Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri |
Titolo: | Missione in Iran - (12-15 gennaio 2008) |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 118 |
Data: | 11/01/2008 |
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Documentazione e ricerche |
Missione in Iran (12-15 gennaio 2008) |
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n. 118 |
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11 gennaio 2008 |
Il panorama politico iraniano post-rivoluzionario è sempre stato molto più eterogeneo di quanto la sua proiezione internazionale non permetta immediatamente di cogliere: le istituzioni statali hanno infatti caratteri e regole interne particolari che non rendono agevoli – per gli osservatori occidentali – comparazioni e previsioni; tuttavia la vita politica iraniana conosce e pratica forme di democrazia e di pluralismo, prima fra tutte le elezioni[1].
La situazione politica interna appare quindi dominata – in questo momento - dalla imminente scadenza elettorale (14 marzo) e dal dubbio se essa riuscirà ad essere un momento autentico di democrazia o – all’opposto – sia destinata a subire forme di “addomesticamento”, non nuove nella recente storia del paese.
Nel febbraio 2004, allorché il popolo iraniano votò per il rinnovo del Parlamento (Majles) era in atto una offensiva politica antiriformista, causata da una effettiva delusione per gli scarsi risultati della presidenza Khatami (all’epoca ormai nel suo ultimo anno di mandato) che si accompagnò però anche ad una espulsione in massa dalle liste di candidati riformisti da parte del Consiglio dei guardiani, in virtù dei poteri di controllo e selezione delle candidature attribuiti a tale organo dalla stessa Costituzione. Tale azione sistematica (a cui è difficile non attribuire l’intenzione politica di agevolare la parte conservatrice) ebbe certamente effetto e contribuì ad accentuare la sconfitta elettorale e l’isolamento di Khatami.
Non è possibile disegnare con nettezza la composizione politica del Majles, data la inesistenza di partiti ufficiali e la conseguente non costituzione di gruppi parlamentari nell’assemblea parlamentare. Inoltre – in molti casi – i deputati non hanno mai dichiarato una chiara appartenenza politica. Tuttavia, al momento della formazione dell’attuale Parlamento – dopo le elezioni del 2004 – basandosi sugli orientamenti espressi durante la campagna elettorale, quello che emerse fu il seguente quadro:
Risultati delle elezioni parlamentari del 2004 (20 Febbraio- 7 Maggio)
Orientamento dei candidati |
Seggi |
% dei seggi |
Conservatori |
156 |
54% |
Riformisti |
39 |
13% |
Indipendenti |
31 |
11% |
Eletti al secondo turno |
59 |
20% |
Minoranza armena |
2 |
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Minoranza caldea, assira e cattolica |
1 |
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Minoranza ebrea |
1 |
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Minoranza zoroastriana |
1 |
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Totale |
290 |
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Oggi la geografia politica del Parlamento è probabilmente diversa, in primo luogo perché in questi 4 anni nell’area degli indipendenti (così come fra molti degli eletti nel secondo turno che al momento delle elezioni non avevano espresso con chiarezza alcun orientamento) sono emerse prese di posizione individuali più nette. Ma soprattutto perché il gruppo dei conservatori è meno compatto e chiaramente identificabile rispetto ad allora.
Il panorama politico ha infatti subito un brusco cambiamento nel giugno 2005, a seguito delle elezioni presidenziali dalle quali emerse – grazie all’appoggio di Khamenei, ma comunque a sorpresa – la leadership di Ahmadi-Nejad. Dietro la sua vittoria vi fu – da un lato - il logoramento dell’ipotesi riformista, dopo gli otto anni dell’era Khatami (1997-2005), dall’altro il successo della operazione di mediazione condotta da Khamenei che riuscì a ritessere la alleanza fra la componente conservatrice religiosa e la componente radicale che aveva dominato la scena politica iraniana durante l’era di Khomeini.
Risultati delle elezioni presidenziali del 17 e 24 giugno 2005 |
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Candidati |
Voti (1° turno) |
% |
Voti (1° turno) |
% |
Akbar Hashemi Rafsanjani |
6.211.937 |
21,13 |
10.046.701 |
35,93 |
Mahmoud Ahmadinejad |
5.711.696 |
19,43 |
17.284.782 |
61,69 |
Mehdi Karroubi[2] |
5.070.114 |
17,24 |
- |
- |
Mostafa Moeen |
4.095.827 |
13,93 |
- |
- |
Mohammad Bagher Ghalibaf |
4.083.951 |
13,89 |
- |
- |
Ali Larijani |
1.713.810 |
5,83 |
- |
- |
Mohsen Mehralizadeh |
1.288.640 |
4,38 |
- |
- |
Bianche e nulle |
1.224.882 |
4,17 |
663.770 |
2,37 |
Totale (partecipazione al voto 62,66% e 59,6%) |
29.400.857 |
100 |
27.959.253 |
100 |
In quell’occasione Rafsanjani non riuscì invece a saldare in un unico fronte l’ala pragmatica dei conservatori e la parte del fronte riformista più interna al sistema[3], che invece – in gran parte – disertò le urne, aprendo in tal modo la strada al candidato dei pasdaran.
E’ opportuno ricordare che anche in quell’occasione vi furono contestazioni sulla regolarità delle operazioni di voto. In particolare, il candidato riformista Karroubi rivolse accuse ai Guardiani della rivoluzione per la mobilitazione illegale di forze in favore del loro candidato, indicando lo stesso figlio di Khamenei, Mojtaba, come uno degli organizzatori di un’azione organizzata volta a condizionare il risultato elettorale. Al giornale Eghbal, vicino ai riformisti - che intendeva pubblicare informazioni e prese di posizione in merito alle accuse di Karroubi - fu impedito di uscire nelle edicole.
Assume quindi un certo rilievo il fatto che oggi, alla vigilia della scadenza elettorale, siano già state rese pubbliche dichiarazioni di esponenti politici dell’ala riformista[4] che criticano la scelta della data per le elezioni, immediatamente precedenti l’inizio del lungo periodo di vacanze per Capodanno iraniano, ed insinuano – sia pure con la cautela necessaria – che la scelta sia stata fatta con l’intenzione di mettere il silenziatore alle eventuali contestazioni relative sia alla selezione preventiva dei candidati, sia alla regolarità delle operazioni di scrutinio (nei giorni immediatamente successivi alle votazioni vi saranno 4 o 5 giorni di chiusura dei quotidiani).
Non è irrilevante che il Consiglio dei Guardiani che potrà esprimere il veto sulle candidature, sia ancora oggi guidato dall’Ayatollah Ahmad Jannati, ritenuto dai riformisti il principale responsabile dell’operazione preventiva condotta con successo nel 2004, oltre che aperto sostenitore del Presidente Ahmadi-Nejad.
Queste insinuazioni devono comunque essere avanzate con cautela, in quanto in Iran l’incriminazione per diffusione di notizie calunniose ai danni di esponenti del governo finalizzate ad incitare l’opinione pubblica non è infrequente ed ha colpito, anche di recente, giornalisti ed esponenti politici e sindacali (vedi infra).
Tuttavia, al di là di tali aspetti che (insiema ad altri) rinviano ai dubbi sulla sussistenza dello stato di diritto in Iran, è comunque in atto del paese – per unanime riconoscimento degli osservatori internazionali – un processo politico autentico, di trasformazione e ricomposizione degli equilibri, iniziato immediatamente dopo l’elezione di Ahmadi-Nejad.
Secondo la maggior parte delle analisi (ma non tutte) il nuovo presidente si sarebbe rivelato infatti incapace di mediare e rappresentare unitariamente tutte le componenti del composito mondo (laico e religioso) del conservatorismo iraniano, legandosi sempre più strettamente a quella parte sia pure importante ma non autosufficiente che lo ha più convintamene sostenuto nel 2005 - i Guardiani della Rivoluzione – e finendo per trasformarsi in una sorta di esecutore della potente lobby.
Si tratta, com’è noto, di uno dei pilastri del regime iraniano. Originariamente un semplice corpo paramilitare, fondato dallo stesso Khomeini nel 1979, si è successivamente evoluto in vera e propria forza armata, che affianca l’esercito regolare (Artesh). Sebbene quest’ultimo conti più uomini (420.000) e i Guardiani della rivoluzione fra i 150.000 e i 200.000, tuttavia sono i pasdaran a godere di equipaggiamenti più moderni, ma anche di una influenza di gran lunga maggiore nelle sfere politiche, così come nella società. Sotto il loro controllo è posta la milizia Basij (circa 90.000 volontari paramilitari) e le forze speciali Quds, accusate dai servizi occidentali di tenere la rete dei contatti con gruppi terroristici e combattenti sul piano internazionale. I pasdaran possono contare poi su una forza di almeno 2 milioni di riservisti e sono ufficialmente investiti della responsabilità dell’armamento missilistico. Anche se dispongono di ogni tipo di arma di terra, di mare e di aria, oltre che di forze di intelligence, i pasdaran si sono specializzati in compiti di sicurezza e in azioni asimmetriche (in particolare il controllo del contrabbando di armi e il pattugliamento dello Stretto di Hormutz).
I pasdaran rispondono direttamente alla Guida Suprema Khamenei, mentre il Comandante in Capo è Mohammed Ali Safari (nominato da Khamenei nel settembre 2007).
Sin dalla fine della guerra con l’Irak, i pasdaran hanno utilizzato politicamente l’enorme prestigio conquistato con il martirio sui campi di battaglia e hanno operato come lobby dotata di forte spirito di appartenenza. Oggi nel Parlamento di Teheran siedono 80 ex-pasdaran (dunque, quasi un terzo dei deputati).
Ma il dato che spesso non viene sufficientemente messo in luce è la potenza economica che la lobby è venuta assumendo.
I pasdaran controllano infatti non solo una rete di iniziative solidaristiche (le fondazioni – bonyad – gestite dai veterani) ma anche una quantità crescente di imprese economiche ad alto rendimento, da cui traggono ingenti risorse finanziarie utilizzare anche per finanziare le componenti politiche più organiche al loro potere. In primo luogo è sotto il loro controllo gran parte della produzione di armamenti, secondo una linea di autosufficienza e autarchia che il governo di Khatami aveva cercato di invertire attraverso l’apertura al commercio internazionale ma che ora ha ripreso forza. Molte attività pubbliche sono poi affidate ad imprese legate ai pasdaran eludendo qualunque procedura di gara. Tali intrecci sono chiaramente aumentati in misura notevole durante la presidenza di Ahmadi-Nejad.
Un esempio fra i più rilevanti: nel giugno 2006 il comandante Abdolriza Abed – alto ufficiale dei Guardiani – ha annunciato l’affidamento di un contratto del valore di 2,9 miliardi di dollari per la costruzione della nuova piattaforma petrolifera off-shore di South-Pars, condivisa fra Iran e Qatar (senza gara di appalto).
Infine i pasdaran controllano i porti iraniani (e quindi il contrabbando). Secondo fonti dei dissidenti iraniani con questo sistema rifornirebbero la Cina con grosse quantità di petrolio, ricevendone in cambio aiuti per la realizzazione del programma nucleare.
Secondo alcuni osservatori la forza dei pasdaran (in continua e tumultuosa crescita dal 2005) sarebbe oggi tale da tenere in ostaggio addirittura la leadership clericale, oltre che il governo.
Secondo un’altra linea interpretativa – invece - lo stesso crescente coinvolgimento dei pasdaran nell’economia e nell’amministrazione, ne starebbe trasformando la natura intrinsecamente sovversiva e settaria, contribuendo a farne una forza di stabilizzazione.
E’ importante ricordare (sia per i suoi effetti sul piano internazionale, sia per i suoi effetti interni) la recentissima decisione del Governo USA (Executive Order 13382 del 25 ottobre 2007), che fa seguito ad una risoluzione parlamentare approvata in settembre, con la quale l’intera organizzazione dei Guardiani della rivoluzione è stata inserita nell’elenco delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato[5]. Le autorità americane potranno – in virtù di questo atto amministrativo – congelare tutti gli asset e proibire ogni relazione commerciale da parte di cittadini americani con questa organizzazione.
Segnali di crisi della leadership presidenziale si sono avuti con le elezioni municipali del dicembre 2006[6] e la vittoria del “Fronte della partecipazione”, nel quale erano riuniti sia candidati riformisti khatamisti, sia candidati più legati invece a Rafsanjani. Le elezioni hanno – soprattutto - segnato il ritorno alle urne di quell’elettorato sociologicamente riformista (giovani e donne) che nel ballottaggio delle presidenziali del 2005 aveva preferito astenersi, esaltando quindi il peso relativo della componente militante pasdaran.
Nel dicembre 2006 il Presidente sembrò aver già dissipato il patrimonio di consenso politico che gli aveva consentito di essere eletto appena l’anno precedente. Si ricorda che nello stesso periodo si tenne la conferenza internazionale sull’Olocausto, voluta fortemente da Ahmadi-Nejad, ma rivelatasi controproducente. Ad essa infatti ostentatamente non partecipò Ali Akbar Velayati, massimo consigliere di Khamenei in politica estera, che inoltre si dissociò dalle posizioni revisioniste e dai bellicosi proclami lanciati in quell’occasione. La stessa Guida Suprema Khamenei intervenne pubblicamente subito dopo la diffusione da parte della stampa internazionale delle notizie relative alle minacce all’indirizzo di Israele pronunciate dal Presidente Ahmadi-Nejad, affermando che “la Repubblica islamica non ha mai minacciato nessun paese straniero, nè mai lo farà”.
L’indurimento estremistico di Ahmadi-Nejad, nonostante i segnali pervenuti anche da Khamenei, ha ricevuto diverse letture: la forza di condizionamento dei pasdaran, o più semplicemente le scarse capacità di leadership, o ancora la crescente influenza di correnti del radicalismo religioso sembrano essere le spiegazioni più diffuse (almeno sul piano dell’evoluzione interna).
Su quest’ultimo punto, occorre ricordare che mentore di Ahmadi-Nejad è Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, leader religioso oltranzista, che fu fra gli allievi e compagni di percorso dell’Ayatollah Khomeini. È membro del Consiglio degli esperti, il collegio che elegge la Guida Suprema della Rivoluzione, e dirige l’Istituto Imam Khomeini per la Formazione e la Ricerca. Inoltre è stato il fondatore della Scuola Haqqani nella quale l’Islam viene insegnato in un’interpretazione estremamente restrittiva[7]. La Scuola Haqqani è una delle fucine che sfornano i personaggi-chiave della Repubblica Islamica, una scuola dalla quale sono usciti molti di coloro che oggi occupano posizioni di alto rango nel paese. Mesbah Yazdi, come direttore, è da tempo attivo nella lotta contro tutte le correnti di riforma del paese. Quando, mesi fa, un giornale riformista ha pubblicato un articolo che chiedeva l’abolizione della pena di morte, Yazdi ha spiegato che chiunque metta in dubbio le fondamenta dell’Islam deve essere immediatamente ucciso. Poiché il suo radicalismo mette in ombra personaggi altrettanto radicali, anche in questa area politica è ormai diffusa la preoccupazione sulla sua crescente influenza.
Si tratta di una supposizione spesso avanzata dalla stampa ma mai confermata dal diretto interessato, per una serie di motivi.
In primo luogo perché tale gruppo non gode di buona fama presso le alte gerarchie del clero sciita, e presso l’opinione pubblica più evoluta del paese che associa gli Hojjatieh a pratiche e credenze superstiziose. I seguaci della setta appartengono alle classi più povere ed emarginate della società iraniana.
In secondo luogo perché l’adesione alla setta presuppone posizioni politiche troppo radicali e sostanzialmente delegittimanti nei confronti dell’establishmernt. Un elemento che caratterizza la dottrina degli Hojjatiehè infatti la tesi che la vera repubblica islamica può essere realizzata solo dopo il ritorno del Mahdi (12° imam) e, addirittura, che una destabilizzazione di ogni equilibrio politico e un aumento del disordine abbia l’effetto di affrettare l’avvento del 12° imam. Questa natura intrinsecamente sovversiva della setta determinò il suo bando da parte di Khomeini.
Spesso è stato sostenuto che il capo occulto della setta sarebbe quello stesso ayatollah Mesbah Yazdi che è oggi la personalità religiosa più vicina ad Ahmadi-Nejad. Ma Yazdi ha sempre respinto energicamente tali insinuazioni. Di recente, anche alcuni osservatori occidentali hanno avanzato l’ipotesi che le voci relative alla appartenenza alla setta Hojjatiehsianofatte circolare ad arte dagli avversari per indebolire il Presidente.
In ogni caso, dalle elezioni del dicembre 2006 è indubbiamente uscito rafforzato Rafsanjani, i cui uomini hanno conquistato nuove posizioni di potere, sia a livello amministrativo, sia nella concomitante elezione dell’Assemblea degli esperti, l’organo elettivo formato da 86 esponenti religiosi che ha – fra gli altri – anche il compito di scegliere la Guida suprema (Rahbar).
Il leader iraniano (oggi 74enne) comparve sulla scena politica iraniana già alla fine degli anni ’70,– ancora prima della caduta dello Scià – quale rappresentante dei piccoli commercianti del bazar di Teheran. Dopo la rivoluzione khomeinista, grazie alla posizione già da anni rivestita all’interno del più stretto entourage dell’ayatollah Khomeini, divenne Presidente del Parlamento (1980-1989), svolgendo però anche un ruolo politico rilevante nel Consiglio di Guerra ed esercitando quindi una notevole influenza nella gestione della guerra contro l’Iraq.
Due mesi dopo la morte di Khomeini (5 giugno 1989) Rafsanjani – che nel frattempo ha assunto il profilo di leader della corrente maggioritaria tradizionalista ma pragmatica - viene eletto Presidente della Repubblica islamica. Ricopre la carica, ininterrottamente, per due mandati, fra il 1989 e il 1997, plasmando la politica iraniana secondo due indirizzi strategici che ne costituiscono tuttora le coordinate fondamentali: continuità con la rivoluzione khomeinista ma smussandone gradualmente le asperità e posizione internazionale di netta autonomia.
Al termine della parentesi khatamista (1997-2005), anche approfittando del bilancio non altrettanto brillante presentato dal leader riformista, ha tentato di ottenere un terzo mandato ma è stato battuto – a sorpresa - dall’attuale Presidente Ahmadi-Nejad.
Sembrava a questo punto che la sua carriera politica stesse volgendo al termine, ma le stesse difficoltà incontrate da Ahmadi-Nejad stanno rilanciando il ruolo e le prospettive di una figura centrale, quale quella di Rafsanjani, che mantiene ancora una forte presa sul ceto politico e su correnti di opinione pubblica, oltre che una notorietà in campo internazionale. Non è esclusa – a questo punto – una sua successione a Khamenei (già da tempo malato), mentre motivi di età impedirebbero una sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2009.
Un nuovo – forte – segnale non solo della presenza di tensioni nel blocco di governo, ma anche del fatto che la vicenda nucleare è investita da tali tensioni, sono state le dimissioni, nell’ottobre 2007 di Ali Larijani (capo negoziatore iraniano sul nucleare) e la sua sostituzione con un uomo molto più vicino al Presidente (Said Jalili). Le dimissioni sono giunte immediatamente dopo la visita di Putin nella quale si ipotizza che il Presidente russo abbia messo in guardia Teheran dai rischi di isolamento insiti nella radicalizzazione perseguita da Armadi-Nejad. A questo punto Larijani – da tempo in contrasto con il Presidente – avrebbe colto l’occasione per marcare pubblicamente una differenza, anche in vista delle future scadenza (elezioni parlamentari di marzo o addirittura presidenziali del 2009) nelle quali potrebbe capitalizzare il suo crescente prestigio politico[8].
Alle dimissioni di Larijani ha fatto subito eco una dichiarazione preoccupata di un altro uomo politico di prestigio e vicino alla Guida suprema come Ali Akbar Velayati(per 16 anni Ministro degli Esteri iraniano).
Il maggiore fattore di criticità per la fazione radicale sembra collocarsi proprio sul versante – sempre in bilico, come dimostrano ancora le recentissime tensioni nello stretto di Hormuz - dei rapporti internazionali. Il Presidente e il blocco politico che lo sostiene sono accusati di aver provocato una accentuazione della conflittualità internazionale, rompendo un elemento di continuità della Repubblica Islamica che ha sempre evitato l’isolamento totale.
Questo sbilanciamento strutturale che si è venuto a creare nei delicati equilibri della politica iraniana è probabilmente il principale fattore all’origine del progressivo distacco da Ahmadi-Nejad del gruppo tradizionale dei conservatori (che oggi vengono chiamati conservatori moderati); ciò ha indotto il Presidente a ricercare sempre di più l’appoggio della fazione dei conservatori radicali e dei pasdaran, la cui forza non è però sufficiente a garantire un governo stabile e la cui presa sulla società iraniana rimane circoscritta.
Vi sono poi i temi economici.
Ahmadi-Nejad ha vinto nel 2005 anche grazie ad una serie di promesse di impronta populista (relative in particolare alla redistribuzione degli introiti petroliferi a vantaggio degli strati più poveri della società iraniana). Il peggioramento della situazione economica non ha consentito di realizzare il disegno e nell’elettorato è forte la tentazione di utilizzare laicamente la scadenza elettorale per esprimere più un giudizio sull’operato del governo che una appartenenza ideologica.
Significative a questo riguardo le dimissioni dei massimi responsabili governativi nel settore petrolifero imposte da Ahmadi-Nejad lo scorso agosto.
In ogni caso non può sottovalutarsi l’appoggio ad Ahmadi-Nejad tuttora confermato da parte della Guida suprema, né la popolarità del Presidente presso gli strati più poveri.
Il problema delle elezioni di marzo e dell’evoluzione della situazione politica iraniana fino alla scadenza presidenziale del 2009 sembra ruotare quasi per intero attorno alla rivalità fra il blocco che sostiene la presidenza e il campo di forze che Rafsanjani sta costruendo, anche utilizzando il cumulo di cariche che si è venuto a determinare da quando (settembre 2007), oltre alla carica di Presidente del Consiglio per la Determinazione delle scelte (detenuta dal 1997) egli ha assunto anche quella di Presidente della Assemblea degli Esperti, battendo il rivale Jannati (sostenuto proprio da quel Mesbah Yazdi che è considerato il vero ispiratore del Presidente).
Intanto il 14 dicembre è stata presentata in una conferenza stampa dal suo portavoce ufficiale – Abdullah Nasseri – la nuova coalizione politica formata da una ventina di gruppi e movimenti che in passato avevano sostenuto sia Khatami, sia Rafsanjani, fra i quali il Fronte di partecipazione (principale gruppo dell’ala riformista) e il Partito dei ricostruttori (vicino a Rafsanjani). La coalizione si è saldata sulla base di una piattaforma molto critica nei confronti del Presidente e dell’esecutivo, accusato di essere “il governo più incapace che l’Iran abbia mai avuto”.
Il quadro economico dell’Iran è in netto peggioramento. Tale trend negativo è in parte compensato (e comunque mascherato) dall’aumento del prezzo del petrolio (80% delle esportazioni iraniane).
Non è facile valutare (e fra gli osservatori non vi è unanimità) se le responsabilità maggiori di tale costante peggioramento siano da attribuire alla cattiva gestione dell’economia del paese, alla sua struttura statalista o all’effetto delle sanzioni decise dalle Nazioni Unite con le risoluzioni 1737 e 1747.
Il tasso di crescita del PIL è in calo (secondo stime dell’Economist, dal 4,3% di crescita del biennio 2007-2008 dovrebbe scendere al 3,7% nel biennio 2008-2009).
Ci sono timidi tentativi di privatizzare, in attuazione di un indirizzo generale che parte dallo stesso Khamenei che non sta – però - trovando effettiva applicazione. Continua invece a crescere la spesa pubblica con politiche di sussidi e aumenti delle retribuzioni nel settore pubblico.
Misure restrittive previste dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1737 del 27 dicembre 2006 (art. 41 del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite)
· Divieto di vendita, fornitura o trasferimento diretti o indiretti all'Iran di prodotti, materiali, attrezzature, beni e tecnologie che potrebbero contribuire alle attività iraniane connesse con l'arricchimento, il ritrattamento o l'acqua pesante o allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari (i prodotti e i materiali figurano negli elenchi del gruppo dei fornitori nucleari e del regime di non proliferazione nel settore missilistico.
· Divieto di fornire assistenza o formazione tecnica, assistenza finanziaria e
· servizi d'intermediazione, di investimento o di altro tipo in relazione ai prodotti soggetti al divieto di esportazione.
· Divieto di esportazione di taluni altri prodotti se è accertato che contribuirebbero alle attività connesse con l'arricchimento, il ritrattamento o l'acqua pesante o allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari; l'esportazione di tali prodotti dovrebbe essere soggetta all'autorizzazione da parte delle autorità competenti degli Stati membri.
· Divieto di approvvigionarsi in Iran dei prodotti soggetti al divieto di esportazione.
· Esortazione affinché gli Stati membri vigilino sull'ingresso o il transito nel loro territorio delle persone che partecipano, sono direttamente associate o danno il loro sostegno ad attività nucleari sensibili in termini di proliferazione o allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari dell'Iran.
· Restrizioni in materia di ammissione nei confronti delle persone indicate dal Consiglio di sicurezza
· Congelamento dei fondi e delle attività finanziarie e risorse economiche di altro tipo appartenenti, posseduti, detenuti o controllati, direttamente o indirettamente, da persone o entità indicate dal Consiglio di sicurezza come persone o entità che partecipano ad attività nucleari sensibili in termini di proliferazione o allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari dell'Iran.
Misure restrittive previste dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1747 del 24 marzo 2006 (art. 41 del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite
· (Viene ribadito l'obbligo di sospendere le attività di arricchimento e di riprocessamento, nonché la costruzione del reattore ad acqua pesante)
· Proibizione di esportare da parte dell'Iran di tutte le armi convenzionali
· Raccomandazione di particolare cautela nella vendita all'Iran degli armamenti convenzionali, indicati nel registro delle Nazioni Unite
· Raccomandazione agli Stati membri e alle istituzioni finanziarie di non prendere nuovi impegni con il Governo dell'Iran relativi a doni, assistenza finanziaria e crediti d'aiuto, ad eccezione dei programmi umanitari e di sviluppo.
Inflazione (il tasso di inflazione per i prodotti alimentari e le abitazioni è attorno al 17%, nonostante le politiche di prezzi amministrati diffusamente adottate). La Banca centrale non ha un effettivo controllo della politica di espansione fiscale voluta dal Governo. Lo scorso settembre è stato proprio un abbassamento dei tassi d’interesse dal 14% al 12% preteso dal Presidente a indurre il Governatore della Banca centrale alle dimissioni.
In aumento anche la disoccupazione, mentre gli investimenti esteri subiscono comunque gli effetti – anche indiretti – delle sanzioni. In particolare, il calo degli investimenti esteri minaccia di peggiorare la già bassa produttività dell’industria degli idrocarburi.
Infine, vanno ricordate alcuni gravi ritardi strutturali del sistema economico iraniano, fra i quali assumono un rilievo prioritario la scarsa diffusione della proprietà privata (e quindi la debolezza degli istituti giuridici a tutela della stessa) e l’inefficienza complessiva del sistema creditizio.
La situazione dei diritti umani in Iran è oggi particolarmente grave.
Oltre al diffuso ricorso alla pena di morte (l’Iran è, al mondo, nelle prime posizioni quanto al numero di esecuzioni, e – in proporzione al numero complessivo di abitanti – eguaglia addirittura la Cina), le questioni in ballo sono anche altre: repressione politica attraverso arresti di esponenti sindacali, oppositori e studenti, diffuso uso della tortura, ricorso a pene inumane (fustigazione, taglio delle mani, lapidazione e – secondo una clamorosa e recentissima notizia di stampa – addirittura esecuzione capitale mediante lancio da una rupe[9]), discriminazione delle donne, repressione degli omosessuali, repressione delle minoranze religiose ed etniche (in particolare delle minoranze curda e azera).
Il 25 ottobre 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sui diritti umani in Iran che richiama sinteticamente ma in modo circostanziato l’intero quadro delle violazioni, esprimendo preoccupazione e condanna e rivolgendo – direttamente ai membri del Maijlis – un appello per la modifica del codice penale e per l’adozione di provvedimenti legislativi che – per lo meno – vietino l’esecuzione di minori ed escludano la pena di morte per omosessualità e adulterio. La risoluzione ha proposto, infine, di riavviare il dialogo UE-Iran sui diritti umani interrotto nel giugno 2004[10].
In Iran la pena di morte è prevista per un numero considerevole di reati: omicidio, rapina a mano armata, stupro, blasfemia, apostasia, cospirazione contro il Governo, adulterio, prostituzione, omosessualità, reati legati alla droga (addirittura per il semplice possesso di più di 30 grammi di eroina o di 5 chili di oppio) e – in caso di recidiva – anche per consumo di alcolici.
Esistono – inoltre – sospetti da parte delle organizzazioni umanitarie che la pena di morte venga anche usata per colpire oppositori politici, ufficialmente accusati di reati comuni e processati senza adeguate garanzie.
Si ricorda anche che - in base al codice penale iraniano, le femmine di età superiore a nove anni e i maschi con più di quindici anni sono considerati adulti e, quindi, possono essere condannati a morte[11],.
Queste disposizioni legislative violano due patti internazionali ratificati dall’Iran: il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e la Convenzione Onu sui Diritti del Fanciullo, i quali vietano l’esecuzione di persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reato.
Nel dicembre 2003, il parlamento iraniano ha approvato una legge che stabilisce tribunali speciali per giudicare i minorenni ed esclude l’esecuzione di persone che avevano meno di 18 anni al momento del fatto. La proposta, che dopo l’approvazione del parlamento attende quella dell’organo superiore di controllo legislativo, il Consiglio dei Guardiani, escluderebbe i minori anche dall'ergastolo e dalle frustate.
Nel 2006, l’Iran ha visto quasi raddoppiare le esecuzioni che sono state 215, a fronte delle 113 del 2005. Un ulteriore, impressionante, aumento si registra nel 2007. Ma i dati reali sono praticamente sconosciuti: le autorità non forniscono statistiche ufficiali e i numeri riportati sono relativi alle sole notizie pubblicate dai giornali iraniani, che evidentemente non riportano tutte le esecuzioni.
La contesa che contrappone l’Iran alla comunità internazionale riguarda un processo (l’arricchimento dell’uranio, fase principale del ciclo di produzione del combustibile nucleare) che non è – di per sé proibito dal Trattato di Non Proliferazione del 1968 (TNP), in quanto esso è necessario per la fabbricazione di ordigni nucleari, ma lo è anche per la produzione di energia.
Tuttavia, il problema ha origine da violazioni accertate da parte dell’Iran degli obblighi internazionali in materia nucleare che risalgono ormai a diversi anni fa. Infatti nel 2002 - grazie alla denuncia di un gruppo dissidente – la comunità internazionale seppe dell’esistenza di due impianti tenuti fino ad allora segreti dalle autorità di Teheran: Ad Arak, un reattore ad acqua pesante e a Natanz, un impianto per l’arricchimento dell’uranio. Tali attività non erano state notificate all’ Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), come prescritto dal Trattato.
Nel 2003 (quindi durante la presidenza Khatami) l’Iran, anche per reagire al discredito internazionale derivato dalla clamorosa scoperta, si impegnò a sospendere ogni attività di arricchimento dell’uranio.
L’ascesa di Ahmadi-Nejad alla Presidenza della Repubblica islamica nell’agosto del 2005 e il suo dichiarato proposito di riprendere le attività di arricchimento dell’uranio su larga scala ha destato allarme nella comunità internazionale.
Diffusa è infatti la convinzione che il piano nucleare iraniano non sottenda finalità solo civili bensì rifletta l’aspirazione dell’Iran a divenire una potenza nucleare nella regione del Golfo[12]. Molto temuta è la coincidenza fra conquista dell’arma nucleare e aumento dell’aggressività iraniana nei confronti di Israele (e quindi di possibili reazioni israeliane), così come i rischi di effetto domino sull’intero Medio oriente e di moltiplicatore delle ambizioni nucleari di altri Paesi dell’area che già da tempo hanno manifestato un forte interesse in tal senso (Arabia Saudita, Egitto e Turchia in primis). Altra ipotesi interpretativa che periodicamente si affaccia è quella in chiave di rivalità religiosa, e quindi del rischio di una contromossa dei paesi arabi che sarebbero sospinti a dotarsi di una “atomica sunnita”. Secondo una diversa linea interpretativa[13], invece, le rivalità fra i paesi islamici dell’area (così come quelle fra Iran e Israele) – e quindi anche la questione nucleare – non dovrebbe essere letta in termini ideologici, ma meramente geopolitici: l’armamento nucleare è perseguito da Teheran solo per suggellare i nuovi equilibri geopolitici che si sono determinati nell’area a seguito della sconfitta dei talebani in Afghanistan e di Saddam Hussein in Irak. Paradossalmente, sarebbero state proprio le due iniziative americane a creare le premesse dell’ascesa dell’Iran al rango di potenza regionale e l’arma atomica sarebbe quasi la necessaria conseguenza di tali nuovi equilibri.
In ogni caso, i fattori su cui sembra convergere un consenso internazionale sono due.
Da un lato la fase critica che attraversa già oggi il processo di non-proliferazione (crescenti critiche alle potenze del club nucleare per il mancato disarmo; indizi convergenti di una intensificazione del contrabbando di materiale nucleare, pressioni proliferatici costanti): in questo contesto il raggiungimento dell’obiettivo da parte dell’Iran potrebbe rappresentare un colpo definitivo per il TNP.
Inoltre, data la rete di rapporti dell’Iran con gruppi armati in tutto il Medio Oriente, il possesso di armi nucleari potrebbe amplificare il rischio (già alto) del trasferimento di tecnologie nucleari ad organizzazioni terroristiche.
Pur aderendo, fin dal 1970, al Trattato di Non proliferazione (TNP)[14], l’Iran non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA (Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica)ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in un primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere il proprio programma di arricchimento dell’uranio.
Già nel febbraio 2003, l’AIEA ha confermato l’esistenza in Iran di un avanzato programma nucleare; da allora ha cominciato a diffondersi il sospetto che tale programma avesse in realtà una segreta destinazione militare.
Nel marzo 2004 l’AIEA ha quindi espresso preoccupazione per le omissioni nelle dichiarazioni dell’Iran a proposito delle sue attività in campo nucleare, oltre che per importazioni di uranio avvenute senza notifiche.
Dalle ispezioni dell’AIEA, effettuate dopo molte pressioni, si evince complessivamente come l’Iran sia impegnato a sviluppare l’intero ciclo del combustibile nucleare (alla base della possibile realizzazione di un dispositivo militare).
Da parte sua, l’Iran ha sempre sostenuto che gli scopi del programma di nuclearizzazione sono pacifici. Quanto alle mancate denunce all’AIEA, Teheran sostiene che l’interpretazione letterale del Trattato non impone la denuncia degli impianti, se non nell’imminenza dell’avvio delle attività di arricchimento dell’uranio, stadio al quale nel 2002 non si era ancora arrivati. Sostiene, inoltre, che era intenzione del governo effettuare la denuncia non appena si fosse pervenuti a questo stadio e che quindi non vi sono gli estremi giuridici per accusare l’Iran di violazione del TNP.
All’attività dell’AIEA si è affiancata, a partire dall’agosto del 2003, l’iniziativa dei governi di Francia, Germania e Regno Unito per indurre l’Iran a sospendere temporaneamente le attività per la produzione di uranio arricchito, a fronte di una collaborazione a livello commerciale, tecnologico, nucleare ed economico.
Nel 2004 l’Unione europea ha deciso di associare al processo avviato dai tre paesi europei l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, Javier Solana. Il negoziato condusse, nel novembre 2004, all’ Accordo di Parigi, nel quale si prevedeva la sospensione delle attività di Teheran nel settore della produzione di uranio arricchito in cambio di un pacchetto di incentivi, che includesse accordi commerciali e cooperazione nucleare, nonché dialogo politico sulle questioni di sicurezza cui l’Iran è più sensibile.
Nel marzo 2005 l’amministrazione Bush, in origine sostanzialmente contraria a coinvolgere l’Iran in una trattativa, aveva deciso di appoggiare l’iniziativa degli europei. Ma nell’agosto del 2005 i negoziati promossi dalla UE sono naufragati in seguito alla decisione unilaterale del governo iraniano di riprendere la conversione dell’uranio (un procedimento preparatorio dell’arricchimento): nel giugno di quell’anno Ahmadi-Nejad aveva assunto la presidenza.
Gli europei, pur lasciando aperta la possibilità di riaprire un dialogo, hanno appoggiato – a questo punto - la richiesta americana di porre la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Il 29 marzo 2006 il Consiglio di sicurezza ha invitato formale l’Iran a sospendere le attività di arricchimento dell’uranio e le attività connesse, nonché a riprendere la piena cooperazione con l’AIEA, alla quale veniva richiesto di rilasciare - entro 30 giorni - un rapporto aggiornato sulla vicenda.
Alla fine di aprile il rapporto del direttore generale dell’AIEA El Baradei denunciava il mancato adeguamento dell’Iran alle richieste dell’ONU e la conseguente impossibilità per l’agenzia di certificare l’assenza di attività nucleari non dichiarate.
In precedenza, l’11 aprile 2006, il presidente iraniano Armadi-Nejad aveva provocatoriamente annunciato che l’Iran era riuscito ad arricchire un piccolo quantitativo di uranio in una percentuale sufficiente ad essere impiegata in un reattore (3%) e che il Paese avrebbe continuato nel suo programma nucleare fino alla produzione in massa di uranio arricchito. L’annuncio ha suscitato la reazione preoccupata anche di paesi come il Giappone e la Federazione russa, che hanno subito ribadito la richiesta all’Iran di sospendere sia le attività di arricchimento dell’uranio sia quelle di ricerca.
Le iniziative internazionali per una soluzione negoziata sono state in seguito rilanciate dal gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e dalla Germania (c.d. gruppo “5+1”), che nel corso di un incontro svoltosi a Vienna all’inizio del mese di giugno 2006 hanno definito una proposta di mediazione. Tale proposta era il frutto dell’iniziativa congiunta di americani ed europei e derivava dalla decisione degli USA di ammorbidire le proprie posizioni intransigenti.
In cambio di un pacchetto di incentivi offerti[15], si chiedeva all’Iran di rinunciare alla prosecuzione delle attività di arricchimento di uranio. L’alto Rappresentante UE, Solana, ha discusso di tali proposte con l’allora rappresentante del Governo iraniano Ali Larijani il 6 giugno 2006. Le reazioni del governo iraniano sono state inizialmente positive, ma l’aggravarsi della crisi tra Israele ed Hezbollah libanesi – appoggiati dall’Iran - l’intensificarsi degli scontri in atto nella regione meridionale del Libano ed ulteriori dichiarazioni del presidente iraniano circa il diritto del suo paese a proseguire il suo programma nucleare, hanno determinato il dissolversi della soluzione negoziata che in un certo momento era sembrata vicina.
Nel tentativo di vanificare tattiche dilatorie degli iraniani, il 31 luglio 2006 il Consiglio di Sicurezza ha approvato – con il solo voto contrario del Qatar – una risoluzione (n. 1696/2006) proposta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, con la quale si chiedeva all’Iran di sospendere entro il 31 agosto le proprie operazioni di arricchimento dell’uranio. In caso di inadempimento la risoluzione prevedeva misure provvisorie (ex art. 40 della Carta ONU) ed eventuali sanzioni economiche (ex art. 41), escludendo tuttavia l’uso della forza.
Il termine del 31 agosto 2006 è scaduto senza che Teheran abbia interrotto le procedure di arricchimento dell’uranio, come risulta dal rapporto trasmesso dall’AIEA alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza.
Nel settembre2006 si è verificata una significativa evoluzione nelle posizioni russe, in seguito all’atteggiamento di rifiuto nei confronti delle aperture che Mosca aveva avanzato nei mesi precedenti: il Ministro degli esteri Lavrov si è infatti detto disposto a valutare l’ipotesi di sanzioni, pur continuando ad escludere con nettezza ogni possibilità di intervento militare contro l’Iran.
Il 23 dicembre 2006 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al termine di due mesi di trattative, ha approvato la risoluzione 1737, che impone sanzioni all’Iran per non aver interrotto il processo di arricchimento dell’uranio.
La risoluzione, proposta da Gran Bretagna, Francia e Germania e approvata il all'unanimità dal Consiglio di sicurezza, richiama il capitolo VII, articolo 41, della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l'applicazione obbligatoria delle misure, pur escludendo azioni di tipo militare.
In particolare, la risoluzione vieta di esportare in Iran materiali o tecnologie che contribuiscano alle attività relative all'arricchimento e al riprocessamento (dell'uranio) e alle attività legate all'acqua pesante, nonché allo sviluppo di sistemi di trasporto di testate nucleari, quali i missili balistici. Singoli Paesi possono peraltro decidere in autonomia se esportare materiali o tecnologie suscettibili di doppio uso (civile o nucleare), ma in tal caso hanno l’obbligo di verificarne finalità e destinazione e devono comunque informare il comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza. Le sanzioni non si applicano invece a materiali per la costruzione di impianti nucleari ad acqua leggera o ad uranio a basso arricchimento quando questi sia una delle parti di un combustibile nucleare composito[16].
La risoluzione dispone poi il congelamento di finanziamenti o fondi di proprietà o controllati da persone, società o organizzazioni legate ai programmi nucleare o missilistico iraniani; tale congelamento si applica, tra l’altro, all'Organizzazione per l'energia atomica iraniana, a tutti gli impianti legati al programma iraniano di arricchimento dell'uranio, al reattore ad acqua pesante di Arak e all'impianto di centrifughe di Natanz. Viene inoltre fatto obbligo agli Stati di segnalare l’ingresso sul proprio territorio di persone legate al programma nucleare iraniano indicate nell’Annesso alla risoluzione stessa.
Le sanzioni possono essere sospese se il direttore generale dell'AIEA ritenga che l'Iran abbia interrotto l'arricchimento dell'uranio e la costruzione delle centrali ad acqua pesante e torni al tavolo dei negoziati, ma possono invece essere ulteriormente aggravate se l'Iran non si conforma ai dettami della risoluzione entro 60 giorni dall’adozione della medesima.
Le reazioni del Governo di Teheran all’adozione della risoluzione 1737 sono state durissime e minacciose. Il documento è stato definito ''un pezzo di carta straccia” che non potrà fermare il programma nucleare iraniano.
Alla scadenza del termine di 60 giorni imposto all’Iran dalla risoluzione 1737 del 23 dicembre 2006, il direttore generale dell'Aiea Mohammed ElBaradei ha inviato al Consiglio di sicurezza dell'Onu un ulteriore rapporto nel quale si certifica che Teharan ha ignorato l'intimazione delle Nazioni Unite a sospendere ogni attività nucleare.
In particolare, in base al rapporto, l'Iran non solo non avrebbe sospeso il processo di arricchimento dell'uranio ma, in aperta sfida alla Comunità internazionale, lo avrebbe persino intensificato. Oltre a non ottemperare a nessuna delle misure richieste di trasparenza, Teheran avrebbe proseguito l'attività di arricchimento nell'impianto pilota di Natanz con l'installazione di quattro cascate di 164 centrifughe (le macchine per produzione di combustibile nucleare) e pianificato l'allaccio progressivo entro maggio 2007 di tutte le 3.000 centrifughe previste per arrivare alla produzione di uranio arricchito su scala industriale.
Intanto, a partire dal marzo 2007, si registrava anche un certo peggioramento dei rapporti fra Iran e Russia e un crescente isolamento di Teheran che ha portato all’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di Sicurezza di una nuova Risoluzione (la n. 1747), recante una nuova raffica di sanzioni (24 marzo 2007). Le più significative consistono nel limite alle esportazioni di armi iraniane e nel limite agli aiuti internazionali (esclusi quelli umanitari). Alcuni esperti hanno, comunque, giudicato sostanzialmente blande queste sanzioni (e, in parte, anche difficili da applicarsi).
In occasione dell'apertura della sessione annuale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite,il presidente iraniano Armadi-Nejad il 25 settembre 2007 – ricorrendo ancora una volta a toni sprezzanti verso la comunità internazionale - ha definito la questione del dossier nucleare un “caso chiuso per il suo paese”,suscettibile solo di sviluppi di routine nei colloqui con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica.
L’ultimo rapporto del Direttore generale dell’AIEA ElBaradei al Consiglio dei governatori sul nucleare iraniano porta la data del 15 novembre 2007.
Il rapporto informa che, pur avendo fatto progressi in tema di trasparenza sul suo programma nucleare, l'Iran continua tuttavia a non voler fornire chiarimenti circa aspetti determinanti delle sue attività, aprendo così la strada a sanzioni rafforzate da parte dell’ONU. Sul rapporto si è dichiarato soddisfatto l’Iran (il capo negoziatore iraniano Saeed Jalili (come si è riportato, il 20 ottobre il capo negoziatore sulla questione del nucleare, Ali Larijani aveva rassegnato le dimissioni dal proprio incarico) secondo il quale dal rapporto emergerebbe che gran parte dei punti di contrasto sarebbero ormai in via di chiarimento. Diametralmente opposta la lettura americana del rapporto, secondo cui esso fornisce invece le prove che Teheran intende continuare a sfidare la comunità internazionale.
Nella riunione del Consiglio dei Governatori del 23 novembre 2007, ElBaradei ha spiegato che fino a quel momento l'AIEA non aveva riscontrato diversioni nucleari rispetto al materiale dichiarato da Teheran ma che non era in grado di escludere con certezza l’esistenza di attività nucleari non dichiarate, dato che l’Iran non applica il protocollo supplementare di controlli con l'AIEA.
Il 30 novembre il capo della diplomazia UE, Solana, ha incontrato a Londra il nuovo negoziatore di Teheran, Said Jalili. Al temine del lunghissimo colloquio, Solana ha dichiarato che l'Iran rimane in totale rotta di collisione con Stati Uniti ed Europa per le sue controverse ambizioni nucleari, dichiarazione che sembrerebbe rendere inevitabile l’adozione di nuove sanzioni.
Proprio per cercare uno sbocco alla questione del dossier nucleare iraniano, il giorno successivo (1 dicembre) si è riunito a Parigi il Gruppo 5+1 che tuttavia ha rinviato qualsiasi decisione in attesa di trovare un accordo con Russia e Cina su un documento di compromesso accettabile da questi ultimi due paesi che non fanno mistero di essere piuttosto freddi nei confronti dell’adozione di sanzioni più pesanti.
La pubblicazione il 3 dicembre del rapporto National Intelligence Estimate on Iran - NIE, sembra ora offrire ulteriori elementi per inquadrare i termini della questione. Il rapporto, elaborato da 16 agenzie di intelligence americane, afferma che l'Iran ha disposto una interruzione del proprio programma di sviluppo di armi nucleari nell'autunno del 2003, grazie alla pressione internazionale. Tuttavia il rapporto non è in grado di escludere che dopo quella data non vi sia stata una ripresa. Inoltre, il rapporto conferma che l’attività di arricchimento dell’uranio è in corso e stima che – se tale attività fosse finalizzata ad usi militari, il chè oggi non può essere né escluso, né provato – l’Iran potrebbe essere in grado di sviluppare un'arma nucleare tra il 2010 e il 2015. Immediatamente dopo la pubblicazione del rapporto l'AIEA ha sottolineato la convergenza di tali conclusioni – per altre vie - con quelle a cui sono giunti i suoi ispettori negli ultimi anni e cioè che il nucleare iraniano non rappresenta – in ogni caso - un pericolo immediato e che ci sono ancora margini di tempo per un negoziato.
Il Presidente Bush ha reso pubblica una dichiarazione imperniata sulla tesi che il rapporto NIE non cambia la sostanza del problema perché l’Iran era pericoloso e continuerà ad esserlo se possiede gli strumenti per costruire un ordigno nucleare o se progredisce verso questo obiettivo senza una adeguata reazione internazionale[17].
Una portavoce del ministero degli Esteri francese ha sottolineato che il rapporto dell'intelligence americana conferma in ogni caso che l'Iran non ha rispettato i suoi obblighi internazionali e che pertanto la Francia ritiene necessario ''continuare a lavorare all'introduzione di misure restrittive nel quadro delle Nazioni Unite''. Israele ha dichiarato di voler mantenere aperta anche l'opzione militare per contrastare comunque il programma nucleare iraniano, anche se ritiene che, per il momento, debba essere percorsa la via diplomatica. Nei giorni successivi alla pubblicazione del rapporto, il ministro della Difesa israeliano Barak aveva riferito che, secondo informazioni fornite da agenzie di intelligence del proprio paese, attualmente sarebbe in corso in Iran un programma di sviluppo di armi nucleari.
La diffusione del NIE – o meglio, dell’estratto che è stato reso pubblico – sembra ridurre le probabilità di un rafforzamento, a breve termine, delle sanzioni economiche da parte dell’ONU (peraltro da molti paesi disattese o non rispettate interamente) e allontanare il rischio di una soluzione militare. Ma – ovviamente – la questione non può ritenersi in alcun modo superata.
Su invito dell'Iran, il direttore generale dell’AIEA, El Baradei andrà a Teheran l'11 e il 12 gennaio per cercare di chiarire i punti del programma nucleare iraniano che tuttora rimangono oscuri. La visita dovrebbe servire anche ad imprimere un’accelerazione all’attuazione delle misure di sicurezza e a consentire all’AIEA di dire una parola definitiva sulle attività nucleari iraniane passate e presenti.
L’Iran è membro del Movimento dei Paesi Non allineati, dell’Organizzazione della Conferenza Islamica e fa parte del G77.
I negoziati per l’ammissione dell’Iran all’OMC sono fermi al settembre 1996, a causa dell’opposizione degli USA; la Commissione Europea, invece, si è sempre espressa a favore di un esame della domanda in base unicamente alla valutazione di parametri economici oggettivi.
I rapporti dell’Iran con i Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) sono sostanzialmente buoni nonostante tutti questi paesi fossero schierati a favore dell’Iraq nella guerra combattuta nel 1980-1988 e nonostante un contenzioso territoriale con gli EAU.
I rapporti di politica estera sono in gran parte influenzati dai timori che, a diverso livello, suscita il programma nucleare iraniano. I paesi del CCG, ad esempio, hanno manifestato la propria preoccupazione sia riguardo l’impatto ambientale derivante dalla costruzione di impianti nucleari, sia per la possibilità di un attacco militare statunitense.
Le relazioni con la Siria, anche se non prive di problemi, sono buone fin dalla rivoluzione iraniana del 1979[18]. Secondo alcuni analisti, i caratteri del legame tra i due paesi saranno ridisegnati se e quando la Siria farà la pace con Israele ma, fino ad oggi, l’amicizia è parsa sufficientemente solida da resistere ai tentativi di isolamento promossi in varie occasioni dagli Stati Uniti.
Da ultimo, il processo che è stato inaugurato ad Annapolis reca con sé anche l’obiettivo di spostare l’asse della Siria verso l’Occidente (per questo motivo l’amministrazione americana ha insistito affinchè l’agenda della Conferenza comprendesse anche la questione della restituzione delle alture del Golan) e l’isolamento internazionale dell’Iran rappresenta per tutti gli osservatori uno degli scopi della missione in Medio oriente del Presidente americano[19].
L’alleanza con la Siria si basa fortemente sull’ideologia religiosa integralista che lega il regime di Teheran con l’organizzazione di Hezbollah, sostenuto dalla Siria, le cui attività si fondano sui principi della rivoluzione khomeinista. Attraverso Hezbollah l’influenza dell’Iran giunge fino al Libano e l’alleanza degli sciiti di Hezbollah con i sunniti di Hamas chiude il cerchio che salda Iran-Siria-Gaza (e parti del Libano).
Proprio a partire da Annapolis, però, Israele, Stati Uniti e Fatah stanno esercitando in modo convergente una pressione nei confronti della Siria affinché faccia mancare il suo – decisivo - sostegno ad Hamas. Un avvio delle trattative per la restituzione alla Siria del Golan, occupato da Israele nel 1967, potrebbe non solo migliorare i rapporti tra Siria e Israele, ridimensionare fortemente l’alleanza con la fazione palestinese di Hamas, ma soprattutto riavvicinare la Siria all’Occidente, anche in considerazione della necessità di Damasco di proseguire sulla strada dell’apertura ad un economia di mercato e di incentivare il proprio sviluppo economico.
Annapolis, dunque, sarebbe il punto di avvio di una nuova strategia diplomatica tesa ad allontanare la Siria dall’Iran, Hamas e Hezbollah e a spezzare il forte e pericoloso legame fra queste entità. Va detto tuttavia che lo spostamento della Siria verso un fronte più occidentale sembra subordinato non solo alla negoziazione sul Golan, ma anche – in misura da determinarsi – su un maggiore margine di manovra all’interno del Libano.
L'Iran considera Israele (spesso non nominato espressamente ma appellato spregiativamente “regime sionista”) insieme a USA e Regno Unito “un asse del male contro il mondo islamico e l'intera umanità”. In numerose occasioni Ahmadi-Nejad ha dichiarato di augurarsi la scomparsa di Israele e ha provocatoriamente messo in dubbio l’esistenza dell’Olocausto. I rapporti con Israele si risolvono quindi – al momento – solo in manifestazione di ostilità. Ahmadi-Nejad ha fatto sapere che se fosse attaccato per il suo programma nucleare, l'Iran reagirebbe colpendo interessi degli Usa nel mondo e Israele. Il governo israeliano – come si è sopra riportato - ha fatto intendere di non volersi fidare del tutto delle valutazioni del NIE e non ha mancato di rilevare che, in ogni caso, la conversione da progetti nucleari civili a quelli militari può impegnare solo pochi mesi[20]. Israele si prepara pertanto al fatto che l'Iran potrà disporre di un primo ordigno atomico nel 2009. Le preoccupazioni per lo sviluppo del nucleare in Iran hanno anche portato Israele a chiedere le dimissioni del direttore dell’AIEA ElBaradei, dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto al Board dei governatori, considerato troppo conciliante.
Tuttavia – per quanto la questione della sicurezza ovviamente occupi il primo posto nell’agenda israeliana - non sembra consistente il rischio di un’azione unilaterale di Israele: un sondaggio svolto in Israele dopo la pubblicazione del NIE ha reso noto che la maggioranza (67,2%) degli israeliani pensa che Israele non debba attaccare da solo gli impianti nucleari dell' Iran mentre di parere opposto è oggi solo il 20,9%.
Gli Stati Uniti fin dall’inizio della presidenza Bush, hanno collocato l’Iran tra i paesi nemici e pericolosi[21]. Come si è già detto, il problema principale consiste nello sviluppo da parte dell’Iran di un programma nucleare non trasparente, che si affianca alle provocatorie e minacciose dichiarazioni riguardanti lo Stato di Israele. Oltre a questo, vi è la convinzione da parte delle autorità militari statunitensi che l’intelligence e alcune organizzazioni paramilitari iraniane stiano collaborando con i ribelli iracheni nell’organizzare attentati contro le forze militari americane. Il Presidente Bush aveva inoltre dichiarato, lo scorso agosto, che estremisti sciiti sostenuti dall’Iran stavano addestrando gli iracheni a compiere attentati contro militari americani e contro la popolazione civile, aggiungendo di aver autorizzato i comandi militari in Iraq a rispondere alle “attività omicide di Teheran”. La guerra in Iraq è sembrata acquisire – in tutte le fasi di inasprimento dei rapporti con l’Iran – un carattere assai diverso rispetto a quelli originari del marzo 2003, diventando ormai una sorta di battaglia strategica tra Stati Uniti e Iran per l’affermazione di egemonia su una area geopolitica di importanza cruciale.
Questo sembra essere il motivo per cui l’opzione militare degli Stati Uniti contro l’Iran non è stata accantonata nemmeno dopo le informazioni rese note dal Rapporto NIE. E questo è anche il motivo per cui periodicamente riprendono invece quota il dialogo e forme (più o meno segrete) di negoziato[22].
All’interno dell’attuale amministrazione vi è chiaramente una linea (che solo in parte coincide con la corrente neocon supportata dal vicepresidente Dick Cheney) che sostiene la necessità (o la inevitabilità) di un attacco militare all’Iran, anche allo scopo di scongiurare che esso divenga in breve la potenza egemone del Medio Oriente. Non è escluso che anche qualora l’Iran rinunciasse all’atomica continuerebbero ad essere attive correnti favorevoli all’opzione militare in quanto la vera ragione per intervenire con le armi risiederebbe nella esigenza di ristabilire un rapporto di forze geopolitico nella regione mediorientale che dal 2001 si è pericolosamente sbilanciato a favore dell’Iran.
Al momento sembra però maggioritario il partito di coloro che respingono l’idea di un intervento militare (Dipartimento di Stato e Intelligence), non tanto perché ritengano l’Iran un paese poco pericoloso, ma perché l’uso della forza non viene visto come risolutivo per determinare un – auspicato – cambiamento di regime e perché costituirebbe un fattore di rischio elevatissimo sulle alleanze con i paesi dell’area.
Dietro questa contrapposizione vi è anche un problema più generale di interpretazione della natura del regime iraniano. Negli USA – e in una certa misura anche in Europa[23] - sono presenti due diverse ipotesi: quella che interpreta il regime di Teheran come un regime rivoluzionario, e quindi dominato – anche nella sua politica estera – dalla logica interna della rivoluzione e dall’imperativo categorico di mantenerne vivi i caratteri e quella che invece ritiene possibile che i governanti di Teheran facciano effettivamente quei compromessi tipici di (e vantaggiosi per) una potenza nazionale, per quanto in ascesa.
Ogni valutazione in materia di politica estera presuppone, come sottolineato più volte da Henry Kissinger, una interpretazione coerente di questo aspetto.
In ogni caso, per quanto riguarda la politica estera statunitense, l’eventuale uso della forza assumerebbe comunque ora contorni diversi da quelli immaginati negli scorsi mesi: l’opinione pubblica americana – ormai persuasa, dopo la pubblicazione del Rapporto NIE, che l’Iran non costituisce una minaccia nucleare immediata - non potrebbe offrire ad un attacco su larga scala il necessario supporto. La pianificazione di un eventuale attacco potrebbe comprendere ora solo bombardamenti “chirurgici” diretti non tanto contro gli impianti nucleari quanto, principalmente, contro le strutture facenti capo ai Guardiani delle rivoluzione.
Un evento di grande rilievo sul piano dei rapporti fra i due paesi è stata la recente approvazione da parte del Senato americano (26 settembre 2007) di una una risoluzione che chiede di definire la Guardia Rivoluzionaria Iraniana un gruppo terroristico. La risoluzione, presentata dal repubblicano Jon Kyl e dall'indipendente Joseph Lieberman, è stata approvata con 76 voti favorevoli (fra i quali 28 di senatori democratici) e 22 contrari. Nella risoluzione si mette anche in luce la funzione di deterrenza costituita dei militari americani nei confronti di Teheran e della sua minaccia per la stabilità nel Medio Oriente. La risoluzione appare politicamente rilevante, dato il ruolo che la Guardia Rivoluzionaria riveste nell’establishment iraniano (vedi supra).
I temi di politica estera sembrano essere assenti dai comizi organizzati dai candidati impegnati nella campagna elettorale. Le ragioni di questo accantonamento sarebbero da individuarsi nel calo dei morti americani in Iraq e – appunto - nel ridimensionamento della minaccia iraniana.
Tra le dichiarazioni delle scorse settimane, Barack Obama ha chiarito la propria posizione sull’Iran (2 novembre) dicendo che, se eletto, sarebbe sua intenzione attuare una “aggressiva diplomazia personale” attraverso incentivi economici e la promessa di rispettare il regime al potere, ma solo se l'Iran smetterà di sostenere gli insorti in Iraq e coopererà sulla questione del nucleare.
Più intransigente la posizione di Hillary Clinton che ha votato al Senato – il 26 settembre – insieme ai senatori repubblicani la risoluzione che ha consentito alla Casa Bianca di emanare l’Executive Order 13382 (vedi supra) e quindi di inserire la Guardia Rivoluzionaria Iraniana tra i gruppi terroristici e di adottare ulteriori sanzioni. A causa di questa sua posizione, anche se ha spesso ripetuto di essere in favore della via diplomatica, la Clinton è stata criticata dagli altri candidati democratici: John Edwards e Barack Obama non hanno esitato ad accusarla addirittura di aver dato una mano a Bush a preparare il terreno per un attacco militare all'Iran.
Al di là delle schermaglie preelettorali, la scelta dell’amministrazione USA (senza precedenti) di mettere al bando un’intera componente della forza armata di un paese straniero appare di un certo rilievo.
Infine si ricorda che, all’indomani della diffusione del Rapporto NIE si è aperto un dibattito tra i candidati repubblicani alle elezioni per la Casa Bianca circa l’opportunità o meno di intavolare un dialogo diretto con l’Iran, su impulso delle dichiarazioni a favore dell’avvio di negoziati diplomatici rilasciate dal senatore Jay Rockefeller, presidente della commissione Servizi segreti del Senato. Favorevole a questa ipotesi si è dichiarato Mike Huckabee, mentre molto perplessi, se non contrari, si sono dichiarati, Mitt Romney, John McCain e Rudy Giuliani. Fra i candidati repubblicani è quest’ultimo a sembrare il più vicino alla linea più intransigente: nonostante nel suo programma elettorale l’Iran non venga citato espressamente, occorre ricordare che Giuliani si avvale di consiglieri - fra i quali Norman Podhoretz e l’islamista Daniel Pipes – che in più occasioni hanno sostenuto la necessità di un attacco militare all'Iran.
La pubblicazione del NIE non ha determinato alcun cambiamento nella posizione dei paesi membri dell’ Unione europea e della Nato che hanno dichiarato di voler proseguire con la politica delle sanzioni restando però aperti ad un dialogo che possa portare ad un accordo politico ed economico con l’Iran.
Francia e Germania – convinte entrambe che la strada della "fermezza e delle sanzioni sia l’unica percorribile” – convengono con gli Stati Uniti che il Rapporto NIE non deve far abbassare la guardia perché l’Iran continua a costituire una minaccia: questa sarà la posizione che i due Paesi intendono sostenere in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite garantendo, insieme al Regno Unito, l’appoggio alla bozza di risoluzione USA che propone un inasprimento delle sanzioni. Contrarie Russia e Cina che con la loro opposizione avevano fatto sì che la Francia formalizzasse lo scorso ottobre la richiesta di nuove misure a livello comunitario.
Per una ricostruzione più dettagliata delle posizioni europee sull’Iran, si rinvia alla specifica scheda Rapporti tra l’Unione europea e la Repubblica islamica dell’Iran (infra).
La Russia ha buoni rapporti economici con l’Iran soprattutto nel campo dell’energia. Russia e Iran, che sono i due maggiori produttori di gas del mondo, hanno concluso nel 2006 un accordo per la costruzione di un gasdotto che collegherà l’Iran al Pakistan e all’India.
Riguardo al nucleare, la Russia ha anche offerto a Teheran un accordo bilaterale che consente lo svolgimento delle attività iraniane di arricchimento dell'uranio sul territorio russo e in collaborazione tra i due governi. Con la partecipazione della Russia è stata costruita anche la centrale di Busher, dotata di una capacità di 1.000 MW, che si prevede entrerà in funzione la prossima estate: il 17 dicembre la Russia ha consegnato la prima fornitura di combustibile nucleare, destinato al funzionamento della centrale. Il combustibile resterà sotto il controllo dell'AIEA per tutto il tempo in cui si troverà nel territorio iraniano. (l’importazione di uranio arricchito dall'estero era una delle opzioni prese in esame per arrestare il processo di arricchimento condotto in Iran).
Ma la cooperazione russo-iraniana riguarda altresì l’ambito militare ed ha avuto particolare slancio a partire dal 2000 in seguito alla sospensione del protocollo "Gore - Cernomyrdin", siglato cinque anni prima fra Russia e Stati Uniti relativo alle restrizioni di forniture di armamenti all’Iran. Dal 2000, quindi, sono stati possibili per la Russia esportazioni di tecnologie e attrezzature militari verso l’Iran.
La Russia, che, come già detto è contraria alle sanzioni, si è proposta come mediatore tra l’Iran e gli UE-3 e gli Stati Uniti che però, finora, non hanno mai voluto trattare direttamente con gli iraniani.
Come la Russia, anche la Cina è sempre stata contraria all’adozione di sanzioni contro l’Iran e, dopo la diffusione del Rapporto NIE, ha chiesto l’apertura di negoziati per la soluzione della questione riguardante il programma nucleare iraniano.
In ogni caso sembra evidente che – almeno al momento – le relazioni fra i due paesi sono molto condizionate dalle opportunità che la Cina intravede nelle risorse economiche (ma anche nella posizione geografica) dell’Iran ai fine della realizzazione delle proprie aspirazioni ad assurgere rapidamente al rango di grande potenza economica e di player globale.
La Cina è già oggi un partner economico fra i più importanti dell’Iran. Risale al 9 dicembre la firma con la compagnia petrolifera cinese Sinopec di un contratto di molti miliardi di dollari per lo sviluppo del giacimento petrolifero iraniano di Yadavaran, nel sudovest del Paese. Secondo il direttore dello sfruttamento della Compagnia nazionale petrolifera iraniana (Nioc) Mahmud Mohades, Yadaravan contiene 18,3 miliardi di barili di petrolio, di cui la parte recuperabile è di 3,2 miliardi di barili. Secondo gli esperti l'investimento necessario per sviluppare Yadavaran è dell'ordine di vari miliardi di dollari.
A fronte di questo investimento, tuttavia, sempre all’inizio di dicembre è stata resa pubblica la notizia (da Asadollah Asgaroladi, direttore della Camera di commercio irano-cinese) che negli ultimi tempi le banche cinesi si sono rifiutate di aprire le linee di credito richieste da banche iraniane e dalle aziende che collaborano con aziende cinesi. Il governo di Teheran suppone che il cambiamento di atteggiamento delle banche cinesi vada attribuito alle pressioni degli Stati Uniti che, forti dei 343 miliardi di dollari di interscambio con la Cina, sarebbero riusciti a persuadere quest’ultima ad aderire almeno in parte alle sanzioni contro l’Iran.
Asgaroladi ha fatto sapere anche che nel 2006 l'interscambio tra Iran e Cina si aggirava intorno ai 18 miliardi di dollari mentre nel 2007 – fronte di una previsione di crescita molto maggiore – ci si sarebbe invece a stento avvicinati alla quota di 20 miliardi di dollari.
Le relazioni tra l’Unione europea e l’Iran non hanno allo stato attuale una cornice giuridica di riferimento, né esiste tra le parti una cooperazione finanziaria di rilievo. Dopo una fase di apertura nelle relazioni seguita all’elezione del Presidente Khatami nel 1997 (vedi infra), la situazione è attualmente resa più difficile – dopo l’elezione del Presidente Mahmud Ahmadinejad[24] - dalle violazioni dei diritti umani e delle libertà dei cittadini, dall’impatto negativo che le politiche e le dichiarazioni iraniane hanno sulla stabilità e sulla sicurezza in Medio Oriente nonché, in particolare, per la mancata soluzione del dossier nucleare[25].
Con l’elezione del Presidente Khatami nel maggio 1997 e l’inizio di un processo di apertura del paese, nel 1998 l’Unione europea aveva avviato con l’lran un’iniziativa di dialogo globale su questioni di interesse generale e regionale, quali terrorismo, diritti umani, proliferazione delle armi e processo di pace in Medio Oriente. Nella stessa occasione l’UE aveva deciso di esplorare la possibilità di una cooperazione con l’Iran in materia di energia, commercio e investimento, lotta alla droga.
In questo contesto, il 7 febbraio 2001 la Commissione ha adottato una comunicazione[26] - approvata dal Consiglio nel maggio 2001 – in cui vengono individuate opportunità e condizioni per il rafforzamento delle relazioni tra UE ed Iran, con la prospettiva di arrivare alla conclusione di un accordo di commercio e cooperazione. Tale accordo, finalizzato a sviluppare il commercio e gli investimenti, a sostenere gli sforzi dell’Iran in direzione della liberalizzazione dell’economia e a facilitare la cooperazione regionale, avrebbe dovuto prevedere anche una dichiarazione sul dialogo politico, un impegno comune contro il terrorismo nonché il rafforzamento delle relazioni nelle aree di interesse comune: narcotraffico[27], assistenza ai rifugiati[28], energia e ambiente.
I negoziati per la conclusione dell’accordo sono stati avviati ufficialmente a Bruxelles nel dicembre 2002. Dopo un primo round negoziale a giugno 2003, le trattative hanno subìto un’interruzione di circa 18 mesi, dovuta alle numerose divergenze sorte tra le due Parti nonché ai dubbi sollevati dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) a proposito della natura pacifica del programma nucleare iraniano. A seguito dell’intesa raggiunta con l’Iran da Francia, Germania e Gran Bretagna[29] e della conferma da parte dell’AIEA dell’avvenuta sospensione delle attività nucleari, la Commissione ha deciso di rilanciare i negoziati che sono ripresi il 12 gennaio 2005. Il V, VI e VII round negoziale hanno avuto luogo in gennaio, marzo e giugno 2005. A seguito della ripresa delle attività di arricchimento dell’uranio nell’estate del 2005 da parte dell’Iran, i negoziati sono stati nuovamente sospesi dalla Commissione in attesa di una soluzione sul versante nucleare.
Un ulteriore seguito delle proposte avanzate dalla Commissione nel 2001 è rappresentato dall’avvio del dialogo sui diritti umani, deciso dal Consiglio il 21 ottobre 2002, dopo una serie di consultazioni con l’Iran in cui è emersa la volontà di collaborazione del Governo[30]. L’obiettivo del dialogo è quello di contribuire a migliorare la situazione in Iran, che desta particolare preoccupazione a causa delle ripetute violazioni dei diritti civili e politici e del ricorso alla pena di morte, che viene comminata anche in forme di particolare efferatezza.
Nell’istituire il dialogo, il Consiglio ha manifestato l’intenzione di procedere ad una valutazione periodica dei risultati raggiunti. I parametri per la valutazione del dialogo si riferiranno a tutti i temi in gioco e, fra l'altro, ai seguenti elementi: firma, ratifica e attuazione da parte dell'Iran degli strumenti internazionali in materia di diritti umani; cooperazione nell'ambito delle procedure e dei meccanismi internazionali in materia di diritti umani; apertura, accesso e trasparenza; discriminazione; sistema penitenziario.
Fino ad oggi si sono tenute quattro sessioni del dialogo, l’ultima della quali a Teheran il 14 e 15 giugno 2004[31]. L’avvio del dialogo non è stato accompagnato da un’azione risoluta dell’Iran a favore dei diritti umani: il Consiglio relazioni esterne ha adottato più volte[32] conclusioni in cui esprime preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e della libertà di espressione, gli attacchi contro la stampa, l'imprigionamento di giornalisti, d'intellettuali e di studenti, l'applicazione della pena di morte, le esecuzioni pubbliche, la tortura, la discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze religiose.
Sull’argomento si è espresso più volte anche il Parlamento europeo, che il 25 ottobre 2007 ha approvato una risoluzione sull’Iran in cui, tra l’altro, chiede di riavviare il dialogo sui diritti umani sospeso nel 2004 ed invita la Commissione ad adoperarsi il più possibile per sostenere gli scambi tra le società civili e gli scambi accademici, socioeconomici e culturali tra Europa e Iran ai fini di un dialogo aperto. Inoltre nella risoluzione il PE:
· esprime la propria profonda preoccupazione in merito al deterioramento della situazione dei diritti umani in Iran negli ultimi anni e rivolge un appello alle autorità iraniane affinché rispettino gli obblighi derivati dalle norme e dagli strumenti internazionali per i diritti umani ratificati dall'Iran;
· condanna fermamente l'esecuzione mediante lapidazione di Jafar Kiani avvenuta il 5 luglio 2007 nel villaggio di Aghche kand (provincia di Quazvin). A tale proposito invita le autorità iraniane ad attuare la moratoria della lapidazione da esse dichiarata e chiede perentoriamente una riforma del codice penale islamico iraniano che preveda l'abolizione della lapidazione;
· condanna inoltre fortemente le condanne a morte e le esecuzioni in Iran, in particolare quelle a carico di minori e di autori di reati commessi in età minorile, e sollecita le autorità iraniane a rispettare le garanzie giuridiche riconosciute internazionalmente riguardo ai minori, quale la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo;
· esprime profonda preoccupazione per il drammatico aumento della repressione dei movimenti della società civile in Iran nell’ultimo anno e chiede alle autorità iraniane di porre fine alla dura repressione praticata contro difensori dei diritti delle donne, attivisti della campagna "Un milione di firme", movimenti degli studenti, difensori dei diritti delle minoranze, intellettuali, insegnanti, giornalisti, blogger e sindacalisti.
Le istituzioni dell’Unione europea si sono espresse in più occasioni sul dossier nucleare iraniano. Da ultimo sull’argomento è tornato il Consiglio europeo del 14 dicembre scorso che, nel riaffermare la propria profonda preoccupazione per la situazione, ha sottolineato come l'acquisizione di una capacità militare nucleare da parte dell'Iran sia inaccettabile.
Nel deplorare che l'Iran non abbia ancora rispettato gli obblighi internazionali di sospendere qualsiasi attività connessa all'arricchimento e al ritrattamento dell’uranio, il Consiglio europeo si è rammaricato che né l'Alto Rappresentante dell'UE, Javier Solana, in seguito alle discussioni con il negoziatore iraniano in materia nucleare, né il Direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), Mohamed El Baradei, abbiano potuto riferire risultati positivi, soprattutto per quanto riguarda il rispetto da parte dell'Iran dei requisiti richiesti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Il Consiglio europeo ha esortato dunque l'Iran a fornire all'AIEA risposte esaurienti, chiare e credibili per risolvere tutte le questioni inerenti alle sue attività nucleari, a ratificare e ad applicare il protocollo addizionale al Trattato sulla non proliferazione[33] e ad attuare pienamente le disposizioni del trattato in materia di salvaguardie, comprese le intese accessorie. Secondo il Consiglio europeo portare a termine tali azioni ed adottare le misure di trasparenza richieste dall'AIEA costituirebbe un passo positivo per rassicurare la comunità internazionale riguardo al programma nucleare iraniano.
Il Consiglio europeo ha inoltre riaffermato il suo pieno ed inequivocabile appoggio agli sforzi intesi a trovare una soluzione negoziata a lungo termine alla questione nucleare iraniana, sottolineando che le proposte presentate dall'Alto Rappresentante nel giugno 2006[34] consentirebbero all'Iran di disporre di tutto quanto occorre per sviluppare un'industria dell'energia nucleare civile tenendo conto al tempo stesso delle preoccupazioni espresse a livello internazionale.
In considerazione dell’indisponibilità manifestata dall’Iran ad interrompere le attività di arricchimento dell’uranio, in linea con la risoluzione 1737 adottata il 23 dicembre 2006 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 19 aprile 2007 l’UE ha approvato misure restrittive nei confronti dell'Iran (regolamento n. 423/2007, poi modificato dai regolamenti n. 441/2007 e n. 618/2007),vietando la fornitura, l’esportazione e il trasferimento di beni e tecnologie connessi con l’attività di arricchimento nonché la prestazione di assistenza tecnica e finanziaria e di servizi correlati. Il regolamento inoltre congela i fondi e le risorse economiche di persone, entità o organismi che abbiano partecipato o dato il loro sostegno ad attività legate alla proliferazione nucleare.
Si segnala che il disegno di legge comunitaria 2007 (A.C. 3062) prevede all’articolo 26 una delega al Governo finalizzata ad introdurre misure applicative del citato regolamento.
Il Consiglio affari generali e relazioni esterne del 15 e 16 ottobre 2007 ha convenuto inoltre che l'UE valuti quali eventuali misure supplementari adottare a sostegno del processo delle Nazioni Unite e dei comuni obiettivi della comunità internazionale ed ha invitato gli organi del Consiglio competenti a pronunciarsi tempestivamente al riguardo.
Si segnala che, nonostante la difficile fase attraversata dai rapporti tra l’Unione europea e l’Iran, permane intensa la collaborazione reciproca nel settore della lotta al traffico di droga (vedi scheda Il traffico di droga nelle aree di confine con l’Afghanistan).
Sono egualmente intense anche le relazioni economiche, tanto che l’Unione europea è il maggior partner commerciale dell’Iran, sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. In base ai dati del Fondo monetario internazionale relativi al 2005, oltre il 40% delle importazioni iraniane proviene dai paesi dell'UE (per un volume di oltre 14 miliardi di euro) che a loro volta assorbono circa un quarto delle esportazioni complessive dell'Iran (oltre 10 miliardi di euro). L'Europa, e in particolare la Germania, esporta verso l'Iran per il 90% macchinari. Queste relazioni commerciali sono in continua crescita e l'Italia è fra i partner principali, con circa 5 miliardi di euro di crediti all'export per le imprese italiane.
[1] Oltre alle forme di pluralismo politico – a cui si fa principalmente riferimento in questa scheda – occorre ricordare che la rigida teocrazia instaurata ormai quasi 30 anni fa, non ha annullato la ricchezza della società e della cultura iraniane. Anche in questo retroterra affondano le radici quelle aspirazioni egemoniche rispetto all’area mediorientale che spesso trovano espressione nella politica estera iraniana (anche da parte di esponenti politici fra loro distanti).
Si ricordano, in proposito, le considerazioni svolte dall’Ambasciatore d’Italia in Iran, Roberto Toscano, durante l’audizione presso la III Commissione della Camera del 9 maggio 2007.
Un’opera che recentemente ha offerto un quadro del composito panorama sociale, soffermandosi in particolare sul ruolo delle donne, che risulta crescente nonostante il regime clericale e che differenzia la società iraniana dal mondo arabo è: Renzo Guolo, La via dell’Imam: l’Iran da Khomeini ad Ahmadinejad, Laterza 2007.
[2] Candidato riformista.
[3] Questa convergenza ha invece funzionato nelle successive elezioni amministrative del dicembre 2006 e sembra essere il principale trend in atto oggi nel paese.
[4] Particolare rilievo ha avuto la dichiarazione di Abdolvahed Musavi-Lari, ministro nell’ultimo governo riformista di Khatami.
[5] Sulle origini e gli effetti di questa decisione dell’amministrazione Bush si ritorna, più avanti nel paragrafo dedicato alle relazioni fra i due paesi.
[6] In quella occasione furono associate alle elezioni amministrative anche le elezioni di medio termine per tre seggidel Parlamento e le elezioni per il rinnovo – dopo otto anni - degli 86 membri dell’Assemblea degli Esperti.
[7] Le origini della scuola sono legate alla setta Hojjatieh(vedi infra).
[8] Larijani è un ex-ufficiale dei pasdaran, ex Ministro della cultura ed ex consigliere per la sicurezza della Guida suprema. Ha rivestito per 10 anni la carica di presidente della radiotelevisione e da due anni era stato nominato capo negoziatore sul nucleare. E’ un politico viso all’ala riformista ma in rotta di avvicinamento verso posizioni pragmatiche.
[9] Il 10 gennaio è stata diffusa dalla stampa locale la notizia che il Tribunale di Shiraz ha comminato tale pena a due giovani accusati di stupro, ripristinando un’antica tradizione islamica.
[10] Il testo della risoluzione è riportato fra la documentazione allegata.
[11] Tuttavia, le esecuzioni sono normalmente effettuate al compimento del diciottesimo anno d’età.
[12] E’ ormai accertato che l’Iran ha operato – per anni – in collaborazione con la rete illegale creata dallo scienziato pakistano A.Q. Khan, le cui attività erano finalizzate non certo alla costruzione di impianti civili (vedi: William Langewiesche, Il bazar atomico, Adelphi 2007.
[13] Espressa in modo molto chiaro nella recente opera di Trita Parsi, Treacherous Alliance: the secret dealings of Israel, Iran and United States, Yale University Press, 2007.
[14] Il TNP, sottoscritto il 1 luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, proibisce agli stati firmatari che non disponevano di armamenti nucleari all’epoca della firma (stati non-nucleari), di ricevere o fabbricare tali armamenti o di procurarsi tecnologie e materiale utilizzabile per la costruzione di armamenti nucleari. Ugualmente il trattato proibisce agli stati nucleari firmatari (USA, URSS/Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) di cedere a stati non-nucleari, armi nucleari e tecnologie o materiali utili alla costruzione di queste armi. Inoltre il trasferimento di materiale e tecnologie nucleari, da utilizzarsi per scopi pacifici, deve, secondo il trattato, avvenire sotto lo stretto controllo dall’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). E’ proprio l’assistenza dell’AIEA per gli sviluppi pacifici che viene offerta in cambio ai paesi firmatari (e negata ai non firmatari). India, Israele e Pakistan (che si sono dotati di armamento nucleare) non sono stati-parte e non hanno aderito agli inviti di entrare nel trattato come stati non nucleari. Anche Argentina e Brasile non hanno firmato il TNP.
[15] Tra di essi: il riconoscimento formale del diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare civile; il sostegno all’adesione dell’Iran all’OMC; assicurazioni sul carattere temporaneo della moratoria sull’arricchimento dell’uranio, che avrebbe potuto riprendere una volta certificata la natura pacifica del programma nucleare. Il pacchetto conteneva peraltro anche la minaccia di sanzioni all’Iran in caso di inadempimento.
[16] Si fa presente che questo punto consente di fatto alla Russia di portare a compimento la costruzione in Iran dell’impianto nucleare civile ad acqua leggera di Bushehr.
[17] Non sono mancate le interpretazioni in chiave politica del rapporto NIE: esso sarebbe, secondo la tesi sostenuta da alcuni esponenti neoconservatori, il frutto di una insidiosa iniziativa di ambienti interni alla CIA ostili all’amministrazione repubblicana. E’ nota la polemica neoconservatrice contro la gestione clintoniana della CIA e contro ciò che di tale gestione sopravvive ancora oggi.
[18] Si ricorda che Siria e Libia si schierarono dalla parte dell’Iran nella guerra del 1980-1988 contro l’Irak.
[19] La visita in Medio Oriente del Presidente Bush dall'8 al 16 gennaio prevede tappe in Israele, Cisgiordania, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto.
[20] Dichiarazione alla Knesset del ministro per le questioni strategiche Avigdor Lieberman del 17 dicembre scorso.
[21] Ma è noto che l’ostilità fra i due paesi è ormai un dato storico e nessuna amministrazione americana da Carter in poi ha mai impresso una svolta sostanziale rispetto alla drammatica rottura del novembre 1979.
[22] Vedi, da ultimo la ripresa di colloqui ufficiali che si era avuta nel giugno del 2007. Si segnala anche la recente analisi di Alessandro Politi, Il responso di Giano (riportata in allegato) dove si elencano con efficacia i (numerosi) motivi che – su un piano di discorso strettamente realistico – spingerebbero i due contraenti verso un accordo.
[23] Vedi l’articolo di M. Dassù pubblicato sul Corriere della Sera del 10 ottobre scorso: Il dilemma sanzioni.
[24] A seguito delle elezioni presidenziali del 25 giugno 2005, nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, le istituzioni dell’Unione europea si sono dette pronte a lavorare con qualsiasi governo iraniano disposto a fare progressi su fronti come quelli dei diritti umani, del nucleare, della lotta al terrorismo e del Medio Oriente.
[25] Il 26 novembre 2003 l’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha adottato una risoluzione sul programma nucleare iraniano e ha chiesto all’Iran la piena cooperazione - in attesa dell’entrata in vigore di un protocollo aggiuntivo sul regime di controlli di sicurezza - e la sospensione di tutte le attività in materia di arricchimento e ritrattamento dell’uranio. Dopo un’intesa raggiunta il 15 novembre 2004 grazie all’attività diplomatica del gruppo UE3 (composto da Francia, Germania e Gran Bretagna), l’Iran ha ripreso l’attività nell’estate del 2005. Nonostante un’intensa attività diplomatica a livello internazionale, Russia e Stati Uniti cui ha partecipato anche l’Alto rappresentante per la PESC, Javier Solana, il 12 luglio 2006, non essendo stato riscontrato da parte di Teheran alcuna disponibilità al compromesso, il dossier sul nucleare iraniano è stato rimesso al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
[26] COM (2001) 71.
[27] Nell’ambito della strategia UE per la lotta alla droga all’esterno dell’Unione, a partire dal 2002 si sono svolti incontri UE-Iran di esperti antidroga, che hanno consentito un proficuo scambio d’informazioni sui più recenti sviluppi nelle politiche e nelle strategie antidroga dell’Unione europea e dell’Iran, paese di transito per il narcotraffico.
[28] Sull’Iran grava una popolazione di rifugiati che, nei momenti peggiori, è arrivata alla cifra di circa 2,5 milioni, provenienti prevalentemente dall’Afghanistan.
[29] L’accordo di Parigi del 15 novembre 2004 prevedeva la sospensione delle attività iraniane di arricchimento dell’uranio per consentire la negoziazione di un accordo di lungo termine in materia di nucleare.
[30] In particolare l’Iran ha accettato le richieste dell’UE sui principi per tale dialogo: assenza di condizioni preliminari e di questioni che non potessero essere trattate, diritto per entrambe le Parti di interrompere il dialogo in qualsiasi momento e introduzione di parametri concreti per valutare i progressi realizzati in questo settore.
[31] Il dialogo è stato sospeso a seguito del degradarsi delle relazioni tra le due Parti a proposito del dossier nucleare.
[32] 17 giugno 2002, 21 ottobre 2002, 18 marzo 2003, 21 luglio 2003, 13 ottobre 2003, 11 ottobre 2004, 20 dicembre 2005.
[33] Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), firmato nel 1968 da USA, URSS e Regno Unito e attualmente sottoscritto da 189 paesi, è uno strumento internazionale, i cui obiettivi sono quelli di prevenire la diffusione di armi e tecnologie nucleari, di sostenere l’uso pacifico dell’energia nucleare e di promuovere l’obiettivo del disarmo totale. Il Trattato stabilisce un sistema di salvaguardie sotto la responsabilità dell’AIEA che occupa un ruolo centrale anche nel trasferimento di tecnologie per scopi pacifici previsto dal Trattato. L’Iran, che ha firmato il TNP nel 1974, nel 2003 ha acconsentito a firmare un protocollo addizionale al TNP per consentire agli ispettori dell’Agenzia di accertare la natura pacifica del programma nucleare e l’assenza di materiale non dichiarato.
[34] Il 6 giugno 2006 l'Alto rappresentante dell'UE per la PESC si è recato a Teheran per consegnare alle autorità iraniane l'offerta di cooperazione elaborata a nome dell'Unione europea dall'UE-3 e adottata il 1° giugno 2006 dai “Sei” (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania), che combina incentivi e sanzioni per indurre l'Iran a sospendere le proprie attività di arricchimento dell'uranio.