Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | L'attività delle Commissioni nella XV legislatura - Commissione Giustizia (Parte seconda) | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 2 | ||||
Data: | 15/05/2008 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Documentazione e ricerche |
L’attività delle Commissioni |
Commissione Giustizia |
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n. 1/2 |
parte seconda |
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Maggio 2008 |
La documentazione di inizio legislatura predisposta dal Servizio Studi e, quanto ad alcune parti, dall’Ufficio per i Rapporti con l’Unione europea, dal Servizio Biblioteca, dal Servizio Bilancio dello Stato, dal Servizio Commissioni e dal Servizio per il Controllo parlamentare, si compone di:
§ un dossier ipertestuale su CD-ROM (Documentazione e ricerche, n. 1), che illustra analiticamente le principali politiche legislative e attività istituzionali svolte dalla Camera dei deputati nel corso della XV legislatura;
§ 14 fascicoli di accompagnamento (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a 1/14 – prima parte) recanti, per ciascuna Commissione, una nota di sintesi sulle aree tematiche di interesse, sull’attività svolta e sugli adempimenti governativi nelle materie di competenza;
§ 14 volumi (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a 1/14 – seconda parte) recanti, per ciascuna Commissione, un estratto del dossier ipertestuale concernente le politiche legislative e l’attività istituzionale nelle materie di competenza.
Dipartimento giustizia
SIWEB
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: GI0001b.doc
INDICE
Politiche legislative e attività istituzionale
§ Disposizioni in tema di magistratura ordinaria
§ Disposizioni in tema di magistratura militare
§ Disposizioni in materia di intercettazioni
§ Iniziative in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale
Interventi sull’esecuzione penale
§ Iniziative in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori
Contrasto al terrorismo internazionale
Criminalità e sicurezza dei cittadini
Sanzioni in attuazione di normativa UE
Iniziative in materia di filiazione
Diritto commerciale e delle società
Riforma delle procedure concorsuali
Occupazione, lavoro e professioni
Interventi in materia di professioni
§ Riforma della disciplina delle professioni intellettuali (A.C. 867 e abb.)
§ Modifiche alla legge 25 novembre 2003, n. 339, in materia di iscrizione all'albo degli avvocati
§ Il decreto legislativo n. 206 del 2007, concernente il riconoscimento delle qualifiche professionali
§ Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (cd. decreto Bersani)
§ Cooperazione giudiziaria civile
§ Cooperazione giudiziaria penale
§ Francia
§ Germania
§ Francia
§ Germania
§ Spagna
Sospensione di norme dell’ordinamento giudiziario
Riforma dell’Ordinamento giudiziario
§ Le modifiche alla disciplina del concorso in magistratura
§ Le modifiche in tema di funzioni, progressione in carriera e trattamento economico dei magistrati
§ Le ulteriori modifiche all’Ordinamento giudiziario
Riforma della magistratura militare
§ La conversione del decreto legge n. 259 del 2006
§ Il disegno di legge del Governo (A.C. 1638), approvato dalla Camera dei deputati
§ Le misure contenute nella legge finanziaria 2008
Iniziative in tema di accertamenti tecnici
Lotta al finanziamento del terrorismo
Iniziative in tema di stalking
Deleghe previste dalla Comunitaria 2007
Indennizzo per le vittime dei reati
Protezione degli animali durante il trasporto
Diritto commerciale e delle società
Nuova disciplina del fallimento
§ Le modifiche alla disciplina del fallimento
§ Le modifiche alla disciplina del concordato preventivo
§ Le modifiche alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa
La maggior parte dei provvedimenti approvati dal Parlamento nel settore della giustizia nel corso della XV legislatura hanno riguardato il tema dell'ordinamento giudiziario.
In particolare, con la legge 24 ottobre 2006, n. 269 (vedi schedaSospensione di norme dell’ordinamento giudiziario, pag. 67), il Parlamento ha, in primo luogo, sospeso, fino alla data del 31 luglio 2007, l’efficacia delle disposizioni contenute in uno dei principali decreti legislativi[1] adottati in attuazione della legge 25 luglio 2005, n. 150[2] (c.d. "riforma Castelli") la quale, a sua volta, nel corso della XIV legislatura, aveva modificato profondamente la disciplina dell’ordinamento giudiziario recata dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, prevedendo, oltre ad una serie di serie di norme direttamente applicabili, anche 14 deleghe al Governo riguardanti gran parte dei principali aspetti dell’Ordinamento giudiziario.
In secondo luogo, poi, nel corso della XV legislatura, il Parlamento ha approvato la legge 30 luglio 2007 n. 111 (c.d. "Riforma Mastella"), contenente nuove disposizioni in materia di ordinamento giudiziario.
In estrema sintesi e rinviando alle successive schede di lettura l’esame analitico del provvedimento(vedi scheda Riforma dell’ordinamento giudiziario, pag. 80), si segnala che la citata legge ha introdotto modifiche con particolare riguardo:
§ all'accesso in magistratura;
§ alla progressione economica e alle funzioni dei magistrati ordinari;
§ alla formazione professionale e all'aggiornamento del sistema giudiziario.
Per quanto riguarda l'accesso alla magistratura gli interventi sono stati finalizzati a superare gli inconvenienti legati all'eccessiva lunghezza delle procedure concorsuali ed alla scarsa adeguatezza di prove scritte di taglio prevalentemente teorico, per cui è stata introdotta anche una prova di carattere pratico e si è deciso, fra l'altro, di potenziare la commissione d'esame per ridurre i tempi delle procedure concorsuali.
Sul fronte della disciplina in materia di ''carriera'' e di conseguenti valutazioni di professionalità sono state previste:
§ una nuova struttura delle valutazioni, con verifiche ogni quattro anni;
§ la conservazione della possibilità di transitare da funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa, prevedendo che il cambio di funzioni è possibile solo mutando distretto ed è subordinato ad una reale verifica delle attitudini (il cambio tra la funzione giudicante e quella requirente potrà avvenire per non più di quattro volte nell’arco lavorativo e comporterà il trasferimento obbligatorio in una regione diversa da quella in cui si esercitavano le funzioni);
§ le funzioni di legittimità saranno conferite non solo in base al criterio di anzianità, bensì mediante l'accertata sussistenza di specifiche attitudini ad esercitarle;
§ in caso di riscontrata inadeguatezza professionale del magistrato valutato, sono previsti interventi, modulati in modo differenziato, con ripercussioni, nelle ipotesi più gravi, anche sulla progressione economica;
§ tutti gli incarichi, direttivi e semidirettivi – tra i quali quelli di procuratore, aggiunto, presidente di sezione, capo dei GIP – hanno carattere temporaneo e durano 4 anni rinnovabili per altri 4 in caso di valutazione favorevole da parte del Consiglio superiore della magistratura.
La medesima legge ha, inoltre, modificato la composizione e le funzioni del Consiglio direttivo presso la Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari.
In relazione ai citati organismi si segnala, inoltre, che sempre nel corso della XV legislatura, è stato emanato il decreto legge 30 marzo 2007, n. 36, recante “Disposizioni urgenti in materia di Consigli giudiziari” (convertito in legge dall'art. 1, della legge 23 maggio 2007, n. 66), volto a prorogare, fino alla proclamazione dei nuovi eletti, i componenti dei Consigli giudiziari in carica alla data del 30 marzo 2007 (vedi schedaConsigli giudiziari, pag. 75).
Inoltre, sulla medesima materia è successivamente intervenuto il decreto legislativo n. 35 del 2008[3]che ha dettato le disposizioni necessarie a disciplinare le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali per il rinnovo dei Consigli giudiziari e per la prima costituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione.
Sempre in tema di ordinamento giudiziario, si segnala, da ultimo, che sul finire della legislatura il Governo ha adottato il decreto legge 25 gennaio 2008, n. 3, il quale, derogando alle attuali norme in materia di supplenza negli uffici giudiziari, stabiliva che, laddove alla data del 28 gennaio 2008 il Consiglio superiore della magistratura non avesse provveduto alla nomina dei nuovi titolari degli uffici giudiziari vacanti, tali uffici, per un periodo massimo di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge[4], fossero retti dai magistrati già in servizio presso gli stessi uffici giudiziari e decaduti da tali incarichi ai sensi della disciplina transitoria prevista dall’art. 5, comma 3, della citata legge n. 111 del 2007.
In relazione al citato decreto legge si segnala che il medesimo non è stato convertito dal Parlamento. Pur tuttavia, nel corso dell'esame alla Camera del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248 (c.d. “decreto mille proroghe”)[5] è stato approvato un emendamento che riproduce, sostanzialmente, il contenuto del decreto legge n. 3 del 2008 (vedi schedaReggenza di uffici giudiziari, pag. 121).
Per quanto riguarda, invece, il settore della magistratura militare si segnala che l’articolo 2, comma 603 della legge n. 244 del 2007[6], reca disposizioni in materia di riduzione e soppressione dell’organico degli uffici giudiziari militari (vedi schedaRiforma della magistratura militare, pag. 123).
Tale disposizione ridisegna la geografia della giustizia militare, sopprimendo numerosi uffici di primo e secondo grado, riducendo l'organico della magistratura militare con conseguente transito dei magistrati militari in esubero nei ruoli della magistratura ordinaria e riducendo il numero dei componenti del Consiglio della magistratura militare.
In particolare, il provvedimento persegue l’obiettivo del contenimento della spesa nel settore della giustizia militare attraverso un triplice intervento, operativo a partire dal 1 luglio 2008: soppressione dei tribunali militari, e delle relative procure, a Torino, La Spezia, Padova, Cagliari, Bari e Palermo, con contestuale ridefinizione della competenza territoriale dei restanti tribunali; soppressione delle sezioni distaccate della corte militare d'appello - e delle relative procure - a Verona e Napoli; riduzione a 58 unità - in luogo delle attuali 103 - dell'organico dei magistrati militari.
Per quanto riguarda il personale amministrativo, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze, viene individuato un contingente di dirigenti e di personale civile del Ministero della difesa non inferiore alla metà di quello impiegato negli uffici giudiziari militari soppressi ai sensi del comma 603 che transita nei ruoli del Ministero della giustizia con contestuale riduzione del ruolo del Ministero della difesa e vengono definiti criteri e modalità dei relativi trasferimenti nel rispetto delle disposizioni legislative e contrattuali vigenti. Ove necessario e subordinatamente all’esperimento di mobilità di tipo volontario i trasferimenti possono essere disposti d’ufficio.
Nel campo del diritto processuale penale la Commissione giustizia della Camera, nel corso della XV legislatura, ha iniziato l’esame di numeroseproposte di legge di iniziativa parlamentare e governativa, vertenti su una pluralità di istituti processuali.
Soffermandoci in questa sede esclusivamente sulle iniziative divenute legge e su quelle rispetto alle quali vi è stato un significativo iter parlamentare, si osserva che i principali interventi normativi hanno riguardato la materia delle prove nel processo penale, attualmente contenuta nel libro III del codice di procedura penale, con particolare riferimento agli istituti delle intercettazioni e degli accertamenti tecnici.
La necessità di procedere ad una revisione complessiva della normativa vigente in materia di intercettazioni, attualmente contenuta nel Capo IV del libro III del codice di procedura penale, è emersa, a livello parlamentare, già durante l’esame del decreto legge n. 259 del 2006[7], recante talune disposizioni volte a contrastare l’illegale detenzione di contenuti e dati relativi a intercettazioni illecitamente effettuate, l’uso di documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni e la diffusione indebita di dati o elementi concernenti i medesimi dati (vedi scheda Intercettazioni, pag. 128).
Nel corso del citato iter, infatti, da più parti era stata sollevata l’esigenza di svolgere una riflessione più ampia in merito allo strumento processuale delle intercettazioni al fine di assicurare un sistema normativo in grado di contemperare al meglio le necessità investigative con le esigenze di informazione relative a vicende giudiziarie di pubblico interesse e il diritto dei cittadini alla tutela della propria riservatezza, soprattutto quando estranei al procedimento.
Pertanto, già durante l’esame del disegno di legge di conversione del citato provvedimento d’urgenza, la Commissione giustizia della Camera incardinava l’esame del disegno di legge del Governo (A.C. 1638), recante disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine e di una serie di proposte di legge abbinate[8], pervenendo all’adozione di un testo base che, emendato dalla Commissione medesima e successivamente approvato con talune modifiche dall’Assemblea della Camera veniva trasmesso al Senato (A.S. 1512).
Nel frattempo la Commissione Giustizia del Senato avviava un’indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche, che si concludeva nel novembre 2006 con l’approvazione del documento n. XVII, n. 2.
Per quanto riguarda il contenuto dei citati provvedimenti riguardanti la materia delle intercettazioni e rinviando alle relative schede di lettura il loro più analitico esame (vedi scheda Intercettazioni, pag. 128), si ricorda che il decreto legge n. 259 del 2006, convertito con la legge n. 281 del 2006, al fine di evitare la possibilità di un illegittimo utilizzo di atti e dati illegittimamente acquisiti, ovvero anche solo illecitamente detenuti, ha disposto la distruzione da parte dell’autorità giudiziaria di tali dati, definendone la relativa procedura. Il decreto ha previsto, inoltre, che, ai fini di conservazione della prova dei relativi dati, venga redatto verbale delle operazioni di distruzione, con la sola menzione degli elementi descrittivi e il divieto di riportare il contenuto delle captazioni illecite. Nel decreto si prevede, inoltre, una nuova fattispecie di reato in relazione all’illecita detenzione degli atti o dei documenti indebitamente detenuti; per tale reato è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni, da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.
Per quanto riguarda, invece, il contenuto del disegno di legge A.C.1638, così come approvato, con modifiche, dalla Camera dei deputati nella seduta del 19 aprile 2007, si segnala che tale provvedimento incide su diversi profili della disciplina generale delle intercettazioni (vedi scheda Intercettazioni, pag. 128).
Il particolare, il disegno di legge interiene sulla motivazione sia della richiesta sia della decisione del giudice per le indagini preliminari, che individua la ricorrenza dei presupposti, specificando la necessità che la motivazione sui gravi indizi e l’indispensabilità dello strumento d'indagine sia effettiva.
L'altro aspetto su cui si è inciso è quello relativo all'estensione dell'ambito del segreto di indagine, previsto dall'articolo 114 del codice di procedura penale, rispetto all'ambito e all'estensione del divieto di pubblicazione degli atti. Il principio cui si basa il provvedimento è quello di stabilire con chiarezza gli ambiti rispettivi del segreto d'indagine e del divieto di pubblicazione, presidiandoli entrambi in maniera molto stretta.
Altre novità di rilievo riguardano, sia l'istituzione di un archivio riservato, dove confluiscono le intercettazioni non utilizzabili o ritenute irrilevanti, sia la previsione dell’applicabilità, nel caso di illeciti commessi per finalità giornalistiche, della sanzione amministrativa della pubblicazione, per intero o per estratto, della decisione che accerta la violazione, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione, nella testata attraverso la quale è stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto necessario, anche in altre testate.
La pubblicazione è effettuata, secondo le modalità indicate dall’ordinanza, a spese dei responsabili.
Come in precedenza rilevato, l’esame del citato provvedimento, approvato in prima lettura alla Camera, si è interrotto al Senato a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere.
Si segnala, da ultimo, che il tema delle intercettazioni telefoniche è stato recentemente affrontato dalla legge finanziaria 2008[9].
I commi 82 e 83 dell’articolo 2 prevedono infatti la razionalizzazione del sistema delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica.
In particolare, il comma 82 dispone che il Ministro della giustizia, entro il 31 gennaio 2008, avvii la realizzazione di un “sistema unico" nazionale delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica disposte o autorizzate dall’autorità giudiziaria, anche attraverso la razionalizzazione delle attività attualmente svolte dagli uffici dell’Amministrazione della giustizia. Tale sistema unico dovrà essere articolato su base distrettuale di corte d’appello. Ai sensi del comma 83, il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, procede al monitoraggio dei costi complessivi delle attività di intercettazione disposte dall’autorità giudiziaria (vedi scheda Intercettazioni, pag. 128).
Sempre con riferimento al settore processuale penale, si segnala che la Camera dei deputati ha approvato, in prima lettura, la proposta di legge C. 782 (Contento)[10] in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale, previamente esaminata dalla Commissione giustizia.
L’esame di tale provvedimento, trasmesso al Senato (A.S. 1849), non è stato avviato presso quel ramo del Parlamento.
In via generale e rinviando alla specifica scheda di lettura l’esame analitico del provvedimento (vedi scheda Iniziative in tema di accertamenti tecnici, pag. 140), si segnala che il testo approvato dalla Camera ha inteso colmare il vuoto normativo creatosi, in materia di accertamenti coattivi a fini di perizia, a seguito della sentenza del 9 luglio 1996, n. 238, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del secondo comma dell’articolo 224 c.p.p., nella parte in cui consente che il giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei “casi” e nei “modi” dalla legge.
In sintesi, il provvedimento stabilisce, tra l’altro, la possibilità per il giudice – qualora si proceda per un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni e negli altri casi espressamente previsti dalla legge – di disporre con ordinanza accertamenti peritali idonei ad incidere sulla libertà della persona anche senza il consenso della persona indagata o imputata sottoposta all'esame del perito.
Tali atti, precisa il medesimo provvedimento, possono consistere nel prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi, ai fini della determinazione del profilo del DNA, o ad accertamenti medici e possono essere disposti a condizione che l'accertamento «invasivo» risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti.
Il provvedimento stabilisce, inoltre, sia i casi in cui i citati accertamenti non possono mai essere disposti, sia i contenuti del provvedimento che dispone l'accertamento.
Nel corso della XV legislatura il Parlamento ha approvato la legge 31 luglio 2006, n. 241, con la quale è stato concesso l’indulto “per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie, sole o congiunte a quelle detentive” (vedi scheda Indulto, pag. 145).
In relazione al citato provvedimento si osserva che la necessità di adottare un provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati mediante una riduzione della pena loro inflitta era stata prospettata dal Ministro della giustizia nel corso dell’illustrazione del programma per la giustizia presentato alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 28 giugno 2006.
In particolare, nel corso della citata audizione, il Ministro Mastella, nel ricordare la situazione di sovraffollamento delle carceri italiane e la conseguente difficoltà di assicurare all’interno degli istituti penitenziari dignitose condizioni di vita per i detenuti, sottolineava come l’approvazione dell’indulto, concesso nella misura massima di due o tre anni, avrebbe costituito una risposta immediata al problema del sovraffollamento penitenziario.
Nello specifico il Ministro Mastella rilevava che “nella situazione attuale, l'applicazione dell'indulto comporterebbe, la scarcerazione di circa 10.481 unità, pari a circa un sesto della popolazione carceraria, se concesso nella misura massima di due anni, ovvero di 12.756 unità, se concesso nella misura massima di tre anni. Comporterebbe, inoltre, ulteriori effetti negli anni a venire, perché avrebbe efficacia anche sulle pene più lunghe. Quanto all'amnistia, è prevedibile, sulla scorta di quanto accaduto in passato, un effetto additivo di scarcerazioni pari a circa il 20 per cento”. Il Ministro, sottolineava, altresì, “che il livello di guardia raggiunto dal sovraffollamento penitenziario non solo ha ridotto al lumicino le risorse umane e finanziarie destinate ad un'efficace politica per il reinserimento dei condannati, ma costituisce un rischio per lo stesso principio che vieta i trattamenti contrari al senso di umanità”.
Nella seduta del 4 luglio 2006 la Commissione giustizia della Camera dei deputati iniziava, quindi, l’esame di una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di amnistia ed indulto (A.C. 525 Buemi ed abb.)[11] concludendone poco dopo il relativo esame. A sua volta l’Aula della Camera nella seduta del 27 luglio 2006 approvava in prima lettura il provvedimento in esame che veniva, quindi, trasmesso al Senato che lo approvava, senza modifiche, nella seduta del 29 luglio 2006.
In via generale e rinviando alla specifica scheda di lettura(vedi scheda Indulto, pag. 145)si ricorda che la citata legge, oltre a concedere l’indulto nei casi in precedenza richiamati, ha poi introdotto cause oggettive di esclusione dal beneficio in questione in ordine a taluni reati di particolare gravità. La legge ha, inoltre, previsto la revoca di diritto del beneficio se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge (1° agosto 2006), un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Sempre con riferimento agli interventi previsti nel campo dell’esecuzione della pena, si segnala che la Commissione giustizia della Camera ha concluso l’esame in sede referente della proposta di legge A.C. 526, recante disposizioni in materia tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
Nello specifico la proposta di legge è volta a modificare talune disposizioni del codice penale, del codice di procedura penale, della legge 26 luglio 1975, n. 354[12] perseguendo la finalità di assicurare piena tutela ai minori figli di detenute madri, garantendo, nei primi anni di vita del bambino, la convivenza in stato di libertà con la madre detenuta. La proposta di legge provvede, pertanto, a rimuovere dall'ordinamento specifiche rigidità che, di fatto, hanno reso difficoltosa la concessione di benefici nei confronti delle detenute madri, e istituisce le case-famiglia protette quali strutture alternative al carcere destinate alla coabitazione tra madri in espiazione di pena e figli.
Il provvedimento in esame non è stato esaminato dall’Assemblea della Camera a seguito dell’intervenuto scioglimento anticipato della legislatura.
Nel settore della giustizia, il principale provvedimento adottato nel corso della XV legislatura a tutela dei diritti dei consumatori è contenuto nella legge finanziaria 2008[13], la quale ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori, comunemente definito class action (vedi scheda Class action, pag. 150).
Com’è noto la class action costituisce un'azione giudiziale di gruppo, attivabile da associazioni rappresentative di consumatori ed utenti nei confronti dell'impresa per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali, dei cui effetti risarcitori possano giovarsi tutti gli appartenenti alla stessa categoria di soggetti.
Da un punto di vista sistematico, la nuova normativa integra quella del Codice del Consumo, relativa alla legittimazione ad agire in giudizio a tutela degli interessi collettivi (artt. 139 e 140, D.Lgs 6 settembre 2005, n. 206), introducendo un articolo aggiuntivo (art. 140-bis), composto da 6 commi, che disciplina e scandisce le diverse fasi del nuovo istituto.
In relazione alla class action si osserva che già nel corso della XIV legislatura, la Commissione giustizia della Camera aveva avviato l’esame di numerose proposte di legge[14] vertenti sul tema in esame, giungendo all’adozione di un testo unificato che, successivamente emendato, veniva, poi, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati nella seduta del 21 luglio 2004 e trasmesso al Senato (A.S. 3058).
Il medesimo argomento veniva ripreso nella successiva XV legislatura. Al riguardo, è possibile osservare, infatti, che nella seduta del 9 novembre 2006 la Commissione giustizia della Camera avviava l’esame di talune proposte di legge, una delle quali di iniziativa governativa[15], riguardanti l’introduzione dell'azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori[16].
Al termine dell’esame preliminare del provvedimento,la Commissione giustizia approvava la proposta del relatore di adottare come testo base sul quale presentare proposte emendative un nuovo testo del disegno di legge del Governo[17].
Successivamente, veniva, però approvata la legge finanziaria del 2008 che, come in precedenza rilevato, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori.
In via generale e rinviando alla specifica scheda di lettura l’esame analitico del provvedimento (vedi scheda Class action, pag. 150), si segnala che le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, nonché le associazioni e i comitati che sono «adeguatamente rappresentativi» dei diritti collettivi che si intendono far valere in giudizio, sono legittimate a richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede l'impresa l'accertamento del diritto al risarcimento del danno e la restituzione di somme dovute ai singoli consumatori o utenti in conseguenza di atti illeciti commessi in ambito contrattuale o extracontrattuale.
A seguito della presentazione della domanda da parte dei citati organismi, il Tribunale si pronuncia sulla sua ammissibilità con ordinanza reclamabile davanti alla Corte d'appello che decide in camera di consiglio. Il Tribunale (nel caso in cui la domanda sia ammissibile) adotta, poi, i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio, disponendo che i proponenti l'azione collettiva diano «idonea pubblicità» dei contenuti dell’azione proposta.
Per quanto riguarda i successivi passaggi, si osserva che il giudice in sede di sentenza di condanna, determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori ed utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che siano intervenuti in giudizio, individuando, ove possibile, la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. L’impresa soccombente, nei 60 giorni successivi alla notifica della sentenza, può proporre il pagamento della somma, e l’accettazione da parte del consumatore o dall'utente costituisce titolo esecutivo.
Se l'impresa non formula alcuna proposta entro il termine sopra richiamato, ovvero nel caso in cui tale proposta non sia stata accettata, il giudice costituisce presso lo stesso tribunale apposita Camera di conciliazione per la determinazione del quantum dei singoli risarcimenti in favore dei consumatori.
Spetta alla Camera di conciliazione definire, con verbale, i modi, i termini e l’entità del risarcimento.
In alternativa alla Camera di conciliazione, su concorde richiesta del promotore dell'azione collettiva e dell'impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del decreto legislativo n. 5 del 2003[18], operante presso il comune in cui ha sede il tribunale.
In relazione alla lotta al terrorismo, si segnala che nel corso degli ultimi anni sono stati approvati in Italia diversi provvedimenti in tema di contrasto al terrorismo internazionale in attuazione di specifiche richieste provenienti dalla stessa comunità internazionale e dall’Unione Europea che hanno sottolineato la necessità di adeguare gli ordinamenti dei singoli Stati all’esigenza di svolgere un’azione globale per combattere le nuove violente manifestazioni di attacco alle istituzioni democratiche.
In proposito, con particolare riferimento alle competenze della Commissione giustizia, va ricordata l’adozione del decreto legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001, n. 438, che ha inserito nel codice penale la fattispecie di terrorismo internazionale, la legge 14 gennaio 2003, n. 7 che ha ratificato la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, la legge 14 febbraio 2003, n. 34 che ha ratificato la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici per mezzo di esplosivo. Va inoltre ricordata l’adozione nel luglio 2005, a seguito dei tragici attentati di Londra e Sharm el Sheikh, del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito nella legge 31 luglio 2005, n. 155, che si propone quale obbiettivo prioritario la lotta al terrorismo internazionale, adottando diverse e specifiche misure di contrasto a tale fenomeno.
Su questa materia, nel corso della XV legislatura il Governo ha emanato due decreti legislativi[19] volti a completare il quadro normativo in tema di prevenzione, contrasto e repressione del finanziamento del terrorismo internazionale, in attuazione di disposizioni comunitarie.
In generale e rinviando alla successiva scheda di lettura un più analitico esame dei due provvedimenti (vedi scheda Lotta al finanziamento del terrorismo, pag. 156), si segnala che il decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, reca talune misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.
In particolare, il citato decreto sottolinea l’esigenza di prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di finanziamento del terrorismo, realizzando il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, in base, non solo alle deliberazioni dell’Unione europea, ma anche alle risoluzioni delle Nazioni Unite.
A tal fine il decreto inibisce qualsiasi atto di disposizione patrimoniale dei fondi e delle risorse finanziarie congelate ai soggetti designati. In particolare, le risorse economiche sottoposte a congelamento non possono essere oggetto di trasferimento, disposizione né possono essere utilizzate per ottenere, in qualsiasi modo, ulteriori fondi, beni o servizi, fatte salve le attribuzioni dell’Agenzia del demanio, cui l’art. 12 del decreto legislativo.
A distanza di pochi mesi dall’emanazione del decreto legislativo n. 109 del 2007, il Governo ha emanato il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, il quale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE, reca disposizioni volte a prevenire l'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
In estrema sintesi, e rinviando per ogni approfondimento alla scheda Le nuove norme antiriciclaggio nel dossier relativo alla Commissione Finanze, si può affermare che, anche in questo caso, la finalità del provvedimento consiste nel prevenire l’utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (articolo 2, comma 5).
Le misure contenute nel decreto devono essere proporzionate al rischio di riciclaggio dei proventi derivanti da attività criminose o di finanziamento del terrorismo. Il criterio di proporzionalità va calibrato sulla base della tipologia di clientela, della tipologia di rapporto continuativo instauratosi tra il destinatario del decreto e il cliente, del contenuto della prestazione professionale, del tipo di prodotto o di transazione oggetto del rapporto con la clientela.
Anche nel settore del diritto penale sostanziale, analogamente a quanto già rilevato con riferimento agli interventi nel settore processuale penale (vedi capitolo Modifiche al processo penale, pag. 9), la Commissione giustizia della Camera dei deputati ha avviato l’esame di un numero particolarmente elevato di proposte di legge il cui esame è stato però interrotto a seguito della conclusione anticipata della legislatura.
Un significativo iter parlamentare ha caratterizzato il disegno di legge C. 915, volto all'introduzione nel codice penale degli articoli 613-bis e 613-ter in materia di tortura (vedi scheda Iniziative in tema di tortura, pag. 167).
In base al nuovo articolo art. 613-bis del codice penale è punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.
È previsto, inoltre, che la citata pena venga aumentata nel caso in cui la condotta sopra descritta sia posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, ovvero nel caso in cui dal fatto derivi una lesione grave o gravissima. La pena è raddoppiata se ne deriva la morte.
Per quanto riguarda, invece, i provvedimenti il cui iter si è concluso esclusivamente presso la Commissione giustizia della Camera, merita di essere ricordato il testo unificato delle proposte di legge A.C. 1249-ter ed abb., recante disposizioni volte a contrastare il fenomeno delle molestie insistentiele discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale.
Il testo unificato in esame trae origine dallo stralcio delle disposizioni volte a contrastare il fenomeno delle molestie assillanti e delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, originariamente contenute nelle proposte di legge A.C. 1249 ed abb., in materia di potenziamento della lotta contro la violenza sessuale[20].
Nello specifico, il provvedimento novella il codice penale al fine di inserirvi l'articolo 612-bis, recante il nuovo delitto di "atti persecutori", comunemente definito "stalking"(vedi schedaIniziative in tema di stalking, pag. 169).
La nuova disposizione penale sanziona con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, reiteratamente, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli una sofferenza psichica, ovvero un fondato timore per l'incolumità propria o di una persona ad esso legata da relazione affettiva, ovvero arrecandogli un apprezzabile pregiudizio alle abitudini di vita.
Il provvedimento prevede, poi, una serie di circostanze aggravanti e la pena dell’ergastolo nei confronti dell'autore degli atti persecutori, ove, in conseguenza dei medesimi, derivi la morte della vittima.
Il medesimo testo, all'articolo 4 apporta, poi, talune modifiche alla legge n. 654 del 1975 e al decreto-legge n. 122 del 1993[21] , convertito con modificazioni dalla legge n. 205 del 1993 (legge Mancino)[22].
In primo luogo, il comma 1 dell'articolo in esame novella l'articolo 3 della citata legge n. 654 del 1975 al fine di aggiungere alle condotte discriminatorie già sanzionate da tale comma, anche quelle fondate su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Nello specifico, le condotte attualmente sanzionate sono quelle della propaganda e della istigazione a commettere atti discriminatori fondati sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché l'organizzazione di associazioni o movimenti aventi tra i propri scopi il compimento dei citati atti discriminatori.
I successivi commi dell'articolo 4 del testo unificato in esame incidono, invece, sulla citata legge n. 205 del 1993 al fine di apportarvi le seguenti modifiche:
§ all'articolo 3, concernente una specifica circostanza aggravante per tutti i reati punibili con una pena diversa da quella dell'ergastolo qualora siano commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, si aggiungono alle citate condotte illecite anche quelle fondate su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere;
§ all'articolo 6, concernente talune disposizioni processuali, si esclude la procedibilità d'ufficio per il delitto di violenza sessuale aggravato dalla citata circostanza aggravante prevista dall'articolo 3;
§ all'articolo 1, si modifica la rubrica di tale disposizione al fine di inserirvi il riferimento alle discriminazioni fondate su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Per quanto riguarda i profili di competenza della Commissione giustizia, il principale provvedimento adottato nel corso della XV legislatura in materia di criminalità e sicurezza dei cittadini è il decreto legge n. 8 del 2007[23], recante Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche (A.C. 2340)[24].
Il provvedimento in esame fa seguito ad una serie di altri provvedimenti analoghi adottati nel corso delle precedenti legislature al fine di contrastare in modo più rigoroso il drammatico susseguirsidi episodi di violenza che frequentemente si verificano in occasione dello svolgimento di manifestazioni sportive, con particolare riferimento al gioco del calcio.
In particolare nel corso della XIV legislatura, sulla materia oggetto del decreto legge in esame, sono intervenuti il D.L. 20 agosto 2001, n. 336 recante Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive,convertito dalla legge 19 ottobre 2001, n. 377; il D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, recante Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88; l’articolo 6, comma 1 del D.L. legge 30 giugno 2005, n. 115 recante Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, che ha disposto la proroga di due anni (dal 30 giugno 2005 al 30 giugno 2007)dell’efficacia delle disposizioni dell’art. 8 della legge 401/1989(riguardante l'arresto in flagranza differita degli autori dei reati commessi con violenza a cose o persone in occasione o a causa di manifestazioni sportive).
Sempre nel corso del 2005 è stato, poi, approvato il D.L. 17 agosto 2005, n. 162, recante Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 ottobre 2005, n. 210.
Da ultimo, è intervenuto l’articolo 39-ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, cd. proroga termini, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, che ha previsto il differimento all’inizio della stagione calcistica 2006-2007 dell’adozione delle misure di sicurezza per gli impianti sportivi previsti dal citato D.M. interno 6 giugno 2005.
In linea generale e rinviando alla specifica scheda di lettura un più analitico esame del provvedimento (vedi scheda Violenza negli stadi), si segnala che il decreto legge, modificato in più parti alla Camera nel corso del suo esame in prima lettura, interviene sia sugli aspetti strutturali relativi alla sicurezza degli impianti sportivi (vedi scheda Sicurezza nello sport nel dossier relativo alla Commissione Cultura), sia sulla normativa penale, processuale-penale e sulle misure di prevenzione.
In particolare, per quanto riguarda i profili di competenza della Commissione giustizia si segnala che il provvedimento in esame ha previsto:
§ la reclusione da uno a quattro anni per chi lancia o utilizza negli stadi o nelle immediate adiacenze razzi, bengala, petardi, fumogeni, bastoni od oggetti contundenti; la pena è aumentata in caso di danni alle persone e di sospensione della partita;
§ la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da 500 a 2000 euro per chi viene trovato in possesso dei predetti mezzi atti a offendere;
§ l’ampliamento dell’ambito della flagranza a 48 ore per i delitti sopra illustrati;
§ l’applicabilità delle misure di prevenzione (anche patrimoniali) anche a persone indiziate di aver agevolato manifestazioni di violenza;
§ la reclusione da cinque (anziché tre) a quindici anni per il reato di violenza a pubblico ufficiale commesso da gruppi con armi o mezzi atti a offendere;
§ l’inasprimento del divieto per le società sportive di corrispondere agevolazioni a soggetti condannati o associazioni di cui fanno parte i medesimi soggetti (la sanzione amministrativa sarà da 20mila a 100mila euro);
§ il divieto di introdurre o esporre striscioni o cartelli che incitino alla violenza o che contengano ingiurie o minacce; la violazione è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno.
Da ultimo, si segnala che per effetto del decreto legge in esame il divieto d'accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (il c.d. DASPO, anche noto come "diffida") e l’obbligo di comparire possano essere disposti anche :
§ nei confronti di chi è stato denunciato o condannato - anche con sentenza non definitiva - nel corso degli ultimi cinque anni per il reato di possesso di artifici pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive;
§ nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse.
In caso di violazione del DASPO e dell’obbligo di presentazione, l’art. 2 del decreto legge ha incrementato la pena già prevista stabilendo la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da 10.000 a 40.000 euro[25]. Con la sentenza di condanna è il giudice a dover disporre il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono le competizioni sportive e l’obbligo di presentazione, per una durata da 2 a 8 anni[26]. Tali misure sono obbligatoriamente disposte dal giudice in tutti i casi in cui sia pronunciata condanna per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono le gare, o per violazione delle stesse misure di prevenzione. Con la sentenza il giudice può anche disporre la pena accessoria consistente nell'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità.
Si segnala, inoltre, che durante il periodo di prorogatio, il Parlamento ha approvato la legge n. 48 del 18 marzo 2008, recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d' Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell' ordinamento interno. Tale provvedimento, esaminato, in sede referente dalle Commissioni riunite giustizia e esteri, contiene, tra l’altro, talune disposizioni volte a contrastare il ricorso agli strumenti informatici da parte della criminalità organizzata (vedi scheda Convenzione criminalità informatica nel dossier relativo alla Commissione esteri).
Nel corso della XV legislatura i principali provvedimenti adottati in tema di cooperazione giudiziaria sono contenuti nella legge comunitaria per il 2007[27] la quale, per quanto di interesse della Commissione Giustizia, contiene quattro deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi attuativi di decisioni quadro.
Rinviando alla specifica scheda di lettura l’esame del contenuto dei citati provvedimenti(vedi scheda Deleghe previste dalla Comunitaria 2007, pag. 182) si segnala, sin da ora, che l’articolo 28 della legge comunitaria delega il Governo a dare attuazione, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, alle seguenti quattro decisioni:
§ decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato (si veda l'art. 29 della legge in commento);
§ decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio (si veda l'art. 30 della legge);
§ decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (si veda l'art. 31 della legge in esame);
§ decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (si veda l'art. 32 della legge).
Entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di attuazione delle decisioni quadro, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive dei suddetti decreti legislativi.
Si segnala, inoltre, che nel corso della XV legislatura la Commissione giustizia della Camera ha espresso il prescritto parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, recante attuazione della direttiva comunitaria 2004/80/CE, la quale stabilisce che tutti gli stati della comunità europea debbano provvedere affinché "le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime" (vedi scheda Indennizzo per le vittime dei reati, pag. 205).
In particolare, il provvedimento prevede che :
§ in caso di vittima che risiede stabilmente in Italia e di reato commesso in un altro Stato membro dell'Unione Europea sia la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello del luogo in cui risiede la vittima stessa l'autorità competente per attuare le forme di assistenza previste dalla direttiva 2004/80/CE;
§ nel caso di reato commesso nel territorio italiano e di vittima che risiede stabilmente in un altro Stato membro dell'Unione Europea potrà essere presentata domanda di indennizzo tramite l'autorità di assistenza dello Stato in cui la vittima stessa risiede;
§ il lavoro svolto dalla procura generale della Repubblica presso la corte d'appello, interpellata, non comporti alcuna spesa a carico del richiedente, né a carico dell'autorità di decisione di altro Stato membro dell'Unione europea.
Nel corso della XV legislatura la Commissione giustizia della Camera dei deputati è stata chiamata ad esprimere il prescritto parere su alcuni atti normativi del Governo, emanati nella forma del decreto legislativo ed adottati in attuazione di norme comunitarie, soprattutto regolamentari.
La maggior parte di questi provvedimenti è intervenuta individuando e disciplinando l’applicazione di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni di prescrizioni comunitarie. Qui di seguito si darà conto sinteticamente dei singoli provvedimenti secondo l’ordine temporale di emanazione degli stessi
· Decreto legislativo 12 gennaio 2007, n. 11, recante sanzioni per la violazione delle disposizioni derivanti dal Regolamento (CE) del Consiglio, del 27 giugno 2005, n. 1236/2005, concernente il commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, la tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti;
· Decreto legislativo 4 ottobre 2007, n. 172, recante la disciplina sanzionatoria in materia di assegnazione di bande orarie sugli aeroporti italiani relativamente alle norme comunitarie stabilite dal regolamento CEE n. 793/2004 che modifica il regolamento CEE n. 95/1993;
· Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 197, recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 785/2004 relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili;
· Decreto legislativo 25 luglio 2007, n. 151, recante disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1/2005 concernente la protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate che modifica le direttive 64/432/CEE e 93/119/CE e il regolamento (CE) n. 1255/97 (vedi scheda Protezione degli animali durante il trasporto, pag. 209).
In tema di ordinamento civile le iniziative legislative esaminate dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati nel corso della XV legislatura sono state meno numerose di quelle incidenti in materia di diritto e procedura penale.
Nessuno dei provvedimenti incardinati dalla Commissione giustizia su questa materia ha concluso il proprio iter parlamentare.
Di seguito, viene dato conto dell’unico provvedimento che, su questa materia, ha concluso l’esame in sede referente presso la citata Commissione.
Per quanto riguarda il settore del “diritto di famiglia”, la Commissione giustizia della Camera dei deputati ha concluso l’esame, in sede referente, del disegno di legge del Governo A.C. 2514, recante la delega al Governo in materia di filiazione.
Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, il disegno di legge in esame, il cui iter, come già segnalato, è stato interrotto a seguito dello scioglimento anticipato della legislatura, si proponeva di eliminare definitivamente ogni ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo.
Nello specifico, l'articolo 1 interveniva sull'attuale formulazione dell'articolo 315 del codice civile, attualmente rubricato Doveri del figlio verso i genitori, al fine di sostituirlo con una nuova e più ampia disposizione comprensiva sia dei doveri del figlio verso i genitori e verso la famiglia, ma anche e soprattutto dei suoi diritti nell'ambito della relazione con i genitori e con i parenti in generale.
L'articolo 1 prevedeva, inoltre, l'inserimento nel codice civile del nuovo articolo 315-bis, rubricato Stato giuridico della filiazione, volto ad affermare il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si sarebbero applicate a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio.
L'articolo 2 del disegno di legge in esame conteneva, poi, la delega al Governo per la modifica delle norme di cui al titolo VII del libro primo del codice civile, nonché delle disposizioni ad esse connesse e ciò al fine di eliminare, come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, ogni residua ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimonio putativo.
A tal fine il comma 1 dell'articolo 2 individuava undici principi e criteri diretti che il Governo avrebbe dovuto rispettare in sede di attuazione della delega in esame.
Da ultimo, ai sensi dell'articolo 3, il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata del decreto o dei decreti legislativi di cui al precedente articolo 2, avrebbe dovuto provvedere ad apportate le necessarie modifiche alla disciplina vigente in materia di ordinamento dello stato civile, attualmente contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni.
La materia delle procedure concorsuali, disciplinata dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge fallimentare),recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, già significativamente innovata nel corso della XIV legislatura, è stata oggetto di talune modifiche anche durante la legislatura appena conclusa.
In particolare, si ricorda che nella XIV legislatura è stato adottato il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35[28] (cd. decreto competitività),convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, con il quale sono state apportate alcune rilevanti modifiche alla citata legge fallimentare, con particolare riferimento agli istituti della revocatoria e del concordato preventivo.
La citata legge di conversione n. 80/2005 conteneva, inoltre, una delega al Governo per una riforma organica e coerente di tutta la materia delle procedure concorsuali sulla cui base è stato, poi, emanato il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica delle procedure concorsuali).
L’articolo 1, comma 5-bis,della citata legge n. 80/2005 aveva, inoltre, previsto che entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo emanato nell'esercizio della delega principale conferita (ovvero il D.Lgs n. 5 del 2006), il Governo potesse adottare ulteriori disposizioni correttive e integrative, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi indicati.
Su tale base normativa è stato adottato il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169[29].
Rinviando alla scheda Nuova disciplina del fallimento (pag. 221) per un più analitico esame del provvedimento, in questa sede si segnala che i punti più significativi del decreto correttivo riguardano:
§ l’allargamento dell’area della fallibilitàmediante l’ampliamento dei presupposti soggettivi e l’eliminazione del riferimento al piccolo imprenditore (art. 1, legge fallimentare);
§ la soppressione del rito camerale (art. 24, legge fallimentare) e l’adozione di quello ordinario per tutte le controversie derivanti dal fallimento; il procedimento in camera di consiglio, previsto dalla riforma del 2006, pur maggiormente rispondente a requisiti di celerità è sembrato al legislatore meno in grado di garantire la tutela di diritti soggettivi come quelli in gioco;
§ la sottrazione al giudice delegato dell’approvazione del programma di liquidazione (sottoposto dal curatore) che spetterà ora al comitato dei creditori (art. 104-ter, legge fallimentare); il giudice dovrà, comunque, autorizzare di volta in volta l’esecuzione dei singoli atti conformi al programma;
§ la sottrazione al curatore fallimentare, nel nuovo concordato fallimentare, del potere di formulare proposta di concordato (art. 129, legge fallimentare);
§ l’ulteriore ridimensionamento dei poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato: infatti, il nuovo art. 129 prevede, per l’autorità giudiziaria, solo controlli formali e – in presenza di diverse classi di creditori - una sua attivazione a valutare la convenienza del concordato e ad omologarlo solo se espressamente richiesto dai creditori delle classi dissenzienti;
§ la sostituzione, tra i debiti esclusi dall’esdebitazione, delle obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ex art. 46 (art. 142, legge fallimentare) con i rapporti “estranei all’esercizio dell’impresa”;
§ l’espressa previsione, nel concordato preventivo, di soddisfazione solo parziale dei creditori privilegiati, come nel concordato fallimentare (art. 177, legge fallimentare);
§ l’incentivazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in sede di concordato preventivo, mediante la sospensione e inibizione (per 60 giorni) di tutte le azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore (art. 182-bis, legge fallimentare).
Nel corso della XV legislatura, in tema di professioni, la II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, congiuntamente alla X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo), ha avviato e non concluso l’esame di diverse iniziative legislative dirette ad individuare i principi fondamentali relativi ad una complessiva riforma del sistema delle professioni intellettuali, in conformità alle previsioni costituzionali e agli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria (A.C. 867 ed abb.).
Con specifico riferimento alla professione di avvocato, la Commissione giustizia della Camera ha, poi, approvato, in sede referente, la proposta di legge A.C. 615, recante talune disposizioni in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato per i dipendenti della pubblica amministrazione.
Sempre con riferimento alla materia in esame, la Commissione giustizia della Camera ha, poi, espresso il prescritto parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo n. 206 del 2007, il quale, in attuazione della direttiva comunitaria 2006/100/CE, ha previsto talune disposizioni riguardanti il riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell'Unione europea.
Da ultimo, va segnalato che in materia di professioni talune disposizioni sono contenute in provvedimenti esaminati, in sede referente, da altre Commissioni permanenti.
Tra questi, si segnala, in particolare, il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (cd. decreto Bersani) come modificato dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248 (vedi capitoloInterventi di liberalizzazionenel dossier relativo alla Commissione Attività produttive),che reca talune disposizioni in materia di tariffe professionali, pubblicità informativa e la fornitura di servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti.
Di seguito si illustra sinteticamente il contenuto dei suddetti provvedimenti.
La necessità di una legge quadro in materia di professioni intellettuali è stata, in particolare, evidenziata, il 28 giugno 2006, dal Ministro della giustizia Mastella in sede di illustrazione, presso la Commissione giustizia della Camera, delle linee programmatiche del dicastero.
In quella sede, il Ministro sottolineava come «le continue interruzioni del processo di riforma del sistema professionale italiano» hanno inibito al «nostro terziario intellettuale la possibilità di cambiare in profondità e di dotarsi di un maggiore orientamento all’innovazione. Ed in più hanno creato competizioni di competenza fra Ministri che hanno ulteriormente accentuato le difficoltà».
Sempre nell’ambito della citata sede, il Ministro della giustizia Mastella rilevava, quindi, la necessità che la riforma delle professioni venisse rimessa nell’agenda politica al più presto, per non fare perdurare l’attuale stato di confusione e il conseguente deterioramento del tessuto professionale e di quello associativo a questo collegato.
Anche sulla base delle citate considerazione, nella seduta del 28 novembre 2006, le Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati hanno avviato l’esame di una serie di proposte di legge di iniziative parlamentare, riguardanti la materia delle professioni intellettuali. A tali proposte è stato successivamente abbinato il disegno di legge del Governo A.C. 2160.
Come in precedenza rilevato, l’esame in sede referente del citato testo unificato è stato interrotto a seguito della fine anticipata della legislatura.
L'idea di fondo che ispirava il citato provvedimento governativo, come si legge nella relativa relazione illustrativa, era quella di realizzare un mercato dei servizi professionali effettivamente aperto e concorrenziale, in linea con quanto previsto dalla risoluzione n. 2137/2006 del Parlamento europeo, in relazione all'esigenza primaria di assicurare ai consumatori un più facile accesso al mercato dei servizi professionali, garantendo al contempo la qualità dei servizi resi e il contenimento dei relativi costi.
Da qui, la necessità di una revisione complessiva della materia delle professioni intellettuali con particolare riferimento alla disciplina degli ordini, al fine di conferire a tali organismi una nuova fisionomia organizzativa e funzionale completamente al servizio dell'utenza e del mercato dei servizi del tutto priva, quindi, di quei connotati di autoreferenzialità e corporativismo che rischiano di connotare gli attuali ordini professionali.
Muovendo da questa considerazione il disegno di legge governativo prevedeva una riduzione degli ordini, albi e collegi attualmente esistenti e, al tempo stesso misure per agevolare la trasformazione in associazioni professionali riconosciute di quelli tra loro per i quali non si rinvenissero specifici interessi pubblici meritevoli di tutela che ne giustificassero la protrazione dell'attività.
Oltre alla materia degli ordini, il disegno di legge conteneva principi e criteri direttivi riguardanti:
§ la disciplina generale delle professioni intellettuali;
§ l'accesso alle professioni intellettuali di interesse generale;
§ il codice deontologico e il potere disciplinare;
§ le associazioni professionali riconosciute;
§ le società di professionisti.
Si segnala, inoltre, che nel corso dell’esame in sede referente delle citate proposte di legge, i relatori hanno presentato alle Commissioni riunite una proposta di testo unificato la quale si differenziava strutturalmente dal disegno di legge n. 2160 del Governo in quanto, in primo luogo, non conteneva una delega al Governo per la riforma della disciplina delle professioni intellettuali, bensì una serie di principi fondamentali volti a regolare la materia delle professioni, nonché principi specifici diretti ai consigli nazionali delle categorie professionali, ai quali sarebbe spettato il compito di adottare il nuovo ordinamento di categoria.
La proposta di testo unificato prevedeva, comunque, delle deleghe legislative su alcune specifiche materie, come ad esempio quella relativa alla disciplina delle società tra professionisti.
Con specifico riferimento all’esercizio della professione forense si segnala che la Commissione giustizia della Camera dei deputati ha concluso l’esame in sede referente della proposta di legge A.C. 615, recante talune modifiche alla legge 25 novembre 2003, n. 339[30] in materia di iscrizione all'albo degli avvocati.
La proposta di legge in esame, il cui iter non si è concluso, nel testo risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione giustizia, interveniva sulla citata legge n. 339 del 2003 pur non toccandone l’impianto complessivo, centrato sulla reintrodotta incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato con l’esercizio di lavoro pubblico dipendente.
Sostanzialmente la proposta di legge, eliminando la disciplina transitoria di cui all’articolo 2 della citata L. 339/2003, era volta a salvaguardare le posizioni acquisite medio tempore dai dipendenti pubblici tra la vigenza dell’art. 1, commi 56, 56-bis e 57 della legge 662/1996 e la reintroduzione dell’incompatibilità assoluta ad opera dell’art. 1 della legge 339/2003, escludendo che ai dipendenti citati si applicasse la suddetta incompatibilità.
Nello specifico, la proposta di legge in esame prevedeva, in primo luogo, che il dipendente pubblico part-time che avesse optato per il mantenimento del rapporto di impiego ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 25 novembre 2003, n. 339 (abrogato dalla medesima proposta di legge A.C. 615) potesse, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, chiedere la reiscrizione all'albo degli avvocati alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 mantenendo il rapporto di pubblico impiego.
Inoltre, nel caso in cui il dipendente pubblico part-time fosse stato cancellato d'ufficio dall'albo degli avvocati cui era iscritto in applicazione dell'articolo 2, comma 1, ultimo periodo, della legge 25 novembre 2003, n. 339, la proposta di legge in esame prevedeva che il medesimo dipendente potesse chiedere, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la reiscrizione all'albo degli avvocati alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, mantenendo il rapporto di pubblico impiego.
Da ultimo il dipendente pubblico part-time che avesse optato per la cessazione del rapporto d'impiego, mantenendo l'iscrizione all'albo degli avvocati, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge 25 novembre 2003, n. 339 poteva chiedere, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la riammissione in servizio alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, purché non in soprannumero, mantenendo l'iscrizione all'albo degli avvocati.
Nel corso della XV legislatura la Commissione giustizia della Camera ha espresso il prescritto parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo n. 206 del 2007, concernente il riconoscimento delle qualifiche professionali.
Il decreto, che dà attuazione alla direttiva 2005/36/CE[31], relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché alla direttiva 2006/100/CE, che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania, riguarda, in particolare, il riconoscimento delle professioni cosiddette "regolamentate", quelle cioè il cui esercizio è consentito solo a seguito dell’iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici.
Nello specifico, il decreto si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati, autonomi o liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell'Unione europea e che, nello Stato d'origine, li abilita all'esercizio di detta professione.
Il riconoscimento delle qualifiche professionali, operato ai sensi del decreto legislativo in esame, permetterà di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti sono qualificati nello Stato membro d'origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall'ordinamento italiano.
Il decreto legislativo reca, poi, specifiche disposizioni concernenti le professioni di medico, medico specialista, infermiere, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista ed architetto.
Nello specifico, lo schema di decreto legislativo n. 134 del 2007, composto da sessanta articoli, è suddiviso nei seguenti quattro titoli:
§ Titolo I, contenente disposizioni generali (articoli da 1 a 8);
§ Titolo II, contenente la disciplina relativa alla libera prestazione di servizi (articoli da 9 a 15);
§ Titolo III, contenente la disciplina relativa alla libertà di stabilimento (articoli da 16 a 57);
§ Titolo IV, contenete disposizioni finali (articoli da 58 a 60).
Per quanto riguarda i principi generali contenuti nel citato Titolo I, si segnala, in particolare, l’articolo 1 del provvedimento che definisce l’ambito di applicazione del decreto, concernente, come già evidenziato, esclusivamente le cosiddette professioni regolamentate.
Tra i principi generali si prevede, inoltre, l'introduzione di un sistema di cooperazione amministrativa tra le competenti autorità dello Stato di origine e dello Stato membro di stabilimento, nonché la realizzazione di un sistema di scambio di informazioni volto a garantire un migliore livello di conoscenza del professionista in mobilità oggetto di specifica procedura di riconoscimento, in particolare per quel che attiene alle sanzioni disciplinari e penali.
Per quanto riguarda, poi, il contenuto del Titolo II si ricorda, in particolare, che le disposizioni in esso contenute, oltre a fissare il principio generale secondo cui la natura temporanea o occasionale della prestazione di servizi resa sul territorio nazionale è oggetto di valutazione da parte dell’autorità deputata al riconoscimento della qualifica, consentono, altresì, l'applicazione, a carico del prestatore, delle norme disciplinari previste dall'ordinamento italiano per la professione corrispondente a quella che è ammesso ad esercitare.
Sono, poi, definiti gli adempimenti necessari per l’esercizio della prestazione temporanea ed occasionale, con particolare riferimento ad alcune professioni sensibili per la salute e la sicurezza pubblica (vedi capitolo Professioni sanitarie nel dossier relativo alla Commissione Affari sociali).
A sua volta, il Titolo III del decreto legislativo disciplina la procedura per il riconoscimento di una professione in regime di stabilimento, con particolare riferimento agli adempimenti previsti per il riconoscimento.
Al riguardo, si osserva che il riconoscimento della qualifica si fonda sulla catalogazione in cinque livelli delle possibili formazioni previste per l’accesso ad una professione, i quali risultano chiaramente graduati sulla base della struttura della formazione, volta a stabilire le condizioni per il riconoscimento.
Da ultimo, il Titolo IV reca talune disposizioni finali concernenti, sia le abrogazioni disposte dal provvedimento, sia la libera prestazione di servizi per l'attività di guida turistica e di accompagnatore turistico.
Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (cd. decreto Bersani) come modificato dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, ha inteso dare attuazione al principio comunitario di libera concorrenza e libera di circolazione delle persone e dei servizi, nonché ad assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (vedi capitolo Interventi di liberalizzazionenel dossier relativo alla Commissione Attività produttive).
In particolare, l’articolo 2 del provvedimento(Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali) abroga le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
§ l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
§ il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine;
§ il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.
Il decreto “Bersani”, novellando poi l'articolo 2233 del codice civile, sancisce la nullità, in mancanza di redazione in forma scritta, dei patti, conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti, che stabiliscono i compensi professionali. In base alla nuova formulazione, risulta soppresso il divieto del cosiddetto patto di quota-lite, di cui al terzo comma del previgente articolo 2233 del codice civile, ove si prevedeva che «Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni»[32].
Tale disposizione completa, dunque, la citata previsione relativa all’abrogazione dei divieti di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
Altra norma di interesse del citato decreto legge n. 223 del 2006 è l’articolo 35 comma 12 che integra il contenuto dell’articolo 19 (Scritture contabili degli esercenti arti e professioni) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).
Per effetto di tale novella, gli esercenti arti o professioni, anche in forma associata, sono obbligati a tenere uno o più conti correnti bancari o postali, in cui devono far affluire le somme riscosse nell’esercizio dell’attività ed effettuare i prelevamenti per il pagamento delle spese.
Inoltre, è disposto che i relativi compensi in denaro - se unitariamente superiori a 100 euro - vengano riscossi esclusivamente attraverso assegni non trasferibili, bonifici, oppure altre modalità di pagamento bancario o postale, nonché mediante sistemi di pagamento elettronico.
Attività presso le istituzioni dell’Unione
europea
(a
cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)
La più recente attività delle Istituzioni dell’Unione europea nel settore della cooperazione giudiziaria civile e penale, conformemente alle indicazioni contenute nel programma dell’Aja per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, si è incentrata sulla presentazione di misure volte a rafforzare la cooperazione tra le autorità giudiziarie nazionali e a completare l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni, al fine ultimo di garantirne la debita esecuzione. In materia penale è stato inoltre posto l’accento sulla necessità di un potenziamento di Eurojust e del riavvicinamento delle legislazioni nazionali in particolare sotto il profilo della definizione dei reati e della previsione di sanzioni minime.
In questo quadro, il 4 febbraio 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa alla creazione di un Forum di discussione sulle politiche e sulle prassi dell’Unione europea nel settore della giustizia (COM2008)38).
Il forum sarà concepito come una piattaforma permanente di dialogo con le parti interessate, allo scopo di fornire alla Commissione i pareri di specialisti sulla politica e sulle normative dell’UE nel settore della giustizia in materia civile e penale e di promuovere la fiducia reciproca fra i vari sistemi nazionali, migliorandone la mutua comprensione.
Nell’ambito delle iniziative volte al rafforzamento della cooperazione giudiziaria particolare rilevanza rivestono i lavori in corso per l’elaborazione di un progetto di Giustizia elettronica.
Il 20 novembre 2006 il Gruppo “Informatica giuridica” del Consiglio ha ricevuto dal Coreper l’incarico di avviare lavori sulla cooperazione informatica nel settore giudiziario al fine di valutare la possibilità di istituire una piattaforma di interconnessione a livello UE che colleghi i sistemi elettronici già esistenti negli Stati membri (portale “Giustizia elettronica”)[33]. I risultati dei lavori finora condotti sono stati analizzati dal Consiglio giustizia e affari interni nelle riunioni del 12-13 giugno 2007 e del 6 dicembre 2007. Un’ulteriore relazione sui progressi compiuti è attesa per il mese di giugno 2008. L’importanza della promozione della comunicazione elettronica nel settore giuridico in materia penale e civile è stata peraltro affermata dal Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007.
Tra le iniziative in corso di esame da parte delle Istituzioni europee si segnalano:
§ la proposta di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e alla esecuzione delle decisioni e alla cooperazione giudiziaria in materia di obbligazioni alimentari (COM(2005)649);
§ la proposta di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. ROMA I) (COM(2005)650). La proposta mira alla modernizzazione e alla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
§ la proposta di regolamento, che modifica il regolamento (CE) n.2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale (c.d. ROMA III) (COM(2006)399);
Il 6 marzo 2008 la Commissione ha presentato il Libro verde “L’esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell’Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore” (COM(2008)128) nella quale esamina i problemi inerenti al recupero transfrontaliero dei crediti e lancia una consultazione relativamente ad alcune possibili soluzioni.
Il23 ottobre 2007, la Commissione ha adottato una comunicazione sul ruolo di Eurojust e della rete giudiziaria europea nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata (COM(2007)644), a cui ha fatto seguito la presentazione di una proposta di decisione relativa al rafforzamento di Eurojust (GAI(2008)3).
Nel quadro di attuazione del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni in materia penale, tra le più recenti iniziative all’esame delle istituzioni europee si segnalano:
§ la proposta di decisione quadro relativa all’ordinanza cautelare europea nel corso delle indagini preliminari tra gli Stati membri dell’Unione europea (COM(2006)468);
§ la proposta di decisione quadro relativa al riconoscimento e alla sorveglianza della sospensione condizionale delle pene, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali (GAI(2007)4).
§ la proposta di decisione quadro relativa all’esecuzione delle sentenze contumaciali (GAI(2008)2), presentata il 14 gennaio 2008.
Politiche
legislative nei principali Paesi europei
(a cura del Servizio Biblioteca –
Ufficio Legislazione straniera)
Nel 2006 l’opinione pubblica francese è stata scossa dall’esito di un processo per pedofilia (l’affaire d’Outreau) considerato come il più grave errore giudiziario della storia recente del paese. Il caso è stato oggetto di approfondimento da parte di una Commissione di inchiesta istituita dall’Assemblea nazionale che, nel suo rapporto conclusivo, ha evidenziato disfunzioni nell’ambito dell’istituzione giudiziaria e l’urgenza di promuovere alcune modifiche sostanziali. Il Ministro della giustizia, basandosi sulle considerazioni della Commissione, ha promosso un pacchetto di riforme che ha portato all’approvazione di due provvedimenti di riforma relativi alla magistratura e allo svolgimento del processo penale.
La Loi organique n. 2007-287 relative au recrutement, à la formation et à la responsabilité des magistrats[34]del 5 marzo 2007 modifica le norme sulla valutazione delle competenze dei magistrati, la responsabilità e le sanzioni disciplinari.
Riguardo al primo punto, in precedenza era prevista la selezione dei candidati ammessi alla Scuola nazionale della magistratura, prima della loro nomina, ma tale selezione non era prevista per i magistrati assunti con concorso complementare o a titolo temporaneo e per i giudici di prossimità ed era solo facoltativa per quelli assunti in base a titoli di merito. La riforma ha generalizzato le prove attitudinali, prevedendo che prima della nomina tutti i candidati alla magistratura siano selezionati in base alle loro competenze tecniche ed etiche.
In materia disciplinare la legge completa l’apparato sanzionatorio, prevedendo la possibilità di sospendere un magistrato dall’esercizio della funzione di giudice unico per una durata massima di cinque anni, qualora il suo comportamento suggerisca la necessità di inserirlo in una formazione collegiale. Inoltre sono previste delle sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati che abbiano causato un mal funzionamento del servizio pubblico di giustizia, qualora lo Stato sia ritenuto responsabile civilmente in base ad una decisione definitiva di una giurisdizione nazionale o internazionale.
Per quanto riguarda le regole di condotta dei magistrati, la legge dispone che il Consiglio superiore della magistratura dovrà elaborare e rendere pubblico un documento in cui siano elencati gli obblighi deontologici cui sono sottoposti i magistrati. Il CSM potrà inoltre controllare i magistrati che abbiano fatto domanda di distaccamento o di disponibilità per esercitare un’attività presso un’altra amministrazione dello Stato o nel settore privato.
La legge prevede infine una particolare procedura di sospensione dei magistrati per comportamenti scorretti dovuti a motivi di ordine patologico. In tal caso è stato proposto di attribuire al Ministro della giustizia la facoltà di sospendere immediatamente un magistrato il cui comportamento risulti incompatibile con l’esercizio delle sue funzioni e giustifichi il ricorso ad un comitato medico, con la garanzia del parere conforme del Consiglio superiore della magistratura.
La riforma della giustizia ha portato inoltre all’approvazione della Loi n. 2007-291 du 5 mars 2007 tendant à renforcer l’équilibre de la procédure pénale[35] che persegue cinque obiettivi principali:
§ migliorare la coerenza dell’organizzazione territoriale dei giudici istruttori al fine di favorire il lavoro di equipe;
§ assicurare il carattere eccezionale della detenzione provvisoria;
§ migliorare il contraddittorio sia nel corso dell’inchiesta che dell’istruzione;
§ rendere effettivo il principio della celerità del processo penale;
§ rafforzare la protezione dei minori vittime di reati.
Nel campo della giustizia il legislatore tedesco è intervenuto, negli ultimi due anni, con provvedimenti che incidono sull’organizzazione degli uffici giudiziari e sullo svolgimento dei processi.
Con la Gesetz zur Errichtung und zur Regelung der Aufgaben des Bundesamts für Justiz, vom 5. Dezember 2006[36] (Legge sull’istituzione e la regolamentazione delle funzioni dell’Ufficio federale della giustizia) è stata istituita una nuova suprema autorità federale nell’ambito delle competenze del Ministero federale della giustizia, con il compito di svolgere in modo più proficuo una serie di attività che rientrano nella sfera della cooperazione giudiziaria internazionale.
Sempre più spesso, infatti, gli accordi internazionali, nonché gli atti comunitari, impegnano gli Stati contraenti, o gli Stati membri nel caso dell’Unione europea, a nominare un apposito ufficio centrale o un punto di contatto nazionale ai fini dell’assistenza giudiziaria transfrontaliera. Nei compiti che concretamente saranno svolti dalla nuova autorità federale sono infatti comprese le procedure relative alle estradizioni e all’assistenza giudiziaria ad altri Paesi, così come le adozioni internazionali, la riscossione degli obbligazioni alimentari all’estero e le controversie internazionali in materia di affidamento dei minori.
La creazione del Bundesamts für Justiz, cui sono attribuite anche funzioni di autorità di servizi a livello centrale (registrazione degli atti, assistenza giudiziaria internazionale, persecuzione e punizione dei reati e amministrazione generale della giustizia), risponde inoltre all’esigenza di riorganizzazione dell’amministrazione federale della giustizia, allo scopo di ottenere una maggiore trasparenza e sensibilità alle esigenze dei cittadini secondo gli obiettivi perseguiti dal Programma del Governo federale intitolato “Stato moderno - Amministrazione moderna” (Moderner Staat - Moderne Verwaltung), varato il 1° dicembre 1999 e riconfermato con una nuova decisione governativa il 16 giugno 2004.
Una riforma di ampio respiro è contenuta nella Zweites Gesetz zur Modernisierung der Justiz (2. Justizmodernisierungsgesetz), vom 22. Dezember 2006[37](Seconda legge sulla modernizzazione della giustizia)che contiene una vasta gamma di misure che riguardano quasi tutti i settori della giustizia. Nel complesso il provvedimento modifica 25 leggi federali al fine di migliorare la procedura giudiziaria soprattutto in termini di accessibilità e di risparmio dei costi.
Sono state così modificate alcune disposizioni del codice di procedura civile relative alle perizie e al procedimento di ingiunzione, promuovendo una maggiore informatizzazione delle procedure giudiziarie. Inoltre la legge amplia le possibilità di tutela giuridica in caso di violazione dei diritti umani.
Un altro importante obiettivo perseguito dalla nuova legge sulla modernizzazione della giustizia consiste nel garantire la qualità della giurisprudenza mediante l’aggiornamento professionale dei magistrati. Alcune modifiche alla normativa vigente sullo stato giuridico dei giudici consentono anche ai cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, in possesso di diploma universitario in giurisprudenza, di accedere - previo superamento di un esame - al servizio giuridico preparatorio.
Per quanto concerne il diritto penale, è stata particolarmente rafforzata la tutela delle vittime di reati commessi sia da persone adulte che da giovani in età compresa tra 18 e 20 anni e minorenni. Inoltre alcune disposizioni mirano a garantire una maggiore sicurezza ai cittadini, come ad esempio la possibilità di mantenere in custodia cautelare individui pericolosi e condannati in primo grado per violenza e stupro.
Nel 2007 è stata infine promulgata la Zweites Gesetz zur Änderung des Jugendgerichtsgesetzes und anderer Gesetze, vom 13 Dezember 2007[38] (Seconda legge di modifica della normativa sui tribunali minorili)con cui il Parlamento tedesco ha inteso ampliare le possibilità della tutela giurisdizionale dei giovani sottoposti a misure penali. In particolare è utile segnalare che l’esecuzione della pena detentiva, precedentemente regolata solo nei tratti fondamentali, con l’entrata in vigore della riforma sul federalismo (1° settembre 2006), è stata attribuita alla competenza dei Länder. Pertanto, la nuova legge adegua l’ordinamento alle indicazioni espresse dalla Corte costituzionale federale che, nella sentenza del 31 maggio 2006, ha chiesto la riorganizzazione delle vie legali nell’ambito dell’esecuzione penale minorile, sottolineando la necessità che l’esecuzione della pena abbia un proprio fondamento legislativo.
Una fondamentale riforma del potere giudiziario è stata varata nel Regno Unito nel 2005 con il Constitutional Reform Act 2005[39] che si basa sui principi dell’indipendenza dei giudici e della salvaguardia del principio della legalità.
L’aspetto cruciale di tali innovazioni costituzionali è costituito dalla separazione della funzione legislativa da quella di alta giurisdizione, quest’ultima assegnata ad una Corte Suprema di nuova istituzione e non più alla Camera dei Lord e dalla ridefinizione delle attribuzioni tradizionalmente proprie della figura del Lord Chancellor nell’ordinamento britannico che rivestiva, fino al 2005, sia le funzioni di presidente della Camera dei Lord e ministro del Cabinet, sia quelle di vertice dell’ordinamento giudiziario.
Nel periodo qui considerato, la riforma costituzionale è stata oggetto del documento “Establishing a Supreme Court for the United Kingdom”,[40] rapporto ministeriale pubblicato dal Dipartimento per gli Affari Costituzionali il 1° marzo 2007, che dà conto dello stato di attuazione del Constitutional Reform Act,chiarendo il campo d’azione della nuova Corte Suprema e richiamandone le principali competenze: l’organo ha cognizione sui profili di legittimità nei gradi di appello delle cause di “generale importanza pubblica”, è giudice di ultima istanza nelle cause civili e penali ed è competente per la “devolution jurisdiction”.
Un altro intervento legislativo di riforma della giustizia è rappresentato dal Tribunals, Courts and Enforcement Act 2007,[41]legge promulgata il 29 luglio 2007, che, in attuazione di linee programmatiche enunciate in una serie di documenti preparatori perlopiù di fonte governativa o redatti dalla Law Commission, reca modifiche all’ordinamento giudiziario e innova la disciplina di materie particolari, tra cui, principalmente, il procedimento esecutivo civile.
Le disposizioni di maggior rilievo e connotate da maggiore organicità sono quelle finalizzate ad una razionalizzazione del sistema dei tribunali e ad una contestuale riforma della disciplina delle impugnazioni.
Giova in proposito rammentare che, nel sistema giudiziario britannico, a differenza delle corti (courts), i tribunals non fanno parte della magistratura ordinaria ma si configurano come giurisdizioni speciali, istituite con leggi ad hoc e di impianto settoriale; essi hanno, di norma, cognizione sulle controversie insorte tra i cittadini e la pubblica amministrazione (è il caso degli administrative tribunals, competenti, tra l’altro, in materia fiscale o di immigrazione) oppure tra i privati in ambiti determinati (tipicamente, in materia lavoristica). Il notevole incremento dei tribunals nel corso degli ultimi decenni non è stato però privo di effetti sul piano della frammentazione delle competenze e della diversità delle regole procedurali, al punto che di tali organismi è stata messa in questione la complessiva efficienza e affidabilità.
Da tali premesse deriva il provvedimento in esame. Esso istituisce due nuovi tribunali a competenza generale, il First-tier Tribunal e l’Upper Tribunal, in capo ai quali vengono concentrate le funzioni giurisdizionali di tipo settoriale finora esercitate da tribunali già esistenti. Dei nuovi organismi si definiscono inoltre la struttura e i requisiti dei membri. Al vertice del sistema così delineato sono preposti il Senior President of Tribunals e l’Administrative Justice and Tribunals Council.
Corollario della riforma è la previsione di una disciplina omogenea delle impugnative, in luogo del precedente regime fondato sul riesame delle decisioni da parte di un altro tribunale oppure, a seconda dei casi, sulla loro appellabilità dinanzi alla High Court. Si dispone ora che una decisione resa dal First-tier Tribunal possa essere impugnata per motivi di legittimità dinanzi all’Upper Tribunal, e che un appello ulteriore sia esperibile dinanzi ad una corte ordinaria.
Con la legge n. 64 del 2006 (Loi n. 2006-64 du 23 janvier 2006 relative à la lutte contre le terrorisme et portant dispositions diverses relatives à la sécurité et aux contrôles frontaliers)[42]la Francia ha inteso integrare le disposizioni adottate dopo l’attentato dell’11 settembre relativamente alla sicurezza interna e alla lotta alla criminalità, al fine di rafforzare ulteriormente la capacità dello Stato di affrontare la minaccia terroristica.
Uno dei tratti caratterizzanti e più controversi della legge è il rafforzamento di alcuni poteri della polizia amministrativa e giudiziaria, nello svolgimento di attività di prevenzione e repressione di atti terroristici, per il cui esercizio non è più previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria.
A tale riguardo il provvedimento è stato deferito, prima della sua promulgazione, al Consiglio Costituzionale che, con sentenza n. 2005-532 del 19 gennaio 2006, ha deciso che le disposizioni adottate non sono contrarie alla Costituzione.
Le legge estende il ricorso alla videosorveglianza nei luoghi aperti al pubblico, quali aeroporti, stazioni ferroviarie, luoghi di culto, ed anche impianti industriali o commerciali particolarmente sensibili. Vengono poi facilitati i controlli sulle comunicazioni telefoniche o in rete dei soggetti sospettati. A tale scopo vengono anche semplificati i controlli di identità sui treni internazionali e viene facilitato l’accesso, da parte delle forze di polizia, ai dati personali degli utenti delle compagnie aeree, ferroviarie e marittime. Per quanto riguarda il controllo delle comunicazioni il testo in esame precisa la definizione di operatore delle comunicazioni elettroniche, includendovi anche chi, a titolo professionale, offre al pubblico una connessione che consenta la comunicazione in linea (cybercafé) e autorizza le forze di polizia ad ottenere dagli operatori i dati tecnici relativi alle connessioni.
La legge autorizza, inoltre, la creazione di un sistema automatizzato in cui raccogliere e trattare i dati personali di cui dispongono le forze di polizia; viene estesa la possibilità per i servizi di polizia, specificamente incaricati della lotta al terrorismo, di consultare alcuni archivi del Ministero dell’Interno; è consentita altresì la sorveglianza automatica dei veicoli in alcune zone a rischio, allo scopo di segnalare il passaggio di potenziali terroristi in alcuni punti del territorio.
Con alcune modifiche al codice penale vengono aggravate le pene previste per i reati di terrorismo. Sono dettate disposizioni in favore delle vittime degli atti terroristici e viene esteso il diritto a beneficiare di un indennizzo a soggetti anche di nazionalità straniera. Vengono ridefinite le modalità di diffusione dei servizi televisivi satellitari e vengono dettate norme relative alla lotta contro il finanziamento delle attività terroristiche, con la previsione di procedure rapide per il blocco dei beni delle persone fisiche o giuridiche. Per quanto riguarda la sicurezza degli aeroporti ed al fine di evitare l’assunzione di individui segnalati come potenziali terroristi da parte delle società di sicurezza privata che operano nel settore, la legge stabilisce che ad esse può essere negata l’autorizzazione ad operare se tra il loro personale figurano soggetti ritenuti pericolosi.
In considerazione del carattere eccezionale delle norme dettate, è prevista una nuova discussione parlamentare entro un termine di tre anni. La legge resterà pertanto in vigore fino al 31 dicembre 2008.
La Germania ha affrontato il problema del terrorismo internazionale con diversi interventi legislativi.
Il 31 dicembre 2006 è entrata in vigore la legge che pone la base giuridica per l’istituzione di una banca dati centrale antiterrorismo, Gesetz zur Errichtung gemeinsamer Dateien von Polizeibehörden und Nachrichtendiensten des Bundes und der Länder (Gemeinsame-Dateien-Gesetz), vom 22. Dezember 2006[43](Legge per l’istituzione di banche dati comuni delle autorità di polizia e dei servizi di informazione e sicurezza della Federazione e dei Länder)e autorizza altri progetti comuni, di analogo tenore, tra forze di polizia e servizi di intelligence. Lo scopo del provvedimento è sostenere e rafforzare la collaborazione tra le autorità responsabili della sicurezza, a tutti i livelli, migliorando lo scambio di informazioni al fine di fronteggiare in modo più efficace la crescente minaccia del terrorismo internazionale. La banca dati (Antiterrordatei – ATD) è ubicata presso l’Ufficio federale anticrimine (Bundeskriminalamt). La legge elenca i soggetti autorizzati alla lettura e alla scrittura dei dati senza però attribuire loro nuove competenze: viene soltanto autorizzata la costruzione di una banca dati centrale e viene stabilito quali soggetti possono contribuire a formarla e consultarla riversando in essa i dati già in loro possesso e quelli che sono autorizzati a raccogliere secondo la normativa vigente.
La legge opera una distinzione tra dati fondamentali e dati cd. “allargati” (erweiterte Grunddaten).
Alla prima categoria appartengono principalmente i dati anagrafici e i connotati identificativi, mentre la seconda comprende una lunga serie di informazioni più dettagliate che hanno a che fare con il settore delle telecomunicazioni, quello bancario, la confessione religiosa, la capacità di pilotare un aereo, ecc. La differenza tra queste due categorie riguarda, da una parte l’obbligo di inserimento (ineludibile per i dati fondamentali mentre in casi eccezionali e per ragioni di sicurezza, per i dati “allargati” si può prescindere, totalmente o parzialmente, dalla loro registrazione) dall’altra l’accesso (i dati fondamentali sono sempre visibili, mentre quelli “allargati” possono essere consultati soltanto previa richiesta all’autorità incaricata della loro registrazione).
Al fine di garantire la segretezza e la riservatezza delle informazioni contenute nella banca viene prevista la registrazione di ogni accesso.
Oltre all’istituzione dell’Antiterrordatei, la nuova legge prevede anche la possibilità di creare progetti di archivi comuni (Projektdateien) a tempo determinato, al fine di promuovere una maggiore cooperazione tra polizia e servizi di sicurezza.
La legge istitutiva della banca dati antiterrorismo resterà in vigore per undici anni, fino al 30 dicembre 2017, ma dopo i primi cinque anni di applicazione è prevista una valutazione effettuata anche con l’ausilio di un esperto scelto d’intesa con il Bundestag.
Il 10 gennaio 2007 è entrato poi in vigore il nuovo pacchetto di disposizioni anti-terrorismo Gesetz zur Ergänzung des Terrorismusbekämpfungsgesetzes (Terrorismusbekämpfungsergänzungsgesetz) vom 5. Januar 2007[44] (Legge di integrazione alla legge sulla lotta contro il terrorismo)al fine di impedire l’ingresso di possibili terroristi in Germania e rafforzare i controlli sulle organizzazioni estremiste all’interno del paese. Tale legge integra la legge sulla lotta al terrorismo internazionale del 19 gennaio 2002 prorogando, per altri cinque anni, e ampliando l’accesso alle informazioni e ai dati personali relativi alla sicurezza sociale da parte delle autorità e dei servizi responsabili per la sicurezza interna. I diritti all’informazione riconosciuti all’Ufficio federale per la tutela della costituzione vengono estesi anche ai servizi di intelligence civili e militari che potranno rivolgersi alle compagnie aeree, alle banche e agli istituti finanziari, alle poste e alle società di telecomunicazioni per ottenere dati informativi non solo nei casi di sospetto terroristico ma anche di tendenze violente finalizzate alla sovversione dell’ordinamento liberale e democratico (c.d. terrorismo homegrown). La legge stabilisce in maniera dettagliata il regime di autorizzazioni necessarie per ottenere i dati e rimette alla Commissione G-10 (l’organo incaricato di decidere in merito alla necessità e all’ammissibilità di misure restrittive nell’ambito del segreto epistolare della posta e delle telecomunicazioni) la valutazione circa la rielaborazione e l’utilizzo dei dati stessi.
Infine il Parlamento federale, nell’ambito della competenza legislativa concorrente in materia penale, ha approvato la legge di attuazione della Convenzione internazionale delle Nazioni Unite del 13 aprile 2005 per la repressione di atti di terrorismo nucleareGesetz zur Umsetzung des VN-Übereinkommens vom 13. April 2005 zur Bekämpfung nuklearterroristischer Handlungen, vom 26. Oktober 2007[45] (Legge di attuazione della Convenzione internazionale delle Nazioni Unite del 13 aprile 2005 per la repressione di atti di terrorismo nucleare) apportando alcune modifiche agli articoli 309 e 310 del Codice penale e introducendo il concetto di “danno sostanziale all’ambiente”. E’ stato costruito un apparato sanzionatorio unitario, volto a garantire la punibilità di chi intenzionalmente causi gravi danni alle risorse naturali ed ambientali.
Ad esito di un iter alquanto travagliato, che ha avuto notevole risonanza anche nell’opinione pubblica, è stato approvato il provvedimento in materia di terrorismo, d’iniziativa del Governo, Terrorism Act 2006.[46]
La legge è intervenuta a modificare la legislazione in materia di ordine pubblico al fine di rafforzare i poteri degli organi di polizia e dei servizi segreti dinanzi alla minaccia del terrorismo internazionale, e costituisce l’elemento portante di un più ampio disegno normativo di cui sono completamento, da un lato, la revisione della disciplina dell’immigrazione e del diritto d’asilo e, dall’altro, l’introduzione dell’obbligo del documento di identità personale (profili regolati, rispettivamente, dall’Immigration, Asylum and Nationality Act 2006 e dall’Identity Cards Act 2006).
La legge introduce la nuova figura di reato consistente nell’incoraggiamento del terrorismo (in ottemperanza all’obbligo posto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, art. 5, agli Stati aderenti di prevedere come reato, nei loro ordinamenti, la “provocazione pubblica a commettere atti terroristici”). Nella fattispecie criminosa ricade, in particolare, il contegno diretto a esaltare gli atti terroristici, perseguibile in quanto idoneo, per le modalità utilizzate o per le circostanze in cui è posto in essere, a suscitare l’emulazione. Si è ricercato, in tal modo, il bilanciamento tra la libertà di espressione e il pericolo rappresentato dall’influenza che, in contesti religiosi o a questi assimilabili, può essere esercitata sugli elementi più radicali di taluni gruppi sociali.
Gli altri reati, in parte previsti già nella precedente legislazione, sono più ampiamente formulati, oppure ne vengono inasprite le sanzioni: è il caso, ad esempio, della diffusione di pubblicazioni che possano in vario modo incentivare il terrorismo (incluso il mezzo telematico), dell’addestramento ad attività di natura terroristica, del possesso di armi, materiali o dispositivi suscettibili di essere impiegati in attentati.
Si dispone inoltre che l’esercizio dell’azione penale concernente i suddetti reati, qualora essi riguardino, anche solo in parte, gli interessi o le attribuzioni di uno Stato estero, sia sottoposta all’assenso concorrente dell’organo che ne ha la titolarità in ambito nazionale (ossia il Director of Public Prosecution attraverso il suo Ufficio competente per territorio) e dell’Attorney General (investito di compiti di consulenza giuridica nei confronti del Governo). Ciò vale a precostituire una garanzia rispetto a decisioni inappropriate che possono essere assunte nel quadro delle eventuali attività ultraterritoriali di repressione del terrorismo, rese necessarie dalla stessa natura del fenomeno.
Inoltre, nell’ottobre del 2007 è stato approvato il Serious Crime Act 2007[47]finalizzato all’adozione di nuove strategie per la lotta alla criminalità organizzata. Tra le disposizioni, oltre ad una maggiore interazione nello scambio di informazioni tra il settore privato e le autorità pubbliche, viene previsto un nuovo tipo di provvedimento giudiziale di natura non sanzionatoria bensì inibitoria (civil order) finalizzato a prevenire il crimine organizzato attraverso l’imposizione di restrizioni nei confronti di soggetti coinvolti in attività criminali.
Con la legge organica 10/2007 (Ley Orgánica 10/2007, de 8 de octubre, reguladora de la base de datos policial sobre identificadores obtenidos a partir del ADN)[48]il legislatore spagnolo ha inteso integrare la legge 15/2003 con cui era stata data copertura giuridica alle pratiche investigative basate sull’analisi del DNA. La legge del 2003 consentiva di prelevare ed esaminare il DNA da campioni biologici ritrovati sulla scena di un crimine oppure da persone sospettate, in modo da inserire i risultati in una base di dati, ma esclusivamente per la risoluzione del caso concreto senza consentire, dunque, la creazione di un archivio centralizzato di tutti i profili genetici ottenuti nella soluzione dei singoli casi, impedendone, di fatto, impediva l’utilizzo nell’ambito di altre indagini.
L’obiettivo fondamentale è la creazione di una banca dati unica, che integri gli archivi delle forze e dei corpi preposti alla sicurezza dello Stato, in cui siano contenuti i dati identificativi ottenuti a partire dalle analisi del DNA, ottenuti nell’ambito di un’investigazione o nei procedimenti per il riconoscimento di cadaveri o per il ritrovamento di persone scomparse. La banca dati dipenderà del Ministero dell’Interno, attraverso la Segreteria di Stato per la Sicurezza.
La legge garantisce la tutela sostanziale del diritto alla privacy, in quanto i soli dati divulgabili in relazione ai profili genetici inseriti nella banca dati sono l’identità della persona e il sesso, ma in nessun caso quelli che permettono di rivelare qualunque altro dato o caratteristica genetica. Altra forma di tutela si rinviene nel particolare accreditamento di cui devono godere i laboratori che effettuano le analisi.
Ordinamento giudiziario
La legge 24 ottobre 2006 n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema ordinamento giudiziario), interviene su tre dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega contenuta nella legge 25 luglio 2005, n. 150, che ha innovato e modificato profondamente la disciplina dell’Ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.
La legge 269/2006 ha disposto, secondo i casi, la sospensione dell’efficacia o la modifica del contenuto dei decreti legislativi nn. 106, 109 e 160 del 2006 dettando, inoltre, ulteriori modifiche e prevedendo una specifica disciplina transitoria.
La necessità dell’intervento normativo risiedeva nel fatto che la concreta operatività di questi decreti legislativi avrebbe comportato la tempestiva riorganizzazione di interi settori dell’apparato giudiziario e, nello stesso tempo, la realizzazione di numerose e complesse attività da parte del Consiglio superiore della magistratura, nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali.
Peraltro la decorrenza di efficacia dei tre decreti legislativi (fissata al novantesimo giorno successivo alla pubblicazione degli stessi in Gazzetta Ufficiale) ha di fatto coinciso con la scadenza, nel luglio 2006, del Consiglio superiore della magistratura in carica, con la conseguenza che, come evidenziato nella relazione del Governo al provvedimento, l’Ordine giudiziario sarebbe stato privo di un governo autonomo nella pienezza dei suoi poteri; l’operatività dei suddetti decreti legislativi avrebbe, invece, richiesto un immediato e concreto impegno del CSM nell’attuazione di una normativa completamente nuova rispetto all’impianto anteriore.
La legge si compone di 4 articoli.
L’articolo 1, al comma 1, sospende fino al 31 luglio 2007 l’efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150).
Il decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 attua la previsione contenuta negli articoli 1, comma 1, lettera a) e 2, comma 1, lettere da a) ad r), della legge 25 luglio 2005 n. 150, laddove si prevede che sia modificata la disciplina per l’accesso in magistratura, nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati.
Il provvedimento stabilisce nuove modalità di accesso e tirocinio, di avanzamento, di passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, di assegnazione di posti di funzione di primo e secondo grado e di legittimità, nonché una nuova disciplina per i concorsi e le relative commissioni, per il conferimento degli incarichi direttivi, per il ricollocamento in ruolo, per la progressione economica.
Il comma 2dell’articolo 1apporta, invece, alcune modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera d) della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 attua la previsione contenuta negli articoli 1, comma 1, lettera d) , e 2, comma 4, della legge 150/2005, dove, in particolare, si prevede che vengano emanati uno o più decreti legislativi diretti alla riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero.
In linea generale, il legislatore delegante ha inteso accentuare la gerarchizzazione dell’ufficio di procura delineando un assetto nel quale la titolarità del potere organizzativo e dell'esercizio dell'azione penale siano riconosciute in via esclusiva al procuratore della Repubblica, il quale, li esercita personalmente ovvero mediante delega ai magistrati dell'ufficio, assicurando il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale e delle norme sul giusto processo.
In particolare,la lettera a) del comma 2 sopprime, all’articolo 1 del decreto legislativo 106/2006, le parole “sotto la propria responsabilità”, espressione questa riferita all’esercizio dell’azione penale da parte del procuratore della Repubblica nei modi e termini previsti dalla legge.
La lettera b) sostituisce l’articolo 2 del citato decreto legislativo, relativo alla titolarità dell’azione penale, stabilendo il principio secondo il quale il procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell’azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione ad uno o più magistrati dell’ufficio, assegnazione che può riguardare anche uno o più procedimenti o singoli atti di essi.
Sostanzialmente viene quindi sostituito al meccanismo della delega quello dell’assegnazione, rimanendo per il resto inalterate le rimanenti previsioni, tra le quali quella riguardante la facoltà per il procuratore della Repubblica, con l’atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, di stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell’esercizio della relativa attività e di revocare l’assegnazione nel caso in cui il magistrato non si attenga ai principi stabiliti dal procuratore oppure insorga un contrasto tra i due circa le modalità di esercizio.
E’ stata comunque soppressa la previsione di inserimento nel fascicolo personale del magistrato, del provvedimento di revoca delle delega e delle eventuali osservazioni del delegato.
Il comma 3 apporta alcune modifiche al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f) della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 dà attuazione alla delega contenuta nella legge 150/2005 (art. 1 comma 1, lett. f) relativa alla individuazione delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicazione, nonché alla modifica della disciplina in tema di incompatibilità, di dispensa dal servizio e di trasferimento d'ufficio, secondo i principi e criteri direttivi previsti dall'art. 2, commi 6 e 7.
Il decreto consta di 32 articoli divisi in quattro capi, rispettivamente dedicati alla normativa di diritto sostanziale sulla responsabilità disciplinare (capo I), al procedimento disciplinare (capo II), alle incompatibilità, alla dispensa dal servizio ed al trasferimento d'ufficio (capo III), alle disposizioni finali ed all'ambito di applicazione (capo V).
Punto saliente della novella è la modifica delle fattispecie di illecito disciplinare previste dalla legislazione vigente, pur mantenendo fermo il principio della tipizzazione che rappresenta la grande novità del sistema.
Per quanto riguarda, poi il procedimento disciplinare, pur mantenendo il principio dell’obbligatorietà della relativa azione, si è tuttavia introdotto un meccanismo di filtro che consenta di esaminare preventivamente esposti manifestamente infondati o che concernono questioni a prima vista non suscettibili di sanzione disciplinare senza dover impegnare in tutto il procedimento la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. E’ stato anche previsto un meccanismo per evitare che questo filtro possa tradursi in rapide archiviazioni prevedendo la possibilità di ricorrere contro la prima pronuncia di manifesta infondatezza, con un meccanismo che garantisce sia l’esigenza di una certa rapidità del procedimento disciplinare sia quella del magistrato che fosse chiamato in causa di avere una chiara risposta, che quella del cittadino o di chi abbia proposto l’esposto di ricevere una risposta da parte dell’ordinamento.
E’ stato, inoltre, portato a due anni il periodo di tempo concesso al procuratore generale per l’esaurimento della fase istruttoria nonché il tempo previsto per la sezione disciplinare per l’emissione della relativa sentenza.
Venendo all’esame più specifico delle modificazioni apportate al testo del decreto legislativo 109/2006, la lettera a) del comma 3 abroga i commi 2 e 3 dell’articolo 1, concernente i doveri del magistrato.
La lettera b) del comma 3, poi, detta una serie di modifiche all’articolo 2 del citato decreto legislativo, che definisce ed elenca gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni.
In particolare, viene in primo luogo abrogata la lettera i), che qualifica come illecito disciplinare del magistrato il perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzione giudiziaria.
Viene, inoltre, sostituita, rendendone più stringente la formulazione, la lettera v), nel senso di qualificare come illecito disciplinare le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 riguardante le regole da osservare in tema di rapporti con gli organi di informazione.
Viene conseguentemente anche abrogata la lettera z) che qualifica autonomamente come illecito disciplinare la violazione delle citate regole in tema di rapporti con gli organi di informazione.
Viene, inoltre, soppressa la lettera bb) che qualifica come illecito il rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura.
Anche la sostituzione della lettera ff) è diretta a rendere più stringente la qualificazione del relativo illecito disciplinare limitato all’adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza.
La lettera c), sostituendo il comma 2 dell’articolo 2 del decreto legislativo 109/2006, amplia, poi, le ipotesi di esclusione della responsabilità disciplinare prevedendo tale esclusione non soltanto in presenza di interpretazione di norme di diritto ma anche di valutazione del fatto e delle prove.
La lettera d)dispone le modifiche all’articolo 3 del citato decreto legislativo, concernente gli illeciti disciplinari commessi fuori dall’esercizio delle funzioni.
Al riguardo, sono abrogate le lettere f) ed l) riguardanti, rispettivamente, la qualificazione come illecito disciplinare della pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o le modalità di espressione del giudizio, tale manifestazione sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo, e di ogni altro comportamento idoneo a compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza, e sostituendo le lettere h) ed i).
Anche la sostituzione delle lettera h) ed i) è diretta a circoscrivere meglio l’area dell’illecito punibile, in quanto si prevede che l’iscrizione o la partecipazione a partiti politici possa qualificarsi come violazione disciplinare solo quando sia sistematica e continuativa (lettera h) e che l’uso strumentale della qualità di magistrato debba condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste (lettera i).
La lettera e) inserisce un nuovo articolo 3 bis che esclude, in ogni caso, la configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.
La lettera f) sostituendo il comma 4 dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 109/2006, relativo alla titolarità dell’azione disciplinare, si limita ad inserire i procuratori aggiunti tra i soggetti tenuti a comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare.
All’articolo 15 del medesimo decreto viene, poi, inserito dalla lettera g) un nuovo comma 1-bis diretto ad escludere la promovibilità dell’azione disciplinare quando siano decorsi 10 anni dal fatto.
Come sopra già ricordato, inoltre, al comma 2 del medesimo articolo 15 viene portato da uno a due anni il termine (decorrente dall’inizio del procedimento) entro il quale il procuratore generale è tenuto a concludere la fase istruttoria e quello (decorrente in questo caso dalla richiesta) entro il quale la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si pronuncia.
Inoltre, mediante alcune modifiche al comma 8, vengono ampliate le ipotesi di sospensione del corso dei termini dell’azione disciplinare, compresa l’ipotesi di decadenza prevista dal nuovo comma 1-bis sopra illustrato. Tale modifica è realizzata tramite l’inserimento di due nuove lettere d)-bis e d)-ter, riguardanti, rispettivamente, l’ipotesi in cui, nei casi di grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile o di travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile, all’accertamento del fatto-illecito disciplinare è pregiudiziale l’esito di un procedimento civile, penale o amministrativo e l’ipotesi di sospensione del procedimento a seguito di provvedimento a norma dell’articolo 16.
La lettera h) introduce una serie di modifiche all’articolo 16 del decreto legislativo n. 109/2006, riguardante le Indagini nel procedimento disciplinare.
Vengono innanzitutto dettate alcune modifiche al comma 4, concernenti il regime di secretazione degli atti disposto dal Procuratore generale che, precedentemente consentito in alcune ipotesi per un periodo massimo di dodici mesi, può essere prorogato di altri sei mesi su richiesta motivata del procuratore della repubblica o di altri dodici mesi quando si procede per reati di cui all’articolo 407, comma 2, c.p.p.
Viene inoltre inserito, dopo il comma 5, il comma 5 bis disciplinate il potere di archiviazione del Procuratore generale esercitabile nei seguenti casi:
· qualora il fatto addebitato non costituisca condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell’articolo 3 bis;
· qualora il fatto non forma oggetto di denuncia circostanziata ai sensi dell’articolo 15, comma 1, vale a dire di denuncia contenete tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare;
· qualora essa non rientri in nessuna delle ipotesi di illecito disciplinare di cui agli articoli 2, 3 e 4;
· se dalle indagini il fatto risulta inesistente o non commesso.
Viene, poi, disposta la comunicazione al Ministro della giustizia del provvedimento di archiviazione ed attribuita a quest’ultimo la facoltà di richiedere la trasmissione di copia degli atti e di richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale formulando l’incolpazione. Tale potere deve essere esercitato dal Ministro entro termini prefissati, decorsi inutilmente i quali il provvedimento di archiviazione acquista efficacia.
Conseguentemente, alle modifiche illustrate alla rubrica dell’articolo 16 vengono aggiunte le parole “Potere di archiviazione”.
Modifiche all’articolo 17, concernete la Chiusura delle indagini sono poi dettate dalla lettera i).
Mediante un intervento sui commi 5 e 7, viene soppressa la previsione che consente al Ministro, al quale viene comunicato il decreto di fissazione dell’udienza di discussione nel procedimento disciplinare, di partecipare all’udienza delegando un magistrato dell’ispettorato.
La lettera l) sopprime il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 18, disciplinante la discussione nel giudizio disciplinare, che consente al delegato del Ministro della giustizia di presentare memorie, esaminare testi, consulenti e periti e interrogare l’incolpato.
Coordinata con le modifiche sopra esaminate appare anche quella disposta all’articolo 19, comma 1, dalla lettera m) che elimina il riferimento alle conclusioni del delegato del Ministro della giustizia quale passaggio necessario per la deliberazione di competenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
La lettera n) aggiunge un periodo al comma 1 dell’articolo 22 relativo alla sospensione cautelare facoltativa.
Sostanzialmente, nei casi di minore gravità, viene consentito al Ministro della giustizia od al Procuratore generale di chiedere alla sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell’incolpato (piuttosto che, come nei casi più gravi, la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura) ad altro ufficio di un distretto limitrofo, diverso da quello indicato dall’articolo 11 c.p.p. relativo alla competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.
La lettera o) sostituisce il comma 2 dell’articolo 24 riguardante le impugnazioni delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, stabilendo che la Corte di cassazione decida a sezioni unite civili (invece che penali) entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.
Limitate sono anche le modifiche che la lettera p) introduce ai commi 7 ed 8 dell’articolo 25 riguardante la revisione delle sentenze divenute irrevocabili con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare.
In sede di dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di revisione da parte della sezione disciplinare è stata soppresso il riferimento all’obbligo di sentire il Ministro della giustizia (comma 7) mentre viene consentito il ricorso alle sezioni unite civili (anziché penali) della Corte di cassazione contro la decisione che dichiara inammissibile l’istanza di revisione.
Infine, la lettera q) inserisce dopo l’articolo 32, l’articolo 32 bische detta le disposizioni transitorie, stabilendo che le disposizioni del decreto legislativo si applichino ai procedimenti disciplinari promossi a partire dalla data della sua entrata in vigore. Per i fatti commessi anteriormente a tale data viene tuttavia disposta l’applicabilità, se più favorevoli, delle disposizioni di cui agli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946 n. 511 (Guarentigie della magistratura).
Infine viene disposto un adeguamento ad alcune delle nuove disposizioni introdotte dalla legge stabilendo che i ricorsi proposti avverso le sentenze pronunziate dalla sezione disciplinare del CSM pendenti presso le sezioni unite penali della Corte di cassazione sono trasferiti alle sezioni unite civili della Corte medesima.
L’articolo 2 sostituisce il comma 3 dell’articolo 1 della legge 25 luglio 2005, n. 150 recante la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario.
La nuova formulazione del comma citato delega il Governo, entro i 120 giorni successivi all’acquisto di efficacia delle disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega (di cui al comma 1) ad adottare i decreti legislativi recanti la disciplina transitoria, se necessaria, oltre che le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei medesimi con le altre leggi dello Stato, e l’abrogazione delle norme divenute incompatibili.
Viene, quindi, modificato il termine per l’esercizio di questa delega da parte del Governo (precedentemente fissato in 90 giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 1 dell’articolo 1, pari ad un anno dall’entrata in vigore della legge 150/2005) e resa eventuale l’esercizio della delega medesima, poiché subordinata all’effettiva necessità della disciplina transitoria e di coordinamento.
Inoltre, oltre a riaffermare (come già precedentemente previsto) l’osservanza dei principi e criteri di cui all’articolo 2, comma 9, della legge, viene stabilito che i decreti legislativi previsti nel comma 3 divengono efficaci dopo quindici giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
L’articolo 3 modifica l’articolo 1, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 28 agosto 1995, n. 361, convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 1995, n. 437 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi concernenti la pubblica amministrazione).
Il testo vigente della disposizione modificata (concernente progetti finalizzati e disposizioni in materia di incarichi ed altre disposizioni) prevede che l'applicazione degli articoli 7, commi 1 e 3, e 7-bis, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (come modificata dagli articoli 2 e 3 della legge 12 aprile 1990, n. 74), nella parte in cui rispettivamente prevedono che la segreteria e l'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura sono costituiti da funzionari da selezionare mediante concorsi pubblici, è differita alla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario.
A seguito della riformulazione, il termine di applicazione delle disposizioni richiamate al citato articolo 1, comma 6, primo periodo, risulta differito alla data di efficacia dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui alla legge 25 luglio 2005, n. 150.
L’articolo 4 è suddiviso in due commi che prevedono, rispettivamente, la disciplina applicabile durante il periodo di sospensione dell’efficacia del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 e la salvaguardia degli effetti prodotti e delle situazioni esaurite durante la vigenza di quest’ultimo.
Il primo comma, in particolare, stabilisce che, fino al 31 luglio 2007, ossia fino alla scadenza del periodo di sospensione della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, continuano ad applicarsi, nelle materie oggetto del citato decreto, le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nonché le altre disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, ed in particolare gli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20.
Il D.Lgs. n. 20/2006 detta la Disciplina transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità, nonché di primo e secondo grado, a norma dell'articolo 2, comma 10, della legge. 25 luglio 2005, n. 150. L’articolo 2 del citato decreto stabilisce che gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità possono essere conferiti esclusivamente ai magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno due anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo prevista dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511. Analogamente, l’articolo 3 prevede che gli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di primo e di secondo grado possono essere conferiti esclusivamente ai magistrati che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo.
Al fine di salvaguardare il principio di certezza delle situazioni giuridiche, il comma 2 dell’articolo 4 fa salvi gli effetti già prodotti e le situazioni esaurite durante il periodo di vigenza del decreto legislativo 160 del 2006.
Ordinamento giudiziario
Il decreto-legge 30 marzo 2007, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di Consigli giudiziari, convertito dalla legge 23 maggio 2007, n. 66, ha differito al mese di aprile 2008 la data delle elezioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari presso le Corti di appello, prorogando, conseguentemente, i componenti dei Consigli giudiziari in carica, che hanno continuato, pertanto, a svolgere le proprie funzioni fino alla proclamazione dei nuovi eletti.
L'intervento del Governo si è reso necessario in quanto, al momento, non risultava ancora adottata la normativa necessaria per disciplinare le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali dei Consigli giudiziari in rapporto alle modifiche previste dal decreto legislativo n. 25 del 2006 (uno dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario); tale decreto ha, infatti, profondamente innovato la disciplina, la composizione e le modalità di elezione dei componenti dei Consigli giudiziari presso tutti i distretti di Corte di appello, istituendo, altresì, il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione.
Il decreto-legge ha previsto, quindi, che i componenti dei Consigli giudiziari in carica alla data di entrata in vigore del decreto-legge (30 marzo 2007) continuassero a svolgere le proprie funzioni fino alla proclamazione dei nuovi eletti.
Al riguardo, si osserva che i componenti dei consigli giudiziari in carica fino ad aprile 2008 erano stati eletti ai sensi dell’art. 6 del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511[49] (come modificato dall’art. 1 della legge 12 ottobre 1966, n. 825[50]), peraltro abrogato dall’articolo 18 del D.lgs. n. 25/2006.
La citata abrogata normativa prevedeva che i componenti dei consigli giudiziari restassero in carica per un biennio senza possibilità di prorogatio. Detto biennio sarebbe dovuto cessare la prima domenica di aprile del 2007 (1° aprile 2007). Ciò in forza dell’art. 2 della legge n. 825/66, che fissava nella prima domenica di aprile successiva alla pubblicazione del regolamento contenente le modalità di voto in esecuzione della legge, la data di rinnovo dei consigli giudiziari.
Nella premessa al decreto legge il Governo rilevava, altresì, la necessità di una apposita normativa per disciplinare il procedimento relativo alla elezione dei membri del consiglio direttivo della Corte di Cassazione la cui istituzione è prevista, per la prima volta, dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 25 del 2006.
In merito, si ricorda che il 19 aprile 2007 il Governo aveva presentato al Senato il disegno di legge A.S. 1513, recante la Disciplina delle operazioni elettorali relative al Consiglio direttivo presso la Corte di Cassazione e ai Consigli giudiziari presso le Corti d’appello. Nella relazione introduttiva del provvedimento si leggeva che, "la individuazione dei componenti il consiglio direttivo presso la Cassazione, i requisiti di elettorato attivo e passivo, le modalità di votazione e di proclamazione degli eletti sono contenute nel decreto legislativo n. 25 del 2006; mancano, viceversa, il procedimento per la costituzione dell’ufficio elettorale e la relativa composizione, la procedura di definizione delle contestazioni e dei reclami, la individuazione dell’organo competente a decidere sugli stessi e le caratteristiche delle schede elettorali: elementi, tutti, che incidono sulla validità delle elezioni. Anche per i consigli giudiziari presso le Corti di appello occorrono disposizioni attuative che rendano possibile l’espletamento della procedura elettorale soprattutto quanto all’individuazione dell’organo che deve procedere all’avvio delle operazioni elettorali, alle modalità di espressione del voto e al modello di scheda da utilizzare".
Tale normativa attuativa è stata recentemente emanata con il decreto legislativo 28 febbraio 2008, n. 35 (v. ultra).
Lo stesso articolo 1 ha fissato al6 e 7 aprile 2008 la data delle elezioni, tanto per i membri elettivi del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, quanto per i membri elettivi dei Consigli giudiziari.
Il decreto legislativo 28 febbraio 2008, n. 35[51] ha più recentemente dettato una disciplina volta a regolare compiutamente il procedimento per l’elezione dei componenti togati del consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari.
Al riguardo, il Governo ha esercitato la delega conferitagli dall’art. 7 della legge n. 111 del 2007 (v. ante), in forza della quale poteva emanare, entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi compilativi, volti a coordinare la complessa normativa vigente in tema di ordinamento giudiziario.
In riferimento all’adozione dello strumento legislativo si osserva che, in sede di esame del provvedimento presso la Commissione giustizia della Camera, ai fini dell’espressione del prescritto parere parlamentare, è stato rilevato che l’articolo 18-bis del decreto legislativo n. 25/2006 – introdotto dall’articolo 4, comma 15, della legge n. 111/2007 - demandava ad un regolamento, adottato ex articolo 17, comma 1, L. n. 400 del 1988, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il ministro dell’economia, la disciplina esecutiva del procedimento per l’elezione dei componenti del consiglio direttivo della Cassazione e dei consigli giudiziari; ciò anche in considerazione del carattere esecutivo ed organizzativo delle disposizioni recate.
L’articolo 1 del provvedimento stabilisce che le elezioni dei componenti togati del Consiglio giudiziario e del consiglio direttivo della Corte di cassazione si tengono ogni 4 anni (la durata quadriennale della carica già stabilita dagli artt. 5 e 13 del d. lgs. n. 25 del 2006), nella prima domenica e nel successivo lunedì del mese di aprile (se tali date coincidono con la Pasqua, le elezioni sono posticipate di una settimana). Entro le stesse date devono essere nominati i componenti avvocato e professore universitario.
L’articolo 2 disciplina gli uffici elettorali, stabilendo che:
§ l’ufficio elettorale presso la Corte di cassazione (per l’elezione del consiglio direttivo) sia composto dal primo presidente della corte (o da un suo delegato) e da 5 magistrati ivi in servizio estratti a sorte;
§ gli uffici elettorali - per i magistrati ordinari e i giudici di pace - presso le corti d’appello (per l’elezione dei consigli giudiziari) siano composti dal presidente della corte (o da un suo delegato) e da 5 magistrati ivi in servizio estratti a sorte.
Le liste di candidati dovranno essere presentate all'ufficio elettorale entro il giovedì precedente lo svolgimento delle elezioni, unitamente alle firme dei sottoscrittori, prescritte dagli artt. 4 e 12 del d. lgs. n. 25/2006. L’ufficio elettorale procederà a verificare la validità delle candidature.
L’articolo 3 disciplina l’ipotesi di particolari articolazioni degli uffici elettorali. Infatti, quando l’organico e del distretto di corte d’appello – superiore a 300 magistrati - renda necessaria la costituzione di uffici elettorali distaccati, dovranno essere redatti elenchi di votanti con l’indicazione dell’ufficio elettorale di riferimento. Tali uffici distaccati sono in ogni caso costituiti presso le sezioni distaccate delle corti d’appello.
La disposizione precisa che i magistrati della Direzione nazionale antimafia votano presso l’ufficio elettorale con sede nel capoluogo del distretto della corte di appello di Roma, al pari dei magistrati fuori ruolo per distacco; i magistrati in aspettativa votano presso l’ufficio di appartenenza prima dell’aspettativa.
Ai sensi dell’articolo 4, le votazioni si svolgono dalle 8 alle 14 della domenica e del lunedì; all’esterno dei seggi dovranno essere affisse le liste ammesse con i nominativi dei candidati per ogni lista. Il voto è segreto e si esprime indicando su ciascuna scheda la lista prescelta ed, eventualmente, una sola preferenza.
Ai sensi dell’articolo 5, non appena il presidente dell’ufficio elettorale dichiara chiuse le votazioni (ore 14 del lunedì), hanno inizio le operazioni di scrutinio, partendo dall’elezione dei magistrati ordinari in servizio presso uffici giudicanti. Al termine, in caso di unico ufficio elettorale, si ha la proclamazione degli eletti, nel rispetto delle disposizioni sull’assegnazione dei seggi di cui agli artt. 4-bis, 12-bis e 12-quater del decreto legislativo n. 25/2006.
Si ricorda che tanto l’articolo 4-bis, quanto gli artt. 12-bis e 12-quater disciplinano il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi prevedendo un sistema proporzionale. L’ufficio elettorale dovrà individuare il quoziente base (voti validi espressi/seggi da attribuire), calcolare il numero di seggi spettante a ciascuna lista (voti di lista/quoziente base) e proclamare eletti i candidati che hanno riportato il maggior numero di preferenze. I seggi non assegnati direttamente vengono attribuiti in ordine decrescente alle liste cui corrispondono i maggiori resti; il caso di parità nei voti di preferenza il seggio è assegnato al magistrato con la maggiore anzianità di servizio e, in caso di pareggio, al più anziano anagraficamente.
Delle operazioni è redatto processo verbale, che viene trasmesso sia al Ministero della giustizia che al CSM.
In base all’articolo 6, in caso di contestazioni (validità liste, eleggibilità candidati, operazioni elettorali), tanto l’ufficio elettorale presso la Cassazione, quanto i singoli uffici presso le corti di appello, decidono a maggioranza (in caso di parità prevale il voto del presidente).
I reclami dovranno pervenire alla cancelleria della Cassazione o delle corti d’appello entro 8 giorni dalla proclamazione degli eletti e non hanno effetti sospensivi: la decisione è affidata alla I sezione della Cassazione o della corte d’appello competente per gli affari civili e deve essere assunta in camera di consiglio entro i successivi 8 giorni.
Decorso del termine utile per il reclamo, è ordinata la distruzione delle schede elettorali.
Se le elezioni con ordinanza della Corte (di cassazione o d’appello) vengono dichiarate in tutto o in parte nulle, in base all’articolo 7 occorre disporne la rinnovazione in un giorno festivo compreso tra i 30 e i 40 giorni dalla pubblicazione. Nel frattempo rimangono in carica i precedenti consiglio direttivo o Consiglio giudiziario.
Si precederà invece ad elezioni suppletive laddove, durante il quadriennio della consiliatura, i componenti cessino dalla carica senza poter essere sostituiti dai candidati che hanno riportato il maggior numero di voti immediatamente successivo all'ultimo degli eletti.
L’articolo 8 specifica che le schede elettorali dovranno essere redatte in base ai modelli previsti dal decreto legislativo e riprodotto negli allegati da A1 ad A5.
I successivi articoli stabiliscono che dalla attuazione del decreto legislativo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato (articolo 9) e prevedono l’entrata in vigore del decreto legislativo senza vacatio legis (articolo 10).
Ordinamento giudiziario
La legge 30 luglio 2007, n. 111, “Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario” novella alcuni dei decreti legislativi emanati in attuazione della legge delega n. 150 del 2005[52] (c.d. "riforma Castelli"), recante la riforma dell’ordinamento giudiziario.
Nello specifico, la legge interviene su diversi aspetti della citata riforma, con particolare riferimento alla disciplina prevista in materia di accesso in magistratura, tirocinio, funzioni, formazione, aggiornamento e progressione in carriera dei magistrati. Esso, inoltre, modifica la composizione e le funzioni del Consiglio direttivo presso la Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari.
Gli articoli 1 e 2 del provvedimento introducono numerose modifiche al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, relativo alla disciplina per l’accesso in magistratura, alla progressione economica e alle funzioni dei magistrati.
Si tratta di una disciplina la cui efficacia era stata sospesa fino al 31 luglio 2007 dall’art. 1 della legge 269/2006 (vedi scheda Sospensione di norme dell’ordinamento giudiziario, pag. 67).
Nello specifico, l'articolo 1 della legge prevede talune modifiche al capo I del decreto legislativo n. 160/2006 (artt. da 1 a 9), prima rubricato “Disposizioni in tema di ammissione in magistratura e uditorato”.
Oltre alla sostituzione del termine uditorato con quello di tirocinio (comma 1), la norma provvede ad una integrale sostituzione dell’articolo 1 del D.Lgs 160/2006, riscrivendo la disciplina del concorso per uditore giudiziario, ora definito "concorso per magistrato ordinario" (comma 2).
La nuova disciplina – che conferma, sostanzialmente, quello in magistratura come un concorso di secondo grado - viene riformata per ovviare ad alcune storiche problematiche ed in particolare:
§ alla lunghezza delle procedure concorsuali, rallentate dall'elevato numero di partecipanti;
§ all’inadeguatezza delle prove scritte d'esame, di taglio prevalentemente teorico.
A tal fine, l’articolo 1 della legge 111/2007 riscrive le norme sul concorso, anzitutto precisando che la nomina a magistrato ordinario si consegue mediante concorso di norma annuale per esami, in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno tali nel successivo quadriennio per i quali può essere attivata la procedura concorsuale.
Per quanto concerne le prove di esame, il successivo comma 2, confermata l’articolazione delle prove d'esame in prove scritte e prove orali e l’eliminazione della prova preliminare realizzata con l'ausilio di sistemi informatizzati, ribadisce l'obbligo di osservanza delle disposizioni del RD n. 1860 del 1925 (art. 8) volte a garantire l’anonimato dei concorrenti.
Per quanto riguarda, poi, il contenuto delle prove si segnala che, in relazione alla prova scritta, il testo del Governo, nella sua originaria formulazione, prevedeva che ai tre attuali elaborati teorici (diritto civile, penale ed amministrativo) venisse aggiunto un elaborato pratico, consistente nella redazione di un provvedimento in materia di diritto e procedura civile ovvero diritto e procedura penale, sorteggiato dalla commissione la stessa mattina della prova; analogo sorteggio veniva previsto, giornalmente, in relazione all'ordine delle prove. Al riguardo, si segnala che entrambe queste previsioni (prova pratica e sorteggio giornaliero delle prove) sono state soppresse nella definitiva versione della legge.
Pertanto, la vigente formulazione del comma 3 dell'articolo 1 del D.Lgs 160/2006 prevede esclusivamente che la prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo.
Per quanto riguarda, poi, le novità previste in relazione alla prova orale si segnala che:
a) viene escluso il diritto industriale;
b) è precisato che diritto internazionale è sia pubblico che privato);
c) è aggiunto il diritto fallimentare;
d) è precisato che in relazione alla lingua straniera il candidato può scegliere tra la lingua inglese, spagnola, francese e tedesca.
e) alla conoscenza di elementi d’informatica giuridica viene, altresì, aggiunta quella di elementi di ordinamento giudiziario.
In relazione, poi, al punteggio necessario ai fini dell'ammissione alla prova orale e all'idoneità concorsuale si segnala che, nello scritto, è confermata la necessità di una votazione minima di 12/20 di punto in ognuna delle prove, mentre, in relazione alla prova orale, bisogna conseguire un punteggio non inferiore a 6/10 in ciascuna delle materie (per la lingua straniera serve un giudizio di sufficienza). Per conseguire, in fine, l’idoneità concorsuale è ora necessario un punteggio complessivo nelle prove scritte ed orali di almeno 108 punti (il D.Lgs 160/2006 prevedeva un punteggio minimo di 105 punti).
Ulteriori novità riguardano, poi, le motivazioni dei giudizi delle prove d’esame ai sensi dell’art. 3 della legge 241/1990 sul diritto d’accesso, in quanto si prevede che in ciascuna prova il giudizio sia motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico; l’insufficienza è, invece, motivata con la sola formula “non idoneo”.
Da ultimo, il comma 2 dell'articolo 1 della legge, detta una nuova formulazione dei commi 6 e 7 dell'art. 1 del D.Lgs 160/2006 in materia di nomina, con decreto ministeriale, dei docenti universitari nelle lingue indicate dai candidati e che partecipano in soprannumero ai lavori della commissione d’esame.
Conseguentemente, dalle nuove norme sono stati eliminati, rispettivamente:
a) l’obbligo di indicazione obbligatoria da parte del candidato, già nella domanda, dell’area funzionale cui accedere in caso di esito positivo del concorso (funzione requirente o funzione giudicante), nonchè il riferimento al punteggio della prova orale di lingua straniera da sommare a quello complessivo.
b) la specifica prova psico-attitudinale alla professione, da sostenere nell’ambito delle prove orali[53].
Il nuovo comma 7 riguarda ora la copertura dei posti di magistrato nella Provincia di Bolzano, per cui permangono i requisiti del bilinguismo (italiano e tedesco) previsti dal DPR 752/1976[54]. Stante l’obbligo del bilinguismo, il colloquio previsto tra le prove orali dovrà essere tenuto su una lingua dell’Unione europea diversa dal tedesco.
Il comma 3 dell’articolo 1 della legge novella, poi, l’art. 2 del D.Lgs 160/2006 relativo ai requisiti per l’ammissione al concorso per esami.
Tale disposizione, pur innovata nel contenuto, conferma la linea ispiratrice della riforma Castelli impostando, pur con specifici correttivi, il concorso da magistrato ordinario come concorso di secondo grado.
In relazione alla disciplina recata dal D.Lgs 160/2006, il comma 3 dell'articolo 1 della legge 111 stabilisce, in particolare, che siano ammessi al concorso in magistratura:
§ i magistrati amministrativi e contabili;
§ i soggetti non incorsi in sanzioni disciplinari, che siano:
1) i procuratori dello Stato;
2) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso di laurea in giurisprudenza;
3) gli avvocati iscritti all'albo;
4) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell'area C prevista dal vigente CCLN, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, assunti con concorso nel quale era richiesto il possesso di diploma di laurea in giurisprudenza conseguita, salvo che non si tratti di una seconda laurea, a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni;
5) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti all’ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso nel quale era richiesto il possesso di diploma di laurea in giurisprudenza conseguita a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere;
6) i magistrati onorari che hanno svolto le proprie funzioni per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati.
Al concorso per esami sono altresì ammessi:
§ i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni nonché del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione nelle professioni legali o del dottorato di ricerca in materia giuridiche;
§ i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza a seguito di un concorso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore di due anni presso le scuole di specializzazione di cui al DPR 10 marzo 1982, n. 162.
Ai fini dell’anzianità minima richiesta per l’ammissione al concorso, la norma precisa la non cumulabilità delle anzianità maturate in più categorie tra quelle previste.
Ulteriori integrazioni dei requisiti di accesso al concorso per esami sono previste dall’art. 1, comma 3 della legge 111 che introduce, due nuove lettere, b-bis) e b-ter), al comma 2 dell’art. 2 del D.Lgs 160/2006 che prevedono, rispettivamente l’incensurabilità della condotta del candidato e la circostanza rappresentata dal fatto di non essere stato dichiarato per tre volte inidoneo nei concorsi in magistratura, alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda.
L’art. 1, comma 4, della legge 111 del 2007 riformula, poi, i commi 1 e 4 dell’articolo 3 del D.Lgs 160/2006 (Indizione del concorso e svolgimento della prova scritta).
Il nuovo comma 1 elimina il riferimento alla città di Roma come possibile sede unica del concorso, prevedendone lo svolgimento con cadenza “di norma” annuale in una o più sedi stabilite nel relativo decreto di indizione. Per quanto riguarda, poi, il caso in cui la prova scritta venga svolta contemporaneamente in più sedi, il nuovo comma 4 stabilisce che la commissione esaminatrice espleta le operazioni inerenti alla formulazione e alla scelta dei temi presso la sede di Roma e presiede allo svolgimento della prova. Presso le altre sedi le funzioni della commissione per il regolare espletamento delle prove scritte sono attribuite ad un comitato di vigilanza nominato con decreto del Ministro della giustizia, su delibera conforme del CSM, e composto da almeno cinque magistrati, dei quali uno con anzianità di servizio non inferiore a 13 anni con funzioni di presidente, coadiuvato da personale amministrativo dell'area C, così come definita dal CCLN del comparto Ministeri per il quadriennio 1998-2001, stipulato il 16 febbraio 1999, con funzioni di segreteria. Il comitato svolge la sua attività in ogni seduta con la presenza di non meno di tre componenti. In caso di assenza o impedimento, il presidente è sostituito dal magistrato più anziano presente. Si applica ai predetti magistrati la disciplina dell'esonero dalle funzioni giudiziarie o giurisdizionali limitatamente alla durata delle prove.
Il comma 5 dell’articolo 1 propone una modifica al comma 2 dell’articolo 4 del D.Lgs 160/2006 che ha natura di semplice coordinamento normativo con le previsioni di cui al comma 1 dello stesso articolo. Tale ultima norma è, infatti, relativa alla possibilità di presentazione della domanda di concorso non solo tramite la sua presentazione al CSM ma anche mediante spedizione di raccomandata A/R.
Di maggiore portata risulta, invece, la novella all’articolo 5 del D.Lgs 160/2006 di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge e relativa alla Commissione di concorso. L’intervento su tale disciplina ha comportato la totale riscrittura della norma, con eccezione del comma 8.
A seguito della novella, la commissione esaminatrice, nominata 15 giorni prima della data della prova scritta con DM giustizia su conforme delibera del CSM, risulta ora composta in un numero stabile (anziché variabile) di 29 membri: un presidente, 20 magistrati, 5 professori universitari e 3 avvocati (comma 1).
Nello specifico, un nuovo comma aggiuntivo (1-bis) precisa che:
§ il presidente della commissione deve essere un magistrato che abbia conseguito la sesta valutazione di professionalità;
§ i 20 magistrati devono aver conseguito almeno la terza valutazione di professionalità;
§ i 5 professori universitari, nominati dal Consiglio universitario nazionale, devono essere di ruolo e titolari di insegnamenti nelle materie d’esame. Ad essi si applicano, su loro richiesta, le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382[55];
§ i 3 avvocati, nominati su proposta del Consiglio nazionale forense, devono essere iscritti all’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle magistrature superiori.
Il medesimo nuovo comma precisa, altresì, che non possono essere nominati componenti della commissione di concorso i magistrati, gli avvocati ed i professori universitari che nei dieci anni precedenti abbiano prestato, a qualsiasi titolo e modo, attività di docenza nelle scuole di preparazione al concorso per magistrato ordinario.
Spetterà al CSM, quando non sia possibile raggiungere il numero di componenti della commissione, nominare d’ufficio magistrati che non hanno prestato il loro consenso all'esonero dalle funzioni, fermo restando l’impossibilità di nominare membri di commissioni degli ultimi tre concorsi (comma 2).
Il comma 3 dell'articolo 5 è anch'esso modificato dalla legge al fine di prevedere che la definizione dei criteri per la valutazione omogenea delle prove d'esame avvenga in tempi diversi: i criteri relativi agli scritti, sono, infatti, individuati nella seduta plenaria della commissione nel giorno e nell'ora che saranno indicati dal presidente alla chiusura delle prove (art. 8, comma 6, RD 1860/1925); quelli per la valutazione delle prove orali sono, invece, definiti prima dell’inizio delle stesse. A dette riunioni devono partecipare tutti i componenti della commissione salvi i casi di forza maggiore e legittimo impedimento (di valutazione del CSM). In caso di mancata partecipazione, senza adeguata giustificazione, a una di dette sedute o comunque a due sedute di seguito, il Consiglio superiore può procedere alla revoca e alla sostituzione del componente”.
Il comma 4 estende la possibilità di essere nominati membri della commissione anche ai professori universitari a riposo da non più di cinque anni che all’atto della cessazione dal servizio erano in possesso dei requisiti per la nomina; analoga possibilità è confermata in capo ai componenti magistrati, ma il periodo di quiescenza deve essere al massimo di due anni.
Il comma 5 precisa che in caso di impedimento o assenza del presidente le relative funzioni sono svolte dal magistrato con maggiore anzianità di servizio presente in ciascuna seduta ; il previgente comma 5 prevedeva la sostituzione con il vice presidente (figura non ora non più prevista) o, in caso di assenza o impedimento di quest'ultimo, dal più anziano (per età) dei magistrati presenti.
Sempre con finalità acceleratorie della procedura concorsuale, il comma 6 prevede ora la possibilità di formazione di due sottocommissioni nel caso in cui i candidati che hanno portato a termine la prova scritta siano più di 300; in tale ipotesi, il presidente, dopo la valutazione di almeno venti candidati in seduta plenaria con la partecipazione di tutti i componenti, forma per ogni seduta due sottocommissioni, a ciascuna delle quali assegna, secondo criteri obbiettivi, la metà dei candidati da esaminare.
Appare evidente, che la finalità della prima correzione collegiale è quella di fornire a tutti i membri un metro di valutazione omogeneo degli scritti da applicare poi in sede di sottocommissione.
Le due sottocommissioni - presiedute dal presidente e dal magistrato più anziano - ed assistite ciascuna da un segretario, sono, per la valutazione degli elaborati scritti, suddivise in tre collegi, composti ciascuno di almeno tre componenti, presieduti dal presidente o dal magistrato più anziano; la commissione delibera su ogni oggetto eccedente la competenza delle sottocommissioni. Ciascun collegio della stessa sottocommissione esamina gli elaborati di una sola delle tre materie oggetto della prova relativamente ad ogni candidato. In caso di parità di voti, prevale quello di chi presiede.
Si è optato, quindi, per un sistema a collegi specializzati in cui ognuno dei tre collegi di ogni sottocommissione valuta gli elaborati di una sola delle tre materie oggetto di esame scritto: in ognuna delle due sottocommissioni vi sarà, quindi, un collegio che si occuperà degli elaborati di diritto civile; uno di quelli di diritto penale ed uno di quelli di diritto amministrativo.
Il nuovo comma 7 dell’art. 5 rinvia per la disciplina della commissione e delle sottocommissioni alle norme dettate dal RD 1860 del 1925[56] ovvero agli artt. 12 e 13 per la valutazione degli scritti, agli artt. 14 e 15 per quella degli orali ed all’art. 16 in relazione ad entrambe le prove.
L’art. 12 del RD 1860 prevede che - compiute le operazioni di apertura dei pieghi contenenti gli elaborati scritti, raggruppamento e chiusura in un’unica busta più grande (su cui è apposto un numero progressivo) dei tre elaborati di ogni candidato (riconoscibili dallo stesso numero) - la Commissione è convocata nel termine di giorni cinque, per iniziare l'esame degli scritti.
Verificata l'integrità dei pieghi e delle singole buste il segretario, all'atto dell'apertura di queste, appone immediatamente sulle tre buste contenenti i lavori il numero già segnato sulla busta grande. Lo stesso numero sarà poi trascritto, appena aperte le buste contenenti i lavori, sia in testa al foglio o ai fogli relativi, sia sulle bustine contenenti il cartoncino di identificazione.
La Commissione legge nella medesima seduta i temi di ciascun candidato e, dopo avere ultimato la lettura dei tre elaborati, assegna contemporaneamente a ciascuno di essi il relativo punteggio secondo le norme indicate nell'art. 16 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 1860, e nell'art. 1 del decreto legislativo 19 aprile 1947, n. 974 (27).
Nel caso che la Commissione sia divisa in Sottocommissioni, queste nella medesima seduta procedono all'esame dei tre lavori di ciascun candidato e, ultimata la lettura degli elaborati, si riuniscono per la comunicazione delle rispettive valutazioni. Subito dopo ogni Sottocommissione assegna ai lavori da essa esaminati il punteggio secondo le norme indicate nel precedente comma. Qualora la Commissione abbia fondate ragioni di ritenere che qualche scritto sia, in tutto o in parte, copiato da altro lavoro ovvero da qualche autore, annulla l'esame del candidato al quale appartiene lo scritto. Deve essere pure annullato l'esame dei concorrenti che comunque si siano fatti riconoscere.
Se la Commissione è divisa in Sottocommissioni, le deliberazioni di cui ai precedenti comma sesto e settimo spettano alla Commissione plenaria. Questa inoltre delibera definitivamente sulla idoneità o non idoneità di un candidato, quando la deliberazione della Sottocommissione sia stata presa a maggioranza e il commissario dissenziente richieda la deliberazione plenaria.
L’art. 13 stabilisce che, ultimata la lettura degli elaborati e deliberato il giudizio, il segretario nota immediatamente, a piede di ciascun lavoro, in tutte lettere, il voto assegnato. L'annotazione è sottoscritta dal presidente della commissione o della sottocommissione e dal segretario.
Terminata la disamina e votazione rispetto a tutti gli scritti, la commissione, in seduta plenaria procede senz'altro all'apertura delle buste contenenti i nomi dei concorrenti.
Ogni deliberazione presa in qualsiasi tempo per modificare i risultati delle votazioni delle prove scritte è nulla. Il risultato completo delle prove scritte sarà reso di pubblica ragione mediante foglio da affiggersi nei locali del Ministero.
L’art. 14 prevede che le prove orali hanno principio non più tardi di otto giorni dal compimento delle operazioni contemplate nell'articolo 13. Vi sono ammessi soltanto i candidati che abbiano riportato non meno di sei decimi dei voti in ciascuna prova).
L'esame è pubblico: formano oggetto di esso le seguenti materie: diritto civile, diritto commerciale, diritto amministrativo, diritto penale, procedura civile, procedura penale, diritto costituzionale, diritto romano.
Ai sensi dell’art. 15, ogni membro della commissione può interrogare su qualsiasi materia, ma di regola il presidente delega in ciascuna seduta un commissario ad interrogare i candidati su una o più materie.
Concorrendo le circostanze indicate nel primo capoverso dell'art. 12 il presidente, sentiti i commissari, può formare due sottocommissioni, una per esaminare sulle materie di diritto privato, l'altra per esaminare sulle materie di diritto pubblico. Le sottocommissioni composte, rispettivamente di cinque e quattro membri, assistiti da un segretario, saranno presiedute dal presidente o dal commissario magistrato più anziano. (tale comma non appare, in realtà, coordinato con l’abrogazione (ad opera del D.Lgs 298/1997) del capoverso dell’art. 12 cui si riferisce).
Terminata la prova orale di ogni singolo candidato, si procede alla votazione secondo le norme indicate nel seguente articolo; il segretario ne scrive il risultato nel processo verbale, distintamente per ogni materia, rendendo immediatamente di pubblica ragione il risultato stesso, mediante foglio da affiggersi sulla porta della sala degli esami.
Quando la commissione sia divisa in sottocommissioni queste voteranno indipendentemente l'una dall'altra; i voti di ciascuna sommati, costituiranno il voto complessivo delle prove orali.
La disposizione dell'ultima parte dell'art. 12 relativa al giudizio definitivo rimesso alla commissione plenaria sulla idoneità o non idoneità di un candidato in caso di dissenso fra i membri della sottocommissione, non è applicabile alle sottocommissioni per gli esami orali.
In base all’art. 16, ogni commissario dispone di dieci punti per ogni prova scritta ed orale. Prima dell'assegnazione dei punti, la commissione o sottocommissione delibera per ciascuna prova, a maggioranza di voti, se il candidato meriti di ottenere il minimo richiesto per l'approvazione.
Nell'affermativa, ciascun commissario dichiara quanti punti intenda assegnare al candidato. La somma di tali punti, divisa per il numero dei commissari, costituisce il punto definitivamente assegnato al candidato. Le frazioni di voto non sono calcolate.
Mentre l’abrogazione del comma 9 dell’art. 5 del D.Lgs 160/2006 riveste natura di coordinamento normativo, la novella al comma 10 precisa che: la segreteria della commissione (e delle sottocommissioni) è composta da personale di area C in servizio presso il solo ministero della giustizia; inoltre, il dirigente coordinatore della segreteria non è più un qualsiasi magistrato del ministero della giustizia bensì quello titolare dell’ufficio del ministero della giustizia competente per il concorso.
I commi 7, 8 e 9 dell’art. 1 assumono, sostanzialmente, natura di coordinamento con la novella introdotta.
Il comma 7 dell’articolo 1 novella l’articolo 6 del D.Lgs 160/2006, relativo ai lavori della commissione.
Oltre alla rubrica dell’art. 6 ora denominata “Disciplina dei lavori della commissione” è, altresì, modificato il comma 4 di tale articolo in conseguenza dell’eliminazione della figura del vicepresidente della commissione d’esame le cui competenze sono ora trasferite al magistrato con maggiore anzianità di servizio. Sempre con riferimento all'articolo 6, la novella al comma 5 estende esplicitamente al presidente della commissione il diritto di fruire del congedo previsto dalla norma.
E’ poi abrogata la previsione del comma 6 che prevedeva come possibile motivo di revoca della nomina da parte del CSM la mancata partecipazione, anche se giustificata, di un componente a due sedute della commissione, qualora ciò ne abbia causato il rinvio.
Il nuovo comma 7, poi, aumenta da 400 a 600 il numero minimo degli elaborati scritti che la commissione deve valutare; gli esami orali da eseguire rimangono, invece, stabiliti nel numero di 100.
La modifica del comma 8 è anch’essa conseguente alla soppressione della figura del vicepresidente.
Il comma 8 dell’art. 1 della legge modifica, poi, l’articolo 8 del D.Lgs 160 del 2006. Oltre alla rubrica, ora coerentemente denominata “Nomina a magistrato ordinario”, è novellato il comma 1 con modifiche di natura formale e di coordinamento ed è soppresso il comma 2, divenuto inattuale a seguito dell’eliminazione dell’obbligo preliminare di scelta, già all’atto della domanda, della funzione (requirente o giudicante) da svolgere.
L’ultima modifica prevista dall’art. 1 della legge 111 è introdotta dal comma 9 ed interessa il corrispondente articolo 9 del D.Lgs 160/2006. La modifica alla rubrica dell’art. 9 ed al suo comma 1 deriva dalla attuale necessità di riferirsi al tirocinio dei magistrati ordinari anziché degli uditori e alla necessità di svolgere il tirocinio secondo le nuove disposizioni recate dal D.Lgs 26/2006.
Si segnala, da ultimo, l’introduzione di un comma 10 all’articolo 1 del decreto legislativo 160 volto a specificare che i rinvii all’articolo 124 dell’ordinamento giudiziario[57] in materia di requisiti per l'ammissione al concorso si intendo operati all’articolo 2, comma 2, lettera b-bis del citato decreto legislativo n. 160 del 2006.
L’articolo 2 della legge n. 111 del 2006 novella numerose disposizioni del decreto legislativo n. 160/2006 (articoli da 10 a 53), relative alle funzioni, alla progressione nella carriera ed al trattamento economico dei magistrati.
Nello specifico il comma 1 dell’art. 2 ha sostituto l'articolo 10 del D.Lgs. 160/2006 al fine di affermare il principio in base al quale i magistrati ordinari sono distinti secondo le funzioni esercitate.
In particolare, a seguito delle modifiche apportate, le funzioni dei magistrati vengono distinte in (comma 2):
§ giudicanti di primo grado, di secondo grado e di legittimità; semidirettive di primo grado, semidirettive elevate di primo grado, semidirettive di secondo grado; direttive di primo grado, direttive elevate di primo grado, direttive di secondo grado, direttive di legittimità, direttive superiori, direttive apicali;
§ requirenti di primo grado, di secondo grado di coordinamento nazionale e di legittimità; semidirettive di primo grado, semidirettive elevate di primo grado; semidirettive di secondo grado; direttive di primo grado; direttive elevate di primo grado; direttive di secondo grado; direttive di coordinamento nazionale; direttive di legittimità; direttive superiori; direttive apicali.
I commi da 3 a 16 del nuovo art. 10 esplicitano, poi, il contenuto delle indicate funzioni, prima declinate dall'articolo 11 del decreto legislativo 160/2006 (ed ora relativo alla valutazione di professionalità) dal successivo comma 2 dell'articolo 2 della legge 111.
In particolare, il comma 3, del nuovo articolo 10 precisa quali sono le funzioni giudicanti e requirenti di primo grado.
Al riguardo, l’unica novità introdotta dal comma 3 riguarda l’aggiunta tra le funzioni giudicanti di primo grado anche di quelle svolte dal magistrato addetto all’ufficio del massimario e del ruolo della corte di cassazione.
Il comma 4 del nuovo articolo 10 prevede che le funzioni giudicanti di secondo grado sono quelle di consigliere di corte di appello, mentre le corrispondenti funzioni requirenti sono quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di appello; a differenza della previgente norma del D.Lgs 160/2006, in tali ultime funzioni non è contemplato il sostituto presso la Direzione nazionale antimafia che svolge funzioni “requirenti di coordinamento nazionale”.
Il comma 6 del nuovo articolo 10 conferma la disciplina previgente in base alla quale le funzioni giudicanti di legittimità sono quelle di consigliere della Corte di cassazione mentre quelle requirenti di legittimità sono quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Il comma 7 del nuovo art. 10 – relativo alle funzioni semidirettive giudicanti e requirenti di primo grado - novella, invece, il contenuto dei corrispondenti commi 5 e 6 dell’art. 11 del D.Lgs 160.
Tra le funzioni semidirettive giudicanti di primo grado sono aggiunte quelle di presidente e presidente aggiunto della sezione GIP.
Il comma 8 dell’art. 10 introduce una nuova funzione rispetto a quelle previste dal D.Lgs 160/2006; la norma stabilisce, infatti, che funzioni semidirettive giudicanti elevate sono quelle di presidente della sezione GIP negli uffici giudiziari aventi sede nelle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1, comma 1, DL 327/1989, convertito dalla legge 380/1989); la disciplina previgente consideravatali figure professionali svolgenti funzioni direttive giudicanti di primo grado elevato (v. ultra).
Il comma 9 del nuovo articolo 10 novella solo formalmente il contenuto dei corrispondenti commi 7 e 8 del D.Lgs160/2006; tali disposizioni prevedono che sono funzioni semidirettive giudicanti di secondo grado quelle di presidente di sezione presso la corte d’appello; funzioni semidirettive requirenti di secondo grado sono, invece, quelle di avvocato generale presso la stessa corte.
Il successivo comma 10 riguarda, poi, le funzioni direttive giudicanti e requirenti di primo grado, confermando che le funzioni direttive giudicanti di primo grado sono quelle di presidente di tribunale e di presidente del tribunale per i minorenni; quelle direttive requirenti di primo grado sono quelle di procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.
Di grado appena superiore a quelle appena descritte sono le funzioni direttive elevate di primo grado, giudicanti e requirenti di cui al nuovo comma 11 dell’art. 10.
Si tratta di funzioni sostanzialmente corrispondenti alle funzioni direttive giudicanti e requirenti di primo grado elevato già previste dalla disciplina “Castelli”. Il nuovo comma 11 dell’art. 10 attribuisce, però, funzioni direttive giudicanti elevate di primo grado - oltre che ai presidenti dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A allegata all’ordinamento penitenziario - ai soli presidenti di tribunale ordinario aventi sede nelle citate città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1, comma 1, DL 327/1989). Nelle medesime città, i procuratori della Repubblica presso il tribunale ordinario rivestono corrispondenti funzioni requirenti.
Pertanto, mentre in base alla disciplina del D.Lgs 160/2006 (art. 11) ai presidenti delle sezioni GIP nei tribunali di tali città sono attribuite funzioni direttive giudicanti di primo grado elevato, gli stessi soggetti rivestono, in base alla riforma in esame (v. comma 8), funzioni semidirettive giudicanti elevate di primo grado.
Mentre il comma 13 reca la novità dell’attribuzione al Procuratore nazionale antimafia di funzioni direttive requirenti di coordinamento nazionale, il comma 14 precisa che funzioni direttive requirenti di legittimità sono svolte dall’avvocato generale presso la corte di cassazione
Il nuovo comma 15 prevede la novità dell’’attribuzione delle funzioni direttive superiori requirenti al solo procuratore generale aggiunto presso la Cassazione. Al PG presso la corte di Cassazione (prima funzionalmente affiancato al PG aggiunto - vedi previgente art. 11, comma 20, D.Lgs 160) vengono ora attribuite funzioni direttive apicali.
I massimi gradi della carriera, sono, infatti, riservati, dal nuovo comma 16, al Primo presidente presso la Corte di cassazione (che la riforma Castelli metteva, solo, al vertice della piramide della carriera) e al citato Procuratore generale presso la medesima Corte i quali rivestono, pertanto, le funzioni direttive apicali di legittimità giudicanti (il primo) e requirenti (il secondo).
Come accennato, rilevanti modifiche sono, poi, introdotte dalla legge 111 del 2007 in relazione alla disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati ritenuta dal Governo non più adeguata.
In via generale, la nuova disciplina introdotta dalla riforma Mastella si articola sui seguenti punti principali:
§ l’introduzione di verifiche professionali ogni quattro anni;
§ una progressione economica sganciata dall'anzianità e dalle funzioni e collegata alle sole valutazioni di professionalità;
§ il possibile passaggio di funzioni (da giudicanti a requirenti e viceversa) per non più di quattro volte nel corso della carriera;
§ la necessità di superare un concorso per soli titoli dopo aver conseguito la valutazione di professionalità richiesta, per esercitare incarichi di secondo grado, direttivi e semidirettivi(questi ultimi sempre temporanei);
§ l'anzianità, da criterio di valutazione, diventa criterio di legittimazione per concorrere agli incarichi direttivi e semidirettivi;
§ il conferimento delle funzioni di legittimità avverrà non solo in base al criterio di anzianità, bensì mediante l’accertata sussistenza di specifiche attitudini ad esercitarle;
§ la possibilità di interventi in caso di riscontrata inadeguatezza professionale del magistrato valutato, modulati in modo differenziato, con ripercussioni, nelle ipotesi più gravi, anche sulla progressione economica;
§ l’individuazione di una procedura urgente da attivare in caso di revoca dei dirigenti che si rilevano inadeguati.
Nello specifico, l’articolo 2, comma 2, della legge 111 formula un nuovo articolo 11 del D.Lgs. 160 volto ad individuare i criteri e le modalità che devono essere osservate nello svolgimento delle valutazioni professionali dei magistrati e alle quali tutti i magistrati devono sottoporsi ogni quattro anni, fino al superamento della settima valutazione.
Tali valutazioni si riferiscono al complesso dell’attività professionale del magistrato e in particolare devono riguardare:
§ la capacità;
§ la laboriosità;
§ la diligenza;
§ l’impegno.
Inoltre, è stato precisato che la valutazione dei magistrati deve essere operata sulla base di parametri oggettivi indicati dal CSM e, ove riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti, non può mai riguardare l’attività interpretativa di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove.
L’art. 11 individua, in relazione a tali parametri di valutazione, specifici indicatori della preparazione professionale del magistrato.
Per quel che riguarda la capacità professionale, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, tale parametro è riferito, secondo le funzioni esercitate, al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio ovvero alla conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige o la presiede, all’idoneità a utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari;
In relazione alla laboriosità, l'articolo 11 precisa che tale valore è riferito alla produttività con riferimento alla quantità e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici, alla loro condizione organizzativa e strutturale ai tempi di smaltimento degli affari, anche in riferimento agli standard di rendimento individuati dal CSM;
Per quel che riguarda la diligenza, essa è intesa come assiduità e puntualità in ufficio, rispetto dei termini per l’emissione, la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie, nonché con riferimento alla partecipazione alle riunioni previste per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, per l’esame dell’evoluzione della giurisprudenza e per lo scambio di informazioni.
Da ultimo, l’impegno esprime il grado di partecipazione e di fattivo concorso del magistrato al buon andamento dell’ufficio nel quale opera, la disponibilità a sostituzioni di magistrati assenti, la frequenza di corsi di aggiornamento, l’apporto alla soluzione di problemi organizzativi del servizio-giustizia;
Il nuovo articolo 11 precisa, poi, che le valutazioni di professionalità sono di competenza del Consiglio superiore della Magistratura e vengono espresse a seguito di parere motivato dei Consigli giudiziari territorialmente competenti.
Rilevanti attribuzioni sono, inoltre, attribuite al CSM in relazione alla individuazione degli standard di rendimento nonché alla specificazione degli elementi sulla base dei quali il consiglio giudiziario deve esprimere il giudizio.
In particolare, il comma 3 del citato articolo 11 precisa che una apposita delibera del CSM, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della nuova norma, disciplina gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni dei consigli giudiziari, i parametri utili a consentirne l’omogeneità, la documentazione che i capi degli uffici devono trasmettere ai consigli giudiziari entro il mese di febbraio di ciascun anno.
La delibera del CSM – approvata il 4 ottobre 2007 - riguarda, in particolare, le modalità di raccolta della documentazione e d’individuazione a campione dei provvedimenti e verbali d’udienza, i dati statistici da raccogliere, le modalità per la redazione dei pareri dei Consigli giudiziari secondo modelli standard, gli indicatori oggettivi per l’acquisizione dei parametri di valutazione della professionalità, l’individuazione per ogni funzione dei magistrati, dei tempi medi di definizione dei diversi procedimenti. In particolare, la delibera dovrà prevedere, a fini di ulteriore valutazione, la possibilità per ogni membro del Consiglio giudiziario di accedere a tutti gli atti che si trovino nella fase pubblica del processo.
Al termine del quadriennio, il Consiglio giudiziario avrà a disposizione per ogni magistrato un fascicolo contenente gli elementi di valutazione necessari al giudizio di professionalità da esprimere.
Saranno, quindi, valutate (comma 4, art. 11):
1) le informazioni disponibili presso il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della giustizia; l’ambito delle informazioni comprende anche quelle relative a rilievi di natura contabile e disciplinare nonché – in coordinamento con quanto previsto dalla lett. a) del comma 3, dell’art. 11 – la possibilità per ogni membro del Consiglio giudiziario di accedere a tutti gli atti che si trovino nella fase pubblica del processo;
2) la relazione del magistrato sul lavoro svolto nel quadriennio unitamente a quanto altro egli ritenga utile, ivi compresa la copia di atti e provvedimenti che il magistrato ritiene di sottoporre ad esame;
3) le statistiche del lavoro svolto e la comparazione con quelle degli altri magistrati del medesimo ufficio, secondo i criteri stabiliti nei provvedimenti di cui al comma 19;
4) gli atti e i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze alle quali il magistrato abbia partecipato, scelti a campione sulla base di criteri oggettivi stabiliti al termine di ciascun anno con i provvedimenti di cui al comma 19, se non già acquisiti;
5) l’indicazione degli incarichi giudiziari ed extragiudiziari svolti nel periodo valutato, con l’indicazione dell’impegno concreto che gli stessi hanno comportato;
6) il rapporto e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici, i quali devono tenere conto delle situazioni specifiche rappresentate da terzi nonché delle segnalazioni eventualmente pervenute dal consiglio dell’ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità. Il rapporto del capo dell’ufficio è trasmesso al consiglio giudiziario dal presidente della corte di appello o dal procuratore generale presso la medesima corte, titolari del potere-dovere di sorveglianza, con le loro eventuali considerazioni. Analoga segnalazione può essere fatta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, per essere poi trasmessa al consiglio giudiziario dal presidente della corte d’appello o dl PG presso la stessa corte. E’, inoltre, specificata l’obbligatorietà della trasmissione di detti rapporti e segnalazioni al CSM.
Il Consiglio giudiziario può, inoltre, assumere informazioni su fatti specifici segnalati, a carico del magistrato, da suoi componenti o dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati, garantendone il diritto di difesa e di audizione (comma 5, art. 11).
Il Consiglio giudiziario, sulla base degli elementi in suo possesso formula un parere motivato al CSM, unitamente alla documentazione in suo possesso (comma 6, art. 11).
Per finalità di garanzia, il comma 8 prevede che entro 10 giorni dalla notifica del parere del consiglio giudiziario, il magistrato possa far pervenire al CSM le proprie osservazioni e chiedere di essere ascoltato personalmente.
Al termine del giudizio di valutazione, il CSM può esprimere tre tipi di giudizi di professionalità (comma 9, art. 11):
§ positivo;
§ non positivo;
§ negativo.
Il giudizio di professionalità è positivo se la valutazione è (almeno) sufficiente in relazione ad ognuno dei parametri di capacità, laboriosità, diligenza e impegno.
Il giudizio di professionalità è non positivo se la valutazione è carente in relazione ad uno o più dei citati parametri.
Il giudizio è, infine, negativo quando si rilevi carenze gravi in due o più dei suddetti parametri valutativi; il giudizio è, analogamente, negativo anche per il perdurare di carenze in uno o più di tali parametri, quando l’ultimo giudizio sia stato “non positivo”.
Ai sensi del successivo comma 10, nel caso di giudizio non positivo, il CSM procede ad una nuova valutazione dopo un anno, acquisito il parere del Consiglio giudiziario; durante tale anno il magistrato non potrà essere autorizzato allo svolgimento di incarichi extragiudiziari. Se il nuovo parere sarà positivo, a decorrere dalla scadenza dell’anno è dovuto al magistrato il nuovo trattamento economico o l’aumento periodico di stipendio (scatto biennale).
Se il giudizio è negativo, il magistrato è ulteriormente valutato dal CSM dopo un biennio e “salta” così uno degli aumenti periodici biennali. Ai sensi del comma 13 il nuovo trattamento economico eventualmente spettante è dovuto solo a seguito di giudizio positivo e con decorrenza dalla scadenza del biennio.
In caso di giudizio negativo, Il CSM può disporre che il magistrato partecipi ad un percorso formativo di riqualificazione professionale; può altresì assegnare il magistrato, previa sua audizione, a una diversa funzione nella stessa sede o escluderlo, fino a nuova valutazione, dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o semidirettivi o a funzioni specifiche. Nel corso del biennio antecedente alla nuova valutazione il magistrato non può essere autorizzato ad assumere incarichi extragiudiziari (comma 12, art. 11).
Ai sensi del successivo comma 13, ad un secondo giudizio negativo da parte del CSM, previa audizione del magistrato, consegue la sua dispensa automatica dal servizio.
Il nuovo comma 14 dell'articolo 11 prevede ulteriori misure volte a garantire il rispetto delle garanzie difensive del magistrato nel caso di una sua audizione presso il CSM, prevista sia nell'eventualità di un primo e di un secondo giudizio negativo di professionalità (commi 11 e 13), sia quando l’audizione sia richiesta a seguito della notifica al magistrato del parere del Consiglio giudiziario (comma 7).
In particolare, prima delle citate audizioni il magistrato deve essere informato della facoltà di prendere visione degli atti del procedimento e di estrarne copia. Tra l’avviso e l’audizione deve intercorrere un termine non inferiore a sessanta giorni. Il magistrato ha, inoltre, facoltà di depositare atti e memorie fino a sette giorni prima dell’audizione e di farsi assistere da un altro magistrato nel corso della stessa. Nel caso di impedimento, l’audizione può essere differita per una sola volta.
Il comma 15 dell'articolo 11 del D.Lgs 160, nella sua nuova formulazione, precisa, poi, che la valutazione di professionalità è un giudizio espresso con un provvedimento motivato del CSM che dovrà essere trasmesso al Ministro della giustizia ai fini dell'adozione del relativo decreto. Il giudizio è inserito nel fascicolo personale del magistrato ai fini di ogni possibile provvedimento inerente la carriera.
Per quanto riguarda, poi, i magistrati fuori ruolo, il successivo comma 16 dell'articolo 11 individua una procedura di valutazione analoga a quella fin qui descritta, pur con la particolarità degli organi competenti ad esprimere il parere.
Nello specifico, per i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, il giudizio è espresso dal Consiglio superiore della magistratura, acquisito il parere del consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai soli membri che appartengano all’ordine giudiziario; per tutti gli altri fuori ruolo (anche all’estero) il parere è, invece, espresso dal Consiglio giudiziario presso la corte d’appello di Roma.
Il comma 17 prevede, infine, che allo svolgimento della attività previste dall’art. 11 del D.Lgs 160/2006 si provvede con le risorse di personale e strumentali disponibili; sono, quindi, esclusi nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato.
L’articolo 2, comma 3, della legge 111 riformula l’articolo 12 del D.Lgs 160/2006, ora relativo ai “Requisiti e criteri per il conferimento delle funzioni”. Con la nuova norma è eliminato ogni riferimento al sistema di valutazione per esami ai fini del conferimento di funzioni.
L’unica procedura prevista dal nuovo comma 1 dell'art. 12 è quella concorsuale per soli titoli, alla quale sono ammessi a partecipare, a domanda, i soli magistrati che abbiano conseguito almeno la necessaria valutazione di professionalità richiesta.
Solo nel caso di esito negativo di due procedure concorsuali (mancanza di candidati, o loro inidoneità), spetta al CSM, valutata l’urgenza, procedere alla nomina d’ufficio.
L’art. 12 (commi 2-12) indica, quindi, analiticamente, quale valutazione (seconda, terza, quarta, quinta, sesta o settima) debba essere stata conseguita dal magistrato per partecipare allo specifico concorso per titoli.
Così, a parte l’accesso alle funzioni di primo grado per cui è richiesta la sola delibera di conferimento delle funzioni giurisdizionali al termine del tirocinio (con esclusione di quelle requirenti, giudicanti monocratiche penali o di GIP e GUP), per il conferimento di funzioni di secondo grado (consigliere e sostituto PG presso la corte d'appello) e di funzioni semidirettive di primo grado (presidente di sezione presso il tribunale, presidente e presidente aggiunto sezione GIP, procuratore aggiunto presso il tribunale) è richiesta l’idoneità almeno della seconda valutazione di professionalità (comma 3).
Per il conferimento di funzioni semidirettive giudicanti elevate di primo grado (presidente sez. GIP negli uffici di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia) e di funzioni direttive di primo grado (presidente di tribunale ordinario e dei minorenni – e di procuratore della Repubblica presso gli stessi uffici), è necessario aver conseguito la terza valutazione di professionalità (commi 4 e 6).
Per il conferimento di funzioni requirenti di coordinamento nazionale (sostituto procuratore presso la DNA), di funzioni di legittimità (consigliere e sostituto PG presso la cassazione), semidirettive di secondo grado (presidente di sezione ed avvocato generale presso la corte d’appello) e direttive elevate di primo grado (presidente di tribunale di sorveglianza, presidente e PG presso il tribunale ordinario delle città sopraelencate), è necessario il superamento della quarta valutazione di professionalità. Per i sostituti presso la DNA si osservano le disposizioni dell’art. 76-bis dell’ordinamento giudiziario[58].
E’ fatta salva per il conferimento delle funzioni di legittimità (consigliere e sostituto PG presso la cassazione) la riserva dei posti prevista dal successivo comma 14, che prevede che il 10% dei posti vacanti in tali funzioni siano assegnati, previa procedura valutativa, a magistrati in possesso di adeguati titoli professionali e scientifici che abbiano conseguito la seconda o terza valutazione di professionalità.
Per l’accesso alle funzioni di grado più elevato si prevede, poi:
§ il conseguimento della quinta valutazione di professionalità, per le funzioni direttive di secondo grado (presidente e PG presso la corte d’appello), per le direttive requirenti di coordinamento nazionale (procuratore nazionale antimafia) e per le funzioni direttive di legittimità (presidente di sezione e avvocato generale presso la Corte di cassazione);
§ il conseguimento della sesta valutazione di professionalità, per le funzioni direttive superiori di legittimità (presidente aggiunto della corte di cassazione e Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche);
§ il conseguimento della settima ed ultima valutazione di professionalità per le funzioni direttive apicali di legittimità (primo presidente e procuratore generale presso la Corte di cassazione).
Il comma 10 prevede, poi, che oggetto di valutazione per il conferimento delle funzioni da semidirettive di primo grado a direttive elevate di primo dovranno essere anche le passate esperienze direttive, di organizzazione, collaborazione e coordinamento investigativo nazionale con particolare riguardo ai risultati ottenuti e ai corsi di formazione in materia organizzativa-gestionale frequentati. Al riguardo, si segnala come possa essere oggetto di valutazione ogni altro elemento che evidenzi l’attitudine direttiva, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura[59].
Il successivo comma 11 prevede, poi, che per il conferimento delle più elevate funzioni direttive, direttive superiori e direttive apicali presso la corte di Cassazione, oltre agli elementi desunti attraverso le valutazioni di cui ai precedenti commi 3 e 5 dell' articolo 11, il magistrato, alla data della vacanza del posto da coprire, deve avere svolto funzioni di legittimità per almeno quattro anni; devono essere, inoltre, valutate specificamente le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati anche prima dell’accesso alla magistratura nonché ogni altro elemento che possa evidenziare la specifica attitudine direttiva.
Per quanto riguarda, poi, il conferimento delle funzioni semidirettive, direttive, direttive superiori e direttive apicali, il comma 12 stabilisce che l'attitudine direttiva deve essere valutata sia con riferimento alla capacità di organizzare il proprio lavoro nel contesto in cui si opera, sia, in particolare, come attitudine a coordinare e valorizzare l’attività del personale di magistratura e non in dotazione all’ufficio, sia, da ultimo, in relazione alla capacità di rispettare il progetto di organizzazione tabellare.
Con riferimento, poi, al conferimento delle funzioni di legittimità, il comma 13 prevede come oggetto di valutazione “la capacità scientifica e di analisi delle norme”. Detto requisito è oggetto unico di valutazione da parte di un’apposita commissione interna al CSM, composta da 5 membri - 3 magistrati che abbiano superato la quarta valutazione (e che esercitino o abbiano esercitato funzioni di legittimità per almeno 2 anni) più 2 membri laici; questi ultimi saranno un professore universitario designato dal Consiglio universitario nazionale ed un avvocato designato dal C.N.F. (Consiglio nazionale forense) abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori. I successivi commi 15, 16 e 17 dell’art. 11 disciplinano, in prevalenza, i profili organizzativi e funzionali di detta commissione, definiti con delibera del CSM. In particolare, per quanto riguarda il parere sulla capacità scientifica e di analisi delle norme si prevede che questo venga espresso con la presenza di almeno 3 dei componenti. È stato, altresì, previsto che il Consiglio superiore, se intenda discostarsi dal parere espresso dalla commissione possa farlo, salvo motivare sul punto.
Da ultimo, si segnala che il comma 14 dell’art. 12 prevede una riserva dei posti per il conferimento delle funzioni di legittimità, pari al 10% dei posti vacanti, da assegnare previa valutazione, a magistrati in possesso di adeguati titoli professionali e scientifici che abbiano conseguito la seconda o terza valutazione di professionalità. Viene precisato, però, come tale conferimento riservato non abbia alcun effetto ai fini giuridici-economici né sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di funzioni di merito.
L’articolo 2, comma 4 della legge 111 sostituisce l’articolo 13 del D.Lgs 160, ora rubricato “Attribuzione delle funzioni e passaggio da quelle giudicanti a quelle requirenti e viceversa”.
La nuova norma stabilisce, anzitutto, la competenza del CSM a disporre con provvedimento motivato, previo parere del Consiglio giudiziario, le assegnazioni di sede, i passaggi di funzioni, i conferimenti di funzioni direttive e semidirettive e l’assegnazione al relativo ufficio dei magistrati che non abbiano ancora conseguito la prima valutazione (comma 1).
Ai magistrati che abbiano terminato il tirocinio – salvo eccezioni, stabilite dal CSM per far fronte a “particolari esigenze di servizio” – è, come già detto, interdetto l’accesso a specifiche funzioni prima del conseguimento della prima valutazione di professionalità: si tratta delle funzioni requirenti, giudicanti monocratiche penali, di giudice delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare (comma 2).
I successivi commi del nuovo art. 13 del D.Lgs 160 sono relativi alla disciplina del passaggio di funzioni.
In base alla nuova disciplina prevista dalla legge 111 del 2007, il passaggio di funzioni, da giudicanti a requirenti e viceversa - sempre disposto a seguito di concorso e possibile non più di quattro volte nel corso della carriera del magistrato - è soggetto alle seguenti limitazioni (comma 3):
§ limitazione di natura geografica, in quanto, salvo quanto previsto dal successivo comma 4, il passaggio non è possibile sia all’interno dello stesso distretto di corte d’appello né all’interno di altri distretti della stessa regione nè (se fuori regione) in relazione al capoluogo distrettuale competente per i procedimenti riguardanti i magistrati ex art. 11 c.p.p (rispetto al distretto in cui il magistrato presta servizio all’atto del mutamento delle funzioni). Il passaggio di funzioni comporterà, quindi, il trasferimento del magistrato ad ufficio giudiziario di diversa regione (comma 3).
Ai sensi del successivo comma 4, la citata limitazione geografica non si applica e, quindi, non è necessario il trasferimento ad altra regione ed il tramutamento di funzioni può avvenire in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quella di provenienza nelle seguenti ipotesi :
a) quando un magistrato abbia negli ultimi 5 anni svolto solo funzioni civili o del lavoro e chieda il passaggio a funzioni requirenti (penali); in tal caso, il magistrato non potrà essere destinato, neanche come sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni.
b) quando un magistrato che svolge funzioni requirenti (sia civili che penali) chieda di passare a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni ove ci siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro; in tale ipotesi, il magistrato non può essere destinato, neanche come sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni.
Il medesimo comma 4, precisa, comunque, che il tramutamento di secondo grado può avvenire solo in un distretto diverso rispetto a quello di provenienza (quindi, quando il distretto coincida con la regione, sarà comunque, necessario cambiare regione).
§ ulteriori limitazioni disposte in relazione allo status professionale del magistrato, il quale:
a) deve aver svolto 5 anni di servizio nella funzione di provenienza;
b) deve aver frequentato un corso di qualificazione professionale;
c) deve essere giudicato “idoneo” allo svolgimento delle nuove funzioni dal CSM, previo parere del Consiglio giudiziario.
In relazione a tale giudizio di idoneità viene precisato l’obbligo di acquisizione, da parte dl Consiglio giudiziario, delle osservazioni formulate dal presidente della corte d’appello o del PG presso la stessa corte (a secondo delle funzioni di provenienza del magistrato richiedente il passaggio), i quali , oltre a quelle del capo dell’ufficio, potranno acquisire le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, oltre quelle del capo dell'ufficio. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti di legittimità (e viceversa), si è stabilito – per esigenze di coordinamento - che il parere al CSM sia rilasciato dal Consiglio direttivo della Corte di cassazione; allo stesso modo le osservazioni saranno formulate da primo presidente e dal PG presso la Suprema Corte (comma 3).
Ai sensi, poi, del nuovo comma 5 dell'articolo 13 del decreto 160/2006, oltre all’anzianità di servizio, ai fini dei passaggi di funzione, devono essere valutate le specifiche attitudini desunte dalle quadriennali valutazioni di professionalità (comma 4).
Da ultimo, le limitazioni ai passaggi di funzione precisate al comma 3 non sussistono (comma 6):
§ né in relazione all’esercizio di funzioni direttive superiori ed apicali negli uffici di legittimità;
§ né, limitatamente alla sede di destinazione, per l’esercizio di funzioni di legittimità e direttive di legittimità che comportino mutamento di funzioni da giudicante a requirente e viceversa.
Una specifica eccezione alla limitazione geografica relativa ai passaggi di funzione è prevista per i magistrati delle provincia autonoma di Bolzano, cui è consentito il passaggio cambiando soltanto circondario (comma 7).
L’articolo 2, comma 5, della legge 111/2007 novella ed integra il contenuto dell’articolo 19 del D.lgs 160/2006, relativo ai limiti temporali di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio giudiziario.
Il citato art. 19 prevedeva, salvo quanto previsto dagli articoli 45 e 46 (temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi), che i magistrati con funzioni di primo e secondo grado potessero rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, il medesimo incarico nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo massimo di dieci anni, con facoltà di proroga del predetto termine per non oltre due anni, previa valutazione del CSM fondata su comprovate esigenze di funzionamento dell'ufficio e comunque con possibilità di condurre a conclusione eventuali processi di particolare complessità nei quali il magistrato sia impegnato alla scadenza del termine (comma 1).
La novella dell’art. 19 introduce, in particolare, le seguenti novità:
§ il limite decennale di permanenza nell’incarico è eliminato; spetta, ora, al CSM definire in via regolamentare il periodo massimo di permanenza, individuandolo in ogni caso, a seconda delle funzioni esercitate, tra un minimo di 5 ed un massimo di 10 anni, in base alle diverse funzioni;
§ in relazione, poi, alla facoltà di proroga è previsto che il Consiglio superiore possa disporre la proroga dello svolgimento delle medesime funzioni limitatamente alle udienze preliminari già iniziate e per i procedimenti penali per i quali sia stato già dichiarato aperto il dibattimento, e per un periodo non superiore a due anni.
Il contenuto della norma è, poi, integrato da un comma 2-bis che dispone per l’eventualità di mancata domanda di trasferimento alla scadenza del termine massimo di permanenza nelle funzioni. Al riguardo, si prevede che il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all’interno dell’ufficio o ad altro ufficio è assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell’ufficio immediatamente esecutivo.
Nel caso in cui il magistrato abbia presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, il medesimo comma 2-bis prevede che possa rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso
L’articolo 2, commi 6 e 7, novellando il D.Lgs 160/2006, introducono un limite di età per il conferimento di funzioni, rispettivamente, semidirettive (art. 34-bis, D.Lgs 160) e direttive (art. 35, D.Lgs 160).
Nello specifico, viene stabilito che dette funzioni possono essere assegnate ai soli magistrati che – al momento della vacanza del posto – possano assicurare un periodo minimo di 4 anni di servizio prima della data di collocamento a riposo di cui all’art. 16, comma 1-bis, del D.Lgs 503/1999[60] (75 anni di età) ed abbiano esercitato la relativa facoltà. Sarà quindi necessario, al momento della vacanza, non aver superato i 71 anni di età.
Inoltre, si prevede che ai magistrati che non assicurino tale periodo minimo di servizio possono essere conferite dal CSM funzioni semidirettive soltanto in caso di rinnovo del primo periodo quadriennale di svolgimento delle stesse funzioni.
Le sole funzioni per le quali non è previsto un limite di età risultano, quindi, quelle direttive superiori di legittimità (presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, presidente aggiunto e procuratore generale aggiunto presso la cassazione) e le due apicali (primo presidente e procuratore generale aggiunto presso la cassazione) nonché, limitatamente alle funzioni relative alla sede di destinazione, anche le funzioni di legittimità e direttive di legittimità che comportino il mutamento di funzioni da giudicanti a requirenti e viceversa.
L’articolo 2, comma 8, della legge novella, invece, l’articolo 36, comma 1, del D.Lgs 160/2006, stabilendo che i magistrati riammessi in servizio all’esito di procedimento penale concluso con sentenza definitiva di proscioglimento non possano recuperare il periodo di sospensione dal servizio superando il limite massimo di 75 anni di età previsto per il collocamento a riposo.
Al riguardo, si ricorda che la disciplina vigente stabilisce che nelle citate ipotesi, alla data di ordinario collocamento a riposo, è aggiunto un periodo pari a quello della sospensione ingiustamente subita e del servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati fra loro. Il limite dei 75 anni può, quindi, essere superato se necessario a recuperare il periodo di sospensione ingiustamente sofferto.
L’art. 2 della legge 111 sostituisce, poi, con i commi 9 e 10, gli articoli 45 e 46 del D.lgs 160/2006, relativi alla temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive.
Il nuovo art. 45 conferma la regola generale, introdotta dal "decreto Castelli” riguardante la durata quadriennale degli incarichi direttivi.
L’art. 45, comma 1, del D.Lgs 160 prevedeva che gli incarichi direttivi, ad esclusione di quelli indicati agli articoli 39 e 40 (direttivi di legittimità, direttivi superiori e superiori apicali di legittimità) avessero carattere temporaneo e fossero attribuiti per la durata di 4 anni, rinnovabili a domanda, acquisito il parere del Ministro della giustizia, previa valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura, per un periodo ulteriore di 2 anni. L’eventuale periodo massimo di permanenza nell’incarico direttivo sarebbe stata quindi di 6 anni.
Il riformulato art. 45 (comma 1) prevede, in particolare, che allo scadere dei 4 anni, il CSM può confermare il magistrato nelle stesse funzioni direttive per una sola volta e per lo stesso periodo di 4 anni, a seguito di valutazione dell’attività svolta (previo concorso, secondo il testo iniziale del Governo); se la valutazione è negativa, è inibita al magistrato per 5 anni la partecipazione a concorsi per il conferimento di incarichi direttivi. Il nuovo testo aumenta, quindi, da 6 a 8 anni il periodo di massima permanenza nell’incarico direttivo.
Alla scadenza del termine di cui al comma 1, il magistrato che ha esercitato funzioni direttive, in assenza di domanda per il conferimento di altra funzione ovvero in ipotesi di reiezione della stessa o di mancata presentazione della domanda, è assegnato alle funzioni non direttive nello stesso ufficio, anche in soprannumero, da riassorbire con la prima vacanza. All’atto della presa di possesso del nuovo titolare della funzione direttiva, il magistrato che ha esercitato la relativa funzione, se ancora in servizio presso il medesimo ufficio, resta comunque provvisoriamente assegnato allo stesso, nelle more delle determinazioni del Consiglio superiore della magistratura, con funzioni né direttive né semidirettive (comma 2, articolo 45).
Il nuovo art. 46 prevede, poi, anche per gli incarichi semidirettivi una durata di 4 anni (l’attuale corrispondente norma del D.Lgs 160 prevede una temporaneità di 6 anni) prorogabile per uguale periodo.
Anche in tal caso, quindi, la permanenza massima è di 8 anni.
Disposizioni analoghe a quelle descritte dal nuovo art. 45 sono, poi, stabilite per la riassegnazione per un ulteriore quadriennio alle stesse funzioni e per il caso di mancata decisione sulla domanda di assegnazione ad altre funzioni da parte del CSM, ovvero nella ipotesi di mancata presentazione della stessa alla scadenza del secondo quadriennio. Il magistrato ritorna, in tal caso, a svolgere le funzioni esercitate prima del conferimento delle funzioni semidirettive, anche in soprannumero da riassorbire con la prima vacanza, nell’ufficio di appartenenza o in quello ove prestava prima servizio. Sul tema e, in particolare, sulla prima applicazione di queste disposizioni, si veda anche la schedaReggenza di uffici giudiziari, pag. 121.
L’art. 2, comma 11, della legge sostituisce, infine, con la tabella “A” allegata, la tabella relativa alla magistratura ordinaria allegata alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 “Provvidenze per il personale di magistratura“.
Detta tabella riporta le qualifiche nella magistratura ordinaria (dai tirocinanti ai magistrati con funzioni direttive apicali di legittimità) ed i relativi stipendi annui lordi.
La nuova tabella “A” è la seguente:
Magistratura ordinaria |
|
Magistrato con funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità (Primo Presidente della corte di cassazione) |
€ 78.474,39 |
Magistrato con funzioni direttive apicali requirenti di legittimità (P.G. presso la corte di cassazione) |
€ 75.764,26 |
Magistrati con funzioni direttive superiori di legittimità (Presidente aggiunto, Procuratore generale aggiunto; Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche) |
€ 73.018,13 |
Magistrati ordinari alla settima valutazione di professionalità |
€ 66.470,60 |
Magistrati ordinari alla quinta valutazione di professionalità |
€ 56.713,83 |
Magistrati ordinari dopo un anno dalla terza valutazione di professionalità |
€ 50.521,10 |
Magistrati ordinari alla prima valutazione di professionalità |
€ 44.328,37 |
Magistrati ordinari |
€ 31.940,23 |
Magistrati ordinari in tirocinio |
€ 22.766,71 |
L’art. 2, comma 12, della legge 111 riformula l’articolo 51 del D.Lgs 160/2006 che in materia di progressione economica dei magistrati, attualmente individua le cd. classi di anzianità.
L’art. 51 (Classi di anzianità) del D.Lgs 160 prevedeva che la progressione economica dei magistrati si articolasse automaticamente secondo le seguenti classi di anzianità, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 e fermo restando il migliore trattamento economico eventualmente conseguito:
a) prima classe: dalla data del decreto di nomina a sei mesi;
b) seconda classe: da sei mesi a due anni;
c) terza classe: da due a cinque anni;
d) quarta classe: da cinque a tredici anni;
e) quinta classe: da tredici a venti anni;
f) sesta classe: da venti a ventotto anni;
g) settima classe: da ventotto anni in poi.
Ai sensi del citato decreto i magistrati che avevano conseguito le funzioni di secondo grado a seguito del concorso per titoli ed esami, scritti ed orali di cui all'articolo 12, comma 3, ottenevano la quinta classe di anzianità; quelli che avessero conseguito le funzioni di legittimità a seguito dei concorsi di cui all'articolo 12, comma 4, ottenevano la sesta classe di anzianità.
Il nuovo articolo 51 del decreto legislativo 160/2006, ora rubricato “Trattamento economico”, precisa, in particolare, che le somme indicate tengono conto degli adeguamenti economici triennali fino alla data del 1° gennaio 2006 e conferma esplicitamente la disciplina attualmente prevista in materia di progressione stipendiale, determinata da classi e scatti biennali e dall’adeguamento economico triennale.
L'art. 51 precisa, poi, che il trattamento economico previsto dopo 13 anni di servizio dalla nomina viene corrisposto solo in caso di esito positivo della terza valutazione di professionalità; in caso di valutazione non positiva o negativa, si ha diritto al trattamento solo dopo nuova valutazione positiva e dalla scadenza del periodo di cui ai commi 10, 11 e 12 dell’art. 11 (dopo un anno, in caso di valutazione non positiva; dopo due anni, se la valutazione è negativa).
L’art. 2, comma 13, della legge sostituisce l’articolo 52 del D.Lgs 160 relativo all’ambito di applicazione che, attualmente, lo riferisce alla sola magistratura ordinaria, ad eccezione delle disposizioni di cui al capo I, del decreto, relative al concorso, applicabili anche alla magistratura militare.
Infine, l’art. 2, comma 14 ha abrogato, l’art. 53 del D.Lgs 160/2006, relativo alla copertura finanziaria di disposizioni dello stesso decreto.
L’articolo 3 apporta numerose modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, relativo all’istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché al tirocinio e alla formazione degli uditori giudiziari, all’aggiornamento professionale e alla formazione dei magistrati.
I commi da 1 a 11 intervengono sul Titolo I del decreto legislativo dedicato all’istituzione della Scuola superiore della magistratura. In particolare, il comma 1, modifica l’articolo 1 del decreto n. 26/2006 che istituisce la Scuola superiore della magistratura, ne indica la forma giuridica e le caratteristiche di struttura.
Quanto alla localizzazione, la norma prevede il decentramento della Scuola attraverso l’istituzione di tre sedi a competenza interregionale, una per i distretti del nord, una per quelli del centro ed una per quelli del sud del Paese. L'esigenza di reperire, negli ambiti interregionali individuati, tre sedi adeguate, ha poi consigliato di rimettere ad un successivo decreto ministeriale, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'individuazione delle tre località sedi della Scuola[61].
Intervenendo sul comma 5, la legge elimina ogni richiamo alla competenza interregionale delle tre sedi della scuola e ribadisce la forma del decreto interministeriale per individuare le sedi della scuola e scegliere quella delle tre in cui si riunirà il comitato direttivo della scuola stessa (v. infra).
Il comma 2 sostituisce l’articolo 2 del d.lgs. n. 26 del 2006, nel quale sono enumerate le finalità della Scuola inerenti il tirocinio e l'aggiornamento professionale dei magistrati, nonché le connesse finalità di studio e di interscambio con analoghe istituzioni straniere.
La disposizione in commento amplia le finalità della Scuola aggiungendo, fra le altre, la formazione della magistratura onoraria, dei magistrati dirigenti degli uffici giudiziari, ma anche di magistrati stranieri; il coordinamento delle attività di formazione decentrata; la collaborazione con altri paesi nell’organizzazione del servizio giustizia. Inoltre, si prevede che l’organizzazione della scuola sia disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati dal comitato direttivo.
Il comma 3 – intervenendo sull’articolo 3 del D.Lgs 26/2006 - stabilisce che lo statuto venga approvato dal comitato direttivo con il voto favorevole di 8 commissari su 12 (la previgente disciplina richiedeva 5 voti favorevoli sui 7 membri del comitato, v. infra).
Il comma 4 modifica l’articolo 4 del decreto legislativo n. 26/2006 e dispone che organi della Scuola sono: il comitato direttivo, il presidente e il segretario generale. Quest’ultima figura sostituisce i comitati di gestione previsti dalla normativa vigente.
Il comma 5 riscrive, poi, l’articolo 5 del decreto legislativo n. 26, modificando la composizione e le funzioni del comitato direttivo. In base alla nuova disposizione il comitato direttivo è composto da 12 membri (in luogo degli attuali 7) e svolge, in particolare, le seguenti funzioni:
§ adotta e modifica lo statuto ed i regolamenti interni, approva i bilanci e vigila sul corretto andamento della scuola;
§ nomina il segretario generale;
§ adotta e modifica, nel rispetto delle linee programmatiche proposte dal CSM e dal Ministro della giustizia, il programma annuale dell’attività didattica;
§ cura la tenuta dell’albo dei docenti e nomina i docenti delle singole sessioni formative;
§ determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative ammissioni.
Il comma 6 modifica le disposizioni relative alla nomina dei componenti del comitato direttivo (articolo 6, commi 1 e 2, D.lgs. n. 26/2006).
Confermando in 4 anni la durata del comitato, ma eliminandone i componenti di diritto, il disegno di legge prevede la seguente composizione dell’organo:
§ 7 magistrati (che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità; può trattarsi anche di magistrati già in pensione);
§ 3 professori universitari;
§ 2 avvocati (che abbiano esercitato per almeno 10 anni).
Quanto alle nomine, queste competono per 7 unità al CSM (in particolare, il Consiglio nominerà 6 magistrati e un docente universitario) e per le restanti 5 unità al Ministro della giustizia (un magistrato, 2 professori universitari e 2 avvocati), ma i due organi dovranno procedere d’intesa.
Il comma 7 apporta limitate modifiche alle maggioranze richieste per il funzionamento del comitato direttivo (articolo 7). In particolare, prevede che per gli atti di straordinaria amministrazione sia necessaria la maggioranza assoluta dei componenti (7 voti favorevoli su 12 membri).
Il comma 8 sostituisce l’articolo 11 del decreto legislativo, relativo alle funzioni del Presidente della Scuola. La nuova disposizione conferma che il presidente ha la rappresentanza legale della Scuola; è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta; presiede il comitato direttivo.
A queste previsioni si aggiunge ora la possibilità per il presidente di adottare i provvedimenti d’urgenza, salva la loro ratifica in caso di atti di competenza di un altro organo.
La modifica prevista dal comma 9 assume natura di coordinamento con l’eliminazione dei citati comitati di gestione (l’art. 4, co. 20 abroga gli articoli da 13 a 17 del decreto legislativo 26/2006, ad essi relativi). Viene, infatti, riscritta la rubrica della IV sezione del Titolo I del decreto legislativo, cancellando il riferimento ai comitati di gestione per sostituirlo con i responsabili di settore.
In ragione di questa modifica, l’articolo 12 del decreto legislativo viene completamente riformulato dal comma 10 dell’articolo 3 della legge 111. Il nuovo articolo 12 dispone che i componenti del comitato direttivo svolgano anche i compiti di responsabili di settore. Il comitato direttivo assegnerà loro i compiti istruttori (predisposizione della bozza di programma annuale delle attività didattiche; individuazione dei docenti da sottoporre al comitato direttivo; proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione) ed i compiti esecutivi (attuazione del programma annuale dell’attività didattica; definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione; individuazione dei docenti nella rosa di nomi approvata dal comitato direttivo).
Il comma 11 inserisce, poi, nel decreto legislativo la sezione IV-bis, dedicata al Segretario generale, e composta da due articoli (artt. 17-bis e 17-ter).
In base alle nuove disposizioni il Segretario generale provvede alla gestione amministrativa della Scuola ed esercita le competenze conferitegli dallo statuto, dai regolamenti interni ovvero a lui eventualmente delegate dal comitato direttivo (art. 17-bis).
Il Segretario generale dura in carica 5 anni ed è nominato dal comitato direttivo che può scegliere tra magistrati ordinari – che abbiano conseguito la quarta valutazione di professionalità - o dirigenti di prima fascia.
L’incarico, che può essere rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni, non prevede indennità o compensi aggiuntivi; laddove il comitato direttivo abbia nominato un magistrato, questi è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura (art. 17-ter).
I commi da 12 a 16 dell’articolo 3 apportano modifiche al Titolo II del decreto legislativo n. 26 del 2006 (artt. 18-22), dedicato al tirocinio degli uditori giudiziari.
In particolare, il comma 12 modifica la rubrica del Titolo II, ora dedicato ai magistrati ordinari in tirocinio.
Il comma 13, sostituendo l’articolo 18 del decreto legislativo, prevede che il tirocinio dei magistrati nominati a seguito del concorso per esami abbia durata di 18 mesi (in luogo degli attuali 24) confermandone l’articolazione in due sessioni:
a) sessione della durata di 6 mesi, anche non consecutivi, da effettuare presso la scuola;
b) sessione della durata di 12 mesi da effettuare presso gli uffici giudiziari.
Conseguentemente, la legge 111 (cfr. art. 4, comma 20) abroga l’art. 19 del decreto legislativo, che prevedeva che il tirocinio si articolasse in due sessioni.
In base all’art. 18, spetta al CSM definire le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio.
Il comma 14 sostituisce l’articolo 20 del decreto legislativo, relativo al tirocinio presso la Scuola. La disposizione prevede (art. 20, co. 1) che durante il tirocinio svolto presso la Scuola i magistrati frequentino corsi di approfondimento su materie individuate dal CSM e dal comitato direttivo. I docenti saranno nominati dal comitato direttivo (co. 2) che, al termine delle sessioni, trasmetterà al CSM una relazione su ciascun magistrato.
Il comma 15 apporta all’articolo 21 del decreto legislativo 26/2006 - dedicato al contenuto e alle modalità di svolgimento del tirocinio presso gli uffici giudiziari - modifiche di coordinamento conseguenti alla novella introdotta. Si segnalano, comunque, le seguenti novità:
§ quanto all’articolazione del tirocinio, esso è previsto della durata di 4 mesi presso il tribunale (in luogo dei precedenti 7); di 2 mesi presso la procura (erano 3 mesi) e della durata di 6 mesi presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione (erano previsti 8 mesi);
§ in relazione alla formulazione del comma 3 dell’art. 21, ai sensi del quale i magistrati presso i quali viene svolto il tirocinio sono designati dal CSM (e non dal comitato di gestione, come prima previsto), su proposta del competente consiglio giudiziario. Conseguentemente i magistrati c.d. affidatari, al termine della sessione, trasmettono al comitato direttivo e al CSM una scheda valutativa del magistrato che ha svolto tirocinio (comma 4).
Il comma 16 interviene sull’articolo 22 del decreto legislativo, relativo al procedimento di valutazione del tirocinio.
La disposizione, sostituendo i primi due commi dell’art. 22, prevede che al termine del tirocinio siano trasmesse dal comitato direttivo della scuola al CSM le schede di valutazione redatte al termine delle sessioni (comma 1). Sarà il CSM a pronunciare il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione, ma anche del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante. Laddove il giudizio sia positivo il CSM dovrà anche pronunciarsi in ordine all’attitudine del magistrato a svolgere funzioni giudicanti o funzioni requirenti.
I commi da 17 a 19 novellano una limitata parte del Titolo III del decreto legislativo, dedicato all’aggiornamento professionale e alla formazione dei magistrati.
In particolare, il comma 17 dell’articolo 3 della legge, interviene sull’articolo 23 del decreto legislativo (Tipologia dei corsi) sostanzialmente per sostituire il comitato direttivo al comitato di gestione per quanto concerne l’approvazione annuale del piano dei corsi di formazione e aggiornamento.
In relazione all’oggetto dei corsi, il comma 18 aggiunge a quanto era previsto dall’articolo 24 del decreto legislativo, che spetta allo statuto determinare il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti, i quali saranno oggetto di valutazione da parte dei partecipanti ai corsi. Inoltre, il comitato direttivo e i responsabili di settore potranno usufruire delle strutture per la formazione decentrata esistenti presso i vari distretti di Corte d’appello.
Infine, il comma 19 interviene sull’articolo 25 del decreto n. 26/2006 e prevede che tutti i magistrati in servizio abbiano l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni, ad un corso di formazione e di aggiornamentoprofessionale. Il corso di formazione che il magistrato dovrà frequentare dovrà essere individuato dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze specifiche di ciascun magistrato e tenuto conto delle sue richieste.
Solo nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati dovranno partecipare a sessioni di formazione annuali. Inoltre, diversamente da quanto è disposto attualmente, la partecipazione ai corsi è considerata attività di servizio (e non periodo di congedo retribuito).
In conclusione, si ricorda che per effetto dell’art. 4, comma 20 della legge 111, gli ulteriori articoli da 26 a 36 del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, sono abrogati.
Restano in vigore i residui articoli da 37 a 39, che non sono oggetto di intervento legislativo.
L’articolo 4 della legge n. 111 del 2006 ha un duplice contenuto: nei commi da 1 a 15 novella il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, relativo all’istituzione del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e alla disciplina dei Consigli giudiziari; nei successivi commi da 16 a 20 apporta limitate modifiche a varie disposizioni in tema di ordinamento giudiziario.
Quanto alla prima parte dell’articolo 4, come detto, essa interviene (commi da 1 a 4) sul Capo I del Titolo I del decreto legislativo 25/2006, relativo all’istituzione, alla composizione e alla durata in carica del Consiglio direttivo della Corte di cassazione.
In particolare, il comma 1, riscrive l’articolo 1 del decreto legislativo modificando la composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione.
Il previgente articolo 1 del D.Lgs 25/2006 prevedeva l'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, quale organo interno alla Corte, corrispondente ai consigli giudiziari presso le corti di appello, destinato a durare in carica 4 anni (art. 5).
Il profilo strutturale del Consiglio direttivo era il seguente:
§ tre membri di diritto (primo presidente della Corte di cassazione, procuratore generale presso la stessa Corte, presidente del Consiglio nazionale forense);
§ un magistrato che eserciti funzioni direttive giudicanti di legittimità;
§ un magistrato che eserciti funzioni direttive requirenti di legittimità;
§ due magistrati che esercitino effettive funzioni giudicanti di legittimità (in servizio presso la Corte di cassazione);
§ un magistrato che eserciti effettive funzioni requirenti di legittimità (in servizio presso la procura generale della Corte di cassazione);
§ un professore ordinario di università in materie giuridiche (designato dal Cun - Consiglio universitario nazionale);
§ un avvocato con almeno venti anni di anzianità professionale e iscritto da almeno cinque anni nell’albo speciale per le giurisdizioni superiori (designato dal Cnf - Consiglio nazionale forense).
In conclusione: dieci membri, di cui sette togati (quattro giudicanti + tre requirenti) e tre laici (due avvocati, un professore).
Il nuovo articolo1 conferma i tre componenti di diritto ed eleva a 11 gli ulteriori membri, così ripartiti:
§ 8 magistrati (due che esercitano funzioni requirenti e sei che esercitano funzioni giudicanti, eletti da tutti e tra tutti i magistrati in servizio presso la Corte e la Procura generale, ivi compresi i magistrati con funzioni di merito addetti all’Ufficio del ruolo e del massimario);
§ 2 professori universitari di ruolo di materie giuridiche, nominati dal Consiglio universitario nazionale;
§ 1 avvocato con almeno venti anni di esercizio effettivo della professione ed iscritto da almeno cinque anni nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, nominato dal Consiglio nazionale forense.
Il comma 2 interviene sull’articolo 2 del decreto legislativo n. 25/2006, che individua i componenti supplenti del Consiglio direttivo. Con l’abrogazione del comma 1 dell’articolo 2 è eliminato ogni riferimento ai 6 membri supplenti (4 magistrati e 2 laici); rimane in vigore la previsione del comma 2, ai sensi della quale in caso di mancanza o impedimento dei membri di diritto, questi sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni.
Il comma 3 modifica l’articolo 3 del decreto legislativo 25/2006 che delinea gli organi del Consiglio direttivo, eliminando la figura del vice presidente e precisando che, nel corso della prima seduta, il Consiglio adotta le disposizioni concernenti l’organizzazione dell’attività e la ripartizione degli affari.
Il comma 4 sostituisce l’articolo 4 del decreto legislativo, relativo all’elezione dei componenti togati del Consiglio direttivo, e aggiunge un ulteriore articolo 4-bis volto a disciplinare la ripartizione dei seggi.
Il nuovo articolo 4 disciplina anzitutto la presentazione delle liste prevedendo (commi 1 e 2):
§ che ciascuna lista debba essere sottoscritta da almeno 25 elettori, le cui firme dovranno essere autenticate;
§ che ciascun elettore possa presentare una sola lista;
§ che ciascuna lista non possa essere composta da un numero di candidati superiore ai numero degli eleggibili;
§ che ciascun candidato non possa essere inserito in più di una lista.
Il comma 3 interviene sulle modalità di voto prevedendo che ciascun elettore abbia a disposizione due schede, una per eleggere i magistrati requirenti (2) e una per eleggere i magistrati giudicanti (6); nell’ambito di ciascuna scheda l’elettore potrà esprimere un voto di lista e una sola preferenza.
L’articolo 4-bis disciplina il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi prevedendo un sistema proporzionale. L’ufficio elettorale dovrà individuare il quoziente base (voti validi espressi nel collegio per ogni categoria di magistrati /numero dei seggi da attribuire), calcolare il numero di seggi spettante a ciascuna lista (voti di lista/quoziente base) e proclamare eletti i candidati che hanno riportato il maggior numero di preferenze. I seggi non assegnati direttamente vengono attribuiti in ordine decrescente alle liste cui corrispondono i maggiori resti; il caso di parità nei voti di preferenza il seggio è assegnato al magistrato con la maggiore anzianità di servizio e, in caso di pareggio, al più anziano anagraficamente.
I commi da 5 a 7 dell’articolo 4 intervengono sul Capo II del Titolo I del decreto legislativo 25 (artt. 7 e 8), relativo alle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione.
In particolare, il comma 5 apporta modifiche alle competenze del Consiglio direttivo, intervenendo sull’articolo 7 del D.lgs. n. 25/2006. Quanto all’attività consultiva, è precisato che il parere sull’attività dei magistrati (lett. b) consiste in una valutazione di professionalità ai sensi dell’art. 11 del d.lgs n. 160/2006. E’ soppresso il parere al CSM su alcune vicende riguardanti la vita professionale dei magistrati (lettera f); sono soppresse tutte le funzioni di vigilanza disciplinare (lett. c) e d) e le competenze amministrative (lett. e).
Il comma 6 modifica l’articolo 8 del decreto legislativo prevedendo che i componenti laici del consiglio direttivo (avvocato e professori) possano partecipare alle riunioni esclusivamente quando si tratta di rendere il parere sulle tabelle della Corte di cassazione (lett. a).
Il comma 7 introduce l’articolo 8-bis, ai sensi del quale le sedute del comitato direttivo sono valide se sono presenti da un quorum di 7 componenti (su un totale di 14). Le deliberazioni sono assunte a maggioranza (relativa) e in caso di parità prevale il voto del Presidente.
I commi da 8 a 12 dell’articolo 4 della legge 111 intervengono sul Capo I del Titolo II del decreto legislativo (artt. 9-14), relativo alla composizione e alla durata in carica dei Consigli giudiziari.
In particolare, il comma 8 modifica l’articolo 9 del decreto legislativo, relativo alla composizione dei consigli giudiziari, che elimina il presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati del capoluogo di distretto dai membri di diritto dei consigli giudiziari (lett. a). Tali membri rimangono, così, due: il presidente della corte di appello e il procuratore generale presso la corte di appello
Inoltre, la disposizione in commento distingue tre differenti profili strutturali dei consigli in funzione del numero dei magistrati presenti in organico nei distretti. In tutti i casi elimina però sia i rappresentanti dei giudici di pace che i rappresentanti dei consigli regionali. Analiticamente:
a) distretti dove prestano servizio fino a 350 magistrati (comma 2). Il Consiglio giudiziario ha 11 componenti: ai 2 membri di diritto si aggiungono infatti i seguenti 9 membri effettivi:
§ 6 magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto (4 addetti a funzioni giudicanti e 2 addetti a funzioni requirenti);
§ 1 professore universitario in materie giuridiche (nominato dal Cun-Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione);
§ 2 avvocati con almeno 10 anni di effettivo esercizio della professione (nominati dal Cnf-Consiglio nazionale forense, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati del distretto).
b) distretti dove prestano servizio da 351 a 600 magistrati (comma 3). Il Consiglio giudiziario ha 16 componenti: ai 2 membri di diritto si aggiungono infatti i seguenti 14 membri effettivi:
§ 10 magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto (7 addetti a funzioni giudicanti e 3 addetti a funzioni requirenti);
§ 1 professore universitario in materie giuridiche (nominato dal Cun-Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione);
§ 3 avvocati con almeno 10 anni di effettivo esercizio della professione (nominati dal Cnf-Consiglio nazionale forense, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati del distretto).
c) distretti dove prestano servizio oltre 600 magistrati (comma 3-bis). Il Consiglio giudiziario ha 22 componenti: ai 2 membri di diritto si aggiungono infatti i seguenti 20 membri effettivi:
§ 14 magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto (10 addetti a funzioni giudicanti e 4 addetti a funzioni requirenti);
§ 2 professori universitari in materie giuridiche (nominato dal Cun-Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza delle università della regione);
§ 4 avvocati con almeno 10 anni di effettivo esercizio della professione (nominati dal Cnf-Consiglio nazionale forense, su indicazione dei consigli dell'ordine degli avvocati del distretto).
Il comma 9 inserisce l’articolo 9-bis, relativo ai quorum per le deliberazioni dei consigli giudiziari. Analogamente a quanto disposto dall’art. 8-bis (v. sopra), le sedute del consiglio sono valide se è presente la maggioranza dei componenti; le deliberazioni sono assunte a maggioranza (relativa) e in caso di parità prevale il voto del Presidente.
Il comma 10 riscrive completamente l’articolo 10 del decreto legislativo, in origine dedicato ai membri supplenti dei consigli giudiziari. Il nuovo articolo 10 è dedicato alla Sezione del consiglio giudiziario relativa ai giudici di pace. In ogni consiglio giudiziario è istituita una sezione autonoma chiamata a svolgere l’attività consultiva relativa ai giudici di pace, e sui provvedimenti organizzativi proposti dagli uffici del giudice di pace. Tale sezione sarà così composta (comma 1):
§ nei distretti dove prestano servizio fino a 350 magistrati: due magistrati e un avvocato eletti dal consiglio giudiziario tra i suoi componenti; due giudici di pace eletti dai giudici di pace in servizio nel distretto;
§ nei distretti dove prestano servizio da 351 a 600 magistrati: tre magistrati e un avvocato, eletti dal consiglio giudiziario tra i suoi componenti; tre giudici di pace eletti dai giudici di pace in servizio nel distretto;
§ nei distretti dove prestano servizio oltre 600 magistrati: cinque magistrati e due avvocati, eletti dal consiglio giudiziario tra i suoi componenti; quattro giudici di pace eletti dai giudici di pace in servizio nel distretto.
Anche per la sezione del consiglio giudiziario relativa ai giudici di pace valgono le disposizioni sui quorum stabilite per il consiglio giudiziario (presenza della maggioranza dei componenti e maggioranza relativa; in caso di parità prevale il voto del Presidente).
Il comma 11 interviene sull’articolo 11 del decreto legislativo 2572006, relativo agli organi del consiglio giudiziario, per eliminare la figura del vice presidente.
Il comma 12 modifica il sistema elettorale per l’elezione dei componenti togati dei consigli giudiziari, sostituendo l’articolo 12 del decreto legislativo e inserendo gli articoli da 12-bis a 12-quater.
In particolare, il nuovo articolo 12 – ricalcando il contenuto del nuovo articolo 4 (v. sopra) - disciplina la presentazione delle liste prevedendo (commi 1 e 2):
§ che ciascuna lista debba essere sottoscritta da almeno 25 elettori, le cui firme dovranno essere autenticate;
§ che ciascun elettore possa presentare una sola lista;
§ che ciascuna lista non possa essere composta da un numero di candidati superiore ai numero degli eleggibili;
§ che ciascun candidato non possa essere inserito in più di una lista.
Il comma 3 interviene sulle modalità di voto prevedendo che ciascun elettore abbia a disposizione due schede, una per eleggere i magistrati requirenti e una per eleggere i magistrati giudicanti; nell’ambito di ciascuna scheda l’elettore potrà esprimere un voto di lista e una sola preferenza.
L’articolo 12-bis – analogamente all’art. 4-bis (v. sopra) - disciplina il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi abbandonando il previgente sistema maggioritario per un sistema proporzionale. L’ufficio elettorale dovrà individuare il quoziente base (voti validi espressi/seggi da attribuire), calcolare il numero di seggi spettante a ciascuna lista (voti di lista/quoziente base) e proclamare eletti i candidati che hanno riportato il maggior numero di preferenze. I seggi non assegnati direttamente vengono attribuiti in ordine decrescente alle liste cui corrispondono i maggiori resti; il caso di parità nei voti di preferenza il seggio è assegnato al magistrato con la maggiore anzianità di servizio e, in caso di pareggio, al più anziano anagraficamente.
Gli articoli 12-ter e 12-quater disciplinano le modalità per l’elezione dei giudici di pace all’interno dell’apposita sezione del consiglio giudiziario. Le disposizioni ricalcano sostanzialmente quelle previste per i componenti togati dei consigli, non a caso anche le elezioni si tengono contestualmente e negli stessi locali, con le seguenti differenze:
§ le liste contrapposte devono essere sottoscritte da almeno 15 elettori (e non 25);
§ ogni elettore riceve una sola scheda (e non due).
Il comma 13 modifica l’articolo 15 del decreto legislativo 25 del 2006, relativo alle competenze dei consigli giudiziari.
Analogamente alle modifiche apportate alla competenza del consiglio direttivo della Cassazione (articolo 7 d.lgs., v. sopra), il comma 13 interviene sulle funzioni consultive dei consigli giudiziari precisando che il parere sull’attività dei magistrati (lett. b) consiste in una valutazione di professionalità ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 160/2006. E’ soppresso il parere al CSM su alcune vicende riguardanti la vita professionale dei magistrati (lettera g); sono soppresse tutte le funzioni di vigilanza disciplinare (lett. c) e d) e le competenze amministrative (lett. f).
Il comma 14 interviene sull’articolo 16 del decreto legislativo relativo alla composizione dei consigli giudiziari in relazione alle competenze da esercitare.
Precedentemente, l’articolo 16 disponeva che i due componenti laici di origine regionale (designati dal consiglio regionale), l’avvocato e il professore universitario, nonché il rappresentante dei giudici di pace non partecipano a tutte le sedute, bensì solo a quelle in cui si discutesse o si deliberasse nelle materie indicate dall'articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e). Pertanto, in sede consultiva, per le sole proposte tabellari dei vari capi-ufficio (lettera a); in sede di vigilanza, per le questioni riguardanti l'andamento degli uffici giudiziari nel distretto, ai fini della segnalazione al ministro della Giustizia delle eventuali disfunzioni (lettera d); in sede consultiva e propositiva per le questioni relative all'organizzazione e funzionamento degli uffici del giudice di pace (lettera e).
Secondo l'articolo 16, comma 2, il rappresentante dei giudici di pace partecipava al Consiglio giudiziario anche quando si trattava di deliberare in merito a questioni personali e di carriera dei giudici di pace del distretto: ammissione al tirocinio; organizzazione e coordinamento del tirocinio e giudizio finale di idoneità; parere sulla conferma nelle funzioni dopo un quadriennio; proposte di decadenza, dispensa, ammonimento, censura o revoca per i giudici onorari immeritevoli.
La nuova norma abroga il comma 2 dell’articolo 16 (relativo ai limiti di partecipazione del rappresentante dei giudici di pace all’attività del consiglio) e apporta limitate modifiche al comma 1 in esito alle quali si dispone che i componenti designati dal consiglio regionale, gli avvocati ed i professori universitari (viene eliminato il richiamo al rappresentante dei giudici di pace) partecipano alle sedute in cui si discuta o si deliberi in ordine alle proposte tabellari dei vari capi-ufficio (lettera a), alle questioni relative all'organizzazione e funzionamento degli uffici del giudice di pace (lettera e) e alle attività di vigilanza (lettera d).
Il comma 15 inserisce nel decreto legislativo un articolo 18-bis che demanda ad un regolamento, adottato su proposta del ministro della giustizia, di concerto con il ministro dell’economia, la disciplina esecutiva del procedimento per l’elezione dei componenti del consiglio direttivo della Cassazione e dei consigli giudiziari (in tema si veda anche la scheda Consigli giudiziari, pag. 75).
La seconda parte dell’articolo 4 della legge n. 111 del 2007 (commi da 16 a 20) apporta limitate modifiche a varie disposizioni in tema di ordinamento giudiziario.
In particolare, il comma 16 interviene sull’articolo 5, comma 2, della legge 4 maggio 1998, n. 133, relativa agli incentivi ai magistrati trasferiti in sedi disagiate, ribadendo il diritto del magistrato trasferito in sede disagiata, in caso di trasferimento a domanda, ad essere preferito a tutti gli altri aspiranti ove la permanenza in servizio presso al sede disagiata sia stata superiore ai cinque anni.
Il comma 17 novella l'articolo 14 del decreto n. 109 del 2006, riguardante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, al fine di specificare che il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare entro un anno dalla notizia del fatto.
Il comma 18 interviene sul decreto legislativo n. 240 del 2006, relativo alle competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari nonché al decentramento su base regionale di alcune competenze del Ministero della giustizia. In particolare, si inserisce un comma 2-bis all’articolo 2 del decreto, dedicato alla gestione delle risorse umane da parte del dirigente amministrativo, che demanda ad un decreto ministeriale di natura non regolamentare del ministro della giustizia (emanato di concerto con il ministro dell’economia) la determinazione dei posti di dirigente di seconda fascia negli uffici giudiziari, operando una razionalizzazione che possa anche comportare la previsione di un solo dirigente per più uffici giudiziari.
Il comma 19 modifica l'art. 7-bis dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto n. 12 del 1941, prevedendo:
§ tabelle triennali degli uffici giudicanti (attualmente sono, invece, adottate per un biennio);
§ l’impossibilità di nullità dei provvedimenti emessi in caso di violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare.
Il comma 19 coordina poi due disposizioni della precedente disciplina con quella di nuova introduzione: la prima è relativa all’abolizione del limite decennale di permanenza nelle funzioni dei GIP, ora previsto tra 8 e 15 anni; la seconda è relativa all’obbligo, per il CSM, di sentire il Consiglio direttivo della corte di cassazione in sede di adozione delle tabelle della stessa corte.
Al comma 20 dell’articolo 4 sono espressamente indicate una serie di abrogazioni; esse riguardano:
§ numerosi articoli del decreto legislativo n. 26 del 2006 (si veda il commento all’articolo 3);
§ numerosi articoli del decreto legislativo n. 160 del 2006 (si veda il commento all’articolo 2);
§ l’articolo 38 del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, Guarentigie della magistratura (si osserva che tale disposizione è già stata abrogata dall'art. 31, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109);
§ l’intero decreto legislativo C.P.S. 13 settembre 1946, n. 264, recante “Norme per le elezioni dei Consigli giudiziari, del Consiglio superiore della magistratura e della Corte disciplinare”;
§ numerosi articoli dell’ordinamento giudiziario, di cui al Regio decreto n. 12 del 1941;
§ alcuni articoli del Regio decreto 14 dicembre 1865, n. 2641, col quale è approvato il Regolamento generale giudiziario per l'esecuzione del Codice di procedura civile, di quello di procedura penale e della legge sull'ordinamento giudiziario;
§ limitate disposizioni della legge 13 febbraio 2001, n. 48, recante “Aumento del ruolo organico e disciplina dell'accesso in magistratura”.
Anche l'articolo 5 della legge n. 111/2007 contiene disposizioni di vario contenuto, volte, in particolare, a dettare la disciplina transitoria di talune situazioni oggetto dell'intervento legislativo.
In particolare, ai sensi del comma 1, fermo quanto previsto nel comma 5 dell'art. 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997 n. 398, il numero dei laureati da ammettere alle scuole di specializzazione per le professioni legali deve continuare ad essere determinato in misura non superiore a dieci volte il numero dei posti considerati negli ultimi due bandi di concorso per l’accesso in magistratura.
Il successivo comma 2, stabilisce, invece, che la data per le valutazioni periodiche di professionalità dei magistrati già in servizio viene determinata utilizzando come parametro iniziale la data del decreto di nomina come uditore giudiziario.
Il comma 3 prevede, poi, che le disposizioni in materia di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi di cui al decreto legislativo n. 160 del 2006 (v. sopra, articolo 2), trovino applicazione a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge.
Fino ad allora, i magistrati che ricoprono tali incarichi mantengono le loro funzioni. Trascorso tale periodo, i magistrati che hanno superato il termine massimo per il conferimento delle funzioni senza che abbiano ottenuto l’assegnazione ad altro incarico o ad altre funzioni decadono dall’incarico. Tali magistrati restano comunque assegnati allo stesso ufficio con funzioni non direttive né semidirettive. Sul tema si veda la scheda Reggenza di uffici giudiziari, pag. 121.
Il comma 4 prevede che ai magistrati ordinari sia riconosciuto, alla nomina, il trattamento economico previsto dalla tabella allegata alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, come sostituta dal provvedimento in esame (v. art. 2, comma 11).
I commi da 5 a 6 intervengono sulla dotazione organica del CSM.
In particolare, il comma 5 dispone che il ruolo autonomo del Consiglio superiore della magistratura sia aumentato fino a 13 unità, di cui 2 dirigenti di seconda fascia per i servizi generali. Demanda inoltre ad un regolamento del CSM la disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale interno e delle indennità per personale non appartenente al ruolo del CSM ma che svolge attività presso il Consiglio. Il successivo comma 6 specifica che l’aumento nell’organico deve avvenire senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.
Il successivo comma 7 abroga l’art. 2 del decreto legislativo n. 37/2000, che attualmente attribuisce alla potestà regolamentare del CSM il compito di disciplinare gli aspetti giuridici ed economici del lavoro all’interno del Consiglio superiore della magistratura.
Gli ultimi due commi (8 e 9) stabiliscono, poi, che le disposizioni riguardanti il collocamento fuori ruolo di magistrati non comportano nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello stato e provvedono, altresì, a sostituire la tabella B allegata alla legge n. 71 del 1991 “Dirigenza delle procure della Repubblica presso le preture circondariali” relativa al vecchio ruolo organico della magistratura.
Da ultimo, l’articolo 6 della legge n. 111 del 2007 è relativo alla copertura finanziaria del provvedimento, mentre il successivo articolo 7 delega il Governoad emanare, entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi compilativi, volti a coordinare la complessa normativa vigente in tema di ordinamento giudiziario.
Nell’adozione dei decreti legislativi il Governo dovrà attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) dovrà procedere al coordinamento delle norme che costituiscono l’ordinamento giudiziario sulla base delle disposizioni contenute nella presente legge;
b) dovrà abrogare in modo espresso le norme ritenute non più vigenti (perché incompatibili con la legge).
Quanto al procedimento per l’emanazione dei decreti, la disposizione in commento prevede che i decreti vengano emanati su proposta del Ministro della giustizia, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti; il parere dovrà essere espresso entro sessanta giorni dalla richiesta, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti ai princìpi e ai criteri direttivi contenuti nella legge di delegazione. In assenza di parere il Governo potrà procedere comunque all’emanazione dei decreti.
Ordinamento giudiziario
Il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, come modificato dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, ha introdotto specifiche misure in materia di incarichi giudiziari (art. 16-ter).
L’intervento d’urgenza ha mirato ad evitare che alla data del 28 gennaio 2008 decadessero dalle funzioni numerosi capi di uffici giudiziari senza che il Consiglio Superiore della Magistratura avesse potuto provvedere alla nomina dei nuovi titolari.
Al riguardo, si ricorda, infatti, che l’articolo 5, comma 3, della legge 30 luglio 2007, n. 111 “Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario” aveva previsto che le nuove disposizioni in materia di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi di cui agli articoli 45 e 46 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, diventassero operative a partire dal 28 gennaio 2008[62].
Sia per l’elevato numero di incarichi direttivi e semidirettivi interessati dalla disciplina transitoria (secondo il Governo, ben 334) sia per la complessità delle procedure di selezione[63], con l’approssimarsi della data stabilita è apparso chiaro che il Consiglio Superiore della magistratura non sarebbe riuscito a provvedere in tempo al rinnovo di tutti gli incarichi, garantendo così il buon funzionamento degli uffici.
In considerazione, quindi, della oggettiva difficoltà di completare le nomine entro il 28 gennaio 2008, il decreto-legge ha introdotto una deroga alla disciplina della supplenza degli uffici direttivi e semidirettivi dettata dagli artt. 104, 108 e 109 dell’ordinamento giudiziario (RD 30 gennaio 1941, n. 12), stabilendo che, per un periodo massimo di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge (e, quindi, fino al primo luglio 2008), gli uffici privi di titolare (tribunali, corti d’appello e rispettive sezioni, procure generali e procure della Repubblica), sono retti dai magistrati, già in servizio presso gli stessi uffici giudiziari e decaduti da tali incarichi ai sensi della citata disciplina transitoria di cui all’art. 5, comma 3, della legge n. 111 del 2007.
L’art. 104 OG prevede la designazione annuale del magistrato destinato a presiedere il tribunale ordinario o la sezione in caso di mancanza o di impedimento del titolare. In caso di mancata designazione, nelle funzioni che gli sono specialmente attribuite, il presidente del tribunale ordinario è supplito dal più anziano dei presidenti di sezione, o, in mancanza di essi, dal più anziano dei giudici. Nella sezione, la supplenza è assunta dal più anziano dei giudici che compongono la sezione.
L’art. 108 OG, in relazione alla supplenza del presidente della corte di appello o di una sua sezione, prevede che, in assenza di designazione, fa le veci del titolare il più anziano dei magistrati del grado immediatamente inferiore, appartenente alla corte o alla sezione. Se in una sezione manca, o è impedito il presidente o alcuno dei consiglieri necessari per costituire il collegio giudicante, il presidente, quando non può provvedere a norma dell'art. 97 (supplenza con magistrati di altre sezioni), delega a supplirli il presidente di sezione o il più anziano dei presidenti di sezione del tribunale ordinario.
L’art. 109 OG, per la supplenza di magistrati del pubblico ministero, prevede che, in caso di mancanza o di impedimento del PG della Repubblica, regge l'ufficio l'avvocato generale o il sostituto anziano; supplente del procuratore della Repubblica ove non sia stato nominato un vicario, è invece il procuratore aggiunto o il sostituto anziano. In caso di assenza o impedimento di tutti o alcuni dei magistrati degli uffici del pubblico ministero del distretto, il PG presso la corte di appello può disporre che le relative funzioni siano esercitate temporaneamente da altri magistrati di altri uffici del pubblico ministero del distretto.
Si ricorda che identica finalità e identico contenuto del citato art. 16-ter aveva l’apposito decreto-legge 25 gennaio 2008, n. 3, recante “Misure urgenti in materia di reggenza di uffici giudiziari”, decaduto per mancata conversione.
Si segnala, inoltre, che presso la Commissione giustizia della Camera erano iscritte all’ordine del giorno le proposte di legge A.C. 2977 (Balducci ed altri) e A.C. 3051 (Costa ed altri), volte entrambe a differire l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive dei magistrati. L'esame dei due provvedimenti non è più stato avviato.
Ordinamento giudiziario
La legge finanziaria per il 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244) ha introdotto nell’ordinamento una serie di disposizioni (art. 2, commi da 603 a 611) che ridisegnano la geografia della giustizia militare.
In particolare, si prevede la soppressione di numerosi uffici di primo e secondo grado nonché la riduzione sia dell’organico della magistratura militare (con conseguente transito dei magistrati militari in esubero nei ruoli della magistratura ordinaria) che del numero dei componenti del C.M.M. (Consiglio della magistratura militare).
Al riguardo, si ricorda che disposizioni in materia di magistratura militare e transito di magistrati militari nel ruolo ordinario erano previste nel disegno di legge del Governo A.S. 1447, recante modiche alle norme sull’ordinamento giudiziario, poi divenuto legge n. 111 del 2007 (vedi schedaRiforma dell’ordinamento giudiziario, pag. 80). Tali disposizioni sono state stralciate dal disegno di legge nel corso dell’esame in Senato per essere poi riassegnate (A.S. 1447-quinquies, "Disposizioni in materia di ordinamento giudiziario militare e norme di delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di ordinamento giudiziario militare ed in materia di transito di magistrati militari nella magistratura ordinaria") alle Commissioni riunite Giustizia e Difesa del Senato, che non ne hanno, però, avviato l’esame.
Il comma 603 persegue il contenimento della spesa e l’ottimizzazione del settore della giustizia militare attraverso un triplice intervento, operativo a partire dal 1 luglio 2008, che prevede:
§ la soppressione dei tribunali militari, e delle relative procure, a Torino, La Spezia, Padova, Cagliari, Bari e Palermo, con contestuale ridefinizione della competenza territoriale dei restanti tribunali (lett. a);
Conseguentemente, degli attuali 9 tribunali militari, dal 1° luglio 2008 restano operativi soltanto:
- il Tribunale militare di Verona (competente per Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino-AltoAdige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna);
- il Tribunale militare di Roma (competente per Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Sardegna);
- il Tribunale militare di Napoli (competente per Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia).
§ la soppressione delle sezioni distaccate della corte militare d’appello – e delle relative procure generali - a Verona e Napoli (lett. b);
§ la riduzione a 58 unità – in luogo delle attuali 103 – dell’organico dei magistrati militari (lett. c). I magistrati militari fuori ruolo alla data del 28 settembre 2007 (3 unità, v. infra) sono considerati in soprannumero riassorbibile nel ruolo della magistratura militare mentre i magistrati militari in esubero (42 unità) transitano nel ruolo della magistratura ordinaria, ai sensi del successivo comma 606.
Il comma 604 prevede la riduzione da 9 a 7 dei membri del Consiglio della magistratura militare; tale riduzione avrà effettiva decorrenza dalle prime elezioni per il rinnovo del Consiglio successive all’entrata in vigore della legge finanziaria 2008.
Attualmente, infatti, l'art. 1 della legge 30 dicembre 1988, n. 561, Istituzione del Consiglio della magistratura militare), prevede che del Consiglio facciano parte: 2 membri di diritto (il primo presidente della Corte di cassazione, che lo presiede ed il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione); 5 componenti eletti dai magistrati militari, di cui almeno uno magistrato militare di cassazione; 2 componenti estranei alla magistratura militare ( di cui uno è eletto dal Consiglio vice presidente) scelti d'intesa tra i Presidenti delle due Camere fra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di esercizio professionale.
Senza modificare direttamente il testo dell'art. 1 della legge 561/1988 (che è invece modificato, in altri punti, dal successivo comma 609), il comma 604 prevede che i componenti eletti dai magistrati militari passino da 5 a 4 (di cui uno almeno con funzioni di cassazione) e i componenti estranei alla magistratura militare da 2 a 1.
La dotazione organica dell'ufficio di segreteria del Consiglio è conseguentemente rideterminata, in riduzione rispetto a quella attuale, con decreto del Presidente della Repubblica.
Il DPR 24 marzo 1989, n. 158, attuativo della legge 561/1988, prevede attualmente che l'ufficio di segreteria sia composto da un magistrato militare di appello, che lo dirige, e da un magistrato militare di tribunale; ad esso sono addetti un funzionario della carriera delle cancellerie e segreterie giudiziarie militari, nonché otto elementi per mansioni di archivio, di dattilografia e di anticamera.
Il comma 605 introduce una disciplina transitoria disponendo che i procedimenti pendenti al momento della soppressione degli uffici giudiziari siano trattati automaticamente dall’ufficio che ne ha assunto la competenza territoriale, senza che di questo sia dato avviso alle parti. Pertanto, le udienze fissate per una data successiva al 1° luglio 2008 si terranno davanti al tribunale militare o alla corte militare d'appello che ha assorbito la competenza, senza alcuna comunicazione alle parti.
In caso di annullamento con rinvio o di revisione di una sentenza di corte d’appello provvede la Corte militare d'appello in diversa composizione.
Il comma 606 disciplina le conseguenze della soppressione degli uffici giudiziari di cui al comma 603, ridefinendo le piante organiche della magistratura ordinaria, degli uffici giudiziari militari e del personale di cancelleria, in funzione della fissazione in 58 unità dell’organico dei magistrati militari.
In particolare, il ruolo organico della magistratura ordinaria è fissato in 10.151 unità: 42 in più rispetto alle attuali 10.109 (lett. a); in tale ruolo transitano infatti i magistrati militari eccedenti le 58 unità del nuovo ruolo organico della magistratura militare (lett. b), con l’eccezione dei magistrati militari in soprannumero alla data del 28 settembre 2007.
Pertanto, tenuto conto che prima della legge finanziaria 2008 la magistratura militare aveva un organico di 103 unità, e che questo comporta 45 esuberi rispetto alle 58 unità richieste dalla riforma e considerato che la magistratura ordinaria aumenta il proprio organico di sole 42 unità (da 10.109 a 10.151), si deduce che i magistrati militari fuori ruolo alla data del 28 settembre 2007 sono 3; tali magistrati, come chiarito dal comma 603, lett. c) restano nei ruoli della magistratura militare in soprannumero.
Il transito avverrà in base ai seguenti criteri:
§ nell'ordine di scelta per il transito verrà seguito l'ordine di ruolo organico mediante interpello di tutti i magistrati militari in ruolo il 28 settembre 2007;
§ i magistrati militari che transiteranno in magistratura ordinaria avranno diritto ad essere assegnati, a richiesta degli interessati, anche in soprannumero riassorbibile, ad un ufficio giudiziario nella stessa sede di servizio, ovvero ad altro ufficio giudiziario ubicato in una delle città sede di corte d’appello, con conservazione dell’anzianità e della qualifica maturata, nonché delle funzioni corrispondenti a quelle svolte in precedenza, con esclusione di quelle direttive e semi-direttive eventualmente ricoperte;
§ nell’ambito del procedimento di trasferimento a domanda dei magistrati militari verrà data precedenza ai magistrati militari in servizio presso gli uffici giudiziari soppressi;
§ qualora a conclusione del procedimento di trasferimento a domanda permanessero esuberi di magistrati, i trasferimenti saranno disposti d’ufficio partendo dall’ultima posizione di ruolo organico e trasferendo prioritariamente i magistrati militari in servizio presso gli uffici giudiziari soppressi;
§ i trasferimenti, sia a domanda sia d’ufficio, saranno disposti con decreto interministeriale del Ministro della difesa e del Ministro della giustizia, previa conforme deliberazione del Consiglio della magistratura militare e del Consiglio superiore della magistratura;
§ i magistrati militari fuori ruolo alla data del 28 settembre 2007 hanno la facoltà di esercitare l'interpello per il transito in magistratura ordinaria all'atto del rientro in ruolo.
Per quanto riguarda il personale amministrativo, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri della difesa, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, e dell’economia e delle finanze, dovrà essere individuato un numero di dirigenti e di personale civile che transita dai ruoli del Ministero della difesa a quelli del Ministero della giustizia. La disposizione fa riferimento genericamente a “dirigenti” e “personale civile”; potrà dunque essere trasferiti nei ruoli del ministero della giustizia anche personale privo di pregresse esperienze in materia giudiziaria.
La disposizione precisa che il contingente trasferito non dovrà essere in numero inferiore alla metà del personale già impiegato presso gli uffici giudiziari militari soppressi.
Tali trasferimenti avverranno prioritariamente su base volontaria, potendo però, laddove ciò non fosse sufficiente a coprire i posti, procedere d’ufficio (lett. c).
Ai sensi del comma 607, e per effetto della soppressione degli uffici giudiziari di cui al comma 603, le piante organiche degli uffici giudiziari militari dovranno essere rideterminate entro il 28 febbraio 2008; in prima applicazione delle nuove piante organiche, sarà possibile provvedere al trasferimento d’ufficio, anche con assegnazione a diverse funzioni, dei magistrati non interessati al trasferimento nei ruoli del Ministero della giustizia, comunque in esubero rispetto alle nuove piante organiche dei singoli uffici.
Ai trasferimenti disposti in applicazione del comma 607 e del comma 606, lettera b), non si applica l'art. 194 del regio decreto n. 12 del 1941 (Ordinamento giudiziario), ai sensi del quale il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di tre anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia.
Il comma 608, apportando due modifiche alla legge 7 maggio 1981, n. 180, "Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace", interviene sull’ufficio del pubblico ministero militare presso la Corte di cassazione prevedendo che esso sia composto da un Procuratore generale militare della Repubblica (scelto tra i magistrati che abbiano esercitato, per almeno 4 anni, funzioni direttive giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado o funzioni requirenti di legittimità) e da due sostituti. La disposizione abroga inoltre la norma che fissa la dotazione organica dei magistrati militari e dei cancellieri militari.
Il comma 609 apporta modifiche all’art. 1 della citata legge n. 561 del 1988, istitutiva del Consiglio della magistratura militare, al fine di coordinare alcune disposizioni con la riduzione del numero dei componenti del Consiglio (v. sopra).
In particolare, è eliminato dall'art. 1 della legge 561/1988 il riferimento al fatto che uno dei componenti estranei alla magistratura debba essere eletto vice-presidente, in quanto il comma 604 prevede ora un solo membro laico, che assume di diritto la carica di vicepresidente. Si interviene, inoltre, sulla disposizione che individua la composizione del comitato di presidenza e su quella che individua il quorum per le deliberazioni del C.M.M., adeguandola alla nuova composizione del Consiglio.
Il comma 610 prevede che le disposizioni in materia di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi – di cui alla legge n. 111 del 2007[64] (4 anni, confermabili una sola volta per uguale periodo, previa valutazione del CSM) - si applichino ai magistrati militari a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla rideterminazione delle piante organiche (v. sopra).
L’art. 5, comma 3, della legge 111/2007 prevede che le disposizioni in materia di temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi di cui agli artt. 45 e 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006[65], come modificati dall’art. 2 della medesima legge 111/2007, si applicano a decorrere dal 180° giorno successivo alla data di entrata in vigore della stessa. Fino al decorso del predetto termine, i magistrati che ricoprono i predetti incarichi mantengono le loro funzioni. Decorso tale periodo, coloro che hanno superato il termine massimo per il conferimento delle funzioni senza che abbiano ottenuto l’assegnazione ad altro incarico o ad altre funzioni decadono dall’incarico restando assegnati con funzioni non direttive né semidirettive nello stesso ufficio, eventualmente anche in soprannumero da riassorbire con le successive vacanze, senza variazione dell’organico complessivo della magistratura e senza oneri per lo Stato. Nei restanti casi le nuove regole in materia di limitazione della durata degli incarichi direttivi e semidirettivi si applicano alla scadenza del primo periodo successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
Il comma 611 stabilisce che dall’applicazione dei commi precedenti non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Esso inoltre autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare con proprio decreto le variazioni necessarie in diminuzione sugli stanziamenti del Ministero della difesa, in relazione al decremento degli organici di magistrati e di personale amministrativo, e in aumento sui corrispondenti stanziamenti del Ministero della giustizia, in relazione all'incremento degli organici.
Modifiche al processo penale
Sin dall’avvio della XV legislatura il tema delle intercettazioni telefoniche – e del loro contenuto, sempre più frequentemente pubblicato dagli organi di stampa - è stato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e al centro del dibattito politico.
Il 21 giugno 2006 il Garante per la protezione dei dati personali emanava un provvedimento in tema di “pubblicazione di intercettazioni telefoniche e dignità della persona” nel quale prescriveva agli organi di informazione di conformare i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche ai principi in tema di tutela della riservatezza affermati dal Codice della privacy e dal codice di deontologia per l'attività giornalistica.
In particolare, il Garante ricordava che l'indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche, specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico su aspetti intimi e privati senza rispondere integralmente ad un'esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare anche una violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con la libertà di espressione (artt. 8 e 10 Conv. europea diritti dell'uomo) e prescriveva a tutti i mezzi di informazione di procedere ad una valutazione più attenta ed approfondita, autonoma e responsabile, circa l'effettiva essenzialità dei dettagli pubblicati, nella consapevolezza che l'affievolita sfera di riservatezza di persone note o che esercitano funzioni pubbliche non esime dall'imprescindibile necessità di filtrare comunque le fonti disponibili per la pubblicazione, che vanno valutate dal giornalista, anche alla luce del dovere inderogabile di salvaguardare la dignità delle persone e i diritti di terzi.
Di lì a poco (luglio 2006) la Commissione Giustizia del Senato avviava un’indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche, che si concludeva nel novembre 2006 con l’approvazione del documento n. XVII, n. 2.
Nel mese di settembre 2006, a seguito di un’indagine della magistratura, dalla quale emergeva l’esistenza di dossier costruiti sulla base di intercettazioni illegali, il Governo approvava il decreto legge 22 settembre 2006, n. 259, recante “Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche”. A dispetto del titolo – dal quale si potrebbe evincere un più ampio contenuto - il decreto legge si proponeva di adottare con rapidità misure volte a rafforzare il contrasto all’illegale detenzione di intercettazioni illecitamente effettuate e di documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni nonché di apprestare più incisive misure idonee ad evitare l’indebita diffusione e comunicazione di tali informazioni.
Per completezza, si ricorda che mentre il Senato esaminava in prima lettura il disegno di legge di conversione del decreto-legge, la Commissione Giustizia della Camera avviava l’esame (non concluso) della proposta di legge C. 706, relativa all’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle intercettazioni telefoniche.
Di seguito si dà conto del contenuto del provvedimento d’urgenza, coordinato con le modifiche apportate dalla legge di conversione 20 novembre 2006, n. 281.
In merito all’iter legislativo che ha portato alla conversione del decreto legge, si segnala che la legge n. 281/2006 è stata approvata dalla Camera con una maggioranza trasversale l’ultimo giorno utile, pena la decadenza del provvedimento. Nell’approvare la legge, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Senato, la Camera dei deputati ha votato però anche un ordine del giorno (9/1838/1, Pisicchio)[66], sottoscritto da tutti i gruppi, nel quale si chiedevano iniziative del Governo per far approvare quanto prima talune significative modificazioni del testo, inserendole nell'ambito dell’iter del disegno di legge governativo in tema di intercettazioni legali, già all'esame della Camera e in calendario per i lavori dell'assemblea. Tale iter legislativo non si è, però, mai concluso.
L'articolo 1 del decreto-legge sostituisce l'articolo 240 del codice di procedura penale, ora rubricato documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali.
Il comma 1 prevede il divieto di acquisizione ed utilizzazione di documenti contenenti dichiarazioni anonime; fanno eccezione i documenti che costituiscono corpo del reato o provengono comunque dall’imputato.
Il comma 2 stabilisce che il pubblico ministero disponga l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni di traffico telefonico e telematico illegalmente formati o acquisiti nonché della documentazione (ad es. dossiers) formati tramite i dati illecitamente raccolti. La norma sancisce il divieto di eseguire copia in qualunque modo di tale documentazione e di utilizzarla in qualsiasi fase del procedimento.
Si ritiene importante, in questo caso, sottolineare che la legge di conversione ha eliminato un ulteriore divieto previsto dal testo originario del decreto legge. Infatti, pur confermando il divieto di utilizzazione probatoria dei contenuti della documentazione illegale, è scomparso l'analogo divieto ai fini investigativi che invece era stato configurato nel comma 2 dell'articolo 240 c.p.p. dal decreto legge. Il significato di tale modifica sembra essere legato all'esigenza di consentire al pubblico ministero di svolgere gli opportuni accertamenti necessari ad affermare l'effettiva illegalità della documentazione acquisita, presupposto imprescindibile perché possa procedersi alla sua distruzione.
Entro 48 ore dall'acquisizione degli atti, il pubblico ministero chiede al giudice per le indagini preliminari di disporne la distruzione (comma 3); entro le successive 48 ore il GIP fissa la data di udienza, da tenersi entro dieci giorni, dandone avviso alle parti interessate (comma 4).
Nel corso dell'udienza il GIP legge il provvedimento e, nel caso disponga la distruzione, ne dà immediata esecuzione alla presenza del PM e dei difensori delle parti (comma 5).
Il comma 6 fa obbligo all’autorità giudiziaria, a fini di conservazione della prova, di redigere verbale delle operazioni di distruzione del materiale; in esso si dà atto delle avvenute intercettazioni o della detenzione della documentazione acquisita o illegalmente formata, delle modalità e dei soggetti coinvolti ma non può essere fatto alcun riferimento al contenuto del materiale.
L’articolo 2 del decreto-legge aggiunge il comma 1-bis all’art. 512 del codice di procedura penale. La disposizione del codice di rito - che già prevedeva che, a richiesta di parte, il giudice disponga lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal PM, dai difensori e dal GIP in sede di udienza preliminare, dei quali sia impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili - è novellata con la previsione della possibilità di consentire sempre nel corso del dibattimento la lettura del verbale di acquisizione ed avvenuta distruzione delle intercettazioni illecite e della documentazione illecitamente acquisita o formata.
L’articolo 3 introduce una nuova fattispecie di reato consistente nella illecita detenzione degli atti, dei supporti o dei documenti di cui sia stata disposta la distruzione a norma dell’art. 240 del codice di rito (ossia documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti).
La sanzione prevista è la reclusione da 6 mesi a 4 anni; un aumento di pena è stabilito (reclusione da 1 a 5 anni) quando il reato è commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
L’articolo 4 del decreto-legge prevede una forma di riparazione - consistente in una somma di denaro - che ciascun danneggiato dal reato di illecita pubblicazione (su giornali, TV o altro media) di intercettazioni telefoniche illegalmente formate o acquisite può chiedere, a fini riparatori, all’autore del reato, al direttore (o vice direttore) responsabile e all’editore solidalmente obbligati. Detta somma è parametrata alla diffusione del mezzo di comunicazione utilizzato: nello specifico, la sanzione – comunque non inferiore a 10 mila euro - è stabilita in ragione di 50 centesimi per ogni copia stampata ovvero nella somma da 50 mila ad un milione di euro, a seconda della grandezza del bacino di utenza raggiunto dal media radiofonico, televisivo o telematico utilizzato (comma 1).
L’azione – che può essere promossa da «coloro a cui i detti atti o documenti fanno riferimento» – si prescrive in cinque anni dalla pubblicazione; si tratta del medesimo termine di prescrizione c.d. breve previsto per il risarcimento del danno da fatto illecito di cui all’art. 2947 c.c.
Il comma 2 prevede inoltre che ai fini della prova della corrispondenza dei documenti pubblicati con quelli relativi alle illecite intercettazioni di cui all’art. 240, comma 2, c.p.p., fa fede il verbale di distruzione di cui allo stesso art. 240, comma 6.
In merito si evidenzia – come peraltro fatto anche dai primi commentatori della disposizione[67] – che il comma 6 dell'articolo 240 c.p.p. afferma che «delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al comma 2 nonché delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi documenti, supporti e atti».
Infine, in forza del rinvio al capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile, si prevede la possibilità di una tutela anticipatoria in sede cautelare.
Al comma 3 si prevede che l’azione per la riparazione può essere esercitata senza pregiudizio di quanto il Garante per la protezione dei dati personali possa disporre, ove accerti o inibisca l’illecita diffusione di dati o di documenti, anche a seguito dell’esercizio di diritti da parte dell’interessato.
Il comma 4, infine, disciplina l’ipotesi in cui per i medesimi fatti di cui al comma 1 sia promossa anche un’azione per il risarcimento del danno; in questo caso, il giudice, in sede di determinazione e liquidazione del danno risarcibile, dovrà tenere conto della somma già corrisposta in sede riparatoria.
La riparazione pecuniaria prevista dall’art. 4 del decreto legge è, infatti, fattispecie diversa dal risarcimento del danno e trova il suo titolo diretto ed esclusivo nella legge in esame, così come la riparazione pecuniaria da diffamazione a mezzo stampa trova la sua ragione d'essere nell'articolo 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47.
Mentre era in corso l’iter di conversione del decreto legge e la Commissione giustizia del Senato della Repubblica portava avanti l’indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche, la Commissione giustizia della Camera dei deputati avviava anche l’esame del disegno di legge del Governo (A.C. 1638) recante disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine e di una serie di proposte di legge abbinate[68].
Di seguito si dà conto del contenuto del disegno di legge, così come approvato dalla Camera dei deputati il 19 aprile 2007. L’iter del provvedimento si è infatti interrotto al Senato (A.S. 1512) durante l’esame in Commissione.
Il provvedimento approvato dalla Camera dei deputati si compone di 26 articoli (15 erano gli articoli dell’originario disegno di legge del Governo), mediante i quali si prevede un generale irrigidimento delle sanzioni previste in caso di violazione del segreto; una revisione del regime della segretezza; un'organica disciplina del sistema delle intercettazioni legali, attraverso interventi puntuali sul codice di procedura penale (artt. 1-17), sulle norme di attuazione (artt. 18-20), e talune novelle al codice penale e al codice in materia di protezione dei dati personali (Dl.gs 30 giugno 2003, n. 196).
In sintesi, l’articolo 1, attraverso modifiche all’articolo 114 c.p.p., introduce una serie di divieti di pubblicazione di atti e di immagini, tra i quali si segnalano i seguenti:
§ il divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare;
§ il divieto di pubblicazione, esteso anche al contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, nonché dei dati relativi al traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti da segreto. Anche in tal caso il divieto di pubblicazione vige fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare;
§ il divieto di pubblicazione (parziale, per riassunto, o nel contenuto) dei provvedimenti emessi in materia di misure cautelari; la pubblicazione è consentita soltanto dopo che l’indagato o il suo difensore abbiano avuto conoscenza dell’ordinanza e con l’esclusione delle parti che riproducono il contenuto di intercettazioni;
§ il divieto di pubblicazione, anche parziale, qualora si proceda al dibattimento, degli atti del fascicolo del pubblico ministero se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. Resta possibile pubblicare gli atti utilizzati per le contestazioni o comunque letti in udienza pubblica.
Gli articoli 2 e 3 riguardano le intercettazioni illecite; in particolare, inserendo l’articolo 240-bis nel codice di procedura penale si prevede che i documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illeciti siano soggetti ad una disciplina analoga a quella riservata ai documenti anonimi, non potendo essere acquisiti al procedimento, né in alcun modo utilizzati, tranne che come corpo del reato.
Quando tali documenti vengono acquisiti al procedimento in quanto corpo del reato, il nuovo articolo 240-ter c.p.p. prevede la redazione di un verbale di consistenza da parte del giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero. Tale verbale sarà inserito nel fascicolo del pubblico ministero mentre i documenti saranno custoditi nell’archivio riservato.
Gli articoli 4 e 5 sono volti a modificare, con mere finalità di coordinamento, rispettivamente, l'articolo 266 c.p.p., recante i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, e l'articolo 266-bis c.p.p., che consente l'intercettazione di comunicazioni che avvengono attraverso sistemi informatici e telefonici.
L’articolo 6 inserisce nel codice di procedura penale gli articoli 266-ter e 266-quater: il primo estende la normativa in tema di intercettazioni anche alle intercettazioni di corrispondenza postale, mentre il secondo estende tale normativa alle riprese visive. In particolare, ai sensi dell’art. 266-quater, per la ripresa visiva delle conversazioni che si svolgono nelle abitazioni e nelle private dimore, è previsto il medesimo regime delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche; al di là di tali ipotesi, le riprese visive che si svolgono comunque al di fuori di luoghi pubblici possono essere autorizzate dal pubblico ministero con decreto motivato, mentre quelle che si svolgono in luoghi pubblici possono essere eseguite di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria.
L’articolo 7 interviene sull’articolo 267 c.p.p. relativo ai presupposti ed alle forme del provvedimento di intercettazione di conversazioni o comunicazioni. In sintesi, la riforma prevede:
§ che sia il PM, nel momento in cui chiede al GIP di autorizzare le intercettazioni a esplicitare i gravi indizi di reato le ragioni dell’assoluta indispensabilità delle intercettazioni stesse per la prosecuzione delle indagini;
§ che le operazioni di intercettazione abbiano una durata complessiva massima di 3 mesi. Tale limite potrà essere superato soltanto in presenza di nuovi elementi investigativi in relazione ai presupposti dei gravi indizi di reato e dell’assoluta indispensabilità delle intercettazioni, che dovranno essere specificamente indicati nel provvedimento di proroga. Limitatamente poi alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nelle abitazioni, nei luoghi di privata dimora nelle appartenenze di essi, è stabilito un limite massimo di due proroghe, superabile qualora ricorrano le suddette circostanze;
§ che siano fatte salve le particolari disposizioni che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sono stabilite da disposizioni in tema di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale;
§ che presso l’ufficio del PM siano registrati, in un apposito registro riservato, la data e l'ora di emissione, nonché la data e l'ora di deposito dei decreti che dispongono, autorizzano o convalidano le intercettazioni.
L’articolo 8 introduce nel codice di procedura penale l’articolo 267-bis, recante una puntuale disciplina in ordine all'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico mentre l’articolo 9 modifica l'art. 268 c.p.p., in tema di modalità di esecuzione delle operazioni di intercettazione.
In particolare, la disposizione opera una profonda innovazione circa gli impianti da utilizzarsi per lo svolgimento delle operazioni, stabilendo che le registrazioni siano compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati e custoditi in appositi centri di intercettazione telefonica istituiti presso ogni distretto di corte d’appello; le operazioni di ascolto delle conversazioni intercettate, invece, saranno compiute mediante impianti installati presso la competente procura della repubblica o anche, salva in questo caso l’espressa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini. La riforma prevede quindi l’immediata trasmissione - in ogni caso mai successiva alla scadenza del termine di ciascun periodo di intercettazione - al pubblico ministero dei verbali e delle registrazioni e la custodia degli stessi nell’archivio riservato; spettano dunque ai procuratori generali presso la corte d’appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione, rispettivamente, dei centri di intercettazione e dei punti di ascolto.
L’articolo 9 attribuisce al Ministro della giustizia la funzione di definire con proprio decreto le procedure e le specifiche tecniche degli apparati di registrazione e ascolto e dispone che l'attività debba essere realizzata nei limiti delle risorse umane strumentali e finanziarie già disponibili, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Particolarmente rilevante è, poi, l’articolo 10, mediante il quale si inseriscono nel codice di procedura penale i seguenti cinque nuovi articoli:
§ art. 1268-bis, deposito e acquisizione dei verbali e delle registrazioni: viene attribuito prima al pubblico ministero e poi al giudice il potere-dovere di selezionare le intercettazioni da acquisire e viene delineata una procedura più snella e garantito il diritto di difesa.
In particolare, nel termine di cinque giorni (termine che può essere posticipato dal giudice fino alla chiusura delle indagini preliminari nel caso in cui possa derivare pregiudizio alle indagini medesime) dalla conclusione delle operazioni, il pubblico ministero deposita presso la segreteria i verbali e le registrazioni relativi alle conversazioni ritenute rilevanti, motivando sulla rilevanza, unitamente ai decreti di autorizzazione e di proroga delle intercettazioni. Confluiscono invece nell’archivio riservato gli atti relativi a conversazioni di cui è vietata l’utilizzazione e a quelle non rilevanti perché riguardanti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini. Ai difensori delle parti, immediatamente avvisati, sono concesse le facoltà di esaminare gli atti depositati e custoditi, di ascoltare le registrazioni, di indicare specificamente al giudice sia le conversazioni non depositate delle quali chiedono l’acquisizione, motivando sulla loro rilevanza, che quelle depositate che ritengono irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione. Scaduto il termine durante il quale gli atti rimangono depositati, il giudice dispone con ordinanza non impugnabile l’acquisizione delle conversazioni che ritiene rilevanti e di cui non è vietata l’utilizzazione. Viene inoltre custodita nell’archivio riservato anche la documentazione depositata di cui il giudice non ha disposto l’acquisizione, restituita al p.m.
§ art. 268-ter, trascrizione delle registrazioni;
Il giudice dispone una perizia oppure la stampa in forma intelligibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite; appena concluse le operazioni, i verbali e le registrazioni sono immediatamente ricollocati nell’archivio riservato, mentre le trascrizioni confluiscono nel fascicolo per il dibattimento. Viene in ogni caso stabilito il divieto di trascrizione di quelle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini, e viene previsto che il giudice disponga che i nominativi o i riferimenti identificativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni, ove ciò non rechi pregiudizio all’accertamento dei fatti per cui si procede. Anche in tale ipotesi viene consentito ai difensori di estrarre copia delle trascrizioni e delle stampe, anche su supporto informatico.
§ art. 268-quater, utilizzo delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari;
Il pubblico ministero, al fine di presentare le sue richieste (p.e. di provvedimenti cautelari) può disporre la trascrizione delle conversazioni che ritiene rilevanti: anche in tale ipotesi viene tuttavia espressamente fatta salva la riservatezza dei soggetti terzi, mediante il divieto di trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini, i cui nominativi o riferimenti identificativi possono essere espunti dalle trascrizioni medesime. Nel caso poi in cui il giudice debba adottare una decisione prima del momento del deposito e della formale acquisizione delle intercettazioni di cui all’articolo 268-bis, il pubblico ministero trasmetterà i verbali e le registrazioni delle conversazioni da lui ritenute rilevanti: il giudice dispone l’acquisizione nel fascicolo degli atti di indagini delle conversazioni rilevanti per la decisione, restituendole altre al pubblico ministero che le custodirà nell’archivio riservato di cui all’articolo 89 bis c.p.p.
§ art. 268-quinquies, ascolto e acquisizione di conversazioni disposti dal giudice;
Dopo la conclusione delle indagini preliminari e nel corso dell’udienza preliminare al giudice è comunque riconosciuta la facoltà di disporre, anche d’ufficio, l’esame dei verbali e l’ascolto delle registrazioni custodite nell’archivio riservato, e di disporre, all’esito, con ordinanza, l’acquisizione delle intercettazioni ritenute in precedenza prive di rilevanza. Tale facoltà di acquisizione è riconosciuta al giudice anche nel corso del dibattimento, soltanto però quando sia stata avanzata richiesta delle parti specificamente motivata.
§ art. 268-sexies, avviso a persone non indagate;
Dopo la chiusura delle indagini preliminari il pubblico ministero dà avviso dell’avvenuta intercettazione ai soggetti titolari delle utenze in ordine alle quali è stata disposta intercettazione, diversi da quelli nei cui confronti si procede e non indagati in procedimenti connessi o collegati. A tale regola vengono tuttavia stabilite alcune eccezioni (ricorrendo le quali l’avviso non viene inviato) relative ai casi in cui si proceda per alcuni reati particolarmente gravi (art. 51 comma 3-bis, 3-quater e 407, comma 2, lettera a) c.p.p., nonché 600-ter e 600-quinquies del codice penale),qualora dagli atti di indagine risulti che l’utenza è stata comunque utilizzata da persone indagate nel procedimento o in procedimenti connessi o collegati, se taluna delle conversazioni intercettate sulle utenze sia stata acquisita al procedimento.
L’articolo 11 novella l’art. 269 del codice di rito prevedendo l’istituzione dell’archivio riservato e attribuendo al giudice la facoltà di disporre la distruzione della documentazione, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ovvero una volta decorso il termine di prescrizione dei reati per i quali si era proceduto. La norma prevede peraltro che, quando la documentazione non è rilevante per il procedimento, gli interessati possano chiederne al giudice la distruzione anticipata.
Gli articoli da 12 a 14 novellano ancora il codice di procedura penale adeguando alla nuova disciplina l’ipotesi di trasmissione ad altra autorità giudiziaria delle intercettazioni per l’utilizzabilità in altro procedimento e la normativa in tema di intercettazioni finalizzate alla ricerca dei latitanti.
L’articolo 15 introduce nel codice di rito l’articolo 329-bis, recante uno specifico obbligo di segretezza in ordine alla documentazione custodita nell'archivio riservato, mentre gli articoli 16 e 17 dettano norme di coordinamento.
Gli articoli da 18 a 20 novellano le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale in tema, tra l’altro, di costi sostenuti dagli operatori di telecomunicazioni per le prestazioni a fini di giustizia; di archivio riservato delle intercettazioni; e di trasmissione al Ministro della giustizia di relazioni sulle spese di gestione e di amministrazione aventi ad oggetto le intercettazioni telefoniche.
L’articolo 21 novella il codice penale, inasprendo le pene per il reato di rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale, ed introducendo il reato di accesso abusivo ad atti del procedimento penale, di detenzione di documenti illecitamente formati o acquisiti, nonché di rivelazione del contenuto di documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni.
L’articolo 22 modifica il Codice della privacy (d.lgs n. 196 del 2003) relativamente alla conservazione di dati di traffico (art. 132) e agli illeciti per finalità giornalistiche (art. 164-bis).
Le ultime disposizioni della riforma approvata dalla Camera dei deputati (artt. 23-26) dettano norme di coordinamento e transitorie.
Il tema delle intercettazioni telefoniche è stato da ultimo affrontato dalla legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato).
I commi 82 e 83 dell’articolo 2 prevedono infatti la razionalizzazione del sistema delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica.
In particolare, il comma 82 dispone che il Ministro della giustizia, entro il 31 gennaio 2008, avvii la realizzazione di un “sistema unico" nazionale delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica disposte o autorizzate dall’autorità giudiziaria, anche attraverso la razionalizzazione delle attività attualmente svolte dagli uffici dell’Amministrazione della giustizia. Tale sistema unico dovrà essere articolato su base distrettuale di corte d’appello.
Sebbene la disposizione in esame non fornisca dettagli sulle caratteristiche di tale sistema unico, parrebbe che esso debba condurre ad una razionalizzazione delle spese connesse all'esecuzione delle operazioni di intercettazione.
Si ricorda che i costi connessi alle operazioni di intercettazione derivano da tre distinte voci: dalla remunerazione degli operatori delle comunicazioni che svolgono le intercettazioni; dall’acquisizione dei tabulati telefonici; dal noleggio dei macchinari.
Per quanto riguarda il costo delle intercettazioni, in Italia, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi europei, gli operatori telefonici, sebbene obbligati a collaborare con l'autorità giudiziaria, hanno diritto ad ottenere una controprestazione economica per le attività connesse all'intercettazione. Ai sensi dell'art. 7, comma 13, del D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318[69], infatti, «le prestazioni effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie sono obbligatorie, non appena tecnicamente possibile da parte dell'organismo di telecomunicazioni nei tempi e nei modi che questo concorderà con le predette Autorità. Le prestazioni relative alle richieste di intercettazioni vengono remunerate secondo un listino, redatto per tipologie e fasce quantitative di servizi, proposto dall'organismo di telecomunicazioni ed approvato dal Ministero delle comunicazioni di concerto con il Ministero della giustizia». Il listino è stato approvato con D.M. 26 aprile 2001[70].
Successivamente, il D.P.R. 318/1997 è stato abrogato dal decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259[71], il cui art. 96 (rubricato "Prestazioni obbligatorie") prevede l’obbligatorietà, per gli operatori, di acconsentire alle richieste di intercettazioni da parte dell’autorità giudiziaria. I tempi e i modi delle intercettazioni sono concordati con le predette autorità in attesa dell’approvazione di un apposito repertorio.
Il ristoro dei costi sostenuti dagli operatori e le modalità di pagamento sono stabiliti con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, in forma di canone annuo determinato anche in considerazione del numero e della tipologia delle prestazioni complessivamente effettuate nell'anno precedente.
Il repertorio dovrà essere approvato con decreto del Ministro delle comunicazioni, di concerto con i Ministri della giustizia e dell'interno. Nelle more dell’approvazione del repertorio, continua ad applicarsi il listino adottato con D.M. 26 aprile 2001.
Per quanto riguarda il noleggio delle apparecchiature, attualmente il procedimento di scelta del contraente per la fornitura del servizio in questione avviene a livello di singola Procura.
Il Ministero della Giustizia, Direzione generale di statistica, ha pubblicato sul proprio sito internet i dati nazionali relativi ai costi delle intercettazioni e del noleggio degli apparati nel quadriennio 2003-2006 .
(importi totali in euro)
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
263.861.624 |
254.053.063 |
286.962.492 |
223.976.088 |
Il comma 82 dispone inoltre affinché, contestualmente all'avvio del sistema unico, si proceda all’adozione dei provvedimenti previsti dal citato art. 96 del d.lgs. n. 259 del 2003 (v. sopra): repertorio delle prestazioni obbligatorie e decreto sui costi.
Ai sensi del comma 83, il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, procede al monitoraggio dei costi complessivi delle attività di intercettazione disposte dall’autorità giudiziaria.
Modifiche al processo penale
La possibilità per il giudice di disporre, per finalità di indagine, prelievi biologici coattivi nei confronti di imputati, indagati o soggetti terzi, in assenza di una disciplina legislativa volta a disciplinarne dettagliatamente le modalità, è stata esclusa dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 238 del 1996.
Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 224, comma 2, del codice di procedura penale, per la parte in cui consentiva al giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, di disporre misure (nella specie, prelievi ematici) volte ad incidere sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste, nei casi e nei modi, dalla legge.
La Corte – in considerazione del fatto che il prelievo di sangue coattivo comporta necessariamente una qualche restrizione della libertà personale (anzi travalica tale libertà, comportando – sia pur in misura minima – un’invasione della sfera corporale) ha ritenuto che le premesse dell’accertamento peritale potessero risolversi in compressioni della libertà dell’individuo soltanto in conformità a tassative previsioni di legge, secondo la circostanziata riserva contenuta nell’art. 13, 2° comma, Cost.[72]
La Corte ha ritenuto operante la garanzia di riserva – assoluta- di legge che implica l’esigenza di tipizzazione dei casi e delle modalità con le quali la libertà personale può essere legittimamente compressa. Nel dichiarare l’incostituzionalità parziale dell’art. 224, 2° comma, c.p.p., la Consulta ha stigmatizzato «l’assoluta genericità di formulazione» della norma e «la totale carenza di ogni specificazione al positivo dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto può ritenersi che sia legittimo procedere alla esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l’adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale».
Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale rivolgeva al legislatore l’invito a colmare il vuoto normativo in materia affermando che «fino a quando il legislatore non sarà intervenuto ad individuare i tipi di misure restrittive della libertà personale che possono dal giudice essere disposte allo scopo di consentire (anche contro la volontà della persona assoggettata all'esame) l'espletamento della perizia ritenuta necessaria ai fini processuali, nonché a precisare i casi ed i modi in cui le stesse possono essere adottate - nessun provvedimento di tal genere potrà essere disposto».
Le uniche disposizioni legislative che prevedono prelievi biologici coattivi sono le seguenti:
· l’art. 16 della legge contro la violenza sessuale (l. 15 febbraio 1996, n. 66), che stabilisce che l’imputato sia obbligatoriamente sottoposto ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime;
· art. 349 c.p.p. (come modificato dal decreto legge n. 144 del 2005[73]) ai sensi del quale il prelievo obbligatorio di saliva o capelli, anche in mancanza di consenso dell'interessato, è possibile ma ai soli fini identificativi della persona nei cui confronti le indagini sono svolte e non già a fini probatori.
Nel corso della XIV legislatura il Parlamento aveva tentato di aderire all’invito della Corte costituzionale, avviando l’esame presso la Commissione giustizia di alcune proposte di legge, il cui iter si era interrotto senza approvazione[74]. Il medesimo tentativo è stato rinnovato nella XV legislatura, a distanza di dieci anni dalla sentenza della Consulta, attraverso l’esame di alcune proposte di legge che, pur giungendo all’approvazione finale da parte della Camera dei deputati non sono state esaminate dal Senato.
Di seguito viene dato conto del contenuto della proposta di legge C. 782 (Contento)[75], alla quale sono state abbinate le proposte di legge C. 809 (Ascierto) e il disegno di legge del Governo C. 1967 – così come approvata dalla Camera dei deputati il 10 ottobre 2007 (cfr. A.S. 1849), il cui titolo recita “Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale”.
Il provvedimento – composto da 6 articoli - è finalizzato ad introdurre nel codice di rito una disciplina per il compimento, su persone viventi, di prelievi di campioni biologici o accertamenti medici, che possa costituire un corretto bilanciamento tra le esigenze del processo e l'inviolabilità della libertà personale dell'individuo, garantita dall'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
L'articolo 1 introduce nel codice di procedura penale gli articoli 224-bis e 224-ter che dettano i presupposti necessari per l'adozione da parte del giudice dei provvedimenti che dispongono perizie che richiedono il compimento di atti incidenti sulla libertà personale delle persone, comportando prelievi o accertamenti coattivi.
In particolare, l’art. 224-bis disciplina l’accertamento coattivo nei confronti di persona indagata o imputata. I presupposti per poter procedere all’accertamento sono i seguenti:
§ si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni, ovvero per un delitto per il quale sia espressamente prevista dalla legge tale possibilità;
§ l'accertamento è assolutamente indispensabile (il fine non è diversamente perseguibile).
La disposizione descrive dunque i tipi di prelievo da effettuare ai fini della determinazione del profilo del DNA, individuandoli nel prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale come accertamenti preferenziali. In tutti questi casi, il giudice, anche d'ufficio, può disporre con ordinanza motivata l'esecuzione della perizia coattiva. Il soggetto sottoposto ad essa può farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia, in mancanza del quale dovrà essere nominato un difensore d'ufficio, considerato che l'atto è nullo se la persona sottoposta a prelievo o ad accertamento non è assistita da un difensore.
L’ordinanza che dispone la misura deve essere motivata, dovendo indicare specificatamente, oltre che il prelievo o l'accertamento da effettuare, le ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Nell'ordinanza, tra l'altro, deve essere dato avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta ad un legittimo impedimento, nei confronti della persona che vi si deve sottoporre potrà essere ordinato l'accompagnamento coattivo.
La disposizione precisa che non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastino con espressi divieti disposti dalla legge o che possano mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, ovvero che secondo la scienza medica possano provocare sofferenze di non lieve entità. In ogni caso, a parità di risultato il giudice deve prescegliere le tecniche meno invasive e più rispettose della dignità e del decoro della persona, le quali comunque devono essere eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto.
L’art. 224-ter prevede che le disposizioni di cui sopra si applichino, laddove possibile, anche nei confronti di persona non indagata o non imputata; in tale caso, la persona può essere accompagnata o assistita da un esperto o da persona di fiducia.
L'articolo 2 inserisce nel codice di rito l’art. 359-bis, rubricato “Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi”, ai sensi del quale laddove il pubblico ministero intenda procedere a consulenza tecnica che presuppone il prelievo coattivo di materiale biologico, ai fini della determinazione dell'impronta genetica dell'individuo, dovrà richiedere l'autorizzazione al giudice per le indagini preliminari, il quale provvederà con ordinanza.
In caso d’urgenza – ovvero quando vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave e irreparabile danno per le indagini - il pubblico ministero può disporre lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato; entro le 48 ore successive dovrà richiedere al giudice per le indagini preliminari la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvederà con ordinanza al più presto e, comunque, entro le 72 ore successive, dandone immediatamente avviso al pubblico ministero e al difensore. In caso di mancata osservanza dei presupposti e dei tempi stabiliti dalla norma, il prelievo è inutilizzabile.
Gli articoli 3 e 4 hanno finalità di mero coordinamento mentre l'articolo 5 novella l'articolo 392, comma 2, c.p.p., in tema di incidente probatorio per l'espletamento di una perizia, prevedendo che tale strumento di anticipazione nella raccolta della prova durante la fase delle indagini preliminari sia utilizzabile anche per procedere al prelievo di campioni biologici o ad accertamenti medici su persona vivente.
L'articolo 6 introduce tre nuovi articoli nelle norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. In particolare,
§ articolo 72-bis, Prelievo di campioni biologici e accertamenti medici su persone incapaci: è diretto ad individuare i soggetti che possono validamente esprimere il consenso ovvero negarlo, nel caso in cui la persona da sottoporre al prelievo di campioni biologici o agli accertamenti medici si trovi in stato di incapacità legale o naturale. Qualora poi le persone indicate per esprimere il consenso o il dissenso manchino o non siano reperibili o siano in conflitto di interesse con la persona interessata, il consenso è prestato da un curatore speciale nominato dal giudice;
§ articolo 72-ter, Redazione del verbale delle operazioni: contiene un richiamo esplicito alle modalità di documentazione degli atti previsti dal codice di procedura penale e fissa un obbligo a carico, di volta in volta, del giudice, del perito, ovvero del consulente tecnico o del pubblico ministero, di menzionare espressamente nel verbale il consenso prestato dalla persona interessata;
§ articolo 72-quater, Distruzione dei campioni biologici: disciplina la sorte dei campioni biologici prelevati, i quali, a seguito all'esito della perizia o della consulenza tecnica, devono essere immediatamente distrutti, salvo che non si ritenga la conservazione assolutamente indispensabile. La distruzione è effettuata a cura del consulente o del perito che ha proceduto alle relative analisi che ne redige un verbale da allegare agli atti. Dopo la definizione del procedimento con decreto di archiviazione o dopo che è stata pronunciata sentenza non più soggetta ad impugnazione, la cancelleria procede, in ogni caso e senza ritardo, alla distruzione dei campioni biologici prelevati.
Come detto, l’A.C. 782 è stato approvato dalla sola Camera dei deputati; conseguentemente, tuttora, in assenza di una legge che disciplini specificamente la materia, non è possibile effettuare accertamenti quali il prelievo coattivo di materiale biologico al fine della individuazione del profilo genetico dell'individuo e del successivo raffronto con il profilo genetico ricavato dalle tracce del reato.
Interventi sull’esecuzione penale
A distanza di sedici anni dall’ultimo analogo provvedimento di clemenza, nel corso della XV legislatura il Parlamento ha approvato la legge 31 luglio 2006, n. 241, recante "Concessione di indulto".
L'indulto è una causa di estinzione della pena prevista dall'art. 174 del Codice penale. L'indulto si differenzia dall'amnistia perché si limita ad estinguere in tutto od in parte la pena, mentre l'amnistia estingue il reato. L'indulto, diversamente dalla grazia che è un provvedimento individuale, è un provvedimento di carattere generale e si riferisce a tutti i condannati che si trovino in determinate condizioni. Ai sensi dell’articolo 79 della Costituzione l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
Il provvedimento di indulto è stato, in particolare, individuato dal legislatore come un possibile strumento di recupero di efficienza e funzionalità del sistema penitenziario, attraverso il ridimensionamento della popolazione carceraria.
Al riguardo, si osserva che la necessità di adottare un provvedimento di clemenza nei confronti dei detenuti era stata prospettata dal Ministro della giustizia già nel corso dell’illustrazione del programma per la giustizia presentato alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 28 giugno 2006. In quella sede, il Ministro, nel riferire sulla situazione di sovraffollamento delle carceri italiane (circa 16.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili) e della conseguente difficoltà di assicurare dignitose condizioni di vita per i detenuti, sottolineava come l’approvazione dell’indulto, concesso nella misura massima di due o tre anni, avrebbe costituito una risposta immediata al problema del sovraffollamento penitenziario.
La legge 241/2006 che - giova ricordarlo - non ha previsto anche l’estinzione delle pene accessorie eventualmente irrogate[76], ha definito le condizioni di applicazione del beneficio, le relative esclusioni, soggettive ed oggettive, nonché il termine temporale per la sua applicazione.
Nello specifico l’indulto è stato concesso:
§ per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006 (pur se non ancora giudicati con sentenza definitiva di condanna);
La fissazione del citato limite temporale risponde al parametro costituzionale previsto dal terzo comma dell'articolo 79, in forza del quale amnistia ed indulto non possono applicarsi a reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge all'evidente fine di evitare che si possa delinquere nelle more della presentazione del disegno di legge, confidando appunto sulla impunità futura.
§ in misura non superiore a tre anni, anche come residuo di una maggiore pena, per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie, sole o congiunte a pene detentive.
In virtù del riferimento contenuto nella legge alla non applicabilità delle esclusioni previste dall’ultimo comma dell’art. 151 del codice penale, possano beneficiare dell’indulto anche i recidivi, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Al riguardo, si ricorda, infatti, che l’articolo 151, ultimo comma, del codice penale stabilisce che l'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99, né ai delinquenti abituali, o professionali, o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente
Per quanto riguarda, poi, il regime delle esclusioni oggettive la legge 241 del 2006 ha previsto un lungo elenco di reati la cui commissione esclude che il condannato possa beneficiare dell’indulto.
Tale elenco comprendente i delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale: art. 270 primo comma (associazioni sovversive); art. 270-bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico); art. 270-quater (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale); art. 270-quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale); art. 280 (attentato per finalità terroristiche o di eversione); art. 280-bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi); art. 285 (devastazione, saccheggio e strage); art. 289-bis (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione); art. 306 (banda armata); art. 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di riduzione e mantenimento in schiavitù, tratta di persone e acquisto e alienazione di schiavi) art. 416-bis (associazione di tipo mafioso); art. 422 (strage); art. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù); art. 600-bis (prostituzione minorile); art. 600-ter (pornografia minorile), anche nell’ipotesi “virtuale” prevista dall’articolo 600-quater.1 del codice penale; art. 600-quater (detenzione di materiale pornografico), anche qui compresa l’ipotesi prevista dall’articolo 600-quater.1 del codice penale, sempre che il delitto sia aggravato in relazione all’ingente quantità del materiale; art. 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile); art. 601 (tratta di persone); art. 602 (acquisto e alienazione di schiavi); art. 609-bis (violenza sessuale); art. 609-quater (atti sessuali con minorenne); art. 609-quinquies (corruzione di minorenne); art. 609-octies (violenza sessuale di gruppo); art. 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione), escluse le ipotesi di dissociazione e ricorso di attenuanti; art. 644 (usura); art. 648-bis (riciclaggio), limitatamente all’ipotesi che la sostituzione riguardi denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
L’indulto, inoltre, non è concesso:
§ per i delitti di produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti qualora ricorra l’aggravante specifica della consegna o destinazione delle sostanze a un minore, nonché quella riguardante ingenti quantità di stupefacenti; analogo impedimento alla concessione sussiste se il delitto associativo per il traffico di droga riguardi i promotori o organizzatori, se l’associazione sia armata, se le sostanze stupefacenti siano adulterate o “tagliate” con altre sostanze che ne aumentino la potenzialità lesiva (artt. 73, 74 e 80, DPR 309/1990);
§ per i reati per i quali ricorra l’aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico (art, 1, legge n. 15/1980) nonché l’aggravante “di mafia” (reati commessi avvalendosi delle condizioni di intimidazione derivanti dal vincolo associativo mafioso ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni stesse, art. 7, legge 203/1991);
§ per i reati per i quali ricorra l’aggravante della commissione per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità (art. 3, L. 205/1993).
La legge prevede, infine, la revoca di diritto dell’indulto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge 241/2006, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Viceversa, Il riferimento della legge alla non applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 151 del codice penale ha fatto si che l’indulto sia stato concesso anche ai recidivi, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Per quanto riguarda i concreti effetti prodotti dall’indulto,il Governo, in risposta ad un atto di sindacato ispettivo (interpellanza Palomba 2-00118), nella seduta della Camera dei deputati del 21 settembre 2006, ha riferito che il numero dei detenuti condannati con sentenza definitiva, scarcerati in ragione dell'indulto risultava, a tale data, pari a 20.687.
Successivamente, i dati aggiornati al 31 dicembre 2006, forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno indicato un sensibile aumento del citato dato essendo 21.863 il numero complessivo delle persone scarcerate in virtù dell’indulto.
Pertanto, a seguito dell’approvazione della legge n. 241 del 2006 (come risulta dai dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria sugli effetti dell’indulto alla data del 31 dicembre 2006)si è passati da 60.710 detenuti presenti negli istituti penitenziari italiani alla data del 31 luglio 2006 a 38.847 detenuti presenti al 31 agosto 2006.
Nella tabella seguente sono indicate le presenze dei detenuti nei citati istituti penitenziari nell’anno solare 2006. Dai dati in essa riportati risulta, in particolare, che il maggior numero di scarcerazioni si è verificato nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della legge con una riduzione evidente e prevedibile nei mesi successivi.
MESI |
DETENUTI PRESENTI |
31 dicembre 2005 |
59.523 |
31 gennaio 2006 |
60.099 |
28 febbraio 2006 |
60.544 |
31 marzo 2006 |
61.220 |
30 aprile 2006 |
61.392 |
31 maggio 2006 |
61.369 |
30 giugno 2006 |
61.264 |
31 luglio 2006 |
60.710 |
31 agosto 2006 |
38.847 |
30 settembre 2006 |
38.326 |
31 ottobre 2006 |
38.844 |
30 novembre 2006 |
39.354 |
31 dicembre 2006 |
39.005 |
Ulteriori dati aggiornati al 16 febbraio 2007 riferiscono, poi, che, a tale data, 2.855 persone che avevano beneficiato del provvedimento di clemenza sono rientrate in carcere a seguito della commissione di nuovi reati (fonte: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/indulto/attuazione.html)[77].
Si ricorda, da ultimo, che a seguito dell’approvazione della legge di concessione dell’indulto da più parti è stato sollevato il problema relativo alle modalità di trattazione di quei processi penali destinati ad esaurirsi senza una concreta applicazione della pena, in quanto estinta proprio per effetto dell’indulto.
Al riguardo, nell’ambito delle direttive organizzative sulla trattazione degli affari penali, alcuni Capi di uffici giudiziari hanno da più parti prospettato l’opportunità di differenziare, rispetto agli altri, la tempistica dei procedimenti penali destinati ad esaurirsi senza la concreta irrogazione di una pena (ad es., Circolare del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, del 10 gennaio 2007).
In merito a tale problematica è intervenuto, altresì, il Consiglio superiore della magistratura il quale, il 9 novembre 2006, ha approvato una specifica risoluzione riguardante“la possibilità di differenziare, rispetto agli altri, la tempistica dei processi penali destinati ad esaurirsi senza la concreta inflizione di una pena ricorrendo il beneficio dell'indulto del 9 novembre 2006”.
Successivamente, il medesimo Consiglio superiore della magistratura, in data 15 maggio 2007, ha adottato una deliberazione “avente ad oggetto l'esame delle possibili conseguenze sul piano ordinamentale della circolare del Procuratore della Repubblica di Torino n. 58/07-SP, e delle altre direttive emanate dai dirigenti degli Uffici di Procura (segnatamente quelli di Palermo e Busto Arsizio in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza dell'applicazione dell'indulto”.
In merito alla medesima problematica, si segnala, poi, che, a livello parlamentare, la Commissione giustizia della Camera ha iniziato e non concluso l’esame di due proposte di legge (AC. 1792 e AC. 1877), contenenti talune disposizioni volte a prevedere la possibilità di ricorrere all'istituto del patteggiamento, previsto dagli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti temporali previsti dall'articolo 446 del medesimo codice, in tutti quei casi in cui il procedimento in corso potrebbe concludersi con una sentenza di condanna ad una la pena condonabile in virtù dell'indulto concesso con la legge 31 luglio 2006, n. 241.
Tutela civile dei consumatori
L’articolo 2, commi da 445 a 449 della legge finanziaria 2008 (L. 244 del 2007) istituisce e disciplina l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori.
Si tratta di un’azione giudiziale di gruppo, attivabile da associazioni rappresentative di consumatori ed utenti nei confronti dell'impresa per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali, dei cui effetti risarcitori possano giovarsi tutti gli appartenenti alla stessa categoria di soggetti.
La protezione degli interessi dei consumatori - non contemplata in via diretta dalla nostra Costituzione - trova riconoscimento nell’art. 153 par. 1 del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità economica europea, che ha previsto a tal fine che “…la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”.
Tuttavia, pur essendosi succeduti nel corso degli anni una serie di interventi del legislatore comunitario sul tema generale della tutela degli interessi dei consumatori, nei suoi diversi aspetti, non è stato affrontato, in tale sede, il tema delle "azioni di gruppo o di classe", trattandosi di ambiti più strettamente connessi all'ordinamento interno del singolo Stato e al sistema processuale in esso adottato.
La tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti, nei suoi diversi e poliedrici aspetti, ha costituito, soprattutto negli ultimi anni, uno dei punti focali della normazione comunitaria. La disciplina nazionale è dunque costituita, in buona parte, da una serie di disposizioni legislative volte a dare attuazione alle numerose direttive comunitarie sulla materia.
Nel nostro ordinamento, un primo significativo intervento volto a tutelare in via giudiziale gli interessi dei consumatori si ha con l’approvazione della legge comunitaria per il 1994 (legge 6 febbraio 1996, n. 52). L’articolo 25, dando attuazione alla direttiva CEE n. 93/13 del Consiglio in tema di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, era intervenuto sulla normativa concernente i contratti per adesione, novellando il codice civile mediante l’aggiunta al capo XIV, del titolo II, del libro IV, di un capo XIV-bis, rubricato “Dei contratti del consumatore” (articoli 1469-bis-1469-sexies). Con tale intervento viene modificata radicalmente la disciplina dei contratti standardizzati, cioè di tutti quei contratti che vengono presentati al consumatore sotto forma di moduli prestampati in cui le condizioni generali del contratto sono state predisposte unilateralmente dal venditore o professionista[78].
Successivamente, la legge 30 luglio 1998, n. 281 (Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti) ha introdotto, in armonia con i principi consolidati a livello comunitario, una disciplina organica della tutela degli interessi dei consumatori riconoscendo il potere inibitorio delle associazioni dei consumatori (la legittimazione ad agire).
La nuova disciplina ha previsto l'attribuzione alle associazioni dei consumatori iscritte nell'apposito elenco istituito presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato (ora Ministero dello Sviluppo economico) la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi, indipendentemente dalla segnalazione di un cittadino e dunque dall'esigenza di tutelare una singola posizione individuale.
In particolare, l’art. 3 della legge 218/1998 ha introdotto una forma di tutela processuale collettiva degli interessi dei consumatori modellata su quella prevista dall’art. 1469-sexies, basata quindi sulla azione inibitoria.
Sia la disciplina prevista dal codice civile che quella di cui alla successiva legge 281/1998 sono ora pressoché integralmente abrogate a seguito del loro assorbimento all’interno del cd. Codice del consumo (D.Lgs 6 settembre 2005, n. 206) entrato in vigore il 23 ottobre 2005, nel quale sono, infatti, confluite tutte le disposizioni in materia di tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti.
La nuova normativa integra quella del Codice del Consumo, relativa alla legittimazione ad agire in giudizio a tutela degli interessi collettivi (artt. 139 e 140, D.Lgs 6 settembre 2005, n. 206), introducendo un articolo aggiuntivo (art. 140-bis), composto da 6 commi, che disciplina e scandisce le diverse fasi dell’azione collettiva; quest’ultima è un’azione che mira ad ottenere dal giudice una pronuncia (di accertamento) della lesione degli interessi di una determinata categoria di persone.
Da un punto di vista sistematico, il nuovo art. 140-bis è inserito nel Titolo II della Parte V del Codice del consumo, precedentemente rubricato "Le azioni inibitorie e l'accesso alla giustizia", ma che l’art. 2, comma 449, della legge finanziaria (v. infra) provvede a rinominare "Accesso alla giustizia".
Tale Titolo elenca gli strumenti processuali che l'ordinamento riconosce ad alcune associazioni di consumatori e di utenti. In particolare, l'art. 140 stabilisce che esse sono legittimate, nei casi previsti dall'art. 139, ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.
Le fasi del procedimento, necessarie ed eventuali, definite dal nuovo art. 140-bis del Codice del consumo, possono essere così riassunte.
Le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale[79], nonché le associazioni e i comitati che sono «adeguatamente rappresentativi» dei diritti collettivi che si intendono far valere in giudizio, sono legittimate a richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede l'impresa l'accertamento del diritto al risarcimento del danno e la restituzione di somme dovute ai singoli consumatori o utenti in conseguenza di atti illeciti commessi in ambito contrattuale o extracontrattuale.
In particolare, il nuovo articolo 140-bis fa riferimento (commi 1 e 2, primo periodo):
1) in ambito contrattuale, ad illeciti relativi ai rapporti giuridici originati dai contratti cd. di massa o per adesione, conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile (con moduli o formulari)[80];
2) in ambito extracontrattuale, a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali, quando ledano i diritti di una pluralità di consumatori o utenti.
Il medesimo comma 2 del nuovo 140 del Codice del consumo, oltre ad individuare le modalità per l’adesione da parte dei singoli consumatori all’azione collettiva, precisa, poi, che l'esercizio dell'azione collettiva produce gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell'articolo 2945 del codice civile, (comma 2, quinto periodo), mentre il successivo comma 5 precisa che la sentenza che definisce il giudizio promosso ai sensi del precedente comma 1 fa stato nei confronti di tutti i consumatori e utenti che hanno aderito all'azione collettiva.
Tutti i consumatori e gli utenti che non hanno aderito all’azione e che non sono intervenuti nel giudizio, potranno agire individualmente in giudizio.
A seguito della presentazione della domanda da parte dei citati organismi, il Tribunale competente, ai sensi del successivo comma 3, nel corso della prima udienza, dopo aver sentito le parti e, ove necessario, dopo aver assunto sommarie informazioni, è chiamato a pronunciarsi sulla ammissibilità della domanda presentata, a meno che non intenda differire la pronuncia essendo pendente, sul medesimo oggetto della domanda presentata dalle associazioni, una istruttoria da parte di una Autorità indipendente.
Non sussistendo tale ipotesi di differimento, il Tribunale si pronuncia sulla ammissibilità della domanda con ordinanza reclamabile davanti alla Corte d'appello che decide in camera di consiglio.
A questo riguardo, il medesimo comma 3 precisa che la domanda deve essere dichiarata inammissibile quando sia manifestamente infondata, quando sussista un conflitto di interessi, ovvero quando il giudice non ravvisi l'esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela.
Il tribunale esercita, in definitiva, una doppia azione di filtro che si esercita:
1) sia rispetto all’ammissibilità della domanda nel merito;
2) sia in relazione alla legittimazione ad agire del soggetto associativo che propone l’azione risarcitoria.
Ove il Tribunale consideri ammissibile la domanda, adotta i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio, disponendo che i proponenti l'azione collettiva diano «idonea pubblicità» dei contenuti dell’azione proposta.
Per quanto riguarda i successivi passaggi, il giudice in sede di sentenza di condanna, determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori ed utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono intervenuti in giudizio, individuando, ove possibile, la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. L’impresa soccombente, nei 60 giorni successivi alla notifica della sentenza, può proporre il pagamento della somma, e l’accettazione da parte del consumatore o dall'utente costituisce titolo esecutivo (comma 4).
Ai sensi del comma 6, se l'impresa non formula alcuna proposta entro il termine sopra richiamato, ovvero nel caso in cui tale proposta non sia stata accettata, il giudice costituisce presso lo stesso tribunale apposita Camera di conciliazioneper la determinazione del quantumdei singoli risarcimenti in favore dei consumatori.
La camera di conciliazione è composta da 3 avvocati:
- uno indicato dai soggetti che hanno proposto l'azione collettiva;
- uno indicato dall'impresa convenuta;
- uno, che assume le funzioni di presidente, nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all'albo speciale per le giurisdizioni superiori.
Spetta alla Camera di conciliazione definire, con verbale, i modi, i termini e l’entità del risarcimento. Tale verbale di conciliazione, costituisce titolo esecutivo. Da ciò consegue il diritto del singolo consumatore e utente di chiedere al giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti del debitore (comma 6).
In alternativa alla Camera di conciliazione, su concorde richiesta del promotore dell'azione collettiva e dell'impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del decreto legislativo n. 5 del 2003[81], operante presso il comune in cui ha sede il tribunale.
Si ricorda che l'art. 38 del suddetto decreto legislativo 5/2003 prevede che gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie di cui all'art. 1 del decreto legislativo medesimo (materia bancaria, societaria, creditizia e di intermediazione finanziaria). Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Quest'ultimo determina con decreto i criteri e le modalità di iscrizione nel detto registro. Con lo stesso decreto sono disciplinate altresì la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti. Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, hanno diritto ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel registro. L'organismo di conciliazione, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunica successivamente le eventuali variazioni. Al regolamento debbono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a norma dell'art. 39 del decreto stesso.
Il comma 447, concernente l'entrata in vigore del nuovo articolo 140-bis, prevede che le disposizioni contenute in tale norma diventano efficaci decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria, e dunque a partire dal 29 giugno 2008.
Da ultimo, i i commi 448 e 449 prevedono:
§ attraverso una modifica all’articolo 50-bis del codice di procedura civile, che il Tribunale giudica la class action in composizione collegiale;
§ la sostituzione della rubrica del Titolo II della parte V del codice del Consumo, originariamente recante “le azioni inibitorie e l’accesso alla giustizia”, con la seguente “accesso alla giustizia”.
Contrasto al terrorismo internazionale
Nel corso della legislatura il Governo ha emanato due decreti legislativi[82] volti a completare il quadro normativo in tema di prevenzione, contrasto e repressione del finanziamento del terrorismo internazionale, in attuazione di disposizioni comunitarie.
In particolare, il legislatore era chiamato ad attuare la Direttiva 2005/60/CE del parlamento e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (c.d, III Direttiva antiriciclaggio).
La direttiva, che abroga e sostituisce la precedente direttiva 91/308/CEE, mira a estendere la vigilanza, fin qui diretta soltanto verso i soggetti che riciclano denaro, alla categoria più ampia dei soggetti che finanziano il terrorismo. Ne consegue l’importanza di nuovi obblighi per l’identificazione, diversi e più complessi di quelli previsti dalla direttiva 91/308/CEE, che impongono anche l’adeguata verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente unitamente a informazioni sullo scopo e sulla prevista natura del rapporto d’affari.
Gli obblighi di verifica possono essere calibrati in funzione del rischio associato al tipo di cliente, al rapporto d’affari, al prodotto, alla transazione effettuata.
L’obbligo di adeguata verifica della clientela è rafforzato sulla base della valutazione del rischio esistente nelle situazioni che, per la loro natura, possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o finanziamento del terrorismo (c.d. concetto di gradualità delle misure).
Sussiste inoltre, per gli enti creditizi e finanziari, la necessità di disporre di sistemi efficaci, anche elettronici, proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, per poter rispondere pienamente e rapidamente alle richieste di informazioni riguardanti gli eventuali rapporti di affari intrattenuti con determinate persone e al connesso obbligo di conservare i dati, i documenti e le informazioni per un determinato periodo decorrente dalla fine del rapporto di affari o, in taluni casi, dall’esecuzione dell’operazione.
Innovativa è anche l’attenzione che deve essere posta nell’adempimento degli obblighi di segnalazione con riguardo ad ogni attività sospettata di connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo. In particolare, dovranno essere monitorate le operazioni complesse o di importo insolitamente elevato, nonché tutti gli schemi insoliti di operazioni che non hanno un fine economico evidente o uno scopo chiaramente lecito.
Tra le misure di esecuzione, oltre alle verifiche della clientela e alla segnalazione di casi sospetti, sono previste procedure di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio e di garanzia dell’osservanza di tutte le disposizioni da parte del personale dipendente dagli enti su cui ricadono gli obblighi di identificazione e di segnalazione. In tale ambito, il personale interessato deve essere posto a conoscenza delle disposizioni adottate, anche attraverso l’obbligo di frequentare specifici programmi di formazione, onde essere in grado di riconoscere le attività che potrebbero essere connesse a tali reati.
Nella nuova disciplina, si rileva, quindi, la finalità di contrasto del finanziamento del terrorismo, evidenziandosi, a livello organizzativo, una più stretta interrelazione tra la fase di analisi dei rischi e la fase delle verifiche e dei controlli di esecuzione.
Su questa direttiva si è poi innestata la successiva Direttiva 2006/70/CE, con la quale la Commissione europea ha specificato alcuni concetti e dettato alcune misure di esecuzione della direttiva precedente.
In particolare, la Commissione europea è intervenuta sulla definizione di «persone politicamente esposte» (articolo 3 della direttiva 2005/60/CE), sui criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela (articolo 11 della direttiva 2005/60/CE), nonché sui casi di esenzione in presenza di un’attività finanziaria esercitata in modo occasionale o su scala molto limitata (articolo 2 della direttiva 2005/60/CE).
Per attuare entrambe le Direttive, il termine imposto agli Stati era fissato al 15 dicembre 2007, ed il Governo ha potuto sfruttare la delega conferitagli dalla legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29).
L’articolo 22 della legge n. 29/2006 delegava il Governo ad adottare, entro il termine e con le modalità indicati all’articolo 1, uno o più decreti legislativi per le seguenti finalità:
a) dare organica attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, riguardante la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo;
b) prevedere modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, e n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, nonché dai regolamenti comunitari emanati, ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea, per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale;
c) coordinare le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.
Una prima attuazione alla c.d. III Direttiva antiriciclaggio (2005/60/CE) è stata data dal decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, recante “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE”.
Di seguito se ne descrive il contenuto vigente, facendo brevi cenni alle parti poi soppresse dal successivo decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, con il quale è stata data compiuta attuazione non solo alla Direttiva del 2005 ma anche alla direttiva 2006/70/CE, recante misure di esecuzione.
In entrambi i casi ci si soffermerà sugli aspetti di interesse della Commissione giustizia, rinviando per gli approfondimenti di carattere finanziario alla scheda Le nuove norme antiriciclaggio, nel dossier relativo alla Commissione Finanze.
Il decreto legislativo n. 109 del 2007 si compone di 16 articoli.
L’articolo 1 contiene le definizioni di alcune espressioni utilizzate nel provvedimento, tra le quali “finanziamento del terrorismo”, con la quale si intende qualsiasi attività diretta alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di risorse economiche destinate ad essere utilizzate per compiere o per favorire il compimento di taluno dei delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò a prescindere dall’effettivo utilizzo delle risorse stesse.
Si ricorda che l’art. 270-sexies del codice penale individua le condotte considerate, ai fini penali, con finalità di terrorismo. Si tratta delle condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad una organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di:
- intimidire la popolazione;
- costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto;
- destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale.
Il provvedimento definisce poi il termine fondi e, conseguentemente, l’espressione congelamento di fondi: sono fondi le attività e utilità finanziarie di qualsiasi natura (vengono riportati, a titolo di esempio, i contanti, gli assegni, i depositi, ma anche le lettere di credito o gli strumenti di finanziamento delle esportazioni); per congelamento di fondi si interde il divieto di movimentazione, utilizzo, gestione o accesso ai fondi, tale da apportarvi un qualsiasi cambiamento. Sono invece risorse economiche le attività ed i beni di qualsiasi tipo, diverse dai fondi, ma comunque idonee ad essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi. Conseguentemente, il congelamento di risorse economiche consiste nel divieto di disporre e utilizzare le risorse stesse (a titolo esemplificativo si riportano i divieti di vendita, locazione, affitto o costituzione di diritti reali di garanzia).
L’articolo 2 esplicita le finalità dell’intervento legislativo, richiamando l’esigenza di prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di finanziamento del terrorismo, realizzando il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, in base, non solo alle deliberazioni dell’Unione europea, ma anche alle risoluzioni delle Nazioni Unite.
L’articolo 3 rende permanente l’istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze del Comitato di sicurezza finanziaria, organismo creato nel 2001 con mandato di un anno e successivamente prorogato. Si tratta di un organismo di coordinamento nazionale per la lotta al terrorismo e per l’attuazione delle misure di congelamento disposte dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea nei confronti dei paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale (comma 1).
Il Comitato è composto dal Direttore generale del tesoro - o da un suo delegato - che lo presiede, e da altri undici membri (commi 2 e 3).
I membri del Comitato sono nominati dal Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base delle designazioni effettuate, rispettivamente, dai seguenti soggetti:
- Ministro dell'interno;
- Ministro della giustizia;
- Ministro degli affari esteri;
- Banca d'Italia;
- Commissione nazionale per le società e la borsa;
- Ufficio per la vigilanza sulle assicurazioni private;
- Ufficio italiano dei cambi.
Ulteriori componenti sono:
- un dirigente in servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
- un ufficiale della Guardia di finanza;
- un funzionario o ufficiale in servizio presso la Direzione investigativa antimafia;
- un ufficiale dell'Arma dei carabinieri;
- un rappresentante della Direzione nazionale antimafia.
E’ inoltre prevista l’integrazione del Comitato con un rappresentante dell'Agenzia del demanio per lo svolgimento dei compiti riguardanti il congelamento delle risorse economiche.
Il Presidente del Comitato può inoltre invitare a partecipare alle riunioni del Comitato rappresentanti di altri enti o istituzioni secondo le materie all'ordine del giorno.
Per quanto riguarda il funzionamento del Comitato, la disposizione ne rinvia la definizione ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Comitato stesso.
L’articolo 3, peraltro, oltre a porre a carico di una serie di soggetti l’obbligo di trasmettere informazioni al Comitato, prevede che lo stesso Comitato possa richiedere accertamenti, trasmettere dati ed informazioni al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza, chiedere all'Agenzia del demanio ogni informazione necessaria o utile sull'attività dalla stessa svolta. Per quanto riguarda, infine, le informazioni in possesso del Comitato, è previsto che queste siano coperte da segreto d'ufficio. Il Comitato può inoltre stabilire collegamenti con gli organismi che svolgono simili funzioni negli altri Paesi al fine di contribuire al necessario coordinamento internazionale.
Con riguardo all’individuazione dei soggetti cui applicare le misure di contrasto al finanziamento del terrorismo (cosiddetta “designazione”), il Comitato risulta competente a formulare alle competenti autorità internazionali, sia delle Nazioni Unite che dell'Unione europea, proposte di designazione di soggetti o enti. Tuttavia, se, sulla base delle informazioni acquisite, nelle more della formulazione della proposte di designazione alle competenti autorità internazionali, sussiste il rischio che i fondi o le risorse economiche da sottoporre a congelamento possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di attività terroristiche, il presidente del Comitato ha l’obbligo di farne segnalazione al procuratore nazionale antimafia.
Il Comitato risulta altresì competente:
§ a valutare le istanze di esenzione dal congelamento di fondi e risorse economiche presentate, secondo quanto disposto dai regolamenti comunitari, dai soggetti interessati;
§ a formulare alle competenti autorità internazionali, sulla base anche delle istanze presentate dai soggetti interessati, proposte di cancellazione dalle liste di soggetti designati.
Anche il successivo articolo 4 delinea uno specifico compito per il Comitato prevedendo che spetti a questo proporre al Ministro dell’economia e delle finanze di adottare un decreto volto a disporre il congelamento dei fondi e delle risorse economiche detenuti da persone fisiche, giuridiche, gruppi o entità designati, nelle more dell’adozione di specifiche deliberazioni da parte dell’Unione europea e nel rispetto delle procedure stabilite a livello internazionale.
L’articolo 5, riguardante gli effetti del congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inibisce qualsiasi atto di disposizione patrimoniale dei fondi e delle risorse finanziarie congelate ai soggetti designati.
In particolare, le risorse economiche sottoposte a congelamento non possono essere oggetto di trasferimento, disposizione né possono essere utilizzate per ottenere, in qualsiasi modo, ulteriori fondi, beni o servizi, fatte salve le attribuzioni dell’Agenzia del demanio, cui l’art. 12 del decreto legislativo (v. infra), direttamente o per il tramite dell’amministratore nominato dalla stessa Agenzia, demanda i compiti di gestione ed amministrazione delle risorse economiche (attività, beni mobili e immobili, frutti, ecc.) oggetto di congelamento. Non solo eventuali atti compiuti in violazione di questi divieti sono da considerarsi nulli ma la disposizione aggiunge che è altresì vietato mettere a disposizione dei soggetti designati fondi o risorse economiche.
L’efficacia del congelamento delle risorse decorre da quella di vigenza dei “regolamenti comunitari” e il congelamento è compatibile con eventuali provvedimenti di sequestro o confisca (sugli stessi beni e risorse economiche) adottati nel corso di procedimenti penali o amministrativi.
La disposizione aggiunge, infine, che il congelamento attuato in buona fede, nella convinzione di applicare il decreto, non comporta alcuna responsabilità a carico di chi (persona fisica o giuridica, gruppo o entità) lo attua, a meno che lo stesso congelamento non sia determinato da negligenza.
L’articolo 6 prevede un preciso obbligo a carico delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici che curano la tenuta di pubblici registri: devono comunicare all'Ufficio italiano dei cambi ed al Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza eventuali informazioni relative a risorse economiche congelate. A tal fine, il Comitato di sicurezza finanziaria dovrà stabilire apposite intese con le amministrazioni e gli altri enti pubblici che curano la tenuta di pubblici registri.
L’articolo 7 pone l’obbligo, in capo ai soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio (es. banche, uffici postali, società di intermediazione, imprese di assicurazione, ma anche commercialisti, notai, ecc…), di comunicare all’Ufficio italiano dei cambi o al Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza le misure di congelamento applicate secondo il disposto del provvedimento in commento.
L’articolo 8 – che originariamente estendeva l’obbligo di segnalare operazioni sospette, tuttora previsto dalla normativa antiriciclaggio, anche in relazione ad attività di finanziamento del terrorismo – e l’articolo 9 – relativo ai compiti di segnalazione della Banca d’Italia – sono stati successivamente abrogati dal decreto legislativo n. 231 del 2007 (v. infra), che ha anche novellato l’articolo 10, inerente ai compiti dell’Ufficio italiano cambi.
Questa disposizione, nel testo vigente, stabilisce anzitutto che le attribuzioni dell'Ufficio italiano dei cambi, previste dalla normativa antiriciclaggio, sono esercitate anche per il contrasto del finanziamento del terrorismo.
In materia di antiriciclaggio l'Ufficio Italiano dei Cambi è infatti l'unità di informazione finanziaria (FIU) per l'Italia a cui sono attribuite dal legislatore specifiche competenze in materia di contrasto al riciclaggio e al terrorismo internazionale sul piano finanziario (Legge n. 197/91, D.lgs. n. 153/97, D.lgs. n. 374/99, L. 388/2000, D.L. n. 369/2001, D. lgs. 56/2004). In particolare, l'Ufficio Italiano dei Cambi predispone disposizioni di carattere secondario, fornisce pareri e intrattiene relazioni con organismi internazionali e comunitari, è competente a ricevere, dai soggetti obbligati in forza di disposizioni di legge, le segnalazioni di operazioni sospette sulle quali esercita un approfondimento di carattere finanziario prima della trasmissione agli organi investigativi competenti. E' altresì competente ad esercitare l'analisi statistica dei dati aggregati concernenti complessivamente l'operatività di ciascun intermediario abilitato (legge n. 197/91, D.lgs. 56/2004).
L'Ufficio italiano dei cambi ha inoltre i seguenti compiti:
§ di curare il controllo dell'attuazione delle sanzioni finanziarie adottate dall'Unione europea nei confronti dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale;
§ di curare la raccolta delle informazioni e dei dati di natura finanziaria relativi ai soggetti designati, ai fondi ed alle risorse economiche sottoposti a congelamento;
§ di agevolare la diffusione delle liste dei soggetti designati e delle successive modifiche.
L’articolo 11 dispone che il Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza esercita le proprie attribuzioni in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio anche per il contrasto del finanziamento al terrorismo e per l’attuazione delle sanzioni finanziarie adottate dall'Unione europea nei confronti dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.
Il Nucleo speciale polizia valutaria è tenuto a redigere, entro sessanta giorni dal ricevimento delle comunicazioni di cui ai precedenti articoli 6 e 7 del decreto legislativo, una relazione dettagliata riguardante i beni oggetto di congelamento (tipologia, situazione giuridica, consistenza patrimoniale, stato di utilizzazione, esistenza di contratti in corso, anche se non registrati o non trascritti). La relazione è trasmessa al Comitato di sicurezza finanziaria, all’Agenzia del demanio e all'Ufficio italiano cambi. In presenza di beni immobili, beni mobili registrati, società o imprese, il Nucleo speciale polizia valutaria trasmette un estratto della propria relazione agli uffici competenti, affinché trascrivano il congelamento nei pubblici registri.
Il Nucleo ha inoltre il compito di comunicare ai soggetti designati l’avvenuto congelamento delle risorse economiche e la loro successiva assunzione da parte dell'Agenzia del Demanio. Deve inoltre specificare il divieto di disporre delle risorse economiche congelate e le sanzioni irrogate in caso di violazione del divieto.
L’articolo 12 individua nell’Agenzia del demanio il soggetto che provvede alla custodia, all’amministrazione e alla gestione delle risorse economiche oggetto di congelamento. A tal proposito si ricorda che l’articolo 65, comma 1, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo”, attribuisce all’Agenzia del demanio la gestione dei beni confiscati.
Gli atti di ordinaria amministrazione delle risorse economiche sono compiuti dall’Agenzia direttamente o tramite l’amministratore, mentre quelli di straordinaria amministrazione sono subordinati al parere favorevole del Comitato di sicurezza finanziaria.
I custodi e gli amministratori operano sotto il diretto controllo dell’Agenzia del demanio, che ha il potere di nominarli e di revocarli. Gli amministratori devono essere scelti, di norma, tra i funzionari delle pubbliche amministrazioni, di comprovata capacità tecnica, nel rispetto delle disposizioni relative a incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, dettate dall’articolo 53 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Gli amministrati di aziende o imprese possono essere scelti anche tra gli avvocati e i dottori commercialisti. Non possono in ogni caso essere nominati amministratori di aziende o imprese sottoposte a congelamento il coniuge, i figli o coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con i destinatari del congelamento.
Gli amministratori, che rivestono la qualifica di pubblici ufficiali, espletano il loro incarico secondo le direttive dell'Agenzia del demanio. Devono fornire rendiconti periodici e il conto finale dell’attività svolta ed esprimere, qualora gli venga richiesta, la propria valutazione sulla possibilità di prosecuzione o ripresa dell'attività produttiva.
Polizze di assicurazione possono essere stipulate per la copertura dei rischi connessi agli incarichi svolti da amministratori e custodi e dal personale dell'Agenzia del demanio.
Il Comitato di sicurezza finanziaria esprime parere vincolante in caso di congelamento di aziende, in ordine alla prosecuzione dell’attività di impresa e autorizza l'apertura di appositi conti correnti, intestati alla procedura. Il parere del Comitato è vincolante anche nel caso di beni immobili per i quali si rendano necessari interventi di manutenzione straordinaria.
Per la copertura delle spese necessarie o utili per la conservazione e l'amministrazione dei beni sottoposti a congelamento si fa fronte, se possibile, con le risorse derivanti dalla gestione dei beni stessi.
Ogni tre mesi l'Agenzia del demanio dovrà trasmettere al Comitato per la sicurezza finanziaria una relazione dettagliata sullo stato dei beni e sulle attività compiute.
In caso di cancellazione dalle liste o di autorizzazione all’esenzione dal congelamento di risorse economiche, l’articolo 12 disciplina la restituzione: il Nucleo speciale polizia valutaria, su richiesta del Comitato per la sicurezza finanziaria, dà comunicazione all’avente diritto della cancellazione o dell’autorizzazione, con le modalità per la notifica degli atti giudiziari. Nel caso in cui l’avente diritto non si presenti a ricevere la consegna delle risorse economiche entro due anni dalla comunicazione, l'Agenzia del demanio provvede alla vendita dei beni mobili e dei beni mobili registrati.
Il provvedimento che dispone la vendita o l'acquisizione é comunicato all'avente diritto ed è trasmesso, per estratto, ai competenti uffici, ai fini della trascrizione nei pubblici registri. Le somme ricavate dalla vendita sono depositate dall'Agenzia del demanio su un conto corrente vincolato in favore dell’avente diritto che può dimostrare di avervi diritto entro tre mesi dalla vendita; decorso inutilmente tale termine tali somme sono devolute all'erario.
In caso di violazione delle disposizioni dettate dal decreto legislativo, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 13. Pertanto, salvo che il fatto costituisca reato, le operazioni finanziarie sui fondi congelati sono punite con una sanzione pecuniaria amministrativa non inferiore alla metà del valore dell’operazione finanziaria e non superiore al doppio della stessa.
Per quanto riguarda, poi, la violazione degli obblighi di comunicazione all’Ufficio Italiano Cambi (art. 7) si prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 25.000 euro.
Per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni conseguenti alla violazione del congelamento dei beni e agli obblighi di comunicazione si applicano le disposizioni procedimentali previste dal TU in materia valutaria (D.Lgs 148/1998) per l'accertamento delle violazioni valutarie e l'applicazione delle relative sanzioni amministrative (artt. da 25 a 32). Per tali illeciti non è prevista l’oblazione.
I provvedimenti di irrogazione delle sanzioni sono trasmessi al Comitato di sicurezza finanziaria.
L’articolo 14 prevede che per l’impugnazione di tutti i provvedimenti previsti dal decreto legislativo sia competente il TAR del Lazio, mentre gli ultimi due articoli dispongono in ordine alla copertura finanziaria e contengono norme transitorie e di coordinamento.
A distanza di pochi mesi dall’emanazione del decreto legislativo n. 109 del 2007, il Governo ha emanato il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”.
In estrema sintesi, e rinviando per ogni approfondimento alla scheda Le nuove norme antiriciclaggio nel dossier relativo alla Commissione Finanze, si può affermare che, anche in questo caso, la finalità del provvedimento consiste nel prevenire l’utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (articolo 2, comma 5).
Le misure contenute nel decreto devono essere proporzionate al rischio di riciclaggio dei proventi derivanti da attività criminose o di finanziamento del terrorismo. Il criterio di proporzionalità va calibrato sulla base della tipologia di clientela, della tipologia di rapporto continuativo instauratosi tra il destinatario del decreto e il cliente, del contenuto della prestazione professionale, del tipo di prodotto o di transazione oggetto del rapporto con la clientela (articolo 3).
Il decreto individua (articoli da 10 a 14) quali destinatari degli obblighi in esso contenuti numerosi soggetti – persone fisiche e giuridiche – la cui attività è potenzialmente a rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Si ricordano – a titolo esemplificativo – gli intermediari finanziari (come le banche e Poste italiane S.p.A.) e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria (come i promotori finanziari), i liberi professionisti, i revisori contabili, i gestori di case da gioco.
Le disposizioni del Titolo II, Capo I (articoli da 15 a 48) indicano i casi in cui devono essere applicati gli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari, dei professionisti, dei revisori contabili e degli altri soggetti obbligati, precisando altresì (articoli 18 e 19) il contenuto e le modalità di adempimento di tali obblighi.
Tendenzialmente, tali obblighi dovranno essere osservati nei casi di nuovi rapporti continuativi, di conferimento di incarichi professionali, di esecuzione di prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15 mila euro (a prescindere dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di più operazioni collegate). Inoltre, i predetti obblighi operano anche nelle fattispecie di sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile), nonché di dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati identificativi precedentemente ottenuti.
Si segnala come gli operatori che svolgono l’attività di gestione di case da gioco debbano procedere all’identificazione e alla verifica dell’identità di ogni cliente che compia operazioni di acquisto e di cambio di “fiches” o di altri mezzi di gioco per importo superiore a 2.000 euro, a prescindere dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di più operazioni che appaiano collegate; altresì, gli operatori che svolgono l’attività di gestione di case da gioco on line debbono procedere all’identificazione e alla verifica dell’identità di ogni cliente per importo superiore a 1.000 euro (articolo 24).
L’articolo 20 introduce il concetto di “approccio basato sul rischio”, consistente nel calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, al rapporto continuativo, alla prestazione professionale, all’operazione, prodotto o transazione di cui trattasi.
Le disposizioni del Titolo II, Capo II (articoli da 36 a 40) definiscono – sempre in capo ai destinatari del decreto – i doveri di registrazione delle informazioni acquisite per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela; le disposizioni di cui al Capo III (articoli da 41 a 48) definiscono, invece, gli obblighi di segnalazione all’Unità di informazione finanziaria (UIF) di operazioni sospette di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
Tra le misure concrete con cui adempiere agli obblighi suddetti (Titolo III: articoli da 49 a 51), si rileva (art. 49, comma 1) il divieto di trasferire denaro contante o libretti di deposito bancari o postali al portatore o titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell’operazione, anche frazionata, sia complessivamente pari o superiore a 5.000 euro (rispetto al limite previgente di 12.500 euro). Tuttavia, tale trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A.
Si prevede altresì che i moduli di assegni bancari e postali siano rilasciati dalle banche e da Poste Italiane S.p.A. muniti della clausola di non trasferibilità. Il cliente può richiedere, per iscritto, il rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera (art. 49, comma 4); tuttavia, per ciascun modulo di assegno bancario o postale richiesto in forma libera ovvero per ciascun assegno circolare o vaglia postale o cambiario rilasciato in forma libera, il richiedente dovrà pagare, a titolo di imposta di bollo, la somma di 1,50 euro (art. 49, comma 10).
Il provvedimento in esame opera altresì una rivisitazione del quadro sanzionatorio (Titolo V: articoli da 55 a 60), attribuendo a varie condotte poste in essere in violazione delle norme del decreto la valenza di illecito amministrativo e comminando la relativa sanzione pecuniaria.
In particolare, l’articolo 55 del decreto legislativo effettua una ricognizione delle sanzioni penali vigenti. Si segnala il comma 9, in base al quale chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza carte di pagamento, ovvero qualsiasi altro strumento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di pagamento o qualsiasi altro strumento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o strumenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati.
Inoltre, l’articolo 63, comma 3, modifica il d. lgs. n. 231 del 2001[83], in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, introducendo i reati di cui agli articoli 648 (Ricettazione), 648-bis (Riciclaggio) e 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale tra quelli per cui si prevede la responsabilità amministrativa degli enti.
Da ultimo (articolo 62), il decreto legislativo dispone la soppressione dell’Ufficio italiano dei cambi (UIC) e il trasferimento alla Banca d’Italia delle relative competenze e poteri (comprese le prerogative da esercitarsi quale Unità di informazione finanziaria per l’Italia).
Interventi di diritto penale
Analogamente a quanto verificatosi nel corso della XIV legislatura, anche in quella successiva, anticipatamente conclusasi, il Parlamento ha affrontato la questione relativa alla possibilità di introdurre nell’ordinamento giuridico un nuovo e specifico reato in materia di tortura, anche sulla base della definizione di tale illecito contenuta nell'articolo 1.1 della Convenzione di New York del 1984.
L’art. 1.1 della citata Convenzione delle Nazioni Unite, approvata dall'Assemblea generale il 10 dicembre 1984 e ratificata dall'Italia con la legge 3 novembre 1988, n. 498, definisce come tortura “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”.
All'articolo 4 della Convenzione si prevede che ogni Stato consideri tali atti quali trasgressioni nei confronti del proprio diritto penale. L’introduzione del reato di tortura nel codice penale corrisponderebbe, quindi, ad un obbligo giuridico internazionale ed è stata, del resto, più volte sollecitata sia dal Comitato sui diritti umani istituito dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato ai sensi della legge n. 881 del 1977, sia dal Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura, adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 7, il quale, nell'esame dei rapporti periodici sull'Italia, ha sottolineato più volte come fosse necessario supplire a tale lacuna normativa.
Va, inoltre, ricordato come la proibizione della tortura è prevista all'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dal nostro Paese
In particolare, durante la XV legislatura, la Camera dei deputati ha approvato, in prima lettura, la proposta di legge A.C. 915 ed abb., volta a prevedere l’introduzione nel codice penale dei nuovi articoli 613-bis e 613-ter. L’esame del provvedimento, successivamente trasmesso al Senato (AS 1216), è stato però interrotto dall’intervenuta anticipata conclusione della legislatura.
Nello specifico, il nuovo articolo art. 613-bis del codice penale, nel testo approvato dalla Camera dei deputati in prima lettura, stabiliva la pena della reclusione da tre a dodici anni nei confronti di chiunque, con violenza o minacce gravi, avesse inflitto ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali, ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona avesse compiuto o fosse sospettata di avere compiuto, ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona aveva compiuto o fosse sospettata di avere compiuto, ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.
La medesima disposizione prevedeva, inoltre, un aumento della citata pena base nel caso in cui la condotta sopra descritta fosse stata posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, ovvero nel caso in cui dal fatto fosse derivata una lesione grave o gravissima.
Nel caso di morte della vittima, la proposta di legge in esame, nel testo approvato dalla Camera, prevedeva un raddoppio della pena base stabilita per l’ipotesi base del reato di tortura.
A sua volta, il nuovo articolo 613-bis, nel testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati, escludeva la possibilità di far ricorso all’immunità diplomatica per il delitto di tortura per i cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati da una autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale. In tali casi, la citata disposizione, stabiliva l’stradizione dello straniero verso lo Stato nel quale era in corso il procedimento penale o nel quale era stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia.
Il nuovo art. 613-ter stabiliva, poi, che fosse punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che avesse commesso nel territorio estero il delitto di tortura di cui all’articolo 613-bis.
Il testo sopra descritto e licenziato dalla Camera dei deputati in prima lettura, è stato in più parti modificato nel corso del suo esame presso il Senato, esame non conclusosi a seguito dello scioglimento anticipato della legislatura.
Al riguardo, particolarmente rilevante è la modifica concernente la configurazione del nuovo illecito come reato proprio, che, pertanto, può essere commesso solamente da una persona che ricopra la carica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni.
Appare, poi, più generica la descrizione della condotta tipica del reato (cagionare lesioni o sofferenze fisiche o psichiche) essendo venuto meno il riferimento alla gravità della violenza o della minaccia.
Ulteriori modifiche, rispetto al testo approvato dalla Camera, riguardano, poi, sia l’entità della pene, sia la disposizione concernente la disposizione contenuta nel nuovo art. 613-ter riguardante la normativa da applicare nel caso di commissione del delitto di tortura all’estero.
Interventi di diritto penale
La Commissione giustizia della Camera ha approvato in sede referente il 15 gennaio 2008 un testo unificato delle proposte di legge A.C. 1249-ter ed abb., recante disposizioni volte a contrastare le molestie insistenti e le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale.
L’esame del provvedimento non ha avuto seguito per l’interruzione anticipata della legislatura.
Il testo unificato traeva origine dallo stralcio delle disposizioni volte a contrastare il fenomeno delle molestie assillanti e delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, originariamente contenute nelle proposte di legge A.C. 1249 ed abb., in materia di potenziamento della lotta contro la violenza sessuale[84].
Nello specifico, l'articolo 1 del citato testo unificato si proponeva di novellare il codice penale al fine di inserirvi l'articolo 612-bis, recante il nuovo delitto di "atti persecutori", comunemente definito "stalking".
La nuova disposizione penale era volta a sanzionare con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, reiteratamente, minaccia o molesta qualcuno in modo tale da infliggergli una sofferenza psichica, ovvero un fondato timore per l'incolumità propria o di una persona ad esso legata da relazione affettiva, ovvero arrecandogli un apprezzabile pregiudizio alle abitudini di vita.
La pena della reclusione:
§ veniva aumentata in misura discrezionale dal giudice se il comportamento persecutorio sopra descritto fosse commesso da persona legata da stabile relazione affettiva;
§ veniva aumentata fino alla metà e si procede d'ufficio, se il reato viene commesso contro un minore, ovvero nel caso in cui ricorresse taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 339 c.p.[85]
Tramite la novella dell’art. 577 c.p. veniva, poi, prevista la pena dell'ergastolo nei confronti dell'autore degli atti persecutori, ove, in conseguenza dei medesimi, fosse derivata la morte della vittima.
In merito alle procedure, l'articolo 2 del testo unificato prevedeva che la persona soggetta ad "atti persecutori" potesse richiedere al questore l'adozione di un provvedimento a carattere preventivo (avviso orale) con il quale l'autore dei citati comportamenti molesti veniva invitato a tenere una condotta conforme alla legge; qualora, nonostante il citato avviso orale, la persona avvisata avesse persistito nel comportamento persecutorio, si procedeva d'ufficio in ordine al citato reato.
Sempre con riferimento al delitto di "atti persecutori", il successivo articolo 3 del testo unificato novellava il codice di procedura penale per consentire l'applicabilità di taluni istituti processuali anche nel corso delle indagini su detto reato. Si prevedeva, quindi, la possibilità:
§ di disporre intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche;
§ di acquisire, mediante incidente probatorio, la testimonianza di minori di sedici anni, anche al di fuori dei casi in presenza dei quali l'articolo 392 c.p.p. consente il ricorso a tale istituto;
§ di effettuare, in dibattimento l'esame del minore vittima del reato mediante l'uso di un vetro specchio, unitamente ad un impianto citofonico;
§ di disporre giudizialmente il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, già previsto in relazione ad altri reati dall'artico 282-bis c.p.p. (Allontanamento dalla casa familiare).
L'articolo 4 del testo unificato riguardava il diverso argomento delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. La norma apportava in tal senso alcune modifiche alla legge n. 654 del 1975[86], e al decreto-legge n. 122 del 1993 convertito con modificazioni dalla legge n. 205 del 1993 (legge Mancino)[87] .
In primo luogo, con la novella all'articolo 3 della citata legge 654 il comma 1 dell’art. 4 aggiungeva alle condotte discriminatorie già sanzionate anche quelle fondate sulle opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Nello specifico, le condotte attualmente sanzionate dall’art. 3 della legge 654/1975 sono quelle della propaganda e della istigazione a commettere atti discriminatori fondati sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché l'organizzazione di associazioni o movimenti aventi tra i propri scopi il compimento dei citati atti discriminatori.
I successivi commi dell'articolo 4 del testo unificato in esame incidevano, invece, sulla citata legge n. 205 del 1993, alla quale apportavano le seguenti modifiche:
§ all'articolo 3, si consideravano meritevoli di aggravante (aumento della pena fino alla metà) anche i reati - punibili con una pena diversa da quella dell'ergastolo - fondati sulle opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere;
§ all'articolo 6, concernente talune disposizioni processuali, si escludeva la procedibilità d'ufficio per il delitto di violenza sessuale aggravato dalla citata circostanza prevista dall'articolo 3;
§ all'articolo 1, si modificava la rubrica per inserirvi il riferimento alle discriminazioni fondate su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Criminalità e sicurezza dei cittadini
All’inizio del 2007 il Governo ha emanato il decreto legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive.
Obiettivo dell’intervento legislativo è offrire più efficaci strumenti normativi per prevenire e contrastare i gravi fenomeni di violenza che si verificano, con sempre maggiore frequenza, nel corso dello svolgimento di competizioni sportive, con particolare riferimento al gioco del calcio.
A tal fine il decreto, che dopo le modifiche apportate in sede di conversione si compone di 19 articoli, interviene sia sugli aspetti strutturali relativi alla sicurezza degli impianti sportivi, sia sulla normativa penale, processuale-penale e sulle misure di prevenzione. I secondi aspetti verranno approfonditi in questa sede, mentre si rinvia alla scheda Sicurezza nello sport nel dossier relativo alla Commissione Cultura per gli approfondimenti relativi agli impianti sportivi. Di seguito si dà conto del contenuto del decreto legge, come modificato dalla legge di conversione.
L'articolo 1 del decreto legge reca misure specifiche concernenti la sicurezza degli impianti sportivi, comprese limitazioni all'accesso negli stadi aventi una capienza superiore alle 10.000 unità dove non siano stati completati gli interventi strutturali ed organizzativi già previsti da precedenti provvedimenti d’urgenza[88]. L’articolo 1 stabilisce, altresì, particolari formalità che devono essere rispettate in sede di acquisto dei titoli di accesso ai citati impianti sportivi, nonché puntuali controlli sui medesimi titoli da parte di apposito personale (individuato dal successivo articolo 2-ter). Di impianti sportivi si occupano, inoltre, l’articolo 10 (che modifica l’articolo 1-quater del decreto legge n. 28/2003, introducendo una specifica disciplina, anche procedurale, per l’adeguamento degli impianti sportivi alle nuove misure di sicurezza), l’articolo 11 (relativo ad un programma straordinario per l’impiantistica sportiva) e l’articolo 11-quater (in tema di interventi strutturali su impianti di minore capienza).Per l’approfondimento di queste disposizioni si rinvia alla scheda Sicurezza nello sport, nel dossier relativo alla Commissione Cultura.
L'articolo 2 apporta modifiche alla legge quadro 13 dicembre 1989, n. 401, recante "Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche".
In particolare, il comma 1 novella l'art. 6 della legge, che disciplina il divieto d'accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (il c.d. DASPO, anche noto come "diffida").
Prima dell’emanazione del decreto legge in commento il questore poteva disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (nonché ai luoghi, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime) e il conseguente obbligo di comparire una o più volte negli orari indicati, presso un determinato ufficio o comando di polizia, nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni per le quali opera il divieto, nei confronti delle persone che risultassero denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi cinque anni per i seguenti reati:
- porto d'armi od oggetti atti ad offendere (art. 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110);
- uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona (art. 5 della legge “Reale“ 22 maggio 1975, n. 152);
- accesso a luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche da parte di soggetti recanti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 2, comma 2, della legge Mancino 205/1993);
- lancio di materiale pericoloso, scavalcamento di campo in occasione di manifestazioni sportive (art. 6-bis, commi 1 e 2, della medesima legge 401/1989);
- aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive;
- avere, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato o indotto alla violenza.
Il decreto legge prevede che il DASPO e l’obbligo di comparire possano essere disposti anche :
§ nei confronti di chi è stato denunciato o condannato - anche con sentenza non definitiva - nel corso degli ultimi cinque anni per il reato di possesso di artifici pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive (di cui all'art. 6-ter della legge 401/1989, fattispecie peraltro ampliata dal decreto-legge in esame, v. ultra);
§ nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse.
In sostanza, il decreto legge introduce la possibilità di applicare il divieto di accesso e l'obbligo di presentazione indipendentemente non solo dalla condanna, seppure non definitiva, ma anche dalla semplice denuncia.
Sempre novellando l’articolo 6 della legge n. 401 del 1989 il decreto legge ha disposto che il DASPO possa essere applicato anche nei confronti di minori di 18 anni purché ultraquattordicenni, stabilendo, peraltro, l’obbligo di notifica del provvedimento all’esercente la potestà genitoriale.
L’articolo 2 ha inoltre previsto per le misure di prevenzione disposte dal questore (DASPO e obbligo di presentazione) una durata minima di un anno e massima di 5 anni.
In caso di violazione del DASPO e dell’obbligo di presentazione, l’art. 2 del decreto legge ha incrementato la pena già prevista stabilendo la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da 10.000 a 40.000 euro[89]. Con la sentenza di condanna è il giudice a dover disporre il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono le competizioni sportive e l’obbligo di presentazione, per una durata da 2 a 8 anni[90]. Tali misure sono obbligatoriamente disposte dal giudice in tutti i casi in cui sia pronunciata condanna per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono le gare, o per violazione delle stesse misure di prevenzione. Con la sentenza il giudice può anche disporre la pena accessoria consistente nell'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità.
Il comma 2 dell'articolo 2 del decreto legge novella invece l'art. 6-quater della legge 401/1989, aggiungendovi un comma 1-bis che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 a 100.000 euro nei confronti delle società sportive che abbiano attribuito a soggetti privi dei requisiti richiesti dall’art. 11 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (T.U. pubblica sicurezza) i compiti di controllare i titoli di accesso, instradare gli spettatori e assicurare il rispetto del regolamento d'uso dell'impianto.
L’articolo 2-bis introduce un reato di natura contravvenzionale punito con l’arresto da tre mesi ad un anno, e consistente nella violazione del divieto di esporre negli impianti sportivi striscioni o cartelli che incitano alla violenza o che contengono ingiurie o minacce.
L’articolo 3 novella gli artt. 6-bis e 6-ter della legge 401/1989, concernenti, rispettivamente, i reati di lancio di materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive e di possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive. In entrambe queste ipotesi, le fattispecie penali sono state ampliate nel loro contenuto e le rispettive sanzioni aumentate.
In particolare, i commi 1 e 1-bis modificano l'art. 6-bis, configurando come reato non solo il lancio di materiale pericoloso («razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti o comunque atti ad offendere») in occasione di manifestazioni sportive, ma anche l'utilizzo di detto materiale. La condotta, inoltre, non rileva solo quando sia posta in essere nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime, ma anche nelle immediate adiacenze degli stessi. Si considerano commessi nei luoghi suddetti i fatti ivi verificatisi nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva.
La novella interessa anche i profili sanzionatori del reato in oggetto: la pena è ora la reclusione da uno a quattro anni[91].
Le aggravanti speciali previste dall'art. 6-bis sono invertite. Mentre in passato si prevedeva un semplice aumento di pena se dal fatto derivava un danno alle persone (quindi l’aumento di un terzo, ex art. 64 c.p.) e l'aumento fino alla metà se dal fatto derivava il mancato regolare inizio, la sospensione, l'interruzione o la cancellazione della manifestazione sportiva, il decreto-legge ha invertito l'entità dell'aumento della pena tra le due circostanze.
Per quanto riguarda lo scavalcamento delle recinzioni e l’invasione di campo, la novella all’art. 6-bis fa sì che tali condotte siano sanzionate con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda da 1.000 a 5.000 euro; dalla contravvenzione si passa al delitto (reclusione da 6 mesi a 4 anni) se dal fatto deriva un ritardo rilevante dell’inizio, l’interruzione o la sospensione definitiva della competizione calcistica.
Il comma 2 dell’art. 3 modifica invece il reato di possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive di cui all'art. 6-ter della legge 401/1989. La fattispecie viene ampliata e punita in modo più rigoroso, seguendo le direttrici già dettate per il lancio di oggetti pericolosi. In particolare,
- da un lato il possesso penalmente rilevante non è più solo quello che si esercita su razzi, bengala, fuochi artificiali e petardi ovvero su altri strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, ma anche su bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti o, comunque, atti ad offendere. Si tratta dunque dei medesimi oggetti il cui lancio o utilizzo è sanzionato dall'art. 6-bis;
- l'ambito che assume rilevanza non è più il solo luogo in cui si svolgono manifestazioni sportive, ma anche, analogamente a quanto accade per lancio e utilizzo di materiale pericoloso, i luoghi interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, le immediate adiacenze degli stessi. Si considerano commessi in tali luoghi i fatti ivi verificatisi nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva.
Dal punto di vista sanzionatorio, il possesso di tali materiali non è più inquadrato come contravvenzione, bensì come delitto. L'arresto da tre a diciotto mesi e l'ammenda da 150 a 500 euro sono sostituiti dalla reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da 1.000 e 5.000 euro.
L’articolo 3-bis, introduce, poi, una nuova aggravante al delitto di danneggiamento (art. 635 c.p.), da applicarsi nel caso in cui il danneggiamento di attrezzature e impianti sportivi sia realizzato al fine d’impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive.
La pena che sanziona l’illecito è la reclusione fino a un anno o la multa fino a 309 euro.
L’articolo 4 del decreto-legge novella, invece, gli articoli 8 e 8-bis della legge n. 401 del 1989 apportando modifiche alla disciplina dell'arresto in flagranza effettuato durante o in occasione di manifestazioni sportive, e del c.d. “arresto differito”.
In particolare, il comma 1, modifica l’art. 8 della legge n. 401/89 consentendo l'arresto in flagranza[92] - oltre che per il lancio e l'utilizzo di materiale pericoloso, per la violazione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono le manifestazioni sportive e dell'obbligo di presentazione e nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali esso è obbligatorio o facoltativo ai sensi degli artt. 380 e 381 c.p. - anche nel caso di possesso di materiale pericoloso, ai sensi dell'art. 6-ter della legge 401/1989.
Viene, inoltre, chiarito che l'arresto può essere disposto nel caso di violazione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, anche nell'ipotesi in cui a tale divieto non si accompagni l'obbligo di presentarsi personalmente al comando di polizia (lettera a)).
E' infine consentito l'arresto nel caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive disposto dal giudice con la sentenza di condanna.
La successiva lettera b) interviene sull'istituto della "flagranza differita" o "arresto differito", introdotto dal decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28 .
Il decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, ha modificato la legge quadro n. 401/1989 prevedendo, in particolare, il cd. arresto differito dei tifosi violenti (art. 8). Si tratta del possibile utilizzo, da parte della polizia giudiziaria, dello strumento dell’arresto in flagranza differita degli autori dei reati commessi con violenza (a persone o cose) in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Tale possibilità di arresto, fuori dei limiti ordinari della flagranza o della cd. quasi flagranza, è riconosciuta, oltre che nei confronti degli autori delle violenze, anche nei confronti dei “lanciatori” di oggetti contundenti e comunque pericolosi ovvero di chi nonostante il divieto del questore acceda ai luoghi di svolgimento delle manifestazioni sportive o non rispetti l’obbligo di comparizione presso gli uffici di P.S.
È, inoltre, necessario che:
- non siano trascorse più di 36 ore dall’avvenuto illecito (v. infra);
- risulti impossibile procedere all’arresto immediato per motivi di sicurezza o incolumità pubblica;
- la prova del commesso reato emerga inequivocabilmente da documentazione video-fotografica o da altri elementi oggettivi (v. infra).
La disciplina previgente viene modificata dal decreto legge in due punti:
§ viene eliminata la possibilità di verificare la commissione del fatto contestato alla luce di non meglio specificati "elementi oggettivi"; conseguentemente, si può procedere esclusivamente sulla base di filmati e fotografie;
§ il termine di durata della flagranza viene ulteriormente esteso dalle 36 alle 48 ore.
La lettera c), modifica l'art. 8, comma 1-quater, della legge 401/1989, che consente che, nel caso di una serie di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, le misure coercitive (quali custodia cautelare e arresti domiciliari) possano essere disposte anche per reati la cui pena sia inferiore ai limiti minimi previsti in generale per l'applicazione delle misure cautelari[93]. Lo scopo è quello di evitare che una persona arrestata in base alle previsioni della legge possa poi riacquistare la libertà a causa dell'impossibilità di disporre misure coercitive per tali reati, in quanto aventi limiti edittali di pena insufficienti.
Il decreto legge prevede, in particolare, che tale deroga al regime generale delle misure cautelari si applichi anche nel caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive che, ai sensi dell'art. 6, comma 7, della legge 401/1989, sia stato disposto dal giudice con la sentenza di condanna.
Il comma 2 dell’art. 4 del decreto legge individua nel 30 giugno 2010 il termine finale per l'efficacia delle disposizioni in materia di flagranza differita e di sottrazione delle misure coercitive alla disciplina generale delle misure cautelari.
Tali istituti, che erano stati resi transitori in sede di conversione del decreto-legge 28/2003, attraverso la limitazione della loro efficacia al 30 giugno 2005 (termine poi prorogato al 30 giugno 2007[94]), non vengono dunque ancora stabilizzate nell’ordinamento.
Il comma 3 prevede che, analogamente a quanto già accade per i reati di cui agli artt. 6, comma 6 (violazione del DASPO e degli obblighi di comparizione), 6-bis, commi 1 e 2 (lancio di materiale pericoloso e scavalcamento di recinzioni dell’impianto sportivo) e 8, comma 1 (reati commessi durante o in occasione di manifestazioni sportive) della legge 401/1989, anche per il possesso di materiale pericoloso (art. 6-ter) si proceda sempre con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini.
L’articolo 5 interviene sull'articolo 1-septies del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, al fine di integrare il sistema sanzionatorio per la violazione del regolamento d’uso degli impianti.
L’articolo 1-septies del decreto legge n. 28/2003 dispone che l’accesso e la permanenza negli impianti dove si svolgono le competizioni calcistiche siano disciplinati, per quanto non previsto da disposizioni di legge o di regolamento, dal regolamento d'uso degli impianti stessi, predisposto sulla base delle linee guida approvate dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive (comma 1).
In particolare, novellando il comma 2 dell’art. 1-septies, il provvedimento in commento:
§ aumenta la sanzione amministrativa pecuniaria prevista per Ia violazione del regolamento (quando la violazione comporta l'allontanamento dall'impianto): da 100 a 500 euro (rispetto alla precedente “da 30 a 300 euro”). Si ricorda che la sanzione può essere aumentata fino alla metà del massimo (e dunque ora fino a 750 euro) qualora il contravventore risulti già sanzionato per la medesima violazione, commessa nella stagione sportiva in corso, anche se l'infrazione si è verificata in un diverso impianto sportivo;
§ prevede che - qualora il contravventore risulti già sanzionato per la medesima violazione, commessa nella stagione sportiva in corso, anche se l'infrazione si è verificata in un diverso impianto sportivo - al contravventore possano essere applicati anche il DASPO e l’obbligo di presentazione disciplinati dall’art. 6 della legge n. 401 del 1989. Il DASPO, in questo caso, può essere disposto per una durata da 3 mesi a 2 anni.
L’articolo 6 del decreto legge estende le misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza commesse in occasione di competizioni sportive.
In particolare, introducendo l’articolo 7-ter nella legge n. 401 del 1989, il legislatore prevede l’applicazione delle misure di prevenzione (tra le altre, sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, divieto di soggiorno, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) nei confronti delle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'art. 6 della legge (comma 1).
Nei confronti dei medesimi soggetti può essere altresì applicata la misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni: si tratterà di confiscare i beni che possono agevolare, in qualsiasi modo, le attività di chi prende parte attiva a fatti di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive (comma 2). Il nuovo articolo 7-ter (comma 2, secondo periodo) specifica che il sequestro effettuato nel corso di operazioni di polizia dirette alla prevenzione delle suddette forme di violenza è convalidato a norma dell'art. 2-ter, comma 2, secondo periodo, della legge 575/1965, in forza del quale «a richiesta del procuratore della Repubblica, del questore o degli organi incaricati di svolgere ulteriori indagini a norma del primo comma, nei casi di particolare urgenza il sequestro è disposto dal Presidente del tribunale con decreto motivato e perde efficacia se non è convalidato dal tribunale nei dieci giorni successivi».
L’articolo 7 reca, poi, modifiche al codice penale in materia di lesioni personali a pubblico ufficiale, nonché in materia di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. In particolare, il decreto legge ha introdotto nel codice penale una nuova fattispecie di reato: l’articolo 583-quater, rubricato “lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive”; tale disposizione sanziona con la reclusione da 4 a 10 anni le lesioni gravi e con la reclusione da 8 a 16 anni le lesioni gravissime[95].
Inoltre, aggiungendo un comma all’articolo 339 c.p., il decreto legge introduce un’aggravante ad effetto speciale per i delitti di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, per il caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti a offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone. In tal caso, salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applicano le pene previste dal secondo comma dell'art. 339 c.p.[96]
Per l’analisi dettagliata dei seguenti articoli del decreto legge si rinvia si rinvia alla scheda Sicurezza nello sport, nel dossier relativo alla Commissione Cultura:
§ articoli 8 e 9, che prevedono il divieto per le società sportive di corrispondere facilitazioni di qualsiasi natura e di distribuire titoli di accesso a coloro che siano stati colpiti da divieti o prescrizioni o condannati per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive;
§ articolo 11-bis, relativo alle iniziative da adottare per promuovere i valori dello sport, come definiti dalla Carta olimpica;
§ articolo 11-ter, che obbliga le società che organizzano manifestazioni sportive a rilasciare biglietti gratuiti per i minori;
§ articolo 11-quinquies, che interviene sul Testo unico della radiotelevisione di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, al fine di prevedere che durante lo svolgimento di trasmissioni di commento degli avvenimenti sportivi vengano rispettate specifiche misure volte a contribuire alla diffusione tra i giovani dei valori sportivi e prevenire fenomeni di violenza durante lo svolgimento di manifestazioni sportive;
§ articolo 11-sexies, che modifica la normativa concernente il Consiglio di amministrazione dell’Istituto per il credito sportivo.
Cooperazione giudiziaria
La legge comunitaria per il 2007[97] è uno degli ultimi provvedimenti approvati nel corso della XV legislatura e, per quanto di interesse della Commissione Giustizia, contiene quattro deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi attuativi di decisioni quadro.
Ai sensi dell'art. 34, comma 2, del Trattato sull'Unione europea, nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il Consiglio dell'Unione europea può adottare una serie di misure tra le quali si collocano le decisioni quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Analogamente a quanto previsto dall'art. 249, terzo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea con riferimento alla direttiva, la decisione quadro è vincolante per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
L'art. 34 stabilisce espressamente che la decisione quadro non ha efficacia diretta, ossia che, in mancanza di attuazione, essa non può essere invocata per disapplicare una disposizione di diritto interno con essa contrastante. Tale previsione è giustificata dal fatto che la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, collocata nel c.d. terzo pilastro, presenta caratteri di integrazione più limitati rispetto alle materia del primo pilastro che possono costituire oggetto di direttiva.
Tuttavia, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha affermato che, nonostante l'assenza di efficacia diretta, anche la decisione quadro, come la direttiva, dispiega alcuni effetti in caso di mancata attuazione da parte dello Stato membro. Ed infatti, il carattere vincolante delle decisioni quadro, formulato in termini identici a quelli dell'art. 249, terzo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea, comporta, in capo alle autorità degli Stati membri, ed in particolare in capo ai giudici degli Stati membri, l'obbligo di interpretare le norme dell'ordinamento nazionale alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro[98] .
In particolare, l’articolo 28 della legge comunitaria delega il Governo a dare attuazione, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, a quattro decisioni quadro e disciplina il procedimento per l’emanazione dei decreti legislativi di attuazione; i principi ed i criteri direttivi che il Governo dovrà rispettare nell'attuare le decisioni quadro sono invece contenuti nei successivi articoli da 29 a 32 della legge.
Le decisioni quadro che il Governo è delegato ad attuare attraverso l’emanazione di decreti legislativi sono le seguenti (comma 1):
§ decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato (si veda l'art. 29 della legge in commento);
§ decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio (si veda l'art. 30 della legge);
§ decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (si veda l'art. 31 della legge in esame);
§ decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (si veda l'art. 32 della legge).
Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi di attuazione delle suddette decisioni quadro sono adottati, nel rispetto dell’art. 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell’interno, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della decisione quadro da attuare (in quanto attinente alla cooperazione giudiziaria o di polizia o ad entrambe).
Gli schemi dei decreti legislativi di attuazione sonotrasmessi alla Camera dei deputati e al Senato per l’espressione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari. Le commissioni hanno a disposizione 40 giorni per esprimere il parere, trascorsi i quali i decreti possono essere comunque emanati.
Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega (12 mesi ai sensi del comma 1), questo è prorogato di 60 giorni.
Se il Governo non intende conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti, deve ritrasmettere gli schemi di decreto legislativo alla Camera e al Senato con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Trascorsi 20 giorni dalla ritrasmissione, i decreti possono esser adottati, anche in mancanza di nuovo parere.
Entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di attuazione delle decisioni quadro, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge (v. infra), il Governo può adottare, nel rispetto di questa stessa procedura, disposizioni integrative e correttive dei suddetti decreti legislativi.
L'articolo 29 della legge comunitaria 2007 reca i princìpi ed i criteri direttivi che dovranno essere rispettati in sede di attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del 22 luglio 2003 in materia di lotta contro la corruzione nel settore privato[99].
La decisione quadro è volta a stabilire il principio generale in base al quale devono costituire illeciti penali all'interno dell'Unione europea e devono essere sanzionati con pene effettive, proporzionate e dissuasive i comportamenti di corruzione attiva e passiva tenuti nel settore privato.
Nello specifico la decisione quadro 2003/568/GAI impone agli Stati membri di procedere alla introduzione nei propri ordinamenti di sanzioni penali che colpiscono le seguenti condotte intenzionali poste in essere nello svolgimento di attività professionali svolte nell'ambito di entità a scopo di lucro e senza scopo di lucro:
§ promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, affinché essa compia o ometta di compiere un atto in violazione di un dovere;
§ sollecitare o ricevere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere;
§ istigare qualcuno a porre in essere le condotte di cui ai primi due punti;
§ agevolare la posizione in essere delle condotte di cui ai primi due punti.
Ai sensi della citata decisione quadro gli Stati membri non devono limitarsi a prevedere la sanzionabilità delle persone fisiche ma anche delle persone giuridiche private, quando i suddetti illeciti sono commessi a loro beneficio: da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, la quale occupi una posizione dirigente in seno alla persona giuridica, basata
a) sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica, o
b) sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o
c) sull'esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica, oppure da una persona soggetta all'autorità della persona giuridica che abbia commesso una delle suddette condotte a favore della persona giuridica stessa, a causa della carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto che occupi una posizione direttiva, come definita al punto precedente.
Nel dare attuazione a quanto disposto dalla suddetta decisione quadro, il Governo dovrà attenersi ai seguenti princìpi e criteri direttivi.
Ai sensi della lettera a), il Governo dovrà introdurre nel libro II, titolo VIII, capo II del codice penale, dedicato ai delitti contro l'industria e il commercio, una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da 1 a 5 anni la condotta di chi, nell'ambito di attività professionali, intenzionalmente sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetta la promessa di tale vantaggio, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di una entità del settore privato, per compiere o omettere un atto, in violazione di un dovere, semprechè tale condotta comporti o possa comportare distorsioni di concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali[100].
Ai sensi della successiva lettera b), il Governo dovrà, poi, prevedere la punibilità con la stessa pena anche di colui che, intenzionalmente, nell'ambito di attività professionali, direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette il vantaggio di cui alla lettera a)[101].
La successiva lettera c) prevede, invece, l'introduzione fra i reati di cui alla Sezione III del Capo I del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231[102], le fattispecie criminose di cui alle lettere a) e b) con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti delle entità nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato[103].
Si ricorda che il D. Lgs. 231/2001 prevede che per una serie di reati espressamente individuati possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - oltre a sanzioni interdittive (interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, etc.) anche sanzioni di natura pecuniaria, applicate per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille; l'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.548 euro. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
L’articolo 30 della legge comunitaria 2007 reca i principi ed i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nel dare attuazione alla decisione quadro 2003/577/GAI del 22 luglio 2003, che regola l'esecuzione sul territorio di uno Stato membro dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria di un altro Stato membro, che dispongono il blocco o sequestro di beni per finalità probatorie ovvero per la loro successiva confisca[104].
La decisione quadro costituisce applicazione del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, affermatosi a partire dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 e la cui prima affermazione si è avuta con la decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo, attuata in Italia con legge 22 aprile 2005, n. 69.
In particolare, la decisione mira a stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro riconosce ed esegue nel suo territorio un provvedimento di blocco o di sequestro emesso da un'autorità giudiziaria di un altro Stato membro (art. 1). Si ritiene così di superare il tradizionale sistema di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale di tipo convenzionale, basato sul sistema delle rogatorie internazionali, sostituendolo con il riconoscimento reciproco dei provvedimenti, effettuato direttamente dalle autorità giudiziarie, senza la mediazione di un'autorità centrale (e, dunque, senza che un'autorità centrale possa esercitare poteri di impulso o di interdizione dell'attività di cooperazione).
Ai sensi dell'art. 3, par. 1, la decisione quadro si applica ai provvedimenti di blocco o di sequestro emessi:
a) a fini probatori
b) per la successiva confisca dei beni.
Analogamente a quanto accade in materia di mandato d'arresto europeo, l'art. 3, par. 2, elenca una serie di reati che, se sono punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà di almeno tre anni, non richiedono il controllo della doppia incriminabilità[105]. Per i reati non compresi in tale elencazione, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legge di tale Stato indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione.
Il provvedimento di blocco o di sequestro è trasmesso dall'autorità giudiziaria che l'ha adottato direttamente all'autorità giudiziaria competente per la sua esecuzione; se questa non è nota, saranno i punti di contatto della Rete giudiziaria europea a dover fornire informazioni (art. 4).
Le autorità giudiziarie competenti dello Stato di esecuzione riconoscono il provvedimento senza che siano necessarie altre formalità e adottano senza indugio le misure necessarie alla sua esecuzione immediata alla stessa stregua di un provvedimento di blocco o di sequestro emanato da un'autorità dello Stato membro di esecuzione (art. 5); ciò a meno che tale autorità non ritenga sussistere uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione previsti all'art. 7[106] o uno dei motivi di rinvio previsti all'art. 8[107].
Per quanto riguarda il trattamento dei beni bloccati o sequestrati, l’art. 10 della decisione quadro prevede che le richieste trasmesse ai sensi dell'articolo 4 debbano essere accompagnate, in alternativa:
a) da una richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione;
b) da una richiesta di confisca che richieda l'esecuzione di un provvedimento di confisca emesso nello Stato di emissione o una confisca nello Stato di esecuzione e la successiva esecuzione di ciascuna di tali provvedimenti;
c) da specifiche istruzioni volte a mantenere il bene nello Stato di esecuzione in attesa della richiesta di cui alla lettera a) o b).
Nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2003/577/GAI, il Governo dovrà attenersi ai seguenti princìpi e criteri direttivi.
Alla lettera a): prevedere, nell'ambito del procedimento penale, il riconoscimento e l'esecuzione sul territorio dello Stato di provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro a fini probatori e provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro in funzione della successiva confisca, emessi dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro.
Alla lettera b), prevedere che:
§ per "bene" debba intendersi ogni bene, in qualsiasi modo descritto, materiale o immateriale, mobile o immobile, nonché atti giuridici o documenti che attestano un titolo o un diritto su tale bene, in merito al quale l'autorità giudiziaria competente ritiene che sia il prodotto di uno dei reati di cui all'art. 3 della decisione o sia equivalente, in tutto o in parte, al valore di tale prodotto oppure costituisca lo strumento o l'oggetto di tali reati (ai sensi dell’art. 2, lett. d) della decisione quadro);
§ per "provvedimento di blocco o sequestro" debba intendersi qualsiasi provvedimento adottato da un'autorità giudiziaria competente dello Stato di emissione per impedire provvisoriamente ogni operazione volta a distruggere, trasformare, spostare, trasferire o alienare beni che potrebbero essere oggetto di confisca o costituire una prova (ai sensi dell’art. 2, lett. c) della decisione quadro);
§ la "prova" concerna gli oggetti e i documenti o i dati che possono essere utilizzati a fini probatori in procedimenti penali riguardanti un reato di cui alla successiva lettera d) (v. infra).
Alla lettera c): prevedere che si possa dare esecuzione nel territorio dello Stato italiano a qualsiasi provvedimento motivato adottato dall'autorità giudiziaria dello Stato di emissione per impedire provvisoriamente ogni operazione volta distruggere, trasformare, spostare, trasferire o alienare beni che potrebbero essere oggetto di confisca o costituire una prova. La decisione quadro non fa espresso riferimento alla motivazione del provvedimento di blocco o sequestro, la quale è comunque desumibile dalle voci comprese nel formulario del certificato allegato alla decisione; dal formulario si ricava infatti che l’autorità richiedente dovrà descrivere “i motivi pertinenti per il provvedimento di blocco e di sequestro” e sintetizzare i “fatti a conoscenza dell’autorità giudiziaria che emette il provvedimento di blocco o di sequestro”.
Alla lettera d): prevedere che i provvedimenti dell'autorità giudiziaria di sequestro o blocco dei beni emessi dallo Stato richiedente abbiano riguardo ai reati di cui all'art. 3, par. 2, della decisione quadro, ove sia prevista una pena detentiva non inferiore a tre anni, indipendentemente dalla previsione della doppia incriminazione.
Analogamente a quanto previsto in materia di mandato d'arresto europeo, il giudice dell'esecuzione non potrà procedere al controllo della doppia incriminazione qualora concorrano due presupposti:
§ se il reato per il quale si procede rientra nell'elencazione di cui all'art. 3, par. 2, della decisione quadro: si tratta dei reati per i quali anche la decisione quadro in materia di mandato d'arresto europeo esclude la doppia incriminazione (l'elencazione completa è riportata in una precedente nota). La decisione quadro specifica che la concreta definizione del reato (e dunque la sussunzione del fatto per cui si procede in una delle figure di reato elencate) è effettuata dalla legislazione dello Stato di emissione. Si segnala che quello contenuto nella lettera in esame è un rinvio mobile, in quanto il contenuto dell'art. 3, paragrafo 2, può essere ampliato dal Consiglio in ogni momento, deliberando all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo (art. 3, par. 3, della decisione quadro);
§ se il reato per il quale si procede è punibile nello Stato di emissione con una pena detentiva non inferiore a tre anni. La sussistenza di tale requisito è dichiarata dall'autorità che emette il provvedimento, nel contrassegnare il reato per il quale si procede nell'elencazione riportata sul certificato.
In presenza dei due suddetti requisiti, il giudice italiano dovrà dare esecuzione al provvedimento, anche se il fatto per il quale si procede non costituisce reato in base alla legge italiana.
Alla lettera e): per tutte le ipotesi di reato non contemplate nella precedente lettera d), il Governo dovrà subordinare il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro ad alcune specifiche condizioni:
§ se il provvedimento è emesso a fini probatori, la condizione è che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legislazione italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso nella legislazione della Stato di emissione;
§ se il provvedimento è emesso in funzione della successiva confisca del bene, la condizione è che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato che, ai sensi della legge italiana, consente il sequestro, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso nella legislazione dello Stato di emissione.
In questi casi dunque si valuterà la doppia incriminazione da parte dell'autorità giudiziaria chiamata a dare esecuzione al provvedimento adottato all'estero.
Alla lettera f): per quanto riguarda la procedura passiva, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4 della Decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che la trasmissione dei provvedimenti di blocco o sequestro avvenga nelle forme della cooperazione giudiziaria diretta (trasmissione diretta dall'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento a quella che deve dargli esecuzione, senza l'intermediazione di un'autorità centrale), eventualmente avvalendosi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, e assicurando in ogni caso modalità di trasmissione degli atti che consentano all’autorità giudiziaria italiana di stabilirne l’autenticità; laddove si proceda ad una trasmissione diretta, il legislatore dovrà prevedere adeguate forme di comunicazione e informazione al Ministro della giustizia, anche a fini statistici. La decisione quadro non prevede, infatti, la possibilità di nominare un'autorità centrale, neanche a fini amministrativi.
Alla lettera g): per quanto riguarda la procedura attiva, ossia quando è l'autorità giudiziaria italiana che emette il provvedimento a chiederne l'esecuzione all'estero, il Governo dovrà prevedere che l’autorità giudiziaria italiana possa rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria dello Stato estero, potendo anche in questo caso avvalersi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea. Ancora una volta dovranno essere assicurate adeguate forme di comunicazione e informazione al Ministro della giustizia.
Alla lettera h): in attuazione dell’art. 4, par. 4, della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che quando l’autorità giudiziaria dello Stato estero si rivolge ad una autorità giudiziaria italiana incompetente, sia quest’ultima, d’ufficio, a individuare l’autorità competente trasmettendole gli atti, limitandosi ad avvertire del cambiamento l’autorità estera.
Alla lettera i): in attuazione dell'art. 5, par. 1, della decisione quadro, prevedere che, in presenza delle condizioni e dei requisiti previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria italiana debba riconoscere validità al provvedimento di blocco dei beni o di sequestro emesso dall’autorità giudiziaria di altro Stato membro dandovi esecuzione senza ritardo ed informando l’autorità richiedente dell’esito dell’azione; il Governo dovrà valutare l’opportunità di inserire un termine per l’esecuzione del provvedimento.
Alla lettera l): prevedere che il vincolo di indisponibilità sul bene disposto dall’autorità giudiziaria italiana si protragga fino a quando essa non provveda in maniera definitiva sulle richieste dell’autorità giudiziaria dello Stato di emissione circa il trasferimento della prova ovvero circa la confisca del bene (art. 6, par. 1, della Decisione quadro). Il Governo dovrà inoltre prevedere la facoltà di apporre limiti e condizioni alla durata del sequestro disposto sul territorio italiano, ferma restando la possibilità di revoca da parte dell’autorità giudiziaria italiana, dopo aver acquisito eventuali osservazioni dell’autorità giudiziaria richiedente, che viene informata senza indugio (in attuazione dell’art. 6, par. 2).
Alla lettera m): prevedere che l’autorità giudiziaria italiana possa rifiutare il riconoscimento o l’esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro dei beni quando:
§ il certificato previsto dalla decisione quadro (art. 9) non sia stato prodotto unitamente con la richiesta, ovvero sia incompleto o non corrisponda manifestamente al provvedimento in questione;
§ quando vi siano cause di immunità o di privilegio a norma dello Stato di esecuzione;
§ quando dalle informazioni contenute nel certificato risulta evidente che l’assistenza giudiziaria prestata violerebbe il principio del “ne bis in idem”; nel caso previsto alla lettera d) dell’art. 7, paragrafo 1 della decisione quadro.
La lettera in questione riproduce l'art. 7, paragrafo 1, della decisione quadro. Le cause di rifiuto del riconoscimento o dell'esecuzione del provvedimento costituiscono una elencazione tassativa, non suscettibile di interpretazione analogica.
Alla lettera n): prevedere che, nell’ipotesi in cui il certificato non sia stato prodotto, sia incompleto o non corrisponda manifestamente al provvedimento richiesto, l’autorità giudiziaria italiana possa imporre un termine all’autorità giudiziaria di altro Stato membro entro il quale integrare la documentazione ovvero possa dispensare l’autorità giudiziaria di emissione dalla presentazione del medesimo certificato, ove non siano necessarie altre informazioni.
Alla lettera o): in attuazione dell’art. 7, par. 3, della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che l’eventuale decisione di rifiuto del riconoscimento o dell’esecuzione del provvedimento richiesto venga comunicata senza indugio all’autorità giudiziaria dello Stato richiedente.
Alla lettera p): prevedere che laddove l’esecuzione del provvedimento richiesto possa arrecare pregiudizio ad un’indagine penale già in corso in Italia, ovvero i beni o la prova siano già sottoposti a vincolo di indisponibilità nell’ambito di un altro procedimento penale, l’autorità giudiziaria italiana possa rinviare, per una durata ragionevole, l’esecuzione del provvedimento, comunicandolo immediatamente all’autorità richiedente.
Alla lettera q): in attuazione dell’art. 10, par. 1, della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che le richieste di riconoscimento di provvedimenti di blocco o sequestro siano corredate da una richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione o da una richiesta di confisca o contengano - nel certificato di cui all’articolo 9 della decisione quadro - un’indicazione volta a mantenere il bene nello Stato di esecuzione fino a quando non siano avanzate le richieste di cui sopra.
Alla lettera r): prevedere che le richieste di trasferimento della fonte di prova o di confisca del bene debbano essere disciplinate secondo gli accordi internazionali in tema di assistenza giudiziaria in materia penale e la cooperazione internazionale in materia di confisca[108].
Alla lettera s): in deroga alle disposizioni in tema di assistenza giudiziaria richiamate alla lettera precedente, il Governo dovrà prevedere che l’autorità giudiziaria italiana non possa rifiutare le richieste di trasferimento della fonte di prova per l’assenza del requisito della doppia incriminabilità, qualora le richieste riguardino reati di cui alla precedente lettera d) e tali reati siano punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva di almeno tre anni.
Alla lettera t): prevedere che avverso i provvedimenti dell’autorità giudiziaria italiana relativi al riconoscimento e all’esecuzione di provvedimenti di blocco e di sequestro siano esperibili i mezzi di impugnazione ordinari previsti dal codice di procedura penale, anche a tutela dei terzi di buona fede.
Alla lettera u): in attuazione dell’art. 7, par. 3, della decisione quadro, prevedere, in caso di responsabilità dello Stato italiano per i danni causati dall’esecuzione di un provvedimento di blocco o sequestro, l’attivazione senza ritardo del procedimento per il rimborso degli importi versati, a titolo di risarcimento per tale responsabilità, alla parte lesa.
L’articolo 31 della legge comunitaria reca i principi e i criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato[109].
La decisione quadro in questione è un provvedimento di armonizzazione, finalizzato all'introduzione negli ordinamenti giuridici degli Stati membri di standard comuni in materia di confisca. Ciò in quanto le profonde differenze di disciplina tra i vari Stati ha finora reso alquanto complessa la cooperazione giudiziaria in questa materia[110]; solo successivamente (entro il novembre 2008) si porrà il problema di dare attuazione anche alla decisione quadro 2006/783/GAI del 6 ottobre 2006 che ha disposto l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.
L’obiettivo della decisione quadro 2005/212/GAI è quello di assicurare che tutti gli Stati membri dispongano di norme efficaci per la disciplina della confisca dei proventi di reato, anche per quanto riguarda l'onere della prova relativamente all'origine dei beni detenuti da una persona condannata per un reato connesso con la criminalità organizzata.
Essa impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con una pena detentiva superiore ad un anno o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi (art. 2).
Mentre l'art. 2 riguarda gli strumenti e i proventi di reato, l'art. 3 prevede invece i c.d. poteri estesi di confisca, ossia la confisca di beni detenuti dalla persona condannata e riconducibili ad attività criminose diverse da quelle per le quali è intervenuta la condanna: ciascuno Stato membro è tenuto ad adottare le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale dei beni detenuti da una persona condannata - non già per qualsiasi tipo di reato, bensì - per un reato:
a) commesso nel quadro di un'organizzazione criminale, qualora il reato concerna la falsificazione di monete in relazione all'introduzione dell'euro; il riciclaggio di denaro; la tratta degli esseri umani; il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali; lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile; il traffico illecito di stupefacenti, ovvero
b) contemplato dalla decisione quadro 2002/475/GAI del 13 giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo, a condizione che, nei casi diversi dal riciclaggio di capitali, il reato sia punibile con pene detentive massime comprese almeno tra 5 e 10 anni, e, nel caso di riciclaggio di capitali, il reato sia punibile con pene detentive massime di almeno 4 anni, e sia di natura tale da produrre profitto economico.
Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a consentire la confisca ai sensi dell'articolo in esame perlomeno:
§ quando un giudice nazionale, sulla base di fatti circostanziati, è pienamente convinto che il bene in questione sia il provento di attività criminose della persona condannata, commesse durante un periodo anteriore alla condanna per uno dei reati suddetti ritenuta ragionevole dal giudice nelle circostanze della fattispecie; oppure
§ quando un giudice nazionale, sulla base di fatti circostanziati, è pienamente convinto che il bene in questione sia il provento di analoghe attività criminose della persona condannata, commesse durante un periodo anteriore alla condanna per uno dei reati suddetti ritenuta ragionevole dal giudice nelle circostanze della fattispecie; oppure
§ quando si stabilisce che il valore del bene è sproporzionato al reddito legittimo della persona condannata e un giudice nazionale, sulla base di fatti circostanziati, è pienamente convinto che il bene in questione sia il provento di attività criminose della persona condannata stessa.
Ciascuno Stato membro può altresì prendere in considerazione l'adozione delle misure necessarie per poter procedere, conformemente alle condizioni di cui sopra, alla confisca totale o parziale dei beni acquisiti da persone con le quali la persona in questione ha le relazioni più strette e dei beni trasferiti a una persona giuridica su cui la persona in questione, che agisce da sola o in collegamento con persone con le quali essa ha relazioni più strette, esercita un controllo. Questo si applica anche se la persona in questione riceve una parte rilevante del reddito della persona giuridica.
Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano, pare opportuno ricordare brevemente che il quadro normativo in materia di confisca è particolarmente articolato.
La confisca è disciplinata, in generale, dall'art. 240 c.p. (collocato nel Capo relativo alle misure di sicurezza patrimoniali, ossia fra quelle misure applicabili a soggetti socialmente pericolosi che abbiano già commesso un delitto)[111]. Il comma 1 di tale disposizione prevede che, in caso di condanna (per qualunque reato), il giudice possa ordinare la confisca di due categorie di beni:
1) le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e
2) le cose che del reato siano il prodotto o il profitto.
La confisca è dunque, in generale, un provvedimento avente carattere facoltativo-discrezionale.
Tuttavia, il comma 2 dello stesso articolo prevede che nel caso di cose che costituiscono il prezzo del reato o la cui fabbricazione, uso, porto o detenzione costituisca reato la confisca debba seguire obbligatoriamente alla condanna.
A ciò si aggiunga che una serie di disposizioni specifiche estendono l'ambito della confisca obbligatoria. Si veda ad esempio, l'art. 270-bis c.p., secondo il quale nei confronti del condannato per associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego (si vedano anche, ad esempio, l'art. 416-bis c.p., in tema di associazione di tipo mafioso, l'art. 335-bis c.p. relativo a delitti di pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, e l'art. 446 c.p., relativo ad alcuni delitti di comune pericolo mediante frode dai quali sia derivata la morte o la lesione grave o gravissima di una persona).
In alcuni casi l'oggetto della confisca non riguarda solo i beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, ma anche, quando la confisca di tali beni non sia possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo (c.d. confisca di valore o per equivalente: si vedano, ad esempio, l'art. 322-ter c.p., relativo ad alcuni dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione o l'art. 600-septies c.p., in materia di delitti contro la personalità individuale).
Altre ipotesi di confisca obbligatoria sono quelle previste dall'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306[112], relativo alla c.d. confisca di valori ingiustificati. In particolare, il comma 1 di tale articolo prevede la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica in caso di condanna o patteggiamento per alcuni reati di particolare gravità, tra i quali si possono ricordare l'associazione di tipo mafioso, l'usura e il sequestro di persona a scopo di estorsione.
Per quanto riguarda le persone giuridiche, l'art. 19 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231[113], prevede che nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Quando non è possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.
Per quanto riguarda invece i reati transnazionali, l'art. 11 della legge 16 marzo 2006, n. 146[114], prevede che qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. In caso di usura è comunque ordinata la confisca di un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni o le utilità assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al prezzo del reato.
Alla luce di questo quadro normativo pare utile segnalare che la dottrina ha osservato che l’ordinamento giuridico italiano è già pienamente allineato alle previsioni dell’articolo 2 della decisione quadro, con riguardo alla confisca diretta, per procedere alla quale non è nel nostro ordinamento richiesto alcun limite minimo di pena; risulta invece necessaria un’attuazione per quanto riguarda le previsioni dell’art. 3, in merito alla confisca per valore, che riguarda soltanto alcune ipotesi di reato non omogenee, ed i poteri estesi di confisca (confisca non soltanto dei beni che costituiscono provento diretto del reato, ma anche di quei beni che, ragionevolmente, possono essere ricondotti alle attività criminose di un individuo, anche diverse da quelle per cui lo stesso è stato tratto a giudizio e condannato)[115].
L'articolo 33 della legge comunitaria stabilisce che il Governo, nel dare attuazione alla decisione quadro in materia di confisca, debba attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi.
Lettera a): il Governo dovrà disciplinare la confisca dello strumento di reato, secondo i seguenti criteri direttivi:
§ obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, se appartenenti a uno degli autori del reato, nel caso di condanna o patteggiamento;
§ possibilità di confisca su cose appartenenti a persona diversa dall'autore, soltanto nei casi di agevolazione colposa;
§ confisca dello strumento di reato nei casi in cui il reato è stato realizzato mediante cose, impianti o macchinari sprovvisti di requisiti di sicurezza richiesti dalla legge, nell'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni o controlli dell'autorità amministrativa, soltanto se i suddetti beni sono stati nuovamente utilizzati senza che sia stata data attuazione alle prescrizioni opportune per la messa in sicurezza impartite dall’autorità amministrativa, o comunque alla messa in sicurezza.
Lettera b): il Governo dovrà disciplinare la confisca del provento del reato, secondo i seguenti criteri direttivi:
§ obbligatorietà della confisca del prodotto e del prezzo del reato, nonché del profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato, e del suo impiego, nella parte in cui non debbano essere restituiti al danneggiato, nel caso di condanna o patteggiamento;
§ possibilità di prevedere la confisca obbligatoria degli stessi beni nel caso di proscioglimento per mancanza di imputabilità o per estinzione di un reato, la cui esistenza sia accertata con la sentenza che conclude il giudizio dibattimentale o abbreviato;
§ obbligatorietà della confisca, totale o parziale, su altri beni di valore equivalente a quello delle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto del reato, con eccezione dei beni impignorabili ai sensi dell’art. 514 c.p.c.[116].
Lettera c): prevedere espressi limiti all’applicabilità della confisca nei confronti della persona estranea al reato, che ne abbia beneficiato o che abbia ricevuto i beni per diritto successorio.
Lettera d): aggiornare il catalogo dei reati per cui possa trovare applicazione l’istituto della confisca di valori ingiustificati di cui all’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992[117], in conformità a quanto disposto dall'articolo 3, par. 3, della decisione quadro.
Lettera e): prevedere che ai fini della confisca, i beni che l'autore del reato ha intestato fittiziamente a terzi, o comunque possiede per interposta persona fisica o giuridica, siano considerati come a lui appartenenti.
Lettera f): adeguare la disciplina della confisca nei confronti degli enti, di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ai principi di cui alle lettere b), c) ed e).
Lettera g): garantire che in ogni caso la confisca non pregiudichi i diritti di terzi in buona fede sulle cose che ne sono oggetto.
L'articolo 32 della legge comunitaria 2007 reca i principi ed i criteri direttivi per l'attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del 24 febbraio 2005 relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie[118].
Tale decisione quadro costituisce la terza applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, dopo il mandato d'arresto europeo e il mandato di sequestro europeo (v. sopra, art. 30).
La decisione quadro 2005/214/GAI ha attuato la misura 18 del Programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali (adottato dal Consiglio il 29 novembre 2000), che richiedeva l'elaborazione di uno strumento che consentisse di garantire la riscossione, da parte dello Stato di residenza, delle sanzioni pecuniarie inflitte a titolo definitivo ad una persona fisica o giuridica da un altro Stato membro. Essa si applica dunque a provvedimenti definitivi, non suscettibili di impugnazione.
Ai sensi dell'art. 4 della decisione quadro, una decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria ad una persona fisica o giuridica può essere trasmessa direttamente dall'autorità competente dello Stato della decisione all'autorità dello Stato membro in cui tale soggetto dispone di beni o di un reddito, ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria. Anche in questo caso, così come si è visto in relazione al mandato di sequestro europeo, è prevista la possibilità di avvalersi della Rete giudiziaria europea.
Come è abituale nelle decisioni che danno attuazione al principio del reciproco riconoscimento, per una serie di reati elencati nella decisione stessa non è necessaria la verifica della doppia punibilità del fatto. In particolare, ai sensi dell’art. 5, si tratta dei reati già previsti dalle decisioni in materia di mandato d'arresto europeo e di mandato di sequestro europeo (v. sopra), ai quali si aggiungono: le infrazioni al codice della strada, comprese quelle relative alle ore di guida e ai periodi di riposo ed infrazioni alle norme sul trasporto di merci pericolose; il contrabbando di merci; la violazione dei diritti di proprietà intellettuale; le minacce e gli atti di violenza contro le persone anche in occasione di eventi sportivi; il danneggiamento; il furto; i reati stabiliti dallo Stato della decisione e contemplati nell'attuazione degli obblighi derivanti dagli strumenti adottati a norma del Trattato CE o del titolo VI del Trattato UE.
L'ambito di esclusione del principio della doppia punibilità è dunque sensibilmente più ampio di quanto non avvenga in riferimento al mandato d'arresto europeo e al mandato di sequestro europeo.
Per quanto riguarda i reati diversi da quelli elencati nel par. 1, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione alla condizione che la decisione si riferisca a una condotta che costituirebbe reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla sua qualifica.
Salvi i casi di diniego di riconoscimento e di esecuzione elencati tassativamente dall'art. 7 della decisione quadro (v. infra), l'autorità dello Stato di esecuzione riconosce la decisione trasmessale ritualmente senza richiesta di ulteriori formalità e adotta immediatamente tutti i provvedimenti necessari alla sua esecuzione.
Nel dare attuazione a quanto disposto dalla suddetta decisione quadro, il Governo dovrà attenersi ai seguenti princìpi e criteri direttivi.
Lettera a): prevedere che ogni decisione adottata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro che infligga ad una persona fisica o giuridica una sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, possa trovare riconoscimento ed esecuzione a cura dell’autorità competente dello Stato italiano, quando la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione dispone all’interno dello Stato italiano di beni o di un reddito, ovvero ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, la propria sede statutaria.
Ai sensi dell'art. 1, lett. a), della decisione quadro, per "decisione", si intende una decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria ad una persona fisica o giuridica, laddove la decisione sia stata resa da:
§ un'autorità giudiziaria dello Stato della decisione a seguito di un reato ai sensi della legislazione di detto Stato;
§ un'autorità dello Stato della decisione diversa da un'autorità giudiziaria a seguito di un reato ai sensi della legislazione di detto Stato, purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un'autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale;
§ un'autorità dello Stato della decisione diversa da un'autorità giudiziaria a seguito di atti che sono punibili a norma della legislazione di detto Stato a titolo di infrazioni a regolamenti, purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un'autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale;
§ un'autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale, qualora la decisione sia stata resa per quanto riguarda una decisione di cui al punto precedente.
Il riconoscimento reciproco riguarda dunque non soltanto decisioni adottate dall'autorità giudiziaria, ma anche da un'autorità diversa da quella giudiziaria (autorità amministrativa), a condizione però che alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un'autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale.
Lettera b): prevedere che l’autorità giudiziaria italiana che ha, all’esito di un procedimento giurisdizionale, inflitto una sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, ad una persona fisica o ad una persona giuridica, possa richiedere il riconoscimento e l’esecuzione della medesima sanzione, per il tramite dell’autorità centrale italiana (v. infra, lett. d), alla competente autorità dello Stato membro in cui la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione dispone di beni o di un reddito, ovvero ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria.
Lettera c): prevedere che per sanzione pecuniaria si intenda, ai sensi dell’art. 1, lett. b) della decisione quadro, l'obbligo di pagare:
§ una somma di denaro in seguito a condanna per illecito imposta in una decisione;
§ il risarcimento delle vittime imposto nella stessa decisione, qualora la vittima non sia parte civile nel processo e l'autorità giudiziaria agisca nell'esercizio della sua competenza penale;
§ una somma di denaro in ordine alle spese dei procedimenti giudiziari o amministrativi connessi alla decisione;
§ una somma di denaro da versare a favore di un fondo pubblico o di organizzazioni di assistenza alle vittime, imposta nella stessa decisione.
La decisione quadro specifica che la sanzione pecuniaria non include: gli ordini di confisca degli strumenti o dei proventi di reato, nonché le decisioni di natura civilistica scaturite da un'azione di risarcimento di danni e di restituzione.
Lettera d): il Governo dovrà individuare l’autorità centrale amministrativa responsabile per lo Stato italiano della trasmissione e ricezione amministrativa delle decisioni e dell’assistenza da fornire alle autorità competenti[119].
Lettera e): in attuazione dell’art. 4 della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che la richiesta di esecuzione della sanzione pecuniaria venga trasmessa all’autorità dello Stato di esecuzione corredata dal certificato. La decisione o una sua copia autenticata, corredata del certificato, è trasmessa direttamente dall'autorità competente dello Stato della decisione all'autorità competente dello Stato di esecuzione, se necessario attraverso l’ausilio della rete giudiziaria europea, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta in condizioni che consentano allo Stato di esecuzione di accertarne l'autenticità. Qualora l'autorità dello Stato di esecuzione che riceve una decisione non sia competente a riconoscerla e ad adottare le misure necessarie alla sua esecuzione, essa trasmette d'ufficio la decisione all'autorità competente e ne informa l'autorità competente dello Stato della decisione.
Lettera f): prevedere che l’autorità giudiziaria italiana proceda al riconoscimento e all’esecuzione della sanzione pecuniaria conseguente ad una decisione dell’autorità di altro Stato membro, senza verifica della doppia punibilità, con riferimento ai reati indicati all’art. 5 della decisione quadro[120].
Lettera g): per tutti i reati diversi da quelli previsti alla lettera precedente, il Governo dovrà subordinare il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione di altro Stato membro alla condizione che la decisione medesima si riferisca a una condotta che costituisce reato ai sensi della legislazione italiana.
Lettera h): Il Governo dovrà prevedere che l’autorità giudiziaria italiana proceda immediatamente al riconoscimento e all’esecuzione della decisione emessa dall’autorità giudiziaria di altro Stato membro. I casi e i modi di rifiuto di riconoscimento ed esecuzione dovranno essere disciplinati dal Governo in conformità a quanto previsto dall’art. 7 della decisione quadro.
Si afferma qui il principio di mutuo riconoscimento, basato sulla collaborazione diretta tra le autorità giudiziarie dei diversi Stati membri e sull'eliminazione di procedimenti per il riconoscimento formale della decisione alla quale si deve dare esecuzione, nonché di quello di speditezza ed efficienza che deve caratterizzare la cooperazione giudiziaria.
Ai sensi dell'art. 7 della decisione quadro, le autorità competenti dello Stato di esecuzione possono rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione della decisione qualora il certificato non sia prodotto, sia incompleto o non corrisponda manifestamente alla decisione in questione. Esse possono inoltre rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione della decisione se risulta che:
a) esiste una decisione per gli stessi fatti nei confronti della persona condannata nello Stato di esecuzione o in uno Stato diverso dallo Stato della decisione o dallo Stato di esecuzione e, in quest'ultimo caso, la decisione ha ricevuto esecuzione;
b) in uno dei casi di cui all'art. 5, paragrafo 3, della decisione quadro (ossia i casi in cui si deve procedere al controllo della doppia incriminazione), la decisione si riferisce ad atti che non costituirebbero reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione;
c) la sanzione è caduta in prescrizione ai sensi della legge dello Stato di esecuzione e la decisione si riferisce ad atti che rientrano nella competenza di detto Stato secondo la legislazione di quest'ultimo;
d) la decisione si riferisce ad atti: i) considerati dalla legge dello Stato di esecuzione come compiuti interamente o in parte nel suo territorio o in un luogo trattato come tale, o ii) compiuti al di fuori del territorio dello Stato della decisione e la legge dello Stato di esecuzione non consente azioni penali per gli stessi reati quando essi sono compiuti al di fuori del suo territorio;
e) esiste un'immunità ai sensi della legge dello Stato di esecuzione che rende impossibile l'esecuzione della decisione;
f) la sanzione è stata inflitta a una persona fisica che, in base alla legislazione dello Stato di esecuzione, non poteva ancora considerarsi, a causa della sua età, penalmente responsabile per gli atti a seguito dei quali è stata emessa la decisione;
g) in base al certificato, la persona interessata: i) in caso di procedura scritta, non è stata informata, in conformità della legislazione dello Stato della decisione, personalmente o tramite un rappresentante legale competente, ai sensi della legislazione nazionale, del suo diritto di opporsi al procedimento e dei termini di prescrizione, o ii) non è comparsa personalmente e il certificato non dichiara: - che la persona è stata informata personalmente o tramite un rappresentante competente, ai sensi della legislazione nazionale del procedimento, in conformità della legislazione dello Stato della decisione, oppure che la persona ha dichiarato di non opporsi al procedimento;
h) la sanzione pecuniaria è inferiore a 70 euro.
Si rileva che l'art. 7 prevede cause di rifiuto facoltative e non obbligatorie e che pertanto ciascuno Stato membro, nella legge di attuazione della decisione quadro, può decidere se avvalersi o meno dei motivi di rifiuto codificati nella decisione quadro.
Lettera i): prevedere la possibilità per lo Stato italiano di ridurre o convertire l’importo della sanzione pecuniaria dando attuazione all’art. 8 della decisione quadro.
Ai sensi dell’articolo 8, ove risulti che la decisione si riferisce ad atti non compiuti nel territorio dello Stato richiedente, lo Stato di esecuzione può decidere di ridurre l'importo della sanzione inflitta all'importo massimo previsto per atti dello stesso tipo ai sensi della legislazione nazionale dello Stato di esecuzione, allorché gli atti rientrano nella competenza di quest'ultimo. L'autorità competente dello Stato di esecuzione converte, se necessario, l'importo della sanzione nella valuta dello Stato di esecuzione applicando il tasso di cambio in vigore nel momento in cui la sanzione è stata inflitta.
Prevedere inoltre la possibilità di sostituire la sanzione pecuniaria, in caso di mancato recupero, in pena detentiva o in altra sanzione penale secondo quanto previsto dalla legge italiana in materia di conversione di sanzioni di specie diversa nonché dall’art. 10 della decisione quadro[121].
Lettera l): prevedere l’applicabilità della legge italiana all’esecuzione di sanzioni pecuniarie inflitte dall’autorità di altro Stato membro di decisione, secondo le modalità di cui all’art. 9, parr. 1 e 2, della decisione quadro, nonché la possibilità di esecuzione della sanzione pecuniaria sul territorio dello Stato anche nei casi in cui la legislazione italiana non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 9, par. 3, della decisione quadro medesima.
L'art. 9 della decisione quadro prevede infatti che, fatto salvo l'art. 10 (in relazione al quale si veda il precedente criterio direttivo), l'esecuzione della decisione è disciplinata dalla legislazione dello Stato di esecuzione analogamente ad una sanzione pecuniaria del medesimo. Le autorità di detto Stato sono le sole competenti per prendere le decisioni concernenti le modalità di esecuzione e per stabilire tutte le misure che ne conseguono, compresi i motivi che pongono fine all'esecuzione. Qualora la persona condannata possa fornire la prova di un pagamento, totale o parziale, effettuato in uno Stato, l'autorità competente dello Stato di esecuzione consulta l'autorità competente dello Stato della decisione. Le parti della sanzione pecuniaria riscosse a qualsiasi titolo in uno Stato membro sono dedotte dall'importo che è oggetto di esecuzione nello Stato di esecuzione.
Ai sensi del paragrafo 3 del suddetto art. 9 della decisione quadro, la sanzione pecuniaria inflitta ad una persona giuridica riceve esecuzione anche se lo Stato di esecuzione non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche.
Lettera m): in attuazione dell’art. 11 della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che eventuali provvedimenti di amnistia o grazia possano essere concessi sia dallo Stato di decisione che dallo Stato italiano ma che solo lo Stato italiano può decidere sulle domande di revisione della decisione emessa dall’autorità italiana.
Lettera n): in attuazione dell’art. 12 della decisione quadro, il Governo dovrà prevedere che laddove la decisione che ha irrogato la sanzione pecuniaria perda esecutività, l’autorità italiana debba tempestivamente avvertire l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione, affinché questa ponga subito fine all’esecuzione stessa; prevedere, analogamente, laddove sia l’autorità italiana a dover procedere all’esecuzione.
Lettera o): in attuazione dell’articolo 13 della decisione quadro, il legislatore delegato dovrà prevedere che le somme riscosse dall’autorità italiana in qualità di Stato di esecuzione, spettino allo Stato italiano.
Lettera p): prevedere che, secondo le modalità di cui all’art. 14 della decisione quadro, la competente autorità italiana informi l’autorità dello Stato della decisione di ogni provvedimento adottato in ordine alla richiesta di riconoscimento e di esecuzione della sanzione pecuniaria[122].
Lettera q): il Governo, in attuazione dell’art. 15 della decisione quadro, dovrà disciplinare i casi in cui la competente autorità dello Stato della decisione riacquista il diritto di procedere alla esecuzione della sanzione.
Ai sensi dell'art. 15, par. 1, della decisione quadro, infatti, una volta che la decisione è stata trasmessa, lo Stato della decisione non può più procedere all'esecuzione. Tuttavia, secondo il par. 2, lo Stato della decisione riacquista il diritto di procedere all'esecuzione della decisione:
a) ove lo Stato di esecuzione lo informi della mancata esecuzione totale o parziale oppure del mancato riconoscimento o della mancata esecuzione della decisione nel caso dell'art. 7 (ove cioè l'autorità di esecuzione abbia ritenuto sussistente uno dei motivi di rifiuto), ad eccezione dell'art. 7, par. 2, lett. a) (quando la sanzione sia stata comunque pagata), dell'art. 11, par. 1 (quando è stata concessa l'amnistia o la grazia) e dell'art. 20, par. 3 (quando l'ordine europeo viola i diritti fondamentali di cui all'art. 6 del Trattato sull'Unione europea) oppure
b) ove lo Stato della decisione abbia informato lo Stato di esecuzione che la decisione è stata revocata ai sensi dell'art. 12.
Lettera r): prevedere che l’autorità italiana possa rifiutare l’esecuzione qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che le sanzioni pecuniarie si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o tendenze sessuali, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.
Cooperazione giudiziaria
Con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, il Governo ha dato attuazione alla direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato; la direttiva, nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale, mira a tutelare i diritti delle vittime della criminalità nell'Unione e a facilitare il loro accesso alla giustizia[123] per ottenere un indennizzo, indipendentemente dal loro luogo di residenza.
Al riguardo, si ricorda che la direttiva del Consiglio 2004/80/CE, del 29 aprile 2004 - la cui adozione è stata sollecitata dal Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2004, anche in seguito all’attentato terroristico di Madrid dell'11 marzo 2004 – si propone di garantire alle vittime di un reato intenzionale violento un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti e ciò a prescindere dal luogo, all'interno dell'Unione europea, ma diverso da quello di residenza, in cui simili eventi si siano verificati.
La direttiva contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.
In particolare, gli articoli da 1 a 3 della direttiva dispongono che la vittima del reato possa presentare domanda di indennizzo nello Stato di residenza, anche se il reato è stato commesso in un diverso Stato membro; spetterà comunque allo Stato ove il reato si è consumato corrispondere l’indennizzo. A tal fine, gli Stati, limitando allo stretto necessario le formalità amministrative, dovranno designare le autorità competenti per ricevere le domande - c.d. autorità di assistenza - e deciderne l’esito - c.d. autorità di decisione. L’autorità di assistenza ha il compito di informare gli interessati della possibilità di richiedere un indennizzo, di ricevere le domande e trasmetterle all’autorità di decisione (artt. 4-6), che può disporre l’audizione del richiedente (art. 9) al fine di pervenire alla decisione (art. 10).
L’indennizzo verrà quindi corrisposto in base alle normative nazionali. A tal fine, l’articolo 12 della direttiva impegna gli Stati membri a porre in essere – laddove non l’abbiano già fatto – sistemi di indennizzo delle vittime di reati internazionali violenti commessi nei rispettivi territori, mentre l’articolo 17 fa salve le normative nazionali già vigenti, che assicurino disposizioni più favorevoli a vantaggio delle vittime di reato.
Gli articoli da 13 a 16 della direttiva contengono disposizioni di attuazione, relative ai dati da comunicare alla Commissione, ai formulari per l’elaborazione delle domande di indennizzo ed alle strutture di coordinamento centrali.
Ai sensi dell’articolo 18, gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006 prevedendo, nelle rispettive normative nazionali, entro il 1º luglio 2005, un sistema di risarcimento delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei loro territori. A tale proposito, per un’analisi della disciplina italiana a tutela delle vittime dei reati, si rinvia al capitolo Vittime dei reati, nel dossier relativo alla Commissione Affari costituzionali.
Come detto, in attuazione della delega conferitagli dalla legge comunitaria 2005[124], il Governo ha recepito la direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato, con l’emanazione del decreto legislativo n. 204 del 2007.
Il decreto legislativo disciplina due distinte ipotesi:
§ quella in cui una persona stabilmente residente in Italia sia vittima di un reato in un diverso Stato membro dell’Unione europea che, relativamente a quel tipo di reato, prevede forme di indennizzo (art. 1);
§ quella in cui una persona stabilmente residente in altro Stato membro della UE sia vittima di un reato nel territorio italiano, per il quale il nostro ordinamento riconosca qualche forma di indennizzo (art. 2).
In particolare, nell’ipotesi di cui all’articolo 1 (persona stabilmente residente in Italia vittima di un reato in un diverso Stato UE), la Procura generale della Repubblica presso la corte d’appello competente per territorio (in relazione alla residenza della vittima) è individuata come Autorità di assistenza e fornisce all’interessato tutte le informazioni necessarie ad attivare il suo diritto all’indennizzo: dà le notizie relative al sistema indennitario vigente nello Stato membro, fornisce i moduli per presentare la domanda, garantendo assistenza ed informazione per la compilazione e la documentazione richiesta, trasmette direttamente all’autorità competente dello Stato membro (Autorità di decisione) la domanda di risarcimento; in caso di necessità di ulteriori informazioni e di integrazione documentale, fornisce la necessaria assistenza garantendo – a richiesta dell’interessato - l’inoltro degli atti integrativi all’autorità straniera.
Inoltre, in caso di richiesta di audizione della vittima o di altre persone (testimoni o periti) da parte dell’autorità di decisione dello Stato membro, la Procura generale, come Autorità di assistenza, deve rendere possibile l’audizione (in particolare in videoconferenza) secondo le regole di procedura vigenti nel Paese del commesso reato.
Se, al contrario, l’autorità di decisione dello Stato membro richiede l’audizione per il tramite della Procura, questa provvede all’audizione trasmettendone poi il verbale.
L’articolo 2 disciplina l’opposta ipotesi (reato commesso nel territorio italiano che, secondo le leggi nazionali, dà diritto a qualche forma di elargizione, di cui sia rimasta vittima una persona stabilmente residente in altro Stato membro della UE) prevedendo che la domanda di elargizione possa essere avanzata tramite l’Autorità di assistenza dello Stato di residenza dell’interessato.
L’autorità italiana che, in base alla legislazione speciale, risulta competente per l’erogazione dell’elargizione (Autorità di decisione), comunica senza ritardo l’avvenuta ricezione della domanda, gli elementi informativi utili all’identificazione del funzionario o dell’organo che istruisce la pratica nonché un’indicazione sui tempi per la decisione.
Come nella situazione di cui all’art. 1 del provvedimento, anche in questo caso è prevista la possibilità per l’Autorità di decisione italiana di richiedere l’audizione della vittima, anche per tele-conferenza, sia chiedendo la collaborazione dell’autorità di assistenza straniera sia chiedendo di procedere essa stessa all’audizione.
L’esito della domanda dovrà essere comunicato senza ritardo dall’Autorità di decisione italiana all’interessato e all’Autorità di assistenza.
L’articolo 3 definisce il regime linguistico delle comunicazioni che intercorrono tra le rispettive autorità di assistenza e decisione: in attuazione delle previsioni dell’articolo 11 della direttiva 2004/80/CE, le informazioni trasmesse da un'autorità all'altra sono redatte:
§ nelle lingue ufficiali o in una delle lingue dello Stato membro dell'autorità a cui l'informazione è diretta, che corrisponda a una delle lingue delle istituzioni comunitarie; oppure
§ in un'altra lingua delle istituzioni comunitarie che tale Stato membro ha indicato di poter accettare.
Fanno eccezione i verbali delle audizioni della vittima del reato nonché il testo integrale delle decisioni sulla domanda d’indennizzo adottate dall'autorità di decisione italiana che sono sempre trasmesse all’autorità di assistenza straniera e all’interessato in lingua italiana.
L’articolo 4 dà attuazione all’art. 11, comma 4, della direttiva, che prevede che i moduli di domanda e l'eventuale altra documentazione relativa alla domanda d’indennizzo trasmessi tra le rispettive autorità nazionali siano esenti da autenticazione o da qualsiasi formalità equivalente. La disposizione, inoltre, precisa la gratuità dell’assistenza prestata dalla Procura generale della Repubblica come Autorità di assistenza sia nei confronti della vittima del reato che dell’Autorità di decisione di altro Stato membro dell’Unione europea.
L’articolo 5, ai sensi dell’art. 16 della direttiva, individua nel Ministero della giustizia il Punto centrale di contatto per l’Italia.
In base all’articolo 16 della direttiva spetta a tali autorità nazionali designate dagli Stati membri (che si riuniscono periodicamente) il compito di:
§ fornire assistenza alla Commissione europea per l’elaborazione e pubblicazione su Internet di un manuale contenente i dati forniti dagli Stati membri (elenco delle autorità di assistenza e decisione istituite o designate comprese, se del caso, informazioni relative alla competenza giurisdizionale speciale e territoriale di tali autorità; la notizie circa il regime linguistico da adottare per comunicazioni e informazioni, i moduli necessari per fare domanda di indennizzo);
§ promuovere la stretta collaborazione e lo scambio d'informazioni tra le autorità di assistenza e di decisione degli Stati membri;
§ fornire assistenza e cercare soluzioni a qualsiasi difficoltà possa sorgere nell'applicazione della procedura d’indennizzo.
L’articolo 6 precisa che le disposizioni del decreto legislativo si applicano alle procedure per l’erogazione di indennizzi per reati commessi successivamente al 30 giugno 2005.
Infine, l’articolo 7 stabilisce che lo svolgimento delle attività delle autorità nazionali di assistenza (Procure generali presso le corti d’appello) e di decisione (quelle individuate dalle stesse leggi speciali) nonché quelle del Ministero della giustizia come “Punto centrale di contatto” siano disciplinate da un regolamento interministeriale da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo. Lo stesso regolamento dovrà approvare i modelli dei formulari per la trasmissione delle domande di risarcimento e delle decisioni.
Sanzioni in attuazione di normativa UE
Con il decreto legislativo 25 luglio 2007, n. 151[125] il Governo ha attuato la delega contenuta nella legge comunitaria per il 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62), dettando una disciplina sanzionatoria per la violazione del regolamento (CE) n. 1/2005, concernente la protezione degli animali durante il trasporto.
La materia era in precedenza regolata dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 532, emanato in attuazione della Direttiva 91/628/CE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto. Tale decreto legislativo è espressamente abrogato dall’art. 14 del provvedimento in commento.
Obiettivo del Regolamento (CE) n. 1/2005 - e del decreto legislativo in commento - è non esporre gli animali a lesioni o a sofferenze inutili e assicurare condizioni conformi alle loro esigenze di benessere. A tal fine il regolamento individua tutti gli operatori e le rispettive responsabilità, introduce modalità più severe di autorizzazione e di controllo e prevede norme più restrittive per quanto riguarda il trasporto su lunghi percorsi e i veicoli utilizzati per tale trasporto.
In particolare, il regolamento estende le responsabilità in materia di benessere degli animali a tutti gli operatori che intervengono nel processo, comprese le operazioni che precedono e seguono il trasporto. Tutti i soggetti interessati sono tenuti a vigilare sull'osservanza della legislazione durante le operazioni pertinenti alle loro competenze. Tra gli operatori interessati, oltre ai trasportatori (come nella precedente normativa), il regolamento menziona gli organizzatori di trasporti e i conducenti, nonché i "detentori di animali trasportati" (personale dei centri di raccolta, dei mercati, dei macelli e allevatori). Tutti gli operatori e il loro personale devono ricevere un'adeguata formazione e, in particolare, autisti e accompagnatori devono essere in possesso di un certificato di idoneità rilasciato a seguito del superamento di un esame da parte di un organismo indipendente abilitato dalle autorità competenti.
Il regolamento prevede inoltre che per i percorsi superiori a 65 km, i trasportatori devono ottenere un'autorizzazione che viene rilasciata dall'autorità competente dello Stato membro in cui sono stabiliti o rappresentati, qualora il richiedente dimostri di disporre di personale, attrezzature e procedure operative sufficienti e appropriate. L’autorizzazione, di validità quinquennale, ha un formato europeo armonizzato ed è registrata in una banca dati elettronica accessibile alle autorità di tutti gli Stati membri.
Per i viaggi di durata superiore a otto ore effettuati all’interno dello Stato membro, il richiedente deve fornire anche una documentazione specifica (certificati di idoneità per conducenti e accompagnatori, certificati di omologazione dei mezzi di trasporto che verranno impiegati, informazioni sui mezzi impiegati per tracciare e registrare i movimenti dei veicoli, piani di emergenza) e la prova che utilizza un sistema di navigazione satellitare (quest’ultimo obbligo decorre a partire dal 1°gennaio 2007 per i veicoli nuovi e a partire dal 2009 per i veicoli vecchi).
Nel caso il viaggio sia effettuato tra più Stati membri, i trasportatori devono inoltre essere muniti di un giornale di viaggio stabilito dall'organizzatore del trasporto secondo un modello armonizzato e che comprende varie informazioni sul viaggio (identificazione degli animali e delle persone che se ne occupano, luoghi di partenza e di destinazione, controlli effettuati nei vari momenti del trasporto, ecc.).
Alle autorità competenti è demandato il compito di organizzare controlli nei momenti chiave del trasporto, in particolare ai punti di uscita e ai posti d'ispezione frontalieri; inoltre, in qualsiasi momento del viaggio possono essere effettuati controlli supplementari, estemporanei o mirati. I controlli sono volti a permettere all’autorità competente di verificare, oltre alle informazioni riportate nel giornale di viaggio, la validità delle autorizzazioni, i certificati di omologazione e di idoneità. I veterinari ufficiali devono anche verificare lo stato degli animali e la loro idoneità a proseguire il viaggio. In caso di trasporto via mare, devono essere verificate anche le condizioni e la conformità della nave adibita al trasporto.
Il regolamento interviene inoltre sulle apparecchiature installate a bordo dei mezzi di trasporto, prevedendo in particolare un dispositivo per la regolazione della temperatura (ventilazione meccanica, registrazione della temperatura, sistema d'allarme nella cabina del conducente), una possibilità permanente di abbeveraggio, il miglioramento delle condizioni di trasporto a bordo delle navi (ventilazione, dispositivi di abbeveraggio, ecc.).
È vietato il trasporto di certi animali, come quelli giovanissimi (i vitelli di meno di dieci giorni, i suini di meno di tre settimane e gli agnelli di meno di una settimana) tranne se il percorso è inferiore a 100 km. Il regolamento vieta anche il trasporto di animali gravidi all'ultimo stadio di gestazione e durante la settimana successiva al parto. Per quanto riguarda i cavalli il regolamento pone l’obbligo di utilizzare sistematicamente stalli individuali.
Le disposizioni relative alla durata di percorso e agli spazi previsti per gli animali restano invariate rispetto alla legislazione previgente: per quanto riguarda la durata del trasporto, il regolamento prevede durate diverse secondo il tipo di animali: animali non svezzati, che ricevono un'alimentazione lattea (9 ore di viaggio, poi un'ora di risposo per l'abbeveraggio, poi 9 ore di viaggio), suini (24 ore di viaggio, qualora l'abbeveraggio sia possibile in modo continuo), cavalli (24 ore di viaggio con abbeveraggio ogni 8 ore), bovini, ovini e caprini (14 ore di viaggio, poi un'ora di riposo per l'abbeveraggio, poi 14 ore di viaggio). Le sequenze sopra descritte possono essere ripetute se gli animali sono scaricati, nutriti, abbeverati e lasciati a riposo per almeno 24 ore in un posto di controllo approvato.
Il Regolamento (CE) n. 1/2005 è applicabile a tutti gli Stati membri a partire dal 5 gennaio 2007.
In attuazione della delega contenuta nell’articolo 3 della legge comunitaria 2004 – in base alla quale il Governo doveva adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie attuate in via non legislativa e per le violazioni ai regolamenti comunitari già vigenti nel momento in cui la legge comunitaria entra in vigore, e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative (comma 1)[126] – il Governo ha emanato il decreto legislativo n. 151 del 2007, che consta di 15 articoli.
Il provvedimento, seguendo la tradizionale struttura degli atti normativi che rinviano a disposizioni comunitarie, recepisce le definizioni contenute nel Regolamento (CE) n. 1 del 2005, aggiungendo la sola definizione di “conducente”, inteso come la persona che guida un veicolo che sta effettuando il trasporto di animali (articolo 1).
L’articolo 2 del Regolamento individua alcune definizioni, fra le quali si ricordano, per l’importanza che rivestono all’interno della normativa e soprattutto sotto il profilo sanzionatorio, le seguenti:
§ «guardiano»: persona direttamente incaricata del benessere degli animali che li accompagna durante un viaggio;
§ «detentore»: persona fisica o giuridica, a esclusione del trasportatore, che ha la responsabilità degli animali o li accudisce su base permanente o temporanea;
§ «organizzatore»: i) trasportatore che ha ceduto in subappalto ad almeno un altro trasportatore parte di un viaggio; ovvero ii) persona fisica o giuridica che ha ingaggiato più di un trasportatore per un viaggio; ovvero iii) persona che ha firmato la sezione 1 del giornale di viaggio di cui all'allegato II;
§ «trasportatore»: persona fisica o giuridica che trasporta animali per proprio conto o per conto terzi.
Autorità competenti ad effettuare i controlli sul benessere degli animali sono per il nostro Paese il Ministero della Salute e le Regioni e Province autonome negli ambiti di rispettiva competenza. Per quanto riguarda invece l’accertamento delle violazioni al Regolamento comunitario sono competenti anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria[127] (articolo 2).
Gli articoli da 3 a 9 del decreto legislativo definiscono il quadro sanzionatorio connesso alle violazioni della normativa comunitaria. Analiticamente:
§ sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle norme concernenti l’autorizzazione del trasportatore (articolo 3);
L’art. 6 Reg. dispone infatti che nessuno può fungere da trasportatore a meno che non detenga un'autorizzazione rilasciata da un'autorità competente ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1 o, per i lunghi viaggi, dell'articolo 11, paragrafo 1. Copia dell'autorizzazione è esibita all'autorità competente allorché si trasportano animali. L’art. 10 individua i requisiti per l'autorizzazione del trasportatore (ad es. dimostrare di disporre di personale, attrezzature e procedure operative sufficienti e appropriate per adempiere alle disposizioni del regolamento; non aver compiuto gravi infrazioni della normativa comunitaria e/o nazionale in materia di protezione degli animali) e specifica che l’autorizzazione è valida per massimo cinque anni e non riguarda i lunghi viaggi. In riferimento, infatti, ai viaggi che superano le 8 ore, l’art. 11 Reg. prevede una specifica autorizzazione.
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Trasporto in assenza di autorizzazione, ovvero con autorizzazione scaduta, sospesa o revocata |
Chiunque |
da 2.000 a 6.000 euro |
Trasporto in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione |
Chiunque |
da 2.000 a 6.000 euro |
Trasporto effettuato da conducente sprovvisto di copia dell’autorizzazione del trasportatore |
Conducente |
da 200 a 600 euro |
§ sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle norme concernenti il certificato di idoneità del conducente o guardiano(articolo 4);
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Attività di conducente o guardiano, su un veicolo stradale che trasporta equidi domestici o animali domestici delle specie bovina, ovina, caprina o suina o pollame, in assenza di certificato, ovvero con certificato scaduto, sospesa o revocato |
Chiunque |
da 1.500 a 4.500 euro |
§ sanzioni amministrative pecuniarie per il trasportatore che incorre nelle seguenti irregolarità documentali (articolo 5):
a) trasporto in assenza di una documentazione che specifichi: origine e proprietà degli animali trasportati; luogo di partenza; data e ora di partenza; luogo di destinazione; durata prevista del viaggio;
b) trasporto in assenza del documento veterinario unico di entrata;
c) (per i viaggi lunghi) trasporto in assenza del giornale di viaggio o con giornale di viaggio non conforme al Regolamento CE o comunque mancante della precisazione dei punti di riposo o trasferimento;
d) documenti di trasporto o certificati sanitari irregolari in riferimento a: origine e proprietà degli animali trasportati; luogo di partenza; data e ora di partenza; luogo di destinazione e destinatario; numero dei capi;
e) giornale di viaggio irregolare in riferimento a: luogo di partenza; data e ora di partenza; luogo di destinazione; ora di arrivo a destinazione prevista; percorso, posti di controllo e luoghi di trasferimento e riposo individuati; durata prevista del viaggio;
f) compilazione del giornale di viaggio da parte di persona non legittimata;
g) mancata indicazione del numero del certificato veterinario sul giornale di viaggio;
h) mancato possesso del certificato veterinario all’interno del mezzo per la durata del trasporto.
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Irregolarità documentali |
Trasportatore |
da 1.000 a 3.000 euro |
§ sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle norme concernenti il certificato di omologazione del mezzo di trasporto (articolo 6);
L’art. 18 del Regolamento dispone che spetta all'autorità competente o all'organismo designato dallo Stato membro rilasciare a richiesta un certificato di omologazione dei mezzi di trasporto su strada usati per lunghi viaggi, conformemente al modello riportato nell'allegato III, capo IV, e previa ispezione dei mezzi stessi. Tali mezzi dovranno risultare conformi ai requisiti dell'allegato I, cap. II e VI, applicabili alla progettazione, costruzione e manutenzione dei mezzi di trasporto su strada usati per lunghi viaggi. I certificati sono validi per un periodo non superiore a cinque anni dalla data di rilascio e la loro validità viene meno non appena il mezzo di trasporto sia modificato o riattato in un modo che incida sul benessere degli animali. Analoga disposizione è contenuta nell’art. 19 Reg. per quanto concerne il certificato di omologazione delle navi adibite al trasporto di bestiame.
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Trasporto su strada per lunghi viaggi in assenza di certificato di omologazione del veicolo o del contenitore, ovvero con certificato scaduto, sospeso o revocato |
Trasportatore, conducente o organizzatore |
da 1.000 a 3.000 euro |
Trasporto via mare in assenza di certificato di omologazione della nave o del contenitore, ovvero con certificato scaduto, sospeso o revocato |
Trasportatore |
da 3.000 a 10.000 euro |
§ sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni relative al benessere degli animali (articolo 7);
In merito si ricorda che la legge 20 luglio 2004, n. 189[129] ha introdotto nel sistema penale italiano una disciplina organica finalizzata alla tutela degli animali dalle diverse forme di maltrattamento, con specifica attenzione al fenomeno dell’impiego degli animali in combattimenti clandestini.
In particolare, l'articolo 1 della citata legge, al comma 1, ha inserito, dopo il Titolo IX del Libro II del codice penale, il Titolo IX - bis, intitolato Dei delitti contro il sentimento per gli animali, composto da cinque nuovi articoli, tra i quali l'articolo 544-ter c.p. (Maltrattamento di animali) volto a punire con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro, chiunque per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale o lo sottopone a sevizie, o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. La stessa pena è comminata a chi somministri agli animali sostanze stupefacenti o vietate o li sottoponga a trattamenti che provochino danno alla salute degli stessi. Si prevede infine un aumento della metà della pena qualora dai fatti di cui al comma 1 derivi la morte dell'animale.
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Trasporto in violazione dei requisiti di idoneità di cui all’Allegato 1 |
Trasportatore |
da 2.000 a 6.000 euro |
Utilizzo di mezzi di trasporto privi dei requisiti di cui all’Allegato 2 |
Trasportatore |
da 1.000 a 4.000 euro |
Trasporto in violazione delle pratiche di cui all’Allegato 3 |
Trasportatore |
da 1.000 a 3.000 euro |
Lunghi viaggi di equidi domestici e animali domestici di specie bovina, ovina, caprina e suina in violazione dell’Allegato 4 |
Trasportatore |
da 2.000 a 6.000 euro |
Violenza sull’animale; sofferenze inutili o lesioni all’animale (salvo che il fatto costituisce reato) |
Personale che accudisce gli animali |
da 3.000 a 15.000 euro |
Trasporto di propri animali per una distanza inferiore a 50 Km in violazione delle condizioni generali per il trasporto degli animali fissate dall’art. 3 del Regolamento |
Allevatore |
da 1.000 a 4.000 euro |
§ ulteriori sanzioni amministrative pecuniarie (articolo 8);
Fattispecie |
Autore |
Sanzione |
Violazione delle disposizioni previste dall’art. 9 del Regolamento CE |
Operatore del centro di raccolta |
da 4000 a 1.600 euro |
Trasporto in violazione dei limiti previsti dall’autorizzazione |
Titolare dell’autorizzazione |
da 5.000 a 20.000 euro |
Sanzioni accessorie sono previste dall’articolo 9 del decreto legislativo che prevede:
§ la sospensione dell’autorizzazione per il trasportatore che reiteri gli illeciti relativi al benessere degli animali, fino alla possibile revoca della stessa nei casi più gravi;
§ la sospensione (o la revoca) del certificato di omologazione del veicolo per reiterate irregolarità documentali;
§ la sospensione (o la revoca) del certificato di idoneità del conducente o del guardiano.
Il decreto legislativo reca inoltre disposizioni attuative dell'articolo 23 del Regolamento (CE) n. 1/2005, concernente “azioni d'emergenza in caso di inosservanza del presente regolamento da parte dei trasportatori”.
Al riguardo, l’articolo 10 stabilisce il principio generale in base al quale quando è riscontrata una violazione delle disposizioni del Regolamento, l’autorità competente, qualora non sia possibile provvedere direttamente, impone al soggetto responsabile degli animali di intraprendere le azioni necessarie a salvaguardare il benessere degli stessi, individuandole tra quelle previste dall’articolo 23 del medesimo Regolamento.
Il responsabile della violazione, il trasportatore, l’organizzatore e il detentore rispondono in solido tra loro degli obblighi comunque derivanti o connessi all’attuazione di tali misure e chiunque si rifiuti di adempiere agli obblighi o alle prescrizioni imposte dall’Autorità competente è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.000 euro.
L'articolo 11 prevede la possibilità, per le autorità adibite al controllo dell'osservanza delle disposizioni previste dal Regolamento, di richiedere agli organizzatori dei viaggi, ai trasportatori, o ai detentori degli animali trasportati, informazioni relative al viaggio, ovvero l'esibizione di documenti relativi agli animali e alle persone impiegate nel viaggio. Il rifiuto di esibire la documentazione è sanzionato con la sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 1.200.
Quanto al procedimento di applicazione delle sanzioni pecuniarie, l’articolo 12 rinvia alla legge n. 689 del 1981, disponendo che il verbale di accertamento della violazione sia redatto in conformità all’Allegato 5.
La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro e costituisce il modello base di sanzione, prevista e disciplinata dalla legge fondamentale in materia (legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale).
Tale legge definisce la sanzione amministrativa pecuniaria dichiarando che consiste “nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro”, tranne che per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11) .
L'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente schema:
§ accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;
§ pagamento in misura ridotta (oblazione) o inoltro di memoria difensiva all’autorità amministrativa:
§ archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell’autorità amministrativa;
§ eventuale opposizione all’ordinanza ingiunzione davanti all’autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
§ accoglimento dell’opposizione, anche parziale o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
§ eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che la violazione sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). L'attività di accertamento può consistere nell'assunzione di informazioni, nell'ispezione della dimora privata, in rilievi segnaletici, fotografici e nel sequestro cautelare della cosa che è stata utilizzata per commettere l'illecito o che ne costituisce il prezzo o il profitto (come avviene in caso di guida di autoveicolo non coperto da assicurazione obbligatoria o senza documento di circolazione). In particolare, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, oltre che esercitare i poteri indicati, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del competente tribunale territoriale. È fatto salvo l'esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.
La violazione dev'essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o, se più favorevole, pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16).
In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all’ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis); fatte salve le diverse competenze stabilite da disposizioni di legge, l’opposizione si propone, invece, davanti al tribunale ratione materiae (materia di lavoro, edilizia, urbanistica ecc.) o per motivi di valore o di natura della sanzione (sanzione superiore nel massimo a 15.493 euro o applicazione di sanzione non pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima, fatta eccezione per violazioni previste da specifiche leggi speciali): l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento; contro tale sentenza è ammesso solo ricorso per cassazione (art. 23). Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.
In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l’autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26)
Decorso il termine fissato dall’ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l’autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
La Regione (o la Provincia autonoma) è designata come autorità competente all’irrogazione delle sanzioni. In caso di trasporto di animali intracomunitario o verso Paesi terzi, le autorità competenti ad irrogare le sanzioni sono, invece, gli uffici veterinari per gli adempimenti comunitari (UVAC) competenti per territorio.
In caso di violazione al regolamento commessa utilizzando un veicolo immatricolato all’estero, è prevista l’applicazione delle norme del codice della strada (art. 207, D.Lgs 285/1992) che, in tali casi, stabiliscono il pagamento in misura ridotta (una somma pari al minimo fissato dalle singole norme) direttamente nelle mani dell’agente accertatore.
L’articolo 12 prevede, inoltre, l’impossibilità di affidare in custodia al conducente o al proprietario il veicolo oggetto di fermo amministrativo stabilendo, al contrario, l’obbligo di ricovero del mezzo – a spese del trasgressore - presso uno dei custodi-acquirenti di cui all’art. 214-bis del Codice della strada[130]. Spetta allo stesso trasgressore provvedere alla ottimale sistemazione degli animali in luogo che garantisca il loro benessere ed il rispetto della normativa vigente.
L’aggiornamento dell’entità delle sanzioni amministrative pecuniarie avverrà ogni biennio, sulla base delle variazioni dei prezzi accertate dall’ISTAT nei due anni precedenti. A tal fine, il Ministero della salute, di concerto coi Ministeri dell’economia e finanze e della giustizia, provvede entro il 1° dicembre di ogni anno ad aggiornare i limiti delle sanzioni amministrative pecuniarie applicabili dal 1° gennaio dell’anno successivo.
L’articolo 13 del decreto legislativo individua le amministrazioni beneficiarie dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate, prevedendo che le somme vengano incamerate dallo Stato, ovvero dalle Regioni (e province autonome) sulla base dell’appartenenza dell’agente accertatore allo specifico ufficio, statale (UVAC) o meno.
Infine, gli ultimi articoli del decreto legislativo n. 151 del 2007 individuano una disciplina transitoria, abrogano il d.lgs. n. 532 del 1992 (articolo 14) e contengono disposizioni circa la copertura finanziaria del provvedimento (articolo 15).
Riforma delle procedure concorsuali
La materia delle procedure concorsuali, disciplinata dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge fallimentare)recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), già significativamente innovata nel corso della XIV legislatura, è stata oggetto di modifiche anche nella legislatura appena conclusa.
Al riguardo, vanno ricordate le rilevanti modifiche che alla legge fallimentare sono state introdotte ad opera del decreto legge 14 marzo 2005 n. 35[131] (cd. decreto competitività), convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 che ha, in particolare, ridisciplinato l’istituto della revocatoria ed introdotto modifiche alla procedura di concordato preventivo.
La citata legge di conversione n. 80/2005 conteneva una delega al Governo per una riforma organica e coerente di tutta la materia delle procedure concorsuali sulla cui base è stato successivamente emanato il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica delle procedure concorsuali), che interviene in profondità sulla legge fallimentare.
Per quanto riguarda il contenuto del decreto legislativo n. 5/2006, va ricordato che esso si suddivide in diciotto capi e ben 153 articoli.
I principali profili di novità dell’intervento riguardavano:
§ l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto del fallimento; l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie relative;
§ la valorizzazione del ruolo e dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei creditori (a fronte del ridimensionamento di quelli del giudice delegato);
§ la conservazione delle componenti positive dell’impresa (beni produttivi e livelli occupazionali);
§ l’introduzione della disciplina dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori in taluni casi di buona condotta;
§ la riduzione delle ipotesi di incapacità del fallito allo scopo di agevolarne il reinserimento sociale.
L’articolo 1, comma 5-bis,della citata legge n. 80/2005 aveva, inoltre, previsto che - entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo emanato nell'esercizio della delega principale (ovvero il D.Lgs n. 5 del 2006) - il Governo potesse adottare ulteriori disposizioni correttive e integrative, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi indicati.
Su tale base normativa è stato adottato il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169[132], che ha introdotto numerose rilevanti modifiche al regio decreto n. 267 del 1942, disposizioni di carattere interpretativo e temporale, e, da ultimo, una novella alla legge n. 114 del 1998, recante la Riforma della disciplina relativa al settore del commercio.
Tra i punti più significativi del decreto correttivo si segnalano:
§ l’allargamento dell’area della fallibilità mediante l’ampliamento dei presupposti soggettivi e l’eliminazione del riferimento al piccolo imprenditore (art. 1, legge fallimentare);
§ la soppressione del rito camerale (art. 24, legge fallimentare) e l’adozione di quello ordinario per tutte le controversie derivanti dal fallimento; il procedimento in camera di consiglio, previsto dalla riforma del 2006, pur maggiormente rispondente a requisiti di celerità è sembrato al legislatore meno in grado di garantire la tutela di diritti soggettivi come quelli in gioco;
§ la sottrazione al giudice delegato dell’approvazione del programma di liquidazione (sottoposto dal curatore) che spetterà ora al comitato dei creditori (art. 104-ter, legge fallimentare); il giudice dovrà, comunque, autorizzare di volta in volta l’esecuzione dei singoli atti conformi al programma;
§ nel nuovo concordato fallimentare, la sottrazione al curatore fallimentare del potere di formulare proposta di concordato (art. 129, legge fallimentare);
§ l’ulteriore ridimensionamento dei poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato: infatti, il nuovo art. 129 prevede, per l’autorità giudiziaria, solo controlli formali e – in presenza di diverse classi di creditori - una sua attivazione a valutare la convenienza del concordato e ad omologarlo solo se espressamente richiesto dai creditori delle classi dissenzienti;
§ la sostituzione, tra i debiti esclusi dall’esdebitazione, delle obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ex art. 46 (art. 142, legge fallimentare) con i rapporti “estranei all’esercizio dell’impresa”.
§ l’espressa previsione, nel concordato preventivo, di soddisfazione solo parziale dei creditori privilegiati, come nel concordato fallimentare (art. 177, legge fallimentare);
§ l’incentivazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in sede di concordato preventivo, mediante la sospensione e inibizione (per 60 giorni) di tutte le azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore (art. 182-bis, legge fallimentare);
Di seguito si dà conto più analiticamente del contenuto dei 22 articoli del decreto legislativo n. 169 del 2007.
L’articolo 1 del decreto, novellando l’art. 1 della legge fallimentare,prevedel’allargamento dell’area di assoggettabilità alla disciplina del fallimento e del concordatopreventivo rispetto a quanto previsto dalla riforma introdotta dal D. Lgs. 5/2006, entrata in vigore il 16 luglio 2006.
Infatti, l’eccessiva riduzione dell’area della fallibilità spesso aveva impedito di assoggettare alla procedura fallimentare ed alle conseguenti sanzioni penali imprenditori di rilevanti dimensioni in grado di raggiungere elevati livelli di indebitamento, con conseguente danno, sia per i numerosi creditori insoddisfatti, che per l’economia in generale.
Viene, così, anzitutto eliminato dall’art. 1 del R.D. n. 267/1942 il riferimento al piccolo imprenditore, coerentemente con la scelta di delimitare l’area della fallibilità con limiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali, se piccoli, dovranno dimostrare di possedere.
L’esonero dalla disciplina fallimentare è, poi, reso più difficile mediante l’introduzione di un ulteriore requisito (che si aggiunge ai due già previsti), ovvero l’avere un indebitamento attuale non superiore a 500.000 euro[133].
Altra novità è la sostituzione del parametro degli investimenti nell’azienda (di difficile interpretazione) con quello dell’attivo patrimoniale, la cui definizione è ancorata agli elementi di cui all’art. 2424 del codice civile.
Va, inoltre, segnalato che in riferimento al problema che si è posto dell’onere di provare la non assoggettabilità alla disciplina fallimentare, il decreto n. 169 ha precisato che tale onere sussiste in capo all’imprenditore e non all’istante (cfr. nuovo art. 15, comma 4, L. fall.).
L’articolo 2 del decreto legislativo novella numerose disposizioni della legge fallimentare in materia di “dichiarazione di fallimento” (Capo I, titolo II, della legge fallimentare).
Una prima modifica all’art. 9-bis,recante disposizioni in materia di incompetenza, è volta a definire meglio l'ambito di applicazione della citata disposizione, riguardante tutti i provvedimenti - e, quindi, non più solamente la sentenza - che pronunciano su questioni attinenti alla competenza. Con la successiva novella all’art. 10 (Fallimento dell'imprenditore che ha cessato l'esercizio dell'impresa) è precisato, poi, che nel caso di impresa individuale o nel caso di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, spetta al solo creditore, ovvero al PM, la facoltà di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento.
La modifica dell’art. 14 è volta, poi, a precisare che l’imprenditore che chiede il fallimento deve, tra le altre cose, depositare in tribunale l’indicazione dei ricavi lordi non degli ultimi tre anni ma degli ultimi tre esercizi.
Nello stesso senso, l’art. 15, in materia di istruttoria prefallimentare, viene emendato al fine di fornire al tribunale più stringenti elementi di valutazione ai fini della dichiarazione di fallimento: in particolare, si prevede, al quarto comma, che il tribunale disponga che l’imprenditore debba depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi nonché la possibilità – per lo stesso tribunale - di richiedere informazioni urgenti. A fini di accelerazione della procedura, il nuovo quinto comma concede al giudice la possibilità, in caso di abbreviazione dei termini e di particolare urgenza, di comunicare con ogni mezzo idoneo il ricorso e la data di fissazione dell’udienza. E’, infine, aumentata l’entità degli accertati debiti scaduti e non pagati che provoca la dichiarazione di fallimento: tale cifra deve ora essere inferiore a 30.000 euro (il limite precedente era di 25.000).
La modifica dell’art. 16 (Sentenza dichiarativa di fallimento) introduce ex novo la previsione che la sentenza del tribunale possa prevedere - oltre quello ordinario di 120 giorni – in caso di procedura molto complessa, un ulteriore termine di 180 giorni dal deposito della sentenza per stabilire la convocazione dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo.
L’art. 17 prevede ora che la sentenza dichiarativa del fallimento sia comunicata, oltre che al debitore, anche al pubblico ministero.
Nel riformulato art. 18 della legge fallimentare, precedentemente rubricato “appello” (contro la sentenza dichiarativa del fallimento), la rubrica fa ora riferimento al "reclamo", più coerente in riferimento ai gravami sulle decisioni camerali. Rispetto alla previgente formulazione, il nuovo art. 18 indica ora, in maniera specifica, quali debbano essere i contenuti del ricorso: l’indicazione della corte d’appello competente; le generalità dell'impugnante e l'elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello; l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni; l'indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.
Si allungano, inoltre, da 45 a 60 giorni (dal deposito del ricorso) i termini utili per la fissazione dell’udienza di comparizione e vengono, dettati precisi termini; in particolare, tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di 30 giorni; la costituzione delle parti resistenti deve avvenire almeno 10 giorni prima dell’udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello. La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l'indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti. Analoghe sono le modalità e i termini d’intervento di qualunque altro interessato. All'udienza, si prevede, poi, che il collegio possa assumere d’ufficio i mezzi di prova necessari anche, eventualmente delegando un suo componente. Oltre alla precisazione che spetta alla cancelleria notificare alle parti interessate la sentenza che revoca il fallimento o che rigetta il reclamo, la nuova norma prevede un termine di 30 giorni per la presentazione dell’eventuale ricorso per cassazione. Ultima novità è la reclamabilità (prima non prevista) davanti alla corte d’appello del decreto del tribunale che - su relazione del giudice delegato - liquida le spese della procedura ed il compenso al curatore.
La novella all’art. 19 del RD n. 267/1942 chiarisce che la competenza a decidere sulla sospensione della liquidazione dell’attivo in pendenza di reclamo è della corte d’appello. Ulteriori novità riguardano, infine, l’abrogazione dell’art. 20 della legge fallimentare (che disciplina le modalità di prosecuzione del giudizio in caso di morte del fallito durante il giudizio di opposizione) nonché la modifica dell’art. 22, che aumenta da 15 a 30 giorni il termine, per il creditore ricorrente o il PM, per proporre reclamo contro il decreto che respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento.
L’articolo 3 del decretointroduce modifiche al titolo II, Capo II, della legge fallimentare (Degli organi preposti al fallimento).
Al riguardo, si segnala, in primo luogo, la soppressione del comma 2 dell’art. 24 della legge fallimentare, il quale prevedeva che alle controversie di competenza del tribunale fallimentare si applicassero gli articoli da 737 a 742 del codice di procedura civile, ossia le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio.
In relazione alla citata soppressione, la relazione illustrativa del Governo precisava che «la modifica viene a correggere una grave disarmonia, non giustificabile con particolari esigenze della procedura. Le predette controversie, infatti, sono cause aventi ad oggetto diritti soggettivi, che si svolgono al di fuori della procedura, nei confronti di terzi estranei al fallimento, i quali verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena, di cui possono di regola usufruire tutti i soggetti dell’ordinamento».
In secondo luogo, all’art. 25, comma 1, n. 6), il termine avvocati è sostituito, con quello più ampio di difensori, per coordinare la norma con la disciplina dei giudizi tributari dove difendono anche professionisti diversi dagli avvocati.
La riformulazione dell’art. 26 della legge fallimentare mira, poi, in particolare, a rimodellare il procedimento di reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale secondo lo schema del rito in camera di consiglio. Oltre a prevedere la titolarità dello stesso tribunale nel disporre le modalità pubblicitarie, viene disciplinata la fase introduttiva del gravame secondo il modello del rito del lavoro; è precisato che nel ricorso con cui si propone il reclamo deve essere contenutal’elezione del domicilio in un comune sede del giudice adito (anziché in uno del circondario del tribunale) mentre, a fine di speditezza, risultano abbreviati e precisati diversi termini procedurali.
Mentre è abrogato il comma 2 dell’art. 28, che prevedeva l’obbligo per il tribunale, in sede di nomina del curatore, di indicarne le specifiche caratteristiche e attitudini, la novella all’art. 32, in conformità con il mutato assetto degli organi della procedura, assegna, al comitato dei creditori anziché al giudice delegato il compito di autorizzare il curatore alla delega di specifiche operazioni.
L’intervento di modifica dell’art. 33 appare di natura non sostanziale mentre, in relazione alla novella dell’art. 34 (Deposito delle somme riscosse), scopo dell'intervento è quello di non immobilizzare necessariamente le somme riscosse dal curatore permettendone un eventuale investimento, pur garantendo l’integrità del capitale iniziale.
La successiva novella all’art. 35 (Integrazione dei poteri del curatore) prevede che il curatore, nella formulazione della richiesta al comitato dei creditori, possa formulare le proprie conclusioni sulla convenienza degli atti indicati dalla norma e degli altri, eventuali, di straordinaria amministrazione, mentre la novella all’art. 37-bis è volta a precisare che, in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo, i creditori presenti possano chiedere la sostituzione del curatore e nuove designazioni di membri del comitato dei creditori solo al termine dell’adunanza stessa e prima che il passivo venga dichiarato esecutivo; il tribunale, inoltre, dispone la sostituzione del curatore solo «valutate le ragioni della richiesta» da parte dei creditori.
L’art. 41 della legge fallimentare è, a sua volta, integrato allo scopo di garantire maggior funzionalità al comitato dei creditori prevedendo nuove ipotesi di surrogabilità delle funzioni del comitato dei creditori da parte del giudice delegato; si prevede, inoltre, che ai membri del comitato dei creditori si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni normative in materia di responsabilità dei sindaci espressamente previste dal primo e dal terzo comma dell'art. 2407 e che spetti al curatore, durante lo svolgimento della procedura fallimentare, la legittimazione a proporre azioni di responsabilità nei confronti dei componenti del comitato dei creditori.
L’articolo 4 del decreto legislativo correttivo novella il Capo III del titolo II della legge fallimentare (Degli effetti del fallimento).
In particolare, le modifiche all’art. 48 sono finalizzate a circoscrivere all’imprenditore fallito, persona fisica, l’obbligo di consegna della propria corrispondenza inerente i rapporti compresi nel fallimento, mentre in relazione alla corrispondenza diretta al fallito che non sia persona fisica si prevede che questa venga consegnata al curatore.
Al riguardo, nella relazione governativa del provvedimento, si precisava che tale modifica si giustifica per il fatto che, solo nei riguardi del fallito che sia persona fisica ha senso salvaguardare il diritto alla riservatezza nella corrispondenza. La corrispondenza diretta ad una persona fisica in qualità di legale rappresentante di una società non può avere, per definizione, carattere personale e non ha quindi senso adottare misure idonee a salvaguardare la riservatezza della corrispondenza.
L’integrazione prevista all’art. 52 della legge è, invece, finalizzata all’accertamento (secondo la disciplina stabilita dal Capo V della legge stessa) anche dei crediti per i quali non risultino possibili azioni esecutive e cautelari individuali.
Per quanto riguarda, poi, la modifica prevista all’art. 53, questa assume valore di semplice coordinamento con le nuove disposizioni su modalità di vendita e liquidazione dell’attivo, di cui al nuovo art. 107, mentre la successiva novella riguardante l’art. 67 (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie) esclude dall’azione revocatoria i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione (in quanto sia trascorso un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo ovvero tre anni senza che sia avvenuta la trascrizione del contratto definitivo).
Inoltre, sempre con riferimento all’art. 67 della legge fallimentare, si precisa che ai fini dell’esonero dalla revocatoria, il piano sulla cui base sono stati eseguiti atti, pagamenti e concesse garanzie sui beni del debitore deve essere stato redatto da professionisti iscritti al registro dei revisori contabili. Sempre in tema di revocatoria, la novella all’art. 70 specifica, poi, che tra i rapporti continuativi e reiterati revocabili sono compresi i rapporti di conto corrente.
La successiva modifica all'art. 72 della legge fallimentare, in materia di rapporti pendenti,precisa, poi, che il contratto traslativo si considera ineseguito o non compiutamente eseguito (ai fini del subentro del curatore nel rapporto) quando non si è ancora realizzato alcun effetto reale.
Inoltre, tornando alla formulazione previgente, il D.Lgs 5/2006, si stabilisce che se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, ove nei confronti di una di esse venga dichiarato il fallimento non spetta alcun risarcimento al contraente di buona fede (salvo il suo diritto da far valere nel passivo fallimentare).
Allo stesso art. 72 è aggiunta, poi, una specifica disposizione derogatoria della disciplina generale a tutela del promissario acquirente di una casa di prima abitazione, oggetto di preliminare di vendita trascritto.
L’art. 72-bis (Fallimento del venditore e contratti relativi ad immobili da costruire) è stato, inoltre, riformulato sopprimendo la norma sul fallimento del venditore, considerata superflua alla luce dalla regola generale per la quale il contratto traslativo si intende eseguito quando si è verificato l’effetto reale ed inoltre eliminando la norma sul privilegio del promissario acquirente in quanto ripetizione della medesima regola già contenuta nell’articolo precedente. Viene, inoltre, soppresso il riferimento alle crisi d’impresa, considerato estraneo alla materia fallimentare.
La modifica all’art. 72-quater (Locazione finanziaria) è volta, poi, a precisare che in caso di scioglimento del contratto di leasing l’impresa locatrice fa valere i suoi diritti nel fallimento, purché abbia disposto del bene recuperato secondo valori di mercato.
L’art. 73 viene, poi, riformulato in quanto, la disposizione previgente, estesa a tutte le fattispecie di vendita a termine o a rate, non risultava sistematicamente compatibile con la disciplina dei rapporti pendenti.
Anche l’art. 74 della legge fallimentare, già rubricato "Contratto di somministrazione" e già novellato dal D. Lgs n. 5/2006, per ovviare a rilevanti problemi applicativi e d’interpretazione, viene riscritto come contratto ad esecuzione continuata o periodica al fine di consentirne un’applicazione più ampia in ambito fallimentare.
Il contenuto del successivo art. 79 è modificato al fine di inserirvi le disposizioni dell’art. 80-bis, relative all’affitto d’azienda (norma ora, conseguentemente, abrogata); anche in tal caso, lo spostamento ha ragioni sistematiche in quanto la disciplina del vecchio art. 79 (Possesso del fallito a titolo precario) è ora in gran parte inserita nell’art. 103, collocato nella più opportuna sede, relativa all’accertamento del passivo (Capo V).
Anche l’art. 80, relativo agli effetti del fallimento del locatore nel contratto di leasing immobiliare è stato novellato prevedendo il possibile recesso del curatore subentrante quando il contratto sia superiore a 4 anni (dalla dichiarazione di fallimento); a favore del conduttore si prevede, in tal caso, la corresponsione di un equo indennizzo.
L’articolo 5 del decreto 169 del 2007 introduce modifiche agli articoli 88 e 89 della legge fallimentare inseriti nel titolo II, Capo IV (Della custodia e dell’amministrazione delle attività fallimentari).
Con la modifica all’art. 88 (Presa in consegna dei beni del fallito da parte del curatore), si specifica che in caso di possesso da parte del fallito di beni immobili o beni comunque registrati, l’estratto della sentenza dichiarativa del fallimento, notificata dal curatore, deve essere trascritta (e non, come ora, annotata) nei pubblici registri. La modifica dell’art. 89 risponde, invece, a pure esigenze di sintassi.
L’articolo 6 del provvedimento reca modifiche al titolo II, Capo V, della legge fallimentare (Dell’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari di terzi).
Nello specifico, dall’art. 93 (Domanda di ammissione al passivo)è eliminato l’obbligo, per il creditore che chiede di essere ammesso al passivo fallimentare, di indicare nel ricorso depositato presso il tribunale, oltre che il titolo di prelazione del credito e la descrizione del bene cui la prelazione si riferisce, anche la graduazione del credito (che discende direttamente dalla legge ed è effettuato in sede di riparto). Per gli stessi motivi, è abrogato il settimo comma dell’art. 93.
Un’ulteriore modifica interviene sull’art. 95: rimane l’obbligo per il curatore di depositare in tribunale, almeno 15 giorni prima dell’udienza per l’esame dello stato passivo del fallimento, il relativo progetto; è, però, eliminato l’obbligo di comunicazione ai creditori (e agli altri titolari di diritti sui beni del fallito) e precisato che fino all’udienza (non più, quindi, 5 giorni prima della stessa) è possibile esaminare il progetto e depositare documenti integrativi. Per quanto riguarda, poi, l’art. 96 (Formazione ed esecutività dello stato passivo) viene precisato che il decreto del giudice delegato che decide sulla domanda di ammissione al passivo deve essere (sempre) succintamente motivato[134].
Notevoli modifiche sono introdotte, poi, all’art. 99 della legge fallimentare, relativo al procedimento d’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo.
In particolare, in relazione al contenuto del ricorso si segnalano le seguenti novità:
§ l’elezione del domicilio dell’impugnante va fatta nel comune ove ha sede il tribunale, anziché in un comune sito nel suo circondario (analogo obbligo è stabilito per la parte resistente, cfr. comma 5);
§ devono essere indicate le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (come già previsto per il resistente, nella memoria difensiva, cfr. comma 5).
E’ precisato, poi, che il relatore viene nominato dal presidente del tribunale entro 5 giorni dal deposito del ricorso e che l’udienza di comparizione è fissata non oltre 60 giorni dal deposito dello stesso. Il ricorrente, entro 10 gg. dalla comunicazione del decreto di esecutività dello stato passivo, deve notificare l’impugnazione, insieme al decreto che fissa l’udienza, al curatore, al fallito e all’eventuale controinteressato. I mezzi di prova all’udienza sono ora indistintamente assumibili d’ufficio da parte del tribunale, che decide sull’opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato entro 60 giorni dall’udienza. Resta confermata la possibilità di presentare ricorso in Cassazione, mentre è aumentato da 20 a 30 giorni, decorrenti dall'udienza, il termine di pronuncia in via provvisoria del tribunale (decreto motivato non reclamabile).
La novella all’art. 101 della legge fallimentare mira, poi, a disciplinare più compiutamente le cd. domande tardive di crediti: al riguardo, è infatti, aggiunta una disposizione che prevede che il giudice delegato fissi ogni 4 mesi un’udienza per l’esame delle domande tardive, fatta salva la sussistenza di motivi d’urgenza. La successiva modifica apportata all’art. 102 (Previsioni di insufficiente realizzo) rende, poi, obbligatorio da parte del curatore allegare anche il parere del comitato dei creditori, alla istanza presentata dal medesimo curatore al tribunale affinché non si dia luogo al procedimento di accertamento del passivo.
L’articolo 7 del D. Lgs. n. 169 del 2007 reca, poi, modifiche al titolo II, Capo VI della legge fallimentare (Dell’esercizio provvisorio e della liquidazione dell’attivo).
Le modifiche di maggior conto riguardano, in particolare, l'art. 104-ter relativo al programma di liquidazione. Una prima novità prevede che il curatore debba sottoporre il programma non più all’approvazione del giudice delegato bensì a quella del comitato dei creditori. Viene, poi, definito il programma come «l’atto di pianificazione e indirizzo» in relazione alle modalità e ai termini previsti per la liquidazione dell’attivo. Per quel che concerne il contenuto, è specificato che il curatore deve indicare non solo le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare, ma anche una previsione sul loro possibile esito. Viene, inoltre precisato il rapporto tra il programma di liquidazione e la sua approvazione: se quest’ultima spetta al comitato dei creditori è il giudice delegato che, invece, autorizza i singoli atti o operazioni in esso inclusi e riceve comunicazione dell’approvazione stessa.
L’art. 7 del correttivo unifica, poi, in un’unica sezione II la disciplina della vendita dei beni, sia mobili che immobili (la nuova rubrica è “Della vendita dei beni”) introducendo una modifica testuale della rubrica dell’art. 107.
La stessa norma è novellata, in particolare, con la previsione che il giudice delegato possa, come nel rito esecutivo ordinario, provvedere direttamente alla vendita di beni mobili, immobili e mobili registrati in luogo del curatore; tale ultimo intervento estende, in particolare, detta disciplina anche ad autoveicoli, navi ed aeromobili. Di conseguenza, è abrogato l’art. 108-bis,che per navi, galleggianti ed aeromobili vedeva la vendita di tali beni disciplinata dal codice della navigazione.
La modifica all’art. 108, relativa alle cancellazioni delle iscrizioni, pignoramenti, sequestri ed ogni altro vincolo sui beni venduti, ha natura di coordinamento con la novella appena citata dell’art. 107.
L’articolo 8 del decreto legislativo n. 169/2007 novella disposizioni contenute nel titolo II, Capo VII, della legge fallimentare (Della ripartizione dell’attivo).
In relazione all’art. 110 il contenuto è integrato con un periodo che chiarisce come il privilegio di cui godono i crediti non sottoponibili ad azioni esecutive e cautelari valga solo in ambito processuale (ovvero la prosecuzione dell’esecuzione in pendenza di fallimento) ma non in quello sostanziale: infatti, tali crediti – al pari degli altri - sono inseriti nel progetto di ripartizione dell’attivo.
La stessa norma elimina, poi, l’obbligo per il giudice delegato, prima del deposito in cancelleria, di sentire il comitato dei creditori sul progetto di ripartizione presentato dal curatore; lo stesso art. 110 prevede, infatti, la possibilità per ogni creditore di proporre reclamo una volta presa visione del progetto.
Un’ulteriore modifica all’art. 110 è volta, poi, a precisare che il reclamo dei creditori sul progetto va proposto al giudice delegato; il riferimento all’art. 36 della legge (reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori) anziché all’art. 26 (reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale) sottolinea la paternità del curatore del progetto di ripartizione.
Dopo un modifica testuale dell’art. 111 (Ordine di distribuzione delle somme), che risponde ad esigenze di precisione lessicale, viene abrogato il comma 2 dell’art. 111-bis (Disciplina dei crediti prededucibili), ritenuto sostanzialmente una duplicazione del comma 1 della stessa norma; è, inoltre, precisato che nella soddisfazione dei crediti prededucibili[135] va tenuto conto dell’ordine di graduazione delle rispettive cause di prelazione. E’, infine, stabilito - eliminando il precedente limite massimo di 25.000 euro - che l’eventuale integrale soddisfazione da parte del curatore dei crediti prededucibili (liquidi, esigibili e non contestati) sorti durante il fallimento (in caso, ciò sia possibile al di fuori del riparto per sufficienza dell’attivo) deve comunque essere sempre autorizzata dal comitato dei creditori o dal giudice delegato.
L’ultima disposizione della legge fallimentare novellata dall’art. 8 è l’art. 115, relativo al pagamento ai creditori, cui è apportata un’integrazione volta ad estendere la disciplina per le cessioni dei crediti ammessi anche alla eventuale surrogazione del creditore di cui all’art. 1201 c.c.
L’articolo 9 del decreto reca modifiche al titolo II, Capo VIII (Della cessazione della procedura fallimentare) del RD n. 267/1942.
Per quanto riguarda, in particolare, la chiusura del fallimento, il comma 1 modifica l’art. 118 e prevede che in caso di fallimento di società, il curatore debba chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese quando l’attivo è già stato ripartito, ovvero quando non sono possibili ripartizioni o pagamenti di crediti prededucibili per mancanza di attivo.
E’, inoltre, limitata ai casi di assenza di debiti sociali la chiusura automatica del fallimento della società che determini anche la chiusura del fallimento dei soci illimitatamente responsabili ex art. 147.
All’art. 119 è, poi, aggiunto un nuovo periodo volto a prevedere che il decreto di chiusura del fallimento, oltre a poter essere reclamato nelle forme disciplinate dall’art. 26, possa – in caso di esito negativo - essere anche soggetto a ricorso per Cassazione. Il ricorso per Cassazione dovrà essere proposto nel termine di 30 giorni dalla notificazione o comunicazione del decreto della Corte d’appello al curatore, al fallito, al comitato dei creditori al reclamante o all’intervenuto nel procedimento.
La novella prevista all'art. 120 è volta, poi, a precisare che con la chiusura del fallimento, oltre a cessare gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito ed a decadere gli organi preposti al fallimento, vengono meno anche le incapacità personali del fallito.
Le successive modifiche previste dall’art. 9 del decreto legislativo riguardano il concordato fallimentare.
La prima interessa l’art. 124 della legge fallimentare, la cui principale novità consiste nel raddoppio del periodo il cui decorso consente al fallito (a società in cui egli partecipi o sottoposte a comune controllo) di chiedere il concordato: il termine attuale è di un anno dalla dichiarazione di fallimento, a fronte dei precedenti 6 mesi (sempre che non siano decorsi 2 anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo).
E’ poi dettata una nuova formulazione del comma 3 che conferma che la proposta di concordato può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano non venire soddisfatti integralmente. Ciò, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista-revisore contabile designato dal tribunale. Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.
Le ulteriori modifiche testuali dell’art. 124 rispondono all’esigenza di chiarire che la disciplina del concordato è identica per tutti i proponenti, creditori e non.
All’art. 125, relativo all’esame della proposta di concordato, è anzitutto introdotto il riferimento alle garanzie offerte, così colmando una carenza dell’attuale disciplina che non prevede il concordato fallimentare con garanzia. La nuova norma chiarisce che la valutazione sul merito della proposta di concordato spetta al comitato dei creditori, residuando al giudice delegato una valutazione formale sulla sua ritualità; con la proposta vanno comunicati ai creditori sia il parere del curatore che del comitato dei creditori ed i creditori vanno informati che una mancata risposta nei termini è considerata come assenso sul concordato. E’, infine, precisato che la proposta che contenga condizioni differenziate per classi di creditori va sottoposta al giudizio del tribunale «prima di essere comunicata ai creditori».
In tale ultima ipotesi (ovvero previsione di diverse classi di creditori), l’art. 128 della legge fallimentare è modificato per rendere più agevole l’approvazione del concordato: mentre la previgente disciplina necessitava, a tal fine, dell’approvazione della maggioranza dei crediti ammessi al voto in ogni classe, con la novella basta, infatti, tale voto favorevole nel maggior numero di classi.
Per quanto riguarda l’art. 129 della legge fallimentare, relativo al giudizio di omologazione, la novella prevede, anzitutto, che la comunicazione al proponente dell’approvazione della proposta mira a far chiedere a questi l’omologazione del concordato; inoltre, in accordo con la novella all’art. 125, ovvero la valorizzazione del ruolo del comitato dei creditori, sarà conseguentemente quest’ultimo, e non il curatore, a depositare presso il tribunale la relazione finale motivata col suo parere definitivo sul concordato. In caso di opposizioni, è prevista la possibile assunzione di mezzi istruttori da parte del tribunale, anche mediante delega di uno dei membri dell’ufficio giudiziario. Va rilevato che, mediante la soppressione di un inciso del comma 2, il curatore non risulta non più legittimato ad avanzare proposta di concordato.
Per quanto riguarda, poi, la citata ipotesi di concordato fallimentare approvato nel maggior numero di classi di creditori (art. 128, nuovo comma 1), anche in caso di dissenso sulla proposta da parte di un creditore appartenente a classe dissenziente, l’omologazione del concordato da parte del tribunale sarà possibile quando il collegio valuti che il concordato posa comunque soddisfare il credito «in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili».
Con il nuovo art. 131, l’art. 9 del decreto correttivo modifica il procedimento di reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato sulla base del schema del rito camerale fallimentare. Dopo la precisazione che il termine di 30 giorni per l’impugnazione decorre non dalla comunicazione bensì dalla notificazione del decreto ad opera della cancelleria del tribunale, è stabilito che il ricorso contenga i requisiti dell’analoga impugnazione avverso la sentenza dichiarativa del fallimento (v. ante, nuovo art. 18, legge fallimentare). E’ fissato un breve termine di 5 giorni dal deposito del ricorso per la designazione del relatore da parte del presidente della corte d’appello, precisando a tal fine l’uso dello strumento del decreto. Viene precisato che “le altre parti” alle quali va notificato il ricorso, con il decreto di fissazione dell’udienza, se non sono i reclamanti, si identificano nel fallito, nel proponente e negli opponenti.
La fase introduttiva del giudizio di reclamo è, anche, in tal caso come per gli altri riti in camera di consiglio, modellata sul rito del lavoro; le disposizioni dettate sono, quindi, identiche a quelle del citato art. 18 e dell’art. 99 (impugnazione del decreto che rende esecutivo lo stato passivo fallimentare), al cui commento si fa rinvio. Anche in tal caso, viene precisato, che la corte d’appello può delegare un suo componente all’assunzione di mezzi di prova; analoga precisazione riguarda il decreto motivato della corte che decide sul reclamo, che deve essere notificato alle parti a cura della cancelleria. E’ infine specificato che i 30 giorni per l’eventuale ricorso in cassazione decorrono dalla citata notificazione.
Con la novella all’art. 137 è precisato, in linea con l’opzione di abolire le iniziative d’ufficio del tribunale, che i soli creditori possono chiedere la risoluzione del concordato per mancata costituzione delle garanzie o mancato adempimento degli obblighi da parte del proponente. Mentre il richiamo all’art. 15 della legge fallimentare è funzionale al richiamo allo schema del rito camerale, con un’ulteriore modifica testuale si precisa che la forma della pronuncia, reclamabile, che risolve il concordato riaprendo il fallimento è quella della sentenza.
Le modifiche all’art. 138, in materia di annullamento del concordato sono prive di natura sostanziale.
L'articolo 10 del D.Lgs n. 169 apporta, poi, alcune novelle agli articoli 142 e 144 della legge fallimentare, dedicati all'istituto della esdebitazioneed inseriti all'interno del Capo IX della legge fallimentare.
In particolare la prima modifica incide sui casi in cui è escluso il ricorso all'istituto della esdebitazione (art. 142, comma 3, lettera a)) al fine di ricomprendervi le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa.
La seconda modifica concerne, poi, il successivo articolo 144 concernente gli effetti dell'esdebitazione nei confronti dei creditori concorsuali non concorrenti.
Al riguardo, fermo restando il principio generale previsto dal citato articolo 144 in base al quale il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo, la modifica è volta a specificare che in tale caso, l’esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.
In merito si precisa che l’articolo 19 del decreto legislativo reca una disposizione transitoria in materia di esdebitazione, al fine di estendere la possibilità di ricorso a tale istituto anche alle procedure fallimentari pendenti antecedentemente alla data di entrata in vigore decreto legislativo n. 5 del 2006, che per primo ha disciplinato questo istituto.
L’articolo 11 del decreto in commento novella, poi, l'art. 147 della legge fallimentare, rubricato "Società con soci a responsabilità illimitata".
In particolare, la modifica proposta concerne il solo comma 6 del citato articolo 147, che prevedeva la possibilità di appellare la sentenza del tribunaleche dichiara il fallimento dei soci illimitatamente responsabili. Al riguardo, l'articolo 11 prevede la sostituzione dell'"appello" con il "reclamo" e ciò per coordinamento con il contenuto del comma 7 dell'articolo 2 del decreto che, novellando l'articolo 18 della legge fallimentare, ha previsto la possibilità di reclamo, anziché l'appello, contro la sentenza che dichiara il fallimento.
L’articolo 12 del decreto legislativo, composto da cinque commi, interviene sul Titolo III (Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione), Capo I (Dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo), della legge fallimentare.
In particolare, i commi 1 e 2 intervengono sull'art. 160 della legge fallimentare riguardante le condizioni (ora “presupposti”) per l'ammissione alla procedura.
Nello specifico la modifica è volta a prevedere la possibilità che la proposta di concordato preventivo contempli il pagamento in percentuale dei creditori che godono di privilegio, pegno o ipoteca; ciò sarà possibile in quanto il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione, considerato il valore di mercato dei beni o diritti su cui sussista la causa di prelazione indicato nella relazione giurata del revisore contabile designato dal tribunale. In ogni caso, il trattamento stabilito per ogni classe non potrà alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
Il successivo comma 3 dell'articolo 12, interviene, invece, sull'art. 161 della legge fallimentare, concernente la "Domanda di concordato", al fine di apportarvi due modifiche.
La prima riguarda, in particolare, i requisiti del professionista incaricato di effettuare la relazione da allegare alla domanda di ammissione alla procedura di concordato. Attraverso il rinvio alla lettere d) del terzo comma dell'articolo 67 della legge fallimentare, in materia di Requisiti per la nomina a curatore, si prevede, infatti, che la citata relazione venga predisposta da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili.
La seconda modifica prevista all'articolo 161 della legge fallimentare è volta, invece, a prevedere che la domanda di concordato (recte: di ammissione alla procedura di concordato) venga comunicata al pubblico ministero.
Il comma 4 dell'articolo 12 apporta talune modifiche all'art. 162 della legge fallimentare in materia di "Inammissibilità della proposta".
La prima riguarda la possibilità, da parte del Tribunale, in sede di esame della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, di concedere al debitore un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti; la seconda novità concerne l'obbligo, per il Tribunale, di sentire il debitore in camera di consiglio nel caso in cui riscontri che non ricorrono le condizioni di ammissibilità alla procedura di concordato preventivo e, comunque, prima della relativa dichiarazione di inammissibilità; il comma 4 esclude, infine, che il Tribunale, avendo dichiaratoinammissibile la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, possa d'ufficio dichiarare il fallimento del debitore (come in precedenza previsto dal comma 2 dell'art. 162 LF) stabilendo, al riguardo, che in questi casi il fallimento può essere dichiarato solamente su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero.
In questo caso, nei confronti della sentenza che dichiara il fallimento è prevista espressamente la possibilità di presentare reclamo deducendo anche motivi attinenti all'ammissibilità della proposta di concordato.
In sintesi, quindi, resta invariato il principio previsto dall'articolo 162 della legge fallimentare in base al quale non è soggetto a reclamo il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Viene, però concessa la possibilità di presentare reclamo, deducendo anche motivi attinenti all'ammissibilità della proposta di concordato, nei confronti della sentenza del Tribunale che dichiari il fallimento del debitore successivamente alla valutazione di inammissibilità della domanda di ammissione al concordato preventivo.
Il successivo comma 5 dell'articolo 12 incide sull'art. 163 della legge fallimentare, in materia di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Al riguardo, oltre ad una modifica di carattere formale - volta a precisare che il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo nel caso in cui non abbia dichiarato inammissibile la relativa domanda - si prevede espressamente l'importo della somma che il ricorrente è tenuto a depositare nella cancelleria del tribunale una volta aperta la procedura di concordato preventivo. Nello specifico, sostituendo la precedente generica formulazione (secondo la quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma che si presume necessaria per l'intera procedura), stabilisce che tale somma è pari al 50% delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura, ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20% di tali spese, che sia determinata dal giudice. Su proposta del commissario giudiziale, il giudice delegato può disporre che le somme riscosse vengano investite secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 1, della medesima legge fallimentare.
Da ultimo, il comma 6 dell'articolo 12, concernente la pubblicità del decreto che dichiara la aperta la procedura di concordato preventivo, specifica che tale pubblicazione è effettuata dal cancelliere a norma dell'art. 17 della medesima legge fallimentare.
L'articolo 13 del decreto legislativo novella l'art. 168 della legge fallimentare, inserito all'interno del Capo II (Degli effetti dell’ammissione alconcordato preventivo), Titolo III (Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione), della medesima legge.
Nello specifico, la modifica stabilisce il principio in base al quale i creditori per titolo o causa anteriore al decreto di omologazione del concordato preventivo non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore dalla data della presentazione del ricorso e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, anziché fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato, come in precedenza previsto.
Il successivo articolo 14 reca modifiche all’art. 173 della legge fallimentare, collocato all'interno del Capo III (Dei provvedimenti immediati) della medesima legge.
In particolare il comma 1 dell'articolo 14 ha inciso sulla formulazione dell'art. 173, ora rubricato "Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura" (anziché "Dichiarazione del fallimento nel corso della procedura").
Al riguardo, si prevede, in primo luogo, che il commissario giudiziale, ove accerti che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, ne riferisca immediatamente al Tribunale, anziché al giudice delegato, come prima previsto dal comma 1 del citato articolo 173.
A seguito della citata comunicazione il Tribunale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori.
Si prevede, poi, che il citato procedimento si svolga secondo la procedura indicata all'art. 15 LF ovvero dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità previste per i procedimenti in camera di consiglio. La revoca dell'ammissione al concordato viene disposta dal Tribunale con decreto e, ove ne ricorrano i presupposti indicati dagli articoli 1 e 5 della legge fallimentare, su istanza del creditore o del PM. Il Tribunale dichiara il fallimento del debitore, con sentenza reclamabile ai sensi del citato art. 18.
L’articolo 15 novella gli artt. 175, 177 e 178 della legge fallimentare, collocati all'interno del Capo IV del titolo III (Della deliberazione del concordato preventivo).
Con l’integrazione all'art. 175, concernente la "Discussione della proposta di concordato", è precisato che la proposta di concordato non può più essere modificata dopo l’inizio delle operazioni di voto.
Lamodifica dell'articolo 177 della legge fallimentare, concernente la "Maggioranza per l'approvazione del concordato" prevede, in primo luogo, la soppressione della prevista facoltà riconosciuta al Tribunale di approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
In secondo luogo, poi, in relazione alla previgente previsione di cui al comma 3 dell'art. 177 - secondo la quale i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione - il medesimo comma 3 dell'articolo 15 prevede la perdita di tale diritto solo se la proposta di concordato ne prevede l'integrale pagamento. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari e la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato.
I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito. Inoltre, è altresì soppresso l'inciso, anch'esso contemplato dal medesimo comma 3 dell'art. 177, secondo il quale la rinunzia parziale non può essere inferiore alla terza parte dell’intero credito fra capitale ed accessori.
La norma, infine, conferma l’esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze del coniuge del debitore,de i suoi parenti e affini fino al quarto grado, dei cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato.
Il comma 3 dell'articolo 15, interviene, da ultimo, sull'art. 178 della legge fallimentare riguardante le "Adesioni alla proposta di concordato".
Al riguardo, le modifiche previste consistono:
§ nel prevede che il cancelliere annoti in calce al verbale dell'adunanza dei creditori anche le adesioni pervenute per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale;
§ nel sopprimere la previsione in base alla quale le adesioni sono valutate agli effetti del computo della maggioranza dei crediti solamente se il concordato è stato approvato dalla maggioranza dei creditori votanti nell’adunanza, senza che tale maggioranza abbia raggiunto i 2/3 della totalità dei crediti.
Il successivo articolo 16 del decreto legislativo, composto da sei commi, interviene, invece, sul Titolo III (Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione), Capo V (Dell'omologazione e dell'esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di ristrutturazione di debiti) della legge fallimentare.
Nello specifico, mentre il comma 1, apporta una modifica di coordinamento all'art. 179 della legge fallimentare, riguardante, la mancata approvazione delconcordato, il successivo comma 2novella in più parti l'art. 180 della legge fallimentare, riguardante il giudizio di omologazione.
Al riguardo, le modifiche consistono, in primo luogo, nel prevedere l'obbligo:
§ nei confronti del giudice delegato, di riferire immediatamente al Tribunale dell'avvenuta approvazione del concordato;
§ nei confronti del Tribunale, di disporre la pubblicazione del provvedimento di approvazione del concordato ai sensi del già richiamato articolo 17 della legge fallimentare.
In secondo luogo, nel caso in cui non vi siano opposizioni, il medesimo comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo prevede che il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologhi il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.
Viceversa, nel caso in cui vengano proposte opposizioni, la modifica prevede la possibilità del Tribunale di omologare, comunque, il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Da ultimo, nel caso in cui sia respinto il concordato, è stabilito che il Tribunale, all'esito del procedimento di omologazione, può dichiarare il fallimento del debitore con separata sentenza, sempre che vi sia una specifica istanza di uno dei creditori che partecipano alla procedura, ovvero del pubblico ministero.
Il successivo comma 3dell'articolo 16 del decreto legislativo aggiunge all’art. 182 della legge fallimentare quattro nuovi commi destinati a dettare una più completa e razionale disciplina della liquidazione dei beni ceduti ai creditori con il concordato, garantendo che le operazioni liquidatorie si svolgano correttamente ed efficacemente nell'interesse dei creditori.
In primo luogo il nuovo comma 1-bis prevede che ai liquidatori si applichino gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 della legge fallimentare, concernenti, rispettivamente i requisiti per la nomina a curatore fallimentare, l'accettazione da parte del curatore, la revoca e la responsabilità del curatore, il compenso e il rendiconto del curatore.
Ai sensi del successivo nuovo comma 1-ter, si applicano al comitato dei creditori, in quanto compatibili, gli articoli 40 e 41 della legge fallimentare, concernenti, in particolare la nomina e le funzioni del citato comitato. Al riguardo, il medesimo nuovo comma 1-ter precisa che alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.
Al medesimo comitato dei creditori il nuovo comma 1-quater affida, poi, il compito di autorizzare le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell’azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco.
Da ultimo, la modifica apportata all'art. 182 della legge fallimentare è volta a prevedere espressamente l'applicabilità alla fattispecie contemplata da tale norma delle disposizioni previste dagli articolo 105 e 108 della medesima legge che, in tema di fallimento, disciplinano, rispettivamente, la vendita dell'azienda, di rami, di beni e rapporti in blocco e i poteri del giudice delegato.
Il successivo comma 4 dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 169/2007 interviene sull'art. 182-bis della legge fallimentare, in materia di "Accordi di ristrutturazione dei debiti".
In relazione alle novità, si segnala che il comma 4, oltre ad una modifica di carattere formale precisa, in primo luogo, i requisiti che deve possedere l'esperto chiamato a redigere la relazione sulla attuabilità dell'accordo, richiamando, al riguardo quanto previsto dalle già illustrata lettera d) del terzo comma dell'art. 67 della legge fallimentare, in materia di Requisiti per la nomina a curatore.
In secondo luogo, dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, si prevede l’impossibilità - da parte dei creditori per titolo e causa anteriore a tale data - di avviare azioni esecutive o cautelari e proseguire quelle già intraprese, sul patrimonio del debitore.
Il comma 5 dell’art. 16 del decreto correttivo sostituisce l’ultimo comma dell’art. 182-ter della legge fallimentare, relativo alla transazione fiscale.
Il previgente testo stabiliva che ai debiti tributari amministrati dalle agenzie fiscali non si applicassero le disposizioni relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis. Sostanzialmente, la nuova norma ammette,invece, la proposta di transazione fiscale anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis.
Si stabilisce, quindi, che la proposta di transazione fiscale è depositata presso gli uffici del concessionario della riscossione, che procedono alla trasmissione e alla liquidazione ivi previste. Nei successivi 30 giorni l'assenso alla proposta di transazione è espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del direttore dell'ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme parere della competente direzione generale. L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione..
Il comma 6 dell'articolo 16 riformula, infine, l'art. 183 della legge fallimentare prima rubricato "Appello contro la sentenza di omologazione" ed ora rubricato semplicemente "Reclamo".
La disposizione, coordinandosi con talune delle precedenti modifiche illustrate, è volta a:
§ sostituire con il reclamo l'appello, attualmente previsto quale mezzo di impugnazione delle decisioni che omologano o respingono il concordato:
§ sostituire la parola sentenza con decreto in relazione al provvedimento del Tribunale che omologa o respinge il concordato.
§ prevedere la possibilità di presentare reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento nel caso sopra richiamato in cui questa sia pronunciata ai sensi dell'art. 180 della legge fallimentare,riguardante il giudizio di omologazione del concordato preventivo.
Il successivo articolo 17 del decreto legislativo, interviene, invece, sull'art. 186 della legge fallimentare, concernente la risoluzione e l'annullamento del concordato ed inserito all'interno del Titolo III (Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione), Capo VI (Dell'esecuzione, della risoluzione e dell'annullamento del concordato preventivo) della legge fallimentare.
Al riguardo, particolarmente innovativa è la disposizione secondo la quale il concordato non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza. In secondo luogo, poi, è previsto che l'eventuale richiesta di risoluzione del concordato venga proposta entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato.
Il successivo articolo 18, composto da sei commi, interviene sul Titolo V (Della liquidazione coatta amministrativa) della legge fallimentare.
Nello specifico, mentre il comma 1 sostituisce, all'art. 195 della legge fallimentare in materia di accertamento giudiziario dello stato d'insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa, la parola "appello" con la parola "reclamo", il successivo comma 2 novella il successivo art. 209 al fine di richiamare le nuove disposizioni in materia di accertamento dello stato passivo.
Il comma 3 prevede l'abrogazione dell'art. 211 della legge fallimentare recante disposizioni in materia di Società con responsabilità sussidiaria limitata o illimitata dei soci.
Il citato articolo 211 stabiliva che, nella liquidazione di una società con responsabilità sussidiaria limitata o illimitata dei soci, il commissario liquidatore, dopo il deposito nella cancelleria del tribunale dell'elenco dei crediti ammessi o respinti e delle domande di rivendica e restituzione ammesse o respinte - previa autorizzazione dell'autorità che vigila sulla liquidazione – potesse chiedere ai soci il versamento delle somme che egli ritenevanecessarie per l'estinzione delle passività. Si osservano per il rimanente le disposizioni dell'art. 151, sostituiti ai poteri del giudice delegato quelli del presidente del tribunale e al curatore il commissario liquidatore ed escluso il reclamo a norma dell'art. 26.
Il successivo comma 4, interviene, invece, sull'art. 213 della legge fallimentare, in materia di Chiusura della liquidazione, onde recepire le indicazioni della Corte costituzionale che con la sentenza n. 154 del 2006 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 213, comma secondo, nella parte in cui faceva decorrere, nei confronti dei creditori ammessi, il termine perentorio di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di riparto, totale, o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell'avvenuto deposito a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altra modalità prevista dalla legge.
Al riguardo, la modifica apportata è volta a prevedere che dell’avvenuto deposito, a cura del commissario liquidatore, del bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto tra i creditori, accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza, venga data comunicazione ai creditori ammessi al passivo ed ai creditori prededucibili nelle forme previste dall’articolo 26, terzo comma, della legge fallimentare[136] e ne venga, altresì, data notizia mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e nei giornali designati dall’autorità che vigila sulla liquidazione.
Il comma 5 dell’articolo 18 del decreto interviene sull'art. 214 della legge fallimentare, riguardante il concordato. Al riguardo, è in primo luogo soppresso il riferimento al fatto che la proposta di concordato deve indicare le condizioni e le eventuali garanzie.
In secondo luogo, viene stabilito che la proposta di concordato venga comunicata dal commissario a tutti i creditori ammessi al passivo nelle forme previste dal già citato art. 26, terzo comma, e pubblicata mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e deposito presso l’ufficio del registro delle imprese. I creditori e gli altri interessati possono presentare nella cancelleria le loro opposizioni nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione fatta dal commissario per i creditori e dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie di cui al secondo comma per ogni altro interessato.
Da ultimo il comma 6 dell'articolo 18 novella l'art. 215 della legge fallimentare in materia di Risoluzione e annullamento del concordato.
Al riguardo, oltre alla soppressione dell'inciso secondo il quale non è soggetta a gravame la sentenza che pronuncia la risoluzione del concordato nel caso in cui il concordato non sia eseguito, la nuova formulazione dell'articolo 215 della legge fallimentare richiama espressamente l'applicabilità alla fattispecie contemplata da tale norma dei commi da 1 a 6 del citato art. 137 della legge fallimentare.
L’articolo 20 del decreto legislativo sopprime la lettera a) dell'articolo 5, comma 2 del citato decreto legislativo n. 114 del 1998 che vietava l'iscrizione nel registro delle imprese dei soggetti dichiarati falliti, fino alla pronuncia della sentenza di riabilitazione.
L'articolo 21 prevede le abrogazioni di disposizioni del TU sul casellario giudiziario (DPR n. 313 del 2002) che stabilivano le iscrizioni obbligatorie nel casellario (certificato generale, civile e penale) dei provvedimenti giudiziari relativi al fallimento e al concordato.
Infine, l'articolo 22 fissa al 1° gennaio 2008 l’entrata in vigore della disciplina introdotta dal decreto correttivo e reca, nel contempo, specifiche disposizioni transitorie.
[1] Si tratta del decreto legislativo n. 160 del 2006, recante “Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150.
[2] La legge reca: Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico.
[3] Recante disposizioni per il Coordinamento delle disposizioni in materia di elezioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei consigli giudiziari, a norma dell’articolo 7, comma 1, della legge 30 luglio 2007, n. 111.
[4] Fino al 28 luglio 2008.
[5] Convertito in legge dall’articolo 1 della legge n. 31 del 2008.
[6] Recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).
[7] Il decreto legge, n, 259 del 2006, recante “Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche” è stato convertito dalla legge 20 novembre 2006, n. 281.
[8] Si tratta delle proposte C. 366, C. 1164, C. 1165, C. 1170, C. 1257, C. 1344, C. 1587, C. 1594.
[9] Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
[10] A tale proposta di legge sono state abbinate la proposta di legge A.C. 809 (Ascierto) e il disegno di legge del Governo A.C. 1967.
[11] Al riguardo, si ricorda che nella seduta dell’Aula del 18 luglio 2006 l’Assemblea ha approvato la proposta della Commissione giustizia di stralciare le disposizioni in materia di amnistia.
[12] Recante norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
[13] Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, aticolo 2, commi da 445 a 449.
[14] Si tratta delle proposte di legge A.C. 3838 ed abb.
[15] Si tratta del disegno di legge A.C. 1495.
[16] Si tratta delle proposte di legge A.C. 1289 ed abb.
[17] Tale testo è allegato al resoconto della seduta della Commissione giustizia del 7 novembre 2007.
[18] Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366.
[19] Si tratta del Decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 (Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE) e del Decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione).
[20] Lo stralcio è stato deliberato dall'Assemblea nella seduta del 17 ottobre 2007.
[21] Recante Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.
[22] Recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
[23] Convertito dall’articolo 1 della legge n. 41 del 2007.
2 Alla Camera dei deputati, il decreto legge, contenendo disposizioni rientranti nella competenza delle Commissioni giustizia e cultura è stato esaminato congiuntamente dalle citate Commissioni. Al Senato, viceversa, il medesimo provvedimento è stato esaminato in sede referente dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e giustizia.
[25] In precedenza era prevista la reclusione da 3 a 18 mesi o la multa fino a 1.549 euro.
[26] In precedenza tali misure potevano essere disposte dal giudice per una durata da 2 mesi a 2 anni).
[27] Legge 25 febbraio 2008, n. 34, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 2007).
[28] Il decreto legge reca: “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”.
[29] D. Lgs. 169/2007 reca: "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80".
[30] La legge reca Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato.
[31] La nuova direttiva europea 2005/36/CE, recepita in Italia con il citato decreto legislativo n. 206 del 2007 sostituisce tutte le quindici direttive che dagli anni '70 al 20 ottobre 2007 hanno disciplinato il riconoscimento delle qualifiche professionali: le direttive Sistemi generali (89/48/CEE, 92/51/CEE, 99/42/CE) e le direttive settoriali (77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE) riguardanti le professioni d'infermiere professionale, odontoiatra, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico.
[32] In merito all'estensione di tale divieto, la Suprema Corte aveva osservato che "È nullo il patto di quota lite stipulato da un ragioniere con il proprio cliente poiché il termine "patrocinatori" contenuto nel comma 3 dell'art. 2033 c.c. individua una categoria generale cui appartengono tutti quei professionisti che, pur non essendo né avvocati né procuratori, sono oggi abilitati alla difesa in sede di controversie giudiziali" (Cass. 23 giugno 1998, n. 6203).
[33] Come segnalato nella nota iniziale presentata dal Gruppo (documento del Consiglio 13521/1/06), l’idea di avviare lavori nel settore della Giustizia elettronica “era già stata più volte avanzata in vari consessi internazionali sulla giustizia e le nuove tecnologie”.
[34] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.legifrance.gouv.fr/WAspad/UnTexteDeJorf?numjo=JUSX0600155L
[35] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.legifrance.gouv.fr/WAspad/UnTexteDeJorf?numjo=JUSX0600156L
[36] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.bgblportal.de/BGBL/bgbl1f/bgbl106s3171.pdf
[37] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.bgblportal.de/BGBL/bgbl1f/bgbl106s3416.pdf
[38] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.bgblportal.de/BGBL/bgbl1f/bgbl107s2894.pdf
[39] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.legislation.hmso.gov.uk/acts/acts2005/20050004.htm
[40] Il documento è consultabile all’indirizzo internet: http://www.dca.gov.uk/supreme/index.htm
[41] Il testo della legge è consultabile all’indirizzo internet: http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2007/20070015.htm
[42] Il testo ufficiale della legge può essere consultato all’indirizzo Internet http://www.legifrance.gouv.fr/WAspad/UnTexteDeJorf?numjo=INTX0500242L.
[43] Testo della legge all’indirizzo Internet http://www.bgblportal.de/BGBL/bgbl1f/bgbl106s3409.pdf.
[45] Testo ufficiale della legge all’indirizzo http://www.bgblportal.de/BGBL/bgbl1f/bgbl107s2523.pdf,
[46] Testo ufficiale della legge all’indirizzo http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2006/20060011.htm.
[47] Testo della legge all’indirizzo http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2007/pdf/ukpga_20070027_en.pdf.
[48] Testo della legge all’indirizzo http://www.boe.es/boe/dias/2007/10/09/pdfs/A40969-40972.pdf.
[49] Recante la legge sulle “Guarentigie della magistratura”.
[50] Recante “Norme sulla costituzione dei Consigli giudiziari”.
[51] Il decreto legislativo reca: Coordinamento delle disposizioni in materia di elezioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, a norma dell'articolo 7, comma 1, della legge 30 luglio 2007, n. 111.
[52] La legge reca: Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico.
[53] Si ricorda che il comma 7 dell’art. 1 del D.Lgs 160/2006 (una delle norme maggiormente oggetto di discussione) prevedeva che, nell'ambito delle prove orali, i candidati dovessero sostenere un colloquio di idoneità psico-attitudinale all'esercizio della professione di magistrato, anche in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione. La valutazione dell'esito del colloquio, condotto dal professore universitario incaricato (scelto tra i docenti di una delle classi di laurea in scienze e tecniche psicologiche di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica del 4 agosto 2000) era operata collegialmente dalla commissione.
[54] DPR 26 luglio 1976, n. 752, Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego.
[55] Il citato articolo 13 reca disposizioni in materia di Aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità. In particolare, il comma 2 prevede che "hanno diritto a richiedere una limitazione dell'attività didattica i professori di ruolo che ricoprano la carica di rettore, pro-rettore, preside di facoltà e direttori di dipartimento, di presidente di consiglio di corso di laurea, di componente del Consiglio universitario nazionale. La limitazione è concessa con provvedimento del Ministro della pubblica istruzione e non dispensa dall'obbligo di svolgere il corso ufficiale".
[56] Il RD reca Modificazioni al regolamento per il concorso di ammissione in magistratura contenuto nel R.D. 19 luglio 1924, n. 1218.
[57] Tale articolo è stato soppresso dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 160 del 2006 con la decorrenza indicata nell'articolo 56 dello stesso decreto (31 luglio 2007).
[58] Ai sensi di tale norma, alla DNA sono addetti, quali sostituti, magistrati con funzione di magistrati di corte di appello, nominati sulla base di specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. Alle nomine provvede il Consiglio superiore della magistratura, sentito il procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia designa uno o più dei sostituti procuratori ad assumere le funzioni di procuratore nazionale antimafia aggiunto. Per la nomina dei sostituti, l'anzianità nel ruolo può essere valutata solo ove risultino equivalenti i requisiti professionali.
[59] Al riguardo si segnala che recentemente (10 aprile 2008) il CSM, d’intesa con il Ministero della giustizia, ha approvato gli “Indicatori dell’attitudine direttiva” dei magistrati (cfr. http://www.giustizia.it/data/multimedia/2412.pdf).
[60] D. Lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
[61] Con DM 27 aprile 2006, il Ministro della Giustizia (Castelli), di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, ha individuato le province in cui avrebbero trovato sede le tre Scuole Superiori della Magistratura: la sede centrale nella provincia di Latina e le due sedi decentrate nelle province di Bergamo e Catanzaro. Con successivo DM 30 novembre 2006, il Ministro della Giustizia (Mastella) ha modificato tale scelta ed ha individuato diverse sedi: sede centrale, Firenze; Sede nord, Bergamo; Sede sud, Benevento.
[62] Il citato articolo 5 prevedeva, infatti, l’applicazione delle nuove norme a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge.
[63] Tali procedure prevedono – tra l’altro – una fase preparatoria comprendente la pubblicazione dei bandi per i posti vacanti, la raccolta delle candidature, la ricezione dei pareri da parte dei consigli giudiziari, degli Ordini degli avvocati e dei dirigenti degli uffici.
[64] Legge 30 luglio 2007, n. 111, Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario.
[65] Decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150.
[66] Nel citato ordine del giorno, si legge: «La Camera, premesso che: la scelta di non apportare modifiche al testo del decreto-legge n. 259 del 2006, così come modificato dal Senato, non deriva da una piena condivisione delle sue disposizioni, quanto piuttosto dall'esigenza di evitare il rischio di una mancata conversione del decreto-legge, il quale è diretto a colmare un vuoto normativo che si è andato sempre più manifestando in ordine ad un fenomeno di estrema gravità, come quello della detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente nonché ad informazioni illecitamente raccolte; una seconda lettura da parte del Senato del disegno di legge non può oggi essere effettuata in tempi utili per la conversione del decreto-legge, il cui termine di decadenza scade il 21 novembre prossimo; è opportuno convertire il decreto-legge - nonostante le perplessità che esso suscita in relazione al provvedimento di distruzione della documentazione illecita, all'ambito applicativo della nuova fattispecie penale ed alle disposizioni applicabili ai giornalisti - in quanto tale provvedimento è stato comunque in grado di produrre un significativo effetto preventivo; rilevato che: l'esame del disegno di legge di conversione da parte dell'Assemblea pressoché in concomitanza con la data di decadenza del decreto-legge ha significato di fatto che la Camera non è stata in grado di svolgere pienamente le funzioni attribuitele dalla Costituzione, in quanto, per scongiurare la mancata conversione del decreto, i gruppi - compiendo una sofferta scelta politica - hanno rinunciato a modificare il testo trasmesso dal Senato, anche laddove le modifiche sarebbero state opportune, se non addirittura necessarie, oltre che condivise; non è la prima volta dall'inizio della legislatura che, in una materia così delicata come la giustizia, scadenze temporali hanno portato, anche alla luce dell'asimmetrica composizione dei due rami del Parlamento conseguente all'esito elettorale, ad una sostanziale ratifica dei testi licenziati dal Senato, sancendone una sorta di immodificabilità che contrasta con il modello costituzionale del bicameralismo perfetto; l'esperienza maturata nella fase di avvio della legislatura raccomanda, pertanto, la valutazione e l'attivazione di ogni strumento utile - nell'ottica della dialettica tra Parlamento e Governo così come nell'ottica del dialogo e della consultazione tra le forze politiche ed i relativi gruppi parlamentari - al fine di prevenire il ripetersi di analoghe situazioni nell'una o nell'altra Camera; occorre, al riguardo, innanzitutto una particolare attenzione da parte del Governo nella scelta della Camera alla quale trasmettere i propri disegni di legge, tenendo conto della programmazione dei lavori delle Assemblee, considerato che, nel caso in oggetto, dalla presentazione del disegno di legge di conversione al Senato è derivata come diretta conseguenza la coincidenza dell'esame da parte dell'Assemblea della Camera dei deputati con la sessione di bilancio nonché con la stessa data di scadenza del decreto, con ciò venendosi di fatto a creare una situazione di sostanziale immodificabilità del testo trasmesso dal Senato; ritenuto che già in occasione dell'esame dei progetti di legge in materia di intercettazioni legali, iscritti nel programma dell'Assemblea per il mese di dicembre ed attualmente all'esame della Commissione giustizia, possano essere apportate le seguenti modifiche al decreto-legge una volta che sia stato convertito: a) previsione di un procedimento di distruzione del materiale illecito da parte del giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, che tuteli sia il diritto di difesa dell'indagato che gli interessi dei soggetti coinvolti, ma che non comporti la diffusione di tale materiale, come invece rischia di far accadere la disciplina di cui all'articolo 1 del decreto-legge, così come modificato dal Senato; b) eliminazione dalla fattispecie penale, di cui all'articolo 3, del riferimento al provvedimento di distruzione della documentazione illecita, che, oltre a non essere condivisibile perché non consente di punire colui che detiene il materiale di cui sia stata disposta la secretazione ma la cui distruzione non sia stata ancora disposta, suscita seri dubbi interpretativi circa l'elemento soggettivo del reato; c) formulazione di un apparato sanzionatorio penale ed amministrativo che punisca in maniera proporzionale alla gravità dei fatti le condotte di coloro che formano, utilizzano ovvero pubblicano contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente nonché ad informazioni illecitamente raccolte; d) modificazione della disciplina dell'azione di riparazione del danno, di cui all'articolo 4 del decreto-legge, al fine di evitare una eccessiva e sproporzionata penalizzazione degli organi di informazione nonché il rischio che il meccanismo ivi previsto possa mettere in discussione la stessa sopravvivenza di quelle testate giornalistiche che non hanno la capacità economica di resistere ad un indennizzo tanto cospicuo come quello previsto; impegna il Governo ad adottare già in occasione dell'esame dei disegni di legge in materia di intercettazioni legali tutte le iniziative, anche di natura normativa, che siano consequenziali alle considerazioni espresse nella parte motiva dell'ordine del giorno. (9/1838/1.Pisicchio, Lussana, Buemi, Mazzoni, Bongiorno, Daniele Farina, Pecorella, Laurini, Maran, Palomba, Gambescia, Vitali)».
[67] Cfr. C. Malavenda, Così l’eliminazione compromette la difesa, in “Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto”, numero 47 del 9 dicembre 2006, pag. 22 e ss. Per un commento al decreto legge e alla relativa legge di conversione si vedano anche D. Manzione, E. Marzaduri, E. Mengoni, C. Favilli, in Legislazione penale, 2007, n. 1.
[68] Si tratta delle proposte C. 366, C. 1164, C. 1165, C. 1170, C. 1257, C. 1344, C. 1587, C. 1594, assorbite dal disegno di legge del Governo.
[69] D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318, Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni.
[70] D.M. 26 aprile 2001, Approvazione del listino relativo alle prestazioni obbligatorie per gli organismi di telecomunicazioni.
[71] D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche.
[72] La norma costituzionale assoggetta, infatti, ogni restrizione della libertà personale a duplice garanzia: riserva di legge (essendo le misure coercitive possibili nei soli casi e modi previsti dalla legge) e riserva di giurisdizione (essendo tali misure adottabili solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria).
[73] Decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 31 luglio 2005, n. 155.
[74] Si tratta delle proposte di legge C. 4161 (Franz ed altri) e C. 4682 (Onnis ed altri); nel corso dell’iter in XIV legislatura presso la II commissione era stata deliberata l’adozione come testo base della proposta di legge A.C. 4682.
[75] Adottata dalla Commissione giustizia come testo base sul quale presentare emendamenti.
[76] Il comma 2 dell'art. 1 del provvedimento, così come licenziato dalla Commissione giustizia della Camera, prevedeva anche la possibilità di estinzione delle pene accessorie; tale disposizione è stata soppressa nel corso dell'esame del provvedimento in Assemblea.
[77]Fonte: “Indulto e recidiva. Uno studio dopo sei mesi dall’approvazione del provvedimento” pubblicata sul sito Internet del Ministero della giustizia (http://www.giustizia.it/data/multimedia/1960.pdf).
[78] Rientrano in tale tipologia: contratti bancari, contratti assicurativi, contratti di somministrazione (elettricità, acqua, telefono,gas...), contratti di prestazione d'opera (conferimento d'incarico a un mediatore, trattamenti terapeutici..), contratti per l'acquisto di beni (acquisto di auto, arredi, vendite a domicilio di libri…) contratti per la fornitura di servizi (iscrizione a corsi, deposito e custodia di beni...).
[79] Ai sensi dell'art. 137, comma 2, del Codice del consumo, l'iscrizione nell'elenco è subordinata al possesso, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, dei seguenti requisiti:
a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro;
b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;
c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità di cui agli artt. 46 e ss del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ;
d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute;
e) svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni precedenti;
f) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione.
[80] L’art. 1342 c.c. stabilisce che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate. In virtù del richiamo al secondo comma dell'art. 1349, per tali contratti non hanno in ogni caso effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria.
[81] Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366.
[82] Si tratta del Decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 (Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE) e del Decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione).
[83] D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300.
[84] Lo stralcio è stato deliberato dall'Assemblea nella seduta del 17 ottobre 2007.
[85] Il citato articolo 339 del codice penale stabilisce le circostanze aggravanti per i delitti contemplati dagli articoli 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (Resistenza ad un pubblico ufficiale), e 338 (Violenza o minaccia ad un Corpo politico amministrativo o giudiziario) del medesimo codice penale. In particolare ai sensi del richiamato articolo 339 le pene stabilite nei citati tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite , o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni.
[86] Recante Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.
[87] Recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
[88] Cfr. articolo 1-quater del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28 recante “Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive” convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, che ha introdotto precise disposizioni in ordine all’organizzazione delle gare ed ai requisiti degli impianti sportivi, anche con riguardo all’emissione di biglietti in numero congruo alla capienza dell’impianto. Le misure richieste hanno ad oggetto inoltre la numerazione dei biglietti d’accesso, la presenza di metal detectors ai varchi d’ingresso, la presenza di strumenti per la rilevazione televisiva delle aree riservate al pubblico sia all’interno dell’impianto sia nelle immediate vicinanze, l’installazione di mezzi atti alla separazione delle tifoserie.
[89] In precedenza era prevista la reclusione da 3 a 18 mesi o la multa fino a 1.549 euro.
[90] In precedenza tali misure potevano essere disposte dal giudice per una durata da 2 mesi a 2 anni).
[91] In precedenza era prevista la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
[92] Si ricorda che, ai sensi dell'art. 382 c.p., è in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima. Nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza.
Si ricorda, altresì, che ai sensi dell'art. 13, comma terzo, della Costituzione, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori di limitazione della libertà personale solo in casi tassativamente individuati dalla legge, caratterizzati da eccezionale necessità e urgenza.
[93] Si tratta dei limiti previsti dagli artt. 274, comma 1, lettera c) (Esigenze cautelari), e 280 c.p.p. (Condizioni di applicabilità delle misure coercitive).
[94] Cfr. decreto legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), art. 6, comma 1.
[95] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 583 c.p., la lesione personale è grave quando: a) dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni; b) il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo.
La lesione personale è gravissima se dal fatto deriva: a) una malattia certamente o probabilmente insanabile; b) la perdita di un senso; c) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; d) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.
[96] L’art. 339, comma 2, c.p. prevede:
- la reclusione da 3 a 15 anni laddove il delitto di violenza o minaccia al pubblico ufficiale per costringerlo a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dovuto (art. 336, co. 1, c.p.), il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e il delitto di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.) siano commessi da più di 5 persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di 10 persone, pur senza uso di armi;
- la reclusione da 2 a 8 anni laddove il delitto di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale per costringerlo a compiere un atto del proprio ufficio (art. 336, co. 2, c.p.) sia commesso da più di 5 persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di 10 persone, pur senza uso di armi.
[97] Legge 25 febbraio 2008, n. 34, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007).
[98] Il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale ma tuttavia richiede che il giudice nazionale prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo può ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro; cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, causa C-105/2003, Pupino, sentenza del 16 giugno 2005.
[99] Al riguardo, si segnala che il termine previsto dall'articolo 9, paragrafo 1, della citata decisione quadro per la relativa attuazione è scaduto il 22 luglio 2005.
[100]Il criterio direttivo in esame riproduce in buona sostanza il testo dell'art. 2, comma 1, lettera b), della decisione-quadro 2003/568.
[101]Tale criterio direttivo riproduce il testo dell'art. 2, comma 1, lettera a), della decisione-quadro 2003/568.
[102]Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
[103]Il criterio direttivo in questione è finalizzato all'attuazione degli artt. 5 e 6 della decisione quadro, ai sensi dei quali ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili degli illeciti di cui sopra commessi a loro beneficio.
[104]Ai sensi dell'art. 14, paragrafo 1, della decisione quadro, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le misure di attuazione entro il 2 agosto 2005.
[105]Si tratta dei medesimi reati per i quali si può procedere a consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione: partecipazione a un'organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione e contraffazione di monete, tra cui l'euro, criminalità informatica, criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali, omicidio volontario, lesioni personali gravi, traffico illecito di organi e tessuti umani, rapimento, sequestro e presa di ostaggi, razzismo e xenofobia, furti organizzati o con l'uso di armi, traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte, truffa, racket e estorsioni, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, falsificazione di mezzi di pagamento, traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita, traffico illecito di materie nucleari e radioattive, traffico di veicoli rubati, stupro, incendio volontario, reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale, dirottamento di aereo/nave, sabotaggio.
[106]Si tratta della mancanza o irregolarità del certificato che deve accompagnare la trasmissione del provvedimento; esistenza di immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato di esecuzione che rendono impossibile l'esecuzione dello stesso; rischio di violazione del principio del ne bis in idem; se, al di fuori dei reati elencati all'art. 3, comma 2, il fatto che è alla base del provvedimento non costituisce un reato ai sensi della legge di esecuzione.
[107]Ciò accade quando l'esecuzione del provvedimento potrebbe pregiudicare un'indagine penale in corso; i beni o la prova interessati hanno già formato oggetto di un provvedimento analogo, fino alla revoca di tale provvedimento.
[108]La lettera in questione riproduce l'art. 10, par. 2, della decisione quadro. Mentre l'autorità dell'esecuzione deve procedere immediatamente a dare esecuzione al provvedimento di blocco o sequestro dei beni (si veda la lettera (i)) e può rifiutare l'esecuzione del provvedimento nei casi tassativamente indicati dalla decisione quadro (si veda la lettera (m)), al momento di effettuare il trasferimento della fonte di prova o la confisca del bene essa potrà - salvo quanto previsto dalla successiva lettera (s) - invocare tutti i motivi di rifiuto della cooperazione giudiziaria prevista nel diritto convenzionale. Anche in questo caso, viene effettuato un rinvio mobile e pertanto le cause di legittimo rifiuto della cooperazione aumenteranno o diminuiranno a seconda del modificarsi del diritto convenzionale. In merito, è stato osservato in dottrina che «il meccanismo prefigurato nella decisione quadro rischia di generare un certo squilibrio. Da una parte, il bene deve essere sottoposto a blocco o sequestro pressoché automaticamente, in quanto l'autorità dello Stato di esecuzione non potrà opporre rifiuto se non per vizi formali del procedimento o per impedimenti esterni ad esso (esistenza di un precedente giudicato o di una immunità o privilegio). Dall'altra, nella sequenza successiva alla ablazione del bene, la decisione quadro attribuisce alla autorità dello Stato di esecuzione poteri di rifiuto della consegna, numerosi e innominati, sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali. Il sistema appare quindi asimmetrico: nella fase passiva, si potrà opporre allo Stato di emissione il pregiudizio alla sovranità, alla sicurezza, all'ordine pubblico, agli altri interessi essenziali, ma soltanto dopo aver eseguito il provvedimento di blocco o sequestro dei beni» (cfr. G. Iuzzolino, Il congelamento dei beni da sottoporre a sequestro o confisca, in G.M. Armone, B.R. Cimini, F. Gandini, G. Iuzzolino, G. Nicastro, A. Pioletti, Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, 2006, pagg. 42 e ss.).
[109]Ai sensi dell'art. 6, par. 1, della decisione quadro, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le misure necessarie per la sua attuazione entro il 15 marzo 2007.
[110]Ciò è evidenziato nel primo considerando alla decisione quadro: "La motivazione fondamentale della criminalità organizzata transfrontaliera è il profitto economico. Un'efficace azione di prevenzione e lotta contro la criminalità organizzata deve pertanto concentrarsi sul rintracciamento, il congelamento, il sequestro e la confisca dei proventi di reato. Questo è tuttavia ostacolato tra l'altro dalle differenze tra le legislazioni in materia degli Stati membri".
[111]Per completezza, si ricorda che l'ordinamento italiano prevede anche la confisca di prevenzione, irrogata indipendentemente dalla previa commissione di un fatto costituente reato, per contenere la pericolosità sociale di determinate categorie di soggetti. L’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n, 575, recante "Disposizioni contro la mafia", prevede che, nel corso del procedimento di applicazione di una delle misure di prevenzione personale previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (sorveglianza speciale, divieto o obbligo di soggiorno), il tribunale ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Con l'applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza.
[112]Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
[113]Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
[114] Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001.
[115]Cfr. G. Iuzzolino, L'armonizzazione della confisca, in G.M. Armone - B.R. Cimini - F. Gandini - G. Iuzzolino - G. Nicastro - A. Pioletti, Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, Milano, 2006, pagg. 360 e ss.
[116]Ai sensi dell’articolo 514 del codice di rito, sono assolutamente impignorabili le cose sacre e quelle che servono all'esercizio del culto; gli oggetti strettamente personali (es. anello nuziale, vestiti, letti, tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, frigorifero, lavatrice); beni materiali necessari per un mese al mantenimento del debitore; le armi e gli oggetti che il debitore ha l'obbligo di conservare per l'adempimento di un pubblico servizio; decorazioni, lettere e scritti personali.
[117]Decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356.
Nello specifico, l'art. 12-sexies prevede la confisca obbligatoria per i delitti di cui ai seguenti articoli: art. 314 c.p. (Peculato); art. 316 c.p. (Peculato mediante profitto dell'errore altrui); art. 316-bis c.p. (Malversazione a danno dello Stato); art. 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato); art. 317 c.p. (Concussione); art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d'ufficio); art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio); art. 319-ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari); art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio); art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione); art. 322-bis c.p. (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri); art. 325 c.p. (Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragioni d'ufficio), art. 416, sesto comma, c.p. (associazione per delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p.), art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso), art 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù), art. 601 c.p. (Tratta di persone), art. 602 c.p. (Acquisto e alienazione di schiavi), art. 629 c.p. (Estorsione), art. 630 c.p. (Sequestro di persona a scopo di estorsione), art. 644 c.p. (Usura), art. 644-bis c.p. (Usura impropria - tale articolo è stato abrogato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108), art. 648 c.p. (Ricettazione), esclusa la fattispecie di cui al secondo comma (se il fatto è di particolare tenuità), art. 648-bis c.p. (Riciclaggio), art. 648-ter c.p.(Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale, art. 12-quinquies, comma 1, dello stesso decreto-legge 306/1992 (trasferimento fraudolento di valori), artt. 73 (produzione traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), esclusa la fattispecie di cui al comma 5 (fatti di lieve entità), e 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. La confisca obbligatoria è poi prevista, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 12-sexies, per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, nonché, ai sensi del comma 2, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché a chi è stato condannato per un delitto in materia di contrabbando, nei casi di cui all'art. 295, secondo comma, del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale).
[118]Ai sensi dell'art. 20, par. 1, della decisione quadro, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le misure necessarie per attuarla entro il 22 marzo 2007.
[119]Ai sensi dell'art. 2 della decisione quadro, fatto salvo quanto previsto dall'art. 4 (che prevede la trasmissione diretta tra le autorità statali di emissione e di esecuzione), ciascuno Stato membro può, se l'organizzazione del proprio sistema interno lo rende necessario, designare una o più autorità centrali quali responsabili della trasmissione e ricezione amministrativa delle decisioni e dell'assistenza da fornire alle autorità competenti.
Si ricorda che il ricorso all'autorità centrale è previsto anche in materia di mandato d'arresto europeo (art. 7 della decisione quadro 2002/584/GAI), mentre non è previsto per il mandato di sequestro europeo (cfr. commento all’art. 30).
[120]Si ricorda che l'art. 5 della decisione quadro contiene l'elencazione dei reati in relazione ai quali il giudice dell'esecuzione che riceva il provvedimento straniero da eseguire non può verificare il rispetto del principio della doppia punibilità/incriminazione. Si ribadisce che l'ambito di esenzione da tale principio è più esteso di quanto accada nel mandato d'arresto europeo e nel mandato di sequestro europeo, non solo perché la lista di cui all'art. 5 contiene un numero maggiore di reati, ma anche perché, diversamente da arresto e sequestro, nel caso delle sanzioni pecuniarie non è prevista una soglia minima di sanzione al di sotto della quale il controllo della doppia incriminabilità è sempre ammesso.
Così come nel caso del mandato di sequestro europeo, anche quello operato dal criterio in esame è un rinvio mobile in quanto l'elencazione di cui all'art. 5, par. 1, della decisione quadro può essere ampliata in ogni momento dal Consiglio, deliberando all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo.
[121]Quest’ultimo dispone che qualora risulti totalmente o parzialmente impossibile dare esecuzione alla decisione, lo Stato di esecuzione può applicare sanzioni alternative, tra cui pene privative della libertà, ove la sua legislazione lo preveda e lo Stato della decisione abbia consentito l'applicazione di tali sanzioni alternative nel certificato.
[122]L'art. 14 della decisione quadro prevede che le seguenti comunicazioni siano effettuate dall'autorità competente dello Stato di esecuzione senza indugio con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta:
§ trasmissione della decisione all'autorità competente, ai sensi dell'art. 4, par. 6;
§ eventuale decisione di non riconoscere ed eseguire una decisione, ai sensi dell'art. 7 o dell'art. 20, par. 3, con i motivi della decisione;
§ mancata esecuzione totale o parziale della decisione per i motivi di cui all'art. 8, all'art. 9, parr. 1 e 2, e all'art. 11, par. 1;
§ esecuzione della decisione, non appena l'esecuzione è stata conclusa;
§ applicazione di una sanzione alternativa, ai sensi dell'art. 10.
[123]L’elaborazione di norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità era stata sollecitata già nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 , cui era seguita la decisione quadro del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima del procedimento penale. In particolare, la decisione quadro mira a garantire alle vittime una migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei loro interessi, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino. Inoltre, la decisione quadro prevede disposizioni volte a fornire assistenza alle vittime prima e dopo il procedimento penale al fine di attenuare le conseguenze del reato.
[124]Legge 25 gennaio 2006, n. 29, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2005. La Direttiva n. 2004/80/CE era inserita nell’allegato B della legge.
[125]Decreto legislativo 25 luglio 2007, n. 151, Disposizioni sanzionatorie per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate.
[126]La necessità della norma si spiega con la circostanza che, sia nel caso dell'attuazione di direttive in via regolamentare o in via amministrativa, sia nel caso di vigenza nell'ordinamento italiano di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili all'interno dell'ordinamento), non vi è una fonte normativa di rango primario che possa introdurre norme sanzionatorie di natura penale. La finalità di tali disposizioni è, pertanto, quella di consentire al Governo di individuare una serie di sanzioni dirette a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell'ordinamento interno.
[127]A tal fine il decreto legislativo richiama le disposizioni dell’art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante “Modifiche al sistema penale”.
[128]Per quanto riguarda la responsabilità in solido del trasportatore, per la violazione commessa dal conducente, occorre far riferimento all’art. 6, co, 3, della legge n. 689 del 1981, ai sensi del quale “se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta”.
[129]Legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
[130]L’art. 214-bis del D.Lgs 285/1992 prevede l’alienazione ai custodi dei veicoli nei casi di sequestro amministrativo, fermo e confisca dei veicoli. Ai fini del trasferimento della proprietà, l'individuazione del custode-acquirente avviene, secondo criteri oggettivi riferibili al luogo o alla data di esecuzione del sequestro o del fermo, nell'àmbito dei soggetti che hanno stipulato apposita convenzione con il Ministero dell'interno e con l'Agenzia del demanio all'esito dello svolgimento di gare ristrette, ciascuna relativa ad àmbiti territoriali infraregionali.
[131]Il decreto legge reca: “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”.
[132]Il D. Lgs 169/2007 reca: "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80".
[133]Si ricorda che gli altri due requisiti sono i seguenti:
a) avere avuto, nei tre esercizi precedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale non superiore a 300.000 euro; b) aver realizzato, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi non superiori a 200.000 euro.
[134]La norma precedente stabiliva, invece, come necessaria tale motivazione solo se la domanda proposta era contestata dal curatore.
[135]Si tratta dei crediti primi nell’ordine di distribuzione dell’attivo; sono tali quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione del fallimento (spese della curatela, spese sostenute da altri nell’interresse di tutti i creditori, spese fatte dallo stesso fallito).
[136]In materia di Reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale.