Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Focus settimanale - La crisi politica in Libia e negli altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente - Aggiornamento all'11 aprile 2011 - Documenti ufficiali, interpretazioni ed analisi
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 208    Progressivo: 4
Data: 11/04/2011
Descrittori:
LIBIA   MEDIO ORIENTE
NORD AFRICA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Focus settimanale
La crisi politica in Libia e negli altri paesi del Nord Africa
e del Medio Oriente

 

Aggiornamento all’11 aprile 2011
Documenti ufficiali, interpretazioni ed analisi

 

 

 

 

 

 

n. 208/4

 

 

 

11 aprile 2011

 


Servizio responsabile:

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

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File: es0709d.doc


INDICE

Schede di lettura

Gli sviluppi della crisi libica  (5 – 11 aprile)3

Gli altri contesti di crisi in Medio Oriente e Nord Africa  6

Comunicati ufficiali

§         NATO, Comunicato su operazioni in Libia, 10 aprile 2011  13

§         Comunicato ufficiale dell’Alleanza atlantica sulle operazioni in Libia, 10 aprile 2011  14

§         Unione Africana, Incontro del Comitato ad hoc sulla Libia con il Leader della rivoluzione Gheddafi, 10 aprile 2011  15

Libia

§         Center for Security Studies, ETH Zurich, Impartial and Stuck: NATO’s Predicament in Libya, in: CSS Analysis in Security Policy n. 91, aprile 2011  21

§         L. Nannetti, Libia: la guerra civile e l’operazione Odyssey Dawn, in: Equilibri, 1 aprile 2011  21

Altri contesti di crisi

§         E. Dacrema, Voices from the Syrian struggle, in: www.equilibri.net/nuovo, 4 aprile 2011  25

§         International Crisis Group, Popular Protests in North Africa and the Middle East: The Bahrain Revolt, Middle East/North Africa Report n. 105, 6 aprile 2011  25

§         D. Cristiani e R. Fabiani, Al Qaeda in the Islamic Maghreb (AQIM): Implications for Algeria’s Regional and International Relations, in: IAI Working Papers n. 11, 7 aprile 2011  25

“Primavera araba” e nuovi mezzi di comunicazione

§         Institut de Relations Internationales et Strategiques, Facebook, Twitter, Al-Jazeera et le Printemps arabe, Observatoire géostratégique de l’information, 4 aprile 2011  29

§         A. Ishkanian, Liberation Technology: Dreams, Politics, History, in: www.isn.ethz.ch, 6 aprile 2011  29

Profili generali

§         M. Fiore, How Israel Can Turn the Unrest in the Middle East into an Opportunity for Peacemaking, in: IAI Working Papers n. 11, 5 marzo 2011  33

§         N. Tocci e J.P. Cassarino, Rethinking the EU’s Mediterranean Policies Post-1/11, in: IAI Working Papers n. 11, 6 marzo 2011  33

§         B. Nabli, Un regard juridique sur les mutations dans le monde arabe, in: www.affaires-strategiques.info, 31 marzo 2011  33

§         A. Chaouki, L’Occident et le printemps arabe: un choix entre Realpolitik et Démocratie, in: www.affaires-strategiques.info, 31 marzo 2011  33

§         Y. Sun, China’s Acquiescence on UNSCR 1973 – No Big Deal, in: www.isn.ethz.ch, 4 aprile 2011  33

§         O. Daloiso, America Latina: quale posizione di fronte alla crisi libica?, in: www.equilibri.net/nuovo, 4 aprile 2011  33

§         R. Allani, D. Monan, N. Mueller, J. Puscas e L. Watanabe, EU and Maghreb Countries: Counterterrorism Cooperation, in: www.isn.ethz.ch, 6 aprile 2011  33

§         D. I. Aras e A. Bonzanni, Turkey’s New Role in the Geostrategic Landscape of Euro-Muslim, in: www.isn.ethz.ch, 7 aprile 2011  33

§         Y. Bodansky, A Heretic’s Musings, in: www.ispsw.de, 8 aprile 2011  33

Allegato

§         International Institute for Strategic Studies, Forze impegnate nelle operazioni in Libia (cartina)37

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Gli sviluppi della crisi libica
(5 – 11 aprile)

La settimana trascorsa ha visto nella situazione libica un sostanziale stallo sul terreno delle operazioni militari contrapposte delle forze filogovernative e degli insori, i quali hanno mostrato diverse debolezze, accentuate a loro dire da un'attenuazione dell'efficacia dei raid aerei internazionali, ormai sotto comando NATO, ripresi per la verità con maggior vigore alla fine della settimana. È intanto proseguito lo sforzo diplomatico per giungere a una soluzione politica della questione libica, tanto più necessaria quanto più l'intervento internazionale nel conflitto si sta rivelando sinora non decisivo: oltre ad iniziative dello stesso Gheddafi, il 10 aprile sembra essere stata coronata da successo la proposta di tregua avanzata dall’Unione africana con una delegazione recatasi a Tripoli.

Sul piano militare il 5 aprile si è completato il ritiro statunitense dalle operazioni militari dirette, sia quelle aeree che quelle missilistiche: le forze statunitensi sono rimaste sul teatro operativo -senza che questo precluda un loro reimpiego - esclusivamente con compiti di supporto logistico agli altri paesi impegnati nell'operazione militare internazionale. Il ritiro statunitense è stato tra l'altro giustificato alla luce della nuova fase delle operazioni militari la quale, dopo la distruzione di circa un terzo del potenziale militare di Gheddafi, deve necessariamente selezionare con assai maggior cura gli obiettivi, che ormai appaiono occultati, ovvero in prossimità di insediamenti civili. L'attenuazione dei bombardamenti aerei ha visto per converso un revival dell'offensiva militare lealista, che ha posto nuovamente in pericolo la zona dei terminal petroliferi a sud di Bengasi appena conquistata dai ribelli.

D'altro canto, l’Alleanza atlantica ha continuato ad applicare con rigore le disposizioni sull'embargo di armamenti alla Libia, anche nei confronti dei ribelli: una loro imbarcazione, partita da Bengasi con un carico di armi diretto a Misurata, è stata intercettata da incursori turchi operanti nell'ambito dell'Alleanza atlantica e ha dovuto invertire la rotta.

L'inflessibilità dell'Alleanza atlantica nell’applicazione dell’embargo sugli armamenti è stata duramente stigmatizzata da parte degli ambienti dei ribelli, che hanno accusato la NATO, tra l'altro, di lasciar morire lentamente il popolo di Misurata. Alle rivendicazioni degli insorti libici si è unita una ferma presa di posizione del ministro degli esteri francese Alain Juppé.

L’avvio di una soluzione politica della crisi all'interno di un processo di riconciliazione nazionale è vista favorelvomente dalla diplomazia italiana e dalla presidenza dell'Unione africana, i cui vertici si sono incontrati a Roma nella serata del 5 aprile. Il giorno successivo il ministro degli esteri Frattini, incontrando a Washington il segretario di Stato USA Hillary Clinton, ha rimarcato il riconoscimento statunitense del ruolo essenziale dell'Italia per la missione in Libia, ribadendo che i due Paesi lavorano in comune per realizzare l'ipotesi dell'esilio del clan Gheddafi, ormai improponibile come elemento di soluzione politica della questione libica.

Le vicende militari sul terreno libico, con il sostanziale flusso e riflusso del fronte tra i due schieramenti in lotta - che non ha impedito comunque alle forze pro Gheddafi di riconquistare pienamente il controllo della città di Brega (7 aprile), né di estendere i bombardamenti ai campi petroliferi situati nella Libia meridionale - hanno fatto emergere le prime ipotesi di un coinvolgimento in qualche modo della coalizione internazionale nelle operazioni di terra.

Va letto in tal modo l'invito rivolto dal Governo britannico alle nazioni arabe partecipanti alla coalizione di assumersi direttamente il carico di addestrare militarmente gli insorti, eventualmente avvalendosi di agenzie militari private, che possono mettere a disposizione specialisti provenienti dalle forze speciali dei paesi occidentali.

Assai più corposa è l'ipotesi messa in campo con discrezione dall'Alleanza atlantica - frattanto nuovamente accusata dai ribelli per un nuovo episodio che ha visto l'uccisione per errore di sette loro appartenenti nella città di Brega, dopo i tredici morti del 2 aprile - il cui il segretario generale Rasmussen ha avviato un giro di consultazioni degli Alleati in vista di un possibile intervento di forze di terra a protezione della missione umanitaria che la NATO, in consonanza con quella già predisposta dall'Unione europea, intende dispiegare in Libia, anzitutto nella città di Misurata

Come già accennato, la settimana appena conclusa ha visto un rafforzamento del dispositivo aereo sotto comando NATO, che ha permesso di estendere le operazioni dal rispetto della no fly zone e dagli attacchi all'armamento pesante delle truppe lealiste, ai depositi di munizioni e alle linee di rifornimento delle truppe pro Gheddafi. I ribelli hanno constatato con soddisfazione questi sviluppi, che hanno portato tra venerdì e domenica alla distruzione di oltre 40 carri armati lealisti.

Sul piano diplomatico, pur in presenza di una divisione della Comunità internazionale in merito al ruolo del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi - finora riconosciuto solo dalla Francia, dall'Italia e dal Qatar, mentre il programmato incontro a Lussemburgo (12 aprile) tra l'incaricato degli affari esteri del CNT, Mahmud Jibril, ed i Ministri degli affari esteri dell'Unione europea avrà un carattere meramente informale - è venuta in primo piano l'iniziativa dell'Unione africana, una cui delegazione ad alto livello nella giornata del 10 aprile ha incontrato dapprima a Tripoli lo stesso Gheddafi, per poi recarsi anche a Bengasi.

A seguito dell'incontro di Tripoli il presidente sudafricano Jacob Zuma ha annunciato l'accettazione, da parte del leader libico, della road map propostagli a nome dell'Unione africana, che ha come prima tappa un cessate il fuoco generalizzato. Resta però tuttora ignota la risposta che alla delegazione africana è stata fornita dai ribelli a Bengasi, soprattutto sul punto fondamentale per loro della necessità che Gheddafi abbandoni la scena politica del paese.

 

 

 


Gli altri contesti di crisi in Medio Oriente e Nord Africa

Per quanto concerne la situazione in Siria, dopo la delusione suscitata nell’opinione pubblica dal discorso del 30 marzo del presidente Assad, il governo è sembrato muoversi in direzione di concessioni anche importanti a gruppi religiosi o territoriali del paese: in tal senso andrebbe interpretata ad esempio la riammissione all’impiego diretto nelle classi scolastiche delle insegnanti che indossano, in omaggio all’Islam più integralista, il niqab, il velo islamico integrale che lascia scoperti solo gli occhi.

Altra concessione agli ambienti islamici è stata quella di chiudere temporaneamente la casa da gioco – l’unica del paese - inaugurata appena nel dicembre 2010 nei dintorni dell’aeroporto internazionale di Damasco, poiché considerato in contrasto con i precetti islamici. Nei confronti dei curdi che occupano la parte nord-orientale del paese - tra l’altro ricca di risorse energetiche e idriche - vi è stato anzitutto il 6 aprile il rilascio di numerosi prigionieri politici appartenenti alla minoranza: il 7 aprile, poi, nel 64° anniversario della nascita del partito Baath, è stato annunciato che un certo numero di appartenenti alla minoranza curda si vedrà dopo 49 anni concedere la nazionalità siriana, con i connessi diritti civili e politici e il godimento di servizi di base come l’istruzione e la sanità. In tal modo, inoltre, finirà la discriminazione fondamentale nei confronti dei curdi, cui veniva interdetta la proprietà fondiaria, per prevenire una loro possibile strategia di riunione territoriale con le minoranze curde dell’Iraq e della Turchia.

Un altro segnale di apertura del regime è sembrata l’inusitata libertà concessa a uno storico dissidente, l’ottantenne giurista Haytham al Maleh, che ha passato decenni della propria vita in carcere, di esprimere le proprie opinioni in ordine all’abolizione dello stato di emergenza, e ciò proprio sul quotidiano del partito Baath.

Nonostante queste concessioni, il 10 aprile le forze di sicurezza siriane sono tornate ad aprire il fuoco contro una manifestazione nella città costiera di Banias, provocando quattro vittime e diversi feriti.

 

Nello Yemen non si sono registrate sostanziali novità nella grave contrapposizione tra il governo del presidente Saleh e lo schieramento di opposizione - che include ormai anche settori delle forze armate -: l’epicentro degli scontri è stata da ultimo la città di Taiz, una delle più attive contro le autorità yemenite, dove si sono registrate nell’ultima settimana 21 vittime. L’8 aprile l’opposizione a Saleh è tornata a manifestare in modo imponente nella capitale yemenita, radunando centinaia di migliaia di persone: per tutta risposta il presidente in carica, dopo che in un primo tempo era sembrato propenso ad accettare l’offerta di mediazione avanzata dal Consiglio di cooperazione del Golfo, incentrata sull’abbandono del potere in cambio dell’immunità per lui e i suoi familiari; ha lasciato cadere la proposta dell’Organizzazione che riunisce gli Stati arabi del Golfo.

 

In Egitto è tornato al centro dell’attenzione il perseguimento delle malversazioni e della corruzione imputate dal movimento di Piazza Tahrir a Mubarak e al suo entourage, e che i manifestanti più volte hanno dichiarato di temere siano oggetto di manovre di copertura.  In effetti, tuttavia, il 5 aprile l’organismo antifrode appositamente istituito in Egitto ha annunciato la convocazione del figlio di Mubarak, Gamal, che insieme all’ex capo di gabinetto presidenziale è considerato la mente delle malversazioni. In questo ambito sembra che la giustizia egiziana voglia interessarsi anche ai possibili abusi connessi all’ondata di privatizzazioni realizzata nel paese a partire dal 2000.

Allo scopo di dare impulso alle operazioni di “pulizia” rispetto alla corruzione del passato, l’8 aprile si è svolta al Cairo una nuova imponente manifestazione, al termine della quale però, in serata, vi sono stati gravi scontri in cui l’esercito ha aperto il fuoco uccidendo due manifestanti - le forze armate hanno peraltro precisato che l’uso delle armi sarebbe avvenuto solo dopo la conclusione della grande manifestazione, nei confronti di “criminali” che avevano violato il coprifuoco. A seguito dell’episodio i manifestanti hanno rivolto la loro contestazione anche nei confronti del capo del Consiglio supremo delle forze armate, Hussein Tantawi, di cui hanno invocato le dimissioni: tuttavia l’insieme delle forze politiche, inclusi i Fratelli musulmani e il movimento di Piazza Tahrir, hanno anche fatto appello a scongiurare una possibile divisione tra il popolo e le forze armate, considerata un fattore pericolosissimo di indebolimento della rivoluzione.

Il 10 aprile il Procuratore generale ha deciso di convocare l’ex presidente Hosni Mubarak ed i suoi figli Gamal e Alaa, in rapporto alle violenze contro i manifestanti durante la rivoluzione e per malversazione di fondi pubblici e abuso di potere: qualche ora prima l’ex rais  si era detto profondamente amareggiato per le insinuazioni sulla sua correttezza nell’esercizio del lungo potere, smentendo di detenere qualunque attività finanziaria o immobiliare all’estero.

 

Per quanto concerne il fronte dell’immigrazione, il 5 aprile è stato siglato un accordo italo-tunisino in base al quale il paese nordafricano si è impegnato a un rafforzamento dei controlli per evitare nuove partenze, nonché a consentire una rapida riammissione di coloro che dovessero comunque giungere in Italia dopo l’entrata in vigore del previsto decreto per la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi.

Assai meno disponibile si è invece dimostrata la Tunisia a rimpatri collettivi degli oltre 20.000 connazionali già arrivati in territorio italiano, per i quali Tunisi ha tra l’altro sollevato questioni di principio sul rispetto della propria sovranità nazionale. L’intesa tra Italia e Tunisia ha previsto anche la donazione da parte italiana di sei motovedette, quattro pattugliatori ed un centinaio di fuoristrada, per poter efficacemente riprendere il controllo sulla fascia costiera tunisina, praticamente venuto meno dopo la rivoluzione.

Nell’informativa urgente resa alla Camera il 7 aprile scorso, a seguito del naufragio di un barcone, al largo delle coste di Lampedusa, con circa trecento migranti a bordo, verificatosi il giorno precedente, il ministro Maroni ha ricordato che dal 1° gennaio ad oggi sono stati registrati 390 sbarchi in Italia per complessivi 25.867 arrivi, di cui 23.352 sulle isole Pelagie: circa 21 mila i sedicenti tunisini provenienti dall'area sud, nei porti di Djerba e Zarzis.

Dalla Libia, inoltre, sono giunti 10 natanti e 2.300 migranti, quasi tutti somali o eritrei. Stanno, infatti, aumentando anche le partenze di migranti dalle coste libiche. “Ci sono segnali di ripresa – ha detto il Ministro - che ci fanno pensare che possa intensificarsi il flusso di persone provenienti da paesi sub-sahariani, che fuggono da guerre e terribili condizioni umane e possono esser ricomprese nella categoria dei profughi”.

L’8 aprile il ministro Maroni ed il suo omologo transalpino, Claude Guéant, hanno raggiunto un principio di accordo per fronteggiare l'emergenza immigrazione. L'intesa fra Roma e Parigi prevede delle iniziative per bloccare le partenze clandestine dalla Tunisia attraverso pattugliamenti congiunti navali e aerei. I due Paesi hanno concordato anche dei programmi di rimpatrio con il sostegno dell'Ue per i possessori di permesso di soggiorno temporaneo.

Peraltro il fronte dell’immigrazione continua a registrare, in vista dell’incontro dei Ministri competenti dell’Unione europea previsto per l’11 aprile, diverse distonie sul punto dell’interpretazione e dei seguiti da dare al decreto italiano di concessione del permesso di soggiorno temporaneo.

Il Governo italiano ritiene che i permessi di soggiorno temporanei, concessi per decreto ai tunisini, consentano la libera circolazione nei Paesi di area Schengen senza limitazione alcuna. Guéant, invece, ha ribadito le condizioni poste dai francesi, enunciate ieri in una circolare a tutti i prefetti del Paese. "Gli articoli dei trattati - ha osservato, a margine dell'incontro - sanciscono, d'altronde, che i permessi di soggiorno temporanei, che saranno concessi dall'Italia ai tunisini, aprano la possibilità di una libera circolazione nello spazio Schengen, ma questa libera circolazione trova come sua limitazione il rispetto delle condizioni espresse dai trattati". "Condizioni che prevedono - ha aggiunto - in primo luogo, il possesso di documenti di viaggio, come il passaporto e, in secondo luogo, il possesso di risorse sufficienti per assicurarsi il soggiorno e il ritorno al Paese di origine".

Il Governo tedesco ha criticato con forza la decisione italiana di concedere dei permessi temporanei ai migranti tunisini giunti nel nostro Paese tra gennaio e aprile. "E' contraria allo spirito di Schengen", ha dichiarato il portavoce del ministero dell'Interno tedesco, Jens Teschke. "Sicuramente la questione sarà discussa tra i ministri italiano e tedesco" a margine del vertice dei ministri dell'Interno dell'Ue in programma lunedì in Lussemburgo, ha aggiunto il portavoce, precisando che le autorità tedesche rafforzeranno i controlli agli aeroporti e alle frontiere se fosse riscontrato un aumento del numero degli arrivi.

Berlino ha fatto sapere inoltre che prenderà in consegna un centinaio di rifugiati nordafricani giunti negli ultimi giorni a Malta, ma che non intende adottare una simile iniziativa per coloro che si trovano in Italia. "Siamo dell'avviso che l'Italia, al contrario di Malta, non sia stata travolta" dagli arrivi, ha concluso Teschke, secondo il quale "conviene forse sottolineare che negli ultimi anni la Germania ha accolto un numero sei volte più elevato di richiedenti asilo che non l'Italia".

 

 

 

 

 


 

Comunicati ufficiali


NATO strikes hit Gaddafi forces around Adjabiya and Misratah

 

Operation UNIFIED PROTECTOR

April 10 2011

 

 NATO strikes hit Gaddafi forces around Adjabiya and Misratah

 

 

 NATO's Operation Unified Protector continues to dismantle the fighting ability of the Gaddafi Regime throughout the country with particular attention to the two cities that are the most threatened, Ajdabiya and Misratah, where airstrikes near these two cities today have resulted in 25 Regime tanks being destroyed.

 

"The situation in Ajdabiya, and Misratah in particular, is desperate for those Libyans who are being brutally shelled by the Regime. To help protect these civilians we continue to strike these forces hard, with 11 tanks destroyed today as they approached Ajdabiya, and 14 tanks destroyed earlier this morning in the outskirts of Misratah," said Lieutenant-General Charles Bouchard, Commander of Operation Unified Protector.

While NATO's operation is focused on destroying the heavy military equipment that poses the most threat to civilians, air strikes are also hitting ammunition bunkers and lines of communication to cut off these forces from their supplies.

"We are hitting the Regime logistics facilities as well as their heavy weapons because we know Gaddafi is finding it hard to sustain his attacks on civilians”, said the Commander. "One recent strike cratered the road leading to Ajdabiya, west of Brega, where his fuel and ammunition is being moved forward on large trucks. Further west we hit two more storage bunkers where the ammunition is coming from.”

As an example of NATO impartiality, a fighter aircraft (MiG 23) flown by TNC forces was intercepted and forced to land within minutes of taking off from the Benina Airfield near Benghazi yesterday. Under the UN mandated No-Fly-Zone no unauthorized aircraft is permitted to fly in Libyan airspace.

 

NATO Operation UNIFIED PROTECTOR is mandated under the UN Security Council Resolution 1973 to protect civilians from attack using any means necessary.

 

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