Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 6 del 23/5/2006
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Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo (ore 9,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

(Ripresa della discussione)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Raffaella Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori rappresentanti del Governo, nelle dichiarazioni programmatiche che ci sono state proposte, ho trovato molto suggestivo e ricco di significati simbolici il riferimento a due dei principali cammini di pellegrinaggio in Europa: il cammino di Santiago e la via Francigena. Quest'ultima, grande direttrice viaria che nel Medioevo costituì la principale via di comunicazione tra il mare del Nord e Roma, mantenendosi nei secoli via di pellegrinaggio laico e religioso, può rappresentare, con molti riferimenti culturali, il modello di itinerario che ha attraversato molta parte del nostro paese, unendolo con l'Europa, attraverso importanti e vicendevoli scambi, contaminazioni di esperienze utili e progressive esperienze comuni.
Oggi, inutile negarlo, sentiamo più debole il ruolo del nostro paese come crocevia di culture, di economie, di offerta scientifica, di commerci e, per molti versi, sentiamo l'effetto della frustrazione che da ciò deriva. L'Italia, fiera della propria arte e della propria cultura, dei progressi scientifici cui hanno contribuito personalità che nei secoli, ma anche fino ai nostri giorni, hanno dato lustro al suo prestigio nel mondo, a pieno titolo deve potere essere di nuovo al centro del progresso e della modernità.
Restituire fiducia e speranza perché ciò avvenga è l'impegno che lei, signor Presidente, ed il suo Governo, avete preso attraverso un programma che, riteniamo, saprà fare emergere il meglio di ciò che


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esiste nel nostro paese: della sua creatività, dell'esperienza, delle migliori energie e delle risorse che esistono.
L'urgenza cui lei ha fatto più volte riferimento risponde perfettamente alle aspettative che ogni giorno, come possiamo testimoniare, abbiamo accolto confrontandoci con i cittadini italiani. Aspettative che non possiamo tradire e che tutti insieme, con grande senso di responsabilità, useremo come stella polare nel nostro agire politico.
Molti giovani, signor Presidente, hanno colto una rinnovata sensibilità nei loro confronti, un'autentica attenzione alle difficili condizioni che la società italiana e le istituzioni, fino ad oggi, hanno riservato loro. Siamo molto impazienti che il nostro Governo inizi ad operare in piena armonia con il Parlamento, nella direzione utile a restituire fiducia, speranza, ma anche concreti ed immediati segnali di piena comprensione dei principali problemi che hanno tarpato le ali a molti giovani e a molte donne. Un risarcimento, anche se parziale, alla scarsa capacità di rappresentarli in quest'aula nelle proporzioni che la società realmente possiede.
Parlare di diritti, declinando parole come modernità, creatività, solidarietà sarà anche la più efficace risposta a chi vuole provare a tacciare la nostra ostinazione, per la ricerca di una maggiore giustizia sociale, come superato conservatorismo.
Il progresso non ci spaventa: le sue parole, signor Presidente, e l'azione di tutto il Governo saranno la testimonianza più netta del desiderio di stare al passo con i tempi, dell'ambizione di prevedere e precorrere molti dei fenomeni del nostro immediato futuro. Ci attendiamo sfide complesse: penso ai temi che riguardano ambiente, sviluppo sostenibile, infrastrutture, politiche energetiche, sistemi della mobilità, politiche abitative.
Abbiamo reiteratamente fatto proposte nella passata legislatura, abbiamo offerto contributi al dialogo ed al confronto, ma i risultati sono stati pessimi. Dover recuperare un ritardo, facendo tesoro di molti errori compiuti negli ultimi anni, sarà l'impegno di tutti. In questo senso, un'accresciuta sensibilità e molte istanze di partecipazione alle scelte delle istituzioni, e tra le istituzioni, chiamano a precisi doveri i rappresentanti dei cittadini. Regole uguali per tutti, riconoscimento del valore della pace e della legalità, rispetto dei valori fondanti la nostra Costituzione e l'assunzione di responsabilità verso i paesi più poveri a partire dal continente africano, così come sono stati sottolineati nei suoi impegni, signor Presidente, sono le direttive chiave che si affermeranno nella direzione compatta del suo Governo, con tutta la nostra più decisa collaborazione.
Crediamo di poter umilmente assumere questa responsabilità, per il bene comune per il futuro del paese, e vi auguriamo un lavoro proficuo e collaborativo. Buon lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi de l'Ulivo e dei Verdi)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bricolo, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Onorevoli colleghi, in queste settimane siamo stati costretti ad assistere alla peggiore spartizione dei posti di potere fatta nella storia di questo paese, nemmeno, ed è incredibile a dirsi, nei momenti peggiori della prima Repubblica. Avete toccato davvero il fondo, screditando l'intero sistema istituzionale. Peggio che i mercanti nel tempio, vi siete spartiti tutto, usando il manuale Cencelli in un modo spregiudicato e mai visto.
Per accontentare tutti gli aspiranti ministri, avete dovuto aumentare il numero dei ministeri, scorporandoli e creando sovrapposizioni di competenze che creeranno problemi a tutta la pubblica amministrazione.
Il Ministero dell'istruzione si sdoppia in due dicasteri: istruzione ed università e ricerca, come se le due cose non fossero collegate. Al ministro della salute vengono sottratte competenze fondamentali su igiene e alimentazione. Il nuovo Ministero


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per le sviluppo - caso unico in Europa - non ha competenze sulla competitività internazionale.
Non si capisce poi a chi spetti la vigilanza sull'ANAS, dopo lo spacchettamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Al Ministero dell'economia sono state sottratte competenze sulle spese dello Stato. È stato istituito il nuovo Ministero della previdenza sociale, ma di pensioni si occuperà il Ministero della solidarietà sociale. Il Ministero dell'interno perde le competenza sui comuni e sulle province ed il nuovo Ministero della famiglia ha solo il nome, ma non ha strutture e competenze.
Oltre a rendere ancora più complicata l'azione di Governo, siete riusciti ad aumentarne a dismisura i costi.
Prodi, prendendo in giro per l'ennesima volta gli elettori in campagna elettorale, aveva dichiarato, cito testualmente: prima di chiedere sacrifici agli italiani, cominceremo noi a dare l'esempio, riducendo il costo della politica e le spese per il funzionamento delle istituzioni e dei partiti.
Arrivato al Governo, ha fatto esattamente il contrario, palesandosi evidentemente per quello che è: un baro, un falso e bugiardo!
Le faccio un esempio molto chiaro: Italia Oggi, giornale economico, ha fatto i conti in tasca al nuovo Governo e ha scoperto che, in cinque anni, ci costerà solo in stipendi per i suoi componenti 74 milioni di euro, una cifra record mai raggiunta nella storia repubblicana. Più del doppio di quanto speso dal Governo Berlusconi!
Per accontentare tutti, non avete badato a spese e avete messo le mani nelle tasche degli italiani, tanto a pagare non siete voi, ma i cittadini!
Nel criticare questo Governo non posso non soffermarmi sul trattamento riservato al Veneto e alla Lombardia che, di fatto, non sono rappresentate in questo esecutivo se non con un misero Ministero per le pari opportunità.
Avete voluto umiliare vergognosamente queste due regioni che, da sole, superano, come numero di abitanti, l'intera Svezia, il Belgio, l'Austria e, addirittura, la Finlandia, la Norvegia e l'Irlanda messe insieme. Nonostante ciò, per voi non sono degne di essere rappresentate nel vostro Governo; per voi evidentemente il Veneto e la Lombardia sono regioni da sfruttare, da non valorizzare, addirittura da penalizzare.
Oggi voterò in quest'aula come deputato contro questo Governo, ma devo dire che mi dispiace molto di non avere potuto partecipare al dibattito al Senato. Mi dispiace veramente, lo dico con molta chiarezza, di non aver potuto anch'io in aula fischiare i senatori a vita che votavano tutti uniti il nuovo Governo Prodi. Li avrei fischiati molto volentieri! Non eletti dal popolo, si sono schierati apertamente in favore del centrosinistra, dimostrandosi uomini di parte, contribuendo con il loro voto determinante a far ottenere la fiducia a questo Governo, ribaltando, di fatto, il chiaro risultato elettorale che, al Senato, ha visto prevalere la Casa delle libertà sulla coalizione di Prodi, sia in numero sia in percentuale di voti.
Un vero e proprio ribaltone costruito e portato avanti nei palazzi romani contro la volontà popolare. È in questo modo, cari senatori a vita, che si allontanano i cittadini dalle istituzioni. Vedere l'ex Presidente Ciampi schierarsi e votare con il centrosinistra, dopo che, per anni, dalla stampa e dalla televisione ci è stato «venduto» come il Presidente di tutti, è stata per molti elettori un'amara delusione che non si aspettavano e che li ha profondamente offesi.
Vedere tutti uniti i senatori a vita votare la fiducia a Prodi, insieme a Caruso ed a Luxuria, a chi vuole bloccare le opere pubbliche, a chi vuole abolire la festa del 2 giugno, a chi vuole cancellare la legge Biagi, a chi vuole imporci la società multietnica, a chi vuole l'amnistia, la droga libera, i matrimoni gay, è stata - diciamolo chiaramente - una vera e propria vergogna!
Concludo, Presidente, con un avvertimento. In questi giorni, stiamo assistendo a numerosi sbarchi di clandestini sulle nostre coste. Ricordo che, in questo paese, è in vigore la legge Bossi-Fini che ne


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prevede l'immediata espulsione e voi avete l'obbligo di farla rispettare (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
Chi vive al nord, in Padania, non è disposto in alcun modo ad accettare nuovi clandestini che, molto spesso, vengono nel nostro paese per poi rubare, stuprare, sfruttare prostitute, fare rapine e specializzarsi nei furti negli appartamenti. Noi questa gente a casa nostra non la vogliamo!
Molti di questi provengono per di più da paesi islamici, importando di conseguenza culture, tradizioni e modi di vita in molti casi incompatibili con quelli che, da sempre, regolano, la vita nella nostra società.
Se non volete scatenare nuovi conflitti sociali, se non volete che il popolo si ribelli contro di voi, abbandonate qualsiasi proposito di modificare l'attuale legge sull'immigrazione e fate rispettare la legalità (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Alba Sasso. Ne ha facoltà.

ALBA SASSO. Signor Presidente, Presidente Prodi, colleghe e colleghi, l'innovazione, la ricerca, l'istruzione e la cultura sono state indicate come questioni strategiche nel programma di Governo, nel loro nesso profondo con lo sviluppo del paese, con la sua economia e con la sua democrazia. Ma la svolta che occorre promuovere, la discontinuità, che è attesa da questi mondi che, in maniera rilevante, hanno contribuito all'esito elettorale, è culturale prima ancora che politica e legislativa.
Di questo c'è bisogno per mettere il sistema formativo nelle condizioni di poter essere volano di una riforma civile e della convivenza e motore di quel nuovo slancio del paese di cui si sente con urgenza il bisogno.
Negli ultimi anni la scuola e l'università hanno camminato con i passi del gambero: si sono abbassati i livelli di solidarietà sociale e di sostegno alla vita delle famiglie. Penso alla penuria degli asili nido, alle liste d'attesa nella scuola dell'infanzia, al tempo pieno stravolto nella sua qualità pedagogica, quando non eliminato: si è considerato naturale dividere precocemente percorsi scolastici e destini sociali.
Il primo terreno su cui misurarsi per rinnovare il sistema dell'educazione è dunque di ricostruirne la funzione democratica, secondo Costituzione, lasciandosi alle spalle un'idea di libertà improntata all'egoismo sociale. «La democrazia - diceva Piero Calamandrei - è permettere a ogni donna e a ogni uomo di avere la sua parte di sole e di dignità». Oggi, in una società in cui il possesso di conoscenze e il sapere accedere ad altre conoscenze diventa risorsa, forma di ricchezza, se il sistema di formazione non garantisce l'uguaglianza del diritto all'istruzione, rischia di generare nuovi squilibri e di riprodurre e cristallizzare gerarchie sociali. Perciò, è decisivo il ruolo della scuola e dell'università pubbliche - ha ragione il ministro Fioroni: torniamo a chiamare questo Ministero «Ministero della pubblica istruzione» -, territori in cui i diritti debbono trasformarsi in opportunità, il sapere in spazio pubblico di confronto.
In secondo luogo, il limite culturale delle riforme di questo quinquennio è nell'idea che si possa favorire l'accesso al lavoro, piegando il sistema formativo alle domande immediate del mercato, facendo dipendere l'organizzazione dei percorsi scolastici dall'andamento dell'economia.
Per questo occorre invertire una tendenza. Per un'idea di sviluppo che si proponga di affrontare le sfide dell'innovazione di prodotto, della produzione di nuove tecnologie, di un sistema avanzato e diffuso di ricerca, leve indispensabili per superare le difficoltà e l'affanno attuale del nostro sistema produttivo, sono necessari più alti livelli culturali per tutti, per poter coniugare competenza, senso critico, formazione alla cittadinanza, cultura delle regole, a partire dal rispetto degli anziani, che è una delle principali caratteristiche di tutte le società civili: insomma, saperi di responsabilità e saperi di cittadinanza
Certo, per governare sistemi complessi occorre la capacità di guardare lontano, di


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ascoltare, di costruire strategie lente, pazienti e condivise, di progettare un sistema che metta al centro una unica «i», quel bene prezioso che sono le intelligenze delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, con una avvertenza: i nostri giovani hanno una qualità straordinaria, sono impazienti, non sopportano gli esami di riparazione, rifuggono dai giudizi di appello e non ne concederanno a noi! Un progetto che parta dunque anche dal lavoro dei docenti, tutti, restituendo loro la dignità e il senso del proprio lavoro, l'importanza del loro ruolo e funzione di intellettuali e formatori, che valorizzi le migliori pratiche già da tanti avviate.
Le cose da fare, signor Presidente e signori ministri, sono tante, sono tutte lì nel programma che oggi è programma di governo: istruzione superiore integrata, nuovo e più efficace sistema di formazione professionale, eccetera. Ce ne sono, però, alcune che non possono aspettare, come il blocco del decreto attuativo sulla scuola secondaria e superiore, la restituzione alla scuola elementare dei tempi distesi e della propria autonomia didattica, il ripristino dell'organico funzionale, l'elevamento dell'obbligo di istruzione a sedici anni e, infine, non ultimo, un piano straordinario di stabilizzazione del personale.
Quella precarietà di cui anche lei ha parlato nel suo discorso di insediamento ha colpito pesantemente questi mondi, anche quello della alta finanza, della cultura, delle sovrintendenze, di archivi e biblioteche, mondi che hanno bisogno di stabilità ....

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ALBA SASSO. Signor Presidente, sto concludendo.
Serve stabilità per assicurare qualità, produttività, valore nella ricerca e nella didattica, nella tutela e promozione dei beni culturali. Lei, signor Presidente, ha parlato di ascolti e di condivisione. «Il solo vero viaggio» - dice Marcel Proust - «non è andare verso nuovi paesaggi ma avere altri occhi, vedere l'universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ognuno di essi vede, che ognuno di essi è».

PRESIDENTE. Ha superato nettamente il tempo a sua disposizione.

ALBA SASSO. Signor Presidente, mi permetta di augurare buon lavoro a tutti (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella dichiarazione programmatica, il Presidente del Consiglio affronta, in modo diffuso ed insistito, il tema delle politiche infrastrutturali per tutte le aree del nostro paese, per il nord, come per il Mezzogiorno. È chiaro che queste politiche potranno ottenere esiti positivi a condizione che il Governo promuova un nuovo equilibrio istituzionale di collaborazione tra le istituzioni, tra Stato, regioni, città metropolitane, province, comuni e comunità montane. Occorre un nuovo patto tra diversi livelli istituzionali ed una maggiore corresponsabilizzazione nelle scelte, superando linee di comportamento legislativo ed amministrativo, dirigiste e centraliste, che hanno sostanzialmente segnato gli anni passati, rendendo pressoché impossibile la realizzazione di obiettivi anche strategici per l'Italia (penso al ritardo nella realizzazione di opere stradali o autostradali e ferroviarie, come quelle per l'adeguata infrastrutturazione nel settore energetico, i riclassificatori come le linee di trasmissione elettrica); tutto ciò è nettamente connesso allo sviluppo economico e produttivo e al rilancio di competitività del nostro sistema.
Trovo che l'ispirazione delle linee di programma del Governo tendono a non trascurare entrambi i versanti, sui quali occorre riscrivere una politica nazionale fatta di certezza e di chiarezza di indirizzi e di strumenti: il versante dell'apertura dei mercati chiusi, e dunque delle liberalizzazioni, e il versante della programmazione,


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quando si pone la questione, ad esempio, del bilancio come fattore di rilancio dell'economia, almeno così lo intendo.
Liberalizzazione e programmazione possono andare a braccetto, possono farlo, signor Presidente, se non si accederà a spinte che possono far pendere in eccesso su un versante o su un altro il peso dell'agire del Governo. Liberalizzazione e programmazione sono due fattori che vanno tenuti in grande equilibrio e qui sta la forza di un orientamento riformista che, sul piano dell'azione legislativa del Parlamento, i gruppi del centrosinistra, in particolare quello dell'Ulivo, non potranno far mancare, anzi assicureranno. Un orientamento riformista che vale per tutti i grandi temi dello sviluppo, ma vale anche per l'importantissimo e prioritario terreno della ricerca e dell'università italiana, dove occorre favorire e valorizzare il merito.
Trovo importante che, anche trattando del lavoro, nella dichiarazione programmatica si sostenga che occorre superare la precarizzazione ai livelli medio bassi e si debba, invece, immettere la competizione agli alti livelli, premiando il talento e il merito, perché il nostro paese ha bisogno di ricostruire quella mobilità sociale che, ancora oggi, è una grande fonte di ingiustizia e di incrostazioni sociali.
Molti osservatori hanno voluto speculare sulla composizione del Governo per trarne motivo di polemica sulla cattiva rappresentanza o bassa attenzione alla cosiddetta questione settentrionale, al nord. Voglio, con il mio intervento, contribuire, invece, a riportare l'attenzione sui passaggi impegnativi che, nella dichiarazione del Governo, sono contenuti riguardo al nord del nostro paese. C'è un lungo passaggio sul ruolo vitale di traino dello sviluppo dinamico e produttivo riconosciuto al nord. C'è l'impegno a dare al nord - cito - infrastrutture moderne ed efficienti, ricerca e formazione, regole e norme chiare e semplici, cioè meno burocrazia. Queste sono parole pesanti, la cui ricaduta dovrà manifestarsi fattivamente nella quotidianità dell'operare del Governo.
Com'è ovvio, un Governo nazionale che non intenda venir meno alla sua missione, non di meno deve affrontare la questione del Mezzogiorno per determinarne un più elevato sviluppo economico ed una più adeguata modernizzazione in infrastrutture, porti, ferrovie e strade per farne la piattaforma proiettata nel Mediterraneo verso l'Asia - la porta d'Europa e d'Italia -, che è insieme condizione di sviluppo economico e di competizione per tutto il paese e per tutti i territori in cui si produce.
Insieme a questi impegni, signor Presidente, c'è l'urgenza di una modernizzazione diffusa dei servizi ai cittadini, di quelli che sono nella disponibilità del Governo nazionale come di quelli che sono nella disponibilità delle regioni e degli enti locali. Per farvi fronte serve un nuovo patto tra i diversi livelli di governo della Repubblica, in modo che gli interessi al miglioramento della qualità dei servizi siano accompagnati da una riduzione del costo degli stessi per le famiglie e per le imprese, a cominciare dai servizi di valenza economica, fino ai servizi alla persona.
La relazione programmatica, dunque, pone le premesse per rilanciare una visione nuova del futuro dell'Italia, alla quale non possiamo far mancare la nostra fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raiti. Ne ha facoltà.

SALVATORE RAITI. Signor Presidente della Camera dei deputati, signor Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, onorevoli colleghi e colleghe, noi dell'Italia dei Valori esprimiamo apprezzamento per un programma largamente discusso e condiviso, che ha messo in sinergia, per la prima volta nella storia della Repubblica, i partiti e le energie sociali e culturali esterne ad essi per l'individuazione di obiettivi comuni di crescita e di rilancio del nostro paese.
L'Italia è un grande paese e deve ritornare ad essere protagonista autorevole


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ed apprezzato in Europa - che noi vorremmo diventasse presto gli stati uniti europei - e nel mondo.
Il metodo di elaborazione del programma, ossia la condivisione di problemi, degli obiettivi e delle scelte, dovrà essere - e siamo certi che lo sarà - il modello di questo Governo. È possibile ripartire se si uniscono energie, sforzi e percorsi. La concertazione dovrà essere il sistema guida della nostra azione quotidiana.
Presidente Prodi, sottolineiamo due risorse per il rilancio del nostro paese: i giovani e il Meridione. Così come indicato nel programma e nelle comunicazioni alle Camere, i nostri giovani sono la nostra forza e la speranza di essere protagonisti nel terzo millennio. Allora, occorre dare segnali precisi di attenzione, partendo dal rinnovamento della classe politica e dirigenziale di questo paese, per finire alle politiche di sostegno nell'età dello studio e della formazione.
Il Meridione deve essere un punto centrale dell'azione di Governo dell'Unione. Dobbiamo essere pronti affinché nel 2010, quando partirà l'area di libero scambio del Mediterraneo, il paese sia il protagonista del processo di integrazione e di sviluppo socioeconomico. Per questo occorrono delle priorità assolute nelle scelte e negli investimenti. L'Italia non riparte se non riparte il sud. Confidiamo, quindi, nell'impegno del Governo e del nuovo ministro per le infrastrutture, Antonio di Pietro, per dare segnali precisi in questa direzione.
Ci saremmo aspettati, Presidente Prodi, più attenzione nella scelta dei rappresentanti siciliani nel Governo e a questo proposito non possiamo che esprimere il nostro rammarico, ma auspichiamo - e ne siamo certi - che nelle scelte immediate si possano confermare gli impegni programmatici: l'istituzione della banca del Mediterraneo, che abbia anche lo scopo di abbassare il costo del denaro agli imprenditori meridionali che soffrono di questa disparità; l'attivazione delle procedure per istituire aree di fiscalità di vantaggio per far decollare le zone meno sviluppate; l'istituzione di un polo universitario mediterraneo. Queste priorità dovranno essere affrontate, per quanto ci riguarda, al più presto possibile.
Non posso concludere il mio intervento senza ricordare che oggi ricorre il quattordicesimo anniversario della strage di Capaci, nella quale hanno perduto la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di polizia. Ad essi, ai servitori dello Stato, ai caduti per mano criminale per affermare il primato della legalità, va il nostro pensiero. Ai martiri dello Stato di diritto vorremmo dare il giusto riconoscimento, facendo camminare le loro idee ed i loro valori con le nostre gambe.
Siamo certi che lei, onorevole Presidente, e il suo Governo sarete nostri leali compagni di strada nell'affermazione dei suddetti valori di legalità.
Auguri al suo Governo, Presidente Prodi, auguri a questo Parlamento, auguri all'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori e de L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, la Lega Nord considera assai deludenti le linee programmatiche del suo Governo in materia di giustizia.
Nella legislatura appena conclusa la giustizia è stata oggetto di polemiche, dettate tuttavia dall'ampia, convinta e profonda volontà riformatrice della Casa delle libertà. Pensiamo all'avvio della riscrittura del codice penale, alla riforma fallimentare, alle nuove norme sulla procedura civile, alle importanti norme in materia di famiglia (l'affido condiviso e l'affermazione della bigenitorialità), fino ad arrivare alla madre delle riforme, vale a dire quella dell'ordinamento giudiziario, dello status di giudici e pubblici ministeri, riforma assolutamente prioritaria per disporre di una giustizia più giusta.
Eppure lei, signor Presidente del Consiglio, non ha espresso una parola sul merito di tali riforme, si è limitato a bollarle come punitive, attuate con atteggiamenti non adeguatamente collaborativi,


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preoccupandosi quindi non di rivolgersi ai cittadini, agli utenti della giustizia, al popolo sovrano in nome del quale la giustizia è amministrata per indicare cosa intenda fare per continuare a migliorare il sistema. Niente di tutto ciò; lei inizia a parlare di giustizia con un omaggio ossequioso alla magistratura o, meglio, a quella parte della magistratura politicizzata, alla magistratura amica, a quella corporativa che, negli anni di governo della Casa delle libertà, volutamente non ha tenuto atteggiamenti collaborativi. Mi riferisco a quella parte della magistratura degli appelli a resistere, dei girotondi, degli scioperi, che si è opposta alla volontà non punitiva, ma riformatrice del Governo della Casa delle libertà.
L'indipendenza non può essere invocata a senso unico dal potere giudiziario, anche perché troppe volte abbiamo assistito ad atteggiamenti di magistrati che sono andati ben oltre i limiti loro assegnati dalla Costituzione, cercando a volte di disapplicare leggi dello Stato che non erano gradite. Pensiamo alla legge Bossi-Fini sull'immigrazione, quella legge che adesso voi volete cancellare proponendoci un'immigrazione aperta a tutti, un'immigrazione selvaggia.
Così, dopo la felicità per tutti, adesso si promette di ridare serenità ai magistrati, ma a quali magistrati? A quelli che, in questi anni, si sono sempre opposti al cambiamento, all'introduzione di criteri di meritocrazia, al rendere effettivi, attraverso la separazione delle funzioni, principi quali la terzietà e l'imparzialità. A quei magistrati che si sono opposti al cambiamento, arroccati nella difesa di prerogative che assomigliano sempre di più a privilegi.
Ma ciò che ci preoccupa maggiormente è la promessa di un provvedimento generalizzato di clemenza - amnistia, indulto - per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Il paese ci chiede sicurezza, legalità, certezza della pena e lei, Presidente Prodi, ci propone un «liberi tutti», per ottenere il quale ci si scomoda addirittura a citare la visita in Parlamento del Pontefice Giovanni Paolo II. Quella visita è stata fortemente strumentalizzata!
Come mai, invece, non vi sento mai citare il Papa quando fa gli appelli alla tutela della vita sin dal suo inizio, alla difesa della famiglia naturale (uomo-donna), alla difesa dell'istituzione del matrimonio - sempre più attaccato da parti oltranziste della sua maggioranza - e al richiamo delle radici cristiane? Signor Presidente del Consiglio, quando era Presidente della Commissione europea non abbiamo sentito un suo solo impegno per far inserire nella Costituzione europea il richiamo alle radici cristiane!
Ecco dunque l'ambiguità e le contraddizioni del Governo e della coalizione che lo sorregge. Da un lato, si vuole rassicurare la Chiesa, dall'altro, la Rosa nel Pugno - per bocca di Boselli - vorrebbe cancellare il Concordato. E le contraddizioni sono ancora molteplici.
Si confonde il riconoscimento di alcuni diritti individuali, l'eliminazione di alcune discriminazioni, che magari ancora sussistono sul piano individuale, con il volere equiparare le coppie di fatto eterosessuali e omosessuali alle famiglie. Su questo noi non possiamo essere d'accordo, ma fareste bene anche voi a chiarirvi le idee, perché da un lato ci dite che arriverete semplicemente ad un riconoscimento di alcuni diritti di tipo privatistico - questa magari è l'idea della Binetti, di Rutelli - , ma poi abbiamo il ministro della famiglia Bindi che rilancia, dicendo di essere favorevole ai Pacs, per poi tornare ancora indietro. Per forza! Dovete mediare tra le vostre anime diverse. Ma mettetevi d'accordo! Vi aspettiamo, quando dovrete prendere delle decisioni. Vedremo che cosa sarete in grado di fare.
Abbiamo sentito adesso anche il ministro Turco; anche lei si è espressa a favore dei Pacs, e adesso rilancia anche sulla pillola abortiva. Continuate a rassicurare, ma l'unica proposta di legge che è stata presentata è quella di Franco Grillini, dei Democratici di sinistra, che equipara le coppie di fatto alla famiglia, perché consente agli amori liberi di avere, senza la responsabilità, tutta quella tutela rafforzata


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che la nostra Costituzione invece riconosce alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio. Infatti, la famiglia tradizionale ha un'importante funzione sociale: non c'è solo l'amore, c'è anche la responsabilità!
Ma torniamo all'amnistia e all'indulto. I casi di cronaca, purtroppo, ci testimoniano di detenuti rimessi in libertà, che godono di semidetenzione, di permessi premio, che tornano a delinquere. Non voglio citare - poi mi dite che sono populista - i casi Izzo, il «mostro del Circeo», il quale, addirittura, era stato messo a fare l'assistente sociale; ricordiamo il caso di quell'uomo, che aveva massacrato una donna - 80 coltellate - e che era stato rimesso in libertà: come ha ringraziato lo Stato, che lo aveva premiato? Uccidendo, purtroppo, un carabiniere, che aveva l'unico torto di trovarsi sulla sua strada.
Ebbene, il paese, che lei dice di ascoltare, che vorrebbe rappresentare, i cittadini onesti non chiedono questo, i cittadini onesti ci chiedono addirittura di cancellare alcuni benefici previsti dalla legge Gozzini, dalla legge Simeoni, per i reati più gravi. E noi come rispondiamo? Lei come risponde? Aprendo le porte dei penitenziari, facendo uscire dalle carceri migliaia di detenuti senza che ci si preoccupi di verificare se siano socialmente pericolosi o meno. Non si scarica il problema del sovraffollamento carcerario sui cittadini onesti, non si calpestano le vittime dei reati, offese due volte: nel momento in cui subiscono l'aggressione...

PRESIDENTE. La invito a concludere...

CAROLINA LUSSANA. Concludo, rivolgendomi anche a lei, Presidente della Camera: non facciamo anche della popolazione carceraria, dei provvedimenti di amnistia e di indulto, una lotta di classe. In carcere non ci stanno solo i poveretti, ci stanno anche i ricchi: c'è stato Fiorani...

PRESIDENTE. La prego...

CAROLINA LUSSANA. ...c'è Ricucci, forse non c'è stato Consorte.
Per tutti questi motivi, noi ci opponiamo a chi non si preoccupa di tutelare il paese, che avverte altre esigenze...

PRESIDENTE. Ha esaurito il tempo a sua disposizione da quasi più di un minuto.

CAROLINA LUSSANA. Voteremo con convinzione contro la fiducia al suo Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cancrini. Ne ha facoltà.

LUIGI CANCRINI. Signor Presidente, vorrei segnalare l'importanza di questo cambiamento. Credo che questo Governo possa portare delle novità molto importanti. Sono rientrato in politica dopo tanti anni con l'idea di portare in quest'aula l'esperienza che ho fatto in questi anni nel mio lavoro.
Il mio lavoro, che si svolge con i tossicodipendenti, con i bambini che subiscono maltrattamenti ed abusi, nelle carceri, nell'ospedale psichiatrico giudiziario, mi insegna quotidianamente che noi viviamo in un paese ricco, libero, in cui la gente complessivamente sta bene, ma nel quale c'è scarso rispetto, scarsa attenzione e scarsa presenza delle istituzioni nei confronti delle persone più deboli, di quelle che fanno fatica a vivere.
Il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza ha segnalato, qualche giorno fa, che la spesa annua di un cittadino italiano per la sanità è di 1.346 euro e che quella sociale, dopo gli ultimi tagli operati dal precedente Governo Berlusconi-Tremonti, arriva a malapena a 18,40 euro: una cifra paurosamente vicina a quella di 11,11 euro spesi da ogni cittadino italiano per finanziare la missione in Iraq. Per tale missione, definita di pace, era stato previsto l'acquisto di 131 caccia Eurofighter. È abbastanza difficile capire a cosa servano in una missione di pace 131 caccia Eurofighter; quel che è certo è che ogni caccia costava al cittadino 3,70 euro: un quinto dell'intera spesa sociale!


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Credo che i dati che ho indicato debbano farci riflettere. Credo che dobbiamo renderci conto del fatto che la spesa sociale deve essere riproposta in modo diverso da come è avvenuto finora.
Faccio un esempio. Nell'ultima legge finanziaria di Berlusconi e Tremonti, alla voce «anziani non autosufficienti», è scritta, diciamo così, la cifra di 0,00 euro! Mi chiedo se ciò sia dovuto al fatto che con il Governo Berlusconi, nel tempo meraviglioso che esso ha creato, tutti gli anziani sono diventati autosufficienti oppure se questa non sia una vergogna che questo Parlamento dovrebbe rapidamente cancellare.
Credo sia importante riflettere anche sull'aspetto riguardante il rapporto fra Governo e Parlamento. Il tempo a mia disposizione è poco e, quindi, devo necessariamente procedere per ragionamenti molto schematici. Ebbene, l'impressione che ho avuto, da cittadino, assistendo a quanto è accaduto in questi ultimi cinque anni, è che il Parlamento non contasse assolutamente nulla: le leggi venivano proposte dal Governo e imposte al Parlamento, prima in Commissione e poi in Assemblea! A mio avviso, lo scontro continuo e violento - cui assistiamo ancora in questi giorni - era legato all'incapacità di valorizzare il ruolo del Parlamento. Mi auguro che, in questa nuova legislatura, di leggi si discuta in Parlamento - nelle Commissioni ed in Assemblea -, senza che vi siano imposizioni da parte del Governo o della maggioranza, ma cercando sempre il massimo dei consensi possibili.
Mi riferisco, in particolare - è il mio settore - a leggi come quelle sulla droga. Mi auguro che la legge sulla droga, come accadde nel 1975, venga fuori come frutto di una discussione appassionata tra persone che la pensano in modo diverso e che trovano compromessi utili e non venga imposta, come invece è accaduto, a una settimana dalla chiusura delle Camere, mediante l'inserimento in un provvedimento che riguardava le Olimpiadi di Torino.
Mi avvio a concludere molto rapidamente, signor Presidente.

PRESIDENTE. La prego, per favore.

LUIGI CANCRINI. Su questo tema, su quello delle carceri e, in generale, sulle riforme di cui vi è bisogno, mi auguro che il Parlamento possa riprendere in pieno tutta la sua funzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Urso, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.

ADOLFO URSO. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, la giornata odierna comincia dopo che sono state diffuse, ieri, le notizie sul crollo delle Borse del mondo.
Il crollo si è propagato un po' ovunque: a New York meno 0,96, a Tokyo meno 1,84; tra le Borse europee, a Londra meno 2,2, a Parigi meno 2,6, e via dicendo. La Borsa che nel mondo ha perso di più è stata quella di Milano: più di qualunque altra Borsa europea e più di Tokyo, di Singapore, di Hong Kong e di New York.
La Borsa di Milano ha perso il 3,8 per cento - il dato peggiore nel mondo - e, all'interno della Borsa di Milano, il titolo che ha subito un crollo è stato il titolo Alitalia, che ha registrato una diminuzione del 10,9 per cento, essendo stato quotato a 0,72 centesimi di euro per azione, cioè il minimo storico. Questo è un dato inequivocabile che deve far pensare il nuovo Governo sul perché proprio la Borsa di Milano abbia perso più di ogni altra nel mondo, sul perché un titolo come Alitalia - lo sappiamo tutti - abbia perso così tanto, giungendo al suo minimo storico. Si potrebbero citare i giornali internazionali che hanno giudicato il suo Governo, onorevole Prodi, tutti con espressioni di delusione o, addirittura, negative. Si potrebbe analizzare la struttura del suo Governo, come hanno fatto i giornali che una volta (lo sottolineo: una volta) ed in campagna elettorale - sottolineo ancora: in campagna elettorale - si erano espressi a suo favore. Pochi giorni: sono bastati la composizione del Governo ed il programma


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da lei esposto per far cambiare loro opinione; forse troppo, tardi ma - come sempre - non è mai troppo tardi.
Ebbene, io inizierei questo breve intervento da quanto ha affermato recentemente, pochi giorni fa, su uno di questi quotidiani, il padre della vostra riforma del Governo, l'onorevole Bassanini. Analizzando la struttura del suo Esecutivo, la manovra di scorpori e riaccorpamenti e le manovre di moltiplicazione e distribuzioni, egli ha affermato, infatti, che l'aumento del numero dei ministri e la disaggregazione di alcuni ministeri non gioverà alla ripresa del paese e non aiuterà il premier, che abbiamo assistito ad un imbarazzante revival del «manuale Cancelli» e delle logiche spartitorie della prima Repubblica e, inoltre, che rifacendo la struttura del Governo per decreto si rischia l'instabilità e la precarietà. In realtà, è un Governo che si è adattato alle esigenze del potere senza avvertire alcuna di quelle esigenze che, anche nel corso delle elezioni, erano emerse.
Un altro quotidiano, Il Sole 24 Ore, e persino il Riformista, hanno evidenziato come il suo Governo sia sostanzialmente contro il nord e, addirittura, Il Sole 24 Ore afferma che Milano, la capitale del nord Italia, gli risponderà presto. Inoltre, il Riformista si chiede come mai lei non abbia avvertito l'esigenza di dare rappresentanza al nord ed evidenzia, ancor più, come dalle regioni del nord-est - dalla Lombardia al Friuli, al Trentino-Alto Adige ed al Veneto - che esprimono il 33,6 per cento del prodotto interno lordo e il 38 per cento delle imposte Irpef, da queste regioni che esprimono oltre un terzo dell'economia del paese, che sono le più dinamiche, le più produttive, le più moderne e le più europee, da queste quattro regioni nel loro complesso, dal nord-est che traina la ripresa economica provenga appena un ministro senza portafoglio; lo ripeto, un ministro senza portafoglio, dalla Lombardia al Friuli! Come se il Governo fosse sostanzialmente contro il nord, contro il nord-est e, persino, contro il Piemonte.
Al riguardo, cito ancora una volta Il Sole 24 Ore, il quale afferma che la questione settentrionale si ferma al Piemonte e, analizzando la composizione del Governo, fa notare che sostanzialmente si tratta, in gran parte, di ministri espressione di una cultura statalista, di una cultura contraria all'iniziativa privata. Basta, peraltro, osservare l'esperienza personale dei ministri. Ovviamente, io per primo non ho alcunché contro chi lavori per lo Stato o alle dipendenze dello Stato o anche dei partiti. Nulla ho, ovviamente, contro chi lavori nel pubblico impiego o con il pubblico impiego. Tuttavia, mi fa piacere notare o, meglio, credo che lei e la sua maggioranza dobbiate riflettere sul fatto che tra i 25 ministri, la cui età media è di 56 anni, non ve ne sia alcuno che abbia svolto una attività imprenditoriale. Si passa da un esecutivo guidato da un imprenditore ad un Governo che rifiuta l'impresa, come se ci fosse un odio verso l'impresa.
Vi è solo un avvocato, non vi sono né manager né dirigenti di impresa od uno che abbia prodotto qualcosa in concreto. Questo la dice lunga sulla cultura e l'esperienza anche dei migliori - e ve sono, ovviamente - all'interno del Governo. Io credo che sia utile anche a voi leggere quello che ha detto Sergio Romano sulla cultura di molti, espressione del Governo, laddove evidenzia come molti appartengano alla sinistra massimalista, che non ha mai nascosto la sua simpatia per i centri sociali, i no global, i movimenti antagonisti, lo Stato dirigista, il pacifismo antiamericano, il terzomondismo rivoluzionario e quell'ambientalismo che vede in ogni opera pubblica la mano del capitalismo rapace. Sostanzialmente, tutti i dicasteri sociali sono stati messi nelle mani di coloro che hanno più familiarità con i cortei di quanta ne abbiano con la gestione di un paese che ha urgente bisogno di rientrare in Europa: quindi, un Governo che, sostanzialmente, è espressione di una cultura statalista, come emerge anche dalla sua espressione geografica.
Ma andiamo ai ministeri economici e produttivi. Per quanto riguarda l'economia,


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dal dicastero del ministro Padoa Schioppa sono stati scorporati ministeri importanti; Giavazzi, il vostro Giavazzi, censura con parole durissime quanto accaduto, sostenendo sostanzialmente che in questa squadra il capitano Tommaso Padoa Schioppa si troverà in una situazione più difficile rispetto ai suoi potenti predecessori (Ciampi e Tremonti), simile a quella di Guido Carli nel Governo Andreotti, stretto fra Rino Formica e il potente ministro del bilancio, Paolo Cirino Pomicino. La perdita di molte competenze, soprattutto relative all'economia reale - e io temo il ruolo del ministero quale azionista delle aziende ancora controllate dallo Stato -, indebolisce Padoa Schioppa e segna una svolta importante nella politica economica, ovviamente negativa. Capisco che il Presidente del Consiglio non voglia ascoltare questo, capisco che non voglia leggere questo, capisco che ovviamente si sia dipinto un suo mondo irreale, ideologico, statalista, frutto di fantasmi del passato, ma questa è la realtà. Realtà che può proseguire con le infrastrutture. Basta rilevare la gaffe, drammatica in termini di Borsa, del ministro Bianchi di ieri su Alitalia; basta rilevare quanto detto e quanto farà il ministro Pecoraro Scanio; basta rilevare la frantumazione del welfare in tre ministeri.
In conclusione, mi sembra ancora più grave il programma del Governo, un programma che non tiene conto dello sviluppo realizzato in questi anni, grazie a grandi riforme e un fatturato - basta rilevare i dati di marzo e sul trimestre - che segna in Italia una ripresa economica del 14,5 per cento, trainata dalla ripresa delle esportazioni (+17,4 per cento). Un Governo che tende a cancellare quelle riforme sociali, economiche e produttive, che tende a configurarsi come un Governo contro il nord, contro l'Italia più dinamica, contro l'Italia che produce, contro l'Italia ad iniziativa privata. Un Governo della restaurazione, un Governo del consociativismo interno ai vecchi partiti, un Governo che non avrà vita facile perché contro l'Italia migliore, perché insensibile all'Italia migliore, perché sordo e assente, come sordo e assente è Romano Prodi, che con sgarbo ha abbandonato quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bondi. Ne ha facoltà.

SANDRO BONDI. Il Governo Prodi si costituisce formalmente, ma non ha l'autorità morale e politica per guidare e per governare il paese. Le elezioni di aprile hanno dimostrato che l'Italia è divisa in due parti esattamente uguali. Uomini politici responsabili e soprattutto lungimiranti avrebbero riconosciuto questa realtà e si sarebbero posti il problema di favorire la governabilità e un riconoscimento reciproco attraverso la strada maestra del dialogo.
Il vero dialogo poteva avvenire in due modi: innanzitutto, accettando di scegliere insieme i rappresentanti delle maggiori istituzioni del paese, candidando uomini capaci di rispettare, di comprendere e di rappresentare le ragioni di tutti gli italiani. Invece, voi avete rifiutato questo metodo ed avete preferito seguire la strada delle forzature e dell'imposizione dei maggiori rappresentanti delle istituzioni, prima al Senato, poi alla Camera e, perfino, al Quirinale.
Tale arroganza politica ed istituzionale nasce anche dalla vostra debolezza. È la debolezza della vostra maggioranza, infatti, che vi spinge e, purtroppo, vi spingerà ancora a nuovi atti di autosufficienza e di arroganza. Se non aveste imposto, infatti, un vostro esponente (un esponente della Margherita al Senato, uno di Rifondazione Comunista alla Camera ed un esponente dei DS al Quirinale), l'onorevole Prodi non avrebbe potuto neppure formare il suo Governo. Si tratta di un esecutivo che si regge soltanto sulla logica dei ricatti incrociati e della spartizione del potere.
La scelta condivisa di eleggere insieme i rappresentanti delle istituzioni sarebbe stato un dialogo autentico, che avrebbe potuto consentire un riconoscimento reciproco.


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Mi riferisco a quel dialogo che può rendere possibile l'unico, vero progresso del paese: senza tale reciproco riconoscimento, infatti, nessun progresso è possibile. Le riforme di cui ha bisogno il nostro paese non possono essere fatte «muro contro muro», non possono essere varate distruggendo e cancellando, ogni volta, ciò che ha realizzato il Governo precedente. Le riforme hanno bisogno di un confronto vero, di un consenso largo, di una vera dialettica politica.
Una seconda, e forse ancora più importante, forma di dialogo che sarebbe stata necessaria consisteva nel riconoscere le ragioni degli avversari, nel riconoscere le ragioni di più della metà del nostro paese. Il risultato elettorale avrebbe dovuto farvi comprendere che la metà degli italiani che si riconosce in Berlusconi e nella Casa delle libertà non è l'Italia degli evasori, onorevole Prodi, o degli «illegali», né è l'Italia delle televisioni commerciali. Non è «l'Italia peggiore», come voi la definite con una forma di razzismo etico e morale, ma è un'Italia che si riconosce in una visione della società certamente diversa dalla vostra. Si tratta di una visione diversa dello Stato, dell'economia e della persona che va anzitutto compresa, prima ancora che rispettata.
Invece proprio lei, onorevole Prodi, agisce continuamente per mettere un'Italia contro l'altra, per alimentare ed estendere l'odio, le divisioni e le incomprensioni, piuttosto che lavorare per gettare dei ponti di comunicazione, di dialogo e di comprensione. Quando, ad esempio, lei brandisce l'arma dell'etica e della morale contro gli avversari politici, fa venire semplicemente la nausea. Sulla sua bocca, la parola «etica» suona come le parole «legalità e giustizia» pronunciate dal suo ex accusatore Antonio Di Pietro.
Vede, onorevole Prodi, se lei fosse stato avveduto e lungimirante - doti che, evidentemente, le mancano -, e perciò anche temibile, avrebbe detto in quest'aula: abbiamo vinto le elezioni per un soffio, per una manciata di voti. Bene: abbiamo proposto agli italiani un programma diverso da quello di Berlusconi, ma riconosciamo che il Governo precedente ha realizzato alcune riforme importanti per la modernizzazione del paese. Noi ci impegnamo, perciò, a non smantellare questa eredità riformista e a non interrompere del tutto un impegno per le riforme.
Questo sarebbe stato un discorso saggio, e perfino una sfida impegnativa per noi. Ed invece no: in nome di una furia distruttrice e delle vostre divisioni, lei ha subito messo in chiaro che il suo unico programma, la sua unica bandiera è cancellare, abrogare ed annullare tutte le riforme approvate dal Governo precedente, sapendo benissimo che lei non ha una maggioranza al Senato.
Noi faremo un'opposizione costruttiva, ma dovete sapere che se proverete soltanto a cancellare una sola delle nostre riforme incontrerete nel Parlamento e nel paese un'opposizione che non vi immaginate neppure.
Fassino propose all'atto dell'elezione del Presidente della Repubblica un patto politico concordato, in base al quale favorire un confronto tra le forze politiche. Questo patto si fondava su quattro punti: il ritorno alle urne nel caso di crisi del Governo Prodi, la ricerca di una politica estera comune, l'impegno per completare il cammino delle riforme istituzionali, ed infine uno sforzo per impedire l'ennesimo scontro tra magistratura e politica. Questo patto non era accettabile per il modo in cui era stato formulato, in quanto avrebbe dato corpo ad un presidenzialismo - che voi a parole negate -, con un programma politico del Presidente della Repubblica che non è previsto dall'attuale Costituzione e che si sarebbe sovrapposto al programma dell'attuale Governo. Tuttavia, che fine ha fatto la proposta di un confronto sulle materie che ho ricordato? Siete ancora disponibili a discuterne? Sarebbe bene non abbandonare questa proposta e lasciarla alla sede propria del confronto tra le forze politiche.
È, però, evidente dalle dichiarazioni di Fassino e di D'Alema che questa offerta di dialogo era di natura strumentale e opportunistica; del resto, tutto ciò che dicono gli esponenti della sinistra è soltanto ciò


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che conviene in un dato momento e che risponde ai loro interessi di partito. Lo sapevamo, e perciò non abbiamo sbagliato ed abbiamo almeno evitato la vergogna dell'onorevole Massimo D'Alema al Quirinale.
Noi difenderemo con determinazione il solco delle riforme, che sono un patrimonio per il nostro paese; se abbandonerete questa strada, il vostro destino e la vostra sconfitta sono già segnati. Il potere vi renderà ancora più invisi agli occhi del paese; già oggi siete considerati con dispetto, dalla maggioranza del paese, come degli arroganti usurpatori incapaci perfino di rispettare le ragioni di più della metà del paese che non la pensa come voi. Per il paese, più voi resterete al Governo, peggio sarà. Ogni giorno che passerà sarà un giorno perduto per gli interessi dell'Italia; noi, paradossalmente, abbiamo interesse che voi restiate per un po' al potere, perché lo spettacolo e la prova che darete saranno tali da farvi perdere totalmente la fiducia del paese. Il paese deve provarvi per capire la necessità di mandarvi a casa il più presto possibile per il bene di tutti (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stucchi. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, colleghi, questa Assemblea si appresta oggi, tra poche ore, a procedere alla seconda votazione di fiducia nei confronti del nuovo Governo.
Presidente Prodi, ho letto con attenzione le linee programmatiche del suo Governo illustrate la settimana scorsa al Senato e, francamente, sono rimasto attonito dalla loro evanescenza e dall'inconsistenza politica che ne contraddistingue il contenuto. Un capolavoro di equilibrismo condito da tanti «dobbiamo fare», da altrettanti «è necessario intervenire», ma senza specificare in che modo. Cioè, non vi è alcuna spiegazione precisa sull'azione di Governo e sulle scelte che si intendono assumere, tranne un chiaro «no» alla riforma federalista.
La capisco, poiché con una coalizione che spazia dai Verdi a Mastella, dalla Margherita ai comunisti, da Di Pietro ai no global, risulta impossibile illustrare con precisione come si intenda governare e affrontare adeguatamente i problemi dei cittadini. Non vi è un solo ministro d'accordo con quanto dice un suo collega: chi vuole il ponte sullo stretto e chi no, chi vuole ritirare subito i nostri operatori di pace in Iraq ed in Afghanistan e chi invece vuole farlo gradatamente, d'intesa con i governi locali. Chi vuole aumentare le tasse, chi invece vuole eliminare l'IRAP, chi vuole portare avanti le opere pubbliche e chi vorrebbe bloccarle in nome di un falso ambientalismo.
E, ancora, chi vuole che vengano scontate le pene e chi spinge l'acceleratore per approvare provvedimenti di clemenza; chi vuole eliminare la legge Gasparri, senza dire come sostituirla, e chi vuole chiudere i centri di prima accoglienza per gli extracomunitari clandestini, senza spiegare, però, dove queste persone dovrebbero essere trattenute ed identificate. Insomma, se non è il caos totale, poco ci manca!
Non ci consola essere stati facili profeti di un disastro annunciato, perché a farne le spese saranno i cittadini. Le imprese - da quelle grandi a quelle piccole e medie - hanno bisogno di certezze, hanno necessità di sapere quale sarà la politica fiscale del Governo e quali gli incentivi alla produzione. I cantieri per le grandi opere pubbliche devono sapere se chiudere i battenti o assumere nuovi operai. Infatti, un giorno un ministro dice che si andrà avanti, mentre quello successivo un suo collega sostiene il contrario. Intanto, ad ogni passo falso del Governo (se me lo permette, sono stati già parecchi nei primi giorni di vita!), le azioni di importanti società quotate in Borsa vanno giù.
Fatta questa premessa ed evitando per carità cristiana di commentare in questa sede le modalità con cui si è dato vita al suo nuovo Governo (basta ricordare l'intervista di ieri al Corriere della Sera del senatore Bassanini sull'abuso del manuale Cencelli e sullo stravolgimento della sua riforma), mi soffermerò su due questioni.


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La prima: lei ha espresso la sua contrarietà alla riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura che tra un mese sarà sottoposta a referendum confermativo. Non è un caso che questo «no», come detto poc'anzi, sia l'unico dato politico su cui tutta la maggioranza si ritrova concorde: è un «no» al federalismo, un «no» alla concessione di più poteri alle regioni, un «no» alla valorizzazione delle autonomie locali, un «no» al federalismo fiscale, un «no» alla modernizzazione del paese, un «no» al Senato federale e, quindi, al superamento del bicameralismo perfetto, un «no» alla riduzione del numero dei parlamentari, un «no» a tante altre innovazioni positive.
Mi rammarica vedere come ci si preoccupi più di distruggere quanto fatto da altri, piuttosto che pensare che questo possa diventare un punto di partenza o, meglio, un punto di non ritorno per eventuali successivi interventi correttivi. Le riforme della passata legislatura non possono essere viste solo come un macigno da rimuovere, soprattutto se, come nel caso della devoluzione, contribuiscono a responsabilizzare maggiormente le realtà locali, facendole diventare protagoniste nella risoluzione delle problematiche della vita quotidiana dei nostri cittadini e rendendo questi ultimi più liberi dall'eccessiva ingerenza di Roma e dal suo centralismo asfissiante.
Seconda questione: nella scelta delle persone per la formazione del nuovo Governo si è voluto dare una lezione al nord, a quella parte del paese che non ha dato fiducia alle forze di sinistra-centro. Penalizzare i padani, in particolare i lombardi e i veneti, per avere liberamente espresso la propria preferenza politica è un atteggiamento da Unione Sovietica, signor Presidente! E non mi si venga a dire che in Padania non esistono rappresentanti della vostra parte politica in grado di partecipare, senza sfigurare, alla compagine governativa. Avete voluto dare un segnale chiaro contro il nord e ve ne dovete assumere le responsabilità, senza negare l'evidenza!
Signor Presidente, per quanto affermato in apertura del mio intervento, per quanto detto in ordine alle due questioni che, seppure nei tempi ridotti a mia disposizione, ho voluto approfondire, la gente della Padania, la gente del nord, ci chiede di esprimere un «no» chiaro al suo Governo e, nel contempo, di ribadire in quest'aula un impegno preciso per l'approvazione del referendum costituzionale di fine giugno.
Signor Presidente, mi avvio a concludere. Scriveva Orazio: «Post equitem sedet atra cura». Ma, in questo caso, il cavaliere alle cui spalle sta la cupa angoscia non è l'onorevole Berlusconi, ma è lei, onorevole Prodi, che sa benissimo, anche se lo nega pubblicamente, di essere destinato, entro tempi brevi, all'esilio da Palazzo Chigi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, il principale interrogativo che è rivolto al nuovo Governo Prodi riguarda, innanzitutto, il modo in cui riuscirà ad affrontare una situazione assai difficile, se non grave, nel campo dell'economia reale e in quello della finanza pubblica.
Ieri, il ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa ha detto che siamo in una situazione paragonabile, per difficoltà, a quella degli inizi degli anni Novanta. Tra ieri ed oggi, tuttavia, vi sono profonde differenze che rendono più arduo il percorso che dovremo tracciare. Allora l'inflazione era alta ed erano alti i tassi di interesse. Esisteva, quindi, la possibilità di contribuire al risanamento della finanza pubblica, riducendo l'incidenza del servizio del debito sul bilancio dello Stato come contributo al risanamento finanziario. Questo fu il senso del patto di concertazione contro l'inflazione del 1993, questa fu la scommessa fatta e vinta da Ciampi per entrare nell'euro.
Oggi siamo in condizioni diverse, nelle quali abbiamo un livello di inflazione che non impensierisce troppo e tassi di interesse


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relativamente bassi. Non è, quindi, possibile seguire la stessa strada che portò a compimento l'opera iniziata agli inizi degli anni Novanta dal Governo Amato. Anzi, possiamo nutrire il timore che vi possa essere un innalzamento dei tassi di interesse che ricada negativamente nel tempo sul bilancio dello Stato.
Non possiamo neppure seguire la via dei rinvii, con le misure una tantum ed i condoni, del Governo Berlusconi, che non è riuscita neppure a dare impulso alla crescita. Bisogna, invece, avviare un'azione di risanamento che affronti finalmente i nodi strutturali della spesa pubblica e ristabilisca un equilibrio tra le entrate e le uscite al netto delle spese per interesse, con la ricostruzione di un avanzo primario. Questa operazione, tuttavia, non si può fare in due tempi, anticipando il risanamento rispetto agli impulsi da dare alla ripresa. Le misure rivolte a dare competitività alla nostra economia reale hanno un'assoluta priorità, come le riforme strutturali che ridiano vitalità al mercato, contrastando oligopoli, monopoli e corporativismi. Comunque, prima di stabilire cosa si deve fare e quando si deve fare, bisognerà fare i conti.
Le manovre economiche non sono una questione ideologica, ma una questione concreta. Il compito che ci attende è quello di individuare misure graduali che non incidano negativamente, ma anzi favoriscano la competitività delle nostre imprese, già in affanno sul mercato globale, come la riduzione del cuneo fiscale e contributivo.
Questa azione di Governo assai difficile richiede un rapporto costruttivo con l'opposizione. Il discorso svolto dall'onorevole Bondi poco fa, tutto intriso di invettive, chiude qualsiasi spiraglio all'apertura di un confronto costruttivo. Tuttavia, sono convinto che dobbiamo insistere. Il motivo per il quale siamo per l'apertura di un dialogo non è certo quello di avere un'opposizione più morbida ed accondiscendente o di realizzare quello che in gergo viene chiamato un «inciucio».
Ci troviamo di fronte a riforme di sistema che sono state varate nel corso della precedente legislatura in un rapporto di scontro con l'opposizione di allora. La conseguenza naturale sarà che la nuova maggioranza le rimetterà presto in discussione con nuove riforme: su questo non vi possono essere dubbi. Tuttavia, se il centrosinistra non stabilirà una qualche intesa trasparente in Parlamento con l'opposizione, potremmo trovarci nuovamente con un cambio di maggioranza ed un nuovo azzeramento di ciò che sarà fatto in questa legislatura. Un bipolarismo che sia funzionante non può che essere fondato sul fatto che ad ogni legislatura si facciano riforme di sistema, dalla scuola alla giustizia, all'informazione, a quella fiscale. Questo non è un bipolarismo che avvantaggia il paese, ma un meccanismo che danneggia le istituzioni e rende più difficile la vita dei cittadini. In tutte le democrazie occidentali si stabilisce un tacito patto per il quale almeno alcune riforme di vasta portata trovino un parziale assenso nell'opposizione in modo da poter durare oltre una o due legislature. In Italia, al contrario, mancando ciò che si potrebbe definire un'intesa di sistema, ad ogni legislatura si riparte da zero.
Questa situazione, onorevole Bondi, non l'ha inventata il centrosinistra e neanche il centrodestra; è la situazione di crisi del bipolarismo italiano che, tutti insieme, con le reciproche responsabilità, dobbiamo affrontare. Il compito del nuovo Governo è ridare fiducia ai cittadini che si sono divisi nel voto ma si ritrovano uniti nell'ansia di affrontare il futuro.
Più volte, dai banchi del centrosinistra si è affermata la necessità di diffondere nel paese un rigoroso e scrupoloso spirito civico rivolto a rispettare le leggi. Noi non pensiamo di dare lezioni alla nuova opposizione, però mi sembra davvero paradossale che la nuova opposizione voglia dare lezioni alla nuova maggioranza. Siamo convinti che, a tale scopo, sia necessario il rispetto di tutte le garanzie che riguardano, innanzitutto, i principi di libertà e (come lo dicevamo ieri, che stavamo all'opposizione, lo diciamo oggi, che siamo maggioranza) queste garanzie devono


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stabilire un ruolo dell'opposizione che, pienamente, deve esercitare la sua funzione.
Siamo convinti, come altri, che esiste una gravissima crisi della giustizia, che raggiunge i più elevati livelli di ingiustizia quando le sentenze vengono pronunciate dopo un larghissimo periodo di tempo. La nostra proposta di amnistia non corrisponde solo alla necessità di rendere meno affollate le carceri, ma anche di sgravare la macchina giudiziaria dal peso di milioni di piccoli processi che impediscono di fatto il perseguimento dei reati commessi nel mondo di oggi.
Non ignoriamo i timori che vi sono nel campo dell'ordine pubblico, ma siamo convinti che solo attraverso una riforma della giustizia sarà possibile fronteggiare meglio la macro e la micro criminalità.
La stessa battaglia per l'applicazione della legge elettorale al Senato per il riconoscimento dell'elezione di otto senatori, finora esclusi per una cattiva interpretazione della legge, risponde a questo principio di legalità.
Nei cambiamenti che il centrosinistra porterà avanti non deve esserci, e non ci sarà, nessuna volontà punitiva. Dobbiamo uscire da quello schema «amico-nemico» che ha caratterizzato l'atteggiamento complessivo dell'azione del Governo nella scorsa legislatura. Ciò deve essere fatto innanzitutto nella Rai dove va premiata la competenza e la professionalità, senza ripetere i meccanismi di potere che hanno dominato gli anni passati.
Il centrosinistra deve essere animato da un grande spirito di libertà e da un rispetto scrupoloso del nostro assetto istituzionale e democratico. L'affermazione del principio della laicità dello Stato, l'ampliamento dei diritti civili, il riconoscimento delle unioni di fatto, a cominciare dai Pacs, la libertà della ricerca scientifica non sono contro la Chiesa cattolica, ma sono rivolte a garantire la libertà di tutti.
Soprattutto, bisogna far capire - e concludo - agli elettori ed alle elettrici che ci hanno votato la nostra volontà di essere coerenti con gli impegni assunti ma, nello stesso tempo, occorre far capire agli elettori ed alle elettrici che non ci hanno votato che non siamo il Governo di una parte, siamo il Governo di tutto il paese. Questa non sarà una nostra debolezza ma, se la sapremo usare, sarà la nostra forza.
Il centrosinistra, onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, deve comportarsi esattamente al contrario di quanto ha fatto nella scorsa legislatura il centrodestra. Per andare in questa direzione, è più che mai necessario che il Governo da lei presieduto, onorevole Prodi, abbia una durata di legislatura. Per questo motivo le diamo fiducia, una fiducia piena che non è soltanto per oggi, ma anche per l'avvenire (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno, de L'Ulivo e dei Verdi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato De Mita. Ne ha facoltà.

CIRIACO DE MITA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, le regole, anche quelle elettorali, non sono verità da rispettare, ma riferimenti a misure di comportamenti. Perciò, la discussione sul risultato elettorale è oziosa e inutile.
Il sistema previsto, per un'ironia della storia, è stato predisposto da chi oggi lo delegittima. Viceversa, questo sistema va rispettato. C'è, invece, una questione da sollevare subito, onorevole Presidente del Consiglio: poiché il sistema elettorale che ci ha portato al voto era non una riforma di sistema ma un espediente elettorale, va immediatamente riformato.
Non è irrilevante l'obiezione, che da qualche parte potrebbe venire, che il sistema elettorale mutato delegittimerebbe il Parlamento. Il modo pratico per ovviare a questo inconveniente è che la modifica del sistema elettorale avvenga rapidamente in un ramo del Parlamento e che l'altro ramo la voti alla scadenza elettorale, in modo da liberare la discussione da un ingombro che, io vorrei sperare, è soltanto un residuo del passato. Berlusconi perciò prenda atto del risultato e s'impegni, viceversa, a modificarlo in senso corretto.
L'Unione e lei, onorevole Prodi, non si distraggano sull'opportunità di leggere il


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risultato, non tanto per la quantità (quello ha legittimato una parte a governare), ma per il suo significato.
Che il risultato elettorale distribuisca, in maniera quasi equa, la rappresentanza tra l'una e l'altra parte, non deve sfuggire alla nostra considerazione. Il voto non è la risposta referendaria al sì o al no, cosicchè poi il sì è motivato dalla ragione della richiesta. La richiesta del voto intreccia un percorso singolare tra la capacità di proposta di chi chiede il voto e la motivazione dell'elettore nella scelta. L'elettore ha posto di fronte al sistema politico una domanda di unità, non in termini di spartizione di cariche, ma in termini di recupero di ragioni condivise, perché se non nasce nel dibattito politico e nella pratica della politica del nostro paese una condizione condivisa, non saremo in condizioni di affrontare con successo i problemi che il paese presenta.
A lei, onorevole Prodi, vorrei ricordare che nel 1953, quando la legge elettorale allora definita «legge truffa» (oggi, credo, rivalutata per eccesso di democrazia) non scattò, nella classe dirigente si aprì una discussione tra chi voleva non contare le schede (anche allora c'era il problema di contare le schede), ma di riandare al voto e chi, viceversa, si sforzò di interpretare il voto. Ci fu un intervento dell'onorevole Moro, sempre acuto osservatore delle vicende politiche, il quale disse che il voto degli elettori era un voto intelligente perché, da una parte, confermava con un giudizio positivo l'attività di Governo ma, dall'altra, sollecitava il Governo a tener conto del nuovo. La similitudine non è meccanica, ma sta nella circostanza che, a mio avviso, nello scontro elettorale, a parte le strumentalizzazioni, i sondaggi, le tecniche mediatiche, in realtà, la pubblica opinione, l'elettore semplice (quello che non legge i giornali ma che stranamente capisce) ha percepito uno scontro con una parte, quella del centrodestra, che bene o male ipotizzava un modello di riferimento nel quale il perno dell'egoismo era l'equilibrio della conservazione del sistema (posizione, questa, non conservatrice ma, paradossalmente, eversiva dell'ordinamento democratico del paese).
Parlo in prospettiva, per il recupero delle ragioni dell'ordine.
Diciamoci, comunque, con franchezza che il centrosinistra non è stato in condizione di offrire un modello tranquillo, poiché è apparsa all'occhio dell'elettore più una posizione minacciosa che una posizione alternativa.
La politica non è elenco arido di cose da fare; pertanto, immaginare che la ricomposizione e la convergenza nascano indicando analiticamente la risoluzione di questo o quel problema, a mio avviso, non ci fa uscire dalle difficoltà.
Non a caso gli osservatori più acuti, ma credo anche l'onorevole Prodi in qualche circostanza, hanno affermato che, per uscire dalle difficoltà, occorrono uno scatto di attenzione, la creazione di una speranza. Diversamente, il meccanismo non si mette in moto. Il paradosso è che un'idea è il fatto più concreto nell'evoluzione del sistema politico del nostro paese.
Dobbiamo costruire l'unità - lo dico con grande convinzione e non da oggi -, perché la lettura del sistema bipolare, fatto da tutti - non uno «sì» e l'altro «no» - a turno (una volta il centrodestra e una volta il centrosinistra) ed improntato sulla quantità come condizione di Governo, mostra la propria fragilità.
Non a caso, è tutto il sistema che si trova in questa condizione.
Le maggioranze si sono composte, ottenendo l'unità marginale per peso, non per qualità. Viceversa, le coalizioni sono altro: sono la messa insieme di una pluralità di aspirazioni tra di loro diverse, perché il pluralismo politico è una ricchezza.
Le coalizioni unitarie non esistono. Esiste la mediazione politica che rende unitaria la coalizione nella gestione della politica e dell'attività di Governo.
Noi, lei, la maggioranza dovrebbero avviarsi a cominciare a fare tutto ciò.


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Scelgo alcune questioni che ritengo rilevanti, la prima, che non sembri marginale né secondaria, quella della laicità della politica.
Quando osservo che uno degli scrittori più attenti e più acuti come Rusconi, su tale questione, mai banale, è sempre acuto ed attento, in realtà mi viene da recuperare un'osservazione del professor Paolo Prodi, storico acuto ed intelligente, in un saggio pubblicato nel bel libro «Potere e religione», nel quale afferma che non basta più una laicità che si limita ai problemi dell'etica economica o alle controverse giurisdizionali tra Chiesa e Stato.
Le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche ci pongono di fronte oggi ad un interrogativo nuovo e drammatico.
Oggi la comunità ci pone di fronte al conflitto sul destino dell'uomo e della natura dell'uomo. Si tratta di una questione non risolvibile con l'affermazione della distinzione tra il ruolo dello Stato e quello delle comunità religiose. È una questione che esige una risposta.
Il rifiuto di un valore non è fatto con la negazione del valore, ma con l'affermazione di un valore alternativo e diverso che concorra a risolvere lo stesso problema in maniera più adeguata e più convincente.
È questa la questione all'origine della nostra discussione politica e della nostra riflessione. Non sarebbe male se riprendessimo con serenità la riflessione che già Max Weber aveva sollevato quando, con riferimento alla tradizione religiosa in Europa, scopriva che era stato il cattolicesimo romano a consentire in Europa l'organizzazione dello Stato, a differenza di quanto era avvenuto ove si era diffusa la religione ortodossa o nei paesi dell'Asia, dove la posizione che si indica con il potere crea oggettivamente problemi di libertà.
Quindi, il rapporto tra la dimensione religiosa e la politica non è risolvibile con il principio della separazione, ma con il dialogo, con il confronto di opinioni, con l'affermazione di valori condivisi, tutti volti a garantire l'arricchimento della coscienza umana e della libertà concreta della persona nella comunità.
Non a caso, riflettendo su queste considerazioni, mi tornano alla memoria pezzi di storia del nostro paese. La verità, infatti, non si trasferisce in norma e questo rischio noi oggi lo corriamo! Oggi, noi siamo in presenza di due rischi contrapposti e non so quale sia il maggiore. Ve n'è uno, di quelli che con riferimento alla verità... i nuovi devoti, i credenti atei, chiamateli come volete (però non mi libererei dalla questione liquidandola con un aggettivo, sia pure simpatico: è una esigenza a cui l'intelligenza tenta di dare una risposta). Il trasferimento del valore nella norma diventa un fatto intollerabile.

PRESIDENTE. La prego di concludere, deputato De Mita. Il tempo è inesorabile anche per lei!

CIRIACO DE MITA. Chiedo scusa. Lo consegnerò agli atti: vi era qualche considerazione anche per lei, signor Presidente.
In coda e fuori tempo, vorrei cogliere questa occasione per svolgere una riflessione.
Il Parlamento non può funzionare più come ha funzionato. E dico questo non da oggi: tale considerazione l'ho portata avanti dal 1963 quando, parlando per la prima volta in quest'aula, dissi al Presidente della Camera di allora, l'onorevole Bucciarelli, che probabilmente sarebbe stato difficile per il Presidente della Camera iscrivere all'ordine del giorno la crisi delle istituzioni: in realtà, la crisi delle istituzioni c'era perché le istituzioni, così come funzionavano, erano inadeguate. Ora, risulta sempre più incomprensibile come i lavori dell'aula, che dovrebbero essere il momento di riflessione sulle questioni generali, siano ridotti al silenzio dalla contingenza del tempo (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e di deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Mi dispiace: so che l'eguaglianza tra diseguali è una disuguaglianza,


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ma sono tenuto a far rispettare i tempi!
È iscritto a parlare il deputato Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, ho guardato con attenzione al suo richiamo alla cultura dell'etica della responsabilità civile, che impegna tutti a tendere verso la ricostruzione morale del paese. Eppure, ho trovato una sottovalutazione, nel tentativo di limitare temporalmente, quando lei dice «noi intendiamo ripristinare». Perché vi è una sottovalutazione? Perché sembra che il tema della cultura dell'etica riguardi solo una parte, tocchi solo qualcuno.
In realtà, da anni vi è una divaricazione crescente tra diritti e aspirazioni e doveri e responsabilità e il trionfo della furbizia in ogni campo è la negazione della responsabilità: e lo si vede anche nell'informazione televisiva. Siamo passati dalla mitica «Lascia o raddoppia?» degli anni Cinquanta ai pacchi di RAI1. Eppure tanti, troppi, continuano a praticare ad un tempo furbizia e moralismo autoreferenziale. Personalmente, tra i giovinetti alla Barbara Berlusconi e i furbi alla Costanzo, preferisco i giovinetti! Lo si è sperimentato durante la dura battaglia parlamentare condotta nella passata legislatura, a tratti nel più totale isolamento, sulla vicenda del risparmio e dei risparmiatori.
Presidente Prodi, la sua coalizione ha vinto le elezioni e io non ho nuovi conteggi da brandire o da minacciare per sminuire il valore del suo consenso - la mia tradizione politica me lo impedirebbe o mi getterebbe nel ridicolo -, ma io la sfido davvero a guidare il nostro paese avendo di mira l'interesse generale.
Lei non è partito bene. È ancora prigioniero - così mi appare - di quella filosofia dell'onnipotenza delle maggioranze che ha accompagnato la politica in questi anni, e non mi riferisco tanto agli «spacchettamenti»; per giudicare tale scelta, basterebbe utilizzare gli argomenti allora richiamati dall'opposizione, all'atto della nascita del Governo Berlusconi. Ma lei ha fatto molto di più. L'ho visto ripiegarsi all'interno della sua coalizione, invece di scommettere sulla possibilità di ricostruire le basi di una buona politica. Perché non è stato cercato un dialogo convinto sulle Presidenze delle Camere? Ora, quello adombrato sulle presidenze delle Commissioni appare tardivo e strumentale.
Se lei si chiude nella sua maggioranza, come sarà possibile affrontare i nodi veri, che pure ha richiamato nelle sue dichiarazioni programmatiche? Penso al sommerso, incompatibile con la dimensione di un paese civile che vuole restare ancorato all'Europa; ma il sommerso non si batte con il bipolarismo muscolare che nasconde e tutela gli interessi particolari e i furbetti diffusi. Nel 2001, dopo che il centrosinistra, e anche lei, avevate già governato cinque anni, c'erano, nel nostro paese, solo mille miliardari, ma il parco auto era ricco di 250 mila auto di lusso. Quindi, vuol dire che il sommerso si batte se la politica non si fa strumentalizzare dagli interessi di parte e se si introduce davvero un meccanismo di contrasto tra interessi diversi, chi vende servizi e chi li acquista, potendoli portare in detrazione.
Ma davvero ha deciso di favorire l'apertura e la liberalizzazione dei mercati, dopo privatizzazioni realizzate in maniera improvvisata ed incompleta? Come si possono battere i nuovi monopolisti che hanno sostituito lo Stato imprenditore? Con l'autosufficienza della maggioranza? E che fanno banche, assicurazioni, gestori dell'energia elettrica, del gas, delle autostrade, delle telecomunicazioni? In questi anni, i nuovi monopolisti hanno realizzato grandi utili mettendo le mani nelle tasche dei cittadini, delle famiglie e delle imprese. Così stanno le cose. Avendo, inoltre, dato vita ad un processo che ha mutato la natura dello Stato - da Stato imprenditore a Stato privatizzatore -, è venuta meno quella condizione di Stato regolatore senza la quale i mercati sono lasciati a se stessi, in balia di nuovi monopolisti che, a dispetto dell'andamento di ieri della Borsa, sono gli unici che, in anni di economia ferma, hanno realizzato clamorosi utili.


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Sono preoccupato di questa impostazione politica. Ovviamente, starò al mio posto, come sempre, cercando di costruire un'opposizione ragionata e non pregiudiziale al suo Governo. Sono consapevole che una testimonianza vera può essere utile, anche se appare isolata. Posso permettermi di guardare con distacco ai tanti che, oggi, si affrettano a dire di non aver mai conosciuto Moggi; il calcio appare come la parabola dei furbi e i furbi - si sa - sono diffusi un po' in tutte le contrade.
Presidente Prodi, non dica che non c'è il clima. Cerchi piuttosto di favorirlo. È anche il modo più politico per evidenziare, se ci fosse, una opposizione preconcetta. Ma, se lei si arrocca, non solo questo non lo scoprirà, ma indurrà questo bipolarismo rissoso a mostrare la parte muscolare, che è quella meno utile al paese. E non si rifugi nella antipolitica, coltivandola: perderebbe anche lei. Certamente, perderemo tutti e lei, che pure, talvolta, sembra inclinare alla tentazione dell'antipolitica, non è il più forte in questo campo e, quindi, non le conviene mettersi su questa strada. Scopra il coraggio della buona politica. C'è, ed è possibile ritrovarla. Qualcosa potrebbe mettersi in movimento, e penso che questo corrisponda all'interesse più profondo del paese.
Le elezioni si sono concluse e credo che anche la retorica del paese diviso debba essere accantonata. Però, onorevole De Mita, non basta fare una riflessione sulla legge elettorale, come se essa potesse nascondere le difficoltà di un sistema bipolare che tende ad esaltare gli estremismi, anche quelli verbali.
Noi non abbiamo bisogno di estremismi verbali, ma di una solida cultura di Governo. Questo è ciò che serve al paese. Certamente, con molta fatica vedo rappresentata una solida cultura di Governo da questo bipolarismo rissoso. Credo sia compito di tutti creare le condizioni affinché una buona politica torni in campo aperto (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Alleanza Nazionale e di deputati de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ronchi. Ne ha facoltà.

ANDREA RONCHI. Presidente Prodi, durante la campagna elettorale più volte avevamo giustamente sottolineato le profonde contraddizioni della sua coalizione in tema di politica estera. Da questi primi passi dobbiamo dire che avevamo visto giusto.
La politica estera, infatti, per definizione è il luogo di continuità e di scelte condivise. Comprendo, signor Presidente, che all'inizio di questa avventura lei si sforzi di essere originale e innovativo a tutti i costi. Ma, scorrendo l'elenco delle priorità che lei ha enunciato, mi creda se le dico che queste novità non ci sono, anzi, ci sono affermazioni scontate e prive di alcun valore autentico aggiunto e, quindi, prive di significato.
Un primo esempio, signor Presidente: l'importanza dell'Europa. Come si può non essere d'accordo con questa affermazione? Tuttavia, l'idea di rilanciare il ruolo dell'Italia in Europa viene ripetuta in modo ossessivo. Onestà, signor Presidente, vorrebbe che si ricordasse il contributo attivo ed in prima linea assicurato dall'Italia per favorire l'avanzamento della costruzione europea durante il Governo di questi cinque anni di centrodestra.
È bene che lei ricordi un esempio per tutti: la firma a Roma del Trattato che istituisce la Costituzione europea. Si tratta di un evento tutt'altro che meramente protocollare, perché vorrei rammentare a chi lo avesse dimenticato che la maggior parte delle intese su questo testo fu raggiunta durante il semestre di Presidenza italiana.
Né può essere rimproverato alla Presidenza italiana di non essere riuscita a portare a termine il negoziato. Meglio nessun accordo che un cattivo accordo, diceva, se la memoria non mi inganna, proprio il Presidente della Commissione.
Adesso il Presidente Prodi preferisce ignorare tutto questo e promette di fare di più e meglio. Ho qualche dubbio, ma vedremo.


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Non abbiamo bisogno, però, che ci ricordi che l'Italia conta nel mondo solo se è rispettata in Europa e se l'Europa è rispettata anche come soggetto politico di rilevanza globale. Lei, piuttosto, signor Presidente, non dimentichi che l'Europa ha la possibilità di affermarsi come soggetto politico solo e soltanto se non perde il contatto con quell'Alleanza atlantica che è stata un fattore fondamentale di successo anche dell'integrazione europea.
Pensare il contrario, immaginando di costruire l'Europa in contrapposizione agli Stati Uniti - non mi dica che non è vero: che cosa significa il riferimento al multipluralismo a pagina 97 di quel libro dei sogni del suo programma? - equivale, quindi, a votare l'intero progetto europeo ad un irrimediabile fallimento. Questo sì che sarebbe un tradimento dell'idea dell'Europa unita!
Lei, signor Presidente, ha parlato anche della centralità del Mediterraneo. Mi permetta: niente di nuovo sotto il sole! L'insufficienza del processo di Barcellona ovviamente è sotto gli occhi di tutti. Però, se c'è stato un Governo che si è battuto per rilanciare con forza e strutturalmente il dialogo euromediterraneo, per adeguarne le strutture e i contenuti alle nuove esigenze, è stato il Governo di centrodestra.
Quando è stata varata la Fondazione euromediterranea? Nel dicembre 2003, durante la Presidenza italiana, ed esattamente al Consiglio euromediterraneo di Napoli.
Per non parlare, signor Presidente, del nostro impegno sul conflitto mediorientale, la cui soluzione sarebbe di cruciale importanza per fare del Mediterraneo quell'area di pace, prosperità e sviluppo civile e democratico a cui tutti dobbiamo aspirare.
Quando si era mai visto, signor Presidente, che un generale italiano guidasse la forza europea? Lo ripeto: un generale italiano è stato alla guida di una forza europea alla frontiera tra l'Egitto e la striscia di Gaza, ossia quel nocciolo embrionale del futuro Stato palestinese, rispetto al quale qualcuno della sua coalizione blatera e in realtà non lo vuole.
Si è visto nel novembre del 2005, nella missione EUBAM, al valico di Rafah. Lo ricorda il generale Pistolese pochi giorni dopo una missione in Medio Oriente dell'allora ministro degli esteri, Gianfranco Fini, a cui Sharon e Abu Mazen avevano anticipato quella loro storica comune decisione.
Al suo Governo, Presidente Prodi, posso solo augurare di essere altrettanto autorevole, importante ed influente attore principale in negoziati decisivi per i destini concreti della pace nel mondo. A questo proposito, non possiamo non ricordare il lascito più importante, più lusinghiero - ricordato anche dalla stampa internazionale - che il ministro degli esteri, Gianfranco Fini, ha consegnato al suo successore, il ministro D'Alema. Un lascito di prestigio, frutto di un impegno assiduo, a tutto campo, portato avanti dalla diplomazia italiana nel corso di questi cinque anni in campo europeo, per portare a compimento il progetto di quella Costituzione, che lo stesso Fini aveva concorso a scrivere - malgrado quella battuta di arresto determinata dai «no» referendari di Francia ed Olanda -, sul fronte dei rapporti transatlantici, al fine di ristabilire tra Europa e Stati Uniti un clima di armoniosa collaborazione, superando diffidenze e divisioni alimentate dalla crisi irachena.
Sulla questione mediorientale, con una visione equilibrata del conflitto tra Israele e Palestina, vi è stato l'apprezzamento e la stima da parte degli uni e degli altri, anche grazie al contributo delle nostre Forze armate, di quei soldati in missione di pace - e non, Presidente Prodi, in missione di occupazione - ai quali va il nostro omaggio, il nostro saluto, il nostro ricordo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
Vorrei ricordare ancora una volta il grande e immenso sacrificio di questi uomini che, anche in Iraq, sono continuamente impegnati nella costruzione di una nuova democrazia. Troppe volte abbiamo ascoltato nelle piazze del nostro paese l'ignobile inno «Dieci, cento, mille Nassiriya!»,


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che ritengo abbia segnato per l'Italia una delle pagine più brutte dal punto di vista morale prima che politico.
Vorrei ricordare i teatri nei quali l'Italia ha portato il proprio prestigio per cercare di costruire dalle fondamenta la pace: non solo il valico di Rafah, ma anche l'Afghanistan, l'Iraq e i Balcani, che costituiscono un fronte di cruciale importanza non solo per l'Italia, ma per l'intera Europa e sul quale pendono scadenze delicate e decisive, come abbiamo visto ieri con riferimento al referendum per l'indipendenza del Montenegro.
Ma torniamo al suo discorso programmatico, signor Presidente. Scivolo sulla ovvietà della vicinanza all'America latina per la presenza di tanti nostri connazionali e delle responsabilità verso l'Africa. A proposito, ho visto che non vi è una parola sul dramma del Darfur!
In ordine alla diffusione della cultura italiana nel mondo, vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa significa il riferimento: «come strumento di promozione culturale al mondo, la capillare rete consolare e il rapporto con le regioni». E poi, si riferisce alle regioni straniere o a quelle italiane? Mi parrebbe strano che il riferimento fosse alle regioni italiane, visto che la politica estera è una prerogativa del Governo centrale. Inoltre, gli istituti italiani di cultura cosa ci stanno a fare?
Veniamo poi all'Iraq, ovvero al festival delle contraddizioni che, all'interno della sua maggioranza, sono ogni giorno più profonde e corpose. Prima si afferma che la guerra è un errore, con tanto di allusione alla partecipazione italiana, ignorando colpevolmente che la nostra è stata sin dall'inizio una missione di pace, poi il giorno dopo si precisa che il piano del Governo attuale non è diverso da quello del Governo precedente.
Ad una coalizione il cui programma di politica estera pare subordinare la legittimità di ogni iniziativa in politica estera al benestare di qualche autorità sovranazionale, vorrei ricordare che la presenza italiana in Iraq è stata dispiegata per aderire ad un invito espresso dalle Nazioni Unite che si è concretizzato in ben quattro risoluzioni del Consiglio di sicurezza. A qualche suo alleato, Presidente Prodi, che potrebbe aver dimenticano certe cose, vorrei ricordare tali risoluzioni: la 1483, la 1511, la 1546 e la 1637.
A chi si ostina colpevolmente ed ignobilmente dal punto di vista morale a parlare di occupazione militare sgradita alla popolazione irachena, rammento che il nostro contingente è in Iraq proprio su invito delle autorità irachene, che chiedono che esso non lasci incompiuta l'opera avviata in questi mesi, un'opera di assistenza alla ricostruzione di un paese martoriato per decenni da un regime sanguinario ed oppressivo. Un'opera di cui l'Italia dovrebbe essere orgogliosa, a meno di non voler considerare anche un errore le elezioni svoltesi nel corso del 2005, le prime elezioni libere e democratiche nella storia dell'Iraq recente, nelle quali milioni di iracheni e centinaia di migliaia di donne hanno dato prova di coraggio eroico sfidando a viso aperto il brutale ricatto dei terroristi.
Mi permetta, signor Presidente Prodi, di ricordare che la battaglia al terrorismo questo Governo l'ha fatta veramente, dal punto di vista morale e culturale, prima che politico, perché il terrorismo non si combatte soltanto a parole, non si combatte soltanto per slogan, ma lo si combatte alzando una frontiera fatta di «senza se e senza ma», che deve avere un ragionamento culturale, morale e poi politico. Dobbiamo dire anche a questi milioni di iracheni, che hanno sfidato il terrorismo per andare a votare, che si sono sbagliati?
E a chi insinua che il piano di riconversione della presenza in Iraq, predisposto dal nostro Governo, significa un sostanziale riallineamento delle sue posizioni a quelle del centrosinistra, desidero replicare che noi abbiamo sostenuto sin dall'inizio che non saremmo rimasti un minuto in più di quanto ci avrebbero richiesto gli iracheni. Ricordo, signor Presidente, che qualche giorno fa il governatore di Nassiriya ha chiesto, implorato, di non lasciarli soli, in mano al terrorismo, di aiutarli a costruire una democrazia compiuta!


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Questo è un appello che non può e non deve cadere nel vuoto! Semmai chi ha cambiato idea, signor Presidente, è chi intimava il ritiro immediatamente dopo le elezioni, chiedendo di stanziare qualche soldo per qualche litro di benzina.
Vorrei ricordare, e concludo, a chi sbandiera la compattezza presunta della maggioranza sulla politica estera, le dichiarazioni di quegli esponenti della sua maggioranza, che hanno commentato dicendo che il ritiro da Baghdad va bene, ma che adesso dobbiamo andarcene da Kabul. E non mi risponda, signor Presidente Prodi, che il ritiro dall'Afghanistan non è previsto dalle 280 pagine del suo programma!
Veda, signor Presidente, non avere una politica estera condivisa è un vulnus in qualsiasi tipo di politica e di Governo. È per questo motivo, per la vostra incoerenza, per la vostra fragilità, per la vostra contraddizione sulla politica estera, che siamo orgogliosi di non darle la fiducia (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ranieri. Ne ha facoltà

UMBERTO RANIERI. Ho molto condiviso, Presidente Prodi, le considerazioni sull'Unione europea che lei ha svolto nel discorso programmatico. Dalle sue parole è emerso limpidamente quel nesso storico-politico profondo che lega il futuro dell'Italia alle sorti della costruzione europea, quel nesso che videro per prime forze e figure di tradizione liberale e di ispirazione cristiana, che venne poi compreso ed accolto da altri. Così, nel succedersi delle generazioni e dei Governi, fu l'Europa a farci prendere coscienza dei limiti della nostra struttura civile ed economica e a spingerci a superarli.
L'europeismo italiano partiva dalla convinzione che gli interessi del paese non andavano interpretati in contrapposizione agli interessi dell'Europa e ancora oggi, del resto, siamo convinti che l'Europa può agire da promotore e catalizzatore del nostro progresso civile ed economico, come ha scritto nel suo ultimo libro il ministro Padoa Schioppa, che, vorrei ricordare ai colleghi della Lega i quali sostengono che nel Governo non ci sono personalità del nord, è nato a Belluno e vive ed insegna a Milano.
Ecco perché nel corso degli ultimi cinque anni abbiamo guardato criticamente a quella sorta di atteggiamento pigro, di svogliatezza dell'Italia verso l'Europa. Abbiamo avvertito in questi anni il rischio di una retorica antieuropea che portava ad indicare Bruxelles come capro espiatorio per le difficoltà in cui versava la nostra economia e ci è apparso velleitario e sbagliato, onorevole Ronchi, ritenere che l'Italia avrebbe ricavato visibilità e autorevolezza ritagliandosi sulla scena internazionale un ruolo separato dagli altri partner europei nel confronto tra Europa e Stati Uniti. Ecco perché ha ragione il Presidente del Consiglio quando assume come priorità del Governo restituire all'Italia un ruolo di primo piano nel processo di integrazione.
Sia chiaro, il centrosinistra non si nasconde le difficoltà che incontra il progetto europeo dopo il «no» di Francia e Olanda alla ratifica del trattato costituzionale, ma il punto da non smarrire è che la strada per venire fuori dalle difficoltà non può essere lo statu quo né un riequilibrio al ribasso. La via maestra è nel rilancio forte del processo di integrazione, impegnandosi decisamente a realizzare politiche fondamentali dell'Unione (sottolineo in particolare quelle che riguardano la politica estera e di sicurezza).
Nessun paese europeo è in grado di esercitare, singolarmente, un'influenza sulle vicende del mondo.
L'Italia è interessata ad una politica europea di graduale, ma sicura integrazione dei Balcani. Tuttavia, è interesse del nostro paese mantenere alto l'impegno dell'Europa nella ricerca della stabilità in aree come il Golfo, il bacino del Caspio e l'Africa mediterranea, regioni che hanno un ruolo chiave non solo nell'ambito degli approvvigionamenti energetici, ma anche sul fronte della lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata. Un'Europa capace


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di pesare in questa direzione mostrerebbe forte consapevolezza del valore delle relazioni euroatlantiche.
Il Presidente Prodi, onorevole Ronchi, l'ha detto in più occasioni: l'Europa non si unificherà intorno a posizioni antiamericane. Tuttavia, nel rapporto con gli Stati Uniti, occorrerà superare due approcci entrambi sbagliati: la contrarietà pregiudiziale e la critica e pregiudiziale acquiescenza che ha segnato la politica del centrodestra. Ecco, in conclusione, da dove ripartirà l'europeismo dell'Italia.
Onorevole Ronchi, noi riteniamo che la politica europea sia un patrimonio nazionale da non disperdere; e siamo persuasi che fare della divisione tra destra e sinistra un motivo di frattura nella politica europea sia sbagliato.
La politica italiana dovrà misurarsi, nei prossimi mesi ed anni, con l'insieme di questi temi. Da parte nostra, lo faremo; ma non si tratta di un compito esclusivo delle forze di centrosinistra. Ecco perché, malgrado le invettive ed i toni minacciosi dell'onorevole Bondi, lavoreremo perché la questione europea non sia stretta nella morsa della contrapposizione tra i due schieramenti e perché la politica europea costituisca, negli interessi dell'Italia, un terreno di ricerca e di impegno comune (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò. Ne ha facoltà.

LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, dell'intervento svolto dal presidente Prodi al Senato mi hanno colpito due passaggi: quando ha posto l'accento su una forte scossa al paese sul piano etico e quando ha parlato della necessità di allontanarsi dai mediocri indicatori dello sviluppo che caratterizzano il sistema Italia.
Sulla parte dell'intervento relativa alla forte scossa sul piano etico si è abbondantemente espresso l'onorevole Tabacci. Mi fa specie soltanto che si sia in qualche modo sorvolato su un tema fondamentale, vale a dire sul fatto che anche il Governo può creare, sul piano etico, possibilità di scelta condivise, dalla periferia al centro. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che, mentre lo Stato privatizza - o, meglio, in qualche caso, liberalizza -, le province diventano piccole «IRI» di periferia. In altri termini, esistono dualismi che, in chiave politica e di governo, devono essere assolutamente incanalati su un unico binario.
È vero: nel suo intervento, signor Presidente, lei ha evitato il rigido rendiconto degli impegni programmatici: probabilmente perché voleva rimandare al programma che la coalizione si è data. Tuttavia, l'insistenza con la quale ci si è soffermati sui temi dello sviluppo e della competitività del nostro paese meritava di essere approfondita e puntualmente completata da un più incisivo e chiaro richiamo ad almeno due aspetti che concernono il cuore dell'ammodernamento della nostra struttura economica: l'energia e le infrastrutture.
Francamente, riguardo all'energia, signor Presidente, lei ha speso pochissime parole. Ha detto: penso alla necessità di dotare l'Unione monetaria di un vero governo economico e sociale, allo sviluppo di una nuova politica comune dell'energia, in sostanza demandando il governo dell'energia più ad una politica europea (mi pare che questo aspetto fosse presente anche in alcune interpretazioni del precedente ministro dell'economia), salvo vedere cosa è successo all'ENEL quando è entrato nella fatidica logica di essere presente in un mercato forte come quello francese (la vicenda ha evidenziato che la politica energetica europea è fatta di asimmetrie e di concorrenza sleale). Però, il problema che si pone con più attenzione credo che sia di strategia, funzionale e finale, quello che, obiettivamente, porti il paese ad uscire dalle sacche della dipendenza energetica che lo attanaglia, ormai, da molti anni.
Sappiamo perfettamente qual è lo stato delle cose e sappiamo anche che in altri paesi europei, dotati di risorse energetiche di ben altra natura rispetto alle nostre, si


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tende a superare questa ipotetica futura dipendenza dal gas russo e dal petrolio mediorientale puntando sul nucleare. Blair lo ha affermato a chiare lettere, magari creandosi situazioni di inimicizia anche all'interno del proprio Governo. Tuttavia, credo che questo sia un passaggio sul quale vale la pena che un paese scommetta anche mettendo a repentaglio solidarietà interne alla propria maggioranza, per guardare a ciò che serve, effettivamente, al paese.
Quando si cerca di ragionare in chiave energetica, si sostiene la necessità di rendere più forte la presenza del nostro paese nei sistemi alternativi, in modo particolare in quello eolico ed in quelli fotovoltaico e solare, e pare che questa sia la cartina di tornasole per risolvere il problema energetico. Mi pare, signor Presidente del Consiglio, che questa sia poca cosa. Sappiamo perfettamente che, se tutto va bene, a malapena riusciamo a coprire il 5 o 6 per cento dell'intero fabbisogno energetico del nostro paese. Sappiamo che abbiamo una risorsa, quella dei rifiuti, che è un problema e potrebbe essere valorizzata strutturalmente ai fini dell'energia, del risultato energetico del nostro paese: si pensa, infatti, che i rifiuti solidi urbani, ma anche quelli industriali e le deiezioni di animali, possono arrivare a produrre, se ben trattati, circa il 10 per cento dell'intero fabbisogno italiano. Anche questa, certamente, è una interessante via che deve essere perseguita, fatto salvo poi il fatto che - per il problema della moralità, di cui parlavamo prima - sempre nel cortile del vicino alcuni insediamenti devono essere portati a compimento.
Il problema di fondo, però, è costituito dal domandarsi quale sarà, fra 10 o 15 anni, la struttura di questo paese in termini di fabbisogno energetico e quale possibilità avrà di risollevarsi da quella strangolatura - cui assistiamo anche in queste ore - costituita dalla dipendenza energetica da paesi che, in qualche modo, possono aprire o chiudere i rubinetti. Non credo, signor Presidente del Consiglio, ...

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò...

LUIGI D'AGRÒ. Ho già esaurito il tempo a mia disposizione, signor Presidente...?
Non credo, dicevo, che l'idrogeno sia il compimento del risultato. Lei sa perfettamente che, per ottenere idrogeno, c'è bisogno di energia e saranno necessari 50 o chissà quanti anni per arrivare a questo. Sarebbe opportuno raccontare le cose come stanno e avere la capacità, finalmente, di fare di questo paese un paese moderno, creando forte moralità anche all'interno della propria coalizione...

PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, la prego...

LUIGI D'AGRÒ. ... dicendo le cose come si devono dire piuttosto che aver paura di rompere, con parole mediocri, una solidarietà che non può durare per tutti i cinque anni in questo campo (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghe ed onorevoli colleghi, il voto di fiducia che siamo chiamati ad esprimere conclude la fase costitutiva degli organi di Governo e avvia la fase in cui governare. Nel passaggio dal Governo al governare, come già ribadito dai colleghi di gruppo, ribadisco il sostegno e l'adesione dei deputati di Italia dei Valori al programma sottoposto agli elettori e alle elettrici nelle date del 9 e del 10 aprile. Quel sostegno e quella adesione si accompagnano, signor Presidente, a sottolineature, quasi stelle di riferimento, del suo programma, che sono proprie dell'esperienza e del futuro e leale contributo degli eletti di Italia dei Valori.
In primo luogo, recupero di credibilità internazionale, politica di pace, legalità e sviluppo (che ribadisco ancora una volta nel giorno terribile del ricordo della strage


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di Capaci), e in alternative come superamento del declino dell'ultimo quinquennio. Il paese chiede, il paese, signor Presidente, ha bisogno di un grande progetto di alfabetizzazione, di una rialfabetizzazione etica con alcuni punti fermi.
In primo luogo, il rispetto della persona umana, di ogni persona umana. In secondo luogo, la laicità, che non è né laicismo né clericalismo: laicità non è laicismo perché laicismo è dare a Cesare ciò che è di Dio, né clericalismo, che è invece dare a Dio ciò che è di Cesare. Un'offesa è il laicismo per chi non ha una fede religiosa, un'offesa è il clericalismo per chi ha una fede religiosa. Ma poi vi è un di più che è proprio della laicità, tanto per chi crede, tanto per chi non crede. La laicità è saper essere al tempo stesso, onorevole De Mita, separazione e contaminazione delle diversità, ma senza separazione non vi è contaminazione, soltanto laicismo o clericalismo, cioè integralismo.
Un'altra stella di riferimento è la libertà, che non deve degenerare in arbitrio del più forte. Diciamo «no» all'egoismo di chi ha e «no» alla condanna di chi non ha a vedersi trasformato il diritto in un favore. Diciamo «sì» alla flessibilità ma «no» al precariato e al lavoro nero come mortificazione del diritto al lavoro e alla speranza di futuro. Diciamo «no» al conflitto di interessi, che si atteggia sempre più chiaramente come la nuova tangente dell'Italia del terzo millennio. Il conflitto di interessi è sì, signor Presidente, la nuova tangente perché è corruzione di persone, di regole di competizione e di libero mercato. Diciamo «sì» alla professionalità e alla competizione, che non deve degenerare però in monopolio. In una parola, l'ha detto lei con molta chiarezza, coesione sociale e coesione territoriale, come metodo e come obiettivo, che collochiamo al termine di queste considerazioni ma anche all'apertura di queste sottolineature.
Abbiamo infine apprezzato, signor Presidente, la sua ricerca di confronto istituzionale come metodo, senza che questo confronto, come lei ha sottolineato, si attenui in un sistema che è, e vogliamo che sia, che è, e vogliamo che resti e si rafforzi, come sistema bipolare.
Onorevole Tabacci, il confronto è fatto di cosa e di come, e il come delle posizioni di alcuni esponenti della sua coalizione è in sé rifiuto di confronto. Queste sottolineature sono per noi di Italia dei Valori impegni assunti con elettrici ed elettori, sono il nostro contributo ad un Governo che vogliamo duri e governi coerentemente per l'intera legislatura che si è appena aperta. Buon lavoro, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori e de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Elio Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, ci accingiamo a questa legislatura di opposizione con serenità e determinazione.
La serenità deriva dalla consapevolezza di rappresentare una grande metà degli italiani che ha saputo resistere in questi anni ad una campagna forsennata di odio e delegittimazione, che è stata condotta in queste aule del Parlamento - per cui pare singolare che qualcuno ora si possa stupire del tono di qualche nostro intervento - e che è stata compiuta soprattutto nel paese, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, per fare in modo che non ci fosse la corretta rappresentazione di quello che è accaduto in questi cinque anni.
Il nostro orgoglio nasce dal fatto di essere consapevoli di rappresentare una grande moralità della concezione della politica, perché la nostra differenza con lei, Presidente Prodi, è che abbiamo governato in cinque anni per realizzare un programma che è stato rispettato in ogni suo punto, che aveva una sua precisa agenda dei lavori, in base alla quale sapevamo già cosa avremmo fatto la prima settimana, nei primi cento giorni, nei primi tre mesi, nei primi sei mesi, nel primo anno di legislatura, e così via.
Mentre voi, oggi che avete conquistato il potere occupando le istituzioni e moltiplicando ministeri e dicasteri (affronterò


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dopo questo punto), non sapete più cosa dovete farne; tanto è vero che leggiamo, sulla stampa, che pare sia stato convocato un seminario di governo per decidere cosa fare ora che siete nell'esecutivo.
Ma questo non ci preoccupa. Non ci spaventa la vostra protervia: ci indigna, piuttosto, l'ipocrisia. Non ci ha spaventato la protervia con la quale avete occupato tutte le cariche istituzionali: ci ha indignato, invece, l'ipocrisia con la quale reagite alle critiche che noi rivolgiamo a queste cariche, o al comportamento che avete assunto. Ma questo è tipico degli esponenti della sinistra: si tratta di quella cultura arrogante in base alla quale solo voi siete dotati di quella patente di democrazia che, da soli, vi siete rilasciati.
Vediamo allora, per sommi capi, come si è manifestata e cosa sta determinando questa protervia. Per quanto concerne l'elezione dei Presidenti di Camera e Senato, ancora poco fa ha ricordato, Presidente Prodi, che aveva proposto lei stesso di assegnare la Presidenza di una delle Camere all'opposizione (quasi come se, un anno fa, sapesse già quali sarebbero state la maggioranza e l'opposizione); tuttavia, ha successivamente affermato che l'approvazione della nuova legge elettorale ha reso impossibile praticare ciò.
A nostro giudizio, non solo la legge elettorale, ma lo stesso risultato delle urne avrebbe reso doveroso compiere tale scelta, poiché da tale risultato elettorale è emersa una spaccatura nel paese. Una maggioranza degli italiani, in un ramo del Parlamento (al Senato), ha votato per la Casa delle libertà e ciò avrebbe preteso, secondo obiettività, che una delle Presidenze delle due Camere fosse stata assegnata a quella parte del paese. Ma, ancora volta, è stato risposto «no»: hanno fatto premio gli interessi di parte e di coalizione, in base ai quali le Presidenze di Camera e Senato sono state attribuite in base alle esigenze della formazione successiva del Governo.
Ciò, tuttavia, non è stato sufficiente: appena occupate tali cariche, dobbiamo ricevere «razioni» di dialogo e lezioni di equanimità da parte delle medesime. Il Presidente del Senato Marini continua a praticare il dialogo, però è parso singolare che, avendo la maggioranza un solo senatore in più, si sia costituita una Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che vede uno scarto di ben tre senatori. E vale poco la puerile - mi si consenta - osservazione che i senatori sono designati dai gruppi parlamentari.
I senatori, infatti, sono sì designati, come del resto i deputati, dai gruppi parlamentari, ma sono nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e da quello della Camera, e se quelle designazioni producono un'alterazione del rapporto proporzionale tra maggioranza e opposizione, il Presidente ha il dovere di intervenire.
Ciò vale anche in questa sede, Presidente Bertinotti. Non ce ne voglia, ma lei ci chiama tutti «deputati»: siamo tornati ai tempi della Rivoluzione francese, per cui la chiameremo «cittadino Bertinotti», e non più «Presidente Bertinotti». Non so se ciò possa giovare a quella giusta rappresentazione delle istituzioni dinanzi agli occhi dei cittadini che pure lei, come Presidente della Camera, dovrebbe avere o avrà sicuramente a cuore.
Va bene, ma noi avremmo preferito che lei avesse continuato a chiamarci «onorevoli», e non «deputati», e non avesse votato per la prima volta, in sede di Ufficio di Presidenza, per far in modo che la maggioranza autodeterminasse, con quattro nuovi gruppi, una prevalenza che prima non aveva sia nello stesso Ufficio di Presidenza, sia nella Conferenza dei presidenti di gruppo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
Lei è equanime: ci chiama «deputati», però poi esprime un voto di parte! Allora, come potete pensare che, se come Presidenti di Camere e di Senato adottate comportamenti di parte, noi non dobbiamo poi considerarvi soggetti appartenenti ad una parte politica? Così facendo, infatti, vi esponete alle critiche di una parte politica.


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Lo stesso è accaduto per i senatori a vita. I fischi sono sicuramente poco rispettosi, tuttavia i colleghi che erano in questa Assemblea nella scorsa legislatura ricorderanno non i fischi, ma gli insulti, le parolacce che sono volate nei nostri confronti e gli striscioni aperti anche dietro al Presidente della Camera: poca cosa sono stati quei fischi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
Comunque, posto anche che quei fischi erano poco rispettosi, se i senatori a vita - che devono illustrare la patria e che sono stati nominati tali per questo motivo, e non perché appartenenti ad una parte politica - si comportano come soggetti di parte e concedono, risultando determinanti, la fiducia ad un Governo in questa situazione (che altrimenti non otterrebbe la fiducia), allora diventano una parte politica e si espongono a ricevere le critiche dell'altra parte politica!
E invece no. Voi volete, appunto, l'arroganza nell'esercitare il potere e l'ipocrisia poi di essere istituzionali e vi offendete se, in base a quella arroganza, ricevete delle critiche (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Allora delle due l'una: o i senatori a vita sono diventati parte, alterando quindi la natura della loro carica - cinque sono stati nominati perché hanno illustrato la patria, mentre gli altri sono ex Presidenti della Repubblica -, oppure erano già parte quando sono stati nominati, il che renderebbe ancora più grave la situazione.
Mi avvio a concludere il mio intervento perché conosco i tempi di questi dibattiti. Come dicevo, quindi, non ci spaventa la vostra protervia, ci indigna piuttosto la vostra ipocrisia.
Veniamo ora, nella parte conclusiva, a ciò che noi abbiamo il dovere di richiamare ogni giorno (e lo faremo per tutta la durata della legislatura; non sempre, infatti, la durata è la cifra della qualità delle cose). Noi abbiamo la responsabilità di rappresentare le idee, i programmi, i contenuti, i progetti, gli ideali, i valori di quella grande metà degli italiani che ci ha votato, e lo faremo ogni giorno in Parlamento; più duro sarà lo scontro, più importante e nobile sarà la ragione di quella divisione nel paese, quindi non spaventi la durezza del confronto parlamentare. Piuttosto vi è un'altra questione: voi vi illudete che con il passare del tempo, dei giorni potrete far dimenticare questa verità e cioé che non avete avuto maggioranza al Senato, mentre alla Camera ci separano 20 mila voti. Ebbene, noi questa grande verità abbiamo la responsabilità di non farla dimenticare a voi, ma soprattutto agli italiani, affinché il paese non perda la sua memoria.
Concludo con una cosa che può sembrare quasi una clausola noiosa, ma, colleghi, vi ci dovrete abituare in questa legislatura! Oggi alle 14 si costituisce finalmente la Giunta delle elezioni. Scusate, ma se fossimo in un paese normale, cittadino D'Alema, la maggioranza dovrebbe avere interesse a che la propria legittimità venga fondata sulla certezza dei conteggi. Non bisogna temerli, preoccuparsi sbrigativamente di come si costituiscono le Giunte, di quale maggioranza vi sia e di chiedere preventivamente al Presidente come si comporterà. In una democrazia normale i conteggi vanno fatti bene, subito, rapidamente, perché la maggioranza stessa ha interesse a poter proclamare al paese che è maggioranza in base ad un dato certo e riconosciuto. Se i conteggi saranno fatti rapidamente e bene, noi non avremo alcuna difficoltà a riconoscere il risultato che deriverà da quei conteggi che sinora non sono stati compiuti. Noi però temiamo, anche grazie all'atteggiamento che si sta assumendo in queste ore, che vi possa essere un'opera di resistenza in quegli organismi di garanzia. Ed è per questo che noi, almeno una volta al giorno e per ogni giorno, solleveremo la questione del conteggio dei voti, affinché l'Italia possa sapere con certezza chi è maggioranza nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega Nord Padania e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).

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