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La seduta, sospesa alle 15,02, è ripresa alle 15,12.
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione congiunta sulle linee generali dei disegni di legge nn. 1746-bis e 1747.
È iscritto a parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Presidente, siamo in sede di discussione sulle linee generali del disegno di legge finanziaria, una legge che ha un peccato originale molto importante.
Le elezioni dello scorso aprile hanno consegnato al paese un Parlamento con una maggioranza di centrosinistra, ma sostanzialmente si è trattato di un risultato che ha diviso a metà l'elettorato. A fronte di questo dato l'elemento curioso è stato quello per cui non vi è stata una volontà di procedere in modo consequenziale a questo risultato politico. Vi è stata una maggioranza parlamentare, la metà del paese, che ha preteso sin dall'inizio, sin dalle prime nomine dei vertici istituzionali, di procedere in un determinato modo, a nostro avviso sbagliato, non tenendo conto dell'altra metà del paese.
Con questo peccato originale e con questo vizio di origine nasce la presente legislatura, nascono i provvedimenti che l'hanno contraddistinta; nasce anche questa legge finanziaria con in più un'aggravante che viene a sommarsi ai tanti elementi negativi, e cioè il fatto che questa maggioranza ha deciso di svolgere al proprio interno il dibattito sulla finanziaria, così come in precedenza lo ha svolto sul provvedimento conosciuto come Visco-Bersani, e su tutti gli altri provvedimenti e azioni politiche poste in essere dall'inizio della legislatura ad oggi, come se tutto fosse un problema interno al centrosinistra, interno all'Unione e magari lo strumento per risolvere le proprie beghe interne, per appiattire le proprie contraddizioni, cosa che in realtà non è riuscita perché quelle proprie contraddizioni si sono invece esasperate.
Ecco perché non si è aperto un confronto sulle priorità del paese, sull'esigenza di riforme strutturali che pure l'Europa ci impone; non si è aperto un confronto sul quadro generale, che pure alcuni volenterosi avrebbero voluto mettere in campo, al di là delle esigenze e del rispetto giusto e corretto del bipolarismo. Ciò è stato il frutto di una precisa volontà politica imposta dal centrosinistra, e in particolare all'interno del centrosinistra dalla sinistra del centrosinistra che ha prevalso.
Abbiamo quindi non solo una metà che pretende di governare l'Italia per tutti, ma una metà di questa metà che impone la propria visione; e quindi paradossalmente abbiamo un quarto della rappresentanza politica, cioè quella della sinistra massimalista, comunista, verde, che dà una impostazione alla legge finanziaria. Non è un caso che il ministro Ferrero dica: mi trovo più d'accordo oggi con Padoa Schioppa che non con Sergio Cofferati. Lo dice perché questo asse c'è, e perché questa finanziaria è improntata ad una linea politica dettata chiaramente dalla sinistra del centrosinistra, che penalizza fortemente tutto il resto della rappresentanza politica che in questa linea non si riconosce.
Non è un caso che - e lo ringrazio per la sua presenza - isolato, seppure presente in aula, vi è il viceministro Cento, perché degnamente rappresenta l'ispirazione di questa legge finanziaria che noi non condividiamo legittimamente, alla quale ci opponiamo, altrettanto legittimamente, non solo per quel vizio iniziale e
per quel peccato originale, ma anche per ragioni di metodo. Anche il metodo utilizzato infatti è di fronte agli occhi di tutti. È un disegno di legge finanziaria che è stato consegnato in ritardo in Parlamento, oltre i termini previsti dalla legge, cioè del 30 settembre: arriva in Parlamento il 1o ottobre, e oggi, a novembre ormai inoltrato, non è dato sapere quale sia il testo definitivo di questo disegno di legge di spesa pubblica e di questa manovra.
È evidente che c'è qualcosa che non va. Il Governo ha già fatto cassa, imponendo nuove gabelle con il decreto fiscale. Ed ha ragione chi parla di esproprio del Parlamento perché la Commissione bilancio non può non votare gli emendamenti. Ogni giorno c'è un tavolo parallelo al Parlamento in cui il Governo tratta con i sindacati o con le parti sociali, oppure la maggioranza discute al proprio interno - attraverso continue riunioni e crisi che si aprono e si richiudono tra palazzo Chigi e le aule dei gruppi parlamentari - e continua a portare avanti le proprie trattative, con nuovi emendamenti e nuove versioni dei testi. Esiste, sostanzialmente, un'incompatibilità negli oltre 170 emendamenti che sono stati presentati tra il Governo e il relatore sulla legge finanziaria; in più ci sono tutti gli altri emendamenti della maggioranza (sembra che sia stato dato l'ordine di scuderia di provare a ritirarli perché torna ad aleggiare l'incubo della questione di fiducia).
Sono state già poste otto questioni di fiducia e ci attendiamo che ne vengano poste ancora con la solita scusa, con la solita sceneggiata di qualche ministro o di qualche capogruppo di maggioranza che, quando il provvedimento arriva in aula, comincia a dire che ci sono troppi emendamenti, che non si vorrebbe porre la fiducia ma, ove si continuasse in tal modo, vi si sarebbe costretti: è la solita storia, è la solita scena, la conosciamo molto bene. Allora, ad oggi non conosciamo il testo, non conosciamo l'orientamento effettivo e definitivo del Governo sul disegno di legge finanziaria, non abbiamo certezza di quello che discuteremo se non per linee generali. Forse si può affrontare la discussione perché per linee generali abbiamo capito che le idee del Governo sono poche e molto confuse, ma abbiamo intuito le direttrici. Quando avremo un contenuto più serio, entreremo anche nel merito del provvedimento. È chiaro che i cittadini italiani possono avere ancora qualche tempo prima di sapere se verranno tassati i SUV o, magari, verranno esentati i veicoli euro 4. Ci importa poco, quello che ci interessa e ci preoccupa è che ogni giorno c'è una novità, ma le tasse non diminuiscono, bensì aumentano. L'impostazione generale è quella che ha evidenziato l'Europa, è quella per cui le agenzie di rating internazionali hanno declassato l'Italia: in questa legge finanziaria non ci sono riforme strutturali, la fase 2 non c'è qui e non ci sarà domani perché questa maggioranza non ha la forza di concludere la fase 1, figuriamoci la fase 2, dove si deve ampliare un ragionamento di riforme strutturali più importante e di lungo periodo. Forse si è deciso di rinviare a dopo gennaio la riforma delle pensioni - che, peraltro, è già stata fatta dal Governo Berlusconi - perché non c'era la forza politica né la coesione necessaria nella coalizione di governo: non c'era la coesione sul lavoro, vi manifestate contro tra di voi, figuriamoci se riuscite a mettere le mani sulle pensioni!
Permettetemi una considerazione sul lavoro, anche approfittando del fatto che l'esponente del Governo credibilmente era in piazza l'altro giorno a manifestare contro la propria maggioranza, e forse sarebbe stato il caso che i lavori della legge finanziaria li avesse seguiti e li seguisse anche il ministro Damiano. Una grossa parte della maggioranza parlamentare pensa legittimamente - noi non lo condividiamo - che questo paese sia in balìa del precariato. In questo preciso istante in Commissione lavoro si svolge l'audizione del presidente dell'Istituto nazionale di statistica, Luigi Biggeri, che sta spiegando come, in realtà, i contratti a termine in questo paese corrispondano soltanto al 9,5 per cento dell'intera forza lavoro. Quindi, non c'è un'emergenza precariato, ma legittimamente una parte di questa maggioranza
è convinta che il Governo stia facendo poco o nulla per risolvere il problema del precariato. E questo è un punto politico su cui quella parte della maggioranza - l'estrema sinistra, la sinistra massimalista, i Verdi, i Comunisti italiani, Rifondazione Comunista - ha fatto una campagna elettorale forte, ha preso il voto degli elettori, ha chiesto il consenso al suo elettorato con un programma preciso: quello di abolire la legge Biagi. Noi, che ci consideriamo e ci ispiriamo ad un'anima riformista, quella legge la vogliamo difendere.
Qualcuno, sparuto, isolato, forse Capezzone, forse qualcun altro all'interno della vostra maggioranza, la pensa come noi, ossia che la legge Biagi sia una buona legge, che va completata, ma c'è questa frattura.
Allora, prendete una decisione, fate una scelta. Il Governo ha il dovere di fare questa scelta. Il ministro Damiano ha il dovere di adeguarsi, non può rappresentare un ibrido politico tra coloro che vogliono abolire la legge e quelli che vogliono mantenerla, dicendo che la vuole superare.
SIMONE BALDELLI. I dati parlano chiaramente: le elezioni in Molise hanno costituito un risultato eccezionale per il centrodestra e, in questo momento, dovrebbero costituire un segnale politico molto forte per la maggioranza parlamentare di centrosinistra.
I cittadini italiani hanno piene le tasche di questo teatrino. Il centrodestra scenderà in piazza, legittimamente e democraticamente, ma la cosa paradossale è che, oltre al centrodestra, è già sceso in piazza il centrosinistra
PRESIDENTE. Deve concludere...
SIMONE BALDELLI. Concludo, Presidente.
Gli elettori, non solo i nostri, ci chiedono quando metterete fine a questa commedia dell'assurdo in cui la finanziaria si va consumando. È un teatrino su cui bisogna riuscire a far cadere il sipario. Speriamo che cada presto su questo Governo, per il bene del paese, per le nuove generazioni e per tutti quelli che hanno davvero a cuore l'interesse dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghi, per sintetizzare l'opinione dei Verdi e degli ambientalisti su questa finanziaria potrei fare ricorso al vetusto slogan, ma sempre attuale, del maggio francese: «ce n'est qu'un début, continuons le combat!».
Non è ancora certa la finanziaria che voteremo. Magari avessimo potuto dettare la linea, caro Baldelli: una finanziaria capace di coniugare, in maniera sistematica ed efficace, le dimensioni economiche e le politiche ambientali, per fare quel matrimonio tra ecologia ed economia che, per parafrasare il Manzoni alla rovescia, s'ha da fare e subito, se vogliamo consegnare ai nostri figli un pianeta vivente e non una terra desolata.
Vi rimando al rapporto agghiacciante del WWF internazionale, «Living planet», che ha avuto una vasta eco sulla stampa. Ricordo che l'Italia è al ventinovesimo posto tra le nazioni dissipatrici, con un'impronta ecologica pari a 4,2 ettari per abitante.
Per decenni noi Verdi e noi ambientalisti siamo stati la vox clamantis in deserto, tacciati di catastrofismo e di cieca opposizione allo sviluppo. Non è vero. Noi ci opponiamo allo sviluppo cieco, che è tutt'altra cosa. Noi puntiamo allo sviluppo sostenibile, che rischia ormai di diventare un mantra, spesso evocato, ma raramente tradotto in azioni concrete.
Questa finanziaria era un'occasione, in parte perduta, per fare davvero una scelta verso la qualità dello sviluppo, per segnare quel cambiamento di rotta, che non i Verdi, non gli ambientalisti, ma il precipitare degli eventi richiede con la massima urgenza. Ci siamo riusciti solo in parte. Appunto, è solo l'inizio.
Certo, rispetto al Governo precedente, c'è stato un salto di qualità. Pensiamo ai maggiori stanziamenti per le aree protette, per la difesa del suolo, per la tutela del mare. Pensiamo al fondo Kyoto, dotato di 200 milioni di euro l'anno. Ma non basta, si deve fare di più!
Proprio ieri - lo sapete - si è aperto a Nairobi il vertice mondiale ONU sul riscaldamento globale per preparare la fase due del protocollo di Kyoto. Bisognerà puntare ad un drastico taglio. Gli scienziati chiedono almeno il 50-60 per cento di riduzione dei gas serra, se vogliamo evitare un disastro non solo ambientale, ma anche economico.
Tutti avete in mente i dati del recentissimo «Rapporto Stern», in cui un economista ipertradizionale, non un Verde catastrofista, ex capo dell'ufficio studi della Banca mondiale, Stern, dice che, se non cerchiamo di mitigare la febbre del pianeta, investendo almeno l'1 per cento del PIL globale subito, corriamo il rischio di perdere fino al 20 per cento del prodotto lordo globale. Ci sono dati ancora più raggelanti provenienti da economisti di rango, come Geoffrey Sachs, direttore del Earth Institute della Columbia University.
Ecco perché noi Verdi diciamo che in finanziaria bisognava fare interventi molto più incisivi su questo versante. Ecco perché abbiamo proposto, per esempio, nell'ottica del cambiamento del sistema energetico, che deve basarsi sempre più su efficienza e risparmi rinnovabili (l'Europa pone il traguardo del 30 per cento entro il 2020, noi siamo solo all'8,7 per cento), un emendamento per modificare il testo unico in materia di urbanistica, che renda obbligatoria nei regolamenti comunali l'installazione di pannelli fotovoltaici per le nuove abitazioni. Ecco perché riteniamo una scelta strategica quella di puntare ad una rivoluzione nel settore dei trasporti, che pesa sulle emissioni di CO2 per il 13,5 per cento a livello planetario e oltre il 26 per cento nel nostro paese. Ecco perché abbiamo chiesto l'istituzione di un fondo importante, sostanzioso, non solo simbolico, per la mobilità sostenibile dei trasporti pubblici nelle aree urbane. Altrimenti, come faremo a tagliare le emissioni del 50-60 per cento richiesto dalla fase due di Kyoto?
E ancora, chiediamo la tutela della biodiversità, altro capitolo chiave.
Siamo felici che siano stati aumentati i fondi per le aree protette, vergognosamente decurtati dal Governo precedente. Siamo inoltre soddisfatti che la Commissione bilancio abbia approvato l'emendamento, da noi tanto caldeggiato, per sbloccare la cassa, ridando fiato agli enti parco. Ma non basta, perché bisogna completare l'opera con un emendamento che porti ad un ulteriore incremento di 10 milioni di euro l'anno, per tre anni, ed assicurare un effettivo rilancio del nostro sistema di aree protette, che tutela il 10 per cento del territorio italiano.
E non dimentichiamo un'altra battaglia cruciale dei nostri tempi, quella per garantire all'acqua lo status di bene comune, obiettivo che è stato fermamente ribadito anche nel programma dell'Unione. È in questa direzione che va l'emendamento da noi proposto, che destina una quota (lo 0,01 per cento della tariffa) ad un fondo di interventi tesi a favorire l'accesso all'acqua e alla corretta gestione delle risorse idriche nei paesi in via di sviluppo.
Last but not least, non ultimo di certo, almeno per noi Verdi (ma siamo sicuri che ormai la sensibilità verso il benessere degli animali è assai diffusa in Parlamento ed anche fuori di qui), se pur ultimo in ordine di tempo, è l'emendamento per contrastare il randagismo, fenomeno che coinvolge ormai più di 800 mila animali (650 mila cani abbandonati e 200 mila gatti) inselvatichiti, problema che concerne non solo la tutela dei nostri amici a quattro zampe, ma anche l'igiene e l'incolumità pubblica.
L'elenco sarebbe lungo, ma mi sono limitata a segnalare alcuni elementi perché sui punti che rivestono maggior carattere sociale ed economico interverrà in seguito il collega Cassola. Aggiungo che noi Verdi lavoreremo con grande determinazione e daremo battaglia in quest'aula per ottenere una finanziaria sempre più «verde» (obiettivo di lungo termine che ci poniamo),
coinvolgendo tutti ed ascoltando tutti. Infatti, riteniamo che una finanziaria davvero «verde» non debba restare un obiettivo soltanto di Verdi ed ambientalisti, ma diventare via via un obiettivo strategico di tutta l'Unione, di tutto il Parlamento e di tutto il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, sono reduce insieme ai colleghi di maggioranza e di opposizione dalla lunga ma tormentata discussione in sede di Commissione bilancio sulla legge finanziaria. Devo dare atto al presidente Duilio di essere stato molto equilibrato e paziente nel gestire tale discussione. Devo inoltre ammettere che, pur avendo dieci anni di finanziarie alle spalle, questa è stata la più convulsa e disorganica tra tutte quelle da me vissute fino ad adesso.
Per dimostrarlo bastano alcuni dati. Gli articoli della legge finanziaria sono 217; sono stati presentati quasi 180 emendamenti, tra quelli del Governo e quelli della maggioranza, quasi riscrivendo lo stesso provvedimento ab imis. Inoltre, in cinque giorni di discussione, si è proceduto a poco più di 25 votazioni. Si tratta davvero di un modo di procedere assurdo ed inconcepibile. Ormai è maturo porsi il problema di riformare la sessione di bilancio e, soprattutto, di rovesciare il lavoro parlamentare. Per carità, l'Assemblea è sovrana, tuttavia il vero lavoro si svolge in Commissione e avremmo dovuto avere molto più tempo a disposizione per poter discutere, tanto è vero che l'Assemblea ora deve esaminare una marea di emendamenti che non so come potremo gestire.
Fatte queste premesse, il discorso sul disegno di legge finanziaria è già stato anticipato in occasione del decreto fiscale ed è molto semplice. L'intervento assomma a 40 miliardi di euro, circa ottanta mila miliardi di vecchie lire. Nonostante le affermazioni del Presidente del Consiglio Prodi, tale finanziaria non rilancia il paese perché, nel migliore dei casi, la crescita del PIL è prevista intorno all'1,7 per cento nel 2006 e - ahimè - all'1,4 nel 2007, proprio per effetto della manovra fiscale. Il rapporto deficit/PIL, secondo le affermazioni della Commissione europea, si ridurrebbe intorno al 2,9 per cento tra il 2006 e il 2007, senza tuttavia risolvere il problema. Infatti, bisogna chiedersi quanto possa durare tale riduzione del rapporto in assenza di interventi strutturali sulla spesa pubblica corrente e a fronte di probabili nuovi balzelli, di nuove imposte e di aumento di quelle esistenti per contrastare l'incapacità di intervenire sulle uscite correnti.
Per quanto riguarda la lotta all'evasione, come avevamo detto già all'epoca della discussione sul decreto fiscale, non siamo con la linea seguita dal ministro Visco di aumento degli adempimenti e delle forme di rigido controllo per cercare di contrastare l'evasione, anche attraverso gli strumenti informatici. Noi siamo piuttosto per l'introduzione di un contrasto di interessi tra chi fornisce i servizi alla persona e quest'ultima che riceve i servizi medesimi. Questo è uno strumento che in parte già esiste nella struttura del sistema fiscale italiano che, con un riassetto - che speriamo sia efficace - dell'anagrafe tributaria (che il ministro ha annunciato sarà trasformata da anagrafe sull'imposta ad anagrafe sul contribuente), potrebbe essere realizzata perfettamente con poco sforzo, vista la struttura dei flussi di dati che affluiscono all'anagrafe tributaria.
Per quanto riguarda l'IRPEF, si è di fatto realizzata una doppia progressività perché, da un lato, si sono aumentate le percentuali sugli scaglioni esistenti e sono stati aumentati gli scaglioni medesimi (erano quattro e sono diventati cinque) mentre poi, contemporaneamente, è stata creata una progressività sulle detrazioni in quanto, via via che aumenta il reddito, le detrazioni si riducono.
Sappiamo che questa doppia progressività peserà notevolmente sui bilanci delle famiglie, al di là di quei limiti di reddito (40 o 70 mila miliardi di euro, come si dice). In realtà, la doppia pressione degli scaglioni crescenti di IRPEF e delle detrazioni
decrescenti, man mano che cresce il reddito, porrà un problema di progressività crescente. Pertanto, vista la struttura del nostro sistema reddituale dei contribuenti e vista la storia del nostro paese (il passato e ciò che determinò la riforma Vanoni e, successivamente, la riforma Visentini), a mio avviso, di fatto porterà ad un aumento - piuttosto che ad una riduzione - dell'evasione e dell'elusione fiscale e, soprattutto, alla fuga dei capitali.
Come dimostra anche il decreto-legge che è stato discusso ieri sulla detraibilità dell'IVA, vi è il superamento dello statuto del contribuente il quale, a quanto pare, è stato digerito male dall'amministrazione finanziaria che quando può bypassarlo è davvero felice. Inoltre, quando una sentenza dell'Unione europea impone dei rimborsi, immediatamente con una mano si rimborsa e, con l'altra, si preleva.
Questo sistema, evidentemente, non educa ad un rapporto regolare tra contribuente e fisco e, anche da questo lato, non ci può che essere una sfiducia del contribuente ed una tendenza a trovare forme quantomeno di elusione, se non di evasione fiscale.
Naturalmente, l'imposta di successione è stata reintrodotta con il cosiddetto decreto fiscale. Sappiamo che essa costituirà un altro motivo di fuga dei capitali e, soprattutto, sarà all'origine di problematiche difficili relativamente ai passaggi generazionali delle imprese poiché, come è stato ricordato dal collega Tremonti in questa Assemblea, non ci si pone il problema del passaggio da un fratello ad un altro. Infatti, si pensa di eliminare l'imposta di successione nel passaggio diretto da genitore a figlio, ma non nel passaggio tra fratelli. Questo, nel caso delle imprese, è un fatto importante. Evidentemente, ci possono essere problemi di rapporti, anche di rapporti familiari, e di strategie diverse nella gestione dell'impresa e questo elemento, questa penalizzazione della successione tra fratelli, nel caso di piccole e medie imprese potrebbe portare, di fatto, a liquidazioni, a fallimenti e, successivamente, all'ingresso di altri controllori, o di capitalisti, nella loro gestione.
PRESIDENTE Onorevole Armani...
PIETRO ARMANI. Concludo, signor Presidente.
Per quanto riguarda la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, con il contemporaneo aumento delle imposte, ricordo che il cosiddetto decreto fiscale è intervenuto sull'imposta di soggiorno e che, con il provvedimento all'esame, si introduce l'imposta di scopo. Quest'ultima, per come è configurata, è una vera e propria addizionale ICI. Infatti, si finanzia il 30 per cento delle opere pubbliche di interesse comunale utilizzando l'ICI. Tra l'altro, come ho affermato in sede di Commissione...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Armani.
PIETRO ARMANI. Ho finito, signor Presidente.
Come stavo dicendo, questo produrrà fenomeni negativi perché, evidentemente, si determina un aggravamento dell'ICI anche per immobili che nulla hanno a che vedere con l'opera pubblica da realizzare.
Infine, sottolineo come il TFR sia un debito dello Stato senza emissione di titoli. La Commissione europea ha posto una serie di paletti e, sia pure...
PRESIDENTE. Onorevole Armani, lei è molto oltre il tempo a sua disposizione. Mi dispiace, deve proprio concludere.
PIETRO ARMANI. Sta bene, signor Presidente.
Concludo, ricordando che una sentenza della Corte di giustizia ci ha imposto il rimborso dell'IVA. Per questo, la Commissione europea è stata, per così dire, di manica larga per quanto riguarda il TFR e, tuttavia, ha imposto alcuni precisi paletti sulle caratteristiche non delle entrate ma delle spese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marantelli. Ne ha facoltà.
DANIELE MARANTELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'obiettivo centrale del disegno di legge finanziaria è chiaro: rimettere in moto le migliori energie del mondo del lavoro e dell'impresa, per far ripartire la crescita economica. Questa è la vera sfida che sta davanti all'Italia. Senza nuova ricchezza e benessere, anche politiche sociali condotte nel segno dell'equità rischiano di avere il fiato corto. Dal confronto convulso di queste ultime settimane, non sempre emerge con sufficiente consapevolezza la domanda di fondo che tutte le élite del paese dovrebbero porsi: quali scelte strategiche per l'Italia? Eppure, mai come in questi anni il mondo ha conosciuto trasformazioni tanto profonde, almeno dai tempi delle grandi scoperte geografiche. L'Italia deve essere all'altezza di questi mutamenti con scelte di politica estera ed economica conseguenti e coraggiose. Risanamento, rilancio dello sviluppo e giustizia sociale: questo è l'asse sul quale è costruita la legge di bilancio.
Desidero concentrare la mia breve riflessione su un punto: come può la regione più ricca, la Lombardia, contribuire al rilancio del paese? Intanto, dobbiamo assolutamente accrescere la mobilità sociale e stroncare le resistenze corporative. È molto probabile che il figlio di un notaio intraprenda, a sua volta, la professione notarile ma è molto più difficile che il figlio di un povero rompa la sua gabbia sociale. Se il figlio di un povero che ha talento non ha nuove opportunità, la società non soltanto commette una evidente ingiustizia ma si priva di talenti e di energie preziose per la comunità.
Si è detto da più parti che il Governo sottovaluta le questioni del nord. Fuori da ogni schermaglia propagandistica, è difficile negare che legioni di parlamentari e plotoni di ministri di centrodestra nella scorsa legislatura abbiano realizzato risultati non certo esaltanti per la Lombardia.
Con buona pace di Berlusconi, Tremonti e Calderoli, la Lombardia nel 2001-2006 ha realizzato un triplo zero: zero crescita, zero liberalizzazioni, zero chilometri di strade e ferrovie. Per essere precisi fino in fondo, in realtà il PIL è cresciuto dello 0,2 per cento.
Come può un paese permettersi di sprecare enormi potenzialità in quelle aree, se vuole rilanciare la crescita? Se vogliamo portare l'Italia nel gruppo dei paesi più dinamici, abbiamo bisogno di chiamare il nord al ruolo che nella storia recente ha già saputo svolgere due volte nel secolo scorso: prima, con il grande processo di industrializzazione, poi, con la grande politica dei distretti industriali. La Lombardia produce oltre il 20 per cento del PIL e concorre per oltre il 23 per cento del gettito IRPEF.
Gli impieghi bancari per abitante sono pari a 41.700 euro, a fronte di una media nazionale di 19.700. Vi è, inoltre, una consolidata propensione al rischio, all'innovazione ed una forte propensione, comune al resto del paese, al risparmio. Vi è una radicata cultura della solidarietà. È bene ricordare che ogni cittadino della mia regione contribuisce alla spesa sociale nazionale per 92 euro all'anno e dovrà ottenere in cambio qualcosa. Sanità, scuola, università debbono essere considerati non puri comparti di spesa sociale, ma potenti strumenti di modernizzazione del paese, con una pubblica amministrazione all'altezza delle domande di una società esigente.
Se le imprese pagano i costi elettrici più alti d'Europa (nell'ultimo anno la bolletta è cresciuta del 10,5 per cento), non devono essere costrette a far viaggiare le merci sulle strade, che sono le stesse da trent'anni a questa parte. Tanto più che le merci trasportate in Lombardia sono pari a 22.900 tonnellate per chilometro, contro le 7.100 della media nazionale.
Ma qui sta il «buco nero» su cui il centrodestra ha miseramente fallito. Lo voglio dire ai colleghi estrosi ed ironici del centrodestra: la Lombardia non dispone nemmeno di un interporto; la mitica Lombardia governata pure da 16 anni da Formigoni!
Su questi temi, invece, occorre concentrare gli sforzi, come si sta facendo. Non esiste il nord, esistono «i nord». Nella
stessa Lombardia la circoscrizione «due», la più popolosa d'Italia, con i suoi oltre 4 milioni di abitanti, comprende sei province: Varese, Como, Lecco, Sondrio, Bergamo e Brescia. Bene, negli ultimi due anni in queste province il saldo fra export e import supera costantemente i 10 miliardi di euro, cioè 10 mila milioni: una risorsa preziosa per il paese.
Ma su questo apparato produttivo pesa il collasso della mobilità. Si viaggia ad una velocità media di 30 chilometri all'ora: autentico piombo nelle ali, con un danno per la competitività delle imprese stimato in aumenti di costo finale del prodotto tra il 15 e il 20 per cento e danni per i consumatori, i lavoratori, oltre che per la stessa qualità della vita.
Allora, una nuova e moderna organizzazione della mobilità deve realizzare - e mi avvio a concludere, signor Presidente - collegamenti ferroviari e stradali efficienti, ed un efficiente sistema aeroportuale. Ecco perché serve la pedemontana: è una priorità. Serve sulla base di risorse effettivamente disponibili selezionare rigorosamente le priorità: questo fa un buon Governo. Serve dialogo e collaborazione con le istituzioni. È positivo l'accordo del ministro Di Pietro con le istituzioni lombarde e il confronto con tutte le regioni italiane. Noi lo incoraggiamo a proseguire su questa strada con realismo, perché sulle infrastrutture...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DANIELE MARANTELLI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Sulle infrastrutture non vi è spazio per improbabili miracoli, ma occorre compiere passi nella direzione giusta. In questo disegno di legge finanziaria si pongono le basi per compiere un primo passo coerente e concreto (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Martinello. Ne ha facoltà.
LEONARDO MARTINELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il ministro De Castro nel suo intervento lo scorso ottobre in Commissione agricoltura sosteneva che il disegno di legge finanziaria per l'anno 2007 contiene - cito testualmente - un complesso di interventi articolati che riguardano il settore agroalimentare, che avrebbero dovuto contribuire in modo efficace alla crescita del settore; non escludendo, comunque, che con l'esame di questo Parlamento si sarebbero potute migliorare ed integrare le disposizioni del settore.
Ma non basta migliorare ed integrare: occorre rivedere tutta la materia. Questo è ciò che si sarebbe dovuto fare. Non è assolutamente vero che l'intento di questo Governo sia quello di rilanciare il comparto agroalimentare; ma è quello di metterlo ancora di più ai margini della politica economica del nostro paese. In un primo momento, leggendo il documento di programmazione economico-finanziaria, avevamo pensato che l'azione svolta dal precedente Governo di centrodestra, tesa allo sviluppo della competitività dell'agricoltura italiana e al superamento della crisi del mercato, trovasse significativi elementi di continuità puntualmente disattesi da questo testo di legge.
La manovra economica avrebbe dovuto privilegiare le politiche volte al sostegno della attività di impresa, all'internazionalizzazione del sistema agroalimentare e al rafforzamento della politica di filiera. Questo Governo di centrosinistra, invece, non ha tenuto conto, nel disegno di legge finanziaria, dei problemi dell'agricoltura e, per questo, sarà responsabile del mancato rilancio di tale comparto. Se l'intento era di coniugare sviluppo con risanamento ed equità, si dovevano prendere misure puntuali e significative per rimettere in moto l'apparato produttivo agricolo, sfruttando i segnali di ripresa che hanno iniziato ad intravedersi nel corso del mandato del precedente Governo. Ma questo poteva avvenire solo attraverso salti mirati, in grado di dare una spinta propulsiva, supportata da adeguate risposte, aspetti che in questa finanziaria non ci sono. Si sarebbe dovuta sostenere in modo più cospicuo l'imprenditoria giovanile, attraverso incentivi che riavvicinassero i giovani al mondo
agricolo e creassero le condizioni per poter esprimere al meglio le loro potenzialità. Gli agricoltori, poi, i cui redditi hanno subito un drastico taglio, dovevano trovare in questa finanziaria strumenti validi ed innovativi, che riducessero i gravi costi produttivi e previdenziali che incidono pesantemente sull'operatività. Debbo ancora esprimere una forte preoccupazione per una totale mancanza, in questa finanziaria, di misure di sostegno alla pesca e all'acquacoltura. Questo Governo non ha pensato di estendere alla pesca alcuni provvedimenti incisivi proposti, per il momento, solo per l'agricoltura: il credito di imposta, ad esempio, per i nuovi investimenti nelle aree svantaggiate. Ciò poteva rappresentare un'importante prospettiva di sviluppo per tali imprese, concentrate soprattutto nel meridione. Si poteva prevedere, inoltre, l'inserimento della filiera della pesca all'interno di alcune misure ideate per il comparto agroalimentare.
Un capitolo a parte riguarda lo sviluppo delle energie, dalle biomasse alle rinnovabili. Non è certamente con la legge finanziaria che si doveva trattare un aspetto così importante per l'agricoltura italiana (ed aggiungo, per lo sviluppo economico del nostro paese). L'intervento previsto dal Governo, in questo provvedimento, trascura aspetti importanti delle bioenergie e non prende in considerazione, ad esempio, i consorzi dei produttori, anziché il riferimento alla filiera nazionale ed all'autoproduzione. Il risultato, purtroppo, sarà un nulla di fatto, perché se vogliamo dare impulso al comparto delle bioenergie si dovrà prevedere un provvedimento ad hoc, che tenga conto di tutti questi aspetti.
Il disegno di legge finanziaria per l'anno 2007, signor Presidente, proposto dal Governo, è tutto qui. Non un intervento serio sulla riforma della previdenza agricola, sulla promozione della qualità delle nostre produzioni tipiche tradizionali, sulla modernizzazione delle infrastrutture della logistica e per l'agroalimentare, sull'urgenza di dotare di risorse idonee i piani nazionali per l'ortofrutta, per l'agricoltura biologica, sull'opportunità di rafforzare gli interventi per l'irrigazione ed il risparmio idrico. A tal proposito, desidero ricordare le dichiarazioni che il ministro De Castro ha pronunciato nel corso dell'assemblea dell'associazione nazionale bieticoltura italiana, lo scorso luglio, annunziando un pacchetto di risorse per fronteggiare l'emergenza, anche dell'acqua. Tutti ricorderanno che in quel periodo il Po era sceso ai livelli più bassi dagli ultimi dieci anni e l'emergenza era scattata non solo per il comparto agricolo, ma anche per quello industriale. Cito testualmente quel che disse il ministro: siamo sulla strada per annunciare lo sblocco di 1,6 miliardi di euro nel triennio 2006-2008 e per il piano irriguo nazionale. Con l'approvazione di quel piano si apre la possibilità di inserire già nella prossima finanziaria - ossia quella in corso - il piano 2009-2013. Di ciò non si è fatto nulla; probabilmente, il ministro ha sbagliato strada, considerata tutta la mancanza di provvedimenti seri in tal senso. Ed allora, siamo alla politica delle illusioni, delle promesse mancate, una politica che è giunta al capolinea. Non si può commentare altrimenti la valenza per l'agroalimentare della prima finanziaria del governo Prodi, che conferma come, a fronte di annunziati interventi articolati, da parte del ministro dell'agricoltura, faccia seguito una realtà ben diversa: tagli e tasse; questa è l'unica strada che sapete ancora percorrere!
Ciò per quanto riguarda il mondo dell'agricoltura, ma altri articoli possiamo prendere a riferimento: l'articolo 76, le disposizioni in materia di organi di governo e sugli enti locali, con la riduzione degli amministratori, la riduzione dei costi della politica, ma intesa come penalizzazione degli amministratori stessi e riduzione dei tempi necessari per lo svolgimento delle proprie mansioni.
Per non parlare, poi, della tassa di scopo - un mio collega prima diceva una nuova ICI - e della tassa sul turismo e di soggiorno, che penalizza chiaramente il settore del turismo in generale perché fa
sì che i turisti cambino paese e non vengano più in Italia: questa è una grave penalizzazione.
Molte altre cose sarebbero da dire. In ogni caso, ritengo che questa finanziaria sia da rivedere o, meglio, da respingere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Belisario. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, nel 1978, con la legge n. 468, il legislatore introdusse una grande novità stravolgendo il sistema preesistente ed affiancando alla legge annuale di bilancio previsionale quella sul bilancio pluriennale che doveva consentire alla contabilità pubblica e, quindi, ai Governi di guardare con largo respiro alle politiche di settore ed alle riforme. Infatti, i cicli economici non si esaurivano nel volgere di un solo esercizio finanziario, ma avevano bisogno di una programmazione da tre a cinque anni. Ebbene, ancora non è stata superata la legge finanziaria intesa come legge di emergenza sia per le contingenze, sia perché rincorsi da un'inflazione galoppante, fino agli anni Novanta, e da un'escalation del debito pubblico e poi, per arrivare ai nostri giorni, da una crisi del sistema economico globalizzato.
Oggi ci troviamo di fronte ad una finanziaria difficile. Lo so che si entra più direttamente in video se, come ha fatto un collega questa mattina, si fa il rosario delle tasse o presunte tali che vengono introdotte dalla legge finanziaria. Fa più spettacolo la protesta del centrodestra e qualche manifestazione, che francamente non ho condiviso, anche di esponenti del centrosinistra. Però, andiamo a guardare se l'Unione si appresta a presentare e ad approvare una legge finanziaria che vuole correggere qualche stortura. Siamo partiti dalla necessità di riequilibrare i conti e ci sono tagli alla spesa pubblica. Abbiamo voluto pensare ad una finanziaria di sviluppo e ci sono misure che vanno in questa direzione.
Vorrei dire ai colleghi dell'opposizione, che peraltro fanno bene il loro mestiere, che non possiamo sentire il giudizio dell'Unione europea e della Commissione europea a giorni alterni: quando ci conviene, siamo bacchettati dall'Unione europea, quando non ci conviene, l'Unione europea non la ascoltiamo. Ebbene, questa manovra trova il consenso di Bruxelles ed anche dei mercati, come vedremo tra giorni. Lo vedremo, perché è una manovra complessa e forte che va nella direzione giusta e, probabilmente, dovrà essere ancora corretta ed adattata. Non è soltanto un problema di comunicazione. Probabilmente, l'ansia dei partiti dell'Unione di comunicare in fretta il cambiamento di passo ha portato anche ad un disordine nella comunicazione. Oggi dobbiamo fare una reductio ad unum, dobbiamo fare sintesi e dobbiamo cercare di trovare le soluzioni.
Vi sono due settori su cui ci osserva l'Unione europea: la sanità, in cui siamo costretti ad introdurre un ticket, che mi auguro sia soltanto transitorio, e gli enti locali, la cui spesa è andata al di là. Non si tratta di penalizzare le amministrazioni, ma il Parlamento si deve rendere conto che il paese non è più in grado di sopportare la proliferazione di enti, di società, di organismi che discendono dagli enti locali - Presidente, mi avvio a concludere - ma figliano consigli di amministrazione che, sulla stregua di quanto avviene nei grossi enti di Stato...
PRESIDENTE. Purtroppo, deve proprio concludere.
FELICE BELISARIO. Concludo. Dobbiamo tagliare i costi e reintrodurre l'originaria stesura degli articoli dal 76 all'80. L'Italia dei Valori ci tiene perché è un segnale: non solo le imprese, non solo i cittadini, ma anche e innanzitutto la politica deve dare un taglio a quei costi che oggi i cittadini considerano davvero insopportabili (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ascierto. Ne ha facoltà.
FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, ovviamente mi soffermerò sulle questioni
che riguardano la sicurezza e che in questa finanziaria, in modo sorprendente, non vengono prese nella giusta considerazione. Ciò mi fa ulteriormente meravigliare perché ho ancora vivo il ricordo delle proteste durante l'ultima finanziaria provenienti dai banchi dei DS. Autorevoli colleghi - oggi Minniti è viceministro - sollevavano il problema della maggiore attenzione nei confronti delle forze dell'ordine perché dovevano essere messe in condizione di svolgere al meglio il loro lavoro. Certo, noi ne eravamo estremamente convinti ed anche noi dovevamo confrontarci con una finanziaria che doveva essere nei limiti e nei parametri previsti dall'Europa. Però, ciononostante, avevamo stanziato fondi per i contratti: vorrei ricordare che il Governo Berlusconi ha stanziato 4.500 miliardi tra contratti e riparametrazione, con un incremento di 380 euro mensili in questi anni. Avevamo trasformato tutti gli ausiliari in effettivi, tranne quest'ultima coda che ancora permane, in numeri molto sostanziali: 11 mila unità. Insomma, avevamo affrontato la sicurezza partendo dal rispetto dell'uomo in divisa.
Non pensavamo che questo Governo - che, come abbiamo visto dall'inizio della legislatura, non è certo vicino alle esigenze delle forze dell'ordine e non è certo in linea con principi e concetti di legalità - avrebbe inciso in modo talmente negativo sulla sicurezza da mettere addirittura in discussione le fondamenta della protezione del cittadino, della difesa degli interessi e della libertà stessa del cittadino.
In questa finanziaria ci sarà un taglio di 60 milioni di euro per l'Arma dei carabinieri sulla funzionalità, nonostante la bella asserzione «aiutiamo le forze dell'ordine a svolgere il loro lavoro». Con un taglio ulteriore di 60 milioni di euro chiuderanno le stazioni dell'Arma dei carabinieri, l'elemento più vicino al cittadino e capillare nella sicurezza quotidiana. Vi saranno 100 milioni di tagli alla Polizia di Stato: e poi veniteci a dire che dobbiamo dare più benzina alle macchine della Polizia di Stato! Non so dove volete darla la benzina alle macchine della Polizia di Stato. Si era parlato di più uomini sul territorio. È vergognoso quello che è previsto all'interno di questa finanziaria: mille uomini per tutte e cinque le forze di polizia. Non so se si tratta di una presa in giro nei confronti della sicurezza dei cittadini; e poi parlate di emergenza a Napoli! E poi assicurate maggiore sicurezza in ogni altra parte d'Italia!
In realtà, sapete perfettamente che il turn over nelle forze di polizia, insieme alle vacanze organiche, è di 2.500 unità per ogni forza di polizia e che attraverso un decreto, recentemente convertito in quest'aula, 1.316 poliziotti precari - è una parola che vi sta particolarmente a cuore - sono stati trattenuti fino al 31 dicembre di quest'anno. Gli facciamo festeggiare Capodanno con un licenziamento complessivo?
Come potete notare, mille unità costituiscono un'entità minore rispetto a 1.316, e se a questo aggiungiamo gli ufficiali dell'Arma dei carabinieri in ferma prefissata che occorre trattenere, con i numeri proprio non ci siamo.
Se veramente ci si vuole impegnare in situazioni di emergenza, che si registrano tanto al sud quanto al nord, sono necessari almeno 4.500 uomini per il prossimo anno. Allora, se volete stanziare i fondi per la sicurezza, lo dovete fare in modo molto chiaro, altrimenti annunciate altri provvedimenti.
Abbiamo sentito che nel maxiemendamento saranno previsti fondi per la sicurezza. Vogliamo vedere quanti fondi stanzierete! I contratti per le forze dell'ordine devono essere rispettati, non è possibile che un contratto sia solo dell'1,5 per cento rispetto all'inflazione programmata; occorre prevedere altri 300 milioni di euro con riferimento ai contratti delle forze dell'ordine e al riordino delle carriere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, le leggi finanziarie dei vari paesi sono
generalmente una spia dell'anima dei Governi che le presentano e del loro DNA.
Negli ultimi cinque anni siamo stati abituati ad una legge finanziaria caratterizzata da una filosofia ben precisa: chi più guadagnava più veniva agevolato, chi meno guadagnava meno aiuti riceveva, chi evadeva sistematicamente le tasse veniva premiato con i condoni e chi invece pagava regolarmente le tasse continuava a sponsorizzare chi le evadeva. Di tutto ciò non c'era da stupirsi, in quanto il DNA del Governo Berlusconi non poteva che riprodurre questa specie di filosofia tradotta in legge finanziaria. Quindi, agevolazioni per chi più aveva, compreso magari qualche amico.
La finanziaria al nostro esame si contraddistingue per il capovolgimento della filosofia bislacca del Governo Berlusconi. Al centro della manovra vi è infatti il concetto di equità fiscale e di giustizia sociale; pertanto, si cerca di aiutare chi più ne ha bisogno e poi anche chi ne ha bisogno un po' di meno, ma strettamente in questo ordine cronologico.
Noi Verdi - come già affermato dalla collega Francescato - siamo fieri di far parte di un Governo che sa bene quali sono le vere priorità del paese, ponendo in primo piano le esigenze dei più bisognosi. Ben venga dunque la lotta all'evasione fiscale, ben vengano la diminuzione della ritenuta dal 27 per cento al 20 per cento sui conti in banca e l'aumento dal 12 per cento al 20 per cento per i BOT e i CCT futuri. Questo avevamo promesso in campagna elettorale e la gente apprezza chi mantiene le promesse!
Avevamo promesso di proporre incentivazioni per l'investimento in fonti di energia rinnovabile e questa promessa viene mantenuta. Finora l'Italia ha gravemente peccato in questo campo. Proprio il mese scorso, il 12 ottobre, l'Unione europea ha avviato le procedure di infrazione contro l'Italia per la mancata attuazione del piano per combattere le emissioni di CO2 fino al 2012. Con quasi 80 procedimenti di infrazione aperti dall'Unione europea nei confronti del nostro Governo, nel 2005, l'Italia berlusconiana risulta essere la prima in Europa per scempi ambientali.
L'investimento nelle tecnologie che privilegiano l'energia solare e le altre fonti rinnovabili non solo eviterà agli italiani il pagamento di salatissime multe all'Unione europea, ma servirà anche alla creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Il Governo deve quindi incentivare la ricerca e l'innovazione e deve offrire a quegli industriali italiani che vogliono investire in progetti ecocompatibili la possibilità di esportare il loro know how in materia ambientale in grandi paesi, come la Cina e l'India, che fino ad ora hanno trascurato del tutto l'aspetto ambientale e che adesso hanno un grande bisogno di tecnologia pulita.
A lunga scadenza, l'investimento nel campo delle energie alternative si tradurrà in molteplici benefici: in primo luogo, si migliorerà la qualità dell'aria respirata dagli italiani; in secondo luogo, diminuirà considerevolmente la spesa legata alla cura delle malattie respiratorie ed al restauro di monumenti e di edifici imbevuti di smog; in terzo luogo, diminuiranno le multe pagate a Bruxelles; in quarto luogo, si creeranno nuovi posti di lavoro, in linea con gli obiettivi del piano di crescita e di stabilità dell'Unione europea; in quinto luogo, l'industria italiana avrà l'opportunità di esportare la sua tecnologia ecocompatibile nei nuovi grandi mercati dell'India e della Cina.
Detto ciò, abbiamo fatto bene a correggere quei difetti emersi nel nostro disegno di legge finanziaria. Non si poteva aumentare il contributo fiscale per chi guadagnava tra i 15 mila e i 27 mila euro lordi; non si dovrebbero cancellare le graduatorie permanenti nelle scuole, ma eventualmente bloccarle fino al loro esaurimento naturale.
Bisognerebbe riconoscere valore a chi ha conseguito specializzazioni a livello accademico, sia in Italia sia all'estero. Poi si dovrebbe incentivare la ricerca nelle università e negli istituti di ricerca italiani per dare maggiore possibilità ai giovani di contribuire all'innovamento delle strutture
industriali ed amministrative del loro paese senza essere costretti ad andare all'estero. E, parlando di università, sarebbe un atto di giustizia equiparare le accademie e i conservatori di musica alle università, pur conservando ciascuno la propria denominazione. Naturalmente, è inoltre molto importante che chi ha parenti disabili a carico possa godere di detrazioni fiscali congrue.
In conclusione, in quanto italiano eletto all'estero, non posso non soffermarmi su alcune tematiche che stanno a cuore ai connazionali nel mondo.
Intanto, occorre fornire l'aiuto e i contributi giusti agli operatori della stampa italiana all'estero, magari concedendo loro anche la possibilità di collaborare alla realizzazione di programmi per la nuova RAI International.
Inoltre, bisogna assicurarsi che migliaia di contrattisti italiani all'estero presso consolati ed istituti di cultura non siano discriminati e possano invece usufruire di detrazioni per figli a carico in misura pari ad ogni altro cittadino residente in Italia. Dobbiamo agevolare il lavoro di coloro che nel futuro immediato saranno indispensabili per la riorganizzazione più effettiva e funzionale dei consolati e dei corsi di lingua e cultura all'estero.
La finanziaria in esame dovrebbe prevedere già da ora la possibilità di far rilasciare o ricevere la carta d'identità presso il proprio consolato all'estero. È veramente assurdo che nell'era telematica ed informatica si debba partire da Stoccolma o Caracas per andare a Canicattì o a Bisceglie a ricevere di persona la carta d'identità italiana.
Infine, se è giusto che chi inquina paga, non è giusto che chi non inquina paghi lo stesso. Pertanto, si dovrebbe riconoscere alle regioni la possibilità di ridurre la TARSU a chi risiede all'estero e usa poco l'abitazione in Italia e magari ai comuni la possibilità di diminuire l'ICI per gli italiani all'estero.
A seguito della correzione dei difetti emersi in questa finanziaria, chiunque abbia a cuore il concetto di giustizia sociale, di equità fiscale e di equa ripartizione delle risorse fra gli italiani non può che esprimere un voto favorevole su questa manovra finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ceroni. Ne ha facoltà.
REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - la legge finanziaria 2007 - e il bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2007, nonché il bilancio pluriennale per il triennio 2007-2009, insieme al DPEF sono tra i provvedimenti più importanti che, nel corso dell'anno, l'Assemblea della Camera è chiamata a discutere e a votare.
Negli ultimi anni, non vi è dubbio che i documenti di programmazione hanno assunto sempre più un ruolo chiave nella definizione delle linee guida di politica economica del paese. I documenti programmatici di quest'anno presentano una valenza particolare, oserei dire fondamentale, perché sono il programma vero del Governo che si è insediato da pochi mesi. Un conto sono i programmi elettorali, un altro i documenti di programmazione, che devono fare i conti con la realtà effettiva del paese. L'occasione è molto propizia per fare il punto sull'operato di questo Esecutivo a distanza di sette mesi dalle elezioni. Se vogliamo esprimere un giudizio sintetico, dobbiamo dire che questo Esecutivo vive una situazione davvero difficile, oserei dire drammatica, che molto probabilmente non riuscirà a superare.
Questo Governo vive una situazione di grande difficoltà innanzitutto perché ogni giorno che passa perde consenso elettorale. Le rilevazioni effettuate da tutte le maggiori case di sondaggi evidenziano che il Governo è in caduta libera di consensi. Anche le elezioni svoltesi in Molise hanno dato luogo ad un risultato eclatante se si considera che solo pochi mesi fa i due poli nel Molise erano praticamente pari come nel resto d'Italia, mentre ieri vi è stata la conferma del governatore uscente con otto punti di vantaggio rispetto allo sfidante (54 per cento alla Casa delle libertà e 46 per
cento al centrosinistra). Si tratta di un risultato che trova conferma anche nel resto del paese.
Il nostro paese, inoltre, sta perdendo affidabilità anche a livello internazionale. Le più importanti agenzie di rating internazionale, Standard and Poor's e Fitch, hanno retrocesso l'Italia nella classifica, stilata annualmente, che certifica la capacità dei vari paesi di pagare il proprio debito pubblico. Con l'ultimo ribasso del rating, deciso da Standard and Poor's, l'Italia va ad affiancare Botswana e Corea del sud, ritrovandosi sola al penultimo posto nell'area euro, posizione che fino a ieri condivideva con il Portogallo, che ha la classe AA-.
Analizzando i giudizi sul debito di lungo termine di Standard and Poor's si scopre che l'Italia ora vanta lo stesso giudizio di Botswana, Israele, Corea del sud, Kuwait, Malesia, Qatar, Arabia Saudita, Sudafrica, Trinidad e Tobago. In Europa guardiamo dall'alto solo la Grecia e la Polonia, ma siamo dietro a paesi come il Portogallo, la Slovenia e l'Islanda, senza contare che nel resto del mondo anche Cile, Giappone e Taiwan sono più avanti di noi.
Non è certo una bella situazione. Nonostante il prodigarsi dei vari esponenti del vostro raggruppamento elettorale nell'addebitare le responsabilità al precedente Governo, anche i bambini di questo paese hanno capito che l'operato del Governo Prodi fa diminuire la credibilità del nostro paese agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. È evidente che non basta vincere il campionato mondiale di calcio, per la cui vittoria non avete certamente alcun merito, per aumentare la credibilità dell'Italia a livello internazionale.
Molteplici sono le cause che hanno determinato questa situazione. Il calo dei consensi elettorali trova ampia giustificazione nelle scelte che il Governo ha fatto dal suo insediamento ad oggi, tradendo tutti gli impegni elettorali fin dall'inizio. Ne voglio ricordare qualcuna. L'aumento del numero dei ministri e dei sottosegretari, fino a 103 poltrone, per formare il Governo più numeroso e più costoso della storia della Repubblica. Il decreto Bersani, che ha un sapore ideologico e punitivo verso quelle categorie che invece rappresentano il motore dello sviluppo e della crescita della nostra nazione. L'invio del contingente italiano in Libano, alla barba dei tanti militanti che hanno dovuto riporre le loro bandiere della pace nel cassetto, come se improvvisamente il mondo sia stato pervaso dalla pace. E poi tutta una serie di provvedimenti fiscali mirati a rastrellare una quantità di risorse impressionanti, come mai aveva fatto un Governo nella storia del nostro paese. Ricordo: la legge n. 234 del 7 luglio 2006, 9,5 miliardi di euro, la cosiddetta «manovrina»; la legge n. 248 del 4 agosto 2006, 4 miliardi di euro; il decreto-legge n. 262, approvato la settimana scorsa, 4,5 miliardi di euro; il decreto-legge, che dovremo votare forse domattina, in materia di detraibilità IVA sulle auto aziendali, altri 5,3 miliardi di euro; lo stesso disegno di legge finanziaria che stiamo discutendo, 40 miliardi di euro.
In pochi mesi avete propinato agli italiani interventi per oltre 50-60 miliardi di euro - 100-120 mila miliardi di vecchie lire - perché alla fine la cifra vera risulterà questa. Tutto ciò senza adottare alcun provvedimento né a favore delle imprese né a favore delle famiglie, fatta salva qualche impresa che ha messo a disposizione i propri mezzi di comunicazione nella campagna elettorale.
Va sottolineato anche il problema delle famiglie che non arrivano a fine mese: fra un po', anche per effetto dei ticket sanitari e degli altri provvedimenti contenuti nella finanziaria, non arriveranno neanche a metà mese!
Vi è poi il discorso dei pensionati. Nella scorsa legislatura avete sorriso nei confronti dell'aumento ad un milione di euro delle pensioni minime, ma voi non date neanche un centesimo alle pensioni minime! Ai pensionati con oltre 75 anni avete riservato un taglio delle imposte minimo. Chi percepisce 1250 euro al mese pagherà 200 euro di IRPEF in meno, ma gli altri tre milioni di pensionati che non prendono
neanche la metà di queste risorse quale beneficio avranno da questa finanziaria?
Il declassamento che spudoratamente volete addebitare come eredità ricevuta dal precedente Governo - con la perdita di credibilità sul piano internazionale che ne deriva - è cosa assolutamente non vera, perché il paese sta tornando a crescere, come ha detto ieri anche il direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni. Il 2006 segna il ritorno dell'economia italiana a tassi di crescita vicini al 2 per cento, non certo per merito vostro perché finora non avete saputo produrre alcun provvedimento per raggiungere questo obiettivo. È significativo anche l'incremento delle entrate fiscali di oltre 15 miliardi di euro, perché dimostra che il paese gira.
Credo che questo declassamento derivi dal tradimento degli obiettivi individuati dal Documento di programmazione economico-finanziaria, dove venivano indicati alcuni settori - sistema pensionistico, servizi sanitari, amministrazione pubblica e finanza degli enti decentrati - come punti su cui intervenire per contenere la spesa pubblica. Il Governo non è stato in grado di produrre alcun provvedimento ed è in uno stato confusionale.
Cito solo l'esempio delle pensioni. Ieri l'INPS ha comunicato che nei primi nove mesi del 2006 sono giunte 182.952 domande di pensione di anzianità, con un aumento del 10,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005. È quanto emerge dai dati del processo produttivo dell'istituto, secondo il quale sono in aumento anche le uscite dal lavoro per vecchiaia, con 247.574 richieste, con un incremento rispetto ai primi nove mesi del 2005 del 12,5 per cento.
Rispetto a questo problema il ministro Damiano dice una cosa, il sottosegretario Ferrero ne dice un'altra. Siamo arrivati anche alla farsa di vedere esponenti del Governo scioperare in piazza contro il Governo stesso. Penso che questo sia davvero incredibile. Pregherei il Presidente Prodi di smettere di prendere in giro gli italiani, perché non si porta avanti questo paese attraverso le bugie.
Per tali ragioni, il nostro voto non può che essere contrario ad entrambi i provvedimenti.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Pertoldi, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, si sta concludendo l'iter del disegno di legge finanziaria iniziato nel mese di settembre, circa un mese fa, e nel corso del medesimo qualche forza politica, anche tra i nostri alleati, ha quasi disconosciuto la paternità di questo provvedimento. Noi dell'Italia dei Valori ci sentiamo pienamente genitori del disegno di legge per il suo impianto e perché, naturalmente, a nostro avviso, questa legge finanziaria non rappresenta un intervento a sé stante, rientrando in un quadro più complessivo tratteggiato nel programma dell'Unione per i prossimi cinque anni.
Siamo convinti che il disegno di legge in esame presenti dei difetti ma, in generale, anche alcuni pregi di fondo che consentiranno al nostro paese di riprendere la strada dello sviluppo e, quindi, di affrontare più facilmente negli anni futuri alcune problematiche, come ad esempio quelle relative alle prossime leggi finanziarie, permettendo di recuperare anche quel lieve maggior carico fiscale previsto dalla manovra finanziaria al nostro esame.
Con l'approvazione di questa legge, ci ritroveremo di nuovo a generare quasi un 3 per cento di avanzo primario; avanzo che il Governo precedente aveva totalmente «mangiato», facendo di nuovo aumentare il debito pubblico e, con esso, gli oneri finanziari che paghiamo, inibendo la possibilità di imprimere uno sviluppo al nostro paese.
Il nostro paese si sviluppa se è virtuoso e per essere tale deve, come ogni buona famiglia che vuole pagare i suoi debiti, spendere meno di quanto incassa. Questo è il primo merito di cui avvertiremo gli effetti positivi anche sul piano della credibilità internazionale nei prossimi mesi e nei prossimi anni.
Per l'Italia dei Valori è importante riprendere la lotta all'evasione fiscale, dopo cinque anni di collusione con gli evasori fiscali, perché i provvedimenti che il Governo precedente ha varato in tema di condoni, continui e reiterati, sono stati di fatto interventi collusivi con l'evasione fiscale, con gli evasori fiscali e con quella «non imprenditoria», come io la definisco, che vive nel lavoro nero, nell'economia sommersa e nell'economia nascosta.
La lotta all'evasione fiscale non ha nulla a che fare con il regime poliziesco di cui Berlusconi in quest'aula ha parlato, perché allora dovrebbe egli per primo accusare gli Stati Uniti, da sempre considerati suoi amici, di essere un regime poliziesco. Da trent'anni gli Stati Uniti usano l'informatica e la telematica come strumento per tracciare i redditi, gli incassi delle attività imprenditoriali, per poi colpire duramente alla fine dell'anno: in quel paese, infatti, per evasione fiscale si va in galera, ci si resta e si espia la pena completamente.
Stiamo, pertanto, solo cercando di prendere da quel paese quello che c'è di buono, ad esempio in tema di lotta all'evasione fiscale. Quindi, si tratta di un altro dei pilastri che convince il gruppo dell'Italia dei Valori.
Vi è un terzo pilastro molto importante che adesso, con alcuni emendamenti, sta per essere messo in forse. Per questo, noi chiediamo con forza al Governo di ripensarci, perché alcuni emendamenti, approvati in Commissione, non impediscono l'avvio di quell'azione volta alla riduzione dei costi della politica che noi consideriamo sia un dovere nei confronti dei nostri elettori e che rientra pienamente nel programma di Governo dell'Unione.
Concludo dicendo che a questa finanziaria dovranno seguire immediatamente, a mio giudizio, gli interventi sulle pensioni, sulle liberalizzazioni, ma in modo più sicuro e più forte di quanto non sia avvenuto con il decreto del ministro Bersani.
Preannunzio, pertanto, l'espressione del voto favorevole da parte del gruppo dell'Italia dei Valori sui disegni di legge finanziaria e di bilancio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pegolo. Ne ha facoltà.
GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, il disegno di legge finanziaria che ci accingiamo ad esaminare costituisce certamente un evento eccezionale. Lo è per le sue dimensioni, ma anche per la congiuntura politica in cui esso viene a collocarsi; una congiuntura caratterizzata da una situazione finanziaria del paese molto critica, della quale il centrodestra ha grandi responsabilità, ma anche da una situazione economica precaria rispetto alla quale la ripresa economica in atto non fuga le preoccupazioni e, infine, da una situazione sociale che permane difficile.
Nel dibattito in corso non si è posta adeguata attenzione nei confronti di quest'ultimo aspetto, ma ritengo si dovrebbe partire da questo punto nel momento in cui si affronta il disegno di politica economica.
Le cifre nella loro crudezza dipingono per il nostro paese uno scenario che resta preoccupante, fatto di nuove povertà, di crescente insicurezza e di palesi iniquità. Nel corso degli ultimi anni, le differenze di reddito sono cresciute esponenzialmente. Il livello di disoccupazione rimane significativo nelle regioni del Mezzogiorno e la precarietà del lavoro è ormai un fenomeno di massa.
Al di là delle ricorrenti polemiche sulla spesa previdenziale, le pensioni percepite da milioni di cittadini nel nostro paese restano molto al di sotto delle necessità. Vi è nel paese, infine, un evidente squilibrio in termini di quantità e qualità dei servizi offerti. Queste contraddizioni sono il riflesso di una serie di limiti che il paese ha conosciuto nel suo sviluppo, ma anche l'effetto dei nuovi processi legati alla competizione globalizzata.
Per queste ragioni di fondo, considero importanti nella finanziaria quelle misure che sono state concepite per promuovere
un processo redistributivo a favore delle fasce a reddito medio-basso e per consolidare lo Stato sociale. Mi riferisco alla revisione delle aliquote IRPEF, alle misure di rafforzamento degli assegni familiari, agli interventi in campo sociale.
Da questo punto di vista, le proposte del Governo, tese a correggere ulteriormente l'impostazione iniziale, rafforzando l'effetto redistributivo sotto i 40 mila euro, non possono che essere apprezzate. Peraltro, dovrebbe essere ovvio che il sostegno al reddito di queste fasce costituisce una misura decisiva se si vuole accrescere la propensione interna al consumo, elemento fondamentale per la stessa crescita economica.
Se ho delle perplessità, invece, queste risiedono semmai nella enorme distanza che continua a permanere fra questi interventi, in sé positivi, e la condizione materiale di milioni di nostri cittadini. Penso alla grande fascia dell'incapienza, concentrata prevalentemente al sud, al problema drammatico della precarietà che l'importante manifestazione di sabato ha riportato all'onore delle cronache o, come dicevo prima, alla condizione miserevole in cui versano milioni di pensionati.
Su questi aspetti decisivi gli interventi previsti nel disegno di legge finanziaria sono ancora carenti e io mi auguro che in questa fase di discussione sia possibile apportare delle modifiche.
Dare coerenza piena ad un disegno redistributivo implica anche la necessità di potenziare e valorizzare al meglio le funzioni dello Stato sociale. Dai banchi dell'opposizione è venuta una critica alla mancanza di rigore, al carattere assistenzialistico di alcuni provvedimenti. Noi sappiamo dove vanno a parare simili critiche: mirano a comprimere la spesa previdenziale, a tagliare le spese per la sanità, a privatizzare i servizi pubblici locali.
Si tratta della solita vulgata liberista che ci propongono ad ogni piè sospinto i rappresentanti di Confindustria: penso che il Governo debba saper resistere al canto di certe sirene. Per questo è stato positivo l'aver stralciato dalla finanziaria il provvedimento sulla previdenza e mi auguro che dall'esito del confronto fra le parti sociali possano giungere soluzioni socialmente non penalizzanti.
Tuttavia, credo anche che altre correzioni vadano apportate alla finanziaria: mi riferisco alle scelte sui ticket o al contenimento della spesa per gli enti locali o alla riduzione delle risorse per l'università. Si tratta di scelte che, a mio avviso, restano discutibili perché in parte contraddicono la stessa decisione di avviare un processo redistributivo, ma anche perché muovono da alcuni assunti di carattere ideologico che dovrebbero essere rimessi in discussione. Penso, in particolare, al provvedimento - considerato allegato alla finanziaria - sulla liberalizzazione dei servizi pubblici, che in nome di una razionalizzazione, peraltro necessaria, finisce tuttavia con l'introdurre il criterio illogico dell'obbligatorietà della messa a gara di tutti i servizi a rilevanza economica.
La manovra economica ha incontrato molte riserve da parte degli imprenditori, che solo dopo la sottoscrizione dell'accordo sull'utilizzo del TFR - quello recente - sembra si siano acquietati. La cosa ha del paradossale, se si considerano i grandi benefici che con questa finanziaria, attraverso il taglio al cuneo fiscale, otterranno le imprese. A tale riguardo, credo che nel ragionare sulla manovra che è stata messa in atto - o che ci si propone di mettere in atto - dovremo porre una certa attenzione, poiché non necessariamente essa sarà destinata ad alimentare un ciclo virtuoso. È probabile, infatti, che in presenza di un sostegno così generalizzato al sistema delle imprese vi sia il rischio che lo stesso si adagi nella solita strategia competitiva, puntando tutto sulla riduzione del costo del lavoro e rinunciando, di fatto - come è stato nel corso di questi anni -, a promuovere un deciso intervento sull'innovazione.
Un'ultima considerazione vorrei riservarla alla partita finanziaria, perché essa costituisce la cornice entro la quale si disegna la manovra. Come è noto, fin dal DPEF, il Governo ha assunto fra i suoi obbiettivi quello del rigore. A tale proposito,
noi di Rifondazione Comunista abbiamo espresso le nostre riserve, poiché abbiamo considerato questa impostazione eccessivamente appiattita su un orizzonte monetarista. Ci pare, infatti, un'impostazione che rischia di impedire il conseguimento degli altri due obbiettivi dichiarati, quello dell'equità e quello dello sviluppo. Come è noto abbiamo anche proposto soluzioni alternative, ma la nostra impostazione non è stata accettata. Sappiamo bene che a questo punto non è possibile rimettere in discussione la materia, tuttavia in conclusione vorrei esprimere due osservazioni.
La prima riguarda la scelta del contenimento del debito. Mi pare evidente che se dopo la finanziaria si volesse proseguire con questi ritmi alla compressione del debito, ben difficilmente si potrebbe pensare di affrontare i grandi problemi sociali tuttora irrisolti.
La seconda considerazione riguarda la struttura della spesa. L'attuale manovra è così ampia non solo perché gravata dall'esigenza di comprimere il deficit al 2,8 per cento, ma perché essa interviene anche ad ampio raggio, distribuendo cioè su un numero consistente di soggetti sociali oneri e benefici. In prospettiva, quindi, credo si ponga la necessità di una maggiore selettività nella manovra finanziaria, ma il problema è che la selettività significa, prima ancora che contenimento della spesa, individuazione di ben determinati referenti sociali.
Qui veniamo al punto, poiché nel corso di queste settimane anche importanti settori della maggioranza hanno invocato un chiarimento sui futuri orientamenti del Governo, richiamando tuttavia una svolta rigorista. Si è parlato di riforme strutturali, liberalizzazioni e quant'altro; echi di questa impostazione ho avuto l'occasione di sentirli anche oggi in quest'aula. Ritengo che se di una «fase 2» questo Governo ha bisogno, questa debba andare in una direzione diversa; essa deve muovere dalla positiva assunzione del tema della redistribuzione del reddito per garantire l'effettivo intervento sugli squilibri sociali esistenti nel nostro paese. In ogni caso, per conseguire questo obbiettivo generale, che peraltro risponde ad una domanda sociale in cui il popolo dell'Unione ha dimostrato di riconoscersi, occorre ridurre la compressione del debito, proseguire nella lotta virtuosa all'evasione per l'equità fiscale e promuovere una politica per lo sviluppo ispirata a logiche più selettive, premiando nell'imprenditoria i soggetti virtuosi.
L'augurio che mi faccio è che questa spinta riformatrice sappia vincere le incrostazioni anche culturali rappresentate dal lascito di un pensiero neoliberista che ha egemonizzato in questi anni il dibattito socioeconomico. La riscoperta di una vocazione alternativa al centrodestra credo parta da questo punto, da cui inoltre deve muovere un recupero di consensi nel paese (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, in questi giorni abbiamo vissuto in maniera intensa i lavori della Commissione bilancio, che - dobbiamo ricordarlo - ha licenziato un testo in cui sono stati esaminati solo 12 articoli sui 217 della legge finanziaria.
Qualcuno della maggioranza, in maniera sprovveduta, anche per giustificare ciò che sicuramente avverrà in queste ore, ha parlato di emendamenti ostruzionistici del centrodestra, addirittura individuandone migliaia. Tutti sappiamo che la realtà, invece, è che vi sono forse solo un centinaio di emendamenti concordati e segnalati presentati in Commissione bilancio, sui quali non è stato possibile trovare nemmeno un momento per un dialogo, un'apertura, un approfondimento. Vi è stato solamente un continuo stravolgimento non per cercare di dare risposte al sistema paese, ma per raggiungere, ancora una volta, un minimo di accordo tra sinistra massimalista e sinistra riformista.
Si cercano soluzioni non per categorie produttive del paese, per i pensionati, le
casalinghe, le famiglie, ma solo ed esclusivamente per i deputati - prossimamente per i senatori - che hanno solo la necessità di indicare inizialmente la quota di valore di mercato. Tale quota, peraltro, è stata trasferita dall'estero in Italia; infatti, abbiamo vissuto la sceneggiata, la commedia - purtroppo stavolta non solo italiana, ma anche estera - che vede una somma non indifferente non certo utile alla risoluzione dei problemi, ma al solo problema di un voto in più in Senato. Quindi, il senatore Pallaro può definirsi ottimista perché il Governo ha immediatamente accolto le sue istanze e non quelle dei professionisti di questo paese, della piccola e media impresa, degli artigiani, degli allevatori, dei piccoli produttori, di tutti coloro cioè che in questo paese lavorano. Al contrario, è arrivato un solo riferimento istituzionale per accogliere l'emendamento: in ogni caso, è successo qualcos'altro.
In maniera anormale ci eravamo abituati a vivere la piazza come momento di legittimità rispetto allo sfogo, alla necessità di trasferire un messaggio che potesse essere raccolto dalle nostre istituzioni. Signor Presidente, stavolta la normalità è stata abbondantemente superata, poiché abbiamo assistito a cortei in cui i riferimenti delle istituzioni, che fanno parte di questa maggioranza - compresi sottosegretari per l'economia, che oggi siedono ai banchi del Governo - hanno manifestato contro i loro stessi ministri per denunciare i vizi, le carenze, le penalizzazioni che le norme di questa finanziaria porteranno alle categorie del paese.
Credo che sia necessario mettere ordine in un contesto in cui, dopo soli cinque mesi, si parla non solo di far cadere l'Esecutivo da parte degli stessi componenti del Governo, ma anche di mandare a casa i ministri, che rappresentano settori delicati come quello del Ministero del lavoro, dove gli striscioni abbondavano e dove, ripeto, gli stessi colleghi rappresentanti di Governo inneggiavano alla sua caduta.
Certamente, l'orgoglio maggiore può essere trasferito nel contesto europeo dove, come sappiamo dalla lettura dei quotidiani, nel prossimo gennaio la Francia e la Germania usciranno dalle procedure di infrazione per il disavanzo eccessivo. L'Italia invece - ricordo coloro che parlavano di paese normale, di credibilità e di fiducia, di possibilità di superare tutte le situazioni che il Governo Berlusconi aveva realizzato -, guarda caso, si proietta con un deficit tendenziale che salirà al 3,1 per cento nel 2008, mentre il debito raggiungerà quest'anno, grazie anche a questa legge finanziaria, il livello record in Europa del 107,2 per cento, superando addirittura la Grecia.
Ecco, quindi, in che modo ci collochiamo nel 2007 rispetto al PIL dell'Unione europea, che crescerà del 2,4 per cento, un punto percentuale in più rispetto all'1,4 per cento previsto per la nostra nazione. Ecco la ricetta di questo Governo per risanare i conti del nostro paese, che sicuramente crescerà a livello di credibilità e di autorevolezza nel contesto europeo! Dovevano essere i salvatori della patria, quelli che avrebbero messo le cose a posto dopo le dissipazioni e le follie degli anni di Berlusconi, quelli del paese normale, della credibilità, quelli che, dopo cinque mesi, gridano di andare a casa! Questa finanziaria è contro le loro classi nemiche, contro il ceto medio, gli artigiani, le piccole e medie imprese, i commercianti, i risparmiatori, ed è studiata apposta per penalizzare chi, dopo una vita di sacrifici, decide di lasciare qualcosa in eredità ai propri figli o decide di mettere da parte un po' di soldi che verranno falcidiati dal sistema delle tassazioni che il Governo ci propone. Questa enorme quantità di persone sarà soggetta ad una pressione fiscale che lieviterà intorno ai 20 miliardi di euro.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, io, che porto con me la mia «sardità», ho anche e soprattutto la necessità di denunciare un fatto gravissimo contenuto nella finanziaria, che è stato tradotto con una norma all'articolo 102, relativo alla definizione dei rapporti finanziari con la regione Sardegna. Peraltro, ho visto che la sinistra massimalista prosegue nel messaggio che il governatore Soru ha portato in
Sardegna in questi due anni e mezzo, quello di tassare i ricchi per distribuire il reddito ai poveri, solo che anche lui fa un po' come questo Governo: tassa i poveri e basta, non prende nulla ai ricchi e in più «uccide» l'economia. Infatti, si tassano i porti, il sistema portuale, turistico e agroindustriale, ed oggi la Sardegna ha la più alta percentuale in Italia di disoccupati; la responsabilità di ciò è da attribuire in pieno al governo Soru. Devo anche far rilevare che nell'articolo 102 si modifica l'articolo 8 della legge regionale a statuto speciale, dove si parla di sanità e di trasporto locale: credo che qualche insigne professore di diritto costituzionale potrebbe inorridire per il fatto che si modifichi un articolo di uno statuto speciale, che è equiparato ad una legge costituzionale, con una disposizione contenuta nella legge finanziaria.
Il governo e il popolo sardo, dopo 25 anni di giuste e legittime pretese di ottenere quanto è loro dovuto, vedranno l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 102 solo nel 2010 quando il Governo Soru non ci sarà più, per fortuna dei sardi, e quando il Governo Prodi non ci sarà più, per fortuna degli italiani. Allora, credo che il ragionamento vada fatto oggi, non certamente fra quattro anni, rimandando responsabilità storiche per non risolvere ancora una volta i problemi di un popolo che meriterebbe ben altra attenzione e non solo, ancora una volta, un «piatto di lenticchie»!
PRESIDENTE. La prego di concludere.
SALVATORE CICU. Noi deputati della Casa delle libertà e di Forza Italia abbiamo presentato una ventina di emendamenti che vanno nella direzione di dare riequilibrio e giustizia, per restituire quello che è stato tolto in tutti questi anni. Denunciamo ancora una volta che questo Governo non si preoccupa minimamente delle regioni che sono sempre più lontane dall'Italia e, certamente, dal modo di pensare del Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Garnero Santanchè. Ne ha facoltà.
DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. Signor Presidente, vorrei cambiare l'approccio degli interventi sulla legge finanziaria, partendo da un dato importante. La legge finanziaria dovrebbe essere l'atto politico ed economico più importante del ministro dell'economia. Bene, vorrei sapere dov'è il ministro dell'economia mentre stiamo discutendo sulla legge finanziaria. Certamente è stato mandato ai vari convegni in Europa, ma mi viene il sospetto abbastanza lecito che, forse, sia stato mandato altrove perché poco si interessasse della legge finanziaria.
Dico questo anche perché in Commissione bilancio, dopo che avevamo studiato e guardato con grande attenzione al Documento di programmazione economico-finanziaria, il ministro Padoa Schioppa ci aveva fatto pensare che, magari, poteva esserci una finanziaria positiva perché grandi erano gli annunci nel DPEF. Infatti, ci aveva parlato di riforme previdenziali, di riforma della pubblica amministrazione e, soprattutto, del contenimento del taglio alla spesa pubblica; ma, ahimè, ci troviamo davanti ad una finanziaria che smentisce il Documento di programmazione economico-finanziaria ed anche lo stesso ministro dell'economia.
Non vorrei tediarvi con quello che è successo nella Commissione bilancio e sono contenta della presenza del sottosegretario Sartor perché ha dimostrato di essere lo specchio del ministro Padoa Schioppa: un sottosegretario che non rispondeva alle domande, che non illustrava gli emendamenti, che spesso era occupato al telefono a parlare. Lo dico perché non vorrei che si incolpasse dell'insuccesso e di questo caos il relatore per la maggioranza, l'onorevole Ventura, o il presidente della Commissione bilancio, che credo non abbiano colpe in tal senso. La colpa è tutta di questo Governo. Ripeto, mi dispiace molto che il ministro dell'economia non si
materializzi, che non si veda, e che, invece, faccia grandi dichiarazioni quando va in Europa o si presenta ai convegni.
La legge finanziaria è la prova di quanto sia facile predicare bene e, soprattutto, fare le campagne elettorali stigmatizzando l'operato del Governo precedente. Sono passati cinque anni e ricordo che l'allora opposizione, oggi maggioranza di questo Parlamento, diceva che mai avrebbe abusato, come ne avremmo abusato noi secondo voi, dell'istituto della fiducia.
Da quanto tempo governate? Quante sono le questioni di fiducia che il Parlamento ha già votato? Sono certa - ma mi auguro di essere smentita - che anche questa finanziaria sarà approvata con un voto di fiducia.
Poche attenzioni sono state rivolte al Parlamento e alle prerogative dei parlamentari. Lo ha dimostrato il lavoro della Commissione bilancio: a poche ore dal termine previsto per la votazione del mandato al relatore, il Governo e il relatore hanno presentato numerosi nuovi emendamenti, che cambiano completamente questa legge, mostrando non soltanto l'assoluta assenza di unità e di coesione della maggioranza, ma - lo ripeto - anche calpestando le prerogative del Parlamento. Credo che non vi sia mai stata una finanziaria di 217 articoli. È ovvio, quindi, che la Commissione bilancio non ha potuto esaminare tutti gli articoli e, purtroppo, pochi sono stati votati.
Vi è stato anche un altro dato sorprendente. Ogni giorno un ministro faceva a gara per annunciare agli organi di stampa cosa sarebbe stato contenuto nella finanziaria, ma non abbiamo potuto trovarne riscontro nell'attività parlamentare. Faccio soltanto due esempi: quanti esponenti di questo Governo hanno detto che c'era stato uno sbaglio e che sarebbe stato reintrodotto il 5 per mille? Ad oggi, non soltanto non sussiste alcun elemento che ci faccia pensare alla sua reintroduzione, ma in base all'articolo 53 saranno usati i fondi del 5 per mille dell'anno scorso per gli accantonamenti; il secondo esempio riguarda la rideterminazione delle aliquote dell'IRPEF, sulla quale non risulta che vi sia alcuna novità.
Quando questo Governo è stato formato, sono stati scelti grandi professori per dirigere i vari ministeri, ricorrendo anche ad esterni. Ricordo la Commissione Faini, quando è stata fatta la due diligence sui conti pubblici attraverso un organo esterno al Parlamento. Quella previsione catastrofica, che prevedeva conti peggiori anche rispetto al 1992, non si è verificata, grazie a Dio! Abbiamo registrato, anzi, un gettito delle entrate fiscali superiore di 9 miliardi di euro rispetto alle previsioni.
Oggi e ieri abbiamo letto sui giornali quale sia la contentezza del Governo e della maggioranza per l'approvazione dell'Unione europea di questa finanziaria. Ma non so se sono io che non capisco o se questo Governo fa finta di non capire: l'approvazione di questa legge finanziaria da parte dell'Unione europea, riguarda soltanto l'entità della manovra (40 miliardi di euro). Poco importa la composizione della legge finanziaria! Oggi ha detto bene il presidente del mio partito: poco importa se tassano anche le paghette dei bambini! Quindi, l'approvazione dell'Unione europea è soltanto sull'entità della manovra!
Anche qui, siamo di fronte ad un Governo e ad una maggioranza che usano due pesi e due misure. Quando, poco tempo fa, le agenzie di rating hanno declassato il nostro paese, non era certamente colpa di questo Governo! Era colpa del precedente Governo Berlusconi!
Per fortuna, le italiane e gli italiani, dopo l'approvazione di questa finanziaria, potranno decidere. Abbiamo visto ieri, nelle elezioni in Molise, che gli italiani già manifestano con il loro voto che questo Governo è arrivato al capolinea. Lo giudicheranno in modo ancora peggiore quando questa finanziaria diventerà legge dello Stato, sicuramente non ci sarà saldo positivo per nessuna famiglia italiana!
Quando ho visto l'emendamento relativo al fondo destinato alle famiglie del ministro Bindi, l'ho letto con attenzione e devo dire che sono rimasta profondamente delusa, come saranno deluse le famiglie
quando vedranno che quei 215 milioni di euro, stanziati per il 2007, 2008 e 2009, serviranno non alle famiglie italiane, ma a creare il portafoglio del Ministero per la famiglia, che sappiamo bene com'è nato, ossia per spartizioni politiche. Non avendo dotazioni finanziarie, il ministro Bindi ha usato questa finanziaria - lo ripeto: 215 milioni di euro per il 2007, il 2008 e il 2009 - per finanziare il proprio ministero! Abbiamo visto le finalizzazioni: sono indagini conoscitive, osservatori e consulenze.
La grande delusione è dovuta anche all'attenzione di questa manovra finanziaria al Mezzogiorno.
DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. A parole, tutti gli esponenti del Governo in questi giorni, dopo i fatti di Napoli, alzavano il tono della voce per dire che c'era un'emergenza Sud, rispetto non soltanto alla sicurezza, ma anche all'occupazione! Bene, questa finanziaria dimostra che sono state diminuite le risorse di circa 1.500 milioni di euro per l'occupazione.
Allora - concludo, Presidente - questa finanziaria, che gli italiani aspettavano, credendo fosse una finanziaria che intercettava la ripresa economica della zona dell'euro...
PRESIDENTE. Deve concludere...
DANIELA GARNERO SANTANCHÈ...., invece, penalizzerà le famiglie e i soggetti più deboli (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici di Sinistra e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, vale per il bilancio della difesa, di cui mi occuperò nel mio intervento, ciò che più volte abbiamo affermato discutendo della legge finanziaria per il 2007.
La prima manovra di bilancio di finanza pubblica del Governo Prodi non può naturalmente non basarsi sui risultati della gestione del Governo precedente. Quindi, con questa legge finanziaria, non stiamo facendo tutto ciò che avremmo voluto fare, bensì ciò che possiamo fare, tenendo conto della pesante eredità del centrodestra che, dopo cinque anni, ci consegna una situazione del nostro paese caratterizzata dall'emergenza finanziaria, sociale ed economica.
Tuttavia, anche in questo contesto, segnato dall'impegno del Governo di operare per il risanamento strutturale della finanza pubblica e per fermare l'indebitamento della pubblica amministrazione, che sono condizioni necessarie per far ripartire l'Italia, è apprezzabile ed è evidente lo sforzo di dotare la funzione difesa delle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati prima con il DPEF e poi con la finanziaria.
Il Governo, per il Ministero della difesa, ha individuato le seguenti priorità: la riorganizzazione e la razionalizzazione della difesa, da realizzare, tra l'altro, mediante l'accorpamento e la ridefinizione in chiave interforze delle strutture e dei comandi; la professionalizzazione delle Forze armate, da attuare sostanzialmente procedendo alla realizzazione del modello a 190 mila uomini previsto dalla legge n. 331 del 2000, nonché migliorando la gestione delle infrastrutture e dei beni immobili; l'ammodernamento dello strumento militare, da realizzare mediante la predisposizione con mezzi e sistemi in grado di assicurare elevata capacità di schieramento, mobilità e proiezione delle forze anche fuori area, nonché attraverso il potenziamento della ricerca tecnologica e il sostegno allo sviluppo dell'Agenzia europea della difesa; il funzionamento dello strumento militare, da attuare assicurando l'efficienza dei materiali, dei mezzi, dei sistemi e delle infrastrutture, per garantire la piena operatività, in condizioni di sicurezza, e per sviluppare la capacità di operare in contesti internazionali.
Al fine di realizzare tali obiettivi, la spesa complessiva è pari a 18 mila 134,5
milioni di euro, con un incremento di 352 milioni di euro circa rispetto al bilancio 2006. Quindi, si tratta del 2 per cento in più. Tali risorse sono destinate allo svolgimento delle funzioni di difesa e sicurezza pubbliche.
Per ciò che attiene esclusivamente alla funzione difesa, nel 2007 sono state stanziate risorse per circa 12 mila 438 milioni di euro, con un incremento, rispetto al 2006, di 330,6 milioni di euro, ossia circa il 2,7 per cento in più rispetto allo scorso anno.
Insomma, è evidente lo sforzo che è stato profuso per sostenere l'operatività dello strumento militare attraverso la formazione, l'addestramento, la manutenzione e la sicurezza del personale e per garantire, con spese per investimenti, impegni già assunti in ambito internazionale con programmi e con contratti già formalizzati.
È bene sottolineare che il precedente Governo negli ultimi anni ha progressivamente operato una notevole riduzione sia della spesa per l'esercizio sia della spesa per l'investimento, che risultano quindi del tutto squilibrate ed insufficienti rispetto alle risorse destinate a sostenere gli oneri del personale. Si tratta quindi di una prima, significativa, positiva inversione di tendenza.
Per la prima volta, con l'articolo 113 viene istituito un fondo pluriennale di investimenti (1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 milioni di euro per il 2008, 1.200 milioni di euro per il 2009) per la realizzazione di programmi per esigenze di difesa nazionale derivanti anche da accordi internazionali. Il fondo pluriennale garantisce una continuità programmatica ed offre maggiori certezze al settore dell'industria nazionale ad elevato contenuto tecnologico che opera per la difesa. I finanziamenti previsti sono consistenti ed incidono fortemente sulla spesa pubblica. In Commissione difesa è stata manifestata l'esigenza di una riflessione sui programmi e sugli accordi internazionali sottoscritti dal nostro paese. Credo che questa riflessione dovrebbe essere funzionale all'obiettivo di realizzare una sempre maggiore integrazione della politica di difesa europea, nel cui contesto occorre operare le scelte necessarie sugli assetti dello strumento militare e sui programmi da sostenere e condividere con gli altri paesi.
Insomma sui programmi di investimento per la difesa, che gravano non poco sulla collettività, credo che, fatte salve le prerogative proprie dei diversi stati maggiori, in particolare dello stato maggiore della difesa, la politica debba esercitare la sua irrinunciabile funzione di indirizzo, programmazione e controllo. Il Governo con l'articolo 57 opera una scelta particolarmente significativa, quella di assumere 1.000 unità nei corpi di Polizia per il 2007. La Commissione difesa si è espressa per incrementare da 1.000 a 3.000 le unità da mettere a disposizione delle forze di polizia. Il Governo sembra orientato ad accogliere questa richiesta e con ciò dimostrerebbe una grande attenzione al tema della sicurezza nazionale, operando una scelta importante per il contrasto della criminalità ed il controllo del territorio. Ogni giorno con angoscia assistiamo, a Napoli, nel sud, e purtroppo in tutto il paese, a fatti di cronaca che colpiscono il senso di sicurezza dei cittadini e delle comunità. Perciò l'assunzione di un numero adeguato di agenti nei corpi di polizia rappresenterebbe una risposta particolarmente apprezzabile. L'incremento dei corpi di polizia permetterà anche di fornire uno sbocco occupazionale, qualificato e stabile, ai volontari in ferma breve e quadriennale delle Forze armate, agli ufficiali dei carabinieri in ferma prefissata, che sono stati prorogati fino al 31 dicembre, con un intervento legislativo in Parlamento, e ai cittadini vincitori di concorso nelle forze di polizia dello Stato, ma non ancora reclutati.
Con la manovra di bilancio per la difesa il Governo manifesta la volontà, all'articolo 17, di mettere a disposizione il patrimonio immobiliare della difesa, consegnandolo all'Agenzia del demanio, con una previsione di entrate pari a 2 miliardi di euro per l'anno 2007 e a 2 miliardi di euro per il 2008. Viene invertita la procedura
di individuazione dei beni immobili in uso all'amministrazione della difesa non più utili ai fini istituzionali. Tale attività compete ora direttamente al Ministero della difesa, che vi provvede con decreti da emanarsi d'intesa con l'Agenzia del demanio, e non più a quest'ultima, di concerto con la direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa stesso. Inoltre tali beni non sono più inseriti in programmi di dismissione per le esigenze organizzative e finanziarie connesse alla ristrutturazione delle Forze armate, ma sono consegnati alla medesima Agenzia del demanio, ai fini dell'inclusione in programmi di dismissione e valorizzazione previsti dalla legislazione vigente.
Per cogliere gli apprezzabili obiettivi che ci si prefigge con questa norma, è evidente che è necessario determinare il coinvolgimento degli enti locali, per ottenere, attraverso la destinazione d'uso, la valorizzazione degli immobili. Sono necessari accordi di programma con i comuni, con le province e con le regioni, per operare la dismissione dei beni non più utili alla difesa attraverso una semplificazione del procedimento e riconoscendo alle autonomie locali cointeressate alla valorizzazione del patrimonio immobiliare una quota delle dismissioni, anche con permute da realizzare con il Ministero della difesa.
In conclusione, signor Presidente, signor sottosegretario, questa prima manovra finanziaria del Governo Prodi, per quanto attiene alla difesa compie scelte importanti, pur basandosi sulla fallimentare eredità del precedente Governo. Da qui bisogna partire per una nuova politica della difesa nazionale e per concorrere, con convinzione, ad una comune politica di difesa europea. A sei anni dall'approvazione della legge n. 331 del 2001, che ha fissato il modello a 190.000 uomini, i tempi sono ormai maturi per una riflessione in Parlamento che ci consenta di comprendere quale strumento militare sia oggi necessario al paese, per consentirci di coltivare le nostre ambizioni e per assumerci le nostre responsabilità su scala internazionale, e quale strumento militare sia compatibile con i nostri mezzi e con le nostre possibilità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, faccio parte di un partito che non ha nessuna voglia di creare problemi esterni a quest'aula relativamente a questo disegno di legge finanziaria, nel senso che ritiene che questo sia il luogo nel quale documentare nei confronti dei cittadini l'entità della manovra, la sua qualità e le risposte per il futuro del paese. Devo però dire con grande amarezza che, proprio partendo da questo dato, il metodo con cui il provvedimento arriva in Assemblea è assolutamente carente e deficitario. In sostanza, è per la prima volta, dopo tanto tempo, che un provvedimento così importante come il disegno di legge finanziaria approda in Assemblea senza il visto della Commissione di merito. Quel tema tanto caro alla sinistra, cioè la possibilità di dibattere, discutere e relazionarsi fra le parti, è quindi venuto meno, e non credo sia esclusivamente per la quantità di emendamenti presentati. Credo che forse ciò sia determinato maggiormente dalla confusione con la quale il Governo e la maggioranza sono arrivati a questo provvedimento.
Vede, signor sottosegretario, il problema è il seguente. Gli emendamenti presentati dalle opposizioni sono normali, mentre gli emendamenti presentati dai singoli ministri, senza il vaglio dell'Esecutivo nel suo insieme, sono un'anormalità. Sono segno e frutto del fatto che in qualche modo è venuta meno - al primo grande e importante provvedimento arrivato in quest'aula - quella collegialità, quel sistema unitario che in qualche modo determina la tenuta della maggioranza e sulla base del quale il ministro dell'economia e delle finanze aveva definito il suo intervento con il DPEF, che rappresentava i saldi della manovra che poi sarebbe arrivata a settembre in Parlamento.
Pertanto, che tipo di ragionamento possiamo fare di fronte ad una manovra di questo genere? Ricordo che quando sono intervenuto in occasione dell'esame del DPEF, ho criticato quella che è divenuta ormai la «liturgia» di questi avvenimenti, come probabilmente è facile criticare la «liturgia» della finanziaria. Ho sentito esponenti della maggioranza dire che è finito il tempo della finanziaria tradizionale e che dobbiamo metterci nella logica di fare una finanziaria di tipo anglosassone. Lo dicevamo anche noi l'anno scorso, ma siamo stati criticati, perché ci si accusava di volerci svincolare dal confronto. Oggi lo dite voi. Noi non diciamo assolutamente niente, ma se le parti si mettono d'accordo e il Parlamento decide che la legge finanziaria, così come viene portata in Parlamento, è un rito ormai consumato in maniera mediocre e che tutto ciò è ormai obsoleto, per carità, visto che c'è la necessità di fare talmente tanta innovazione all'interno di quest'aula (nei regolamenti e nella capacità di rispondere al paese), allora anche il tema della rivisitazione della finanziaria mi va assolutamente bene.
Ma in questo caso credo che la questione riguardi non solo il metodo, ma anche la sostanza, perché gli emendamenti non sono stati frutto soltanto di un episodio contingente, ma vanno a cambiare i saldi complessivi di questo disegno di legge finanziaria: anche questo è un metodo completamente sbagliato, perché siamo partiti da 30 miliardi, poi siamo arrivati a 35 miliardi ed oggi siamo a 40,2 miliardi!
Anche da questo punto di vista, in corso d'opera sono cambiati profondamente non solo i saldi, ma la filosofia stessa del disegno di legge finanziaria. Sono state messe molte pezze qua e là, senza trovare sempre una copertura adeguata. Sono convinto che le pezze introitate con gli emendamenti ai 217 articoli rischiano di far fallire complessivamente il dato di bilancio e che molte poste siano effettivamente fuori controllo dal lato della spesa e soprattutto carenti di copertura.
Un problema balza immediatamente agli occhi. Questa sarebbe dovuta essere una manovra finanziaria ambiziosa. Fin dall'inizio è stato detto che dentro di sé avrebbe dovuto avere tre componenti: il risanamento, lo sviluppo e l'equità. Concordo perfettamente con quanti affermano che sia difficile fare una legge finanziaria. Il Presidente del Consiglio Prodi ha affermato che questo disegno di legge finanziaria è equo proprio perché scontenta tutti. Tuttavia, quando esso scontenta i suoi ministri, immediatamente si provvede a presentare un emendamento, mentre quando scontenta il Paese e noi provvediamo a presentare proposte emendative, queste ultime vengono bocciate. Pertanto, la mia sensazione è che di equità vi sia soltanto il dosaggio nelle forze e nei rapporti all'interno della maggioranza.
Il problema di capire se si sia riusciti a mettere insieme questi tre grandi obiettivi si pone immediatamente nei saldi. Non credo che sia possibile ottenere il risanamento e allo stesso tempo lo sviluppo. È un obiettivo molto difficile se non vi è una strategia forte che comporti un cambio strutturale nella spesa. Tale cambio non è avvenuto. Il tema drammatico che questa finanziaria pone agli occhi di noi parlamentari e alle coscienze del sistema Italia è proprio questo. È una manovra contabile, di prelievo, che non intacca assolutamente i centri di spesa del domani. In sostanza, oggi si fa un'operazione contabile; tuttavia, cosa succederà domani con la legge finanziaria del prossimo anno? Saremo ancora nelle condizioni di rimanere nei parametri contenuti oggi nel DPEF, ovvero nel piano triennale? Credo assolutamente di no, perché il provvedimento portato all'attenzione di quest'aula è non selettivo, bensì esclusivamente di natura contabile. Vi sono tante uscite e tante entrate, in un processo che purtroppo porta a prelevare piuttosto che a tagliare.
Allora, il tema dell'equità di cui si parlava va subito messo in evidenza. Infatti, se per equità si intende il ragionamento sulle aliquote IRPEF, credo che ne sia stata fatta ben poca. Si è tolto un quid
a chi è ritenuto ricco, senza arrivare al criterio essenziale di spostare davvero grandi risorse finanziarie a favore di chi versa in stato di povertà in questo paese. Si è preferito seguire un criterio ideologico nel cosiddetto riequilibrio dell'equità, senza perseguire quella sostanziale. Inoltre, si è voluto coniugare equità e sviluppo, tanto per essere precisi, magari collegandoli alla misura del cuneo fiscale. Tuttavia, dobbiamo considerare quale impatto ha la manovra sull'artigianato e quindi su una parte importante dello sviluppo. Sul cuneo fiscale so che sono stati fatti aggiornamenti in corso d'opera. Tuttavia, è noto che le imprese nel nostro Paese per il 93 per cento hanno meno di dieci dipendenti. Nella prima stesura questo provvedimento non interveniva assolutamente a favore di tali realtà produttive. Secondo uno studio Isfol, l'impatto della manovra, tra revisione di studi di settore ed aumento dei contributi per lavoratori autonomi ed apprendisti (misura per fortuna modificata, anche se non nella misura conveniente), arriva ad un prelievo in questo settore di oltre 1,5 miliardi di euro. Quindi, anche per questo aspetto si tratta di una manovra finanziaria assolutamente improvvida. Se da una parte «dà», dall'altra, per un concetto di equità, «toglie», operando ancora una volta una manovra di carattere esclusivamente contabile.
E pensare che si tratta della vostra prima manovra finanziaria. Si sa perfettamente che la prima manovra dovrebbe avere una forte caratterizzazione e dare l'impronta per incidere nei prossimi cinque anni nel processo politico della maggioranza. Se questa è l'impronta, probabilmente i cittadini italiani hanno sbagliato a darvi in mano il Governo.
Signor sottosegretario, noi non discutiamo, come alcuni di voi hanno fatto in precedenza, se vi siano stati buchi o su cosa è successo. Purtroppo è un meccanismo infantile, perché quando si governa, si governa per quello che c'è, assumendosi le responsabilità per quello che si trova. Non si può pensare di governare dando sempre la colpa a chi è venuto prima. Altrimenti, l'alternanza altro non sarebbe che dare la colpa di quanto successo al Governo precedente, invece di costituire un sistema democratico e di valori da dove impostare una politica del futuro. Purtroppo l'Italia in questo è maestra. Lo vediamo in merito alle riforme fatte dal centrodestra ed alle capacità riformiste del centrosinistra, che sono soltanto quelle di cancellare quanto fatto dal centrodestra senza proporre qualcosa di alternativo.
Siamo d'accordo sul risanamento, così come lo siamo sul tema della lotta all'evasione fiscale. Ne abbiamo fatto non una battaglia, ma un principio di equità per il Paese, sapendo perfettamente che anche le aziende sane corrono il rischio di essere colpite da questo fenomeno iniquo che imperversa in Italia.
Tuttavia, anche in questo caso la risposta da voi data dà la sensazione di essere esclusivamente a carattere poliziesco, senza essere strutturale. Magari si argomenterà sulla necessità di assumere migliaia e migliaia di funzionari della guardia di finanza per controllare in giro, mentre occorre trovare un sistema che in un contrasto intelligente di interessi faccia chiedere ai cittadini la ricevuta fiscale o la fattura in virtù di un vantaggio da trarne. Bisogna studiare questo e non dire soltanto che va colpita l'evasione fiscale. Lo si dice da cinquant'anni e lo sappiamo perfettamente; tuttavia, non si riesce a trovare un modo intelligente per introdurre un vantaggio per chi svolge attività in Italia. Ancora una volta non lo avete fatto e proprio tale circostanza ci preoccupa e ci mette ansia per il futuro del nostro Paese.
In materia di tassazione, ricordo perfettamente quanto dicevate in precedenza, quando abbiamo tagliato alcuni trasferimenti agli enti locali. In quell'occasione avete affermato che avremmo iniziato ad aumentare la tassazione locale. Quindi, ci accusavate di usare un metro falso nel proclamare la diminuzione della pressione fiscale. Ma se noi dicevamo bugie, voi oggi quali bugie dite? Siamo d'accordo sulla necessità di diminuire i soldi laddove vi sono sprechi. Ad esempio, la spesa per il personale tra il 1995 e il 2005 è aumentata
per le amministrazioni centrali del 45,3 per cento, mentre per quelle locali del 56,5 per cento. Vi è un dato di sperequazione e quindi sono assolutamente convinto che bisogna intervenire.
Vi sono anche altre distorsioni, come per esempio l'incremento degli acquisti di servizi tra il 1995 ed il 2005: per le amministrazioni pubbliche tale dato è pari a 46,5 per cento, mentre per i comuni e le province è pari a 68,7 per cento, vale a dire 22,2 punti in più.
Bisogna intervenire anche in termini di equilibrio e di equità. In che modo? Tagliando a tutti indiscriminatamente oppure operando un riequilibrio delle risorse trasferite? Ad esempio, favorendo quelle realtà locali che in questi anni hanno continuato a tirare la cinghia e che si sono mantenute sempre all'interno del patto di stabilità. Perché occorre tagliare risorse anche a queste ultime e non a quelle che, ormai da decenni, in virtù di un passaggio storico, vedono le fatture pagate a piè di lista e in tal modo - è il caso di molte amministrazioni «rosse» di questo paese - ottengono il rimborso del costo dei servizi ancora in base alla spesa storica e non alla spesa pro capite? Perché non si interviene in questi meccanismi di distorsione per trovare equità? Sono questi i temi sui quali ragionare ed approfondire la materia della finanza pubblica. In caso contrario, signor sottosegretario, il rischio è che, rimanendo inalterati questi rapporti, il prossimo anno avremo ancora un momento indefinito della spesa periferica con tutte quante le remore che il paese avrà in funzione del risanamento.
Tornando al problema delle tasse, devo dire che voi avete messo delle tasse «dormienti». Infatti, quando parlate di addizionale comunale, della possibilità di aumentare l'ICI, l'imposta di soggiorno, la tassa di scopo, questo potenziale aumento di tasse locali ammonta a circa 6 miliardi di euro ed ha un'incidenza sul PIL dello 0,4 per cento. Che cosa eravamo noi all'epoca in cui governavamo? Sbagliavamo noi o sbagliate voi adesso? Se avete detto che noi abbiamo sbagliato, ma perché continuate a sbagliare anche voi in questo modo e con peggiore costanza, addirittura con più accanimento e con minore equità e più tassazione? Queste tasse locali, purtroppo, vanno a pesare molto sui cosiddetti ceti medio-bassi che volete proteggere con le cosiddette trasformazioni delle aliquote IRPEF.
Vi sono poi degli aspetti buffi in questa legge finanziaria. Domando agli amici del centrosinistra se ricordano quando ci hanno fatto una «testa quadrata» - io ricordo Benvenuto, tanto per intenderci - sul fatto di inserire nella legge finanziaria una disposizione che ripagasse i cittadini che hanno investito in bond argentini per l'iniquità da loro subita. Perché non destiniamo l'importo per la copertura del famoso «emendamento Pallaro» a questa finalità? Considerato che bisogna dare al senatore Pallaro un importo di circa 14 milioni di euro per le imprese nel mondo argentino (e sappiamo perfettamente che cosa hanno patito gli investitori italiani in Argentina), non si comprende perché non si effettui uno scambio di questo genere. Sarà una provocazione, però questa proveniva dai banchi dell'allora opposizione; oggi - mi permetterete - avanzo tale provocazione io che sono in un'analoga condizione, ricordando cosa diceva l'opposizione di allora.
Per quanto concerne poi alcuni aspetti relativi alle modalità, questa legge finanziaria, con i suoi 217 articoli, rischia di avere tra le pieghe delle norme abbastanza strane. È difficile anche capire alcuni settori dove, invece dell'interesse generale del paese, si persegue l'interesse particolare di qualcuno. Per esempio, mi riferisco a quanto è accaduto in tema di energia o, meglio, di liberalizzazione del sistema energetico del nostro paese. Di fronte a un emendamento al disegno di legge finanziaria ipotizzato quindici o venti giorni fa, il ministro Bersani ebbe a rispondere immediatamente, con una nota ufficiale, sul fatto che non si sarebbe toccato assolutamente nulla nella finanziaria in relazione al processo di liberalizzazione. Quest'ultimo, peraltro, è presente in un disegno di legge collegato in discussione oggi al Senato. Fatto molto strano, all'ultimo secondo
queste modifiche sono arrivate, contrastando abbondantemente con le rassicurazioni di Bersani. Pertanto, noi ci troviamo con un emendamento che prevede il riassetto del settore energetico mediante l'accorpamento della cassa-conguaglio per il settore energetico al gestore del sistema elettrico nazionale. Non credo che Bersani sia una persona che non rispetta gli impegni assunti: vorrei capire se questo emendamento è passato collegialmente al vaglio del Governo - visto che ne ha l'imprimatur - ovvero se rischia di essere qualcosa che sfugge alle logiche del controllo della politica ed è più legato ad un interesse di qualche direttore generale.
Un altro aspetto, signor sottosegretario, riguarda il tema dell'università e della ricerca. Nel decreto fiscale è avvenuta una cosa vergognosa: è stato fatto in sostanza uno spoils system decapitando i vertici ed i consigli di amministrazione di alcuni settori importanti della vita della ricerca del nostro paese: mi riferisco, ad esempio, all'ENEA. A me non è mai capitato di vedere che si cambino gli amministratori per decreto, ma voi siete riusciti a farlo. Lo fate in un settore che - ce lo avete sempre detto - è strategico per il paese e funzionale per il riassetto degli equilibri del nostro paese per il futuro. Ricerca e innovazione sono elementi che ci avete sempre detto essere funzionali - e noi siamo d'accordo - per cambiare le ragioni sociali dello sviluppo del nostro paese. C'è voluto il richiamo del vostro ministro Mussi, ma anche quello del Presidente Napolitano, per aggiornare in qualche modo o, comunque, tentare di incrementare le poste che avevate messo in bilancio - leggermente, mi pare - perché altrimenti avreste tagliato anche in questo settore, pur di giocare una partita «spalmata» in mille rivoli che effettivamente non dà il quadro vero della prospettiva della legge finanziaria.
In particolare, quando nella scorsa legislatura abbiamo tagliato risorse destinate all'università, voi avete gridato allo scandalo. Oggi, tagliate all'università la bellezza di oltre il 20 per cento delle risorse! La stranezza è che i rettori, la volta scorsa, si sono addirittura ammutinati mentre oggi non ho ancora compreso dove siano andati a finire. Tanto per intenderci, in questa legge finanziaria di fatto vi sono ben sei articoli che riguardano la pubblica istruzione. Nel contempo, questo significa uno stravolgimento abbondante di quella che è stata la riforma Moratti. Ma come è possibile fare una revisione di una riforma importante come quella della scuola in maniera surrettizia, attraverso la legge finanziaria? Come mai quel mondo della scuola che era sempre pronto a scendere in piazza, questa volta è così silenzioso? Forse è sotto il controllo del sindacato? Questo è un tema che, in qualche modo, dovrebbe emergere alla luce del sole. Infatti, in caso contrario, rischiamo che questa legge finanziaria sia vista solo ed esclusivamente per le poste messe in bilancio. Si trascurerebbe, invece, l'impopolarità sotterranea da essa generata per aver utilizzato strumenti assolutamente non consoni al fine di produrre cambi che avrebbero dovuto trovare, in questo Parlamento, ben altra discussione e ben altra voce di contrasto.
Voi, probabilmente - e credo che sarà esattamente così - presenterete il vostro maxiemendamento che ricompatterà tutto ciò che serve nella vostra maggioranza; presenterete su questo la fiducia ma, nel contempo, cambierete nella sostanza anche parti della cosiddetta contrattazione nella società civile: scuola, energia, ricerca. Farete questo attraverso un provvedimento che avrebbe dovuto essere discusso e formare altresì oggetto di confronto attraverso disegni di legge collegati. State «sgonfiando» fino in fondo anche questi ultimi e, pertanto, non comprendo affatto che ruolo abbiamo noi dell'opposizione in questa legge finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, colleghi, gli obiettivi della finanziaria,
come sappiamo, consistono dei seguenti punti: abbassare il disavanzo sotto il 3 per cento (con stime intorno al 2,9-2,8); puntare ad una crescita il cui tasso, almeno dal Presidente del Consiglio dei ministri, è stato valutato intorno al 2 per cento; creare maggiore equità attraverso la redistribuzione. Quindi, tre obiettivi: risanamento, sviluppo, equità; tale è la filosofia ispiratrice della legge finanziaria per il 2007 e del programma di politica economica per il futuro. Come si perseguono tali obiettivi, è noto: 15 miliardi di euro di riduzione dei costi consentirebbero di mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento mentre circa 20 miliardi, signor sottosegretario Sartor, verrebbero destinati allo sviluppo ed all'equità.
A tale riguardo, per la verità, esistono talune variabili; ad esempio, come abbiamo appreso, il decreto-legge sulla detraibilità dell'IVA, già in discussione ieri, se pienamente eseguito in conformità alla sentenza europea, costerebbe ben 17 miliardi di euro. Analogamente, il fondo che verrà costituito presso l'INPS per il conferimento del TFR rappresenta obiettivamente una partita di giro. Anche il decreto fiscale collegato alla finanziaria, già approvato in prima lettura in questo ramo del Parlamento, determina inoltre una necessità di cassa e, quindi, un ulteriore indebitamento finanziato attraverso il collocamento di BOT, CCT e di quant'altro. Se questa è la manovra, siamo certi, amici e colleghi del centrosinistra, signor sottosegretario, signor Presidente, di raggiungere gli obiettivi fissati? Vedo continuamente, in questa Assemblea, una divisione tra i sostenitori, i quali usano termini abbastanza simili, e gli avversari od oppositori i quali usano tutti i termini possibili ed immaginabili per demonizzare e demolire questa finanziaria. Invece, il ruolo che dovremmo esercitare - tutti, deputati della maggioranza e dell'opposizione - dovrebbe consistere, a mio avviso, nel recare un contributo serio e significativo a che la finanziaria raggiunga gli obiettivi che si è prefissa.
LUCIANO D'ULIZIA. Personalmente, ho, per così dire, elaborato tre 'controfinanziarie' durante il Governo Berlusconi e tutte le volte le mie previsioni sono risultate corrette; sarebbe perciò la prima volta che sbaglierei una previsione sulla finanziaria. Ebbene, secondo i miei modestissimi calcoli, il primo obiettivo, ovvero il contenimento del disavanzo al di sotto del 3 per cento, è raggiungibile solo se la crescita si mantiene ad un livello almeno superiore al 2 per cento. Quindi, si tratta di fattori concatenati, e non di elementi separati e distinti; a tal fine, occorre stabilizzare i costi in relazione alla crescita.
Dunque, non basta, signor Presidente Castagnetti, annunciare una riduzione della spesa di 15 miliardi di euro ma occorre che tale riduzione delle spese abbia una propria logicità rispetto allo sviluppo; quindi, ribadisco che i costi vanno stabilizzati in relazione alla crescita. Una crescita che, come osservavo, non può assolutamente essere inferiore al 2 per cento; altrimenti, non avremmo tale effetto concatenato e virtuoso.
PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo ...
LUCIANO D'ULIZIA. Quanto all'equità, essa è stata raggiunta solo per le fasce basse...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Ulizia. Il tempo a sua disposizione è esaurito; mi dispiace, ma mi corre l'obbligo di interromperla.
È iscritto a parlare il deputato Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anzitutto dobbiamo manifestare il disappunto ed il rincrescimento della Lega Nord per come
questa finanziaria è giunta all'esame dell'Assemblea. Come sappiamo, in sede di esame in Commissione non è stata minimamente discussa nel merito, pervenendo così all'esame dell'Assemblea, per la gran parte degli articoli, nello stesso testo iniziale approvato dal Consiglio dei ministri; quindi, nel medesimo testo che aveva sollevato tante critiche in gran parte del paese. Si è dunque trattato di una Commissione che, esautorata dei suoi poteri, non ha potuto seguire neanche quelle modalità costruttive con le quali l'opposizione, compresa la Lega Nord Padania, aveva affrontato inizialmente la discussione. Una Commissione che, quindi, è stata completamente esautorata dei suoi poteri. Qualcuno, al riguardo, ha addirittura sostenuto che si è trattato di un grave vulnus istituzionale nel senso che mai era accaduto, negli ultimi decenni, che la Commissione bilancio, nell'esame della manovra finanziaria, non esaminasse seriamente la gran parte dei capitoli; stavolta, invece, ha lavorato su parti minimali della manovra. Non si tratta, peraltro, di una nostra conclusione; come sapete, ciò è stato osservato anche da parte della maggioranza.
Dobbiamo censurare tale aspetto perché si giunge all'esame dell'Assemblea senza aver potuto lavorare seriamente e con il giusto criterio sui tanti interventi importanti di questa finanziaria sugli interessi presenti nel paese. Ciò è dovuto alla mancanza di accordo all'interno della maggioranza che, nelle ultime tre o quattro ore dei lavori della sede referente, ha praticamente riempito i tavoli della Commissione di innumerevoli proposte emendative di maggioranza; proposte che hanno praticamente ingolfato i lavori della Commissione sicché la stessa non ha più potuto lavorare. Abbiamo già denunciato tale circostanza ma credo si debba farlo nuovamente in questa sede.
Una finanziaria che ormai ha scontentato tutti o quasi tutti; da quando questo Governo si è insediato, sono scese in piazza praticamente tutte le categorie produttive. All'inizio, con il cosiddetto decreto Visco-Bersani, sono scesi in piazza, in giacca e cravatta, gli avvocati ed i commercialisti (peraltro, hanno manifestato anche poco tempo fa); sono scesi in piazza i farmacisti ed i tassisti. In questi giorni, vediamo che gli artigiani ormai si riuniscono in tutta Italia per denunciare la gravità di questa finanziaria; le piccole e medie imprese la criticano come anche i commercianti e gli addetti al turismo. La criticano tutti; i precari, che sono scesi in piazza; la criticano addirittura i sottosegretari. Lei, sottosegretario, non è sceso in piazza e ciò ci fa piacere; però, addirittura, taluni sottosegretari hanno manifestato contro la finanziaria. È perciò criticata da tutti, tranne che dalla triplice sindacale; infatti, i sindacati, che per cinque anni sono scesi in piazza - un giorno sì ...e l'altro pure! - e che comunque minacciavano continuamente di scendere in piazza, questa volta, invece, rimangono in silenzio. Ciò, perché sono stati 'pagati' da questo Governo con la promessa di una destinazione della spesa pubblica al rifinanziamento dei contratti dei pubblici dipendenti. Hanno puntato la pistola - in termini politici; consentitemi la metafora - alla tempia del Governo: o ci rifinanziate i contratti dei dipendenti pubblici oppure scioperiamo anche noi! Quindi, avrebbe scioperato tutto il paese; solo i sindacati non lo hanno fatto perché il Governo, come si dice dalle nostre parti, ha letteralmente «calato le brache» dinanzi alle richieste dei sindacati. Da una parte, i precari in piazza, quelli senza lavoro o che hanno il lavoro a rischio; dall'altro, il Governo, che invece finanzia chi precario non è perché sappiamo che i dipendenti pubblici mai sono stati licenziati e non verranno licenziati. Questa è la giustizia sociale, l'equità sociale di questa finanziaria!
Si tratta di un disegno di legge finanziaria da 35 miliardi. Come abbiamo detto varie volte, è una cura da cavallo, corrisponde ad una manovra da 70 mila miliardi di lire. È dal 1992, quando c'è stata la crisi dei conti pubblici, che non si presentava un disegno di legge finanziaria di questo genere. È stato giustificato dalla maggioranza - molte volte è stato fatto,
negli ultimi mesi e anche oggi - dicendo bugie, sostenendo che il Governo Berlusconi avrebbe lasciato un «buco» nei conti pubblici. Ormai, tutti sanno che per sistemare i conti pubblici e per portare sotto il 3 per cento il famoso rapporto tra deficit e PIL basta una legge finanziaria da 15 o 20 miliardi di euro. Il resto è costituito da tasse, da spesa pubblica e dalla volontà di questo Governo, il quale non può dire di essersi sbagliato quando, quattro mesi fa, ha gridato che Berlusconi ha lasciato un «buco» nei conti pubblici ed ha affermato di essere stato costretto a realizzare una manovra economica così ampia e criticata, proprio per la sua ampiezza, anche dalla stessa maggioranza. Infatti, anche i rappresentanti della maggioranza sanno che non è necessaria una manovra economica di questa entità, con i sacrifici che comporta per tutto il paese, per sistemare i conti pubblici.
Questo disegno di legge finanziaria è stato giustificato in quanto pone fine alla spesa pubblica. Il ministro Padoa Schioppa, in una recente intervista, ha affermato che sono finiti i tempi in cui la spesa pubblica aumenta, sono finiti i tempi in cui lo Stato e il Governo spendono a destra e a sinistra denaro pubblico. Però noi abbiamo potuto assistere ad una valanga di emendamenti, presentati in Commissione, con i quali questa maggioranza e questo Governo richiedono una ulteriore spesa pubblica. Ne cito alcuni, perché stanno a cuore a noi della Lega Nord Padania. Il nord, infatti, è stato dimenticato e messo all'angolo da questo disegno di legge, non soltanto per il suo disegno complessivo ma anche in virtù degli emendamenti presentati dal Governo in Commissione. Sono state avanzate ancora richieste di finanziamenti per il terremoto del Belice e per il terremoto dell'Irpinia ed altre richieste di finanziamenti per le infrastrutture siciliane, quando sappiamo quanto tempo occorre per percorrere il tratto tra Milano e Bergamo, alle 5 di sera.
C'è, poi, la richiesta del senatore Pallaro: 14 milioni per comperare il voto di un senatore e per finanziare il capitolo del made in Italy! Ci si preoccupa di finanziare le imprese all'estero - questo non è made in Italy - e si bocciano le nostre proposte emendative a favore dei settori calzaturiero, tessile e delle rubinetterie che certamente sono in crisi a causa della concorrenza internazionale. Questo è il made in Italy da tutelare! Invece, noi tuteliamo il made in Italy del senatore Pallaro, perché questo Governo deve restare in carica, deve sopravvivere e, se mancasse quel voto, potrebbe cadere.
Oltre a tutto ciò, abbiamo assistito al cosiddetto assalto alla diligenza. Stando alle agenzie di stampa, oggi Visco ha affermato di non sapere se ci siano o meno le coperture per tutti gli emendamenti che il Governo vuole approvare. Mentre voi state discutendo in qualche aula di questo palazzo, arrivano emendamenti da destra e da sinistra e Visco afferma di non sapere se ci sia o meno la copertura. È tornato l'assalto alla diligenza, è tornata la spesa pubblica con questo Governo che tassa il nord e le imprese.
Ci riferiamo al nord perché siamo convinti che questa manovra economica sia contraria ai suoi interessi e con la definizione di nord intendiamo riferirci alle categorie produttive. Sappiamo che il mondo delle partite IVA, in termini percentuali, è in Padania. Vorrei elencare una serie di gabelle che questo Governo ha introdotto nel tempo, da quando si è insediato, ai danni delle varie categorie produttive. Si tratta di una serie di vincoli e i termini utilizzati sono stati tantissimi.
Non entriamo singolarmente nel merito, ma semplicemente diciamo che questo disegno di legge finanziaria è contrario al nord ed alle categorie produttive. L'ultimo tassello dell'accanimento contro il mondo delle partite IVA è rappresentato da un emendamento presentato in Commissione, secondo il quale un'impresa, per poter compensare le imposte, prima deve chiedere all'Agenzia delle entrate se sia in regola. In altri termini, prima si deve dimostrare di non essere evasori, poi si può ottenere la compensazione: il principio inserito nel provvedimento è una presunzione di evasione fiscale poiché, prima
di chiedere la compensazione, si deve chiedere allo Stato se lo si possa fare! Non è lo Stato a dover trovare chi abbia evaso e compensato in maniera sbagliata, ma si parte dal concetto che esiste non più il presupposto dell'innocenza, bensì il presupposto della delinquenza, delle irregolarità. Questo tassello va insieme ad un altro, che abbiamo criticato varie volte, quello dello scontrino fiscale.
Sintetizzo il mio intervento poiché successivamente altri colleghi della Lega Nord Padania approfondiranno ulteriori aspetti.
Questo disegno di legge finanziaria prevede soltanto tasse. Non lo abbiamo detto noi, lo ha detto la Corte dei conti, lo ha detto la Banca d'Italia e lo hanno detto illustri economisti, anche vicini al mondo della sinistra.
PRESIDENTE. Onorevole Fugatti...
MAURIZIO FUGATTI. Concludo, signor Presidente, e mi scuso.
Ricordiamo anche le misure relative al TFR, un esproprio proletario; ricordiamo l'aumento dei contributi pensionistici per artigiani, commercianti e lavoratori parasubordinati; ricordiamo l'aumento della ritenuta sulle rendite finanziarie.
Questo disegno di legge finanziaria è spacciato per un intervento di giustizia sociale. A nostro modo di vedere, non è giustizia sociale parlare di redistribuzione del reddito e, al contempo, tassare le auto «euro 0» ed «euro 1», che sono di proprietà dei poveri, non certo dei ricchi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milana. Ne ha facoltà.
RICCARDO MILANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, dopo un mese di dibattito e di commenti più o meno interessati e più o meno di parte, la discussione sul disegno di legge finanziaria per il 2007 si è avviata nell'Assemblea di Montecitorio. Si tratta di un provvedimento, a mio giudizio, ambizioso oltreché per i numeri - oltre 34 miliardi di euro - anche, e soprattutto, per gli obiettivi che si propone. Il Governo e la coalizione che lo sostiene si erano prefissi di coniugare, con questa manovra economica, risanamento, equità e sviluppo. L'insieme del provvedimento - che non credo sia necessario ricordare in questa Assemblea - nasce da una proposta del Governo ma vive di un iter di lavoro parlamentare. Le modifiche apportate dalla Commissione, quelle già proposte dal Governo e le altre che sono emerse nel dibattito disegnano un quadro che va in tale direzione. Credo che al termine di questo iter parlamentare ci accorgeremo che avremo saputo raggiungere quegli obiettivi, appunto, di risanamento, equità e sviluppo. È di queste ore la notizia dell'approvazione della manovra economica da parte degli organi di controllo della Comunità europea. Ciò dimostra che le misure previste da questo disegno di legge finanziaria erano necessarie per chiudere quel «buco» di bilancio ereditato dal Governo di centrodestra e dimostra, soprattutto, che questi provvedimenti sono appropriati e non rinviabili.
Anche oggi ho ascoltato battute sull'entità della manovra economica. Qualcuno affermava in precedenza che noi abbiamo formulato accuse relative al «buco» di bilancio. Ero già componente di questa Assemblea e ricordo che il ministro Tremonti intervenne in un telegiornale della sera, nell'agosto di cinque anni fa. A quei colleghi voglio ricordare che è passato appena un anno - ma chi ha memoria corta sembra essersene dimenticato - da quando il ministro Siniscalco fu cacciato e, al suo posto, fu richiamato il ministro Tremonti. È bene ricordare che quest'ultimo, precedentemente, era stato allontanato con l'accusa - almeno così riportarono gli organi di stampa le televisioni - dell'allora Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, di avere «truccato» i conti. Credo che dobbiamo mantenere viva la memoria di quanto è accaduto e della situazione che ci troviamo ad amministrare. Mi sembra che fosse la legge finanziaria di un anno fa a rimandare i problemi della chiusura del debito, dei conti sballati con l'Europa e del superamento dei limiti di Maastricht ai governi
che sarebbero subentrati. Quella era l'ultima finanziaria del Governo Berlusconi-Tremonti, quella era la finanziaria che in questi mesi di Governo ci siamo trovati ad amministrare e a dover correggere.
È bene ricordare che quasi la metà della nostra manovra, che voi criticate aspramente, serve a correggere le errate previsioni del vostro Governo in merito alle entrate, allo sviluppo, al rispetto dei limiti di Maastricht. L'altra metà destina risorse all'equità e allo sviluppo. Si restituisce una parte del potere d'acquisto ai ceti più deboli, alle famiglie, quel potere d'acquisto compromesso in questi anni di Governo in maniera drammatica; si intensifica finalmente nel nostro paese la lotta all'evasione fiscale, che è presupposto per l'equità fiscale, con un'azione decisa contro quello che è un crimine nei confronti del nostro paese e di tutti i suoi abitanti; si sostiene lo sviluppo con misure di finanziamento delle opere stradali e ferroviarie, annunciate tante volte, inaugurate altrettante volte, ma mai finanziate dal Governo Berlusconi; si dà una spinta al sistema produttivo con il taglio del cuneo fiscale, che rende disponibili risorse per le imprese e per i lavoratori.
La finanziaria, infine, si occupa di temi centrali nel settore della scuola, correggendo alcune storture precedentemente introdotte, affrontando - poi qualcuno si domanda perché non sono in piazza i lavoratori della scuola! - finalmente e portando sulla strada della risoluzione quel problema di precariato che affligge da anni il nostro sistema scolastico.
Ho sentito parlare del contratto del pubblico impiego, come se in campagna elettorale fossimo andati noi a firmare questo contratto; non ce li ricordiamo i ministri che un giorno sì e un giorno no annunciavano la firma imminente del contratto sul pubblico impiego? Qualcuno si è dimenticato del ministro della funzione pubblica, che battibeccava con i suoi colleghi poco prima della campagna elettorale, quando i voti del pubblico impiego facevano comodo alla coalizione di centrodestra? Oggi, con i provvedimenti presi dal Governo, anche questo problema si avvia alla soluzione, si mette da parte, creandosi le condizioni per ripartire.
È una finanziaria che introduce e contiene misure a favore dei pensionati, dei giovani, di quelli che decidono di praticare una attività sportiva, delle famiglie, con l'introduzione del fondo per gli asili nido. È una finanziaria - mi preme sottolinearlo con piacere mentre mi avvio alla conclusione, per l'esaurimento del mio tempo - che ha voluto difendere in Commissione bilancio il ruolo che in questo paese hanno gli enti locali e quello che devono avere i sindaci, i consiglieri comunali, gli amministratori, che sono coloro che curano l'amministrazione delle città, il loro decoro, il loro funzionamento, ruolo spesso svolto, in tante aree del paese, a rischio della loro incolumità. Essi vanno difesi da qualunque Governo e dal Parlamento democraticamente eletto, nel loro ruolo e nelle loro prerogative.
Concludo, signor Presidente, dicendo che, come spesso accade nel nostro paese, molti di quelli che fino a ieri hanno governato oggi sono prodighi di consigli, possiedono tutte le ricette necessarie per risolvere i problemi italiani; sorge allora spontanea una domanda: ma perché queste ricette miracolistiche non le avete applicate quando governavate?
Noi vogliamo rispondere alla domanda di sviluppo e di equità che sale dal nostro paese; lo faremo governando per gli anni del mandato conferitoci dagli elettori e siamo sicuri che alla fine restituiremo al loro giudizio un paese migliore di quello che voi ci avete lasciato in eredità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la legge finanziaria rappresenta l'atto che più di ogni altro caratterizza il Governo di un paese, segnando il momento essenziale per l'attuazione delle linee programmatiche con le quali la maggioranza si è presentata agli elettori. Oggi ci troviamo di
fronte ad un documento che avrebbe dovuto rappresentare, in linea teorica, l'applicazione concreta delle proposte contenute nelle circa 300 pagine che l'Unione aveva indicato come programma di Governo.
Dobbiamo purtroppo rilevare che quelli che erano stati i formali impegni presi dal leader dell'Unione in campagna elettorale sono stati disattesi in gran parte, se si tralascia la pasticciata politica redistributiva del reddito che ha ispirato la ridefinizione della curva IRPEF. In particolare, è venuta meno la promessa che le imposte e le tasse non sarebbero state aumentate.
Sul Documento di programmazione economico-finanziaria del luglio scorso si affermava che la manovra di correzione degli squilibri di finanza pubblica si sarebbe basata fondamentalmente sulla riduzione della spesa pubblica, con tagli ai quattro principali capitoli di spesa corrente (sanità, enti locali, pubblico impiego e previdenza).
Oggi ci troviamo di fronte ad una finanziaria che, complessivamente, considerando anche il decreto fiscale collegato e la delega sui redditi da capitale, si aggira sui 40 miliardi, dei quali solo 11 sono riconducibili a tagli e risparmi di spesa e ad un imprecisato, ma sicuramente corposo, numero di nuove tasse. Una manovra che ha sollevato dubbi e critiche anche da parte di esperti ed economisti di area governativa, che cozzano con i peana che si erano sollevati in campagna elettorale.
Ma quello che troviamo stupefacente è la perdita di credibilità, tra gli stessi elettori, dopo solo cinque mesi di Governo. Un elettorato deluso che ha creduto nella bontà delle ragioni e delle parole dei leader dell'Unione, deluso soprattutto da quell'area moderata dell'Unione, alla quale il ceto medio, gli artigiani, i dipendenti pubblici e privati, i commercianti e i professionisti imputano le maggiori responsabilità di una finanziaria che li vede immolati alle ragioni della sinistra massimalista e radicale.
L'insoddisfazione dell'opinione pubblica nei confronti del Governo non è il rituale, normale e trascurabile atteggiamento di dissenso verso coloro che gestiscono il potere. Nelle strade, negli uffici, negli ambienti di lavoro, sono riscontrabili una consistente preoccupazione ed un forte timore degli operatori economici, delle classi professionali ed artigiane, dei dipendenti e dei commercianti, su cui già pesano i primi effetti delle iniziative legislative poste in essere da questa maggioranza.
È una finanziaria con il bollino rosso, condizionata dalle ali estreme della coalizione, e a farne le spese è stato proprio il ministro Padoa Schioppa, scivolato all'ultimo posto della classifica dei ministri delle finanze europei del Financial Times (vera Bibbia quando si trattava di dare addosso al Governo Berlusconi, ed ora relegato a foglietto di malelingue). Avrebbe tradito le imprese, si legge nell'articolo, e come non dargli torto!
Dopo anni di congiuntura sfavorevole, molte piccole e medie imprese hanno visto finalmente lievitare gli ordini, la produzione e le esportazioni. Si sarebbero aspettate, quindi, una manovra leggera, aiutata anche dal boom delle entrate, e invece si sono viste subito portare via il TFR accumulato dai lavoratori e non indirizzato ai fondi pensione, misura mitigata poi solo in parte dall'esenzione delle aziende con meno di 50 dipendenti, con il rischio di condannare di fatto le imprese al nanismo o alla frammentazione.
L'operazione TFR da una parte danneggerà, forse irrimediabilmente, il decollo della previdenza complementare e, dall'altra, metterà a rischio anche quella che da cinquant'anni è la formula di credito più usata dai lavoratori; mi riferisco alla cessione del quinto dello stipendio, in quanto dimezzando il TFR accantonato verranno meno le garanzie adeguate per la concessione del credito ai lavoratori che ne faranno richiesta.
Quello che emerge, qui come in tutta la struttura del disegno di legge finanziaria, è una impostazione ideologica dirigista, fortemente penalizzante per le piccole aziende, i piccoli imprenditori, fino a comprendere quello che, più in generale, viene chiamato ceto medio.
Le liberalizzazioni del decreto Bersani sono «pannicelli caldi», rispetto ad un mercato ingessato che ha bisogno di una drastica liberalizzazione nel settore dei servizi, per consentire alle imprese di essere competitive ed ai cittadini di ottenere vantaggi veri e non transitori. Questo è tanto più vero se rapportato all'economia meridionale, che rappresenta una opportunità di sviluppo del nostro paese, ma che sconta, rispetto al centro-nord e all'Europa, un gap infrastrutturale che neanche questa finanziaria sembra tenere in conto.
In questo contesto dovrebbe risultare evidente il ruolo delle piccole e medie imprese, strozzate dai vincoli di una competitività che tarda a crescere, a causa di ritardi nell'impiego di nuove tecnologie, al maggior costo del denaro e ad un quadro di legalità minato dalla presenza della criminalità organizzata.
Abbiamo sperato che, governando sei regioni meridionali su sette, il Governo avrebbe posto una particolare attenzione a questa area attraverso una politica fiscale che aiutasse la localizzazione di nuove imprese, che indirizzasse una quota superiore degli investimenti in opere pubbliche al sud, ma purtroppo le nostre attese - e parlo da meridionale - sono state vane.
E come possiamo giustificare la miopia di questo Governo che, nella sua zelante azione fiscale, punisce quella che è una delle più importanti leve per lo sviluppo economico del Mezzogiorno, cioè il turismo?
Riesumando la tassa di soggiorno soppressa nel 1989, il Governo sembra non comprendere che in questo modo si minerà ulteriormente la competitività delle strutture ricettive del nostro paese, sia internamente sia esternamente. Le imprese turistiche europee, infatti, che già godono di un regime IVA agevolato e di numerosi contributi statali, potranno godere di un nuovo appeal rispetto a quelle italiane ed è facile prevedere uno spostamento dei flussi turistici, degli intermediari del settore, verso quelle mete che a parità di benefici praticheranno costi inferiori. E questo accade proprio nel momento in cui le note turbolenze che affliggono le aree del Medio Oriente stanno cedendo all'Europa una consistente quota del mercato turistico mondiale, a favore proprio dell'Italia, della Francia e della Spagna.
Crediamo che il settore turistico abbia bisogno di misure, anche fiscali, che lo rivitalizzino, soprattutto in funzione delle stabili e consistenti ricadute occupazionali che ne deriverebbero.
Abbiamo detto che l'imprimatur vero di questa manovra è sostanzialmente riconducibile all'ala radicale della coalizione, ma il punto è che non si può ricercare ad ogni costo una giustizia sociale sacrificando la crescita, perché in tal modo si innesca un circolo vizioso perdente, in cui tutti sono forse più uguali, ma sicuramente più poveri.
La nuova curva fiscale, ritoccata più volte, non sortirà gli effetti sperati. Non solo, la trasformazione delle deduzioni in detrazioni, abbinata al via libera alle addizionali comunali e regionali ed all'aumento degli estimi catastali, finirà per produrre nuove tasse e nuovi costi per le famiglie indistintamente, senza progressività.
Ci troveremo a commentare il fatto che l'operazione è riuscita, ma il paziente è morto: la rimodulazione delle fasce di reddito ai fini impositivi non è l'arma con cui combattere la povertà, anzi rischia di creare nuove iniquità perché così facendo si attua una redistribuzione, che può anche favorire chi non ha diritto a quei benefici e sfavorire chi non può accedere al regime delle detrazioni introdotto con la nuova disciplina.
Infine, una parola su università e ricerca. La manovra risulta penalizzante e priva di una strategia non solo per la mancanza di risorse adeguate per finanziare gli atenei e gli enti di ricerca, da tempo in grave difficoltà, ma anche per l'introduzione di misure che intervengono su aspetti organizzativi delicati, estranei al contesto della legge finanziaria; mi riferisco alle deleghe in bianco per i concorsi universitari...
PRESIDENTE. Onorevole Zinzi, ha terminato il tempo a sua disposizione.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, chiedo allora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zinzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Gianfranco Conte. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, mi trovo in grande imbarazzo, in quanto mi piacerebbe parlare del disegno di legge finanziaria, ma non so se stiamo discutendo del disegno di legge finanziaria presentato in Parlamento o di quello risultante dalla somma di tutte le richieste, pie e meno pie, pervenute dal relatore e dal Governo e volte ad emendare il testo dal quale siamo partiti. Quindi, parlare oggi di finanziaria mi sembra una cosa astratta; dovremmo forse aspettare il working in progress che stanno sollecitando il sottosegretario Sartor e tutti i gruppi politici che compongono in maniera molto variegata l'attuale maggioranza.
Tuttavia, dalla lettura del testo e di tutta la massa emendativa che abbiamo visto giungere in Commissione in questi giorni, mi colpiscono alcuni aspetti fondamentali. Mi colpisce soprattutto l'assoluta indifferenza da parte del ministro dell'economia e delle finanze sulla questione centrale di questa finanziaria, vale a dire i saldi.
Il Governo si è sempre affrettato, anche in un'ultima apparizione - peraltro molto fugace - del ministro dell'economia, ad affermare che i saldi saranno salvaguardati, ma qui sta il problema. Quando si imposta una manovra finanziaria sostenendo che si sarebbero ottenuti 7,5 miliardi di euro dall'evasione fiscale e poi ci si dimentica di dire che dietro ciò vi è un retropensiero che riguarda la competenza e la cassa, ritengo si debba tener ben presenti quali sono gli obiettivi e quali possono essere i risultati. Infatti, dalle prime mosse di questo Governo per quanto concerne l'aspetto fiscale, si vede bene che l'obiettivo è quello di inondare il paese di cartelle esattoriali, che faranno sicuramente competenza per l'anno in corso, ma che sotto il profilo degli incassi reali poco avranno da aggiungere, considerando che non basta inviare le cartelle esattoriali ai contribuenti per poi incassarne il netto ricavato.
Se fosse solo questa la questione, non avremmo nemmeno visto di cosa stiamo parlando anche nella composizione complessiva della finanziaria. Una finanziaria che, come affermato da molti colleghi dell'opposizione, è composta per lo più di nuove tasse e che doveva affrontare questioni centrali per il paese, vale a dire la sanità e il pubblico impiego. Mi pare che per la sanità, al di là di nuovi balzelli e al di là della revisione di alcune politiche di poca rilevanza, non vi sia stato un grande sforzo né una grande attenzione da parte del relatore e del Governo.
Per quanto riguarda il pubblico impiego, invece, la questione è molto più complessa. Il Governo si è presentato con una serie di emendamenti collegati tra loro - ricordo il 58.44 - che sostanzialmente dovevano venire incontro all'istanza proveniente dai sindacati sulla necessità di accelerare le procedure per il pubblico impiego. In tutto ciò, tuttavia, vi è un problema di fondo: non avete spiegato ai sindacati come sia articolato l'emendamento che, d'altra parte, è già stato modificato una prima volta, ottenendo l'assenso della Ragioneria dello Stato, per poi essere ripresentato una seconda volta; e non so se in questa seconda stesura fornirà le garanzie richieste dai sindacati. Qui si ragiona sull'immediata eseguibilità del contratto del pubblico impiego; ma le risorse dove sono?
Infatti, se sono state appostate risorse molto basse per il 2007 e un po' più alte per il 2008, l'immediata esecutività dei contratti significherebbe anticipare di qualche miliardo di euro gli effetti al 2007. Avete i soldi per farlo? Naturalmente vi
sono alcune ipotesi di scuola. Qualcuno di voi è andato a vedere le disponibilità finanziarie - ad esempio di Sviluppo Italia - e ha pensato bene che quelli erano soldi buoni da utilizzare magari per la copertura degli emendamenti. Ma di emendamenti da coprire ne avete tanti!
Basterebbe guardare l'articolo 1 di questo disegno di legge finanziaria: un singolare emendamento del Governo a questo articolo riconosce improvvisamente che ha sbagliato i conti. L'operazione che si è palesata subito dopo la sentenza della Corte di giustizia riguardante la detraibilità dell'IVA ha portato ad una valutazione complessiva di circa 17 miliardi di euro. Ebbene, il Governo se ne esce affermando che 17 miliardi sono stati raccolti anche con le nuove entrate fiscali garantite dal precedente Governo. Sono entrate buone, per carità! Dopodiché vi è stato un esercizio abbastanza singolare in cui si è detto che questi soldi verranno pagati in tre anni: 3 miliardi di euro per ogni anno. Il problema è che tutto questo non raggiunge la cifra che si era stabilita e improvvisamente il Governo, in una resipiscenza, accorgendosi che manca un miliardo afferma che tale somma sarà trovata in qualche modo e, successivamente, verrà aggiunta al resto della manovra finanziaria.
Questa specie di legge finanziaria è piena di errori del genere. Vogliamo parlare di un altro errore? I tagli alla spesa pubblica. Si tratta di un tema centrale del quale avevate scritto pagine e pagine nella finanziaria originaria, cioè nel fascicoletto stretto, quello che dovrebbe essere il documento di partenza. In quella sede avevate detto: faremo grandi tagli e interverremo sui costi della politica, salvo poi, quando si è trattato di affrontare il tema degli enti locali, tornare precipitosamente indietro rispetto all'argomento del costo della politica e dei tagli necessari negli enti locali.
Quindi che fare? Intervenite con un'operazione che solleva dubbi fortissimi di costituzionalità, compiendo una sorta di taglio orizzontale su tutta la spesa pubblica e, in particolare, sulla spesa dei ministeri. La cosa divertente, caro Presidente e caro sottosegretario, è che questo taglio è stato compiuto da solerti funzionari che, nell'elencazione di tutte le leggi a cui fanno riferimento tutti i ministeri, ne hanno, come dire, dimenticato qualcuna. Ci siamo trovati di fronte ad un elenco straordinario in cui, naturalmente, i ministri che hanno potuto avere peso sulle scelte (come il ministro Fioroni, che si è subito attivato per ridurre il taglio a soli 40 milioni di euro per anno nel triennio) si sono accorti improvvisamente - è nota la polemica del ministro D'Alema - che vi erano dei tagli operati su capitoli non si capiva bene come individuati. Così, di esclusione in esclusione, si è arrivati al confezionamento di un articolato, peraltro molto singolare, in cui si tagliano e si accantonano risorse per lo sviluppo economico. Ma lo sviluppo economico non era un tema centrale per questa maggioranza? Che fine hanno fatto le buone intenzioni, visto che vi apprestate a tagliare quasi 500 milioni di euro per lo sviluppo economico? Dove sono andati a finire tutti i vostri buoni propositi? Scopriamo poi che, nel taglio orizzontale che doveva colpire per il 12 o il 13 per cento, ma non si è capito bene, tutta una serie di capitoli, alcuni trasferimenti riguardanti la composizione di commissioni specifiche o spese relative ad un capitolo rispetto ad un altro sono improvvisamente scomparsi dall'elenco. Vi è in questo un atteggiamento quasi truffaldino - far vedere e non far vedere - che rappresenta in fondo la sostanza di questo disegno di legge finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ottone. Ne ha facoltà.
ROSELLA OTTONE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, l'esame del disegno di legge finanziaria approda in questa aula dopo una discussione ed un confronto iniziati subito dopo la sua presentazione lo scorso 29 settembre. Tuttavia, a noi tutti pare un'eternità. La manovra è consistente per la sua entità, paragonabile a quella operata dal Governo Amato nel 1992. È dura per le scelte che
la caratterizzano, ma è anche equa, perché ogni soggetto è chiamato a fare la sua parte, nessuno escluso.
Non poteva che essere così: un segnale forte di inversione di rotta rispetto al Governo precedente di centrodestra. Emerge la necessità di riportare l'Italia ad essere un paese normale rispetto ad una bolla mediatica che faceva apparire tutto facile, tutto legittimo, tutto possibile, coprendo nel clamore la reale situazione economica e finanziaria del nostro paese. Non abbiamo detto bugie quando denunciammo il disastro dei conti pubblici, a partire dall'azzeramento dell'avanzo primario, dal disavanzo fuori controllo, dalla spesa pubblica corrente cresciuta di oltre il 2 per cento, dall'indebitamento del nostro paese che è tornato a crescere per effetto della politica fantasiosa praticata negli ultimi cinque anni, per ottenere facilmente un consenso e sfuggendo alle responsabilità di una classe dirigente che deve sempre mettere al centro della propria azione l'interesse generale.
Ci sono altre realtà in Europa. Il Belgio, ad esempio, che aveva una situazione simile alla nostra, con un rapporto deficit-PIL preoccupante e analogo indebitamento, nello stesso arco temporale, attraverso una politica accorta, ha invertito la tendenza, ha messo al sicuro i conti pubblici ed è tornato a crescere. La crescita è il vero motore dello sviluppo.
Solo da pochi giorni le agenzie di rating internazionali hanno declassato l'Italia per il debito pubblico. Questo vuol dire che avevamo fatto bene a denunciare lo stato di allarme dei conti pubblici, ma non ci consola aver ragione, perché il segnale poteva ragionevolmente essere lanciato dalle stesse autorevoli fonti prima che i buoi scappassero dalla stalla. Ma non serve fermarci al perché, ora è il momento di affrontare la realtà!
Con il disegno di legge finanziaria diciamo come risanare i conti pubblici rimettendoli a posto, riportando il deficit entro i limiti stabiliti dall'Unione europea, entro il 2,8 per cento nel prossimo anno, dal 4,6 per cento in cui ci troviamo, ricostruendo quindi l'avanzo primario e mantenendo fede ad un impegno che il Governo precedente si era assunto ben sapendo di non potervi far fronte. Noi, invece, siamo qui presenti. Su questo impegno del nostro Governo la Commissione europea proprio ieri ha espresso un giudizio positivo, spronandoci a proseguire con le riforme. È un invito che accogliamo convintamente.
Ci siamo dati un compito difficile. Nel rispetto degli impegni assunti con gli elettori siamo consapevoli che non abbiamo raggiunto appieno tutti gli obiettivi, ma siamo convinti di aver fatto le scelte giuste che dovranno trovare compiutezza nel corso della legislatura. Ma così come succede per ogni finanziaria, le critiche non mancano, anzi sono molto pressanti e, in questa occasione, molto diffuse; flebili ed impercettibili gli interventi a favore. Eppure, l'introduzione del cuneo fiscale, che abbatte in misura considerevole il costo del lavoro per le imprese, soprattutto per le più grandi, improvvisamente perde il suo appeal. Confindustria ha scelto di scagliarsi contro la scelta di trasferire parte del TFR in maturazione ad un fondo INPS per far ripartire le opere pubbliche non finanziate, i cui cantieri dovrebbero chiudere se questa proposta non dovesse passare. L'accordo, tuttavia, è stato raggiunto ed il Governo ha dimostrato con i fatti la disponibilità a trattare.
L'esclusione delle imprese con meno di 50 dipendenti mette al riparo la stragrande maggioranza delle imprese italiane, quale è la realtà delle piccole imprese, beneficiate in misura più modesta dall'introduzione del cuneo fiscale.
Quindi il Governo, in questo tempo che pare un'eternità, ha dimostrato di avere la volontà di trattare e di ricostituire quel metodo di confronto vero e non fittizio fra le parti sociali.
Anche questa mattina il relatore, l'onorevole Ventura, ha sottolineato la volontà del Governo di continuare il confronto con le categorie, soprattutto dell'artigianato e del commercio, per trovare un'intesa sui temi ancora sul tappeto, come ad esempio l'apprendistato
che, per decenni, ha rappresentato per molti giovani la chiave d'accesso ad un lavoro qualificato e stabile.
La vicenda del TFR segnala comunque il grave ritardo nell'attuazione dei fondi integrativi di cui il Governo di centrodestra non si è occupato. Lo dobbiamo fare noi per garantire i nostri giovani nel loro futuro, ma segnalo, soprattutto, che i lavoratori, lasciando il proprio TFR in azienda, hanno sostenuto in anni difficili la vita stessa delle imprese nel nostro paese.
Ora è coerente che ciascuno faccia la sua parte nel dare come nell'avere, diversamente dal centrodestra, che ha fatto dell'Italia uno dei paesi europei con la più alta percentuale di disuguaglianza fra i redditi, cresciuta grazie al massiccio spostamento di ricchezze dai ceti medi alle fasce medio-alte.
Questa finanziaria riporta al centro l'equità, concetto guida della nostra azione. Le fasce di popolazione che hanno pagato duramente la politica del facile consenso (si è raggiunta la cifra ormai superiore a due milioni e mezzo di famiglie povere) potranno avere una prima risposta. Siamo consapevoli dei limiti, ma abbiamo cambiato rotta ed avviato una grande operazione di redistribuzione del reddito a loro favore (rappresentano il 90 per cento dei contribuenti italiani). Anche l'assegnazione di due punti del cuneo fiscale ai lavoratori tiene conto del loro contributo alla tenuta del sistema economico ed è un incentivo per riportare il livello dei consumi più in linea con le esigenze delle famiglie. Non ci sono i tempi per ricordare tutti gli interventi a favore delle famiglie - a partire dall'infanzia fino agli anziani - contenuti nella manovra, e ricordo al riguardo l'intervento molto preciso svolto dal nostro capogruppo Franceschini dieci giorni fa.
Però non dimentichiamo che metà della manovra è dedicata ad investimenti per la crescita. Il cuneo fiscale da solo rappresenta 5 miliardi e mezzo, di cui 3 miliardi e 300 a favore delle imprese piccole ed il resto a favore dei lavoratori, con l'impegno di raggiungere un beneficio pari a 9 miliardi entro due anni.
I fondi per la competitività e l'innovazione, il fondo per l'industria, interventi per stabilizzare il lavoro precario, il credito di imposta sono tutte misure virtuose. Non dimentico l'impegno per favorire l'occupazione femminile, soprattutto al sud, con risparmi concreti per le imprese.
Vorrei fare un ultimo cenno all'evasione, tema colossale. Sono grata al ministro Padoa Schioppa per avere finalmente dato la definizione corretta degli evasori: «responsabili di mettere le mani nelle tasche degli italiani» che, correttamente e con fatica, continuano a fare il loro dovere di cittadini.
Quando il 30 per cento del PIL è prodotto al di fuori della legalità, favorito anche da una politica deleteria di condoni prima annunciati e poi attuati, mi auguro che le norme annunciate di assoluto rigore siano affiancate da misure che rendano anche, lo dico fra virgolette, conveniente l'emersione.
È un obiettivo da perseguire con saggezza e costanza, nella consapevolezza che un fenomeno così ampio e persistente da troppo tempo, profondamente radicato, richiede un impegno a lungo termine ed anche un consenso per essere raggiunto (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, credo che le linee di indirizzo di politica economica dei provvedimenti che il Governo ci ha sottoposto ci inducano a ritenere che siamo di fronte ad una riedizione del passato. Il Governo di centrosinistra nella metà degli anni Novanta puntò buona parte dei suoi argomenti politici sulla lotta all'evasione e tradusse, sotto il profilo normativo, quei propositi in una serie di adempimenti tributari che, onestamente, vessarono i contribuenti.
Quale fu il risultato di quel tipo di operazione politico-normativa? Lo abbiamo sotto gli occhi di tutti e, paradossalmente,
è l'argomento con cui si attacca il centrodestra, quello relativo alle operazioni effettuate sui condoni tributari che, come forse a pochi è noto, riguardò, per oltre l'80 per cento, gli anni in cui governava il centrosinistra. Il che ci permette politicamente di arrivare ad una prima conclusione: le scelte di politica fiscale di questo Governo sono esattamente le stesse che improntarono l'azione politica del Governo di centrosinistra del 1996. Quel tipo di operazione portò effettivamente ad un aumento dell'evasione fiscale, come dimostrano i condoni che sono stati richiamati in quest'aula.
La lezione al centrosinistra non è servita e oggi, tra l'altro, signor Presidente, vi è uno spaccato divertente, perché il ministro Visco, intervenendo su Il Sole 24 Ore, il più importante quotidiano economico, tenta di dire che, sostanzialmente, la sua è una lotta all'evasione. Allora, spogliandomi dell'ideologia che, purtroppo, dai banchi soprattutto della maggioranza o di certa parte della maggioranza condiziona le scelte di indirizzo politico, mi permetto di chiedere se la lotta all'evasione possa essere portata avanti con gli strumenti individuati dalla maggioranza nei provvedimenti legislativi al nostro esame.
È lotta all'evasione scegliere una platea di contribuenti già esistenti e prevedere, attraverso alcuni meccanismi quali gli studi di settore, un aumento necessario per recuperare gettito, a fronte del quale si dice al contribuente che, se non ci si adegua, è comminata una sanzione, rappresentata naturalmente da un accertamento sotto il profilo tributario? È lotta all'evasione, nei confronti, ad esempio, degli evasori totali, che non rispondono alla amministrazione finanziaria, quella di chi, con sistemi poco eleganti, aumenta la cosiddetta base contributiva?
In relazione alla crescita economica per i prossimi anni, voi ritenete davvero che siano centrabili gli obiettivi a cui qualcuno dei vostri rappresentanti ha fatto riferimento quando si colpiscono al cuore le categorie produttive che hanno consentito in questi anni - checché se ne dica - l'aumento dell'occupazione, che si è andata invece perdendo, per chi non lo ricordasse, nella grande industria? Anche attraverso strumenti contrattuali che il Governo di centrodestra ha previsto ed innovato, vi è stata la possibilità di uno sviluppo nel tentativo di raggiungere determinati obiettivi.
Ciò è comprovato da un dato inequivocabile. Quando Visco tenta di dire, facendo anche un po' pena sotto il profilo politico, che l'aumento delle imposte nel corso del 2006 è relativo alla sua politica o alle strategie di questa maggioranza in termini di lotta all'evasione fiscale, forse dovrebbe rendersi conto che, in realtà, quella gran parte del gettito deriva da due aspetti: il primo è relativo all'aumento dei contributi sotto il profilo fiscale proveniente dai lavori dipendenti, perché si è aumentata la platea di coloro che hanno trovato occupazione, mentre il secondo attiene al fatto che la ripresa economica è relativa, sicuramente fin dai primi mesi del 2006, alle iniziative che il Governo che oggi non c'è più ha posto in essere.
Togliete l'ideologia da questi argomenti e chiedetevi piuttosto se quel condizionamento cui facevo riferimento vi consentirà di centrare quegli obiettivi di crescita economica, perché la sfida è tutta qui.
Vi dirò di più: le pagelline (altro che Unione europea!) le vedremo molto presto, tra pochi mesi, quando dovrete fare una manovra correttiva per quanto riguarda le spese, e alla fine del prossimo anno, quando andremo a misurare la crescita economica. Siccome quest'ultima sarà inferiore a quella di quest'anno, traete fin da ora le vostre conclusioni sotto il profilo politico (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Velo. Ne ha facoltà.
SILVIA VELO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione che abbiamo avviato oggi in quest'aula parlamentare rappresenta l'atto più importante dell'azione di Governo. La mia affermazione non è solo un'ovvia considerazione di rito, ma si basa sulla convinzione che attraverso
la legge finanziaria si possa imprimere quel cambiamento di rotta nella politica economica degli ultimi anni di cui il paese sente fortemente il bisogno.
Questa legge finanziaria rappresenta, infatti, la risposta agli impegni assunti dal Governo nel DPEF, e cioè: rilanciare la ripresa economica che da troppo tempo è per l'Italia vicina allo zero e, comunque, al di sotto della media europea; risanare i conti pubblici che i cinque anni di governo precedente hanno compromesso, vanificando l'opera di risanamento in cui il paese si è impegnato dal 1992 al 2001; ridurre le disuguaglianze sociali nel paese. Tale è la missione per la quale questa maggioranza è stata scelta dagli italiani. Questo è il filo conduttore che ha guidato la stesura della legge di bilancio.
Discontinuità, quindi, verso i cinque anni precedenti non solo e non tanto per ovvi motivi di diversa impostazione politica, ma soprattutto discontinuità a tutela dell'interesse nazionale: sviluppo economico, invece di crescita zero; finanza pubblica in ordine, invece dell'allontanamento dai parametri di Maastricht; equità sociale, invece della crescita delle disuguaglianze. Mi chiedo, in tutta franchezza, chi possa dissentire da questi obbiettivi generali, e mi auguro che su questi temi il Parlamento dia vita, finalmente, ad una discussione seria e costruttiva.
Sono molti i provvedimenti contenuti nella finanziaria che si potrebbero citare per rendere evidente il perseguimento degli obbiettivi preposti. Mi preme, però, in questo breve intervento, soffermarmi su quelli che riguardano il settore che seguo più da vicino, e cioè la portualità.
È opinione comune che in questi anni la portualità italiana sia giunta ad una fase delicata, soprattutto perché è mancata una visione ed una politica della logistica. Al di là di alcuni interventi episodici e di facciata, infatti, non si è investito in modo organico nel potenziamento delle reti e dei nodi, nell'ammodernamento dei servizi ferroviari e nel sistema della logistica in generale. Tutto questo in una fase in cui i nostri competitori europei e mediterranei hanno invece realizzato azioni ed investimenti di grande portata. Basti guardare alla Spagna. In Italia, invece, oltre a non investire in un progetto organico di sviluppo, si è dato vita a provvedimenti che hanno contemporaneamente limitato la capacità delle autorità portuali di svolgere il loro ruolo: tagli alle spese e tetto agli investimenti, compresi quelli già coperti dal finanziamento, con risorse proprie, delle stesse autorità portuali.
Questa finanziaria opera, finalmente, una decisa inversione di rotta in questo settore, nella convinzione - il Presidente Prodi lo ha detto più volte - che lo sviluppo della portualità possa rappresentare un importante volano per lo sviluppo del paese. In questo senso, segnalo l'articolo 136 della legge finanziaria, che rappresenta la novità più importante per il settore. Esso riguarda, infatti, l'attribuzione di autonomia di spesa alle autorità portuali che, a tal fine, potranno utilizzare le entrate proprie ed il superamento del tetto di spesa previsto dalla finanziarie precedenti.
L'articolo 135 prevede risorse per la realizzazione di opere strategiche d'interesse nazionale, oltre alle risorse già previste sia nella manovra di luglio sia in questa legge finanziaria per ANAS e Ferrovie.
A seguire, l'articolo 137 prevede 100 milioni di euro per lo sviluppo di hub di interesse nazionale, con particolare attenzione al porto di Gioia Tauro.
Infine, cito l'articolo 118, che prevede risorse pari a 5 milioni di euro l'anno per la predisposizione di un piano generale della mobilità che possa realizzare un quadro programmatico di ampio respiro, anche attraverso il confronto con i soggetti operanti nel settore che hanno dimostrato di apprezzare fortemente questa impostazione. Con queste misure si potrà avviare l'effettivo salto di qualità tanto atteso per la portualità italiana.
Queste misure sono un esempio di quella discontinuità e della politica di sviluppo che questa finanziaria si propone di perseguire. Su queste misure e su altre, naturalmente, credo vi siano le condizioni per avviare una discussione, non ideologica
ma di merito, e per realizzare un'ampia convergenza, sempre nell'interesse del paese (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Razzi, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, ho circa dieci minuti di tempo a disposizione per parlare di questa finanziaria. Dopo aver trascorso dei giorni in Commissione, compresa una seduta notturna che ha visto i rappresentanti della Lega Nord impegnati - come gli altri - a portare il loro positivo e collaborativo contributo al fine di migliorare il testo del provvedimento in oggetto, mi ritrovo a dover discutere di nuovo. Ma di che cosa? Di quale finanziaria? Stiamo parlando del testo che ci hanno consegnato in Commissione o di quello che verrà votato tra qualche giorno in aula utilizzando lo strumento della fiducia?
In questo modo, ancora una volta, avrete tolto la possibilità ad entrambe le Camere di operare nei modi previsti dalla Carta costituzionale. Del resto, si tratta di un atteggiamento che viene riproposto da circa sei mesi. Agite abusando dei decreti, facendo passare tutto attraverso la minaccia della fiducia. Ormai, colleghi, dovete mettere la fiducia - la mia è una battuta sintomatica - per decidere il menu da scegliere alla buvette, ammesso che qualcuno di voi mangi assieme. Inoltre, prevedete, come già recita l'articolo 53, un'estromissione del Parlamento e della Commissione bilancio dalle poste di bilancio interessate all'accantonamento previsto dal Governo.
Mi soffermerò per qualche minuto su questo articolo 53. Abbiamo capito, anche grazie all'illustrazione di questa mattina del relatore, che si tratta di tagli e non di accantonamenti. Quindi, la prima domanda sorge spontanea: perché, allora, li chiamate accantonamenti? E se sono tagli, perché prevedere la possibilità per il Governo di gestire le risorse accantonate anche potendo cambiare la loro destinazione? Perché tutto ciò può essere fatto senza il placet della Commissione bilancio o del Parlamento?
Il presidente Duilio, nella sala del Mappamondo, ad una Commissione preoccupata da quanto previsto dall'articolo 53, ha preannunciato la presentazione di un emendamento, probabilmente dal Governo, e che la norma di cui sopra, almeno per ciò che concerne il comma 3, verrà cassata. Per la cronaca, non è andata in questi termini; anzi, abbiamo avuto una tabella che riassume - desidero che le mie parole rimangano agli atti - gli stanziamenti in strutture scolastiche previsti per il nostro paese.
In Commissione eravamo in tre a rappresentare la Lega e vi giuro - non so come ciò sia potuto succedere - che siamo riusciti a stento a trattenere l'ira, la collera, la rabbia che tale tabella ci ha fatto provare; quindi, al riguardo, vi leggerò alcuni dati, per poi specificarli meglio.
Per gli stanziamenti di strutture scolastiche nel 2007 la Lombardia avrà 43.950.260 euro, il mio Veneto 31.291.332 euro, la Liguria 9.244.939 euro, la Campania, invece, 184.467.813 euro, la Puglia 99 milioni e 800 mila euro, la Calabria 51 milioni e 600 mila euro.
Quindi, nel 2007, la Lombardia, pro capite avrà 4,83 euro, la Liguria 5,78 euro, il mio Veneto 6,80 euro; invece, l'Abruzzo 23,35 euro, la Puglia 24,96 euro, la Basilicata 18,74 euro, la Calabria 25,80 euro e la Campania - prima! - 32,36 euro: questi numeri parlano più di tante parole.
In Campania, pro capite, vengono stanziati più di 30 euro e in Calabria più di 25 euro, mentre in Lombardia meno di 5 euro, in Liguria meno di 6 euro e nel mio Veneto 6,80 euro. La Carta costituzionale non parla forse di diritto all'istruzione per tutti in Italia in modo uguale? A qualcuno sembra corretto imbrogliare il nord, queste regioni, le famiglie che hanno figli da mandare a scuola e che hanno lo stesso diritto di istruirsi in strutture simili a
quelle che hanno le altre regioni italiane (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)?
I colleghi della maggioranza eletti proprio in queste regioni, che hanno subìto una discriminazione, fra qualche giorno dovranno votare la questione di fiducia alla legge finanziaria e, mentre lo faranno, voteranno anche per questa tabella, che, purtroppo, è uno solo dei tanti esempi di ingiustizia e di sprechi presenti in questo provvedimento. Comunque, da domani dovranno spiegare - e noi agiremo da pungolo in questa direzione - alle famiglie della Lombardia, del Veneto, della Liguria, del Friuli, come anche dell'Emilia-Romagna o della Toscana perché i loro figli non hanno uguali diritti rispetto a chi vive in Campania, in Calabria, in Puglia o in Abruzzo. Con molta ingenuità, mi chiedo se questi dati non siano così equi perché in passato la situazione era invertita, cioè in Lombardia e in Veneto si spendeva per infrastrutture scolastiche oltre 30 euro pro capite e in Campania, invece, 4 o 5 euro. Lascio a voi la risposta, non perché noi non l'abbiamo, ma perché, per un veneto orgoglioso come me, avere mille certezze su quanto sia grande l'ingiustizia nei confronti della mia terra provoca troppa rabbia.
A dimostrazione di quanto sia grande la malafede di chi ha creato la legge finanziaria, del Governo e della maggioranza che andrà a votare, comunque, per questo provvedimento, avete poi previsto in questa stessa tabella alcune modifiche per il 2009, per effetto delle quali la Lombardia cresce e la Campania cala. Poiché tali modifiche interverranno solo fra tre anni, viene comunque da chiedersi perché queste modifiche ci saranno, appunto, solo fra tre anni e se non si sarebbe potuto fare, al limite, una media. Forse perché qualcuno magari cerca di rimanere in carica solo per due anni, sei mesi ed un giorno, data che richiamerebbe la maturazione della pensione di parlamentare, e poi succeda quel che succeda, tanto per i soldi assegnati chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto? Inoltre, in tre anni, comunque vada, le cose non potranno cambiare perché questa tabella verrà cestinata e qualcuno potrà modificare i numeri. In ogni caso, chi doveva capire che il nord è ancora una volta discriminato oggi ha comunque capito. Con puntiglio ho operato una media su tre anni rispetto alla tabella, in modo che nei prossimi giorni non si possa dire che si è rettificato dopo nel 2009. Allora, la Lombardia avrà circa 61 milioni e 100 mila euro, con 9 milioni e 100 mila abitanti; la Campania 135,5 milioni di euro, con una popolazione di 5 milioni e 700 mila abitanti, circa meno dei due terzi della popolazione della Lombardia; invece, il mio Veneto, che conta circa 4 milioni e 600 mila abitanti, avrà in media nei tre anni uno stanziamento di 31 milioni e 400 mila euro, meno di un quarto di quello stanziato in media per la Campania (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porfidia. Ne ha facoltà.
AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questa finanziaria effettivamente ci sono dei punti molto controversi da parte di tutte le forze politiche, ma nel complesso, con tale manovra, in relazione anche alla difficile situazione economica in cui ormai versa la nostra nazione, era necessario, da un lato, richiedere dei sacrifici a tutti i nostri connazionali e, dall'altro, agire in modo forte contro le speculazioni, i costi della politica - diciamo noi dell'Italia dei Valori - e, soprattutto, contro l'evasione fiscale. Mi vorrei soffermare su un punto in particolare, anche come rappresentante del sud e della Campania. Durante la predisposizione della manovra finanziaria, ma anche nel corso dei dibattiti parlamentari, si è evidenziata la necessità di mettere in campo interventi specifici per sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno. Credo che tutto il paese e il Meridione farebbero a meno di questa necessità, ma, purtroppo, dobbiamo prendere atto che, rispetto ad altre zone del paese, il Meridione versa ancora in una situazione di grande difficoltà economica e industriale.
La questione meridionale rappresenta ancora di più un'emergenza, anzi, più passano gli anni, più la situazione diventa insostenibile, come evidenziano gli ultimi fatti di cronaca. Infatti, sappiamo benissimo che al ritardo economico ed industriale di un paese si aggiungono anche effetti sociali molto drammatici, quali quelli che stanno avvenendo nel sud. Devo ammettere che con questa finanziaria il Governo è intervenuto con misure specifiche a favore dello sviluppo del Meridione, misure che spero siano condivisibili da tutti i colleghi del Parlamento.
È fondamentale che tali interventi si accompagnino ad una definitiva quanto necessaria rivoluzione culturale. A mio avviso, occorre pensare che quello del sud non è soltanto un problema del nostro paese, ma questa zona degradata dell'Italia deve essere ritenuta come un luogo che da un problema può far nascere, invece, uno sviluppo economico ed una ricchezza per il nostro paese. Abbiamo degli esempi anche a livello europeo, come il caso dell'Irlanda. Tale paese ha dimostrato come una realtà in difficoltà economica e industriale possa diventare in brevissimo tempo un'area di grandissimo sviluppo economico, anche grazie alle sue peculiari capacità di attirare gli investimenti, come potrebbe accadere nel sud, addirittura dall'estero. Tuttavia, su questo argomento dobbiamo riflettere. Purtroppo, il nostro Meridione è stato per lungo tempo anche il centro di speculazioni.
Quando questi investimenti sono stati utilizzati, purtroppo, se da una parte ciò è stato fatto in modo utile e per lungo tempo, dall'altra parte sono stati oggetto di speculazioni e di interessi di pochi privati. Su questo aspetto voglio invitarvi a riflettere. È necessario monitorare tali incentivi, tenendo alta la soglia di controllo. In diversi casi, infatti, come dicevo, abbiamo dovuto registrare che tali incentivi sono stati semplicemente uno strumento di facile arricchimento per pochi.
L'attivazione di incentivi economici per l'industrializzazione del Meridione o di una qualsiasi zona disagiata del nostro paese, soprattutto del sud, deve essere accompagnata da una politica di controllo - questo è ciò che chiedo e su cui vorrei far riflettere tutto il Parlamento -, per monitorare il modo in cui tali incentivi vengono utilizzati.
Non può essere consentito a pochi di beneficiare di tali misure senza creare lo sviluppo che l'area si attende, uno sviluppo concreto e, soprattutto, di tipo duraturo. Quindi, è necessaria un'attenta politica di controllo, anche per contribuire a rinsaldare il senso di equità sociale e di legalità.
Se si vuole che effettivamente questi strumenti di incentivazione dell'impresa portino a risultati concreti, con la creazione di un tessuto industriale solido e ramificato, è evidente che essi debbono essere monitorati, per evitare strumentalizzazioni. Gli incentivi alla industrializzazione del Meridione e delle aree disagiate restano, secondo me, uno strumento importante, per diversi aspetti decisivo. Però, bisogna assolutamente evitare che essi vengano sprecati e, quindi, è necessario monitorarne il corretto uso.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la finanziaria 2007 fino ad oggi ha conseguito un risultato, in termini di popolarità, che rappresenta davvero un record. Tutti gli italiani, lungo tutto lo stivale, dalle Alpi alla Sicilia, di qualsiasi categoria sociale ed economica, l'hanno bocciata senza possibilità di appello. È davvero un grande record negativo: 3 italiani su 4, circa il 70,6 per cento, la bocciano perché la ritengono iniqua, specie gli elettori dell'attuale maggioranza di centrosinistra, che la bocciano perché non la considerano ispirata ai principi di equità e di giustizia sociale che hanno rappresentato il messaggio davvero demagogico di Romano Prodi e dell'Unione.
Non sono solo personali considerazioni mie o del mio partito, Alleanza Nazionale, ma lo hanno detto anche esponenti dell'attuale maggioranza; faccio un esempio: il presidente della Commissione attività
produttive, Daniele Capezzone. Ma ciò emerge anche da sondaggi quale, non ultimo, quello della Confcommercio, che è stato effettuato sulla base di interviste, ripartite tra commercianti, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e cittadini rappresentativi della popolazione italiana nel suo complesso. In base a tale sondaggio, la prospettiva di innalzamento delle tasse sui redditi è giudicata negativamente da chi ha redditi superiori a 40 mila euro, ma anche da chi si attesta nella fascia dei 30 mila euro.
Negative sono anche le valutazioni sulla riforma del trattamento di fine rapporto. Per far fronte alla maggiore spesa, commercianti e piccole imprese cercheranno di usare le risorse disponibili, ma non escludono il ricorso, difficilissimo, ai fidi bancari per tamponare situazioni spesso drammatiche, aggravate da una pressione fiscale inaccettabile.
Non sono mancate, inoltre, critiche anche rispetto al cuneo fiscale. È chiaro fin d'ora che almeno il 60 per cento delle piccole imprese non avrà un gran vantaggio. E pensare che il ministro Padoa Schioppa aveva dichiarato sulla stampa specializzata che si sarebbe varata una finanziaria di riforme!
In realtà, se verifichiamo i contenuti della finanziaria e del provvedimento ad essa collegato, vediamo che né i tagli, né le riforme, ma solo le tasse costituiscono il motivo conduttore della manovra. Quindi, di tasse dobbiamo parlare, di incremento di tasse sulle famiglie e sulle imprese, di reintroduzione delle imposte di successione e di tasse sulle pensioni, senza contare l'appesantimento della tassazione sulle auto aziendali.
C'è poi un disagio diffuso nella immensa ed eterogenea categoria degli automobilisti, che contestano l'aumento del bollo auto. Per gli automobilisti italiani quella delle tasse è una storia tormentata, a cominciare dal superbollo per le autovetture a gasolio, introdotto nel 1976; nel 1997 la svolta; a partire dal 1998 viene infine cambiato il criterio di imposizione fiscale, passando alla potenza effettiva, con l'introduzione del principio «chi più inquina, più paga». Nella finanziaria del 1999, infine, a partire dal 2005, è stato introdotto il superbollo diesel per le vetture più vecchie.
Dunque, la manovra è inadeguata e ha prodotto l'isolamento politico del Presidente del Consiglio Prodi. Il dissenso, in termini politici, economici ed anche sindacali, è ormai diventato un coro a più voci, a partire dall'autorevole analisi critica dello stesso Governatore della Banca d'Italia Draghi. Il dissenso è cresciuto in queste settimane, al punto che anche Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, ha attaccato Prodi e la finanziaria, entrando in rotta di collisione anche con il viceministro Visco. Cofferati è emblematico quando dice che la finanziaria non è stato un atto collettivo: «Da Padoa Schioppa ci aspettavamo risposte, che non sono arrivate. È stata fatta una scelta sbagliata». Tale delusione è condivisa e coincide con il giudizio negativo del Financial Times, già ricordato in quest'aula, che ha classificato il nostro ministro dell'economia all'ultimo posto come il peggiore tra i ministri europei.
La finanziaria, purtroppo, ha già prodotto effetti fortemente negativi nella pubblica opinione e nella fiducia degli italiani. L'economia è ferma e così anche il turismo, che dovrebbe essere il settore trainante del nostro paese e che volete penalizzare con la famigerata tassa di soggiorno.
È una finanziaria che produce infelicità nei cittadini, che non era mai stata misurata con un sondaggio. Ma ciò è quanto emerge da un'indagine condotta da una società presieduta dal sociologo Enrico Finzi. La crisi di fiducia dei cittadini dopo la finanziaria è totale. Dopo essere salito per più di 12 mesi di fila, l'indice che misura l'ottimismo degli italiani ha subito un brusco calo in coincidenza con il varo della finanziaria 2007. La percentuale di italiani che si dichiarano ottimisti sul proprio futuro nell'anno successivo è scesa dal 53 per cento di luglio al 44 per cento di settembre. Il sondaggio conferma alcune tendenze di medio periodo, che possono essere così sintetizzate: fine del tradizionale
ottimismo degli italiani, convinzione collettiva che il passato sia migliore del futuro, incertezze sul presente e sul futuro.
Quello che emerge, infine, è la palese contraddittorietà del Governo sull'entità della manovra stessa. Abbiamo appreso un giorno che la manovra era di 33 miliardi di euro, poi di 40, per scendere a 25 e poi risalire ancora. Come se non bastasse, il Governo continua ad emendare il suo testo, al quale, evidentemente, non crede più.
Abbiamo assistito al balletto degli emendamenti, in Commissione bilancio e in sede di Commissioni riunite bilancio e finanze, quando è stato discusso il decreto collegato, sul quale il Governo ha dovuto porre la fiducia proprio per le grandi e palesi difficoltà e diatribe all'interno della maggioranza stessa.
Più volte, in ogni occasione, in Commissione, in sede di audizione del ministro Padoa Schioppa e del viceministro Visco, abbiamo espresso la nostra forte preoccupazione per una finanziaria che ci fa assistere ad un notevole passo indietro anche per quanto riguarda le politiche della famiglia. Si è preferito lo strumento delle detrazioni a quello delle deduzioni, una scelta tecnica che non condividiamo assolutamente, perché il reddito imponibile non si abbatte come si dovrebbe fare. Le detrazioni per i familiari a carico e per i figli sono diminuite di un terzo, se confrontiamo le cifre di questa finanziaria con quella del 2006 del Governo di centrodestra.
Ho sentito magnificare il fatto che questa finanziaria affronterebbe il tema strutturale degli asili nido. Ebbene, in realtà, se leggiamo attentamente la finanziaria, fino al 2013 (anno per il quale l'agenda di Lisbona prevedeva la crescita della copertura sino al 33 per cento dei bambini al di sotto dei tre anni) sarebbero necessari 9 miliardi di euro. In questa finanziaria vengono impegnati 100 milioni di euro per ciascun anno del triennio, per un totale di 300 milioni di euro, con la speranza - si dice - che la situazione migliori.
Per concludere, come ha anticipato oggi il presidente del mio partito, Gianfranco Fini, noi di Alleanza Nazionale abbiamo individuato una decina di argomenti e una quarantina di emendamenti davvero qualificanti su temi che ci stanno realmente a cuore, come la sicurezza, la famiglia e la solidarietà.
Rispetto a questi emendamenti presentati, se non ci sarà la disponibilità ad un confronto democratico per accoglierli, la maggioranza si dovrà assumere la totale responsabilità. Si dovrà insomma assumere la totale responsabilità dell'adozione di una strategia economico-finanziaria che interrompe il cammino di ripresa economica dell'Italia avviato dal Governo di centrodestra.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Con questo intervento voglio segnalare un punto, che il mio gruppo ritiene particolarmente critico, del disegno di legge finanziaria in esame: quello relativo alle spese militari, in particolare il fondo destinato a finanziare i programmi di armamenti. Noi siamo contrari a questa scelta, in considerazione di quello che riteniamo dovrebbe essere un diverso equilibrio tra tagli e incrementi di spesa, sia per ragioni relative alle politiche di difesa che sottendono determinate scelte in materia di armamenti.
Nel rapporto 2006 del Sipri, il più prestigioso istituto di ricerca sul disarmo nel mondo, ci viene consegnato un dato allarmante sulle spese militari a livello internazionale; tali spese sono caratterizzate da un incremento significativo nel 2005: 1.120 miliardi di dollari, ben 83 in più rispetto al 2004; il che costituisce il 2,5 per cento del PIL mondiale.
Gli USA sono ovviamente in testa alla classifica, ma anche l'Italia non scherza, signor sottosegretario. A dispetto dei molti discorsi che vengono fatti da diverse parti sulla pochezza dell'impegno finanziario per la difesa, l'Italia dopo la Germania si trova al settimo posto tra i paesi che spendono in armi, rientrando pienamente
nel club dei G7 delle spese militari. Ovviamente, per avere un'idea precisa della quantità di fondi destinati a questo settore bisogna andare oltre il bilancio ordinario della difesa, conteggiando in finanziaria i vari fondi destinati alle missioni militari e quelli a copertura di spese di armamenti, come avviene in questa finanziaria, che prevede l'istituzione di un assai sostanzioso fondo destinato a finanziare, appunto, i programmi di produzione militare.
Questo particolare capitolo di spesa, tra l'altro - qui mi rivolgo con particolare urgenza al Governo -, richiede, o dovrebbe richiedere, una specifica ed approfondita discussione, che non è mai avvenuta in passato e che mi auguro invece il Governo dell'Unione voglia predisporre: una discussione non solo sulla valenza sociale della destinazione di così cospicue risorse pubbliche agli armamenti - quando la tendenza storica in atto, in parte confermata da questa finanziaria, è quella di tagliare su voci fondamentali di welfare -, ma anche e soprattutto, dal punto di vista militare, sul significato politico e strategico di tali scelte. A quale strategia di difesa, a quale strategia delle alleanze, a quale ruolo geopolitico dell'Italia sono utili e funzionali tutti quei sistemi di arma elencati doviziosamente nella nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa per l'anno 2007 (quelli finanziati appunto dal fondo di cui parlavo sopra)?
E ancora: qual è la convenienza economica, in termini di politiche industriali, di questi finanziamenti? Voglio limitarmi, per evidenti ragioni di tempo, ad un solo esempio, quello del Joint Strike Fighter. L'Italia nel 2001, con il Governo Berlusconi, si impegnò ad investire 1.192 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo negli USA dal 2002 al 2012. Tale decisione si basava su diverse considerazioni, che possono essere ricondotte sinteticamente a due. La prima riguardava l'orientamento della marina e dell'aeronautica militare di sostituire i loro velivoli di attacco al suolo, che stanno invecchiando (i famosi AMX e parte della flotta dei Tornado). L'argomento invocato era, di conseguenza, che entro il 2012 le Forze armate italiane avrebbero avuto bisogno di un nuovo aereo tattico d'attacco al suolo, complementare all'Eurofighter, che è un velivolo aria-aria da superiorità strategica.
Il secondo argomento riguardava l'industria bellica, cioè le convenienze che sarebbero derivate al nostro paese dal coinvolgimento nel progetto statunitense GSF come un'occasione unica per l'industria italiana aerospaziale e di difesa, in termini di subappalti e di ricerca tecnologica. Questa scelta - al riguardo richiamo l'attenzione del sottosegretario - è avvenuta al buio, senza nessuna adeguata discussione e trasparenza sui problemi di fondo, come per esempio l'impatto sulla dottrina militare e sulle implicazioni strategiche che la scelta del Joint Strike Fighter comporta.
Questi sono soltanto alcuni dei problemi connessi al programma. Per stessa ammissione dell'areonautica militare, le esigenze di difesa aerea del nostro paese sarebbero già coperte dall'impegno nel progetto di acquisto di una grossa quota di esemplari del caccia europeo di nuova generazione EF-2000 Typhoon, e quindi il progetto GSF, sempre per ammissione delle gerarchie militari dell'aeronautica, potrebbe rivelarsi indirizzato soprattutto ad un aumento di potenza offensiva.
Quindi la scelta è avvenuta - mentre negli ambienti militari si fanno queste considerazioni - espropriando completamente il Parlamento di chiarezza e trasparenza sulle potenzialità strategiche dell'argomento in discussione. Di conseguenza, ci dobbiamo chiedere - lo chiedo a lei, signor sottosegretario - che cosa l'Italia avesse allora in mente (ed abbia oggi in mente, nel momento in cui si reitera il finanziamento al GSF) quando ha compiuto e quando compie tale scelta di armamento. In altre più esplicite parole, quali missioni di bombardamento offensivo - è stata questa una tematica sollevata anche dall'ex capo di Stato maggiore dell'esercito, il generale Fraticelli - l'Italia pensa che sarà chiamata a compiere nelle
future guerre? Contro quale tipo di nemico? E soprattutto, chi chiederà all'Italia di compiere tali missioni?
Il Governo Berlusconi - che su questo ha avuto il grande merito della chiarezza più esplicita - non ha mai nascosto la sua condivisione in ordine alle strategie di guerra, o comunque di invasive operazioni militari, dell'amministrazione Bush. Un programma come il GSF è funzionale a tali strategie. Questo è il punto relativo alle strategie, su cui non c'è trasparenza. Non si capisce a cosa serva questo programma così costoso.
Il Governo Prodi, quindi il nostro Governo, condivide? Che cosa dice sull'aspetto dei costi elevatissimi? Vorrei sapere che cosa dice il Governo sulla valenza strategica e che cosa dice sull'aspetto dei costi elevatissimi. Costi tali che a livello internazionale sono stati sollevati dubbi e perplessità circa la stessa realizzabilità del progetto da un punto di vista della contabilità. Cito i dubbi dell'organo di controllo delle spese del Congresso statunitense, che ha sollevato appunto molte perplessità sull'eccesso, che si incrementa sempre di più, delle spese per il GSF, e cito i dubbi della Corte dei conti olandese, che afferma come la partecipazione allo sviluppo del programma esponga i Paesi Bassi a rischi finanziari. E molte Corti dei conti di altri paesi europei, impegnati come l'Italia nel programma, sono orientate a relazioni di questo tipo.
In conclusione, il nostro gruppo, ed io personalmente, crediamo che il capitolo sulle spese militari destinate alle armi e agli armamenti debba essere radicalmente rivisto, sottratto al cono d'ombra nel quale da troppo tempo è confinato, praticamente delegato agli ambienti militari e all'industria militare, e quindi restituito al controllo e alla decisionalità del Parlamento.
Ciò deve avvenire in stretto collegamento con le nostre scelte di politica estera e nel rispetto del troppo dimenticato articolo 11 della Costituzione. E dunque per l'Italia vi è la necessità di ripensare il concetto di difesa, connesso al tentativo di rilancio dell'ONU al quale sta cercando di contribuire. Insomma, già a partire da questa legge finanziaria, si devono rivedere gli impegni di spesa per armamenti, così incautamente assunti dal Governo e presentati nel provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Crosetto, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Salerno. Ne ha facoltà.
ROBERTO SALERNO. Signor Presidente, innanzitutto affermo di approvare, sostenere e sottoscrivere gli interventi dei colleghi di Alleanza Nazionale. Con il mio intervento voglio aggiungere l'estrema preoccupazione dell'intera minoranza per il fatto che, con la vittoria del centrosinistra alle recenti elezioni politiche, si è purtroppo arrestato e fondamentalmente bloccato il processo di modernizzazione della nazione. Nel 2001 il centrodestra aveva avviato tale processo, che dovremmo definire di normalizzazione piuttosto che di modernizzazione. Nel 2001 la fotografia del nostro paese presentava una nazione ferma agli anni Sessanta per quanto riguarda le infrastrutture. Le reti ferroviarie avevano treni che raggiungevano in media una velocità di circa 70-80 chilometri all'ora. Vi erano autostrade vecchie, strette, non più utili al traffico veloce di una nazione moderna. Gli aeroporti non avevano standard internazionali ed il sistema fiscale era labirintico e punitivo. Vi erano un mercato del lavoro ingessato ed altri problemi.
Dal 2001 abbiamo iniziato il processo di modernizzazione, aprendo i cantieri delle grandi opere. Oggi l'alta velocità è una realtà; non si tratta soltanto di parole, ma di fatti. Il primo tratto del percorso Torino-Milano è stato già inaugurato per almeno 100 chilometri. Quindi, il treno ad alta velocità è diventato una realtà con una sua ferrovia, un suo tracciato ed una locomotiva che sfreccia a 300 chilometri all'ora, come in Francia accade da anni, ma anche in Germania, in Spagna e nei grandi paesi con cui dobbiamo confrontarci.
Questo processo si è fatalmente arrestato. Avete bloccato i cantieri delle grandi opere e non volete saperne di alta capacità o di alta velocità. La vostra volontà è quella di passarvi la palla per nascondervi dietro ad un dito, ma è fin troppo chiaro che volete arrestare il processo delle grandi opere di modernizzazione della nostra nazione.
Nel disegno di legge finanziaria dobbiamo quasi riconoscere un filo conduttore, che inizia con i primi provvedimenti quali il decreto Visco-Bersani e la legge sull'indulto. Tale filo conduttore porta alla vostra incapacità di governare e di capire quello che il sistema paese chiede al Governo. In qualche modo avete riportato indietro le lancette dell'orologio, agli anni precedenti al 2001.
Venendo alle grandi misure previste nel disegno di legge finanziaria di cui tanto si parla, con il cuneo fiscale date «uno» e allo stesso tempo prendete «due», sottraendo liquidità con la misura relativa al TFR. È un provvedimento che va in senso esattamente contrario a quello di fornire incentivi per l'investimento delle imprese. Nel sistema fiscale avete reintrodotto sistemi di punizione e controllo degni di un paese comunista degli anni Sessanta, che costituiscono anche una lesione alla libertà individuale e non solo a quella di impresa.
Avete criminalizzato anche gli omessi versamenti dell'IVA, non legati all'evasione ma ad una semplice crisi di liquidità dell'azienda. Molto spesso anche una grande azienda può accusare un problema di liquidità. Ebbene, il mancato versamento periodico dell'IVA può essere dovuto proprio a tale carenza. Tuttavia, con i vostri provvedimenti in materia di economia, come il decreto Visco e il disegno di legge finanziaria, l'omesso versamento è diventato reato, invece di costituire una violazione amministrativa, pur non essendoci evasione o occultamento di fatturato e quindi di componenti positivi di reddito o di IVA. Esso è diventato un elemento di criminalizzazione non solo inspiegabile, ma anche ingiusto e quasi incostituzionale.
La minoranza è estremamente preoccupata del fatto che con la vittoria del centrosinistra alle recenti elezioni politiche si sia definitivamente arenato questo processo di modernizzazione. Ovviamente non ci arrendiamo, ma oltre a questo avete commesso qualcosa di ancora più grave, reintroducendo un elemento inquietante di disagio sociale. Infatti, avete pagato dazio ai veterocomunisti della vostra coalizione e avete reintrodotto il confronto tra ricchi e poveri, in una sorta di scontro sociale che sappiamo quanto possa essere foriero di vendette e di risentimento in una nazione che, bene o male, aveva superato i momenti più tristi e congiunturali degli anni Settanta e Ottanta, quando vi era stagnazione economica. Bene o male, l'Italia è un paese che sta garantendo, se vogliamo in misura anche eccessiva, molto a tanti. E allora il confronto tra ricchi e poveri eravamo riusciti in qualche modo a scordarlo e a lasciarcelo giustamente alle spalle. Invece, esso ritorna prepotente in questa lotta di classe, elemento di un'ideologia tipicamente comunista, anzi veterocomunista. Lo ritroviamo nel 2006, ovvero nel terzo millennio, che dovrebbe essere quello del progresso, delle grandi partite e dei grandi orizzonti.
In conclusione, tengo ad affermare che avvertiamo la gravità della situazione perché ascoltiamo la protesta nelle piazze. Tuttavia, non ripetiamo quanto accaduto dal 2001 al 2006, quando l'allora minoranza (oggi maggioranza) ha sempre criminalizzato il centrodestra allora al governo. Nella nostra opinione siete totalmente incapaci di governare; tuttavia non abbiamo detto una sola parola che metta in dubbio la vostra legittimità a farlo, al contrario di quanto voi avete fatto per cinque anni, riempiendo la vita politica di polemiche strumentali, di attacchi personali, di scandali pilotati e di inchieste della magistratura politicizzata, quasi in un attacco che delegittimasse e sovvertisse il verdetto democratico delle elezioni e delle urne. Da parte della minoranza non si è levata una sola parola sulla vostra legittimità a governare. Di questo ci sentiamo orgogliosi e in credito verso la vostra maggioranza.
Concludo ribadendo la secca bocciatura della manovra, che blocca ogni processo di modernizzazione dell'Italia, che produce un arretramento sociale e culturale della nazione, che colpisce il sistema produttivo, le piccole e medie imprese, i piccoli imprenditori e quelli individuali, i grandi professionisti ma anche i piccoli, come i tassisti e i panettieri. Essa insomma colpisce tutti e la minoranza è estremamente preoccupata per i danni che potreste ancora fare se governerete a lungo la nazione. Pertanto, spero vivamente che presto si ritorni al voto o quantomeno si arrivi a formare una nuova maggioranza di Governo, in modo che evitiate alla nostra amata Italia un calvario immeritato ed ingiusto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vorrei esprimere solo due considerazioni per poi consegnare il testo dell'intervento, che lascio agli atti per ragioni di correttezza istituzionale.
Debbo francamente dire che il dibattito mi sembra molto stanco e deludente. Tale è la fase che ci ha accompagnato nel corso di queste settimane. Vi è una preoccupazione di fondo sulla vita politica del paese che mi pervade e mi fa dire che preferirei che in quest'aula vi fosse un contrasto forte tra una maggioranza e un'opposizione sui destini del nostro paese; un dibattito in grado di trascinare l'attenzione della pubblica opinione. Invece, non mi resta che registrare la stanchezza di un confronto tra di noi che rischia di essere troppo rituale.
Mi scuso per questo e mi limito a consegnare il testo del mio intervento, chiedendo alla Presidenza di autorizzarne la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Onorevole Tabacci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Bellotti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Tomaselli. Ne ha facoltà.
SALVATORE TOMASELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, nelle scorse settimane una voce autorevole si è levata nel dibattito politico per incitare le classi dirigenti del nostro paese a ritrovare il senso della missione. Era la voce di Carlo Azeglio Ciampi: ma manca la missione!
Questo è il vero problema dell'Italia di oggi: ciò che conta è che oggi non si vede un grande obiettivo, generale e condiviso, che il paese possa comprendere e che dia un senso a tutto ciò che si sta facendo. Una incitazione a ritrovare il gusto dell'ambizione di un progetto importante, che segni una fase storica nelle cose che facciamo, oltre il mero contingente.
Penso che il passaggio delicato dell'approvazione della legge finanziaria 2007 vada collocato dentro questa ambizione. La complessità della proposta di legge finanziaria che il Governo ha presentato è figlia della volontà del centrosinistra di ridare una prospettiva al nostro paese. Allora, l'obiettivo per noi è chiaro: la modernizzazione dell'Italia, da conquistare innanzitutto rimettendo a posto i conti dell'azienda Italia e riprendendo il filo del risanamento interrotto con il Governo Berlusconi-Tremonti. Quest'ultimo ha pressoché annullato l'avanzo di bilancio prodotto negli anni di Governo di centrosinistra, ha ridato spazio alla crescita della spesa pubblica e non ha creato nè riforme strutturali, né crescita per il paese, ma solo una redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti più abbienti.
Gli anni passati hanno annullato gli sforzi di risanamento precedenti: il debito pubblico ha azzerato l'avanzo primario e ha ripreso a correre. Gli interessi pari a 67 miliardi annui non sono solo una tassa sull'oggi, ma una grave ipoteca sul futuro e sulle prossime generazioni, sulla capacità del paese di onorare impegni e di sostenere le spese sociali, la scuola, la sanità, la sicurezza. Il risanamento dei conti è per noi la premessa di una rinnovata politica di crescita e di sviluppo ed è lo strumento, non certo il fine, della nostra politica; una politica che ha scelto, ad esempio, di fare delle liberalizzazioni una sfida per il paese intero, un'occasione di superamento dei tanti egoismi e delle tante corporazioni da cui questo nostro paese spesso è attraversato, ma anche il chiavistello per aprire il mercato delle professioni, delle imprese, dei servizi a nuovi soggetti che oggi fanno più fatica di altri o ne sono addirittura esclusi.
Insomma, vorremmo uno Stato meno gestore e più regolatore, dentro cui il cittadino-consumatore veda affermata la sua centralità, e cittadini consumatori lo siamo tutti. Vorrei che non sfuggisse a nessuno come, accanto ed oltre a questa legge finanziaria, il Governo e la maggioranza che lo sostiene siano stati impegnati in queste settimane - e lo saranno ancora subito dopo l'approvazione della legge di bilancio - a discutere ed approvare testi importanti concernenti la liberalizzazione dei servizi pubblici, la tutela dei consumatori, la semplificazione della pubblica amministrazione, l'energia, la riforma del sistema radiotelevisivo e così via. Un corposo ed ambizioso programma di modernizzazione, quindi, nel cui quadro vanno inserite le scelte della manovra finanziaria che rilanceranno la crescita e lo sviluppo del paese.
Nel corso del confronto di queste settimane si sono apportate significative innovazioni rispetto al testo originario, frutto del dialogo con il paese, a cominciare da enti locali e forze sociali. Mi sembra di poter dire che appaiono ormai lontane le strumentalizzazioni in termini di una sorta di volontà punitiva di questo provvedimento nei confronti del cosiddetto ceto medio o verso le piccole imprese. Sono state costruite con il confronto e con il consenso modifiche sostanziali: penso al TFR che esclude le piccole e medie imprese fino a 50 addetti o all'apprendistato per le imprese artigiane. Tali disposizioni confermano, oltre ogni dubbio, come grande sia l'attenzione del centrosinistra verso il ruolo e la funzione che svolgono le piccole e medie imprese nel paese.
In tale direzione, si è in presenza peraltro, già in questo disegno di legge finanziaria, di una parte dei provvedimenti previsti dal disegno di legge Industria 2015, predisposto dal ministro Bersani, con cui torna in Italia, finalmente, la politica industriale, dopo anni di perdita di competitività del sistema produttivo nazionale che ha fatto parlare tanti osservatori di vero e proprio declino. Provvedimenti che sono orientati - e concludo, Presidente - proprio alla ripresa di competitività del sistema produttivo. Ricordo qui i progetti di innovazione industriale, il fondo per la competitività e il fondo per la finanza d'impresa. Di nuove politiche industriali ha bisogno il nostro paese, così come il Mezzogiorno. Abbiamo in mente l'idea di un paese più giusto, più solidale, più coeso, ma anche più competitivo e dinamico nella sfida del mondo globale. Un paese che torni a valorizzare le sue risorse più importanti, a cominciare dai giovani, ai quali offrire opportunità e non solo più precarietà.
Signor Presidente, in conclusione chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Tomaselli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Mungo. Ne ha facoltà.
DONATELLA MUNGO. Signor Presidente, il disegno di legge finanziaria in discussione in questi giorni in aula e nei giorni scorsi nella Commissione bilancio ci
ha accompagnato per mesi e settimane sugli organi di stampa, purtroppo più in termini polemici che di informazione per i cittadini. Questo ci dispiace e crediamo debba dispiacere a tutti, maggioranza e opposizione. Infatti, la legge finanziaria, soprattutto all'inizio di un percorso come quello che questa maggioranza e questo Governo cercano di affrontare - tra moltissime difficoltà su cui tornerò dopo - avrebbe avuto bisogno di una capacità di comunicare ai propri cittadini, vale a dire ai destinatari della legge finanziaria stessa (forze sociali e soggetti economici) quali fossero gli obiettivi reali che la manovra intende perseguire.
Non mi riferisco chiaramente al dettaglio, sul quale nemmeno io posso adesso soffermarmi in soli dieci minuti, bensì al senso della manovra, composta dal disegno di legge finanziaria in esame ma anche dal decreto fiscale e da altri provvedimenti collegati, che esamineremo nel prosieguo della nostra discussione. Avremmo auspicato che la discussione nel paese si soffermasse maggiormente sui temi veri. Da questo punto di vista mi dispiace non aver ascoltato in aula l'intervento dell'onorevole Tabacci, che però leggerò sicuramente in un secondo momento. Si tratta, certamente, di un altro punto di vista - diverso dal mio - che pone tuttavia un tema importante, quello del futuro di questo paese e della elevazione di una discussione che, per l'appunto, si sofferma su questioni che molto spesso appaiono più macchiettistiche che reali.
Entro nello specifico di uno dei punti forse tra i più controversi di questa manovra, qual è appunto l'utilizzo della leva fiscale. Infatti, come mi è capitato di dire anche in occasione del decreto Visco-Bersani, sicuramente non è facile parlare di imposte, in particolare in questo paese. Non ritengo che le misure previste dal decreto-legge precedente, e dalla manovra finanziaria in genere, siano in sé risolutive di un problema come quello dell'evasione fiscale che, in questo paese, ha proporzioni gigantesche.
È evidente che bisogna creare una cultura differente; in tal senso, più che di una manovra politica «comunista» - che pure la mia parte politica potrebbe auspicare -, mi accontenterei di una manovra «calvinista»: dovremmo, cioè, renderci conto tutti che il paese non può non avere entrate sufficienti per garantire i servizi ed i servizi di qualità.
Ritengo che questa manovra, dal lato delle entrate, agisca in maniera efficace; vedremo naturalmente i risultati e giudicheremo successivamente, ma l'approccio mi sembra quello corretto. È difficile, in questa fase, far fronte ai tagli, da più parti chiesti, sul versante della spesa, a fronte della circostanza che molti tagli sono stati già operati ed in maniera anche indiscriminata dal Governo che ci ha preceduto, entrando, per così dire, nella carne viva del paese. È difficile «tagliare» in questa fase senza condizionare direttamente la qualità dei servizi; ritengo che al riguardo questo Parlamento e questo paese dovrebbero condurre una riflessione collettiva non sulla quantità, ma sulla qualità della spesa. Dobbiamo chiederci cosa noi offriamo ai nostri cittadini in cambio delle tasse che chiediamo loro; ritengo che sarebbe più facile - intervenendo gradualmente nel tempo; si tratta infatti di operazioni che non si possono compiere in pochi mesi - chiedere ai cittadini la compartecipazione che la nostra Costituzione prevede a fronte della prestazione di servizi di qualità. Credo che, invece, in questi ultimi anni vi siano stati un degrado della qualità dei servizi offerti dallo Stato ed una difficoltà, per enti locali e regioni, di far fronte ai nuovi bisogni ed alle esigenze che una popolazione che cambia, sia come composizione sia anagraficamente, obbliga a dovere considerare. Ritengo che, per l'appunto, dovremmo preoccuparci, nei prossimi anni, più che di come ridurre le tasse, di come spendere meglio le risorse che lo Stato riscuote attraverso la leva fiscale.
Ciò premesso, è evidente che attraverso la leva fiscale questa finanziaria si prefigge anche lo scopo di agire sul versante dell'equità. Da un lato si punta al recupero dell'evasione fiscale; dall'altro, si mira a realizzare una reale progressività dell'imposizione
con maggiore adesione, quindi, al dettato costituzionale, di modo che le fasce più deboli e meno abbienti possano contribuire meno, considerato che guadagnano meno rispetto alle fasce più alte.
A tale riguardo, mi soffermo appena sul profilo dei rapporti tra poveri e ricchi. Vorrei, infatti, mi si consentisse al riguardo di osservare solamente, anche per rispondere a taluni interventi precedenti, che non ne facciamo una questione di lotta di classe (questione che pure la mia forza politica potrebbe porre); piuttosto, si tratta di una presa d'atto di una forbice che si allarga, di una quantità di persone, di famiglie, di giovani e di anziani che in questo paese hanno minore potere di acquisto e minore capacità di far fronte ai propri bisogni. Al contrario, esiste una fascia piccola, che si è ampliata nel tempo, di ricchi e super ricchi i quali hanno continuato a godere, negli anni scorsi, di privilegi e di aiuti consistenti riconducibili all'azione del Governo precedente.
Ci auguriamo che questa finanziaria dia un segnale importante; auspichiamo infatti - e mi rivolgo ai colleghi dell'opposizione - di poter lavorare per cinque anni e di avere, quindi, il tempo per compiere quegli interventi che non possono essere realizzati con una sola finanziaria, specie se varata a legislatura appena iniziata, ereditando, quindi, situazioni che non sono state generate dal Governo in carica.
Esprimo tale osservazione solo per ricordare a me stessa la questione del risanamento dei conti pubblici, che ha richiesto un intervento che si attesta intorno ai 14 miliardi. Certamente senza tale intervento la manovra sarebbe stata, da un lato, più leggera e, dall'altro, maggiormente ispirata agli altri due obiettivi, lo sviluppo e l'equità. Peraltro, ci auguriamo che ciò possa già avvenire dal prossimo anno; ricordo, solo a scopi informativi, che naturalmente la mia forza politica avrebbe voluto distribuire diversamente il peso del risanamento dei conti pubblici, proprio per evitare che sul prossimo anno, per così dire, si abbattesse, ed in tale entità, una così pesante scure. Ma ciò non è stato possibile; ci siamo, quindi, adoperati - noi come le altre forze della maggioranza - per far sì che, comunque, non venissero misconosciuti gli altri due obiettivi, appunto sviluppo ed equità.
Prima di concludere il mio intervento, svolgerò ancora un'ultima considerazione. Ritengo che maggiore attenzione debba essere posta al rapporto tra Stato ed enti locali. Lo asserisco non soltanto in conseguenza delle lamentele dei sindaci, che pure vi sono state e, in alcuni casi, sono anche giustificate. I cittadini, infatti, percepiscono molto il rapporto con il proprio ente locale ed è difficile, per chi amministra, essere posto di fronte alla scelta drammatica di tagliare un servizio o di aumentare l'imposizione. Ritengo che da tale punto di vista vada avviato in maniera più approfondita il dialogo con gli enti locali; ci auguriamo che a tale riguardo, in occasione del varo della prossima finanziaria, si arrivi più pronti, avviando prima il confronto con gli enti locali per evitare che vi possa essere una sovrapposizione di imposizione locale e di imposizione nazionale che, sì, potrebbe davvero danneggiare le fasce più deboli, quelle che noi vogliamo, per l'appunto, tutelare maggiormente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, questa è una finanziaria partita male, con promesse demagogiche, già sentite in campagna elettorale. Essendo da campagna elettorale, ci aspettavamo che tali argomentazioni, davanti alle gravi responsabilità che aveva dinanzi questo Governo, fossero in qualche modo accantonate e, piuttosto, si intraprendesse, con senso di responsabilità, la scelta decisionista che questo paese attende sulla via delle riforme.
Avete invece continuato a parlare del «buco»; ma, tale buco, non si è capito dove fosse e quale ne fosse l'entità. Avete quindi dichiarato che l'Italia, rispetto all'avanzamento mondiale dell'economia, accusava
gravi ritardi, non tenendo conto del fatto che, in realtà, l'economia mondiale, in questi anni, ha, sì, conosciuto risultati estremamente positivi, ma solo con riferimento ai mercati americani e del far east; l'Europa, invece, ha segnato il passo. In Europa hanno segnato il passo soprattutto quei paesi, come Italia, Francia e Germania, che hanno gravi problemi strutturali; verifichiamo dunque tali problemi strutturali del nostro paese, che indubbiamente hanno destato preoccupazione in questi ultimi anni. Deficit strutturali che derivano dall'incapacità di comprendere cosa significhi la globalizzazione per le nostre imprese; deficit strutturali nel campo energetico e in quello delle infrastrutture (con conseguente incapacità di essere competitivi sul versante dei trasporti); deficit anche per quanto concerne i conti pubblici.
Dunque, ci attendevamo altro da questa finanziaria, che Prodi definirebbe «importante» ma noi soltanto imponente per i numeri: 34 miliardi di euro; se si aggiungono, poi, i 6 miliardi del decreto Visco-Bersani, la manovra finanziaria nel suo complesso raggiunge i 40 miliardi di euro. Di questi, solo 14 miliardi sono destinati al raggiungimento dell'obiettivo, da voi considerato importante e fondamentale, del famoso 3 per cento del rapporto deficit-PIL; percentuale che, peraltro, le ultime statistiche ci dicono sia già stata raggiunta nel primo semestre di quest'anno.
Dunque, quando i numeri sono questi - 14 miliardi solo per il taglio alle spese, ed il resto, in realtà, per un presunto impegno per lo sviluppo -, i dati, chiari ed evidenti, mostrano cosa significa questa manovra finanziaria.
Ma vediamo in termini costruttivi cosa avete fatto rispetto a quei deficit strutturali sui quali ritengo che qualsiasi persona di buon senso, che conosca l'economia del nostro paese, concordi.
Dopo gli impegni importanti assunti dai precedenti Governi, anche grazie alla legge obiettivo, avete sospeso ogni possibilità di rilancio delle grandi infrastrutture di questo paese e addirittura alcune, come il ponte sullo stretto di Messina, le avete cancellate.
Poco o nulla è previsto nel campo dell'energia, ahimé, e lo sottolineo perché fui relatore, nella scorsa legislatura, di un provvedimento in materia. Avete cancellato l'impegno - fra l'altro, bipartisan - assunto da questo Parlamento con la legge sulla internazionalizzazione per investire nel settore degli sportelli unici internazionali e nell'aiuto e accompagnamento delle nostre imprese all'estero. Cito, come elemento vergognoso, il fatto che l'unico finanziamento che siete riusciti a ricavare attiene all'articolo 128-bis; mi riferisco ai famosi 14 milioni di euro che avete regalato ad un senatore eletto all'estero per finanziare, immagino, qualche giornalino o qualche manifestazione culturale. Avete comprato questo senatore con 14 milioni di euro!
Nessun seguito avete dato al significativo impegno che avevamo assunto nella scorsa legislatura in materia di commercio estero...
PRESIDENTE. Onorevole Raisi...
ENZO RAISI. Questo disegno di legge finanziaria non presta la minima attenzione allo sviluppo delle nostre imprese e non rivela alcuna intenzione di proseguire sulla via maestra del superamento del deficit infrastrutturale che abbiamo e che sicuramente penalizza le nostre imprese. Avete riciclato vecchi leit-motive come quello dei contributi per la rottamazione dei frigoriferi. Mi domando per quale motivo...
PRESIDENTE. Onorevole Raisi, la domanda se la ponga nel corso di un altro intervento, per favore!
ENZO RAISI. ... tra tutti gli elettrodomestici che ci sono in una casa solamente il frigorifero benefici dei contributi per la rottamazione. Basta verificare chi produce i frigoriferi in Italia!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.
PIETRO RAO. Signor Presidente, contrariamente all'onorevole Tabacci - di cui comprendo la delusione, per così dire, nell'osservare un Parlamento quasi disinteressato alla discussione di un provvedimento tanto importante quale è il disegno di legge finanziaria - considererò virtualmente presenti sia il ministro competente sia il Presidente del Consiglio dei ministri.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il neonato Movimento per l'Autonomia, che rappresento e che per la prima volta, per ovvi motivi, è presente come componente del gruppo Misto in Parlamento, nel contesto di un dibattito sul disegno di legge finanziaria non può assolutamente esimersi dall'esprimere la propria posizione ed il proprio giudizio critico sulle misure che stanno per essere approvate.
Ciò che maggiormente ci ha colpito in queste ultime settimane è stato il turbinoso valzer di cifre che il ministro dell'economia ha tentato di porre all'attenzione di tutte le forze politiche. Inoltre, è apparso in maniera chiara e inequivocabile come proprio sui numeri lo stesso ministro dell'economia «scivoli», per le enormi difficoltà che incontra sia nel definire le cifre della manovra economica per l'anno 2007 sia nel riferirle correttamente in Parlamento.
Tanto per cominciare, si era ipotizzata una manovra da 35 miliardi di euro. Tuttavia, i dati relativi alla forte crescita delle entrate avevano convinto i tecnici, su sollecitazione degli alleati più riottosi, a ridurre in misura sostanziale la stangata, portando la manovra economica a 30 miliardi di euro. Successivamente, è stata portata a 33,5 miliardi di euro e, quindi, ulteriormente aumentata per dare maggiore impulso alle dinamiche economiche. In queste ultime ore, con una scansione temporale quasi cronometrica, assistiamo ad altri ritocchi.
In tali condizioni, restiamo esterrefatti e privi di orientamento, in quanto è difficile individuare punti di riferimento e motivi di critica politica. Signor ministro, a questo punto ci viene spontaneo chiederle, tutto considerato, se non sia il caso di mettersi d'accordo, oltre che con se stesso, anche con gli altri rappresentanti di Governo e con tutti i partiti che compongono questa maggioranza, nonché con tutti i suoi tecnici, e se non sia il caso di farsi spiegare come mai i conti non tornino, prima di presentarsi ad un appuntamento non certo di secondaria importanza, come quello di una manovra finanziaria.
Appare chiaro che il modo in cui è confezionato questo disegno di legge finanziaria, fatto di bozze diramate e poi smentite dopo che tutti i settori interessati hanno alzato barricate, trovando, spesso, una sponda in qualche partito di maggioranza, non può non essere considerato al limite dell'irrazionale. Appare chiaro, inoltre, quanto confuse e poco chiare siano le idee all'interno di questa maggioranza. Dal disegno di legge finanziaria di questo Governo, o dal suo cilindro magico, esce ogni giorno una sorpresa. Prima, l'imposta di successione sparisce, travestita da tassa di registro; poi, ricompare come d'incanto. Avevate proposto a tutte le imprese, piccole, medie e grandi, di trasferire il TFR all'INPS. Invece, secondo le ultime notizie ne sono esentate tutte le imprese il cui numero di dipendenti arrivi a 50 unità. Compaiono l'aumento dell'imposta di bollo sui SUV e l'esenzione dal bollo per le autovetture euro 4 che, poi, scompare. Ci informate di massicce assunzioni nel mondo della scuola ma, secondo le ultime notizie, saranno «tagliati» 50 mila posti per tutti i precari. Ci pare che regnino veramente molta confusione e poca capacità di gestione di questa manovra economica.
Non si può certamente governare all'insegna dell'improvvisazione. Ci rendiamo perfettamente conto dei tira-e-molla che esistono tra tutti i partiti dell'Unione e di come non sia facile conciliare posizioni contrapposte, specie quando nell'aria aleggiano minacce di non supportare il provvedimento con il voto. Ne abbiamo avuta esperienza in sede di Commissione bilancio, in cui un modesto dibattito si è svolto sull'emendamento a favore del senatore Pallaro, quello concernente i 14 milioni di euro: questa ne è la più palese testimonianza.
Nella storia della Repubblica non avevamo mai assistito alla discesa in piazza di tutte le categorie professionali che manifestavano la propria protesta. A tale proposito, per una forma di rispetto e di sensibilità, noi invitiamo il Presidente del Consiglio dei ministri a chiedere scusa a tutti gli italiani per aver dichiarato di non tenere in debita considerazione le proteste di piazza da parte di tutte le categorie poiché, con queste dichiarazioni, ha mancato di rispetto nei confronti di chi lavora e produce nel nostro paese. Le categorie professionali, con la manifestazione del 12 ottobre scorso, hanno esternato tutto il loro dissenso, sottolineando anche come questo Governo abbia abrogato, di fatto, se non di diritto, lo statuto del contribuente, continuamente violato e calpestato quando si tenta di introdurre il concetto della retroattività delle norme in materia fiscale, cosa mai accaduta prima. Chiediamo, in virtù di ciò, che si abbia maggiore rispetto per famiglie, imprese e professioni, sempre che questi principi rientrino nelle logiche di una sinistra radicale.
Mi faccio portavoce di queste categorie per esprimere tutte le preoccupazioni del caso perché il decreto Bersani-Visco, prima, e il disegno di legge finanziaria, oggi, offrono forti motivi di apprensione. In particolare, riteniamo doveroso intervenire nel merito dei tanti provvedimenti normativi che, direttamente o indirettamente, recano danno a tutti i lavoratori autonomi, fingendo di perseguire obiettivi di liberalizzazione e di sviluppo del paese. Non si può legiferare senza ascoltare le parti sociali, senza aprire un tavolo di concertazione e aumentando e imponendo d'autorità, e nella assoluta mancanza di rispetto, le incombenze burocratiche (si vedano l'articolo 35, comma 2, della legge n. 223 del 2006, il decreto Bersani-Visco, l'obbligo di allegare l'elenco clienti e fornitori, l'obbligo di apertura di un conto corrente e così via). Con questo dibattito parlamentare cercheremo di porre rimedio alle tante vessazioni che si vogliono imporre con un autoritarismo e uno statalismo di basso livello.
Ancora brutte sorprese per le piccole e medie imprese, per le quali il tanto decantato cuneo fiscale non sortirà effetto alcuno. Come se non bastasse, a loro carico volete imporre l'innalzamento dei contributi previdenziali, l'aggravio di dieci punti percentuali per gli apprendisti e il mancato sgravio delle aliquote INAIL per l'artigianato.
Oltre al danno, la beffa! A nostro avviso, questa legge finanziaria è assolutamente sbilanciata sul lato delle entrate, con un aumento notevole della pressione fiscale, e poco incisiva sul versante della spesa. In ultima analisi, è una manovra iniqua e fortemente punitiva per tutte le categorie sociali.
Ci sembra opportuno darle un consiglio: non vesta i panni di Robin Hood, che toglie ai ricchi per dare ai poveri, perché, molto sinceramente, è un ruolo che non recita molto bene e che non le si addice.
Il malumore serpeggia in tutte le categorie e rischia di creare un insieme di situazioni che possono innescare forti conflitti sociali, di mettere una contro l'altra le varie categorie produttive del paese quando vengono accusate da questo Governo di essere tutte composte da evasori fiscali. Altro che unire il paese!
Pur condividendo le buone intenzioni di questo Governo di combattere l'evasione fiscale, certamente non possiamo condividere gli strumenti, che sono a dir poco fortemente repressivi, al limite della limitazione della libertà dei cittadini, se così li possiamo ancora chiamare dopo questa manovra.
Questi provvedimenti rischiano di provocare effetti disastrosi sulla capacità di spesa e sui consumi delle famiglie italiane e, quindi, sulle attività del comparto. La manovra andrà ad incidere ancora nei bilanci delle famiglie a causa degli aumenti che vengono introdotti su molti fronti di spesa dei cittadini.
Auspichiamo una inversione di tendenza, con significative modifiche di quella linea politica del Governo, linea che pensavamo fosse ormai definitivamente tramontata. Anche in questo senso ...
PRESIDENTE. La ringrazio....
PIETRO RAO. Mi perdoni, Presidente, ma abbiamo 19 minuti a disposizione!
PRESIDENTE. Sì, ma il suo gruppo ha deciso che lei poteva utilizzare solo 9 minuti e 30 secondi.
PIETRO RAO. No, si era detto di utilizzarli tutti, se mi permette.
PRESIDENTE. Mi dispiace, ma il suo gruppo ha iscritto anche altri colleghi.
PIETRO RAO. Ne avevamo 19 a disposizione!
PRESIDENTE. Mi dispiace per lei, ma qui ho scritto 9 minuti e 30 secondi. Il suo tempo è esaurito.
PIETRO RAO. Presidente, mi pare che questa fiscalità sia eccessiva, se mi consente.
PRESIDENTE. Non è una questione di fiscalità: lei ha ampiamente superato il tempo che le è stato assegnato.
PIETRO RAO. Noi avevamo 19 minuti assegnati! Mi perdoni se insisto.
PRESIDENTE. Mi permetta di insistere nel precisarle che domani mattina è iscritto un altro collega della componente del suo gruppo, l'onorevole Reina, per i minuti restanti.
PIETRO RAO. Allora, Presidente, chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, utilizzerò i miei dieci minuti per svolgere una considerazione sui numeri generali di questa manovra finanziaria e per affrontare due temi specifici: TFR ed enti locali. Scelgo questi due temi perché penso che al riguardo il Parlamento debba fare uno sforzo per migliorare la bozza di legge attuale. Ritengo infatti che, così come è stato predisposto, il provvedimento sia del tutto insoddisfacente.
Questa manovra è di 33, 4 miliardi di euro, di cui solo 14,8 servono per riportare il deficit tendenziale del 2007 sotto il 3 per cento; per intenderci, per rispettare il famoso patto che abbiamo sottoscritto con l'Europa. Gli altri 18,6 miliardi di euro sono una scelta autonoma di questo Governo, che ha deciso di intervenire in vari settori.
Mi permetto di sottolineare che 14,8 miliardi di euro rappresentano per questo paese una manovra normale, non una manovra straordinaria; se questo Governo avesse scelto solo di rientrare nei parametri di Maastricht, senza fare altri interventi, sarebbe dovuto intervenire, per questa cifra - circa 15 miliardi di euro -, con una manovra rientrante nella media di tutte le manovre finanziarie realizzate negli ultimi dieci anni. Quindi, essa non avrebbe avuto un grande impatto per i cittadini italiani. Tengo a dire questo perché non è vero quanto si afferma sui giornali e nelle trasmissioni televisive, cioè che si è stati costretti a predisporre una manovra così imponente per l'eredità lasciata dal precedente Governo.
Quello che non torna, in questi numeri, è il confronto tra il DPEF e la legge finanziaria. Per la verità, tornano i numeri, ma non tornano i contenuti. Se noi andiamo a vedere il DPEF, che questo Parlamento ha votato alla fine di luglio, le idee della maggioranza erano molto chiare; si sosteneva che per reperire i 35 miliardi che servono per gli interventi strutturali e per il rientro nei parametri del patto di Maastricht si doveva intervenire in maniera forte su quattro settori della spesa pubblica: il sistema pensionistico, il servizio sanitario, l'amministrazione
pubblica e gli enti locali (questo perché l'80 per cento della spesa pubblica è concentrata proprio in questi comparti).
Davanti a questo discorso così chiaro della maggioranza, fatto a luglio in sede di discussione del DPEF, noi avemmo dei dubbi su come votare, perché lo consideravamo molto logico. Mi ricordo che il discorso che mi convinse di più fu proprio quello dell'onorevole Tabacci, che disse che tale ragionamento, però, era così generico che avrebbe lasciato al Governo le mani libere per stravolgere i contenuti del DPEF al momento della presentazione del disegno di legge finanziaria. E così è avvenuto!
Quando andiamo ad esaminare la finanziaria, vediamo che non c'è più alcun collegamento con il DPEF. E guardate che il DPEF è proprio l'anticamera della legge finanziaria, ne indica le linee programmatiche! Tra quei quattro, ci si è dimenticati di due settori fondamentali: il sistema pensionistico e l'amministrazione pubblica. Non intervenendo su quei due settori, chiaramente non si è agito sulla spesa, ma si è dovuto agire sul lato delle entrate. Se andiamo ad esaminare la manovra nel suo complesso, constatiamo che i 35 miliardi sono composti per l'81 per cento da nuove imposte e da nuove entrate e solo per il 19 per cento da tagli alla spesa. Se ai tempi del DPEF avessimo saputo che la ripartizione nella ricerca dei fondi sarebbe stata questa, saremmo stati i primi a sostenere che la manovra andava ridotta nel suo complesso.
La manovra di 35 miliardi aveva un senso se si operava sulla spesa; non ha più senso nel momento in cui si punta sulle nuove entrate. Non ci vuole un economista di rilievo per capire che in un momento di espansione economica, come quello che stanno vivendo l'Europa e l'Italia in questo periodo, va evitata assolutamente una manovra volta ad aumentare le imposte ai cittadini ed alle imprese, perché così non si fa altro che ridurre i consumi delle famiglie e ridurre la produzione di beni e servizi da parte delle imprese, portando il paese in una nuova recessione.
Se noi avessimo saputo che l'idea era questa, probabilmente vi avremmo chiesto di contenere la manovra nei 15 miliardi e di lasciare perdere quelle manovre, che voi chiamate per lo sviluppo, di 20 miliardi. Quelle manovre, che pur ci sono - il cuneo fiscale è una di queste, per l'amor di Dio! - , sono compensate da maggiori imposte che gravano sulle imprese e sulle famiglie. Praticamente, togliamo da una parte per dare dall'altra, solo che creiamo squilibri sociali molto forti.
Ho scelto di parlare del TFR perché penso che la soluzione individuata nell'accordo raggiunto fra Governo, sindacati e Confindustria sia peggiore della soluzione che era stata ipotizzata nella prima bozza della finanziaria, che parlava di un trasferimento forzoso del TFR inoptato rispetto ai fondi integrativi, nella misura del 50 per cento, dalle imprese all'INPS, che lo avrebbe utilizzato per interventi infrastrutturali. Secondo l'accordo raggiunto con i sindacati e Confindustria, sono escluse le aziende che hanno meno di 50 dipendenti, mentre quelle che hanno più di 50 dipendenti devono trasferire il 100 per cento del TFR.
Così noi procuriamo un doppio danno; il primo al sistema economico, perché stiamo dicendo alle imprese piccole, quelle che hanno meno di 50 dipendenti, che conviene loro rimanere piccole, mentre se c'è un problema che questo paese ha dal punto di vista industriale è proprio quello della dimensione troppo piccola delle imprese che devono stare sul mercato globalizzato.
Queste aziende hanno bisogno di crescere, perché nella crescita trovano la competitività con le altre imprese. È chiaro che, così facendo, a nessun imprenditore che ha 40-45 dipendenti scatterà quella molla imprenditoriale per crescere ulteriormente. Condanniamo, come è stato detto più volte, al nanismo imprenditoriale il nostro sistema economico.
Operiamo anche una grande discriminazione fra i lavoratori. Mi dite perché il lavoratore di un'azienda con 48 dipendenti può beneficiare del suo TFR, lasciandolo all'imprenditore, con una sicurezza molto
forte e, invece, il lavoratore che svolge la propria attività in un'azienda con 51 dipendenti si vede trasferire interamente il suo TFR all'INPS? Per il lavoratore non è la stessa cosa!
Non voglio fare del terrorismo, ma se esiste un credito tutelato è proprio quello del dipendente verso l'impresa a causa del TFR. In questo caso, in primo luogo vi è la solidità dell'impresa a garanzia del lavoratore, ma in mancanza, nel caso di fallimento dell'impresa, il TFR è un credito privilegiato rispetto a tutti gli altri crediti. Se ciò non bastasse, esiste un fondo di garanzia dello Stato che interviene a favore del dipendente perché rientri in possesso del suo TFR. Nella mia breve carriera professionale non ho mai visto un lavoratore di un'impresa fallita non rientrare in possesso del suo TFR. Invece, quando questo fondo andrà all'INPS, il TFR del dipendente sarà soggetto alle decisioni politiche dei Governi che si succederanno da qui a 35 anni; quindi, si tratterà di un credito poco tutelato. Ritengo che su tale tema il Parlamento debba intervenire ulteriormente, al fine di evitare l'attuazione di una discriminazione così forte.
Per quanto riguarda gli enti locali, tale problematica è rimasta ancora sul tavolo; non lo dico solo io, ma anche sindaci di centrodestra e di centrosinistra. L'accordo raggiunto con gli enti locali è falso. Vi è una diminuzione di tagli pari a 600 milioni di euro che viene compensata escludendo dal patto di stabilità le grandi opere del CIPE. Occorre che il Parlamento intervenga, in quanto gli enti locali non possono sopportare un taglio pari a 2,2 miliardi di euro, altrimenti dovranno agire aumentando le tasse locali; mi riferisco in particolare all'IRPEF, all'ICI, alla tassa di soggiorno e a quella di scopo.
L'addizionale IRPEF è un'imposta odiosa, in quanto colpisce sia i redditi bassi sia quelli alti, senza alcuna distinzione. In tal modo, si viola l'articolo 53 della Costituzione. L'ICI colpisce la prima casa anche di coloro che hanno acceso un mutuo per poterci rimanere dentro. Ritengo che, con riguardo agli enti locali, si debba procedere ad un miglioramento dell'accordo raggiunto, nell'interesse dei cittadini, degli enti locali stessi e dei sindaci.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO. Signor Presidente, prendo spunto dall'intervento dell'onorevole Galletti, per il quale nutro profonda stima. Sarebbe augurabile che tutte le critiche alla finanziaria fossero formulate con questa razionalità e con questa calma. Se c'è una cosa che emerge dal ragionamento che stiamo svolgendo sulla legge finanziaria, è che il ruolo del Parlamento dovrebbe essere non quello di battagliare per mero schieramento, ma di contribuire insieme ad un miglioramento.
Avendo a disposizione pochi minuti, imposterò il mio ragionamento relativamente a due questioni: la prima riguarda il merito della finanziaria, che difendo; la seconda concerne il metodo con il quale giungere al disegno conclusivo della finanziaria, sul quale forse alcune critiche sono anche plausibili.
Con riferimento a questo secondo punto, posso solo affermare che la centralità del Parlamento e del dibattito dovrebbe essere sempre salvaguardata.
Per quanto riguarda invece il merito, partiamo da un ragionamento, presente già nel DPEF, che si concentrava in tre slogan: rigore, equità, sviluppo. Su questi tre slogan la finanziaria mantiene le promesse.
Ci siamo trovati nell'esigenza forte di attuare una politica di rigore, cioè di risanamento. Infatti, questa maggioranza, al momento del suo insediamento, ha dovuto risanare un rapporto deficit-PIL pari al 4,6 per cento; ricordo che la manovra stanzia per il risanamento 15,2 miliardi di euro per riportarlo nel corso dell'anno prossimo al 2,8 per cento, vale a dire al di sotto di quel 3 per cento che per cinque anni non è mai stato raggiunto da chi ci ha preceduto. La manovra di risanamento è in totale pari all'1,8 per cento del nostro prodotto interno lordo, cioè più del doppio di quanto previsto dal Governo
Berlusconi. Noi, con questa manovra di risanamento, riporteremo l'avanzo primario al 2 per cento.
Sono dati poco percepibili dai cittadini che ci ascoltano, ma riguardano la salute o la malattia dei conti complessivi di un paese. Aver trovato l'avanzo primario a zero e riportarlo al 2 per cento significa aver pensato al futuro, a medio e lungo termine, di questo paese e non soltanto al confronto politico sui numeri di questa finanziaria.
Siamo convinti che la manovra incida sulla struttura dei conti e, per tale motivo, ci aspettiamo di poter ridurre il peso fiscale sul contribuente a partire dal 2008.
Una critica ricorrente è che il peso obbligatorio di questa manovra avrebbe potuto essere solo di 15 miliardi di euro, comprendendo soltanto i soldi necessari a risanare il buco. Ma se avessimo pensato solo a quella parte della manovra, con un intervento pari a 15-16 miliardi, sarebbe stata esclusa qualsiasi politica di investimenti pubblici. Invece, abbiamo avvertito la necessità di finanziare opere pubbliche, di far riaprire i cantieri autostradali e di finanziarie le ferrovie.
Le entrate in questa manovra crescono di circa 23 miliardi di euro, ma ciò non vuol dire che la manovra sia di 23 miliardi di peso fiscale sui contribuenti. Infatti, da questi 23 miliardi vanno sottratti i 6 miliardi del TFR, 7 miliardi sono imputabili al recupero dell'evasione fiscale e solo alcuni miliardi sono imputabili all'aumento del peso fiscale.
Quindi, con questa manovra si mantiene quanto sostenuto già nel DPEF, vale a dire una politica di rigore, equità e sviluppo. In ciò crediamo e difenderemo in Parlamento questa finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Corato. Ne ha facoltà.
RICCARDO DE CORATO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, credo che questa finanziaria - lo ha detto poco fa l'onorevole Galletti - abbia fatto pagare un conto molto pesante agli enti locali.
Ricorderò in quest'Aula non quanto sostenuto dal sindaco di Milano, ma quello che hanno detto i sindaci di grandi città, dal sindaco di Bologna, Cofferati, al sindaco di Venezia, Cacciari, che addirittura è sceso in piazza. Quest'ultimo, credo, sia l'unico sindaco, ad oggi, ad essere sceso in piazza insieme ad una categoria come quella degli artigiani. Inoltre, le dichiarazioni del presidente dell'ANCI, il sindaco di Firenze Domenici, testimoniano che il taglio operato nei confronti degli enti locali è duro e ve ne accorgerete tra qualche mese, quando - qualcuno lo sta già facendo - gli enti locali dovranno presentare i bilanci: saranno durissime notizie per gli italiani!
Dove governiamo, come a Milano, spiegheremo che le mani nelle tasche dei milanesi le ha messe Prodi, che i tagli che vi saranno agli stanziamenti per gli anziani, ai disabili, ai servizi sono dovuti al suo operato, perché, quando in una città come Milano si opera un taglio di 100 milioni di euro, è chiaro che si interviene sulla parte corrente e, quindi, sulla spesa sociale, soprattutto quella destinata alle categorie più bisognose. Questa è l'operazione che avete fatto con la legge finanziaria. Costringete i comuni a fare da gabellieri. Dove governiamo noi, cercheremo di non fare da gabellieri, come ci costringete a fare. A Milano, per esempio, cercheremo di non aumentare l'ICI, come voi ci inducete a fare avendo aumentato l'aliquota e, anzi, tenteremo addirittura di ridurla per fasce dirette; né, peraltro, intendiamo introdurre tasse di scopo, come voi invece ci autorizzate a fare.
Questa è una legge finanziaria soprattutto contro il nord e contro Milano, nonostante qualche mese fa abbiate dato dei segnali diversi, ma era solo fumo. È bastata la presentazione della finanziaria e quello che era il «tavolo per Milano», inaugurato dal Presidente del Consiglio e dal sottosegretario Letta, si è rivelato, almeno per il momento, soltanto un tavolo di fumo. Per Milano e per gli enti locali - ad eccezione di Roma, che è stata largamente premiata, ma non è una novità che venga premiata a scapito non solo di
Milano ma anche di tutti gli altri grandi comuni - non vi è stato alcun occhio di riguardo, nonostante siano state attivate diverse «falegnamerie» istituzionali. È stato istituito un tavolo, ma il Governo di centrosinistra, appena presentata la finanziaria, ha dimenticato Milano e la Lombardia, in particolare il suo ruolo di traino dell'economia nazionale, perché Milano non è un comune assimilabile agli altri proprio perché, appunto, fa da traino all'intero paese.
La manovra ha dimenticato le infrastrutture; ad eccezione della Pedemontana, di tutto il resto, delle opere pubbliche di cui hanno bisogno Milano e la Lombardia non si parla più. Ciò che è peggio è che per Milano, essendo uno dei pochi grandi comuni italiani considerato virtuoso in quanto è rimasto nei parametri del patto di stabilità interno, la buona amministrazione diventa addirittura un handicap, perché la finanziaria toglie ai comuni virtuosi la possibilità di grandi recuperi lavorando sulla macchina comunale.
Vorrei concludere riferendomi brevemente alla sicurezza...
PRESIDENTE. Ha già abbondantemente superato il tempo a sua disposizione. Affronterà questo tema nel suo prossimo intervento.
Constato l'assenza dell'onorevole Ferrari, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.
ANTONIO PEPE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, la legge finanziaria è lo strumento attraverso il quale il Governo, nel rispetto delle linee guida del DPEF, deve disegnare una strategia economica e definire gli strumenti operativi di finanza locale.
Questa legge finanziaria 2007 è fortemente lacunosa sia nella definizione di una strategia economica sia nella individuazione di strumenti per attuarla. Essa si caratterizza per una produzione normativa senza precedenti, che agisce e interferisce in tutti i settori strategici senza rendere il sistema Italia più equo, più efficace e più efficiente.
Non interviene significativamente sulla spesa pubblica e, letta insieme al decreto Visco-Bersani del luglio scorso ed al decreto-legge collegato, ora all'esame del Senato, crea un freno allo sviluppo del paese. Essa, a causa di misure incomprensibili, per certi versi punitive dei ceti sociali produttivi, rischia di non far cogliere al nostro sistema economico le opportunità di crescita che il contesto internazionale offre.
La manovra Padoa Schioppa è piena di tasse, locali e nazionali, di addizionali e di adempimenti punitivi a carico del contribuente. A causa di questa manovra l'Italia diventa, tra i paesi dell'Unione europea, quello con la più alta pressione fiscale.
Contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale, il Governo mette le mani nelle tasche degli italiani. Oltre i due terzi della manovra, infatti, si basano su aumenti di imposte. Tale approccio al sistema di tassazione è il risultato di una concezione punitiva del fisco, un sistema che fonda il suo programma sull'auspicio che «anche i ricchi piangano» e che fa dell'invidia sociale un metodo di aggregazione politica. Un vero sistema fiscale di approccio liberale dovrebbe invece essere il meno invasivo possibile e garantire l'equità sociale senza accanimenti verso il frutto del lavoro e della ricchezza.
Quello che ancora di più stupisce nel provvedimento è che il Governo considera ricchi coloro che dichiarano 40 mila euro di reddito lordo l'anno. Si evidenzia la volontà di rivalersi verso il ceto medio, che è storicamente lo zoccolo duro del voto moderato di centrodestra.
Sul fronte del contenimento della spesa pubblica, la manovra è del tutto inefficace ed è quasi esclusivamente basata su nuove entrate, mentre il sistema di assistenza sociale viene minato alla base a causa dei cospicui tagli agli enti locali.
Gli interventi su scuole ed università non sono legati a veri meccanismi di meritocrazia ed anche per la ricerca si è fatto poco o nulla, se è vero che, addirittura,
era stato dimenticato di inserire nel provvedimento anche il riferimento al 5 per mille.
La perseguita equità sociale è un obiettivo solo annunciato che non si coglie nella manovra di bilancio. Una equità autentica non si ottiene con una semplice rimodulazione degli scaglioni fiscali: l'equità si ottiene rendendo servizi essenziali - penso alla sanità, alla scuola, ai servizi sociali - disponibili a tutti ed a costi accessibili. La manovra, invece, sacrifica alla rimodulazione della progressività delle imposte sulle persone fisiche una vera e giusta equità fondata sulla capacità di rispondere alle richieste dei cittadini a livello locale. Per di più, il sistema ideato è basato sulle detrazioni e non sarà efficace verso tutti i contribuenti con redditi inferiori ai 40 mila euro. Molti pagheranno di più e, per evitare questo, sarebbe stata necessaria una clausola di salvaguardia - noi avevamo presentato un emendamento in tal senso - che garantisse quantomeno il trattamento di maggior favore tra i due sistemi fiscali.
La vera solidarietà e sussidiarietà si sarebbe dovuta realizzare attraverso politiche volte ad aiutare gli incapienti, dando a coloro che sono ai margini del sistema produttivo un'occasione per essere reinseriti nel sistema lavorativo con incentivi ed aiuti mirati. Occorreva, inoltre, una vera rivisitazione della politica fiscale a favore della famiglia, aiutando concretamente - e non solo a parole, come si fa in questa finanziaria - le famiglie numerose, e quelle con anziani e handicappati. Ha ragione quel lettore de l'Unità che su Internet ha scritto che grazie a questa finanziaria potrà finalmente comprare un frigorifero nuovo, ma che avrà difficoltà a poterlo riempire. Questa legge finanziaria preoccupa il cittadino comune, soprattutto quello a reddito medio basso o senza reddito, perché, a fronte di una limitata riduzione di pochi euro di IRPEF, si troverà a dover fronteggiare incrementi di imposte locali, addizionali varie e ticket per servizi anche sanitari.
Gli investimenti per lo sviluppo sono finanziati con un artificio contabile basato sulla iscrizione nelle entrate del prelievo del TFR dalle aziende, che invece rimane pur sempre un debito verso i lavoratori.
L'iscrizione nelle voci attive di questa posta di bilancio è del tutto pretestuosa e tecnicamente errata e non potrà essere fonte di finanziamento di opere pubbliche.
Un discorso più approfondito meritano gli enti locali. Per tali istituzioni è improponibile il taglio previsto. I comuni, in particolare, sono il terminale di quella giustizia sociale e di quella sussidiarietà verso i cittadini meno abbienti; cittadini che non possono e non devono rimanere soli, senza una rete di protezione sociale. Ma ancora più grave è il fatto che gli enti locali, per far fronte alle spese incomprimibili, saranno autorizzati e di fatto invogliati ad inserire un livello di tassazione locale ancora più invasivo e dannoso. Penso alla tassa di soggiorno, che è in palese contraddizione rispetto a quelle politiche di «marketing territoriale» che tutti i territori pongono in essere per attrarre turisti. Paradossalmente, da un lato incentiviamo le visite alle nostre città e, dall'altro, tassiamo i turisti ed i visitatori.
Lo stesso dicasi per le tasse di scopo, introdotte in questo disegno di legge finanziaria, che rischiano di divenire la fonte di finanziamento di opere pubbliche che, invece, dovrebbero essere a carico dello Stato.
Questa manovra, anche nella parte della riduzione del cuneo fiscale, si rivela inefficace. Il taglio previdenziale si traduce in una partita di giro per le aziende ed il beneficio per il lavoratore non appare sufficiente. In più, viene sottratto alle aziende uno strumento di autofinanziamento vitale per fare fronte ad investimenti in beni a fecondità ripetuta.
Le imprese saranno costrette ad indebitarsi verso il sistema bancario, dovendo quindi far fronte anche al costo del denaro che, ultimamente, tende a crescere a causa di un indebito innalzamento dei tassi di interesse.
Non meno gravi sono gli effetti degli adempimenti fiscali in genere, che si traducono
in un maggior costo di gestione delle attività commerciali ed imprenditoriali.
Già molti adempimenti fiscali sono stati introdotti con il decreto Bersani-Visco. Altri sono stati introdotti con il decreto-legge attualmente all'esame del Senato e che questa Camera ha approvato poco tempo fa. In particolare, con il decreto Bersani-Visco si è tornati indietro di anni, nel momento in cui si è pensato di eliminare per alcune fattispecie la valutazione catastale.
Inoltre, il Governo, sulla base di un suo emendamento, ha previsto di non poter più procedere all'utilizzo automatico dei crediti nel modello F24 per i pagamenti delle imposte e tasse. Una previsione sicuramente punitiva; è, infatti, grave che il Governo abbia proposto una misura che prevede che per l'utilizzo di crediti vantati dal contribuente si debba preventivamente chiedere l'autorizzazione all'Agenzia delle entrate tramite comunicazione telematica.
Tutto ciò è un'involuzione culturale che individua nel contribuente il nuovo suddito che, anche per far valere i propri diritti, deve essere autorizzato preventivamente. Si spezza definitivamente il rapporto di collaborazione tra fisco e contribuente a danno dell'intero sistema.
Qualche anno fa il Parlamento ha approvato lo statuto del contribuente. Si era detto che si trattava di una norma civile che avrebbe fatto fare un passo in avanti al nostro paese in campo fiscale. Purtroppo, in sei mesi di Governo Prodi abbiamo visto che lo statuto del contribuente è stato continuamente e ripetutamente dimenticato e calpestato.
Tutto ciò non è sicuramente giusto! L'intera legge finanziaria, quindi, non ci piace. Fa tornare indietro il paese di anni e pone le premesse, contrariamente a quanto affermato dal Governo, per un aumento dell'evasione e del contenzioso tributario. Tutto questo - ripeto - ci fa tornare indietro di anni (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.
LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, vorrei svolgere una riflessione sui tre slogan che vengono ripetuti frequentemente anche in quest'aula: mi riferisco al risanamento, allo sviluppo ed all'equità. Li abbiamo sentiti anche in sede di esame del DPEF e, quindi, ho l'impressione che siano veramente degli slogan, perché al Governo, come ho già detto qualche collega, bastavano 14,8 miliardi per riportare il deficit tendenziale nel 2007 dal 4 al 2,8 per cento e ciò serviva per rispettare gli impegni con l'Unione europea.
La manovra però è molto più consistente. È passata dai 34 miliardi ai 40 con gli interventi che si sono resi necessari per compensare la sentenza sull'IVA per l'auto aziendale. Quindi 18,6 miliardi di euro servono per finanziare scelte discrezionali di politica economica.
Queste misure vengono definite pomposamente politiche a sostegno dello «sviluppo» - è la prima delle tre parole magiche - e fra queste rientrano sia il taglio del cuneo fiscale, legato dirigisticamente ai contratti a tempo determinato, sia semplici iniziative di spesa, come il rifinanziamento dei cantieri delle ferrovie, il rinnovo contrattuale del pubblico impiego, appena compiuto, nuovi finanziamenti alle poste, la missione in Libano, compresi fondi vari a disposizione dei singoli ministeri, il più delle volte insufficienti. Penso al fondo infrastrutture (è insufficiente), a quello per la famiglia, per i portatori di handicap e per l'occupazione (sono del tutto insufficienti). È stata utilizzata anche un po' di finanza creativa (di cui è stato sempre rimproverato al ministro Tremonti). Faccio un esempio per tutti: il trasferimento all'INPS del TFR, invece, di dirottarlo alla previdenza integrativa che così, grazie a voi, non decollerà.
LUIGI FABBRI. La manovra prevede più di 7 miliardi di entrate tra misure
antievasione e antielusione che, per loro natura, sono difficili da quantificare.
Di sicuro, nella finanziaria vi è uno sbilanciamento a favore delle entrate che tutti noi dell'opposizione abbiano sottolineato.
Il Governo parla di «risanamento» dei conti - è la seconda parola magica, il secondo slogan - ma in questa finanziaria non fa quasi nulla per riprendere il controllo della spesa pubblica. Lo dico perché non è possibile quantificare le entrate con precisione, dato che una parte di queste o dei risparmi non dipende dal Governo, ma da come gli enti locali utilizzeranno l'autonomia impositiva che viene loro concessa.
Nel caso in cui gli enti locali rispettassero i vincoli imposti dal patto di stabilità e dall'accordo sul contenimento della spesa sanitaria - il che significa più tasse e più ticket per tutti! -, le entrate contribuirebbero alla manovra per ben 24 miliardi di euro, di cui 7 dovrebbero arrivare dagli studi di settore e dagli inasprimenti dei controlli fiscali.
I tagli alla spesa sono pari a solo 9 miliardi. Le entrate, quindi, rappresenterebbero il 70 per cento della manovra; per la precisione, il calcolo è da un minimo del 64 per cento ad un massimo dell'84 per cento. I cinque sesti della manovra sono rappresentati da tasse, da entrate. Il che vuol dire più tasse per tutti ed è per questo che tutte le categorie hanno contestato questa finanziaria.
Solo il Presidente del Consiglio ha affermato che se la finanziaria ha reso molti scontenti, probabilmente, è stata fatta una cosa giusta. Questo è il concetto di «equità» - terzo slogan - che il Governo si propone!
Signor Presidente, i Governi di solito scrivono dei DPEF molto belli, con tante buone intenzioni che vengono poi smentite nella finanziaria ed il Parlamento, il più delle volte, offre un forte contributo per un ulteriore peggioramento.
Questa volta il Governo ha fatto tutto da solo. Non so se abbia fatto un calcolo politico, ponendo in essere una finanziaria difficilmente peggiorabile. Al Senato, peraltro, non ci sono i numeri per ragionare su cosa serva al paese per migliorarlo.
Un paese immobile da anni come il nostro per vari motivi non dovrebbe porsi come priorità né l'assunzione in ruolo di tanti precari né questa sorta di giostra, di girotondo che vorrebbe redistribuire la torta, chiamandola equità.
La legge finanziaria esiste dal 1968; era l'epoca della solidarietà nazionale, ma mai nessun Governo da allora aveva tentato di usarla per ridistribuire il reddito a favore di classi colpite in precedenza.
Lo sviluppo e la crescita di un paese non dipendono da nessuno di questi interventi. Il nostro dovrebbe essere un paese attraente per gli investimenti altrui, perché si cresce anche con i soldi degli altri.
Sono necessari innovazione, capitale umano, competizione, concorrenza, ma, purtroppo, non è questa l'anima della finanziaria! L'anima della finanziaria è tutta volta a voler cambiare il passato. Nel DPEF si dice di voler ridurre la spesa pubblica e non lo si fa.
LUIGI FABBRI. La riduzione va operata nell'interesse del paese e non solo perché dall'anno scorso abbiamo aperta a Bruxelles una procedura per deficit eccessivo. Quando i nodi vengono al pettine ci si deve assumere la responsabilità di scelte lungimiranti anche se impopolari nell'immediato. Parlando di equità, mi viene in mente che il primo Governo di Tony Blair chiuse 42 scuole pubbliche scadenti per motivi di equità, perché le scuole scadenti fanno male ai figli dei meno abbienti che non possono permettersi altro. Da noi, invece, si vogliono assumere 150 mila precari della scuola, senza concorso. Auguri!
Equità non è cercare di ridistribuire il reddito, facendolo per legge o privilegiando, magari, alcune categorie o, in modo particolare, gli iscritti al sindacato.
Faccio presente che il comparto pubblico ed i pensionati sono lo zoccolo duro degli iscritti al sindacato.
Ho il sospetto che anche i 40 mila euro, che rappresentano il limite al di sopra del quale la finanziaria e, soprattutto, il fisco cominciano a mordere, siano il tetto relativo allo stipendio medio di un dipendente pubblico.
Equità non significa operare un condono previdenziale: faccio riferimento all'articolo 178, per il quale si dovrebbe gridare «vergogna». Attraverso di esso, peraltro, si certifica che CGIL, CISL e UIL rappresentano i co.co.pro dei call center, anche laddove non vi sono i sindacati. In quei due articoli si estinguono anche i reati. Signor Presidente, è stato il sindacato a dettare questa finanziaria! Uno di questi articoli sana anche il profilo penale degli imprenditori che non hanno rispettato la legge Biagi: è questa l'equità? Riferendomi all'articolo 176, è equità la rottamazione dei lavoratori che hanno meno di cinquant'anni? Ditemelo voi!
In relazione a Don Camillo, si ragiona come Peppone, per cui certi contratti sono cattivi, quindi il cuneo viene ridotto solo considerando quelli a tempo indeterminato. I lavoratori autonomi sotto tutti cattivi ed evasori, quindi si minaccia di chiudere un esercizio per un'omissione. Le scuole private sono cattive, quindi niente detraibilità delle rette dei nidi privati. Credo che non si faccia equità con misure grezze come questa o come quella attraverso cui si tassano i redditi da lavoro. Ritengo che il mondo, Presidente Tremonti, non si fermi all'IRPEF. Si produce sviluppo con la rottamazione dei frigoriferi o aiutando la FIAT a rottamare i lavoratori con meno di cinquant'anni in barba al concetto che si deve rimanere di più al lavoro (mi riferisco all'articolo 176)?
Tra il 1979 e il 1989 Margaret Thatcher rivoluzionò l'economia inglese riducendo la spesa dal 45 per cento al 39 per cento del PIL. Oggi in Italia, paese in cui non si fa quello che fece la Thatcher - cioè tagliare le spese, privatizzare, liberalizzare - la spesa pubblica è al 39 per centro, mentre negli Stati Uniti non arriva al 28 per cento.
Signor Presidente, concludo il mio intervento affermando che questa finanziaria fallisce l'obbiettivo principale, che è quello di favorire lo sviluppo dal quale dipendono l'occupazione, la ricchezza, il benessere di un paese. Essa punisce la gran parte dei cittadini, tassandola ulteriormente e reprimendone i consumi: questa non è equità! La finanziaria disattende il DPEF non operando i necessari tagli, poiché si debbono accontentare le categorie e i gruppi organizzati vicini ai partiti della maggioranza.
Signor Presidente, risanamento, sviluppo ed equità sono davvero soltanto slogan di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.
CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, non sono passati neanche sei mesi dal suo insediamento e il Governo Prodi, assieme alla sua maggioranza, ha già battuto tutti i record negativi, tanto da conquistarsi larghissimi spazi di critiche e di scherni da parte dei mass media. Mi riferisco, tra l'altro, non solo agli italiani di destra, ma anche a quelli di sinistra, loro grandi e dichiarati sostenitori durante la campagna elettorale, e a quelli di destra e di sinistra di quasi tutto il mondo.
L'ultimo velo era caduto con il decreto Bersani che, spacciato come il provvedimento delle cosiddette liberalizzazioni, rappresentava, invece, un grave abuso, una sorta di spedizione punitiva, mirata ed a freddo, nei confronti di talune categorie di lavoratori autonomi ree di non essere catalogabili tra quelle di riferimento dei veri poteri forti di questo paese, ai quali soltanto spetta, per diritto di autoinvestitura, concedere e garantire perpetui privilegi. Rimaneva solo la maschera, ma ora il Governo e la sua maggioranza hanno tolto anche quella ed hanno finalmente portato allo scoperto il volto e le intenzioni, tenuti prudentemente nascosti durante
la campagna elettorale. Con questa finanziaria, infatti, essi sono passati immediatamente alle vie di fatto rendendosi responsabili di due delitti. Il primo, commesso direttamente, finalizzato a tartassare a sangue gli italiani e il secondo, affidato per commissione, ad obbligare i sindaci e gli amministratori degli enti locali a dare il colpo di grazia ai propri concittadini.
In entrambi i delitti appare, in tutta la sua evidenza, la vera vocazione manifestatasi sempre nella storia della sinistra: mi riferisco all'accanimento indiscriminato contro tutti, con la sola eccezione di alcuni privilegiati. Per giustificare questo assurdo salasso, la sinistra ha fatto ciò che l'ha sempre contraddistinta - in questo paese ed altrove -, cioè ricorrere alla menzogna. Le schiere dei ministri e dei sottosegretari, appena entrate nelle stanze dei bottoni, si sono affrettate a recitare la formula di rito: «I conti pubblici sono un disastro: la colpa è del centrodestra, quindi bisogna correre ai ripari». Non potendo stampare più soldi, come si faceva un tempo, si sono stampate pagine di articoli e commi per inventare balzelli di ogni genere. Altro che finanza creativa di tremontiana memoria, demonizzata e messa per cinque anni alla berlina! Essa non solo stava riuscendo a risollevare l'economia nazionale e a ridare fiducia e speranza agli italiani, ma veniva e viene ancora presa a modello in molti altri paesi europei.
Adesso con questo Governo e con questa maggioranza siamo passati alla tassazione fantasiosa che, garantendo solo a pochissimi i grandi privilegi e combattendo astiosamente contro la ricchezza, assicurerà miseria e povertà per tutti.
È stato il presidente di Confindustria - quel Montezemolo che negli anni scorsi ha alacremente lavorato per preparare l'avvento di questo Governo - a dichiarare, stizzito e sfiduciato, che ormai vi è una tassa al giorno, riprendendo i temi di un'unanime disapprovazione che ha già accomunato tanta gente: il Governatore della Banca d'Italia, la Corte dei conti, le agenzie internazionali di rating e gran parte della stampa straniera. Contro questa tremenda «spedizione punitiva», che sottrae immediatamente dalle tasche degli italiani 40 miliardi di euro - laddove bastava un equilibrio di meno di 15 per onorare pienamente i nostri impegni comunitari -, sono scesi già in campo liberi professionisti ed artigiani, commercianti e pensionati, accademici e ricercatori, governatori e sindaci, al di là e al di sopra delle stesse appartenenze politiche.
I nostri governanti, guidati dalla ideologia della criminalizzazione dell'agiatezza e della distribuzione forzata della miseria di massa, hanno cercato di contrabbandarci questa rapina scientifica come una nobile operazione di redistribuzione delle risorse tra ricchi e poveri.
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Fasolino. Ne ha facoltà.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi vi parla non si illude minimamente sull'esito scontato di questo dibattito. Nessun suggerimento di Forza Italia e degli altri gruppi dell'opposizione verrà accolto e alla fine l'ennesimo voto di fiducia suggellerà malinconicamente la fine di inutili giorni di discussione. Per carità, nessuna meraviglia, poiché si tratta di un film già visto in questo squallido e antidemocratico inizio di legislatura.
È più forte di me, ma il pensiero corre spontaneo ai proclami preelettorali della sinistra, alla sicumera moralistica, alla promessa di partecipazione miseramente crollata, a Prodi che diceva: «Vincerò nel nome della sinistra, ma poi governerò nel nome di tutti gli italiani». Egli fece un'ulteriore promessa: «Non una tassa in più rispetto al passato». Invece, a volerli contare, almeno settanta balzelli aggiuntivi sono stati appioppati sul groppone di tutti coloro che lavorano e producono. Dalla
tassa di successione al bollo auto, Padoa Schioppa e Visco si sono cimentati in una vera e propria caccia al tesoro - si fa per dire - privato degli italiani. Soltanto di lorsignori, come titolano la Repubblica e l'Unità: niente affatto! Di tutti gli italiani, soprattutto della povera gente che non sa più a quale santo votarsi, sballottolata com'è tra i ticket per il pronto soccorso, l'aumento del costo delle medicine e le altre punitive invenzioni dei titolari del Ministero dell'economia.
Sul fronte dell'impegno militare internazionale è doveroso rivolgere una domanda al Presidente Bertinotti, al suo compagno di comunismo, onorevole Diliberto, e al ministro Pecoraro Scanio; con loro, a tutto lo zoccolo della sinistra e ai «teneri» della Margherita che si sono lasciati rimorchiare su un tema così delicato.
Nel corso di quest'anno le spese militari sono notevolmente aumentate; ciò nonostante non si ha il piacere di vedere in giro alcuna fiaccolata per la pace. Eppure, l'intervento in Libano è di quelli pesanti - basta farsi i conti - e poi qualche militare di tanto in tanto, purtroppo, muore ancora o rimane ferito in terra di Afghanistan. Come durante la guerra in Kosovo - l'unica vera guerra combattuta dall'Italia repubblicana con bombardamenti tricolori e un impegno militare di stampo «amerikano» - non si vedeva in giro nessun corteo per le vie del bel paese e personaggi illustri come il premio Nobel Dario Fo sembravano spariti dalla circolazione, anche oggi non si vede alcuna fiaccolata per le vie di Roma e di Milano. Evidentemente, sono tutti troppo impegnati a spartirsi la torta della finanziaria e, poi, hanno pur bisogno di riposarsi dopo gli anni defatiganti della mobilitazione continua contro il Governo Berlusconi.
Dario Fo merita una menzione a parte e mi dovete scusare se ve la propongo. All'incirca verso mezzanotte di qualche domenica fa si è esibito in una performance su RAI 3 in cui, complice la TV di Stato, ha sciorinato un ignobile repertorio niente meno che nei confronti di Papa Benedetto XVI.
Ho pensato che se lo potesse permettere perché personalmente non corre alcun pericolo, come, ahimè, corrono altri; anzi, i cattolici italiani continueranno a pagare il canone per un canale che li offende ed una televisione spazzatura. Come mai il Mezzogiorno, Presidente Prodi, è letteralmente sparito dall'agenda del Governo e da questa legge finanziaria? Grandi opere bloccate, niente ponte sullo stretto di Messina, come se l'asse Berlino-Palermo non debba più essere considerato il corridoio europeo n. 1 e la necessità di accorciare le distanze dalla sponda africana sia questione che riguarda una coalizione partitica e non piuttosto il Mezzogiorno, l'Italia e l'Europa intera. Sia chiaro, lo sviluppo delle regioni meridionali passa attraverso la realizzazione delle infrastrutture strategiche, oltre che per la via della parificazione del credito alle condizioni vigenti nelle altre aree del paese.
Mi preme ricordare il tentativo operato, quando era in carica il precedente Governo, dal ministro Tremonti per l'istituzione della banca del sud. Nessuno di questi obiettivi è perseguito nella strategia del Governo e tanto meno in questa finanziaria, che si configura sempre più come un'ulteriore grande occasione mancata, soprattutto perché bastava continuare sulla strada virtuosa intrapresa dal Governo Berlusconi e completarne il cammino. Invece, per il Mezzogiorno solo proclami e disinganni. Abbiamo tutti davanti agli occhi - noi meridionali e campani - la pantomima a reti unificate di Prodi, Bassolino e Rosa Russo Jervolino nella Napoli di questi giorni, sull'altro grande tema della questione campana e meridionale: l'ordine pubblico e la criminalità organizzata.
Di fronte ad una catena di quasi settanta morti ammazzati dall'inizio dell'anno, allo spadroneggiare della camorra, ad una disoccupazione sempre più drammatica - mentre giovani e ragazzi arruolati dai clan per lo spaccio di droga ricevono stipendi mensili superiori ai 2 mila euro -, di fronte al dolore delle madri e delle famiglie, cosa hanno detto se
non parole vuote, mentre le uniche che napoletani e campani si attendevano sono rimaste cucite sulle loro labbra? Parlo di Bassolino, della Jervolino e di Romano Prodi. La gente non si aspettava programmi siderali, ma almeno un impegno a mantenere le strade pulite, i cassonetti vuoti, ad organizzare un ciclo completo di smaltimento dei rifiuti solidi urbani nelle cinque province campane, la raccolta differenziata, un'assistenza sanitaria degna di un paese civile, con poli di eccellenza ed eliminazione del turismo sanitario. La gente si attendeva l'impegno a chiudere i reparti inutili, a nominare i dirigenti primari ospedalieri attraverso una graduatoria di merito e non più per motivi di bassissima politica clientelare. Poi si aspettava un'altra frase magica, cioè che si sarebbero revocate tutte le convenzioni milionarie in euro elargite a man bassa dall'ineffabile e impunito Bassolino a professionisti di comodo, e si sarebbero chiusi i battenti di tutte le società miste inutili (una di esse paga profumatamente venticinque amministratori per un solo dipendente, il tutto senza una minima attenzione da parte della magistratura penale e contabile).
I cittadini della Campania dovrebbero credere ad una vera volontà di lotta contro la camorra quando il malaffare è palesemente anche dentro il «palazzo» e se i poliziotti andranno nelle strade, ci sarà qualcuno che andrà a rovistare nelle stanze del potere napoletano? Questo è l'esempio offerto ai giovani disoccupati e alle loro famiglie, che si rompono il capo alla ricerca di un lavoro dignitoso, quando invece per trovarne uno basta rivolgersi ai clan o frequentare assiduamente una sezione politica oppure prestare assistenza ad un assessore comunale.
Presidente Prodi, perché non ha colto questa grande opportunità e perché, invece, con i suoi balbettii ha lasciato Napoli e la Campania ancora più disorientate e perplesse?
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GAETANO FASOLINO. Ora tutti sanno che nulla cambierà, ma in compenso su la Repubblica, L'Unità e Il Mattino continuerà ad essere sbandierata la vecchia favola di una città neorinascimentale, che però ha bisogno di un esercito di poliziotti in assetto di guerra per consentire ad un tabaccaio di tornare a casa dopo una giornata di onesto lavoro senza correre il rischio di venire ammazzato. Inoltre, ai giovani sa offrire soltanto due prospettive: oltre alla disoccupazione a vita, l'impiego al soldo dei clan e/o la vendita dell'anima al potente di turno, che naturalmente è di centrosinistra.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Rampelli, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei svolgere qualche considerazione a conclusione di questa lunga giornata. Parto da una osservazione sulla legge finanziaria in generale e mi collego a quanto detto questa mattina dal relatore Ventura. Credo che nessuno di noi ne possa più della legge finanziaria in generale e che sia davvero il tempo - non lo sarà, ma lo dico esortativamente - di considerare una drastica revisione del procedimento di bilancio in questo paese. Ritengo che sarebbe bene ispirarsi al modello inglese. Saremmo tutti più contenti di vedere il ministro arrivare con la sua valigetta e presentare al Parlamento un bilancio molto più snello, non la finanziaria in cui, di fatto, può entrare tutto e il contrario di tutto. Il Governo ci avrebbe lavorato, come in questo caso, mesi prima, lo avrebbe presentato al Parlamento, quest'ultimo ne avrebbe discusso e, poi, si sarebbe espresso in modo contrario o favorevole.
Forse sarebbe la fine degli «assalti alla diligenza», forse per tanti deputati e per molti di noi non ci sarebbe più modo di togliersi qualche soddisfazione localistica, ma credo che sarebbe un segno di modernità, di trasparenza e anche di serietà.
Stiamo discutendo di una finanziaria che non sappiamo come finirà non solo al
Senato, ma anche alla Camera. Non sappiamo quale sarà il contenuto finale vero della finanziaria che voteremo o meno. Credo che il bilancio sia l'atto fondamentale di un Governo, che il voto sul bilancio sia in se stesso un voto di fiducia e che dovrebbe esserlo senza la sceneggiata cui evidentemente, indipendentemente dalla nostra volontà, siamo condannati.
Vorrei esprimere, invece, qualche considerazione su questa finanziaria. Colleghi, voi siete partiti, senza saper invertire la marcia, con la retorica dell'eredità e del baratro lasciati dal centrodestra. Registriamo tutti - lo registrano gli analisti - che questa eredità non è un baratro, sia in termini di crescita, sia in termini di bilancio pubblico.
L'aumento del gettito - guardavo prima i dati - è consistente e, probabilmente, oltre ogni previsione. Voi non avete voluto tenere conto di quello che succedeva: il paese cominciava a crescere e il gettito fiscale è aumentato. Avete comunque voluto intervenire in modo pesante, come se nulla fosse successo, con un riflesso pavloviano, tassando e, in questo modo, pregiudicando anche i livelli della crescita futura, come del resto già l'Unione europea ha previsto. Lo avete fatto con lo slogan della redistribuzione.
Invito i colleghi del centrosinistra a guardare cosa succede negli altri Parlamenti europei, dove il centrosinistra governa, per vedere se c'è ancora qualcuno nel 2006, non nel 1976, che affronta il bilancio dello Stato con lo slogan delle spade sguainate nel nome della redistribuzione, una categoria che in Europa nemmeno a sinistra viene più considerata.
I temi sono altri: quelli dei servizi pubblici, della scuola, della sanità, cosa fare, come investire, se privatizzare oppure no. Questo interessa ai cittadini, non una presunta redistribuzione, che si risolve in qualche manciata di euro al mese.
Solo in Italia, in nessun altro paese europeo, nemmeno in quelli guidati dal centrosinistra, in una legge di bilancio si prevede l'aumento della tassa sui redditi, seppure semplicemente con una variazione degli scaglioni. Che la logica sottesa sia quella punitiva lo dimostra il fatto che qualcuno in questo Parlamento - parlo di persone autorevoli nel centrosinistra - abbia semplicemente ipotizzato di aumentare l'aliquota sul reddito delle persone fisiche dal 43 per cento, che già è troppo alto, al 45 o al 47 per cento. Questa è la politica che Ernesto Rossi avrebbe definito «politica della carestia», la spartizione della miseria. Non c'è nessuna visione di fiducia. Non c'è nessuna visione su quanto il paese possa fare. Ci si accontenta di tentare di spartirsi le spoglie di quello che c'è.
Sulla crescita, oggi sul Financial Times abbiamo letto l'intervista di Romano Prodi, che afferma: «L'Italia deve alzare la crescita alla media europea o sarà perduta». Io temo che l'Italia, se Prodi durerà con questa impostazione della politica economica e fiscale, sarà necessariamente perduta.
Qualcuno forse scommetterebbe un euro - non dico di più - sul fatto che questa finanziaria davvero possa aiutare la crescita, non quella del 2006 che, per fortuna, grazie a ciò che è successo prima, ha viaggiato, seppur di poco, al di sopra delle aspettative? Qualcuno scommetterebbe un euro sul fatto che la crescita per il 2007 sarà aiutata dai provvedimenti che sono stati proposti, con il presupposto che i conti erano peggiori rispetto al 1992? È una cosa falsa in modo talmente lampante che, forse, sarebbe stato bene rifletterci per qualche secondo e cambiare impostazione.
La stessa Unione europea stima la crescita per il 2007, in considerazione e in conseguenza della finanziaria che stiamo discutendo, all'1,4 per cento nel 2007, contro l'1,7 per cento del 2006. C'è anche chi si spinge a previsioni più ottimistiche per il 2006, mentre c'è chi prevede per il 2007 solo una crescita dell'1 per cento. Credo che la crescita non si fermerà all'1 per cento, ma grazie non alla finanziaria, quanto agli imprenditori e ai lavoratori italiani.
Ci hanno detto che l'Unione europea ha promosso la manovra. Se si andasse a leggere i documenti, come sarebbe sempre
bene fare in tali casi, si scoprirebbe che è vero che l'Unione europea e, in particolare, il commissario Almunia hanno riconosciuto che l'aggiustamento previsto più o meno è corrispondente alle raccomandazioni dell'Ecofin. Al tempo stesso, Almunia afferma che le misure, tuttavia, non hanno incluso un pacchetto di riforme strutturali a medio termine e, finora, ci si è basati sul fronte delle entrate solo su questo, con effetti di medio termine.
Ci sono considerazioni molto preoccupate anche per quanto riguarda la lotta all'evasione e al trasferimento del TFR. I due punti cardine di questa manovra (lotta all'evasione e trasferimento del TFR) sono dati molto aleatori.
Visto che il tempo è poco e l'ora è tarda, passo subito a parlare del TFR. Credo sia semplicemente una follia la previsione del trasferimento del TFR inoptato all'INPS. Non solo è una follia in generale, ma è anche un artificio contabile, perchè lo Stato accende nei confronti dei lavoratori un debito che si trasforma in una entrata. Sono volate accuse pesantissime sulla contabilità creativa negli anni precedenti, ma, poiché questa contabilità creativa clamorosa viene fatta dal centrosinistra, poco o nulla succede.
Ma è una follia anche introdurre questa assurda soglia dei 50 dipendenti! Sfido chiunque dell'opposizione, anche gli onorevoli deputati presenti, a spiegare a qualcuno, non dico in Italia, ma all'estero, che voglia investire in questo paese, il fatto che è stata prevista una nuova soglia, tra le tante che ci sono (vedi l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori), ossia quella dei 50 dipendenti; oppure a spiegare cosa succederà all'imprenditore che ha 51 dipendenti e che, magari, è sufficiente che rinunci ad uno per non avere l'onere di ricorrere al mercato bancario per quella parte di finanziamento che gli deriverebbe dal mantenere il TFR inoptato in azienda; o a spiegare cosa succederà a quell'imprenditore che, avendo 49 dipendenti, sa che il giorno dopo l'assunzione del cinquantesimo dovrà trasferire all'INPS il flusso del TFR inoptato e chiedere alle banche il denaro, pagando nuovi interessi bancari.
È una follia, eppure questo è uno dei punti qualificanti. Il Governo ci ha pensato a lungo, ha modificato radicalmente la propria posizione, ma a questo è giunto.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Della Vedova.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiudo proprio sulla questione del TFR. Vedete, colleghi, io sono favorevolissimo ai fondi pensione. Penso, anzi, che bisognerebbe ragionare in termini tali da prevedere i fondi pensione, quindi la previdenza privata a capitalizzazione, seppur entro la cornice di regole, come base del sistema previdenziale italiano.
Noi però rischiamo di illudere gli italiani, in particolare i lavoratori più giovani, inducendoli a ritenere che la mossa di trasferire il TFR ai fondi pensione rappresenti la soluzione del loro problema, quello in prospettiva, quello della pensione. Ricordiamoci di spiegare ai giovani lavoratori che noi stiamo semplicemente chiedendogli, incentivandoli, obbligandoli, a sostituire uno strumento previdenziale, per quanto anomalo, quello della liquidazione ...
PRESIDENTE. Dovrebbe proprio concludere, onorevole Della Vedova.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ...con un altro strumento, quello dei fondi pensione. Si rinuncia alla liquidazione e si investe nei fondi pensione, contando sul fatto che renderanno di più. Qualcosa di più renderanno, ma in cambio i lavoratori giovani non avranno la liquidazione e, quindi, la loro vita comunque non cambierà. Questo, fintanto che non si avrà il coraggio di affrontare il vero nodo, quello della previdenza obbligatoria e quello dell'aliquota al 33 per cento. Sul punto rivolgo un invito alla maggioranza: non aprite il dossier pensioni! Sapete come andrebbe a finire? Andrebbe a finire come è andata a finire con le tasse: si avrebbe solo l'effetto di peggiorare la situazione italiana.
Se siamo responsabili, teniamoci lo «scalone»! È una misura che è stata votata dal Governo precedente, che ha qualche elemento di «rozzezza», ma almeno è una misura precisa e certa, che va nella direzione giusta.
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la giornata odierna.
Il seguito della discussione congiunta è rinviato alla seduta di domani.
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