COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di marted́ 28 novembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTA PINOTTI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa, generale ispettore, Vittorio Colucci.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle servitù militari, l'audizione del direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa, generale ispettore, Vittorio Colucci, che ringraziamo per la sua presenza.
In occasione dell'ultima audizione, i commissari hanno formulato una serie di domande legate ad aspetti specifici. Ritengo, dunque, che l'audizione odierna possa essere particolarmente interessante, giacché le questioni sinora poste dai colleghi ci permettono di esaminare con maggior ampiezza l'oggetto dell'indagine avviata dalla Commissione.
Credo che il generale ispettore sia stato informato anche riguardo ai problemi sollevati nella scorsa seduta e che, quindi, alcune delle questioni poste potranno trovare chiarimento nella giornata odierna. Do la parola al generale ispettore Vittorio Colucci, affinché ci illustri la sua relazione.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale del lavoro e del demanio del Ministero della difesa. Signor presidente, onorevoli deputati, la mia relazione fa seguito a quanto già autorevolmente illustrato dal signor ministro della difesa in data 25 ottobre 2006 in questa stessa sede e si riallaccia a quanto riferito dal signor capo di stato maggiore dell'esercito in data 15 novembre 2006 e dal vice capo del IV reparto dello stato maggiore della difesa in data 8 novembre 2006. Infine, si fa presente l'intervento, presso la Commissione difesa del Senato, sui disegni di legge di bilancio e finanziaria del 2007 del sottosegretario di Stato per la difesa, Lorenzo Forcieri.
Come è stato annunciato, sono il generale ispettore capo del Genio aeronautico, titolare della direzione generale dei lavori e del demanio, nota anche con il nome telegrafico di «Geniodife». Pertanto, la relazione si svilupperà sul piano tecnico-amministrativo, entro i limiti di competenza che sono propri della direzione generale.
Prima di scendere nel dettaglio, occorre un inquadramento generale dell'azione amministrativa in senso lato, da cui deriva e si sviluppa - direttamente o in gran parte delegata - la procedura di dettaglio fino agli aspetti contabili.
Come ha già evidenziato il signor ministro della difesa, le servitù non sono altro che limitazioni che è necessario imporre all'uso degli immobili circostanti per il funzionamento delle infrastrutture militari. Le infrastrutture militari compongono, nel loro insieme, una fattispecie


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particolare, quali necessarie alla difesa nazionale. Per questa funzione, esse sono collocate ai più elevati livelli di priorità del pubblico interesse.
Com'è noto, per la loro realizzazione si adotta uno specifico strumento legislativo. Nondimeno, la collocazione delle infrastrutture sul territorio viene concertata in sede di comitato misto paritetico, a cui vengono proposti progetti, per i quali sono preventivamente acquisiti, quando richiesti, i pareri di enti che tutelano altri aspetti del pubblico interesse (Ministero dei beni e delle attività culturali, Ministero dell'ambiente ...). È utile ricordare che l'articolo 3 della legge n. 898 definisce il comitato misto paritetico «di reciproca consultazione per l'esame, anche con proposte alternative della regione e dell'autorità militare, dei problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e delle aree subregionali ed i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni». Quando in seno al comitato non viene raggiunta l'unanimità, ma sono state presentate proposte alternative, queste vengono poste all'attenzione del ministro della difesa, con relazione del direttore generale di «Geniodife».
Le infrastrutture militari sono progettate, costruite, gestite, tenute in efficienza oppure dismesse - quando non più utili ai fini istituzionali - da un complesso apparato, il Genio militare, composto di personale militare e civile con apposita preparazione nel settore tecnico-amministrativo, quale richiesta dalla legislazione di settore. Il regolamento dei lavori del Genio militare, emanato in ottemperanza al dettame dell'articolo 3, comma 7-bis, della legge 11 febbraio 1994 n. 109, conosciuta anche come legge quadro dei lavori pubblici, delinea specificamente le procedure e i soggetti addetti all'attività suddetta. Il regolamento elenca le categorie di opere che rappresentano le infrastrutture militari: aeroporti ed eliporti; basi navali; caserme; stabilimenti ed arsenali; reti, depositi carburanti e lubrificanti; depositi munizioni e di sistemi d'arma; comandi di unità operative e di supporto logistico; basi missilistiche; strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo; segnali ed ausili alla navigazione marittima ed aerea; strutture relative alle telecomunicazioni e ai sistemi di allarme; poligoni e strutture di addestramento; centri sperimentali di manutenzione dei sistemi d'arma; alloggi di servizio per il personale militare, anche con famiglia, da realizzare ai sensi degli articoli 4, comma 1, e 5, comma 1, della legge 18 agosto 1978, n. 497; opere di protezione ambientale correlate alle opere della difesa nazionale; installazioni temporanee per esigenze di rapido dispiegamento delle forze; attività finanziate con fondi comuni della NATO e da utenti alleati sul territorio nazionale.
Le infrastrutture militari inserite nei programmi di costruzione ed appartenenti a tali categorie sono di per sé considerate opere destinate alla difesa nazionale. Tali infrastrutture devono poter svolgere, in sicurezza, il servizio per il quale sono progettate e costruite e ciò può comportare di imporre delle limitazioni all'utilizzo degli immobili circostanti, fuori dal perimetro militare. Allo stesso tempo, va tutelata la pubblica incolumità e, dunque, le limitazioni sono anche volte a prevenire situazioni di pericolo per persone, animali e cose. Pertanto, dove sono situate le infrastrutture militari vi sono normalmente delle limitazioni di uso agli immobili circostanti, pur potendosi avere una notevole differenziazione in relazione al tipo di infrastrutture. Queste limitazioni, molto spesso, hanno tenuto al riparo dall'invasione dell'espansione edilizia immobili che oggi costituiscono un considerevole patrimonio sociale ed economico.
La situazione della distribuzione delle infrastrutture militari sul territorio e delle servitù connesse si è man mano evoluta nel tempo. Nel recente passato, ha visto la realizzazione di numerose infrastrutture NATO, soprattutto nel periodo della guerra fredda: allora, numerose infrastrutture, con pesanti ripercussioni sul territorio, sono state progettate e realizzate per soddisfare esigenze connesse ai requisiti


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operativi dettati da determinate ipotesi di offesa. Da ciò, derivano, tra l'altro, i criteri progettuali per gli aeroporti militari, la «shelterizzazione» o protezione di velivoli, i comandi protetti, i depositi munizioni e carburanti. Oggi, queste ipotesi di offesa sono diversificate, sono diventate multidirezionali: tale diversificazione comporta indirizzi al rinnovamento che, a sua volta, produrrà vario impatto sulle esigenze infrastrutturali e questo procedimento comporterà un processo di razionalizzazione di quanto effettivamente necessario ed un conseguente approfondimento nell'individuazione degli immobili dismissibili.
Per comprendere cosa, al momento, sia possibile fare nel settore vero e proprio dell'imposizione delle limitazioni delle servitù, occorre analizzare la procedura di dettaglio. È utile richiamare che, fino agli anni Settanta, l'esigenza di imporre servitù veniva disposta dagli stati maggiori di forza armata, quindi dall'autorità centrale, con criteri di priorità in relazione alla tipologia dell'impianto militare. Con l'entrata in vigore della legge n. 898 del 1976, che istituisce il comitato misto paritetico, sede di dialogo a livello territoriale tra amministrazione militare - e precisamente tra regione e comando territoriale - e amministrazione civile, la funzione impositiva del decreto di servitù è delegata al comandante territoriale. Quindi, si tratta di una delega di autorità portata sul territorio, per i civili alle regioni e, per i militari, al comando territoriale, mentre prima era gestita dal centro.
Il progetto di massima, costituito da una relazione tecnico-amministrativa e da una planimetria catastale, su cui sono riportati la posizione e il compendio delle zone interessate dalle servitù, viene elaborato dall'organo territoriale del Genio militare competente e sottoposto per via gerarchica fino agli enti centrali delle Forze armate per l'approvazione, in aderenza alle norme tecniche elaborate dal «Geniodife» ed emanate con decreto interministeriale dei ministri della difesa e dell' interno il 23 aprile del 1966. Si tratta di norme tecniche, tuttora in vigore, in base alle quali si calcolano queste limitazioni. Il progetto di servitù, una volta restituito e approvato dalle superiori autorità, è sottoposto all'approvazione del comitato misto paritetico competente per territorio. Laddove il progetto di servitù non venga approvato all'unanimità dai membri del comitato, lo stesso viene inoltrato alla direzione generale dei lavori e del demanio, «Geniodife». Quest'ultima propone, con motivata relazione, la determinazione del ministro della difesa (ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 898 del 1976). Se, invece, il progetto viene approvato all'unanimità, il Genio militare competente elabora il progetto definitivo, corredato dai costi necessari al pagamento degli indennizzi e dei contributi spettanti rispettivamente ai proprietari dei terreni e ai comuni del territorio interessato. I costi sono calcolati per tutto il quinquennio di validità del decreto. Ove le servitù comportino abbattimenti di manufatti situati nella aree asservite, si tiene conto dei costi degli abbattimenti. Per le servitù ai terreni è stabilito un indennizzo annuo pari al doppio del reddito dominicale agrario e per le servitù ai fabbricati un indennizzo pari al doppio del reddito catastale. Viene, quindi, interessato l'ufficio centrale del bilancio, e per conoscenza il «Geniodife», per la prenotazione dell'impegno provvisorio di spesa sul relativo capitolo addetto a pagare questi indennizzi.
Una volta ottenuta dall'ufficio centrale di bilancio la comunicazione formale dell'avvenuta copertura finanziaria, l'ente competente predispone i decreti di servitù a firma del comandante territoriale e il conseguente deposito presso la segreteria del comune interessato. Contestualmente al deposito, le servitù vengono pubblicizzate mediante l'affissione di appositi manifesti nel territorio comunale interessato. Trascorsi novanta giorni dalla data di inizio del deposito, il decreto diventa esecutivo; copia del decreto viene trasmessa, per informazione, agli enti centrali di forza armata, al «Geniodife», ai comandi e all'ente consegnatario dell'installazione militare, il quale è responsabile di controllare che la servitù venga rispettata.


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Per ogni anno di validità del decreto, l'ente di forza armata competente provvede alla quantificazione della spesa occorrente per il pagamento dei contributi e, sulla base delle domande pervenute, degli indennizzi dovuti ai sensi della legge. È da specificare che gli indennizzi vengono pagati dietro formali istanze dei proprietari, tramite il sindaco del comune, quale funzionario delegato, e sono calcolati in funzione dei redditi catastali, come detto, della quota di proprietà della superficie di terreno asservita e del periodo temporale di asservimento, mentre i contributi corrispondenti alla metà dell'indennizzo vengono pagati in contabilità speciale direttamente al comune interessato.
I vincoli di servitù così imposti possono essere di volta in volta derogati, su richiesta dei proprietari interessati, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 898. L'atto di deroga viene rilasciato dalla stessa autorità militare che ha imposto l'asservimento, previa verifica tecnico-operativa di compatibilità dell'opera richiesta in deroga da parte degli enti militari competenti.
I vincoli di servitù imposti possono essere motivatamente modificati, durante la validità del decreto quinquennale, con il medesimo iter procedurale previsto per la loro imposizione. Il decreto di servitù operante può essere revocato in qualsiasi momento dalla forza armata per cessate esigenze o per altri motivi, mediante decreto di revoca a firma del comandante territoriale competente, opportunamente depositato e pubblicizzato dal comune competente tramite affissione di idonei manifesti. Alla scadenza del quinquennio, se non viene rinnovato, il decreto di servitù decade automaticamente senza necessità di atti amministrativi: la procedura di rinnovo viene avviata circa un anno prima della scadenza naturale del decreto, ovviamente per non creare soluzioni di continuità. L'iter amministrativo per il rinnovo è corrispondente a quello che viene attuato per l'imposizione delle stesse servitù. Al riguardo, un aggiornamento del corpus legislativo e normativo potrà senz'altro snellire la procedura e contribuire a ridurre le limitazioni all'uso del territorio.
Gli effetti delle infrastrutture militari sul territorio dipendono dalla tipologia, dalla quantità, dai parametri dimensionali e, soprattutto, dalla collocazione geografica. Per quanto attiene alla tipologia, merita menzionare che, relativamente ai poligoni per addestramento a tiro individuale, di recente il «Geniodife», in conformità ai programmi elaborati dallo stato maggiore dell'esercito, ha realizzato dei poligoni suscettibili di essere trasportati e ridislocati. Attualmente, essi sono installati nelle seguenti località: Modena, Cuneo, Livorno, L'Aquila, Cesano, Trani e Messina. Tali poligoni non occupano alcuno spazio fuori dai confini del demanio militare e non richiedono imposizioni di alcuna servitù all'ambiente circostante, perché situati in galleria. In particolare, essi sono dotati di sistema di recupero proiettili, che evita il diffondersi nell'ambiente di piombo sublimato a seguito degli impatti del proiettile stesso sulla sagoma. Tali infrastrutture, rivelatesi molto efficaci, sono adoperate intensamente, per tutto l'arco della giornata, non solo per addestramenti di personale delle Forze armate, ma anche per addestramenti di personale dei corpi di polizia.
A seguito della caduta della cortina di ferro, si è determinato un mutamento della strategia, con conseguente impatto sulle infrastrutture, come è noto. Così è stato cancellato il progetto di costruzione dell'aeroporto militare a Crotone, destinato a dislocare gli F-16 USA; così è stata altresì smantellata la base di missili di Comiso, subito dopo che era stata costruita e resa funzionante; così sono stati cancellati i programmi di costruzione di manufatti «hardenizzati», ovvero progettati per resistere a determinate sollecitazioni, e così installazioni impiantistiche in grado di resistere ad impulsi elettromagnetici generati dall'esplosione di ordigni nucleari, ipotizzata una distanza limite. Per effetto dei mutamenti accennati, alcune categorie di infrastrutture vanno ridistribuite sul territorio nazionale, mentre


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va anche gradualmente sviluppandosi, attualmente, la categoria di opere definite come installazioni temporanee per rapido dispiegamento anche fuori dal territorio nazionale.
In definitiva, un complesso impatto infrastrutturale si va delineando, e la direzione generale è impegnata nella duplice attività di progettazione e realizzazione e di gestione demaniale del patrimonio infrastrutturale. Così, in estrema sintesi, ho delineato una materia molto complessa, ma resto a disposizione per ogni eventuale domanda.

PRESIDENTE. La ringraziamo, generale Colucci.
Premetto che, come a lei è ben noto, stiamo svolgendo questa indagine perché ci interessa partire da un dato oggettivo di informazione, ma anche capire se l'attuale dislocazione delle servitù militari sia compatibile con le esigenze territoriali: responsabilmente, infatti, come componenti della Commissione difesa, abbiamo interesse a capire sia le esigenze delle Forze armate, sia le rivendicazioni dei territori.
Nella parte finale della sua relazione, lei ha accennato anche a una nuova modalità di impianti non fissi su un territorio: su questa notizia, che rappresenta una novità, vorrei chiederle un approfondimento.
Inoltre, abbiamo assistito, in occasione delle ultime manovre finanziarie, a una serie di tagli trasversali che hanno riguardato i diversi ministeri, in particolare il Ministero della difesa: vorrei sapere se anche la parte di bilancio della difesa destinata agli indennizzi sia stata colpita o meno da questa decurtazione.
Do ora la parola al primo gruppo di colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FABIO EVANGELISTI. Vorrei, innanzitutto, ringraziare il generale Colucci per la sua esposizione molto ben documentata. Restando nell'ambito delle sue «strette» competenze - mi si lasci passare l'espressione -, egli ha dato un taglio estremamente tecnico ai suoi riferimenti, salvo, nella parte finale, nella quale ha esemplificato i cambiamenti in itinere.
Dal momento che il generale ha parlato dei decreti e delle procedure, chiedo se sia possibile avere, in termini schematici, un esempio di procedura di imposizione della servitù militare, di revoca o di rinnovo della stessa.
In verità, avrei anche un'altra domanda da porre, in queste ore, e mi dispiace di non aver colto l'occasione per rivolgerla, a suo tempo, al ministro della difesa. Per l'esattezza, sabato prossimo, a Vicenza, si svolgerà una manifestazione in merito ad una servitù sulla quale il Governo e le istituzioni locali sono chiamate a pronunciarsi: mi riferisco alla possibilità di allargare la base militare intorno all'aeroporto Dal Molin. Riguardo a questo tema specifico, avrei una questione da sollevare che mi riservo di riproporre in un'altra occasione.
Intanto, chiedo se sia possibile avere l'esemplificazione menzionata.

ANDREA PAPINI. Vorrei chiedere due chiarimenti al generale Colucci. Se ho capito bene, gli indennizzi muovono da una base di redditi dominicali e di redditi catastali: in proposito, vorrei sapere se la loro determinazione derivi - ope legis - dall'applicazione di criteri univoci su tutto il territorio nazionale - quindi senza nessuna possibilità di valutazioni discrezionali, legate a fatti territoriali che possono non essere riflessi adeguatamente né nei redditi dominicali, né nei redditi catastali - oppure no. La mia domanda è se, dunque, questa sia una base stringente o se vi siano, invece, degli elementi di discrezionalità. E, nel caso, vorrei sapere a quale ente sia affidata tale discrezionalità.
La seconda domanda riguarda la procedura di costituzione di nuove servitù. Quello che mi interessa capire, a questo punto, è la quantità di eventuali nuove servitù o variazioni significative di quelle esistenti; francamente, mi ero fatto l'idea che non fossero così tante. Vorrei capire, quindi, se vi sia effettivamente una mole significativa di queste procedure inerenti alla costituzione di nuove servitù.


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Concludo il mio intervento, riservandomi di formulare altre domande in seguito.

GIUSEPPE COSSIGA. Desidero anch'io rivolgere al generale Colucci alcune brevi domande, collegate ad altre già poste dai colleghi che mi hanno preceduto.
Signor generale, lei ha descritto il processo di imposizione della servitù, ovvero l'incontro tra il comando locale delle Forze armate e l'amministrazione locale, ed ha specificato che, qualora all'interno del comitato paritetico non sia raggiunta l'unanimità e siano state presentate proposte di modifiche, il ministro della difesa procede comunque. Il comitato, dunque, ha solo la funzione di tentare di appianare eventuali divergenze, ma è un organo puramente consultivo: dunque, nemmeno un ente territoriale di primaria grandezza come una regione a statuto speciale può impedire - al di là di questioni di opportunità politica generale - all'amministrazione di imporre la servitù in un'area che è stata già destinata a questo. Vorrei che mi chiarisse questo punto specifico, che vale per la Sardegna, ma rischia di valere anche per altre zone: se nessuno può bloccare l'eventuale scelta, sostanzialmente è il ministro che decide, non la regione.
La seconda domanda riguarda gli indennizzi. L'onorevole Papini ha parlato di redditi dominicali e di redditi catastali. Vorrei sapere se la procedura di definizione dell'indennizzo, anche per tenere conto di eventuali tipicità locali, sia negoziata oppure imposta.
Infine, come avrà visto, noi ci occupiamo di servitù ma, all'interno dell'indagine conoscitiva, affrontiamo anche argomenti che tecnicamente non sono servitù, bensì riguardano infrastrutture e beni demaniali. Alla luce di questa premessa, vorrei pertanto porre una domanda in ordine alle dismissioni. Sebbene la normativa di riferimento sia attualmente interessata da alcune lievi modifiche, vorrei ugualmente che lei ci illustrasse - in maniera semplificata, se ritiene - la dinamica procedurale sottesa all'attività di dismissione. È l'amministrazione della difesa, attraverso la sua direzione, che procede alla dismissione, quindi ha senso parlare di dismissioni dirette da parte del Ministero della difesa, oppure le dismissioni avvengono attraverso altre agenzie dello Stato, immagino facenti capo all'ex Ministero del tesoro? Insomma, vorrei che si chiarisse se, a dismettere, sia il Ministero della difesa o l'amministrazione generale dello Stato, attraverso tutti i suoi organi.

ELETTRA DEIANA. Non mi è chiaro (né ho potuto sinora appurarlo, essendo mancata ad una delle precedenti audizioni) - domando, al riguardo, delucidazioni anche al presidente - se nell'iter d'indagine previsto sia contemplata un'informazione approfondita sulla differenza esistente tra le servitù militari nazionali e quelle straniere; tuttavia, dal ragionamento del generale Colucci mi pare emergere una sovrapposizione delle due dimensioni o, perlomeno, una loro non netta distinzione. Mi sembra, infatti, che si sia accennato alle basi NATO e alle nuove strategie di collocazione di siti multidirezionali con proiettabilità fuori dal territorio nazionale. Vorrei, dunque, avere una precisazione relativamente a questo aspetto, che è il focus della sua relazione, generale, anche perché la parte riferita alle pratiche era chiara. In altri termini, le domando se l'iter burocratico-amministrativo sia lo stesso per quanto riguarda le servitù nazionali e le servitù straniere.
Ovviamente, per quanto riguarda le servitù straniere - ossia principalmente quelle statunitensi, oltre che NATO - il presupposto determinante dovrebbe essere l'articolo del Trattato NATO che permette la bilateralizzazione degli accordi. Conseguentemente, la collocazione delle nuove servitù militari dovrebbe rispondere alle esigenze di tale trattato. Da questo punto di vista, ad esempio, si consideri tutta la tematica alla quale alludeva prima il collega, relativa alla richiesta da parte delle autorità militari americane di trasformare il demanio militare dell'aeroporto Dal Molin in un allargamento della caserma di


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Ederle. Ai fini della nostra indagine, è dunque molto importante avere chiarezza in merito a questo elemento.
Relativamente ai compiti delle commissioni paritetiche, lei conferma che si tratta di una funzione sostanzialmente molto limitata: esse hanno una prerogativa di tipo consultivo e di mediazione fra le parti, laddove questo sia possibile. Vorrei capire se le cose stiano realmente così, facendo un esempio concreto. Mi limiterò a richiamare un episodio, ossia il riconoscimento - alla marina americana - della possibilità di costruire un insediamento a La Maddalena, cioè non solo di usufruire del diritto di approdo, ma anche di costituire quella che io ho definito una base ex novo e che il Governo (nelle risposte alle numerose interpellanze da me presentate nella passata legislatura), considerava semplicemente un risanamento della spiaggia (occupata da contenitori, materiali di risulta, e prodotti analoghi): in quella occasione, il comitato paritetico espresse un giudizio negativo, cui era però seguito il benestare da parte del Ministero della difesa. Le cose si sono poi evolute in maniera, a mio modo di vedere, positiva, poiché la fase vertenziale, aperta dal presidente della regione Sardegna, ha portato all'impegno, da parte della marina militare americana, di abbandonare La Maddalena entro il 2008.
Le rivolgo, dunque, questa prima domanda, generale, per comprendere le competenze reali di questi organismi territoriali, a fronte di quello che ritengo un elemento incontrovertibile. Vorrei avere conferma da lei - se conferma deve essere data -, anche su questo, ossia sul fatto che la destinazione d'uso militare del territorio nazionale è di stretta competenza, in ultima analisi, del ministro e, quindi, del Governo.

PRESIDENTE. Do ora la parola al generale Colucci per la prima parte della replica.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. Innanzitutto, per rispondere alle domande poste dal presidente, vorrei fare un accenno ai poligoni mobili. Essi sono composti da elementi che, una volta assemblati, realizzano un poligono in galleria. Per questa ragione, non hanno bisogno di servitù. Sono stati studiati per essere dei moduli trasportabili sulle reti stradali, hanno una determinata sezione che comporta una linea di tiro di otto persone e, una volta assemblati, misurano mediamente 100 metri di profondità. Si tratta di poligoni molto utili per la gran parte delle attività di tiro individuale, assai importanti per le operazioni di polizia e dei soldati fuori area al momento attuale. Ne abbiamo installati nel numero che ho riferito in precedenza. Ho citato anche alcuni esempi per mostrare come la tipologia dell'infrastruttura influenzi l'impatto sul territorio e come l'apparato militare, dove possibile, si ingegni per cercare di ridurre al massimo tale impatto.
Per quanto riguarda la domanda relativa ai tagli alla difesa, essi sono di ordine generale e non vanno ad incidere in modo diretto sulle servitù. Premesso che i tagli vengono spalmati sui diversi capitoli, la procedura che ho descritto in precedenza - forse tediosamente - in tutti i suoi passaggi procedurali prevede appositamente che il decreto di imposizione di servitù possa essere emanato solo dopo che, alla ragioneria centrale, sia stato registrato l'impegno quinquennale di spesa. Questo serve a fornire la massima garanzia che gli aventi titolo all'indennizzo vengano comunque pagati. Che poi i tagli possano divenire sempre più considerevoli, tanto da determinare gravi problemi rispetto alla funzionalità delle strutture, è altra questione. La procedura prevede, comunque, senz'altro che l'impegno di spesa - necessario a pagare questi indennizzi - avvenga a monte.
Quanto alla domanda dell'onorevole Evangelisti, relativamente ad un esempio concreto di imposizione di servitù, dico che indubbiamente le servitù - come ho affermato nella relazione - sono una conseguenza delle installazioni militari. Basti pensare alla base di Comiso: quando è stata allestita era un ex aeroporto militare


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e, di conseguenza, imponeva una determinata servitù sul terreno circostante. Una volta smantellata la base, la servitù stessa è stata revocata. Potremmo citare diversi esempi di nuove imposizioni o di revoche. Riguardo al caso particolare che è stato richiamato, credo che si siano seguiti i termini procedurali descritti precedentemente. Se, ad ogni modo, fosse possibile avere qualche domanda più specifica sull'argomento, mi sarebbe più facile rispondere. In genere, una riduzione di servitù viene fatta su richiesta degli interessati e viene presa in considerazione anche in relazione all'utilizzazione delle infrastrutture. Proprio in questo quadro di ampia trasformazione delineato, si collocano, ad esempio, alcune infrastrutture militari che al momento non sono adoperate ai fini istituzionali originari. Del resto, come ho detto, si tratta di una fase transitoria. Vi sono, poi, situazioni in cui il patrimonio infrastrutturale viene adoperato per funzioni diverse da quelle per le quali l'opera è stata originariamente costruita. In quei casi, evidentemente, si mette direttamente mano alle riduzioni di servitù: non appena possibile, le servitù vengono eliminate. Basti pensare ai tanti depositi di munizioni di cui sia cessato l'utilizzo per scopi istituzionali: in tali circostanze, le servitù ad essi connesse vengono naturalmente revocate. Bisogna, peraltro, tener presente che la servitù rappresenta un onere di un certo rilievo anche per il bilancio dell'amministrazione militare. L'organizzazione complessiva viene, dunque, gestita dagli organi territoriali e centrali, i quali hanno il dovere di stare molto attenti e di essere pronti a revocare o a ridurre immediatamente quelle servitù non più necessarie e - in casi molto più rari - ad allargarle, ove mai occorresse farlo.
Rispetto alle infrastrutture esistenti, già in uso da lungo tempo, non mi risulta si sia fatto un allargamento di servitù. Se servitù nuove vengono imposte, questo avviene in relazione a nuove opere collocate sul territorio: va detto, tuttavia, che da molti anni si sta sempre più portando avanti una politica di restrizione di queste servitù, anche in relazione al loro costo.
L'eventuale valutazione discrezionale - venendo alla domanda dell'onorevole Papini - non esiste. La valutazione avviene, infatti, rispettando parametri oggettivi: ogni località ha i suoi propri e quelli vengono adoperati. Si tratta, dunque, di un'operazione puramente aritmetica rispetto alle caratteristiche del territorio interessato, alla sua estensione ed ai parametri ufficiali esistenti. Nel procedimento amministrativo di determinazione della servitù non ci sono, quindi, elementi di discrezionalità.
In merito all'imposizione di nuove servitù, forse, la risposta è già contenuta in quanto ho detto rispondendo ad una domanda precedente: non esiste un piano di imposizione di nuove servitù, le quali devono essere - in maniera maggiore o minore - collegate con eventuali nuove opere, di cui sia programmata l'installazione sul territorio.

ANDREA PAPINI. Mi scusi se la interrompo, generale. Ho capito qual è la procedura e ciò che regola il sistema, ma vorrei comprendere se vi sia un aumento - o semplicemente un turn over - di nuove imposizioni, magari per compensarne altre venute meno, e quale sia il loro ammontare in termini percentuali. In sintesi, lei ci ha illustrato la procedura necessaria per imporre nuove servitù, ma tale procedura quanto viene applicata rispetto allo stock esistente? Mi interessa capire qual è la dinamica della procedura, non solo le norme che vi presiedono. Non so se mi sono spiegato bene, generale.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. Si è spiegato benissimo. La dinamica è strettamente legata all'utilizzazione di quelle infrastrutture per garantirne la sicurezza e il funzionamento, nonché, naturalmente, la pubblica incolumità, ossia per evitare pericoli a persone o cose che si trovano nelle vicinanze. Si tratta di un principio di buona amministrazione, di un criterio generale.

ELETTRA DEIANA. Ma questo è appunto un criterio generale, non è una


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dinamica...! Faccio mia la domanda del collega: vorrei sapere se siano in atto dei piani, dei programmi...

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. In questo momento, non ci sono programmi particolari di imposizione di nuove servitù. È prevista solamente una serie di rinnovi di contratti in scadenza. Se la domanda è, invece, relativa ad una programmazione effettiva, quantitativa...

ANDREA PAPINI. Scusi se la interrompo nuovamente, ma in questo modo rendiamo vivace il confronto. Se lei espone, in Commissione, le modalità di espletamento della procedura necessaria per imporre nuove servitù, personalmente, ne deduco che tale procedura abbia un suo senso, in quanto essa avviene. Voglio pertanto comprendere in che misura questa dinamica esista. Devo altrimenti desumere che lei ci abbia parlato di una procedura, di fatto, mai utilizzata, essendo molto rara l'istituzione di nuove servitù.
Vorrei soltanto capire se ci sia un ordine di grandezza capace di indicare in che misura esista un turn over, una sostituzione delle servitù, e in che misura ne vengano istituite di nuove. Vorrei capire, insomma, quantitativamente questa dinamica, e sapere se esista o se invece, di fatto, si faccia riferimento alle sole strutture già esistenti.

PRESIDENTE. Esatto, onorevole Papini. Questa è anche una domanda sull'identità della nostra indagine conoscitiva: può servire, una volta conosciuta l'entità, a modificare l'esistente, o in ogni caso l'esistente non è modificabile? La domanda vuole arrivare a capire se la situazione esistente sia di tale fissità da non potere essere messa in movimento o se, invece, si possano assumere orientamenti in questo senso.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. La situazione attuale è quella descritta nell'indagine da noi svolta per poter fornire al ministro gli elementi illustrati nella tabella da lui presentata nel corso della sua audizione.
In relazione a questa situazione, ci sono infrastrutture di durata quinquennale, le cui scadenze sono previste in momenti differenziati: se, nel corso del quinquennio, non accade nulla che ne faccia venir meno la necessità, quelle infrastrutture sono destinate ad essere rinnovate. Nella dinamica di questo processo è quindi previsto il rinnovo delle servitù.
La revisione totale delle installazioni militari, adeguate ai bisogni momentanei, emergenti sul territorio, coinvolge un quadro di indagine ben più ampio, perché si tratta soprattutto di individuare e di fare una revisione, a monte, di ciò che serve rispetto agli scopi istituzionali attuali: alcune limitazioni verranno evidentemente meno, nella misura in cui viene meno l'utilizzazione di quelle infrastrutture. In questo momento e in questa sede, non sono, però, in grado di dire, relativamente a ciascuna installazione, se vi sia o meno una servitù e se essa debba essere rinnovata, ma posso comunque informarmi per fornire risposte puntuali in merito.
Venendo alle domande dell'onorevole Cossiga, egli ha chiesto cosa accadrebbe se non vi fosse accordo in seno al comitato per le servitù militari e qualcuno ha sostanzialmente ripetuto la domanda, in riferimento al caso in cui non si raggiunga l'accordo, in merito all'istallazione di nuove infrastrutture. Il comitato misto paritetico - come è stato implicitamente detto nelle domande - ha una funzione consultiva. Ciò consente due sole alternative: il raggiungimento o il non raggiungimento dell'unanimità nelle decisioni. Quando non c'è unanimità in merito all'imposizione di nuove servitù, la questione viene indubbiamente rappresentata al ministro della difesa, con la relazione del direttore generale e con la proposta di possibili alternative, sentendo ovviamente gli organi operativi. La decisione finale spetta al ministro della difesa. Contro le sue decisioni si può, però, fare ricorso alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Presidente può decidere direttamente o


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portare la questione in seno al Consiglio dei ministri. Nel caso in cui la questione venga portata in Consiglio dei ministri, è invitato anche il presidente della regione interessata. Questa è la procedura.
La domanda posta dall'onorevole Cossiga sulle dismissioni in generale richiede indubbiamente più tempo ed un discorso più articolato. Egli chiedeva di indicare il soggetto competente per il procedimento di dismissione e di delineare tale procedimento. Com'è noto, la competenza deriva essenzialmente dalla contabilità generale dello Stato e il proprietario finale dei beni infrastrutturali non è l'amministrazione usuaria, ma l'amministrazione finanziaria. Dal 1996, è in vigore una norma speciale contenuta nell'articolo 3 della legge n. 662, che conferisce all'amministrazione militare, per determinati beni, ed entro un limite massimo di importo presunto, la facoltà di compiere specifiche attività. I beni vengono individuati singolarmente, con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, quindi la decisione viene concertata tra tutti gli enti interessati, prima fra tutti la stessa amministrazione finanziaria. L'amministrazione della difesa, dunque, non ha mai avuto la piena libertà di decidere su questi beni; le sue decisioni sono sempre state adottate in base a quanto veniva stabilito nei decreti. In tali casi, l'amministrazione della difesa era autorizzata ad alienare, permutare e trattare direttamente questo tipo di beni, cosa che essa ha fatto e che, in alcuni casi residuali, sta ancora terminando di fare.
La gestione dei beni demaniali è ovviamente un'attività che, per quante norme speciali possano esistere, deve sempre essere concertata con l'amministrazione finanziaria. Basti dire che, per la vendita residuale dei beni cui si riferiscono i due decreti del Presidente del Consiglio, precedentemente richiamati, l'amministrazione della difesa ha stipulato una convenzione con l'Agenzia del demanio. Tale agenzia, proprio ai sensi della norma speciale, è quella società a capitale pubblico che, operando per l'amministrazione della difesa, stima il valore dei beni immobili. Tali stime vengono poi sottoposte al parere consultivo di una commissione interministeriale di congruità. Quando la commissione ha espresso il parere, il valore presunto di base dei beni viene registrato dalla ragioneria, dopodiché i beni vengono venduti con procedura concorsuale. Questa è la procedura applicata dall'amministrazione della difesa.
Le varie manovre finanziarie che si sono succedute hanno introdotto modifiche e rettifiche: è avvenuto con la legge finanziaria per il 2006 ed anche ora, con il disegno di legge finanziaria per il 2007, si sta delineando un nuovo quadro. In questo ambito, i ruoli vengono definiti in modo leggermente diverso, ma la responsabilità di individuare il patrimonio dismissibile rimane, ovviamente, sempre dell'amministrazione militare, in quanto amministrazione usuaria. Questa operazione - compiuta sulla scorta di un'approfondita analisi, che si va a coniugare con l'impatto di tutte le trasformazioni a cui ho fatto rapido cenno, durante la mia esposizione - delinea il patrimonio globale effettivamente disponibile, da mettere in vari pacchetti. La legge finanziaria stabilisce termini ben precisi, tempi piuttosto stretti per comporre questi pacchetti, e le varie strutture tecniche ed amministrative si stanno già muovendo. Dovendo tali pacchetti avere una composizione ed un valore, la loro definizione comporta indubbiamente una profonda azione di concertazione tra le due amministrazioni: l'amministrazione cedente deve ovviamente essere consapevole di quello che cede, nonché compartecipe nello stabilire l'entità ed il valore del pacchetto. Esso viene poi passato all'amministrazione finanziaria e, attraverso la stessa, all'Agenzia del demanio, per essere poi successivamente alienato.
Questa è la procedura delineata nella finanziaria - lor signori la conoscono meglio di me -, per la quale ci accingiamo a svolgere le azioni tecnico-amministrative di competenza.

GIUSEPPE COSSIGA. Le modifiche introdotte anche in questa manovra finanziaria


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sono di dettaglio e si riferiscono, tra l'altro, ad alcune tipologie di operazioni direttamente effettuabili dall'amministrazione della difesa: mi sembra che ad essa, sia stata, ad esempio, riconosciuta la possibilità, in quanto usuaria, di provvedere alla permuta di una infrastruttura (mentre le altre procedure sono sostanzialmente rimaste invariate). In altri termini, se ho ben compreso, in base a tale previsione, l'amministrazione della difesa - reputando che una determinata caserma, in centro, non sia più necessaria - potrebbe chiederne al comune una equivalente in periferia e fare, così, un cambio con la prima. Potrebbe considerare, altresì, non più utile il forte di Alessandria e quindi decidere di passarlo al demanio, il quale poi dovrebbe stabilire se venderlo all'asta o dividerlo: vorrei mi chiarisse ulteriormente le questioni toccate con queste due ipotesi che non toccano argomenti dolorosi per nessuno.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. Una norma introdotta in occasione della manovra finanziaria contempla effettivamente queste permute, peraltro abbastanza necessarie. Per poter approfondire il solco di individuazione del patrimonio disponibile, è necessario, infatti, studiare a fondo quella trasformazione a cui abbiamo accennato precedentemente: mentre alcune infrastrutture sono già oggi abbastanza facilmente elencabili e potranno costituire il primo pacchetto, di cui è prevista la consegna agli inizi del 2007 - un altro pacchetto verrà consegnato verso la fine del 2007 -, per quello successivo, che è più consistente, occorrerà invece un approfondimento. L'origine di tale individuazione risale già ad un anno fa, quando sono avvenuti i primi sopralluoghi e diverse ipotesi sono state formulate in merito. Tali ipotesi sono, tuttavia, condizionate anche dalla necessità di riallocare le funzioni attuali del patrimonio che si potrebbe rendere disponibile. Ciò significa pianificare, progettare ed eseguire una serie di opere - dalla piccola trasformazione alla più o meno limitata nuova costruzione - per riallocare le funzioni degli immobili da dismettere: si tratta, dunque, di un procedimento da integrare, che è collegato alle permute, sia per una questione di finanziamento (l'amministrazione della difesa non è attualmente in grado di finanziare nemmeno queste nuove trasformazioni), sia perché, in un negozio di permuta allargato fra i soggetti e le amministrazioni interessate - che non possono che essere la Difesa, l'amministrazione finanziaria e le amministrazioni locali -, gli strumenti di gestione del territorio sono necessari alla stessa valorizzazione. Inserire queste attività - i lavori necessari per rendere più facilmente disponibile il patrimonio - nella stessa macro-operazione amministrativa che comporta la dismissione, essendo elementi ad essa propedeutici, potrebbe probabilmente accelerare il procedimento nel suo complesso. Quello che con la manovra finanziaria si è determinato dovrà, poi, essere verificato sul campo, nella prassi attuativa.
Riguardo alla questione delle basi NATO e delle basi nazionali ed estere, posta dall'onorevole Deiana, credo che la risposta fosse implicita già nella domanda. Sul territorio italiano vige la sovranità nazionale, nel modo più totale ed assoluto: essa non è stata ceduta su alcun lembo di patrimonio del demanio militare, che rimane sedime nazionale. Se esso è dato temporaneamente in consegna a terzi, secondo accordi bilaterali ed accordi NATO, questo accade per assolvere funzioni specifiche, collegate all'interesse generale rappresentato dalla difesa, evidentemente non intesa soltanto come forza contro forza ai confini, ma in senso allargato, secondo il concetto moderno. Quando parliamo, ad esempio, della base di Aviano, dobbiamo tener presente che l'utente è americano e che essa è stata realizzata con fondi NATO ed americani (alcune opere residuali sono state realizzate anche con fondi italiani, per esigenze del comando nazionale). Se, ad esempio, occorre imporre delle servitù per il funzionamento dell'aeroporto, parliamo di servitù che ci sarebbero comunque state e che non sono certamente state


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imposte per gli americani. Esse servono per le funzioni dell'aeroporto, che momentaneamente è adoperato dagli americani ma che, in futuro, potrebbe essere utilizzato da forze italiane o di altro tipo. Non parlerei, pertanto, di servitù NATO o a favore degli americani: sono servitù legate alla funzionalità dell'infrastruttura.
Abbiamo usato i termini «NATO» e «americano»: mi è sembrato di cogliere questa dicotomia anche nella domanda. A tal proposito, posso precisare che stiamo parlando di infrastrutture NATO che si trovano su territorio italiano. Da ciò consegue l'esistenza di una responsabilità italiana nel farle costruire e nel tutelarle, benché siano state pagate da fondi comuni NATO. Tutti i paesi della NATO, Italia compresa, partecipano con una certa contribuzione - e secondo una formula predeterminata di ripartizione dei costi - ad un fondo, da cui vengono poi attinte le risorse per realizzare le infrastrutture NATO programmate (che possono trovarsi in Turchia, in Grecia, in Portogallo...). Sono le risorse NATO che hanno finanziato, per la gran parte, l'ammodernamento della base di Aviano, dove attualmente operano gli americani, per funzioni collegate alla NATO stessa. Poiché la NATO finanzia solamente opere rientranti in determinati standard, ogni paese, per raggiungere un maggiore livello di efficienza, di vita, di benessere, può costruire opere pagate con fondi nazionali, che però rientrino nell'ottica della missione fondamentale della NATO. È ciò che abbiamo fatto noi, ad esempio, per molte grosse opere finanziate dalla NATO: quando si è reso indispensabile eseguire degli interventi che, pur essendo necessari, non rientravano nei criteri NATO, li abbiamo finanziati con fondi nazionali.
Le limitazioni vengono, dunque, poste con lo stesso criterio, indipendentemente dal fatto che le strutture vengano finanziate con fondi NATO o con fondi nazionali. Ribadisco, inoltre, che tutto ciò che viene costruito sul territorio italiano è sottoposto alla sovranità italiana.
Non so se la mia risposta sia stata esauriente...

ELETTRA DEIANA. Lei sostiene che servitù nazionali e servitù straniere siano uguali; io credo, invece, che siano sottoposte a statuti giuridici diversi, a criteri di classificazione diversi ed a memorandum di intesa specifici. Penso, per esempio, alle servitù delle basi in dotazione agli americani. Anche il problema della sovranità nazionale si pone diversamente: non c'è dubbio che, da un punto di vista giuridico, non ci sia alienazione del territorio nazionale, ma dal punto di vista pratico e fattuale ci sono elementi che sfuggono ad un esercizio reale della sovranità nazionale.
Per quanto riguarda l'inchiesta sulle servitù militari, questo è per me un punto essenziale per capire come stiano effettivamente le cose. Per essere chiara, alludo alla vicenda della rendition di Abu Omar, che ci ha posto dei problemi relativamente al funzionamento della base di Aviano e ne pone altri proprio in relazione allo statuto della base stessa ed alla possibilità che essa venga sottratta al controllo delle autorità italiane. L'intera questione delle basi straniere va considerata nella sua specificità: non può esserci questa sovrapposizione.
Anche i criteri della difesa e dell'interesse nazionale sarebbero tutti da discutere. Per quanto riguarda, ad esempio, la famosa questione dell'aeroporto Dal Molin, è da dimostrare che si tratti di un problema di interesse nazionale.
Dal momento che lei ci ha spiegato le procedure, chiedevo semplicemente se fosse possibile avere dettagli più concreti. Ad esempio, l'utilizzazione del territorio di Vicenza è partita dalle autorità militari americane: ebbene, qual è la procedura adottata al riguardo? Specifico che abbiamo una presenza significativa, sul territorio, di basi non NATO, ma americane, che è cosa diversa. Cosa accade quando l'intesa scade? Per esempio, qual è stata la procedura di verifica dell'utilità di Camp Darby - se non sbaglio, l'intesa relativa è scaduta nel 2003 - ai fini dell'interesse nazionale? In altri termini, vorrei sapere quali siano le procedure che presiedono al funzionamento delle relazioni, dei memorandum


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e delle intese tra lo Stato italiano e lo Stato alleato. Non credo che tali pratiche e procedure siano le stesse che stanno alla base del funzionamento di un poligono, di un aeroporto militare italiano o di un porto. Vorrei avere un chiarimento su questo aspetto.

PRESIDENTE. Aggiungerei, alla domanda dell'onorevole Deiana, quelle dell'onorevole Ascierto e dell'onorevole Betta, per dare poi nuovamente la parola al generale Colucci.

FILIPPO ASCIERTO. Più che porre una domanda vorrei chiedere l'assunzione di un impegno, e per farlo approfitto della presenza del generale Colucci in questa sede. Non mi appassiona molto la questione delle servitù militari, perché ho ben compreso quale fosse l'obiettivo - soprattutto della maggioranza - su questo tema, ossia capire quali infrastrutture oggi siano necessarie, soprattutto agli americani o alla NATO...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Ascierto, ma su questo devo interromperla, perché l'indagine conoscitiva è stata decisa in un ufficio di presidenza - concordi tutti i capigruppo - ed allo stesso modo ne sono stati definiti gli obiettivi, che sono agli atti. Fare illazioni sugli obiettivi di ciascuno è fuori luogo, in questa audizione.

FILIPPO ASCIERTO. Ciò non toglie che sia emerso...

PRESIDENTE. Questo rientra nella dialettica politica ma non è, in questo momento, negli obiettivi dell'indagine, la quale è stata decisa all'unanimità. Ognuno ha diritto di fare qui le considerazioni che ritiene ma, tra gli obiettivi dell'indagine, non è incluso l'intento di criminalizzare le basi NATO o le basi americane. Questo deve essere chiaro, anche perché la realtà è agli atti della Commissione.

FILIPPO ASCIERTO. Di questo prendo atto, presidente ma, essendo emerse le questioni di Vicenza ed Aviano, questo avevo dedotto. Ci sono tante caserme e tanti poligoni in Italia, eppure vi siete concentrati su questi.
Ad ogni modo, finita la polemica, al generale Colucci chiedo, per un'eventuale futura audizione - che si potrà poi prevedere -, di assumersi l'impegno di delineare un panorama delle dismissioni e di verificare, attraverso una proiezione, quali siano le reali possibilità di permuta che oggi abbiamo nelle infrastrutture utilizzate dalla Difesa. Circa sei o sette anni fa, il comune di Roma avanzò al Ministero della difesa una proposta di permuta di alcune caserme con alloggi militari: non se ne è più saputo niente. Sono state avanzate richieste di permuta anche da altri enti locali in giro per l'Italia: neanche a tal riguardo si è più mosso alcunché.
Lei ha parlato di pacchetti ed ha spiegato come funziona la procedura con il dipartimento del tesoro. Più che di pacchetti, però, mi pare si tratti di matrioske, perché non si è mosso niente, addirittura non si è vista neanche la vendita di un immobile. In merito, non voglio ottenere una risposta, mi piacerebbe, però, dedicare una seduta della Commissione a questo argomento per un suo approfondimento.

PRESIDENTE. Senz'altro, ne discuteremo in ufficio di presidenza, onorevole Ascierto. È un tema che abbiamo affrontato in vari momenti della discussione; il disegno di legge finanziaria introduce nuove procedure, per cui potremo senz'altro svolgere un'audizione su questo punto.

MAURO BETTA. Ringrazio il generale per averci spiegato le procedure per addivenire alla conferma o alla soluzione dei vincoli. Trovo la sua impostazione un po' più prudente, se confrontata con la riflessione che qui ha portato il signor ministro, il quale ha parlato di cinque direzioni di marcia: un'indagine da completare - ma in fase molto avanzata -, relativa alle servitù su tutto il territorio nazionale; la conferma di vincoli sulle installazioni militari, laddove ne esista una forte necessità;


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le installazioni di cui vi è ancora un'esigenza - e che servono alle nostre Forze armate - ma che hanno bisogno di una riconsiderazione, ricollocazione o ristrutturazione per l'utilizzo; le servitù militari che devono essere eliminate (ha parlato espressamente di una loro riduzione), anche mediante il meccanismo delle permute e degli accordi di programma (su questo ho una domanda specifica da porle, signor generale); la necessità di riconsiderare gli indennizzi privati perché giudicati, in molti casi, sia complessi nella fase di individuazione - il ministro ha parlato di riforma di aspetti procedurali - sia, dal punto di vista quantitativo, insufficienti nella considerazione delle esigenze di privati e degli enti locali, per quanto riguarda i territori sottoposti a servitù.
La mia domanda è questa: avrei bisogno di capire a che punto siamo con tali indagini - anche lei ha accennato a questo lavoro - e, soprattutto, mi interessa conoscere il dato economico e comprendere se sia stabilito per legge, come mi è parso di capire. Lei ha parlato di disposizioni tecniche riferite a questa normativa - della quale ricorre il trentennale - e legate al reddito catastale, al reddito dominicale, che sappiamo essere veramente poca cosa, in molti territori, anche rispetto ai valori odierni del mercato, considerato come si muove l'attività economica sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda, invece, le dismissioni, vengo da una regione dove, da molti anni, si firmano accordi di programma con le Forze armate. Abbiamo anche individuato alcune realtà - parlo di Trento e Bolzano - dove gli enti locali sono molto interessati a subentrare nella proprietà di infrastrutture. Esistono accordi firmati, anche con il versamento del corrispettivo ma, laddove si inserisca una differenza di procedura fra l'amministrazione delle finanze e quella militare, non riusciamo più a procedere. Vorrei, quindi, capire se su questo abbiate fatto una riflessione; ritengo infatti che - soprattutto se esiste la necessità di arrivare a delle permute, tramite l'accordo di programma - l'interesse dell'amministrazione destinata ad utilizzare queste strutture debba essere prevalente. Se il pagamento viene invece corrisposto all'amministrazione delle finanze, nulla garantisce che questi soldi siano finalizzati al Ministero della difesa: siccome conosciamo bene il funzionamento dei meccanismi dello Stato, mi sembra che questo intoppo procedurale debba essere risolto.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. Non ho motivi per sottrarmi alla domanda reiterata dell'onorevole Deiana, ma la risposta presuppone responsabilità che vanno al di là della direzione generale. Come direttore generale, posso dire che le servitù da noi applicate e gestite, da un punto di vista amministrativo, sono interessate dalle stesse norme e dalle stesse regole. Per quanto attiene all'utilizzazione, cioè alla continuità della necessità, per esempio, della base di Camp Darby, come pure della base di Aviano, questo rientra evidentemente in accordi stipulati ad un livello più elevato di quanto non mi competa. Sono comunque in grado di confermare che, in tutte queste strutture, è installato un comando italiano. Evidentemente, non posso entrare in merito alla capacità di controllo e alla possibilità di sfuggire ad esso: non saprei dire assolutamente niente in merito. Posso affermare, invece, che quanto viene costruito dagli americani in Italia, secondo la procedura - ognuno è poi responsabile di come la applica -, è sottoposto ad un controllo: si ha l'approvazione del programma di costruzione e del singolo progetto, cui segue un controllo nella fase esecutiva del progetto stesso, e controlli nella fase di realizzazione, di collaudo e di tenuta in efficienza, fino alla dismissione totale, da parte delle autorità italiane, attraverso una commissione mista costruzioni composta, ai sensi di un accordo bilaterale del 1954, da ministri italiani e ministri statunitensi.
Agli inizi, negli anni 1954 e 1955, c'era una commissione per ciascuna di queste opere; col tempo, le nostre strutture di controllo, proprio per carenza di personale, sono man mano andate atrofizzandosi.


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Soltanto recentemente si è installato, presso la direzione generale, un piccolo nucleo di quella che illo tempore era la sezione italiana della commissione mista costruzioni, che aveva sede a Livorno. Faticosamente, e soltanto recentemente, questa struttura ha cominciato ad avere del personale per poter fare un discorso più concreto, nell'interesse stesso degli americani, che hanno, così, un punto di riferimento più diretto, per quanto riguarda la parte puramente tecnica, inerente all'approvazione dei progetti. La parte tecnica diventa, a volte, molto importante anche nella sostanza, perché i progetti approvati rappresentano evidentemente una certa configurazione in relazione alle finalità del progetto stesso. I progetti approvati da autorità italiane, solo e soltanto quelli, vengono realizzati, ed unicamente per quelle funzioni sono destinati all'utente, sia esso americano, sia esso di un'altra nazione. Gli accordi internazionali prevedono che forze straniere alleate possano avere installazioni sul nostro territorio, così come noi - lo ha detto lo stesso ministro della difesa in questa Commissione - abbiamo dei siti collocati in altri territori. Non vorrei dare l'impressione di eludere la domanda, ma devo stare entro i limiti e, d'altra parte, non avrei materialmente la conoscenza sufficiente per rispondere oltre, al di là di quella che è la mia attività istituzionale d'ufficio.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Ascierto, rispondo telegraficamente. Innanzitutto, non è vero che non sia stato venduto alcunché; se ci sarà un'altra audizione parleremo di cosa si è fatto, come e perché. Per quanto riguarda l'accordo di programma con il comune di Roma, si tratta di un protocollo di intesa sul quale faticosamente si sta lavorando, ma non certamente per mancanza di buona volontà da parte dell'amministrazione. Gli oggetti delle permute che costituiscono il contenuto dell'accordo sono alloggi per famiglie, per i quali stiamo ancora cercando di individuare le aree più appropriate, sia in relazione alla disponibilità che il Comune stesso può avere, sia in relazione alle necessità dell'utenza. Un primo risultato - quello che è stato più facilmente raggiungibile - riguarda l'area di Vitinia, un'area militare definita dismissibile da uno dei due decreti del Presidente del Consiglio precedentemente citati. Attraverso l'Agenzia del demanio, ed ai sensi della convenzione citata, stiamo provvedendo ad un negozio di permuta di quest'area con alloggi che devono essere costruiti nell'area della Cecchignola, in cambio di questa località che il comune di Roma, adottando provvedimenti che prevedono una certa volumetria di costruzione, ha valorizzato. Ai sensi della legge, questa valorizzazione consente al comune di Roma di avere un'aliquota pari al 20 per cento della valorizzazione stessa, grazie alla quale il comune stesso ha comprato parte del sedime per farne un parco: ecco, dunque, uno dei primi risultati di questo lontano protocollo di intesa. È stato possibile svilupparlo fino a renderlo un accordo di programma, che stiamo trattando con tutti gli attori interessati: è un esempio calzante di come operazioni complesse di questo tipo debbano necessariamente coinvolgere tutti gli enti coinvolti.
Non vorrei aver dato l'impressione di essere più prudente di quanto non sia stato il ministro della difesa, me ne guarderei bene. Il ministro della difesa, come ho detto all'inizio, ha autorevolmente fatto la sua affermazione; personalmente, non ho voluto essere ripetitivo e, rispetto a quanto ha detto il ministro, nel mio intervento mi sono limitato a dire - è scritto da qualche parte - che la revisione dell'apparato normativo renderà più agevole questi procedimenti e più ristrette le servitù. Mi riferisco ai seguenti apparati normativi, che elencherò in ordine decrescente: anzitutto, le norme tecniche - predisposte dalla stessa direzione generale nell'aprile del 1996 - che stabiliscono criteri di distanza, pur lasciando una certa possibilità di esame caso per caso, nell'ipotesi che le norme stesse possano essere ulteriormente ristrette (si tratta di dimensioni massime in base alle quali, come detto nella mia relazione, il comandante territoriale può prendere in considerazione


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ipotesi più restrittive); in secondo luogo, il regolamento di applicazione della legge sulle servitù; infine, la stessa legge sulle servitù. Tutta la macro-revisione annunciata dal ministro - e che io ho ripetuto, seppur in misura forse meno esplicita - è effettivamente legata ad una revisione di tipo generale, legata a sua volta alla revisione di tutto l'assetto infrastrutturale sul territorio. Un gruppo di lavoro presso il Gabinetto del ministro sta sicuramente lavorando in questa direzione: esso sta elaborando dei criteri che si tradurranno in disposizioni pratiche. La direzione generale si è già prontamente attivata per produrre gli elementi che sono serviti anche all'indagine promossa dal Gabinetto del ministro; siamo quindi perfettamente in sincronia e a disposizione per attivare le nostre competenze su quanto il ministro stesso ha delineato.
Relativamente alla questione delle dismissioni previste dall'accordo di programma con Trento, oggetto di un'attività amministrativa in itinere di notevole importanza, c'è effettivamente un nodo specifico da sciogliere (parlando di questo, si può, forse, delineare un concetto più generale). L'amministrazione dello Stato ha istituito un accordo di programma quadro con la provincia di Trento: oltre all'amministrazione della difesa, che ha dato in contropartita dei beni dismissibili, sono coinvolte anche l'amministrazione finanziaria e quella giudiziaria, poiché nella permuta è prevista anche la costruzione di un carcere. Lo Stato dà alla provincia di Trento delle caserme dismissibili e ottiene, in compenso, alcune opere per la costruzione di una cosiddetta cittadella militare: un complesso di caserme (immobili che sono nel centro di Trento). Abbiamo sviluppato questo accordo faticosamente - come accade per tutti gli atti che si traducono in forme contrattuali complesse, e anche abbastanza nuove -, incontrando, quindi, difficoltà mai affrontate prima, che richiedono di essere assimilate e metabolizzate.
In questa fase, abbiamo anche effettuato gli espropri, individuato le aree - lascio immaginare quanto faticoso sia stato il percorso - e redatto il progetto, che, secondo gli accordi, doveva essere predisposto dal Genio militare. Il progetto è stato approvato sia dall'autorità operativa (lo stato maggiore dell'esercito), sia dall'amministrazione provinciale di Trento, ma si è purtroppo fermato a causa di una norma che, come è stato accennato nell'intervento precedente, crea una difficoltà del tutto burocratica e marginale nel passaggio dei fondi. Secondo l'accordo, tali fondi dovrebbero essere assegnati all'amministrazione finanziaria e, attraverso essa, riassegnati ai capitoli della Difesa, incaricata di eseguire le opere. Tuttavia, non abbiamo potuto dare inizio ai lavori perché il meccanismo per arrivare alla disponibilità dei fondi si è interrotto. Come direzione generale abbiamo rappresentato la questione - ne abbiamo parlato anche recentemente al Gabinetto del ministro - e mi risulta che essa verrà affrontata, per essere risolta, in una riunione della Presidenza del Consiglio. Il nodo da sciogliere è puramente procedurale, ma i termini della questione non sono stati minimamente toccati o inficiati: c'è l'accordo sulla permuta, c'è l'accordo sui valori degli immobili dismessi - tra l'altro, confermato anche dall'Agenzia del demanio -, c'è l'accordo sul progetto che abbiamo eseguito e sul suo costo presunto. Si tratta semplicemente di iniziare i lavori ma - per poterlo fare - dobbiamo avere la certezza della disponibilità dei fondi.

PRESIDENTE. Prima che il generale termini la replica, mi permetterò di aggiungere solo una considerazione.
Non conoscevo il problema del passaggio dei fondi e del blocco che ciò ha determinato; me ne dispiace perché, nel disegno di legge finanziaria, si sarebbe potuta inserire una norma in grado di rispondere a questo problema. Dato che il testo è stato trasmesso al Senato, proviamo dunque a studiare la questione tecnicamente, insieme alla Commissione bilancio, per capire se sia possibile presentare un emendamento nelle sedi opportune. Va benissimo affrontare il problema in sede di Presidenza del Consiglio,


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ma se le norme non consentono di risolverlo, si rischia di assumere un impegno politico che non può avere riscontro concreto. Mi sembra si tratti di un problema serio, capace di arrestare lo sviluppo di un modello potenzialmente assai positivo: ho seguito da lontano la questione dell'accordo tra Trento e Bolzano e il Ministero della difesa, e credo che esso potrebbe rappresentare un punto di riferimento per operazioni analoghe da realizzare in altre aree. Vediamo, dunque, se sia possibile risolvere il problema che sta inceppando questo meccanismo...!
Prima di ridarle la parola, generale, vorrei porle un'altra domanda, in modo che lei possa rispondermi nelle sue conclusioni.
Sicuramente, svolgeremo un'audizione anche in materia di dismissioni e sarà interessante capire quanto si sia dismesso prima dell'intervento dei decreti richiamati, che cosa sia avvenuto nell'immediatezza della loro applicazione e che cosa sia accaduto dopo: credo sia un tema assolutamente rilevante. A noi interessa svolgere un'indagine conoscitiva - la prego di tenerlo presente e noi lo faremo presente anche a chi parteciperà all'audizione cui si faceva riferimento - che parta dalla fotografia della situazione, ma si inserisca in modo dinamico in quel processo della revisione complessiva delle servitù che il ministro ha qui evidenziato. Diversamente, il nostro resterebbe solo un lavoro di conoscenza e approfondimento, e si priverebbe il Parlamento della possibilità di intervenire, sia pure fornendo delle indicazioni.
Siamo, quindi, certamente interessati a capire la situazione attuale, ma desideriamo anche sapere cosa stia avvenendo nell'ambito dell'approfondimento che, presso il Ministero della difesa, si svolge su questo tema.
È necessario anche capire come il tema delle servitù si armonizzi con l'obiettivo - questione affrontata anche dal ministro Parisi, nel corso della sua prima audizione sulle linee generali del suo Ministero - della ridislocazione complessiva delle caserme: se si riorganizza complessivamente lo strumento militare, credo che anche il tema delle servitù debba essere affrontato di conseguenza.
Alla Commissione interessa, quindi, capire dove sono i problemi, ma anche intervenire in questo percorso, con proprie indicazioni.

VITTORIO COLUCCI, Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa. Per quanto riguarda ulteriori dati di approfondimento e la possibilità di una successiva audizione, faccio presente che, trattandosi di intervenire in una realtà che è patrimonio pubblico, la materia da approfondire è estremamente complessa, così come complesse e diversificate sono le situazioni nelle quali ci si imbatte, caso per caso. Vi sono situazioni di funzioni residuali per determinati immobili e situazioni che chiamano in causa il confronto con gli enti locali: è quindi necessaria una sinergia tra tutte le forze istituzionali addette a questo problema, oltre ad una comprensione della complessità del problema stesso, a un confronto con le amministrazioni locali e ad un'armonizzazione con le loro esigenze. Per tutto questo, come ha sempre fatto, l'amministrazione della difesa è disponibile a svolgere consapevolmente il suo ruolo istituzionale.

PRESIDENTE. Intanto la ringraziamo, generale, per questa sua prima audizione. Spetterà, poi, all'ufficio di presidenza pronunciarsi sull'opportunità di un secondo incontro con lei, sebbene la Commissione abbia, di fatto, già espresso il desiderio di audirla prossimamente sul tema specifico delle dismissioni.
Nel ringraziare ancora il direttore generale Vittorio Colucci per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.