Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 42 del 26/9/2006


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI

La seduta comincia alle 10,05.

GIACOMO STUCCHI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Castagnetti, Chiti, De Castro, Duilio, Galati, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lucà, Mantini, Mattarella, Mazzocchi, Meta, Migliore, Morrone, Mussi, Piscitello, Realacci, Santagata, Scajola, Venier e Violante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interrogazioni (ore 10,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni.

(Notizie su presunti finanziamenti a favore della campagna elettorale di Romano Prodi - n. 3-00054)

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Giampaolo Vittorio D'Andrea, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Fugatti n. 3-00054 (vedi l'allegato A - Interrogazioni sezione 1).

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, rispondo all'interrogazione n. 3-00054 dell'onorevole Fugatti che pone alcuni problemi relativi al finanziamento della campagna elettorale dell'onorevole Romano Prodi e alla nomina a sottosegretario del dottor Massimo Tononi.
Al riguardo, desidero premettere che, così come dispone la legge n. 515 del 1993, tutti i candidati o coloro che intendano candidarsi, subito dopo l'indizione delle elezioni politiche, come è noto, possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale, e tutti i cittadini possono corrispondere a questa possibilità di sottoscrizione secondo le disposizioni di legge. Il tutto va fatto per il tramite di un mandatario elettorale che è tenuto a renderne conto ed in relazione alla consistenza delle erogazioni contributive ad indicarle nominativamente, o meno, nei documenti di ricognizione finale.
Il dottor Massimo Tononi, uno dei sottoscrittori della campagna elettorale di Romano Prodi, ha provveduto a questa sua azione in maniera assolutamente rispettosa delle leggi e delle disposizioni ad esse connesse, tanto che lo stesso interrogante definisce «regolarmente dichiarata» la contribuzione del dottor Massimo Tononi. Va da sé che non esiste nessuna correlazione, invece, tra questa scelta del dottor Massimo Tononi e la sua successiva nomina a sottosegretario. La nomina a sottosegretario del dottor Tononi è stata fatta con riferimento precipuo alla sua esperienza professionale ed alla sua competenza


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in alcune importanti materie. Giova ricordare che il dottor Tononi, laureato in economia aziendale all'università Bocconi di Milano, ha a lungo lavorato in Goldman Sachs con l'incarico, prima, di amministratore delegato della filiale italiana e di responsabile dell'ufficio di Milano e, poi, di partner managing director presso l'ufficio di Londra; egli si è occupato di consulenza finanziaria alle imprese, comprese molte tra le principali società italiane, in particolare nell'ambito di operazioni di fusione e di acquisizione, di emissione di debito e di capitale di rischio.
Per precisare ulteriormente, dal momento della sua nomina a sottosegretario, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 215 del 2004 sul conflitto di interessi, il dottor Tononi - come regolarmente comunicato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato - ha rassegnato le proprie dimissioni dalla società Goldman Sachs. Quindi, ha assunto le funzioni di sottosegretario, nell'ambito delle quali il ministro dell'economia, proprio in considerazione delle sue personali esperienze, gli ha conferito la delega a trattare, tra l'altro, del diritto societario e commerciale, anche con riferimento ai sistemi di corporate governance e alle garanzie di carattere societario adottate a favore degli azionisti delle società partecipate dallo Stato, nonché del monitoraggio delle partecipazioni finanziarie pubbliche e delle questioni inerenti la gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato. A ciò si aggiungono: gli affari economici e finanziari internazionali, ivi compresi i rapporti con gli organi delle istituzioni internazionali a carattere monetario e finanziario, nonché gli interventi riguardanti i crediti all'esportazione e le relative assicurazioni e gli aiuti allo sviluppo; i rapporti con la Consob, per le pratiche relative alla gestione del debito pubblico e alla valutazione del merito di credito e i rapporti con gli organismi internazionali e con le agenzie di valutazione del merito del credito.
Come si evince, quindi, le materie affidate alle competenze del sottosegretario Tononi sono corrispondenti alla sua formazione e all'esperienza della quale il Governo ha ritenuto utile giovarsi, senza che esistesse una correlazione con la partecipazione a sottoscrizioni elettorali, come credo non si può dire che esista alcuna correlazione tra le candidature a cariche pubbliche e la partecipazione - anche attraverso contributi finanziari consistenti - alle attività dei partiti e delle formazioni nelle quali ciascuno di noi milita e magari da anni svolge la sua attività. Non esiste, dunque, una correlazione tra tali attività di sostegno e le nomine che il Governo ha fatto affidando responsabilità politiche o di collaborazione con la sua attività nell'esclusivo interesse del paese e sottoponendosi per questo anche al giudizio del Parlamento.

PRESIDENTE. Il deputato Fugatti ha facoltà di replicare.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, nella risposta dell'esponente del Governo abbiamo sentito diverse giustificazioni sulle capacità professionali del sottosegretario che nessuno - e ripeto: nessuno - ha mai messo in discussione. Qualcuno, tuttavia, ha detto che a pensar male si commette peccato, ma molto spesso s'indovina, nel senso che 100 mila euro non sono «moscerini». Il fatto che ci sia stato questo finanziamento di 100 mila euro alla coalizione del candidato Romano Prodi e poi vi sia stata la nomina a sottosegretario del dottor Tononi quanto meno ci fa pensare.
Inoltre, i fatti che sono accaduti dopo inducono a considerare quali siano, a nostro modo di vedere, i motivi per cui il Governo viene a rispondere in quest'aula - e in ritardo -, casualmente dopo quanto è successo con riferimento al piano di riassetto della Telecom. Tali fatti sono appunto quelli per cui, secondo alcune indiscrezioni di stampa, il piano di riassetto della Telecom è uscito dalla Presidenza del Consiglio e, sempre secondo indiscrezioni di stampa, con la collaborazione anche del sottosegretario Tononi, ex dipendente della Goldman Sachs, per la quale è stata fatta anche un'altra interrogazione.


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Questo ci fa sospettare ancora di più. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ci sono, certamente, illustri personaggi che hanno grandi capacità professionali, tecniche e scientifiche; queste non sono minimamente in discussione. Tuttavia, altro è operare per la cosa pubblica, altro è operare nel settore privato. Il fatto che - secondo indiscrezioni di stampa - sia uscito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri il piano di riassetto della Telecom, una società privata, e che - sempre secondo indiscrezioni di stampa - nello stilare questo piano ci sia stato anche il contributo del sottosegretario di Stato Tononi ci fa credere che all'interno della stessa Presidenza del Consiglio ci sia una banca d'affari, una merchant bank la quale fa gli interessi non solo pubblici ma anche privati. Quindi, se la prima interrogazione a qualcuno poteva sembrare fuori posto, i fatti che sono accaduti successivamente dimostrano che era fondata. Il fatto che il Governo intervenga oggi per rispondere, successivamente, alla seconda reiterazione, ci fa alquanto pensare, soprattutto per la casualità temporale, essendo oggi la prima occasione successiva a quella.

GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Questa è la prima seduta utile della Camera dei deputati dopo la ripresa dell'attività.

MAURIZIO FUGATTI. Sicuramente, quindi, non siamo soddisfatti della risposta del Governo, anche perché i fatti accaduti successivamente a questa interrogazione ci fanno ancor di più sospettare.

(Tempi di adozione del decreto ministeriale per l'istituzione di una rete nazionale di banche per la conservazione di cordoni ombelicali ai fini di trapianto - n. 3-00055)

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Serafino Zucchelli, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Poretti n. 3-00055 (vedi l'allegato A - Interrogazioni sezione 2).

SERAFINO ZUCCHELLI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, la legge 21 ottobre 2005, n. 219, recante una «Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati», prevede una serie di atti attuativi, i cui termini sono peraltro di natura ordinatoria. A tal fine sono state avviate iniziative mirate che hanno visto l'insediamento di tavoli tecnici in sede di commissione nazionale per il servizio trasfusionale (deve essere ricordato che tale commissione è un organo consultivo previsto dall'articolo 12 della precedente normativa, la legge 4 maggio 1990, n. 107) e in sede di commissione salute - settore per il coordinamento interregionale in sanità, operante all'interno della Conferenza dei presidenti delle regioni e coordinata dalla regione Toscana. Ai tavoli tecnici partecipano gli enti territoriali allo scopo di pianificare il percorso verso una attuazione il più possibile rapida della nuova legge, con la predisposizione anche degli schemi di alcuni dei provvedimenti previsti che dovranno essere perfezionati dagli istituendi nuovi organismi di cui agli articoli 12 e 13, cioè il Centro nazionale sangue e la consulta tecnica permanente per il sistema trasfusionale.
Relativamente a quanto richiesto in ordine all'articolo 10, comma 3, ossia un progetto per l'istituzione di una rete nazionale di banche per la conservazione di cordoni ombelicali ai fini di trapianto, individuando le strutture trasfusionali pubbliche e private idonee sulla base di specifici accreditamenti, si precisa che sono in corso una serie di valutazioni e approfondimenti, anche di natura scientifica. Si è partiti dall'analisi dell'esistente per poter disegnare una ipotesi di rete, utile a creare i necessari collegamenti fra le banche esistenti sul territorio nazionale. Tale ipotesi, che dovrà essere sottoposta alle valutazioni regionali in sede di Conferenza permanente per i rapporti


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tra lo Stato, le regioni e le province autonome per il necessario accordo, rappresenta il preliminare approccio verso la definizione del più articolato e complessivo progetto previsto dall'articolo 10. Ciò deve avvenire, però, successivamente all'istituzione della consulta tecnica permanente per il sistema trasfusionale e del Centro nazionale sangue, il quale, ai sensi dell'articolo 12, comma 4, nelle materie disciplinate dalla legge medesima svolge funzioni di coordinamento e di controllo tecnico e scientifico.
Nella definizione del decreto previsto non si può prescindere, infatti, da una serie di valutazioni di ordine programmatorio di livello regionale e nazionale le quali, sulla base degli effettivi bisogni di banche regionali, dovranno consentire di intraprendere azioni di pianificazione, tenendo anche conto del relativo impatto sul sistema trasfusionale, in termini organizzativi e gestionali. In tale ambito, la legge n. 219 del 2005 attribuisce al Centro nazionale sangue e alla consulta tecnica permanente un ruolo decisivo nel fornire supporto alla programmazione nazionale delle attività trasfusionali al fine di garantire al cittadino la terapia pronta ed efficace, nello svolgimento delle funzioni di coordinamento e di controllo tecnico e scientifico, e nell'emanazione di linee-guida in ordine ai modelli organizzativi e all'accreditamento delle strutture trasfusionali, comprese pertanto quelle deputate alla conservazione di cellule staminali da cordone ombelicale ai fini di trapianto.
Stanno per concludersi le procedure per la definizione del provvedimento di costituzione della già citata consulta tecnica permanente; solo successivamente potrà essere costituito il Centro nazionale sangue.
Attualmente sono allo studio, presso diversi tavoli tecnici, le disposizioni comunitarie in materia, nonché gli aspetti relativi all'attuazione della legge in esame, con particolare riferimento anche ai requisiti che le strutture trasfusionali dovranno possedere per l'esercizio delle attività che saranno chiamate a svolgere. Tale approccio di studio e verifica potrà essere di supporto agli istituendi organismi per acquisire gli elementi necessari per una rapida e concreta definizione delle modalità attuative della legge n. 219 del 2005.

PRESIDENTE. L'onorevole Poretti ha facoltà di replicare.

DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Zucchelli e mi dichiaro soddisfatta a metà. Sono soddisfatta perché, comunque, egli ci ha riferito di un lavoro che viene svolto. Egli, però, ha ricordato che si tratta di termini ordinatori. Ricordo che i termini, per quanto ordinatori, scadevano a luglio.
Sono soddisfatta a metà anche perché, per certi versi, la sua risposta cerca di allungare i tempi, perché, nel momento in cui si mettono in piedi molti tavoli con diverse istituzioni e diversi enti di riferimento, i tempi si allungano sicuramente e non mi sembra che lei abbia fornito, invece, tempi più certi.
Ricordo che uno tra gli ultimi provvedimenti del Governo Berlusconi è stata la pubblicazione dell'ordinanza in materia di donazione e conservazione del cordone ombelicale lo scorso 13 aprile. Tale ordinanza è stata rinnovata dal 2001 e ribadisce il divieto di apertura di banche private che consentano la conservazione di cellule staminali cordonali per uso autologo. Sarà bene anche ricordare, per capire l'importanza di ciò di cui stiamo parlando, che il sangue del cordone ombelicale è ricco di cellule staminali, utili proprio per combattere malattie dello stesso sangue. Esso ha una capacità di rigenerazione tessutale, nel caso, per esempio, di malattie come leucemia, anemia e talassemia.
Viste le sempre maggiori applicazioni delle cellule staminali derivanti da cordone ombelicale e le nuove possibilità di nuove terapie, che sono allo studio, appare urgente rendere possibile sia la donazione pubblica, sia la conservazione per uso privato. Appare assolutamente insostenibile che queste cellule finiscano nei rifiuti biologici della sala parto, perché spesso


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avviene che l'ospedale non sia attrezzato per la raccolta, oppure, in caso di possibile esportazione all'estero, vengano frapposte difficoltà e impedimenti all'esportazione in banche private. Ci sono notizie secondo cui chi si rivolge al Centro nazionale trapianti per seguire l'iter previsto dall'ordinanza viene sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio, che spesso crea una situazione di disagio per le donne che vogliano conservare il cordone ombelicale per uso privato.
Una possibile soluzione è offerta dall'esperienza della banca autologa di Mantova, sostenuta da fondi privati, che si trova all'interno di una struttura pubblica. Quindi, il privato e pubblico potrebbero integrarsi e offrire in sinergia un servizio ottimale.
Un'altra cosa sulla quale mi dichiaro parzialmente soddisfatta è che lei ha continuato a ricordare il Centro sangue come punto di riferimento. Ricordo, però, che a livello di Unione europea, ma anche degli altri paesi, la tendenza legislativa è quella di creare una normativa ad hoc proprio sulle cellule staminali, sulle cellule e sui tessuti, mentre noi siamo ancora legati alla legge sul sangue, che, per certi versi, è limitante e non più al passo coi tempi, vista l'importanza crescente che rivestono le staminali.
Inoltre, credo che, proprio per l'interesse pubblico, occorrerebbe promuovere la donazione come gesto altruistico, rendendola possibile ovunque ciò sia possibile, sia adeguando le strutture dei punti nascita, sia informando le donne in gravidanza, ovviamente con campagne informative che evidenzino l'importanza di questa donazione altruistica. Credo anche che occorra salvaguardare comunque il diritto di ciascuna donna di decidere cosa fare del proprio cordone ombelicale e, quindi, cercare di incentivare la donazione, ma anche permettere la conservazione ad uso privato.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 10,25, è ripresa alle 11,10.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI

Sull'attentato occorso questa mattina a Kabul.

PRESIDENTE (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo) Signore e signori deputati, a seguito di un attentato occorso stamane nei pressi di Kabul, ha perso la vita il caporal maggiore Giorgio Langella e altri cinque militari del contingente italiano sono rimasti feriti.
In questo tempo così duramente segnato dalle barbarie del terrorismo, della guerra, dell'intolleranza, lo sgomento per questo nuovo drammatico evento ripropone alla comunità internazionale l'urgenza di un impegno sempre più intenso nel restituire al dialogo e all'ascolto delle diversità il necessario e inderogabile primato, via obbligata per corrispondere al bisogno di pace che, tanto più fortemente, oggi avvertiamo mentre piangiamo la perdita della vita di un nostro concittadino.
La Camera dei deputati esprime ai familiari del caporal maggiore Langella i sentimenti del cordoglio più profondo e a quelle dei militari rimasti feriti la propria sincera solidarietà e vicinanza.
Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi).
Ha chiesto di parlare il ministro della difesa per una breve informativa sull'episodio. Ne ha facoltà.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono qui a riferire su un nuovo gravissimo lutto che ha colpito il nostro contingente in Afghanistan.
Passo subito all'esposizione dei fatti così come sono stati ricostruiti sulla base delle prime informazioni sinora pervenute.


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All'alba di oggi, circa alle ore 5,30 in Italia, alle ore 8 di Kabul, una bomba è esplosa al passaggio di un convoglio militare dell'ISAF a circa dieci chilometri a sud della capitale afghana. A causa dell'esplosione, un nostro militare è deceduto, mentre altri cinque nostri militari sono rimasti coinvolti riportando varie ferite. Si contano vittime anche tra i civili afgani. Infatti, l'esplosione coinvolgeva anche una vettura civile in transito, provocando il decesso di un bambino e il ferimento di altre due occupanti. L'attacco è avvenuto nei confronti di una normale attività di pattuglia condotta dal contingente italiano nell'area di competenza nella zona del distretto di Chahar Asyab, a bordo di tre veicoli blindati leggeri.
L'esplosione, riconducibile ad un ordigno controllato a distanza, ha investito il terzo mezzo sul quale viaggiavano i sei militari coinvolti, tutti appartenenti al secondo reggimento alpini di Saluzzo. Il caporal maggiore capo Giorgio Langella ha perso la vita a seguito delle ferite riportate. Il caporal maggiore Vincenzo Cardella è al momento in sala operatoria presso l'ospedale militare francese. Il maresciallo Francesco Cirmi presenta fratture gravi al bacino e agli arti inferiori. Altri tre militari, il caporal maggiore scelto Salvatore Coppola, il caporale Sebastiano Belfiore ed il caporale Pamela Rendina, hanno riportato lievi ferite e le loro condizioni non destano preoccupazioni.
Sul posto è stata immediatamente attivata ogni attività di soccorso e recupero, via terra e con elicottero, per il trasporto dei feriti presso il ROL 2, ospedale militare di primo intervento del contingente francese. I familiari sono stati tempestivamente informati ed i tre feriti meno gravi hanno personalmente avuto modo di parlare con le proprie famiglie.
Sono in corso i rilievi e gli accertamenti da parte degli organi di polizia militare per l'individuazione esatta della dinamica e della causa del tragico evento.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro della difesa.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Capezzone, Letta, De Simone ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 agosto 2006, n. 253, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, ridefinita dalla risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (A.C. 1608) (ore 11,17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 agosto 2006, n. 253, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, ridefinita dalla risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che la Presidenza ha ritenuto di ammettere al voto l'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni, pubblicato nel fascicolo, presentato con il consenso unanime di tutti i gruppi.
Avverto, altresì, che, prima dell'inizio della seduta, sono state ritirate le proposte emendative Scotto 4.01 e Bricolo 5.1.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1608)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 1608


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sezione 3), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (vedi l'allegato A - A.C. 1608 sezione 4).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (vedi l'allegato A - A.C. 1608 sezione 5).
Ricordo che non sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Avverto infine che le Commissioni I (Affari costituzionali) V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mancini. Ne ha facoltà.

GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, colleghi, dopo l'esplosione del conflitto tra le milizie libanesi Hezbollah e lo Stato di Israele nel luglio scorso, l'Italia, grazie all'azione del suo Governo, ha svolto un ruolo importante per cercare di costruire uno scenario nuovo e di pace nel quadrante mediorientale.
Ad oggi, registriamo un grande successo politico del nostro paese, che fin da subito si è mosso per un immediato «cessate il fuoco» tra le parti, che si è raggiunto grazie ad un'intensa azione politica e diplomatica, alla quale ha partecipato anche l'Italia in un ruolo non certamente secondario e che si è concretizzata con l'approvazione della risoluzione n. 1701 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
L'approvazione della risoluzione, insieme allo sforzo politico e diplomatico che ha portato ad ottenere quel risultato, segna un netto ed evidente cambiamento di strategie nelle dinamiche globali. L'unilateralismo, che ha ispirato per anni la linea degli Stati Uniti, è stato sostituito da un approccio multilaterale, che ha consentito all'Europa di stagliarsi come attore più forte perché più coeso e alla comunità internazionale di elaborare ed approvare scelte più condivise.
Nella definizione di questo nuovo quadro, il nostro paese ha avuto un ruolo centrale e determinante, che ha segnato una chiara e netta discontinuità rispetto all'approccio che ha avuto il passato Governo. Da tale punto di vista, hanno meravigliato alcune prese di posizione di alcuni esponenti di partiti di centrodestra ed hanno impressionato i continui ripensamenti e gli improvvisi cambiamenti di linea che dal luglio scorso sono stati registrati nel campo dell'opposizione parlamentare.
Anche su questo punto riteniamo giusto e saggio il richiamo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché si arrivi ad una condivisione di tutte le forze politiche riguardo alla missione. L'auspicio del Presidente della Repubblica per un largo consenso è anche il nostro auspicio. Da questo punto di vista, incoraggia il voto delle Commissioni, che ci auguriamo possa essere preludio al voto odierno dell'Assemblea.
Colleghi, condividere la missione, plaudire al successo politico del nostro Governo, compiacersi per la nuova credibilità conquistata dal nostro paese, non deve però portare a nascondere i rischi legati all'impegno dell'Italia e della comunità internazionale in un contesto tanto difficile e tanto incerto. Da qui nascono alcune considerazioni che consegniamo al Parlamento e che ci permettiamo di girare al Governo, affinché affronti una riflessione profonda rispetto alla stagione che si sta per aprire.
La missione UNIFIL ha una storia lunga e tormentata (sono passati più di vent'anni) nella quale alle luci si aggiungono anche diverse ombre. È stato, infatti, in costanza della presenza di UNIFIL che i miliziani Hezbollah hanno intensificato la loro presenza politica e militare, che gli ha consentito di dotarsi di armamenti e, soprattutto, di razzi che nel corso del conflitto, iniziato nel luglio scorso, sono stati lanciati contro lo Stato di Israele. È arcinoto, poi, che l'apporto dei militari Hezbollah ed il loro rafforzamento sia stato favorito dall'Iran e dalla Siria, come è altrettanto risaputo dell'insufficienza della missione preventiva dell'UNIFIL che, in alcuni casi, ha avuto un atteggiamento


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di indulgenza, se non addirittura di tacito assenso, nei confronti di tali collegamenti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,20)

GIACOMO MANCINI. Per questo, signor Presidente, signori del Governo, ci chiediamo se cambierà qualcosa con la nuova missione e, soprattutto, se cambierà qualcosa con il comando italiano del contingente.
Abbiamo letto, grazie alle cronache di corrispondenti italiani dal fronte, quanto sia presente e radicato il sostegno della popolazione libanese nei confronti di Hezbollah e, allo stesso modo, abbiamo saputo della simpatia ed amicizia con cui sono stati accolti i nostri militari da quella stessa popolazione. Per questo è lecito interrogarsi su cosa succederà, se dovesse mutare l'approccio di UNIFIL verso Hezbollah: quali saranno le conseguenze, quali saranno le reazioni? E, allo stesso tempo ma al contrario, quale sarà la reazione di Israele nel caso in cui nulla dovesse cambiare e tutto dovesse rimanere come ora? Inoltre, nei giorni passati il Presidente degli Stati Uniti ha paragonato la guida politica dell'Iran ad Al Qaeda. È noto a tutti il rapporto stretto che esiste tra Hezbollah e l'Iran. Quali saranno, se vi saranno, le reazioni e le ripercussioni in caso di inasprimento dei rapporti tra l'Iran e gli Stati Uniti, tra la comunità internazionale e la guida di quel paese?
Sono interrogativi politici, prima che militari, ai quali il nostro Governo deve contribuire a dare una risposta per tempo, per evitare che quel contesto, già così drammatico ed incerto, si trasformi in un contesto ancora più negativo. Siamo convinti che il Governo affronterà il tema e produrrà una riflessione attenta.
Auspichiamo che il protagonismo conquistato dal nostro paese in questa fase contraddistinguerà la sua azione ancora per un lungo periodo e non sarà relegato soltanto a questa fase contingente. Con questi auspici, ribadiamo il nostro voto favorevole al provvedimento e ci comporteremo in maniera consequenziale rispetto all'esame degli emendamenti che stiamo per affrontare (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Allam. Ne ha facoltà.

KHALED FOUAD ALLAM. Le questioni del Medio Oriente talvolta assumono una caratteristica paradossale, un po' come la quadratura del cerchio, e spesso ci sono delle coincidenze strane fra ciò che era successo all'inizio del secolo scorso con i famosi accordi Sykes-Picot - che, dopo il 1916, avevano diviso il Medio Oriente in varie zone di influenza (britannica e francese) - e la situazione che oggi si profila l'alba di questo secolo.
Il secolo scorso e l'entrata in questo secolo sono segnati, ovviamente, da forti tensioni, turbolenze, direi anche quasi zone di frattura all'interno dello stesso Medio Oriente. Oggi le cose sono ancora più complicate perché la situazione mediorientale è caratterizzata da un nuovo ciclo storico, che fa sì che il Medio Oriente si definisca anche in funzione degli equilibri geopolitici e geostrategici a livello mondiale.
Dunque, tutte le questioni che interessano il Medio Oriente, Stati per Stati, paesi per paesi, toccano noi da vicino e certamente l'ultima guerra in Libano, in un certo senso, ha rischiato di produrre un'enorme deflagrazione e di trasformare il conflitto fra Hezbollah ed Israele in un conflitto tra Israele e Libano. Dobbiamo riconoscere che il nostro Governo ha avuto l'intuizione, la capacità, l'intelligenza anche strategica di capovolgere un po' i dati sul Medio Oriente. Infatti, se qualche mese fa pensavamo che il Medio Oriente fosse condannato ad una specie di status quo, invece l'intervento politico internazionale del nostro paese è riuscito a riformulare due paradigmi che sono fondamentali per gli stessi equilibri del Libano, in particolare, e del Medio Oriente, in generale. Certamente, se dopo gli attentati dell'11 settembre il ciclo della mondializzazione attuale è stato caratterizzato da ciò che io


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chiamo «l'assenza di una grammatica delle relazioni internazionali», bisogna riconoscere che il compito svolto dal nostro Governo è riuscito, in un certo senso, a riformulare questa fondamentale necessità di una grammatica delle relazioni internazionali, in particolar modo ridando forza e vigore a due strutture ed elementi che, in un certo senso, governavano a vista la deflagrazione generalizzata sul Medio Oriente: il ruolo delle Nazioni Unite e, ovviamente, dell'Europa.
Ciò mi sembra fondamentale, perché il ruolo del nostro paese in seno al Libano ha un effetto di ricaduta estremamente importante, non soltanto per l'Italia ma su un doppio livello, per le dinamiche mondiali in corso e per le dinamiche europee. In realtà, cosa si sta facendo, cosa si sta reinventando attraverso questo ruolo dell'Italia in Libano? La necessità di riformulare oggi, realmente e concretamente, una politica mediterranea per l'Europa, cioè la politica del Mediterraneo in relazione all'Europa, deve basarsi anche sulla capacità che ha un paese di definire e di architettare gli elementi fondamentali e necessari all'architettura della pace. Questo, ovviamente, passa attraverso una grande questione, che oggi riguarda il Libano in particolare e tutto il Medio Oriente, vale a dire la costruzione di uno spazio democratico.
Negli intenti della cooperazione allo sviluppo bisogna mettere in evidenza tutto ciò che potrà fare il nostro paese nei confronti della formulazione dell'aiuto, della definizione di ciò che potrà essere uno spazio democratico all'interno dello Stato libanese. Ciò, tenendo conto, ovviamente, che il Libano è una realtà del tutto particolare, non soltanto a causa delle sue caratteristiche politiche, ma soprattutto a causa delle sue caratteristiche etniche, culturali e sociali.
Vorrei ricordare che l'ultimo censimento del Libano risale al 1936, proprio a causa della relazione esistente tra le diverse comunità religiose: drusi, cristiani di varie obbedienze, orientali e non solo, musulmani sunniti, sciiti e via dicendo. È ovvio che il grande rischio che ha corso il Libano durante la guerra nel mese di luglio è stato quello di una deflagrazione, di una guerra civile, di una spaccatura comunitaria.
Il ruolo dell'UNIFIL avrà un doppio significato: da una parte, certamente, assicurare in un certo senso la sicurezza del paese con le forze libanesi, ma soprattutto, dall'altra, ricostruire tutti gli elementi che permetteranno al Libano di formulare una sua valenza democratica all'interno di un sistema multiconfessionale e multietnico.
Un aspetto sul quale dobbiamo ragionare è il ruolo dell'Europa e delle Nazioni Unite, che in questo momento mi sembra molto importante. Vi è poi, ovviamente, la questione concernente Hezbollah: una milizia, un partito che è certamente atipico. In realtà, infatti, si tratta di una milizia armata all'interno di uno Stato che è comunque sovrano, ma che, attraverso la sua milizia armata, limita certamente la propria sovranità.
Il ruolo del nostro paese sarà certamente quello di convincere Hezbollah a disarmarsi. Ciò avrà una doppia funzione: da una parte, l'elaborazione di una sovranità pienamente e autenticamente vissuta dal Libano e, dall'altra parte, il saldo mantenimento della richiesta dello Stato di Israele di vivere in sicurezza.
La questione libanese, in realtà, può essere considerata - se l'operazione riuscirà - il laboratorio di tutto ciò che dovrebbe essere il Medio Oriente: mi riferisco al riequilibrio fra diverse comunità etniche e religiose, perché tutto ciò che definisce il quadro mediorientale (contrariamente a paesi come, ad esempio, il Maghreb) non è il monoteismo o il monoculturalismo religioso. La caratteristica di tutti i paesi del Medio Oriente, dal Libano, passando dal Bahrein, all'Iraq, è il connotato multietnico e multiconfessionale. Dunque, l'equilibrio intracomunitario è di fondamentale importanza per il mantenimento stesso della sovranità dello Stato.
Il secondo paradigma, che è fondamentalmente necessario attuare attraverso il ruolo dell'UNIFIL, è ovviamente l'assestamento dello spazio democratico all'interno


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di questo paese. Se la vicenda mediorientale è complicata, non bisogna mai dimenticare che, talvolta, bisogna avere una visione dall'alto delle categorie politiche sulle quali si è costruito il Medio Oriente nel corso del secolo passato e all'inizio di questo secolo.
Nel XX secolo il Medio Oriente ha assicurato la costruzione dello Stato nazione. Nel XXI secolo si apre - lo vogliamo o no - la grande questione dello spazio democratico. Vorrei ricordare che ciò non è impossibile. E vorrei ricordare, ancora, la famosa manifestazione del 1o marzo dell'anno scorso in piazza dei Martiri a Beirut, cui parteciparono tutte le confessioni religiose, confuse tra loro, e tutte le appartenenze politiche messe insieme a scandire la richiesta del popolo libanese a vivere pienamente il suo spazio democratico.
La funzione dell'Italia è anche questa, la funzione delle Nazioni Unite è anche questa: assicurare chiaramente la costruzione di uno spazio democratico senza il quale il rischio di una deflagrazione e di un deficit del sistema della modernizzazione porterebbe a conseguenze catastrofiche i giochi politici internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Verdi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, nella lunga giornata di ieri abbiamo avuto modo non soltanto di approfondire, in maniera puntuale e diretta, il significato politico, il senso di una nuova partecipazione nel contesto internazionale, ma anche di rilevare le differenze, le notevoli differenze che sussistono in ordine alla decisione, nel senso che tale partecipazione non può e non deve in alcun modo essere caratterizzata dalle motivazioni che questo Governo le ha dato e le sta dando.
Poiché le suddette motivazioni si ricollegano ad un percorso in qualche modo non veritiero, menzognero, noi vogliamo condurre un'operazione verità. Mi riferisco al fatto che la decisione è nata in maniera affrettata ma, soprattutto, al fatto che questo Governo ha visto la possibilità di trasferire le motivazioni di politica interna alla politica estera, nel senso che bisognava dare, in qualche modo, un segnale di discontinuità.
Soffermandoci su questo concetto, abbiamo fatto rilevare ieri che, a nostro giudizio, non può e non deve esistere alcuna discontinuità ma, anzi, una continuità. In altre parole, occorre pensare alla necessità di una ripresa del percorso ONU: si può e si deve farlo, ma senza enfasi, senza un entusiasmo che non può in alcun modo essere ricondotto ad un percorso complesso e difficile, ad un processo appena avviato, cioè ad una partecipazione che, come operazione verità, deve trasmettere un messaggio ai cittadini ed alla nazione. Il messaggio è che ci inseriamo in un contesto difficile, veramente difficile. Lo dimostrano gli ultimi fatti accaduti la settimana scorsa: la manifestazione del leader di Hezbollah ci fa capire che la strada dell'attuazione della risoluzione dell'ONU sarà difficilmente percorribile.
Non ci si può e non ci si deve soffermare esclusivamente, anche se il dato è importante, sul numero dei militari italiani inviati. Ai nostri militari dobbiamo rivolgere un ringraziamento particolare, dobbiamo esprimere un sentimento di riconoscenza, il cui significato, di fronte all'ennesima, tragica morte, al lutto che investe, ancora una volta, l'intera nazione, deve essere serio. Noi riteniamo che tale serietà debba essere una priorità: non possiamo condividere una politica estera fondata sul sostegno al terrorismo, sul sostegno alla legittimazione delle resistenze, sul sostegno, cioè, alla non credibilità rispetto ad un conflitto ormai evidente tra Occidente ed Islam.
A tale proposito, abbiamo vissuto l'episodio che ha visto coinvolto il Santo Padre. Attraverso questo coinvolgimento abbiamo capito, forse ancora di più, come si possa estrapolare, ancora una volta in maniera menzognera, una valutazione che può ripercuotersi, in maniera evidente, sulla situazione complessiva, soprattutto su quella


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libanese, dove la parte più moderata, la parte cattolica, la parte che vuole un percorso di vera pace è scesa in piazza per ribadire un «no» alla prevaricazione, al partito della violenza, al partito che ha causato uno stato di conflittualità dal quale è difficile venir fuori.
È chiaro, altresì, che questo Governo non riesce, ancora una volta, a darci certezze. Quale posizione nei confronti dell'Iran? Quale posizione nei confronti di un paese come la Siria che, ancora una volta, sostiene, attraverso la fornitura di armi, un progetto che la risoluzione dell'ONU vuole smantellare, definendo un piano di disarmo di Hezbollah?
Allora, è chiaro ed evidente che il gruppo di Forza Italia intende portare avanti un percorso di continuità, affinché si dia spazio alla politica, al dialogo, al confronto, all'interlocuzione, alla fattiva e concreta possibilità che, finalmente, il Medio Oriente riceva una sua legittimazione ed un suo riconoscimento attraverso la definizione di confini e la condivisione di quel popolo che si chiama Israele, che invece, ancora una volta, non viene minimamente riconosciuto dai paesi che ho citato.
Pertanto, rappresentanti del Governo ed onorevoli colleghi, l'approfondimento va fatto attraverso un «sì» che pone però grandi riserve ed impone chiarezza e certezza; un «sì» cui deve seguire un monitoraggio, una verifica continua, affinché quest'Assemblea, questo Parlamento non si sottraggano, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, al tentativo, che deve essere continuo e puntuale, di capire quali sono gli obiettivi da raggiungere.
Quando tra qualche mese ci ritroveremo ad avere, non certamente in maniera casuale, la leadership in quel paese, avremo la responsabilità piena e concreta di ciò che avverrà.
Il primo obiettivo era la definizione del conflitto, ma il conflitto non è stato definito, è ancora aperto. Pertanto, è chiaro che questo Governo deve fornirci delle risposte precise e farci capire in quest'aula qual è la sua linea, perché non può andare a braccetto - non può essere questa la sua linea! - con alcuni rappresentanti di un partito che oggi scende in piazza per inneggiare alla violenza, disconoscendo quella missione ONU alla quale stiamo partecipando.
Dobbiamo avere la capacità di andare oltre e di non dimenticare, come è stato ribadito da qualche illustre collega ieri, la nostra radice, la nostra identità e che il processo di continuità, da De Gasperi in poi, implica l'inserimento in un contesto che punta ad organismi come l'ONU, la NATO, ma sicuramente ad una grande Europa che possa finalmente diventare un punto di riferimento certo ed importante anche e soprattutto in termini di difesa e di sicurezza.
Oggi, non possiamo sottrarci, peraltro, in maniera limitata e miope, ad una valutazione complessiva. Se, nel giorno della celebrazione del dramma accaduto alle Torri gemelle, il secondo uomo di Al Qaeda sostiene che bisogna andare contro i caschi blu, noi, in difesa di questo concetto, dobbiamo portare avanti un percorso di continuità che ci vede inseriti in un teatro di missione di pace.
Credo che, nei precedenti cinque anni del Governo Berlusconi, attraverso anche l'opera del ministro della difesa Martino, si siano conseguiti risultati straordinari ed importanti.
Credo che dovremmo avere l'orgoglio di ribadirlo e di rappresentarlo, perché non si può parlare di sconfitta quando due popoli, quello afgano e quello iracheno, con il 75 per cento della loro popolazione, sotto il dramma del ricatto, delle bombe, della morte e del terrore, partecipano ad un percorso per l'esercizio del diritto di voto in un processo di democrazia e di libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Garavaglia. Ne ha facoltà.

MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, il provvedimento in esame solleva una serie di dubbi molto forti e pesanti cui dobbiamo fornire risposte, altrimenti rischiamo di trovarci in un prossimo futuro a piangere nuovi morti, come è accaduto oggi.


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I dubbi riguardano diversi aspetti: l'aspetto economico, a proposito dei costi, l'aspetto delle regole, assolutamente incerte, ed il quadro politico, mutato in maniera drammatica, repentina e probabilmente neanche prevista, da agosto ad oggi.
Sui costi vado velocemente. Ci apprestiamo ad esaminare una legge finanziaria che prevede più tasse. Il ministro Di Pietro è giunto in Lombardia ad annunciare che dobbiamo realizzare con i nostri quattrini le nostre tangenziali e le nostre autostrade, perché non c'è più niente (e non si capisce perché). Sarebbe sicuramente meglio spendere i soldi, che sono pochi, all'interno del paese, piuttosto che in missioni all'estero che oggi non hanno più una certezza, come qualche mese fa.
Per quanto riguarda le regole, ci stupisce questa mancanza di chiarezza sulle cosiddette regole di ingaggio, termine che ormai è diventato di uso comune. Si è detto tutto e il contrario di tutto e sarebbe bene sapere in modo definitivo che cosa ne pensino davvero all'interno di questo Parlamento. Un conto è dire «andiamo a compiere un'azione di pace», altro è dire «interveniamo per fare da cuscinetto tra Israele ed il Libano».
Credo che la maggior parte di voi abbia letto il libro molto bello di Oriana Fallaci Inschallah, che racconta la realtà della «polveriera Libano». Se vogliamo, erano tempi più semplici di quelli attuali.
Un cittadino delle mie parti che ha partecipato a quella missione mi ha raccontato che all'epoca è andato tutto bene. Anche perché la missione dell'esercito è stata molto semplice: sono arrivati in Libano e si sono chiusi nei bunker. Alla conclusione, sono usciti dai bunker e sono tornati indietro (ci hanno impiegato molto tempo perché, nel frattempo, la nave ha avuto dei problemi e hanno ritardato l'arrivo). Adesso non è così. Adesso stiamo andando in Libano con l'avallo della sinistra radicale, la stessa che, fino a qualche mese fa, si dichiarava pacifista e contraria ad ogni intervento armato (sarebbe bello capire la logica di certi atteggiamenti), ma non si capisce bene perché, per come e a favore di chi. L'impressione è che la missione sia sempre più sbilanciata pro Libano, contro il cattivo Israele che ha questo brutto vizio di difendersi quando lo bombardano.
Al di là dell'ipocrisia pacifista, che però non stupisce più di tanto, perché sappiamo che questo Governo oramai si tiene insieme con lo scotch, aspettando un nuovo Governo (e questo sarebbe bene che lo si faccia subito, così non si perde neanche tempo), al di là di questi aspetti contingenti non si scherza sulla pelle dei nostri ragazzi.
Non possiamo trovarci ogni volta a dover piangere i morti senza sapere perché e per come mandiamo i nostri ragazzi all'estero.
Il quadro politico, lo sappiamo, è mutato in una maniera assolutamente drammatica. Abbiamo visto cosa è successo e le reazioni seguite alle dichiarazioni assolutamente condivisibili da parte di tutti di Papa Benedetto XVI. È sotto gli occhi di tutti il clima che si è creato tra l'Islam, moderato e non (è evidente che ormai non c'è più alcun moderato), ed il mondo occidentale. Siamo passati da reazioni sconsiderate e pretestuose per le cosiddette vignette di un fantomatico giornale di una provincia danese alle ancora più sconsiderate reazioni per l'esibizione da parte di Calderoli di una maglietta raffigurante queste vignette, alle assolutamente spropositate reazioni per l'intervento legittimo, giusto e sacrosanto del Pontefice.
Ora, quello che realmente è drammatico è constatare che, a fronte di reazioni di questo tipo, assolutamente spropositate, non c'è stata da parte del Governo italiano una presa di posizione repentina e forte sull'argomento, anzi si è tentato di tenere la cosa in sordina. Però, ancora più drammatico è sapere che mandiamo i nostri ragazzi a fare da cuscinetto tra realtà che sono in guerra da una vita e probabilmente lo saranno ancora per parecchio tempo, le stesse realtà che fanno parte del cosiddetto islam moderato, che non hanno mosso un dito a fronte delle minacce assurde fatte da Al Qaeda non solo al pontefice, ma anche alla città di Roma (ricordiamo che, tutto sommato, noi ospitiamo


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lo Stato del Vaticano e siamo anche responsabili della sua sicurezza). Ebbene, tutti i cosiddetti regimi moderati non hanno mosso un dito per stigmatizzare queste affermazioni demenziali e non hanno smentito alcunché, anche se non hanno rincarato la dose.
A questo punto, non possiamo fare altro che porci dei dubbi, è nostro dovere porci dei dubbi: ha senso, in uno scenario che è mutato in maniera così repentina e drammatica, la missione così come è stata impostata inizialmente? Ha senso che non si sappia esattamente quali sono i poteri di reazione dei nostri militari? Ha senso buttare una marea di soldi quando di soldi - ahinoi! - ne abbiamo ben pochi per risolvere i nostri problemi interni? Non è forse meglio pensarci bene, pensarci 10, 100, 1000 volte (parafrasando un'affermazione dei pacifisti no global, amici di una buona parte di questo Parlamento)? Pensiamoci 10, 100, 1000 volte prima di mandare allo sbaraglio i nostri ragazzi, per evitare di doverci trovare ancora a dover piangere dei morti non si sa bene perché e non si sa bene per colpa di chi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Scotto. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, siamo arrivati, dopo una lunga discussione, che ha impegnato, sin dal 18 agosto le Commissioni esteri e difesa, ad intervenire nel quadro drammatico che si è determinato a partire dagli inizi di luglio in Libano. Un intervento importante, lo abbiamo detto nel corso degli ultimi mesi, che ha offerto la possibilità alla politica di rialzare la testa dopo anni in cui appariva condannata ad accettare nei territori difficili di guerra esclusivamente lo strumento militare.
La discussione di questa mattina si svolge all'indomani della pubblicazione di un rapporto commissionato dal NIC, che riassume 16 servizi segreti americani, all'interno del quale, per la prima volta, viene detto che la guerra in Iraq ha avuto come effetto l'incremento progressivo del terrorismo, la moltiplicazione di milizie armate, la diffusione di uomini e di donne kamikaze, il generale risorgere degli integralismi, che rischiano di minare il già fragile equilibrio di quei paesi che vivevano e che vivono ancora in un dopoguerra difficile.
L'Iraq e l'Afghanistan hanno determinato, in larga parte del mondo islamico integralista, una sorta di effetto calamita, sconvolgendo le popolazioni civili e ritardando la stabilizzazione degli assetti istituzionali in quei paesi che avevano vissuto e che vivono ancora un lungo dopoguerra, fino a mietere decine di migliaia di vittime civili; ciò, purtroppo, accade ancora oggi in quei territori.
Allo stesso tempo, ricordo che è stata presentata una relazione definitiva al Senato statunitense (poco discussa in questa sede e scarsamente pubblicizzata anche dai giornali italiani), nella quale si afferma che la guerra in Iraq era fondata su una terribile menzogna.
Il Libano, in tale quadro, rappresenta la svolta rispetto ad anni in cui la dottrina della guerra preventiva aveva anteposto lo strumento militare alla diplomazia, alle regole ed al confronto, facendo passare attraverso la tragica strettoia della guerra anche palesi violazioni dei diritti umani. Abbiamo ancora impresse negli occhi, infatti, le immagini della tortura praticata dai soldati americani nelle carceri di Abu Ghraib: si tratta di una ferita che difficilmente riusciremo a cancellare.
Al contempo, guardiamo con crescente preoccupazione al dibattito apertosi anche sulle pagine di importanti quotidiani nazionali. Di fronte alla guerra asimmetrica, praticata dal terrorismo qaedista, e dinnanzi alla pervasività di un terrorismo che mette in discussione i tratti fondamentali della convivenza civile, della scansione quotidiana, della mobilità, del tempo libero e del lavoro, in fondo - hanno sostenuto alcuni autorevole editorialisti di impronta liberale -, un giusto dosaggio di restrizione delle libertà civili, un baratto tra libertà individuali e sicurezza e l'accettazione, in casi straordinari, della tortura, in sostituzione dell'habeas corpus, sono misure tutto sommato accettabili.


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Ebbene, tutto ciò non farebbe altro - è questa la visione del centrosinistra - che aiutare chi sostiene che, in fondo, i terroristi hanno già vinto. La risposta da dare, invece, è quella che abbiamo offerto in questi mesi: più politica, più diplomazia e più Europa. Europa, sì, perché, attraverso l'intervento in Libano, essa recupera una nuova centralità: infatti, dopo l'arresto del processo costituzionale causato dall'esito dei referendum olandesi e francesi, l'Unione europea appariva ferma, bloccata ed afasica.
La scelta dell'Italia, assieme ad altri paesi europei e con il voto sancito dal Consiglio d'Europa, ha contribuito, invece, a promuovere un'iniziativa forte nei confronti dei contendenti della guerra in Libano, portando l'ONU ad approvare la risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza, nella quale vorrei evidenziare sono contenuti tre punti fondamentali.
Sotto questo punto di vista, infatti, non vi sono dubbi né per chi sostiene che le regole di ingaggio sono poco chiare, né per chi afferma che la missione sia eccessivamente sbilanciata verso una sola parte. Il primo punto di detta risoluzione è garantire la sicurezza di Israele; il secondo prevede il recupero della sovranità del Libano ed il sostegno al Governo democratico presieduto da Siniora; il terzo punto, infine, è costituito dal disarmo dei gruppi armati presenti sul territorio, così come era già stato previsto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nn. 1559 e 1680.
Sono questi i dati che caratterizzano la missione in Libano. È del tutto evidente, allora, che, se non vi fosse stato un intervento deciso e tempestivo della comunità internazionale, il conflitto israelo-libanese avrebbe potuto potenzialmente allargarsi (come affermò già agli inizi di luglio, in questa sede, il ministro D'Alema), con l'effetto domino di coinvolgere altri paesi nel perimetro della guerra. Mi riferisco, in primo luogo, alla Siria ed all'Iran, i quali, con il loro sostegno diretto ed indiretto agli hezbollah, avrebbero inevitabilmente finito per condividere l'incendio mediorientale.
Ciò smentisce anche chi, nel corso degli ultimi anni, aveva sostenuto che l'ONU, tutto sommato, era un organo eccessivamente farraginoso, vale a dire un «ferro vecchio», impossibilitato ad agire e del tutto privo di efficacia. Certo, le Nazioni Unite vanno riformate; tuttavia la vicenda del Libano dimostra che l'efficacia, l'efficienza e la tempestività possono coincidere con l'azione di un organismo sovranazionale fondato, da sempre, su un equilibrio difficile.
La tregua, che ha portato all'adozione della risoluzione n. 1701 e all'invio dei caschi blu dell'UNIFIL, deve necessariamente giungere alla stipulazione di un trattato di pace, che definisca una pacifica convivenza tra Libano e Israele, che dia la dimensione di un accordo e di un confronto all'interno di tutto il Medio Oriente, a partire dalla ridefinizione dei confini nel cui ambito vi è il tema annoso, e oggetto ancora oggi di scontro, della sovranità delle fattorie di Sheba: è accaduto questo, ed accanto a ciò va riportato di nuovo al centro il grande tema della questione palestinese.
Tale problema venne sollevato anche dopo l'11 settembre e a farlo fu Bush, quando disse che andava prodotto uno sforzo da parte della comunità internazionale per dare uno Stato palestinese e sicurezza a tutta l'area, procedendo non per ritiri unilaterali ma attraverso un vero e proprio accordo di pace, che, sotto la formula «due popoli due Stati» avrebbe restituito serenità e sviluppo a quell'area. Al contrario, nel corso di questi anni quel territorio è scivolato sempre di più in una condizione di caos e confusione e il numero di morti e vittime civili è aumentato, così come gli attentati kamikaze hanno contribuito a sconvolgere il territorio israeliano: un clima di guerra civile strisciante è la vittoria di Hamas.
Nessuno si chiede più cosa succede in queste ore a Gaza: è calato un silenzio inquietante che impone alla comunità internazionale un intervento deciso, così come è stato fatto in Libano a partire dalla valutazione (come ha detto anche lo


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stesso ministro degli esteri) di inviare anche lì, a Gaza e Cisgiordania, un contingente di interposizione.
Non sarà semplice leggere questo passaggio, e non lo sarà perché non è scontato che la missione in Libano sortisca quegli effetti positivi che auspichiamo: innanzitutto, perché la discussione ancora dentro Israele è ferma (certo, in tanti settori importanti della società civile israeliana vi è consapevolezza di quanto la sicurezza non possa essere soltanto dettata e aiutata dalla deterrenza militare) e al tempo stesso perché, se non si isola Hezbollah attraverso un'offensiva diplomatica e un sostegno forte al Governo legittimo Siniora, quel movimento continuerà a rafforzarsi e a mettere radici.
Soltanto una lettura miope ed approssimativa del Medio Oriente può immaginare che Hezbollah sia soltanto ed esclusivamente un movimento terroristico, e non invece una forza presente nel Parlamento libanese, che contribuisce attraverso quella economica, dettata anche da aiuti esteri, alla stabilizzazione sociale di quel territorio, e che si è di fronte ad un quadro e a un paese poverissimo, che vive in una condizione estremamente difficile con il dato sconvolgente di quattro dollari e mezzo di reddito pro capite rispetto al prodotto interno lordo: un paese poverissimo!
Va aperta dunque una nuova stagione di dialogo e di confronto. È necessario un ritorno alla politica, alla diplomazia, alle regole del diritto internazionale. Tutto questo è stato considerato una variabile dipendente nel corso degli ultimi anni e anche da questo punto di vista va avviata una nuova stagione, come è stato fatto in queste ultime settimane da parte del Governo Prodi, ma anche - ed è stato riconosciuto - da parte del Presidente Casini con l'incontro con il Presidente della Repubblica iraniana Ahmadinejad. Quel paese va assediato politicamente, non immaginando una nuova stagione di deterrenza militare, che non sarebbe utile e che farebbe ripiombare di nuovo il Medio Oriente in un periodo di instabilità. Va aperta una nuova stagione di disarmo: denuclearizzare il Medio Oriente può tornare ad essere una battaglia politica importante, nel tentativo di riportare al centro la diplomazia. Le dittature non vanno mai sostenute, né finanziate né protette, sia quelle nemiche che quelle amiche. Non si può invocare la giusta espansione dei diritti democratici in ogni paese e poi dimenticarsi che quei paesi questi diritti democratici li mettono spesso in discussione e stipulare poderosi contratti commerciali con tali paesi, che appunto praticano la restrizione delle libertà civili, dei diritti umani, la tortura, nonché discriminazioni verso le diversità religiose, politiche e sessuali.
Per questi motivi, la missione va sostenuta. Sarebbe utile che la sostenessero, come hanno fatto nel corso delle ultime settimane, gli stessi rappresentanti dell'opposizione, anche perché introduce delle modifiche importanti, delle innovazioni fondamentali. Lo ricordava già ieri la presidente Pinotti nella sua relazione. L'introduzione del codice penale di pace: una scelta importante e significativa, che dà anche il segno di innovazione che la missione Leonte porta, adeguando alcuni aspetti della condizione di applicabilità del codice nel particolare contesto in cui operano i nostri soldati. Allo stesso tempo, va invitato il Governo ad una necessaria riforma della giustizia militare, che la metta in linea con la legislazione di altri paesi europei.
Infine, questa missione ha consenso. Questo è un dato incontrovertibile, che non è secondario, né neutrale all'interno della discussione che stiamo svolgendo questa mattina. Le guerre precedenti, quelle che, secondo alcuni rappresentanti dell'opposizione, dovremmo retrospettivamente accettare come missioni di pace non avevano consenso ed avevano sconvolto l'opinione pubblica internazionale; a maggior ragione dopo il rapporto del NIC e dopo quello del Senato americano queste guerre dimostrano che erano sbagliate e hanno avuto effetti tragici. Un cambiamento in politica estera, come quello che abbiamo registrato nel corso degli


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ultimi mesi, comporta anche una radicale inversione nel rapporto con l'opinione pubblica...

PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Scotto.

ARTURO SCOTTO. ... e nel rapporto anche con quella parte di movimento pacifista, che era stata avanti nella battaglia contro la guerra in Iraq e che allo stesso tempo aveva sempre chiesto la centralità delle Nazioni Unite.
Vorrei concludere così, con il manifesto che era stato al centro della marcia straordinaria Perugia-Assisi di fine agosto: forza ONU, forza diplomazia, forza confronto e dialogo tra i popoli (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!

PRESIDENTE. Prendo atto che il deputato Mantovani, che aveva chiesto di parlare, rinunzia ad intervenire.
Ha chiesto di parlare il deputato Grimoldi. Ne ha facoltà.

PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, nel prendere atto di questo provvedimento, desidero esprimere dei legittimi dubbi sul merito del decreto-legge di cui oggi discutiamo. Innanzitutto, vorrei svolgere una considerazione logico-matematica. Sono anni - da quando c'è stato l'impiego dei nostri soldati nella missione in Iraq - che una parte del Parlamento, l'allora opposizione, oggi maggioranza, ci racconta che si trattava di una missione di guerra, di una missione non partecipata, nella quale il nostro paese si metteva nell'angolo e dalla quale dovevamo presto levarci.
Ebbene, la prima considerazione è matematica: alla missione in Iraq hanno partecipato 11 paesi dell'Unione europea, a quella in Libano vi partecipano soltanto sette paesi. Dunque, questa è una considerazione non da poco. Emerge che non si tratta di una missione così sentita, tale da raccogliere il consenso di tutte le diplomazie e di tutti i paesi europei. C'è poi un'altra considerazione da fare. Non si capisce per quale motivo il nostro paese, per primo, si sia «buttato a pesce», diciamo così, nel voler partecipare a questa missione in Libano, quando ancora nessun altro paese si era espresso in tal senso, per poi concludere con una relativa figuraccia nel momento in cui la Francia ha deciso di partecipare, cedendo immediatamente il passo al comando in Libano.
C'è poi il problema irrisolto dei rapporti con Hezbollah; infatti, non sappiamo ancora se le nostre forze andranno lì a disarmare o meno questi terroristi. Tra l'altro, la faziosità nei confronti di Israele da parte di una componente politica del Parlamento non è un segreto: questo paese viene visto dall'estrema sinistra come fumo negli occhi e considerato la canaglia del Medico Oriente. Ebbene, non si capisce perché in questo caso, invece, la missione sia così condivisa anche da parte delle frange della succitata estrema sinistra.
Israele storicamente ha partecipato alla guerra dei sei giorni, a quella del kippur e ai fatti che hanno caratterizzato quest'ultima estate, ma sempre per cercare di difendersi - anche se talvolta in maniera eccessiva - in funzione di attacchi subiti. Eppure, vi è una componente del nostro paese che, inevitabilmente, critica Israele, lo vede come fumo negli occhi e, nonostante questo, è favorevole alla presenza dei nostri soldati in Libano.
Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca; credo che abbiamo tutti i motivi per esprimere i nostri dubbi e ritenere che i nostri soldati non si recheranno in quel paese a cercare di ritirare le armi e comprimere il fenomeno del terrorismo presente sul territorio con Hezbollah, ma a fare altro o, semplicemente, a passare del tempo come qualche altro mio collega ha fatto osservare poco fa.
La missione costa mille miliardi, una cifra cospicua; ieri mattina sono stato invitato, assieme a tutti i parlamentari eletti in Lombardia, ad un convegno di Confindustria. Sia i rappresentanti dell'estrema sinistra sia quelli dell'estrema destra hanno applaudito quando sono stati esposti i problemi che caratterizzano la


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mia regione. Riguardo alla viabilità, ad esempio, è stato fatto osservare che le merci in Lombardia viaggiano a 23 chilometri all'ora e che i relativi investimenti sulla BreBeMi e sulla Pedemontana aumenterebbero di qualche punto il prodotto interno lordo nazionale, in quanto la regione di cui sto parlando rappresenta la locomotiva di questo paese. Eppure, non ci sono soldi per la BreBeMi, per la Pedemontana e per l'interramento di viale Lombardia a Monza, che cito poiché conosco bene il problema; in ogni caso, vi sono mille miliardi per una missione sulla quale è stata fatta ben poca chiarezza.
Si sta perdendo un'occasione non soltanto per individuare altri ambiti dove investire questi mille miliardi, ma anche per risolvere la questione della sicurezza internazionale e nazionale. Dopo le dichiarazioni seguite al discorso del Papa a Ratisbona, bisognerebbe porsi delle domande e cercare di adottare provvedimenti per garantire una maggior sicurezza nazionale; crediamo si tratti di un qualcosa da fare, viste le minacce rivolte al Santo Padre concernenti la presa di Roma e così via.
Per colpa di questa maggioranza, vorrei ricordare i fatti della settimana scorsa: chiunque arriva nel nostro paese, clandestino o anche terrorista, può a questo punto dichiararsi gay ed entrare a casa nostra per fare ciò che vuole.
Bisogna cercare di predisporre delle risorse anche per garantire una maggior sicurezza nazionale. Siamo, infatti, il paese che finora l'ha scampata rispetto agli attentati terroristici che, invece, hanno toccato parte dell'Europa.
Un'ultima considerazione di carattere culturale: visto che la Siria, al confine con il Libano, è terra da cui arriva, per esempio, San Bassano (erano territori, soprattutto quello libanese, che avevano una forte identità e connotazione cristiana che ora non esiste più), è stata persa un'ulteriore occasione per difendere l'identità cristiana, chiedendo una quantomeno sommessa reciprocità; fatto ancor più grave, è stata persa l'occasione per far rispettare quella che è l'essenza della nostra cultura - e ne abbiamo avuto prova con le reazioni alle dichiarazioni del Papa -, vale a dire la libertà di parola, che poi è l'essenza della democrazia. Evidentemente c'è qualcuno che di parole quali libertà e democrazia se ne riempie la bocca, ma non dimentica il proprio passato fanatico di dittatore e questo è appunto il caso dell'estrema sinistra.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bosi. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, io credo che la commemorazione nell'informativa del ministro della difesa di stamani per ricordare un nuovo, sanguinoso e luttuoso attentato in danno delle nostre Forze armate e dei suoi esponenti, ci richiami in maniera forte alla serietà delle questioni alla base della nostra discussione e del voto che andremo a dare per la missione italiana in Libano.
Allora, se estremamente serie sono queste decisioni che andremo a prendere, credo che, preliminarmente, il cuore e la mente di ciascuno di noi debbano andare a coloro i quali, in queste missioni, hanno perso la vita: i nostri militari, vite stroncate e famiglie distrutte per realizzare un grande obiettivo, cioè quello di impedire il dilagare del terrorismo ed il soffocamento di aneliti di libertà e di partecipazione nei popoli e nelle nazioni tutte nelle quali le nostre missioni si sono svolte. Queste ultime sono state condotte con grande serietà, dignità e capacità di rappresentare lo spirito più genuino con il quale il nostro paese ha deciso, negli ultimi anni, di inviare le proprie forze armate laddove più grave era il bisogno di intervenire per difendere la dignità della persona e dei più deboli rispetto a coloro che con la forza volevano imporre non le regole della democrazia o della partecipazione ma brutalmente la legge del più forte.
Questo è accaduto nella missione nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq e questo accade nel Libano. Credo che tutte le volte che il nostro paese è stato chiamato ad assumere una decisione nei confronti di teatri nel mondo nei quali si stavano


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perpetuando tragedie e vere e proprie mattanze contro soggetti deboli e indifesi (donne, bambini e minoranze etniche) è stato deciso - e di questo dobbiamo andare orgogliosi - di mettersi in gioco e di spendersi per andare con i propri militari a portare la pace e a ripristinare le condizioni per la convivenza civile. Questa è stata, signor Presidente e colleghi, una dimostrazione di come il nostro paese conserva ancora un attaccamento a valori forti e fondamentali.
Per i nostri militari caduti, ovunque sia accaduto, credo che palpiti il nostro cuore. Ritengo che questi siano i valori profondi del nostro paese. Guai a distinguere tra missione e missione, guai a prendere le distanze da questa o da quell'altra, quando, invece, noi sempre e ovunque siamo intervenuti per impedire stragi più gravi. Pensiamo alla questione dell'Iraq che, forse, è stata la più discussa e ha prodotto anche divisioni nelle aule parlamentari e ricordiamo quale era lo scenario iracheno dopo la guerra, quando abbiamo deciso di intervenire: una immane tragedia nella quale credo si sia scelto di stare dalla parte della popolazione, dalla parte dei più deboli. Svolgendo funzioni presso il Ministero della difesa, nei cinque anni scorsi, ho avuto l'opportunità e il dovere di recarmi laddove si svolgevano le nostre missioni: bastava guardare in faccia i bambini e le donne per vedere quale attaccamento vi fosse nei confronti delle nostre Forze armate.
Quello che vorrei segnalare all'attenzione di questa Assemblea è il permanere del tentativo, davvero poco edificante, di considerare queste missioni militari all'estero in base ad una sorta di discriminante, valutando, cioè, se una missione ci convenga o non ci convenga, se siamo maggiormente filopalestinesi o filoisraeliani. Non è questo il modo con il quale dobbiamo guardare a questi interventi, a queste missioni. Si è parlato delle risorse che vi investiamo; si tratta di risorse importanti poiché mettiamo in gioco la vita dei nostri ragazzi, dei nostri militari. Noi lo facciamo per una ragione soltanto, per una grande e profonda motivazione umanitaria, cioè impedire stragi, impedire fatti e situazioni che offendano la coscienza civile di una nazione. Non possiamo rimanere inerti nei confronti di situazioni gravi come quelle che nei teatri di crisi si verificano.
Allora, che senso ha dire che si interviene in Libano ma non si interviene in Iraq e non si interviene in Afghanistan, oppure che si interviene laddove si ritenga che il nostro intervento possa avvantaggiare una componente rispetto ad un'altra, discriminando, con una ampia dose di cinismo, su questioni che hanno un valore, lo ripeto, esclusivamente umanitario? Dobbiamo comprendere questo, altrimenti, viene a mancare il denominatore comune rispetto al quale valutare queste cose.
Noi dell'UDC, anche come opposizione, per primi abbiamo affermato la necessità di mettere al bando, su tali grandi questioni, le divisioni tra maggioranza e opposizione. Infatti, sono in gioco valori ben più grandi e ben più profondi. Noi lo abbiamo fatto, l'abbiamo fatto con coraggio e determinazione. Tuttavia, con altrettanta determinazione, vogliamo dire «basta» a questo modo di interpretare le missioni a seconda della convenienza o delle simpatie che si possono nutrire per questa o quella parte, per questo o quel sottogruppo, per questo o quel movimento, al quale si guarda, magari, con palpitante intesa. Ho visto - qualcuno l'ha fatto osservare - anche un'insistenza di alcuni gruppi parlamentari nel valutare se l'intervento può essere più funzionale agli interessi di Israele o dei palestinesi, degli hezbollah o di altri gruppi. Ma facciamola finita! Diciamo che questi sono doverosi interventi umanitari. Credo abbia detto bene il ministro della difesa, quando si è riferito al fatto che sarà una missione lunga, rischiosa, onerosa ma sicuramente doverosa. Allora, dobbiamo trovare un accordo su questa doverosità e stabilire quando un intervento è doveroso. È doveroso quando sono in gioco le condizioni della vita, della convivenza civile e i valori centrali e fondamentali di una nazione.
Insomma, che mondo è questo, se non si insorge a difesa della vita, dei valori più


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profondi, quelli della dignità della persona o dell'autodeterminazione dei popoli? Qualcuno ha parlato delle dittature. Certo, ma quella di Saddam Hussein non era una spietata e feroce dittatura? Oggi dobbiamo andare orgogliosi di appartenere ad un paese che, con una continuità, ha deciso di intervenire. Siamo fra i paesi d'Europa che hanno maggiori militari nei vari scacchieri di crisi. Questo è stato un bell'esempio dell'Italia; ma, diamolo davvero il bell'esempio e smettiamola di giocare a nascondino nelle grandi questioni.
In relazione al multilateralismo di cui si è parlato, abbiamo un grande riferimento, quello delle Nazioni Unite. Non dimentichiamoci che tutte le missioni compiute dall'Italia hanno avuto sempre - talvolta con qualche giorno di ritardo - gli imprimatur deliberati delle Nazioni Unite, proprio per gli aspetti di ordine costituzionale, che sovrintendono alle decisioni politiche nel nostro paese (si pensi all'articolo 11 della Costituzione). Tutte le nostre missioni sono state accompagnate dall'approvazione del Capo dello Stato, che rappresenta il baluardo di difesa dei principi e dei valori costituzionali. Ricordo che il Presidente Ciampi ha più volte richiamato questa interpretazione. Tutte le nostre missioni hanno avuto questo riconoscimento.
In conclusione, questo relativo al Libano è certo un momento di grande interesse, con l'ONU e l'Europa che si muovono, con il multilateralismo che deve essere sempre ricercato, ma che non può essere la conditio sine qua non. Questo dà alla nostra missione in Libano la speranza nuova che, finalmente, rispetto a tutte queste vicende internazionali, si possono muovere in consorzio tutti i paesi, soprattutto i più evoluti, che, proprio per il loro maggior potenziale, hanno più doveri di altri di intervenire. Non c'è un problema di diritto di intervenire, ma c'è un obbligo, un dovere di intervenire per i paesi che possono farlo, laddove sono in gioco grandi questioni, la vita umana, la difesa dei popoli e dei diritti fondamentali della persona. Ecco perché appoggiammo convintamente questa missione [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, approfitto dell'occasione per fare tre osservazioni eminentemente politiche che condenso in tre parole: responsabilità, multilateralismo e unità, in senso politico e parlamentare.
Ci è stata mossa l'accusa di trionfalismo e di protagonismo. Mi pare che ciò non abbia fondamento. Sarebbe sciocco, del resto, fare professione di trionfalismo e di protagonismo su materie di questa rilevanza e di questa drammaticità. Sappiamo bene che il difficile viene adesso, domani, e che la situazione era e resta drammatica.
Ciò che ha guidato e che guida l'azione del Governo è, piuttosto, un sentimento e un senso di responsabilità, in primo luogo verso quei popoli, il Libano ed Israele, verso le loro vittime, le distruzioni che si sono prodotte, e, in secondo luogo, verso la comunità internazionale, sulle prime esitante e incerta. Se rivendichiamo un merito, è quello di avere tenuto ferma la barra anche quando la comunità internazionale tergiversava. Vi è una responsabilità verso il paese. Non è stata mai taciuta la difficoltà della missione, con i suoi costi e i suoi rischi. Infine, vi è una responsabilità verso i nostri militari, perché, per stabilire le celebri regole di ingaggio «robuste», come si è detto, anche il nostro Governo, non solo quello francese, si è attivato presso le Nazioni Unite. Dunque, nessuna leggerezza. Sappiamo - non siamo ingenui, non siamo ipocriti - che, se il fine è inequivocabilmente la pace e la pacificazione, il mezzo, talvolta drammaticamente, è la forza, il ricorso alla forza.
La seconda parola è multilateralismo. È questo il segno politico nuovo che abbiamo riscontrato nella missione in Libano. Questo è il dato che abbiamo contribuito ad imprimere a questa missione, una missione a tutti gli effetti affidata alle Nazioni


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Unite, non solo, come si dice convenzionalmente, sotto l'egida dell'ONU, ma che è condotta e operativamente gestita dall'ONU.
Poi, vi è il protagonismo dell'Europa. Mai abbiamo immaginato di fare da soli, di prescindere dall'Europa, ma - questo sì - ci siamo messi alla testa dell'Europa, anche quando l'Europa era esitante.
Sotto questo profilo, abbiamo segnato una doppia coerenza e una doppia discontinuità. Innanzitutto, vi è una coerenza con il nostro programma. Ciò spiega l'unità dell'Unione e dell'intera maggioranza, che non era scontata alla vigilia e sulla quale altri non avrebbero scommesso.
Soprattutto - quel che conta di più - si tratta di una coerenza con l'articolo 11 della Costituzione, preso nella sua interezza. Come osservano i giuristi, l'articolo 11 della Costituzione non è scandito in due commi, ma in due proposizioni strettamente connesse. Non vi è solo la prima, la più celebre, che recita che l'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche la seconda proposizione, laddove si dice che l'Italia è pronta e disponibile a cedere quote della sua sovranità ad organismi internazionali che si propongono l'obiettivo della giustizia internazionale, della sicurezza e della pace.
Dunque, si tratta di elementi di coerenza - lo ripeto - rispetto al programma e rispetto all'articolo 11 della Costituzione.
Parlavo anche di discontinuità, che mi pare sia nelle cose e sia evidente rispetto al passato e rispetto ad altre missioni, come quella in Iraq. Ciò ha una sua eloquenza politica. È significativa la coincidenza tra il rientro dei soldati, il compimento della missione in Iraq e l'avvio della missione in Libano.
Certo, non siamo così presuntuosi da lasciarci sfuggire la circostanza che la ripresa del multilateralismo è propiziata, oggi, anche dalla crisi - diciamo pure, dal fallimento - del multilateralismo praticato nel recente passato, nonché dalla consapevolezza dello Stato e del Governo di Israele che la forza militare, da sé sola, non basta a garantire la propria sicurezza, ritenuta assolutamente necessaria.
Infine, la terza parola è unità: noi ci auguriamo che anche in Assemblea si produca quel consenso già registrato in sede di esame congiunto nelle Commissioni; un consenso ampio, quasi unanime, che gioverebbe a dare forza alla missione e a sostenere i nostri militari. In quella sede, noi non abbiamo approfittato, non abbiamo, per così dire, infierito a proposito delle divisioni manifestatesi nella Casa delle libertà; anzi, abbiamo dato tempo all'opposizione di venire a capo di esse, e, anche in tal caso, ciò abbiamo fatto per superiore senso della responsabilità.
Certo, non ci si può chiedere, come pure in un passaggio si è fatto - richiesta francamente bizzarra e irricevibile - di revocare il nostro giudizio politico sulla missione in Iraq; richiesta, dicevo, bizzarra e alquanto infantile: come è possibile condizionare il giudizio sulla missione in Libano, oggi, al nostro giudizio sulla missione in Iraq ieri? E come non vedere le profonde, profondissime differenze tra l'una e l'altra? Io ne rammento una sola, tra le tante: nel caso dell'Iraq, l'Italia si associò a truppe che avevano condotto la guerra, con una prospettiva di pacificazione, dunque - e questo è il nostro giudizio (ahimé confermato) -, assai incerta e problematica. Oppure, ci si chiede di riconoscere che anche quella fu una missione di pace?
Intendiamoci bene: se si tratta di dare atto ai nostri militari di avere fatto tutto intero il loro dovere in Iraq, con l'umanità e con lo spirito di pace che da sempre li contraddistinguono, per quanto mi riguarda non ho alcuna obiezione. Ma ciò non cambia il giudizio politico sul mandato politico conferito loro, sul quale abbiamo dissentito ieri e confermiamo quel dissenso oggi.
Ma lo ribadisco, il nostro spirito è quello di guardare all'oggetto che è alla nostra attenzione, il decreto, per l'appunto, relativo alla missione in Libano; guardiamo avanti, e dunque auspichiamo un ampio consenso, anche da parte dell'opposizione


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che, dopo avere avallato la missione in Iraq, farebbe fatica a non sostenere la missione in Libano. Una missione, quest'ultima, che gode del convinto sostegno dell'intera comunità internazionale, dall'ONU all'Unione europea, ai paesi più interessati - Libano ed Israele - e agli stessi Stati Uniti d'America. Una missione nella quale, come sappiamo, si giocano più partite e tutte grandi, che riguardano, sì, quella area critica del mondo ma anche la stessa comunità internazionale nella sua capacità di dirimere i conflitti.
Dunque, e concludo signor Presidente, confidiamo in uno scatto di responsabilità nazionale e perciò in un consenso parlamentare ampio (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gamba. Ne ha facoltà.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Deputato Presidente, onorevoli colleghi, nel corso della discussione svoltasi la settimana scorsa nell'ambito della fase istruttoria in sede di Commissioni riunite esteri e difesa, in molte circostanze erano stati richiesti opportuni approfondimenti. Aldilà dalla posizione di sostanziale favore già a suo tempo manifestata dai partiti della Casa delle libertà per questa missione oggetto del provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea, avevamo, in più occasioni e con più interventi, anche provenienti dalla parte politica cui appartiene chi parla, manifestato molte perplessità. Si chiedeva che esse venissero man mano fugate attraverso maggiori informazioni, precisazioni e chiarimenti da parte del Governo.
Avevamo chiesto, in particolare al ministro della difesa, che si precisassero ulteriormente le sue dichiarazioni ed informazioni, per la verità molto vaghe in prima battuta, riguardo all'annoso problema delle cosiddette regole d'ingaggio, così come avevamo chiesto informazioni riguardo alla indicata, e vantata in più circostanze, presenza ed istituzione di un nuovo meccanismo nell'ambito della catena di comando (una novità per quanto riguardava le missioni sotto egida ONU), cioè l'istituzione di una cellula di coordinamento con sede nel palazzo di vetro di New York, alle dirette dipendenze di un militare. Si vantava anche che fosse stata individuata la figura del generale Castagnetti, comandante del COI (Comando operativo interforze italiano), per svolgere, anche in attesa dell'assunzione del comando dell'UNIFIL da parte dell'Italia nel prossimo febbraio, questa importante funzione di raccordo tra il livello politico, quindi la segreteria generale dell'ONU, e le forze attualmente in Libano sotto il comando del generale francese Pellegrini.
Tale vicenda ancora non si era perfezionata e chiedevamo quali fossero le motivazioni che non avessero portato ancora all'insediamento del generale Castagnetti nel palazzo di vetro e come mai, nonostante la presenza sul territorio di buona parte delle forze dell'UNIFIL, e segnatamente di quelle italiane, non vi fosse l'effettiva presenza e funzione della cellula strategica di coordinamento. Si chiedeva, insomma, come mai il generale Castagnetti si trovasse ancora a Roma, nella sede del COI, e non a New York.
È stato risposto che si trattava semplicemente di procedure complesse e burocratiche derivanti dalla necessità dell'ONU, e segnatamente del Segretario generale, di istituire formalmente, e successivamente nominare, l'ufficiale generale incaricato di reggere tale funzione, ed abbiamo sperato che si trattasse realmente di questioni di poco conto. Sennonché, come forse non tutti hanno sufficientemente evidenziato, è accaduto che per quella funzione sia stato scelto un altro generale, sempre italiano, e che tale scelta non sia casuale ma fondata (al di là della dichiarata ed aperta stima da parte del Governo italiano nei confronti del generale Castagnetti, che ovviamente larga parte del Parlamento, e Alleanza Nazionale in primo luogo, non potevano che condividere) sulla schiettezza ed effettiva chiarezza con cui il generale Castagnetti aveva posto i problemi riferiti alle precedenti missioni ONU, chiedendo che non fossero riproposti in occasione della tanto vantata missione in Libano. Il


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fatto che le sue perplessità, anche quelle che non sono state dichiarate, facessero riferimento a missioni in cui vi era stata una responsabilità diretta da parte di membri attualmente ai vertici dell'ONU ha evidentemente giocato un ruolo determinante.
Ciò perché tuttora manca chiarezza, in primo luogo, sulle regole d'ingaggio nel senso tecnico del termine, che (com'è stato ribadito più volte, quasi che i membri del Parlamento, in particolare quelli della Commissione difesa, non fossero consci di cosa effettivamente rappresentino le regole di ingaggio nel senso tecnico) non potevano essere disvelate, se non nel loro carattere molto generale, in quanto la conoscenza che si sarebbe riverberata all'esterno avrebbe portato un vantaggio a potenziali offensori del contingente UNIFIL.
Non era questo che si chiedeva, non era la conoscenza delle singole regole riferite alla reazione o, appunto, all'ingaggio che i militari e le forze sul campo devono poter utilizzare nel caso questo rientri nei compiti affidati alla missione, ma la chiarezza proprio riguardo all'effettività dei compiti della missione, cioè quello che già molti colleghi hanno ricordato anche nel dibattito odierno oltre che nella discussione sulle linee generali di ieri; una missione che comporta - secondo la risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU e nella coscienza di chiunque guardi ai fatti che si sono verificati di recente nel Medio Oriente e in Libano, ma anche in tutte le fasi precedenti - la necessità che la forza UNIFIL sia indirizzata ad ottenere il disarmo della fazione di Hezbollah.
Questo è indicato, come tutti sanno, nella risoluzione. È altresì indicato che il contingente UNIFIL ha il compito di impedire tutti gli atti ostili che possano essere perpetrati in quello scenario, ma, ancora una volta, tuttora non si comprende come, al di là delle dichiarazioni molto generiche, questo debba avvenire. Infatti - come sembra, come è stato detto e non detto, come ancora risulta da articoli sulla stampa internazionale di ieri, che hanno riportato anche indicazioni, informazioni ed impressioni raccolte sul campo tra i nostri militari e tra i nostri ufficiali che sono lì -, non vi è alcuna chiara indicazione riguardo all'attività semplicemente di supporto indicata nei confronti delle forze armate libanesi che dovrebbe portare al disarmo di Hezbollah. Nel frattempo - le Commissioni si sono riunite, abbiamo svolto queste discussioni ed oggi ci ritroviamo in aula -, abbiamo sentito, e tutto il mondo ha potuto sentire, le dichiarazioni del capo di Hezbollah, che hanno fatto molto ben comprendere innanzitutto che Hezbollah non ha alcuna intenzione di disarmarsi, né nei confronti dell'esercito libanese né di chicchessia. Inoltre, è stato anche inviato un chiaro monito alla forza UNIFIL perché si guardi bene dallo svolgere attività che potrebbero non attaccare - non sia mai - in termini offensivi gli appartenenti ad Hezbollah, ma nemmeno svolgere azioni di qualsiasi natura che possano portare e configurare un disarmo di Hezbollah, che vanta, invece, ancora la presenza di un arsenale di oltre 20 mila razzi di varia natura che, ovviamente, non intende dismettere ma che, viceversa, temiamo possa continuare ad utilizzare come ha fatto in precedenza.
Allora, tutte queste perplessità non sono state minimamente fugate, né dal ministro della difesa Parisi né dal sottosegretario intervenuto in sede di replica al suo posto, nel corso del dibattito sulle linee generali e temo che non saranno fugate nemmeno negli interventi che precederanno il voto. Quindi, quello che possiamo vedere sono, ancora una volta - al di là della simpatia, nel senso greco del termine, che da questi banchi non può che venire per tutti i nostri militari impegnati così duramente in qualunque parte del mondo -, gli effetti di questa missione, per la quale l'onorevole Monaco tanto si è vantato. Altro che trionfalismo! È stata un'apoteosi, che non si è mai registrata in questi ultimi anni per nessun intervento e che, ovviamente, trova ragione esclusivamente nel fatto che l'iniziativa è stata promossa da un Governo di centrosinistra, con le evidenti contraddizioni dei gruppi della sinistra radicale, che sino a qualche


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tempo fa dichiaravano la contrarietà a qualunque tipo di missione senza sé e senza ma: credo che sia abbastanza facile ricordarselo perché il senza sé e senza ma parte proprio da queste vicende.
Improvvisamente, ora, invece, quei gruppi si trovano a sostenere un intervento comunque militare, e si cerca di svolgere un'azione cosmetica attraverso artifizi per la verità anche abbastanza puerili. Fra questi rientra certamente la modifica della disciplina penale (citata anche negli interventi della presidente Pinotti e di alcuni colleghi) che, in base a questo decreto-legge, viene applicata anche al contingente militare italiano in Iraq. Mi riferisco alla ormai nota vicenda dell'applicazione del codice penale militare di pace in base al nuovo decreto-legge (seppure con alcune modifiche introdotte non tanto da questo provvedimento, ma in precedenza, con gli ultimi decreti-legge del Governo Berlusconi, concernenti missioni precedenti) ed alla disapplicazione del codice penale militare di guerra. Come se tale grande modifica dimostrasse che questa è una missione di pace, mentre quelle precedenti - e segnatamente quelle in Iraq e in Afghanistan - tali non erano, se non altro perché furono autorizzate senza infingimenti e senza le ipocrisie tipiche del centrosinistra! Queste ultime risalgono alle attività belliche di bombardamento in Kosovo, per le quali il Governo di allora, presieduto dall'onorevole D'Alema, aveva previsto nel testo l'applicazione del codice militare di pace: è chiaro, infatti, che svolgere azioni di bombardamento è un'attività tipicamente di pace!
Sennonché, il Governo Berlusconi, senza quelle ipocrisie, in relazione a situazioni molto particolari e complesse come quelle dell'Iraq e dell'Afghanistan, ritenne correttamente di prevedere l'introduzione e l'applicazione di norme più stringenti. La diversa impostazione che, invece, viene proposta con il testo in esame è motivata soltanto dal fatto di poterne menar vanto e in qualche modo di accontentare i gruppi della sinistra radicale e l'onorevole Mattarella il quale, tutte le volte che si presenta questa osservazione, rimarca che egli ha sempre sostenuto, anche nelle precedenti occasioni, che non si dovesse applicare il codice penale militare di pace.
Invece, coloro che hanno una maggiore cognizione di questa materia sanno bene che quanto affermato in Commissione e, in alcune circostanze, in Assemblea a sostegno della necessità dell'applicazione del codice penale militare di pace sono soltanto assurdità giuridiche. Infatti, è proprio la situazione che rende necessaria una maggiore difesa collettiva dei contingenti militari e non - come ha detto l'onorevole Mantovani in quella circostanza - la maggiore punibilità dei singoli.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Certamente, in situazioni come quelle, che non sono tipicamente né di pace né di guerra - e concludo -, si deve prevedere una maggiore possibilità di coesione. Ciò comporta anche la necessità di disporre di norme più rigide.
Allora, tutte le perplessità - ahimè - rimangono. Poiché le forze del centrodestra e Alleanza Nazionale continuano a sostenere, anzitutto, la necessità della solidarietà e il fatto che tutti i nostri militari debbono sentire la vicinanza del Parlamento, perché comunque rappresentano anche in quel contesto la patria, speriamo che queste perplessità vengano fugate in futuro. Infatti, adesso certamente ciò non potrà avvenire da parte di questo Governo, anche alla luce delle dichiarazioni dei suoi rappresentanti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Stefania Craxi. Ne ha facoltà.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il ministro D'Alema, evidentemente, ha ritenuto poco interessante questa discussione. La stabilizzazione del Libano è una sfida cruciale. Il ruolo della missione UNIFIL plus e la presenza dei caschi blu italiani è essenziale.


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Per questo, non si può evitare di votare a favore della missione italiana; ma il Governo, evitando di ripetere gli sciocchi trionfalismi finora elargitici, deve dare prova di essere cosciente della realtà della situazione e di avere idee sull'azione politica e diplomatica che deve accompagnare la presenza militare per renderla utile e sicura. La prosecuzione della missione deve avvenire in una cornice di sicurezza, da intendersi non solo sul piano militare. Non basta, evidentemente, la semplice presenza dei caschi blu per risolvere i problemi: le Nazioni Unite sono in Libano dal 1978!
A tal fine, il primo ministro Siniora deve essere sostenuto in modo convinto e continuo, sia politicamente sia finanziariamente; devono essere sostenute la sua credibilità ed autorevolezza, non solo sul piano internazionale, ma anche considerando i rapporti di forza interni; occorre agevolare il suo compito per il disarmo delle milizie Hezbollah, questione da risolvere con il tempo e grazie ad un dialogo nazionale. Le violazioni dello spazio aereo e dei confini da parte israeliana devono cessare, senza ulteriori eccezioni, perché si tratta di azioni che possono mettere in pericolo i nostri stessi soldati.
Il Governo italiano deve mantenere alta la guardia, sostenere il Governo Siniora, agire con determinazione nel contesto internazionale e con Israele, affinché la risoluzione n. 1701 venga applicata. Anche se il Libano è il perno di una rinnovata opportunità di pace in Medio Oriente, non si può pensare che sia sufficiente dedicarsi alla sua, pur essenziale, stabilizzazione. Occorre, in particolare, affrontare con decisione il nodo centrale della crisi mediorientale: il processo di pace israelo-palestinese. Lì le cose non vanno per niente bene! Se non si riprendono rapidamente i fili di un negoziato, verrà meno l'effetto virtuoso, ma precario, generatosi in Libano, con pericolose conseguenze anche a danno delle nostre forze.
Come reagisce il Governo italiano all'ammissione del presidente Abbas di essere tornato al punto zero nel dialogo con Hamas? Quali azioni si intende mettere in campo per ricondurre le parti e la comunità internazionale alla Road map? Cosa intende fare il Governo italiano per sostenere concretamente il presidente Abbas ed i suoi sforzi moderati? Si intende rinnovare o rivedere, estendendone il tempo e l'ambito di azione, il meccanismo finanziario, in modo da consentire il pagamento dei salari ai dipendenti pubblici palestinesi e dare credibilità ad Abbas di fronte alla sua popolazione? Considerando la carenza di risorse UE, l'Italia intende stanziare fondi nazionali a tal fine? Ma, soprattutto, per riavviare il dialogo, il Governo italiano non dovrebbe riesaminare le tre note condizioni con un approccio più flessibile e realistico? Se, infatti, la cessazione della violenza da ambedue le parti, con il corollario della restituzione dei prigionieri, è condizione evidentemente imprescindibile, siamo certi che le altre due debbano essere rispettate alla lettera? Se, infatti, un Governo di unità nazionale palestinese desse chiaro ed inconfutabile mandato al presidente Abbas di negoziare con Israele ed accettasse, perciò, di riconoscere gli accordi firmati, quale imprescindibile urgenza vi sarebbe per un immediato riconoscimento formale di Israele da parte di Hamas, atteso che detta organizzazione si impegnasse formalmente a sostenere in buona fede il negoziato condotto da Abu Mazen? Sarebbe, forse, opportuno favorire un'evoluzione graduale di Hamas, chiuderlo nell'angolo con richieste inaccettabili per la sua delicata compagine interna? Farebbe solo il gioco di chi vuole mantenere lo status quo. Occorre, parallelamente, eliminare la morsa esplosiva nei territori palestinesi, aiutare la popolazione civile a recuperare condizioni normali di vita e riaprire i valichi di frontiera.
Abbas è evidentemente tra due fuochi: l'oltranzismo di Hamas e l'inflessibilità israeliana. I paesi arabi moderati non possono essere determinanti. Gli Stati Uniti attraversano una fase politica interna particolare. Il riavvio del dialogo politico dovrebbe essere compito dell'Europa, che si deve assumere la sua responsabilità considerando la situazione sul terreno, misurando i passaggi politici attraverso


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il consenso, procedendo anche da sola per il primo tratto di strada, se necessario.
La paralisi del dialogo politico tra Israele e ANP vanificherebbe gli effetti positivi della risoluzione n. 1701 e, soprattutto, rischierebbe di mettere l'Italia e l'Unione europea nella condizione di chi assume oneri pesanti, senza riuscire a valorizzare, in termini di pace e stabilità, il sacrificio compiuto, inviando le truppe in Libano.
Il regolamento di pace proposto dalla Lega araba su impulso dei paesi moderati deve essere appoggiato. Finora l'Europa ha fatto poco e l'Italia non ha preso una posizione. Elementi ideologici hanno impregnato la posizione europea, portandola ad una situazione di stallo nel Medio Oriente.
La riunione del Consiglio di sicurezza a New York, voluta dai paesi arabi, ha rappresentato un «non evento». L'unico spartiacque per far funzionare il nuovo meccanismo, o meglio la stessa Road map rivitalizzata, è tenere conto delle aspettative delle parti, dando una prospettiva negoziale ed una chance ad ognuno. L'Italia deve comunque evitare di essere percepita come l'anello debole della catena, soprattutto in vista del nostro ingresso nel Consiglio di sicurezza dell'ONU il prossimo gennaio.
L'iniziativa di Berlusconi di tenere una conferenza di pace sul Medio Oriente ospitata dall'Italia andava in questa direzione. Non sarebbe male riesumarla!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Frigato. Ne ha facoltà.

GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, intervengo in questo importante e significativo dibattito per esprimere, come ha fatto poco fa il Presidente della Camera, il cordoglio per la scomparsa del caporal maggiore Giorgio Langella, che aggiungo, senza togliere nulla a nessuno, al sacrificio del volontario Angelo Frammartino e a quello di suor Rosa Sgorbati.
Signor Presidente, colleghi, credo che, al di là delle forme, il valore della pace davvero possa accomunare questi tre italiani.
Ho seguito in parte il dibattito che ha tenuto impegnato il Parlamento nella giornata di ieri, e non poteva essere diversamente, perché penso che nessuno di noi, nessun parlamentare di maggioranza o di opposizione, abbia un approccio casuale o superficiale nei confronti di una tematica così importante, che prevede l'invio di un numeroso contingente di soldati italiani.
Devo subito dare atto al sottosegretario di Stato del modo equilibrato e ragionato con il quale ha voluto replicare al dibattito in quest'aula ieri, rilevando anche che il Governo, in questo contesto, ha agito davvero con intelligenza e determinazione.
Vi sono stati momenti nei quali sembrava che il nostro paese fosse da solo in termini di indicazioni e prospettive. Abbiamo, invece, riscontrato che oggi l'Italia si affianca a tanti altri paesi in un'iniziativa sicuramente difficile che, tuttavia, come ricordava il collega Monaco poco fa, risponde al valore e al senso della nostra responsabilità.
Voglio dire, colleghi, che molte volte, nella scorsa legislatura, si sono svolti dibattiti analoghi, e mi riferisco all'Afghanistan, all'Iraq ed a tante altre missioni di pace. Ogni missione ha la sua storia, il suo habitat e si sviluppa in una certa aerea geografica.
Credo che, da parte nostra, da parte di chi ora si trova a sostenere il Governo, da parte della maggioranza, vi sia sempre stato il tentativo di tenere insieme il valore dell'Europa e delle Nazioni Unite. Ed è forse questo l'elemento che comporta un po' di discontinuità rispetto a qualche iniziativa che, nella scorsa legislatura, ci ha visto impegnati nel dibattito e che ci ha diviso.
Mi auguro che tutti vogliano lasciarsi alle spalle espressioni come «unilateralismo», «guerra preventiva», «esportazione della democrazia con le armi» , «offuscamento dell'ONU» o «divisione o addirittura rottura del vincolo europeo»; me lo auguro, non solo per questa circostanza, ma anche in prospettiva di un'azione politica equilibrata, per una posizione internazionale più coerente.


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Credo che, con riferimento a questa missione, parlando di questi temi, nessuno di noi possa usare la parola soddisfazione. Ritengo che nessuno di noi sia qui a votare con qualche forma di orgoglio, con entusiasmo. Si tratta di rispondere con senso di responsabilità ad un'azione difficile, ad una situazione sicuramente rischiosa. Stiamo chiedendo a tanti giovani di rappresentare il nostro paese fino in fondo. Allora, facciamolo con responsabilità. Ognuno di noi vorrebbe che l'Italia esprimesse la propria presenza sullo scenario internazionale in maniera diversa, non con le armi né con la forza, ma attraverso la cooperazione internazionale, le azioni umanitarie, con la capacità di ricostruire relazioni tra le persone e tra le comunità.
Credo, colleghi, che mentre ci accingiamo a votare questo provvedimento e quindi a dare copertura e forza alla proposta del Governo (mi pare di capire che lo facciamo in maniera molto ampia), indubbiamente facciamo una parte di ciò che viene richiesto in queste aree così delicate. La situazione mediorientale è stata chiaramente disegnata; è stato detto quanto sia difficile mettere insieme Israele con il Libano. Non a caso, serve una forza di interposizione dell'ONU.
Ma vorrei richiamare tutti al «di più» che sento di voler chiedere al Governo di centrosinistra. Credo che possiamo votare con serenità e con senso di responsabilità questo provvedimento, ma chiediamo al Governo di fare fino in fondo la propria parte, anche per quanto riguarda la cooperazione economica e la risoluzione di alcuni problemi. Ieri, il collega Gerardo Bianco, nel corso del suo intervento, ha ricordato cosa significa la mancanza di acqua potabile in alcune zone del mondo e anche in questa zona.
Allora, probabilmente, risolvere alcuni problemi alla radice significa dare un contributo reale alla costruzione della pace. Lo ha sottolineato anche il collega Cacciari, quando ha affermato che da questo Governo si aspetta un'azione più incisiva in campo umanitario, per la ricostruzione di relazioni vere nelle popolazioni e tra le popolazioni. Ecco allora il senso della nostra responsabilità.
Si tratta di un voto convinto, sofferto, un voto che vogliamo dare per la ricostruzione della pace, di relazioni internazionali più serene e civili. Consentitemi di dire, senza alcuna vena polemica, colleghi della Lega, che certamente questa missione ha un costo, che è anche elevato, ma credo che nessun italiano immagini che la pace non abbia un costo. Credo che ogni italiano sappia - magari chi ha qualche anno in più lo ha vissuto sulla propria pelle - che il costo della guerra è spesso inquantificabile e supera ogni bilancio di natura economica.
Allora, questa missione ha anche un costo di natura economica, ma noi vogliamo sperare che i risultati siano maggiori e garantiscano un futuro più sereno, più civile e di pace (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Filipponio Tatarella. Ne ha facoltà.

ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, Alleanza Nazionale guarda con grande interesse e con seria consapevolezza alla missione in Libano e lo fa perché essa è sempre pronta e aperta ad andare là dove ci sia anche un minimo tentativo di portare la pace.
Questo è veramente un principio costitutivo di Alleanza Nazionale e lo è tanto che questo principio è stato lo stesso che ha ispirato Alleanza Nazionale, allora al Governo, a dire sì alla missione in Iraq.
Richiedere che si tratti o si giudichi in maniera analoga eventi simili non è una questione di fatto, ma una questione di principio, semplicemente perché Alleanza Nazionale vuole che si riconosca che la nostra partecipazione in Iraq ci fu soltanto perché lo spirito era questo. In una missione di pace - ahimè! - conta più lo spirito dei risultati, perché i risultati non sono mai prevedibili; se così fosse le guerre non sarebbero così drammaticamente un punto interrogativo.


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A me sembra che questo punto, che è stato trattato da tutti i miei amici e colleghi come se fosse una rivincita o una questione accidentale, per me è essenziale. Infatti, se noi dobbiamo dire sì a questa missione, lo diciamo per gli stessi motivi per cui abbiamo detto sì a tutte le missioni di pace. Non vediamo altro motivo per dire sì che quello di contribuire, ognuno a modo suo, alla pace, dovunque questa sia messa a dura prova o sia addirittura venuta meno, come nei territori di cui stiamo parlando.
Quindi, è chiaro che la nostra attenzione a questo provvedimento è massima, ma, ripeto, lo è proprio perché si parla di pace e per noi la pace è un valore fondamentale, anzi è il valore fondamentale. Lo è tanto che in realtà non vogliamo la pace come se fosse una teologia negativa (la pace come assenza di guerra). La pace come assenza di guerra non ci basta, noi vogliamo la pace come una pace giusta (una pace non giusta è, per esempio, del tipo «l'ordine regna a Varsavia»).
Veramente, chiediamo a questo Governo che la missione in Libano non sia per una pace intesa nel senso che l'ordine regni a Varsavia, ma per una pace giusta.
Certo: che cos'è una pace giusta? Come è noto, sono stati scritti volumi da filosofi e politologi per cercare di definirla; alla fine, in realtà, poco è stato fatto e detto affinché ciò sia reso possibile.
Tutti sappiamo, però, che una pace giusta è quella che, sul piano dei diritti, tratta allo stesso modo tutti i contendenti, vale a dire tutti coloro che si trovano ad avere la guerra nel loro territorio. Vorrei dire, in altri termini, che quando si stabiliscono missioni di pace è necessario, innanzitutto, agire assolutamente sotto l'egida del diritto sia nazionale, sia internazionale; occorre, inoltre, «incarnare» tale diritto nei paesi in cui esso si trova ad essere applicato.
Non affermo ciò tanto per parlare. L'obiettivo che si prefigge questa missione è stabilire la pace, tuttavia sappiamo che tale operazione rappresenta soltanto il primo passo verso la stabilizzazione di una regione che, in realtà, è una polveriera. Infatti, esistono problemi politici assolutamente irrisolti, e solo dopo che tali problemi saranno stati affrontati, forse ci si potrà vantare di aver realizzato qualcosa. Un primo passo era comunque necessario, e dunque è bene che venga compiuto in quella direzione.
Cosa richiede una pace giusta? A mio avviso, essa si deve basare su un presupposto assolutamente logico: il disarmo degli hezbollah, poiché non so come si possa pensare di stabilire la pace senza procedere a tale operazione. Si tratta non di essere di destra o di sinistra, ma di avere un minimo di logica, e, francamente, non vedo nulla che ci rassicuri in tal senso.
Se il Governo italiano riuscisse a individuare un sistema affinché ciò accada, allora sì che esso potrebbe affermare di aver conseguito un grande successo. In realtà, se ciò accadesse, rivendicherebbe tale risultato inutilmente: in primo luogo, infatti, le realizzazioni sono importanti, perché la politica è azione; in secondo luogo, vorrei rilevare che si tratta di un dovere cui siamo chiamati ad adempiere.
Il gruppo di Alleanza Nazionale, come ho già affermato, guarda dunque con grande interesse e coinvolgimento a questa missione, anche se si pone numerose domande, alle quali finora nessuna risposta è stata fornita, e probabilmente non sarà mai data. Ciò non toglie che continueremo a manifestare il nostro interesse verso la missione in Libano, poiché ci rendiamo conto che qualora sia possibile compiere un pur minimo tentativo, è doveroso farlo.
La pace, infatti, è la condizione del nostro stesso vivere. Ciò mi pare incontrovertibile, al di là di qualsiasi facile retorica, anche se vorrei francamente osservare che, in questi anni, di retorica sul tema della pace se ne è fatta così tanta al punto tale che la povera pace è diventata tutt'altro! La pace, dunque, rappresenta la condizione della nostra sopravvivenza nazionale ed internazionale; se vogliamo, è ciò che consente di relazionarsi immediatamente.
Vorrei ricordare, a tale riguardo, una pagina della Bibbia in cui si afferma che Dio decretò la pace tra cielo e terra, tra


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tutti i popoli ed all'interno dei nostri cuori. Ebbene, Dio la poteva decretare, perché - beato lui! - parlava e faceva; noi, invece, parliamo ma - ahimè! - non accade che le nostre parole realizzino qualcosa, anche se dobbiamo comunque agire.
In questo caso dobbiamo essere molto consapevoli che la pace abbia non i contenuti che si leggono nella Bibbia decretata da Dio, ma almeno quelli che una ragionevolezza generalizzata - neanche universale, già sarebbe troppo! - suggerirebbe. È inutile che io stia a ripetere quali sono le cose che in questa missione militano contro la pace. L'hanno già detto tutti i miei colleghi; non voglio assolutamente essere ripetitiva, perché, oltretutto, tutti conosciamo bene le questioni, anche se vi è chi ammette di conoscere e chi invece non lo fa.
Sappiamo tutti quali sono i rischi che si corrono, compreso quello del terrorismo in Italia. Come dice Giorgio Bocca: nonostante questa missione, comunque in Libano la guerra ci sarà (speriamo di no!). In questa direzione noi rimaniamo ad osservare, chiedendo però al Governo che sia assolutamente consapevole di quanti e quali rischi si corrono; e questo è il minimo. Vorrei, infatti, chiedere al Governo che si impegni seriamente a trovare le vie della pace, poiché la pace richiede delle vie: solo comprendendo quali siano, forse esse potranno essere percorse (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bodega. Ne ha facoltà.

LORENZO BODEGA. Presidente, il dibattito sulla missione in Libano cade in un momento non condizionato dalla rovente polemica che ne ha caratterizzato l'avvio e in un contesto internazionale, almeno sulla carta, raffreddato. Non cambiano però i termini della questione, se ci soffermiamo ad analizzare con spirito oggettivo e lucidità alcuni aspetti di questa vicenda destinata ad occupare i nostri pensieri, e non solo, per lungo tempo.
Innanzitutto, devo dire che non ho assolutamente apprezzato i toni trionfalistici con i quali il Governo ha presentato e organizzato la missione, quasi che si debba menar vanto per una operazione che vede pur sempre i nostri militari impegnati su un fronte dove vi era la guerra e dove vi sono le condizioni perché possa ancora riesplodere.
Non si possono usare due pesi e due misure: inveire contro la nostra presenza in Iraq e poi chiedere l'appoggio dell'opposizione per la missione in Libano, come più volte abbiamo sentito questa mattina e ieri dai banchi della maggioranza: troppo comodo e - io aggiungo - anche incoerente invocare una politica estera bipartisan a giorni alterni o ad alterne missioni.
Il centrodestra, nella stagione della cosiddetta seconda Repubblica, ha sempre tenuto una condotta esemplare trasparente, in linea con le tradizionali alleanze dello schieramento occidentale. La Lega non ha mai coltivato una supina politica filoamericana, ma non ha esitato a schierarsi quando l'America è stata colpita dal terrorismo e, con essa, un caposaldo della democrazia mondiale. Il Governo di centrodestra si è sempre mosso all'interno degli organismi internazionali e non ha mai fatto mancare il proprio sostegno, dal Kosovo all'Iraq, passando per l'Afghanistan.
So bene che la missione in Libano non è una questione libanese, ma chiama in causa il Medio Oriente e il problema di Israele, che non si risolve con geometrie politiche equidistanti o «equivicine» - come disse D'Alema -, perché non si può essere in nessuna circostanza tolleranti, non dico compiacenti, con chi pesca nel torbido «brodo» delle culture fondamentaliste. Infatti è questo il vero nodo. Non ci piacciono i contatti più o meno casuali ed occasionali con esponenti degli Hezbollah, perché in una fase delicata come questa non sono ammesse leggerezze. Viviamo in un tempo nel quale il Papa - lo hanno già detto in tanti - deve scusarsi, non per il suo pensiero, non per una dichiarazione, ma per una citazione da Maometto, utilizzata per gettare il seme della concordia. È un paradosso del nostro


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tempo! È un frutto di certa schiavitù mediatica, sconfinata ed incontrollabile.
La missione in Libano non giustifica trionfalismi, ma merita di essere costantemente monitorata. Sul campo la situazione può cambiare repentinamente e le regole di ingaggio potrebbero essere declinate da circostanze e da evoluzioni improvvise. Questa missione costa molto in termini finanziari - siamo d'accordo che la pace costa - ed in termini di rischio per i nostri soldati, ai quali va dato il nostro totale sostegno, la riconoscenza e l'apprezzamento, perché non si sentano mai soli, né mercenari. Garantiamo quindi che essi siano giustamente ricompensati (questione che è stata esaminata dalla XI Commissione lavoro) e siano destinatari della nostra gratitudine. Pertanto, il quesito non può più essere quello che ha sempre distinto l'atteggiamento delle forze democratiche di ispirazione occidentale del nostro paese, rispetto a chi, all'interno della maggioranza - e sono in pochi questa mattina - ha votato per il rifinanziamento della missione di pace in Afghanistan, ripeto, missione di pace, solo per non far cadere il Governo, ma lasciando senza mezzi termini intendere la propria avversità, come a dire: voto «sì», ma penso «no»! Una sorta di dissociazione tra la mente e la mano!
Perciò, non ci sono le condizioni perché su questa missione in Libano si esprima un voto trasversale, che corrisponda ad una comune politica estera. Il Governo D'Alema ottenne i voti della Casa delle Libertà per l'operazione Arcobaleno. Il Governo Berlusconi ha votato in piena autonomia, senza bisogno di stampelle e di compiacenze. C'è una differenza sostanziale e quindi mi chiedo se una maggioranza meno aleatoria e risicata, come quella dell'Unione, si esprimerebbe anche in politica estera con la stessa linea, se disponesse di altri numeri, di altra omogeneità, di altra compattezza al suo interno.
Di sicuro, il nostro voto non è e non sarà strumentale a nessun disegno, né piegato a ragioni di parte o di convenienza. C'è una linea della Lega Nord che viene da lontano, nonostante la nostra storia sia recente, e forse è anche la freschezza delle nostre idee, non logorate da decenni di mediazioni all'infinito, che ci rende liberi di esprimere fino in fondo le nostre convinzioni. Sappiamo chi sono i nostri avversari. Sappiamo chi sono nel mondo i nostri nemici (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pettinari. Ne ha facoltà.

LUCIANO PETTINARI. Sono del tutto legittimi in questa nostra discussione i dubbi, che sono stati posti anche questa mattina sulla missione in Libano. Credo che tutti insieme nella discussione dovremmo cercare di dare risposte a questi dubbi. La missione, è stato detto, comporta ovviamente rischi, così come comporta costi. Per questo dobbiamo assumerci insieme la responsabilità di questa scelta.
Trovo, però, francamente assai meno legittime le domande o le affermazioni che finiscono col sostenere - l'ho sentito questa mattina -: «Non si capisce cosa andiamo a fare in Libano». Meno legittime perché credo che tutti i colleghi abbiano vissuto la drammaticità delle giornate di luglio e agosto: a loro ricordo che in Libano vi è stata una guerra, che la risoluzione dell'ONU ha portato ad una tregua e che la missione dell'ONU, alla quale l'Italia parteciperà, intende garantire questa tregua. Ecco cosa andiamo a fare in Libano! Non è una scelta facile, questo è vero, lo hanno ricordato molti colleghi di entrambi gli schieramenti, e ciò poiché la missione comporta rischi non indifferenti, soprattutto se consideriamo il contesto nella quale avviene: il contesto non solo successivo alla guerra di luglio ed agosto, ma anche il contesto complessivo del Medio Oriente.
La missione, a mio avviso, si è resa necessaria proprio per evitare l'allargamento di quel conflitto. Torniamo un attimo, infatti, a quelle terribili settimane di luglio e agosto: un'azione sconsiderata di Hezbollah ha portato ad una reazione - francamente eccessiva, sproporzionata -


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di Israele che ha scatenato una vera e propria aggressione verso l'intero Libano, ed il risultato è stato quello di migliaia di morti ed un paese vicino alla distruzione totale.
In quel territorio del mondo vi è un rischio molto evidente, che abbiamo sfiorato, rappresentato d'allargamento del conflitto all'intera zona: basti pensare ad un possibile, eventuale coinvolgimento di Siria ed Iran che avrebbe potuto portare ad una situazione di guerra senza precedenti.
Come raramente è successo, occorre riconoscerlo, vi è stata, però, un'azione internazionale positiva e non un'azione di parte che avrebbe rappresentato un grave errore. La criticata equidistanza aveva un significato assolutamente pregnante, cioè quello, mentre c'era una guerra, di non dare l'impressione di parteggiare per una parte ma chiedere la tregua, equidistanti da quello scontro proprio per favorire tale soluzione.
Occorre riconoscere, anche se comprendo le polemiche parlamentari, il ruolo positivo ricoperto dal Governo italiano, svolto con grande tempestività; anche stamattina ho sentito criticare questa tempestività, ma è stata proprio quest'ultima a fermare quella guerra. Ogni giorno che passava vi erano centinaia di morti: come si può sostenere che vi è stata fretta? Vi è stata fretta nel chiedere l'intervento dell'ONU? Vi è stata fretta nello svolgere un'azione diplomatica verso Israele e il Libano? Dobbiamo rammaricarci di non essere riusciti ad attivarci prima, non che vi è stata fretta. Vi è stata, invece, una grande tempestività ed io credo che questo vada riconosciuto, così come va riconosciuta l'urgenza dell'intervento proprio per evitare un allargamento del conflitto che, purtroppo, era nell'aria.
È stato grazie a quella tempestività (che in quest'aula viene chiamata fretta) che l'Europa si è ritagliata un ruolo da protagonista arrivando così, in tempi abbastanza rapidi - anche se non soddisfacenti - alla risoluzione n. 1701 che l'Italia, assieme ad altri paesi europei, ha indubbiamente favorito e determinato.
La presenza della missione dell'ONU può e deve lavorare in più versanti. Prima di tutto bisogna sgombrare il campo da equivoci poiché anch'io credo che essa possa servire alla sicurezza di Israele, la quale - di ciò ne è testimonianza tutta l'ultima fase storica di questo paese - può essere favorita molto di più da una presenza d'interposizione internazionale che non dalla logica della risposta militare messa, purtroppo, in atto da Israele in quest'ultima fase e che tante volte ha determinato danni, morti, distruzioni anche in questo paese.
Vi è poi la questione del Libano. Occorre certo aiutare e favorire la ricostruzione di questo paese. Sono molto d'accordo con coloro i quali hanno sottolineato il ruolo importante che deve svolgere l'Europa - e con essa ovviamente l'Italia - nel lavoro di cooperazione. Si può fare molto e vi è anche la disponibilità a recepire la necessità di compiere un lavoro di cooperazione. Occorre favorire la riconquista di una stabilità del governo libanese. È inutile fare polemica con Hezbollah, che voi sapete sta al governo di quel paese in virtù di un consenso popolare.
Ora, la stabilità del governo libanese ed un arricchito ruolo del presidente Siniora possono ridurre i condizionamenti delle ali più estreme. Questa è la politica: è ovvio che, in una situazione di conflitto e di guerra, sarà proprio Hezbollah a capitalizzare quel tipo di conflitto, oltre al consenso; non sarà così, invece, se si determineranno le condizioni di una stabilità. Quest'ultima è una condizione importante per trasformare la tregua determinata dalla risoluzione dell'ONU in un vero e proprio processo di pace duraturo e capace di portare relazioni stabili e normali tra il Libano e Israele.
Così come una pace stabile tra questi due Stati può anche consentire di affrontare in modo diverso la questione delle questioni in quella zona del mondo nello scenario mediorientale, cioè il conflitto israelo-palestinese. Ho particolarmente apprezzato che il ministro degli esteri, nell'intensa attività diplomatica sulla questione libanese, non abbia mai dimenticato


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di porre la propria attenzione anche a quanto avveniva nella striscia di Gaza e nei territori palestinesi, auspicando - così diceva il ministro D'Alema - un intervento delle istituzioni internazionali anche in questo contesto. Riprendo questo aspetto e faccio un appello al Governo, pregando il sottosegretario Intini di trasmettere al ministro D'Alema la sottolineatura positiva di quanto fatto in quella fase, ma anche la considerazione di quanto sia necessario fare adesso: non ritenere di avere raggiunto l'obiettivo con la missione in Libano, ma aprire una fase di attenzione estrema verso il conflitto israelo-palestinese.
È qui che dobbiamo adesso concentrare l'attenzione puntando ad una soluzione di quel conflitto. In particolare, in queste ore e in questi giorni sarebbe auspicabile un contributo internazionale perché si determini davvero un governo unitario delle forze palestinesi in grado di favorire, con il riconoscimento del diritto di Israele ai propri territori, il processo che porti a due popoli e a due Stati.
Vi è infine un punto che non va dimenticato: la missione in Libano è voluta dall'ONU ed è diretta conseguenza della risoluzione n. 1701; vede un consenso internazionale senza precedenti e, dunque, in essa trova applicazione reale - e non di parte - il multilateralismo. Non v'è dubbio che si tratta di una situazione diversa dalle altre e che c'è un ritorno al protagonismo dell'ONU che credo l'intero Parlamento debba favorire, al di là delle polemiche contingenti, delle perplessità e dei dubbi. Vi è un ritrovato protagonismo dell'ONU che può rilanciare su nuove basi il ruolo delle Nazioni Unite che, obiettivamente, era parso molto sfocato negli ultimi anni. Esso è un nuovo protagonismo che lascia ben sperare sulla soluzione di tanti conflitti ancora aperti sullo scacchiere internazionale. Io sono - e concludo Presidente - tra quei parlamentari che hanno sempre votato contro la missione in Iraq e voto invece con convinzione la missione in Libano.
Ci si è chiesti, anche questa mattina, in quest'aula, come possa avvenire questo: io credo che, se ragioniamo sui diversi contesti in cui hanno avuto corso le due missioni, lo possiamo capire.
Cerchiamo di essere seri su questioni del genere. Non si è favorevoli o contrari ad una missione militare in quanto tale o per principio. In Iraq, la presenza militare era conseguenza di una guerra voluta dagli Stati Uniti e non condivisa dall'ONU, che solo successivamente è intervenuta nella questione. In Libano ci troviamo di fronte ad una missione dell'ONU che vuole interrompere una guerra e, perciò, si tratta di una missione di pace. Per questo motivo, chi era contrario alla missione in Iraq è favorevole alla missione in Libano (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, al collega che è intervenuto poco fa è dovuto ogni rispetto. Però, vorrei commentare il suo intervento, dicendo che sono stufo di ascoltare ipocrisie. È ipocrisia anche non rendersi conto della realtà e, secondo me, lo è anche trasformare le situazioni, magari anche a suo o a mio vantaggio. Il Corriere della Sera di questa mattina riporta, in prima pagina, un occhiello che recita: «Scarso coordinamento, burocrazia, resistenze: sul New York Times i malumori degli italiani» e un titolo che recita: «Libano, ostacoli e ritardi frenano la missione». Possiamo interpretare questa missione di pace come vogliamo - ed è sicuramente una missione di pace - ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà, altrimenti cadiamo nella ipocrisia ed anche nelle diatribe politiche, che non fanno il bene né dei nostri soldati che sono in questo momento in Libano, né di questa missione. Quest'ultima, che è nata, posso anche dire, positivamente per consolidare una tregua, è nata con il piede sbagliato e rischia, andando avanti, di continuare con il piede sbagliato. Dio non voglia che ci andiamo a infilare in una situazione peggiore, ben peggiore, di quella dell'Iraq.
Apprendiamo dal giornale di oggi che gli italiani sono in Libano, ormai, da dieci


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giorni ma ancora non hanno una base. Apprendiamo - ma non c'era bisogno di leggere il Corriere della Sera - che non c'è, per ora, alcuna collaborazione con l'esercito libanese, che dovrebbe essere sul territorio, e, secondo l'affermazione di un ufficiale italiano riportata tra virgolette, ci sono molti equivoci su quello che stiamo facendo. Questo è il punto fondamentale. Pur essendo partiti con la massima buona volontà -, e, ovviamente, anche per far vedere che il Governo è particolarmente attivo dal punto di vista della politica internazionale -, noi siamo in Libano senza avere le idee chiare su che cosa dobbiamo fare. Cerchiamo di essere obiettivi e conseguenti. Ci troviamo in Libano per cercare di mantenere una tregua. Ci sono due parti: gli israeliani e gli hezbollah. Giustamente, il collega dell'Ulivo affermava che l'azione degli hezbollah dei mesi scorsi è stata sconsiderata e che la reazione degli israeliani, sempre secondo il collega dell'Ulivo, è stata esagerata. Non sta a me commentare. Sta di fatto, però, che gli israeliani si stanno ritirando e, quindi, non ci saranno più due parti in causa ma soltanto gli hezbollah; tant'è vero che gli israeliani erano già usciti da quella parte del Libano alcuni anni fa e non avrebbero avuto alcuna intenzione di tornarci se non avessero tirato loro addosso alcuni razzi.
Ma andiamo avanti. Il nostro problema è il rapporto con gli hezbollah. Sempre il Corriere della Sera di oggi riferisce - tra virgolette, quindi devo pensare che ciò sia corretto - che, tre giorni fa, parlando alla sua gente radunata alla periferia di Beirut, il leader degli hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva detto chiaro e tondo che le truppe internazionali sono le benvenute solo fino a quando non cercheranno di disarmare gli hezbollah. Inoltre, egli aveva messo il dito su quella che, secondo lui, è l'ambiguità di fondo della missione, sostenendo di non aver sentito dire, da nessuno dei paesi che fanno parte dell'UNIFIL, di aver inviato i soldati per difendere il Libano e i libanesi. Ha aggiunto che questi paesi si devono vergognare di dire che sono in Libano per la difesa di quest'ultimo quando dicono di voler difendere Israele.
Se la parte in causa presente sul terreno, ovvero gli hezbollah, si comporta bene, cioè non attacca Israele, non si arma e non dà fastidio, questa diviene la più tranquilla tra le missioni di pace, perché non esistono due parti in causa ma ce n'è soltanto una; in tal modo, penso che i nostri soldati avranno un compito agevole. Ma il fatto stesso che si inviino quindicimila militari su un confine di 50 chilometri, alla media di trecento militari per chilometro, cioè uno ogni 3 metri, significa che la situazione non è affatto tranquilla, significa che gli hezbollah non hanno deciso di disarmarsi e si teme che questi ultimi, con i loro amici - sapete bene chi sono - in futuro tenteranno nuovamente di armarsi. Allora, come contingente italiano, che cosa faremo? Che decisioni si devono prendere? Che cosa faremo? Li disarmeremo oppure no? Non è compito nostro, è stato detto dal potere politico, ma devono pensarci i libanesi. Signori, questa è ipocrisia. Denuncio che questa è ipocrisia perché Hezbollah fa parte dell'esercito libanese. Non tutto l'esercito libanese è composto da hezbollah ma che essi facciano parte del campo economico, militare e, soprattutto, politico è una realtà che tutti conoscono ed è pacifica. Non ho mai capito come potrebbe essere disarmata una brigata italiana dai comandanti dell'esercito italiano. Mi sembra abbastanza difficile.
Questo è l'equivoco di fondo di una missione in cui non ci sono degli ordini chiari. Al di là degli scopi, al di là della buona volontà, al di là della speranza che tutto vada per il meglio, esprimo molto scetticismo sugli ordini sul campo di questa missione, sulla quale si può benissimo essere d'accordo. Io ritengo che sia giusto e doveroso che l'Italia, che è una potenza, almeno nel Mediterraneo, che deve essere testimone e avere una sua politica, sia presente in quest'area, ed è necessario che ci vada per tutelare, in prospettiva, anche il rapporto tra israeliani e palestinesi. Sono d'accordo su questo, ma che si faccia con delle regole di ingaggio certe. Infatti,


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Dio non voglia che ci sia un riarmo degli hezbollah, che cosa facciamo? Su questo aspetto da parte del Governo vorrei dei chiarimenti: non può limitarsi a dire che vedremo cosa succederà. Quando si spara e ci si trova in mezzo, bisogna potersi difendere.
Vi è un'altra ipocrisia da parte della sinistra: sono stufo di ascoltare dichiarazioni di un certo tipo sull'Afghanistan. Penso sia doveroso il ricordo del nostro caduto di oggi e mi chiedo se sia stato sufficientemente armato, se sia stato sufficientemente difeso e se il nostro contingente, in una situazione che sta diventando sempre più drammatica e difficile, come affermano tutti gli osservatori internazionali da mesi, sia sufficiente e sufficientemente tutelato specialmente dal punto di vista aereo.
Stavo parlando dell'ipocrisia sulle missioni di pace: ricordo a lor signori colleghi parlamentari che la risoluzione n. 1511 dell'ONU, mesi dopo la guerra fatta da Bush all'Iraq, approvata dalla riunione dell'ONU n. 4844 il 16 ottobre 2003 dava mandato a dare «il proprio contributo per la realizzazione della risoluzione n. 1483, ovvero a permettere la costruzione di un Governo stabile scelto dalla popolazione e riconosciuto dall'autorità internazionale». Inoltre si autorizzava «la presenza di una forza multinazionale anche sotto forma di contingenti militari, che potrà prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq».
Noi non siamo stati una potenza aggressiva in Iraq. Noi siamo andati con un mandato dell'ONU, rispettando le regole dell'ONU.
Quindi, si deve avere il coraggio di dirlo e lo stesso discorso vale per l'Afghanistan, perlomeno in parte, visto che la situazione in Afghanistan è più complessa e obiettivamente ci sono scenari diversi. Non si dica che quella non era una missione di pace, perché anche quella lo era. Noi siamo andati lì e abbiamo fatto il nostro dovere come italiani, non certo a livello personale. Quel «nostro» può sembrare anche irriguardoso nei confronti di chi è stato sul campo. Abbiamo cercato anche, come è successo la settimana scorsa, di restituire una provincia pacificata; gli italiani, quindi, hanno fatto anche delle cose egregie, che non avevano nulla a che vedere con la copertura militare di una zona.
Proceda quindi la missione in Libano - mi sembra che sia doveroso, per una media potenza come l'Italia -, ma si affrontino questi problemi senza ipocrisia e, soprattutto, dando ordini chiari. Non c'è nulla di peggio, in un potenziale scontro, di quando i sottoposti non hanno ordini chiari dalle autorità militari e, a questo punto, anche dalle autorità politiche.
Per questo mi auguro che, da parte della Camera, ci sia un riconoscimento generale dell'utilità delle missioni italiane cui gli italiani hanno partecipato ovunque nel mondo in questi anni. Non abbiamo mai fatto missioni di guerra. Nello stesso tempo, si prenda atto che, ad oggi, non c'è ancora chiarezza sulla missione UNIFIL, alla quale mi auguro che l'Italia continuerà a partecipare, ma nella chiarezza degli ordini e dei comandi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30 con il prosieguo degli interventi sul complesso degli emendamenti presentati.

La seduta, sospesa alle 13,50, è ripresa alle 15,30.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Cordoni e Di Pietro sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.


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Preavviso di votazioni elettroniche.

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.

Si riprende la discussione (ore 15,32).

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 1608)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta hanno avuto inizio gli interventi sul complesso delle proposte emendative presentate.
Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, viceministro degli affari esteri Intini, il nuovo Partito Socialista e la Democrazia Cristiana voteranno a favore sulla conversione in legge del decreto che disciplina e finanzia la missione italiana in Libano.
Devo precisare che non abbiamo mai avuto dubbi a tale proposito; non ne abbiamo avuti sulla doverosità di un atto adottato in coerenza con la risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, che comporta anche per l'Italia una chiara assunzione di responsabilità. Non solo; apprezziamo il cosiddetto passaggio dall'unilateralismo al multilateralismo - la soluzione di quel contrasto che si era verificato anche tra gli Stati europei sulla partecipazione alla guerra in Iraq -, anche se non tutti i paesi che hanno approvato la citata risoluzione n. 1701 partecipano, poi, direttamente all'impresa militare.
Devo anche aggiungere che il Governo italiano, l'Italia, sullo scenario internazionale deve essere conseguente con tale atteggiamento attivo perché in alcune regioni del mondo si vanno perpetrando genocidi terrificanti. È il caso del Darfur, che cito, signor ministro degli affari esteri, perché si tratta dell'Africa ovvero di una regione per la quale la comunità internazionale può e deve assumersi una responsabilità senza altre ragioni, vere o presunte, che non siano quelle di carattere umanitario.
La risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, certo, rivela una contraddizione politica, nel senso che una precedente risoluzione dell'ONU dichiarava la necessità del disarmo degli hezbollah del Libano mentre quella attuale, la n. 1701, non attribuisce alle missioni ONU tale compito; compito che invece attribuisce - ho ascoltato a tale proposito le parole pronunciate in proposito dal ministro degli affari esteri - al Governo libanese, all'interno del quale, però, siedono alcuni ministri di Hezbollah; quindi, è un po' come attribuire a Hezbollah il compito di disarmare se stesso.
Certo, sono rimasto impressionato anch'io dalla moltitudine di popolo che ha partecipato recentemente alla manifestazione indetta per santificare Nasrallah a Beirut; sono anch'io preoccupato che la popolarità degli hezbollah in Libano, anziché decrescere, cresca a dismisura.
In questo modo, crescerebbe l'onda del conflitto mediorientale ed anche di quello tra alcuni paesi arabi, tra l'estremismo islamico e l'Occidente, che è non solo un conflitto di carattere culturale e religioso ma anche di carattere militare, come i non lontani atti di terrorismo ci ricordano.
Ritengo che il collega Ranieri abbia fatto bene, nella sua apprezzabile relazione, ad individuare con correttezza le cause del conflitto israeliano-libanese. Egli ha giustamente ricordato come la causa scatenante il conflitto sia stato l'attentato promosso dagli stessi hezbollah, che ha portato all'uccisione di tre israeliani ed alla cattura di altri due, proprio mentre il premier israeliano Olmert stava programmando il ritiro dalla Cisgiordania, dopo che il suo predecessore Sharon aveva realizzato il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, creando non pochi problemi di


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carattere personale e familiare ai numerosi coloni israeliani che la popolavano da anni.
Certo, non posso non sottolineare come l'ansia ed il dibattito intenso, determinatosi all'interno di alcune parti della maggioranza a proposito della missione in Afghanistan (la quale ha le stesse caratteristiche di quella che oggi stiamo esaminando, essendo stata promossa dall'ONU), non si siano registrati né ieri né oggi in Assemblea a proposito della missione in Libano. Anch'io mi sono chiesto quale sia la differenza tra le due missioni e perché vi sia un atteggiamento diverso da parte delle forze politiche della sinistra radicale che compongono la maggioranza. Ho trovato una sola differenza, che mi sembra sostanziale, che ha promosso una diversità di atteggiamento: manca, nella missione in Libano, la presenza degli Stati Uniti. Allora, bisognerebbe ricordare a coloro che hanno questa diversità di approccio alle missioni internazionali, a seconda che vi partecipino direttamente o meno gli Stati Uniti d'America, che l'Italia è un paese della NATO, che ha accettato il Patto atlantico, che non può - credo - «chiamarsi fuori», come ha ripetuto più volte il ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, dai suoi impegni internazionali né può giudicare la presenza del proprio alleato come una discriminante per evitare di partecipare ad azioni militari.
Vorrei che fosse ben presente, signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi deputati, che con l'11 settembre ha avuto inizio una fase storica nuova (lo ha ricordato spesso il premier britannico Tony Blair), in cui il terrorismo è diventato un pericolo di carattere globale, in cui tra le tante globalizzazioni si è verificata anche quella del fenomeno terroristico. Quindi, è giusto che ogni paese (lo ricordava Gordon Brown, il probabile successore di Blair, proprio ieri) si assuma le proprie responsabilità, a fronte della guerra che il terrorismo di stampo islamico ha scatenato nei confronti, non solo, dell'Occidente ma, in prima battuta, proprio dei Governi e delle popolazioni arabe, che sono le prime vittime delle iniziative terroristiche dell'islamismo estremo.
Non possiamo, inoltre, non ricordare che la missione italiana in Iraq (lo dico rivolgendomi ad un collega del gruppo dell'Ulivo che ha parlato prima di me) non è stata promossa al di fuori delle regole e delle disposizioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Mi chiedo anche, visto che un collega dell'Ulivo ha concluso il proprio intervento dicendo di essere a favore della missione in Libano proprio perché siamo stati contrari alla missione in Iraq, quale contrasto vi sia tra le due missioni. Io non vedo contrasti, ma trovo una contraddizione in questa affermazione, perché entrambe le missioni sono state determinate da risoluzioni delle Nazioni Unite.
Penso sia un fatto importante che il Parlamento della Repubblica italiana nel suo complesso abbia trovato un punto di intesa in ordine a tale missione, anche se nessuno è vergine rispetto alle missioni internazionali svolte al di fuori delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Non solo la guerra in Iraq si è svolta al di fuori del contesto delle Nazioni Unite con un atto unilaterale degli Stati Uniti d'America e della Gran Bretagna, ma anche la guerra in Kosovo, peraltro accettata ed in qualche misura promossa da un Governo di centrosinistra, si svolse nell'ambito dell'organizzazione della NATO e non delle Nazioni Unite.
Nessuno a tale riguardo è vergine ed è bene che si evitino espressioni del tipo «svolta storica» o frasi del tipo «finalmente la parola è stata restituita alla politica», come se prima vi fosse stata una terra di nessuno o vi fossero stati al Governo di questo paese i guerrafondai! Non mi sembra francamente giusto.
Credo che dobbiamo evitare anche una certa retorica patriottica che è risuonata in qualche dichiarazione giornalistica da parte di qualche ministro, non dell'onorevole D'Alema, devo dire la verità, ma di altri ministri ed anche del Presidente del Consiglio, che ricordava, a me che mi occupo di storia, una vecchia frase del poeta Giovanni Pascoli nel 1911, a proposito


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della guerra in Libia, del seguente tenore: «Finalmente la grande proletaria si è mossa».
Evitiamo frasi del tipo: «svolta storica» o «ruolo determinante dell'Italia nella regione mediorientale»; evitiamo insomma quella retorica che ci spinge a non vedere, invece, i rischi reali della missione con l'alto numero di soldati che inviamo in questa terra di guerra. I rischi sono certamente alti, ma non meno alti rispetto a quelli paventati in ordine ad altre missioni che, pure, sono state contrastate da una parte della sinistra italiana.
Vorrei ricordare anche i tanti soldati che partecipano alla missione, spendendo parole di apprezzamento e di fraterna solidarietà per tutti i militari italiani impiegati in Libano, una solidarietà che estendo a coloro che sono impiegati in tutte le missioni di pace nel mondo, ovunque essi siano (dobbiamo ricordare che l'Italia, al di là dei diversi Governi che si sono succeduti, ha impiegato e sta impiegando nel mondo diverse migliaia di militari, nessuno dei quali in azioni di guerra, ma tutti impegnati in azioni di pace) ed a tutte le missioni italiane cui credo vada data la solidarietà del Parlamento e della Repubblica italiana.
Per concludere, vorrei esprimere una considerazione sul conflitto religioso del quale abbiamo preso atto, leggendo attentamente i giornali ed ascoltando la televisione.
Tale conflitto va evitato. Ha fatto bene il Pontefice ad assumere un ruolo di continuità con il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ribadendo la volontà della Chiesa cattolica a promuovere il dialogo con le altre religioni. La Chiesa cattolica oggi mi pare sempre di più attestata su una posizione di massima laicità e di rispetto per tutte le religioni e le opinioni.
Questo alto ruolo di laicità, di libertà e di tolleranza non si respira allo stesso modo in quella parte del mondo, soprattutto in alcuni paesi arabi ed in certi movimenti religiosi integralisti. Mi viene in mente - lo dico come laico, come socialista e liberale - una bella frase di Turati. In un congresso del 1912, a proposito di una frazione a lui ostile, disse: «Noi apparteniamo ad un'eresia e dobbiamo comprendere tutte le eresie». Noi apparteniamo ad una cultura liberale: dobbiamo esaltarla e difenderla a fronte di attacchi ispirati ad una cieca intolleranza!
Signor Presidente, preannunziando l'espressione del voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge in esame, partecipiamo con piacere a questo atto di unione della Camera dei deputati, ma non rinunciamo a sottolineare le nostre opinioni su questa missione e sulle altre che l'hanno preceduta (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto vorrei esprimere, anche a nome del gruppo dell'Ulivo, il cordoglio per la morte del caporal maggiore Giorgio Langella. È la quinta vittima tra i militari italiani in missione in Afghanistan. Credo che alla sua memoria dobbiamo inchinarci reverenti, così come dobbiamo fare gli auguri agli altri militari feriti; tra essi (lo dico anche per la parte che, a suo tempo, ebbe la Commissione difesa in questa vicenda) anche una donna, Pamela Rendina, caporale degli alpini. A questi feriti inviamo i migliori auguri.
L'incidente in Afghanistan sembra sia avvenuto a 10 chilometri da Kabul, attraverso l'esplosione di un ordigno telecomandato, anche se rudimentale. Il fatto che l'episodio sia accaduto a 10 chilometri da Kabul credo debba indurci a riflettere sui troppi gridi, un po' prematuri, di «missione compiuta», che abbiamo ascoltato in questi anni.
La situazione è grave, è difficile e anche per questo l'Italia si impegna con tutte le sue forze per arrivare ad una situazione di pace.
Vedete, onorevoli colleghi, in fondo potremmo dirci soddisfatti di un dato: molti avevano pronosticato la politica estera come il terreno sul quale la maggioranza


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avrebbe trovato le sue più grandi difficoltà e quello che sta avvenendo in queste ore lo smentisce. Non spetta certamente a me esprimere ciò che pensano le forze alla nostra sinistra, ma vorrei dire al caro compagno e amico Del Bue che per Rifondazione comunista, per i Comunisti italiani e per le altre forze politiche non si tratta tanto di un problema di assenza degli americani. Essi commisurano il loro voto favorevole al fatto che tali truppe hanno il casco blu, che siano con l'ONU.
Ciò non significa che non abbiamo avuto altre posizioni su altre missioni, ma credo occorra sottolineare che le espressioni a favore di un impegno dell'ONU da parte delle forze di maggioranza non sono state espressioni retoriche, espressioni cartacee, ma sono espressioni suffragate da un impegno chiaro e netto. Ma noi non ci accontentiamo di questo. Il mio appello in quest'aula è perché anche in occasione di questo voto vi sia lo spirito del 18 agosto.
Ricordiamoci che le nostre Commissioni riunite difesa ed esteri votarono una risoluzione di sostegno all'ONU che prevedeva la possibilità di una missione, quando ancora non si erano verificati una serie di fatti positivi, ossia l'impegno massiccio di paesi europei e, in particolare, della Francia, l'impegno della Cina di inviare mille uomini, l'impegno della Turchia per mille uomini, l'impegno della Germania di mandare un forte assetto di carattere navale e di sostegno infrastrutturale. Se noi, il 18 agosto, pure in mancanza di questi risultati così chiari e così precisi, votammo quasi all'unanimità a favore dell'impegno per la missione, credo che sarebbe del tutto incongruo, ma non credo infatti che avverrà, che oggi ci dividessimo nel momento in cui invece la missione si dimostra supportata ed effettivamente capace di coinvolgere i paesi europei e forze di paesi musulmani, come gli effettivi della Turchia.
Noi diciamo questo per sottolineare come la posizione del 18 agosto sia stata coraggiosa. L'Italia non aveva, allora, la sensazione o la nozione o la certezza che la sua posizione a favore dell'ONU e di un forte contingente europeo sarebbe stata effettivamente seguita, ma il fatto che l'Italia allora si pronunciò rese possibile l'azione francese che, a sua volta, dichiarò che avrebbe potuto incrementare sostanzialmente il contingente, se anche altri paesi europei lo avessero fatto. Quella riunione del Consiglio europeo, insieme al Segretario generale delle Nazione Unite, certamente ha rianimato le Nazioni Unite, ma ha creato un positivo trasfert tra Nazioni Unite ed Europa, che era quello che ci aspettavamo, a sua volta rianimando anche la volontà politica dell'Europa, pur senza istituzioni adeguate, che è quella per la quale ci battiamo.
Quindi, il mio appello è che lo stesso spirito che ci portò a votare quasi all'unanimità il 18 agosto, tanto più sia presente in quest'aula, e lo sia al momento del voto.
Certo, non significa che le forze dell'opposizione non debbano svolgere il loro ruolo per quanto riguarda i contenuti, le modalità, i metodi della missione che poi, diciamo la verità, interessano a tutti.
Chi come me era in quest'aula quando decidemmo di mandare 800 soldati effettivi in Libano al comando del generale Angioni - missione alla quale rivolgo un saluto - e oggi sa che, a distanza di anni, dobbiamo mandarne 3 mila, credo si possa rendere conto della drammaticità della situazione. Non vorrei però che si mettesse in dubbio un atteggiamento italiano che invece rappresenta una forza.
Qualcuno dice che l'atteggiamento italiano è ambiguo, a causa del disarmo di Hezbollah e di altri fattori, ma, attenzione, credo che il fatto che la presenza italiana sia stata salutata positivamente sia da Israele che dal Governo libanese e dalle forze libanesi rappresenti una forza. Il fatto di essere accettati, anzi di essere fortemente supportati da ambedue i protagonisti della vicenda è, per la presenza italiana, per la presenza dell'ONU e dell'UNIFIL rafforzato, un elemento di grande forza e di grande sostegno, al quale credo dovremmo guardare in maniera positiva.
Del resto, chi vi parla ha avuto l'onore di rappresentare, come osservatore, il Parlamento italiano alla recente Assemblea


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generale delle Nazioni Unite; posso essere quindi testimone - e ne vorrei veramente fare partecipe l'aula - che questa posizione assunta dall'Italia di forte e determinante partecipazione nel Libano ha avuto i suoi effetti anche in sede ONU, sia per il contributo che l'ONU e il segretario generale Kofi Annan hanno potuto portare nell'Assemblea generale, sia dal punto di vista della considerazione che l'Italia ha ricevuto, in pubblico e nelle riunioni di contorno.
Nella scorsa legislatura, ci eravamo fortemente lamentati e ci eravamo alzati più volte da questi banchi chiedendo come fosse possibile che l'Italia, con le sue tradizioni di rapporti politici, economici e culturali, anche recenti, con l'Iran, fosse esclusa dalla troika europea, che cercava di avviare trattative sul nucleare iraniano.
Bene, non è che un primo segnale, naturalmente, ma il fatto che ai margini dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite si sia svolto un incontro informale sul tema Iran e Medio Oriente, in cui non c'erano più come prima solo i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU allargati alla Germania, ma anche l'Italia, nella persona del ministro degli esteri Massimo D'Alema - naturalmente, l'augurio è che questo tipo di riunioni si consolidino e si ripetano - , non è un risultato da poco. Direi che è un momento importante contro quella tendenza che sembrava affermarsi in Europa, anche per le vicende della riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella quale sembrava che tre paesi si riconoscessero l'un l'altro come importanti - Gran Bretagna, Francia e Germania -, mettendo gli altri oggettivamente in una posizione secondaria. Non si sarebbe giunti a questo risultato se non fossimo giunti alle nostre decisioni sulla partecipazione in Libano.
Ma noi non intendiamo avere una gestione egoista, di maggioranza; siamo i primi a voler sollecitare il consenso e il concorso della gran parte di quest'aula, che diano forza, responsabilità e solidità alla volontà di pace del popolo italiano e alla sua capacità di impegnarsi e di sacrificarsi per la pace.
Vorrei rispondere ai colleghi della Lega nord solamente su un punto. Si sostiene che questa missione costa molto e che a noi non ce ne dovrebbe importare. Conosciamo benissimo, dopo l'esperienza in Iraq e in Afghanistan, l'insufficienza dello strumento militare per fronteggiare le insidie del fondamentalismo e le minacce alla pace che vengono da quella parte, e sappiamo tutti che occorre mettere in moto un processo di pace; vorrei vedere chi lo nega e vorrei vedere chi nega che ormai il problema della pace nel Medio Oriente, con le tensioni religiose e politiche che ne conseguono, ormai riguarda tutti i paesi europei (e noi fra questi).
Da questo punto di vista, è certo un sacrificio, compiuto per di più alla vigilia di una legge finanziaria difficile e complicata per la situazione pregressa, ma credo che sia un grande atto di responsabilità per la pace, anche per i problemi che ci riguardano, perché l'avvenire della pace nel Mediterraneo riguarda la nostra convivenza, il nostro paese, il nostro presente e il nostro futuro.
Certo, la missione non è facile, soprattutto per un punto, che conosciamo tutti, ma che è bene ribadire. Noi non andiamo a garantire una pace, il rispetto di un trattato di pace già stilato; noi andiamo a garantire un «cessate il fuoco», che potrebbe avere un'evoluzione positiva verso una pace vera e propria oppure - Dio non voglia! - anche uno sviluppo negativo. Sappiamo molto bene questo; noi andiamo a garantire un «cessate il fuoco» e, quindi, in questo modo, a creare le condizioni perché si arrivi ad un processo di pace vero e proprio, non a garantire una pace già raggiunta.
Tuttavia, anche se il ministro della difesa non ha potuto naturalmente spingersi oltre, a causa delle evidenti ragioni di riservatezza che ogni istruzione impartita ad un contingente militare comporta (e vorrei rimarcare che chiunque si sia occupato un po' di tali problemi sa bene che esiste una sfera di sicurezza che non può


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essere oltrepassata), sento di poter affermare che, dalle istruzioni che abbiamo potuto esaminare, non ci troviamo in una situazione simile a quella verificatasi a Srebrenica. Vorrei osservare, in altri termini, che non siamo in presenza di un contingente dell'ONU che non è in grado di reagire, ove necessario, ad atti di violenza.
Certo, se qualcuno pensava che il contingente delle Nazioni Unite si potesse sostituire all'esercito israeliano, questo qualcuno ha evidentemente sbagliato i suoi calcoli; tuttavia, credo che questo qualcuno si sbagli anche se pensa che vi sarà una presenza puramente passiva. Ritengo, infatti, che vi siano le condizioni affinché tale presenza - e, naturalmente, sollecitiamo anche l'afflusso degli altri contingenti - possa risultare veramente significativa.
D'altro canto, a chi giustamente vorrebbe di più vorrei rispondere che sarebbe il caso di porci alcuni interrogativi. Da quanti anni, infatti, l'esercito libanese non si era attestato alle frontiere meridionali di quel paese, visto che lo Stato di Israele si trova a fronteggiare direttamente gli hezbollah? Erano circa trent'anni. Da quanto tempo, inoltre, Israele non accettava l'idea della presenza (sia pure alle frontiere libanesi) di un corpo internazionale? Vorrei rilevare che anche questa è una novità. Oggi, infatti, non vi è più un impatto diretto tra Israele ed Hezbollah, ma è presente l'esercito libanese e vi è una missione UNIFIL rafforzata.
Ciò di per sé, naturalmente, non offre garanzie assolute rispetto ad un'evoluzione positiva della situazione. Ecco perché la missione è sicuramente rischiosa e, soprattutto, richiede che, nel tentare di creare le condizioni opportune per garantire la pace, lo sforzo politico non conosca alcun momento di stasi.
Per quanto riguarda il confine israeliano-libanese, vorrei osservare che si tratta chiaramente di un problema triangolare, poiché investe anche la Siria. Vorrei ricordare, infatti, che la vicenda delle fattorie di Shebaa fu complicata da rivendicazioni plurime. Pertanto, esiste in tal senso un problema che deve essere affrontato.
D'altra parte, vorrei rilevare che è necessario che si formi un Governo di unità nazionale palestinese in grado di dialogare con l'Esecutivo israeliano. Sappiamo infatti tutti che, nelle condizioni attuali, la situazione di Gaza è esplosiva; del resto, lo stesso Presidente Bush, intervenendo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è messo nei panni di un ragazzo di 20 o 22 anni che si trovasse in quelle condizioni e senza alcuna speranza (anche se poi ha addossato la colpa ad altri). Noi avremmo forse sviluppato un'analisi diversa, tuttavia credo che conosciamo tutti la situazione esplosiva che si verifica in tali condizioni.
Oggi mi sembra che l'Italia sia in grado di parlare autorevolmente a entrambe le due parti in conflitto. Ricordo che sono state svolte bellissime relazioni da parte degli onorevoli Ranieri e Pinotti, ed ho altresì letto, grazie agli atti parlamentari, la replica svolta dal viceministro degli affari esteri Intini. Ebbene, tali interventi riferiscono che siamo estremamente impegnati, da un lato, nel garantire la sicurezza dello Stato di Israele.

PRESIDENTE. La prego di concludere...

VALDO SPINI. Vorrei infatti rimarcare che Israele non dovrà oltrepassare il confine libanese, poiché siamo in grado di tutelare tale Stato.
Dall'altro lato, sappiamo che si tratta della volta decisiva. Non ci sono concesse, infatti, ulteriori prove o dilazioni temporali per realizzare la formula «due popoli, due Stati», poiché solo riconoscendo l'entità palestinese sarà possibile garantire la pacifica convivenza in quell'area.
L'Italia può recitare un ruolo importante rispetto a tale questione. Anche se non è l'unica volta nella storia che lo fa, ritengo estremamente positivo poter riconfermare gli aspetti positivi della politica estera condotta in passato dall'Italia.
Se saremo in grado di esprimere, con un largo schieramento, un voto all'altezza


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di una situazione che richiede un così grande impegno ed una notevole responsabilità, allora credo che l'Italia farà una scelta importante per invertire il corso degli eventi che oggi ci preoccupano, nonché per favorire la pace e la cooperazione in un mare Mediterraneo che ci riguarda direttamente e nell'ambito del quale le nostre stesse sorti sono indubbiamente collocate (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Germontani. Ne ha facoltà.

MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, oggi, con l'esame del presente decreto-legge, affrontiamo non soltanto il problema del finanziamento della partecipazione italiana alla missione in Libano decisa dall'ONU, ma, più in generale, tutti i temi complessi della politica mediorientale, nonché le valutazioni italiane in riferimento a quanto si è verificato negli ultimi tempi.
Nell'affrontare l'attuale dibattito, non dobbiamo dimenticare che il Libano è un'area geografica fondamentale per la pace, per l'Europa e per l'intero Medio Oriente.
Papa Benedetto XVI ieri, a Castelgandolfo, ha detto: «Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta del momento. Si tratta effettivamente di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro (...). È pertanto necessario che, fedeli agli insegnamenti delle loro rispettive tradizioni religiose, cristiani e musulmani imparino a lavorare insieme». Quindi, cooperazione ma anche reciprocità. A tale riguardo, il papa ha citato il suo predecessore Giovanni Paolo II e ha detto: «Come il Papa Giovanni Paolo II affermava nel suo memorabile discorso ai giovani a Casablanca, in Marocco, il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l'intesa tra i popoli». Come laici possiamo aggiungere che, ove si affermi la libertà religiosa, lì si affermano anche i diritti civili.
Noi di Alleanza Nazionale, nonostante vi siano numerosi elementi da approfondire e ambiguità da chiarire, abbiamo manifestato apertura e disponibilità, perché, quando l'Italia è intervenuta e si è resa protagonista di missioni militari all'estero con l'obiettivo di mantenere la pace, fornire aiuti umanitari, favorire la restituzione civile e garantire assistenza e sicurezza alle popolazioni interessate, abbiamo tradizionalmente assunto posizioni favorevoli. È questo infatti il motivo conduttore delle nostre missioni militari in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo, in Bosnia e in altre parti del mondo.
In momenti come questi, alla luce anche dei tragici fatti avvenuti oggi, crediamo di dover rivendicare la solidarietà, mai venuta a mancare e sempre riaffermata dalla destra politica italiana, verso le Forze armate; il perseguimento, anch'esso sempre riaffermato da parte della destra politica italiana, dell'interesse nazionale; la difesa dei valori dell'Occidente.
Su questo, dunque, vi è la nostra posizione di apertura. Tuttavia, già in sede di discussione in Commissione, abbiamo ritenuto di dover sottolineare alcuni problemi emersi nel corso dell'iter del decreto-legge che pensiamo non possano essere nascosti e che il presidente del nostro partito, onorevole Fini, ha autorevolmente evidenziato.
Per tale motivo, però, è vero anche che non posso sottacere una nostra impressione (già espressa da altri colleghi del gruppo cui appartengo) che intendo sottolineare nuovamente. È la strisciante sensazione che, se da una parte vi è la finalità ufficiale di stabilizzare il «cessate il fuoco», di pervenire ad una pace duratura, con l'obiettivo dichiarato dalla risoluzione ONU di giungere al disarmo di Hezbollah, dall'altra vi è quella non detta, ma voluta da alcune forze della maggioranza, intuibile e palpabile, di bloccare in questo modo Israele, di fermarlo e intimidirlo.
Vede, signor ministro degli esteri, credo che abbia colpito molto, e ancora oggi la


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ricordiamo bene, la sua passeggiata a braccetto con un parlamentare esponente di Hezbollah. Mi sembra che quella sia stata la manifestazione nei fatti e nei gesti, al di là delle parole, di convinzioni politiche più profonde, simulate ma radicate, che ci preoccupano, ma che preoccupano anche larga parte dell'opinione pubblica.
Vi è, insomma, una sorta di doppiezza che è arrivato il momento di sciogliere, perché, se da una parte vi è un manifesto desiderio, da parte del Governo e della maggioranza, che l'opposizione assuma una posizione bipartisan, sostenendo con il proprio voto in Parlamento la missione in Libano, dall'altra vi è la riaffermazione, anche arrogante, di una discontinuità della politica estera di questo Governo rispetto a quello precedente, considerato dall'attuale maggioranza «guerrafondaio», con vocazione al conflitto internazionale, nazionalista, colonialista.
Noi crediamo invece in una linea di continuità dei Governi, che - come ho detto all'inizio - devono essere legati dall'interesse nazionale, dalle alleanze con le altre nazioni, dal ruolo forte dell'Italia nel mondo.
Allora, è il momento di spiegare questa doppiezza, questa ambiguità di fondo, che manifesta la maggioranza che governa oggi l'Italia. Credo sia necessario ed importante che questi chiarimenti vengano forniti all'opposizione di centrodestra, che si è fatta guidare nelle sue scelte sempre dall'interesse nazionale. Abbiamo votato senza guardare a logiche di schieramento nel quinquennio 1996-2001, con il Governo di centrosinistra, quando eravamo all'opposizione, in favore delle missioni militari. Abbiamo votato a favore quando eravamo al Governo. Adesso, come opposizione, voteremo ancora secondo coscienza e secondo le nostre convinzioni.
In conclusione, il nostro voto sarà coerente come sempre con i sentimenti di difesa dell'Occidente e di difesa dell'interesse nazionale: sentimenti che per noi vengono prima di ogni calcolo politico (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MARIA REINA. Ritengo, per la verità, che il dibattito che oggi si è sviluppato in quest'aula sia stato molto interessante, ma per alcuni versi - mi permettano i colleghi che sono intervenuti, certamente non tutti - anche stucchevole.
Non riusciamo a liberarci da un tema di fondo che connota ormai da troppo tempo il nostro modo di concepire il rapporto con la politica estera. In un paese moderno e normale, la politica estera non può essere inventata via via che i Governi si succedono, di un colore o di un altro.
Desidero ricordare a me stesso, e se permettete anche a tutti voi, che la politica estera dell'Unione Sovietica perseguì esattamente gli stessi obiettivi dell'Impero zarista, con la sola differenza che alcuni di tali obiettivi riuscì, a differenza del Governo degli zar, a concluderli, a realizzarli. Così è accaduto nella storia per tutti gli altri paesi che hanno segnato un marchio con il loro ruolo sul piano internazionale.
Non sono tra coloro che sostengono questo Governo, tuttavia ritengo che l'azione che esso ha svolto in questa circostanza, a partire dal suo ministro degli affari esteri, sia stata un'azione appropriata, diligente, conducente, sicuramente allineata alla tradizione della politica estera italiana. Mi riferisco in particolar modo a quella che si è espressa dal dopoguerra in poi, fino ai nostri giorni. La verità è che, a fronte di questioni così importanti, come quella della missione UNIFIL, non ci può essere una divisione vera all'interno del Parlamento. Tutti siamo perfettamente consapevoli della delicatezza e dell'importanza di questa missione e di questa iniziativa. Non abbiamo quindi a mio parere il diritto di attardarci nel definire più o meno giusta, conducente e corretta questa missione, rispetto ad altre che sono state condotte dal precedente Governo o dal Governo precedente ancora.
Rispetto a questo, dobbiamo solo valutare che il nostro paese conduca la propria


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presenza sullo scenario nel quale è impegnato con quella dignità e quella compostezza che gli è propria, negli interessi supremi non solo della nazione, ma soprattutto della pace, che è l'obiettivo fondamentale al quale tutti dobbiamo tendere. È inutile, qui, rivangare i torti o le ragioni dei palestinesi o dello Stato ebraico.
Sappiamo tutti che esiste uno Stato ebraico messo in discussione dal popolo arabo nel suo complesso, ma sappiamo anche che esiste una nazione palestinese che agogna ad essere riconosciuta come Stato. Senza il contemporaneo riconoscimento di questi due elementi, non saremo in grado di dettare parole di pace o di assumere iniziative che siano realmente conducenti sullo scenario rispetto al quale in questo momento siamo interessati e si pone la nostra attenzione.
Il nostro augurio è che in Libano si cominci a misurare un nuovo e diverso approccio della comunità internazionale rispetto al tema del Medio Oriente. Tale tema non si ferma solo al dualismo tra ebrei e palestinesi, ma investe anche il ruolo che dal dopoguerra ad oggi hanno avuto gli Stati Uniti nel mondo ed anche il ruolo che l'Europa ora deve pretendere di avere ed esercitare rispetto alle mutate condizioni storiche nelle quali ci troviamo.
Il Parlamento, quindi, deve riconoscersi in una dimensione (in una percezione delle problematiche che abbiamo in campo) di stampo realmente contemporaneo ed europeista.
I tempi della guerra fredda sono finiti, abbiamo il dovere di misurare la nostra capacità non solo di essere i rappresentanti di un popolo sovrano, ma di esprimere un disegno obiettivo che costituisca una strategia di sviluppo della pace e dell'economia, nella sicurezza dei popoli. Per fare questo, occorre misurarsi con impegno e non dividersi ancora sulle vecchie questioni. Anche per questo apprezzo l'intervento svolto ieri dal viceministro degli affari esteri Ugo Intini il quale, rispetto alle tematiche trattate, ha osservato che la missione in Libano si iscrive in un contesto di continuità storica della politica estera italiana.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 16,15)

GIUSEPPE MARIA REINA. Mi piace osservare questo, ci piace osservare questo, e riteniamo che in questo e in questa fase il Governo sia opportunamente e seriamente impegnato.
Occorre che anche il Parlamento segua questa strada e approfondisca le questioni sotto gli altri aspetti a cui noi abbiamo in qualche modo accennato.
Dobbiamo liberarci, quindi, dalla sindrome di soggezione che abbiamo nei confronti di un popolo, di una nazione che è stata importante per lo sviluppo della democrazia nel nostro paese e nel mondo; in ogni caso, ciò non può costituire, sempre e comunque, il parametro di riferimento per stare pro o contro qualcosa. L'Europa ha il diritto e il dovere, soprattutto rispetto a uno scacchiere connesso territorialmente alla sua stessa esistenza, di dire qualcosa di nuovo, di autentico e, consentiteci, di autonomo rispetto a quanto accade nell'intero mondo.
Ci auguriamo, quindi, che la politica estera continui ad essere rispettosa di quelle direttrici che gli autorevoli padri della nostra Costituzione e i Governi che si sono succeduti nella prima parte della nostra Repubblica ci hanno indicato e rispetto alle quali noi notiamo oggi, lo ribadisco con piacere, una continuità di azione che deve evolversi naturalmente in forme ed in modi molto diversi. Per questa ragione, naturalmente, siamo favorevoli a queste iniziative, anche se non ci taciamo tutte le difficoltà, le preoccupazioni espresse con toni e modi diversi dall'una e dall'altra parte, sia nel corso del dibattito parlamentare sia nelle altre circostanze di confronto che si sono sviluppate nel paese.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito i relatori ad esprimere il parere delle Commissioni.


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ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, le Commissioni esprimono parere contrario sull'emendamento Bricolo 2.1 e raccomandano l'approvazione dell'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni. L'articolo aggiuntivo Scotto 4.01 e l'emendamento Bricolo 5.1 sono stati ritirati.

PRESIDENTE. Il Governo?

MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Nell'esprimere il parere sugli emendamenti presentati, che è conforme a quello del relatore, vorrei cogliere l'occasione per svolgere alcune considerazioni che riprendono taluni temi proposti nel corso dell'illustrazione degli emendamenti stessi da parte di numerosi colleghi deputati. Dico questo innanzitutto per interloquire in una discussione che si è svolta in modo molto sereno e molto costruttivo; penso che questo clima parlamentare sia utile perché la missione di cui stiamo discutendo oggi - e che ha preso avvio nel Libano - è difficile, importante e rischiosa. In questa missione il nostro paese è esposto in modo rilevante non soltanto per la consistenza dell'impegno militare, ma anche perché l'Italia è stata tra i paesi che hanno voluto e promosso la missione ed è il paese che ne assumerà la guida, da qui a qualche mese, quando scadrà il comando UNIFIL del generale Alain Pellegrini.
Dunque, tutte queste ragioni sottolineano quanto è importante che intorno a questo impegno dell'Italia vi sia la più larga partecipazione e consenso del Parlamento del paese e, naturalmente, anche - come diversi colleghi hanno detto - quella legittima vigilanza del Parlamento circa il modo in cui la missione si svolgerà e le scelte che via via saranno necessarie.
Voglio tornare a dire che l'iniziativa italiana che si è svolta e sviluppata nel corso degli ultimi mesi di fronte alla guerra nel Libano, innanzitutto con la Conferenza di Roma del gruppo dei paesi impegnati per il sostegno alla democrazia libanese e poi nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha avuto come fine non soltanto quello di fermare il sanguinoso conflitto israelo-libanese, che rischiava di introdurre un nuovo elemento di instabilità in una regione tormentata da numerosi conflitti, ma anche quello di imprimere una svolta attraverso un impegno più diretto della comunità internazionale, delle sue istituzioni e dell'Unione europea nella regione mediorientale, allo scopo di avviare un processo di pace che complessivamente consenta di ridurre il conflitto in un'area che rimane cruciale, dato che - nella nostra convinzione - proprio il conflitto israelo-palestinese, di cui quello tra Israele e Libano è un aspetto collegato, continua a rappresentare la questione centrale di tutti i conflitti mediorientali.
Fin dall'inizio è stato chiaro che la condizione di una svolta non poteva essere quella di un ritorno allo status quo ante e che il dispiegamento di una forza militare internazionale al confine tra Libano e Israele, che funzionasse anche come prevenzione e deterrente nei confronti delle violazioni della «linea blu» e di possibili attacchi contro Israele, era la condizione perché si potesse conseguire il cessate il fuoco e, poi, la pace. Noi abbiamo mantenuto fermo con forza questo punto; lo abbiamo fatto anche quando sembrava che questa posizione fosse isolata. In verità, non lo era perché essa ha goduto sempre del sostegno, innanzitutto, del Governo libanese e, in realtà, anche del Governo israeliano, anch'esso interessato ad una stabilizzazione dell'area. Inoltre, ha goduto di un sostegno e di un incoraggiamento da parte americana, e, alla fine, di un largo consenso europeo, sottolineato dalla riunione straordinaria del Consiglio affari generali, nel mese di agosto, e dall'assunzione, da parte dell'Unione europea, nell'incontro con il segretario generale Kofi Annan, della principale responsabilità nella costituzione dell'UNIFIL rafforzata.
Credo di poter dire due cose, sin qui, e non voglio pronunciarmi sui problemi e i pericoli che ci sono chiari. Tuttavia, sin


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qui, la missione sta avendo successo (Commenti), sia per la decisione di tanti altri paesi di aderire (Commenti)...

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, signor ministro. Vorrei invitare l'Assemblea a rendere possibile l'ascolto delle parole del ministro.
Prego, signor ministro, prosegua pure.

MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Dicevo che sta avendo successo per la decisione di tanti altri paesi di aderire all'appello delle Nazioni Unite; non soltanto di molti paesi europei, dato che Francia, Spagna e Italia rappresentano, il nerbo della missione, ma è del tutto evidente il valore della decisione del Bundestag per un impegno molto rilevante della Germania, non soltanto nell'assicurare il dispositivo aeronavale, ma anche nel dispiegare forze, non lungo i confini di Israele ma a sostegno delle forze libanesi per il controllo dei confini con la Siria.
Oltre ai paesi europei, tuttavia, è importante anche l'adesione alla forza internazionale di numerosi paesi islamici. Fra questi, un valore particolare ha assunto la decisione della Turchia - decisione non scontata, che è passata anche attraverso una aspra discussione politica e che, a mio giudizio, è un segnale importante di quella vicinanza della Turchia all'Europa che costituisce uno degli obiettivi della politica estera italiana - ma anche di altri paesi islamici e di un paese arabo, non grande, ma importante, come il Qatar.
Sottolineo dunque questo punto perché rappresenta una novità che, non a caso, ha attirato l'attenzione e la minaccia del terrorismo internazionale: cioè il fatto che lì a garantire la sicurezza non c'è l'Occidente contro l'Islam ma una grande forza internazionale nella quale europei ed islamici sono insieme a tutelare la sicurezza e la stabilità in un'area tormentata.
Il dispiegamento procede in modo positivo. Il ritiro delle forze armate israeliane si è avviato. La decisione di Israele di togliere il blocco aereo e navale ha rappresentato un passaggio importante ed io credo che dobbiamo essere grati alla Marina militare italiana la quale, in attesa della forza internazionale, si è fatta carico della responsabilità interinale di presidiare le acque territoriali libanesi, consentendo la fine del blocco navale. Segno di grande efficienza, le nostre Forze armate sono giunte sul teatro - come si dice - con grande rapidità, con grande efficienza e, secondo il mio giudizio, dando una dimostrazione che, certamente, ha contribuito al prestigio internazionale dell'Italia.
Il secondo aspetto che voglio sottolineare è che questa missione può rappresentare un punto di svolta, nel senso di avviare quel processo di stabilizzazione interna del Libano che deve compiersi attraverso il disarmo delle milizie e che - non dimentichiamolo mai - è la realizzazione di un accordo sottoscritto tra le forze politiche libanesi, non di un'imposizione esterna, ma necessaria per avere nel Libano uno Stato sovrano e può essere un punto di svolta più generale per la regione.
Torneremo a discutere degli effetti che la presenza in Libano dell'ONU può avere sulla crisi israelo-palestinese, che è stata al centro delle discussioni internazionali anche nel corso dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e che, certamente, rappresenta il banco di prova più importante per una politica di pace in quella parte del mondo.
Da ultimo, voglio dire che tutto questo è stato reso possibile anche dal modo in cui il sistema politico italiano ha reagito e dalla prontezza con cui il Parlamento - il Governo vuole darne atto - si è riunito, nelle Commissioni esteri e difesa, il 18 agosto, con un gesto di sensibilità che ha avuto, secondo me, un grande significato, con una presenza vastissima di parlamentari, della maggioranza e dell'opposizione, con una discussione seria e con un voto pressoché unanime che, certamente, ha costituito un punto di forza per il Governo italiano, che ha potuto presentarsi in Europa non soltanto sulla base di un'intenzione di qualche ministro, ma sulla base di una volontà politica larga, e che si era manifestata democraticamente in un periodo nel quale non è comune che i parlamenti democratici si riuniscano.


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Io penso che quel consenso sia una base preziosa, così come lo è stato per cominciare questa difficile impresa, anche per portarla avanti con successo [Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, dei Popolari-Udeur, Misto-Minoranze linguistiche e Misto-Movimento per l'Autonomia e di deputati dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro degli affari esteri.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Bricolo 2.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, intervengo per illustrare il mio emendamento. Vorrei fare una piccola premessa: noi della Lega Nord non contestiamo la richiesta, che riteniamo condivisibile da parte dell'ONU, dell'invio di una missione di pace. Però, contestiamo il modo in cui è stato predisposto questo decreto, che, sicuramente, è fatto male.
I nostri soldati vengono mandati, di fatto, allo sbaraglio. Non sono chiare le regole di ingaggio e la catena di comando. Molti paesi europei non parteciperanno a questa missione e, soprattutto, questo Governo, parlando, nel titolo del provvedimento, di cooperazione, andrà, invece, ad armare l'esercito libanese, perché questo è ciò che succederà. Dunque, oltre che i nostri soldati, invieremo anche armi, mettendo in pericolo un territorio già instabile politicamente, come quello libanese, dando le armi a un esercito, quello libanese, che sappiamo essere in gran parte formato anche da militari collegati direttamente con il mondo di Hezbollah.
Soprattutto, metteremo a rischio la vita dei nostri uomini. Ci assumiamo il massimo della responsabilità e guideremo addirittura la missione. Non siamo una superpotenza militare. Evidentemente, il ministro D'Alema ha intenzione di arrivare a questo punto e, forse, chiederà anche una politica di riarmo del nostro paese.
Gli Stati Uniti non sono presenti nella missione, non è presente l'Inghilterra, non è presente la Germania. La stragrande maggioranza dei paesi europei non è presente. La Francia ha deciso di mantenere il suo impegno in Libano con molte titubanze. Ebbene, noi chiederemo anche la guida della missione, assumendoci responsabilità che riteniamo troppo elevate.
Questo emendamento interviene sul provvedimento riducendo i costi della missione, che vuol dire ridurre anche gli uomini che dovranno partecipare e, quindi, i rischi. Condividiamo, invece, l'emendamento delle Commissioni, che parifica l'indennità dei nostri militari presenti nelle missioni di pace. È una cosa giusta ed equa e la condividiamo.
Chiediamo invece una riduzione dei costi di 30 milioni di euro, appunto per ridurre il numero della presenza dei nostri uomini, il numero dei rischi e delle responsabilità che il Governo ha deciso di prendere da solo, senza confrontarsi veramente con il paese ma soprattutto con gli altri paesi europei che hanno deciso di non partecipare a questa missione. Dunque, invitiamo i colleghi a sostenere questo emendamento. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bricolo 2.1, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, sul quale la Commissione bilancio ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 487
Votanti 485
Astenuti 2
Maggioranza 243
Hanno votato
18
Hanno votato
no 467).


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Prendo atto che i deputati Caruso e Donadi non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Passiamo all'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni.

ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Questo emendamento è frutto del lavoro delle Commissioni e vorrei esprimere soddisfazione per il suo accoglimento da parte del Governo. È un piccolo ma importante segnale, molto atteso dai nostri soldati. Si verificava una situazione abbastanza paradossale: i nostri soldati, che partivano per le missioni, nel momento in cui viaggiavano in nave per avvicinarsi al teatro operativo percepivano un'indennità superiore a quella poi percepita mentre svolgevano il proprio dovere sul teatro operativo, laddove cioè affrontavano maggiori disagi e rischi, per via di antiche norme e consuetudini.
Avevamo già sottolineato questo problema quando abbiamo approvato altre missioni all'estero, ma in quel momento non siamo riusciti a risolverlo. Riproponiamo il problema nell'ambito di questa missione, estendendolo a tutti i militari impegnati nelle varie missioni. Non è molto, ma è un segnale di attenzione, atteso dai nostri soldati, che in questo momento stanno vivendo situazioni difficili, trovandosi in teatri operativi difficili; purtroppo, ricordiamo oggi il caporalmaggiore Langella, l'ultima vittima delle nostre Forze armate, ma molti altri vivono rischi e pericoli, per cui questo piccolo segnale di attenzione sarà accolto, secondo me, molto positivamente.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 490
Votanti 488
Astenuti 2
Maggioranza 245
Hanno votato
486
Hanno votato
no 2).

Prendo atto che i deputati Caruso e Luciano Rossi non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere un voto favorevole.
Avverto che, consistendo il disegno di legge di un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 1608)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (vedi l'allegato A - A.C. 1608 sezione 6).
Avverto che è stato presentato - tra gli altri - anche l'ordine del giorno Realacci n. 9/1608/6, volto a chiedere l'adozione di un'azione ufficiale del Governo tesa a verificare le motivazioni della sentenza della magistratura tedesca relativa alla strage di soldati italiani a Cefalonia.
La Presidenza, pur sottolineando l'importanza della questione e riconoscendo la necessità di un chiarimento al riguardo, non può che rilevare l'estraneità del contenuto di tale ordine del giorno rispetto al decreto-legge in esame e ritenere, pertanto, inammissibile lo strumento presentato, ai sensi degli articoli 88 e 89 del regolamento.
Avverto, inoltre, che è in distribuzione la nuova formulazione dell'ordine del giorno Pinotti n. 9/1608/2.
Ha chiesto di parlare il deputato Nardi per illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1608/1. Ne ha facoltà.

MASSIMO NARDI. Signor Presidente, a mio avviso l'ordine del giorno in esame dovrebbe ottenere la sostanziale adesione del Parlamento e del Governo.


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Si tratta di un ordine del giorno che, fondamentalmente, si prefigge due finalità. In primo luogo, quella di determinare un continuo e costante monitoraggio della situazione che si sviluppa in zona di guerra, cioè in Libano, che potrebbe degenerare nell'ipotesi in cui la missione prendesse una piega che, a mio giudizio, potrebbe essere anche probabile. Quindi, in questo caso, occorre che vi sia un continuo monitoraggio da parte nostra e delle forze ONU per un eventuale ripensamento del nostro impegno nella missione. Ovviamente, vi sarà chi riterrà che il nostro impegno debba essere più determinato nei confronti di Hezbollah e chi, viceversa, immaginerà un nostro disimpegno rispetto alla situazione divenuta più pericolosa. In entrambi i casi, ritengo che un monitoraggio continuo e costante di quanto accade in quel contesto sia quantomeno doveroso.
La seconda finalità evidenziata nel mio ordine del giorno è quella di intervenire fin da subito nei confronti di quei paesi che possono avere interesse a creare condizioni di instabilità in quel panorama, in primo luogo l'Iran.
Ritengo che un intervento preventivo in sede diplomatica, al fine di pressare questi paesi precisando il grado di rischio che potrebbe comportare un loro atteggiamento negativo, possa essere funzionale a ridurre il pericolo. Mi auguro, pertanto, che questo ordine del giorno possa essere accettato dal Parlamento e dal Governo.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sugli ordini del giorno presentati?

MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Il Governo esprime parere favorevole, in particolare sul dispositivo, nel senso che l'Esecutivo assume l'impegno a informare con tempestività e continuità il Parlamento e a sviluppare le iniziative diplomatiche richieste nell'ordine del giorno.

PRESIDENTE. Invito il Governo ad esprimere il parere su tutti gli ordini del giorno presentati.

MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Il Governo accetta gli ordini del giorno Nardi n. 9/1608/1, Pinotti n. 9/1608/2 (Nuova formulazione) e Mariani n. 9/1608/3, mentre non accetta gli ordini del giorno Pottino n. 9/1608/4, Bricolo n. 9/1608/5 e Cossiga n. 9/1608/7.
Il Governo accetta inoltre l'ordine del giorno Papini n. 9/1608/8; non accetta l'ordine del giorno Maroni n. 9/1608/9 e accetta l'ordine del giorno Fini n. 9/1608/10.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori degli ordini del giorno Nardi n. 9/1608/1, Pinotti n. 9/1608/2 (Nuova formulazione) e Mariani n. 9/1608/3, accettati dal Governo, non insistono per la votazione.
Chiedo all'onorevole Pottino se insista per la votazione del suo ordine del giorno n. 9/1608/4, non accettato dal Governo.

MARCO POTTINO. Signor Presidente, insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO POTTINO. Il mio ordine del giorno n. 4 recita: «Ricordando come il legittimo Governo del Libano abbia chiesto ai diversi paesi un impegno a contribuire alla ricostruzione ed alla modernizzazione dell'esercito regolare libanese, che avrebbe immediatamente bisogno di una ventina di elicotteri, centinaia di camion, blindati, armi leggere, munizioni ed apparecchiature individuali come i visori notturni, per un importo non inferiore ai 500 milioni di dollari; a questo scopo, il Governo di Beirut abbia fatto pervenire una dettagliata richiesta a tutte le ambasciate dei paesi membri dell'Unione europea presenti in Libano; di eventuali forniture italiane al Libano si sia parlato anche in occasione dell'incontro del 12 settembre scorso tra il ministro della difesa italiano ed il suo omologo libanese, Elias Murr; evidenziando altresì come la normativa adottata dall'Italia in materia di trasferimenti all'estero di materiali di armamento - tanto come transito che come esportazione - sia


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improntata al principio di non fornire armi e sistemi d'arma a Stati che si trovino in situazione di belligeranza o non diano adeguate garanzie dal punto di vista dell'affidabilità del loro comportamento nella sfera politica internazionale; che agli stessi principi ora richiamati si ispiri anche il codice di condotta adottato nell'ambito dell'Unione europea; rilevando che il Libano, pur in transizione verso un nuovo assetto politico, è tuttora caratterizzato da una situazione nella quale il Governo centrale non ha il pieno controllo del territorio nazionale, tollera la presenza di fazioni armate come Hezbollah ed identifica da qualche tempo in Israele, piuttosto che nella Siria, la principale minaccia della sicurezza del paese dei cedri; che nulla garantisce che le armi eventualmente trasferite al Governo del Libano non cadano nelle mani degli Hezbollah; che, conseguentemente, un contributo al riarmo dell'esercito libanese è suscettibile di essere considerato in Israele come un atto offensivo nei confronti di Tel Aviv; invita il Governo a negare all'esecutivo del Libano qualsiasi fornitura di materiali d'armamento, inclusi gli equipaggiamenti individuali che non possono essere considerati immediatamente offensivi ma contribuiscono comunque ad elevare le capacità di combattimento, come i visori notturni».
Signor Presidente, abbiamo ascoltato con attenzione poco fa l'intervento del ministro degli esteri, onorevole Massimo D'Alema, che ha definito la missione in Libano una missione difficile, importante e rischiosa. Voglio soffermarmi soltanto sull'ultimo aggettivo: missione rischiosa. Dovremmo dire con forza che, al di là di ogni ipocrisia, che si può sentire anche all'interno di quest'aula, la missione è certamente rischiosa perché il Libano è comunque un teatro di guerra. È una missione rischiosa perché non si conoscono le regole di ingaggio, come ha detto prima l'onorevole Bricolo, e non abbiamo ancora capito bene chi dovrà andare a disarmare Hezbollah. È una missione rischiosa perché i nostri uomini e le nostre donne in missione saranno costantemente esposti al pericolo di attentati ispirati dagli hezbollah. A tale proposito basterebbe ricordare le numerose vittime americane e francesi nel 1983 nella missione a Beirut.
L'invito della Lega si rivolge soprattutto alla parte della maggioranza che ha sempre parlato di dialogo e di cooperazione. Vi invito a votare questo ordine del giorno e ad impedire che il Governo possa armare l'esercito del Libano. Invito gli esponenti dei Comunisti Italiani, di Rifondazione Comunista e dei Verdi a far sentire la propria voce: da loro ho sempre sentito parlare di aiuti umanitari, quindi sarebbe importante votare questo ordine del giorno e cassare, in questo modo, l'operato del Governo e del ministro D'Alema (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Pottino n. 9/1608/4, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 502
Votanti 300
Astenuti 202
Maggioranza 151
Hanno votato
22
Hanno votato
no 278).

Prendo atto che i presentatori insistono per la votazione dell'ordine del giorno Bricolo n. 9/1608/5, non accettato dal Governo.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Bricolo n. 9/1608/5, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).


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Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 508
Votanti 494
Astenuti 14
Maggioranza 248
Hanno votato
217
Hanno votato
no 277).

Chiedo ai presentatori se insistano per la votazione dell'ordine del giorno Cossiga n. 9/1608/7.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente il Governo non ha spiegato per quale ragione ha espresso un parere contrario su questo ordine del giorno, il cui dispositivo impegna l'Esecutivo ad assicurare la continuità della politica estera del nostro paese per la pace e contro il terrorismo, a riaffermare l'impegno a non ritirare il contingente militare italiano in Afghanistan e ad adoperarsi, nelle sedi opportune, per il buon risultato della risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU. È molto difficile comprendere le ragioni per le quali il Governo dica «no». Se il Governo avesse la cortesia di spiegare le ragioni di tale diniego, forse si potrebbe capire cosa rende impossibile, quale sia la mancanza, cosa è scritto in questo ordine del giorno che il Governo non sente di approvare: il mantenimento della nostra presenza in Afghanistan o l'esecuzione della risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU? Saremmo molto grati di saperlo. Grazie.

PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Cossiga n. 9/1608/7, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 513
Votanti 512
Astenuti 1
Maggioranza 257
Hanno votato
235
Hanno votato
no 277).

Prendo atto che il dispositivo di voto del deputato Galletti non ha funzionato.
Prendo atto altresì che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Papini n. 9/1608/8.
Chiedo ai presentatori se insistano per la votazione dell'ordine del giorno Maroni n. 9/1608/8, non accettato dal Governo.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, intervengo anche per fare un po' di chiarezza su ciò che sta succedendo. In precedenza, il centrosinistra ha votato contro l'ordine del giorno Pottino n. 9/1608/4, devo dire in modo vergognoso. Infatti, per anni, in aula, siete intervenuti dicendo che le missioni di pace nel mondo devono servire alla cooperazione ed agli aiuti umanitari. Noi, con il menzionato ordine del giorno, dicevamo le stesse cose, anzi chiedevamo a questo Governo di non partecipare al riarmo - riarmo vuol dire inviare armi, munizioni, cannoni ed elicotteri - del Governo libanese. Voi, votando contro tale ordine del giorno, di fatto, alla faccia dei pacifisti che voi dite di rappresentare in Parlamento, avete votato a favore di un riarmo di un paese al cui interno vi sono anche fazioni vicine al terrorismo islamico. Noi ciò lo abbiamo detto in aula, lo abbiamo denunciato.
Voglio vedere con che coraggio tornerete nelle piazze ad alzare la bandiera


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arcobaleno e ad attaccare le missioni di pace varate dal precedente Governo. Lo dico ai tanti pseudo-pacifisti presenti in quest'aula. Lo dico anche a Caruso, che ha votato contro. In campagna elettorale, in televisione, facevi tanto il pacifista, facevi le barricate (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania: Bravo!), ma qui, in Parlamento, non ti abbiamo sentito ancora parlare, signor Caruso (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale)! Dì qualcosa di sinistra!
Invece di dirlo a D'Alema siamo costretti a dirlo a voi, che oggi dovevate intervenire contro un'azione militare che vuole fare questo Governo, sostenendo il riarmo di un paese, in questo momento non certo stabile, e voi siete rimasti zitti. Evidentemente, vi hanno detto, cari pacifisti, di stare «a cuccia», di stare zitti, di non intervenire. Vi hanno messo la museruola. Sono mesi che siamo in Parlamento che votiamo missioni di pace e nessuno parla, tutti zitti e coperti!

FRANCESCO GIORDANO. Da quando in qua sei pacifista?

FEDERICO BRICOLO. Volevo anche evidenziare le contraddizioni del Governo, non solo degli pseudo-pacifisti presenti in quest'aula. Il Governo ha accettato l'ordine del giorno Gianfranco Fini n. 9/1608/10, sottoscritto da vari esponenti della Casa delle libertà - anche della Lega - in cui si dice, praticamente, che le missioni di pace - tutte le missioni di pace - hanno uno spirito umanitario e sono conformi all'articolo 11 della Costituzione. Noi della Lega Nord abbiamo presentato un'ordine del giorno con lo stesso contenuto, che tuttavia qualifica le missioni di pace. Abbiamo detto che sono tali anche quelle in Iraq e in Afghanistan. È chiaro che tra tutte le missioni di pace cui partecipa il nostro paese vi sono anche queste ultime e il ministro D'Alema, evidentemente, in questo caso rinnega che queste missioni, che sono tuttora operative, sia in Iraq, sia in Afghanistan e che voi supportate, sono missioni di pace conformi all'articolo 11 della Costituzione è ciò è vergognoso, perché l'italiano lo sappiamo leggere tutti!
Vi siete contraddetti con le vostre stesse dichiarazioni; cercate di sostenere una posizione politica indifendibile: le cose vanno dette con chiarezza. Il titolo del decreto fa riferimento alla «cooperazione allo sviluppo in Libano», ma noi abbiamo mandato uomini, navi da guerra, carri armati, bombardieri: i nostri militari sono sul posto armati con i fucili. Dunque, è una missione di cooperazione, che però è anche una missione militare: non possiamo negare l'evidenza. L'ipocrisia di questa Assemblea, evidentemente, la spinge a nascondere la testa sotto la sabbia e a credere che vi siano missioni di pace differenti. Ecco, si verifica una situazione che non credevo possibile e che, invece, oggi siamo costretti a constatare; anche quanti all'epoca si sono dimessi dal Parlamento, ricordo Paolo Cacciari, che si è dimesso durante l'ultima votazione...

PAOLO CACCIARI. Rivolgiti al Presidente, non certamente a me!

FEDERICO BRICOLO. Scusami, sto parlando; se vuoi intervenire, fanne richiesta alla Presidenza!
Ricordo che l'ultima volta che si è votato sull'Afghanistan ti sei dimesso e che, tra pochi mesi, voteremo nuovamente su tale missione: ti devi dimettere un'altra volta, capisci (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)? Perché, qui, ci vogliono rimanere in Afghanistan!
Detto ciò, Presidente, noi invitiamo tutto il Parlamento ad approvare questo ordine del giorno, che semplicemente conferma quanto il Governo, accettando il successivo ordine del giorno firmato da tutti i componenti della Casa delle libertà, ha sostenuto (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del


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giorno Maroni n. 9/1608/9, non accettato dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 518
Votanti 517
Astenuti 1
Maggioranza 259
Hanno votato
240
Hanno votato
no 277).

Chiedo ai presentatori se insistano per la votazione dell'ordine del giorno Fini n. 9/1608/10, accettato dal Governo, che quindi lo fa proprio.

GIANFRANCO FINI. Signor Presidente, chiedo l'attenzione dei colleghi soltanto per qualche minuto perché, come è stato correttamente testé ricordato dal Presidente Bertinotti, il Governo, nella persona del Vicepresidente del Consiglio, nonché ministro degli affari esteri, onorevole D'Alema, ha annunciato all'Assemblea la volontà di sottoscrivere, di fare proprio, l'ordine del giorno che reca, oltre alla mia firma, quella di colleghi della Casa delle libertà.
Si tratta di un ordine del giorno doveroso in termini morali, soprattutto in una giornata quale quella odierna, caratterizzata dal lutto che ancora una volta ha colpito le nostre Forze armate. Un ordine del giorno che pone fine ad una stagione di polemiche, di disinformazione e - lo dichiaro assumendone la responsabilità - di bugie. È un ordine del giorno che dice precisamente che la Camera impegna il Governo a sostenere le nostre Forze armate, che in tutte le missioni internazionali hanno operato nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione.
Chi parla, ne era cosciente; credo che gli italiani ne fossero convinti; saluto con personale soddisfazione, credo a nome di tutta la Casa delle libertà, il fatto che oggi il Governo dichiari, nell'autorevolezza del ministro degli affari esteri e Vicepresidente del Consiglio - autorevolezza della carica e della persona -, che esse hanno operato e operano nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione. Invito coloro che dai loro banchi - e anche dai banchi del Governo - sostenevano che il Governo di centrodestra violava la Costituzione perché irrispettoso dell'articolo 11 a prendere atto che, come ha dichiarato l'onorevole D'Alema, si sbagliavano. Eravamo nel pieno rispetto della nostra Carta costituzionale [Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, della Lega Nord Padania, di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Il deputato Fini si è avvalso della facoltà di motivare le ragioni, per cui non ha insistito nel chiedere la votazione sul suo ordine del giorno accettato dal Governo.
I deputati Mantovani e Franceschini hanno chiesto di parlare. Come loro sanno, non vi sono dichiarazioni di voto sull'ordine del giorno e vorrei sapere dall'uno e dall'altro con quale motivazione chiedono di parlare.

RAMON MANTOVANI. Probabilmente, in sede di dichiarazione di voto finale saranno ripresi gli argomenti sulla materia in esame. Chiedo, ora, sia al Governo sia alla Presidenza di dare un'interpretazione autentica su quale sia il dispositivo [Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Scusate, ma ciò è inammissibile! Chiedo che lo stesso rispetto usato anche ascoltando lungamente gli applausi sia rivolto agli altri, a tutti. Siamo in un momento delicato ed invito tutte le parlamentari ed i parlamentari a rispettare gli interventi (Commenti)! Prosegua pure.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, ritiro persino questa richiesta. Sono


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in grado io di dire che un ordine del giorno, nella parte del suo dispositivo impegna effettivamente il Governo, mentre nelle premesse non impegna né l'Assemblea né il Parlamento, perché si tratta di considerazioni svolte in apertura della questione affrontata nel dispositivo. Per me il dispositivo è: impegna il Governo a sostenere l'operato delle Forze armate.

PRESIDENTE. Deputato Franceschini, mi dica anche lei la ragione per cui chiede di parlare.

DARIO FRANCESCHINI. Non è prevista la dichiarazione di voto sull'ordine del giorno ma, rispetto ad un atto di accoglimento da parte del Governo, le parole dell'onorevole Fini possono richiedere una precisazione per non...

PIER FERDINANDO CASINI. Ma qual è la ragione?

DARIO FRANCESCHINI. ...dare l'impressione al paese e all'Assemblea che le cose che lui ha detto [Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

IGNAZIO LA RUSSA. Che dibattito è?

DARIO FRANCESCHINI. ...siano condivise nella loro interezza. Sappiamo il valore - lo ha ricordato il ministro D'Alema - che avrebbe un voto largamente condiviso dal Parlamento in quest'occasione. Abbiamo lavorato per questo nelle Commissioni e, probabilmente, ciò avverrà tra poco (Commenti).

PIER FERDINANDO CASINI. Non è possibile!

DARIO FRANCESCHINI. Reputo doveroso sottolineare che condividiamo l'accoglimento da parte del Governo dell'ordine del giorno Fini n. 9/1608/10, perché esso prende in considerazione il comportamento dei soldati italiani. Non vi è alcuna modifica, da parte nostra, delle valutazioni politiche circa la natura e la scelta della missione in Iraq. Siamo pronti a sottoscrivere un ordine del giorno che valuta positivamente il comportamento dei nostri soldati, che è sempre avvenuto secondo spirito umanitario e di pace, al di là delle decisioni politiche che i soldati sono stati chiamati ad applicare [Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici cristiani e dei Democratici di Centro) - Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno].

PRESIDENTE. Scusate, come avete visto, la Presidenza, come sempre, si è attenuta ad una norma di comportamento tesa a rendere molto trasparente le decisioni prese in quest'aula...

MAURO PILI. Di parte!

PRESIDENTE. ...e così ha consentito al deputato Fini di motivare, giustamente, le ragioni per cui non chiedeva di procedere al voto e, ad altri, di formulare delle precisazioni.
I deputati Bonelli e Casini hanno chiesto di intervenire. Chiederei loro di non insistere su tale richiesta, dato che nella fase delle dichiarazioni di voto finale il tema potrà essere ampiamente ripreso [Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
Allora, darò la parola ai deputati Bonelli e Casini e poi passeremo alle dichiarazioni di voto finale.

PIER FERDINANDO CASINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, non intendo parlare nel merito (a parte il fatto che lo condivido) di quanto ha detto Fini, per la semplice ragione che non possiamo intervenire, per cui la richiamo al rispetto del regolamento.


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Non poteva parlare Mantovani, né Franceschini; non può parlare Bonelli né lo posso fare io. Le regole vanno rispettate, Presidente [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]. Mi scusi se glielo dico! Il deputato Fini aveva diritto di parlare per la semplice ragione che a lui spettava la scelta se insistere o meno per la votazione del suo ordine del giorno. Poiché ha scelto di non insistere per la votazione, la questione era chiusa. La invito a rispettare il regolamento [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Grazie, il suo invito sarà accolto! Faccio soltanto notare che, naturalmente, un conto è una dichiarazione di rinuncia al voto, di rinuncia a procedere, altro è l'espressione di una motivazione. In ogni caso, ci atterremo a regole più rigorose.
Prima di passare alle dichiarazioni di voto finale, saluto i ragazzi del liceo scientifico Enrico Fermi di Sulmona presenti in tribuna, che ringrazio (Applausi).

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1608)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
Onorevoli colleghi, vi prego di consentire al deputato La Malfa di svolgere il suo intervento! Abbiamo appena salutato i ragazzi di un liceo: consentiamo anche a loro di vedere come si svolgono i dibattiti parlamentari.
Prego, deputato La Malfa.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, il ministro degli affari esteri ha concluso il suo intervento formulando due auspici ai quali non ho difficoltà ad associarmi.
L'augurio principale è che la missione, difficile e rischiosa, in cui il Governo ha impegnato le forze militari italiane, possa rappresentare un successo dal punto di vista della loro sicurezza, mentre il secondo auspicio, contenuto nel suo intervento, è che la missione, in quanto tale, non della sola Italia, ma dell'ONU, con il sostegno politico fornito dall'Unione europea, possa contribuire a ridurre la tensione, se non a risolvere i problemi del Medio Oriente.
Non abbiamo difficoltà, ovviamente, a fare nostri questi due auspici.
Aggiungo che, proprio perché il Governo italiano ha assunto la decisione di inviare un contingente di militari italiani in quell'area, noi repubblicani voteremo a favore della conversione in legge di questo decreto-legge. L'invio di soldati da parte del Governo dell'Italia in un teatro così difficile impone di per sé alle forze politiche di avere il senso degli obblighi nazionali, una solidarietà, la quale può essere rivolta al Governo, se si condivide l'operazione, mentre deve essere rivolta alle forze militari anche nell'ipotesi che si nutrano riserve e dubbi sui motivi, le ragioni e gli obiettivi di questa operazione.
Questa è la situazione che voglio sottolineare nella mia dichiarazione di voto: noi offriamo il sostegno necessario alle nostre Forze armate, ma nutriamo dubbi e perplessità, che abbiamo manifestato fin dall'inizio e manifestiamo ancora, sulle ragioni e le circostanze che hanno spinto il Governo in questa situazione, anche su una certa frettolosità - mi consentirà il ministro degli esteri - nell'impegnare l'Italia in questa operazione.
Non ci è sfuggito e non credo sia sfuggito ad alcun osservatore internazionale che il Governo ha deciso un impegno in quel teatro così rischioso all'indomani della scelta di ritirare i soldati militari dall'Iraq, mentre all'interno della sua maggioranza erano e sono molto forti (prevediamo che aumenteranno) le pressioni a ritirare il contingente italiano anche dall'Afghanistan.
Ci preoccupa, in tal senso, il «no» che il Governo ha pronunciato sull'ordine del


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giorno predisposto dall'onorevole Cossiga che chiedeva al Governo una chiara dichiarazione di non volersi ritirare dall'Afghanistan.
In altre parole, abbiamo avuto l'impressione che il Governo, ritirandosi da tutti i fronti internazionali, in qualche modo, avesse fretta di non negare del tutto gli impegni internazionali del nostro paese. E ci ha molto preoccupato, onorevoli colleghi, soprattutto nelle parole del Presidente del Consiglio, ma, anche oggi, in qualcuna delle parole pronunciate dal ministro degli esteri, una certa insistenza sul prestigio internazionale dell'Italia che avremmo conquistato o riconquistato. Sui soldati italiani inviati in una missione internazionale non si possono fare discorsi di prestigio! Aver detto, come ha detto molte volte in queste settimane il Presidente del Consiglio, che questa missione era volta a ricostruire il prestigio significa - detto con grande chiarezza, come deve essere detto in Parlamento - che mettiamo a rischio la vita dei soldati italiani per un Governo che è alla ricerca di convalide internazionali che evidentemente sa di non meritare pienamente!
Noi consideriamo molto pericolosa questa missione, soprattutto perché c'è un quadro di ambiguità molto forte sulle ragioni della missione. La risoluzione dell'ONU n. 1701 non dice che le truppe sotto la bandiera dell'ONU debbano disarmare gli hezbollah, ma dice che esse devono collaborare al disarmo delle milizie libanesi.
La domanda che poniamo e alla quale non ci è stata data una risposta né in passato né in questa sede, ossia la Camera dei deputati, è la seguente: che avviene se, come ha detto Nasrallah, le milizie hezbollah non hanno alcuna intenzione di rinunciare a quei 20 mila missili che hanno puntato e hanno usato nei confronti delle città di Israele? Che succede se le milizie libanesi, contrariamente alle deliberazioni e alle risoluzioni dell'ONU, non intendono ridurre gli armamenti? Quel è il compito di queste truppe? Non si può rispondere, come risponde il ministro della difesa, sostenendo che le regole d'ingaggio sono chiare, perché, come ho già fatto osservare nelle Commissione riunite difesa e esteri, nella circostanza dolorosa di Srebrenica, anche le regole di ingaggio delle truppe dell'ONU erano molto chiare, ma non dicevano che tra gli obiettivi sostanziali dell'intervento vi era quello di impedire il massacro dei civili di Srebrenica! In quel caso l'ONU ha assistito a violenze inaudite senza far nulla. In questo caso potrebbe assistere al riarmo o all'uso delle armi degli hezbollah e a quel punto alla reazione di Israele!
E non basta dire che Israele considera questa missione con favore. È giusto che la consideri con favore, perché è chiaro che se le truppe internazionali cooperano alla sicurezza dei confini nord di Israele, è giusto che il Parlamento di Israele sia favorevole.
Ma la domanda che noi ci poniamo, signor ministro, è la seguente: voi avete qualche speranza, non dico garanzia, sarebbe troppo, che il Libano, che le truppe di hezbollah, non siano pedine di un gioco più ampio? È ovvio che esiste una questione israelo-palestinese ed è anche vero che se si risolvesse il problema israelo-palestinese, questo aiuterebbe la situazione del Medio Oriente. Ma c'è da preoccuparsi se, invece, la situazione in Medio Oriente non determini una condizione nel conflitto israelo-palestinese, in altre parole, se non vi sia interesse di paesi come l'Iran o come la Siria, per chiamare le cose con il loro nome, come deve essere fatto in Parlamento, a mantenere una situazione di tensione, se non di scontro militare, tra Israele e i suoi vicini o tra Israele e i palestinesi o tra Israele ed il Libano, proprio per distogliere l'attenzione della comunità internazionale da altre vicende?
Che garanzie abbiamo che una presenza militare italiana così pesante, così costosa, così pericolosa per i nostri soldati avvenga in un quadro in cui si dia un contributo alla soluzione di questi problemi? O invece rischiamo di mettere degli ostaggi, signor ministro, nelle mani del Medio Oriente?
Voi ci avete accusato di avere mandato soldati italiani in Iraq! In quel caso il


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Governo italiano decise di non mandarli in una zona di guerra, perché alla guerra non partecipavano i soldati italiani, ma nel quadro di un dopoguerra caratterizzato da risoluzioni delle Nazioni Unite. Qui noi siamo entrati in una vicenda avventurosa.
Esprimeremo un voto favorevole, perché si tratta di soldati italiani, a sostegno pieno della loro azione, sapendo quali rischi corrono, sapendo quello che è avvenuto oggi in Afghanistan, ma esprimiamo grande preoccupazione per un'azione politica che ci è apparsa frutto non di una riflessione profonda, ma di una condizione interna slabbrata e confusa, come confusa e slabbrata è la maggioranza che sostiene questo Governo.
Queste, signor Presidente, sono le nostre perplessità. Nell'esprimere un voto favorevole, nello sperare che gli auspici del ministro degli esteri si possano realizzare, noi abbiamo il dovere di dire con chiarezza al paese che forse questa non è la cosa migliore che l'Italia avrebbe potuto fare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rao. Ne ha facoltà.

PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il Movimento per l'Autonomia, da me rappresentato in Commissione difesa, ha seguito con grande attenzione il dibattito politico che negli ultimi mesi si è sviluppato attorno alla partecipazione del nostro contingente militare in Libano. Abbiamo anche dichiarato, dopo i chiarimenti del Governo, la nostra disponibilità a votare favorevolmente alla missione, perché riteniamo che il paese abbia la necessità di presentarsi unito ed autorevole in ambito internazionale sui temi della politica estera, per senso di responsabilità e senso dello Stato e per dare serenità e pace a quella gente, che oggi vive nel terrore e nel dolore.
Sappiamo tutti che l'Italia, così come altri paesi, ha pagato e pagherà il prezzo delle missioni militari all'estero e abbiamo apprezzato l'intervento tempestivo del Presidente della Repubblica, che, pur consapevole dei rischi della missione, ha cercato di porre un argine alle tentazioni di una parte della sinistra di riaprire la questione Afghanistan per imporre una discontinuità nella politica estera del Governo Prodi rispetto a quella del Governo Berlusconi. Il tentativo è e rimane quello di far passare la tesi che la spedizione in Libano, sotto le bandiere dell'ONU, è certamente una spedizione di pace, dimenticando come l'ONU stessa benedisse la presenza delle truppe alleate, tra le quali quelle italiane, quando si portò l'Iraq alle libere elezioni democratiche.
Esiste quindi eterogeneità di fondo all'interno di questa maggioranza, che rischia di trasformarsi in ambiguità se non riconosce che la minaccia, dopo i fatti dell'11 settembre, viene da quell'area e che quindi tutte le missioni militari promosse dall'ONU o dalla NATO in quell'area sono missioni equivalenti; altrimenti, il rischio è quello di prendere la strada di una pericolosa neutralità che si muove tra democrazia e fondamentalismo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Nardi. Ne ha facoltà.

MASSIMO NARDI. Signor Presidente, quando mandiamo i nostri ragazzi in zone di guerra, siano essi militari di leva o soldati professionisti, credo che i dubbi che ci assalgono siano tanti, forse troppi. Sono dubbi che non ci assalgono come gruppi, come forze politiche, o se volete come coalizione, ma ci assalgono come singoli semplici deputati; ognuno di noi, nel momento in cui vota una missione come questa o come tante altre, si chiede se sia giusto mandare i nostri ragazzi in quelle condizioni e in quelle situazioni.
Quello che è successo oggi credo renda ancora più difficile determinate scelte, però sono convinto che a stabilire se una cosa sia giusta o sbagliata siano le finalità con le quali si fanno determinate scelte.
Noi abbiamo scelto di inviare i nostri militari prima in Afghanistan ed in Iraq ed oggi in Libano perché pensiamo che essi si rechino in quelle aree per operare tre


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interventi semplici a dirsi, ma difficili da realizzare. Infatti, vogliamo intervenire in tali situazioni per difendere le popolazioni che si trovano alla mercé di questo o di quel gruppo armato; vogliamo tentare, inoltre, di fare quanto è in nostro potere per combattere il terrorismo; vogliamo infine cercare, nei limiti della nostra capacità, della nostra disponibilità e delle nostre potenzialità, di tutelare il diritto internazionale.
Credo, allora, che tutto ciò sia giusto. Vorrei altresì dire, con molta franchezza, che sono convinto che la maggior parte di tutti voi che siete seduti su questi banchi sia d'accordo con me: è giusto mandare i nostri ragazzi a correre il rischio di perdere la loro vita. È giusto perché la finalità che ci prefiggiamo, e che ritengo debba guidarci in ogni nostra scelta odierna e futura, sia quella di creare, per quanto possibile, le condizioni affinché - in un panorama difficile, nel quale ci si trova di fronte a reali rischi di degenerazione dei conflitti - si stabilisca la pace. Occorre, in altri termini, aiutare i popoli a superare pacificamente le conflittualità che li vedono contrapporsi.
Se siete d'accordo, come credo, sul conseguimento di tali obiettivi, allora vorrei osservare che spesso ci dividiamo sulle parole, sul decidere chi deve intervenire e sulla base di quale logica. Ci dividiamo, infatti, su parole come «intervento unilaterale», «intervento multilaterale», «ONU» o «NATO». Vorrei tuttavia osservare che, per quanto siano importanti tali parole, e per quanto sia fondamentale ciò che esse rappresentano, non possiamo perdere di vista la finalità che ci deve contraddistinguere e che dobbiamo cercare di perseguire. Noi, infatti, ci rechiamo in tutti gli scenari di crisi per cercare di favorire il raggiungimento della pace.
In tale contesto, allora, la missione in Libano, quella in Afghanistan e quella in Iraq sono state e sono missioni di pace; si tratta, in altre parole, di missioni che possono rappresentare una prospettiva per il futuro di quelle popolazioni: è questo il motivo per cui, a nome della Democrazia Cristiana, annuncio che voteremo a favore della conversione in legge del decreto-legge in esame.
Ma vorrei rilevare che sarebbe un errore profondo se lo facessimo a cuor leggero, vale a dire se non ci rendessimo conto del rischio che corrono i nostri ragazzi in Libano. Si tratta, infatti, non soltanto di militari che si vanno a frapporre tra belligeranti, ma anche di soldati che corrono pericoli determinati dal panorama internazionale: per assurdo, dal mio punto di vista, essi corrono più rischi in Libano che in Afghanistan e in Iraq. Ciò perché in Afghanistan e in Iraq devono confrontarsi con il terrorismo, vale a dire con milizie sì organizzate, ma non al punto tale (almeno così spero) da avere a disposizione arsenali militari particolarmente forniti. Viceversa, se è vero (come penso) che gli interessi internazionali che intervengono nella situazione libanese vedono il coinvolgimento di numerose potenze che possono, a vario titolo, prefissarsi l'obiettivo di far fallire la missione, o comunque di condizionarne l'esito ai propri fini, allora sono preoccupato se non ci rendiamo conto di ciò che può rappresentare, in quest'ottica, il Libano per l'Iran.
Credo infatti che l'Iran, esercitando la sua influenza nei confronti degli hezbollah, tenterà di promuovere, in quell'area territoriale, la conflittualità o la stabilità in funzione di un disegno complessivamente più importante: verificare se il suo progetto, concernente la prospettiva nucleare, nonché la necessità di ampliare la propria influenza in Iraq, verrà coronato. Se così non dovesse accadere, allora ritengo che la situazione di conflittualità e di scontro in Libano verrà sostenuta proprio dagli hezbollah.
La Siria ha dovuto rinunciare al proprio protettorato nei confronti del Libano e intende, nell'attuale situazione, giocare di nuovo un ruolo di prospettiva, di iniziativa politica, non avendo mai digerito quello che è successo in passato e avendo ancora - secondo la mia opinione - il dente avvelenato per gli accordi di pace che gli hanno portato via le alture del


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Golan. Vi è tendenzialmente un interesse specifico della Siria alla destabilizzazione del quadro.
Per quanto riguarda lo stesso Stato di Israele - non dobbiamo nascondercelo -, la guerra in Libano non è stata oggettivamente un grosso successo, anzi forse è andata un po' male. È evidente che Israele ha in questo momento l'interesse a guadagnare un po' di tempo e a creare una situazione per la quale sia sostanzialmente qualcun altro a disarmare gli hezbollah, cosa che agli israeliani non è riuscito di fare. Se questo è vero, come io immagino che sia, anche gli israeliani in questo contesto potrebbero non stare semplicemente a guardare la situazione ma cercherebbero di governarla per i propri fini.
Da ultimo, ma forse non proprio ultimo, anche gli Stati Uniti potrebbero avere non tanto un'interesse quanto una scarsa attenzione ai conflitti che potrebbero sorgere in quel contesto. Se è vero, infatti, ciò che sta accadendo in America con il duro confronto sui risultati della guerra in Iraq, e se è vero che a livello internazionale molte delle nazioni che hanno sostenuto la battaglia degli Stati Uniti contro il terrorismo iniziano ad assumere posizioni defilate, di disimpegno, un'eventuale conflittualità che dovesse svilupparsi in quel contesto e che coinvolgesse l'ONU e tutte le nazioni che in quella missione hanno dato il proprio appoggio farebbe diventare più facile pensare ad un coinvolgimento futuro di quelle nazioni, coinvolgimento che potrebbe essere finalizzato a colpire quelli che gli americani ritengono essere i veri fautori dell'instabilità in Medio Oriente - su questo credo che abbiano ragione -, e cioè quelli che essi definiscono paesi «canaglia».
È evidente che un'eventuale conflittualità che dovesse stabilirsi in quel contesto e che coinvolgesse i paesi europei, e anche quelli extraeuropei, potrebbe rappresentare un appoggio sia riguardo agli argomenti in discussione in casa americana, sia in termini di prospettiva futura sulla proliferazione nucleare, sia riguardo all'atteggiamento che i diversi paesi definiti dall'America Stati «canaglia» possono e debbono avere.
In conclusione, vorrei svolgere un'ultima considerazione. Ho tentato di compiere una valutazione che qualcuno potrà considerare «azzardata» e che invece sono convinto si ricolleghi ad un panorama che potrebbe concretizzarsi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO NARDI. Se ciò dovesse avvenire, è evidente che avremmo difficoltà a contenere una situazione che diventasse esplosiva.
Signor Presidente, credo che occorra far fare un passo indietro a tutti questi paesi e iniziare un'azione diplomatica, perché il rischio è la degenerazione dell'attuale stato di instabilità internazionale, degenerazione che oggi potrebbe riguardare noi, domani tutti, forse proprio tutti, addirittura l'intera umanità (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Cioffi. Ne ha facoltà.

SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, riteniamo che il decreto-legge che ci accingiamo a votare abbia un significato particolare rispetto alla conquista di una pace duratura in Medio Oriente e per la lotta al terrorismo.
Esso rappresenta il frutto di un grande lavoro, così come riconosciuto in ambito internazionale, svolto dal nostro paese - e a tale proposito ringraziamo il ministro D'Alema - non solo per la risoluzione della gravissima crisi israelo-palestinese, ma anche per contribuire a dare una svolta nella concezione di una politica estera basata non più sui rapporti bilaterali ma su quelli multilaterali.
È indubbio che ciò ha favorito il rilancio di un ruolo più significativo e più forte dell'Italia, dell'Europa unita e anche dell'ONU. Non si può in alcun modo negare che l'Italia abbia svolto un ruolo strategico nel difficile percorso politico


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che ha portato alla risoluzione n. 1701, nella convinzione che l'Europa non avrebbe dovuto in alcun caso sottrarsi all'impegno per favorire la pace in una regione come il Libano, così strategicamente cruciale nella vicenda mediorientale.
Le scelte operate dal nostro Governo e dal voto delle Commissioni riunite III e IV, sia della Camera sia del Senato - voglio qui sottolineare l'impegno del presidente Ranieri, della presidente Pinotti, del sottosegretario Intini e del sottosegretario Verzaschi -, hanno manifestato con chiarezza la priorità che l'Italia assegna da sempre alla ricerca della pace e alla soluzione dei conflitti, in questo caso mediorientali; fatto, questo, testimoniato anche dalla convocazione della conferenza sul Libano.
Vi è stata una grande capacità dell'Italia nel far comprendere che gli sforzi sul fronte libanese sarebbero riusciti anche ad innescare un processo positivo verso la pace in tutta la regione del Medio Oriente, evitando quindi allargamenti del conflitto. Bisogna sottolineare che l'Italia anche in ambito europeo è riuscita a dimostrare una grande centralità ed ha potuto anch'essa contribuire alla restituzione di un più significativo ruolo all'Europa unita e all'ONU, il cui ruolo per molti anni è stato appannato dal meccanismo dei veti incrociati.
Il voto dei Popolari-Udeur su questo decreto è espresso quindi con grande convinzione, perché riteniamo che un forte impegno per un esito positivo di tale operazione sarà, ripetiamo, decisivo per una svolta definitiva, per ottenere una duratura pace anche tra Israele e Palestina. Noi Popolari-Udeur siamo stati e saremo sempre in prima linea per la costruzione della pace e della democrazia, ed abbiamo in questi mesi sempre sostenuto con le nostre proposte, con grande convinzione, le scelte di politica estera del nostro Governo, fra cui quella di ritenere che l'Italia, se avesse offerto con tempestività la sua disponibilità a schierare un proprio contingente militare in Libano, avrebbe creato il clima giusto per consentire, come è avvenuto, all'Europa di schierare un cospicuo contingente in tale missione UNIFIL: missione che, visto lo slancio e la determinazione nuova, può costituire una strada maestra per conquistare una pace duratura.
Siamo inoltre particolarmente soddisfatti anche perché, a differenza della vecchia operazione UNIFIL, questa missione nasce con delle regole di ingaggio più chiare e con dei meccanismi relativi alla catena di comando che riescono a superare i problemi legati all'eccessiva burocratizzazione dell'ONU. Ne è la prova l'incarico conferito al generale Ridinò presso l'ONU, che potrà aiutare a superare tali difficoltà.
Ricordo, inoltre, che il decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge assicura anche un forte supporto per gli aiuti umanitari e per la ricostruzione. Tutto ciò, sempre in ottemperanza alla risoluzione n. 1701, dà il segno tangibile degli sforzi che il Governo ha intrapreso sin dai primi giorni del conflitto israelo-libanese non solo per il cessate il fuoco, ma anche per la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata tra le parti coinvolte.
Il nostro paese, come già detto, ha svolto un ruolo da protagonista. Sarà di fondamentale importanza lavorare anche per la tenuta democratica del Libano. La tenuta democratica di questo paese è infatti, dopo anni di scontri tra milizie di diverse fazioni, ancora estremamente fragile e ciò si potrebbe ripercuotere nei difficili equilibri mediorientali. Sarà al tempo stesso necessario, anche attraverso tale missione, aiutare la popolazione sconvolta dalla guerra, impegnandosi fortemente nella ricostruzione sociale, morale e materiale del Libano. La società libanese ha fortemente bisogno di un appoggio in tal senso, per ridare fiducia alla popolazione, e non bisogna dimenticare che occorre anche puntare molto sui giovani: è lì che si ricostruisce il futuro. Solo occasioni diverse date ai giovani ed una diffusione della cultura della pace potranno aiutare a costruire una pace duratura in Medio


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Oriente, fatta di rispetto reciproco anche delle diversità religiose, culturali e politiche.
La situazione è certamente complessa, ma affrontare nella maniera giusta e con il dovuto impegno anche tali problemi senz'altro contribuirà alla conquista di questa pace.
Non si può inoltre sottovalutare, per esempio, la questione palestinese e libanese, ossia l'esistenza in Libano di rifugiati palestinesi che non hanno alcun diritto civile o sociale per la legge libanese; costoro non possono votare, non possono esercitare una professione e neppure studiare. Questa massa di disperati, circa 800 mila persone, vive in una condizione indescrivibile e non può che rappresentare un fattore di instabilità devastante, se non vi sarà un adeguato impegno per risolvere tale problema. Sarà necessario tenere conto di questi e di tanti altri problemi dato che si opererà in un'area delicatissima i cui confini sono sempre, purtroppo, incandescenti e pieni di pericoli.
Siamo convinti che i nostri militari, a cui va sempre tutta la nostra considerazione e gratitudine, in nome della pace e della democrazia, affronteranno tale compito, come sempre, con grande professionalità e competenza, ma anche con coraggio ed umanità. Mai come oggi ne siamo convinti, dopo l'uccisione del nostro soldato Langella ed il ferimento dei nostri soldati in Afghanistan, tra cui, lo ricordo, vi è una donna.
È necessario, però, che la missione UNIFIL sia messa nelle condizioni di espletare in pieno i suoi compiti anche attraverso strumenti idonei e moderni dal punto di vista tecnologico. Si tratta di consolidare definitivamente una tregua che potrà consentire alla diplomazia e alla politica di rafforzare un percorso di pace che, partendo dalla crisi fra il Libano ed Israele, possa portare benefici anche ai fini della soluzione definitiva del conflitto israelo-palestinese.
Siamo d'accordo con il ministro D'Alema, il quale afferma che dobbiamo fare di più per risolvere la questione del conflitto in Palestina; non si può avviare alcun processo di pace se non viene risolta definitivamente tale questione. Dall'avvio di questa operazione UNIFIL in Libano si possono aprire anche nuove opportunità di dialogo per risolvere questo conflitto in Medio Oriente e conquistare la stabilità dell'intera regione.
Non si può non tenere conto della disponibilità di alcuni paesi arabi, da sempre impegnati nella pace, che ritengono urgente un impegno per risolvere questa antica questione. Ne è dimostrazione il ruolo che stanno svolgendo la Giordania e l'Egitto che, unitamente all'Arabia saudita ed anche al Qatar, stanno contribuendo notevolmente nei programmi di ricostruzione del Libano. Ma è anche estremamente significativo e da non sottovalutare l'atteggiamento che ha avuto la Siria in occasione dell'attentato all'ambasciata americana a Damasco. La speranza è che anche la Siria possa diventare un alleato in più nella lotta contro il terrorismo.
Questa missione rappresenta, in sostanza, una partenza importante e significativa per la costruzione della pace. I risultati sarà necessario verificarli via via sul campo. Non possiamo non apprezzare il ruolo che ha avuto il nostro Governo nell'intervenire tempestivamente per consentire alle nostre truppe militari di organizzarsi in tempi brevissimi, per consentire l'avvio della missione.
Tutto ciò premesso, ancora una volta affermiamo che il gruppo Popolari-Udeur voterà a favore di questa missione UNIFIL, convinto che potrà rappresentare un'importante svolta nella risoluzione della crisi mediorientale (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonelli. Ne ha facoltà.

ANGELO BONELLI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, prima di entrare nel merito del dibattito colgo l'occasione per affermare che i deputati Verdi sono fortemente addolorati per i tragici avvenimenti di questa mattina ed esprimono,


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ovviamente, la solidarietà alla famiglia del caporalmaggiore Giorgio Langella ed augurano una pronta guarigione ai feriti nell'attentato di stamani.
Oggi siamo chiamati ad approvare il provvedimento sulla missione militare in Libano. Si è molto parlato, durante quest'estate, il giorno in cui il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto, dell'opportunità o meno della missione, delle regole d'ingaggio e del fatto che il centrodestra avrebbe votato questo provvedimento solo in presenza di un ordine del giorno che riconoscesse che le missioni militari promosse dal precedente Governo sono di pace.
Ebbene, vorrei anzitutto fare una breve ma spero esaustiva spiegazione, in quanto noi riteniamo, come Verdi, che vi siano sostanziali differenze fra questa missione e quelle precedentemente votate e volute dal Governo Berlusconi. Innanzitutto, la politica del Governo italiano negli affari esteri segna una netta discontinuità con il precedente Governo, a partire dalla decisione del ritiro delle nostre truppe in Iraq e - come dicevo prima - con la missione di cui oggi discutiamo, che segna la fine dell'unilateralismo ed il rafforzamento del multilateralismo e un ritorno ad un ruolo principale e strategico dell'ONU e del diritto internazionale.
Voglio ricordare che da dodici anni le Nazioni Unite non assumevano il comando diretto di una missione, e aggiungo anche che i nostri militari sono oggi in Libano per garantire la pace ed una tregua, con il consenso delle parti in causa, il Governo libanese e quello israeliano, su mandato e con un ruolo forte dell'ONU. Vi è una sostanziale differenza fra l'inviare truppe dopo che si sono bombardati villaggi e città e provocate morti di civili e, invece, inviarle per garantire una tregua, anche con il consenso delle popolazioni. Questa è una differenza sostanziale, che anche l'onorevole Fini dovrebbe considerare.
Ringrazio il Presidente Bertinotti, che ha avuto la sensibilità di consentire più interventi, a seguito di una dichiarazione di accoglimento di un ordine del giorno che era un vero e proprio intervento politico. Infatti, quella avanzata dall'onorevole Fini in quest'aula è una legittima provocazione, ma è pure legittimo da parte nostra definirla come tale, in quanto la sostanziale differenza delle valutazioni riguardo alle missioni sta nel punto che ho appena esposto. Lo ripeto, i nostri militari sono in Libano, oggi, per garantire la pace con il consenso delle parti in causa e con l'avvio di una politica del dialogo, con un ritorno del multilateralismo e non, invece, con una politica dell'unilateralismo che ha fatto parlare solo i bombardamenti e non altro.
Vorrei ricordare peraltro che il Governo italiano, sin dal mese di agosto e anche in questi giorni, attraverso il Ministero dell'ambiente, è impegnato in una grande azione di bonifica dall'inquinamento delle acque libanesi dopo il bombardamento di una centrale elettrica che ha portato tanto petrolio ad inquinare quelle coste. Questa è una politica di cooperazione forte che dà, anche in questo caso, un segnale forte di discontinuità.
Inoltre, vorrei aggiungere che la politica attuale del Governo italiano e le giuste iniziative del Presidente Prodi vanno nella direzione del recupero di uno storico ruolo diplomatico italiano nei rapporti con i paesi del Mediterraneo ed i Governi arabi. Alcuni giornali, nelle settimane scorse, prima dell'approvazione del decreto, hanno teorizzato un ritorno agli anni Ottanta della politica estera italiana. Usando un gioco di parole, il ministro degli esteri è stato chiamato non Massimo D'Alema, bensì Giulio D'Alema. Noi riteniamo, peraltro, che alcune questioni di quegli anni debbano essere recuperate con molta attenzione, perché il dialogo con quei paesi è necessario per rilanciare una vera politica di pace. Questa forza multinazionale di pace non vuole bombardare un paese, ma va in Libano per garantire una tregua e tentare di creare condizioni per una pace duratura. Questa è la sostanziale differenza tra la missione voluta dal Governo dell'Unione e le missioni militari in Iraq e in Afghanistan.
Vorrei soffermarmi, ancora, su un aspetto che è stato fortemente sottovalutato


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in questi giorni: ultimamente, il Congresso americano ha concluso l'inchiesta sul conflitto iracheno giungendo alla conclusione che nessuna arma di distruzione di massa era presente in Iraq prima del conflitto e che non vi era alcun legame tra Al Qaeda e Saddam Hussein, il quale rimane un dittatore ma senza legami con quell'organizzazione. Questo l'ha detto il Congresso degli Stati Uniti d'America.
Ebbene, una bugia è stata raccontata agli abitanti del pianeta in nome della lotta al terrorismo, e in nome della lotta al terrorismo sono stati uccisi 46 mila iracheni, 2543 americani e 226 cittadini di altri Stati, tra cui anche alcuni soldati e civili italiani. Una bugia sulla quale il precedente Governo ha una responsabilità, per aver fatto da notaio a decisioni unilaterali assunte al fine di bombardare quel paese. Vi sono stati quasi 50 mila morti in nome di una bugia per la quale nessuno dei ministri di allora, a partire dall'onorevole Fini, ha trovato il momento per dare una spiegazione, non solo al paese ma all'opinione pubblica internazionale. Perché tutto questo? Non si risponde, ma è un quesito al quale è bene dare una risposta.
Sempre tre giorni fa, il quotidiano Stampa Web ha pubblicato il rapporto delle agenzie di intelligence statunitensi, divulgato anche da alcuni giornali americani, tra i quali il New York Times. Il rapporto afferma che il conflitto iracheno è stato un errore e ha rafforzato il terrorismo. Questo lo affermano le agenzie di intelligence statunitensi e non i pacifisti o alcuni utopisti. Lo ripeto, quel conflitto ha rafforzato il terrorismo e, ancora oggi, non siamo in grado di aprire una sana riflessione per il bene non soltanto del paese, ma del pianeta. Quelle che poniamo alla riflessione del Parlamento, infatti, sono posizioni non oltranziste ma posizioni che qualunque cittadino ragionevole ed equilibrato di questo paese ogni giorno formula e che noi, in Parlamento, vogliamo sottoporre alla riflessione di tutti voi. Perché, quindi, di fronte a valutazioni e studi provenienti non da organizzazioni pacifiste, non vi è alcuna assunzione di responsabilità?
Voglio aggiungere ancora che, dal 4 aprile 2002, lo Stato italiano ha speso, solo per il conflitto afghano, 1,1 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme, che deve farci riflettere non soltanto sui costi economici e sociali ma anche sui costi umani. Su quella missione noi riteniamo - non per speculazione ma perché, quest'oggi, il tema è stato affrontato anche nell'intervento dell'onorevole Fini - che debba essere avviata una riflessione, per realizzare una vera pianificazione della fuoriuscita delle nostre truppe da quel contesto. Riteniamo, inoltre, necessario dare seguito immediatamente alla mozione, approvata nel luglio scorso, che prevede l'istituzione dell'osservatorio - mai istituito - per il monitoraggio delle missioni militari all'estero.
Onorevoli colleghi, i Verdi ritengono che la missione militare in Libano sia l'occasione, per l'Europa, di realizzare una nuova politica, basata sul dialogo. Tuttavia, chiediamo che a quelli militari siano affiancati anche corpi civili, ovvero che sia affiancata anche una politica di cooperazione.

PRESIDENTE. Onorevole Bonelli...

ANGELO BONELLI. Sto per concludere, signor Presidente.
Tale politica di cooperazione deve essere volta al dialogo con le popolazioni, per ricostruire ciò che è stato bombardato. Proponiamo, quindi, un «piano Marshall» e che si avvii subito una iniziativa politica e diplomatica del Governo, che bene ha operato fino ad oggi.
Per questo motivo, esprimeremo voto favorevole su questo disegno di legge di conversione, chiedendo al Governo di affrontare con grande attenzione la questione israelo-palestinese, per avviare, insieme al rinnovato ruolo dell'ONU, una stagione che riporti il dialogo e la pace in quei territori (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e dei Comunisti Italiani - Congratulazioni).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Venier. Ne ha facoltà.

IACOPO VENIER. Signor Presidente, rivolgendomi ai componenti del Governo ed al ministro D'Alema, dico che cominceremo dalla fine. Infatti, il gruppo dei Comunisti Italiani non ha apprezzato, e considera un errore, il fatto che il Governo abbia accettato l'ordine del giorno presentato, tra gli altri, dall'onorevole Fini. Lo affermo, in considerazione non tanto del merito, del suo contenuto, ma perché la scelta di accettarlo consegna ad una destra in gravissima difficoltà la possibilità di un alibi, proprio di fronte a quella svolta radicale che questo Governo, e il suo ministro degli esteri, hanno impresso, finora, alla politica estera del nostro paese. Non abbiamo apprezzato. Se vale la massima di saggezza secondo la quale, al nemico che fugge, ponti d'oro, è certo che in questa Assemblea, in questi giorni, abbiamo ascoltato, da parte dei deputati del centrodestra, parole gravi, parole di una litania stanca ma ancora pericolosa, la litania della guerra preventiva e dello scontro di civiltà.
Il tentativo di questa destra è quello di cambiare le motivazioni e, soprattutto, gli obiettivi della nostra missione, che, invece, sono chiari. Questo Governo garantirà che la missione si svolgerà nel solco della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, a favore, prima di tutto, della popolazione libanese, devastata dai bombardamenti e dalle distruzioni. Ho già avuto modo di dire in quest'aula che il 99 per cento delle vittime dell'invasione israeliana è costituito da civili e che, tra questi, l'80 per cento sono bambini e che sono state distrutte sistematicamente le infrastrutture civili, consegnando quel paese alla rovina e alla crisi economica, dopo tanti sforzi per uscire dalla devastazione della guerra civile.
Noi riteniamo che questa missione sia chiara nei suoi obiettivi ed è stato spiegato bene dal ministro D'Alema e dal ministro Parisi che non sarà mai una missione di guerra, di combattimento, né, come è stato chiesto da alcuni deputati di centrodestra di quest'aula, una missione che apra un altro fronte di quella «macelleria» mediorientale dentro cui Bush e Berlusconi hanno portato anche il nostro paese.
Non si può consentire di trovare alcuna analogia tra questa missione - decisa dalle Nazioni Unite, e la funzione fondamentale dell'Unione europea, ma anche con la partecipazione di grandi paesi musulmani e, persino, della Cina - ed una missione, come quella irachena o afghana, che non è stata voluta e non è stata percepita come missione di pace, ma di combattimento, di occupazione, di morte e di distruzione. Oggi, infatti, i bambini afghani continuano a saltare per l'esplosione delle vecchie mine antiuomo, ma anche delle nuove cluster bomb, usate dalle truppe di occupazione e anche dalla NATO.
Il nostro giudizio su quelle due missioni non cambia, anzi, proprio la drammatica giornata odierna ripropone il fatto che l'Italia deve andare nella sede propria, come è stato deciso in quest'aula con l'approvazione del decreto per il rifinanziamento delle missioni, per chiedere alla NATO una rivisitazione dalle fondamenta della missione afghana, che è destinata ad essere sconfitta e che è già fallimentare, perché nessuno degli obiettivi proclamati è stato portato a compimento.
Ecco perché, invece, noi siamo d'accordo ad approvare questo decreto e a mandare le nostre truppe in Libano. Ci andiamo sotto l'egida delle Nazioni Unite, come afferma l'articolo 11 della nostra Costituzione, secondo cui possiamo mandare le nostre truppe quando a chiedercelo sono i Governi o i rappresentanti dei popoli che hanno bisogno di sostegno per la garanzia del cessate il fuoco, per la ricostruzione o per la sicurezza. Questo è scritto nella Costituzione italiana. Questo è scritto nel programma dell'Unione. A questo facciamo riferimento e su questo noi ci baseremo per giudicare il successo o meno di questa missione, che ha come scopo quello di contribuire alla stabilità e alla sicurezza regionale, che non può che derivare dall'applicazione, senza un doppio standard, del diritto internazionale e delle


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risoluzioni delle Nazioni Unite, di tutte le risoluzioni, colleghi della destra, anche di quelle che chiedono la nascita dello Stato di Palestina, il ritiro delle truppe israeliane dai territori illegittimamente occupati della Cisgiordania, la fine del massacro a Gaza, la liberazione dei rappresentanti del popolo palestinese e dei combattenti di quel popolo. Quel popolo lotta, come ha detto il ministro D'Alema incontrando le massime autorità palestinesi, per la legittima aspirazione ad avere uno Stato vero dentro una regione pacificata, in cui la sicurezza di Israele non venga dalla distruzione dei suoi vicini, ma dalla nascita dello Stato di Palestina e dalla legalità internazionale, che metta tutti sullo stesso piano e dia a tutti la certezza della sicurezza.
Noi vogliamo una conferenza internazionale.
Chiediamo al Governo di usare questa missione per impedire l'esplodere di una guerra in tutta la regione mediorientale, affrontando il dossier Iran con saggezza, riportando la discussione sulla denuclearizzazione e sulla sicurezza in un contesto regionale dove si affronti la presenza di tutte le armi nucleari non solo in una circoscritta area mediorientale, ma anche nell'area del grande Medio Oriente. Chiediamo di organizzare una conferenza che risolva tutti i problemi, perché senza affrontare la questione del Golan, degli insediamenti israeliani, del ritorno dei profughi palestinesi, non si può trovare una sicurezza regionale. Vogliamo quindi contribuire al sorgere di una nuova fase della comunità internazionale.
Colleghi della destra, voi siete dei nostalgici di una fase che è finita. Il nostro Governo ha interpretato al meglio la nuova fase. L'amministrazione Bush è sulla via del tramonto e con essa un'idea di governo del mondo basata solo sulla guerra, sulla distruzione, sul dominio di uno contro tutti. Ecco che nasce l'esigenza di un nuovo multipolarismo e di un protagonismo delle Nazioni Unite, basate su un nuovo rapporto di forza, ed è quindi importantissimo che questa missione veda la presenza dell'Europa come soggetto propulsivo, nel quadro della missione in Libano.
Tante parole sono state spese per descrivere le distruzioni che ci troveremo di fronte in Libano. Crediamo che, accanto alla missione militare, indispensabile in questo momento, ci sia però una grande operazione civile di relazione con la comunità libanese, una comunità articolata, pluralista, che ha tante espressioni, anche quella di Hezbollah, un partito di cui tanto si è discusso, che ha comunque una sua grandissima presa nell'opinione pubblica libanese, con cui dovremo fare i conti e confrontarci, sicuramente non con le armi ma con la costruzione della sovranità libanese su tutto il territorio libanese.
Questa è la nostra missione, contribuire alla sicurezza di tutti, portare soccorso e aiuto alle popolazioni di fronte alla distruzione e alla morte che sono state causate da una invasione, l'ennesima invasione del Libano, che non ha risolto nessun problema e a cui cercheremo di ovviare, perché almeno le sofferenze siano alleviate.
Per queste ragioni, certo voteremo a favore del provvedimento d'urgenza e, per queste ragioni, confermeremo la fiducia a questo Governo, nel nuovo indirizzo della politica estera italiana, nella svolta che abbiamo realizzato e che nessun alibi, nessuna piccola e provinciale questione parlamentare potrà cancellare (Applausi dei deputati dei gruppi dei Comunisti Italiani e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, la missione in Libano rappresenta indubbiamente un risultato positivo, a cui ha concorso una intensa attività politica e diplomatica del Governo italiano. È assai rilevante che a questa missione abbia partecipato l'Europa, che veniva considerata la grande assente in uno degli scacchieri più difficili della politica internazionale.


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Il ministro degli esteri, poco fa, ha messo in rilievo questo aspetto, ma soprattutto ha dato al Parlamento italiano l'impronta che questa missione ha. L'onorevole D'Alema ha detto che non c'è l'Occidente contro l'Islam, ma una grande forza internazionale nella quale europei ed islamici sono insieme per assicurare la sicurezza e la stabilità in un'area tormentata, ed ha fatto notare la partecipazione di paesi musulmani, come la Turchia, il Qatar, per chiarire quale sia la novità che ha messo in campo con questa missione. La composizione è una risposta assolutamente chiara a chi vorrebbe alimentare una grande guerra di religione, un grande conflitto tra Occidente e Islam.
Certo, siamo assolutamente consapevoli dei rischi che corrono le nostre Forze armate in quella regione così travagliata. Sappiamo bene che in questa missione, come nelle altre, non mettiamo sullo scacchiere esseri inanimati; infatti, costantemente devono essere affrontati notevoli rischi e, talvolta, tali rischi possono arrivare fino al sacrificio della vita.
Nel manifestare e rendere omaggio al nostro soldato caduto in Afghanistan e agli altri soldati feriti, tengo a precisare che condivido quanto affermato dal Presidente della Repubblica Napolitano, il quale, esprimendo dolore per la morte del soldato ucciso in mattinata in Afghanistan e per gli altri militari feriti, ha comunque ribadito che il nostro impegno in missioni internazionali - in particolare, in Libano e in Afghanistan - costituisce uno sforzo indispensabile.
Non mi ha sorpreso il fatto che da parte di gruppi parlamentari dell'estrema sinistra e dei Verdi sia stata ripetuta, anche in quest'aula, la richiesta di un ritiro dall'Afghanistan. Sulle agenzie ho anche visto una dichiarazione del ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, nella quale il ritiro delle truppe si pone come una questione sempre più all'ordine del giorno. Mi dispiace che la divisione esistente all'interno dei gruppi parlamentari del centrosinistra si specchi nella disunione all'interno del Governo. Eppure la questione delle missioni di pace dovrebbe essere vista nel quadro di una nuova politica estera, che sicuramente ha profonde diversità da quella sostenuta dal Governo Berlusconi.
L'onorevole Fini ha affermato che tutti siamo solidali con le Forze armate e con il comportamento delle stesse e tutto il Parlamento è d'accordo. Tuttavia, non è cambiata la nostra valutazione sull'intervento militare in Iraq da parte degli Stati Uniti. Ci sono state valutazioni diverse, eppure in questo Parlamento - come accaduto anche nella scorsa legislatura - siamo riusciti a trovare punti di convergenza assai importanti.
La soluzione della situazione in Medio Oriente - e credo che per il Governo ciò sia assolutamente chiaro - non può certo essere ottenuta attraverso un'azione militare. Anzi, i rischi delle nostre Forze armate dipendono più dalla politica che dal territorio sul quale operano. Questo è l'aspetto più rilevante: se non vi sarà un'iniziativa da parte dell'Europa e degli Stati Uniti, un dialogo con i protagonisti della scena mediorientale, la nostra missione incontrerà gravi difficoltà.
Le nostre preoccupazioni sono accresciute - e in ciò vi è anche una divisione sulla valutazione dell'intervento in Iraq - dal fatto che si è creata una continuità territoriale tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Palestina che pone in reale discussione il diritto all'esistenza di Israele. Infatti, attraverso quella continuità territoriale passa una catena di comando agitata da un fondamentalismo che a noi crea grandi timori e preoccupazioni, ma che in settori del mondo islamico costituisce una forza.
Dobbiamo saperlo, e questo può essere assolutamente rischioso e pericoloso per il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Dobbiamo saperlo noi che abbiamo sempre considerato che lì vi sono due popoli che hanno ragione, che devono esservi due Stati e due democrazie. Abbiamo espresso una gravissima preoccupazione dopo il successo elettorale di Hamas, che ha riaperto una questione che pensavamo definitivamente risolta: quella del riconoscimento da parte dei palestinesi dello Stato di Israele.


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Quindi, la situazione è difficilissima, complicatissima, rischiosissima. Non sottovaluto assolutamente tali aspetti della missione: sarebbe un elemento di irresponsabilità che non ritrovo nel Governo. Nelle parole del ministro degli esteri ho sentito una certa cautela quando ha detto: ha avuto successo sinora. Quindi, vi è attenzione ai movimenti della politica ed a quelli in campo militare.
Sono convinto che la convergenza che vi è stata in Parlamento sia di grandissimo rilievo. Da tempo penso che il bipolarismo non vada interpretato come una spaccatura radicale tra due schieramenti. Bisogna confrontarsi duramente ed aspramente, ma ritrovarsi intorno a valori comuni: uno dei valori comuni è l'unità del nostro paese. Quando c'è una missione così importante come quella in Libano, credo che non solo i nostri soldati sul terreno, ma anche i nostri interlocutori internazionali sappiano che una politica estera sostenuta da una larga convergenza parlamentare ha una capacità maggiore di imporsi e di non essere solo la politica di un Governo e di una maggioranza di una legislatura, ma anche la politica di un paese.
Dobbiamo lavorare per costruire la politica estera di un paese. È per questo che voteremo a favore del decreto-legge sulla missione in Libano (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il primo pensiero non può che essere per Giorgio Langella, per i suoi cari, per i suoi commilitoni feriti a Kabul. Era impegnato in una missione di pace, ma questo non è bastato a salvargli la vita, così come non basterà il casco blu ai nostri ragazzi in Libano per metterli al riparo da bombe, razzi, attentati ed incidenti fortuiti. Qui sta tutta la nostra responsabilità di uomini politici che si apprestano ad autorizzare una nuova spedizione di pace. Ogni incidente, infatti, ogni nuova vittima finirà per pesare dolorosamente sulle nostre coscienze. Tuttavia, non possiamo esimerci perché anche giovani libanesi, giovani palestinesi, giovani israeliani sono figli che meritano di crescere e di sperare in un mondo migliore, in un mondo di pace.
A tempo debito torneremo a parlare della nostra missione a Herat, e lo dovremo fare con lucida ed attenta passione e ragione. Intanto, però, mi tornano alla mente le frasi di un articolo di qualche settimana fa che, riprendendo un titolo del Financial Times, recitava: Le guerre del papavero e l'impopolarità; perché l'Afghanistan è sulla via del fallimento. Ovvero, guadagni stratosferici per i mercanti d'oppio, perdite insostenibili della NATO, crollo del tanto mitizzato Amid Karzai: ecco gli ingredienti dell'insuccesso afghano. Concludeva amaro: ci manca solo di veder rispuntare il mullah Omar, compagno di merende di Osama.
In verità, signor Presidente, speravo di esordire diversamente in questa mia dichiarazione di voto. Speravo di non dover pronunciare da subito espressioni di cordoglio e, soprattutto, di poter guardare in avanti, invece. Speravo di poter iniziare dicendo: se non ci fossero state le strumentali reazioni alla lezione di Papa Ratzinger a Ratisbona, se non fosse morta Oriana Fallaci, se non fosse scoppiato il caso Telecom. Se, se, se... Se non ci fosse stato - e non ci fosse tuttora - l'assordante bombardamento mediatico che ogni giorno condiziona la nostra agenda e la nostra vita politica, forse saremmo in quest'aula, oggi, in condizioni migliori per valutare lo sforzo prodotto dal Parlamento e dal Governo italiano, per contribuire a spegnere la fiammata che questa estate ha incendiato il Libano, provocato migliaia di vittime, distrutto case, ponti, strade e drammaticamente inquinato le splendide coste di quella porzione di Mediterraneo su cui si affaccia il paese dei cedri. E, con noi, avrebbero potuto meglio valutare il senso delle nostre riflessioni anche gli ascoltatori ed i telespettatori che stanno seguendo i nostri lavori.


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Anche per tale motivo, dico subito che quello dell'Italia dei Valori sarà un voto a favore della missione di pace sotto l'egida dell'ONU che ci vede impegnati, al pari di migliaia di soldati e mezzi inviati dai nostri partner europei e insieme a truppe inviate dalla Cina ed anche da qualche paese a prevalenza musulmana, in quel difficilissimo angolo dello scacchiere mediorientale per dare corso alla risoluzione n. 1701 del Palazzo di Vetro.
Ma sbaglierebbe chi ritenesse la nostra una posizione ovvia e scontata, stante la nostra presenza quale movimento politico rappresentato al massimo livello nel Governo del paese. No, la nostra non è una posizione scontata. La nostra è, più semplicemente, una posizione consapevole, consapevole delle difficoltà cui andiamo incontro, consapevole dei problemi che si porterà dietro, consapevole dell'altezza della sfida e, tuttavia, consapevole anche della necessità di sostenere e far sostenere al nostro paese ed all'Unione europea lo sforzo economico, sociale e culturale necessario, nel tentativo di rilanciare il processo di pace in quell'area.
Proprio oggi, vari giornali, a cominciare dal Corriere della Sera, ricordavano le difficoltà operative dei primi 5 mila uomini di UNIFIL ad entrare in sinergia con l'esercito libanese, per non parlare del leader del «partito di Dio», che ci tiene a ricordare che Hezbollah dispone ancora di 20 mila razzi e che non si lascerà disarmare perché ciò farebbe il gioco dei sionisti. Però, intanto, le armi tacciono e ciò è quel che è più importante al momento.
Comunque, non si può non rilevare con soddisfazione la larga convergenza che, alla fine, si è registrata in sede di Commissioni riunite esteri e difesa, in questa sede, fin quasi a sfiorare l'unanimità dei consensi, una convergenza che fa bene al paese e farà bene ai nostri militari inviati a fare da interposizione tra le parti in causa. Ma sarebbe ipocrita non ricordare che, prima di arrivare alla larghissima convergenza cui ho fatto riferimento, il dibattito politico italiano intorno alle vicende mediorientali ha assunto, talvolta, anche contorni paradossali, per non dire surreali.
Penso al provincialismo che spesso è trapelato in molti interventi, e forse anche nei nostri. Mi riferisco alla fase in cui al centro della discussione non vi era traccia della tragedia del popolo palestinese, al mare di dolore e di distruzione prodottisi a seguito dell'insensata e non ponderata - riassumo il senso delle prime parole dello sceicco Nasrallah, non quelle galvanizzate dell'altro giorno, di fronte a mezzo milione di seguaci festanti, che comunque hanno confermato che non soltanto di una massa di terroristi si tratta - azione di attacco di Hezbollah nei confronti di Israele. Nemmeno si è cercato, soprattutto in certi settori della sinistra, di capire nel profondo la portata della paura e dell'insicurezza che quei giorni si è tornata a vivere nello Stato di Israele, all'interno del quale anche le più autorevoli voci del pacifismo impegnato si sono schierate a sostegno del Governo Olmert, che poi è sì finito sotto accusa, ma per scarsa attitudine militare, non per la sproporzione della sua reazione.
Quasi mai, per completare il quadro, vi è stata nelle valutazioni della maggior parte di noi il dramma del popolo palestinese, costretto, anche nei territori non più occupati, a vivere in condizioni miserrime, in quelle condizioni di degrado che sono il vero brodo di coltura del fanatismo e di alimento del terrorismo.
Su un aspetto voglio insistere - e mi avvio a concludere -: ad un certo punto ci siamo tutti trovati quasi sospesi, lo dico volutamente in maniera grossolana, tra i tentennamenti del centrodestra e un certo qual trionfalismo del centrosinistra, al punto da perdere di vista la complessità e la delicatezza di una situazione rispetto alla quale, anche il riferimento al 1982, alla missione comandata dal generale Angioni, è quantomeno fuorviante, se non altro perché il quadro di riferimento internazionale è completamente modificato, e non soltanto per l'attentato alle Torri gemelle. All'epoca vi era ancora l'Unione Sovietica e doveva ancora arrivare Gorbaciov.


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Insomma, come ha giustamente ricordato ieri l'onorevole Leoluca Orlando, dobbiamo renderci conto che siamo in presenza, dopo la caduta del muro di Berlino, del primo grande tentativo di superamento della logica delle guerre preventive che hanno prodotto, come in Iraq, soltanto l'aggravamento di condizioni già gravissime.
Siamo in presenza del primo grande tentativo di costruire azioni di pace nel pieno rispetto della legalità internazionale.
Su un punto i colleghi del centrodestra hanno particolarmente insistito in queste settimane: su una presunta e pretesa continuità tra le diverse missioni che, a partire da dopo l'11 settembre, hanno portato le nostre truppe in Afghanistan, in Iraq e adesso, con l'intervento di cui stiamo discutendo oggi, in Libano; di fatto, anche l'ordine del giorno illustrato oggi dall'onorevole Fini aveva tale intenzione.
Se potessi permettermi di dare un suggerimento agli amici del centrodestra, direi loro di stendere un velo pietoso sulla vicenda irachena e sul loro atteggiamento, anche alla luce dei più recenti giudizi delle agenzie di intelligence americane che, come è stato ricordato, nei loro rapporti, dopo avere sbugiardato chi sosteneva che Saddam fosse in possesso di armi di distruzione di massa, hanno sostenuto che quella guerra ha accresciuto la sfida del terrorismo, diventandone la prima fonte di reclutamento, ha dato nuove motivazioni agli estremisti e creato una nuova generazione di jihadisti in grado di riprodursi così rapidamente da rendere inefficace la risposta occidentale.
Vi è di più, però; vi è una cifra di lettura tutta politica che, a mio avviso, chiarisce in maniera lampante la differenza tra gli interventi: l'impatto del tutto diverso sul mondo arabo e sull'arcipelago islamico di questa missione in Libano e, aspetto non secondario, le bandiere e le insegne dell'ONU che campeggiano sui mezzi e sulle divise degli uomini schierati in campo. Poi, si può e si deve aggiungere che questa non è un'azione armata contro qualcuno ma un'iniziativa di interposizione richiesta - e gradita, se si può usare tale termine - dalle diverse parti in causa.
Perciò, il problema non è stabilire se vi sia o meno continuità - esercizio alquanto spericolato - tra le missioni avviate durante il precedente Governo e questa nuova missione, che possiamo definire UNIFIL 2.

PRESIDENTE. Onorevole...

FABIO EVANGELISTI. Dobbiamo semmai chiederci se quest'ultima - e concludo, Presidente - sarà o meno in grado, considerati i lunghi e difficili precedenti, di favorire il raggiungimento del vero obiettivo finale, ristabilire un clima che possa far riprendere il cammino iniziato ad Oslo e che, anche tra le pecche e le contraddizioni della cosiddetta Road map, è necessario per ridare speranza al popolo palestinese e sicurezza al popolo di Israele (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, la Lega Nord Padania condivide totalmente il merito della decisione assunta in sede ONU, che ha portato alla firma di una risoluzione che ha catalizzato un consenso molto ampio da parte della comunità internazionale; di questi tempi, non è cosa di poco conto. Sappiamo tutti, però, che le risoluzioni dell'ONU nulla valgono e nulla realizzano se poi non intervengono i Governi a perseguire concretamente le finalità delle missioni decise.
Ebbene, noi, valutando le misure predisposte con il decreto in esame, abbiamo difficoltà a non evidenziarne le diverse incongruenze. Questo provvedimento rischia di essere un boomerang per le stesse finalità che l'ONU indica per la realizzazione della missione di pace in un territorio così complesso e difficile come quello libanese.
Vogliamo evidenziare tali incongruità: non si riesce proprio a capire perché non


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sia stato codificata, nel decreto, la catena di comando e di controllo dell'ONU nei confronti delle Forze armate presenti sul territorio. Infatti, il primo punto, forse, a destare maggiore preoccupazione concerne proprio la catena di comando e di controllo, la direzione politica e strategica delle missione internazionale.
Abbiamo preteso ed ottenuto la costituzione di una cellula strategica all'interno delle Nazioni Unite. Ma se, all'improvviso - ed una domanda che dobbiamo porci -, Hezbollah o Israele riprendono le ostilità, occorre una decisione politica, che non può assolutamente venire da un generale assegnato alle Nazioni Unite: chi si assume la responsabilità delle scelte? Ciò, nel decreto, non è indicato; abbiamo più volte chiesto al Governo chiarimenti al riguardo, che però non sono stati resi.
I precedenti disponibili in materia sono poco rassicuranti; ricordiamo tutti quando in Bosnia venivano massacrati i civili dinanzi ai cancelli delle strutture dei militari della missione di pace dell'ONU e questi non potevano intervenire perché non avevano avuto ordini dal Palazzo di vetro. Dunque, evidentemente, si tratta di un punto che per noi diventa discriminante per esprimere un voto favorevole sul provvedimento.
Le considerazioni precedenti ne suscitano un'altra ancora più importante, relativa all'oggetto della nostra missione in Libano.
Inviamo circa 3 mila uomini e un forte dispositivo navale, spendendo quasi 187 milioni di euro per quattro mesi. Ciò significa che in un anno (e questa è una missione destinata a durare diversi anni), solo in un anno, spenderemo più di mille miliardi di vecchie lire. Però, non è ancora chiaro, cosa andremo a fare. L'unica cosa chiara è che i nostri uomini non avranno il compito di disarmare Hezbollah.
Ciò pone un'altra domanda, che abbiamo più volte rivolto al Governo: chi avrà il compito di disarmare i terroristi di Hezbollah? Sono i primi, lo ricordo, ad aver introdotto nel mondo del terrorismo internazionale il suicidio come momento di azione terroristica. Sappiamo soltanto che i nostri uomini hanno il compito di segnalare all'esercito regolare libanese eventuali carichi d'armi che incontreranno nelle missioni di pattugliamento. Conosciamo, però, tutti la forza armata libanese, una forza armata modesta, di fatto al suo primo impiego al di fuori della regione di Beirut da oltre trent'anni e, quindi, sicuramente non in grado di contrastare le milizie di Hezbollah presenti sul territorio.
È, però, possibile che questo grande dispendio di risorse e questo rilevante impegno di uomini che stiamo portando in Libano, sia funzionale ad altri obiettivi, con cui la pacificazione del Medio Oriente ha poco a che fare. Tra questi vi è la volontà manifestata dal Presidente del Consiglio Prodi di rafforzare l'Europa sulla scena mondiale, il tutto con l'evidente scopo di ridurre il peso degli Stati Uniti, ai quali viene imputata una politica estera e di sicurezza unilaterale decisamente arrogante.
Si tratterebbe, tuttavia, di obiettivi molto discutibili. In primo luogo, è più che dubbia la capacità del nostro paese, che non è una grande potenza, di perseguire traguardi così ambiziosi. Poi, occorrerebbe chiedersi se, davvero, sia nei nostri interessi ridimensionare il peso degli Stati Uniti nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, magari facendo largo alla Cina ed alla Russia, che stanno entrando in forza in Libano, insieme a noi, in questo momento. Meglio sarebbe, invece, a nostro avviso, concentrarci sulla prosecuzione della lotta al terrorismo jihadista che, ormai, minaccia anche il Papa e il cuore dell'Europa.
Ci viene detto che questa è una missione europea. Quanto al carattere effettivamente europeo della missione, lo scetticismo sembra d'obbligo, specialmente se si confronta il numero dei paesi europei presenti in Afghanistan con quello degli Stati che hanno cercato di contribuire ad una nuova visione di pace in Libano. In Afghanistan siamo tutti presenti, con tedeschi e francesi che accettano, addirittura, anche missioni combat sotto il comando americano. In Libano, a parte i


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francesi, che hanno accettato con titubanza di mantenere la loro presenza, gli spagnoli e noi italiani, non vi è alcun altro paese europeo. Dunque, questa non può essere considerata, in alcun modo (anche se il Governo Prodi intende portarla avanti come una bandiera), una missione europea. L'Europa c'entra poco con questa missione; c'entrano, evidentemente, altri interessi che contrastano con la politica, portata avanti e sostenuta anche dal nostro Governo, di una pace nel Mediterraneo, che avversasse quei paesi islamici integralisti che, di fatto, sappiamo sostenere il terrorismo internazionale.
Infine, nessuno (l'ho già detto in precedenza) ci ha detto cosa avverrà in caso di ripresa del conflitto. Se Israele domani attaccasse gli hezbollah, cosa dovranno fare i nostri soldati impegnati nella missione? E cosa faremo se a compiere una mossa offensiva fossero gli hezbollah? Ci rassegneremo sempre ad operare come ausiliari dell'impotente esercito libanese o cercheremo di assumere un'iniziativa per contrastarli? Non sarebbe facile contrastarli: implicherebbe l'accettazione di complesse operazioni di combattimento.
Non si può, tuttavia, inviare all'estero soldati sperando che, in cielo, qualcuno ci aiuti: anche quando le premesse sono ottime e le intenzioni alle spalle encomiabili, possono sorgere gravi problemi di sicurezza (basti pensare alla Somalia di tredici anni fa). È bene fin da ora avere le idee chiare e voi, a tutte le domande che abbiamo posto, non avete voluto rispondere. Evidentemente, non avete le idee chiare.
Oggi, abbiamo presentato anche alcuni ordini del giorno, respinti dall'Assemblea che, di fatto, chiedevano di non inviare armi, oltre che uomini, all'esercito libanese. Così ha fatto tutto il centrosinistra, tutti quelli che in campagna elettorale chiedevano i voti ai pacifisti, dicendo di essere contro l'uso delle armi! Andiamo a fare una missione militare, come affermato anche precedentemente!
Il decreto-legge, così come recita il titolo, reca disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano, ma è stata scelta questa dicitura per accontentare ipocritamente le richieste della sinistra pseudopacifista. Noi inviamo uomini, navi da guerra, bombardieri, carri armati, uomini armati in una missione militare!
In un altro ordine del giorno abbiamo chiesto che dall'Assemblea, dal centrosinistra venisse detto a chiare lettere che tutte le missioni che in questo momento il nostro Governo sta sostenendo (i nostri uomini in questo momento sono in Iraq, in Afghanistan) fossero considerate uguali a quella libanese.
Vorrei ricordare, purtroppo, la morte di un nostro soldato in Afghanistan; in particolare, vorrei rappresentare la massima solidarietà e vicinanza del nostro gruppo, la Lega Nord, ai familiari del ragazzo caduto, nonché ai militari che sono stati feriti in questo attentato. Mentre i nostri uomini rischiano la loro vita, noi, ipocritamente, in aula, ci dobbiamo confrontare con dispute sul linguaggio, vale a dire su come interpretare le missioni di pace nel mondo! È una cosa vergognosa!
Concludo, preannunziando l'espressione del voto contrario sulla conversione in legge del decreto-legge in esame.
Riteniamo valide le richieste che provengono dall'ONU, ma contestiamo un decreto che manda i nostri uomini allo sbaraglio, a rischio della loro vita.
Si tratta di un decreto-legge non chiaro nelle finalità dell'operazione dei nostri militari, che non spiega bene le regole di ingaggio, che non parla di catena di comando e che mette, soprattutto, a rischio la vita dei nostri uomini (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Volonté. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il gruppo dell'UDC ha più volte espresso il proprio consenso all'approvazione delle missioni italiane in Libano. Essa rappresenta un elemento di


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continuità con l'azione dei Governi precedenti: ne condividiamo le motivazioni e le finalità.
L'aggravarsi della crisi che ha investito il Medio Oriente a partire dal luglio scorso e quanto è seguito in termini di morte e di distruzione non poteva vedere il nostro paese insensibile ed inerte di fronte al grido di aiuto delle popolazioni martoriate e ci siamo subito dichiarati disponibili e favorevoli ad una missione nell'ambito della risoluzione n. 1701, perché ritenevamo e continuiamo a ritenere fondamentale che, quando sono in gioco i valori profondi della convivenza civile e pacifica, è nostro dovere intervenire, così come è già stato fatto in passato.
Il nostro paese, in virtù di circostanze storiche e geografiche, si è sempre collocato in una posizione di responsabilità rispetto ai drammatici scenari che si sono succeduti specialmente nel corso degli ultimi anni in Medio Oriente.
Le nostre scelte nascono dalla profonda convinzione, maturata soprattutto nel corso delle crisi balcaniche degli anni Novanta, della necessità di un impegno della comunità internazionale, a fronte delle crisi che pongono a rischio l'incolumità di civili, la stabilità delle regioni interessate e, a volte, la stessa sopravvivenza delle etnie e delle identità nazionali.
Ricordo solo per inciso il genocidio tuttora in atto nel Darfur che è all'ordine del giorno delle diplomazie, anche quella italiana ed internazionale [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
Con questo spirito e con questa convinzione votammo le precedenti missioni, anche quella in Iraq, legittimata dalle Nazioni Unite, svoltasi dopo la conclusione del conflitto del 2003 per portare soccorso e garantire alle popolazioni quella sicurezza gravemente pregiudicata dal conflitto. La nuova missione UNIFIL rappresenta oggi una tappa importante nel cammino della pace in Medio Oriente e ci auguriamo che avvii una nuova stagione dell'impegno della comunità internazionale nella soluzione dei conflitti internazionali.
Le Nazioni Unite e l'Europa tornano ad assumere un ruolo di primo piano nella ricomposizione della crisi mediorientale e credo che anche molte aree del mondo oggi guardino a questa missione con occhi di speranza. Ma credo anche che si debba ancora lavorare molto, affinché l'Europa acquisti la nuova consapevolezza di cosa rappresenta la propria identità cristiana e di quale compito impegna tale coscienza, nel suo possibile ruolo nelle vicende che stanno interessando oggi il Medio Oriente, nei rapporti con il mondo islamico in generale.
Non siamo però altresì d'accordo quando si afferma - l'abbiamo sentito anche in questi interventi - che una missione è giusta e legittimata solo se l'intera Unione europea trova un consenso unanime. La legittimità di un intervento è conferita senza dubbio dall'ONU; tuttavia troppo spesso abbiamo assistito ad omissioni, cinismi e opportunismi da parte di alcune nazioni nel decidere o nel non decidere di intervenire.
Purtroppo, dobbiamo anche rilevare come un analogo cinismo si è registrato anche nel corso del dibattito della politica interna italiana. Si è purtroppo assistito ad una declinazione di alcune funamboliche affermazioni e posizioni che nascondono un opportunismo; non si può decidere sulla necessità dell'intervento in funzione di un populismo o di un possibile vantaggio che se ne può ricavare. Tirare fuori le bandiere della pace quando fa comodo oppure riporle perché si è al Governo non rende un buon servizio né alla pace né alla coscienza dei singoli e dei cittadini.
In passato noi abbiamo votato anche quando i calcoli di bieco opportunismo politico lo avrebbero sconsigliato, ma la nostra identità e la nostra storia, l'attaccamento ai valori fondamentali della solidarietà, del rispetto della legalità e delle persone, ce lo hanno impedito.
Queste sono le nostre motivazioni, le ragioni etiche che ci sostengono nelle nostre decisioni. La legittimità, cari colleghi,


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risiede soprattutto in quei valori ideali che hanno fatto grande il nostro paese e che i nostri militari hanno saputo bene interpretare ovunque siano stati chiamati ad intervenire.
Di questo dobbiamo essere orgogliosi; orgogliosi di quanto hanno fatto e faranno i nostri ragazzi in missioni di pace all'estero; uomini come il caporale maggiore degli alpini, Giorgio Langella, alla cui famiglia ci stringiamo nel dolore, che hanno saputo e che sanno tenere alta l'immagine del nostro paese e i valori che l'Italia voleva e continua a voler difendere.
Oggi siamo tra i paesi maggiormente impegnati nelle missioni all'estero, nonostante i limiti del nostro bilancio della difesa, ma sarebbe opportuno prevedere, proprio in virtù della logica bipartisan che anima questo provvedimento, nella prossima finanziaria, un aumento dei fondi da destinare alla difesa, perché siamo fortemente convinti che non esista una politica estera senza una adeguata politica della difesa e un'adeguata politica diplomatica di prevenzione dei conflitti.
In questo spirito, per le motivazioni che abbiamo ricordato, confermiamo il voto favorevole del gruppo dell'UDC alla conversione del decreto-legge, a conferma di una linea politica di continuità della politica estera del nostro partito, non senza nasconderci i rischi della missione, che le recenti dichiarazioni allucinanti di Nasrallah e il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele non aiutano a smorzare [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, signori del Governo, la tragica morte di Giorgio Langella, nostro soldato impegnato nella martoriata terra di Afghanistan, ci fa ripiombare nello sgomento e nel dolore. Dolore e sgomento per l'ennesima vittima di una guerra cruenta dalle evoluzioni ormai davvero imprevedibili.
È un dolore grande, perché siamo convinti che la guerra e la violenza siano nemici non solo di una parte, ma dell'umanità intera. Ogni vittima di attacchi terroristici, di azioni militari svolte contro i civili è una vittima nostra. Ripudiamo la guerra e il terrorismo, li contrastiamo attivamente, entriamo in sintonia con il rifiuto crescente nella società italiana ed internazionale verso il terrorismo e verso la guerra.
Tutte le vittime, civili e militari, le sentiamo come un lutto nostro, un lutto che non vogliamo né superare né elaborare.
Siamo vicini alle famiglie dei feriti e delle vittime, e siamo umanamente vicini anche ai militari impegnati in quelle missioni che non avremmo voluto si svolgessero.
Vorrei dire al collega Fini che non abbiamo atteso il suo richiamo tardivo ed autoassolutorio contenuto nella interpretazione presuntivamente autentica dell'ordine del giorno presentato dall'opposizione, che non avremmo condiviso, per chiarire quale era la nostra posizione. Le nostre missioni militari, svolte con apprezzata professionalità, riconosciuta competenza e grande capacità di relazioni umane dalle Forze armate, debbono essere finalizzate, dunque, al soddisfacimento delle esigenze di sicurezza, di controllo dei territori, di tutela dei diritti umani, di promozione della democrazia e via dicendo.
Non sono parole mie, colleghi dell'opposizione: si tratta di frasi contenute in una mozione approvata in questo Parlamento, ma non votata da voi. Ciò per motivazioni speculari a quelle che, talvolta, vengono espresse da altre parti, ma che riconoscono solo la strumentalità del dibattito politico e non la reale discontinuità di questa missione militare.
La situazione sul territorio afghano sta peggiorando visibilmente. Non rivendichiamo primogeniture, né diciamo, confermando nostre tesi, che «lo avevamo detto»; chiediamo al Governo, tuttavia, di completare l'impegno assunto con la mozione approvata solennemente in quest'aula


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del Parlamento. Invochiamo l'immediata istituzione della Commissione parlamentare di monitoraggio e richiediamo, altresì, di valutare l'evoluzione sul campo, in modo che sia in sede internazionale, sia all'interno della nostra coalizione si possa evitare di perseguire, ottusamente, una strategia rivelatasi inefficace e che produce ancora morti.
Questo è quanto dobbiamo valutare e questo è ciò che, responsabilmente, le forze appartenenti alla nostra coalizione devono chiedere: fuoriuscire da una strategia che, oggi, si rivela sempre più impossibile da sostenere. Bisogna proporre anche alla NATO, essendo noi parte di tale alleanza, un'interpretazione ed una gestione diversa e, probabilmente, di rimettere completamente in discussione la presenza della missione ISAF nel suo complesso, e non solo da parte nostra. Abbiamo fatto bene a non accedere alle richieste di profondere un maggiore impegno bellico provenienti proprio dal Segretario generale della NATO. Abbiamo inoltre constatato che, sulla questione libanese, il Governo si è mosso proprio nel solco della citata mozione e con un sovrappiù di cultura e di lungimiranza politica.
Devo riconoscere che i ministri competenti, Parisi e soprattutto D'Alema, hanno saputo rifuggire la logica subalterna di compiacere gli alleati internazionali, a partire dagli Stati Uniti, prima ancora che questi conoscessero quale fosse l'opinione del nostro Parlamento, e quindi del nostro organo supremo di rappresentanza. Noi, a differenza di voi, non abbiamo aspettato che qualcuno ci dicesse cosa fare o in quale missione unilaterale impegnarci. Abbiamo voluto segnalare, così, anche una ripresa della nostra presenza sullo scenario internazionale.
Voglio dirlo ai colleghi della destra, che lo hanno ripetuto come un disco rotto: non vi è continuità tra le precedenti missioni militari e questa! Questa, infatti, è la prima missione militare accettata da entrambe le parti belligeranti e si tratta anche della prima missione - come è stato rilevato nel corso del dibattito sia dai nostri colleghi di gruppo, sia dagli altri deputati appartenenti alla maggioranza - che prevede, con il suo impegno e con la sua presenza sul territorio, il fatto che vi sia una tregua, vale a dire che non si aumenti il rischio di causare vittime civili attraverso l'enfatizzazione di quei conflitti che proprio le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan hanno provocato.
Penso ai discorsi del passato, compresi quelli pronunciati dal precedente Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Vorrei osservare che siamo qui a presidiare non la collocazione geopolitica dell'Italia, ma una politica di pace, e ritengo che i contenuti espressi con la nostra azione di Governo siano di per sé un valore sia per l'intera coalizione, sia per tutto il paese.
Sosteniamo con convinzione la presente missione perché è una presa di coscienza, essendo per noi la discontinuità un valore fondante anche della politica del nostro Governo. È un valore perché ciò è reso possibile attraverso una discussione, pur serrata, avvenuta per compattare l'azione di governo, ma lo è anche per la comunità internazionale. Quanto è cambiato il contesto internazionale in cui oggi ci muoviamo?
Pensate, colleghi dell'opposizione, a quanti danni avete prodotto, per fortuna in maniera non irreversibile, all'interno di un Mediterraneo che è diventato un continuo divampare di fuoco e di guerre, che noi invece dobbiamo spegnere.
Noi riteniamo che la ripresa dell'iniziativa dell'Europa e delle Nazioni Unite debba essere confortata da una grande presenza anche della politica. È per questo che definiamo questa novità, come segnalavano i colleghi Deiana, Alì Rashid, Cacciari nel corso della discussione generale del disegno di legge in esame, come una premessa per la politica. Vi pare poco garantire la tregua? Vi pare poco affermare che il disarmo delle milizie è un affare interno del Libano, e proprio per consentire la ripresa di una convivenza civile nel paese più povero dell'area, in quello più tormentato, che ha vissuto insieme ai territori occupati della Palestina la peggiore invadenza dell'aggressività del


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Governo e dell'esercito d'Israele? Vi pare poco pensare ad una ricostruzione nazionale?
Penso che si debba essere prudenti, non enfatici, né sottolineare vanterie militariste. Noi vogliamo dire che per una volta i militari con i caschi blu sono lì per impedire di sparare e non per sparare, e che sarebbe molto sbagliato non perseguire quella politica di equivicinanza che crediamo sinceramente essere stata felicemente interpretata da questo Governo. La tregua è una premessa.
A tale proposito, devo dire che anche il nostro impegno di militari, visto che se ne è parlato da novelli professatori di un pacifismo dell'ultima ora, rappresenta una espressione della responsabilità rispetto alla nostra iniziativa politica. Non vi è etica senza rischio e, se si rischia, si sceglie, e si sceglie il luogo in cui si sceglie e chi sceglie. Abbiamo ribadito che la scelta deve essere fatta nelle aule del Parlamento e che deve essere in linea con l'esistenza specifica e l'osservanza dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
In conclusione, vorrei dedicare un pensiero, considerato che sosteniamo convintamente e con tanti argomenti la missione in Libano, a quei cooperanti di pace, come quel ragazzo di 24 anni, Angelo Frammartino, che era lì proprio per costruire quei ponti di pace che potrebbero essere la nostra vera risorsa: più soldi alla cooperazione internazionale, ma anche riapertura alla presenza di caschi bianchi, come precisato anche nel suo intervento dal nostro collega Cacciari e come è anche previsto nella Carta delle Nazioni Unite quale impegno fondamentale, non soltanto per impedire che si spari ma per costruire una pace duratura in quell'area così disastrata del mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Briguglio. Ne ha facoltà.

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, non vi sono missioni militari di destra o di sinistra: vi sono soltanto missioni militari di pace dell'Italia. Questo è quello che, in sede di dichiarazione di voto - che sarà favorevole - del gruppo di Alleanza Nazionale, voglio dire forte e chiaro in quest'aula, anche in seguito all'ordine del giorno presentato dal presidente Fini e da altri autorevoli colleghi parlamentari del centrodestra, in cui si afferma in modo chiaro che le missioni militari di pace dell'Italia vanno al di là delle stagioni politiche, degli stessi Governi e degli schieramenti bipolari. Sono tutte missioni militari che rispettano l'articolo 11 della Costituzione, come peraltro hanno attestato i Presidenti della Repubblica, quello attuale e il suo predecessore, i quali hanno controfirmato i decreti che hanno autorizzato le missioni militari di pace. Non voglio fare finta che in questi ultimi minuti non sia accaduto nulla in questa aula. Non voglio enfatizzarlo, ma l'ordine del giorno presentato dal centrodestra, pur essendo di parte, non è tuttavia di parte, in quanto esso riconsegna a tutta l'Italia, e a tutto il Parlamento che la rappresenta, una missione militare che si cercava di interpretare a fini di parte, soprattutto di politica interna.
Nei giorni scorsi abbiamo dovuto registrare, e quasi subire, una sorta di doppiezza da parte di molte forze del centrosinistra: da un lato, si auspicava nelle sedi ufficiali, anche parlamentari, un sostegno bipartisan delle forze politiche tutte, quindi anche dei gruppi del centrodestra e dell'intero Parlamento, perché si diceva, in linea con quello che ha affermato correttamente il Capo dello Stato, che è necessario che dietro i nostri soldati ci sia l'intero Parlamento, ci sia l'intero popolo italiano che lo rappresenta; poi, in altre sedi, compresa questa fino a qualche minuto fa, vi erano e ci sono forze all'interno del centrosinistra che vogliono fortemente sottolineare una discontinuità, che noi invece non ravvisiamo, alla luce dell'ordine del giorno presentato dal centrodestra che ha come primo firmatario il presidente Fini, perché la politica estera di un paese non cambia dall'oggi al domani.


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Forse la sinistra radicale e pacifista ha bisogno di questo alibi per sostenere il decreto, dicendo che è in rottura con altre missioni militari, ma in realtà noi questa discontinuità non la ravvisiamo affatto. Per noi questa missione militare è una missione militare di pace, in linea con l'articolo 11 della Costituzione, così come tutte le altre. Noi sosteniamo questa missione militare, perché crediamo che una grande forza politica, un grande schieramento politico come il centrodestra, in materia di politica estera debba gettare il cuore oltre l'ostacolo, debba cioè guardare al di là della stagione contingente. Lo abbiamo fatto quando abbiamo votato le missioni militari in Kosovo e in Bosnia. Poi lo abbiamo fatto dalle posizioni di Governo come protagonisti, sostenendo e mettendo in campo le missioni militari in Iraq e in Afghanistan. Ieri come oggi, in materia di politica estera credo che siamo stati caratterizzati da una posizione di grande apertura e di grande generosità, perché è nel DNA della destra politica italiana vedere le missioni militari non con una visione guerrafondaia. I nostri soldati, quelli che sono andati in Iraq, in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo e anche in Libano, vanno a mantenere la pace, vanno a svolgere operazioni umanitarie importanti, di assistenza e di difesa della popolazione e di ricostruzione civile. E non saranno interpretazioni faziose che ci faranno deviare da questa linea, che è una linea politica ma che forse va al di là della politica, perché è una linea della storia della destra politica italiana!
Credo che ciò debba essere apprezzato come apertura nei confronti del Governo, nonostante ci siano problemi e grandi perplessità, in relazione ai quali invitiamo fortemente il Governo a vigilare nei prossimi giorni. Ci sono state in questa settimana delle dichiarazioni veramente pesanti e preoccupanti nello scacchiere mediorientale, da parte intanto di Hezbollah, che si rifiuta di riconoscere Israele e che ci dice che ha ancora molte armi da mettere in campo; e non parliamo di armi della politica!
Concludendo, signor Presidente, onorevoli colleghi, quando il presidente Fini e gli altri leader del centrodestra hanno pensato all'ordine del giorno che abbiamo presentato, non sapevamo ancora che il caporalmaggiore Giorgio Langella ed altri militari italiani sarebbero rimasti il primo ucciso e gli altri feriti in un attentato.

PRESIDENTE. Mi scusi un attimo, deputato Briguglio.
Invito l'Assemblea a ridurre il brusio perché in queste condizioni è davvero difficile ascoltare gli interventi dei colleghi.

CARMELO BRIGUGLIO. Credo che l'ordine del giorno presentato rappresenti la migliore posizione politica per rendere onore a militari che servono la pace in tutte le missioni in cui sono impegnati.
I colleghi della sinistra non hanno nulla da dire rispetto a forze politiche - parlo di Hamas e di Hezbollah - terroristiche. Dove è finito il pacifismo?
I militari italiani hanno certamente in mano un fucile, poiché debbono difendere se stessi e le popolazioni loro affidate, ma si sono sempre recati all'estero avendo nell'altra mano cibo, omogeneizzati e medicine: è così che si serve concretamente la pace (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, fra poco voteremo tutti a favore della missione italiana in Libano e ciò avverrà grazie al nostro senso di responsabilità, in presenza di visioni assai diverse della politica estera del nostro paese e anche di valutazioni e giudizi differenti per ciò che riguarda i compiti e il funzionamento della missione.
In questo caso non vi è un confronto fra unilateralismo e multilateralismo, ma un confronto fra due diverse concezioni del multilateralismo. Il nostro multilateralismo si fonda sull'unità dell'Occidente, su uno stretto rapporto fra l'Europa, gli


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Stati Uniti, Israele e su relazioni positive con i paesi arabi. Il vostro multilateralismo si fonda su una concezione concorrenziale dell'Europa con gli USA e sulla ricerca di un rapporto preferenziale con tutto il mondo arabo.
La vostra è una visione datata rispetto alle contraddizioni che attraversano il mondo, perché secondo il vostro parere tuttora la contraddizione israelo-palestinese è fondamentale, mentre invece, purtroppo, essa è sopravanzata da una contraddizione molto più profonda determinata dal fondamentalismo islamico, che rappresenta un'alternativa globale al mondo occidentale e ai paesi arabi moderati. Se non ci misuriamo con questa realtà, che richiede l'unità e non la disarticolazione dell'Occidente, noi lavoriamo a favore di un'azione del fondamentalismo islamico molto profonda e che non va sottovalutata. Si tratta, infatti, di una dimensione che si sviluppa lungo due direttrici: mi riferisco ad un nucleo eversivo terroristico che si dirama per franchising in tutto il mondo e ad uno Stato rivoluzionario, l'Iran, che non può certamente essere esorcizzato e calmato con qualche incontro. Infatti, il presidente Ahmadinejad è un rivoluzionario integralista che punta, da un lato, ad acquisire l'arma nucleare e, dall'altro, come ha ribadito pochi giorni fa, il suo disegno punta ad espellere gli ebrei da Israele e dalla Palestina poiché, secondo lui, sono senza radici.
Non serve ad esorcizzare queste contraddizioni lo storicismo giustificazionista del nostro ministro degli esteri; con quello storicismo giustificazionista anche il nazismo aveva una sua ragion d'essere, perché rispondeva al criterio del radicamento nel territorio e al fatto che poteva contare su una rappresentanza parlamentare che nel 1933 risultava addirittura maggioritaria. Infatti, i conti non tornano neanche all'intelligenza politica dell'onorevole D'Alema.
Oggi vediamo che la risposta, da un lato, dell'Iran e, dall'altro, degli hezbollah, con il ragionamento che ha fatto proprio pochi giorni fa in una manifestazione di massa il loro leader Nasrallah, è stata la rivendicazione del loro armamento e quindi il fatto che, opportunisticamente, essi giocano una partita rinviando ulteriormente i tempi fino ad un nuovo attacco militare.
Nel dibattito che abbiamo avuto l'altro ieri, l'onorevole Ranieri si è rivolto ad Israele perché appoggi Abu Mazen. Tuttavia, il problema di Abu Mazen, onorevole Ranieri, non dipende da Israele bensì da Hamas e dal fatto che questa organizzazione non sta concludendo un accordo di governo perché non vuole accertare il riconoscimento che l'OLP aveva fatto, a suo tempo, dello Stato di Israele. Questa è la contraddizione grave, anche rispetto ad alcune valutazioni che l'onorevole D'Alema ha fatto su Gaza, il cui dramma è lo scontro armato fra Hamas e l'OLP. Se osserviamo la politica israeliana, vediamo che essa, per avere la pace, ha sempre ceduto territori nel Libano e a Gaza. Questi territori non sono stati occupati da arabi moderati, ma purtroppo e tragicamente dall'estremismo fondamentalista che si è insediato nel Libano e adesso sta conducendo la sua battaglia a Gaza. Come voi sapete benissimo, infatti, la crisi dell'OLP e la vittoria di Hamas sono dipese anche dalla corruzione della prima e dal fatto che essa ha perso potere di convinzione sulla cittadinanza palestinese.
Allora, onorevoli colleghi, la missione va inquadrata in questo contesto e non dobbiamo dimenticare due dati: il primo, paradossale, secondo il quale senza la risposta israeliana all'attacco armato che le è stato rivolto noi non avremmo avuto una situazione nella quale l'esercito libanese ricominciasse a prendere il controllo sul suo territorio (infatti, a tale esercito, nel combinato disposto tra Hezbollah e la Siria, era impedito di arrivare al confine con il Libano); in secondo luogo, ricordiamo che l'ONU era già presente in Libano. La missione UNIFIL dura già da molti anni, ha avuto 258 morti e ha voltato gli occhi dall'altra parte, consentendo all'Iran e alla Siria di armare, come se fosse uno Stato, una componente terroristica qual è Hezbollah.


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Abbiamo fatto i conti per superare la questione in positivo, con un deliberato dell'ONU, il n. 1559 che, in una frase assai precisa, diceva che dovevano essere disarmate le milizie al confine. Invece, oggi, il testo della risoluzione n. 1701 non fa altro che assegnare due compiti fondamentali alla missione: l'appoggio della missione all'esercito libanese perché disarmi le milizie sciite e, in secondo luogo, il blocco della frontiera per evitare che continui il riarmo di tali milizie. Questa riflessione è condensata anche in un ordine del giorno presentato dagli onorevoli Cossiga, La Malfa e Martino, che mettono a fuoco l'esistenza di questo problema. Se invece, in corso d'opera, la missione diventa pura e semplice interposizione, noi rischiamo di trovarci in una situazione nella quale stiamo fermi, non blocchiamo le frontiere e non disarmiamo Hezbollah.
A quel punto, il problema sarebbe costituito dal rischio gravissimo, che la nostra missione corre, di consentire agli hezbollah di guadagnare tempo affinché, essendo stati smantellati alcuni armamenti, possano ricostituirli.
Quindi, il nostro voto favorevole è anche un voto a termine, nel senso che sottoporremo questa missione ad una verifica. Infatti, sappiamo benissimo che, in una parte di questo Parlamento, tale missione è invece concepita come una interposizione dell'ONU che consenta agli hezbollah di guadagnare tempo.
Esprimeremo un voto favorevole per due ragioni di solidarietà. Innanzitutto, in ragione di una solidarietà internazionale nei confronti degli Stati Uniti, di Israele e dei paesi arabi moderati che possono trarre giovamento da questa missione. In secondo luogo, per un senso di solidarietà nazionale verso i nostri compatrioti, verso i nostri soldati, che non riceveranno mai dal centrodestra una pugnalata nella schiena che li privi di stabilità, che tolga loro la copertura. Del resto, anche quanto è avvenuto quest'oggi in Afghanistan dimostra che quando si pone in discussione la nostra presenza in quell'area si determina una situazione per la quale siamo ritenuti deboli.

PRESIDENTE. Deputato Cicchitto...

FABRIZIO CICCHITTO. Voglio concludere, signor Presidente, dicendo che noi rivendichiamo - come hanno affermato altri colleghi - con quell'ordine del giorno il fatto che noi siamo intervenuti in Iraq non durante la guerra ma successivamente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FABRIZIO CICCHITTO. Concludo, signor Presidente.
Siamo intervenuti successivamente, nell'ambito di una missione di pace riconosciuta dall'ONU, riconosciuta da Kofi Annan. Ebbene, rivendichiamo questa funzione di pace e respingiamo le insultanti affermazioni ...

PRESIDENTE. Deputato Cicchitto, la prego di concludere.

FABRIZIO CICCHITTO. ...che ci attribuiscono un ruolo «di guerra» che non abbiamo svolto. Noi siamo entrati in pace in Iraq...

PRESIDENTE. Non è possibile...

FABRIZIO CICCHITTO. ...così come in Libano. Allo stesso modo, svolgiamo...

PRESIDENTE. Deputato Cicchitto, la prego di concludere!

FABRIZIO CICCHITTO. ... un ruolo in Afghanistan [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Sereni. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, anch'io vorrei innanzitutto esprimere il cordoglio, mio personale e di tutto il gruppo dell'Ulivo, per la morte del


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caporalmaggiore Langella e dei civili afghani, colpiti nell'attentato che si è verificato a sud di Kabul questa mattina. In questo momento di grande dolore, siamo vicini ai familiari delle vittime e seguiamo con attenzione e partecipazione l'evolversi delle condizioni di salute degli altri militari italiani e dei civili afghani rimasti feriti.
Proprio di fronte ad attacchi di questo tipo, crediamo sia semplicemente doveroso fare arrivare a tutti militari italiani impegnati in missioni all'estero un messaggio di ringraziamento e di sostegno a nome di tutto il paese. D'altro canto, le criticità della situazione afghana erano state già oggetto di confronto in questa Assemblea pochi mesi fa, quando, confermando il nostro impegno in quel difficile teatro, abbiamo ritenuto fosse opportuno aprire nelle sedi internazionali competenti - la NATO e le Nazioni Unite - una riflessione sui caratteri e le finalità della presenza internazionale in Afghanistan. L'attentato di questa mattina ci ricorda drammaticamente come i nostri militari operino in contesti complessi, attraversati da tensioni reali e caratterizzati da livelli di conflittualità, a tratti seri. D'altronde, il motivo della nostra presenza in tali scenari è proprio quello di contribuire a sciogliere quelle tensioni, abbassare il livello dello scontro e rendere la vita quotidiana delle popolazioni meno drammatica, più accettabile.
In Libano, l'iniziativa politica e diplomatica del Governo italiano ha contribuito, in modo inequivocabile e decisivo, fin dalla convocazione della Conferenza di Roma, alla cessazione delle ostilità. Una tregua sembrava allora urgente, per salvare vite umane travolte dal conflitto, indispensabile, per aprire uno spazio per il dialogo, ed, al tempo stesso, improbabile. Il cessate il fuoco è apparso improbabile, prima della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, e fragile, subito dopo. Bisogna riconoscere a chi ha creduto nella possibilità di affermare questa soluzione il merito di aver reso possibile ciò che era necessario.
L'iniziativa del Governo italiano si è giustamente incentrata su diverse linee di attività, diplomatiche e politiche. Innanzitutto, quella delle Nazioni Unite, investendo in modo coerente ed efficace sull'unico strumento di politica multilaterale di cui, al momento, la comunità internazionale dispone. Siamo e restiamo consapevoli di tutti i limiti dell'ONU in termini di efficacia, efficienza e trasparenza e della necessità che una profonda riforma riesca a colmarli. Crediamo, anzi, che questo debba e possa essere un obiettivo vitale dell'Italia nei due anni in cui sarà membro del Consiglio di sicurezza, a partire dal gennaio prossimo.
Al di là dei propri limiti strutturali, le Nazioni Unite hanno sofferto tremendamente in questi anni una crisi di legittimità e di consenso, figlia, in primo luogo, della convinzione che il mondo non avesse più bisogno, dopo la fine della guerra fredda e con il delinearsi su scala globale di una geometria di poteri asimmetrica, di un luogo di governo multilaterale.
Invece, proprio l'emergere di nuove sfide per la pace e la sicurezza mondiale, dal terrorismo internazionale alle gravi catastrofi ambientali, all'insostenibile piaga della povertà, avrebbe dovuto convincere della necessità assoluta di potenziare quell'imperfetto ma prezioso strumento di governo plurale delle tensioni del mondo che le Nazioni Unite possono costituire. Oggi, dopo la grave battuta di arresto irachena, anche l'amministrazione statunitense dà segnali di aggiustamento di rotta tornando al multilateralismo.
La seconda linea fondamentale di attività del Governo italiano è stata la costante tensione a costruire una soggettività e, anzi, un protagonismo dell'Europa, che si riteneva non fosse in grado di assumere posizioni ed azioni comuni, soprattutto in politica estera. L'Europa spaccata a metà sulla guerra in Iraq, bloccata nel suo percorso costituzionale, impotente e ferma davanti alle grandi sfide del nostro tempo: l'Europa, che sembrava fosse destinata all'irrilevanza e all'impotenza, invece ha conosciuto, in occasione della crisi libanese, una sorta di riscatto, di assunzione


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di responsabilità e di ruolo. Fondamentali sono stati per questo passaggio le sollecitazioni del Governo italiano, che ha preso l'iniziativa di chiedere la convocazione dei quel Consiglio dei ministri degli esteri che, alla presenza di Kofi Annan, ha discusso della crisi libanese e ha assunto la decisione di dare corpo alla risoluzione ONU con un proprio consistente impegno diretto.
Altrettanto fondamentale, però, è stato il riconoscimento esplicito, da parte degli Stati Uniti, della necessità di lavorare insieme nello scenario mediorientale e, anzi, l'esplicita ammissione del fatto che l'Europa, dopo la guerra in Iraq, ha strumenti e capacità potenzialmente molto più efficaci in quell'area. La terza linea di azione politico-diplomatica...

PRESIDENTE. Colleghi...

MARINA SERENI. Si fa un po' fatica, Presidente... C'è un gran rumore.

PRESIDENTE. Per favore, più volte ho richiamato l'Assemblea a un comportamento che consenta di ascoltare chi interviene. Lo faccio di nuovo. Se anche mentre faccio un richiamo continuano i rumori in aula, mi pare chiaro che si determina una condizione di difficile convivenza. Per favore, vi invito a consentirci di ascoltare tutti gli interventi.

ANTONIO LEONE. Non lo ha fatto prima!

PRESIDENTE. L'ho fatto anche prima! Lei ha sentito. Per due volte! Prego, deputata Sereni.

MARINA SERENI. Grazie, signor Presidente.
Dicevo che la terza linea di azione politico-diplomatica che l'Italia ha molto efficacemente perseguito è stata quella di ritessere con convinzione le fila del dialogo con tutti i soggetti politici e istituzionali rilevanti nel Medio Oriente.
La capacità del nostro paese di porsi come interlocutore credibile ed affidabile di tutte le parti in causa è un patrimonio che ha radici profonde nella storia della Repubblica e che oggi esprime nuove potenzialità di cruciale importanza non solo per contribuire al riaprirsi di un processo di pace in Medio Oriente, ma anche per riannodare i fili e ricostruire i ponti da una sponda all'altra del Mediterraneo, in un'epoca di presunto conflitto di civiltà.
È proprio la complessità dello scenario politico internazionale, la minaccia del terrorismo, il sempre più pericoloso intreccio tra ideologie, fondamentalismi e tratti di semplici identità culturale a ricordare la necessità di lavorare per risolvere i conflitti aperti, attraverso alleanze internazionali ampie, trasversali e plurali dal punto di vista politico, culturale e religioso.
È per questa serie di ragioni che sosteniamo con convinzione la partecipazione italiana alla missione UNIFIL. Sappiamo che la missione non risolve di per sé i diversi conflitti che attraversano il crocevia del sud del Libano. In quello scenario, allo scontro tra Israele e Libano, o meglio tra Israele ed Hezbollah, si sovrappone una molteplicità quasi infinita di tensioni. È evidente che la missione riuscirà se saprà creare le condizioni per un rilancio dei processi di dialogo in tutta la regione, e quei processi sono e non possono che essere politici.
Quali sono queste condizioni? Innanzitutto, il rafforzamento reale dello Stato libanese, della sua sovranità e della sua autonomia. Ciò significa fornire ad esso tutto il sostegno che riterrà opportuno e necessario per porre fine al persistere di milizie armate al di fuori della propria autorità e del proprio controllo. Altrettanto importante sarà la ridefinizione del ruolo della Siria e dell'Iran nel contesto regionale, ridefinizione che non potrà che passare per le vie della politica, del dialogo e della diplomazia. Crediamo siano stati preziosi i segnali dati in tal senso sia dal Presidente Prodi che dal Presidente Casini, in occasione dei loro recenti incontri con il presidente Ahmadinejad.
In questo contesto più ampio, l'Italia ha continuato e deve continuare ad affermare


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e a difendere il diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza e in pace entro i propri confini, con i propri vicini; anzi, affrontare in modo aperto il problema degli equilibri della convivenza pacifica nell'insieme della regione significa porre su basi più solide e durature la garanzia dell'esistenza e della sicurezza dello Stato di Israele. Certo, quelle basi, per diventare davvero solide, dovranno poter contare, nel più breve tempo possibile, sul riavvio di un processo negoziale tra Governo israeliano e autorità palestinese.
Per questo, in fondo, è cruciale la nostra partecipazione alla missione UNIFIL, non solo e non tanto per l'interposizione materiale che i nostri soldati potranno e dovranno fare, con il sostegno di questo Parlamento, a garanzia del cessate il fuoco, in difesa di un confine e di popolazioni civili, ma anche e soprattutto per aprire la porta alla speranza, alla politica, al dialogo e alla pace in tutto il Medio Oriente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dei Verdi e de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brugger. Ne ha facoltà.

SIEGFRIED BRUGGER. Signor Presidente, dichiaro il voto favorevole della componente Minoranze linguistiche del gruppo Misto e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Brugger, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

(Coordinamento formale - A.C. 1608)

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

(Votazione finale ed approvazione - A.C.1608)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 1608, di cui si è testé concluso l'esame.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Conversione in legge del decreto-legge 28 agosto 2006, n. 253, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, ridefinita dalla risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1608):

Presenti e votanti 527
Maggioranza 264
Hanno votato 507
Hanno votato no 20
(La Camera approva - Applausi - Vedi votazioni).

Prendo atto che il deputato Cioffi non è riuscito a votare ed avrebbe voluto esprimere voto favorevole.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,10).

LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, tra il 21 e il 23 settembre, a seguito di intercettazioni, i nomi di alcuni colleghi deputati sono stati


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pubblicati su tutti i giornali in aperta violazione non solo del segreto istruttorio, ma anche - a causa dei commenti che ne sono derivati in privato e in pubblico - delle prerogative dei parlamentari.
Spero che la Camera, signor Presidente, anche tramite le sue parole, intenda sanzionare questa pubblicazione di nomi e di parti dei verbali, cercando di reagire a ciò che, nel caso di questi deputati - uno dei quali è il segretario di un partito politico di questa Repubblica -, costituisce una palese violazione delle prerogative parlamentari, destando altresì una grave preoccupazione per l'inquinamento della democrazia e della vita politica del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Volontè, come lei sa, la Presidenza condivide profondamente l'allarme che si è levato da tutte le componenti della Camera dei deputati in questi giorni, pensando che siamo di fronte davvero ad una lesione profonda ed intollerabile della democrazia.
Onorevole Volontè, lei ha ricordato le prerogative del parlamentare, una sottolineatura che non è mai eccessivo fare. Già informalmente, nei giorni scorsi, ho avuto la possibilità di esprimere la mia solidarietà a nome dell'istituzione e la riconferma dell'impegno che la Camera dei deputati nel suo insieme deve produrre contro qualsiasi distorsione di questo principio fondamentale di tutela dei parlamentari. In questo senso, la censura da lei richiesta, onorevole Volontè, è assolutamente condivisibile.
Tuttavia, intendo ricordare che, in questo caso, non sono state lese soltanto le prerogative dei parlamentari. In realtà, nella minaccia all'attività parlamentare sussiste una intollerabile minaccia ai principi fondamentali della cittadinanza. Si usa spesso far riferimento al diritto alla privacy; credo che dobbiamo essere avvertiti del fatto che i fenomeni che abbiamo dovuto constatare costituiscono, oltre che una lesione democratica, anche un attacco alla Costituzione repubblicana.
Non ho bisogno di ricordare ai colleghi che un articolo assai importante della Costituzione, l'articolo 15 del Titolo I, che regola i rapporti civili, stabilisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili e che la loro limitazione può avvenire soltanto per un atto motivato dell'autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge.
Quanto è avvenuto costituisce una lesione profonda dell'ordinamento democratico e della Carta costituzionale. Per tale motivo, siamo tutti impegnati a ripristinare la legalità democratica e a questo impegno faremo corrispondere la nostra azione nei prossimi giorni (Applausi).

Seguito della discussione delle mozioni Zanetta ed altri n. 1-00017 e Tassone ed altri 1-00028 sulle iniziative per garantire la tempestiva realizzazione della tratta alta velocità Torino-Lione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 19,15)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Zanetta ed altri n. 1-00017 e Tassone ed altri 1-00028 sulle iniziative per garantire la tempestiva realizzazione della tratta alta velocità Torino-Lione (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, che esprimerà altresì il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.
Chiedo ai colleghi di fare attenzione e silenzio. Prego, ministro.


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ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Signor Presidente, signori parlamentari, esprimo il parere su entrambe le mozioni che riguardano lo stesso argomento. La differenza tra l'una e l'altra riguarda se ed in che modo il Governo intende attivarsi anche per la realizzazione del terzo valico ferroviario dell'Appennino ligure-piemontese.
In merito, l'intervento previsto per il potenziamento del valico dei Giovi consiste - lo ricordo - nella realizzazione di una nuova linea a doppio binario elettrico avente le caratteristiche di alta velocità ed alta capacità per circa 71 chilometri, comprese le interconnessioni con la linea attuale, di cui 52 in galleria. La realizzazione di tale nuova infrastruttura è prevista nell'ambito del programma di attuazione della legge obiettivo, la n. 443 del 2001, ed in effetti il CIPE, nella seduta del 29 marzo 2006, ha approvato il progetto definitivo per un valore di 4.962 milioni di euro, e la delibera è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Però, non sono stati stanziati i fondi per realizzare quanto previsto in delibera. È ovvio, quindi, che tale intervento deve essere riprogrammato.
Non si tratta, quindi, di sbloccare i lavori, come chiesto nella mozione. Non si possono sbloccare i lavori se prima non si riprogramma un intervento di circa 5 miliardi di euro. In realtà, c'è poco da sbloccare: bisogna cominciare ex novo una procedura rispetto ad un'opera importante che è già nella legge, ma solo come obiettivo. Intendiamo attivare tale opera nel corso della legislatura, e comunque nei tempi possibili in relazione alle risorse necessarie, secondo le priorità già previste nel DPEF 2007-2011.
Venendo in concreto alla questione riguardante la tratta Torino-Lione, facente parte della tratta Lisbona-Kiev, mi preme ricordare che il 29 giugno scorso si è riunito nuovamente il tavolo politico costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, già costituito dal precedente Governo a seguito dei disordini della Val di Susa e che noi abbiamo riconfermato sia come tavolo politico, sia come osservatorio. Dopo i suddetti disordini, infatti, l'allora Governo si rese conto che procedere senza la concertazione con gli enti locali voleva dire mettersi in conflitto con la cittadinanza e con una notevole parte del paese.

PRESIDENTE. Rinnovo la richiesta ai colleghi di fare silenzio e prestare attenzione al parere che il ministro sta esprimendo sulle mozioni all'ordine del giorno.
Prego, signor ministro.

ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Per tale ragione, abbiamo inserito nell'allegato infrastrutture del DPEF 2007-2011, approvato dal Parlamento, la priorità - lo ribadisco - della realizzazione della nuova tratta ferroviaria Torino-Lione. Non si tratta di dichiarazioni solo mie, ma che sono già state rese dal Presidente del Consiglio più volte, da ultimo in questa sede, in risposta ad uno specifico question time. Nel DPEF si fa specificamente riferimento ad una variazione delle modalità di approvazione della valutazione di impatto ambientale non già attraverso il ricorso a quanto previsto dalla legge obiettivo, ma attraverso il ricorso alla procedura ordinaria per l'approvazione della TAV nella Val di Susa.
Questo è stato necessario fare e bisogna ribadire che, oltre a ciò che era previsto dalla legge obiettivo, il Governo dell'epoca non ha attivato successivamente quanto previsto dalla stessa legge obiettivo per avere la valutazione di impatto ambientale; semplicemente, si è limitato a presentare la proposta di progetto definitivo dell'opera all'esame della sola struttura tecnica di missione, e non anche - come previsto dalla stessa legge obiettivo - degli altri soggetti istituzionali competenti alla sua approvazione. È bene che si dia atto, una volta per tutte, che, ricorrendo all'articolo 81 per approvare in via ordinaria le opere in Val di Susa, in realtà accorciamo i tempi. Infatti, ciò che si stava facendo era addirittura andare non solo contro il buonsenso della legge ordinaria, ma contro quanto previsto dalla legge obiettivo per ciò che riguardava il coinvolgimento degli altri soggetti istituzionali competenti.


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Lo ripeto, la legge obiettivo lo prevede espressamente; prevede la rappresentanza degli interessi delle comunità locali, che deve essere assicurata unicamente dalla regione competente per territorio. Ciò ho voluto dire, perché noi, subito dopo aver assunto le responsabilità istituzionali - io, per quanto riguarda il mio ministero, ed il Governo, per quanto riguarda la sua interezza - che ci competono, abbiamo riavviato immediatamente, con una nuova legge, appunto, il passaggio in procedura ordinaria e, successivamente, abbiamo avviato immediatamente - ed io ho dato personalmente disposizioni in merito - la Conferenza di servizi nella prima riunione tenuta lo stesso giorno, ossia il 1o agosto.
Ebbene, vi faccio presente che la Conferenza di servizi si è già riunita e sono già stati consegnati tutti gli elaborati progettuali della tratta internazionale Torino-Lione e della Gronda di Torino. Sono stati già consegnati a tutte le amministrazioni coinvolte. Come potete constatare, quindi, in poche settimane è stato fatto già più, molto di più, di ciò che è stato fatto in precedenza. Il 12 ottobre è già fissata la prossima riunione della citata Conferenza.
Voglio soltanto precisare che, per la proceduta ordinaria di cui all'articolo 81, l'iter previsto è il seguente: nel pieno rispetto di quanto ribadito e richiesto dal coordinatore europeo relativamente ai tempi di conclusione della procedura approvativa, è già in corso di affidamento lo studio di impatto ambientale dell'intera opera da parte di LTF (Lyon Turin Ferroviarie), promotore dell'opera. Come è noto, lo studio di impatto ambientale, il SIA, che costituisce l'elaborato di riferimento, anche attraverso l'esame di vari e differenti scenari realizzativi e l'analisi costi-benefici - lo ribadisco, il SIA, lo studio di impatto ambientale -, sta valutando vari e differenti scenari realizzativi dell'analisi costi-benefici, al fine della valutazione d'impatto ambientale stessa. Una volta conclusa la valutazione di impatto ambientale, la Conferenza di servizi, di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, si pronuncerà in via definitiva.
Mi preme, da ultimo, segnalare che, per quanto riguarda i tempi, il nostro cronoprogramma è il seguente: la valutazione di impatto ambientale è già iniziata e si sta svolgendo regolarmente, come da cronoprogramma. Si stanno già svolgendo tutte le procedure previste. L'ultimazione del SIA è previsto, come richiesto dal coordinatore europeo, entro aprile 2007. La conclusione della procedura della VIA, come richiesto dallo stesso coordinatore europeo, avverrà entro luglio 2007 e, come richiesto sempre dal coordinatore europeo, la Conferenza di servizi sarà effettuata entro il 2007.
Insomma, per quanto riguarda la questione relativa alla realizzazione della tratta ferroviaria Torino-Lione, come avete visto, il Governo italiano ha preso in mano la situazione, essendosi reso conto che, stante la situazione di fermo protrattasi fino a quel momento, quando tutto era stato ricondotto ad un tavolo nazionale, non si era potuto compiere alcunché per via di una serie di complesse proteste che avevano bloccato tutti i lavori; ebbene, i lavori sono stati riavviati (Commenti). I lavori relativi alla progettazione sono stati portati avanti ed è stata fatta...

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di consentire al ministro di proseguire il suo intervento.

ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Tutto procede secondo i progetti e secondo gli impegni assunti dal Governo. Tutto il resto, quindi, è semplicemente una problematica che non può riguardare il Governo stesso, esulando, appunto, dall'impegno preso.
Per queste ragioni, noi non possiamo che esprimere parere contrario sulla formulazione della prima delle mozioni perché prevede la realizzazione (Commenti)...

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, non è ammissibile che si urli in questo modo in Assemblea! Non si riesce ad ascoltare ciò che dice il ministro!


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ANTONELLO IANNARILLI. Non si capisce!

PRESIDENTE. Non si capisce, colleghi, perché vi è un brusio a dir poco eccessivo in aula.

ANTONELLO IANNARILLI. Serve la traduzione!

PRESIDENTE. No, se voi fate silenzio, il ministro può essere ascoltato.

ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Esprimiamo parere contrario sulla mozione Zanetta n. 1-00017 (Nuova formulazione) per l'appunto perché prevede la realizzazione di opere per le quali il precedente Governo non aveva previsto le risorse necessarie; risorse che oggi devono essere riprogrammate.
Quanto alla seconda mozione, la mozione Tassone n. 1-00028, essa ripercorre semplicemente la precedente ed invita il Governo a concludere i lavori entro il 30 settembre 2007. Noi possiamo assicurare che tutti i lavori si possono concludere entro il 30 settembre 2007. Come Governo, assicuriamo che ciò sarà fatto entro tali termini. Non possiamo però accettare tale indicazione nella mozione, nella premessa, dove, per l'appunto, è previsto di procedere attraverso la legge obiettivo quando già la legge approvata da questo Parlamento ha previsto che si debba far riferimento alle procedure ordinarie, con le conseguenze che le procedure ordinarie di cui all'articolo 81 stabiliranno anche in ordine alla valutazione di impatto ambientale. Per tali ragioni, esprimo parere contrario.

PRESIDENTE. Signor ministro, mi scusi, il parere è contrario anche su tutta la mozione Tassone n. 1-00028?

ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Sì.

PRESIDENTE Colleghi, considerata l'ora e consultati informalmente i gruppi, tenendo conto che vi sono molte richieste di intervento per dichiarazione di voto, se non vi sono obiezioni, potremmo rinviare a domani pomeriggio il seguito dell'esame delle mozioni e la trattazione dei restanti punti iscritti all'ordine del giorno. Ricordo peraltro che domani mattina è prevista la discussione sulle linee generali del conto consuntivo e del progetto di bilancio interno della Camera dei deputati.

MAURO DEL BUE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

MAURO DEL BUE. Solo per segnalare, dopo il «brillante» intervento del ministro Di Pietro, la mia intenzione di intervenire in fase di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole, stiamo decidendo di rinviare a domani il seguito della discussione; comunque prendo atto della sua richiesta di intervenire per dichiarazione di voto nella seduta di domani.
Se non vi sono obiezioni, propongo di rinviare ad altra seduta il seguito dell'esame delle mozioni, nonché la trattazione dei restanti punti iscritti all'ordine del giorno.
(Così rimane stabilito)

Modifica nella composizione della delegazione italiana presso le Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa e della UEO.

PRESIDENTE. Il presidente del gruppo parlamentare L'Ulivo ha chiesto, con lettera in data 25 settembre 2006, che nella delegazione italiana presso le Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa e dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO) i deputati Elena Cordoni e Dario Franceschini, dimissionari, siano rispettivamente sostituiti, quali membri effettivi, dai deputati Pietro Marcenaro e Andrea Rigoni e che questi ultimi, dimessisi a loro volta da membri supplenti, siano rispettivamente sostituiti dai deputati Renato Galeazzi e Dario Franceschini.


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Se non vi sono obiezioni, il Presidente della Camera procederà in tal senso secondo la costante prassi applicativa dell'articolo 56, comma 4, del regolamento.
(Così rimane stabilito).

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 27 settembre 2006, alle 9,30:

(ore 9,30, con eventuale prosecuzione al termine delle votazioni)

1. - Discussione congiunta dei documenti:
Conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2005 (Doc. VIII, n. 1).
Progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2006 (Doc. VIII, n. 2).

(ore 15)

2. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Zanetta ed altri n. 1-00017 e Tassone ed altri n. 1-00028 sulle iniziative per garantire la tempestiva realizzazione della tratta alta velocità Torino-Lione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge (previa votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
Conversione in legge del decreto-legge 16 agosto 2006, n. 251, recante disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica (1610-A).
- Relatore: Sperandio.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00010, Realacci ed altri n. 1-00009 e Lion ed altri 1-00022 sull'introduzione di regole riguardanti l'utilizzo di pratiche enologiche alternative alle tradizionali tecniche di invecchiamento del vino.

La seduta termina alle 19,30.

DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO SIEGFRIED BRUGGER SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1608

SIEGFRIED BRUGGER. La nostra missione in Libano è conseguente alla risoluzione dell'ONU 1701 ed è stata resa possibile grazie al ruolo determinante che il nostro Governo ha svolto fra i paesi in conflitto per avviare il processo di tregua e di pacificazione sotto l'egida dell'ONU.
La responsabilità che il nostro paese ha assunto, con le nuove risorse destinate ad azioni umanitarie e gli interventi di cooperazione per lo sviluppo e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, corrisponde ad un ruolo di equilibrio e di collaborazione che abbiamo saputo esprimere e sostenere, contro ogni ipotesi unilaterale e di isolamento europeo, nella complessa e grave evoluzione della situazione internazionale.
Gli sviluppi del conflitto israelo-libanese e le possibili, radicali, implicazioni nella regione hanno motivato l'iniziativa internazionale di pace posta in essere dal Governo italiano e la conseguente definizione di una politica multilaterale di intervento, che dopo molti anni ha restituito autorità e credibilità all'ONU.
È essenziale, come è nello spirito del provvedimento in esame, che l'elaborazione di interventi ulteriori e straordinari rispetto alle misure già adottate nel programma di cooperazione ordinario, sia avvenuta contestualmente alla definizione delle operazioni di carattere militare finalizzate alla realizzazione dell'area libera da combattenti e armamenti ed alla sua difesa e integrità, secondo le regole di


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ingaggio definite dalla risoluzione ONU e che potrebbero essere ulteriormente rafforzate da una nuova iniziativa del Consiglio di sicurezza.
La nostra partecipazione nasce dalla consapevolezza delle cause che sono all'origine del conflitto israelo-libanese e delle complesse scelte da adottare affinché la difficile situazione interna al Libano possa evolversi verso il consolidamento della democrazia e il conseguente superamento del ruolo e dello scontro fra milizie di partito.
Opportunamente il ministro degli affari esteri, D'Alema, ha affermato che il consolidamento della democrazia in Libano deve fondarsi su «un monopolio statale della forza» affinché «la democrazia non sia insidiata da gruppi, da fazioni e da azioni violente e di natura terroristica».
Nel contempo, crediamo che il processo di pace debba avere come interlocutore essenziale il governo di Israele, a condizione che le garanzie di sicurezza dei suo confini e del suo popolo escludano che la situazione dell'area torni a quella preesistente il conflitto.
Integrità e sovranità del Libano e sicurezza di Israele sono dunque punti contestuali della azione multilaterale della comunità internazionale e dell'ONU, che il Governo italiano ha sostenuto.
L'adozione della risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza ha interrotto un processo di consolidamento di posizioni radicali nei paesi arabi moderati.
Tuttavia, esclusivamente il successo dell'azione della comunità internazionale e lo sviluppo del processo di pace possono arginare il ruolo delle milizie sciite di Hezbollah. È l'appello che ci giunge dai paesi arabi moderati, i quali ritengono che il rafforzamento del ruolo dell'ONU sia la sola prospettiva possibile per sostenere un processo negoziale di pace in quei territori. Princìpi ed obiettivi analoghi ispirano l'azione del Governo italiano e dell'Europa nei confronti della questione palestinese e l'auspicio è che le condizioni poste dalla comunità internazionale trovino pieno riconoscimento.
Il consenso di Israele alla risoluzione ONU e al ruolo della forza multinazionale ai confini con il Libano è un riconoscimento senza precedenti nella sua storia e potrebbe avere implicazioni più profonde, ai fini della ripresa di un processo negoziale sulla questione palestinese.
In questo spirito e con tali convinzioni, esprimiamo il voto favorevole delle Minoranze linguistiche al provvedimento.