COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 27 settembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Voglio ringraziare gli uffici, in particolare il consigliere Petricone, per essere riusciti tempestivamente ad attivare l'impianto che avevamo richiesto anche per la nostra Commissione. Sono certo che questo potrà semplificare il nostro lavoro.

Audizione di rappresentanti di Sky Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento alla questione delle regole e dei controlli, l'audizione di rappresentanti di Sky Italia.
Nel corso dei nostri lavori abbiamo enucleato la questione dei diritti televisivi come una di quelle fondamentali. Se avete opinioni anche sulle altre questioni, avendo a che fare con il mondo del calcio, saremmo interessati a conoscerle. Sapete che, parallelamente, stiamo esaminando in sede referente alcune proposte di legge sulla disciplina dei diritti televisivi.
Saluto con grande piacere i rappresentanti di Sky Italia presenti: il dottor Tullio Camiglieri, direttore comunicazione e relazioni esterne, il dottor Francesco Tufarelli, direttore affari pubblici, il dottor Alfredo Borgia, responsabile dei rapporti con il Parlamento.
Do la parola al dottor Camiglieri, in esito alla cui esposizione i colleghi e le colleghe potranno svolgere le proprie considerazioni.

TULLIO CAMIGLIERI, Direttore comunicazione e relazioni esterne di Sky Italia. Ringrazio lei, signor presidente, e tutti i deputati presenti. Vorrei cogliere l'opportunità di questa audizione per mettere sul tavolo alcuni elementi di riflessione, che vanno anche al di là dei diritti televisivi e che riguardano sostanzialmente ciò che è accaduto in questi ultimi mesi nel mondo del calcio.
È sicuramente importante ridare ai tifosi fiducia nella macchina del calcio e nei tornei che lo riguardano: essi devono sapere che, settimana dopo settimana, si trovano di fronte ad incontri veri, a partite autentiche, a confronti davvero sportivi.
Per quanto riguarda i diritti televisivi, vorrei porre all'attenzione di tutti un elemento fondamentale. Ci troviamo in una fase particolare della storia della televisione italiana. Vari operatori, in questo momento, concorrono in Italia per l'acquisizione dei diritti televisivi del calcio: Telecom, Mediaset, Sky. Soltanto uno di questi operatori, però, ha dei vincoli molto forti imposti dall'Antitrust di Bruxelles, all'epoca della fusione tra Telepiù e Stream. Sono vincoli molto forti, con i quali Sky si confronta e dovrà confrontarsi ancora nei prossimi anni. Ciò fa sì che, qualunque iniziativa legislativa venga posta in essere, si rischia di mettere uno


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degli operatori, in questo momento parte attiva del mercato, con le spalle al muro, caricando sulle sue spalle, oltre ai vincoli europei, anche quelli nazionali, ingessando in maniera seria e preoccupante il mercato.
Noi crediamo che, tendenzialmente, questo intervento debba essere il più possibile lasciato al mercato, alla libera concorrenza tra le aziende. Riteniamo, però, che in una fase come questa un'iniziativa legislativa sarebbe ancora più pericolosa, se possibile, perché necessariamente finirebbe con il penalizzare ancora di più chi già sostiene dei vincoli, che altri operatori non hanno.
Gli altri operatori hanno la possibilità di acquistare e di rivendere i diritti per più piattaforme. Sky non ha questa possibilità, a causa di quelli che l'Antitrust ha definito come limiti, nel momento in cui a Bruxelles fu approvata la fusione fra Stream e Telepiù.
Questo è l'elemento fondamentale su cui vorrei portare la vostra riflessione, soprattutto nella prospettiva di una legge di regolamentazione. Vorrei anche invitarvi a riflettere, visto che stiamo parlando di calcio, su altri aspetti che non sono direttamente collegati al problema dei diritti televisivi. Assistiamo ad una situazione nella quale, spesso, il dibattito sui temi legati al calcio appare - lasciatemelo dire - un po' surreale.
Noi abbiamo gli stadi probabilmente più arretrati di tutta l'Europa. Abbiamo stadi nei quali i calciatori fanno fatica a giocare la sera, in inverno, perché il terreno ghiaccia. Insomma, abbiamo dato miliardi e miliardi a presidenti di società che non hanno mai investito nulla nell'ammodernamento degli stadi. Abbiamo dato miliardi e miliardi ad un sistema, quello del calcio, che non ha investito nulla nell'ammodernamento di queste strutture, per dare a questo spettacolo, a questo evento sportivo - che da tutti è considerato, forse, il più popolare del paese - qualcosa in più. Non si è investito per rendere questo grande evento sportivo adeguato ai tempi che avanzano, allo sviluppo tecnologico.
Sento spesso dire che i ricavi negli stadi calano per colpa della televisione. Vorrei qui sottolineare, ancora una volta, che gli stadi sono rimasti quelli di trent'anni fa, che andare allo stadio con la famiglia diventa sempre più complicato. Se si decidesse di trasformare queste strutture in impianti capaci di dare comfort e ospitalità adeguata, di offrire un'opportunità di relax a chi vuole occupare in maniera serena qualche ora della propria settimana, di restituire a tutti l'entusiasmo di andare allo stadio, sarebbe ben diverso.
Nulla di tutto questo. In questi anni, nonostante i grandi investimenti, i nostri stadi sono rimasti quelli di trenta o quarant'anni fa. Credo che il mondo del calcio non abbia ancora capito che gli asset su cui investire sono tanti, non sono solo le gambe dei calciatori.

PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

EMERENZIO BARBIERI. Ringrazio i rappresentanti di Sky Italia. Devo dire che faccio fatica a prendere le distanze dall'introduzione del dottor Camiglieri, nel senso che condivido molte - per non dire tutte - delle cose che sono state dette. Dottor Camiglieri, se avrà la pazienza di leggere il resoconto di queste audizioni, vedrà che i problemi che lei ha posto nella seconda parte del suo intervento ci sono tutti: dalla vetustà degli stadi al fatto che è ridicolo sostenere che la gente non va allo stadio a causa della televisione; in verità, ci sono diverse concause, che lei ha indicato.
In ogni caso, è inutile intervenire per ribadire gli argomenti sui quali si è d'accordo. Di solito, si dovrebbe intervenire per evidenziare quelli sui quali non si è d'accordo o sui quali si ha bisogno di delucidazioni.
Lei ha detto che Sky si trova in una situazione di oggettivo sfavore dopo la delibera dell'Antitrust. Vorrei ricordarle una cosa che lei certamente sa: su questo la politica - mi riferisco alla politica nel suo insieme -, che pure ha tante colpe,


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non ha grandi responsabilità. Forse, una sua colpa indiretta è quella di avere nominato quei membri dell'Antitrust.
Dando per scontato che voi abbiate letto il disegno di legge predisposto dal Governo per la revisione di tutta la disciplina, vorrei capire se c'è qualcosa che può essere inserito all'interno di questa proposta - devo dire che, per merito anche del relatore, il presidente Folena, essa si sta modificando rispetto all'impostazione iniziale - per venire incontro a quella che anch'io considero una distonia nel quadro complessivo di tale questione.
Ci interessa conoscere l'opinione di Sky - non la sua, con tutto il rispetto - relativamente al testo attuale sul quale si sta lavorando.

GIUSEPPE GIULIETTI. Condividendo alcune delle affermazioni del collega Barbieri, non mi soffermerò su di esse. Mi riferisco, ad esempio, alla metodologia seguita dal presidente, che mi trova d'accordo. Sono infatti convinto che proprio quando si discute di delega si debbano, paradossalmente, raddoppiare gli sforzi per riuscire a lavorare in autonomia, come abbiamo sempre fatto su questa materia. Cercare di fare uno sforzo che ponga al centro non schemi in contrapposizione, bensì l'oggetto della discussione, mi pare peraltro un modo per rassicurare non solo il mercato, ma anche gli utenti. Sull'oggetto, appunto, non vedo un grande elemento di contrapposizione tra destra e sinistra: il problema è come regolamentare questo oggetto in modo attento, flessibile e non dannoso.
Trovo alquanto singolare l'introduzione, nel nostro dibattito, della questione «statalismo sì, statalismo no», che francamente non c'entra proprio niente. Come potrebbe dirci un grande gruppo come Sky, l'Italia oscilla tra dirigismo e «nullismo», e il «nullismo» favorisce i soliti noti in questo mercato. E qui mi fermo, perché mi pare evidente a chi mi riferisco.
Le rivolgo alcune domande, dottor Camiglieri, per avere qualche elemento di conoscenza in più. Credo che ogni gruppo debba farsi i conti in tasca rispetto al mercato futuro che si determina. Quale fu il motivo esatto del ricorso presentato alla Commissione europea da parte di Sky? Quando parliamo dei diritti calcistici, dobbiamo sempre sapere che parliamo, in Italia, del mercato più chiuso d'Europa, con fortissimi rischi di accordi e di cartelli e grossi rischi anche sul tema dei diritti calcistici. Questi sono, a loro volta, strettamente legati ad altri rischi, come quello del rastrellamento delle frequenze o del loro blocco futuro.
Vorrei capire, lo ripeto, quale fu la ragione del ricorso presentato a livello europeo, per avere chiaro, come Commissione, il quadro di partenza.
Sulla base della vostra esperienza - questa la seconda domanda -, i rischi di accordo di cartello vengono automaticamente eliminati dal passaggio da una forma all'altra di vendita? Mi spiego meglio. Se io nel mercato ho già dei contratti che dureranno dieci, quindici, venti anni, basta semplicemente passare da una forma di vendita all'altra o la situazione pregressa può essere tale da determinare non già un'apertura, bensì una cristallizzazione di posizioni nel settore? Se parliamo di liberalizzazione, dobbiamo capire se le mosse che mettiamo in fila, una dietro l'altra, vanno verso la liberalizzazione o verso una futura liberalizzazione. Così come è formulata la proposta che sta emergendo, i rischi di accordo di cartello sono effettivamente ridotti oppure no? Ed eventualmente, quale potrebbe essere - sempre sulla base della vostra esperienza, che ovviamente può essere condivisa o meno dalle singole forze politiche - l'aggiustamento da introdurre?
Leggo nel verbale della Commissione che il presidente Confalonieri si è soffermato sul principio riassumibile nelle seguenti parole: «si faccia pure una legge, ma non si tocchi quello che è già consolidato». A lei risulta che in altri paesi europei esistano situazioni di acquisizione di contratti nel settore dello sport per cinque, sei, sette, dieci anni? É importante capire qual è la situazione; se la nostra è una situazione normale, allora sarebbe sbagliato interferire. Se vi è, invece,


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un'anomalia in questo settore, mi interesserebbe conoscere i vari punti di vista delle diverse imprese, affinché nessuna impresa conti più delle altre, né venga danneggiata, né tantomeno goda di una condizione di cristallizzazione del mercato. Le chiedo, quindi, un riferimento particolare ai contratti pregressi.
Dal vostro punto di vista, il tema della cosiddetta mutualità della ripartizione degli utili fu affrontato con gli organismi calcistici? In che modo fu affrontato il tema delicatissimo del rapporto tra i grandi e i piccoli club? E qual è, sulla base della vostra esperienza internazionale, la migliore forma di equilibrio?
Venendo alla questione del rapporto con i consumatori - devo dire che mi è dispiaciuto non essere presente all'audizione del presidente di Mediaset, anche per una questione di rispetto nei confronti di una grande impresa italiana -, ricordo che proprio voi avete avuto rapporti positivi, negativi, contraddittori con i vostri utenti. In che modo è possibile tener conto del punto di vista delle associazioni dei consumatori nella definizione di queste intese? Lei sa che esse hanno tutte un punto finale, il costo a carico del consumatore (dell'abbonamento, del decoder, e così via).
Ricordo che voi avete fatto un'esperienza di confronto con le associazioni dei consumatori. Vorrei capire, dottor Camiglieri, qual è a suo giudizio il punto sul quale dobbiamo operare affinché l'intesa non sia solo fra imprese e società, ma abbia come punto finale il costo a carico del consumatore, l'eventuale riduzione dello stesso, o il miglioramento della qualità del servizio. Quale può essere, sotto questo profilo, un'indicazione che potrebbe esserci utile?
Vorremmo raccogliere degli elementi che possano servirci per legiferare nel modo meno improvvisato possibile, ascoltando diversi punti di vista. Per questo, mi permetto di sottolineare - signor presidente, so che lei lo ha già disposto - che sarebbe importante ascoltare le associazioni dei consumatori.
Ricordo che abbiamo presentato due ordini del giorno sull'editoria e sull'emittenza: non dimentico le cose fatte insieme e non ho l'abitudine di far finta di niente. Considerato che la legge finanziaria non è ancora stata definita formalmente, sarebbe opportuno ricordare al sottosegretario Levi e al ministro Gentiloni che in questa sede è stato votato - seriamente e con convinzione, da tutti - un ordine del giorno sui fondi per l'editoria e l'emittenza. Non vorremmo che ci dicessero, il giorno dopo: «Peccato, potevate intervenire prima, ne avremmo tenuto conto». Parliamo di centinaia di imprese italiane, che hanno diritto di essere rispettate anche se non hanno proprietari famosi.

PRESIDENTE. A titolo di informazione, visto che lei ha sollevato la questione, vorrei far presente che ieri, ufficialmente, il sottosegretario Levi, parlando all'assemblea di Mediacoop, ha riferito che verrà rispettato l'impegno assunto dal Parlamento. L'ordine del giorno, dunque, verrà tradotto in precise norme e numeri nell'ambito della legge finanziaria.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Ringrazio il dottor Camiglieri di essere qui. Ho ascoltato con molta attenzione le sue preoccupazioni sui possibili vincoli che potrebbero mettere in pericolo - «ingessare» è l'espressione che lei ha usato - il mercato.
Lei auspica che si lasci libero il mercato sulla questione calcistica. In realtà, questo è quanto è accaduto finora. Abbiamo visto, anche attraverso le vicende legate a «calciopoli», a cosa abbia portato un eccessivo giro di denaro: si tratta, magari, di un giro virtuale, dovuto semplicemente ad indebitamenti con le banche, in assenza di un patrimonio vero e proprio; molto spesso le società calcistiche si basano solo sul valore dei calciatori, ed è sufficiente anche un'operazione al menisco per farne evaporare il capitale.
A mio parere, se la politica non deve entrare nel merito delle questioni specifiche - chi acquistare, dove indirizzarsi, e via dicendo -, sicuramente deve indicare delle linee di intervento.


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In Italia, non possiamo negarlo, esiste il problema dell'Antitrust. Vorrei soltanto ricordarle che, in America, quando l'Antitrust si accorge che Microsoft sta accumulando posizioni dominanti sul mercato, chiama Bill Gates e gli impone di vendere l'eccedenza.
Il problema dell'Antitrust è stato richiamato anche dall'ex presidente della Repubblica Ciampi, che auspicava il pluralismo televisivo. Antitrust vuol dire occuparsi di accumulo di soldi, di risorse pubblicitarie, e oggi in Italia viviamo in un mercato malato, dove la possibilità di avere introiti pubblicitari è riconosciuta solo ad alcuni soggetti del sistema televisivo, non a tutti.
Quando si parla di Mediaset, di Sky o della RAI come risorsa, credo che si debba rispettare questa definizione, ma bisogna considerare risorse, capacità umane, possibilità di guadagno anche per altri soggetti televisivi, che finora sono stati esclusi. Telenorba non è, ad esempio, una risorsa minore rispetto ad altre.
Ricordo che in altri paesi, anche europei, terzi e quarti soggetti televisivi hanno delle ripartizioni pubblicitarie diverse rispetto a quanto accade in Italia. Ad esempio, in Gran Bretagna, il quarto operatore televisivo ha l'8 per cento del mercato pubblicitario.
Lei parlava, dottor Camiglieri, del problema dell'ammodernamento degli stadi, questione sulla quale credo che siamo tutti d'accordo. Ci sono stati degli sprechi - ricordiamo Italia '90 -, anche di denaro pubblico, nell'opera di modernizzazione degli stadi. Quando lei dice che il terreno dello stadio si ghiaccia, vorrei ricordarle che per esigenze televisive le squadre sono state costrette a giocare la sera, d'inverno. C'è una forte ingerenza televisiva - per ammissione dello stesso Matarrese - che non solo «indica» (per non dire «decide») gli orari e i giorni delle partite, ma addirittura vieta che vengano trasmessi in diretta, in contemporanea con alcune partite, altri eventi, magari relativi ad altre discipline.
Credo, quindi, che ci sia innanzitutto un problema di ingerenza della televisione, anche a livello decisionale. Inoltre, ritengo che bisognerebbe riflettere maggiormente sul calo degli spettatori negli stadi. Non si può pensare, in maniera così semplicistica, che le ragioni siano solo quelle che lei ha rappresentato. Ricordo che c'è anche il problema del caro biglietti, molto sentito dai tifosi, e la questione del biglietto nominativo, che in un momento in cui si parla tanto di portare le famiglie allo stadio può significare che a persone dello stesso nucleo familiare siano assegnati posti lontani tra loro.

PRESIDENTE. È vero che l'audizione è iniziata in ritardo, ma abbiamo un problema di tempi. Al momento ci sono quattro iscritti a parlare. Se è possibile, vi chiedo di contenere in pochissimi minuti i vostri interventi, in modo da permettere al dottor Camiglieri e a chi lo accompagna di replicare.

GUGLIELMO ROSITANI. Mi associo anch'io ai ringraziamenti al dottor Camiglieri e ai responsabili di Sky per la loro presenza in Commissione.
Condivido le critiche sulla gestione degli stadi, sui prezzi, e via dicendo. La mia domanda è la seguente: avete effettuato degli studi specifici per dimostrare che il calo degli spettatori negli stadi è determinato dal costo del biglietto e che, quindi, non è fondata l'accusa secondo la quale la colpa sarebbe della televisione?
La seconda domanda, che mi ha «scippato» l'amico Giulietti, riguarda i motivi del ricorso presentato a livello europeo.

FLAVIA PERINA. Vorrei ricollegarmi all'intervento dell'onorevole Giulietti, che ha sottolineato l'esigenza di un confronto con le associazioni dei consumatori. Ritengo che bisognerebbe riflettere, invece, sulle forme più adeguate per coinvolgere in questo confronto i soggetti principali dello stadio, cioè le tifoserie. Capisco che può sembrare scandaloso dirlo, tanto più che le tifoserie oggi sono criminalizzate, spesso considerate l'origine di molti problemi del calcio. La vicenda di «calciopoli», però, ci ha fatto scoprire che in realtà


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non è così. Credo che, in questo contesto, trovare forme per legittimare il dialogo con le tifoserie potrebbe essere un grande segnale di novità, un segnale della politica nei confronti di un'area che non può essere criminalizzata o trattata soltanto con la legge Mancino in una mano e con il manganello nell'altra.

PRESIDENTE. È emersa una proposta per il nostro lavoro, che mi pare molto giusta e che integra quella già avanzata dall'onorevole Giuletti a proposito dei consumatori. Credo che in sede di ufficio di presidenza - personalmente sono favorevole - potremo deliberare in questo senso.

MAURO DEL BUE. Mi scuso per non aver ascoltato la relazione del dottor Camiglieri. Ho partecipato, comunque, a tutte le audizioni precedenti relative alle vicende del calcio e sono molto interessato alla questione del rapporto tra televisione e stadi.
Se, qualche tempo fa, una persona che voleva vedere una partita della Roma, della Lazio o della Nazionale si recava volentieri allo stadio Olimpico, adesso, con la concorrenza della televisione e considerato che lo stadio Olimpico è uno dei più scomodi d'Italia - si vede a 100 metri di distanza - , la stessa persona sceglie la televisione. Quella della modernizzazione degli stadi, dunque, è una questione fondamentale. Non a caso, in altre realtà, come l'Inghilterra, pur in presenza di una televisione come quella italiana, gli stadi non sono assolutamente spopolati, perché sono diversi, senza piste, con una visibilità ottima. Il problema della modernizzazione degli stadi, dunque, esiste.
C'è, però, un'altra questione, che riguarda il rapporto tra televisione e mondo del calcio. Mi riferisco alla situazione delle società piccole, rispetto alla quale lo stadio non c'entra niente. Da quando è entrata in vigore la pay per view, la televisione a pagamento, le società piccole - quelle di C1, C2, il mondo dei dilettanti - non solo non possono partecipare ai vantaggi della ripartizione della «torta» televisiva ma, nel contempo, hanno subito lo svantaggio di un forte calo del proprio pubblico. Ricordo che, prima, a vedere le partite della serie C ci andavano sei-sette mila persone, mentre oggi ci vanno mille o millecinquecento persone. Il pubblico è molto ridotto rispetto a 15-20 anni fa.
Quale vantaggio possono avere queste piccole società di C1, C2 o il mondo dei dilettanti da una diversa ripartizione della «torta» televisiva? Penso che un vantaggio debbano averlo, visto che finora ne subiscono solo gli effetti negativi. A mio parere, anche le piccole società devono avere la piccola quota che spetta loro, grazie ad nuova legge che disponga una trattativa sui diritti televisivi di carattere collettivo, come accade in altri paesi europei.

ANTONIO RUSCONI. Innanzitutto, vorrei farvi i miei complimenti per aver fatto vedere il calcio in maniera diversa. Indubbiamente, il vostro arrivo (prima con Telepiù, e via dicendo) ha prodotto una rivoluzione nella fruizione delle partite di calcio.
Ho una semplice domanda da porre. Ho la «colpa» di aver cercato di illustrare, giovedì scorso, a nome di tutti i colleghi dell'Unione, i motivi dell'urgenza del provvedimento che stiamo portando avanti. Nessuno di noi pensa di fare torti a chi procura risorse al mondo del calcio. Si può discutere quello che ha detto prima il collega Del Bue, ma se gli spettatori della Juventus da 28 mila diventano 30 mila non è questo il problema della Juventus in serie B. Il problema è un altro, cioè che la gran parte delle entrate è legata ai diritti televisivi di vario genere. Sarebbe assurdo, da parte nostra, portare avanti un'iniziativa che faccia avere meno risorse al mondo del calcio. Oggi il problema centrale è costituito dalla redistribuzione delle risorse: se le risorse sono tante le distribuiamo meglio, e viceversa.
Il modello inglese, badate, non è un modello che non funziona, anzi direi che esso è funzionale ai diritti televisivi, in quanto ad ogni ora c'è un interesse particolare, che non si sovrappone agli altri. La partita del Chelsea, insomma, non si sovrappone mai a quella del Manchester.


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In Italia invece è normale che, se le partite si giocano alle 15 della domenica o negli anticipi o nei posticipi, Milan, Inter e Juventus (fino all'anno scorso) abbiano orari di gioco coincidenti. Vi chiediamo pertanto dei suggerimenti.
Noi partiamo da concetti molto semplici. Innanzitutto, nessuno discute che la Juventus, seppure in serie B, debba avere proventi diversi dal Chievo o dall'Empoli. È chiaro che questa squadra ha un bacino di utenza straordinario: è la prima società in Italia per numero di tifosi. Il problema è come far diventare le partite del Chievo, del Lecce o della Sampdoria appetibili. Che qualcosa non funziona lo dimostra il fatto che la partita più importante della prima giornata, l'anticipo Fiorentina-Inter, non siete riusciti a trasmetterla, proprio per problemi legati alle diverse piattaforme e al fatto che i diritti non sono venduti in maniera collettiva dalla Lega. Come dicevo, il problema è capire come i diritti del Chievo e dell'Empoli possano avere un mercato.
In secondo luogo, ci piacerebbe capire - è un fatto curioso - che cosa ha portato la Juventus in serie B. Augurandoci che torni al più presto in serie A, indubbiamente la Juventus ha fatto diventare la serie B un mercato importante.
Infine, perché noi parliamo di redistribuzione del sistema? Negli anni Novanta la gran parte delle entrate per le società di calcio derivava dagli stadi e dal totocalcio. Del totocalcio beneficiavano tutti gli sport e le squadre di calcio del settore giovanile. Oggi il totocalcio non dà più nulla a nessuna squadra di terza, seconda o prima categoria. Se non pensiamo ai diritti televisivi anche in termini di redistribuzione del sistema, lasciamo tutto in mano solo ai poteri forti. Questa è la nostra preoccupazione. Per questo motivo, vorremmo discutere e ricevere suggerimenti per trovare una soluzione in merito ai diritti televisivi.

PRESIDENTE. In particolare, vorrei conoscere l'opinione dei nostri ospiti in merito al punto del disegno di legge governativo riguardante il divieto di sublicenza.
Do ora la parola al dottor Francesco Tufarelli, direttore affari pubblici di Sky Italia, per una precisazione. In seguito, il dottor Camiglieri risponderà alle questioni che sono state sollevate.

FRANCESCO TUFARELLI, Direttore affari pubblici di Sky Italia. Rubo solo un minuto al collega Camiglieri, per fare una precisazione di partenza.
Quando ci riferiamo all'Antitrust, parliamo di quella europea - non di quella nazionale - e degli accordi che abbiamo stipulato nel momento in cui è nata Sky. Questi accordi avranno efficacia fino al 2011, quindi fino a quella data sostanzialmente noi abbiamo, rispetto alle altre televisioni, condizioni vessatorie che influenzano la nostra attività.
Questa è una situazione di oggettiva diseguaglianza rispetto alle altre televisioni. Ad esempio - l'onorevole Barbieri ci chiedeva in che cosa si esplicitano questi vincoli -, noi non possiamo stipulare contratti per più di due anni. Pertanto, un'eventuale legge che prevedesse la possibilità di stipulare contratti per un periodo più lungo (nel disegno di legge non è specificato), ossia da tre anni in su, negherebbe completamente a Sky la possibilità di competere. Sostanzialmente, abbiamo condizioni di partenza diseguali. È evidente che una legge che prevede un trattamento uguale per tutti, se applicata a una televisione che ha una base di partenza più difficile, sino al 2011, diventa un problema. Questo vale anche per quanto riguarda il salvataggio dei vecchi contratti o delle vecchie opzioni: chi ha già fatto opzioni per 3, 4 o 5 anni va ben al di là del 2011. Dunque, ove il provvedimento dovesse salvare questo tipo di situazioni, evidentemente Sky avrebbe delle difficoltà. Mi limito a queste brevi considerazioni, perché stiamo parlando di una legge delega.
Aggiungo un'ultima osservazione, che sottopongo all'attenzione della Commissione. Vi ricordo - ma lo sapete meglio di


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me - che, contrariamente alle altre piattaforme, Sky è obbligata a mettere sul satellite chiunque glielo richieda. Anche sull'utilizzo e sull'acquisto di altre piattaforme, dunque, bisognerebbe avere delle specifiche. Chiunque, infatti, potrebbe comprare e poi chiedere a Sky un numero sufficiente di canali per trasmettere. A questo punto, noi saremmo obbligati a concederli.
Questa è una situazione che riguarda solo noi. Essendo monopolisti sul satellite, dobbiamo metterlo a disposizione di chiunque lo chieda. Questa è la situazione oggettiva che ci riguarda.
La mia era, appunto, una precisazione iniziale.

TULLIO CAMIGLIERI, Direttore comunicazione e relazioni esterne di Sky Italia. Sarò rapidissimo, sebbene gli spunti emersi dagli interventi potrebbero indurmi a parlare per ore.
Mi ha colpito una riflessione dell'onorevole Luxuria, il quale ha affermato che sono le televisioni a costringere i calciatori a giocare negli stadi ghiacciati. Onorevole Luxuria, il problema è che i presidenti non hanno speso una lira per rimodernare quegli stadi. In tutti gli stadi del nord Europa si gioca a mezzanotte, ma quegli stadi sono riscaldati.
I presidenti, come dicevo, non hanno investito nulla dei miliardi e miliardi che le televisioni hanno dato loro. Il problema non è che noi imponiamo di giocare le partite di notte, ma che in questo paese non si può giocare di notte, perché i presidenti non hanno investito niente negli stadi. Farebbero bene, invece, ad investire per rendere gli stadi idonei allo svolgimento serale delle partite. Se una volta i ricavi venivano dagli stadi, adesso vengono dalla televisione. È così, che vi piaccia o no. Altrimenti, torniamo al calcio degli stadi, ma evitiamo di chiedere miliardi alle televisioni, sempre, continuamente, ogni anno di più.
Se vogliamo che le televisioni investano miliardi e miliardi, bisogna attrezzare gli stadi e cambiare la mentalità dei presidenti, affinché capiscano che le televisioni non sono mucche. Non possiamo essere «munti» ad ogni inizio di stagione. Le società devono investire nella costruzione di asset, che non sono solo le gambe dei calciatori, ma anche strutture che permettano alle società di avere la dignità di essere quotate in Borsa. Non si può essere quotati in Borsa soltanto con le ginocchia dei calciatori!
L'onorevole Luxuria ha richiamato, altresì, la circostanza che le partite non possono sovrapporsi per esigenze televisive. Quando abbiamo provato a trasmettere partite nel corso della settimana, tutti hanno ricordato che la domenica tutte le squadre giocavano alle tre del pomeriggio. Me lo ricordo, andavo allo stadio anch'io, da ragazzino. I ricavi, però, venivano dagli stadi. Mio zio mi portava per mano a vedere la Lazio, alle tre del pomeriggio, ma oggi non è più così. Oggi, purtroppo, i ricavi vengono dalla televisione, vengono da altro. Pertanto, dobbiamo dare la possibilità alla televisione di offrire ai propri spettatori più partite, in momenti diversi della settimana. Se dico questo all'esterno, i tifosi si scateneranno, diranno che non è giusto, che la contemporaneità delle partite è importante.
È necessario che ci mettiamo d'accordo su alcuni elementi base di questa vicenda. Se i ricavi arrivano - come arrivano - in gran parte dalla televisione, dobbiamo mettere i telespettatori nella condizione di sfruttare al meglio il proprio abbonamento, di non dover scegliere una partita tra 10, ma di poter vedere, magari nel corso della settimana, più partite. Mi premeva chiarire questo punto, perché il problema viene sempre presentato come se le televisioni fossero un grande mostro che sta imponendo le regole al calcio (abbiamo visto, peraltro, con la vicenda di «calciopoli», che era qualcun altro a imporre le regole del calcio, non certo le televisioni). È esattamente il contrario.
Noi vorremmo che le società di calcio fossero degli interlocutori con i quali costruire insieme un percorso, per offrire più opportunità e più prodotti.


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Onorevole Del Bue, non so in quale paese ha visto la serie C realizzare dei grandi ascolti in televisione.

MAURO DEL BUE. La mia squadra faceva settemila spettatori!

TULLIO CAMIGLIERI, Direttore comunicazione e relazioni esterne Sky Italia. Anche noi, con il Napoli in serie C, abbiamo realizzato grandi ascolti televisivi. Naturalmente, dipende dalle diverse situazioni. Il Napoli, in serie C, ci ha dato grandi soddisfazioni, ma stiamo parlando del Napoli. Un'offerta si può costruire laddove esiste un prodotto che la gente apprezza, che alla gente interessa, che in qualche modo va incontro ai gusti del pubblico.
Per quanto riguarda il ricorso - me lo hanno chiesto gli onorevoli Rositani e Giulietti - che abbiamo presentato a Bruxelles, esso in realtà riguardava il finanziamento dei decoder. Nella passata legislatura, l'idea che il Governo potesse finanziare i decoder di uno dei soggetti presenti sul mercato ci sembrava francamente intollerabile.
Il concetto della neutralità tecnologica ci sembrava, e ci sembra, un aspetto importante da tutelare. Naturalmente, stiamo andando verso il digitale, e questo è inevitabile. Peraltro, il ministro Gentiloni in questo momento sta lavorando, insieme a tutte le aziende, per andare verso lo switch-off. Ci andremo, ma l'importante è andarci sapendo che ogni tecnologia sarà garantita nella possibilità di sviluppo. Abbiamo il digitale terrestre, abbiamo il satellite, abbiamo il cavo. Le piattaforme devono essere messe nella condizione di poter competere lealmente l'una con l'altra. Non ci si può trovare di fronte ad una situazione nella quale il Governo decida di finanziare uno dei soggetti in campo.
Credo profondamente nel pluralismo e penso che la nascita e lo sviluppo di Sky siano la testimonianza che la domanda sul mercato c'è, che in questo paese può crescere il pluralismo.
A mio avviso, è necessario un atteggiamento, da parte del legislatore e del Governo, che faccia sì che le aziende possano svilupparsi nel migliore dei modi e in un mercato più libero e più competitivo possibile.

PRESIDENTE. La ringrazio. Se il suo gruppo vorrà fornirci ulteriori elementi per integrare il lavoro dell'indagine conoscitiva, in modo particolare per l'esame dei progetti di legge sui diritti televisivi, noi li prenderemo senz'altro in considerazione.
Voglio aggiungere, sulla questione del pluralismo - non ho difficoltà a ripetere pubblicamente quello che ho detto privatamente -, che, sebbene l'accesso al digitale satellitare riguardi una minoranza del grande pubblico televisivo, le news del gruppo Sky rappresentano senza dubbio un elemento importante di equilibrio, riconosciuto abbastanza trasversalmente, a destra come a sinistra.
Ringrazio e saluto il dottor Camiglieri, il dottor Tufarelli e il dottor Borgia. Dichiaro altresì conclusa l'audizione.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 15.

Audizione di rappresentanti di La7.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento alla questione delle regole e dei controlli, l'audizione di rappresentanti di La7.
Do il benvenuto al dottor Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale televisioni Telecom Italia Media, al dottor Piero De Chiara, responsabile coordinamento regolamentare e multimedialità, al dottor Carlo Di Martino, responsabile dell'ufficio stampa, e alla dottoressa Maria Cantarini.
É noto l'oggetto dell'indagine conoscitiva: le vicende di «calciopoli», con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli. Tuttavia, nell'ambito di questa indagine, noi intendiamo approfondire in particolare la questione dei diritti


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televisivi (anche se, ovviamente, tutte le opinioni sugli altri argomenti sono ben accette), dal momento che parallelamente in, questa sede, stiamo esaminando il disegno di legge delega presentato dal Governo, nonché le altre proposte di iniziativa parlamentare.
Chiederei, quindi, al dottor Campo Dall'Orto di fare una breve introduzione e poi le colleghe e i colleghi formuleranno le loro domande.

ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, Direttore generale televisioni Telecom Italia Media. Farò soltanto una breve introduzione, in attesa delle vostre domande a me e al dottor De Chiara, per contestualizzare quella che è la logica dell'investimento e delle azioni che ci hanno contraddistinto, come gruppo televisivo, nell'ambito del digitale terrestre (in particolar modo il digitale terrestre pay), nel quale operiamo anche con la vendita delle partite a pagamento.
Il digitale terrestre, per un'azienda come la nostra, che agisce in un mercato, a voi ben noto, contraddistinto da due operatori molto forti nella parte terrestre free - cioè RAI e Mediaset -, ci ha fornito sin dall'inizio una speranza di poter in qualche modo aumentare le nostre quote di mercato. In termini di ascolti - si tratta di dati che probabilmente già conoscete -, La7 e MTV, le due reti analogiche che gestiamo e di cui siamo editori, raccolgono circa il 4 per cento di ascolti. Si tratta di una quota che, comunque, ci relega in una posizione decisamente marginale nel mercato televisivo.
Il digitale terrestre, che per noi può significare l'apertura di nuove possibilità, pur essendosi affermato inizialmente come sistema di televisione free, ad un certo momento ha preso una direzione diversa. Grazie ad un'iniziativa assunta - in maniera secondo me intelligente - da Mediaset, si è aperto anche al calcio a pagamento. A quel punto, la nostra reazione - immediata e tempestiva - è stata quella di acquisire i diritti delle squadre complementari, visto che quelli delle squadre principali, anche per dimensioni economiche ed investimenti, erano stati acquisiti da Mediaset.
Questa manovra ha comportato l'acquisizione dei diritti per tre anni (per la precisione, di tre stagioni, di cui quella in corso è l'ultima) dalle squadre intorno alle quali, poi, abbiamo costruito i nostri pacchetti di vendita e di commercializzazione.
Lo stesso tema si è riproposto alla fine dello scorso anno, quando si è trattato di rinnovare gli accordi con le squadre. C'è stato un momento chiave nella rinegoziazione delle squadre - che noi stavamo svolgendo in modo da riguardare soltanto le piattaforme in cui operiamo -, e cioè il momento in cui è stato stipulato l'accordo tra Mediaset e Juventus. Quell'accordo, al di là delle dimensioni economiche, è stato un accordo rilevante, tramite cui Mediaset ha acquisito full rights. L'idea, condivisibile o meno, ha fatto cambiare l'atteggiamento delle squadre nei nostri confronti. Le squadre di calcio hanno infatti manifestato - all'indomani di quella data - un interesse a stipulare accordi del medesimo tipo. Il motivo, probabilmente - questa è una mia deduzione -, è che in questo modo esiste un minore rischio di non vedere monetizzati i diritti complementari. Chiarisco che i diritti-chiave sono due: quello per il digitale terrestre pay e quello per il satellite. Gli altri sono considerati diritti complementari e sono maggiormente accessibili, per le piattaforme emergenti. In alcuni casi, questi ultimi non sono stati sufficientemente monetizzati, anche per un problema di gestione: molte squadre non hanno un'organizzazione in grado di gestire i tanti, e sempre più ingenti, diritti e contratti che ne derivano.
Di conseguenza, abbiamo adottato una diversa strategia. Coerentemente con il fatto di essere parte di un gruppo, abbiamo acquisiti i diritti in forma associata. Anzi, in questo caso, abbiamo dato mandato a Telecom Italia di acquisirli anche per noi. Poi, abbiamo da loro acquisito la parte dei diritti che riguarda la prosecuzione del business da noi intrapreso.
Questa, brevemente, è la situazione ad oggi. Va detto che, rispetto al disegno di legge che è stato proposto, noi non lamentiamo


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particolari contrarietà nei confronti della possibilità di passare ad un regime di vendita collettiva dei diritti, poiché è nostro preciso interesse continuare ad operare in questo settore. Attraverso le domande, magari, emergeranno alcuni dei punti che riteniamo critici, rispetto al citato disegno di legge.
Con questo concludo la mia introduzione e rimango a disposizione, insieme al collega De Chiara, per eventuali domande.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Ringrazio i rappresentanti di La7 per essere qui e per averci dato l'opportunità di svolgere questa audizione. Io comincerei subito da quanto è stato detto nella precedente audizione dal dottor Camiglieri, e cioè che Sky ha presentato un ricorso all'Unione europea, contestando che nella passata legislatura sono stati finanziati i decoder per un solo soggetto televisivo.
Ricordiamo tutti che il decoder interattivo ha beneficiato di un incentivo statale: un contributo pubblico per ogni esemplare, all'inizio, di 150 euro, ridotti poi a 70 euro. Il risultato delle vendite è stato, in realtà, molto inferiore alle aspettative.
L'Unione Europea ha avviato poi una procedura di infrazione, per l'incompatibilità della legge Gasparri, sul riassetto del sistema televisivo, con la normativa comunitaria.
Tutto ciò, unitamente al fatto che ancora oggi - in barba ad una sanzione già emanata - una delle tre reti Mediaset (mi riferisco a Retequattro) continua ad operare senza essere titolare di alcuna concessione, pone il problema del pluralismo informativo.
Ho ricordato più volte - lo faccio qui di nuovo - che all'estero non esiste il duopolio, così netto, esistente in Italia. La7 - che pure è partita con grandi promesse, cui sono seguite «implosioni» riguardo alle quali forse ancora non sappiamo tutto - detiene il 4 per cento degli ascolti ed ha un mercato di raccolta pubblicitaria, immagino, situabile tra il 2 per cento e il 3 per cento. Altrove, i terzi soggetti hanno ben altre risorse pubblicitarie: in Francia il 20 per cento, in Svizzera il 27 per cento, in Germania l'8 per cento e - lo ricordavo già in precedenza -, in Gran Bretagna, addirittura il quarto operatore televisivo raccoglie l'8 per cento del mercato pubblicitario.
Non intendo porre domande, ma ho ascoltato con attenzione quanto detto sugli ultimi accordi con la Juventus e credo - anzi mi auguro - che questa Commissione lavorerà affinché si parli di risorse televisive, considerando tutti gli operatori di questo settore, non soltanto Mediaset e la Rai.

ANTONIO RUSCONI. Intervengo brevemente, perché oggi è più opportuno, per noi, ascoltare che parlare.
Il primo punto è un auspicio: il rapporto di La7 col mondo del calcio, negli ultimi anni, è stato caratterizzato da alti e bassi. La precedente proprietà, se non erro, era arrivata addirittura ad avere la priorità sui diritti in chiaro della serie A. Poi, invece, si è abbandonata questa impostazione, forse in quanto eccessivamente costosa.
Io penso che, per il pluralismo in genere - quindi anche per il pluralismo delle idee, che si sviluppa attraverso lo sport -, e per la democrazia del nostro paese, sia comunque opportuno avere diverse realtà che si impegnino in questo settore.
Il secondo punto è il seguente: noi andiamo verso una nuova legge. Su questo, mi sembra che l'atteggiamento della maggioranza sia molto unitario e molto aperto. Si tratta di due termini che non si contrappongono: abbiamo infatti le idee chiare sugli obiettivi che vogliamo raggiungere, ma nello stesso tempo siamo disposti ad esaminare tutti i contributi che verranno sia dalle opposizioni, sia dal mondo dello sport e dai soggetti interessati.

MAURO DEL BUE. Non farete una legge delega.


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ANTONIO RUSCONI. Su quella è già stata deliberata l'urgenza. Il Parlamento ha votato liberamente e mi sembra che si sia espresso in maniera chiara. Inoltre, onorevole Del Bue, in quell'occasione il presidente della VII Commissione mi pare abbia bene interpretato l'idea di una prospettiva che possa essere concordata con tutti.
Noi siamo per la vendita dei diritti collettivi, per due motivi, In primo luogo, perché si operi una redistribuzione più equa tra tutti i soggetti del calcio, a partire da chi magari si occupa solo di formazione e si limita a svolgere attività nel settore giovanile, per finire alla squadra più importante e titolata; in secondo luogo, perché i diritti di alcune società minori del calcio professionistico abbiano un mercato.
In questi anni, alcune di queste società hanno avuto un mercato grazie anche ad emittenti come le vostre. Non erano viste su Sky, ma potevano essere viste attraverso di voi.
Allora, vi chiedo: visto che i nostri obiettivi sono chiari e fanno riferimento al modello inglese, quali problemi potrebbe suscitare una legge di questo tipo per strutture importanti come la vostra che, però, non possono affrontare investimenti paragonabili a quelli attuali di Sky o Mediaset?

MAURO DEL BUE. Non volevo polemizzare con Rusconi, bensì semplicemente prendere atto che vi è una certa contraddizione tra la dichiarata disponibilità a raccogliere i contributi di tutte le formazioni politiche interessate alla legge sui diritti collettivi e l'adozione di uno strumento legislativo che, di fatto, nega questa possibilità. Il presidente Folena, con senso di responsabilità - sia nei confronti della sua Commissione, sia nei confronti del ruolo da lui svolto come relatore sulle diverse proposte di legge parlamentari -, ci ha assicurato che non è automatica l'assunzione, da parte del Parlamento, della condizione di necessità ed urgenza mirata alla possibilità di procedere con una legge di iniziativa governativa e non parlamentare. Comunque, vedremo: se la questione è ancora aperta, avremo la possibilità di riflettere insieme al riguardo.
Anch'io ringrazio i rappresentanti di La7 presenti. Continuiamo il ragionamento fatto in precedenza con i rappresentanti di Sky.
Sarebbe interessante, per chi non è tecnicamente competente, capire bene i vantaggi che un fruitore ricava dalle partite riprese dal digitale terrestre rispetto a quelle offerte da Sky, che ha un pacchetto ormai completo. Il collega Rusconi faceva prima, giustamente, riferimento al fatto che la partita della Fiorentina, nella prima giornata di campionato, non è stata offerta da Sky, perché erano stati acquisiti i diritti.
Mi pare comunque che adesso, per la prima volta, venga offerto un pacchetto comprendente l'intera serie A e serie B. L'anno scorso, i diritti di ripresa della serie B erano detenuti da Sport Italia. La presenza della Juventus in serie B ha sollecitato una domanda anche per quanto riguarda questa categoria, l'unica che di fatto si avvantaggia in termini di spettatori. Nelle prime giornate di campionato notiamo una flessione del pubblico della serie A ed un aumento del pubblico della serie B. La somma dei valori, però, resta sempre, sia pur di poco, sotto i livelli degli spettatori delle prime giornate di campionato dell'anno passato. Questi ultimi, a loro volta, erano sotto i livelli dell'anno precedente.
In definitiva, in Italia assistiamo a una presenza massiccia nel calcio da parte delle televisioni e, contemporaneamente, ad un calo di pubblico negli stadi. Si tratta di un fenomeno, peraltro, peculiare del nostro paese: in Inghilterra, in Germania, in Spagna - dove più o meno esiste la stessa offerta di televisioni che trasmettono le partite in diretta nelle case degli inglesi, dei tedeschi e degli spagnoli -, il calo di pubblico negli stadi non si rileva.
Non ci è ancora chiaro, quindi, come si possa qualificare l'offerta del mondo televisivo, per quanto riguarda il calcio, ed evitare allo stesso tempo che gli stadi rimangano desolatamente vuoti.


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Si parla di ristrutturazione degli stadi. Dicevo prima, rivolgendomi al dottor Camiglieri, di Sky, che non basta dire: bisogna ristrutturare gli impianti del calcio perché c'è la pista, perché si vede male, e così via. La verità è che all'Olimpico si vede male e il pubblico cala, mentre a San Siro si vede bene e il pubblico cala ugualmente!
Quindi, il problema non è solo quello della visibilità negli stadi. Probabilmente, la questione è più complessa, e riguarda forse anche il problema della sicurezza. Personalmente, sono favorevole ad un'attribuzione di responsabilità, per quanto riguarda la sicurezza, alle società sportive. In Germania avviene così, lo abbiamo visto nei recenti campionati mondiali. La responsabilità della sicurezza all'interno degli stadi non è affidata alle forze dell'ordine tradizionali, bensì a personale di sicurezza formato all'interno degli stadi stessi, dalle singole società sportive. Non so se una maggiore sicurezza e una maggiore accoglienza all'interno degli stadi possano risolvere il problema. Forse, in Italia, c'è qualcosa di più: in Italia c'è stata «calciopoli». Si tratta di un elemento nuovo, che ha contribuito ad un certo distacco da parte dei tifosi, nonostante la vittoria dei mondiali.
Noi, di fatto, abbiamo attraversato il momento più entusiasmante (la vittoria dei mondiali) e quello più deprimente (l'esplodere di «calciopoli») del calcio italiano. Sommando algebricamente le due componenti, una di segno positivo, l'altra di segno negativo, prevale nel totale il segno negativo, dato dal maggiore disinteresse del pubblico, rispetto agli anni passati, ad andare allo stadio. La questione che vi pongo è la seguente: questo disinteresse si può verificare anche per ciò che riguarda gli abbonamenti o le sottoscrizioni - non conosco il termine tecnico corretto - relativi all'offerta di calcio sulle vostre emittenti? Le sottoscrizioni sono diminuite, quest'anno, rispetto all'anno scorso, oppure sono aumentate? Il mercato sta trainando o attraversa un momento di crisi? Si tratta di dati che avrei interesse a conoscere.
Infine, desidero sollevare uno dei problemi che mi sta maggiormente a cuore. La presenza delle televisioni nel mondo dello sport - in particolare nel mondo del calcio - ha creato svantaggi e vantaggi. Ha creato vantaggi per le grandi società e le piccole società di serie A (che hanno per la prima volta ottenuto contributi massicci da parte delle televisioni), mentre ha creato svantaggi nel mondo dilettantistico. Il mondo più povero del calcio italiano diventa sempre più povero, perché non ha alcun vantaggio dalla presenza delle televisioni. Infatti, non riceve alcun finanziamento, e in più ha lo svantaggio di veder celebrare l'evento sportivo di serie A nello stesso momento in cui si celebra l'avvenimento dilettantistico di serie C nello stadio della propria città.
Noi siamo a favore dei diritti collettivi anche per questo: per dare la possibilità a coloro che non hanno avuto nulla di approfittare di questa «torta» da spartire e di avere almeno il minimo necessario per vivere.

GIUSEPPE GIULIETTI. Se mi permettete, interpretando credo il pensiero di tanti colleghi, vorrei in primo luogo fare gli auguri all'emittente La7. Dobbiamo infatti distinguere, tutti noi, tra ciò che succede in alcuni grandi gruppi industriali italiani e quello che è l'interesse del sistema paese ad avere più televisioni e più imprese che concorrono. Talvolta vedo anche in me, in tutti noi, una grande confusione tra alcune gravissime vicende di cronaca (che meriteranno di essere punite in modo spietato) e i destini delle imprese, di chi in queste aziende lavora. La situazione è un po' complessa, soprattutto in un settore televisivo che di voci ne ha poche. Mi permetto quindi di fare gli auguri, perché bisogna dedicare grande attenzione a quello che si fa in un settore che ha ancora, in Italia, forte valenza monopolistica.
Intendo porre alcune questioni in tale direzione, sia al presidente Campo Dall'Orto, sia al dottor De Chiara (anche nella


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sua qualità di presidente dell'associazione dei canali tematici italiani, se ricordo bene).
Vorrei in primo luogo capire quali sono, secondo le vostre analisi, le possibilità di uno sviluppo reale del mercato del digitale, tenendo in attenta considerazione soprattutto i tempi di tale sviluppo.
In secondo luogo, fino a che punto lo sport può contribuire allo sviluppo del digitale? So che non esiste solo la questione sport: lo stesso dottor Campo Dall'Orto mi potrebbe ricordare che non possiamo pensare che il digitale si sviluppi soltanto intorno ai diritti sportivi.
Io, se devo essere sincero, vedo un nesso un po' pericoloso tra diritti sportivi e sviluppo del digitale. Credo, invece, che un palinsesto debba essere più ampio e comprendere anche cinema, musica, teatro, news, eccetera.
In sostanza, la questione può essere posta come segue: non vi pare eccessivo che questa interconnessione, quasi assoluta, tra diritti sportivi e sviluppo del digitale valga come unico punto di riferimento? Non andrebbe ampliata la riflessione e il ragionamento su tale problema?
Terza domanda: qual è il tempo effettivo entro il quale si può prevedere che questo paese - per esempio, nel 2010, nel 2011 o nel 2012 - possa raggiungere una sua maturità in questo settore? Domando questo in quanto si parla di un decreto sui diritti sportivi. Il punto, dunque, è: come non causare danni con tale decreto? Traduco meglio la domanda e chiedo a voi: il decreto, così come è formulato, tende veramente ad ampliare la concorrenza e la competizione, e quindi - a regime - amplierà il mercato e la competizione tra i gruppi, oppure tende a restringerle o a tenerle bloccate? Questo è il punto fondamentale, per quanto mi riguarda.
Io sono tra quelli che non crede molto all'equazione: «basta passare ai diritti collettivi e non ci saranno più accordi di cartello». Allora, pongo una domanda anche alle imprese, affinché ciascuno di noi, tra cinque o sei anni, possa rispondere: è vero che il passaggio dalla vendita attuale al nuovo sistema, di per sé, elimina i rischi dell'accordo di cartello? Oppure, al contrario, si può comunque ricadere in accordi di cartello - tra gruppi industriali oppure tra società sportive - tali da costituire un fattore non di liberalizzazione, bensì di restrizione? Badate, io sono favorevole e la penso come gli altri colleghi: cerco solo di esercitare ogni tipo di provocazione possibile, perché dopo sarà troppo tardi per rimediare.
Qual è il rimedio - domando a voi che avete vissuto queste situazioni - di fronte ad eventuali accordi di cartello che si realizzassero, di fronte ad una difficoltà di acquisire i contratti, di fronte a contratti troppo lunghi o a posizioni dominanti? A giudizio di un'emittente che ha sopportato - sia nel settore analogico che nel digitale - tali vicissitudini, qual è l'eventuale misura correttiva fondamentale che possa consentire all'autorità, o ad altri, di intervenire in modo flessibile qualora si dovesse determinare questo rischio?
Un'ulteriore domanda sui costi per il consumatore, problema molto ben delineato dal collega Del Bue. Nella situazione attuale che si sta delineando, oltre all'aumento della qualità delle trasmissioni - che per alcune imprese mi pare peraltro molto alta e gestita anche con intelligenza (penso ad alcune trasmissioni sportive di garbo, di buon gusto e non urlate, che tentano di ragionare, ad esempio il programma di Darwin Pastorin) -, è prevista altresì una riduzione dei costi per il consumatore nei prossimi anni? O, al contrario, è previsto un incremento di tali costi? Nelle politiche industriali in atto in questo momento, c'è la previsione teorica di un aumento degli investimenti in questo settore, oppure quella di una loro riduzione? Questo tipo di aumenti avrà ripercussioni positive o negative rispetto all'utente finale, al cittadino che sta a casa? Pongo questi interrogativi per acquisire dati ed eventualmente suggerimenti a fini di correzione.
La domanda finale, in definitiva, è molto semplice. Quali sono gli eventuali suggerimenti - sulla base della vostra esperienza - che possono essere forniti al Parlamento con riferimento, e mi rivolgo


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in particolare al dottor De Chiara, all'interconnessione? Se ricordo bene, sempre più si sta parlando di utilizzo anche di diritti sportivi nella cosiddetta convergenza multimediale. Intendo l'uso del telefono, di sistemi tradizionali e di sistemi innovativi, che porrà delicatissimi problemi, anche in termini di antitrust. Personalmente, ritengo che sia giusto che il decreto se ne occupi. Vi chiedo: secondo la vostra esperienza, questo tipo di interconnessione tenderà a svilupparsi? In che modo e sotto quali forme? Quali possono essere i modi migliori, dal punto di vista legislativo, per accompagnarli, visto che a mio parere si tratta di fenomeni inarrestabili, e persino positivi?

EMERENZIO BARBIERI. Presidente, la questione che pongo non riguarda questa audizione, né lei personalmente, ma bisognerà in qualche sede opportuna discutere sul significato delle audizioni. Infatti, lo dico con grande rispetto dei colleghi, è inutile che ci si arrabbi con la collega Aprea quando, audendo gli studenti, fa determinate affermazioni, se poi qui assistiamo costantemente allo svolgimento di comizi in miniatura. Le audizioni non servono per svolgere mini-comizi! Chiudo questa parte del mio intervento.
Mi è venuto spontaneo, sentendo parlare di sicurezza negli stadi - lo dico col massimo rispetto, ovviamente, nei confronti degli auditi -, pensare che noi potremmo avere la certezza che la sicurezza è garantita, se la affidassimo alla security della Telecom, considerata l'efficienza che ha mostrato nell'esercitare un mestiere abbastanza analogo a questo!
La mia domanda è semplicissima, e la rivolgo al dottor Campo Dall'Orto: io, da lustri, ho scelto di non andare allo stadio. A me non interessa che lo stadio sia l'Olimpico o San Siro: la domenica pomeriggio, se non ho riunioni politiche, io rimango a casa e desidero vedere il calcio alla televisione.
Qual è l'interesse, non del deputato Barbieri, considerando la classe politica un po' anormale, bensì di un cittadino normale, a comprare il digitale terrestre di La7 o di Mediaset, rispetto all'abbonamento a Sky? Non parlo solo dal punto di vista quantitativo: ricordo che a tutt'oggi, dottor Campo Dall'Orto, in ampie zone del nostro paese il digitale terrestre si continua a vedere male. L'immagine non ha la lucentezza (uso un termine forte) che fornisce il satellite con Sky. Tuttavia, se riuscissi a capire quali sono i vantaggi per il cittadino comune, credo che ciò sarebbe utile anche per voi.

PAOLA FRASSINETTI. Vorrei brevemente fare due considerazioni e porre una domanda.
Io, collega Barbieri, al contrario di lei, vado tutte le domeniche allo stadio e quindi ho una discreta conoscenza di un certo mondo e anche delle logiche che riguardano la sicurezza all'interno degli stadi. Mi sembra che il problema della sicurezza sia stato spesso enfatizzato, in quanto le famiglie che vanno allo stadio sono di norma estranee ai contrasti che avvengono tra tifoserie ultras. Tuttavia, quando questi fatti vengono commentati in televisione, molte volte, l'allarme a mio avviso è sicuramente esagerato.
Mi è capitato di portare diverse volte i miei nipotini, anche con alcuni amichetti, a San Siro, a vedere partite anche ad alta tensione, ma nel settore distinti e negli altri luoghi dello stadio non si percepisce alcun tipo di pericolo. Il pericolo riguarda, ovviamente, le tifoserie ultras, che hanno regole particolari, che si trovano fuori dalla stazione, che vengono accompagnate dalla Polizia alla fine della partita e che hanno, tipo i ragazzi della via Pal, conseguentemente dei contrasti tra di loro.
Vi domando, inoltre, se il biglietto nominativo non abbia a vostro avviso disincentivato le persone ad andare allo stadio. È ovvio che la bella spontaneità con cui, la domenica, un amico si aggregava agli altri per poter vedere la partita viene sicuramente frustrata dal biglietto nominativo. Quest'ultimo, poi, in realtà non introduce nemmeno regole di sicurezza, tant'è vero che abbiamo visto come, appena introdotto, durante una partita - mi sembra a Roma - un tifoso della Sampdoria abbia


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subito un incidente e sia risultato non essere al suo posto.
È inoltre necessario svolgere un discorso generale su quello che è il rapporto tra telespettatore e calcio. Uno sport così popolare entra nelle case, sempre, accompagnato da una sovrastruttura di commento che spesso allontana il telespettatore dal calcio stesso. Ben vengano le telecronache di Niccolò Carosio! Devo dire che apprezzo La7, in quanto è una delle poche reti televisive che trasmettono i goal uno dietro l'altro. Spesso il tifoso, la sera, ha voglia di un resoconto tecnico-sportivo, senza i lassi di tempo, anche molto lunghi, che intercorrono tra una partita e l'altra, in cui bisogna sentire la «velina», la commentatrice e tutto un discorso parallelo che poco c'entra, tecnicamente, con lo sport del calcio.
Concludendo, a mio avviso, sono molte le problematiche che si intersecano con questo argomento. Penso che per tutelare lo sportivo, sia che vada allo stadio, sia che ami guardare la televisione, bisogna mettersi dalla sua parte e cercare di fornire un servizio che non allontani il popolo da questo sport.

PRESIDENTE. Dottor Campo Dall'Orto e dottor De Chiara, vorrei che, per le vostre repliche, voi aveste subito contezza di un'impressione che è trapelata sia nelle domande di oggi, sia soprattutto nel corso di un'audizione informale dello scorso luglio, che riguardava La7 e le preoccupazioni relative ad un ventilato trasferimento, da Roma a Milano, della sede delle news. Anche su questo, se avete qualcosa da dirci, evidentemente sarà molto gradito. La preoccupazione emersa riguardava il fatto che questo grande gruppo, che ha prodotto trasmissioni di qualità e molto interessanti - ciò mi è stato confermato da diversi colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione -, ha dovuto in qualche modo contrastare la forza dei grandi soggetti che operavano già nel mercato generale della televisione, nonché in quello più particolare, come lei diceva prima, dei diritti televisivi dello sport. Addirittura, talvolta si è avuta la sensazione che il gruppo non sia stato solo contrastato, ma che sia stato frenato. Una specie di Ferrari nel traffico cittadino!
So che il professor Guido Rossi - credo in contemporanea - partecipa ad un'audizione presso la Commissione trasporti sulle questioni relative alla Telecom. Ciò, in qualche modo, testimonia, in una contestualità del tutto casuale ma comunque significativa, l'interesse del Parlamento per il destino di un grande gruppo. Vorremmo sentire da voi qualche parola su questo punto, perché lo riteniamo molto importante. Credo infatti che La7 possa giocare un ruolo molto più significativo, per il futuro dell'informazione, oltre che dello sport e della televisione nel nostro paese, di quello che ha svolto finora.
Do ora la parola al dottor De Chiara.

PIERO DE CHIARA, Responsabile coordinamento regolamentare e multimedialità. Comincerò io con alcune considerazioni, relative al disegno di legge, di carattere normativo. In seguito, il dottor Campo Dall'Orto risponderà alle domande relative ai contenuti di La7 e alla sostenibilità della concorrenza nel mercato televisivo.
Abbiamo detto che per noi i diritti collettivi possono essere una cosa utile, ma rivolgendo una certa attenzione ad un aspetto specifico. Bisogna vedere se, ad esempio nel settore del digitale terrestre, questi diritti collettivi verranno venduti in blocco, oppure divisi in pacchetti. In quasi tutti i paesi europei che hanno affrontato il tema si è deciso, con la collaborazione dell'autorità antitrust, di venderli in pacchetti. Altrimenti, accade che essi vengono venduti da un unico venditore; in Italia, immagino, la Lega calcio, la quale (anche per il bene del campionato di calcio) mi auguro che attivi un meccanismo di perequazione tra grandi e piccole squadre.
Se, però, ad un unico venditore corrisponde un unico compratore, è verosimile che sulla piattaforma del digitale terrestre questo unico compratore sia il più grosso. Quindi, probabilmente, Mediaset oppure la Rai (se decide di partecipare), ma certamente non noi.


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È augurabile dunque che, già nel licenziare il disegno di legge, sia chiaro l'indirizzo (che oggi chiarissimo non è) verso lo «spacchettamento» - in pacchetti golden e silver (si chiamano così in termini tecnici) - dell'insieme dei diritti. Altrimenti, l'interessante investimento che noi abbiamo fatto potrebbe non poter essere più ripetuto.
Un'ulteriore osservazione rispetto al disegno di legge in corso di esame. Esso, al momento attuale, proibisce le sublicenze. Per quello che riguarda le sublicenze interpiattaforma, noi comprendiamo la ratio del provvedimento. Capiamo che si voglia disincentivare il fenomeno di chi compra per tutti e poi distribuisce e compra anche le piattaforme che non ha, mentre a noi sembra che le sublicenze, all'interno della stessa piattaforma, possono avere invece un'utilità positiva, non solo per il mercato, ma anche per i clienti, in linea di massima. Faccio un esempio: la piccola sublicenza che noi ci siamo scambiati con Mediaset sulle squadre di calcio del digitale terrestre, avendo noi alcune squadre e alcune loro, consente al telespettatore, con una sola carta, di seguire la propria squadra.
Un altro aspetto, di dettaglio: nelle norme provvisorie, il disegno di legge prevede un trattamento differenziato per i contratti stipulati prima del 31 maggio e per quelli stipulati dopo questa data. Si dà il caso che i contratti con la Juventus ed altre squadre - a cui faceva riferimento Campo Dall'Orto - stipulati da Mediaset sono stati conclusi prima del 31 maggio, mentre il contratto finale che La7 ha concluso con le altre squadre, quelle minori, è stato stipulato dopo questa data. Si tratta sicuramente di un dettaglio, ma non vorrei che si verificasse una situazione per cui, nella fase transitoria, Mediaset risultasse più tutelata di La7. Sarebbe veramente un piccolo paradosso.
C'è un aspetto ulteriore che sottopongo alla vostra attenzione: oltre ai diritti di trasmissione, assumono un valore ed un'importanza crescente i diritti di ripresa. In alcuni stadi, il gruppo più forte - nella maggior parte dei casi è Sky - ottiene le migliori postazioni e riesce a collocare le sue telecamere, mentre, quando arriviamo noi, non troviamo posto per le nostre telecamere. Anche questo è un piccolo collo di bottiglia. Dal nostro punto di vista, forse il modo migliore per risolvere la questione sarebbe quello di stabilire che un unico gruppo esegue le riprese per tutti e poi le concede ad un prezzo equo agli altri.
Infine, mi sono state rivolte domande anche sul digitale terrestre. Non rispondo come presidente dell'associazione di tutti gli operatori del digitale terrestre (e comunque La7 ne fa parte a pieno), avendo assunto la presidenza di turno per quest'anno. Siamo perfettamente consapevoli che l'offerta a pagamento del calcio è stata una cosa utile, che ha consentito di diffondere in certa misura il digitale terrestre. Tuttavia, essa non basta e ha esaurito la sua spinta propulsiva.
Tutti i paesi d'Europa sono coinvolti nel digitale terrestre, che è un grande progetto, ma il vero traino è l'offerta gratuita di nuovi canali attrattivi. Ne sono nati negli altri paesi europei, molti meno in Italia. Questo è dovuto a vari motivi. Ne cito solo uno. In Italia non c'è una presenza attiva del servizio pubblico, così come in Gran Bretagna, in Francia e persino in Spagna, presenza di traino del servizio pubblico che, spesso, è finanziato ad hoc per offrire servizi attrattivi. Il fatto che anche imprese private riconoscano che, per sviluppare questo mercato, serve un ruolo importante della RAI è davvero straordinario. Probabilmente, quando torneremo a parlare di questo argomento, sarà opportuno che il legislatore ne tenga conto nel modo dovuto. Quando vi sarà un enorme sviluppo del digitale terrestre, ci saranno anche effetti benefici sul mercato del pay, che tornerà ad essere trainato.
Ci è stata posta una domanda riguardo all'andamento dei prezzi, ma essi, ovviamente, dipendono dalle dimensioni del mercato. Mi pare evidente che, se tutte le famiglie potessero scegliere tra un'offerta più ricca (quella che fornisce Sky) ed una più saltuaria (quella che fornisce il digitale terrestre, che però può consentire anche


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ad una famiglia non disposta a spendere centinaia di euro all'anno per avere il meglio del meglio di concedersi ogni tanto il lusso di vedere una partita, o magari un film), con una base installata, allora, in quel momento, avremmo le tre condizioni magiche che tutti quanti dovremmo augurarci. I produttori - sia culturali, sia di cinema, sia di calcio - avrebbero più mercato e più clienti potenziali; le imprese (la nostra, per esempio) avrebbero dei ricavi e non delle perdite (come oggi invece avviene); e, soprattutto, le famiglie (non quelle che si possono permettere Sky, ma tutte le altre) avrebbero dei prezzi che, anziché salire, potrebbero anche decrescere. Questa equazione magica non è impossibile, dipende dallo sviluppo armonico del sistema, sia dei diritti sia del digitale terrestre.

PRESIDENTE. Grazie, dottor De Chiara. Do ora la parola al dottor Campo Dall'Orto.

ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, Direttore generale televisioni Telecom Italia Media. Penso che il dottor De Chiara abbia riassunto bene i temi da voi sollevati rispetto al digitale terrestre. Si tratta di un sistema che, secondo me, presenta vantaggi abbastanza evidenti per il consumatore e che negli altri paesi si sta affermando come piattaforma intermedia tra una piattaforma più ricca e più costosa (quella della televisione a pagamento) e una televisione free, che tende ad essere gratuita del tutto, nel senso che non ci si deve neanche procurare il decoder, ma anche più ristretta, come numero di canali.
Vorrei soffermarmi, visto che mi stato chiesto espressamente, su La7. Innanzitutto, vi ringrazio per i complimenti che ci avete rivolto. Inoltre, vorrei sfatare qualche preconcetto, che ritengo del resto comprensibile.
Personalmente, gestisco la rete dal 2003, cioè da tre anni. Penso - e deduco anche dalle vostre parole - che il progetto di La7 stia via via guadagnando maggiore visibilità. Si comincia a notare che stiamo cercando di costruire una rete televisiva in senso pieno, con una radice forte nell'informazione, sia hard (i telegiornali), sia soft (gli approfondimenti), per la quale secondo me La7 si distingue in maniera molto netta. Ieri sera è ripresa la trasmissione 8 e mezzo, con Ferrara, stasera riprendono L'infedele, con Lerner, Omnibus, e via dicendo. Credo si tratti di trasmissioni e di nomi che voi conoscete e seguite, per nostra fortuna.
Oltre a questo, vi dicevo, abbiamo allargato la nostra offerta anche a trasmissioni che rappresentano un incrocio tra intrattenimento e informazione (quest'ultima, ovviamente, giocata su un piano più leggero), come quelle di Chiambretti e Daria Bignardi. Secondo me, La7 sta via via assumendo un profilo più solido, pur mantenendo connotati, in termini di tono, distintivi rispetto alle altre televisioni. Credo che rappresenti un contributo ad un pluralismo che in Italia fa fatica ad affermarsi. C'è qualche freno a mano tirato da parte nostra? No. C'è solo un problema, di cui è più corretto che vi occupiate voi, anche se poi noi ne subiamo le conseguenze, che è quello dell'accesso alle risorse pubblicitarie.
Oggi investire, come stiamo facendo da anni, soldi in più su La7 significa perdere più soldi ogni anno, perché l'accesso al mercato pubblicitario è faticoso. Ed è tutto lì, non so come dire diversamente. Quindi, noi continuiamo a investire perché pensiamo che sia importante e perché un progetto di rete lo si misura nell'arco degli anni. Allo stesso tempo, si tratta di un progetto che è fortemente dipendente dalla possibilità di finanziarsi attraverso le pubblicità. Siamo una rete commerciale che non ha canone e che dipende soltanto dagli investitori pubblicitari. Vorrei sottolineare che gli ascolti, in controtendenza rispetto a quelli della televisione terrestre, stanno salendo. Le due tendenze che si stanno registrando negli ultimi cinque anni sono: crescita del satellite e diminuzione delle televisioni generaliste. Nonostante queste tendenze, all'interno del mondo delle televisioni free terrestri, La7


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sta crescendo. Questo, secondo me, è un segnale che ha intercettato un modo di pensare di una parte del paese.
Vorremmo continuare ad investire, nella speranza che questo non significhi avere più perdite, bensì che possa mettere in moto il volano degli investimenti.
Un'ultima rassicurazione, anche rispetto all'audizione precedente. Non c'è stata alcuna intenzione di spostare le redazioni delle news da Roma ad altri luoghi. Questa è un'informazione assolutamente non vera. Stiamo compiendo degli interventi rispetto ai nostri sistemi di emissione, ma questa è un'operazione che un'azienda deve obbligatoriamente compiere perché, avendo due reti, abbiamo ancora due emissioni, a Roma e a Milano. Dovendo andare verso un sistema digitale sempre più spinto, cercheremo di farle convergere in una. Si tratta di un fatto meramente tecnico, riguardante le modalità con cui emettiamo il nostro segnale. Quindi, non ha nulla a che vedere con le redazioni e le persone, che invece rimarranno dove sono.
Non ho altro da aggiungere. Penso che sul resto abbia risposto in modo esauriente il dottor De Chiara.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di La7 intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di emittenti locali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento alla questione delle regole e dei controlli, l'audizione di rappresentanti di emittenti locali.
Do il benvenuto ai rappresentanti delle emittenti locali presenti. È la prima occasione che abbiamo, in questa legislatura, di sentire alcune rappresentanze del mondo delle emittenti locali. Questa è la prima di molte occasioni, perché questa Commissione, rappresentando un punto di vista condiviso da maggioranza e opposizione, ha intenzione di occuparsi e di valorizzare moltissimo l'emittenza locale. Per questa ragione, anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul calcio che la Commissione sta svolgendo e che deve contribuire alla definizione di nuove regole (ricordo che è in corso l'esame del disegno di legge in tema di diritti televisivi), abbiamo voluto ascoltare una selezione di emittenti locali. È una selezione forse arbitraria, ma è un modo, in ogni caso, per ascoltare anche questo mondo di imprese della comunicazione, essenziale per il pluralismo nel nostro paese.
Il tempo a nostra disposizione non è moltissimo, quindi invito i rappresentanti delle diverse testate a svolgere delle brevissime introduzioni, a cui poi seguiranno le domande delle colleghe e dei colleghi della Commissione.
Do la parola al presidente dell'Associazione tv locali, Maurizio Giunco.

MAURIZIO GIUNCO, Presidente dell'Associazione tv locali. Cercherò di essere brevissimo. Inizio con un piccolo chiarimento.
Il dottor Filippo Rebecchini è presidente della Federazione FRT, la quale comprende, oltre alla televisione locale, anche le reti nazionali e quelle satellitari, che sono state audite separatamente dalla Commissione. Il sottoscritto, quindi, viene audito in qualità di presidente dell'Associazione delle tv locali.
Per quanto riguarda la questione della gestione dei diritti collettivi centralizzati, la posizione della FRT è di sostanziale neutralità. L'esperienza dimostra, infatti, che sia la gestione centralizzata sia quella individuale hanno determinato degli effetti positivi o negativi a seconda delle specifiche situazioni.
In ogni caso, occorre sottolineare che il disegno di legge di delega n.1496 sembrerebbe limitare la commercializzazione in forma centralizzata dei diritti al solo mercato nazionale, non specificando come debba essere disciplinato l'ambito locale. Per quanto attiene al prodotto di maggior valore economico e di maggior rilievo in


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termini di ascolto, la diretta integrale, occorre consentire alle emittenti locali di concorrere liberamente in sede di offerta. A questo proposito, soprattutto per il campionato di serie B, per la Coppa Italia TIM e per la serie C, è accaduto - e accade tutt'oggi - che i grandi operatori nazionali, in primis la RAI, abbiano acquistato il pacchetto completo di tutte le partite del campionato, senza mandare in onda gran parte di queste, con grave danno, peraltro, all'informazione del territorio. In tal caso, riteniamo che sarebbe opportuno prevedere una sorta di obbligo di messa a disposizione delle singole partite - evidentemente dietro un corrispettivo concordato - a favore di una o più televisioni locali che interessano il territorio.
La questione è di stringente attualità, soprattutto per la Coppa Italia e per la serie C. Per quanto riguarda la Coppa Italia, l'intero pacchetto non è ancora stato acquistato perché le richieste della Lega, a detta degli operatori, erano sostanzialmente sproporzionate. Stiamo arrivando alla seconda parte della Coppa Italia senza che la Lega intenda «spacchettare» questo pacchetto e sembra che all'orizzonte non vi siano interlocutori. Chiediamo, quindi, che la Lega proceda ad uno «spacchettamento» e alla vendita dei diritti - laddove non vi siano coperture dell'intero pacchetto - delle singole partite, per consentire alle emittenti locali di partecipare.
Sempre al fine di garantire un'ampia informazione territoriale, generalista e gratuita sul territorio, sarebbe opportuna una raccomandazione affinché le differite integrali delle partite di tutte le serie siano accessibili alle emittenti locali. Questo perché, evidentemente, non tutta la popolazione si può permettere di comprare l'evento. Potrebbe essere consentito alle emittenti locali, attraverso questa formula, la trasmissione in seconda battuta dell'evento, affinché la popolazione ne possa fruire in modo gratuito.
Un analogo ragionamento va fatto sugli highlights che le tv locali trasmettono ormai da diversi anni, attraverso accordi con Sky, RAI e Lega calcio. Quest'ultima distribuisce il prodotto highlight alle emittenti locali attraverso media partners. Si tratta di un prodotto evidentemente fondamentale per le emittenti locali, in quanto, non avendo la diretta delle partite, interessano il loro territorio con trasmissioni informative che necessitano, a posteriori, dell'utilizzo delle immagini.
Su questo punto, fino ad oggi, sia pur con grande difficoltà, siamo riusciti ad ottenere le immagini, ma sarebbe necessaria una raccomandazione per il futuro. Sono raccomandazioni che riteniamo auspicabili, soprattutto, per il mantenimento di queste immagini, la cosiddetta library. Evidentemente, le emittenti locali, dopo aver acquistato gli highlights, tengono in repertorio una serie di immagini che utilizzano poi nelle trasmissioni future, addirittura l'anno successivo, per fare dei paragoni fra quanto avvenuto l'anno precedente e quello successivo.
A questo riguardo, la Lega ci ha più volte chiesto di limitare la trasmissione degli highlights, e quindi della library, in 48 ore. Fino ad oggi siamo riusciti, però, a resistere, dato che la creazione di library è un fatto, per noi, assolutamente fondamentale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MAURIZIO GIUNCO, Presidente dell'Associazione tv locali. Concludo subito dicendo che condividiamo sostanzialmente quanto indicato al comma 2, lettera e), dell'articolo 1 del disegno di legge di delega, laddove ci si riferisce alla importanza e alla specificità delle emittenti locali. Segnaliamo, però, che questo principio, per manifestarsi, ha bisogno di linee di indirizzo, senza dubbio, più dettagliate.

LUCA MONTRONE, Presidente di Telenorba. Il problema che credo sia opportuno evidenziare è l'importanza del ruolo delle televisioni locali in questo paese, soprattutto per due ragioni. La prima è che occorre garantire il pluralismo dell'informazione, che non c'è; la seconda è che si avverte la necessità di sostenere lo sviluppo dell'economia del paese, in particolare


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delle pubbliche e medie aziende che rappresentano il 70,2 per cento del prodotto interno lordo e che, invece, vengono di fatto soffocate.
Il duopolio RAI-Mediaset, che rappresenta un ascolto intorno all'85 per cento, riesce, attraverso la forza della pubblicità, a far crescere soprattutto le aziende multinazionali, mentre finisce col soffocare le piccole e medie imprese in Italia. Infatti, la capacità di vendere prodotti da parte delle piccole e medie aziende nel nostro paese è affidata esclusivamente, nel nostro settore, alle televisioni locali, che rappresentano solo il 6 per cento.
Il problema del duopolio che ha soffocato lo sviluppo dell' economia del paese è documentato. Al riguardo, lascerò ai componenti della Commissione una lectio che ho tenuto in occasione della laurea honoris causa in economia e commercio che mi è stata conferita. In quella documentazione troveranno la spiegazione di ciò che sostengo e nessun economista riuscirà a dimostrare il contrario.
Considerata l'importanza delle televisioni locali per lo sviluppo dell'economia del paese e per il pluralismo dell'informazione, è necessario, a partire dal problema calcio, che questa situazione si sblocchi.
Si punta a vendere i diritti collettivi. Chiaramente, i diritti collettivi finiscono in mano ad un solo soggetto e, quindi, la concentrazione si perpetua. Mi sembra che il ministro abbia presentato una proposta che va nella direzione di una maggior apertura al libero mercato, dividendo il settore satellitare dal settore analogico, dal settore del telefonino e da quello del digitale terrestre.
Proponiamo che, accanto a questi settori, vi sia anche quello delle televisioni locali. I diritti devono essere venduti anche a queste ultime, non solo, separatamente, ai quattro settori sopra citati. Laddove i prezzi siano inaccessibili, i diritti devono essere comunque venduti, a costo di andare all'asta.
Si pone comunque il problema del diritto dei cittadini ad essere informati e quello del rispetto della Costituzione italiana. Una partita di calcio è informazione (si tratterrà, eventualmente, di informazione sportiva). È vero che si tratta di una telecronaca, ma è anche vero che, spesso, la stessa RAI sostituisce il notiziario con la partita. Il diritto del cittadino ad essere informato non viene violato nel momento in cui la RAI, per esempio, compra le partite e poi non le manda in onda in quanto dispone di molte risorse e se lo può permettere? Ebbene, quelle partite devono poter essere comprate anche dalle televisioni locali, non imponendo un prezzo al quale nessuno può comprarle, ma mettendole all'asta ogni volta che non si riesce a venderle al prezzo desiderato (come per un immobile che, se non viene venduto, va all'asta ed il giudice è tenuto a venderlo).
Concludo, ribadendo che è necessario, per il pluralismo dell'informazione, lo sviluppo dell'economia del paese e il diritto dei cittadini ad essere informati, che questa concentrazione, che continua anche in tema di calcio a pesare sulla testa degli italiani, venga eliminata. Invito, quindi, la Commissione ad esprimersi in questo senso e ad approfondire la questione.

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Rappresento l'emittente locale Videolina della Sardegna. Reputo di dover richiamare l'attenzione, in particolare modo, sul fatto che la Sardegna e la Valle d'Aosta, nel mondo televisivo italiano, sono state chiamate a partecipare alla transizione dall'analogico al digitale, che ci sta coinvolgendo e che per molte emittenti locali sta comportando dei costi notevolissimi.
Sottolineo, in tal modo, come l'emittenza locale svolga, anche in situazioni di avanzamento tecnologico, un ruolo molto importante che, solo parzialmente, le viene riconosciuto.
Il presidente della RFT, la Federazione delle emittenti locali, così come anche il presidente Montrone, hanno posto l'attenzione sul fatto che l'articolo 1, al comma 2, lettera e), sottolinea che debbono essere salvaguardate le esigenze delle emittenti


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locali. Questo è un buon auspicio, sul quale non è stata fatta, però, alcuna precisazione.
Esiste sul tavolo la proposta, del presidente Montrone, di equiparare il circuito delle televisioni locali - se non ho capito male - alle altre piattaforme. È un discorso problematico, perché quando tutti transiteremo, progressivamente, al digitale, sarà difficile fare le distinzioni. Certo è che le emittenti locali - credo che sia il caso di richiamarlo in questa sede parlamentare - rappresentano 600 emittenti, che distribuiscono stipendi per circa 120 milioni di euro. Come, però, hanno affermato il presidente Montrone ed il presidente Giunco, non è solo un fatto di economia, ma è anche un fatto di cultura ed informazione, in quanto le emittenti locali sono le uniche che, nel territorio, riescono a dare un'informazione capillare, essenziale per i cittadini, garantendo così il pluralismo. Basti guardare il caso della sola Sardegna, dove ci sono quindici emittenti locali. Quindici voci che parlano e nessuna comunicazione guidata: è il meglio dell'informazione che si possa avere.
Per salvaguardare le emittenti locali, quindi, bisogna sicuramente adottare dei provvedimenti per quanto riguarda il calcio (che è una delle fonti principali di economia nel mondo televisivo) e trovare delle soluzioni che ci salvaguardino.
Voglio, infine, richiamare l'attenzione su un punto che, per mancanza di tempo, il presidente Giunco non ha citato. Riguardo al libero esercizio del diritto di cronaca, infatti, noi dobbiamo poter entrare negli stadi liberamente, per fare la cronaca (azione che qualche volta abbiamo difficoltà a fare).

GIOVANNI PEPI, Condirettore responsabile di TGS telegiornale di Sicilia. Vorrei partire proprio da dove ha concluso chi mi ha preceduto. La gestione rigida nella commercializzazione dei diritti televisivi - dobbiamo dirlo con chiarezza, poiché è una tematica generale - è incompatibile con l'esercizio del diritto di cronaca, che trova il suo presupposto nelle norme della Costituzione.
Per spiegarmi, vorrei citare solo due esempi. Se è in corso un concerto di Fiorello, tutti consentono che io mi colleghi telefonicamente con un cronista presente al concerto, il quale, senza far sentire Fiorello che canta, può raccontare come il cantante è vestito, a che ora è cominciato il concerto o quanta gente è presente. Oggi, questo non è possibile per una partita di calcio. È una violazione del diritto di cronaca! In secondo luogo, conclusa la partita, io non posso dare notizia delle azioni che si sono svolte in campo, se non dopo quattro o cinque ore. Nel caso in cui la partita finisca alle 16, posso dare conto delle azioni solo dopo le 20,30. Nel caso di un posticipo, posso dare notizie solo dopo mezzanotte.
Questa preclusione e violazione assoluta del diritto di cronaca ha una conseguenza economica devastante, perché segna il discrimine tra grandi emittenti, che hanno mezzi e risorse, e piccole emittenti, che non li hanno.

SANDRO PARENZO, Presidente di Telelombardia. Cercherò di farvi recuperare il tempo perso. Sarò brevissimo, e direttamente pragmatico.
Il pluralismo è un concetto un po' astratto. In concreto, se ne parla solo quando vi è accesso da parte di tutti alle risorse. Questo non avviene. Noi rappresentiamo, in questo momento, per quanto riguarda il calcio, l'unica informazione gratuita. Mi risulta, infatti, che, con il digitale terrestre, Mediaset venda il calcio a pagamento, e lo stesso avviene per la La7. La RAI ha un canone e il satellitare sappiamo come funziona.
Noi offriamo informazione gratuita, spesso anche con risultati abbastanza straordinari. In passato, abbiamo trasmesso una partita di calcio insieme a molte emittenti, tra l'altro qui presenti, e abbiamo battuto RAI e Mediaset. Abbiamo dimostrato che è possibile farlo tutti insieme. Adesso ognuno interviene, parlando della propria emittente, ma le emittenti consorziate - noi spesso ci consorziamo, occupandoci del calcio insieme - rappresentano buona parte del territorio e, molto


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spesso, anche in Lombardia, con ascolti che raggiungono anche il 5 o il 7 per cento. Vi inviterei, pertanto, a ragionare molto sull'accesso alle risorse. Il problema (che tocca, forse, solo marginalmente questa Commissione, mentre riguarda in modo particolare il ministro Gentiloni) è che non esiste pluralismo se non vi è accesso alle risorse per tutti. Questo oggi non si riscontra per meccanismi che, quando vorrete, vi spiegheremo.

PRESIDENTE. Non direi che ci riguarda solo marginalmente, dottor Parenzo. La nostra Commissione, insieme alla IX, ha competenza su tutte le politiche della televisione, della comunicazione e dell'emittenza, e noi intendiamo esercitare tale funzione attivamente in questa legislatura.
La questione dei contenuti, che è la competenza vera della nostra Commissione, è sempre stata posta in secondo piano rispetto alla questione degli assetti.

SANDRO PARENZO, Presidente di Telelombardia. Questo mi fa piacere sentirlo, perché, spesso, quando si parla di cultura, lo si fa in certi termini, e mi rifaccio anche alla lezione gramsciana.

GIOVANNI MAZZONI, Presidente di Rete 7. Non posso che condividere quanto è stato detto fino ad ora dagli altri colleghi.
Sottolineo solo un aspetto. Capisco che questa Commissione è stata chiamata a discutere di un argomento che ha avuto un coinvolgimento particolare a livello nazionale e che, quindi, si interessi di calcio. Dobbiamo però tenere conto che il calcio non è solo quello di serie A e che non è l'unico sport italiano.
Cosa accade nelle televisioni nazionali, rispetto alle televisioni locali? Trattano il calcio come unico vero sport e penalizzano, dal punto di vista televisivo, gli altri sport. E questo non tanto perché non sono interessanti, quanto perché possono - è una mia considerazione, che lascio a voi valutare - ridurre, in qualche modo, l'interesse verso il calcio, che è lo sport principale.
Intendo dire che, per esempio, la serie C, che rappresenta 90 città italiane dove si giocano partite ogni domenica, ha un bacino di utenza straordinariamente interessante. Nonostante questo, nessuno si può permettere di vedere, né a pagamento, né gratuitamente, né in altro modo, le partite di calcio della serie C.
La Commissione dovrebbe prendere in esame anche questi aspetti. Se è vero che ci sono i grandi sport, è altrettanto vero che le televisioni locali non possono essere marginalizzate su tutto, in particolare sulle altre alternative. Sky non voleva comprare neanche la serie B, tanto per essere concreti, e nessuno vuole comprare la serie C, perché costa troppo. Ad esempio, a Reggio Emilia, la Reggiana può interessare, così come a Bologna può interessare una squadra di serie C.
Per quanto riguarda lo sport minore, esso ha una grande difficoltà a sopravvivere in ragione del fatto che non trova gli sponsor. Gli sponsor, però, si trovano grazie alla visibilità. Non è pensabile che la visibilità debba essere garantita da una trasmissione mandata in onda alle tre del pomeriggio su una televisione nazionale che si limita ad un flash. Ci sono altre realtà regionali che sono capaci di trasmettere attraverso i sistemi che oggi la tecnologia offre (satellite e quant'altro) e che possono fornire questo aiuto. Chiedo che venga tenuto conto anche di questo aspetto quando si valuterà l'aspetto relativo ai diritti.

FABIO DADDI, Amministratore delegato di Telegranducato. Ringrazio la Commissione per questo invito. Dato che sono emersi tutti gli elementi principali della discussione, brevemente osservo che noi ci riconosciamo nelle considerazioni svolte dal responsabile della RFT.
Siamo una televisione che non partecipa a nessun tipo di sindacation e che non è inserita in circuiti. Dedichiamo una particolare attenzione agli highlights e alle library che, per le televisioni locali, sono importanti e, se non tenuti sotto controllo, possono diventare un costo insostenibile.


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Naturalmente, la liberalizzazione delle modalità per accedere alle risorse da investire o da reinvestire è un elemento importante ed essenziale per la televisione locale.
Inoltre, spesso la tecnologia va avanti molto più rapidamente delle leggi e noi, che stiamo trattando l'acquisto degli highlights, ci troviamo in una situazione per cui, dopo aver accettato l'invito ad avviare la sperimentazione del digitale terrestre, autorizzata e sollecitata dal ministero (abbiamo un canale digitale che copre Livorno e Pisa, ventiquattr'ore su ventiquattro), e comprando gli highlights, dobbiamo pagare qualcosa di più, perché il contratto prevede proprio la separazione tra l'analogico e il digitale.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni, invitandoli fin da ora ad essere telegrafici.

MAURO DEL BUE. Mi scuso preventivamente, perché fra poco dovrò recarmi in Assemblea per svolgere un intervento su una mozione.
Ringrazio gli esponenti di questo mondo variegato e importantissimo per la tenuta democratica e pluralistica del paese. Si tratta di un mondo che è particolarmente complesso e diversificato. Vi sono aziende piccole, medie e grandi che vi sorreggono e il vostro raggio di azione è a volte esclusivamente provinciale, a volte interprovinciale, a volte regionale, in qualche caso anche interregionale. Pertanto, la stessa nozione di televisione locale riesce difficile oggi da definire, più ancora che 30 anni fa, quando molte delle vostre aziende, nella prima metà degli anni Settanta, sono nate.
Non condivido l'idea della neutralità rispetto al tema dei diritti individuali o collettivi per la ripresa del calcio in televisione. Penso che il consenso trasversale che coinvolge le forze politiche parlamentari, al di là della loro collocazione, per quanto riguarda l'opzione sui diritti collettivi, sia, dal punto di vista della salvaguardia delle piccole società, e, quindi, in buona misura anche delle società che sono vostre referenti, un fatto positivo, in quanto si tratta dell'opzione maggiormente garantista. La trattazione dei diritti individuali significava, di fatto, provocare un maggiore introito per le grandi società, un minore introito per le piccole, nessun introito per le serie minori, che sono le vere penalizzate dal mondo televisivo. Sapete che fino alla serie B si ottengono finanziamenti. La serie C e la serie D sono assolutamente prive di finanziamenti dal mondo televisivo e, nel contempo, da esso penalizzate. Se viene trasmessa Milan-Inter in televisione, infatti, nessuno va allo stadio a vedere la piccola partita dei dilettanti o di serie C.
Concludendo questo ragionamento, vorrei dare qualche suggerimento. Ovviamente, non sono un tecnico; voi conoscete molto meglio di me il mercato televisivo di dimensione locale. Però, credo che tutto vada verso una direzione di maggiore solidità e di accorpamento. Il rappresentante di Telelombardia diceva che è giusto consorziarsi, che è giusto diventare più forti attraverso un rapporto maggiore tra di voi, eliminando le assurde competizioni, che non esistono. Nel mercato televisivo non esiste, infatti, la competizione tra Mantova e Brescia, tra Bergamo e Verona, tra Reggio Emilia e Modena. Ognuno ha il proprio referente, la propria squadra di calcio che interessa a livello locale e che non è in competizione con un'altra.
Dunque, le televisioni locali hanno la possibilità, da una parte, di diventare più forti, di consorziarsi e di essere soggetti diversi da quelli che sono nati negli anni Settanta, in dimensioni assolutamente inconsistenti e con un raggio d'azione esclusivamente locale; dall'altra, se la legge prevederà i diritti collettivi per quanto riguarda il prodotto televisivo sul satellite e lo «spacchettamento» dei diritti collettivi per il digitale, hanno la possibilità di svilupparsi attraverso il digitale (che alcune emittenti hanno iniziato ad utilizzare), traendo anche loro un vantaggio dalla legge di cui ci stiamo occupando.
Penso che la televisione locale, anche dal punto di vista tecnologico, dovrebbe


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fare un balzo in avanti e non rimanere ferma, se vuole sviluppare il proprio raggio di azione, che è importantissimo, peculiare e non sostituibile. Non c'è nessuno che vi può sostituire in questo momento. La dimensione della cronaca, della notizia e dell'approfondimento che voi fate a livello locale non può essere sostituita da un altro soggetto. Siete, dunque, soggetti senza competitori (se non tra voi, se non per le televisioni che insistono nello stesso territorio locale). Non avete una dimensione diversa che può competere con voi e sostituirvi.
Questa è la vostra grande ricchezza e peculiarità. Pertanto, lo sviluppo tecnologico può servire ad ottenere un vantaggio forte per quanto riguarda il prodotto che offrite, anche con riferimento alla possibilità di ottenere finanziamenti attraverso il mercato della pubblicità che vi sorregge.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALBA SASSO

PRESIDENTE. Vorrei invitare i colleghi ad intervenire per non più di un minuto.

EMERENZIO BARBIERI. Se abbiamo 15 minuti...

PRESIDENTE. Scusate, stiamo perdendo tempo. Prego, onorevole Giulietti.

GIUSEPPE GIULIETTI. Farò solo alcune osservazioni. Innanzitutto, voglio ringraziarvi, perché mi colpisce il fatto che in questo paese, nel settore televisivo, chi ha di meno urla di meno, mentre chi ha di più usa le audizioni per urlare, come se fosse una vittima. Vi ringrazio, quindi, per la vostra sobrietà.
Sarebbe interessante avere per iscritto alcune delle osservazioni che avete formulato. Questa audizione, come ha ricordato il collega Barbieri, è utile anche ai fini della presentazione di emendamenti al provvedimento all'esame della Commissione. Mi permetto di segnalare al presidente che la questione qui posta in merito al diritto di cronaca è tutt'altro che infondata, perché c'è un problema di esclusiva e di diritti. Questo paese ha una Costituzione che impone di bilanciare i diritti della proprietà con i diritti alla conoscenza. Il calcio non è una sub-materia. So che si tratta di un problema non facile, delicato. Ci sono problemi anche con il servizio pubblico radiotelevisivo e, talvolta, si è arrivati, anche per la radio, a situazioni kafkiane, in cui si è persino bloccato l'accesso in serie C.
Credo che sia una questione non infondata e pregherei di esaminarla con attenzione e di sottoporla al Governo, senza fare demagogia, perché si tratta di un servizio di interesse generale che state svolgendo e che ormai i grandi, per ragioni di mercato, tendono a non affrontare maggiormente.
Pongo una seconda questione, non in modo provocatorio, per il futuro. Mi riferisco alla questione inerente la telepromozione e le televendite. Questo settore è interessato non solo al tema del digitale, ma a che si «pulisca» il mercato della pubblicità. Infatti, mentre alcuni acquisiscono nuovi titoli nel settore sportivo, non si può continuare ad aumentare la concentrazione, drenando anche in sede regionale. Vorrei che il Governo avesse il coraggio di anticipare questo provvedimento in tale settore; altrimenti sarà opportuno porlo - so che su questo abbiamo posizioni comuni - in sede di legge finanziaria. Fra poco si affronterà l'esame del disegno di legge finanziaria e si dovrà discutere di tagli all'editoria e all'emittenza. Noi, in particolare, votammo un ordine del giorno volto al mantenimento del fondo per l'editoria e l'emittenza (parlo sapendo, talvolta, di poter entrare in contraddizione con il Governo). Credo che sia importante che questo impegno venga mantenuto.
Chiedo alla presidenza di ascoltare in sede di audizione non solo i rappresentanti del Governo, ma, quando si affronterà il problema dello sviluppo del digitale e delle politiche industriali, oltre a Mediaset, RAI e La7, anche gran parte del mondo dell'impresa, per capire quali sono i tipi di politiche industriali non clientelari


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che possono favorire davvero l'accesso al digitale. Mi sembra opportuno darci anche un percorso per i prossimi mesi.

PRESIDENTE. Ricordo che l'ordine del giorno richiamato dall'onorevole Giulietti è stato approvato all'unanimità.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Sono molto contenta di questa audizione, perché, nel corso della mia carriera artistica, ho avuto modo di conoscere molte televisioni private, in cui, molto spesso, si ha più spazio per esprimersi, senza essere interrotti e senza essere angosciati dagli ascolti, e dove, spesso, le rappresentazioni teatrali vengono promosse in misura maggiore di quanto avviene nelle televisioni nazionali.
Credo che sbagli chi considera la televisione locale come una televisione provinciale, in senso dispregiativo. Conosco bene la realtà di Telenorba e so che tipo di ascolti e di attenzioni ha in Puglia e in Basilicata, così come conosco Videolina. Si tratta di emittenti molto radicate nel territorio e che hanno anche molto ascolto. Vorrei avere qualche ulteriore informazione in merito ai dati e, come provocazione, vorrei, se possibile, conoscere il dato sull'ascolto globale di tutte le televisioni locali, per metterlo a raffronto con gli ascolti Auditel delle grandi televisioni, perché potrebbe dare l'idea della forza della televisione locale.
Ho letto molto attentamente la relazione che mi ha inviato l'ingegner Montrone e credo sia molto importante, anche a livello economico, il rapporto che le televisioni locali hanno con la piccola e media impresa per la valorizzazione del prodotto locale. Noi viviamo in un periodo in cui persino l'Italia, che è una nazione fantastica per quanto riguarda il cibo, ha tassi di obesità infantile sempre crescenti. Ritengo che la valorizzazione dei prodotti e della cucina locale sia un elemento importante e vitale.
In conclusione, credo che questa Commissione sia sensibile alla valorizzazione della risorsa rappresentata dalle televisioni locali. Il fatto che oggi vi sia la possibilità di trasmettere la notizia di una partita di calcio solo dopo quattro ore vuol dire che chi ha pensato alle partite di sera, probabilmente, non si è neanche lasciato sfiorare dall'idea che questo potesse arrecare un danno al diritto di cronaca delle televisioni locali. Su questo aspetto dovremmo riflettere tutti.

ANTONIO RUSCONI. Rinuncio ad intervenire, presidente.

GUGLIELMO ROSITANI. Intervengo soltanto per dire che Alleanza Nazionale è pienamente d'accordo con tutte le osservazioni e le valutazioni svolte. Sapete che noi abbiamo sempre prestato la massima attenzione nei vostri confronti. In questo senso, diritto di cronaca, «spezzettamento» e quant'altro ci trovano sensibilissimi e, quindi, vi appoggeremo senza alcun dubbio.

ROBERTO POLETTI. Sarò brevissimo, signor presidente. Mi trovo in una situazione di conflitto di interessi, perché, come sapete, sono dipendente del dottor Parenzo e lo sono stato in molte altre televisioni locali. Intendo esercitare nell'attività parlamentare di questa Commissione questo conflitto di interessi; conosco bene i problemi delle televisioni locali e, per una volta, voglio esercitarlo palesemente, stando al vostro fianco.
Mi sembra trasversale la solidarietà offerta alle televisioni locali, che non deve essere, però, a parole, ma va dimostrata anche con i fatti. Mi associo alle parole dell'onorevole Folena: occorre coinvolgervi più spesso nella nostra attività pratica e, quindi, vi incontreremo nuovamente con molta più calma. Mi scuso per i tempi limitati di oggi.

VITO LI CAUSI. Rivolgo un saluto a tutti i rappresentanti delle emittenti locali presenti. Ritengo che, con le nostre iniziative parlamentari, dovremmo favorire un diritto televisivo collettivo, senza alcun soffocamento da parte di nessuno, anzi con un'apertura al libero mercato e quindi


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alle televisioni locali, anche per il grande interesse generale che esprimono nel territorio.
Le televisioni locali meritano delle offerte di mercato che garantiscano sempre più, non dico la loro sopravvivenza, ma quantomeno la loro grande dignità. Dignità che hanno dimostrato anche oggi, con i loro interventi. Il dottor Pepi ha voluto approfondire la questione relativa al diritto di cronaca. Ebbene, credo che questo punto debba essere rivisto, perché non è giusto che chi fornisce l'informazione nel territorio debba essere obbligato a rispettare cose che sono veramente inaudite.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare a chi intendesse replicare che abbiamo a disposizione solo pochissimi minuti. Me ne scuso e concordo con le parole del presidente Folena: dobbiamo incontrarci in un'altra occasione con maggiore calma.

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Condivido quanto è stato affermato dal presidente in merito alla necessità di approfondire, anche all'interno di questa Commissione, le questioni che riguardano il mondo televisivo, il digitale terrestre e tutto quello che sta avvenendo in questo settore e che riguarda e interessa in modo particolare noi piccole emittenti locali.
Si tratta di un punto di svolta dal quale dipende la nostra sopravvivenza. La nostra morte comporterebbe tutti quei danni che i vostri rappresentanti in Commissione hanno sottolineato.

LUCA MONTRONE, Presidente di Telenorba. Solo un invito ad una riflessione: la pubblicità locale fa vendere di più il prodotto locale; un maggior consumo del prodotto locale comporta una maggiore produzione; una maggiore produzione implica maggiore occupazione. Nella grande distribuzione, oggi, a causa del duopolio RAI-Mediaset, si vende sempre più prodotto straniero e sempre meno prodotto italiano e locale. Meno consumo di prodotto italiano e locale significa meno produzione e più disoccupazione. Noi siamo utili a riequilibrare il sistema.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione. Ritengo che l'incontro odierno si possa considerare il primo di una serie di successivi incontri in cui avremo la possibilità di affrontare ed approfondire i temi che sono stati posti.

La seduta termina alle 16,25.