COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 7 marzo 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MIMMO LUCÀ

La seduta comincia alle 15,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di organi giurisdizionali che operano nel campo del diritto minorile e di famiglia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia, l'audizione di organi giurisdizionali che operano nel campo del diritto minorile e di famiglia.
Desidero innanzitutto salutare le personalità oggi invitate, che hanno accettato il nostro invito a segnalare alla nostra attenzione alcuni argomenti.
Comunico che all'audizione odierna sono presenti: la dottoressa Adalgisa Fraccon, presidente del tribunale per i minorenni di Venezia; il dottor Alberto Bucci, presidente della I Sezione del tribunale civile di Roma; la dottoressa Simonetta Matone, sostituto procuratore presso il tribunale dei minorenni di Roma; la dottoressa Chiara Giammarco, magistrato dell'Ufficio del giudice tutelare presso il tribunale di Roma; la dottoressa Gloria Servetti, consigliere presso la corte d'appello di Milano, sezione famiglia e minori.
Do ora la parola ai nostri ospiti.

ADALGISA FRACCON, Presidente del tribunale per i minorenni di Venezia. È con un certo imbarazzo che sono venuta a riferire in questa sede, in quanto magistrato non molto competente di affari sociali. Ho però capito che si tratta di un'indagine a raggio molto ampio e di grande interesse per il paese, che tutti ci auguriamo sia estremamente fruttuosa. La giustizia e il diritto fanno parte delle scienze sociali, lato sensu, per cui ho scelto di delineare anche i problemi della giustizia, in particolare di quella minorile, sui quali consegnerò una relazione.
Non è necessario essere operatori del diritto per riconoscere i problemi che la famiglia attraversa attualmente, e già da molti anni; basterebbe limitarsi a leggere le cronache di tutti i giorni. Constatiamo una profonda crisi soprattutto per quanto riguarda i profili del rapporto genitoriale, di particolare competenza dei tribunali per i minori, giacché la famiglia offre modelli genitoriali sempre più deboli; paradossalmente, questa debolezza genera dipendenza, perché i figli riescono ad uscirne con crescente difficoltà e tempi sempre più lunghi, ed induce continuamente i genitori a delegare i loro compiti educativi ad altre agenzie, soprattutto alla scuola, ad organizzazioni sportive e ricreative, ai media, ai servizi sociali e, da ultimo, alla giustizia.
Questa delega, in realtà, è una strumentalizzazione della quale è necessario individuare le cause ed evitare l'attuazione.
La famiglia, quindi, necessita di un aiuto articolato sicuramente a livello economico


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- obiettivo per voi importante -, ma anche sociale, ad esempio potenziando i consultori familiari, in grado di aiutare i genitori ad acquisire maggiore consapevolezza del loro ruolo, e rendendoli maggiormente visibili tramite una capillare opera d'informazione.
Anche la mediazione familiare può essere potenziata, sviluppata, diffusa e resa visibile, poiché costituisce un grande strumento di composizione dei conflitti. Uno dei problemi della famiglia attuale risiede, infatti, nell'incapacità di gestire il conflitto. Si invoca la pace nel mondo e nella società, ma se ne riscontra una percentuale limitata anche nell'ambito familiare, ed è necessario aiutare le persone a comprendere perché arrivino ad odiarsi in maniera così forte, il marito con la moglie, il genitore con l'altro genitore, fino a giungere alla strumentalizzazione dei figli per colpire il partner.
Ho toccato il tasto spinoso delle risorse perché senza le risorse nulla si può realizzare, se non limitarsi ad esprimere una mera volontà teorica. Aiutare la famiglia implica l'investimento di molte risorse, anche nel campo della giustizia, che, tra tutte le agenzie citate, forse è attualmente in Italia la più disagiata ed abbandonata a se stessa.
Affermo questo con estremo rammarico, perché sono magistrato dal 1971 ed ho speso la vita in questo lavoro, che svolgo ancora con grande interesse e con grande impegno, senza pensare alla pensione. Fin quando la salute mi assisterà, continuerò a lavorare e ad impegnarmi in questo senso. Lo affermo però anche con grande sicurezza, perché provengo dal distretto di corte d'appello di Venezia, che coincide con la regione Veneto, che è il più disagiato d'Italia. Desidero che lo sappiate, perché questa è una sede particolarmente qualificata, e, nonostante l'abbia detto in primo luogo ai cittadini, alle persone e agli utenti, devono saperlo anche le istituzioni.
Il Veneto è una regione particolarmente avanzata nel settore economico, culturale e sociale, perché si è dotata dei più avanzati strumenti nel campo del welfare, ed è la prima regione ad avere istituito la figura del pubblico tutore del minore, figura estremamente importante di coordinamento tra la pubblica amministrazione e la giustizia, che svolge compiti di ordine generale, di sensibilizzazione nei confronti della politica e ruoli molto importanti, come ad esempio la formazione dei tutori. Finora sono stati formati quasi 500 tutori, poi utilizzati dall'autorità giudiziaria.
Nel panorama così stimolante e così ricco di risorse di questa regione, la giustizia purtroppo è in una condizione pietosa. In termini di risorse, in questo campo siamo l'ultima regione d'Italia. Mi limiterò a citare solo un dato; in allegato alla relazione che consegnerò troverete il prospetto con i dati riguardanti i tribunali per i minorenni di tutti i distretti di corte d'appello d'Italia.
In Veneto abbiamo un rapporto tra giudici togati minorili e popolazione di 1 ogni 789 mila abitanti, ovvero il peggiore d'Italia; la media, in Italia, è di 1 ogni 240 mila abitanti, mentre quella nel Triveneto, ove esistono altri 3 tribunali per i minorenni, è di 1 ogni 200 mila abitanti circa. Ciò per me è veramente motivo di profondo rammarico, e ogni giorno devo combattere questa battaglia. Finora non ho ottenuto alcun risultato, ma solo da pochi mesi ricopro questo ufficio e, quindi, spero ancora.
Un altro profilo di rilievo sociale per quanto riguarda il settore della famiglia e dei minori è l'estrema frammentazione delle competenze giurisdizionali, ripartite in modo abbastanza casuale tra tribunale per i minorenni, tribunale ordinario e giudice tutelare. Questa ripartizione è ormai assolutamente anacronistica. Esistono studi su come superarla, e sicuramente ciò ha a che fare con il progetto di costituire un unico organo giurisdizionale, ovvero il tribunale della famiglia dei minori, che rappresenta un progetto da portare avanti. Oltre che specializzato, con competenza e destinazione esclusiva dei suoi componenti, dovrebbe, in base alla mia esperienza, essere integrato - come tuttora il tribunale dei minori - da professionalità diverse da quelle dei giudici, ovvero psicologi,


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assistenti sociali, sociologi, perché questo interscambio nelle camere di consiglio è di estrema importanza, soprattutto nei casi complessi.
Avrei ancora tanto da aggiungere, ma non voglio tediarvi più del necessario. Sono a disposizione per eventuali domande e vi ringrazio per l'attenzione.

ALBERTO BUCCI, Presidente della I Sezione del tribunale civile di Roma. La I Sezione del tribunale di Roma si occupa non esclusivamente di tutta la materia relativa alla famiglia, perché è intitolata ai diritti della personalità, per cui tratta anche, per esempio, del diritto dell'immigrazione o delle diffamazioni.
Per quanto riguarda il diritto di famiglia, costituiamo un punto privilegiato di osservazione, perché davanti a noi scorrono tutte le crisi familiari. Alla Sezione arrivano annualmente circa 13.000 ricorsi, tra separazioni consensuali, separazioni giudiziali, divorzi congiunti e divorzi in contenzioso.
Condivido pienamente quanto affermato dalla collega per quanto riguarda il discorso di carattere generale. Ritengo utile in questa sede sottolineare l'iter legislativo degli ultimi anni, che ha sicuramente aspetti molto positivi, ma anche qualche ombra.
Tra gli aspetti positivi della legislazione, sicuramente colloco al primo posto la legge n. 154 del 2001, sugli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Ritengo che, sia pure scarsamente applicata - lo scorso anno abbiamo avuto solo 36 ricorsi, mentre quando entrò in vigore tutti ne prevedevano una valanga -, sia sicuramente una legge di grande evoluzione culturale, che costituisce un fondamentale punto fermo su una concezione del rapporto tra padre, madre, genitori conviventi, non conviventi.
Altra normativa di grande rilievo è stata quella relativa all'istituzione dell'amministratore di sostegno, su cui ritengo interverrà la dottoressa Giammarco. Anche questa è un'apprezzabile evoluzione verso una forma di assistenza di persone meno dotate.
Da ultimo, è da citare la normativa sull'affidamento condiviso, entrata in vigore da poco tempo, che ritengo contribuisca ad un'evoluzione della cultura. È il legislatore che, ad un certo momento, ha stimolato un'evoluzione della cultura nella direzione della bigenitorialità; è difficile valutare a che punto si trovi questa evoluzione, ma, mentre due o tre anni fa l'affidamento congiunto era considerato eccezionale, adesso è diventato la norma. È importante valutare se il cambio tra affidamento congiunto e affidamento alla madre con esercizio congiunto sia un semplice cambio di etichetta, oppure se sia il segnale di un'evoluzione culturale.
Sicuramente, la legge in questione presenta alcune ombre, anche perché è stata una legge di compromesso e si riscontrano nodi non ancora sciolti, primo tra tutti quello della competenza, a cui ha accennato la collega e su cui non mi soffermerò, ma che comunque sta ad indicare la necessità di un'evoluzione non solo legislativa, ma anche organizzativa, nel senso di un accentramento delle competenze relative ai minori presso un'unica istituzione, tribunale dei minori o tribunale ordinario.
Una delle grandi rivoluzioni che ha introdotto la legge sull'affidamento condiviso è, infatti, l'equiparazione tra figli naturali e figli legittimi, per cui tutte le norme sui figli legittimi presenti nella separazione e nel divorzio si applicano anche nel caso di figli di genitori non coniugati. Quindi, adesso, come forse dirà anche la dottoressa Matone, ci troviamo di fronte al dilemma se tutto debba essere attratto dal tribunale ordinario o dal tribunale per i minori, oppure - opzione a mio avviso non auspicabile - se debba permanere quella spaccatura tra competenze patrimoniali del tribunale e competenze sull'affidamento proprie del tribunale dei minori.
Auspico che su questo la Corte di Cassazione si pronunci in tempi rapidi. Il tribunale di Milano si è pronunciato in merito; il tribunale dei minori di Roma ha un collegio che si è pronunciato in un senso ed un collegio che si è pronunciato


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in un altro, mentre il tribunale ordinario sta semplicemente prendendo tempo, perché il presidente è in disaccordo con quasi tutti gli altri giudici.
Vorrei concludere elencando le mancanze dell'attuale legislazione e le anomalie che essa produce, laddove dovrebbe favorire l'unità delle famiglie e, invece, paradossalmente, in certi aspetti non marginali, induce a separazioni simulate, perché, attraverso la simulazione di una separazione, è possibile ottenere un mutuo agevolato, una pensione sociale, addirittura un accesso migliore alla graduatoria per un asilo nido. Ignoro in quale modo sia opportuno combattere questo fenomeno.
Reputo anomala anche la tassazione degli assegni alimentari a favore del coniuge, che si ripercuote in senso negativo sulla situazione economica del separato o divorziato. Questo problema non si pone, ovviamente, per le separazioni e i divorzi - diciamo così - ricchi, ma sicuramente si dovrebbe evitare nei casi in cui si discute su 100, 200 o 500 euro e chi riceve l'assegno alimentare diventa un evasore fiscale oppure si vede ridotta del 20 per cento la cifra che il tribunale gli ha assegnato.
Altro aspetto carente, anche se di carattere generale, è la situazione abitativa. Numerose persone vorrebbero separarsi, ma non possono perché non hanno un posto in cui abitare separatamente, dato che la situazione abitativa generale non lo consente. Spesso, ci troviamo di fronte a persone che preferiscono fare i separati in casa. Finora abbiamo resistito a queste istanze, suggerendo come sia opportuno prima separarsi e poi recarsi presso un tribunale, oppure separarsi ma nel senso che uno dei due coniugi deve andarsene di casa, tanto più che esiste la remora ricorrente della separazione simulata.
Ho sempre evidenziato, anche se nessuno mi ha mai ascoltato - senza alcun intento polemico, ricordo di averlo detto all'onorevole Paniz, che mi aveva dato ragione -, come nelle separazioni e nei divorzi esista l'istituto della modifica della separazione e del divorzio, che molte volte riguarda gli aspetti patrimoniali e molte altre quelli relativi alla tutela del minore, perché le regole dell'affidamento all'uno o all'altro genitore, e adesso addirittura dell'affidamento condiviso, richiedono l'esame della situazione del minore. In sede di modifica, gli unici legittimati a chiederla sono i genitori e manca la legittimazione del pubblico ministero, cosa che invece il tribunale dei minori prevede per i figli naturali. Se i figli naturali verranno da noi, probabilmente i minori avranno una minore tutela. Non accade molto spesso, ma talvolta ci troviamo davanti a situazioni che ci vengono segnalate dai servizi sociali quando ormai il procedimento è stato chiuso, la separazione è stata pronunciata, il divorzio è stato stabilito. Ebbene, i servizi sociali, a cui avevamo inizialmente segnalato una situazione di disagio, ora ci evidenziano una situazione drammatica.
A questo punto, dovremmo inviare gli atti al pubblico ministero affinché intervenga, ma non so se, qualora si tratti di genitori coniugati, esista ancora una competenza del tribunale dei minori. Essi si recano sicuramente dal giudice tutelare, che può convocarli d'ufficio, ma non ha alcun potere se non quello di cercare di convincere uno dei due ad intraprendere un'azione per la modifica delle condizioni della separazione, che richiede l'intervento di un avvocato e, se una delle parti non rientra nell'ambito dei limiti di reddito, non può usufruire del patrocinio dello Stato. Ritengo che questa sarebbe una disposizione assolutamente necessaria.

SIMONETTA MATONE, Sostituto procuratore presso il tribunale dei minorenni di Roma. Sottoscrivo in toto quanto ha detto il collega Bucci e parzialmente quanto ha detto la collega presidente del tribunale per i minorenni di Venezia.
Vorrei evitare la definizione orrenda di «osservatorio privilegiato», ma vengo da un ufficio che è tale, ovvero la procura presso il tribunale per i minorenni, le cui competenze e funzioni sono purtroppo viziate da un'interpretazione fortemente personalistica del ruolo. Vi sono, ad esempio,


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pubblici ministeri che enfatizzano l'aspetto penale e pubblici ministeri che enfatizzano l'aspetto civile di attivazione dei procedimenti a protezione dei minori. Questo costituisce un primo problema, perché crea una disparità di risposte nei confronti degli utenti, legata esclusivamente alla visione che il magistrato ha del proprio ruolo. Questo non è un servizio che si rende ai cittadini, e ritengo necessario definirne regole e paletti.
La famiglia che ci troviamo davanti è profondamente mutata. Quella che vediamo, lavorando presso il tribunale per i minorenni, essendo la famiglia naturale, è l'avamposto delle mutazioni in atto nella nostra società. Si tratta di famiglie allargate, famiglie ricomposte, famiglie composte solo da extracomunitari, con problemi inenarrabili di inserimento all'interno di realtà sociali completamente diverse. Mi riferisco soprattutto al problema delle coppie musulmane e ai problemi legati alle coppie miste. Il panorama è quanto mai variegato.
Esiste, però, un comune denominatore, che è la perdita assoluta di autorità e soprattutto di autorevolezza all'interno di queste famiglie. Vediamo la patologia della famiglia, e il comune denominatore delle famiglie patologiche di cui ci occupiamo è la totale confusione di ruoli, soprattutto dei ruoli maschili all'interno della famiglia. Assistiamo infatti ad un radicarsi di posizioni femminili abbastanza congrue e all'emergere, invece, di famiglie dove il ruolo maschile non viene esercitato da nessuno.
Quando la famiglia entra in crisi, chiede aiuto o riceve forzatamente l'aiuto dei servizi sociali, ma, nei casi estremi, si ricorre alla giustizia. Si sono diffusi nuovi fenomeni, come quello dei genitori che chiedono aiuto alla procura presso il tribunale per i minorenni per i figli adolescenti ribelli, che non riescono a contenere e ad irreggimentare all'interno di un sistema di legalità, e quello, di cui nessuno parla, degli adolescenti adottati restituiti, perché anch'essi assolutamente ingovernabili ed incoercibili. Il problema ritorna ai servizi sociali, referenti del tribunale, ma le risposte che gli stessi forniscono non sono congrue, perché i tempi di intervento dei servizi sociali non sono quelli dei minori, né qualitativamente adeguate alla gravità dei problemi affrontati.
Concordo pienamente con i colleghi in ordine al problema della parcellizzazione delle risposte che la giustizia fornisce, anche perché ormai si è creata una tale confusione di competenze che, quando gli avvocati talvolta chiedono il mio aiuto, rispondo loro con la famosa frase: « Provate a presentare ricorso dappertutto, qualcuno che si dichiarerà competente lo troverete». È veramente così: la legge sull'affido condiviso ha esaltato la confusione, talché nello stesso tribunale per i minorenni vi sono collegi che si dichiarano competenti, collegi che si dichiarano incompetenti e collegi che sospendono il procedimento in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione, dinanzi alla quale pendono una serie di ricorsi in materia.
La legge sull'affido condiviso, che ha stabilito il principio fondamentale della bigenitorialità ed è partita dal presupposto di diminuire la conflittualità, in realtà non ha fatto che enfatizzarla. Non concordo con la collega Fraccon, la quale ha sottolineato l'importanza della mediazione familiare, laddove sono fortemente avversa a questo sistema, che ritengo sia una subdola forma di denegata giustizia. Vedo, infatti, che le coppie si ritrovano nelle stesse condizioni dopo due anni, nel corso dei quali sono rimaste prive di un referente giudiziario, che incute pur sempre un timore in ordine al rispetto delle regole stabilite, con il problema tra l'altro che la sottoposizione alla mediazione familiare implica comunque una forma di psicoterapia, che deve essere volontaria. Ritengo che, nel momento in cui, all'interno di un provvedimento, si invitano le parti a ricorrere alla mediazione familiare, si commette una sorta di piccolo crimine dal punto di vista scientifico.
Altro grave problema che vivo tutti i giorni nella realtà del tribunale per i minorenni è quello dell'assetto culturale proprio della formazione dei giudici minorili,


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che risente molto di un rispetto - a mio avviso addirittura ossessivo - del vincolo di sangue. Nella valutazione, quindi, del diritto del minore ad una crescita sana ed armoniosa, la bilancia pende sempre dalla parte della famiglia di sangue - problema culturale, di formazione di archetipi, proprio di ogni magistrato -, e rimango sempre più sorpresa del fatto che, in Italia, non venga citata l'istituzione del garante per l'infanzia. Siamo uno dei pochi paesi ancora privi di questa figura.

GIUSEPPE PALUMBO. Ne abbiamo parlato, ma non ci ascoltano.

SIMONETTA MATONE, Sostituto procuratore presso il tribunale dei minorenni di Roma. Ritengo che la figura del garante per l'infanzia non sia la panacea di tutti i mali, ma un organo assolutamente terzo, dotato di un potere vero nei confronti dei tribunali per i minorenni, non tanto di intervento sui provvedimenti, quanto di segnalazione della gravità di determinate situazioni, per ricevere obbligatoriamente risposte dal tribunale per i minorenni. Ciò potrebbe dare una larvata sistemazione ad un impianto che appare assolutamente dissestato. Il presidente Bucci ha segnalato la parcellizzazione di competenze, questa sorta di impotenza che i giudici dei tribunali civili vivono per l'assenza di una vera figura di pubblico ministero, titolare dell'interesse del minore secondo criteri di legalità, giustizia e soprattutto di interesse.
È quindi necessario intervenire su questo sistema, anche attraverso la giurisdizionalizzazione di una serie di fasi del procedimento che si svolgono davanti al tribunale per i minorenni, laddove la non giurisdizionalizzazione di determinate fasi crea, in primo luogo, uno strapotere dei servizi sociali, i cui atti assumono il valore di prove bloccate all'interno di questo procedimento, e, in secondo luogo, in un sistema fortemente garantistico come il nostro, un'oasi dove il potere dei giudici diventa assolutamente illimitato e non sottoposto a possibili controlli.
Ritengo che l'obiettivo principale sia unificare le competenze e fissare regole assolutamente chiare, non suscettibili di interpretazioni differenziate.

CHIARA GIAMMARCO, Magistrato dell'Ufficio del giudice tutelare presso il tribunale di Roma. Parlare dopo i colleghi mi semplifica il compito. Rimanderò ad una breve memoria scritta l'illustrazione di aspetti che non riuscirò a trattare nel mio intervento.
I problemi sono tanti e il giudice tutelare, funzione specializzata del tribunale ordinario, che potremmo definire giudice della gestione delle problematiche a cui viene data una soluzione in sede contenziosa, a volte davanti al tribunale dei minori o al tribunale ordinario, intercetta in maniera estremamente ampia le problematiche riferite dal presidente del tribunale dei minori, dal presidente del tribunale ordinario e dal sostituto presso la procura dei minori, ma anche le problematiche della competenza sull'amministrazione di sostegno.
Desidero segnalare sinteticamente alcune problematiche evidenziabili anche per quanto riguarda le competenze che coincidono in parte con il tribunale ordinario e con il tribunale dei minorenni, dal momento che uno degli scopi della Commissione è valutare lo stato di attuazione della legge n. 328 del 2000.
Il giudice tutelare utilizza ampiamente i servizi sociali, soprattutto per la competenza che lo rende - per usare una definizione poco tecnica - giudice dell'esecuzione delle decisioni assunte in materia di affidamento dei figli dal tribunale ordinario o dal tribunale dei minori, o degli accordi consensuali raggiunti dai coniugi.
Il giudice tutelare, dunque, non opera secondo ciò che comunemente si intende, ovvero non ordina, non condanna, non dispone, ma possiede un potere di mediazione, con cui fronteggia la gravità dei conflitti e l'enormità della posta in gioco, che è l'interesse del minore, senza però assumere ruoli psicologici, che non competono a tale figura professionale. Spesso, quindi, quando, su ricorso di uno dei coniugi, gli viene sottoposto un conflitto sulle modalità di affidamento, sulla mancata


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esecuzione di quanto deciso in relazione all'affidamento di un minore, il primo tentativo del giudice tutelare è quello di convincere o indurre la coppia ad affidarsi ad una mediazione familiare. Sorge però un primo problema, perché i centri di mediazione familiare pubblici sono davvero pochi, almeno a Roma, e le figure professionali, che pure stanno sorgendo con la creazione di centri di mediazione privati, non sempre sono di provenienza psicologica, pur occupandosi di problematiche altamente delicate.
È quindi necessario segnalare l'esigenza di promuovere i centri di mediazione familiare pubblici - nel IX municipio di Roma si è creato il centro per il sostegno alla genitorialità, che ha avuto un enorme successo - e di disciplinare in via legislativa la figura del mediatore, come ruolo professionale, anche perché la legge sull'affido familiare per la prima volta introduce la parola «mediazione», stabilendo che il giudice possa, con il consenso delle parti, rinviare la decisione, in attesa che le parti si affidino ad un mediatore per risolvere i loro problemi. Questo, quindi, lascia presumere un maggiore ricorso alla mediazione, e argomenti di tale delicatezza non possono essere trattati da figure professionali improvvisate, che potrebbero persino peggiorare la situazione.
Come rilevato dal presidente del tribunale dei minori, ritengo che il servizio sociale debba essere enormemente potenziato, dal momento che su di esso grava una serie di competenze enormi e spesso la riduzione degli organici rende di fatto inattuabili i compiti allo stesso demandati. Se, ad esempio, il servizio sociale ha il compito di organizzare incontri tra un minore ed un genitore in uno spazio cosiddetto neutro, come stabilito dal provvedimento del giudice, è necessario garantire agli utenti un accesso non eccessivamente penalizzante agli incontri; e se il personale del servizio sociale offre come uniche alternative due giorni in una fascia oraria limitata, dovendo conciliare gli interessi lavorativi del genitore non affidatario con gli interessi scolastici del bambino, spesso non si riesce a portare avanti un progetto di riavvicinamento del minore ad uno dei due genitori.
Dal punto di vista dell'integrazione, ritengo che non abbiano avuto sufficiente attuazione i gruppi integrati di lavoro (GIL), che prevedono in maniera corretta la partecipazione di medici, psicologi, psichiatri, figure professionali provenienti dal mondo della scuola, in grado di prendere in carico un caso e di sostenerlo da tutti i punti di vista, soprattutto qualora si tratti di figli di coppie separate o sotto tutela del giudice tutelare.
I GIL hanno avuto una realizzazione sulla carta, ma sono, invece, scarsamente diffusi, sebbene quando operino si comprenda come sarebbe positivo se tutti i sistemi socio-assistenziali e sanitari potessero lavorare in modo coordinato.
Il problema del coordinamento rimanda alle problematiche che il giudice tutelare intercetta per quanto riguarda l'amministrazione di sostegno.
Vorrei brevemente segnalare, in relazione alle problematiche legate ai minori in tutela, la scarsa diffusione sul territorio nazionale di strutture che si occupano di adolescenti con problemi psichiatrici, problema estremamente grave, che spesso porta il giudice alla disperazione, perché i minori con problemi psichiatrici esistono, spesso hanno patologie psichiatriche gravi e, altrettanto spesso, non esiste alternativa al ricovero, che necessariamente deve essere breve e limitato alle situazioni acute, e alle comunità terapeutiche, spesso inadeguate ad affrontare seri problemi psichiatrici.
Per un anno, ad esempio, il servizio pubblico e il servizio sociale, che avevano in tutela una minore con problemi gravissimi, non sono riusciti a dare una risposta a questa ragazza, perché tutte le istituzioni hanno dichiarato che non erano competenti, che si trattava di un caso troppo grave, che avrebbe potuto scappare. Il problema, dunque, è veramente serio.
Per quanto riguarda l'amministrazione di sostegno, che costituisce lo specifico e la novità del lavoro del giudice tutelare, ovvero


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l'unica competenza che pone il giudice tutelare in una posizione non solo di gestione, ma anche di decisione rispetto all'adozione di un provvedimento dell'amministrazione di sostegno, si tratta di una legge con enormi potenzialità. Invertendo infatti il concetto dell'interdizione, che prevedeva per le persone incapaci una risposta drastica uguale in tutti i casi, l'amministrazione di sostegno prevede, invece, l'individuazione di una risposta per ciascuna persona e la possibilità che, nei casi in cui una persona non possa provvedere ai propri interessi, venga nominato un amministratore di sostegno che la affianchi o la sostituisca nel compimento di determinati atti. L'amministratore di sostegno non si sostituisce al servizio, ma lavora in sinergia con esso, diventando il catalizzatore delle potenzialità dei servizi pubblici.
Vorrei soffermarmi sulla previsione dell'obbligatorietà, per i servizi che abbiano in carico una persona per la quale si reputi opportuna l'apertura di una amministrazione di sostegno, di fare questa segnalazione con un ricorso al giudice tutelare o al pubblico ministero.
Sul territorio di Roma questa disciplina è stata pienamente attuata. In particolare, i servizi sociali conoscono la normativa sull'amministrazione di sostegno e propongono spesso di farvi ricorso. Si tratta, naturalmente, di persone che non hanno parenti, di persone sole, spesso di barboni, davvero gli «ultimi» della scala sociale. In un lavoro integrato con il servizio che collabora con il giudice tutelare e insieme ad esso sceglie la via da seguire per garantire alla persona in difficoltà la giusta tutela, che non ne limiti ma anzi ne esalti le sfere residue di autonomia, aiutandola soltanto laddove sia necessario, si riesce a promuovere realmente i diritti degli «ultimi».
Un'altra parte di disagio intercettata dall'amministrazione di sostegno viene dai malati di mente. Le segnalazioni provengono dai centri di salute mentale. Anche in questo caso, l'azione di promozione è notevole, i ricorsi sono numerosissimi e il lavoro di equipe tra il giudice tutelare, il servizio presso il centro di salute mentale ed il medico è indispensabile. È infatti evidente come il confine tra la necessità di tutela dell'incapace o della persona malata di mente e l'esigenza di promuoverne le autonomie possibili sia individuabile solo con l'aiuto del medico o dell'assistente sociale che segue il caso. I nostri provvedimenti, peraltro, sono sempre modificabili, quindi si tratta di procedimenti che non si chiudono mai, perché il servizio o il centro di salute mentale continuamente interloquisce con il giudice tutelare, segnalando modificazioni delle situazioni, procedendo a convocazioni della persona incapace e adattando alle necessità i poteri dell'amministrazione di sostegno.
Il punto problematico in relazione all'amministrazione di sostegno nasce dal fatto che, proprio a fronte di un numero sempre crescente di segnalazioni relative a persone sole che non hanno parenti né reddito, emerge la necessità di trovare una quantità sufficiente di amministratori di sostegno che gratuitamente - perché la legge sull'amministrazione di sostegno è stata approvata a costo zero - si occupino di queste problematiche. Non è così facile, perché il lavoro dall'amministratore di sostegno è impegnativo e le necessità sono molto numerose.
Il comune di Roma, in accordo con il tribunale, ha cercato di ovviare a questo problema davvero scottante creando un albo di volontari, garantiti dal comune, i quali, dopo aver seguito un corso, possono essere chiamati dal giudice tutelare ad assumere il ruolo di amministratori di sostegno. Sicuramente la strada è giusta, ma l'utilizzazione a fini istituzionali del volontariato non può sostituire il servizio e può essere efficace e pregnante solo qualora esista una regia forte dei servizi sociali istituzionali, altrimenti si rischia di promuovere leggi di ampia portata, come quella sull'amministrazione di sostegno, ma di non poterle utilizzare.

GLORIA SERVETTI, Consigliere presso la corte d'appello di Milano - sezione famiglia e minori. Sono lieta di parlare per ultima, in conseguenza della competenza


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funzionale come consigliere della corte d'appello di Milano, che mi consente, obtorto collo, di raccogliere tutte le competenze dei colleghi che mi hanno preceduto. La corte d'appello si occupa infatti dei procedimenti di secondo grado per quanto concerne tutto il diritto di famiglia del distretto - separazioni, divorzi e affidamenti -, ma anche di tutto il secondo grado sul tribunale minorile, sia civile sia penale. Raccoglie inoltre le impugnazioni, ovvero gli appelli per interdizioni e inabilitazioni, e i reclami in tema di amministrazioni di sostegno.
Tutti i colleghi, quindi, sono potenzialmente dediti alla trattazione di problematiche che in secondo grado sono sottoposte all'esame della corte d'appello. In un certo senso, quindi, per quanto concerne le competenze, la corte d'appello potrebbe essere un prototipo del famoso tribunale della famiglia, del quale ormai da tanti anni si parla, proprio come strumento di accorpamento di competenze diversificate che ruotano, peraltro, intorno all'unico interesse del nucleo familiare e principalmente del minore.
Nelle note scritte che ho depositato ho cercato di scostarmi dalla visione prettamente giurisdizionale di questi problemi, perché mi sembrava che l'intervento in sede di Commissione affari sociali richiedesse uno sforzo in tal senso, e di valutare la ricaduta sul piano sociale dei provvedimenti giurisdizionali che siamo chiamati ad adottare ogni giorno.
Prima di procedere ad un breve excursus su queste riflessioni, devo affrontare il problema della mediazione familiare, anche perché ho terminato due ore fa un corso internazionale di formazione del Consiglio superiore della magistratura, con colleghi provenienti da Finlandia, Germania, Francia, Belgio, e soprattutto Spagna, che mi ha consentito un eccezionale confronto di esperienze.
È stato affrontato il tema della mediazione e conciliazione in tutti i settori della giustizia. Se parliamo di diritto civile, commerciale, il cosiddetto civile ordinario, la conciliazione può tradursi nel termine americano «mediation», che non è perfettamente aderente alla mediazione familiare dei procedimenti relativi al diritto di famiglia e al diritto minorile.
Concordo con la collega Fraccon (con la quale, tra l'altro, ho avuto il piacere di lavorare per una decina d'anni al tribunale di Milano in una sezione specializzata in diritto di famiglia), in ordine alla risorsa importante rappresentata dalla mediazione familiare. Si tratta di una cura delle relazioni, di un metodo di riorganizzazione delle relazioni familiari che può essere produttivo di risultati non solo utili nell'immediato, ma in particolare destinati a tenere nel tempo. Il rilevante problema della giurisdizione, infatti, anche e soprattutto in materia familiare minorile, consiste nel fatto che è molto facile pervenire ad una buona sentenza, mentre è difficilissimo - e in alcuni casi impossibile - ottenere un'esecuzione nel tempo della sentenza che garantisca il rispetto dei diritti che, attraverso la pronuncia, si è inteso tutelare.
La mediazione può, dunque, fornire un aiuto anche in questo senso. Sono altrettanto d'accordo con la collega Matone nel riconoscere che la mediazione ha come presupposto l'adesione spontanea, il consenso, perché una mediazione obbligata, specie in tema di diritti delicati e sensibili come quelli della famiglia e dei minori, non può funzionare.
Devo dire che su questo punto c'è una sostanziale convergenza a livello europeo. Si discute, semmai, di conciliazione o negoziazione, come passaggio obbligato addirittura preventivo rispetto all'accesso alla giurisdizione, per diritti di natura diversa, diritti commerciali, diritti di credito, diritti civili ordinari.
Per ottenere il consenso, è necessaria la garanzia di un'opera d'informazione capillare e diffusa, perché, laddove non si comprenda esattamente in cosa consista l'intervento di mediazione familiare in senso tecnico, è impossibile ottenere un consenso a questo progetto.
Dobbiamo inoltre escludere che la mediazione possa essere una strada alternativa di risoluzione del conflitto, laddove è invece un aiuto, una possibilità, che però


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nulla toglie all'attività degli avvocati, né all'esercizio dell'attività giurisdizionale dei magistrati. Al massimo, tutto questo sarà più facile e soprattutto più aderente ai bisogni effettivi dei cittadini, che sono gli utenti del servizio giustizia, e, con provvedimenti più adeguati al loro modo di essere e alla loro condivisione, avremo procedimenti più giusti.
In ordine a quanto esposto dalla collega che mi ha preceduto, vorrei aggiungere che la corte di appello si occupa anche di amministrazione di sostegno, che peraltro, statisticamente, è arrivata all'esame della corte più sotto aspetti processuali difficili e dibattuti (che hanno portato sempre ad una pronuncia della Corte di Cassazione), che sotto aspetti rigorosamente di merito.
Per quanto riguarda, invece, il mio compito, ho riflettuto su ciò che vediamo quotidianamente dietro i procedimenti di separazione e di divorzio. Posso confermare come la famiglia in Italia sia cambiata moltissimo, non solo negli ultimi 30 anni, bensì soprattutto nell'ultimo decennio. Abbiamo assistito ad enormi trasformazioni, iniziate sicuramente 30 anni fa - precisamente 36 anni fa, con l'introduzione nel nostro ordinamento del divorzio -, ma l'evoluzione è stata esponenziale.
Oggi, le famiglie allargate, le famiglie ricomposte, le famiglie che a volte definirei «confusive», sono una realtà quasi quotidiana. La settimana scorsa, ad esempio, in sede minorile, si è presentata una giovane signora con tre figli nati da tre relazioni diverse, tutti con lei conviventi, che aveva in atto un rapporto di convivenza con un'altra persona a sua volta portatrice di due pregresse convivenze o matrimoni dai quali era nata prole. Ritengo che nessuno abbia mai inteso censurare situazioni di questo genere, ma è evidente la rilevanza del problema del moltiplicarsi delle relazioni interpersonali. Ciascuno dei figli, infatti, aveva diritti di frequentazione con i rispettivi padri. Uno dei problemi più scottanti era trovare un sistema per far sì che almeno due figli fossero via negli stessi week-end alternati, al fine di consentire alla signora di accudire meglio l'ultima nata di pochi mesi.
A volte, dall'esperienza quotidiana si traggono elementi illuminanti di uno spaccato sociale che non si riuscirebbe neanche ad immaginare. Nel caso di specie, tra l'altro, non si trattava assolutamente di una situazione di degrado culturale, per cui ci si è trovati di fronte a molteplici esigenze dei figli, ciascuno abituato a condividere sistemi educativi dell'uno e dell'altro genitore e a ritrovarli un po' sfalsati nel quotidiano della settimana feriale.
Questi nuclei familiari allargati hanno fatto esplodere il problema degli alloggi. A Milano - ma la situazione romana sicuramente non è molto diversa -, l'aumento dei prezzi delle locazioni e degli acquisti nel settore immobiliare ha portato ad una crisi che rende difficile, nel momento della separazione, l'acquisizione di un'autonomia abitativa. Come rilevato dal presidente Bucci, talvolta la separazione, ancorché sottoscritta ed omologata, rischia di non realizzarsi proprio perché manca la seconda casa. Se quindi le coppie sono giovani e vi è l'affidamento di prole minore, con conseguente assegnazione della casa ad uno solo degli elementi della coppia, coniuge o partner, nella stragrande maggioranza dei casi si assiste ad un ritorno dell'altro partner all'interno della famiglia di origine, con ovvii elementi di destabilizzazione.
Si assiste, inoltre, all'incrementato fenomeno della separazione dei coniugi in età ormai avanzata, spesso in seguito al pensionamento, che produce un riavvicinamento sul piano concreto e fattuale della vita quotidiana e rende manifesta una crisi che prima era stata composta. È drammatico quando uno solo dei coniugi era il lavoratore, quindi l'unico percettore di emolumenti pensionistici. I figli in tal caso, fortunatamente, hanno trovato una loro autonomia, la casa ovviamente è unica e la donna - parlo al femminile perché purtroppo è così - non ha pensione (perché non ha mai lavorato, o eventualmente ha lavorato senza assistenza previdenziale), non è titolare di redditi propri, né in grado di inserirsi così tardivamente nel mondo del lavoro, e talvolta non è neppure comproprietaria


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della casa coniugale, perché questa è stata acquistata prima dell'operatività del regime della comunione legale.
In questi casi, si verifica una pesante sperequazione tra una posizione e l'altra e, inevitabilmente, si assiste al riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore della donna, ma con notevoli lamentele e la mancata soluzione del problema dell'alloggio.
Da qui emerge la formazione - che interessa proprio la vostra indagine - di nuclei che si ricompattano e sono transgenerazionali, perché la donna deve chiedere ospitalità e accoglienza ad uno dei figli, il quale, nel frattempo, con non poche fatiche, ha acquisito l'indipendenza, vive magari in un appartamento di dimensioni modeste, ha a sua volta una moglie e figli piccoli, e si inserisce in tale nucleo senza alcuna autonomia reddituale, con problemi che mi astengo dal commentare. Questi nuclei sono sicuramente di difficile gestione e richiederebbero ausili almeno di tipo economico, posto che, ad esempio, l'edilizia residenziale pubblica non sembra in grado di fornire una risposta adeguata al diffondersi di nuovi nuclei di single, sprovvisti di redditività e portatori di problematiche personali di rilievo, giacché in età avanzata l'autonomia personale è destinata a scemare.
Per quanto riguarda l'affidamento congiunto, al di là della difficile gestione delle problematiche processuali circa la competenza, è auspicabile in futuro una decisione sulla competenza unificata, eliminando la parcellizzazione di cui si dibatte ormai da decenni, che è stata persino oggetto dell'ultimo convegno nazionale della magistratura minorile. Ci siamo confrontati anche in quella sede. Tutti concordano sull'unificazione delle competenze, ma ciò che forse non era stato segnalato con sufficiente forza è che dovrebbe trattarsi di un tribunale autonomo dal punto di vista ordinamentale, probabilmente per una ragione essenziale, anch'essa ordinamentale.
La sezione famiglia e minori (oltre che a Milano, esiste solo a Roma, a Napoli e parzialmente a Torino, quindi in pochissimi distretti d'Italia) è una sezione specializzata, ma all'interno della corte d'appello. Ciò implica l'applicazione delle disposizioni regolamentari di natura consiliare - mi riferisco al CSM -, in forza delle quali sussiste il divieto di permanenza ultradecennale, situazione che non si verifica negli uffici minorili, in quanto autonomi e in quanto prevedono un accesso che passa attraverso un concorso gestito dal Consiglio superiore della magistratura.
Su tale sistema sono state espresse di recente notevoli perplessità, anche perché il divieto di permanenza ultradecennale comporta, inevitabilmente, una dispersione di competenze, di conoscenze e di attitudini faticosamente acquisite in un settore che, essendo tipico del diritto vivente, non raggiunge mai la perfezione della conoscenza e dello sviluppo degli elementi.
Desidero aggiungere solo due considerazioni, la prima delle quali in merito al funzionamento dei servizi sociali, interlocutori privilegiati del giudice minorile, che stanno diventando, seppur con fatica, interlocutori quotidiani o, comunque, frequenti anche del giudice ordinario che si occupa di famiglia.
Il funzionamento dei servizi sociali non è omologo in tutte le realtà territoriali, non soltanto per quanto concerne la realtà del nord, del centro e del sud (effetto che siamo ormai inclini ad accettare e che difficilmente sarà rimosso), ma si rileva come taluni servizi funzionino meglio nelle realtà territoriali più piccole. I comuni limitrofi a Milano e del distretto milanese hanno talora servizi potenziati, attenti, efficaci, probabilmente perché il territorio è più facile da gestire, perché vi è una migliore e più diretta conoscenza delle sue risorse sociali e strutturali, in contrasto con ciò che si riscontra a Milano, dove permane una sorta di accentramento verticistico che induce ad una maggiore difficoltà nel contatto diretto.
L'ultima notazione riguarda la giustizia minorile e l'immigrazione. Sul penale, notoriamente - anche la collega Matone sarà d'accordo -, si lavora al 90 per cento sulla


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devianza minorile degli stranieri, nella maggioranza - se non nella totalità - clandestini.
Ciò mi ha indotto a sottoporre alla vostra attenzione un problema nella gestione degli interventi minorili civili e penali.
L'intervento civile è raro e scarsamente efficace perché i minori con una clandestinità radicalizzata non hanno alle spalle una famiglia, non hanno adulti di riferimento sui quali far convergere un intervento a tutela dei medesimi. Di conseguenza, la situazione di disagio, di abbandono e di seria difficoltà di integrazione del minore straniero emerge solo quando è conclamata la devianza penale, con la conseguenza che il procedimento penale, soprattutto con l'utilizzo dell'istituto della messa alla prova, diviene strumento per l'adozione di provvedimenti civili a tutela.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per i loro interventi molto approfonditi e per la documentazione che ci hanno consegnato.
Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio innanzitutto i nostri ospiti per averci segnalato i problemi de iure condendo, ovvero quelli del garante per l'infanzia, dell'unificazione delle competenze attraverso il tribunale della famiglia e di una maggiore attenzione alla mediazione familiare. Ci hanno presentato le famiglie deboli, non solo quelle allargate, ma anche quelle tradizionali; uno dei motivi, come rilevato dalla dottoressa Matone, sarebbe la mancanza del ruolo maschile. Finalmente, quindi, si ritiene che la famiglia non sia solo matriarcale, ma debba essere anche patriarcale!

PRESIDENTE. Non apriamo la discussione in questo momento...

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Non l'ho detto io, ma la dottoressa Matone.

DANIELA DIOGUARDI. Non ha detto questo.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Desidero aggiungere solo una considerazione in ordine alle osservazioni svolte dagli auditi in ordine alla legge n. 54 del 2006, in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli. In questa sede, il 1o febbraio scorso, il dottor Maglietta ci ha riferito in merito all'applicazione della legge in questione.
La dottoressa Matone ha affermato che tale legge ha esaltato la confusione ed enfatizzato la conflittualità, tant'è che si sta intervenendo per interpretarla. Invito i nostri ospiti a fornirci eventuali contributi per l'interpretazione della legge n. 54 del 2006, che sta avendo un'applicazione particolarmente tormentata, perché l'affidamento condiviso viene ancora considerato affidamento congiunto e crea situazioni di disagio. È una questione che tratterò anche domani nel corso del question time, perché provoca sofferenze ai minori, ai quali mancano punti riferimento. Io stesso, ad esempio, come tutti noi, ricevo lettere da parte di nonni che non hanno la possibilità di vedere i nipoti.
Mi è stato riferito, inoltre, che in Europa e negli Stati Uniti sarebbero 20 mila i suicidi di bambini figli di coppie separate, dovuti al fatto che non viene applicato l'affidamento condiviso, cioè che non vi è la possibilità di avere una situazione di bigenitorialità.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,30.