Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||
Titolo: | Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale - schema di d.lgs n. 96 (Schede di sintesi e schede di lettura) | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 82 | ||
Data: | 29/05/2007 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
XIV - Politiche dell'Unione europea | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Atti del Governo
Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
Schema di decreto legislativo n.96
(art. 1, co. 1, 4, 5 e 6, L. n. 308/2004)
Scheda di sintesi e schede di lettura
n. 82
29 maggio 2007
Il presente dossier è costituito dai seguenti volumi:
- n. 82 contenente la scheda di sintesi e le schede di lettura;
- n. 82/1 contenente la normativa di riferimento e la giurisprudenza costituzionale;
- n. 82/2 contenente l’iter parlamentare e la dottrina.
SIWEB
I dossier
del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per
l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.
File Am0039
I N D I C E
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Rispetto degli altri princìpi costituzionali
§ Commi 1 – 5 e 19 Il ripristino delle previgenti definizioni in materia di scarichi
§ Commi 6 – 12 I valori limite di emissione e le autorizzazioni agli scarichi
§ Commi 13 e 14 La gestione delle risorse idriche
§ Comma 15 Il nuovo articolo 161 sull’assetto istituzionale del settore
§ Comma 16 Supporto dell’APAT in materia di gestione dei rifiuti e di bonifiche
§ Comma 17 Priorità al recupero di materia rispetto a quello di energia
§ Comma 18 Il nuovo articolo 181 sul recupero dei rifiuti
§ Comma 20 Le definizioni rilevanti ai fini dell’applicazione della Parte IV
§ Comma 21 I rifiuti dei cosiddetti “sistemi d’arma”
§ Comma 22 Il nuovo articolo 185 recante i casi di non applicabilità della disciplina dei rifiuti
§ Comma 23 Il nuovo articolo 186 sulle terre e rocce da scavo
§ Comma 24 Il MUD anche per i rifiuti speciali non pericolosi
§ Comma 25 Trasporto dei fanghi in agricoltura
§ Comma 26 I criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani
§ Comma 27 Competenze provinciali relative alle procedure semplificate
§ Comma 28 Procedure di aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani
§ Comma 29 Il nuovo articolo 206 sugli accordi di programma
§ Commi 30 - 31 Iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali
§ Commi 32 - 39 Competenze provinciali relative alle procedure semplificate
§ Commi 40 e 41 La nuova disciplina dei CDR derivante dalle modifiche all’art. 229
§ Comma 42 Proroga del termine per l’adeguamento dello statuto del COBAT
§ Commi 43 e 45 Le modifiche alla normativa in materia di bonifiche
§ COMMA 44 Ripristino del tributo provinciale per le funzioni di tutela ambientale
§ Comma 46 Abrogazione dei commi 25-29 della legge delega
§ Comma 47 Clausola di invarianza della spesa
Emendamenti delle regioni e province autonome. Quadro degli emendamenti di UPI, ANCI e UNCEM
Schema D.lgs. n. 96
§ Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
Relazione motivata
Numero dello schema di decreto legislativo |
96 |
Titolo |
Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale |
Norma di delega |
Art. 1, commi 1, 4, 5 e 6 della L. 15/12/2004, n. 308 |
Settore d’intervento |
Ambiente |
Numero di articoli |
2 |
Date |
|
§ presentazione |
17 maggio 2007 |
§ assegnazione |
29 maggio 2007 |
§ termine per l’espressione del parere |
28 giugno 2007 |
§ scadenza della delega |
29 aprile 2008 |
Commissione competente |
VIII Commissione (Ambiente) XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea) |
Rilievi di altre Commissioni |
V Commissione (Bilancio) |
Lo schema di decreto legislativo in commento reca disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. codice ambientale), in attuazione della norma di delega contenuta nell’articolo 1, comma 6, della legge n. 308 del 2004 (cd. delega ambientale)
Esso si compone di due articoli. Il primo reca 47 modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale) ed il secondo ne disciplina l’entrata in vigore.
La relazione illustrativa sottolinea che l’urgenza di tali modifiche deriva non solo dalla necessità di recepire i pareri resi dalle competenti Commissioni parlamentari e dalla Conferenza unificata sul primo decreto correttivo al codice ambientale (Atti del Governo n. 12 e 12-bis, ora d.lgs. n. 284/2006) ma soprattutto, dalla necessità di adeguare diverse disposizioni del medesimo codice al diritto comunitario. Ciò al fine di determinare la chiusura di numerose procedure di infrazione comunitaria, allo stato pendenti nei confronti dell’Italia e di evitare quindi il rischio “di pesanti condanne da parte della Corte di Giustizia”.
La stessa relazione precisa che sono state rinviate “ad un secondo momento” altre modifiche, suggerite dai predetti pareri, “di cui non è stato possibile l’immediato recepimento”, oltre che “la realizzazione degli obiettivi inerenti la garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute e dell’utilizzazione razionale delle risorse nonché una maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali e la valorizzazione del sistema di controllo preventivo del sistema agenziale, anche secondo taluni criteri delineati dalla legge delega”.
Lo schema di decreto
in esame novella
Per quanto riguarda le modifiche alla Parte III:
§
i commi
da
§ il comma 15 interessa l’assetto istituzionale del settore. Esso in particolare ripristina il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, a seguito della soppressione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti - che avrebbe dovuto assorbirli - stabilita dal primo decreto correttivo, d.lgs. n. 284/2006;
Tra le modifiche più rilevanti alla Parte III si segnalano: il ripristino della previgente nozione di “scarico diretto” inteso quale lo scarico operabile esclusivamente tramite condotta (in particolare, comma 2); l’introduzione di una disciplina più restrittiva per le autorizzazioni agli scarichi (commi 8 e 9); l’abrogazione del comma 5 dell’articolo 148 del codice ambientale, relativo alla facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane (comma 14).
Si segnala, inoltre, il comma 19, che, pur novellando una disposizione della Parte IV, reca interventi direttamente connessi alle problematiche relative alla disciplina in materia di scarichi abrogando due disposizioni in materia di smaltimento di rifiuti in fognatura e di smaltimento della frazione biodegradabile dei rifiuti urbani tramite gli impianti di depurazione delle acque reflue.
I restanti commi - dal 16 al 47 – recano modifiche alla Parte IV del codice ambientale.
Tra le modifiche più rilevanti, si segnalano:
§ l’introduzione di una nozione meno restrittiva di “rifiuto”, cui, tra l’altro, concorrono l’eliminazione della definizione di “sottoprodotto” e di “materia prima secondaria” (comma 20), l’assoggettabilità dei cd. “sistemi d’arma” alla Parte IV del codice (comma 21); una più rigorosa individuazione dei casi di non applicabilità della disciplina dei rifiuti (comma 22); la nuova disciplina in materia di terre e rocce da scavo (comma 23); la classificazione come rifiuto speciale del combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q) (commi 40 e 41);
§ l’eliminazione della previsione di depositi temporanei senza limiti quantitativi (comma 20);
§ l’introduzione della nozione di “prodotto recuperato”, in luogo di quelle soppresse di “sottoprodotto” e di “materia prima secondaria” (comma 20)
§ l’obbligo del MUD (modello unico di dichiarazione ambientale) anche per le imprese che producono rifiuti non pericolosi (comma 24);
§ l’eliminazione dei limiti dimensionali prima previsti, oltre i quali non era consentita l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani (comma 26);
§ la possibilità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti secondo modalità ulteriori rispetto alla gara (comma 28);
§ le modifiche alla disciplina in materia di accordi, contratti di programma, incentivi (comma 29);
§ le più complesse procedure per l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali per le imprese che trasportano rifiuti non pericolosi (commi 30-31);
§ l’attribuzione alle province delle competenze in materia di programmazione e organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti (commi 32-39) e il ripristino del tributo provinciale per le funzioni di tutela ambientale (comma 44);
§ la nuova disciplina transitoria in materia di bonifiche (comma 45).
Lo schema di decreto è accompagnato:
§ dall’analisi tecnico-normativa e dall’analisi dell’impatto della regolamentazione, ai sensi del comma 5 della medesima disposizione;
§ dalla relazione tecnica trasmessa in attuazione del medesimo comma 5, ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, al fine della verifica del principio di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica (contemplato dall’articolo 1, comma 8, lett. c);
§ dal parere della Conferenza unificata, reso in data 29 marzo 2007.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 1, comma 6, della legge delega n. 308 del 2004 prevede che i decreti correttivi vengano emanati sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell'intervento normativo proposto.
Tale relazione, trasmessa in occasione della presentazione del primo decreto correttivo, pur non individuando specificamente le disposizioni oggetto di modifica, ha preannunciato un intervento correttivo sui settori oggetto del presente decreto.
L’articolo 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, individua i seguenti principi e criteri direttivi generali, comuni cioè a tutti i settori e a tutte le materie della delega:
a) salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale;
b) maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente;
c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
d) sviluppo e coordinamento delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili nonché il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;
f) affermazione dei princìpi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio «chi inquina paga»;
g) previsione di misure che assicurino la tempestività e l'efficacia dei piani e dei programmi di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
h) previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza delle autorità competenti;
i) una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale;
l) semplificazione amministrativa, anche mediante il ricorso a regolamenti di delegificazione;
m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione;
n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale.
Il successivo comma 9 stabilisce i principi e i criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega nei diversi settori e materie da questa interessati. Per quanto riguarda la materia della tutela delle acque e la materia di rifiuti si segnalano i criteri recati dalle seguenti lettere:
a) assicurare un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; semplificare, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e razionalizzare le procedure di gestione dei rifiuti speciali, anche al fine di renderne più efficace il controllo durante l'intero ciclo di vita e di contrastare l'elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento; promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del 4 dicembre 2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all'incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal D.M. 5 febbraio 1998 del Ministro dell'ambiente, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni, con particolare riguardo agli scarti delle produzioni agricole; prevedere i necessari interventi per garantire la piena operatività delle attività di riciclaggio anche attraverso l'eventuale transizione dal regime di obbligatorietà al regime di volontarietà per l'adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all'interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica; prevedere l'attribuzione al presidente della giunta regionale dei poteri sostitutivi nei confronti del soggetto competente che non abbia provveduto ad espletare le gare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, tramite la nomina di commissari ad acta e di poteri sostitutivi al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio senza altri obblighi nel caso in cui il presidente della giunta regionale non provveda entro quarantacinque giorni; prevedere possibili deroghe, rispetto al modello di definizione degli ambiti ottimali, laddove la regione predisponga un piano regionale dei rifiuti che dimostri l'adeguatezza di un differente modello per il raggiungimento degli obiettivi strategici previsti; assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani; assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell'istituto; promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale; garantire adeguati incentivi e forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l'utilizzo di prodotti costituiti da materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati; incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente; definire le norme tecniche da adottare per l'utilizzo obbligatorio di contenitori di rifiuti urbani adeguati, che consentano di non recare pregiudizio all'ambiente nell'esercizio delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nelle aree urbane; promuovere gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto; introdurre differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attività produttive in esercizio ovvero siti dismessi; prevedere che gli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati, che devono essere conseguiti con la bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell'approccio tabellare; favorire la conclusione di accordi di programma tra i soggetti privati e le amministrazioni interessate per la gestione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza;
b) dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato, semplificando i procedimenti, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di renderli rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36; promuovere il risparmio idrico favorendo l'introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l'uso e il riutilizzo della risorsa; pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi; accelerare la piena attuazione della gestione del ciclo idrico integrato a livello di àmbito territoriale ottimale, nel rispetto dei princìpi di regolazione e vigilanza, come previsto dalla citata legge n. 36 del 1994, semplificando i procedimenti, precisando i poteri sostitutivi e rendendone semplice e tempestiva l'utilizzazione; prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell'acqua, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte, sia interni che esterni; favorire il ricorso alla finanza di progetto per le costruzioni di nuovi impianti; prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, le modalità per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;
Ai fini di una valutazione circa la conformità dello schema di decreto in esame con la norma di delega, si segnalano le seguenti disposizioni:
§ il comma 25, che interviene sull’articolo 193 del codice ambientale, in materia di trasporto di fanghi in agricoltura, rispetto al quale potrebbe essere opportuno precisare che il formulario che l’impresa è obbligata a compilare sostituisce la scheda di accompagnamento di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 99 del 1992. Ciò al fine di evitare duplicazioni della documentazione richiesta, anche in relazione al criterio previsto dal comma 8, lettera l), della norma di delega che prevede la semplificazione delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale;
§ il comma 45, che assoggetta alla normativa previgente (art. 17 del decreto Ronchi e D.M. n. 471 del 1999) i procedimenti di bonifica in corso alla data del 29 aprile 2006. Occorre valutare la compatibilità dell’assoggettamento di tali procedimenti all’approccio tabellare previsto dalla richiamata normativa con il criterio specifico recato dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega relativo alla previsione che “gli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati, che devono essere conseguiti con la bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell'approccio tabellare”.
Si rinvia inoltre al paragrafo Formulazione del testo in relazione alla necessità di un chiarimento circa la portata dell’intervento normativo recato dal comma 43, soppressivo dell’allegato 1 al Titolo V della Parte IV, concernente i criteri per l’analisi di rischio, da utilizzarsi per la definizione degli obiettivi di bonifica. Qualora infatti tale disposizione fosse volta ad eliminare la procedura bastata sull’analisi di rischio si porrebbe il problema della sua compatibilità con il già richiamato articolo 1, comma 9, lett. a).
Il comma 28 novella il comma 1 dell’articolo
Si segnala che
l’articolo 113, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 - limitatamente al secondo
e al terzo periodo (che definiscono i criteri per l’aggiudicazione delle gare)
- è stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 272 del 2004.
Si segnala, inoltre, che:
§ a seguito delle modifiche apportate dal comma 15 relative alla composizione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, viene meno il coinvolgimento delle regioni nella designazione di una parte dei componenti di tali organi (nuovo articolo 161, commi 2 e 7). Inoltre, non viene più contemplata l’intesa con le regioni in relazione alla definizione dei programmi di attività e delle iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti (articolo 161, comma 5);
§
in
relazione alle modifiche apportate dal comma 29 all’articolo
Il parere della Conferenza unificata contiene appositi emendamenti, definiti irrinunciabili, volti a prevedere il coinvolgimento delle Regioni sia nella designazione dei componenti del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche sia nella stipula degli accordi di programma
Nulla da segnalare.
Nulla da segnalare con riferimento alla normativa comunitaria in vigore.
Si ricorda, tuttavia,
che il 21 dicembre 2005
Acque
Il
17 luglio 2006
In particolare, si ricorda che l’articolo 16 della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) definisce una strategia per far fronte all’inquinamento chimico delle acque. Il primo intervento nell'ambito di tale strategia è stata l'adozione di un elenco di sostanze prioritarie (decisione n. 2455/2001/CE), che annovera 33 sostanze che destano particolari timori a livello comunitario. La proposta intende garantire un livello elevato di protezione contro i rischi che tali sostanze prioritarie e alcuni altri inquinanti comportano per l’ambiente acquatico o attraverso di esso e per questo definisce degli standard di qualità ambientale (SQA).
L’esame della proposta, che segue la procedura di
codecisione, è stato avviato presso
Il 22 marzo 2007
In
base alla valutazione delle relazioni presentate da tutti i 27 Stati membri,
· ad attuare completamente la normativa UE attinente alla direttiva quadro sulle acque, ed in particolare le direttive sulle acque reflue urbane (91/271/CEE) e sull’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole (91/676/CEE);
· a mettere in atto tutti gli strumenti economici previsti dalla direttiva (definizione delle tariffe, recupero dei costi dei servizi idrici, costi ambientali e delle risorse e principio “chi inquina paga”);
· ad istituire un sistema nazionale completo di valutazione e classificazione ecologica che costituisca la base per attuare la direttiva e raggiungere l’obiettivo di un “buono stato ecologico” delle acque.
Ulteriori approfondimenti circa i temi affrontati dalla Comunicazione sono contenuti nel documento di lavoro della Commissione[2].
Nella stessa occasione
·
la quarta
relazione sull'attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue
urbane 91/271/CEE[3]. Tale direttiva prescrive tra l’altro agli
Stati membri di costruire impianti di trattamento delle acque reflue adeguati
per i comuni superiori a determinate dimensioni.
Con riguardo alla situazione Italiana,
· la terza relazione sull’attuazione della direttiva relativa ai nitrati 91/616/CEE[4](COM(2007)120). L'attuazione di tale direttiva, che mira a ridurre e a prevenire l’inquinamento da nitrati di origine agricola nell’acqua superficiale, è tuttora incompleta in una serie di Stati membri e le tendenze in materia di inquinamento variano considerevolmente nell'Unione europea.
Si segnala inoltre che il 22 dicembre 2006 è stata presentata una proposta di modifica della direttiva quadro 2000/60/CE[5], concernente aspetti relativi alla procedura di comitatologia.
La proposta è in attesa di essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione.
Rifiuti
Nel
quadro del sesto programma d’azione per l’ambiente[6], il 21
dicembre 2005
La strategia individua un obiettivo a lungo termine che mira a fare dell’Europa una società che ricicla, cerca di contenere la produzione di rifiuti e trasforma in risorsa i rifiuti che non possono essere evitati. Per realizzare tale obiettivo saranno sfruttate le conoscenze generate dalla strategia tematica per l’uso sostenibile delle risorse naturali[9], adottata nella medesima data. L’attenzione è focalizzata sul concetto di ciclo di vita[10] nella politica di gestione dei rifiuti.
In tale contesto, la proposta di direttiva intende ottimizzare le disposizioni della direttiva 75/442/CEE, meglio conosciuta come direttiva quadro sui rifiuti, senza peraltro modificarne la struttura essenziale e le disposizioni principali. Ciò che si propone non è una revisione radicale, ma piuttosto un miglioramento e un adeguamento della direttiva.
La strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti individua infatti tre motivi principali che giustificano tale revisione.
In primo luogo, alcune definizioni contenute nella direttiva 75/442/CEE non sono risultate sufficientemente chiare e hanno dato luogo a divergenze ed incertezze nell’interpretazione delle disposizioni principali della direttiva tra uno Stato membro e l’altro e, in alcuni casi, anche tra una regione e l’altra. Anche a seguito di questa situazione, si è reso spesso necessario l’intervento della Corte di giustizia delle Comunità europee, che in numerose cause è stata chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione della direttiva. Tutto ciò ha creato notevoli difficoltà per gli operatori economici e le autorità competenti. La mancanza di certezza giuridica riguarda principalmente la definizione di rifiuto e la distinzione tra recupero e smaltimento. La proposta di revisione introduce dunque definizioni più chiare o, a seconda dei casi, linee guida interpretative per chiarire la questione a livello comunitario.
In secondo luogo, la strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti imposta in maniera nuova la politica sui rifiuti per adattarla maggiormente alla situazione attuale, nella quale gran parte delle principali operazioni di gestione dei rifiuti è ormai disciplinata dalla legislazione ambientale. È dunque importante che la direttiva quadro sui rifiuti si adegui a questa nuova impostazione. Tutto ciò implica una serie di modifiche, la principale delle quali è l’introduzione di un obiettivo ambientale. La maggior parte delle direttive in materia ambientale prevede oggi un obiettivo di questo genere, che serve ad orientare la direttiva verso una finalità ben precisa. Per quanto riguarda la proposta in esame, l’obiettivo ambientale orienta la direttiva verso la riduzione degli impatti ambientali derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti, tenendo conto dell’intero ciclo di vita. Un altro aspetto importante di questo cambiamento di strategia è il passaggio ad un approccio maggiormente basato sulle norme. La proposta rafforza infatti la normazione in una serie di settori, mediante l’applicazione di norme minime e di definizioni precise di recupero, nonché mediante l’introduzione di criteri per individuare quando un rifiuto cessa di essere tale. Ciò consentirà di adottare criteri per specifici flussi di rifiuti, in modo da garantire che i materiali riciclati non danneggino l’ambiente, e di ridurre l’onere amministrativo per gli operatori che producono materiali riciclati conformi a tali criteri.
Infine, la strategia evidenzia la necessità di semplificare il quadro normativo vigente. La proposta di direttiva prevede quindi:
Si segnala infine che la proposta di modifica della direttiva 75/442/CEE introduce l’obbligo, per gli Stati membri, di elaborare programmi di prevenzione dei rifiuti. Secondo quanto rilevato dalla Commissione tale disposizione non avrà, probabilmente, un grande impatto diretto sotto il profilo ambientale, economico o sociale, anche se le ripercussioni potranno variare in funzione delle azioni intraprese, ma consentirà di concentrare l’attenzione dei responsabili politici a livello comunitario, nazionale e sub-nazionale sulla prevenzione, intensificando in tal modo le politiche di prevenzione dei rifiuti. La disposizione assicura peraltro la flessibilità necessaria a consentire l’elaborazione di soluzioni nazionali e locali capaci di sfruttare i vantaggi connessi alla prevenzione dei rifiuti.
Il Consiglio
ambiente del 27 giugno
Nella
medesima data il Parlamento europeo ha approvato anche una risoluzione sulla strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti,
nella quale sottolinea che la completa attuazione dell’attuale legislazione
comunitaria in materia di rifiuti e la sua applicazione omogenea in tutti gli
Stati membri costituisce una priorità essenziale e lamenta come, nonostante la
proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, manchino molte misure
e strumenti concreti di esecuzione previsti nel Sesto programma d’azione in
materia di ambiente. A questo
proposito il Parlamento invita
Acque
Il
12 gennaio 2006
Il 28 giugno 2006
Il
30 novembre 2006
Tale direttiva che riguarda la raccolta il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali si prefigge lo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dai summenzionati scarichi di acque reflue. In vista di tale scopo la direttiva stabilisce diversi tipi di trattamento delle acque reflue in dipendenza della sensibilità delle aree considerate[15] e delle dimensioni della popolazione. In particolare l’articolo 5 prevede che le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con popolazione superiore ai 10.000 abitanti che scarichino in aree sensibili debbano essere sottoposte ad un trattamento più spinto.
Sulla base di tale articolo l’Italia è stata condannata per trattamento inadeguato delle acque reflue urbane dell’agglomerato formato da vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona.
Nei confronti dell’Italia risultano avviate altre procedure di infrazione per inadempimento degli obblighi derivanti dalla medesima direttiva 91/271/CEE:
-
il 12
ottobre 2005
-
il 7
luglio 2004
-
il 9
giugno 2003
Rifiuti
Il
12 dicembre 2006
Il parere motivato complementare è volto
a completare l’analisi svolta nella lettera di messa in mora emessa ai sensi
dell’articolo 226 del TCE, anche alla luce dei nuovi elementi di cui dispone
Secondo
·
ai sensi delle
disposizioni di cui all’articolo 1, commi da
· sono state adottate disposizioni volte a restringere l’ambito di applicazione della direttiva 75/442 in Italia, con riferimento alla definizione di rifiuto di cui all’articolo 1, lettera a) della medesima direttiva.
Secondo
Nei confronti dell’Italia risultano avviate altre procedure di infrazione per inadempimento degli obblighi derivanti dalla medesima direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CE:
·
Il 23
giugno 2005
v sostanze o oggetti destinati alle operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti non esplicitamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97;
v beni, sostanze o materiali residuali di produzione o di consumo, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all’ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest’ultimo non configuri un’operazione di recupero fra quelle elencate all’allegato C del decreto legislativo n. 22/97.
Si segnala per altro che il citato articolo 14 del decreto legge n. 138 dell’8 luglio 2002 (convertito in legge n. 178 dell’8 agosto 2002) è stato abrogato dall’articolo 264 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Con riferimento all’articolo 181 del codice ambientale, in materia di recupero dei rifiuti, nel testo novellato dal comma 18 dello schema di decreto correttivo, si osserva che:
§ al comma 1, il generico riferimento alle “altre forme di recupero” contenuto nella lettera a) rende superflua la previsione contenuta nella lettera c), posto che “l’utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia” rappresenta l’operazione di recupero R1 definita nell’allegato C alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, e quindi, come tale, è inclusa tra le “altre forme di recupero” indicate nella lettera a);
§ appare opportuno prevedere una disposizione transitoria applicabile nelle more dell’emanazione del decreto di cui al comma 4;
§ in relazione all’espunzione nei commi 3 e 4, dell’aggettivo “secondaria” riferito all’espressione “materia prima” – anche in considerazione del fatto che l’articolo 181 viene richiamato ai fini della definizione della nozione di “materia prima secondaria” dal successivo articolo 183, comma 1, lett. p) – appare necessario un coordinamento tra le due disposizioni. Si segnala peraltro che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2006/12 fa esplicito riferimento alle “materie prime secondarie” quali risultato delle operazioni di recupero dei rifiuti.
Con riferimento all’articolo 183, comma 1, recante le definizioni rilevanti ai fini dell’applicazione della Parte IV, nel testo novellato dal comma 20 dello schema di decreto correttivo, si osserva che:
§ alla lettera a), la specificazione secondo la quale il termine “rifiuto” deve essere «interpretato, in conformità alle finalità risultanti dalla normativa comunitaria, alla luce dei principi di precauzione e di azione preventiva nonché di tutela della salute umana e dell’ambiente» appare ultronea, posto che si limita a confermare quanto previsto in termini generali dall’articolo 178 del d.lgs. n. 152/2006 che contempla tali principi quali principi generali per l’applicazione di tutte le norme in materia di rifiuti;
§ alla lettera f), relativa alla definizione di raccolta differenziata, occorre chiarire se la destinazione delle frazioni merceologiche omogenee, compresa la frazione organica umida, al riutilizzo, al riciclo ed al recupero di materia abbia carattere prioritario o esclusivo; in ogni caso, è necessario coordinare tale disposizione con l’articolo 205, recante le misure per incrementare la raccolta differenziata, che prevede esplicitamente, al comma 2, la destinazione della frazione organica umida anche al recupero di energia;
§ alla lettera bb), che introduce la definizione di “prodotto recuperato”, poiché da tale definizione sembra derivare la non applicabilità ai prodotti recuperati del regime giuridico dei rifiuti, sembrerebbe opportuno esplicitare tale esclusione tra le fattispecie contemplate dall’articolo 185 (relativo ai limiti al campo di applicazione della Parte IV del codice);
§ occorre un chiarimento in ordine alla mancata previsione della definizione di “gestore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti” (contenuta nella lettera v) del testo vigente), posto peraltro che altre disposizioni del decreto n. 152, su cui non interviene lo schema di decreto in esame, contengono il riferimento al gestore del servizio (in particolare, artt. 202, comma 6; 203, comma 2, lettera g); 221, comma 2).
In relazione ai prevedibili tempi per l’entrata in vigore del presente decreto correttivo, occorre differire il termine del 30 giugno 2007 previsto dal comma 21 per l’emanazione del decreto di individuazione delle procedure speciali da adottare nella gestione dei sistemi d’arma.
Con riferimento all’articolo
§ al comma 8, appare opportuno specificare il termine per l’emanazione del decreto ivi previsto, nonché la disciplina transitoria applicabile;
§ occorre un chiarimento in merito all’eliminazione della disposizione contenuta nel comma 10 del testo vigente dell’articolo 186, relativa alla non assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava.
Si segnala, inoltre, che andrebbe soppresso il comma 42, che, attraverso una novella all’articolo 235, reca proroga del termine per l’adeguamento dello statuto del COBAT, posto che tale termine è già stato prorogato (peraltro per un periodo maggiore) dall’articolo 5, comma 2-bis, del d.l. n. 300 del 2006, convertito dalla legge n. 17 del 2007.
Con riferimento al comma 43, si segnala che tale disposizione sopprime l’allegato 1 al Titolo V della Parte IV, relativo ai criteri per l’analisi di rischio, senza tuttavia novellare le disposizioni che, prevedendo la procedura basata sull’analisi di rischio (a tale allegato fanno riferimento, in particolare, gli articoli 240 – che definisce la nozione di “sito contaminato” e 242, che disciplina le procedure operative e amministrative). Si osserva peraltro che un eventuale intervento normativo volto ad eliminare la procedura bastata sull’analisi di rischio porrebbe il problema del rispetto dei principi direttivi e dei criteri previsti dalla legge delega, che, all’articolo 1, comma 9, lett. a), prevede esplicitamente la valutazione dei rischi sanitari e ambientali per la definizione degli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati.
Con riferimento al comma 44, che attraverso una novella all’articolo 264, ripristina il tributo provinciale per le funzioni di tutela ambientale, si segnala l’opportunità di un coordinamento tra tale disposizione e l’art. 238 istitutivo di una nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, eventualmente attraverso una novella a tale ultima disposizione.
Con riferimento al comma 45, che, attraverso una novella all’articolo 265, reca una nuova disciplina transitoria in materia di procedimenti di bonifica, occorre un chiarimento in ordine alla disciplina applicabile ai procedimenti volti alla rimodulazione degli obiettivi di bonifica attivati sulla base del testo vigente del comma 4. Posto, inoltre, che l’articolo 264 del codice ambientale ha abrogato l’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, occorre valutare l’effetto di reviviscenza della norma abrogata prodotto dalla disposizione in commento; in ogni caso, quest’ultima andrebbe riformulata nella parte in cui sancisce che “continua ad applicarsi”, piuttosto che “si applica” il richiamato articolo 17.
Si segnala, inoltre, con riferimento a profili meramente formali:
§ poiché i commi 1-7 intervengono sul medesimo articolo (art. 74), andrebbero accorpati in un unico comma con la formula, nell’alinea, "All'articolo 74 sono apportate le seguenti modificazioni", seguita da più lettere e andrebbe modificato l’ordine delle disposizioni secondo l’ordine delle lettere su cui intervengono le novelle. Analoghe considerazioni possono farsi per i commi 9-10 (che intervengono sull’articolo 108); per i commi 11 e 12 (che intervengono sull’articolo 124); per i commi 30 e 31 (che intervengono sull’articolo 212); per i commi 33-35 (che intervengono sull’articolo 215); per i commi 36-39 (che intervengono sull’articolo 216), nonché per i commi 40 e 41 (che intervengono sull’articolo 229);
§
con riferimento al comma 16, il comma aggiuntivo da esso introdotto, collocato dopo
l’ultimo comma dell’articolo 177, andrebbe numerato come “comma
§
con riferimento al nuovo testo dell’articolo
186, introdotto dal comma 23, si
segnala che il comma 3 reca un erroneo riferimento all’attività analitica di
cui al comma
§ nel comma 40 andrebbe sostituito l’erroneo riferimento per la definizione di combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q) all’articolo 183, comma 1, lett. s) con quello alla lettera r) della medesima disposizione; inoltre andrebbe inserito il rinvio all’articolo 183, comma 1, lettera q) per la definizione di combustibile da rifiuti (CDR).
L’art. 1, comma 1, della legge 15 dicembre 2004, n.
In attuazione di tale disposizione di delega, il Governo ha emanato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con cui ha operato un generale riordino della normativa ambientale.
L’articolo 1, comma 6, della legge delega ha stabilito che, entro due anni dall’entrata in vigore di ciascuno dei citati decreti legislativi (ovvero entro il 29 aprile 2008), “il Governo può emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell'intervento normativo proposto”.
Il comma 6 vincola il Governo, nell’esercizio della delega per l’emanazione dei decreti integrativi o correttivi, alla medesima procedura prevista per l’esercizio della delega principale.
Tale procedura, delineata dai commi 4 e 5, prevede:
Ø la proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Ø la trasmissione alle Camere degli schemi dei decreti legislativi, accompagnati dall’analisi tecnico-normativa, dall’analisi dell’impatto della regolamentazione e dalla relazione tecnica;
Ø l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei decreti legislativi, con la specifica indicazione delle eventuali disposizioni ritenute non conformi ai principi e ai criteri direttivi di cui alla presente legge;
Ø una nuova trasmissione alle Camere, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare, dei testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni dalla data di assegnazione;
Ø la possibilità di emanazione dei decreti legislativi, decorso inutilmente tale termine e la decadenza dall'esercizio della delega nel caso di mancato rispetto da parte del Governo dei termini di trasmissione degli schemi dei decreti legislativi.
Il successivo comma 7 prevede, infine, che eventuali modifiche e integrazioni ai decreti legislativi di cui al comma 1, siano apportate nella forma di modifiche testuali ai medesimi decreti legislativi.
Il principio della novellazione espressa delle norme oggetto dei decreti delegati è riprodotto dall’articolo 3, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 152, secondo il quale la deroga, la modifica o l’abrogazione delle norme del decreto è possibile solo “per dichiarazione espressa, mediante modifica o abrogazione delle singole disposizioni in esso contenute”.
Il già citato articolo 3 del decreto legislativo n. 152 reca, ai commi 2-5, la disciplina dell’emanazione di atti attuativi di rango subprimario, prevedendo in particolare il termine di due anni dalla data di pubblicazione del decreto (coincidente con il 14 aprile 2008) entro il quale
§ il Governo può emanare regolamenti, anche di delegificazione (ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988), per la modifica e l’integrazione dei regolamenti vigenti;
§ il Ministro dell’ambiente può modificare o integrare le norme tecniche in materia ambientale, con decreto ministeriale, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della stessa legge n. 400 del 1988.
Ulteriori disposizioni del decreto recano un rinvio a successivi provvedimenti attuativi.
In data 2 maggio 2006 il Ministro
dell’ambiente, in attuazione delle previsioni del decreto n.
Il decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284 reca alcune disposizioni integrative e correttive del Codice ambientale, in attuazione della citata norma di delega.
§ La prima modifica arrecata dal decreto consiste nella proroga delle autorità di bacino istituite dalla legge n. 183/1989, sino alla data di entrata in vigore del decreto correttivo, che ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge delega, definisca la disciplina dei distretti idrografici. Vengono fatti salvi gli atti posti in essere dalle autorità di bacino dal 30 aprile 2006.
Si segnala che lo schema di decreto correttivo in esame non reca alcuna disciplina dei distretti idrografici, sicché devono ritenersi ulteriormente prorogate le autorità di bacino.
§ Si provvede, inoltre, all’abrogazione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e alla contestuale ricostituzione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti (artt. 159, 160 e 207).
§ Viene, infine, disposta la proroga da sei a dodici mesi del termine concesso dall’art. 224, comma 2, del Codice ambientale al CONAI per l’adeguamento dello statuto ai principi contenuti nello stesso Codice.
Alcune modifiche al Codice ambientale sono state inserite in alcuni provvedimenti d’urgenza varati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152. Tra esse si segnalano:
§ l’art. 15 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223[25] ha prorogato al 31 dicembre 2007 la durata del periodo di transizione per le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica relativamente al servizio idrico integrato.
§ l’art. 2, comma 10, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262[26] hamodificato la disciplina relativa alla riscossione della tariffa del servizio idrico integrato sostituendo l’art. 156, comma 3, del Codice ambientale.
§ l’art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300[27] ha, da ultimo[28], prorogato al 31 luglio 2007 l’entrata in vigore della parte seconda del Codiceambientale, la quale reca disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), di valutazione ambientale strategica (VAS) e di autorizzazione ambientale integrata (AIA), meglio nota con l’acronimo in lingua inglese, IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control).
§
l’art. 5, comma 2-bis del citato decreto-legge n.
Da ultimo nella legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) sono state introdotte alcune disposizioni (art. 1, comma 184) applicabili nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal Codice ambientale. Esse riguardano la proroga al 31 dicembre 2007 di alcuni dei termini della disciplina transitoria per le discariche dei rifiuti recata dall’art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2003, nonché l’applicabilità della disciplina previdente in materia di assimilazione dei rifiuti speciale ai rifiuti urbani
Innanzi alla Corte costituzionale sono pendenti numerosi ricorsi presentati da varie Regioni con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del codice ambientale.
Si tratta dei seguenti:
Regione |
Estremi del ricorso |
Emilia-Romagna |
n. 56 - GU n. 21 del 24.05.2006 n. 73 - GU n. 31 del 02.08.2006 |
Calabria |
n. 68 - GU n. 27 del 05.07.2006 |
Toscana |
n. 69 - GU n. 28 del 12.07.2006 |
Piemonte |
n. 70 - GU n. 29 del 19.07.2006 |
Valle d'Aosta |
n. 71 - GU n. 30 del 26.07.2006 |
Umbria |
n. 72 - GU n. 30 del 26.07.2006 |
Liguria |
n. 74 - GU n. 32 del 09.08.2006 |
Abruzzo |
n. 75 - GU n. 32 del 09.08.2006 |
Puglia |
n. 76 - GU n. 32 del 09.08.2006 |
Campania |
n. 78 - GU n. 33 del 16.08.2006 |
Marche |
n. 79 - GU n. 34 del 23.08.2006 |
Basilicata |
n. 80 - GU n. 34 del 23.08.2006 |
In proposito, si
segnala che
I commi da
§
i commi
da
§ il comma 15 interessa l’assetto istituzionale del settore. Esso in particolare ripristina il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, dopo la soppressione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti - che avrebbe dovuto assorbirli - stabilita dal primo decreto correttivo, d.lgs. n. 284/2006;
Si segnala, inoltre, il comma 19, che, pur novellando una disposizione della Parte IV, reca interventi direttamente connessi alle problematiche relative alla disciplina in materia di scarichi abrogando due disposizioni in materia di smaltimento di rifiuti in fognatura e di smaltimento della frazione biodegradabile dei rifiuti urbani tramite gli impianti di depurazione delle acque reflue.
Preliminarmente, da un punto di vista meramente formale, si segnala che poiché i commi 1-7 intervengono sul medesimo articolo:
§ andrebbero accorpati in un unico comma con la formula, nell’alinea, "All'articolo 74 sono apportate le seguenti modificazioni", seguita da più lettere;
§ andrebbe modificato l’ordine delle disposizioni secondo l’ordine delle lettere su cui intervengono le novelle.
I commi 1- 5 novellano l’articolo 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006 reintroducendo nella sostanza alcune delle definizioni stabilite dalla previgente disciplina di tutela della acque dall’inquinamento (contenuta nel d.lgs. n. 152/1999, come modificato dal d.lgs n. 258/2000).
Prima dell’emanazione del Codice ambientale, l’intero settore della disciplina di tutela della acque dall’inquinamento era disciplinato dal d.lgs n. 152/1999, modificato significativamente dal successivo d.lgs. n. 258/2000. Con il d.lgs. n. 152 il legislatore, prendendo quale spunto il tardivo recepimento di alcune direttive comunitarie in materia, ha proceduto ad un’opera organica di riforma e di coordinamento dell’intero settore della gestione delle acque, abrogando praticamente tutta la legislazione esistente in materia di inquinamento delle acque (la cd. legge Merli n. 319/1976) ed apportando altresì modificazioni alla legge n. 36/1994 (cd. legge Galli).
Con
Nello specifico, il comma 1 ripristina integralmente la definizione di rete fognaria recata dall’art. 2, comma 1, lett. aa) del d.lgs. n. 152/1999, prevdedendo che per “rete fognaria” si intenda “un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane”.
La tabella seguente mette a confronto le definizioni arrecate rispettivamente dal decreto legislativo n. 152 del 1999, dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e dallo schema di decreto correttivo:
Art. 2, comma 1, d.lgs. 152/1999 |
Art. 74, comma 1, d.lgs. 152/2006 |
Art. 74, comma 1, nel testo novellato |
aa) rete fognaria: il sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane. |
dd) rete fognaria: il sistema di canalizzazioni, generalmente sotterranee, per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue domestiche, industriali ed urbane fino al recapito finale. |
dd) rete fognaria: un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane. |
La modifica più rilevante è però quella proposta dal comma 2 relativa alla nozione di scarico - lettera ff) del comma 1 dell’art. 74 del Codice ambientale. Esso in particolare ripristina la previgente nozione di “scarico diretto” (recata dall’art. 2 del d.lgs. n. 152/1999) inteso quale lo scarico operabile esclusivamente tramite condotta.
Art. 2, comma 1, d.lgs. 152/1999 |
Art. 74, comma 1, d.lgs. 152/2006 |
Art. 74, comma 1, nel testo novellato |
bb) scarico: qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 40. |
ff) scarico: qualsiasi immissionedi acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114.
|
ff) scarico: qualsiasi immissione diretta, tramite condotta, di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114. |
Si ricorda, in proposito, che:
§ il parere reso dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome in occasione dell’esame del precedente schema di decreto correttivo evidenziava l’opportunità del ripristino della previgente nozione di scarico, al fine di evitare di sconvolgere una copiosa dottrina ed una giurisprudenza consolidata sul tema, rimettendo in discussione il difficile rapporto con la normativa dei rifiuti;
§ il parere reso dalla VIII Commissione (Ambiente) della Camera nella seduta del 26 luglio 2006[31] in occasione del primo passaggio parlamentare sul precedente schema di decreto correttivo (Atto del Governo n. 12) conteneva un’osservazione circa «l’opportunità di ripristinare la previgente nozione di scarico, cardine dell’intera disciplina in materia»;
§ analogamente, nella lettera h) del punto n. 4 del parere espresso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[32] il Governo veniva invitato a «ripristinare la nozione di scarico (lettera ff, comma 1, articolo 74), quale immissione diretta tramite condotta, per non determinare confusione di norme e difficoltà di gestione con riferimento ai rifiuti liquidi»;
§
già nel parere
favorevole reso in data 12 gennaio 2006[33] dalla VIII Commissione (Ambiente) sull’Atto del n. 572 (ora d.lgs. n.
152/2006), al punto n. 21 veniva evidenziata la necessità di ripristinare “la
più puntuale definizione, oggi vigente, della lettera bb) del comma 1
dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 152 del
Come segnalato nella relazione illustrativa, l’obiettivo del ripristino della definizione previgente è quello di addivenire ad una definizione più puntuale di “scarico”, fugando il dubbio circa la sua operatività anche con riferimento agli “scarichi indiretti”. Ciò al fine di “precludere la possibilità che i rifiuti liquidi possano venire a confluire nelle acque reflue esenti da smaltimento, il che potrebbe seriamente compromettere lo stato delle risorse idriche sotterranee, consentendo la diffusione in esse finanche di diossina e di mercurio liquido” e di sottoporre i medesimi ai dovuti controlli.
La definizione recata dal Codice ambientale sembrerebbe infatti avallare un’interpretazione estensiva del concetto di scarico e, pertanto, un’applicazione più ampia della normativa sulla tutela delle acque dall’inquinamento recata dalla parte III del Codice ambientale. Ciò in considerazione della semplificazione della precedente definizione, operata attraverso la soppressione da un lato della condizione della convogliabilità diretta, dall’altro della descrizione dello stato del refluo. Tuttavia, la genericità di tale definizione introduce un ulteriore elemento di incertezza nella già complessa individuazione del confine tra scarichi e rifiuti.
Posto che la disciplina sui rifiuti non si applica agli “scarichi idrici”, con esclusione però dei “rifiuti liquidi costituiti da acque reflue” (art. 185, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 152/2006), la necessità di una definizione chiara di “scarico” è legata anche all’esigenza di individuare il regime amministrativo e sanzionatorio applicabile (se quello previsto dalla Parte terza del d.lgs. n. 152/2006 in materia di tutela delle acque o quello di cui alla Parte quarta in materia di gestione dei rifiuti).
La novella in esame attraverso il ripristino sia dello stato del refluo (liquido o semiliquido), sia della “continuità fisica” (con il reinserimento del termine “tramite condotta”) ribadisce - conformemente ad una giurisprudenza ed una dottrina ormai consolidate – che lo scarico è solo quello “diretto” (eliminando il dubbio di un ritorno al concetto di “scarico indiretto” come introdotto dalla cd. legge Merli)[34], con conseguente inapplicabilità della normativa sui rifiuti non solo all’immissione finale del refluo nell’ambiente, ma anche alle eventuali fasi intermedie di stoccaggio, trasporto e conferimento del refluo ad essa preordinate.
La già citata cd. legge Merli (n. 319 del 1976) mancava di una definizione “espressa ed esplicita” di scarico, avendo adottato una nozione di scarico onnicomprensiva[35]: il riferimento allo scarico di qualsiasi tipo (episodico, occasionale, periodico, discontinuo) o allo scarico indiretto (ad es. tramite autobotte) aveva indotto la giurisprudenza prevalente a ritenere che la nozione di scarico non poteva essere limitata esclusivamente ad un flusso continuo e regolare di liquido, ma finiva per ricomprendere ogni versamento di reflui nei recettori indicati dalla legge, anche se effettuato occasionalmente ed episodicamente.
Il successivo DPR n. 915/1982 prevedeva, all’art. 2, l’applicazione della citata legge Merli per quanto riguardava “la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi di cui all’art. 2, lett. e), punti 2 e 3 della citata legge, purché non tossici e nocivi” ai sensi dello stesso. L’art. 9, comma 3, del DPR sanciva poi il divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private.
Il d.lgs. n. 133/1992 (Attuazione delle direttive 76/464/CEE, 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 88/347/CEE e 90/415/CEE in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque), nele riprendere l’analoga definizione comunitaria, adottava una nozione estremamente ampia di scarico, tale da includere, analogamente a quanto previsto dalla legge Merli, anche gli scarichi indiretti.
In tale contesto normativo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva quindi enunciato il principio i diritto secondo cui “il DPR n. 915/1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento dei rifiuti (conferimento, raccolta, trasporto, ammasso e stoccaggio) siano essi solidi o liquidi, fangosi o sotto forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifiuti liquidi (o assimilabili) attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n. 319 del 1976, con l’unica eccezione dei fanghi o liquami tossici e nocivi che sono, sotto ogni profilo, regolati dal DPR n. 915/1982”[36].
Con l’entrata in vigore del decreto Ronchi, d.lgs. n. 22/1997, le acque di scarico sono state espressamente escluse dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti (art. 8, comma 1, lett. e), con l’unica eccezione costituita dai rifiuti allo stato liquido. Nell’art. 14, commi 1 e 2, è stato inoltre, previsto il principio base per il quale sono vietati sia l’abbandono che il deposito incontrollato dei rifiuti sul suolo e nel sottosuolo, nonché l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere allo stato solido o liquido nelle acque superficiali o sotterranee.
Il quadro si è sostanzialmente chiarito con l’entrata in vigore del più volte citato d.lgs 152/1999 che ha profondamente ridimensionato il concetto di scarico attraverso la definizione dello stesso quale immissione diretta, tramite condotta, di acque reflue liquide, semiliquide o comunque convogliabili nei corpi recettori indipendentemente dalla natura inquinante ed anche se sottoposta a preventivo trattamento di depurazione.
Di conseguenza, nella vigenza del d.lgs. n. 152, non configurava più uno scarico in senso tecnico quello che non convogliava acque reflue tramite condotta: peranto erano escluse dalla nozione di scarico tutte quelle immissioni di sostanze che, liquide o semiliquide, non avvenissero tramite condotta (e cioè attraverso uno stabile, oggettivo e duraturo sistema di deflusso anche se non necessariamente attraverso una tubazione) o che avessero ad oggetto sostanze che non si trovassero allo stato liquido o semiliquido.
Con l’eliminazione - ad opera del d.lgs 258/2000 - del concetto di “immissione occasionale” (categoria alla quale avrebbero potuto essere ricondotti gli scarichi indiretti, quantomeno sotto il profilo del rispetto dei valori di emissione previsti dagli allegati del d.lgs 152/1999, nonché con le modifiche previste dall’art. 36 dello stesso d.lgs 152) è definitivamente scomparso dall’ordinamento il concetto di “scarico indiretto”, a favore della disciplina dei rifiuti liquidi. I fenomeni in oggetto sono, quindi, stati disciplinati dalla normativa del d.lgs n. 22/1997, in tema di rifiuti, non solo più con riguardo allo stoccaggio, al trasporto, ma anche alle fase di conferimento.
In tale contesto anche la giurisprudenza aveva tentato di tracciare un confine tra le due normative, utilizzando proprio il criterio delle modalità di immissione delle acque reflue nell’ambiente.
In particolare:
§ in presenza di un sistema canalizzato di raccolta e di scarico[37] si riteneva trovasse applicazione il d.lgs. n. 152/1999 sulla tutela delle acque dall’inquinamento;
§ qualora, al contrario, il collegamento tra l’attività che origina lo scarico ed il corpo ricettore risultasse, in qualche modo, interrotto (come ad es. nel caso in cui l’immissione avvenisse tramite un’autobotte o mediante un sistema di pompaggio da vasca a tenuta), si faceva riferimento alla normativa sulla gestione dei rifiuti di cui al d.lgs. n. 22/1997.
Tale ricostruzione giurisprudenziale, che ha preso le mosse dalla nota sentenza della Corte di Cassazione del 13 dicembre 1995, n. 12310 e dalla pronuncia della Corte Costituzionale n 173/1998, ha decretato così, seppur con qualche oscillazione[38], la scomparsa della discussa figura dello “scarico indiretto”, che era nata dall’amplissima definizione di scarico contenuta nella cd. legge Merli
La materia è stata affrontata anche in dottrina, in particolare in alcuni articoli pubblicati subito dopo l’emanazione del Codice ambientale[39].
Audizioni di rappresentanti dell'UPI,
dell'ANCI, di Confservizi e di Confindustria sulle problematiche derivanti
dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006 svoltasi il 3 ottobre 2006 presso
Audizioni di rappresentanti della
Conferenza delle regioni e delle province autonome sulle problematiche
derivanti dall’attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006 svoltasi il 10 ottobre
2006 presso
Si rileva la necessità di “ripristinare la previgente nozione di scarico, cardine dell’intera disciplina, in quanto – come rilevato anche dalla Commissione della Camera - con l’eliminazione del riferimento a qualunque immissione diretta “tramite condotta” , si sconvolge una copiosa dottrina ed una ormai consolidata giurisprudenza sul tema e si rimette in discussione il difficile rapporto con la normativa sui rifiuti”.
Il comma 3 ripristina sostanzialmente la definizione adottata per le acque reflue industriali dall’art. 2, comma 1, lett. h) del d.lgs. n. 152/1999.
Rispetto alla definizione adottata dal d.lgs. n. 152/1999, il comma in esame, con riferimento alla provenienza delle acque reflue, si limita a sostituire il termine generico di “installazioni” con quello più appropriato di “impianti”, che trova una definizione nell’articolo 74, comma 2, lett. uu) del Codice ambientale. Per “impianto”, secondo tale ultima disposizione, si intende l’unità tecnica permanente in cui sono svolte attività sottoposte all’autorizzazione integrata ambientale ai sensi del d.lgs. n. 59/2005 (allegato I). L’ambito delle attività cui è applicabile il d.lgs n. 59/2005 e, di conseguenza, la nozione di impianto appena esposta riguarda gran parte del settore industriale.
Rispetto al codice ambientale, attraverso l’eliminazione dell’estensione della definizione delle “acque meteoriche di dilavamento” alle acque “venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”, la novella è volta a ricollocare la nozione di acque reflue industriali nella propria dimensione applicativa.
Art. 2, comma 1, d.lgs. 152/1999 |
Art. 74, comma 1, d.lgs. 152/2006 |
Art. 74, comma 1, nel testo novellato |
h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. |
h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento. |
h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impiantiin cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. |
Il comma 4 ripristina la definizione di acque reflue urbane contenuta nel d.lgs. n. 152/1999 (2, comma 1, lett. i), al fine di ricomprendervi le acque reflue domestiche e non solo il loro “miscuglio” con altre acque reflue.
Art. 2, comma 1, d.lgs. 152/1999 |
Art. 74, comma 1, d.lgs. 152/2006 |
Art. 74, comma 1, nel testo novellato |
i) acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato. |
i) acque reflue urbane: il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, e/o di quelle meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato |
i) acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato |
Il comma 5, attraverso la soppressione delle parole “in una fognatura dinamica”, ripristina la definizione di agglomerato recata dall’art. 2, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 152/1999.
Art. 2, comma 1, d.lgs. 152/1999 |
Art. 74, comma 1, d.lgs. 152/2006 |
Art. 74, comma 1, nel testo novellato |
m) agglomerato: area in cui la popolazione ovvero le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da rendere possibile, e cioè tecnicamente ed economicamente realizzabile anche in rapporto ai benefìci ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto di scarico finale. |
n) agglomerato: l'area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento in una fognatura dinamica delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale. |
n) agglomerato: l'area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale. |
Direttamente collegata alle problematiche relative alla disciplina in materia di scarichi èl’abrogazione dei commi 6 ed 8 dell’articolo 182, di cui al successivo comma 19. Le disposizioni abrogate disciplinano, rispettivamente, le modalità di smaltimento di rifiuti in fognatura e la possibilità di smaltimento della frazione biodegradabile dei rifiuti urbani tramite gli impianti di depurazione delle acque reflue. La relazione illustrativa individua la ragione dell’abrogazione nella contrarietà di tali disposizioni con la ratio della direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991 sulle acque reflue urbane la quale mira a salvaguardare queste ultime da processi di eutrofizzazione (ossia di arricchimento delle stesse con azoto e fosforo che possono provocare proliferazione di alghe e così alterare la qualità delle acque).
I commi 6 e 7 recano alcune modifiche
di carattere formale all’articolo
Attraverso il combinato disposto dei commi 6 e 7, si accorpa nell’unica lettera oo) del comma 1 dell’art. 74 la definizione e la disciplina dei valori limite di emissione contenute nella lettera qq) del comma 2 dello stesso art. 74, che viene conseguentemente abrogata.
Costituiscono invece modifiche sostanziali le norme recate dai commi 8 e 9, che rendono più restrittiva la disciplina delle autorizzazioni agli scarichi (sia quella generale che quella relativa agli scarichi di sostanze pericolose).
La relazione esplicita che obiettivo perseguito dal Governo è rendere “obbligatoria la fissazione di valori limite di emissione più restrittivi, in sede di autorizzazione, nel caso in cui sia accertato che vi siano dei fattori che impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela di cui all’articolo 121, poiché il perseguimento di questi ultimi si prospetta come ineludibile e non può essere oggetto di valutazione discrezionale”.
In particolare:
§
il comma
8 novella il comma 5 dell’art.
L’art. 101 del Codice ambientale reca i criteri generali della disciplina degli scarichi disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e nel rispetto di determinati valori limite. Il citato comma 5 (analogamente a quanto già disponeva lo stesso comma 5 dell’art. 28 del d.lg. n. 152 del 1999) prevede in particolare che il rispetto dei limiti tabellari di scarico non debba in alcun caso essere conseguito mediante la semplice diluizione tra i diversi reflui prodotti nell’insediamento e che l'autorità competente, in sede di autorizzazione, possa prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia sia separato dallo scarico terminale di ciascuno stabilimento.
§ analogamente, il comma 9, novellando il comma 2 dell’art. 108 relativo agli scarichi di sostanze pericolose, prevede l’obbligo, piuttosto che la facoltà, dell’autorità competente, in sede di rilascio dell'autorizzazione, di fissare valori limite di emissione più restrittivi rispetto a quelli indicati nell'articolo 101, commi 1 e 2.
Il testo vigente del comma 2 dell’art. 108 del Codice ambientale riproduce l’art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 1999.
Si segnala che
L’attuale testo
della lettera b) dispone che tale assimilazione valga, per le acque reflue provenienti
da imprese dedite ad allevamento di bestiame, limitatamente alle imprese che
dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità
indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto
e che “per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano
l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita
sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'articolo
Si segnala,
inoltre, che
Rispetto al
testo vigente, che richiama l’applicabilità del solo decreto ministeriale 6
luglio 2005,
Il decreto
citato (pubblicato nella G.U. 12 maggio 2006, n. 109, S.O.), infatti, reca
“Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale
dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui
all'articolo 38 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n.
Sempre in materia di scarichi di sostanze pericolose, il comma 10 ripristina pressoché la disposizione recata dall’art. 34, comma 4, terzo periodo, del d.lgs. n. 152/1999, con la precisazione che, nel caso di impianti di depurazione che trattano acque reflue che provengono da soggetti diversi, la necessità che tali scarichi avvengano tramite condotta, affinché siano configurabili come scarichi idrici e non come rifiuti.
Art. 34, comma 4, d.lgs. 152/1999 |
Art. 108, comma 5, d.lgs. 152/2006 |
Art. 108, comma 5, nel testo novellato |
4. Qualora, nel caso di cui all'articolo 45, comma 2, secondo periodo, l'impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose di cui alla tabella 5 dell'allegato 5, riceva scarichi provenienti da altri stabilimenti o scarichi di acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad una modifica o riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l'autorità competente dovrà ridurre opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3 dell'allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione dei diversi scarichi. |
5. Qualora l'impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo Allegato 5, riceva acque reflue contenenti sostanze pericolose non sensibili al tipo di trattamento adottato, in sede di autorizzazione l'autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue. |
5. Qualora, come nel caso dell’articolo 124, comma 2, secondo periodo, l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo allegato 5, riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad un modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l'autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue. |
La relazione illustrativa esplicita la ratio della novella nell’esigenza di coordinamento con la seconda parte del comma 2 dell’art. 124, relativo ai criteri generali per l’autorizzazione (sul quale, intervengono i successivi commi 11 e 12), oltre che nella necessità di puntualizzare che tali scarichi debbano avvenire tramite condotta affinché siano configurabili come scarichi idrici piuttosto che come rifiuti.
I commi 11 e 12 recano alcune modifiche all’art. 124 del Codice ambientale relativo ai criteri generali adottati per il rilascio delle autorizzazioni agli scarichi.
Art. 45, comma 2, d.lgs. 152/1999 |
Art. 124, comma 2, d.lgs. 152/2006 |
Art. 124, comma 2, nel testo novellato |
|
|
2. L’autorizzazione è rilasciata al titolare dell’attività da cui origina lo scarico. Ove uno o più stabilimenti conferiscano, tramite condotta, ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, le acque reflue provenienti dalle loro attività, oppure qualora tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione è rilasciata in capo al titolare dello scarico finale o al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità dei singoli titolari delle attività suddette e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni della parte terza del presente decreto. |
Le modifiche apportate dal comma 11, riferite al comma 2 dell’articolo 124, riguardano:
§ la precisazione che gli scarichi avvengano tramite condotta, affinché siano configurabili come scarichi idrici e non come rifiuti;
§ l’espunzione di alcune disposizioni relative ai consorzi, che disciplinano l’ipotesi di autorizzazione allo scarico nel caso in cui uno o più stabilimenti effettuino scarichi in comune senza essersi costituii in consorzio.
Entrambe le modifiche sembrerebbero volte ad introdurre elementi di certezza nel sistema autorizzatorio, in quanto la prima correzione appare finalizzata ad una più chiara definizione di scarico, mentre la seconda riconduce il sistema dei consorzi nella giusta ed originaria dimensione, eliminando qualsiasi ulteriore previsione contenuta nell’attuale testo che prevede, invece, alcune situazioni aggiuntive in assenza di consorzio[40].
Il comma 12, attraverso la sostituzione del comma 7 dell’art. 124:
§ porta nuovamente a 90 giorni (da 60 giorni) per la conclusione del procedimento amministrativo di rilascio dell’autorizzazione allo scarico;
§ nel caso di ritardo dell’autorità, elimina la possibilità di attivare temporaneamente lo scarico per i successivi 60 giorni.
Art. 45, comma 6, d.lgs. 152/1999 |
Art. 124, comma 7, d.lgs. 152/2006 |
Art. 124, comma 7, nel testo novellato |
6. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura. L'autorità competente provvede entro novanta giorni dalla recezione della domanda. |
7. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero all'Autorità d'ambito se lo scarico è in pubblica fognatura. L'autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Qualora detta autorità risulti inadempiente nei termini sopra indicati, l'autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi sessanta giorni, salvo revoca. |
7. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda. |
Secondo quanto affermato nella relazione illustrativa, la finalità di tale ultima modifica consiste nell’eliminazione di un’ipotesi di cd. “silenzio-assenso provvisorio” nelle procedure autorizzative per gli scarichi, che pone problemi di compatibilità con l’orientamento della Corte di Giustizia europea, secondo la quale lo strumento del silenzio-assenso è in contrasto con la legislazione ambientale di derivazione comunitaria, in quanto non consentirebbe un controllo ”effettivo” in relazione alla tutela dell’ambiente. Tale orientamento, peraltro, è stato ribadito anche dalla legislazione nazionale (art. 20 della legge n. 241/1990[41], come sostituito dall’art. 3, comma 6-ter del decreto legge n. 35/2005, convertito, con modificazioni dalla legge n. 80/2005).
Con riferimento più generale al contenuto dell’articolo 124, si ricorda che esso riprende, con alcune modifiche piuttosto significative, l’art. 45 del d.lgs. n. 152/1999. Tale ultima disposizione, che ha rappresentato la norma cardine in materia di scarichi idrici, ha sancito il principio secondo il quale tutti gli scarichi – di qualsiasi natura, ed a prescindere dalla eventuale potenzialità inquinante – devono essere preventivamente autorizzati.
Chi è autorizzato - Ai sensi del comma 2 dell’art. 124 l’autorizzazione è rilasciata al titolare dell'attività da cui origina lo scarico. Ove tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l'effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l'autorizzazione è rilasciata in capo al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità dei singoli consorziati e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni del decreto.
Chi autorizza - Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni; tali enti disciplinano altresì le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio (comma 6). Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero all’Autorità d’ambito per lo scarico in fognatura (precedentemente era il Comune) ed è previsto il silenzio-assenso nel caso in cui l’autorità competente non si esprima entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda (comma 7).
Il comma 13 prevede - attraverso due novelle all’art. 147 relativo all’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e all’art. 150 sulla scelta della forma di gestione e procedure di affidamento - l’unitarietà, anziché l’unicità, della gestione del servizio idrico integrato. La ragione delle novelle risiede nella considerazione che non è necessario che ci sia un unico gestore, bensì che la gestione avvenga con criteri unitari, come sottolineato sia nei pareri delle competenti Commissioni parlamentari durante l’esame dell’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006) che in quello della Conferenza Unificata.
Il parere reso dalla VIII Commissione (Ambiente) della Camera nella seduta del 26 luglio 2006[42], contiene, tra le osservazioni, quella (n. 3) di prevedere, all’articolo 147, comma 2, lettera b), e all’articolo 150, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’unitarietà , anziché l’unicità, della gestione del servizio idrico integrato. Analogamente nella lettera n) del punto n. 4 del parere approvato dalla 13a Commissione del Senato nella stessa data[43] il Governo viene invitato ad «assicurare l’unitarietà della gestione anziché l’unicità (articolo 147 e articolo 150) …..».
Conseguentemente, attraverso la modifica del concetto di “unicità” con quello di “unitarietà”, si intendono valorizzare i “criteri unitari” della gestione, anziché il fatto che a gestire il servizio sia un unico soggetto.
Si rammenta che anche l’art. 8 della legge quadro in materia di risorse idriche n. 36/1994 recava, tra i criteri previsti per l’organizzazione territoriale del sevizio idrico integrato, anche quello del superamento della frammentazione delle gestioni.
Al comma 14 viene prevista l’abrogazione del comma 5 dell’articolo 148, che prevede la facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane in quanto foriera di difficoltà applicative evidenziate anche nel parere reso dalla Conferenza unificata sull’Atto del governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006). Nel parere dalla Conferenza si osservava che “l’immediata operatività della disposizione considerata, senza previsione neppure di regime transitorio o clausola di salvezza dell’attuale operatività degli ambiti territoriali ottimali e delle gestioni già esistenti, spezza improvvisamente un sistema che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 è strutturato, dimensionato e finanziariamente esposto per rispondere alle esigenze di gestione e infrastrutturazione unitaria dell’ambito territoriale ottimale, senza che a ciò possano in alcun modo ovviare le funzioni di regolazione generale e di controllo attribuite all’Autorità d’ambito”.
Si segnala tuttavia che nel corso dell’esame in Assemblea del testo unificato delle proposte di legge in materia di sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, il Governo ha accettato due ordini del giorno, a prima firma rispettivamente Caparini e Garavaglia, che impegnavano il Governo l’uno “a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative finalizzate ad una revisione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di estendere l'applicazione dell'articolo 148, comma 5, del medesimo decreto legislativo a tutti i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, con particolare riguardo ai comuni montani e a quelli definiti «piccoli comuni», ai sensi del testo unificato in esame”; l’altro “nell'ambito della prossima revisione del decreto legislativo n. 152 del 2006, conformemente alle finalità di questo provvedimento, ad adottare le opportune iniziative dirette ad escludere la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito per i piccoli comuni, diventando in questo modo facoltativa l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per tali comuni” (seduta del 18 aprile).
Si segnalano le posizioni emerse nel corso delle audizioni sulle problematiche
derivanti dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006 presso
L’UPI propone la soppressione della personalità giuridica all’Autorità d’ambito ottimale (modifica la comma 1, art. 148), la soppressione dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 148 e dell’art. 150, commi 2, 3 e 4 sull’aggiudicazione del servizio idrico integrato mediante gara. Tra le motivazioni addotte vi è quella della “creazione di pesanti strutture amministrative e burocratiche intermedie tra i livelli di governo sanciti dalla Costituzione con ricadute in termini di costi, funzionalità e trasparenza del sistema” (audizione del 3 ottobre 2006).
L’ANCI, in merito all’art. 150 sulle modalità di affidamento del servizio sottolinea come l’articolo “interviene su una materia già regolamentata dall’art. 113 del d.lgs. 267/2000 vigente, avente carattere generale. Nel decreto invece, il richiamo all’art. 113 del TUEL quale norma di carattere generale viene smentito nella previsione restrittiva sia in merito all’affidamento del servizio idrico integrato a società di capitale misto pubblico-privato, imponendo che la scelta del socio-privato debba avvenire prima dell’affidamento, con gara da espletarsi secondo le modalità e termini stabilita da un decreto del Ministro dell’ambiente e del territorio……Ciò è del tutto incoerente con i principi nazionali in materia di tutela della concorrenza, né con la giurisprudenza della Corte di giustizia” (audizione del 3 ottobre 2006).
Confservizi, Federambiente e Federutility propongono la soppressione dei commi 2 e 3 dell’art. 150 e la loro sostituzione con un comma che preveda che all’affidamento della gestione del servizio idrico integrato si proceda secondo le forme dell’art. 113 del TUEL e nel rispetto dei principi e disposizioni comunitarie. L’art. 113 del TUEL “contiene la normativa di carattere generale sulle modalità di erogazione dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica. Per esplicita ammissione legislativa le disposizioni in esso contenute sono, infatti, inderogabili ed integrative delle discipline di settore e l’esclusione di alcuni settori da tale normativa quadro deve avvenire, pertanto, per espressa previsione legislativa…” (audizione del 3 ottobre 2006).
Si segnala, inoltre, la posizione contraria all’abrogazione recata dalla norma in esame espressa dall’UNCEM (cfr. allegato d al parere della Conferenza unificata)
Il comma 15 dispone la ricostituzione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti. Tale ricostituzione era già prevista dal primo decreto correttivo n. 284/2006, in conseguenza della soppressione (attraverso l’abrogazione degli articoli 159, 160 e 207 del decreto n. 152) dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti istituita dal decreto n. 152.
Nel parere
reso dalla Conferenza unificata sul primo decreto correttivo, era stata
richiesta la sospensione, se non la
soppressione dell’Autorità di vigilanza di cui agli artt. 159 e
Dello stesso avviso il parere reso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[44] e quello della VIII Commissione (Ambiente) della Camera reso nella stessa data[45].
Si ricorda che l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, istituita dall’articolo 159 del codice ambientale, risultava dall’accorpamento[46] dei seguenti organi:
§
il Comitato per la vigilanza sull’uso delle
risorse idriche istituito dall’art. 21 della legge n. 36/1994 (che diventa
§
l’Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito
dall’art. 26 del d.lgs. n. 22/1997 (che, nel nuovo sistema, diveniva
Il medesimo articolo provvedeva a disciplinare la composizione, il funzionamento, l’organizzazione e l’operatività dell’autorità.
L’art. 160 definiva in modo dettagliato – secondo quanto affermato nella relazione illustrativa – “i compiti dell’Autorità nel proprio ruolo di regolazione e controllo a garanzia del rispetto dei diritti degli utenti, della salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e della risorsa idrica, della tutela e promozione della concorrenza”. Nonostante il lungo elenco di compiti riportato dall’art. 160 (tra cui quello di assicurare “l’osservanza dei principi e delle regole della concorrenza”), il sistema di norme recato dall’art. 159 e seguenti sembrava prefigurare un’autorità di controllo e vigilanza, e non un’autorità di regolamentazione e coordinamento o di tutela della concorrenza e del mercato[47].
Il successivo art. 161, non abrogato,prevede poi l’istituzione di un Osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti, quale organo strumentale dell’autorità ai fini della raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi.
L’art. 207 prevedeva, infine, che le funzioni già esercitate dall’Osservatorio nazionale dei rifiuti fossero esercitate dall’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
Con l’approvazione del primo decreto correttivo n. 284 del 2006 (art. 1, comma 5) è stata disposta l’abrogazione dei citati artt. 159, 160 e 207 e la ricostituzione del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e l'Osservatorio nazionale sui rifiuti, nonché la soppressione di tutti i riferimenti all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti contenuti nel d.lgs. n. 152/2006.
A seguito di tale provvedimento correttivo, con lettera 30 novembre 2006, il Presidente dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche ed i rifiuti ha trasmesso alla Presidenza della Camera dei deputati l’estratto del verbale della riunione del 29 novembre 2006 nel quale si assicura la continuità delle funzioni del Comitato di vigilanza nell’uso delle risorse idriche e dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti attraverso i rispettivi e ricostituiti organismi nella loro preesistente composizione.
La nuova formulazione dell’art. 161 ripristina la disciplina recata dall’art. 21 della legge n. 36/1994 e dall’art. 26 del d.lgs. n. 22/1997 (istitutivi rispettivamente del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e dell’Osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti), apportando le modifiche evidenziate nella tabella che segue:
Art. 21 – l. n. 36/1994 Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche |
Art. 161 d.lgs. 152/2006 Osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti |
Art. 161 nel testo novellato |
1. Al fine di garantire l’osservanza dei principi di cui all’articolo 9, con particolare riferimento all’efficienza, all’efficacia ed all’economicità del servizio, alla regolare determinazione ed al regolare adeguamento delle tariffe sulla base dei criteri fissati dal Comitato interministeriale dei prezzi (CIP), nonché alla tutela dell’interesse degli utenti, è istituito, presso il Ministero dei lavori pubblici, il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, di seguito denominato «Comitato».
2. Il Comitato è composto da sette membri, nominati con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente. Di tali componenti, tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e quattro – di cui uno con funzioni di presidente individuato con il medesimo decreto – sono scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore.
3. I membri del Comitato durano in carica cinque anni e non possono essere confermati. Qualora siano dipendenti pubblici, essi sono collocati fuori ruolo o, se professori universitari, sono collocati in aspettativa per l’intera durata del mandato. Con d.P.C.M., su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell’ambiente e del tesoro, è determinato il trattamento economico spettante ai membri del Comitato.
4. Per l’espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento di funzioni ispettive, il Comitato si avvale di una segreteria tecnica, costituita nell’ambito della direzione generale della difesa del suolo del Ministero dei lavori pubblici, nonché della collaborazione delle Autorità di bacino. Esso può richiedere di avvalersi, altresì, dell’attività ispettiva e di verifica di altre amministrazioni.
5. Il Comitato definisce, d’intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, i programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, anche mediante la cooperazione con organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome competenti |
1. L’Autorità, per lo svolgimento dei propri compiti, si avvale di un Osservatorio sui settori di propria competenza. L’Osservatorio svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi formando una banca dati connessa con i sistemi informativi del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle Autorità di bacino e dei soggetti pubblici che detengono informazioni nel settore. In particolare, l’Osservatorio raccoglie ed elabora dati inerenti: a) al censimento dei partecipanti alle gare per l’affidamento dei servizi, nonché dei soggetti gestori relativamente ai dati dimensionali, tecnici e finanziari di esercizio; b) alle condizioni generali di contratto e convenzioni per l’esercizio dei servizi; c) ai modelli adottati di organizzazione, di gestione, di controllo e di programmazione dei servizi e degli impianti; d) ai livelli di qualità dei servizi erogati; e) alle tariffe applicate; f) ai piani di investimento per l’ammodernamento degli impianti e lo sviluppo dei servizi. 2. I gestori dei servizi idrici e di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasmettono ogni dodici mesi all’Osservatorio i dati e le informazioni di cui al comma 1 e comunque tutti i dati che l’Osservatorio richieda loro in qualsiasi momento. 3. Sulla base dei dati acquisiti, l’Osservatorio effettua, su richiesta dell’Autorità, elaborazioni al fine, tra l’altro, di: a) definire indici di produttività per la valutazione della economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi; b) individuare livelli tecnologici e modelli organizzativi ottimali dei servizi; c) definire parametri di valutazione per il controllo delle politiche tariffarie praticate, anche a supporto degli organi decisionali in materia di fissazione di tariffe e dei loro adeguamenti, verificando il rispetto dei criteri fissati in materia dai competenti organi statali; d) individuare situazioni di criticità e di irregolarità funzionale dei servizi o di inosservanza delle prescrizioni normative vigenti in materia; e) promuovere la sperimentazione e l’adozione di tecnologie innovative; f) verificare la fattibilità e la congruità dei programmi di investimento in relazione alle risorse finanziarie e alla politica tariffaria; g) realizzare quadri conoscitivi di sintesi. 4. L’Osservatorio assicura l’accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle elaborazioni effettuate secondo deliberazione dell’Autorità e nel rispetto delle disposizioni generali. |
1.Al fine di garantire una applicazione omogenea sul territorio nazionale di quanto previsto dagli articoli 147, 148, 149 e 150, è istituito, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, di seguito definito Comitato.
2. Il Comitato è composto da cinque membri, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore.
3. I membri del Comitato durano in carica cinque anni e non possono essere confermati. Qualora siano dipendenti pubblici, essi sono collocati fuori ruolo o, se professori universitari, sono collocati in aspettativa per l’intera durata del mandato. Con d.P.C.M., su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è determinato il trattamento economico spettante ai membri del Comitato.
4. Per l’espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento di funzioni ispettive, il Comitato si avvale di apposita struttura, costituita con il decreto di cui al comma 2 nell’ambito del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, utilizzando allo scopo le risorse umane strumentali e finanziarie disponili a legislazione vigente.
5. Il Comitato definisce i programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, anche mediante la cooperazione con organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome competenti.
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Art. 26 – d.lgs. 22/1997 Osservatorio nazionale sui rifiuti |
Art. 161 d.lgs. 152/2006 Osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti |
Art. 161 nel testo novellato |
1. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui al presente decreto legislativo, con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, è istituito, presso il Ministero dell'ambiente, l'Osservatorio nazionale sui rifiuti, in appresso denominato Osservatorio.
L'Osservatorio svolge, in particolare, le seguenti funzioni: a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio; b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento permanente di criteri e specifici obiettivi d'azione, nonché alla definizione ed all'aggiornamento permanente di un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti; c) esprime il proprio parere sul Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 42 e lo trasmette per l'adozione definitiva al Ministro dell'ambiente ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ed alla Conferenza Stato-regioni; d) predispone il Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 42 qualora il Consorzio Nazionale Imballaggi non provveda nei termini previsti; e) verifica l'attuazione del Programma Generale di cui all'articolo 42 ed il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio; f) verifica i costi di recupero e smaltimento; g) elabora il metodo normalizzato di cui all'articolo 49, comma 5, e lo trasmette per l'approvazione al Ministro dell'ambiente ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato; h) verifica livelli di qualità dei servizi erogati; i) predispone un rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e ne cura la trasmissione ai Ministri dell'ambiente, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità.
a) tre designati dal Ministro dell'ambiente, di cui uno con funzioni di Presidente; b) due designati dal Ministro dell'industria, di cui uno con funzioni di vice-presidente; c) uno designato dal Ministro della sanità; d) uno designato dal Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali; d-bis) uno designato dal Ministro del tesoro; d-ter) uno designato dalla Conferenza Stato regioni.
3. I membri durano in carica cinque anni. Il trattamento economico spettante ai membri dell'Osservatorio e della segreteria tecnica è determinato con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro dell'ambiente ed il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
4. Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della Sanità, e del tesoro da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità organizzative e di funzionamento dell'Osservatorio e della Segreteria tecnica.
(omissis)
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5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, sono determinate, nel rispetto del principio dell'invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica, la dotazione organica dell'Osservatorio, cui è preposto un dirigente, e le spese di funzionamento. Per l'espletamento dei propri compiti, l'Osservatorio, su indicazione dell'Autorità, può avvalersi della consulenza di esperti nel settore e stipulare convenzioni con enti pubblici di ricerca e con società specializzate. |
6. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, è istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Osservatorio nazionale sui rifiuti, in appresso denominato Osservatorio. L'Osservatorio svolge, in particolare, le seguenti funzioni: a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio; b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento permanente di criteri e specifici obiettivi d'azione, nonché alla definizione ed all'aggiornamento permanente di un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti;
c) predispone il Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 225 qualora il Consorzio nazionale imballaggi nonprovveda nei termini previsti; d) verifica l'attuazione del Programma generale di cui all'articolo 225 ed il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio; e) verifica i costi di recupero e smaltimento;
ff) verifica livelli di qualità dei servizi erogati; g) predispone, un rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e ne cura la trasmissione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
8. I componenti l’Osservatorio durano in carica cinque anni. Il trattamento economico ad essi spettante dell'Osservatorio e della segreteria tecnica è determinato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
9. Per l'espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento di funzioni ispettive, l’Osservatorio si avvale di apposita struttura, costituita con il decreto di cui al comma 2 nell'ambito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, utilizzando allo scopo le risorse umane strumentali e finanziarie disponili a legisla-zione vigente.
10. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità organizzative e di funzionamento dell'Osservatorio, nonché gli enti e le agenzie di cui esso può avvalersi. |
In relazione al Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, il nuovo art. 161, rispetto alle disposizioni dell’abrogato art. 36 della legge n. 36/1994, in particolare:
§ viene modificata la struttura (sono previsti cinque componenti in luogo di sette), in relazione all’obiettivo della riduzione delle relative spese di funzionamento (cfr. la relazione illustrativa);
§ si prevede che venga nominato dal Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare[48];
§ viene meno il coinvolgimento delle regioni nella designazione di una parte dei suoi componenti (comma 2);
§ non viene più contemplata l’intesa con le regioni in relazione alla definizione dei programmi di attività e delle iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti (comma 5).
Tra gli emendamenti indicati quali prioritari dalla Conferenza unificata sullo schema di decreto correttivo in esame, vi è quello volto a prevedere che due dei componenti del Comitato siano designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.
Per quanto riguarda, invece, la reintroduzione dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti,rispetto alle norme recate dall’art. 26 del d.lgs. n. 22/1997:
§ sono state espunte alcune delle funzioni in precedenza attribuite, tra le quali quelle relative all’espressione del parere sul Programma generale di prevenzione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio di cui all’art. 225 ed all’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione delle componenti dei costi relativi alla TARSU (sostituita dall’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 da una nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani);
§ il numero dei componenti viene ridotto da nove a sette membri (rispetto a quelli previsti dal d.lgs. n. 22/1997);
§ la nomina dei medesimi diviene competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente, venendo meno il coinvolgimento di altri soggetti nella loro designazione;
§ si prevede l’istituzione di una apposita struttura attraverso la quale l’Osservatorio potrà svolgere i propri compiti e funzioni ispettive (comma 9)
Il comma in commento inserisce all’articolo 177 una disposizione che prevede, ai fini dell’attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, la possibilità per il Ministro di avvalersi del supporto tecnico dell’APAT.
Da un punto di vista meramente formale, si osserva che il comma
aggiuntivo in esame andrebbe numerato come “comma
Il comma in esame modifica il comma 2 dell’art. 179 al fine di precisare, tra i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, la preferenza delle altre forme di recupero rispetto all’uso dei medesimi come fonte di energia.
Si ricorda, in proposito, che “l'approccio comunitario alla politica di gestione dei rifiuti si fonda sul principio di base della gerarchia dei rifiuti, secondo il quale viene innanzitutto privilegiata la prevenzione nella produzione dei rifiuti, seguita dal recupero (comprendente riutilizzo, riciclaggio e recupero di energia, privilegiando il recupero dei materiali) e, per finire, lo smaltimento (comprendente l'incenerimento senza recupero di energia e la messa in discarica)”[49].
L’art. 3 della direttiva 2006/12/CE, che riproduce sostanzialmente il corrispondente articolo della direttiva 75/442/CEE, dispone che “gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere:
a) in primo luogo, la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti […];
b) in secondo luogo:
i) il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo od ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie; o
ii) l'uso di rifiuti come fonte di energia”.
Da ultimo, nella Risoluzione su una strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti (2006/2175(INI)), il Parlamento europeo ha sottolineato “l'importanza centrale della gerarchia dei rifiuti, che stabilisce le seguenti priorità d'azione in ordine decrescente:
prevenzione;
riutilizzo;
riciclaggio materiale;
altre operazioni di recupero, ad esempio il recupero di energia;
smaltimento;
come regola generale della gestione dei rifiuti finalizzata a ridurre la produzione di rifiuti e le ripercussioni negative sulla salute e sull'ambiente risultanti dalla produzione e gestione dei rifiuti” (punto 15).
L’attuale testo del comma 2 dell’articolo 179 non indica una priorità tra l’adozione di misure intese ad ottenere materie prime secondarie e l’uso di rifiuti come fonti di energia.
La novella in esame costituisce un ritorno ai principi indicati dal decreto Ronchi, il cui art. 4, comma 2, disponeva che “il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero”.
Come si evince dalla tabella che segue, la nuova formulazione dell’articolo 181 del decreto n. 152/2006 ripristina, nella sostanza, le disposizioni dettate dall’abrogato art. 4 del decreto Ronchi.
Nella seconda colonna sono evidenziate in neretto le parti che, presenti nel d.lgs. n. 152/2006, vengono eliminate nella nuova formulazione, mentre nella terza colonna vengono evidenziate in neretto le parti modificate o aggiunte rispetto al testo vigente del d.lgs. n. 152/2006.
Art. 4 d.lgs. 22/1997 |
Art. 181 d.lgs. 152/2006 |
Art. 181 nel testo novellato |
1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso: a) il reimpiego ed il riciclaggio; b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
c) l'adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; d) l'utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. |
1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso: a) il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio; b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima secondaria dai rifiuti; c) l'adozione di misure economiche e la previsione di condizioni di appalto che prescrivano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato di tali materiali;
d) l'utilizzazione dei rifiuti come mezzo per produrre energia.
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1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale degli stessi, attraverso: a) il riutilizzo, il riciclo o le altre forme di recupero;
b) l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; c) l’utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. |
2. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero. |
(Vedi articolo 179, comma 2) |
(Vedi articolo 179, comma 2) |
3. Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero le autorità competenti ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, eco-bilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili. |
2. Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di reimpiego e di riciclaggio e l'adozione delle altre forme di recupero dei rifiuti, le pubbliche amministrazioni ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, ecobilanci, campagne di informazione e tutte le altre iniziative utili. |
2. Al fine di favorire ed incrementare le attività di riutilizzo, riciclo e recupero le autorità competenti ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, ecobilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili.
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3. Alle imprese che intendono modificare i propri cicli produttivi al fine di ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti prodotti ovvero di favorire il recupero di materiali sono concesse in via prioritaria le agevolazioni gravanti sul Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica, previste dagli articoli 14 e seguenti della legge 17 febbraio 1982, n. 46. Le modalità, i tempi e le procedure per la concessione e l'erogazione delle agevolazioni predette sono stabilite con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, dell'economia e delle finanze e della salute. |
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4. Le autorità competenti promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati al fine di favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento al reimpiego di materie prime e di prodotti ottenuti dalla raccolta differenziata con la possibilità di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie ed il ricorso a strumenti economici |
4. Le pubbliche amministrazioni promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati o con le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, al fine di favorire il riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti, nonché l'utilizzo di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Nel rispetto dei principi e dei criteri previsti dalle norme comunitarie e delle norme nazionali di recepimento, detti accordi e contratti di programma attuano le disposizioni previste dalla parte quarta del presente decreto, oltre a stabilire semplificazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie e con l'eventuale ricorso a strumenti economici.
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3. Le autorità competenti, con l’eventuale ausilio tecnico dell’APAT, promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati al fine di favorire il riutilizzo, il riciclo ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento al recupero di materie prime e di prodotti ottenuti dalla raccolta differenziata con possibilità di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie ed il ricorso a strumenti economici.
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5. Gli accordi e i
contratti di programma di cui al comma 4 sono pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale e sono aperti all'adesione dei soggetti interessati, in conformità
alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al
Comitato delle regioni, Com (2002) 412 definitivo del 17 luglio |
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6. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materia prima secondaria, combustibili o prodotti devono garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 ed al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161. Le predette caratteristiche possono essere altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del presente decreto.
7. Nel rispetto di quanto previsto ai commi 4, 5 e 6 del presente articolo, i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e produttivi, possono stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e sentito il parere del Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA), appositi accordi di programma ai sensi del comma 4 e dell'articolo 206 per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti. Gli accordi fissano le modalità e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi metodi di prova; i medesimi accordi fissano altresì le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti ottenuti, nonché le modalità per assicurare in ogni caso la loro tracciabilità fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego.
8. La proposta di accordo di programma, con indicazione anche delle modalità usate per il trasporto e per l'impiego delle materie prime secondarie, o la domanda di adesione ad un accordo già in vigore deve essere presentata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che si avvale per l'istruttoria del Comitato nazionale dell'Albo di cui all'articolo 212 e dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), che si avvale delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA). Sulla proposta di accordo è acquisito altresì il parere dell'Autorità di cui all'articolo 207.
9. Gli accordi di cui al comma 7 devono contenere inoltre, per ciascun tipo di attività, le norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività di recupero dei rifiuti è dispensata dall'autorizzazione, nel rispetto delle condizioni fissate dall'articolo 178, comma 2.
10. I soggetti firmatari
degli accordi previsti dal presente articolo sono iscritti presso un'apposita
sezione da costituire presso l'Albo di cui all'articolo
11. Gli accordi di programma di cui al comma 7 sono approvati, ai fini della loro efficacia, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute, e sono successivamente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Tali accordi sono aperti all'adesione di tutti i soggetti interessati.
12. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l'obbligo, di disfarsene.
13. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l'obbligo, di disfarsene.
14. I soggetti che trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino o abbiano deciso, o abbiano l'obbligo, di disfarsene. |
4. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materia prima o prodotti devono garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico.
5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero. |
Relativamente al comma 1, viene ripristinata pressoché fedelmente la disposizione recata dal corrispondente comma dell’art. 4 del decreto Ronchi.
Rispetto al testo del decreto n. 152:
§ viene ripreso il riferimento al più generico “autorità competenti”, in luogo di quello alle “pubbliche amministrazioni”;
§ viene eliminato il ridondante termine “reimpiego” in quanto sinonimo di riutilizzo (lett. a)[50];
§ viene specificata la possibilità di utilizzare i rifiuti come “combustibile” (lettera c).
Rispetto al testo dell’art. 4 del decreto Ronchi si segnala l’eliminazione della specificazione, relativa alle attività di recupero, volta a limitare tali attività a quelle “per ottenere materia prima dai rifiuti”.
Si osserva, in proposito, che il generico riferimento alle “altre forme di recupero” contenuto nella lettera a) rende superflua la previsione contenuta nella lettera c), posto che “l’utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia” rappresenta l’operazione di recupero R1 definita nell’allegato C alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, e quindi, come tale, è inclusa tra le “altre forme di recupero” indicate nella lettera a).
I commi 2 e 3 riproducono nella sostanza i commi 3 e 4 dell’art. 4 del decreto Ronchi.
Relativamente al comma 3 si segnala che, rispetto sia al decreto Ronchi che al testo vigente del d.lgs. n. 152, viene esplicitamente prevista la possibilità dell’ausilio tecnico dell’APAT ai fini della promozione e della stipula da parte delle autorità competenti degli accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati, al fine di favorire il riutilizzo, il riciclo ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento al recupero di materie prime e di prodotti ottenuti dalla raccolta differenziata.
In realtà occorre però notare che l’ausilio dell’APAT viene contemplato dal comma 8 del vigente art. 181 per l’istruttoria, da parte del Ministero dell’ambiente, delle proposte di accordi di programma.
Tra le modifiche apportate al testo vigente dell’art. 181, si segnala l’eliminazione del riferimento (non presente nel decreto Ronchi) alle “associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati”, quali soggetti con i quali le autorità competenti possono promuovere e stipulare tali accordi e contratti di programma.
Si segnala che
Il comma 4 novella il comma 6 dell’art. 181 introducendo il concerto del Ministro della salute nell’emanazione del decreto volto a definire le caratteristiche dei materiali recuperati dai rifiuti.
Rispetto al testo vigente viene eliminata la disciplina transitoria che prevedeva l’applicazione dei decreti ministeriali 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161 nelle more dell’emanazione del citato decreto.
Si segnala l’opportunità di prevedere una disposizione transitoria applicabile nelle more dell’emanazione del decreto di cui al comma 4.
Si segnala un’altra rilevante innovazione rispetto al testo vigente dell’articolo 181. Nei commi 3 e 4 – in relazione rispettivamente alle finalità degli accordi e dei contratti di programma di favorire il riutilizzo, il riciclo e il recupero dei rifiuti, e ai metodi di recupero – rispetto al testo vigente (dei commi 4 e 6):
- non si fa più riferimento ai “combustibili”.
Tale modifica appare legata al disegno che ispira l’articolo 181 e i successivi, volto a far rientrare i combustibili ottenuti dai rifiuti all’interno del regime recato dalla parte quarta del decreto n. 152.
- Viene eliminato l’aggettivo “secondaria” riferito all’espressione “materia prima”.
In relazione all’espunzione nell’articolo 181, commi 3 e 4, dell’aggettivo “secondaria” riferito all’espressione “materia prima”, anche in considerazione del fatto che l’articolo 181 viene richiamato ai fini della definizione della nozione di “materia prima secondaria” dal successivo articolo 183, comma 1, lett. p), appare necessario un coordinamento tra le due disposizioni.
Si segnala peraltro che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2006/12 fa esplicito riferimento alle “materie prime secondarie” quali risultato delle operazioni di recupero dei rifiuti.
Con riguardo a tale questione, si segnala che
Il comma 5 riproduce la sola prima parte del comma 12 del d.lgs. n. 152, limitandosi a prescrivere che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero”. Rispetto al testo vigente del comma 12, quindi, viene meno la complessa definizione di completamento delle operazioni di recupero.
Si segnala che
Le principali modifiche recate dalla nuova formulazione dell’art. 181 risiedono tuttavia:
§ nell’eliminazione di parte del secondo periodo del comma 4 dell’art. 181 vigente, relativa alla funzione degli accordi e contratti di programma in esso contemplati di attuare le disposizioni previste dalla parte quarta del decreto;
§ nella soppressione dei commi 7-11, relativi alla stipula di accordi di programma finalizzati a definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti.
Si tratta cioè di norme da più parti criticate, in quanto sostanzialmente consentono agli accordi di programma di sostituirsi all’attività legislativa. Si segnala, in particolare, che durante le audizioni effettuate dall’VIII Commissione della Camera e 13a del Senato sullo schema del decreto attuativo della delega ambientale, è stata lamentata – dai rappresentanti delle regioni e degli enti locali – la violazione delle norme generali sul procedimento amministrativo (artt. 11 e 13 della legge n. 241 del 1990) in quanto si attribuisce ad una mera negoziazione una materia che rientrerebbe nelle competenze delle amministrazioni pubbliche[51].
Si ricorda, in particolare, che l’art. 13, comma 1, della legge n. 241 prevede che “le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.
Le motivazioni addotte nella relazione illustrativa per le modifiche illustrate si basano sulla considerazione che “l’articolo 181 del D.Lgs. 152/2006, infatti, travisando l’obiettivo di un miglioramento ambientale che il meccanismo dell’accordo di programma dovrebbe perseguire, consente a coloro che aderiscono agli accordi di sottrarsi alle autorizzazioni necessarie secondo l’articolo 10 della direttiva 2006/12/CE per svolgere attività che, alla luce della costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, si configurano a tutti gli effetti come operazioni di recupero di rifiuti. La deroga prevista dall’art. 11 della stessa direttiva consente una dispensa dall’autorizzazione alle imprese o stabilimenti che recuperano rifiuti, soltanto qualora le Autorità competenti abbiano adottato, per ciascun tipo di attività, norme generali che fissino i tipi, le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali l’attività di recupero possa essere esentata dall’autorizzazione e purché tali imprese o stabilimenti siano, comunque, iscritte e sottoposte ad adeguati controlli periodici da parte dell’Autorità competente. Ci si troverebbe, tra l’altro, lasciando invariate le previsioni dell’art. 181, di fronte ad una difformità di applicazione della normativa da settore produttivo a settore produttivo, senza la possibilità di operare dei controlli uniformi sul territorio nazionale e sul ciclo di gestione dei rifiuti. Va evidenziato che invece lo strumento degli accordi ambientali, così come esplicitamente riportato nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle Regioni, Com (2002) 412, «deve fornire un valore aggiunto in termini di elevato livello di tutela dell’ambiente» e non essere utilizzato per aggirare le prescrizioni imposte alle imprese dalla norma tecnica nazionale, sostituendole con altre più permissive concordate con le singole associazioni di categoria”.
Altrettanto rilevante è la già richiamata soppressione di una parte del comma 12 (relativa alla definizione temporale del completamento delle operazioni di recupero), 13 e 14, che definiscono il rapporto tra operazioni di recupero e appartenenza di un materiale alla categoria dei rifiuti. Tali commi sono finalizzati, infatti, a sottrarre alla disciplina sui rifiuti le materie prime secondarie, i combustibili e i prodotti, sia che questi derivino da un’operazione di recupero sia che tale operazione non sia necessaria, a condizione che non vi sia obbligo o volontà di disfarsi.
Si tratta di commi che hanno introdotto nell’ordinamento nazionale quella che viene indicata come la nozione di materia prima secondaria fin dall’origine.
Su tale nozione, così come per le altre definizioni rilevanti per l’applicazione della Parte Quarta, si rinvia al commento all’articolo 183.
Si segnala che
Conseguentemente
Si riporta di seguito una tabella di confronto tra la nuova formulazione dell’articolo 183, il testo vigente e il testo dell’abrogato art. 6 del decreto Ronchi.
Nella seconda colonna sono evidenziate in neretto le parti che, presenti nel d.lgs. n. 152/2006, vengono eliminate nella nuova formulazione, mentre nella terza colonna vengono evidenziate in neretto le parti modificate o aggiunte rispetto al testo vigente del d.lgs. n. 152/2006.
Art. 6, d.lgs. 22/1997 |
Art. 183, d.lgs. 152/2006 |
Art. 183 nel testo novellato |
1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi; |
1. Ai fini della parte quarta del presente decreto e fatte salve le ulteriori definizioni contenute nelle disposizioni speciali, si intende per: a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi:
|
1. Ai fini della parte quarta del presente decreto e fatte salve le ulteriori definizioni contenute nelle disposizioni speciali, si intende per: a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; l’ambito di applicazione della nozione di rifiuto deve essere interpretato, in conformità alle finalità risultanti dalla normativa comunitaria, alla luce dei principi di precauzione e di azione preventiva nonché di tutela della salute umana e dell’ambiente; |
b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti; |
b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti cioè il produttore iniziale e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti; |
b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti cioè il produttore iniziale e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti; |
c) detentore: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene; |
c) detentore: il produttore dei rifiuti o il soggetto che li detiene; |
c) detentore: il produttore dei rifiuti o il soggetto che li detiene; |
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura; |
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche dopo la chiusura; |
d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche dopo la chiusura; |
e) raccolta: l'operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto; |
e) raccolta: l'operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto; |
e) raccolta: l’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto; |
f) raccolta differenziata: la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee; |
f) raccolta differenziata: la raccolta idonea, secondo criteri di economicità, efficacia, trasparenza ed efficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione organica umida, anche al momento del trattamento, nonché a raggruppare i rifiuti di imballaggio separatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero; |
f) raccolta differenziata: la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee compresa la frazione organica umida, destinate al riutilizzo, al riciclo ed al recupero di materia; |
g) smaltimento: le operazioni previste nell'allegato B; |
g) smaltimento: ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta e, in particolare, le operazioni previste nell'Allegato B alla parte quarta del presente decreto; |
g) smaltimento: le operazioni previste nell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto; |
h) recupero: le operazioni previste nell'allegato C; |
h) recupero: le operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione, e, in particolare, le operazioni previste nell'Allegato C alla parte quarta del presente decreto; |
h) recupero: le operazioni previste nell’Allegato C alla parte quarta del presente decreto; |
i) luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti; |
i) luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali sono originati i rifiuti; |
i) luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali sono originati i rifiuti; |
l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'allegato C; |
l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'Allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'Allegato C alla medesima parte quarta; |
l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell’Allegato C alla medesima parte quarta; |
m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 ppm né policlorobifenile, policlorotrifenili in quantità superiore a 25 ppm;
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle
operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale
indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando
il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i
3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati
alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale
indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando
il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi; |
m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), né policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm);
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta del produttore; 2.1) con cadenza almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; oppure 2.2) quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito
raggiunga i oppure 2.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno, indipendentemente dalle quantità;
3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta del produttore; 3.1) con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; oppure 3.2) quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito
raggiunga i oppure 3.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno, indipendentemente dalle quantità;
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi; |
m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), né policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm);
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle
operazioni di recupero o di smaltimento quando il quantitativo di rifiuti
pericolosi in deposito raggiunga i
3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati
alle operazioni di recupero o di smaltimento quando il quantitativo di
rifiuti non pericolosi in deposito raggiunga i
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi. |
n) bonifica: ogni intervento di rimozione della fonte inquinante e di quanto dalla stessa contaminato fino al raggiungimento dei valori limite conformi all'utilizzo previsto dell'area; |
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o) messa in sicurezza: ogni intervento per il contenimento o isolamento definitivo della fonte inquinante rispetto alle matrici ambientali circostanti; |
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n) sottoprodotto: i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo. Non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest'ultimo fine, per trasformazione preliminare s'intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo. L'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale. Rientrano altresì tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale. Al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto, deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell'impianto dove avviene l'effettivo utilizzo. L'utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per l'ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive; |
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o) frazione umida: rifiuto organico putrescibile ad alto tenore di umidità, proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani; |
n) frazione umida: rifiuto organico putrescibile ad alto tenore di umidità, proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani; |
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p) frazione secca: rifiuto a bassa putrescibilità e a basso tenore di umidità proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani, avente un rilevante con tenuto energetico; |
o) frazione secca: rifiuto a bassa putrescibilità e a basso tenore di umidità proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani, avente un rilevante contenuto energetico; |
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q) materia prima secondaria: sostanza o materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell'articolo 181; |
p) materia prima secondaria: sostanza o materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell’articolo 181; |
p) combustibile da rifiuti: il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche; |
r) combustibile da rifiuti (CDR): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità normale, che è recuperato dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante trattamenti finalizzati a garantire un potere calorifico adeguato al suo utilizzo, nonché a ridurre e controllare: 1) il rischio ambientale e sanitario; 2) la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile e il contenuto di umidità; 3) la presenza di sostanze pericolose, in particolare ai fini della combustione; |
q) combustibile da rifiuti (CDR): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità normale, che è recuperato dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante trattamenti finalizzati a garantire un potere calorifico adeguato al suo utilizzo, nonché a ridurre e controllare: 1) il rischio ambientale e sanitario; 2) la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile e il contenuto di umidità; 3) la presenza di sostanze pericolose, in particolare ai fini della combustione; |
|
s) combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata, cui si applica l'articolo 229; |
r) combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata; |
q) composti da rifiuti: prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria, e in particolare a definirne i gradi di qualità; |
t) compost da rifiuti: prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualità; |
s) composto da rifiuti: prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualità; |
q-bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate; |
u) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche la cui utilizzazione è certa e non eventuale: 1) rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero completo e rispondenti a specifiche Ceca, Aisi, Caef, Uni, Euro o ad altre specifiche nazionali e internazionali, individuate entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, non avente natura regolamentare; 2) i rottami o scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche di cui al numero 1). I fornitori e produttori di materia prima secondaria per attività siderurgiche appartenenti a Paesi esteri presentano domanda di iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali, ai sensi dell'articolo 212, comma 12, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al numero 1); |
|
q-ter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l'impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L'impresa che intende svolgere l'attività di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell'Albo previsto dall'articolo 30, nonché nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall'allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34. |
v) gestore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l'impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo, coordinandole, anche ad altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L'impresa che intende svolgere l'attività di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell'Albo di cui all'articolo 212 nonché nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall'Allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34; |
|
|
z) emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico; |
t) emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico; |
|
aa) scarichi idrici: qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione; |
u) scarichi idrici: qualsiasi immissione diretta, tramite condotta, di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione; |
|
bb) inquinamento atmosferico: ogni modifica atmosferica dovuta all'introduzione nell'aria di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente; |
v) inquinamento atmosferico: ogni modifica atmosferica dovuta all’introduzione nell’aria di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente; |
|
cc) gestione integrata dei rifiuti: il complesso delle attività volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti, ivi compresa l'attività di spazzamento delle strade, come definita alla lettera d); |
z) gestione integrata dei rifiuti: il complesso delle attività volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti, come definita alla lettera d), ivi compresa l’attività di spazzamento delle strade; |
|
dd) spazzamento delle strade: modalità di raccolta dei rifiuti su strada. |
aa) spazzamento delle strade: modalità di raccolta dei rifiuti su strada; |
|
|
bb) prodotto recuperato: prodotto finito, derivante da un completo trattamento di recupero, che non può più essere distinto da altri prodotti derivanti da materie prime primarie. |
La prima modifica recata dallo schema in esame riguarda la definizione di rifiuto (lettera a) del comma 1), attraverso la specificazione che il termine “rifiuto” deve essere «interpretato, in conformità alle finalità risultanti dalla normativa comunitaria, alla luce dei principi di precauzione e di azione preventiva nonché di tutela della salute umana e dell’ambiente».
L’obiettivo perseguito dal Governo sembra, infatti, essere quello di addivenire ad una definizione più severa al fine di evitare interpretazioni «restrittive» che possano portare indiscriminatamente fuori dal campo di applicazione del d.lgs. n. 152/2006 beni giunti a fine vita dall'impatto ambientale rilevante.
Appare evidente in proposito il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia 18 aprile 2002, n. C9/00 Palin Granit, che ha sancito l'obbligo di «interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto»[52].
Peraltro si osserva che tale modifica non fa che confermare quanto previsto in termini generali dall’articolo 178 del d.lgs. n. 152/2006 che contempla tali principi quali principi generali per l’applicazione di tutte le norme in materia di rifiuti.
Decisamente più rilevanti appaiono le modifiche volte all’eliminazione dall’elenco delle definizioni contenute nell’articolo 183 delle nozioni di “sottoprodotto” (contenuta nella lettera n) del testo vigente) e di “materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche” (contenuta nella lettera u).
A tali modifiche si affianca l’eliminazione della nozione di “materia prima secondaria sin dall’origine” di cui si è detto nel commento all’articolo 181.
Le motivazioni esposte nella relazione illustrativa sono legate
all’esigenza di « rielaborare la nozione di rifiuto
in modo meno restrittivo, onde determinare la chiusura della procedura di
infrazione n. 2002/2213, già aperta sull’art. 14 della legge n. 178 del 2002,
che pur formalmente abrogato dall’art. 264, comma 1, lett. l), del codice
ambientale, è stato sostanzialmente riprodotto - nei suoi contenuti - negli
articoli 183 e 185. La definizione di “rifiuto” va inoltre dettata in modo da
tener conto anche della nota Sentenza della Corte di Giustizia Europea
(25.6.1997, Sez. VI, Tombesi), che ha stabilito che la nozione di “rifiuto”, ai sensi delle direttive
europee “(…) non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli
oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Una normativa nazionale che
adotti una definizione della nozione di rifiuti che esclude le sostanze e gli
oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è compatibile (…)” con
le Direttive. La modifica è urgente,
considerato che in data 3 luglio 2006 l’Italia è stata deferita alla Corte di
Giustizia a causa della restrittività della nozione di “rifiuto” introdotta a
livello nazionale. Perciò occorre anche rielaborare e precisare meglio la nozione
di “materia prima secondaria”, che già nell’art. 1, commi 25, 26, 27, 28 e 29
della legge delega n. 308/2004 è stata eccessivamente ampliata in modo
contrario al diritto comunitario, consentendo di escludere, per tale via, dalla
disciplina dei “rifiuto” sostanze ed oggetti, che ai sensi della normativa
comunitaria avrebbero dovuto invece essere considerati rifiuti, come già
constatato dalla Commissione Europea (in sede di lettera di messa in mora
all’Italia del 5.7.2005 e di successivo parere motivato del 13.1.2006). Con queste
norme-delega, in parte qua di portata eccezionalmente precettiva e non soltanto
programmatica, in sostanza, l’Italia ha ampliato a dismisura le categorie di
prodotti industriali e delle sostanze pericolose per l’ambiente e per la salute
(includendovi addirittura i residui di lavorazione delle attività siderurgiche
e metallurgiche), che confluendo nella nozione di “materie prime secondarie”
possono restare sottratte alla definizione di “rifiuto”, in evidente contrasto
con le norme comunitarie sui rifiuti e sulla loro gestione. La nozione di “materia prima secondaria per attività
siderurgiche e metallurgiche” di cui alla lett. u) del comma 1,
dell’articolo 183 va perciò abrogata in quanto già oggetto di procedura di
infrazione in corso (cfr. parere motivato del 13 dicembre 2005 e parere
motivato del 19.12.2005, pronunziato nei confronti della Repubblica italiana e
relativo alla procedura di infrazione n.
2005/4051) ed in ogni caso poiché foriera di gravi rischi per l’ambiente e per
la salute umana.
La relazione aggiunge che «il decreto legislativo 152, del 2006 introducendo, all’articolo 183 del decreto legislativo, il concetto di “sottoprodotto” e di “materia prima secondaria” ed escludendoli dal regime giuridico del “rifiuto” ha aggravato la posizione dell’Italia in relazione alle violazioni già contestate. La nozione di rifiuto delineata dall’ordinamento italiano, infatti, è stata oggetto di ripetute condanne e infrazioni in sede UE per essere eccessivamente limitativa e restrittiva rispetto alla normativa europea, con l’evidente rischio di ridurre il livello di tutela ambientale, agevolando la sottrazione al regime giuridico dei rifiuti di sostanze che dovrebbero esservi ricomprese, come ribadito dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee. Per porre rimedio a tale situazione è opportuno eliminare la nozione di sottoprodotto introdotta dal decreto legislativo n. 152 del 2006 all’articolo 183, lett. n), e quella di “materia prima secondaria sin dall’origine”, contemplata nell’articolo 181, recependo fedelmente le osservazioni della competente Commissione del Senato e più in generale anche dalla Camera o quanto meno recepire le indicazioni fornite dall’orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia (ad esempio nella Sentenza Palin Granit Oy del 18 aprile 2002)».
Si ricorda, in proposito, che nella lettera a) del punto n. 4 del parere espresso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[53] sull’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006), il Governo viene invitato a «sostituire, correggere o abrogare le disposizioni riguardanti la definizione e la classificazione di rifiuto difformi dalla normativa comunitaria, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, formalmente non necessarie, ma che possono essere utilizzate per sostenere interpretazioni restrittive in contrasto col diritto comunitario. In particolare:
- eliminare la nozione di "sottoprodotto", eliminare la nozione di "materia prima secondaria" e sostituirla con quella di "prodotto recuperato";
- ricondurre il combustibile derivato da rifiuti, di qualità elevata, nell’ambito della gestione dei rifiuti;
- ricondurre i rottami recuperati per attività metallurgiche e siderurgiche al recupero dei rifiuti, con la previsione di procedure semplificate;
- adeguare il trattamento delle terre e rocce da scavo alla normativa europea;
- adeguare le definizioni di smaltimento e di recupero al diritto comunitario».
Del medesimo tenore l’osservazione n. 5 del parere reso dall’VIII Commissione della Camera nella seduta del 26 luglio 2006[54], ove si legge “valuti il Governo la possibilità di intervenire sull’articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006, conferendo alla nozione di rifiuto un carattere corrispondente alla normativa comunitaria, atteso anche l’avvenuto deferimento alla Corte di Giustizia”.
Un invito a riscrivere la nozione di “rifiuto” è stato formulato in
particolare dai rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province
autonome nel corso dell’audizione svoltasi il 10 ottobre 2006 presso
Per un approfondimento sul dibattito sulla nozione di rifiuto in seguito all’emanazione del D.L. n. 138/2002, si rinvia al dossier Documentazione e ricerche “La nozione di rifiuto nel diritto comunitario e nel diritto nazionale”, n. 23 del 2 ottobre 2006, nel quale, tra l’altro, sono raccolti autorevoli articoli di dottrina[55] volti a chiarire il nuovo sistema definitorio introdotto dal decreto legislativo n. 152/2006.
I risultati del richiamato dibattito e, in particolar modo, il contenuto delle numerose pronunce della Corte di giustizia, «possono essere comunque utilizzati per individuare correttamente, secondo i principi fissati dalla normativa comunitaria, la nozione di rifiuto … Ancora una volta il cardine della questione è data dalla corretta lettura del termine “disfarsi” e dalla rilevanza che si attribuisce alle risultanze oggettive ovvero alle intenzioni del detentore. Ciò posto, pare opportuno richiamare l’attenzione sulle seguenti indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia in quanto tracciano un percorso interpretativo sufficientemente lineare anche con riferimento alla disciplina attualmente in vigore:
- vi è un obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli);
- il verbo “disfarsi” deve essere interpretato considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti; un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit);
- il fatto che una sostanza o un oggetto siano suscettibili di riutilizzazione economica non esclude necessariamente la loro natura di rifiuto (Corte Giustizia 28 marzo 1990, Vessoso ed altro);
- l’applicazione delle direttive in tema di rifiuti non può dipendere dall’intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altre persone delle sostanze o degli oggetti di cui si disfa (Corte Giustizia 28 marzo 1990 cit.);
- la nozione di rifiuto non esclude, in via di principio, alcun tipo di residui, di prodotti di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali (Corte Giustizia 18 dicembre 1997, Wallonie);
- il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto (Corte Giustizia 18 dicembre 1997, cit.).
Ciò che rileva, in definitiva, è una corretta individuazione del rifiuto come tale, prescindendo da ogni valutazione di comodo finalizzata a qualificare diversamente sostanze o materiali che devono invece sottostare alle norme sulla gestione dei rifiuti. La nozione di rifiuto riportata nel D.L.vo 152/06, tratto dall’articolo 1 Dir. 75/442/CEE come modificato dalla Direttiva 91/156/CEE, è stata riprodotta nella (nuova) Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 anche se il testo presenta ora l’espressione “(...) si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi” in luogo di “si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. Si tratta, però, di una differente traduzione che non sembra possa produrre alcun effetto nella pratica applicazione, tanto è vero che, nelle altre lingue, il testo risulta invariato rispetto all’originale»[56].
Sull’importanza di una lettura sistemica delle disposizioni del decreto n. 152 al fine di una corretta individuazione della nozione di rifiuto, si sofferma un successivo articolo[57] nel quale si sottolinea come il concetto di rifiuto dettato dal decreto n. 152 debba essere estrapolato non solo dalla lettura della nozione dettata dall’art. 183, ma anche dalla considerazione simultanea “di una serie di ulteriori concetti generali e istituti contemplati dal menzionato decreto”: le definizioni, maggiormente articolate rispetto al precedente decreto Ronchi, di recupero e smaltimento; la nozione di sottoprodotto (che lo schema di decreto in esame mira ad espungere dall’articolo 183), che secondo l’autore ripropone di fatto e in larga misura il risultato dell’interpretazione autentica fornita dall’art. 14 del D.L. n. 138/2002, ritagliando una sfera di esclusione dall’applicazione della normativa analogamente censurabile; o ancora le norme dell’art. 181 sugli accordi di programma e sulle materie prime secondarie fin dall’origine, anch’esse foriere di limitazioni all’applicazione della disciplina della gestione dei rifiuti.
Si segnala che
La definizione proposta dalla Conferenza unificata individua i sottoprodotti come “i prodotti dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono impiegati con certezza nel processo produttivo, senza subire trasformazioni preliminari, di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi o non abbia deciso di disfarsi, nel rispetto dell’ordinamento comunitario”.
Un’altra modifica recata dallo schema in esame riguarda la definizione di raccolta differenziata (lettera f) del comma 1).
Rispetto al testo dell’articolo 183 recato dal codice ambientale:
§ scompare il richiamo ai criteri di economicità, efficacia, trasparenza ed efficienza per valutare l’idoneità della raccolta a raggruppare i rifiuti in frazioni merceologiche omogenee.
Sul punto, si segnala che il richiamo a tali criteri nell’ambito della definizione di raccolta differenziata non poteva non destare qualche perplessità; più correttamente, invece, tali criteri sono presi in considerazione dall’art. 178, comma 3, quali principi cardine dell’intera gestione dei rifiuti e dall’art. 205, comma 2, che prevede che la frazione organica umida separata fisicamente dopo la raccolta e finalizzata al recupero complessivo tra materia ed energia secondo tale criteri contribuisce all’obiettivo di incrementare la raccolta differenziata.
§ vengono eliminate le specificazioni relative alle tipologie di rifiuti, secondo le quali, in particolare, il raggruppamento in frazioni merceologiche omogenee deve avvenire: per i rifiuti urbani, al momento della raccolta; per la frazione organica umida, anche al momento del trattamento[58]; in modo da separare i rifiuti di imballaggio dagli altri rifiuti urbani.
Si segnala che la definizione contenuta nello schema di decreto in esame riproduce fedelmente quella recata dal d.lgs. n. 22/1997 prima dell’entrata in vigore della legge n. 93/2001 (art. 12, comma 1).
Essa in particolare ripristina la specificazione che il raggruppamento a valle della raccolta differenziata comprende anche la frazione organica umida e, soprattutto, l’indicazione esplicita dell’obiettivo dell’attività di raccolta differenziata, ovvero la destinazione delle frazioni raccolte al riutilizzo, al riciclo ed al recupero di materia.
Tali precisazioni, peraltro, sia pure con una diversa formulazione, si ritrovano anche nel testo vigente del decreto n. 152; quest’ultimo tuttavia pone il vincolo di destinazione delle frazioni raccolte ad un generico recupero, allorché invece la novella considera quali destinazioni possibili solo alcune modalità di recupero (cioè il riutilizzo, il riciclo e il recupero di materia), non contemplando quindi il recupero di energia.
Occorre chiarire se tale disposizione in realtà non voglia attribuire carattere prioritario, piuttosto che esclusivo alla destinazione di tali frazioni al riutilizzo, riciclo e recupero di materia. In ogni caso, è necessario coordinare la disposizione in commento con l’articolo 205, recante le misure per incrementare la raccolta differenziata, che prevede esplicitamente, al comma 2, la destinazione della frazione organica umida anche al recupero di energia.
Relativamente a questo aspetto si segnala che
Si ricorda, infine, sempre con riferimento alla
lettera f), che
Ai sensi delle lettere g) ed h) del nuovo art. 183 vengono ripristinate le nozioni di “smaltimento” e di “recupero” recate dal Decreto Ronchi, che in particolare rinviava alle operazioni previste negli allegati B e C, e che corrispondono a quelle contenute nella nuova direttiva rifiuti 2006/12/CE.
Nella relazione illustrativa si legge che le definizioni vigenti devono essere corrette poiché “contrastano con l’orientamento della Corte di Giustizia (ed in particolare con la sentenza Niselli dell’11 novembre 2004)”.
La necessità di un adeguamento delle definizioni di smaltimento e di recupero al diritto comunitario è stata sottolineata anche nel parere reso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006 sul primo correttivo al codice ambientale (Atto del Governo n. 12, ora d.lgs. n. 284/2006).
Sui profili di non conformità rispetto alle norme comunitarie delle definizioni recate dal testo vigente del d.lgs. n. 152/2006 si riporta l’attenta analisi di P. Pipere[59], secondo cui il tentativo del legislatore di giungere a una definizione più pragmatica, sebbene condivisibile (“in quanto una maggiore definizione dell’estensione delle due nozioni si è dimostrata, negli anni, come assolutamente necessaria”), “sembra eccedere la potestà dei singoli Stati membri dell’Unione europea” poiché “soltanto una pronuncia della Corte di giustizia europea o una modifica delle direttive in materia potrebbero consentire di articolare meglio queste definizioni”. Inoltre appare “difficilmente conciliabile con le direttive europee anche la scelta di includere nel novero delle operazioni di recupero la selezione e la cernita” che le “istituzioni comunitarie hanno più volte considerato come attività meramente preliminari all’effettivo recupero”.
Con la nuova
definizione di “deposito temporaneo”
vengono eliminate le previsioni di depositi temporanei senza limiti
quantitativi, per cui possono essere ammessi solo depositi temporanei di 10 o
L’attuale testo del d.lgs. n. 152 legittima due modalità alternative di deposito temporaneo:
1. depositi temporanei senza limiti quantitativi: in tal caso i rifiuti debbono essere avviati alla operazioni di smaltimento entro due o tre mesi (a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi ovvero di rifiuti non pericolosi), oppure entro un anno (quando lo stabilimento del produttore sia collocato nelle isole minori);
2.
depositi
temporanei con limiti quantitativi:
La
nuova definizione elimina i depositi temporanei del primo tipo, poiché –
secondo quanto si legge nella relazione illustrativa – «non
sono conformi alle previsioni della Direttiva 75/442/CEE e contrastano con
L’eliminazione dei depositi temporanei senza limiti quantitativi è volta, inoltre, a porre un argine alla prassi di utilizzare tale deposito – che non rientra tra le operazioni di gestione e quindi non è soggetto ad autorizzazione e quindi non è “tracciabile”, cioè conoscibile dalle autorità – in luogo dello stoccaggio – che invece vi rientra. La modifica dovrebbe quindi consentire di limitare le possibilità di gestione occulta dei rifiuti, in cui tende ad innestarsi, soprattutto nei territori ove opera la criminalità organizzata, la successiva fase del trasporto abusivo degli stessi rifiuti verso mete illegali[60].
La modifica in esame inoltre sembra ripristinare lo spirito della norma originariamente recata dal decreto Ronchi (priva della specificazione “in alternativa”, aggiunta dal d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389, cd. Ronchi-bis), che era quello di “agevolare le piccole aziende che in vigenza del precedente DPR 915/1982 erano spesso soggette al reato (grave) di stoccaggio abusivo per piccoli quantitativi di rifiuti depositati in azienda oltre un certo periodo”[61].
Occorre tuttavia
considerare anche che “i nuovi valori comporteranno, però, un aumento dei costi
di gestione dei rifiuti, se si considera che un’azienda di medie dimensioni o
un piccolo supermercato possono raggiungere il limite di
Si segnala che
1) di ripristinare nel caso di rifiuti pericolosi la possibilità di optare per la raccolta e l’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento con cadenza almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito (numero 2.1 del testo vigente) e di prevedere, nel caso di deposito temporaneo con limite temporale, un registro di produzione del rifiuto nel quale l’azienda dovrà indicare con cadenza settimanale i quantitativi di rifiuti stoccati in deposito temporaneo. In base a tale emendamento, superato il limite temporale, il deposito dovrà essere svuotato;
2) anche nel caso di rifiuti non pericolosi, di ripristinare la possibilità di optare per la raccolta e l’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendente delle quantità in deposito e di prevedere con le stesse modalità indicate sub punto 2) la tenuta del registro di produzione del rifiuto.
In entrambi gli emendamenti si prevede l’annotazione della scelta del produttore secondo le varie modalità alternative, con annotazione preventiva della modalità scelta nei registri di carico e scarico.
Con riferimento al deposito temporaneo, si
segnala che
Il testo della lettera p) in commento riproduce nella formulazione la lettera q) del testo vigente. Tuttavia, la portata normativa delle due disposizioni non è perfettamente corrispondente, in considerazione delle modifiche che lo schema di decreto in commento apporta al precedente art. 181.
In dottrina, in particolare, si è segnalato che tale nuova costruzione è “bisognosa di un ulteriore perfezionamento” posto che la nuova formulazione dell’art. 181 “richiama un emanando decreto ministeriale che fisserà i metodi di recupero dei rifiuti «utilizzati per ottenere materia prima o prodotti» e non, invece, «materie prime secondarie»”.
Viene ripristinata la previgente nozione di “scarico diretto” recata dall’art. 2 del d.lgs. n. 152/1999, inteso come quello operabile esclusivamente tramite condotta, con la conseguente definitiva eliminazione del dubbio su un presunto ritorno allo “scarico indiretto”.
L’obiettivo perseguito dal Governo è quello di addivenire ad una definizione più puntuale tale da precludere la possibilità che i rifiuti liquidi possano confluire nelle acque reflue esenti da smaltimento (che potrebbe seriamente compromettere lo stato delle risorse idriche sotterranee) e di assicurare la garanzia dei dovuti controlli su tali rifiuti. La necessità di perseguire tale obiettivo è sottolineato dalla relazione illustrativa, oltre che dai pareri resi dalle Commissioni competenti presso i due rami del Parlamento durante l’esame del primo correttivo al codice ambientale (Atto del Governo n. 12, ora d.lgs. n. 284/2006) e dalla Conferenza Unificata.
Per un approfondimento della nuova formulazione di scarico idrico si rinvia al commento recato dai commi 1-5.
Lo schema in esame prevede l’introduzione nell’art. 183 della nozione di “prodotto recuperato”, non contemplata né dalla vigente, né dalla precedente normativa.
Sul punto, si segnala che nel parere reso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006 sul primo decreto correttivo (Atto del Governo n. 12, ora d.lgs. n. 284/2006) si auspicava l’introduzione della definizione di “prodotto recuperato”, in luogo di quelle di “sottoprodotto” e di “materia prima secondaria”.
Nel merito, in base alla lettera bb), per “prodotto recuperato” si intende “il prodotto finito, derivante da un completo trattamento di recupero, che non può più essere distinto da altri prodotti derivanti da materie prime primarie”[64].
Sull’introduzione
della nozione di “prodotto recuperato” si è pronunciata negativamente
Confindustria, nel corso dell’audizione sulle problematiche derivanti
dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006 svoltasi il 3 ottobre 2006 presso
Premesso che da tale definizione sembra derivare la non applicabilità ai prodotti recuperati del regime giuridico dei rifiuti, sembrerebbe opportuno esplicitare tale esclusione tra le fattispecie contemplate dall’articolo 185 (relativo ai limiti al campo di applicazione della Parte IV del codice).
Si segnala che
Nel nuovo articolo 183 non viene riprodotta la definizione di gestore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti (lettera v), corrispondente a quella introdotta nel decreto Ronchi dall’art. 1, comma 29, lettera a), della legge n. 308/2004 (cd. delega ambientale).
Occorre un chiarimento in ordine alla ragione di tale soppressione, posto peraltro che altre disposizioni del decreto n. 152, su cui non interviene lo schema di decreto in esame, contengono il riferimento al gestore del servizio (in particolare, artt. 202, comma 6; 203, comma 2, lettera g); 221, comma 2).
Nella definizione del combustile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q) viene eliminato il riferimento all’applicabilità dell'articolo 229.
Tale modifica è collegata a quelle recate dai commi 40-41 che, attraverso una novella al richiamato articolo 229, fanno rientrare il CDR-Q nel novero dei rifiuti. Da ciò deriva che la disciplina ad esso applicabile non è più solo quella dell’art. 229, nel testo novellato, ma anche quella generale sui rifiuti.
Il comma in esame introduce all’art. 184 il comma 5-bis statuisce l’assoggettabilità dei cd. sistemi d’arma alle norme della parte quarta del decreto n. 152, demandando ad apposito decreto interministeriale l’individuazione delle procedure speciali da adottare nella loro gestione.
Tale disposizione trova giustificazione nel disposto del nuovo articolo 185 (su cui infra), che non riproduce la lettera m) del testo vigente, che escludeva l’applicabilità della disciplina dei rifiuti per i cd. sistemi d’arma.
In particolare tale disciplina si applica a:
§ sistemi d’arma, mezzi, materiali e infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale, individuati con decreto del Ministro della difesa;
§ gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove vengono immagazzinati i citati materiali.
Le procedure speciali dovranno essere individuate con decreto interministeriale del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro della salute, da adottarsi entro il 30 giugno 2007.
In relazione ai prevedibili tempi per l’entrata in vigore del presente decreto correttivo, occorre differire il termine del 30 giugno 2007 per l’emanazione del decreto di individuazione delle procedure speciali da adottare nella gestione dei sistemi d’arma.
Nel comma in esame viene altresì specificato che i magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i medesimi materiali e rifiuti sono soggetti alle autorizzazioni ed ai nulla osta previsti dal medesimo decreto interministeriale.
Con riferimento alla formulazione della disposizione, si osserva che da
un punto di vista meramente formale, poiché il nuovo comma aggiuntivo è
collocato dopo l’ultimo comma dell’articolo, andrebbe numerato come “
Come per gli articoli 181 e 183, anche in questo caso può risultare utile un confronto - realizzato nella tabella che segue - tra la nuova formulazione prevista dallo schema in esame con quella vigente e con quella recata dall’abrogato art. 8 del decreto Ronchi.
Nella seconda colonna sono evidenziate in neretto le parti che, presenti nel d.lgs. n. 152/2006, vengono eliminate nella nuova formulazione, mentre nella terza colonna vengono evidenziate in neretto le parti modificate o aggiunte rispetto al testo vigente del d.lgs. n. 152/2006.
Art. 8, d.lgs. 22/1997 |
Art. 185, d.lgs. 152/2006 |
Art. 185 nel testo novellato |
1. Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera, |
1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera di cui all'articolo 183, comma 1, lettera z); |
1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: a) gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera di cui all'articolo 183, comma 1, lettera t); |
nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: |
|
b) qualora contemplati da altra normativa: |
a) i rifiuti radioattivi; |
c) i rifiuti radioattivi; |
1) i rifiuti radioattivi; |
b) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; |
d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; |
2) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; |
c) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli; |
e) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza; |
3) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli, quali gli impianti per la produzione di biogas, che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza; materiali litoidi e terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici; |
f-bis) le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti; |
Cfr. art. 186 |
Cfr. comma 23 dello schema in esame |
f-ter) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto 25 ottobre 1999, n. 471, del Ministro dell'ambiente, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto ; |
h) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i limiti di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471; |
|
|
|
4) materie fecali e vegetali di provenienza agricola ed agroalimentare destinate, nell’ambito di specifici accordi, senza trasformazioni, alla combustione in impianti aziendali e interaziendali ed alla produzione di fertilizzanti, nonché ai trattamenti di cui all’allegato III del decreto interministeriale 7 aprile 2006; |
e) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido; |
b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue; |
5) le acque di scarico diretto, eccettuati i rifiuti allo stato liquido; |
f) i materiali esplosivi in disuso; |
g) i materiali esplosivi in disuso; |
6) i materiali esplosivi in disuso. |
c-bis) i residui e le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel circuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, e successive modificazioni, nel rispetto della vigente normativa; |
f) le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel circuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, nel rispetto della vigente normativa; |
c) le eccedenze derivanti dalle preparazioni delle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non rientranti nel circuito distributivo di somministrazione, destinate, tramite specifici accordi, alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, nel rispetto della normativa vigente. |
f-quater) il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo; |
i) il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo; |
|
f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e
speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF
di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita
dall'articolo 2, comma 1, lettera g), del D.M. 11 novembre 1999 del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999, come sostituita dall'articolo 1 del
D.M. 18 marzo 2002 del Ministro delle attività produttive, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo |
Cfr. art. 183, comma 1, lettera s) e art. 229 |
Cfr. commi 40 e 41 dello schema in esame |
|
l) materiale litoide estratto da corsi d'acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti; |
|
|
m) i sistemi d'arma, i mezzi, i materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare ed alla sicurezza nazionale individuati con decreto del Ministro della difesa, nonché la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove vengono immagazzinati i citati materiali, che rimangono disciplinati dalle speciali norme di settore nel rispetto dei principi di tutela dell'ambiente previsti dalla parte quarta del presente decreto. I magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i medesimi materiali e rifiuti costituiscono opere destinate alla difesa militare non soggette alle autorizzazioni e nulla osta previsti dalla parte quarta del presente decreto; |
Cfr. Comma 21 dello schema in esame |
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n) i materiali e le infrastrutture non ricompresi nel decreto ministeriale di cui alla lettera m), finché non è emanato il provvedimento di dichiarazione di rifiuto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, recante il regolamento per l'amministrazione e la contabilità degli organismi dell'esercito, della marina e dell'areonautica. |
|
1-bis. Non sono in ogni caso assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava |
|
|
|
2. Resta ferma la disciplina di cui al regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002, recante norme sanitarie relative a sottoprodotti di origine animale non destinate al consumo umano, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di applicazione ivi indicato. |
|
La relazione
illustrativa sottolinea che “con il comma 22, che sostituisce l’articolo 185,
viene disposta, in modo pressoché conforme a quanto previsto dalla normativa
comunitaria, una restrizione delle
limitazioni previste nel predetto articolo
In particolare, scompaiono dalle esclusioni recate dal testo vigente del d.lgs. n. 152/2006, e rientrano quindi nel regime giuridico dei rifiuti:
§ i materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con apposito decreto ministeriale (lettera h). Tale esclusione, tuttavia, viene parzialmente recuperata, e comunque subordinatamente alla sussistenza di ulteriori condizioni, dal numero 4) della lettera b) del nuovo art. 185
Il numero 4) fa riferimento alle materie fecali e vegetali di provenienza agricola ed agroalimentare destinate, nell’ambito di specifici accordi, senza trasformazioni, alla combustione in impianti aziendali e interaziendali ed alla produzione di fertilizzanti, nonché ai trattamenti di cui all’allegato III del decreto interministeriale 7 aprile 2006;
§ il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo (lettera i);
§ il materiale litoide estratto da corsi d'acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti (lettera l);
§ i rifiuti cosiddetti “dei sistemi d’arma”, derivanti dai mezzi, dai materiali e dalle infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare (lettere m) ed n).
Per tali tipologie di rifiuti, il comma 21 ribadisce l’assoggettabilità alle norme della parte quarta del decreto n. 152, demandando ad apposito decreto interministeriale l’individuazione delle procedure speciali da adottare nella loro gestione (cfr. supra).
§ i sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano disciplinati anche, e non più esclusivamente, dal regolamento (CE) n. 1774/2002 del 3 ottobre 2002 (comma 2).
Il testo vigente dell’articolo 185, comma 2, precisa che tale regolamento “costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di applicazione ivi indicato”. L’eliminazione di tale disposizione sembra implicare, quindi, l’applicabilità nella fattispecie indicata anche della parte quarta del d.lgs. n. 152/2006.
Si richiama nuovamente, inoltre, l’eliminazione della nozione di “sottoprodotto” nel nuovo testo dell’articolo 183 e si segnala chetra i sottoprodotti non soggetti alla Parte IV rientravano anche “le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale”.
Accanto alle modifiche illustrate lo schema di decreto in esame apporta numerosi altri ritocchi al testo vigente dell’articolo 185:.
§ alla lettera b) l’esclusione dalla disciplina recata dalla parte quarta del decreto viene sottoposta alla condizione che i materiali indicati nei vari punti della citata lettera siano contemplati da altra normativa, in linea con il disposto della direttiva 2006/12/CE (art. 2, par. 1, lettera b);
§ al numero 3) della lettera b) viene fatto esplicito riferimento agli impianti per la produzione di biogas, all’interno della disposizione che esclude dal campo di applicazione le carogne e alcuni rifiuti agricoli, tra cui le materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli.
Tale modifica, finalizzata all’esclusione delle matrici organiche di origine vegetale (sia di origine agricola che agroalimentare) dal campo di applicazione dei rifiuti, quando destinate a trattamenti come la digestione anaerobica, risulterebbe, secondo notizie di stampa, dall’accoglimento di un emendamento del Ministero delle politiche agricole, al fine di chiarire “un aspetto confuso che ha spesso portato le Autorità di controllo a classificare come rifiuti biomasse utilizzate nella produzione di biogas”[65].
§ al numero 4) della lettera b) viene introdotta una disposizione volta ad escludere dalla disciplina dei rifiuti le “materie fecali e vegetali di provenienza agricola ed agroalimentare destinate, nell’ambito di specifici accordi, senza trasformazioni:
- alla combustione in impianti aziendali e interaziendali;
Anche tale norma, secondo quanto riportato da notizie di stampa, risulta dall’approvazione di un emendamento del Ministero delle politiche agricole.
Tale disposizione, “escluderebbe dal campo di applicazione della normativa rifiuti le deiezioni zootecniche come la pollina quando destinate alla combustione. In questo modo cadrebbe l’obbligo di costruire impianti non inferiori a 6MW (in base al DM 5 febbraio 1998) che nella maggior parte dei casi sono sovradimensionati”[66].
Si ricorda, in proposito, che l’Allegato 2, Suballegato 1, del DM 5 febbraio 1998, recante “Norme tecniche per l'utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibili o come altro mezzo per produrre energia”, disciplina - al punto 14 - la pollina proveniente da allevamenti avicoli, prevedendo che “il recupero energetico del rifiuto di cui al punto 14 può essere effettuata attraverso la combustione in impianti dedicati al recupero energetico di rifiuti di potenza termica nominale non inferiore a 6 MW”.
-alla produzione di fertilizzanti;
-ai trattamenti di cui all’allegato III del decreto 7 aprile 2006.
Si ricorda che con il Decreto 7 aprile 2006, emanato dal Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con quelli dell'ambiente, delle infrastrutture e trasporti, delle attività produttive e della salute, sono stati fissati i criteri e le norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152[67].
In particolare, l’Allegato III riguarda le strategie di gestione degli effluenti zootecnici per il riequilibrio del rapporto agricoltura/ambiente e prevede il ricorso ai seguenti trattamenti dei liquami per ridurre il carico di nutrienti e/o il volume dell'effluente:
A. Trattamenti aziendali di liquami zootecnici e gestione interaziendale dei prodotti di risulta;
B. Trattamenti consortili di liquami zootecnici:
1. impianti interaziendali con utilizzo agronomico dei liquami
2. trattamento dei liquami zootecnici in eccedenza in depuratori di acque reflue urbane.
§
al numero
5) della lettera b) viene modificata la disposizione recata dalla lettera
b) del vigente comma
Relativamente a quest’ultimo aspetto, si rinvia al commento recato ai precedenti commi 1- 5, inseriti, come d’altronde sottolinea anche la relazione illustrativa, dall’esigenza di ripristinare la nozione di “scarico diretto”, quale già contenuta nel d.lgs. n. 152/1999, in modo precludere la possibilità che i rifiuti liquidi possano venire a confluire nelle acque reflue esenti da smaltimento, compromettendo seriamente lo stato delle risorse idriche sotterranee. Con riferimento al dettato della direttiva 2006/12/CE si rammenta che al numero iv) della lettera b) dell’articolo 2 vengono indicate “le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido”.
§ alla lettera c), relativa alle eccedenze derivanti dalle preparazioni delle cucine destinate alle strutture di ricovero di animali di affezione, viene aggiunta l’ulteriore condizione che tale destinazione avvenga “tramite specifici accordi”.
Il
comma 23 sostituisce l’articolo
Art. 186, d.lgs. 152/2006 |
Art. 186 nel testo novellato |
1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari,
secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero,
qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente,
sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3. |
1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute nel corso di attività edificatorie e di costruzione di infrastrutture, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti e rilevati nell’ambito del medesimo processo produttivo purché vi sia certezza dell’utilizzo senza necessità di preventivo trattamento e sia garantito un elevato livello di tutela ambientale, nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo.
2. La certezza dell’integrale utilizzo può ritenersi dimostrata nel caso in cui il progetto dell’intervento principale sottoposto a valutazione di impatto ambientale contenga apposite previsioni in relazione all’utilizzo di terre e rocce da scavo.
3. Qualora il progetto dell’intervento principale non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, le modalità di utilizzo delle terre e rocce da scavo devono formare oggetto di apposito progetto esecutivo comprensivo dell’attività analitica di cui al comma 6, che deve essere approvato dall’autorità amministrativa competente, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente.
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2. Ai fini del presente articolo, le opere il cui progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale costituiscono unico ciclo produttivo, anche qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti utilizzi, a condizione che tali utilizzi siano tutti progettualmente previsti. |
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Cfr. comma 9 |
4. Il parere di cui al comma 3 deve essere reso nel termine perentorio di trenta giorni, decorsi i quali provvede in via sostitutiva la regione, entro i successivi trenta giorni. |
3. Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato, in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato utilizzo. I limiti massimi accettabili nonché le modalità di analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i criteri di cui all'Allegato 2 del titolo V della parte quarta del presente decreto, sono determinati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, salvo limiti inferiori previsti da disposizioni speciali. Sino all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471. |
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4. Il rispetto dei limiti massimi di concentrazione di inquinanti di cui al comma 3 deve essere verificato mediante attività di caratterizzazione dei materiali di cui al comma 1, da ripetersi ogni qual volta si verifichino variazioni del processo di produzione che origina tali materiali. |
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5. Per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il riempimento delle cave coltivate, oppure la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, qualora ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato. |
|
6. Qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l'effettuazione di controlli periodici, l'effettiva destinazione all'uso autorizzato dei materiali; a tal fine l'utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione. |
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7. Ai fini del parere
delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione
dell'ambiente, di cui ai commi 1 e 5, per i progetti non sottoposti a
valutazione di impatto ambientale, alla richiesta di riutilizzo ai sensi dei
commi da |
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8. Nel caso in cui non sia possibile l'immediato riutilizzo del materiale di scavo, dovrà anche essere indicato il sito di deposito del materiale, il quantitativo, la tipologia del materiale ed all'atto del riutilizzo la richiesta dovrà essere integrata con quanto previsto ai commi 6 e 7. Il riutilizzo dovrà avvenire entro sei mesi dall'avvenuto deposito, salvo proroga su istanza motivata dell'interessato. |
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9. Il parere di cui al comma 5 deve essere reso nel termine perentorio di trenta giorni, decorsi i quali provvede in via sostitutiva la regione su istanza dell'interessato. |
Cfr. comma 4 |
10. Non sono in ogni caso assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava. |
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5. L’utilizzo delle terre e rocce da scavo di cui al presente articolo è subordinato all’effettuazione di determinazioni analitiche volte a verificare che il materiale da utilizzare non superi i valori limite di concentrazione di cui all’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del presente decreto, Tabella 1, colonna A, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione. I parametri da verificare devono essere riferiti alle attività, attuali e pregresse, realmente svolte sul sito interessato dall’attività di scavo. |
|
6. Qualora le terre e rocce da scavo di cui al presente articolo siano destinate all’utilizzo su siti ad uso commerciale ed industriale le autorità competenti possono autorizzarne la collocazione in deroga ai valori limite di cui al comma 6, comunque nel rispetto dei valori limite di concentrazione di cui all’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del presente decreto, Tabella 1, colonna B. |
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7. Le terre e rocce da scavo, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto. |
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8. Con decreto del Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, sentita l’APAT, sono fissati i criteri, le procedure e le modalità per il campionamento e l’analisi delle terre e rocce da scavo. |
La modifica trova le sue motivazioni - secondo quanto riportato nella relazione illustrativa - nelle contestazioni formulate dalla Commissione europea, che hanno dato luogo alla procedura di infrazione n. 2002/2077.
Si rammenta, in proposito, che tale procedura è stata avviata dalla Commissione europea sulla base del dispositivo congiunto dell'articolo 10 della legge n. 93 del 2001 e dell'articolo 1, commi 17 e 19, della legge n. 443 del 2001, poi trasposto ed integrato nell’art. 186 del d.lgs. n. 152/2006.
Secondo
La necessità di tale adeguamento è stata affermata anche nella lettera a) del punto n. 4 del parere espresso dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[70] sull’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006). In esso in particolare il Governo viene invitato ad «adeguare il trattamento delle terre e rocce da scavo alla normativa europea».
La novella recata dallo schema in esame sembra quindi orientata verso una restrizione del campo di applicazione dell’art. 186.
Vanno in particolare in tale direzione le seguenti modifiche recate dai commi 1 e 3:
§ l’eliminazione della parte in cui si ammetteva l’esclusione delle terre dal novero dei rifiuti, “anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione”;
§ l’introduzione di un vincolo relativo alla provenienza delle terre e rocce, che devono essere “ottenute nel corso di attività edificatorie e di costruzione di infrastrutture”;
§ l’aggiunta dell’ulteriore condizione che il riutilizzo avvenga “nell’ambito del medesimo processo produttivo”;
L’attuale comma 6 – di cui si prevede l’abrogazione - disciplina, invece, l’utilizzo in “differenti cicli di produzione industriale”. Inoltre il comma 5 vigente – anch’esso destinato ad essere soppresso dallo schema in esame – interpreta estensivamente le modalità di utilizzo, prevedendo che nelle attività di effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati vi rientrino “anche la destinazione progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il riempimento delle cave coltivate, oppure la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata … a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato”;
§ l’eliminazione del riferimento ai residui della lavorazione della pietra[71];
§ l’eliminazione dei macinati dal novero degli utilizzi possibili;
§ l’eliminazione della clausola “ove ciò sia espressamente previsto” che rendeva facoltativa - nei casi in cui il progetto non fosse sottoposto a VIA - la presentazione di un progetto per l’utilizzo di terre e rocce da scavo e/o la relativa approvazione da parte dell’autorità amministrativa competente, previo parere delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente[72];
La novella ripristina l’obbligatorietà della presentazione del progetto e la sua approvazione da parte dell’autorità competente (previo parere delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente), aggiungendo inoltre che deve trattarsi di progetto esecutivo e che lo stesso deve essere comprensivo dell’attività analitica di cui al comma 6.
Al comma 3 del nuovo articolo 186, si segnala l’erroneità del riferimento al comma 6, posto che l’attività analitica è disciplinata dal comma 5.
Il comma 2 sembra confermare, sia pure con una diversa formulazione, quanto previsto nel comma 1 (nella parte in cui si fa riferimento all’utilizzo secondo le “modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale”) e nel comma 2 del testo vigente.
La ratio di entrambi i testi sembra infatti quella di richiedere che l’utilizzo delle terre e delle rocce da scavo sia disciplinato nel progetto dell’intervento principale sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA).
Un’ulteriore modifica,
di carattere procedurale, è recata dal comma
Il comma 5 del nuovo articolo 186 disciplina invece i parametri da rispettare ai fini dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo.
Esso prevede in particolare che tale utilizzo è subordinato all’effettuazione di determinazioni analitiche volte a verificare che il materiale da utilizzare non superi i valori limite di concentrazione di cui all’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del decreto, Tabella 1, colonna A, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione. I parametri da verificare devono essere riferiti alle attività, attuali e pregresse, realmente svolte sul sito interessato dall’attività di scavo.
In base al comma 6, qualora le terre e rocce da scavo siano destinate all’utilizzo su siti ad uso commerciale ed industriale le autorità competenti possono autorizzarne la collocazione in deroga ai valori limite di cui al comma 6, comunque nel rispetto dei valori limite di concentrazione di cui all’Allegato 5 al Titolo V della parte quarta del presente decreto, Tabella 1, colonna B.
La tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte quarta del decreto n. 152 (Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare) si compone di due colonne A e B; nella colonna A vengono indicate le concentrazioni limite per i siti ad uso di verde pubblico, privato e residenziale, mentre nella colonna B i limiti per i siti ad uso commerciale e industriale.
Tale tabella riproduce la tabella 1 dell’Allegato 1 del DM n. 471/1999, che – nelle more dell’emanazione di nuove norme regolamentari – viene presa come riferimento transitorio dal comma 3 vigente, che, si segnala, rinvia alla sola colonna B.
Da tali norme risulta evidente un inasprimento delle soglie di contaminazione, posto che i valori meno stringenti recati dalla colonna B, adottati dal testo vigente, vengono presi in considerazione dallo schema in esame non più come soglie generali, ma solo qualora le terre e rocce da scavo siano destinate all’utilizzo su siti ad uso commerciale ed industriale. In tutti gli altri casi devono quindi essere rispettati i limiti più severi recati dalla colonna A.
Da un punto di vista formale si segnala che
il comma 6 reca l’erroneo rinvio al comma
Il successivo comma 7 prevede esplicitamente l’assoggettamento delle terre e rocce da scavo alla disciplina dei rifiuti di cui alla parte quarta del decreto n. 152 qualora nell’utilizzo delle medesime non siano rispettate le condizioni poste dall’articolo 186.
Il comma 8, infine, demanda ad un successivo decreto del Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, sentita l’APAT, la fissazione dei criteri, delle procedure e delle modalità per il campionamento e l’analisi delle terre e rocce da scavo.
Il vigente comma 3 prevede, con disposizione di analogo tenore, l’emanazione di un successivo decreto ministeriale, specificando, tuttavia, sia il termine per l’emanazione sia le norme vigenti da applicare nelle more della sua emanazione[73].
Con riferimento al comma 8, si segnala l’opportunità di specificare il termine per l’emanazione del decreto ivi previsto, nonché la disciplina transitoria applicabile.
Della soppressione dei commi 5 e 6, che consentivano l’utilizzo delle terre e rocce anche in “differenti cicli di produzione industriale” si è già detto con riferimento alle restrizioni al campo di applicazione.
Con riferimento, invece, alle disposizioni contenute nei commi 3 e 4, si segnala la scomparsa delle prescrizioni relative alle modalità per la verifica dei parametri da rispettare per l’utilizzo delle terre. In particolare, il comma 4 prevede che “il rispetto dei limiti massimi di concentrazione di inquinanti … deve essere verificato mediante attività di caratterizzazione dei materiali …, da ripetersi ogni qual volta si verifichino variazioni del processo di produzione che origina tali materiali”, mentre nel comma 3 si rinvia all’Allegato 2 al Titolo V della parte quarta del decreto n. 152 quale disciplina procedurale da seguire per la citata caratterizzazione.
Nella nuova formulazione recata dallo schema in esame, l’individuazione di tali prescrizioni viene demandata al regolamento di attuazione previsto dal nuovo comma 8.
Il testo novellato non riproduce inoltre le disposizioni contenute:
§ nel comma 7, relativo alle attività procedurali da porre in essere ai fini del parere delle ARPA.
§ nel comma 8, relativo alla possibilità del deposito del materiale per il riutilizzo successivo (da effettuarsi comunque entro sei mesi dall'avvenuto deposito);
§ nel comma 10, che esclude la possibilità di assimilare “ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava”.
Con riguardo all’eliminazione di tale ultima disposizione, si segnala che l’art. 185 (sia nel testo vigente che nel comma 1, lettera b), punto 2), della nuova formulazione recata dallo schema in esame) esclude dal campo di applicazione dei rifiuti, qualora contemplati da altra normativa, “i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave”. Si ricorda, inoltre, che nell’Elenco dei rifiuti recato dall’Allegato D alla parte quarta del decreto n. 152 si ritrova la categoria “01 rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento fisico o chimico di minerali”.
Occorre un chiarimento circa l’eliminazione della disposizione contenuta nel comma 10 del testo vigente dell’articolo 186, relativa alla non assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava.
Art. 11, d.lgs. 22/1997 |
Art. 189, d.lgs. 152/2006 |
Art. 189 nel testo novellato |
3. Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 7, comma 3, lettere c), d) e g), sono tenuti a comunicare annualmente con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a lire quindicimilioni e, limitatamente alla produzione di rifiuti non pericolosi, i piccoli imprenditori artigiani di cui all'articolo 2083 del codice civile che non hanno più di tre dipendenti. Nel caso in cui i produttori di rifiuti conferiscano i medesimi al Servizio pubblico di raccolta, la comunicazione è effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita.
|
3. Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi ed i consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto comunicano annualmente alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti, con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a euro ottomila.
4. Nel caso in cui i produttori di rifiuti pericolosi conferiscano i medesimi al servizio pubblico di raccolta competente per territorio e previa apposita convenzione, la comunicazione è effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita. |
3. Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) ed i consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto comunicano annualmente alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti, con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a euro ottomila.
4. Nel caso in cui i produttori di rifiuti conferiscano i medesimi al servizio pubblico di raccolta competente per territorio e previa apposita convenzione, la comunicazione è effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita. |
Attraverso le modifiche ai commi 3 e 4 dell’articolo 189, si prevede il ripristino dell’obbligo, per le imprese produttrici di rifiuti, di documentare nel modello unico di dichiarazione ambientale (MUD), le quantità e le caratteristiche qualitative non solo dei rifiuti pericolosi ma anche dei rifiuti non pericolosi derivanti da:
§ lavorazioni industriali o artigianali;
§ trattamenti di depurazione o potabilizzazione delle acque, di abbattimento delle emissioni in atmosfera e da operazioni di trattamento dei rifiuti.
Il nuovo testo dei commi 3 e 4, che riproduce la disciplina contenuta nell’art. 11 del d.lgs. n. 22/1997, sembra volto a ripristinare l’originario rapporto tra registri di carico e scarico e MUD. Si è in particolare osservato che il primo adempimento tornerebbe ad essere strumentale rispetto al secondo e verrebbe migliorata la qualità della rilevazione statistica dei dati, anche se a prezzo di una maggiore complessità nella redazione di ogni dichiarazione ambientale.
Nella relazione
illustrativa, il ripristino di tale obbligo viene motivato col fatto che il
pregresso esonero - per i produttori di rifiuti speciali non pericolosi – “era
in contrasto con le finalità e le funzioni del catasto dei rifiuti che è
specificamente preposto ad assicurare un quadro conoscitivo completo e
costantemente aggiornato anche ai fini della pianificazione delle attività di
gestione dei rifiuti, dei dati raccolti ai sensi della legge 25 gennaio 1994,
n.
La necessità del ripristino del MUD per tutte le tipologie dei rifiuti era stata prospettata anche nel parere reso dalla Conferenza unificata sul primo decreto legislativo correttivo - Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006) e ribadita dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome in occasione dell’audizione svolta presso l’VIII Commissione sulle problematiche derivanti dall’attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006.
Il comma 25 abroga il comma 8 dell’art. 193 del d.lgs. n. 152/2006. In tal modo, viene reintrodotto anche per i fanghi destinati all’utilizzo in agricoltura secondo la disciplina del d.lgs. n. 99/1992, l’obbligo del formulario previsto per il trasporto dei rifiuti dallo stesso art. 193.
La necessità di tale modifica normativa costituiva una delle osservazioni (la n. 42) formulate nel parere reso dalla VIII Commissione (Ambiente) il 12 gennaio 2006 sullo schema di decreto attuativo della delega ambientale. Si segnalava, in particolare, che “la prevista esclusione rischia di introdurre una norma incompatibile con il regolamento comunitario n. 259 del 1993, che riguarda il trasporto di rifiuti all'interno della Comunità europea e che si applica a tutti i rifiuti”.
Il trasporto internazionale di rifiuti - vale a dire i trasporti di rifiuti che interessano più Stati, ovvero le "spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio" - è sottoposto al regime di sorveglianza e controllo previsto e disciplinato dal regolamento (CEE) n. 259/93 e successive modifiche ed integrazioni.
Detto regolamento riguarda solo i trasporti transfrontalieri: ai trasporti di rifiuti che si esauriscono all’interno di uno Stato membro, pur essendo gli stessi qualificabili come "spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea", non si applica alcuna delle relative disposizioni.
La disciplina nazionale sul trasporto di rifiuti è contenuta, invece, nei commi 193 e 194 (spedizioni transfrontaliere) del d.lgs. n. 152/2006. L’art. 193, nello specifico, prevede alcuni adempimenti burocratico/amministrativi posti a carico dei produttori e dei gestori dei rifiuti finalizzati al controllo delle movimentazioni degli stessi tra i quali rientra l’emissione del formulario di identificazione per il loro trasporto, per la cui compilazione vengono dettate precise indicazioni. Tra esse quelle che prevedono che esso debba essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal detentore dei rifiuti, e controfirmato dal trasportatore. Una copia deve rimanere presso il detentore, e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
L’art. 193, ai commi 7 e 8 disciplina poi alcuni casi in cui il formulario non è richiesto, in quanto sostituito da altri documenti, al fine di eliminare la possibile duplicazione di documenti per il trasporto:
§ per le spedizioni transfrontaliere il formulario “è validamente sostituito” dal documento previsto dal regolamento (CEE) n. 259/1993 (modello 54/B);
§ per il trasporto di fanghi destinati all’utilizzo in agricoltura secondo la disciplina del d.lgs. n. 99/1992;
I commi 10 e 13 prevedono inoltre che il documento di cui all’art. 7 del regolamento (CE) n. 1774/2002 (sottoprodotti di origine animale) sostituisce “a tutti gli effetti” il formulario e che il formulario sostituisce “a tutti gli effetti” il modello F di cui al D.M. n. 392/1996 sugli oli usati.
L’attuale testo del comma 8 rinvia, in merito ai documenti di trasporto, alla disciplina recata dal d.lgs. n. 99/1992 sull’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura. Tale disciplina prevede in particolare, all’art. 13, che nelle varie fasi di raccolta e trasporto, stoccaggio, condizionamento ed utilizzazione, i fanghi da utilizzare in agricoltura debbano essere corredati da una scheda di accompagnamento compilata dal produttore o detentore e consegnata a chi prende in carico i fanghi, il cui originale (nonché le copie) deve essere conservato per un periodo di almeno 6 anni.
Con l’abrogazione del comma 8, l’obbligo di compilazione del formulario sarebbe previsto anche per il trasporto dei fanghi in agricoltura e tale adempimento sembrerebbe costituire un duplicato della scheda di accompagnamento richiesta dalla legislazione nazionale recata dal d.lgs. n. 99/1992.
Con riferimento al comma 25, che interviene sull’articolo 193 del codice ambientale, in materia di trasporto di fanghi in agricoltura, si valuti l’opportunità di precisare che il formulario che l’impresa è obbligata a compilare sostituisce la scheda di accompagnamento di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 99/1992, al fine di evitare duplicazioni della documentazione richiesta per il trasporto dei fanghi in agricoltura. Ciò anche in relazione al criterio previsto dalla lettera l) della norma di delega della semplificazione delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale.
Il comma
26 novella il comma 2, lett. e), dell’articolo 195 del d.lgs. n. 152 del
Preliminarmente, si ricorda che il comma 184 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) ha previsto che, nelle more della completa attuazione del decreto legislativo n. 152, continuino in materia ad applicarsi le disposizioni recate dalla disciplina previgente, contenute nell’articoli 18, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Art. 18, comma 2, d.lgs. 22/1997 |
Art. 195, comma 2, d.lgs. 152/2006
|
Art. 195, comma 2, nel testo novellato
|
2. lett. d) la determinazione dei criteri qualitativi e qualiquantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani; |
2.
lett. e) la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per
l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti
speciali ai rifiuti urbani, derivanti
da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai |
2. lett. e) la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani; |
Le modifiche apportate dallo schema di decreto in esame sono volte a ridefinire i limiti per la determinazione (che appartiene alla competenza statale) dei criteri relativi all’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.
Con la prima modifica viene eliminato il limite dimensionale –
In tal modo, viene ripristinato il contenuto dell’art. 18, comma 2, lett. d) del decreto Ronchi. Nella vigenza di tale decreto, i Comuni potevano assimilare ai rifiuti urbani i rifiuti speciali delle utenze non domestiche senza particolari limitazioni. Ciò di fatto comportava una privativa sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti, in quanto il Comune smaltiva ed introitava la tassa sulle aree su cui questi rifiuti erano prodotti. Naturalmente tale meccanismo produceva basi imponibili ampie su cui ripartire i costi del servizio di nettezza urbana e di spazzamento delle aree pubbliche.
L’attuale testo dell’art. 195, comma 2, lett. e)
potrebbe, di fatto, comportare l’esonero dal prelievo sui rifiuti di un
consistente numero di imprese, comportando l’esonero dal pagamento della
tariffa per le utenze non domestiche con superficie superiore a
Attraverso l’eliminazione del limite dimensionale, gli enti e le imprese che esercitano la loro attività utilizzando locali di qualsiasi estensione, potranno ritornare a conferire una parte dei rifiuti prodotti al servizio pubblico di raccolta, con conseguente ritorno al regime della privativa comunale e all’obbligo di pagamento della nuova tariffa[75].
Le motivazioni alla base di tale modifica sono da rinvenire, come viene evidenziato nella relazione illustrativa, nella necessità di eliminare quella parte dell’articoloche prevedeva dei criteri per la determinazione delle condizioni di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani talmente analitici e dettagliati da risultare invasivi delle competenze delle autonomie locali.
Un’ulteriore motivazione, indicata nella stessa relazione illustrativa, è legata al fatto che “l’introduzione di siffatti limiti restrittivi avrebbe potuto avere ripercussioni negative anche economiche sui Comuni, che nella maggior parte dei casi hanno predisposto regolamenti che prevedono l’assimilazioni di molte tipologie di rifiuti, per cui pare preferibile lasciare i criteri di dettaglio alla regolamentazione territoriale, ferma in capo allo Stato l’individuazione degli indirizzi generali”.
Si segnala, inoltre, che:
§
nel parere
reso dalla Conferenza unificata sul primo decreto legislativo correttivo -
Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006) era stato chiesto il
“congelamento” della disposizione di cui all’art. 195, comma 2, lett. e) che
consente di assimilare i rifiuti speciali agli urbani solo nell’ambito di
determinate superfici; tale posizione è stata ribadita dalla Conferenza delle
Regioni e delle province autonome in occasione dell’audizione sulle
problematiche derivanti dall’attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006 svoltasi il
10 ottobre 2006 presso
§ nel parere formulato dalla 13a Commissione del Senato (punto n. 4, lett. r) nella seduta del 26 luglio 2006[76] il Governo viene invitato a «rivedere, accogliendo le indicazioni degli enti locali e delle Regioni, le norme sulla assimilazione ai rifiuti urbani di cui all’art. 195, comma 2, lett. e)”.
Si segnala che posizioni analoghe sono state espresse in occasione delle audizioni sulle problematiche derivanti dall’attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006. L’ANCI, nell’audizione del 3 ottobre, ha rilevato che la scelta di porre un limite dimensionale “non tiene conto delle differenti realtà comunali e potrebbe generare una consistente perdita di gettito per i Comuni. Inoltre un’ulteriore conseguenza che si potrebbe profilare è la sottrazione di notevoli quantità di rifiuti dal regime dei controlli per essi previsto”; secondo Confservizi, Federambiente e Federutility la disposizione di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), sarebbe troppo dettagliata da determinare una massiccia riduzione del gettito tariffario. La norma esulerebbe, inoltre, dalle competenze statali che dovrebbe limitarsi alla definizione dei criteri generali, invadendo competenze gestionali locali. La definizione di specifici criteri quali-quantitativi per l’assimilazione dovrebbe infatti far capo all’autorità d’ambito o ai comuni. Per tale motivo, si propone il rinvio della definizione di dettaglio in sede di pianificazione della gestione dei rifiuti urbani in modo da rendere la sua applicazione coerente e sostenibile con gli obiettivi gestionali ed economici.
Diversa invece la posizione di Confindustria, secondo cui “Quanto indicato nell’art. 195, comma 2, lett. e), definisce finalmente alcuni criteri base per delimitare il diritto di privativa del servizio per la raccolta dei rifiuti assimilati agli urbani e quindi l’ambito di applicazione della tassa/tariffa rifiuti….Pertanto l’adozione di un criterio semplice come quello proposto dall’art. 195, comma 2, lett. e), è di grande utilità pratica…. Tale criterio appare anche fondato sul piano tecnico, perché è noto come il produttore di modeste quantità di rifiuti (es. l’artigiano o il commerciante al dettaglio) abbia difficoltà a servirsi di servizi privati che operano più efficacemente su quantità discrete di rifiuti…”.
La seconda modifica, consiste nella soppressione dell’ultimo periodo della lett. e) del comma 2 dell’art. 195, che prevedeva di norma la non assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico.
In dottrina si è segnalata l’utilità di tale criterio al fine di contenere il contenzioso tra comuni le imprese sulle superfici da assoggettare al pagamento della tariffa[77].
Il comma 27 novella il comma 1 dell’articolo 197, al fine di una più chiara individuazione delle competenze provinciali in materia di funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti. Tale modifica è legata alle previsioni introdotte con i successivi commi 32-39 che attribuiscono alle province competenze amministrative che il d.lgs. n. 152/2006 aveva assegnato alle Sezioni regionali dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti di cui all’articolo 212 (si veda il commento ai commi 32 – 39).
Art. 20, comma 1, alinea, d.lgs. 22/1997 |
Art. 197, comma 1, alinea, d.lgs. 152/2006
|
Art. 197, comma 1, alinea, nel testo novellato
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|
(omissis) |
(omissis) |
Si segnala che in
occasione dell’audizione sulle problematiche derivanti dall'attuazione del
d.lgs. n. 152 del 2006 presso
Art. 202, comma 1, d.lgs. 152/2006
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Art. 202 nel testo novellato
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Il comma
28 novella il comma 1 dell’articolo
Attraverso in particolare la sostituzione dell’espressione “gara disciplinata” con quella “procedure disciplinate”, si consente l’affidamento di tali servizi con modalità ulteriori rispetto alla gara ad evidenza pubblica. Il singolo ente locale potrà decidere se far ricorso al mercato oppure, ricorrendone le condizioni, gestire direttamente il servizio mediante una struttura in house.
Con la modifica proposta, la gestione integrata dei rifiuti tornerebbe ad essere disciplinata dalla disposizione generale contenuta nell’art. 113 del TUEL[78] e non più dalla disciplina speciale introdotta con l’art. 202.
Nella relazione illustrativa, si legge che con tale modifica si intende definire “con maggiore precisione le procedure di aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani da parte delle autorità d’ambito, che devono intendersi come riferite a tutte le procedure di cui all’articolo 113 TUEL, senza che possa farsi limitato riferimento alla gara ad evidenza pubblica”.
Si segnala che anche nel parere reso dalla Conferenza unificata sul primo decreto legislativo correttivo - Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006) era stato chiesto di “rimuovere la gara quale unico modello di affidamento del servizio e fare riferimento alle modalità di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 267/00”.
In termini generali, si ricorda che il Codice ambientale ha introdotto, tra l’altro, una serie di innovazioni in materia di gestione integrata dei rifiuti (tra cui rientra anche l’art. 202 qui novellato): la competenza ad organizzare il servizio è assegnata alle autorità d’ambito per tutti i rifiuti urbani prodotti nei relativi ATO e l’unico meccanismo per l’affidamento del servizio è rappresentato dalla gara ad evidenza pubblica.
La prescrizione di cui all’art. 202 di affidare a terzi, mediante gara, l’intero servizio rappresenta un elemento di forte discontinuità con le norme previgenti. Viene, infatti, introdotta una disciplina derogatoria rispetto a quella generale prevista dall’art. 113 del TUEL (d.lgs. n. 267 del 2000), che non impone la gara quale unica modalità di affidamento, ma consente, invece, al singolo ente locale (a sue associazioni o consorzi) di decidere se far ricorso al mercato oppure gestire direttamente mediante una struttura in house. Nel Codice ambientale si è optato, invece, per un modello molto più orientato alla concorrenza rispetto a quello previsto – in via generale – dall’art. 113 del TUEL.
Conseguentemente, il settore dei rifiuti – cui si applicava prima per l’aspetto della gestione soltanto l’art. 113 del TUEL – è ora dotato di una disciplina speciale e resta soggetto alla disciplina generale soltanto per le parti non normate dal Codice ambientale.
Occorre però ricordare che il coordinamento fra norme generali (art. 113) e norme speciali (normative di settore) appare alquanto complesso.
In proposito, ai fini della interpretazione del rapporto fra disciplina generale (di cui all’art 113) e discipline di settore, deve essere considerata da un lato la previsione del comma 1 dello stesso art. 113 secondo il quale le norme in esso contenute sono “inderogabili e integrative delle discipline di settore”, dall’altro la previsione del successivo comma 5, secondo la quale “l’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea”.
Infine, sempre al fine di chiarire l’intreccio fra norme generali e norme di settore, il comma 5-bis aggiunge che “Le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 5, criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio”.
Le disposizioni di cui all’art. 202 sembrano muoversi nella direzione indicata dal comma 5-bis dell’art. 113 (introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi), inibendo due delle possibilità previste dal comma 5 dello stesso articolo 113 (affidamento in house e creazione di società miste con scelta del socio privato attraverso procedure di evidenza pubblica) e prevedendo come ammissibile solo la gara.
Con riferimento, infine, ai criteri di svolgimento della gara, l’art. 202, comma 1, prevede che essa venga “disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché con riferimento all’ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia”.
Il comma 7 dell’art. 113 del TUEL – richiamato dal comma 1 dell’art. 202 - prevede che la gara di cui al comma 5 sia indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale.
Con riferimento all’articolo 113, comma 7, la sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale – che rappresenta il principale riferimento giurisprudenziale successivo al Titolo V in materia di riparto di competenze Stato/Regioni nella materia dei servizi pubblici locali - ha ritenuto che esso ponga in essere “una illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza l'intervento legislativo statale”, per cui ne ha dichiarato l’illegittimità limitatamente al secondo e al terzo periodo.
Alla luce di quanto detto, rimane l’interrogativo della compatibilità dell’art. 202, comma 1, con la linea assunta dalla Corte costituzionale nella sentenze n. 272/2004 e n. 29/2006[79], secondo le quali la legittimità dell’intervento statale – trattandosi di materia trasversale che incide su competenze concorrenti o residuali delle regioni – va valutata alla stregua dei requisiti di proporzionalità ed adeguatezza.
Sul punto, anche durante le audizioni svolte nel corso dell’esame parlamentare sullo schema di decreto, sono stati sollevati numerosi dubbi, da parte delle regioni e delle autonomie locali oltre che da parte della Confservizi e di Federutility.
Tali rilievi hanno riguardato l’art. 202, comma 1:
§
nella parte in cui richiama i principi ispiratori
dello svolgimento delle gare individuati dal comma 7 dell’articolo 113 del
D.lgs. n. 267 del 2000 che, secondo
§ nella parte in cui prevede che l’affidamento del servizio possa avvenire solo tramite gara; ciò violerebbe l’autonomia delle Regioni nello scegliere i mezzi più adatti per il raggiungimento degli obiettivi relativi alle materie di propria competenza “concorrente”.
Con riguardo a tale ultima osservazione, si
ricorda tuttavia che, nella citata sentenza n. 272,
Si segnalano le posizioni emerse nel corso delle
audizioni sulle problematiche derivanti dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del
2006 presso
§ i rilievi dell’ANCI sono focalizzati sul fatto che con la creazione degli ATO i Comuni perderanno la titolarità e la competenza gestionale in materia di rifiuti (e di servizio idrico integrato). Le funzioni prima attribuite al Comune saranno esercitate in via mediata tramite la partecipazione obbligatoria agli ATO. Vengono, inoltre, ipotizzati, con la creazione di tali sovrastrutture (ATO) incrementi dei costi di gestione;
§ Confservizi, Federambiente e Federutility sottolineano come l’art. 202, facendo riferimento alle sole modalità di affidamento con gara, sarebbe in esplicito contrasto con la normativa nazionale e con quella comunitaria in materia che “in numerose sentenza, ha più volte legittimato la forma di affidamento diretto avente le caratteristiche dell’in house providing”. Ulteriore conferma emerge anche dalla lettura del comma 5-bis dell’art. 113 del TUEL. Da tale previsione deriva la necessarietà, collegata al carattere di inderogabilità della norma del TUEL, “del rispetto della facoltà attribuita agli enti locali di poter scegliere tra l’intero ventaglio di opzioni offerte dal legislatore nazionale”;
§ secondo Confindustria, i criteri di affidamento della gestione dei servizi di gestione dei rifiuti urbani esclusivamente mediante procedura ad evidenza pubblica sono previsti espressamente dalle legge delega n. 308/2004, che non considera altre modalità. “Visto che le previsioni del decreto legislativo n. 308 rispondono puntualmente alla legge delega, questo aspetto non dovrebbe poter essere suscettibile di modifica con il provvedimento correttivo”. Inoltre, in merito alla gestione del servizio, “si ritiene sia preferibile un concetto di unitarietà – che presuppone integrazione tra operatori – piuttosto che quello del gestore unico, che pone enormi problemi alle imprese interessate”;
§
Secondo
Art. 25, d.lgs. 22/1997 |
Art. 206, d.lgs. 152/2006 |
Art. 206 nel testo novellato
|
1. Ai fini dell'attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dal presente decreto, il Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, può stipulare appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici o con le imprese maggiormente presenti sul mercato o con le associazioni di categoria.
Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto, in particolare: a) l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l'attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità, e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti stessi; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento; f) la sperimentazione, la promozione e l'attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l'adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l'eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l'impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.
2. Il Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'Industria del commercio e dell'artigianato, può altresì stipulare appositi accordi e contratti di programma con le imprese maggiormente presenti sul mercato nazionale e con le associazioni di categoria per: a) promuovere e favorire l'utilizzo di sistemi di eco-label e di eco-audit;
b) attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero di materia prima, anche mediante procedure semplificate per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, le quali devono comunque garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente.
3. I predetti accordi sono stipulati di concerto con il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali qualora riguardino attività collegate alla produzione agricola.
4. Il programma triennale di tutela dell'ambiente di cui alla legge 28 agosto 1989, n. 305 , individua le risorse finanziarie da destinarsi, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento, agli accordi ed ai contratti di programma di cui ai commi 1 e 2, e fissa le modalità di stipula dei medesimi |
1. Ai fini dell'attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dalle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto al fine di perseguire la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, con particolare riferimento alle piccole imprese, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, e d'intesa con le regioni, le province autonome e gli enti locali può stipulare appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria. Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto: a) l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l'attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento: f) la sperimentazione, la promozione e l'attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l'adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l'eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l'impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.
2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, può altresì stipulare appositi accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria per:
a) promuovere e favorire l'utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale di cui al regolamento (CEE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001;
b) attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero di materia prima secondaria, anche mediante procedure semplificate per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, le quali devono comunque garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente.
3. I predetti accordi sono stipulati di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali qualora riguardino attività collegate alla produzione agricola.
4. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sono individuate le risorse finanziarie da destinarsi, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento, agli accordi ed ai contratti di programma di cui ai commi 1 e 2 e sono fissate le modalità di stipula dei medesimi.
5.
Ai sensi della comunicazione 2002/412 del 17 luglio 2002 della Commissione
delle Comunità europee è inoltre possibile concludere accordi ambientali che |
1. Ai fini dell’attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dalle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto al fine di perseguire la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, con particolare riferimento alle piccole imprese, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può stipulare appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria.
Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto: a) l’attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l’attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento; f) la sperimentazione, la promozione e l’attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l’adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell’impianto di produzione; h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l’eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) l’impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l’impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.
2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può altresì stipulare appositi accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria per:
a) promuovere e favorire l’utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale di cui al regolamento (CEE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001;
b) attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero.
3. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, sono individuate le risorse finanziarie da destinarsi, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento, agli accordi ed ai contratti di programma di cui ai commi 1 e 2 e sono fissate le modalità di stipula dei medesimi.
4.
Ai sensi della comunicazione 2002/412 del 17 luglio 2002 della Commissione delle Comunità europee è
inoltre possibile concludere accordi ambientali che |
Il comma
29 modifica l’articolo
Esse riguardano in particolare:
§ l’attribuzione al Ministro dell’ambiente della piena titolarità a stipulare gli accordi di programma di cui al comma 1 (facendo venir meno il concerto del Ministro delle attività produttive e l’intesa con le regioni, le province autonome e gli enti locali) e di cui al comma 2 (facendo venir meno il concerto del Ministro delle attività produttive);
§ la previsione del concerto del Ministro dell’economia e delle finanze per l’emanazione del decreto di individuazione delle risorse finanziarie da destinare agli accordi ed ai contratti di programma (comma 3);
§ la soppressione del comma 3 che dispone che tali accordi, nel caso in cui riguardino attività collegate alla produzione agricola, debbano essere stipulati con il concerto del Ministro delle politiche agricole e forestali.
Rispetto alle norme vigenti, viene inoltre espunta la parte del comma 2, lett. b), nella quale si individua nel riutilizzo, riciclaggio e recupero di materia prima secondaria anche mediante procedure semplificate per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti (con la garanzia comunque di un elevato livello di protezione dell'ambiente) la finalità dei programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità per l’attuazione dei quali viene stipulato l’accordo.
Con
riferimento alla titolarità
del Ministro dell’ambiente della competenza a stipulare gli accordi di
programma di cui al comma 1, si segnala che
Con riferimento all’articolo 206, comma 2, si segnalano:
§ il parere reso dalla Conferenza unificata sul primo schema di decreto correttivo (ora d.lgs. n. 284/2006), nel quale si evidenziava la necessità di sospendere l’applicazione dell’articolo 206, comma 2, che prevede gli accordi per derogare alle disposizioni ordinarie[80];
§ i pareri resi dalle competenti Commissioni parlamentari nella seduta del 26 luglio 2006 (13a Commissione Senato, punto n. 4 lett. q) e VIII Commissione Camera osservazione n. 6)[81]. In particolare, il parere reso dall’VIII Commissione Camera conteneva un’osservazione con la quale si chiedeva di valutare la possibile sospensione degli effetti della disposizione; il parere reso al Senato chiedeva di rivedere l’articolo 206, comma 2, eliminando la possibilità di derogare a disposizioni ordinarie mediante accordi volontari.
La disciplina generale recata dal vigente art. 206 sugli accordi di programma (nonché dei contratti di programma e dei protocolli d’intesa) riflette il contenuto dell’art. 25 del decreto Ronchi, con alcune innovazioni, consistenti anzitutto nell’ampliamento della categoria dei soggetti (soggetti pubblici[82] e privati[83]) con i quali il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle attività produttive, può stipulare appositi accordi e contratti di programma, nonché nella previsione, al fine di favorire l’utilizzo di questo strumento consensuale di gestione dei rifiuti da parte delle amministrazioni competenti, dell’individuazione (con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle attività produttive) di risorse finanziare da destinare alla loro conclusione ed attuazione (art. 206, comma 4).
Accanto alle disposizioni generali recate dall’art. 206, si segnalano per il loro carattere di specialità gli accordi di programma disciplinati dall’art. 181, commi 4-11 (su cui interviene il comma 18 dello schema in esame), finalizzati a favorire il recupero dei rifiuti in tutte le sue forme, nonché l’utilizzo di materie prime secondarie, combustibili e prodotti ottenuti dal riciclaggio dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Tali accordi:
§ attuano le disposizioni normative previste dalla Parte IV del decreto legislativo (ossia quelle in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), nel rispetto dei principi e dei criteri previsti dalle norme comunitarie e nazionali;
§ stabiliscono semplificazioni in materia di adempimenti amministrativi, nel rispetto delle norme comunitarie e nazionali;
§ possono ricorrere a strumenti economici;
§ sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e aperti all’adesione di altri soggetti interessati.
I due commi introducono alcune modifiche alla disciplina di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali prevista all’art. 212 del Codice ambientale.
L’art. 212 del d.lgs. n. 152/2006 disciplina la stessa materia prima regolata dall’art. 30 del d.lgs. n. 22/1997: quella dell’Albo nazionale dei gestori ambientali, già Albo nazionale delle imprese che gestiscono i rifiuti.
Rispetto alla previgente disciplina, la novità
più significativa è rappresentata dal differente campo di applicazione. In
particolare, le modalità ordinarie per l’iscrizione all’Albo non trovano
applicazione per le imprese che trasportano rifiuti pericolosi in quantità che
non eccedano
Con circolare n. 464/ALBO/PRES del 27 aprile 2006[84] il Comitato Nazionale dell’Albo gestori ambientali ha approvato il modello uniforme di richiesta di iscrizione ai sensi dell’articolo 212, comma 8, del d.lgs. 152/06.
Art. 212, d.lgs. 152/2006 |
Art. 212 nel testo novellato |
6. Omissis
7. Omissis
|
6. Omissis
7. Omissis
|
8. Le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonché le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno non sono sottoposte alla prestazione delle garanzie finanziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali a seguito di semplice richiesta scritta alla sezione dell'Albo regionale territorialmente competente senza che la richiesta stessa sia soggetta a valutazione relativa alla capacità finanziaria e alla idoneità tecnica e senza che vi sia l'obbligo di nomina del responsabile tecnico. Tali imprese sono tenute alla corresponsione di un diritto annuale di iscrizione pari a 50 euro rideterminabile ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406. |
8. Le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonché le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno non sono sottoposte alla prestazione delle garanzie finanziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali secondo le modalità ordinarie, fatta salva la possibilità di prevedere procedure semplificate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Tali imprese sono tenute alla corresponsione di un diritto annuale di iscrizione pari a 50 euro rideterminabile ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406. |
La novella prevede un aggravio delle procedure di iscrizione per le imprese che trasportano rifiuti non pericolosi.
In particolare:
§ attraverso la soppressione, nel comma 5 dell’art. 212, dell’inciso “prodotti da terzi” con riferimento ai rifiuti non pericolosi si estende in termini generali anche all’attività di raccolta e trasporto di questi ultimi l’obbligo di iscrizione all’Albo;
§ attraverso la novella al comma 8, si estende alle imprese che esercitano, come attività ordinaria e regolare, la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi, nonché alle imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in piccole quantità (che non eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno) l’applicazione delle modalità ordinarie per l’iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali. Viene in ogni caso fatta salva la possibilità che con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare siano previste procedure semplificate.
Con riferimento alla nuova formulazione dei commi 5 e 8 sono stati formulati alcuni rilievi critici[85]. Si è in particolare evidenziato che le modalità di trasporto in conto proprio imporranno alle piccole e medie imprese degli adempimenti che sono invece nati e previsti per operatori professionali delle movimentazioni di rifiuti. Pertanto, il “trasporto in conto proprio, cioè il «far da sé» nello spostamento generalmente di piccoli quantitativi di rifiuti, rischia di creare un «ecomostro burocratico»”. Il rispetto delle regole economiche e amministrative ordinarie per il trasporto professionale significherà, pertanto, non solo nuovi costi per l'iscrizione all'Albo gestori ambientali, ma anche obbligo di presentare fideiussione bancaria, nomina di un responsabile tecnico e obbligo di fornire alla camera di commercio una perizia giurata per il veicolo utilizzato (anche per il tre ruote che porta le piastrelle rotte).
Oltre a tale “surplus burocratico”, si pone l’accento sui costi conseguenti a tale modifica legislativa. Per il trasporto in conto proprio, si passerebbe dai 50 euro per diritto annuale previsti, ai 154,94 -1.807,60 per l'iscrizione ordinaria, a seconda della classe di iscrizione per i trasportatori professionali. A ciò si aggiunge la tassa di concessione governativa di 168 euro e i diritti di segreteria. Le fideiussioni, polizze assicurative vanno dai 20 mila agli oltre 5 milioni di euro a seconda della categoria e della classe.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, le modifiche
introdotte ai commi 5 e 8 dell’art.
212 trovano la propria motivazione nella necessità di adeguarsi ai principi
formulati con la sentenza della Corte di Giustizia del 9 giugno 2005
che ha condannato l’Italia in quanto consentiva già nella disciplina dettata
dal decreto Ronchi “di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti
non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di essere
iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento
rifiuti” e “di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che non
eccedano i
La necessità di tale adeguamento è stata sollevata anche nella lettera b) del punto n. 4 del parere elaborato dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[86] sull’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006).
Con la sentenza della Corte di giustizia del 9 giugno
2005, causa C-270/03, l’Italia era stata condannata per aver violato,
attraverso il disposto dell’art. 30 del d.lgs. n. 22/1997, come modificato
dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426/1998, il principio espresso dall’art.
12 della direttiva n. 75/442/CEE che stabilisce che “gli stabilimenti o le
imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo
professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per
conto terzi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le
competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione”. Secondo
Si segnala che
Il comma 30 dispone, infine, anche l’abrogazione dei seguenti commi dello stesso art. 212:
§ il comma 12 relativo all’istituzione, presso l'Albo, di una Sezione speciale, alla quale sono iscritte le imprese di paesi europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi. La relazione illustrativa giustifica tale modifica facendo riferimento alle considerazioni già espresse in materia di rottami ferrosi (su cui cfr. il comma 20);
§ il comma 22 relativo all’iscrizione, da parte dei soggetti firmatari degli accordi e contratti di programma previsti dall'articolo 181 e dall'articolo 206, presso un'apposita sezione dell'Albo, con una semplice richiesta scritta e senza essere sottoposti alle garanzie finanziarie di cui ai commi 8 e 9. La ragione di tale soppressione risiede nel fatto che, analogamente al comma 8, tale disposizione sostituisce l’obbligo di iscrizione richiesto dalla normativa comunitaria con la sola richiesta di iscrizione;
§ il comma 25 riguardante l’iscrizione delle imprese che svolgono operazioni di recupero dei rifiuti ai sensi dell'articolo 216 con le modalità previste dal medesimo articolo. In base alla relazione illustrativa, la soppressione di tale disposizione è legata al fatto che essa è riferita al registro delle imprese che effettuano attività di recupero in procedura semplificata, competenza che con la modifica dell’articolo 197 disposta dal precedente comma 27 è tornata alla province.
Il comma 31, da ultimo, attraverso la sostituzione del comma 14 dell’articolo 212, è volto ad introdurre una più chiara disciplina di carattere transitorio atta ad evitare che vi sia un vuoto di regolamentazione nelle more dell’emanazione dei decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare volti a disciplinare l’Albo nazionale gestori ambientali.
Art. 212 - d.lgs. 152/2006 Albo nazionale gestori ambientali |
Art. 212 Albo nazionale gestori ambientali |
14. Fino all'emanazione dei decreti di cui al presente articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni già in vigore alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. |
14. Nelle more dell'emanazione dei decreti di cui al presente articolo, continuano temporaneamente ad applicarsi tutte le disposizioni disciplinanti l'Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti che risultino vigenti sino alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, disposizioni la cui abrogazione è differita al momento della pubblicazione dei suddetti decreti |
Si osserva, in proposito, che il Ministero dell’ambiente aveva già provveduto ad emanare tre decreti attuativi dell’art. 212:
§
il primo (riferito al comma 8 ora novellato) del
26 aprile 2006 recante “Iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali, ai
sensi dell'articolo 212, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
§
il secondo del 2 maggio 2006 sulla “Gestione
delle entrate derivante dall'Albo dei gestori di rifiuti, ai sensi
dell'articolo 212, comma 16, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
§
il terzo sempre in data 2 maggio 2006 relativo
al “Registro delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti, ai sensi
dell'articolo 212, comma 23, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
Tali decreti, tuttavia, sono stati dichiarati inefficaci dallo stesso Ministero, in quanto non sottoposti al necessario controllo della Corte dei conti, con un comunicato pubblicato nella G.U. n. 146 del 26 giugno 2006.
Con riferimento all’attuale formulazione dell’articolo 212, si richiamano le posizioni espresse nel corso di alcune delle audizioni svolte nell’attuale legislatura sulle problematiche derivanti dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006.
Confservizi, Federambiente e Federutility
(3 ottobre 2006)segnalano che “il decreto legislativo
elimina la possibilità di una iscrizione con procedura semplificata (eccezione
fatta per le imprese che svolgono attività di trasporto dei propri rifiuti non
pericolosi oppure pericolosi in quantità che non eccedano i
Confindustria. (3 ottobre 2006) ritiene che la previsione dell’obbligo generalizzato di iscrizione all’Albo sana il contrasto con l’art. 12 della direttiva 91/156/CEE evidenziato dalla Corte europea di giustizia con la sentenza 9 giugno 2005, posto che con la norma del Codice ambientale prevede che anche i produttori di rifiuti non pericolosi o pericolosi (entro le quantità indicate) potranno effettuare il trasporto solo previa iscrizione all’Albo, pur se con modalità semplificate in quanto la richiesta non è soggetta a valutazione relativa alla capacità finanziaria e all’idoneità tecnica e non vi è obbligo di nomina del responsabile tecnico;
Commi
32 - 39
Competenze provinciali relative alle procedure semplificate(si vedano anche i commi 27 e 44)
I commi 32-39, novellando gli articoli 214, 215 e 216, attribuiscono alle province le competenze amministrative in materia di programmazione e organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, affidando ad esse compiti che il d.lgs. n. 152/2006 assegnava alle Sezioni regionali dell'Albo nazionale di cui all’articolo 212.
Si rammenta che gli artt. 214-216 del d.lgs. n. 152/206 (che, in parte, riproducono il contenuto dell’art. 31 del d.lgs. n. 22/1997) regolamentano le procedure semplificate per l’autosmaltimento ed il recupero dei rifiuti non pericolosi.
Una delle principali novità introdotte con tali articoli è stata proprio il passaggio delle competenze dalla provincia alle Sezioni regionali e provinciali dell’Albo nazionale dei gestori ambientali.
Le modifiche proposte, secondo quanto affermato nella relazione illustrativa, sono conseguenti ai rilievi contenuti nel parere della Conferenza Unificata sul primo decreto correttivo - Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006), nel quale in particolare era stata sottolineata la necessità di “riportare la competenza in materia di procedure semplificate in capo alle province modificando la previsione di cui all’art. 212, comma 18, che le pone in capo all’Albo”.
Anche nel parere elaborato dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[88] (lettera s) del punto n. 4), il Governo veniva invitato a «riportare in capo alle Province la competenza in materia di procedure semplificate, di autosmaltimento e di recupero dei rifiuti e stabilire che, salvo diversa disposizione di legge regionale, gli ambiti ottimali coincidono con il territorio provinciale», nonché ad «adeguare le disposizioni sulle procedure semplificate di cui all’art. 214 alla sentenza della Corte europea di giustizia del 7 ottobre 2004» (lett. c) del punto 4).
La
sentenza della Corte di giustizia 7 ottobre 2004, causa C-103/02[89] ha
accolto alcune delle censure mosse dalla Commissione europea sul decreto del
Ministero dell’Ambiente 5 febbraio
Si segnala che anche l'UPI, nel corso
dell’audizione svolta presso l’VIII Commissione scorso 3 ottobre sulle
problematiche derivanti dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del
Si segnala, infine, che le richiamate disposizioni del codice ambientale relative al passaggio delle competenze dalla provincia alle Sezioni regionali e provinciali dell’Albo nazionale dei gestori ambientali hanno creato problemi di natura applicativa, in quanto sono pervenute al Comitato nazionale dell’Albo gestori ambientali numerose richieste di chiarimento da parte delle sezioni regionali, nonché alcune segnalazioni riguardanti differenti modalità di applicazione delle medesime disposizioni da parte delle diverse amministrazioni coinvolte[90].
Si segnala che sul punto è intervenuto il D.M. 5
aprile 2006, n. 186 (Regolamento recante modifiche al decreto ministeriale 5
febbraio
Ciò premesso, il Comitato nazionale ha ritenuto opportuno fornire alle Sezioni dell’Albo i necessari chiarimenti e le specifiche indicazioni operative attraverso l’emanazione di una serie di circolari:
§ nella circolare 26 giugno 2006, n. 750/ALBO/PRES[91] sono stati forniti chiarimenti sull’applicazione del regime semplificato a seguito dell’adozione del citato D.M. n. 186/2006;
§ nella circolare 3 luglio 2006, n. 800/ALBO/PRES[92], sono state fornite ulteriori indicazioni sull’applicazione del regime agevolato, chiarendo, soprattutto i termini temporali del passaggio di competenze dal province alle Sezioni dell’Albo;
§ nella circolare 19 luglio 2006, n. 876/ALBO/PRES[93], ulteriori chiarimenti relativi all’interpretazione della sezione regionale competente dell’Albo, individuata dall’art. 216, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, quale destinataria delle comunicazioni di inizio attività da parte dei soggetti interessati.
Occorre riportare, per completezza, anche le perplessità sollevate dagli operatori del settore a seguito della prevista modifica operata con lo schema di decreto in esame in materia di competenze amministrative, posto che «Le imprese, anche per le comunicazioni per il recupero e lo smaltimento, non sanno più a chi rivolgersi: dalle province si era passati alle camere di commercio, sezione regionale dell'Albo, adesso per tutta una serie di atti si torna alla provincia. Senza considerare che per il passaggio sono stati effettuati degli investimenti»[94].
Il comma 40 riscrive il comma 1 dell’art. 229 al fine di classificare come rifiuto speciale non solo - come previsto dal testo vigente - il combustibile da rifiuti (CDR), ma anche il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q).
Si segnala che nel comma 40 andrebbe sostituito l’erroneo riferimento per la definizione di combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q) all’articolo 183, comma 1, lett. s) con quello alla lettera r) della medesima disposizione; inoltre andrebbe inserito il rinvio all’articolo 183, comma 1, lettera q) per la definizione di combustibile da rifiuti (CDR).
In conseguenza della novella recata dal comma 40, viene soppresso il comma 2 dell’articolo 229 (che esclude il CDR-Q dall’ambito di applicazione della parte quarta del decreto n. 152) al fine del suo assoggettamento alla disciplina dei rifiuti.
A tale modifica
consegue la soppressione dell’ultimo
periodo del comma
Si ricorda,
infatti, che il vigente comma 2, nell’escludere il CDR-Q dal novero dei
rifiuti, pone la condizione che esso sia “destinato all'effettivo utilizzo in
co-combustione … in impianti di produzione di energia elettrica e in
cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
8 marzo
Attraverso l’eliminazione dell’ultimo periodo del comma 4 viene eliminato ogni riferimento al DPCM 8 marzo 2002, estraneo alla disciplina dei rifiuti, in quanto recante “Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione”.
Le modalità per l’utilizzo dei CDR e del CDR-Q saranno dunque solo quelle desunte dal comma 3, che rimane inalterato, e dalla parte rimanente del comma 4, nonché dalle altre norme in materia di rifiuti.
Si segnala che
le modalità per l’ottenimento e l’impiego di CDR sono dettagliatamente
descritte dal DM 5 febbraio 1998 recante “Individuazione dei rifiuti non
pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli
articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
Con riferimento alle
modifiche fin qui commentate si riportano le motivazioni addotte nella relazione illustrativa, secondo cui
“anche l’art. 229, comma 2, del decreto 152 del 2006, che costituisce
applicazione dell’art. 1, comma 29, lett. b) della legge delega, viola il
diritto comunitario nella parte in cui consente di escludere dal regime
giuridico dei rifiuti di cui alla Parte Quarta «il combustibile da
rifiuti di qualità elevata (Cdr-Q) », che si distingue da quello di
qualità normale per la minore presenza di umidità e di sostanze inquinanti e
per il maggior potere calorifico”. Nella medesima relazione si legge, inoltre,
che “la contrarietà del menzionato art. 1, comma 29, lett. b), della legge
delega n. 308 del 2004 alla disciplina comunitaria in materia di rifiuti, a
causa della illegittima esclusione dal regime giuridico dei rifiuti di sostanze
ed oggetti, che sono e restano rifiuti, quali il combustibile derivante dai
rifiuti, è già stata contestata dalla Commissione Europea nella lettera di
messa in mora del 5 luglio 2005 indirizzata all’Italia nell’ambito della
procedura di infrazione n. 2005/4051, cui è seguito parere motivato del 13
dicembre 2005, per aver violato gli obblighi previsti dalla Direttiva
75/442/CEE, come sostituita dalla Direttiva 2006/12/CE.
Si segnala, infine, che la necessità di “ricondurre il combustibile derivato da rifiuti, di qualità elevata, nell’ambito della gestione dei rifiuti” è stata segnalata nella lettera a) del punto n. 4 del parere elaborato dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[95] sull’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006).
Con la soppressione del comma 5, il CDR-Q non rientra più tra le fonti rinnovabili.
Si ricorda,
infatti, che il vigente comma 5 qualifica il CDR-Q come fonte rinnovabile, ai
sensi dell'art. 2, comma 1, lettera a),
del d.lgs. 29 dicembre 2003, n.
La citata lettera a) definisce quali fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili “le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Con la soppressione del comma 6, infine, il CDR e il CDR-Q non possono più ottenere l’accesso al regime di incentivazione (cd. certificati verdi) previsto dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 387/2003.
Si rammenta che l’art. 17, comma 1, del decreto n. 387 dispone, tra l’altro, che “sono ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti, di cui ai decreti previsti dagli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 92 e alle norme tecniche UNI 9903-1. Pertanto, agli impianti, ivi incluse le centrali ibride, alimentati dai suddetti rifiuti e combustibili, si applicano le disposizioni del presente decreto”.
Si segnala che tali modifiche vanno nella direzione di quelle previste dai commi 1117-1120 della finanziaria 2007, finalizzate ad escludere la concessione dei certificati verdi all'energia ricavata dalla frazione non biodegradabile dei rifiuti, invece prevista dal decreto legislativo n. 387 del 2003.
Il comma 42 proroga di 6 mesi (e quindi al 29 aprile 2007) il termine -
stabilito dal comma 17 dell’articolo 235 e scaduto nell’ottobre scorso - entro
il quale il Consorzio obbligatorio delle batterie al piombo esauste e dei
rifiuti piombosi (COBAT) - istituito dall’articolo 9-quinquies del D.L. n. 397/1988 – deve adeguare il proprio statuto
ai principi contenuti nel decreto n.
La relazione illustrativa spiega tale proroga in relazione al fatto che il COBAT era “l’unico consorzio fortuitamente rimasto fuori dalle analoghe proroghe di termini già disposte con il primo decreto correttivo”.
Si segnala che tale termine è stato già prorogato al 29 aprile 2008 (24 mesi dall’entrata in vigore della parte quarta del decreto n. 152) dall’art. 5, comma 2-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione (legge 26 febbraio 2007, n. 17).
Il citato articolo 5, comma 2-bis, ha prorogato alla medesima data del 29 aprile 2008 anche il termine per l’adeguamento dello statuto del Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) e del Consorzio per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (COOU).
Si segnala che occorre sopprimere il comma 42, posto che il termine che tale disposizione è volta a prorogare è già stato prorogato (peraltro per un periodo maggiore) dall’articolo 5, comma 2-bis, del d.l. n. 300 del 2006, convertito dalla legge n. 17 del 2007.
Il comma 43 prevede la soppressione dell’Allegato 1 al titolo V della Parte quarta del decreto n. 152.
Tale allegato, recante “Criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica” definisce gli elementi necessari per la redazione della cd. analisi di rischio, da utilizzarsi per la definizione degli obiettivi di bonifica. L’analisi di rischio si può applicare prima, durante e dopo le operazioni di bonifica o messa in sicurezza.
Si rammenta, infatti, che l’articolato normativo recato dal Titolo V della Parte quarta del decreto n. 152, fa riferimento a due criteri-soglia di intervento: il primo (CSC, concentrazioni soglia di contaminazione) da considerarsi valore di attenzione, superato il quale occorre svolgere una caratterizzazione ed il secondo (CSR, concentrazioni soglia di rischio) che identifica i livelli di contaminazione residua accettabili, calcolati mediante analisi di rischio, sui quali impostare gli interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica.
L’allegato 1 definisce pertanto i criteri minimi da applicare nella procedura di analisi di rischio da utilizzarsi per il calcolo delle CSR, cioè per definire in modo rigoroso e cautelativo per l’ambiente gli obiettivi di bonifica aderenti alla realtà del sito, che rispettino i criteri di accettabilità del rischio cancerogeno e dell’indice di rischio assunti nei punti di conformità prescelti.
Si ricorda che l’introduzione della procedura di analisi di rischio (da anni ampiamente diffusa in numerosi paesi europei e prevista da importanti direttive europee[96]), da parte del decreto n. 152, accanto al tradizionale approccio tabellare utilizzato quale unico criterio dalla normativa previgente[97], ha attuato le disposizioni contenute nell’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308/2004, che ha impegnato il Governo, nell’esercizio della delega concessa, a “prevedere che gli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati, che devono essere conseguiti con la bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell'approccio tabellare”.
Si segnala che la disposizione sopprime l’allegato 1 al Titolo V della Parte IV, relativo ai criteri per l’analisi di rischio, senza tuttavia novellare le disposizioni che, prevedendo la procedura basata sull’analisi di rischio, a tale allegato fanno riferimento (in particolare, gli articoli 240 – che definisce la nozione di “sito contaminato” e 242, che disciplina le procedure operative e amministrative).
Si osserva peraltro che un eventuale intervento normativo volto ad eliminare la procedura bastata sull’analisi di rischio porrebbe il problema del rispetto dei principi direttivi e dei criteri previsti dalla legge delega, che, all’articolo 1, comma 9, lett. a) prevede esplicitamente la valutazione dei rischi sanitari e ambientali per la definizione degli obiettivi di qualità ambientale dei suoli, dei sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati.
Si segnala che
Il comma 45 provvede a riscrivere il comma 4 dell’art. 265 al fine di assoggettare alla normativa previgente (art. 17 del decreto Ronchi e DM 471/1999) i procedimenti di bonifica e di ripristino ambientale in corso alla data del 29 aprile 2006 (entrata in vigore del decreto n. 152).
Il vigente
comma
Sulle differenze tra la normativa attuale e quella previgente si rinvia alle considerazioni esposte nel commento al comma 43.
La relazione illustrativa fonda tale novella sul fatto che “il regime di transizione previsto dal testo vigente dell’art. 265, comma 4, è di difficile applicazione, perché richiederebbe una revisione dell’intero iter di ogni progetto, con conseguenti ingiustificabili ritardi dell’azione di bonifica, soprattutto per gli interventi in avanzato stato di progettazione. L’emendamento proposto consente, nel passaggio dalla previgente alla nuova normativa, di regolamentare in maniera certa ed efficace i procedimenti in corso, in modo che essi proseguano secondo la normativa vigente al momento in cui sono stati attivati”.
In relazione a tale giustificazione, si segnala tuttavia che il termine di 180 giorni fissato dal vigente art. 265, comma 4, è già scaduto, sicché il procedimento di rimodulazione degli obiettivi di bonifica è già stato attivato.
Secondo parte della dottrina[98] il nuovo comma 4 presenta rilevanti profili di incostituzionalità. Esso, infatti, si configurerebbe non come un correttivo ma un mero ritorno al passato, irrispettoso della delega recata dalla legge n. 308/2004, e comporterebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra gli operatori, penalizzando coloro che si sono avvalsi della facoltà di cui all’art. 265, comma 4, presentando l’analisi di rischio (che rappresenta una complessa e costosa attività) al fine di rimodulazione degli obiettivi di bonifica già autorizzati.
Si ricorda, inoltre, che nella lettera u) del punto n. 4 del parere elaborato dalla 13a Commissione del Senato nella seduta del 26 luglio 2006[99] sull’Atto del Governo n. 12 (ora d.lgs. n. 284/2006). In tale parere, “in relazione alle norme sulla bonifica dei siti contaminati, vista l’assenza di un regime transitorio che consenta di chiudere le numerose bonifiche in corso sulla base delle previgenti norme e data l’assenza di un modello validato di analisi e valutazione del rischio per tali siti e la necessità di formare competenze per utilizzarlo, considerate altresì la necessità di chiarire il rapporto fra gli obblighi tabellari per la qualità delle acque di falda previsti dalla direttiva sulle acque 2000/60/CE e la previsione di bonifica con analisi di rischio delle norme citate, nonché le incertezze interpretative ed una ripartizione di competenze inadeguata” il Governo viene invitato a “procedere ad una rapida correzione o almeno a sospendere, per un periodo congruo, l'efficacia degli articoli dal 239 al 253 (che costituiscono il Titolo V della Parte quarta del decreto n. 152/2006), ripristinando, temporaneamente, la normativa precedente in materia”.
Dello stesso
tenore appaiono le considerazioni esposte dai rappresentanti della Conferenza
delle regioni e delle province autonome nel corso dell’audizione svoltasi il 10
ottobre 2006 presso
Si segnala che l’intervento recato dal comma 45, configurandosi come un integrale ritorno per i procedimenti di bonifica in corso alla normativa previgente potrebbe creare problemi di compatibilità con i principi e criteri direttivi recati dalla legge delega. Posto, inoltre, che l’articolo 264 del codice ambientale ha abrogato l’articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, occorre valutare l’effetto di reviviscenza della norma abrogata prodotto dalla disposizione in commento; in ogni caso, quest’ultima andrebbe riformulata nella parte in cui sancisce che “continua ad applicarsi”, piuttosto che “si applica” il richiamato articolo 17.
Infine, occorre un chiarimento in ordine alla disciplina applicabile ai procedimenti di rimodulazione degli obiettivi di bonifica attivati sulla base del testo vigente del comma 4.
COMMA 44
Ripristino del tributo provinciale per le funzioni di tutela ambientale(si
vedano anche i commi 27 e 32 – 39)
Il comma 44 sopprime la lettera n) del comma 1 dell’art. 264 che abrogava l’art. 19 del d.lgs. n. 1992 n. 504 istitutivo del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene ambientale.
Conseguentemente viene fatta salva, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, l’applicazione del predetto tributo di interesse provinciale.
Si rammenta che con l’art. 19 del d.lgs. n. 504/1992 è stato istituito un tributo annuale a favore delle province a fronte dell'esercizio delle funzioni amministrative di interesse provinciale, riguardanti l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, difesa e valorizzazione del suolo. Le modalità di determinazione di tale tributo sono indicate nello stesso art. 19; il suo ammontare viene riscosso unitamente alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, previa deduzione della corrispondente quota del compenso della riscossione; esso viene versato dal concessionario direttamente alla tesoreria della provincia nei termini e secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 43/1998 (comma 7).
Si segnala che l’opportunità dell’abrogazione della citata lettera n) era stata evidenziata dall’UPI nell’ambito dell’audizione svolta il 3 ottobre 2006 presso l’VIII Commissione Camera.
La norma sembra, pertanto, attraverso il ripristino del tributo provinciale indicato, avere la finalità di sostenere finanziariamente le province a seguito della restituzione - alle province stesse - delle competenze amministrative in materia di programmazione e organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, prevista nei commi 32 - 39 dello schema di decreto in esame (vedi supra).
Occorre, infatti, evidenziare che il tributo in parola, riscosso unitamente alla tassa o tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani applicata dai comuni, rappresenta un importante tributo proprio delle Province (pari a circa 180 milioni di euro annui)[100] e la cessazione della sua riscossione provocherebbe ripercussioni rilevanti nei relativi bilanci provinciali.
Si segnala l’opportunità di un coordinamento tra tale disposizione e l’art. 238 istitutivo di una nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, eventualmente attraverso una novella a tale ultima disposizione.
Il comma in esame abroga i commi 25-29 dell’art. 1 della legge n. 308/2004, recanti disposizioni in materia di rottami ferrosi (volte a ricomprendere questi ultimi nella nozione di “materie prime secondarie”), l’istituzione della sezione speciale dell’albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti e disposizioni in materia di combustibile da rifiuti (CDR).
Tali abrogazioni conseguono alle modifiche recate dallo schema in esame, poiché nei commi di cui si prevede l’abrogazione si trovano disposizioni riprodotte nel decreto n. 152 di cui l’attuale schema prevede la soppressione.
Si ricorda, infatti, che i commi 25, 26 e 29, lettera a), sono finalizzati all’individuazione delle caratteristiche e delle tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
Inoltre i commi 27 e 28 riconoscono i rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall'estero come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono (secondo le modalità specificate al comma 28) in apposita sezione dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti.
Ulteriori disposizioni abrogate, contenute nel comma 29, sono la definizione di “organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti” (che non figura più nel nuovo testo dell’art. 183 previsto dallo schema in esame), la norma recante le condizioni per l’esclusione del CDR di qualità elevata dal novero dei rifiuti, in cui invece rientra ai sensi del comma 41 dello schema in esame, nonché una disposizione in materia di responsabilità dei produttori dei rifiuti ora trasposta nel comma 4 dell’art. 188 del decreto n. 152/2006.
Nella relazione illustrativa si legge che “con il comma 46 si è disposta l’abrogazione dell’art. 1, commi 25, 26, 27, 28 e 29 della legge delega n. 308/2004, in linea con quella giurisprudenza della Corte Costituzionale che consente eccezionalmente di intervenire sulle disposizioni della legge delega, purché abbiano portata precettiva e non soltanto programmatica. L’abrogazione dei citati commi si rende necessaria poiché con essi, è stata eccessivamente ristretta, in modo contrario al diritto comunitario, la nozione giuridica di rifiuto e si è consentito di sottrarre al relativo regime giuridico sostanze ed oggetti (addirittura i residui di lavorazione delle attività siderurgiche e metallurgiche), che ai sensi della normativa comunitaria avrebbero dovuto invece esservi ricompresi, come già constatato dalla Commissione Europea (in sede di lettera di messa in mora all’Italia del 5.7.2005 e di successivo parere motivato del 13.1.2006)”.
Con riferimento
alla giurisprudenza costituzionale richiamata dalla relazione illustrativa, si
segnala in particolare la sentenza n. 32 del 1968, nella quale
Il comma in esame reca
la clausola di invarianza della spesa e specifica che “resta ferma l’attuazione
delle disposizioni di cui all’articolo 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n.
223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.
L’articolo 29 del D.L. n. 223/2006 (cd. Bersani) reca misure in materia di riorganizzazione e riduzione della spesa complessiva degli organismi collegiali.
a) emendamenti definiti “irrinunciabili” dalle Regioni e province autonome (accolti dal Ministro dell’ambiente in sede di Conferenza unificata)
Emendamento n. 1 All'art. 1, dello schema in esame, integrare il testo con un nuovo comma 8 bis, del seguente tenore: "8 bis. All'art. 101, comma 7, lett. b), del d.lgs 15212006, eliminare le parole "che per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'art. 112 comma 2 " .
|
È volto a
modificare il comma 7, lettera b), dell’articolo 101, relativo
all’assimilazione alle acque reflue domestiche di alcuni tipi di altre acque
reflue, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni.
L’attuale testo della lettera b) dispone che tale assimilazione valga, per le
acque reflue provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame,
limitatamente alle imprese che dispongono di almeno un ettaro di terreno
agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5
alla parte terza del presente decreto e che “per quanto riguarda gli
effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità
alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme
tecniche generali di cui all'articolo |
Emendamento n. 2 All'art. 1, comma 15, dello schema in esame, correttivo dell'art. 161 del d.lgs 152/2006, sostituire il testo del comma 2 dell'art. 161 del d.lgs 152/06, come segue: "2. Il Comitato è composto da cinque membri, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui due designati dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e tre scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore". |
È volto a prevedere che due dei componenti del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche siano designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. |
Emendamento n. 3 All'art. 1, integrare il testo con un nuovo comma 15 bis, del seguente tenore: "15 bis. All'art. 170, comma 3, lett. d) sostituire il testo della lettera, come segue "d) Fino all'emanazione del decreto di cui all'art. 112, comma 2, continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 6 luglio 2005 e il decreto ministeriale 7 aprile 2006.". |
Viene previsto che continuino ad applicarsi il DM 6 luglio 2005 e il DM 7 aprile 2006 fino all’emanazione del decreto di cui all’art. 112, comma 2, relativo ai criteri che fissano le attività di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché delle acque reflue provenienti da alcune tipologie di aziende. |
Emendamento n. 4 All'art. 1, comma 18, dello schema in esame, correttivo, dell'art. 181, del d.lgs. 152/2006: - eliminare il comma 3, accorpandolo al testo dell'art. 206; - al comma 4, dopo le parole "dei rifiuti utilizzati per ottenere materia prima", inserire la parola "secondaria". |
Si chiede: che il comma 3 dell’articolo 181 sia ricollocato nell’ambito dell’articolo 206, che riguarda specificamente gli accordi, i contratti di programma e gli incentivi; il mantenimento, al comma 4 del medesimo articolo, dell’espressione “materia prima secondaria”. |
Emendamento n. 5 All'art. 1, comma 18, dello schema in esame, correttivo del comma 5 dell'art. 181, del D.lgs. 152/2006: dopo la parola "recupero", aggiungere le parole "che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti, perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati come materie prime secondarie ". |
Si chiede che venga ripristinata la previsione contenuta nella formulazione vigente dell’articolo 181, comma 12, secondo la quale il recupero si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati come materia prima secondaria. |
Emendamento n. 6 All'art. 1, comma 18, dello schema in esame, correttivo dell'art. 181, del D.lgs. 152/2006, integrare il testo con un nuovo comma 5 bis: "5 bis. La disciplina in materia di gestione dei
rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti, da
individuarsi con decreto interministerìale, su proposta del Ministro
dell'ambiente, di concerto con i Ministri ……., d'intesa con
Conseguentemente, - all'art. 265 (norme transitorie) del d.lgs 152 del 2006, integrare il testo con il seguente nuovo comma: "Nelle more dell'adozione del decreto di cui all'art. 181 del decreto legislativo n. 152 del 2006, comma 5bis, inserito dall'art. 1, comma 18 del presente decreto, continua ad applicarsi la circolare del Ministero dell'ambiente 28giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN. ". |
Si chiede che venga ripristinata la formulazione vigente del comma 13 dell’articolo 181, integrata con la previsione di un decreto interministeriale per l’individuazione dei materiali, sostanze o oggetti che, senza necessità di trasformazione già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie fin dall’origine. Conseguentemente, si propone l’inserimento di un comma volto a precisare l’applicazione della circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. N. 3402/V/MIN, nelle more dell’emanazione del citato decreto interministeriale. |
Emendamento n. 7 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame - correttivo della lettera f), del comma 1, dell'art. 183, del D.lgs. 152/2006 - dopo le parole 'frazione organica umida", aggiungere le parole "raccolta separatamente". |
È volto a inserire la specificazione che la frazione organica umida sia “raccolta separatamente”. |
Emendamento n. 8 All'art. 1, comma 20,
dello schema in esame, correttivo della lettera m), numero 2, del
comma 1 dell'art. 183, del D.lgs. 152/2006: eliminare le parole
"quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunga i "secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore con annotazione preventiva nei registri di carico e scarico della modalità scelta: 2.1 con cadenza almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
oppure
2.2 quando il quantitativo di rifiuti
pericolosi in deposito raggiunga complessivamente i 2.3. Nel caso in cui l'azienda decida di optare per il deposito temporaneo con limite temporale, la stessa dovrà mantenere un registro di produzione del rifiuto, nel quale indicherà, con cadenza settimanale, i quantitativi di rifiuti stoccati in deposito temporaneo. Superato il - limite temporale, il deposito dovrà comunque essere completamente svuotato ". |
Si chiede di
ripristinare nel caso di rifiuti pericolosi la possibilità di optare per la
raccolta e l’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento con cadenza
almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito o,
alternativamente, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito
raggiunga complessivamente i |
Emendamento n. 9 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame,
correttivo della lettera m), numero 3, dell'art. 183, del D.Lgs. 152/2006: eliminare le parole "quando il quantitativo di rifiuti non
pericolosi in deposito raggiunga i "secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore con annotazione preventiva nei registri di carico e scarico della modalità scelta: 3.1 con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
oppure
3.2 quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito
raggiunga complessivamente i 3.3. Nel caso in cui l'azienda decida di optare per il deposito temporaneo con limite temporale, la stessa dovrà mantenere un registro di produzione del rifiuto, nel quale indicherà, con cadenza settimanale, i quantitativi di rifiuti stoccati in deposito temporaneo. Superato il limite temporale, il deposito dovrà comunque essere completamente svuotato". |
Si chiede, anche nel caso di rifiuti non pericolosi, di ripristinare la possibilità di optare per la raccolta e l’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendente delle quantità in deposito e di prevedere con le stesse modalità indicate nell’emendamento precedente la tenuta del registro di produzione del rifiuto. Si prevede l’annotazione della scelta del produttore secondo le varie modalità alternative, con annotazione preventiva della modalità scelta nei registri di carico e scarico. |
Emendamento n. 10 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo del comma 1, dell'art. 183, del D.lgs. 152/2006: integrare il testo aggiungendo una nuova lettera Z bis): "Z bis. Centro di raccolta: area presidiata ed allestita per il raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai cittadini per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. Tale attività, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, rientra nelle operazioni di raccolta. ". |
Si chiede l’aggiunta della definizione di centro di raccolta, inteso come “area presidiata ed allestita per il raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai cittadini per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. Tale attività, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, rientra nelle operazioni di raccolta”. |
Emendamento n. 11 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo del comma 1 dell'art. 183, del D.Lgs. 152/2006: integrare il testo, aggiungendo una nuova lettera aa-bis) del seguente tenore: "aa bis. Sottoprodotto: i prodotti dell'impresa che, pur non costituendo oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono impiegati con certezza nel processo produttivo, senza subire trasformazioni preliminari, di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi o non abbia deciso di disfarsi, nel rispetto dell'ordinamento comunitario. ". |
Si chiede il ripristino – almeno parziale - della nozione di sottoprodotto. La definizione individua i sottoprodotti come “i prodotti dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono impiegati con certezza nel processo produttivo, senza subire trasformazioni preliminari, di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi o non abbia deciso di disfarsi, nel rispetto dell’ordinamento comunitario”. |
Emendamento n. 12 All'art. 1, comma 28, dello schema in esame, correttivo del comma 2, dell'art. 205 del D. lgs. 152/2006: eliminare l'intero testo del comma 2 'la frazione organica timida, separata fisicamente dopo la raccolta e finalizzata al recupero complessivo tra materia ed energia, secondo i criteri dell' economicità, dell'efficacia, dell'efficienza e della trasparenza del sistema, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 " . |
È volto all’eliminazione del comma 2 dell’articolo 205, che prevede che la frazione organica umida separata fisicamente dopo la raccolta e finalizzata al recupero complessivo tra materia ed energia secondo tale criteri contribuisce all’obiettivo di incrementare la raccolta differenziata. |
Emendamento n. 13 All'art. 1, comma 29, dello schema in esame,
correttivo del comma 1, dell'art. 206 del D. lgs. 152/2006: dopo le parole "il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare", aggiungere le parole "e d'intesa con
|
È volto a
prevedere l’intesa con |
Emendamento n. 14 All'art. 1, comma 30, dello schema in esame, correttivo del comma 8,
dell'art. 212, del D. lgs. 152/2006: eliminare le
parole "secondo le modalità ordinarie, fatta salva la possibilità di
prevedere procedure semplificate con decreto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare" e sostituire con le parole "secondo procedure
semplificate, da definirsi con decreto del Ministero dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare d'intesa con |
Si chiede di
prevedere, nel caso di imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei
propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonché di
imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non
eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno, che
l’iscrizione all’Albo avvenga secondo procedure semplificate disciplinate con
D.M. ambiente, d’intesa con |
Emendamento n. 15 All'art. 1, comma 43, dello schema in esame, abrogativo dell'Allegato I, Titolo V, parte IV, del D. lgs. 152/2006, integrare il testo con la reintroduzione del predetto Allegato I, al fine di evitare un vuoto normativo, chiedendo contestualmente al Governo - come convenuto in sede istruttoria - l'attivazione di un Tavolo Ministero/Regioni, dedicato alle "BONIFICHE" che provveda a redigere la correzione del testo vigente. |
È volto, al fine di evitare un vuoto normativo, alla reintroduzione dell’Allegato I al Titolo V della Parte, recante i criteri per la redazione della cd. analisi di rischio, da utilizzarsi per la definizione degli obiettivi di bonifica. Contestualmente, si chiede l’attivazione di un tavolo Ministero/Regioni in materia di bonifiche, al fine di correggere il testo vigente. |
Emendamento n. 16 All'art. 1, comma 45, dello schema in esame, correttivo del comma 1 dell'art. 265, del D. lgs. 152/2006, dopo le parole “la raccolta, il trasporto,", aggiungere le parole "il recupero".
|
Si chiede di aggiungere alle norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta ed il trasporto dei rifiuti anche “il recupero”. |
Emendamento n. 17 All'allegato C della Parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006, abrogare la definizione R14 "R14. Deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti i rifiuti qualora non vengano rispettate le condizioni stabilite dalla normativa vigente". |
Si chiede l’eliminazione – nell’allegato C della Parte IV del decreto n. 152/2006 – della definizione R14 “Deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti i rifiuti qualora non vengano rispettate le condizioni stabilite dalla normativa vigente”. |
Emendamento n. 18 All'art. 1, dopo il comma 46, dello schema in esame, inserire il seguente nuovo comma 46 bis (clausola di salvaguardia per le Province autonome): " 46 bis. 'Negli articoli 61,
comma 3; 94, commi da |
Si chiede di aggiungere una clausola generale di salvaguardia per le province autonome. |
a) altri emendamenti di Regioni e province autonome.
Emendamento n. 19 All'art. 1 dello schema in esame, integrare il testo con un nuovo comma 6 bis, del seguente tenore: : "6 bis. All'art. 74, comma 2, lett. hh) del d.lgs 152 del 2006, eliminare la definizione di "immissione diretta". |
Con riferimento alle definizioni relative alla disciplina in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, sembra volto ad eliminare l’aggettivo “diretta” con riferimento alla definizione di “immissione nelle acque sotterranee”. |
Emendamento n. 20 All'art. 1, comma 15 dello schema in esame, correttivo dell'art. 161, comma 6, lett. g) del d.lgs 152 del 2006: dopo le parole "dei rifiuti di imballaggio", aggiungere le parole "anche sulla base dei dati raccolti mediante il catasto dei rifiuti di cui all'art 189,". |
È volto a far sì che la predisposizione del rapporto annuale sui rifiuti sia basato anche dei dati raccolti mediante il catasto dei rifiuti. |
Emendamento n. 21 All'art. 1, comma 15 dello schema in esame, correttivo dell'art. 161, comma 9, del d.lgs 152 del 2006: dopo le parole "dei propri compiti" eliminare le parole “per lo svolgimento di funzioni ispettive". |
Con riferimento alle strutture di cui può avvalersi l’Osservatorio rifiuti, la modifica proposta mira a specificare che tale collaborazione riguarda soltanto l’espletamento dei compiti dell’Osservatorio e non anche lo svolgimento di funzioni ispettive. |
Emendamento n. 22 All'art. 1, comma 18 dello schema in esame, correttivo dell' art. 181, comma 2, del d.lgs 152/06: sostituire le parole "diriutilizzo, riciclo e recupero" con leparole "di recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo". |
La modifica, che sembra rivestire carattere formale, è volta a sostituire, nel testo dell’articolo 181, comma 2, il riferimento alle attività “di riutilizzo, riciclo e recupero” con quello alle attività “ di recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo”. |
Emendamento n. 23 All'art. 1, comma 18 dello schema in esame, correttivo dell' art. 181, comma 3, del d.lgs 152/06: - sostituire le parole "diriutilizzo, riciclo e recupero" conle parole "di recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo". - dopo le parole "a strumenti economici.", aggiungere il seguente periodo: "Detti accordi saranno pubblicati sul bollettino ufficiale delle Regioni interessate e comunicati alle altre regioni e Province autonome" |
Si chiede di integrare il comma 18, modificativo dell’art. 181, comma 3, del decreto n. 152, con due modifiche, la prima delle quali sembra rivestire carattere formale. La seconda mira invece a prescrivere la pubblicazione degli accordi finalizzati a favorire il recupero dei rifiuti. |
Emendamento n. 24 All'art. 1, comma 20 dello schema in esame, correttivo dell'art. 183, comma 1,Iett. f) deld.lgs 152/06: sostituire leparole "diriutilizzo, riciclo erecupero" conle parole "di recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo". |
La modifica, analoga a quella prevista dall’emendamento 22, sembra rivestire carattere formale. |
Emendamento n. 25 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo dell'art. 183, comma 1, lett. m), numero 4, del d.lgs 152/06: dopo le parole "deve essere effettuato per", sostituire la parola "categorie" con la parola "tipologie". |
La modifica, volta a sostituire nell’articolo 183, comma 1, lett. m), n. 4), l’espressione “categorie omogenee di rifiuti” con quella “tipologie omogenee i rifiuti” sembra rivestire carattere formale. |
Emendamento n. 26 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo dell'art. 183, comma 1, lett. m), numero 5, del d.lgs 152/06: dopo le parole "l'imballaggio e l'etichettatura", sostituire le parole "dei rifiuti pericolosi", con le parole " delle sostanze pericolose". |
Si chiede di correggere il rinvio normativo, in modo da riferirlo più correttamente alle norme che disciplinano l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze pericolose. |
Emendamento n. 27 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo dell'art. 183, comma 1, lett. s) del d.lgs 152/06: sostituire la parola " composto" conla parola "compost"ed aggiungere, dopo le parole "dei rifiuti urbani", le parole ", nonché dei rifiuti speciali di cui al comma 2. ". (N.B. conseguentemente all'emendamento di cui al n. 27, poiché il suo accoglimento è stato collegato ad un decreto nel quale individuare i rifiuti speciali da poter utilizzare, si propone l'emendamento sotto riportato) |
Si chiede di integrare la definizione prevista dal comma 20, modificativa del comma 1, lett. s), dell’art. 183 del decreto 152, al fine di consentire la creazione di compost da rifiuti anche a partire dai rifiuti speciali di cui al comma 2. |
Emendamento n. 28 All'art. 1, comma 20, dello schema in esame, correttivo dell'art. 183, comma 1, lett. s), inserire un nuovo comma 2, del seguente tenore: “2 I
rifiuti speciali di cui al comma 1, lettera s), del presente articolo sono individuati
con decreto del Ministro dell'ambiente, di concertocon-,
d'intesa con |
Si chiede il conseguente inserimento di un comma 2 all’art. 183 del decreto n. 152 che demandi ad apposito decreto ministeriale l’individuazione dei rifiuti speciali di cui al comma 1, lettera s). |
Emendamento n. 29 All'art. 1, comma 20, correttivo dell' art. 183, lett. bb), del d.lgs 152/06: mantenere la definizione di prodotto recuperato, eliminando le due righe successive alla parola "recupero". Ne consegue che la lettera bb) è cosi formulata: "bb. Prodotto recuperato: prodotto finito derivante da un completo trattamento di recupero. . |
È volto a semplificare la definizione di prodotto recuperato. |
Emendamento n. 30 All'art. 1, comma 23, dello schema in esame, correttivo dell' art. 186 del d.lgs 152/06: alla fine dei commi 2 e 3 dell'art. 186, dopo le parole "terre e rocce da scavo", aggiungere le parole "anche in altro sito", prevedendo al comma 3, che con regolamento ministeriale si fissino la quantità minima e le condizioni, per le quali non è necessario il parere delle ARPA, che può essere sostituito da una autocertificazione del progettista. |
È volto a integrare il disposto del comma 23, modificativo dell’art. 186 del d.lgs. n. 152, prevedendo (ai commi 2 e 3) la possibilità che l’utilizzo delle terre e rocce da scavo avvenga in altro sito. Viene inoltre proposto di prevedere l’emanazione di un decreto ministeriale volto ad individuare le condizioni per la sostituzione del parere delle ARPA con un’autocertificazione del progettista. |
Emendamento n. 31 All'art. 1, comma 24, dello schema in esame, correttivo dell' art. 189, del d.lgs 152/06: dopo il comma 6 dell'art. 189, inserire un nuovo comma 6 bis, del seguente tenore: "6 bis. L'APAT, con le risorse umane e finanziarie disponibili a legislazione vigente, organizza il catasto dei rifiuti attraverso la costituzione e la gestione nell'ambito del SINA, del catasto telematico dei rifiuti, coerentemente con quanto stabilito dalla normativa in materia di pubblica amministrazione digitale." |
Si chiede l’integrazione dell’art. 189 del decreto n. 152 (come sostituito dal comma 24 dello schema in esame) attraverso l’aggiunta di un comma 6-bis finalizzato ad imporre all’APAT l’organizzazione telematica del catasto dei rifiuti. |
Emendamento n. 32 All'art. 1, comma 25, dello schema in esame, correttivo dell' art. 193 del d.lgs 152/06, integrare il testo come segue.‑ - dopo il comma 7 dell'art. 193, inserire il seguente nuovo comma 7 bis: "7 bis. Il formulario di cui al decreto legislativo. 27 gennaio 1992, n. 99, relativo ai fanghi di depurazione' utilizzati in agricoltura è sostituito dal formulario di identificazione di cui al comma 1 del presente articolo.". - al comma 11 dell'art. 193, dopo le parole "tappe intermedie previste ", integrare il testo con le parole "e i relativi quantitativi ritirati". |
Si chiede l’integrazione dell’art. 193 del decreto n. 152, attraverso l’aggiunta di un comma 7-bis finalizzato alla sostituzione del formulario di cui al d.lgs. n. 99/1992, relativo ai fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura, con il formulario di identificazione di cui al comma 1. Si chiede inoltre di integrare il comma 11, relativo alla microraccolta di rifiuti, al fine di chiarire che nel formulario devono essere indicate le quantità ritirate nel corso delle tappe intermedie. |
Emendamento n. 33 All'art. 1, comma 27, correttivo dell'art. 197, comma 1, del d.lgs 152/06: modificare il comma come segue: "l'art. 197, comma 1, è così riformulato: " a) le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale ed in particolare l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3, lettere fl e g), sentiti l'Autorità d'ambito ed i Comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani, con indicazioni plurime per ogni tipo di impianto, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, b) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica e del monìtoraggio ad essi conseguenti c) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l'accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto; la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l'applicazione delle procedure semplificate, con le modalità di cui agli articoli 214, 215, e 216.". |
Si chiede la completa riformulazione dell’art. 197, comma 1, del decreto n. 152 relativo alle competenze provinciali in materia di rifiuti e bonifiche, di cui il comma 27 dello schema in esame prevede invece una mera integrazione. |
Emendamento n. 34 All'art. 1, comma 28, dello schema in esame, correttivo dell' art. 202, comma 1, del d.lgs 152/06: - al comma 1, sostituire il termine "aggiudica" con il più ampio "affida". |
La modifica proposta sembra avere carattere formale. |
Emendamento n. 35 All'art. 1, comma 32, dello schema in esame, correttivo dell' art. 214 del d.lgs 152/06, integrare il testo con una disposizione mirata alla abrogazione del comma 3 dell'art. 214. |
Si chiede l’abrogazione del comma 3 dell’art. 214 del decreto n. 152, che consente l’attuazione delle norme e delle condizioni che determinano le attività e le caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate, attraverso il rinvio alla disciplina vigente per gli accordi di programma. |
Emendamento n. 36 All'art. 1, comma 41, dello schema in esame, correttivo dell' art. 229 del d.lgs 152/06: - al comma 4 dell'art. 229, dopo le parole "che utilizzano il CDR", inserire le parole "e/o il CDR -Q".
|
Si chiede di modificare il comma 4 dell’art. 229 del decreto n. 152 al fine di specificare che la norma si riferisce anche al CDR-Q. |
Emendamento n. 37 All'art. 1, comma 45, dello schema in esame, correttivo dell' art. 265, comma 4, del d.lgs 152/06: al comma 4 dell'art. 265, aggiungere infine il seguente periodo: "Sono fatti salvi gli interventi di rimodulazione degli obiettivi di bonifica già approvati dall'Autorità competente".
|
Si chiede di integrare il comma 45, modificativo dell’art. 265, comma 4, del decreto n. 152, al fine di far salvi gli interventi di rimodulazione degli obiettivi di bonifica già approvati dall’Autorità competente. |
Per quanto riguarda, invece, le proposte emendative di UPI, ANCI ed UNCEM il Ministro dell’ambiente nella seduta della Conferenza del 29 marzo 2007:
§ ha giudicato accoglibile l’emendamento dell’UPI, volto a modificare l’articolo 163, attraverso l’attribuzione alla provincia nel cui territorio ricadono le derivazioni, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale all’altro, della quota di tariffa relativa ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia (allegato E al parere della Conferenza);
§ ha manifestato disponibilità rispetto alle modifiche proposte dall’ANCI relative al regime della privativa nella gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati (ANCI) (allegato C);
§ ha proposto di rinviare al terzo correttivo la soluzione delle questioni relative ad A.T.O., distretti idrografici e risorse idriche;
§ ha dichiarato che sarà valutata la questione sollevata dall’UNCEM della soppressione della norma relativa alla facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane (allegato D).
[1] COM (2007)128
[2] SEC(2007) 362
[3] SEC(2007) 363
[4] COM(2007)120
[5]COM (2006) 921
[6] Il programma è stato istituito con la decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002.
[7] COM (2005) 666.
[8] COM (2005) 667.
[9] COM (2005) 670.
[10] La comunicazione sottolinea che va tenuto in considerazione, da un punto di vista ambientale, l’intero ciclo vitale delle risorse, essendo ormai riconosciuto che l’impatto ambientale di molte risorse è spesso connesso alla fase del loro utilizzo e non soltanto alla fase iniziale e finale del loro ciclo di vita.
[11] Procedura 2004/59 – causa C-85/05
[12]Sulla base di detto articolo, qualora lo Stato
membro in questione non abbia preso entro il termine fissato dalla Commissione
i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta,
[13] Procedura 2005/2315
[14] Procedura 2000/5152
[15] Ai sensi della direttiva sono considerate aree sensibili e quindi a rischio maggiore di inquinamento: laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale già eutrofizzate o esposte a prossima eutrofizzazione.
[16]Procedura 2002/4801
[17] Procedura 2004/2034
[18] Procedura 2002/2124
[19] Procedura 2005/4051
[20] Procedura d’infrazione 2002/2007, causa C-194/05.
[21]Procedura d’infrazione 2003/2077, causa
C-135/05. Vi è confluita anche la procedura d’infrazione 2002/2133 Discarica di
rifiuti definita
[22] Procedura d’infrazione 2002/2213, causa C-263/05.
[23] Tali decreti riguardavano:
- i criteri e le modalità per il campionamento e l'analisi delle terre e rocce da scavo;
- la semplificazione delle procedure amministrative relative alle rocce e terre da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale;
- l’approvazione dei modelli di registro di carico e scarico dei rifiuti;
- l'esecuzione del monitoraggio della spesa e altre iniziative informative in campo ambientale;
- la definizione dei limiti esterni dell'estuario, area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume;
- l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti;
- la riorganizzazione del catasto dei rifiuti;
- l’individuazione di tipologie di beni in polietilene;
- il registro delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti;
- le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue;
- i requisiti relativi al centro di raccolta e all'impianto di trattamento dei veicoli fuori uso;
- la gestione delle entrate derivanti dall'Albo dei gestori di rifiuti;
- modalità e termini di aggiudicazione della gestione del Servizio idrico integrato;
- l’approvazione dello schema-tipo di statuto dei consorzi per ciascun materiale di imballaggio operanti su tutto il territorio nazionale;
- l’istituzione dell'elenco dei rifiuti;
- le modalità per l’aggiudicazione da parte dell’autorità d’ambito del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani;
- l’aggiornamento degli studi europei fissati dal Comitato europeo di normazione (CEN), sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.
[24] Comunicato pubblicato nella G.U. n. 146 del 26 giugno 2006.
[25] Convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
[26] Convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.
[27] Convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17.
[28] Una prima proroga era stata disposta dall’art. 1- septies del decreto legge 12 maggio 2006, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2006, n. 228.
[29] Consorzio nazionale imballaggi, Consorzio nazionale per la raccolta e trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi e Consorzio per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati.
[30]
[34] Da ciò deriva che un’azienda che opera lo scarico diretto, ossia effettua il riversamento del 0liquame direttamente, tramite una condotta, nel corpo ricettore, sarà pertanto soggetta alle normativa in materia di acque, disciplinata dalla Parte terza del d.lgs. n. 152/2006. Laddove vi sia un’interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto tra la fonte di produzione e corpo ricettore (ad es. riversamento del liquame in una vasca e successivo trasporto dello stesso), il liquame rappresenterà un ordinario rifiuto liquido costituito da acque reflue, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni di cui alla Parte terza del d.lgs. n. 152/2006 ed il necessario rispetto delle disposizioni di cui alla Parte quarta del medesimo decreto in materia di gestione dei rifiuti.
[35] Il cui art. 1 dichiarava l’applicabilità della normativa sulle acque agli “scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature sul suolo e nel sottosuolo”.
[36] Corte di Cassazione penale, sez. unite, 13 dicembre 1995.
[37] Sentenze della Corte di Cassazione penale nn. 2774/1999 e 1774/2000.
[38] Si vedano ad es. le sentenze della Corte di Cassazione penale 6 luglio 1999, n. 44428 e 5 novembre 1999, n. 12576.
[39] L. Pietrini, L’iter della nozione di “scarico” fra normativa, giusrispruidenza e dottrina, in Ambiente & sviluppo n. 1, gennaio 2006;
A, Quaranta, Il
“riordino disarticolato” della disciplina a tutela delle acque, in Ambiente
& sviluppo n. 5, maggio
B. Albertazzi, La nozione di scarico nella disciplina della tutela della acque dall’inquinamento, Ambiente & sviluppo n. 6, giugno 2006.
M. Chilosi, Nuova nozione di scarico e diluizione: così cambia la tutela delle acque, in Ambiente & sicurezza n. 20 del 31 ottobre 2006.
[40] V. Vattani, Primo via libera al secondo decreto correttivo del T.U. ambientale: approvate dal consiglio dei Ministri le importanti modifiche proposte dalla Commissione Turroni, in Diritto all’ambiente, Testata giornalistica on line, www.diritttoambiente.com
[41] «Art. 20. (Silenzio assenso).
1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.
3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti».
[46] Più precisamente l’art. 159, comma 1, prevedeva che il Comitato assumesse la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, in cui confluisce anche l’Osservatorio nazionale sui rifiuti. L’art. 207, comma 2, disponeva quindi che l’Autorità, “oltre alle attribuzioni individuate dal presente articolo, subentra in tutte le altre competenze già assegnate dall’articolo 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 all’Osservatorio nazionale sui rifiuti, il quale continua ad operare sino all’entrata in vigore del regolamento” che, ai sensi del comma 4 dell’articolo 159 del presente decreto, dovrà disciplinare l’organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell’Autorità stessa. Per tale regolamento, ai sensi del citato comma 4, veniva prevista l’adozione con delibera del Consiglio dell’Autorità e l’emanazione con DPCM ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988.
[47] Secondo le osservazioni sollevate da Federambiente nel corso dell’audizione presso le Commissioni riunite di Camera e Senato preliminari alla formulazione del parere sullo schema di decreto, poi emanato come d.lgs. n. 152/2006, “la tutela della concorrenza appare tuttavia compito eccessivo e di competenza propria dell’Autorità per la concorrenza ed il mercato. Se si trattasse di concorrenza ex art. 113 del T.U.E.L. le modalità formali di espletamento della gara dovrebbero essere definite in ciascuna sede regionale, come deliberato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 272/2004”.
[48] Precedentemente la competenza era del Ministro dei lavori pubblici, in quanto titolare delle competenze in materia di difesa del suolo, trasferite, successivamente, al Ministero dell’ambiente ove, a seguito dell’approvazione del DPR 17 giugno 2003, n. 261, sono in capo alla specifica Direzione generale per la difesa del suolo.
[49] COM (2001) 31 definitivo - "Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta" - Sesto programma di azione per l'ambiente. Il testo integrale è consultabile all’indirizzo internet http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52001DC0031:IT:HTML.
[50] Le prime due modifiche indicate ricorrono anche nei successivi commi 2 e 3.
[51] La questione è nuovamente emersa nel corso
delle audizioni svolte dall’VIII Commissione della Camera sulle problematiche
derivanti dall’attuazione del decreto legislativo n. 152 del
[52] Cfr. punto 36 della sentenza, il cui testo è ricercabile nel sito web della Corte di giustizia, all’indirizzo internet http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it.
[55] Tra cui si segnala, in particolare, S. Maglia, Nozione di rifiuto, materie prime secondarie e sottoprodotti: ancora norme poco chiare e poco “europee”, in Ambiente e sviluppo n. 8, agosto 2006.
[56] L. Ramacci, La nuova disciplina dei rifiuti - Commento organico al quadro normativo
ed al sistema delle sanzioni dopo il "Testo Unico ambientale" (D.L.vo
3 aprile 2006, n. 152), ed.
[57] C. Parodi, Concetto di rifiuto e normativa: le indicazioni del testo unico ambientale, in Ambiente & sicurezzan. 20 del 31 ottobre 2006.
[58] Si tratta di una disposizione introdotta dal decreto n. 152 al fine di considerare quale raccolta differenziata anche la cd. raccolta multimateriale. Tale disposizione è stata da più parti criticata poiché scoraggerebbe “di fatto la raccolta differenziata” (cfr. in particolare, Confservizi, audizione presso l’VIII Commissione del 3 ottobre 2006).
[59] Dal recupero alla nozione autentica non è ancora tutto chiaro sui rifiuti, in Ambiente & sicurezza - Supplemento n. 4/2006 - Speciale Rifiuti.
[60] Sul punto, cfr. S. Turroni e M. Santoloci, Il deposito temporaneo dei rifiuti nella modifica del correttivo del Testo Unico: l’evoluzione di un principio cardine nel sistema di disciplina e le positive conseguenze sulle grandi illegalità storiche connesse, consultabile all’indirizzo web www.simoline.com/clienti/dirittoambiente/file/rifiuti_articoli_316.pdf.
[61] E. Pomini, Deposito temporaneo di rifiuti e criteri quantitativi/temporali: quali modalità seguire?, in Rivista giuridica dell’ambiente n. 5/2005.
[62] P. Pipere, Ipotesi di riforma del d.lgs. n. 152/2006: tutti i possibili
cambiamenti per i rifiuti, in Ambiente & sicurezza n. 21/2006. Per
meglio capire le ragioni di questo aumento si consideri che, a fronte di un
deposito temporaneo limitato a
[63] Documento presentato nel corso dell’audizione
sulle problematiche derivanti dall'attuazione del d.lgs. n. 152 del 2006
svoltasi il 3 ottobre 2006 presso
[64]Secondo Dragani (Gli schemi di decreto di modifica al 152-06 predisposti dal Ministero dell'Ambiente puntano a prevenire gli illeciti: cambia confine fra bene e rifiuto, disponibile sul link http://ambiente.provincia.crotone.it/index.asp?id=5781), poiché attraverso la soppressione degli attuali commi 12 e 13, articolo 181, dlgs 152/2006, spariranno anche le cosiddette «materie prime secondarie sin dall'origine», “non potranno più essere sottratti dal regime dei rifiuti le sostanze o le materie che derivano da un processo di recupero «imperfetto» (ossia, non rispondente ai criteri tecnici stabiliti ex legge)”; l’effettiva incisività delle due modifiche appena citate è messa in dubbio dalla “comparsa nel nuovo decreto della nozione di «prodotto recuperato», definito come il «prodotto finito, derivante da un completo trattamento di recupero, che non può più essere distinto da altri prodotti derivanti da materie prime primarie». Il regime cui sarà sottoposto tale nuova categoria di prodotto appare quella dei beni e non dei rifiuti”. Con riferimento alla nozione di “prodotto recuperato”, secondo Pipere, op. cit., «non è chiaro se, al termine di un processo di recupero, si avrà un semplice “prodotto” oppure un “prodotto recuperato”».
[67] G.U. n. 109 del 12 maggio 2006 – S.O. n. 120.
[68]
Al punto 7.31-bis del DM 5 febbraio 1998 recante “Individuazione dei rifiuti
non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi
degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
L’art. 5 del medesimo D.M.
dispone che l'utilizzo dei rifiuti nelle attività di recupero ambientale è
sottoposto alle procedure semplificate previste dall'art. 33, del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n.
a) i rifiuti non siano pericolosi;
b) sia previsto e disciplinato da apposito progetto approvato dall'autorità competente;
c) sia effettuato nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche previste dal presente decreto per la singola tipologia di rifiuto impiegato, nonché nel rispetto del progetto di cui alla lettera b);
d) sia compatibile con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell'area da recuperare;
d-bis) in ogni caso, il contenuto dei contaminanti sia conforme a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione della specifica destinazione d'uso del sito.
[69] Si ricorda che tale catalogo, riprodotto nella normativa nazionale nell’Allegato D alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, contempla, all’interno del codice 17 05 terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di dragaggio, i sottocodici 17 05 03 * terra e rocce, contenenti sostanze pericolose e 17 05 04 terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce 17 05 03.
[71]
Tale fattispecie è stata introdotta dal decreto n.
[72]
Anche tale specificazione è stata introdotta dal decreto n.
[73]
Si segnala che in attuazione di tale comma era stato emanato il D.M. 2 maggio
2006, del quale successivamente era stata comunicata l’inefficacia (Comunicato
26 giugno
[74] Si veda al riguardo l’articolo di P. Pipere, Ipotesi di riforma del d.lgs. n. 152/2006: tutti i possibili cambiamenti per i rifiuti, in Ambiente & sicurezza n. 21 del 14 novembre 2006.
[75] Tra l’altro, per quanto riguarda la disposizione recata dall’art. 195, comma 2, lett. e) relativa all’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, derivanti da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore a 150 mq (comuni con popolazione inferiore a 10.000 ab.) o a 250 mq (comuni con popolazione superiore a 10.000 ab.), gli effetti sarebbero decorsi dalla data in cui sarebbero stati stabiliti i nuovi criteri di assimilazione da parte dello Stato e dalla modifica del provvedimento regolamentare Comunale e comunque dall’anno successivo anche ai sensi dell’art. 52, comma 2 del d.lgs. n. 446/1997 che recita “I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1 gennaio dell'anno successivo”. Si ricorda altresì che, con il nuovo decreto, la gestione è organizzata sulla base degli Ato, delimitati dal piano regionale, nel rispetto delle linee guida del Governo e che il Comune concorre a disciplinare tale gestione con un regolamento coerente con il piano di ambito, che tra l’altro dovrebbe prevedere “l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani secondo i criteri stabiliti dallo Stato”.
[77] Pipere, Ipotesi di riforma del d. lgs. N. 152/2006: tutti i possibili cambiamenti per i rifiuti, in Ambiente e sicurezza, n. 21/2006, pag. 59.
[78]Per ulteriori approfondimenti sulla legittimità dell’esclusione dell’affidamento in house conseguente all’attuale formulazione dell’articolo 202, cfr. A. Vigneri, La gestione dei rifiuti nel nuovo codice ambientale - Governo e gestione; sempre e soltanto la gara? del 12 luglio 2006 (consultabile al seguente indirizzo internet http://www.astrid-online.it/Riforma-de2/L-OSSERVAT/Vigneri_gestionerifiuti_1207061.pdf ).
[79]
Nella sentenza n. 29 del 2006
[80]
Tale posizione è stata ribadita in occasione dell’audizione della Conferenza
delle regioni e delle province autonome
sulle problematiche derivanti dall’attuazione del d.lgs. n. 152 svoltasi il 10
ottobre 2006 presso
[81] Cfr. https://www.camera.it/_dati/leg15/lavori/bollet/200607/0726/pdf/08.pdf e
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=15&id=215675.
[82] Ad esempio Agenzie regionali di protezione ambientale o soggetti titolari del servizio pubblico locale di raccolta e gestione dei rifiuti.
[83] Ad esempio imprese, consorzi di imprese, associazioni di categoria.
[85] V. Dragani, “Gli schemi di decreto di modifica al 152/06 predisposti dal Ministero dell'Ambiente puntano a prevenire gli illeciti: cambia confine fra bene e rifiuto”, in Italia Oggi, del 30/10/2006, http://ambiente.provincia.crotone.it/index.asp?id=5781
[87] Per ulteriori approfondimenti si rinvia all’articolo di C. Parodi, Il caso - Imprese edili e il trasporto di rifiuti, in Ambiente & sicurezza n. 14 del 18 luglio 2006.
[89]Il testo della sentenza è consultabile nel seguente sito internet www.reteambiente.it/ra/normativa/rifiuti/6917_SentUeC103_02_comp.htm -
[90] Cfr., sul punto, R. Laria, Ancora chiarimenti dall’Albo gestori sul recupero agevolato di rifiuti, in Ambiente & sicurezza n. 16 del 15 agosto 2006.
[94] V. Dragani, “Gli schemi di decreto di modifica al 152-06 predisposti dal Ministero dell'Ambiente puntano a prevenire gli illeciti: cambia confine fra bene e rifiuto”, in Italia Oggi, del 30/10/2006.
[96] Dalla direttiva 2000/60/CE alla direttiva sul danno ambientale (2004/35/CE).
[97] La disciplina previgente si basava sul criterio della concentrazione limite, che consiste nel rapportare a “valori limite” prefissati relativamente al suolo e alle acque sotterranee i risultati delle indagini compiute nel sito, in modo da valutare il grado di contaminazione del medesimo.
Tale criterio è stato infatti accolto dal D.M. n. 471 del 1999 - attuativo dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 - che reca, all’Allegato 1, una tabella con l’elenco delle concentrazioni limite accettabili per il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee.
[98] Si veda, ad esempio, L. Butti, Incostituzionale la bozza di decreto correttivo sulle bonifiche, in Ambiente & sicurezza n. 22/2006 ed E. Gallo, Schema di decreto modificativo del d.lgs. n. 152/2006 – Codice ambiente: brevi riflessioni su i profili di illegittimità per la sezione relativa alla bonifica dei siti contaminati, consultabile all’indirizzo internet :
www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/_contentfiles/00015600/15602_Codice ambiete gallo.pdf.
[100] ANCI, nota dell’11 maggio 2006 sul d.lgs. n. 152/2006: http://www.anci.it/sezionihp-det.cfm?nomefile=20060512_lettera_anci-upi_su_tarsu.DOC&titolov=0&NoParam=0