dell'offerta medesima;
nell'attuale situazione di crisi economica è assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato;
la crisi attuale impone un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
i public employment services (servizi pubblici per l'impiego) hanno un ruolo di primaria importanza nell'ambito della Strategia europea per l'occupazione, che prevede esplicitamente la possibilità di un «affiancamento» ad altri intermediari pubblici e/o privati;
sul livello dei servizi offerti dai centri per l'impiego pubblici appare persistente un «dualismo territoriale, caratterizzato dallo costruzione di servizi altamente personalizzati ed in chiave »proattiva« al centro-nord e dalla prevalenza di servizi di natura più tradizionale e di un'attività prevalentemente incentrata sugli adempimenti amministrativi al sud», come sostenuto dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, segretariato generale, nella pubblicazione Welfare to work: un quadro della normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia di offerta congrua;
a tale dualismo va sommata la complessità del sistema di competenze in materia di servizi per l'impiego che sovente aggrava il dualismo di cui si è detto;
in particolare, le competenze nazionali concernono essenzialmente indirizzo, promozione, coordinamento, conduzione dei servizi per il lavoro (SIL) e valutazione dell'efficacia delle politiche del lavoro; le competenze regionali concernono: funzioni di indirizzo relative al collocamento, concertazione regionale e relativo coordinamento; programmazione, promozione del lavoro autonomo e delle nuove imprese, promozione di iniziative di collocamento per le fasce deboli, affiancamento al ministero del lavoro e delle politiche sociali per iniziative in materia di gestione delle eccedenze, raccordo delle funzioni, politiche attive e monitoraggio del mercato del lavoro; le competenze provinciali concernono: gestione dei servizi di collocamento e preselezione attraverso i centri provinciali per l'impiego (CPI), promozione di iniziative e di interventi attivi, in relazione con la concertazione e la programmazione territoriale con particolare riferimento ad iniziative integrate di orientamento e formazione; sono competenze comunali: l'avvio e la gestione di servizi integrati in connessione con i centri provinciali per l'impiego nonché le iniziative di orientamento e promozione;
il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente preannunciato di voler costituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di prevedere la possibilità di stabilire una deroga in pejus al trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva, tale regime derogatorio dovrebbe applicarsi alle nuove imprese, che assumono nel Mezzogiorno;
nonostante sia condivisibile il fine di aumentare l'occupazione nelle regioni meridionali, l'obiettivo de quo deve essere perseguito senza penalizzare le condizioni economico-giuridiche dei lavoratori che prestano la propria opera nelle regioni del sud e con la garanzia che la misura ipotizzata non si risolva in un mero vantaggio competitivo temporaneo per imprenditori poco affidabili. Ne consegue la necessità di approfondire la proposta e di adottare le necessarie garanzie in ordine alla sua temporaneità, alle sue concrete modalità applicative e ai meccanismi da adottare, al fine di rendere stabile la nuova occupazione così incentivata;
nelle regioni del Mezzogiorno la lotta al lavoro senza tutele, al lavoro nero, agli appalti cosiddetti «non genuini» deve rappresentare, ancora di più che in altre zone del Paese, un obiettivo imprescindibile dell'azione governativa, volta a combattere e, in prospettiva, ad eliminare forme di utilizzo della forza lavoro, che costituiscono sfruttamento del lavoro stesso e producono distorsione della concorrenza;
la diretta conseguenza di tali forme di utilizzo illegale delle prestazioni di lavoro è la penalizzazione delle imprese, che applicano correttamente la normativa e la difficoltà a mantenere e, vieppiù, a creare occupazione legale e stabile;
in svariate zone del Paese e principalmente nelle regioni del Mezzogiorno si sono formati dei cosiddetti «bacini di crisi», a seguito delle difficoltà di tipo industriale e, conseguentemente, occupazionale, che si sono venute a determinare a causa del recente default di alcuni grossi operatori finanziari internazionali;
tali «bacini di crisi» devono essere oggetto di una gestione legislativa e amministrativa, che, ottimizzando l'utilizzo della formazione professionale, consenta il reimpiego dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo;
quanto alla formazione professionale, essa, anche ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione costituisce il momento di raccordo tra l'istruzione ed il lavoro, tra il diritto allo studio e il diritto al lavoro, tra il significato culturale e l'aspetto produttivistico dell'istruzione;
in sintesi, la formazione professionale consente di adeguare la qualità dell'offerta di lavoro alle esigenze della domanda, sopperendo così alle carenze della normale dinamica di mercato,
ad aumentare il livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, anche attraverso una più proficua collaborazione con soggetti privati, che si concretizzi nello scambio di informazioni, ai fini della messa a disposizione dei nominativi dei lavoratori svantaggiati da parte dell'Inps e dei centri per l'impiego, con l'obiettivo di aumentare le occasioni di lavoro da proporre a questi soggetti;
a prevedere nelle aree del Mezzogiorno, nelle quali si siano determinate crisi industriali e per ciò stesso, occupazionali, la gestione di comunicazioni specifiche da parte di soggetti pubblici (ivi compresa l'agenzia tecnica del ministero del lavoro e delle politiche sociali, Italia lavoro) contenenti l'indicazione dei nominativi dei lavoratori che possono essere assunti con l'erogazione di specifici incentivi, da inviare alle associazioni imprenditoriali, e sindacali;
a varare un piano di formazione professionale straordinario per il sud, erogato dai servizi pubblici per l'impiego in concorso con le agenzie per il lavoro legittimate all'esercizio di questa attività per espressa disposizione di legge (articolo 2, lettere b), c) e d), del decreto legislativo n. 276 del 2003), che preveda la «presa in carico» del lavoratore disoccupato o inoccupato da parte dell'agenzia, la quale, attraverso un percorso formativo concepito ad personam, dovrà condurlo ad una (nuova) occupazione;
a prevedere, a tal fine, meccanismi incentivanti e disincentivanti, correlati al numero di lavoratori che verranno effettivamente occupati al termine del percorso formativo e ciò in netta contrapposizione alle logiche assistenzialistiche utilizzate in passato.
(1-00265)
«Iannaccone, Lo Monte, Belcastro, Commercio, Latteri, Lombardo, Milo, Sardelli, Brugger».
(10 novembre 2009)
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa il 17 dicembre 2009 e relativa al terzo trimestre del 2009, indica una condizione critica soprattutto nelle aree deboli del Mezzogiorno. Il rapporto mette in guardia dal nuovo e sensibile incremento dell'inattività lavorativa, fenomeno concentrato nelle regioni meridionali e dovuto principalmente a fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione registra un ulteriore e allarmante calo rispetto allo stesso periodo del 2008 (dal 46,5 per cento al 45 per cento). In particolare, il tasso di inattività femminile nelle regioni meridionali si attesta al 69,2 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al terzo trimestre del 2008. Il tasso di disoccupazione, all'8,2 per cento su scala nazionale, raggiunge nelle regioni meridionali la preoccupante soglia del 12,4 per cento;
questi numeri naturalmente non tengono conto della quota del lavoro sommerso, che specialmente nel Mezzogiorno rappresenta una fetta assai importante dell'intera forza lavoro. Secondo recenti stime Svimez, il Sud presenta tassi di irregolarità particolarmente elevati, pari circa al doppio rispetto al resto del Paese. Nel 2008 - prima dello scatenarsi della crisi economica - risultava irregolare nel meridione circa una persona su cinque (con punte di una su due in alcune regioni e in alcuni settori come l'agricoltura e l'edilizia), vale a dire 1,3 milioni di persone. Va aggiunto che nel Mezzogiorno la quasi totalità delle famiglie vive con un solo reddito;
secondo il rapporto Censis 2009 sulla situazione sociale del Paese, in Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma se la media nazionale si attesta sul 28,5 per cento, nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. A metà 2009, rileva ancora l'istituto, si sono persi 378 mila posti di lavoro di cui 271 mila al Sud. Ad essere colpite sono soprattutto le forme di lavoro a termine (-9,4 per cento) e le collaborazioni a progetto (-12,1 per cento). Tale effetto grava in particolare sui ragazzi: il 45,4 per cento di chi ha perso il lavoro nell'ultimo anno ha infatti meno di 34 anni. È stato rilevato che l'Italia è il paese europeo a più alto divario tra tasso medio di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile. Questo fenomeno è più che mai acuto nei territori del Sud;
dalle analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell'investimento formativo è nel Mezzogiorno notevolmente più basso rispetto alle altre parti d'Italia a causa del ritardato o mancato ingresso nel mercato del lavoro una volta concluso il processo di formazione. Le difficoltà dei giovani diplomati e laureati del Sud a trovare una collocazione nel circuito del lavoro riflette sia inadeguatezze nella rete formativa, che presenta standard qualitativi inferiori agli altri Paesi europei e occidentali, sia criticità del sistema di transizione scuola-lavoro;
dal rapporto Svimez 2009 emerge che ogni anno 300 mila giovani meridionali abbandonano il Sud per cercare fortuna altrove. Di questi, quasi uno su due deciderà di non tornare più a casa. La fuga dal Mezzogiorno avviene in due tempi. La prima emorragia coincide con la scelta del corso di studi: al momento dell'iscrizione all'università un ragazzo su quattro decide di frequentare un ateneo del Centro-Nord. La fuga decisiva è connessa con la ricerca di un posto di lavoro: a tre anni dal conseguimento della laurea, oltre il 4 per cento dei giovani meridionali occupati lavora al Centro-Nord. L'aspetto più allarmante di questa nuova migrazione interna sta nel fatto che coinvolge i giovani culturalmente e professionalmente più attrezzati: il 40 per cento dei laureati meridionali che hanno trovato lavoro al Nord si è laureato infatti con il massimo dei voti;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del sistema sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i ragazzi vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i ragazzi percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come nell'attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. Ciò malgrado nelle passate fasi congiunturali il Sud abbia reagito meglio rispetto alle aree forti proprio a causa della sua scarsa apertura ai mercati internazionali. L'economia meridionale somma all'inversione ciclica debolezze strutturali che affondano le loro radici nel tempo e che si aggravano nell'attuale fase congiunturale. Come ha rilevato la Banca d'Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese - dall'occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività - si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Mezzogiorno. Questo fatto, unitamente alla rilevanza macroeconomica del Mezzogiorno, rende evidente l'importanza che riveste lo sviluppo del Sud per le prospettive di crescita nazionale. Senza abbattere il cronico sotto utilizzo delle risorse umane e materiali nelle regioni meridionali, ammonisce ancora la Banca d'Italia, l'obiettivo di uscire dal ristagno appare del tutto velleitario;
in contrasto con questa indicazione, l'attuale Governo ha assunto finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una strategia sostanzialmente antimeridionalista. I provvedimenti varati sin qui, non ultima la legge finanziaria per il 2010, hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli. Questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate meridionali almeno l'85 per cento del complesso delle risorse) ha di fatto azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo centrale e dall'Unione europea;
a questa sistematica distrazione di fondi, si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha di fatto annullato l'operatività del credito d'imposta per i nuovi investimenti, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo e deprimendo ancora di più le prospettive di crescita delle zone sottosviluppate;
i tagli imposti dal Governo al sistema scolastico colpiscono quasi esclusivamente il Sud. Più di 14 mila supplenze sulle 19 mila che scompariranno quest'anno (il 71 per cento) sono localizzate nelle otto regioni meridionali;
il progresso nei livelli di scolarizzazione delle nuove generazioni meridionali è riconosciuto da tutti i più importanti osservatori. La Svimez rileva come, in media, non ci sia più una differenza apprezzabile tra i livelli qualitativi della didattica negli istituti meridionali e quelli del Centro-Nord. Il divario aumenta però in termini di opportunità di impiego. Occorre dunque dare risposte concrete attivando un confronto con le parti sociali e i rappresentanti istituzionali dei territori del Mezzogiorno, al fine di mettere in campo un programma di interventi anticiclici per favorire l'ingresso delle nuove generazioni meridionali nel mercato del lavoro meridionale;
come rilevato dalla Banca d'Italia nel rapporto di fine anno 2008 e ribadito recentemente dal governatore Mario Draghi, il sistema vigente di ammortizzatori sociali esclude una fascia molto ampia di lavoratori atipici e parasubordinati. L'analisi della Banca d'Italia mette in evidenza che 1,6 milioni di lavoratori non godono attualmente di alcuna forma di copertura e rischiano, dunque, di rimanere a zero euro in caso di licenziamento o scadenza dei termini di contratto;
intorno alla risorsa che rappresentano le giovani generazioni meridionali vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell'istruzione e di accompagnare i ragazzi nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche per impedire che continui l'esodo verso il Nord dei giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno,
a reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di sviluppo concreto ed efficace quale è l'automatismo del credito d'imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno;
a predisporre in tempi rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali, che includa lavoratori a progetto, parasubordinati, lavoratori atipici e le altre categorie contrattuali attualmente escluse da ogni copertura, garantendo almeno il 60 per cento del reddito percepito nell'ultimo anno.
(1-00300)
«D'Antoni, Boccia, Maran, Villecco Calipari, Baretta, Fluvi, Lulli, Damiano, Bellanova, Berretta, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Bossa, Burtone, Calvisi, Capano, Capodicasa, Cardinale, Enzo Carra, Causi, Ciriello, Concia, Cuomo, D'Alema, D'Antona, D'Incecco, Fadda, Genovese, Ginefra, Ginoble, Grassi, Graziano, Iannuzzi, Laganà Fortugno, Laratta, Levi, Lo Moro, Lolli, Losacco, Luongo, Margiotta, Cesare Marini, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mazzarella, Melis, Minniti, Nicolais, Oliverio, Arturo Parisi, Pedoto, Mario Pepe (Pd), Pes, Piccolo, Picierno, Antonino Russo, Samperi, Santagata, Sarubbi, Schirru, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Livia Turco, Vaccaro, Vico».
(22 dicembre 2009)
premesso che:
l'ultimo rapporto Svimez, presentato nel luglio 2009, ha fotografato un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord;
le prospettive per i prossimi mesi, nonostante qualche segnale di miglioramento soprattutto nel clima di fiducia di imprese e cittadini, appaiono particolarmente gravi per zone deboli del Paese. La diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzate del Paese, perché più aperte alla competizione internazionale, è purtroppo smentita dai dati relativi sia alla seconda metà del 2008 che ai primi tre trimestri del 2009;
l'impatto della crisi internazionale, infatti, si sta riflettendo con particolare intensità sul mercato del lavoro meridionale, con brusche riduzioni dell'occupazione e contemporanei incrementi del tasso di disoccupazione e conseguente contrazione dei redditi da lavoro delle famiglie. Tali dinamiche si riflettono in un'ulteriore contrazione della domanda interna che va ad aggravare la tendenza recessiva;
la disoccupazione preoccupa come non mai: nel 2008 i disoccupati al Sud sono aumentati del 9,8 per cento. Crescono in particolare, sempre secondo il rapporto Svimez del 2009, i disoccupati di lunga durata che sono il 6,4 per cento del totale, mentre erano il 5,9 per cento nel 2007 e cresce la 'zona grigia' della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e lavoratori potenziali: 95 mila persone in più dell'anno precedente. Dal 2004 al 2008 i cosiddetti disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424 mila unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe a oltre il 22 per cento. Secondo dati Istat l'occupazione nel Mezzogiorno nel terzo trimestre 2009 è diminuita dell'0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2009 (dato destagionalizzato);
all'Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24 anni lavora, contro il 30 per cento del Centro-Nord. Nella stessa classe di età la disoccupazione è invece del 14,5 per cento al Centro-Nord mentre al Sud arriva al triste primato del 33,6 per cento;
nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari, in valori assoluti, a 1 milione 300 mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8 per cento nell'industria e del 19 per cento nelle costruzioni. A livello territoriale la regione più «nera» è la Calabria, con il 26 per cento di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50 per cento in agricoltura e al 40 per cento nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3 per cento), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8 per cento), Sardegna (19,5 per cento) e Puglia (17,4 per cento). Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329 mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4 per cento (79 mila unità);
caso unico in Europa, l'Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione;
tra il 1997 e il 2008 circa 700 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l'87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia è più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12 mila e duecento e 11 mila e seicento unità in meno;
nel 2008 sono stati 173 mila gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3 per cento). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l'80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo;
la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l'aggravarsi del quadro economico 20 mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne;
in vistosa crescita le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani che restano al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16 per cento più di 1500 euro;
molte importanti aziende del Mezzogiorno sono a rischio di chiusura, tra le altre, il calzaturificio Adelchi di Tricase in Puglia, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat da cui dipende l'economia di una vasta area della Sicilia e quello di Pomigliano d'Arco della stessa Fiat in relazione al quale va segnalata la drammatica situazione in cui versano i lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione ed altri con il contratto di lavoro di prossima scadenza;
l'eventuale chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in particolare, avrebbe pesanti e gravissime ricadute sull'occupazione, non solo nell'ambito del comprensorio cittadino ma anche in tutto il territorio delle Madonie. L'incertezza delle notizie circa la sorte dello stabilimento sta provocando gravi preoccupazioni in tutto il tessuto sociale e grande apprensione nelle famiglie, dal momento che non è dato conoscere soluzioni che in prospettiva garantiscano il futuro dei lavoratori;
le difficoltà in cui versa l'agricoltura nel Mezzogiorno, sono ben note e si potrebbero sintetizzare nel dato, da cui si rileva che si è arrivati, addirittura, a registrare aumenti nella produzione con una, obiettiva, riduzione dei ricavi. Ciò, prevalentemente, a causa della scarsa competitività dovuta alla carenza di infrastrutture, agli alti costi energetici, all'alto costo del denaro. Urgono, dunque, politiche, a sostegno dell'agricoltura di livello nazionale ad integrazione di quelle comunitarie che, si prevede, diminuiranno costantemente entro il 2013;
l'agricoltura e l'agroalimentare legate al territorio possono essere una delle carte vincenti per un vero sviluppo del Mezzogiorno;
la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c'è una tendenza all'incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento, una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture;
dall'analisi Svimez pubblicata su il Sole 24 Ore Sud del 28 ottobre 2009, sul monitoraggio degli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010, emerge la fotografia di un Sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà;
confrontando l'andamento dei dati 2001-2005, le ultime rilevazioni dei principali indicatori (situazione economica generale, occupazione, innovazione, riforma economica, coesione sociale, sostenibilità ambientale) e i target programmati, spicca in generale un gap impossibile da recuperare entro la scadenza prevista. Per molti indicatori addirittura si profila un ulteriore allontanamento dall'obiettivo;
in particolare, rispetto alla situazione economica generale, fatto pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il Sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006;
situazione peggiore per l'occupazione: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Ma il Sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento, nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo le stime dello Svimez, per raggiungere, come da obiettivo, il tasso di occupazione del 70 per cento, servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro. Al contrario, dal 2001, se ne sono persi 74mila. Problema specifico del Mezzogiorno, che va guardato come un tutt'uno con la difficile situazione dell'occupazione, resta la povertà, che riguarda una quota superiore di tre volte e mezza quella indicata dall'obiettivo di Lisbona, con il caso limite della Sicilia che raggiunge il 42 per cento;
quello che appare dai dati e dalle statistiche sul mezzogiorno è che le cause principali dell'andamento recessivo sono il rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Gli investimenti industriali sono scesi del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6 per cento), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d'imposta, legge 488), che fa il pari con la riduzione al Sud della spesa delle famiglie dell' 1,4 per cento contro il calo dello 0,9 per cento del Centro-Nord;
le differenze tra lo sviluppo del Mezzogiorno e quello del resto del paese non si sono ridotte nel corso dell'ultimo decennio. La quota di prodotto interno lordo del Mezzogiorno rispetto all'intero Paese è scesa dal 24,2 per cento nel 2002 al 23,6 nel 2007. Dal 2007 la crescita del prodotto meridionale è stata più debole di quella del Centro Nord ed il divario è ulteriormente aumentato;
il Mezzogiorno può invece rappresentare la grande opportunità italiana, per ragioni diverse: quelle, in primo luogo, legate alla sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata; al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia. Il Meridione è l'area in cui il potenziale di crescita è maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio in quei settori, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
è anche sulla proiezione internazionale del Mezzogiorno che occorre lavorare, sul rafforzamento dei legami con il Mediterraneo. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo, il Mezzogiorno è, nella sostanza, dimenticato dall'azione di Governo. Ma sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo agisca sul contesto;
lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità, quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti; le poche risorse disponibili destinate ad opere che, ai firmatari del presente atto d'indirizzo appaiono non prioritarie, come il ponte sullo Stretto di Messina. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
sono stati disposti finanziamenti pubblici per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina dirottando risorse da altre opere più utili per lo sviluppo del Mezzogiorno e concedendo al general contractor, ovvero alla società Impregilo, non solo la possibilità di firmare un contratto senza un progetto esecutivo (progetto per la realizzazione del quale occorrono circa 36 mesi), ma anche di riaprire la questione delle penali, a suo tempo congelata senza costi per la collettività dal Governo Prodi. Dietro la vicenda di un ponte che probabilmente non verrà mai costruito si attua, secondo i firmatari del presente atto d'indirizzo, un vero e proprio spreco di denaro pubblico: lo stesso progetto dello «stralcio binario» della variante Cannitello della linea ferroviaria del nodo di Villa San Giovanni manca della procedura di valutazione d'impatto ambientale come tutte le opere connesse al ponte. Quindi, non solo il ponte è lontanissimo ma anche l'avvio dei «precantieri» non è possibile a breve;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve dunque promuovere la qualità delle risorse umane attraverso una offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali,
a predisporre misure per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa regionale per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo, e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio nazionale, ed in particolare nel Mezzogiorno;
ad assumere, in particolare per quanto concerne gli stabilimenti della Fiat di Pomigliano d'Arco e di Termini Imerese, iniziative a tutela dei livelli occupazionali al fine di salvaguardare migliaia di posti di lavoro e realtà economiche importanti la cui scomparsa, in un momento di grave crisi quale quello in corso, avrebbe pesanti ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei nostri prodotti di qualità.
(1-00304)
«Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Aniello Formisano, Paladini, Messina, Scilipoti, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».
(11 gennaio 2010)
premesso che:
il Governo ha dovuto affrontare le ripercussioni di una gravissima crisi internazionale che ha inevitabilmente prodotto delle conseguenze molto serie sul terreno dell'occupazione, che avrebbero potuto essere ben più gravi se l'Esecutivo non avesse accompagnato i processi con provvedimenti di volta in volta adeguati, pur in un quadro di complessa attenzione alla stabilità dei conti pubblici, a fronteggiare l'emergenza: si è trattato di interventi volti non solo a rilanciare la struttura produttiva e dei servizi, ma anche a sostenere i livelli occupazionali, mediante l'estensione dello strumento degli ammortizzatori sociali a beneficio dei lavoratori sospesi dal lavoro a causa delle improvvise ed acute difficoltà di mercato, in cui sono incorse nei mesi scorsi numerose imprese;
anche grazie all'accordo con le regioni, è stato possibile stanziare un ingente ammontare di risorse (8 miliardi in un biennio) per ampliare la cassa integrazione in deroga ed estenderne l'intervento anche nei settori del lavoro dipendente, fino a quel momento sprovvisti;
nell'ambito di tali misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori, vanno segnalati taluni interventi di carattere particolarmente innovativo in materia di riqualificazione dei lavoratori, volti a sostenere progetti di autoimprenditorialità, il cui finanziamento è in parte sostenuto dalla possibilità di capitalizzare le risorse derivanti dagli ammortizzatori sociali riconosciuti ai singoli cassintegrati o disoccupati interessati ad intraprendere un lavoro autonomo;
i dati diffusi dall'Istat in data 17 dicembre 2009 a seguito della rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall'istituto nel terzo trimestre 2009, mostrano una prosecuzione della riduzione delle forze di lavoro anche in tale trimestre: al Nord si è registrata una riduzione marcata dell'occupazione (-274.000 unità rispetto ad un anno prima) e di una crescita della disoccupazione (+218.000 unità), al Sud il tasso di disoccupazione registra una crescita maggiore rispetto alla riduzione del tasso di occupazione (7,3 per cento in termini grezzi e 7,8 in termini destagionalizzati) con una forbice tra le due aree territoriali sempre ampia ma in riduzione (il tasso del Nord passa dal 3,4 per cento al 5,1 per cento, quello del Mezzogiorno dall'11,1 per cento all'11,7 per cento);
i dati sull'occupazione evidenziano quindi le criticità in cui si è trovato ad operare il sistema Paese nel suo complesso e rilevano la condizione economica e sociale svantaggiata che il Governo sta affrontando, anche tenendo conto delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari;
i dati del rapporto elaborato dall'Isfol sull'occupazione relativamente al 2009 indicano che rispetto alla media europea l'occupazione in Italia è diminuita ma in misura inferiore ad altri Paesi - nel secondo trimestre 2009 si registra una contrazione dello 0,9 per cento, contro una media in Europa dell'1,9 per cento - e che la crescita del numero di disoccupati e la contrazione dell'orario medio di lavoro appare in Italia più contenuta rispetto all'incremento registrato in molti Paesi comunitari: ciò è imputabile alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coinvolgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela; tuttavia, si evidenzia che la crisi acutizza i divari territoriali: il tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto in modo più accentuato che nel Centro-Nord: è calato del 2 per cento, passando dal 47 per cento del secondo trimestre 2008 al 45 per cento del secondo trimestre 2009; mentre non supera il punto percentuale nel resto del Paese;
tra la forza lavoro del Mezzogiorno un individuo su due è inattivo, contro il 33 per cento del Centro e valori intorno al 30 per cento nel Nord: nessun Paese europeo ha al suo interno divari territoriali cosi ampi come il nostro;
nel Mezzogiorno, inoltre, risulta più diffuso il lavoro atipico, mentre è meno utilizzato lo strumento dell'apprendistato, si fa meno formazione continua e si riscontrano maggiori difficoltà nell'ambito dell'istruzione tecnica e professionale, cioè in quel segmento educativo particolarmente volto a favorire processi più rapidi di ingresso nel mercato del lavoro;
la crisi economica e finanziaria su scala internazionale ha colpito quindi anche il Mezzogiorno che presenta problemi strutturali ancora irrisolti e una realtà produttiva dalla configurazione assai diversa dal Nord del Paese: in tale ambito, pertanto, la cassa integrazione non può essere l'unica modalità attraverso la quale leggere l'impatto della crisi attraversata dal sistema produttivo nazionale, dal momento che il Mezzogiorno è caratterizzato da una forte presenza di lavoro precario, sommerso e da una disoccupazione rilevante, soprattutto per quanto concerne l'occupazione femminile;
occorre considerare, dunque, le peculiarità delle diverse aree del Paese per fornire risposte flessibili ed adattabili a modelli e caratteristiche assolutamente particolari da territorio a territorio;
l'economia del Mezzogiorno ad esempio, attraverso la concatenazione fra problemi irrisolti e minacce derivanti dalla globalizzazione, è ancora fragile con gravi problemi strutturali, non attraendo investimenti ed esportando in maniera largamente insufficiente;
nell'attuale situazione di crisi economica è pertanto assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato, proseguire nel processo già positivamente intrapreso con una serie di strumenti diversi ma convergenti verso l'unico obiettivo di favorire l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese;
si impone quindi la realizzazione di un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
appare urgente dare attuazione a un vero e proprio piano per favorire l'occupazione, che preveda, anche attraverso un coordinamento dei soggetti pubblici e privati competenti in materia, la promozione di tirocini formativi e il miglioramento del funzionamento dei servizi per l'impiego;
la valorizzazione di strumenti di integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro - come il contratto di apprendistato e i voucher per le attività di assistenza e formazione - unitamente all'implementazione del livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, potrebbe rendere più trasparente il mercato del lavoro, attraverso l'incentivazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, consentendo di svolgere un effettivo contrasto al lavoro sommerso;
il disegno di riforma in senso federale dello Stato avviato dal Parlamento nella XVI legislatura appare in tal senso significativo in vista di una valorizzazione delle autonomie locali;
Stato, regioni e parti sociali sono chiamati a condividere le fondamentali linee guida per orientare la spesa dedicata alla formazione degli inoccupati, dei disoccupati e dei cassaintegrati nel prossimo anno, in relazione ai caratteri discontinui e selettivi della ripresa che indurranno l'allungamento del periodo di inattività o transizione verso altra occupazione di molti lavoratori. La formazione deve quindi risultare quanto più tarata sui fabbisogni professionali dei settori e delle imprese e sulle concrete esigenze delle persone interessate in funzione della loro occupabilità,
a dare attuazione, anche al fine di attenuare il divario tra le diverse zone del Paese, al Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro (Italia 2020), facilitando la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciando l'istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensando il ruolo della formazione universitaria e aprendo i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a salvaguardare la corretta applicazione delle norme della cosiddetta legge Biagi, che prevedono, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei casi in cui sia riconosciuta l'irregolarità del rapporto di collaborazione, favorendo lo sviluppo e l'ampliamento dei centri preposti alla certificazione, in prospettiva di una sostanziale azione di contrasto nei confronti del lavoro sommerso, particolarmente diffuso nelle zone del Sud del Paese, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, e proseguendo nell'opera di adeguamento degli organici delle amministrazioni pubbliche alle effettive esigenze, senza appesantimenti non funzionali di strutture e orpelli burocratici, frutto di prassi deleterie dell'immediato passato fondate sulla diffusione del precariato nelle pubbliche amministrazioni, anche locali, e sulla conseguente stabilizzazione di personale non sempre corrispondente alle effettive necessità istituzionali delle amministrazioni e in violazione di principi costituzionali;
a procedere, in un'ottica di strategia federalista, nella valorizzazione del ruolo delle autonomie regionali per l'attuazione delle politiche attive di lavoro e di sostegno al reddito, per meglio rispondere, anche utilizzando di comune intesa le risorse regionali, alle differenti esigenze territoriali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
a dare piena attuazione alle misure volte a favorire iniziative autonome imprenditoriali dei giovani meridionali attraverso il meccanismo del finanziamento della microimpresa, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a proseguire l'azione di contrasto al lavoro nero, la cui presenza in alcune zone del Mezzogiorno, è particolarmente rilevante, anche attraverso l'adozione di misure che puntino più alla prevenzione e alla sensibilizzazione che alla repressione, dando priorità alla semplificazione degli adempimenti fiscali e burocratici a carico delle imprese;
a promuovere, anche alla luce delle situazioni emerse nelle regioni meridionali, una migliore corrispondenza degli interventi di formazione professionale alle esigenze del sistema produttivo valorizzando il ruolo delle imprese e sviluppando sinergie con il sistema dell'istruzione, adottando una nuova strategia che sottolinei la valenza formativa del lavoro, la centralità dell'impresa come luogo di formazione e l'importanza della certificazione delle conoscenze e delle competenze possedute, comunque acquisite dal lavoratore;
ad assicurare in tutte le regioni del Paese e tra queste a quelle del Mezzogiorno un'informazione esauriente e tempestiva sull'offerta e sulla domanda di lavoro insieme al monitoraggio degli interventi in vista dell'allestimento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, anche avviando quanto prima l'applicazione del «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» (Italia 2020), un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro.
(1-00305)
(Nuova formulazione) «Moffa, Cazzola, Baldelli, Antonino Foti, Briguglio, Ceccacci Rubino, Di Biagio, Vincenzo Antonio Fontana, Formichella, Giacomoni, Giammanco, Mannucci, Minardo, Mottola, Pelino, Mariarosaria Rossi, Saltamartini, Scandroglio, Taglialatela, Cosenza».
(11 gennaio 2010)
premesso che:
la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, mettendo a grave rischio per il 2010 l'occupazione;
la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione in particolare per il sud ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi, dell'impresa. Ultimamente una serie di rapporti hanno concentrato l'attenzione sul Mezzogiorno: il rapporto Svimez, quello del Centro studi di Confindustria, quello del Governatore della Banca d'Italia in occasione della giornata di studio dedicata dalla Banca d'Italia alla questione meridionale e alle organizzazioni sindacali;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto (rispetto alle urgenze il piano del sud annunciato dal Governo è in grande ritardo). Ciò crea un vuoto d'iniziativa grave di fronte a una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale con effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità; sarebbe quindi urgente un rilancio degli investimenti produttivi - specie nei settori ad alto contenuto innovativo - e delle loro modalità attuative;
recenti studi hanno stimato che le misure di incentivazione determinerebbero investimenti addizionali non superiori al 6 per cento del valore degli incentivi;
gli interventi prioritari in termini di infrastrutture moderne, qualità dei servizi, efficentizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza ambientale, lotta alla criminalità organizzata, valorizzazione del capitale umano, processi di innovazione per avere efficacia devono necessariamente coesistere e accompagnarsi con strumenti di sostegno che migliorino le capacità innovative e competitive delle piccole e medie imprese meridionali: il fisco (crediti d'imposta, forme di fiscalità differenziata), la ricerca, l'internazionalizzazione e il risparmio energetico;
occorre considerare che allo stato attuale non esistono strumenti che possano promuovere e sostenere nuovi investimenti produttivi nel Mezzogiorno. L'esaurimento della legge n. 488 del 1992, l'assegnazione della disponibilità finanziaria del credito d'imposta per gli investimenti, il superamento dei contratti di programma, hanno fatto venire meno i riferimenti di accompagnamento delle iniziative delle imprese che intendono investire nel territorio meridionale; è quindi urgente intervenire per dare certezze agli operatori;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo c'è l'esigenza di adottare provvedimenti per rilanciare l'economia e uscire dall'attendismo che sta rendendo sempre più dura la vita a chi nel sud si batte per cambiare le cose;
l'intervento si mostra sempre più necessario e urgente se si tiene presente che per circa il 75 per cento delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno la crisi ha inciso o sta incidendo in misura significativa sulla propria attività. Da una ricerca effettuata a fine novembre 2009 da Confcommercio in collaborazione con Format - Ricerche di mercato, risulta che soltanto il 13,6 per cento di piccole e medie imprese del Meridione ha effettuato investimenti nel 2009, mentre il 41,6 per cento delle imprese ha intenzione di investire nel 2010. Il 37,9 per cento delle imprese ha difficoltà ad effettuare investimenti per i prossimi due anni a causa della mancanza di risorse. Quasi un terzo delle imprese segnala una diminuzione del livello di occupazione nel secondo semestre del 2009 e il 12,9 per cento delle piccole e medie imprese prevede un taglio di personale nel primo semestre del 2010;
il problema occupazionale in generale e nello specifico nel Mezzogiorno si fa più evidente proprio nei primi giorni del 2010 perché le previsioni positive di fine anno hanno ceduto il passo ai dati non incoraggianti delle recenti statistiche sul territorio;
non è un caso che il diritto al lavoro, ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione, (l'articolo 1, comma 1, afferma che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e, nella parte dedicata ai principi fondamentali, l'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», mentre gli articoli 35-40 disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l'integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità) è uno dei diritti maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle varie convenzioni e dichiarazioni universali che garantiscono i diritti umani, dal momento che rappresenta per l'individuo una necessità vitale, da cui egli trae la possibilità del proprio sostentamento e di quello della propria famiglia;
le ultime rilevazioni dell'Istat mostrano che in Italia, il numero di occupati a novembre 2009 è pari a 22 milioni 876 mila unità (dati destagionalizzati), in diminuzione rispetto a ottobre dello 0,2 per cento (pari a -44 mila unità) e inferiore dell'1,7 per cento, 389 mila unità in meno, rispetto a novembre 2008. È quanto rileva l'Istat, che segnala come il tasso di disoccupazione, sempre a novembre 2009, raggiunge l'8,3 per cento (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,3 punti percentuali rispetto a novembre 2008): è il dato più alto dal 2004;
nel Meridione aumentano mediamente l'inattività femminile e gli abbandoni scolastici e permane l'intrappolamento dei giovani sotto 25 anni in percorsi formativi che portano inevitabilmente all'inoccupazione o al trasferimento in aree del centro-nord e all'estero che offrono occasioni di lavoro. Nel grande dramma dell'assenza di lavoro c'è una sofferenza specifica che riguarda i giovani e che nel nostro Paese rappresenta una duplice variabile di differenziazione: esterna nei confronti dell'Europa, interna nel confronto nord-sud, e il divario tende ad allargarsi sempre più. A fronte del calo dell'occupazione al sud anche il tasso di disoccupazione diminuisce, indice della tendenza di un sempre maggior numero di persone, soprattutto senza esperienza, che smette di cercare un lavoro. Non è da sottovalutare che detta misura sia distorta anche dai crescenti dati sul lavoro nero;
se la crisi ha investito principalmente l'apparato produttivo, al sud le conseguenze si sono riverberate soprattutto sul tessuto sociale aggravando problemi già esistenti, aumentando la disoccupazione, il lavoro nero e sommerso, il precariato, l'emigrazione giovanile e il disagio sociale;
nel corso dell'ultimo anno si è passati dall'emergenza dello stipendio che finisce alla terza settimana del mese allo spettro del reddito zero, da affrontare ormai con scarsi paracadute da aprire. La propensione al risparmio diminuisce e con essa la capacità delle famiglie a mantenere gli attuali standard di vita con quanto messo da parte;
i dati elencati esprimono come le debolezze dell'economia italiana si manifestano soprattutto nel sud dove, nel suo complesso, la partecipazione al mercato del lavoro è in grave ritardo rispetto alle altre economie avanzate. Tuttavia nel Mezzogiorno - in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia, come evidenziato anche dal rapporto del Governatore di Bankitalia Mario Draghi - sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo;
purtroppo a distanza di dieci anni i problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti e causati sia dalle politiche pubbliche specificatamente dedicate allo sviluppo del sud sia da quelle nazionali con effetti differenziati sul territorio;
resta all'ordine del giorno una domanda: per quale motivo un intervento pubblico consistente, che non ha uguali in altri Paesi, non è riuscito a innescare uno sviluppo autonomo. Negli scorsi decenni i trasferimenti netti di risorse al Sud hanno oscillato tra il 20 per cento e il 15 per cento del prodotto interno lordo annuo del Mezzogiorno. Eppure, dai primi anni '70 il divario in termini di reddito pro capite è rimasto pressoché invariato (nel Mezzogiorno il reddito pro capite oscilla intorno al 60 per cento del centro-nord). Lo Stato non spende del sud più che nel centro-nord in rapporto agli abitanti (anzi spende un po' meno), ma la spesa pubblica incide molto di più sul prodotto interno lordo (oltre 20 punti percentuali). Tutto questo implica che l'economia e la società meridionali sono molto più dipendenti - direttamente e indirettamente - dal pubblico e che lo spazio per le attività di mercato aperte alla concorrenza resta molto ridotto (gli addetti a tali attività in rapporto alla popolazione con più di 15 anni sono circa il 7 per cento contro il 23 per cento del centro-nord);
bisogna riconoscere che l'intervento pubblico da soluzione si è trasformato in problema e ha generato effetti perversi. Naturalmente, un'immagine tutta negativa del Mezzogiorno sarebbe sbagliata: ci sono segni anche innovativi nell'economia e nella società, alcune imprese e alcune aree sono cresciute, ma nel complesso il salto non c'è stato, un solido sviluppo autonomo non si è ancora affermato. L'espansione del settore pubblico ha finito per ostacolare la crescita delle attività di mercato più aperte alla concorrenza (in particolare l'industria manifatturiera e i servizi alle imprese) per tre motivi principali. Anzitutto, perché ha attratto verso il pubblico e para-pubblico (sanità, formazione) manodopera e energie imprenditoriali. In secondo luogo, perché ha privilegiato i trasferimenti rispetto agli investimenti pubblici e quindi ha comportato una carenza di infrastrutture e servizi che ostacola la crescita delle attività di mercato. Infine, perché la permeabilità della politica alle infiltrazioni criminali ha costituito un potente volano per la crescita della criminalità organizzata, che in alcune aree condiziona a sua volta lo sviluppo;
una recente analisi Svimez condotta monitorando gli indicatori europei regione per regione, denuncia un sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà, fornendo una fotografia del Mezzogiorno ancora lontano dagli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010;
nello specifico, i dati Svimez evidenziano come rispetto alla situazione economica generale, considerato pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006, le aree deboli in Europa sono cresciute del 3 per cento annuo mentre il Mezzogiorno dello 0,3 per cento. Una situazione peggiore caratterizza il sistema occupazionale: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Il sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo dette stime, per raggiungere, come da obiettivo Lisbona 2010, il tasso di occupazione del 70 per cento servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro, ma dal 2001, c'è stata una contrazione di 74mila;
il problema del sommerso nelle regioni meridionali continua ad essere un problema primario che contribuisce, tra l'altro a penalizzare gli esercenti di piccole-medie imprese che applicano correttamente la normativa e si trovano sul mercato ad essere meno competitivi di altri a causa degli effetti distorsivi della concorrenza;
i dati suesposti manifestano come, senza una svolta politica radicale basata su una nuova strategia in grado di misurarsi efficacemente con i nodi politico-istituzionali e con quelli economici che gravano sullo sviluppo, il sud vedrà una feroce accentuazione delle disuguaglianze, l'estensione della precarietà e della disoccupazione, soprattutto per le donne e i giovani, che si ripercuoterà su un sistema produttivo ancora più debole,
a sostenere un consistente e coordinato intervento Stato-regioni per la realizzazione di grandi infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, con la funzione di rilancio dell'occupazione, facendo si che uno specifico e fondamentale ruolo sia assunto dalle Ferrovie dello Stato. nell'ammodernamento/potenziamento della rete ferroviaria;
a operare sulla semplificazione delle procedure burocratiche, in particolar modo per le imprese del Mezzogiorno, per la realizzazione di moderne infrastrutture, la valorizzazione delle risorse locali - da quella umana ai valori della cultura, dell'arte, del paesaggio e dell'ambiente, dell'agroalimentare - e puntare a una migliore qualità dei prodotti e dei servizi rispondendo a una domanda di mercato che sempre più punta sulla qualità;
a valorizzare processi di infrastrutturazione sociale che stimolino - in particolare nel Mezzogiorno - il protagonismo dei soggetti locali, forme di cooperazione tra soggetti privati e pubblici, la mutualità, il microcredito, prestiti d'onore ai giovani, la realizzazione di imprese no profit, di cooperative di produzione e lavoro, l'espansione delle forme di economia civile, anche sostenendo la realizzazione di fondazioni di comunità o istituendo fondi di distretto;
a prevedere finanziamenti rivolti al sostegno dei budget famigliari e delle piccole imprese, che sono il vero motore delle nostre economie, in particolare nelle aree del Mezzogiorno;
a produrre un riordino degli incentivi alle imprese (cosiddetta legge sviluppo n. 99 del 2009 e piano per il sud) puntando sull'innovazione centrata su produzioni con maggior contenuto di conoscenza, riordino da attuare in un confronto con le rappresentanze sociali ed istituzionali e facendo in modo che esso sia assunto come momento per un'attenta ricognizione delle risorse effettivamente disponibili e per un loro rifinanziamento;
a garantire una reale integrazione nel mercato del lavoro, sostenendo le persone svantaggiate con risorse sufficienti e servizi sociali e occupazionali che siano personalizzati e indirizzati soprattutto al Meridione d'Italia, in modo da assicurare una più completa partecipazione sociale e la possibilità di svolgere un'attività lavorativa per le frange di popolazione che maggiormente soffrono la crisi economica;
a incrementare le risorse umane e finanziare a sostegno della lotta alla criminalità organizzata, che, specie ne Mezzogiorno, va considerata fattore di condizionamento e depressivo dello sviluppo, e ciò non solo attraverso le forze dell'ordine ma intensificando l'attività di intelligence e di contrasto;
a promuovere interventi urgenti di contrasto al lavoro nero attraverso controlli stratificati sul territorio e, nello specifico, nelle aree meridionali;
a predisporre un piano che sostenga la permanenza nel mercato del lavoro dei giovani e promuova azioni di contrasto al lavoro precario, irregolare, marginale, particolarmente presente nel Mezzogiorno, garantendo che il precariato non si trasformi in un assetto di lavoro permanente soprattutto per i lavoratori giovani o per chi ha famiglia a carico;
a varare piani di investimenti per le piccole imprese e le cooperative, con particolare attenzione alle realtà produttive meridionali, che, promuovendo lo sviluppo economico specifico delle aree ove sono ubicate, mettono a profitto le produzioni locali;
a prevedere che nelle aree del sud i contributi pagati dalle aziende per i lavoratori siano adeguati attraverso un coefficiente riduttivo proporzionale al numero di addetti tale così da incentivare le assunzioni nelle aree più bisognose;
ad attuare piani di sviluppo per le regioni del sud che tengano conto di pari opportunità nella produzione del reddito attraverso una libera iniziativa controllata da premi sui risultati di sviluppo in un'ottica di sana concorrenza;
a promuovere, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno, processi di cooperazione e d'integrazione che tengano conto soprattutto dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, dei giovani, dei precari, di quanti sono costretti a rinunciare alla formazione e al lavoro, vale a dire di tutti coloro sulle cui spalle grava il peso della crisi;
a definire un piano nazionale di contrasto alla povertà che presti una particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
(1-00307)
«Pezzotta, Delfino, Poli, Occhiuto, Tassone, Compagnon, Ruvolo, Cera, Nunzio Francesco Testa, Pisacane, Ruggeri, Zinzi, Romano, Mannino, Naro, Drago».
premesso che:
la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha interessato inevitabilmente anche il tessuto produttivo italiano, ha determinato gravi conseguenze sul piano occupazionale a causa della contrazione delle attività in tutti i comparti e le aree geografiche del Paese, cui sono seguiti peraltro cospicui tagli di personale non solo da parte di piccole imprese, ma anche nell'ambito di realtà produttive di medie e grandi dimensioni;
tale situazione, pur riguardando l'intero territorio nazionale, desta ancora più preoccupazione nel Mezzogiorno ed, in particolare, in Campania, dove la contemporanea crisi di numerose aziende locali - quali, a solo titolo esemplificativo, la Melpem srl del gruppo IPM di Arzano, la Peroni di Miano a Napoli, la ICMI di San Giovanni a Teduccio, la Cablauto di Mariglianella, la Bitron di Morra de Santis la Scai Sud di Oliveto Citra, i pastifici Russo di Cicciano e di Pomigliano d'Arco - produce effetti devastanti sul piano sociale e occupazionale;
uno dei segnali più allarmanti dell'emergenza in atto giunge dallo stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, da anni polo cruciale per l'industria campana e nazionale, dove molti dipendenti sono in cassa integrazione guadagni ed altri hanno un contratto di lavoro in scadenza;
in particolare, per 37 lavoratori del citato stabilimento il contratto è scaduto il 31 dicembre 2009, mentre per altri 55 il contratto scadrà il 31 marzo del 2010. Da ben 4 anni questi lavoratori si vedono rinnovare contratti a termine. Nel protocollo sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 18 giugno 2009, la Fiat si impegnava a garantire una «piattaforma» in grado di saturare tutti gli organici e di evitare ulteriori esuberi. Secondo quanto è stato comunicato agli interessati, l'azienda non è intenzionata a rinnovare i contratti in scadenza: tale decisione, che provoca pesanti conseguenze sui lavoratori interessati, richiede ogni attenzione anche per il rischio che essa possa inserirsi in un disegno di ridimensionamento strutturale degli organici e di complessivo depotenziamento dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, in linea con quanto sta accadendo, anche lì con gravi conseguenze sociali, a Termini Imerese,
ad assumere, per quanto di competenza, ogni utile iniziativa - anche attraverso un utilizzo oculato degli strumenti di incentivazione per il settore, ivi compresi quelli di natura fiscale - al fine di favorire una positiva soluzione della vertenza concernente il personale dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, nel rispetto dei diritti acquisiti dai lavoratori e nella prospettiva di un rilancio delle attività produttive.
(1-00308)
«Barbato, Mazzocchi, Mazzarella, Misiti, Cesario, Polidori, Nicolais, Aniello Formisano, Ciriello, Pugliese, Razzi, Leoluca Orlando, Scilipoti, Palagiano».
(11 gennaio 2010)