XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||||
Titolo: | Modifiche in materia di attenuanti, recidiva, usura e prescrizione - Lavori preparatori della L. 5 dicembre 2005, n. 251 - Iter al Senato: esame in Commissione e Assemblea (fino alla seduta del 14 luglio 2005) (parte II) | ||||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 61 Progressivo: 1 | ||||||
Data: | 20/12/05 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia | ||||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Modifiche in materia di attenuanti, recidiva, usura e prescrizione Legge 5 dicembre 2005, n. 251 Iter al Senato: esame in Commissione e Assemblea (fino alla seduta del 14 luglio 2005) |
n. 61/1 parte II |
xiv legislatura 20 dicembre 2005 |
Camera dei deputati
La documentazione predisposta in occasione dei progetti di legge concernenti le modifiche in materia di attenuanti, recidiva, usura e prescrizione si articola nei seguenti volumi:
· dossier n. 61, contenente la scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa, le schede di lettura, il testo dei progetti di legge e la normativa di riferimento;
· dossier n. 61/1, contenente i lavori preparatori della legge 5 dicembre 2005, n. 251:
- parte I: Iter alla Camera (prima lettura)
- parte II: Iter al Senato: esame in Commissione e Assemblea (fino alla seduta del 14 luglio 2005)
- parte III: Iter al Senato: esame in Assemblea (dal 21 al 27 luglio 2005)
- parte IV: Iter alla Camera e al Senato in seconda lettura
· dossier n. 61/2, contenente le schede di lettura e i riferimenti normativi sull’A.C 2055-B
Dipartimento Giustizia
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: gi0056a2.doc
INDICE
§ A.S. 260, (sen. Fassone ed altri), Nuova disciplina della prescrizione del reato
Esame in sede referente presso la 2ª Commissione (Giustizia)
Seduta del 26 gennaio 2005 (pomeridiana)
Seduta del 26 gennaio 2005 (notturna)
Seduta del 2 febbraio 2005 (pomeridiana)
Seduta del 22 febbraio 2005 (notturna)
Seduta del 2 marzo 2005 (antimeridiana)
Seduta del 2 marzo 2005 (notturna)
§ Pareri resi alla 2a Commissione (Giustizia)
- 1a Commissione (Affari costituzionali)
- 12a Commissione (Igiene e sanità)
Seduta del 13 luglio 2005 (antimeridiana)
Seduta del 13 luglio 2005 (pomeridiana)
Seduta del 14 luglio 2005 (antimeridiana)
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 3247
DISEGNO DI LEGGE |
DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei deputati CIRIELLI *(1), AIRAGHI, ARRIGHI *, ASCIERTO, BELLOTTI *, BORNACIN, BRIGUGLIO, CARRARA, CONTE Giorgio, CONTI Giulio, CORONELLA, GERACI, GHIGLIA, LANDOLFI, LEO, LOSURDO, MAGGI, MARTINI Luigi, MENIA, MEROI, NAPOLI Angela, PAOLONE, PEZZELLA, PORCU, RAISI, SAIA, TAGLIALATELA e VILLANI MIGLIETTA (V. Stampato Camera n. 2055) |
approvato
dalla Camera dei deputati il 16 dicembre 2004 |
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Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi
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DISEGNO
DI LEGGE
Art. 1. 1. All’articolo 62 del codice penale, dopo il numero 6), è aggiunto il seguente: «6-bis) l’essere persona che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99». 1. L’articolo 62-bis del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 62-bis. - (Circostanze attenuanti generiche). – Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62. Ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto delle circostanze di cui all’articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni». 2. All’articolo 416-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «tre» e «sei» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «cinque» e «dieci»; b) al secondo comma, le parole: «quattro» e «nove» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «sette» e «dodici»; c) al quarto comma, le parole: «quattro» e «dieci» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «sette» e «quindici» e le parole: «cinque» e «quindici» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «dieci» e «ventiquattro». 3. All’articolo 418, primo comma, del codice penale, le parole: «fino a due anni» sono sostituite dalle seguenti: «da due a quattro anni». 1. Il quarto comma dell’articolo 69 del codice penale è sostituito dal seguente: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonchè dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». 1. L’articolo 99 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 99. - (Recidiva). – Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. La pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole; 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà. Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto». 1. All’articolo 81 del codice penale, dopo il terzo comma, è aggiunto il seguente: «Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave». 2. All’articolo 671 del codice di procedura penale, dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, quarto comma, del codice penale». 1. L’articolo 157 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 157. (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). – La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante. Nel caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale e di circostanze attenuanti si applicano le disposizioni dell’articolo 69. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria si applica il termine di tre anni. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato». 2. All’articolo 158, primo comma, del codice penale, le parole: «o continuato» e le parole «o la continuazione» sono soppresse. 3. L’articolo 159 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 159. - (Sospensione del corso della prescrizione). – Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: 1) autorizzazione a procedere; 2) deferimento della questione ad altro giudizio; 3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori e per il tempo dell’impedimento. Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. I termini stabiliti dall’articolo 157 non possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161, secondo comma, salvo che la sospensione del procedimento non dipenda da autorità diversa da quella nazionale». 4. All’articolo 160, terzo comma, del codice penale, le parole: «ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà» sono sostituite dalle seguenti: «ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161, secondo comma». 5. All’articolo 161 del codice penale, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Salvo che la sospensione del procedimento non dipenda da autorità diversa da quella nazionale, in nessun caso la sospensione e l’interruzione della prescrizione, anche congiuntamente computate, possono comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103, 105, e all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale». 1. Dopo l’articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n.354, è inserito il seguente: «Art. 30-quater - (Concessione dei permessi premio ai recidivi). – 1. I permessi premio posso essere concessi ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, nei seguenti casi previsti dal comma 4 dell’articolo 30-ter: a) alla lettera a) dopo l’espiazione di un terzo della pena; b) alla lettera b) dopo l’espiazione della metà della pena; c) alle lettere c) e d) dopo l’espiazione di due terzi della pena e, comunque, di non oltre quindici anni». 2. Al comma 1 dell’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n.354, è premesso il seguente: «01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall’articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purchè non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza nè sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale». 3. Il comma 1 dell’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n.354, è sostituito dai seguenti: «1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonchè la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di: a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente; b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali; d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. 1.1. Al condannato, al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera tre anni». 4. Il comma 1-bis dell’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n.354, è sostituito dal seguente: «1-bis. La detenzione domiciliare può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale». 5. Dopo l’articolo 50 della legge 26 luglio 1975, n.354, è inserito il seguente: «Art. 50-bis. - (Concessione della semilibertà ai recidivi). – 1. La semilibertà può essere concessa ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, soltanto dopo l’espiazione dei due terzi della pena ovvero, se si tratta di un condannato per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della presente legge, di almeno tre quarti di essa». 6. Il comma 1 dell’articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n.354, è sostituito dal seguente: «1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell’articolo 385 del codice penale». 7. Dopo il comma 7 dell’articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n.354, è aggiunto il seguente: «7-bis. L’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale». 1. Dopo l’articolo 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309, è inserito il seguente: «Art. 94-bis. - (Concessione dei benefìci ai recidivi). – 1. La sospensione dell’esecuzione della pena detentiva e l’affidamento in prova in casi particolari nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente, cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, possono essere concessi se la pena detentiva inflitta o ancora da scontare non supera i tre anni. La sospensione dell’esecuzione della pena detentiva e l’affidamento in prova in casi particolari nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente, cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, possono essere concessi una sola volta». 1. All’articolo 656 del codice di procedura penale, il comma 9 è sostituito dal seguente: «9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.354, e successive modificazioni; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale». 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli all’imputato, si applica ai fatti commessi anteriormente a tale data e ai procedimenti e ai processi pendenti alla medesima data.
(1) >*Il deputato ha ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge. |
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 260
DISEGNO DI LEGGE |
d’iniziativa dei senatori FASSONE, AYALA, BRUTTI Massimo, CALVI e MARITATI |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 20 giugno 2001 |
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Nuova disciplina della prescrizione del reato
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Onorevoli Senatori. – È dato ormai acquisito che la maggior parte dei reati contravvenzionali e dei delitti puniti con pena non elevata ha un’altissima probabilità di estinguersi per prescrizione.
1. Secondo le cifre fornite dal Ministero della giustizia, nel 1999 le pronunce di prescrizione assommano a 64.980 nel primo semestre e 47.990 nel secondo, per un totale di 112.970. Vi è però motivo di ritenere che il dato sia assai inferiore alla realtà, poiché spesso accade che, nei processi a carico di più imputati, o nei quali si procede per più reati, la condanna per parte di essi «copra», nella rilevazione statistica dell’esito processuale, l’estinzione di una o più voci minori.
Se ne ricava un’implicita conferma osservando che, sempre secondo i dati ministeriali, i reati complessivamente estinti nel periodo considerato superano di pochissimo i processi definiti con pronuncia di prescrizione (67.597), di modo che sarebbero pochissimi i procedimenti con addebito plurimo: il che urta contro la comune esperienza. E altra conferma viene dal constatare che i delitti estinti per prescrizione sono in totale 100.940 (tra codice penale e leggi speciali), mentre le contravvenzioni ammontano a sole 29.229, cioè meno del 30 per cento: anche questo dato è del tutto inverosimile. Vi è quindi una sicura zona d’ombra su questi reati «satellite».
Se poi si considera che i delitti di una certa gravità si sottraggono alla prescrizione perché per essi i tempi della medesima sono notevolmente più lunghi, la conclusione è nitida: la sorte largamente prevalente delle contravvenzioni in genere, e dei delitti puniti con pena meno elevata (che non è detto siano sempre i meno gravi), è quella di concludersi nel nulla di fatto.
2. Ciò comporta varie pesanti distorsioni. La prima attiene all’eguaglianza fra i cittadini. Chi possiede strumenti economici e tecnici per sfruttare sino in fondo le risorse che il processo offre, ha la quasi certezza di uscirne indenne. I pochi casi in cui i reati lievi conservano il loro peso sanzionatorio effettivo riguardano i soggetti non abbienti, o comunque costretti ad arrestarsi di fronte al costo ed al peso delle battaglie giudiziarie ad oltranza.
La seconda distorsione attiene allo squilibrio di valore fra i reati prescritti. La prescrizione matura in relazione al livello di pena edittale. Poiché il legislatore del 1930 si ispirò a criteri medi di notevole severità, e poiché invece il legislatore dei tempi recenti cerca di sfuggire da sanzioni gravose, ne discende che si sottraggono alla prescrizione i delitti considerati gravi secondo l’ideologia di 70 anni or sono, mentre vi ricadono moltissimi dei reati di recente individuazione, anche se essi concernono beni di interesse comune ritenuti molto rilevanti, tanto che da decenni essi vengono esclusi dalle ricorrenti amnistie. Esemplificando: è rarissimo che si prescriva la ricettazione di un motorino, è normale che si prescriva una contravvenzione edilizia.
La terza distorsione si produce a livello del lavoro giudiziario. La disciplina della prescrizione è congegnata in modo che ogni magistrato è indotto a spingere a valle il disvalore della pronuncia di prescrizione, accollandola, per così dire, sul magistrato che opera nel segmento successivo. In tal modo si effettua una grande quantità di lavoro che non serve a nulla, se non a giustificare il magistrato del primo segmento e, in qualche misura, anche quello del successivo, il quale si vede pervenire il fascicolo in tempi non più compatibili con la sua salvezza. Tutto ciò non soltanto non scongiura la prescrizione, ma aggrava la sorte degli altri procedimenti, cui viene sottratta un’attività che potrebbe giovare almeno ad essi.
La quarta distorsione (e forse neppure l’ultima) riguarda le scelte di politica giudiziaria. La domanda di giustizia penale è sovrabbondante rispetto alla capacità di smaltimento dell’apparato. Per decenni questo dislivello è stato colmato surrettiziamente con le ricorrenti amnistie. Quando questa formula ha superato la soglia di tollerabilità (e ciò si è reso visibile attraverso la riforma dell’articolo 79 della Costituzione) il sistema è entrato in crisi, evidenziata dal collasso delle procure circondariali e delle preture penali di ieri.
A questo punto, anziché intervenire sulla disciplina della prescrizione, o su una drastica semplificazione delle regole che rendono lunghissimi i tempi processuali, il legislatore ha preferito ispessire ancora la complessità del processo, e affidare al binomio «prescrizione+termini per le indagini preliminari» il compito di dare morte silenziosa ai reati esuberanti. In tal modo si è immunizzato un certo tipo di autore, e si è costruita una sorta di pretesa sociale alla prescrizione. Il processo finisce con il rinnegare la sua essenza, che è quella di accertare la colpevolezza o l’innocenza, e si riduce a proclamare la sua impotenza, declinata nelle formule in rito.
3. Le ragioni tradizionalmente addotte a sostegno dell’istituto della prescrizione si rivelano assai fragili a una lettura moderna dell’istituto, e ne giustificano il ripensamento. Tali ragioni si possono ricondurre a tre: la prescrizione – si dice – è necessaria perché col tempo si affievolisce l’interesse della comunità a perseguire i reati; perché dopo un certo tempo diventa difficile trovare le prove del reato; e infine perché il cittadino ha diritto di sottrarsi ad una soggezione processuale che si protragga senza limiti.
Queste ragioni sono talune inconsistenti, tutte incoerenti con la disciplina vigente.
La pretesa «indifferenza» della collettività dopo un certo tempo non giustifica affatto che questo tempo sia ridotto a quantità incompatibili con la presunzione di disinteresse: e quindi, ad esempio, che tutte le contravvenzioni si prescrivano in tre anni. Tanto più se il preteso disinteresse è contraddetto da altri fatti, come avviene quando lo stesso legislatore stabilisce che certe materie contravvenzionali sono di rilevante interesse sociale, al punto da escluderle dalle ricorrenti amnistie. Ovvero, come avviene quando lo stesso legislatore mostra di considerare gravissimi taluni reati (ad esempio la corruzione) e poi tollera che una grande quantità di essi finisca nel nulla per decorso del tempo.
Non meno specioso è il discorso delle prove. E’ incoerente affermare (perché così si è costretti a dire, esaminando la normativa in vigore) che una testimonianza relativa ad una rapina, magari su una circostanza marginale, è affidabile se resa dopo quattordici anni, mentre una prova documentale è a rischio se assunta dopo poco più di tre anni. È assurdo che un processo si estingua per prescrizione nei gradi di impugnazione, quando le prove sono già state assunte e valutate. È paradossale che si invochi un criterio del genere, legittimando la prescrizione in appello, quando è lo stesso imputato che invoca una rivalutazione delle prove per sostenere la sua innocenza. E via esemplificando.
Anche la tutela del cittadino contro la durata indeterminata del processo (che dei tre criteri tradizionali è l’unico serio, riposando sulla pretesa di un délai raisonnable sancito dall’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n.848) postula un’architettura normativa ben diversa da quella attuale. Se è giusto che l’imputato non sia indefinitamente soggetto al processo, occorre peraltro: a) stabilire che la durata eccessiva si produce solo dopo una misura temporale tale da giustificare il giudizio di eccessività, e quindi meno esigua di quella oggi prevista per i reati di minor gravità; b) convenire che la durata ragionevole deve essere definita non in quantità a priori e rigide, ma in relazione all’attività processuale (così come si esprime la giurisprudenza della Corte europea quando viene sollecitata a pronunciarsi in tema di durata eccessiva dei processi); c) escludere comunque la prescrizione quando è l’imputato stesso a voler tenere in vita il procedimento. Quest’ultimo principio è fondamentale a fronte della necessità di contemperare, ora, due istanze entrambe di rango costituzionale, quali il diritto di difesa (articolo 24) e la durata ragionevole del processo (articolo 111, novellato con legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2).
4. L’intervento legislativo deve muovere dalla spassionata riflessione sulla reale ratio della prescrizione, liberata dalle pressioni corporative che in essa vedono una comoda via d’uscita dalle difficoltà giudiziarie, e quindi una sorta di diritto acquisito.
Il preteso «disinteresse della collettività» a perseguire un determinato reato può essere ragionevolmente affermato soltanto se, entro una certa misura di tempo, la collettività (incarnata dalla giurisdizione) non si è per nulla attivata. Solo se per un certo numero di anni nessuna istituzione si è mossa, allora si può affermare che quel reato è uscito dalla sfera degli interessi collettivi. L’estinzione del reato, in questo caso, è un fenomeno che attiene alla sfera del diritto penale sostanziale, e il legislatore può stabilire che per alcuni delitti questo effetto di «abbandono» non si verifica mai: è quello che accade per i delitti puniti con l’ergastolo e per i crimini contro l’umanità.
Se invece entro quella misura temporale la giurisdizione è stata attivata e si è mossa, allora l’ottica si capovolge: l’interesse a perseguire il reato è dimostrato una volta per tutte, senza bisogno di conferme successive, e subentra l’interesse antagonista, cioè l’aspettativa del cittadino soggetto al processo a vedersi sciolto da tale soggezione entro un tempo definito. Dunque si tratta di fare in modo che l’attività giudiziaria si svolga secondo ritmi adeguatamente serrati.
In questa prospettiva si può parlare di prescrizione del reato se si verifica l’inerzia nel mettere in moto l’apparato giurisdizionale; e di prescrizione dell’azione (come taluno dice: ma sembra preferibile la locuzione prescrizione del procedimento, dato che nel nostro codice di rito l’azione si colloca in un momento avanzato della vicenda processuale) se si verifica l’inerzia o il ritardo nello sviluppo del procedimento.
In questa seconda accezione la prescrizione assume una natura più propriamente processuale, configurandosi come impedimento ad ulteriori attività processuali (non doversi procedere, appunto). Questo consente altresì di dare una sistemazione conveniente al fenomeno della rinuncia alla prescrizione, che la Corte costituzionale (sentenza n. 275 del 31 maggio 1990) ha ormai reso coessenziale all’istituto: la rinuncia effettuata dall’imputato, a questa stregua, rimuove un ostacolo alla procedibilità dell’azione, permette l’accertamento e non produce effetti, né lo potrebbe, sul piano del diritto penale sostanziale.
5. Ricondotta la prescrizione del procedimento ad una finalità di garanzia per il cittadino indagato o imputato, la disciplina deve contemperare il diritto di azione con il diritto di difesa: perciò deve stimolare la giurisdizione ad assolvere tempestivamente il suo compito, e nello stesso tempo non deve soffocarla quando lo sta assolvendo.
La normativa vigente, al contrario, è carente sotto entrambi i profili, poiché non solo non tutela la giurisdizione quando è sollecita, ma non protegge neppure il cittadino quando essa è negligente. Infatti, se la notizia di reato perviene all’autorità giudiziaria quando il termine di base è pressoché decorso, neppure la più sollecita delle attivazioni eviterà la prescrizione. Se invece la notizia è tempestiva, e il reato è di una certa gravità, può passare un lasso di tempo lunghissimo prima che sia compiuto anche un solo atto. Riprendendo l’esempio fatto in apertura: se la notizia di una grave violazione edilizia perviene dopo due anni e mezzo, non vi sarà scampo alla prescrizione; se la ricettazione di un motorino viene denunciata dopo pochi giorni dal fatto, il fascicolo può dormire per poco meno di dieci anni e il cittadino è gravato per tutto quel tempo dal carico giudiziale.
La garanzia – per il cittadino e per il processo – viene allora a collocarsi non in un’astratta e rigida quantità di tempo, ma in una sequenza di atti processuali ravvicinati quanto occorre. Definire la quantità di tempo necessaria a prescrivere il reato; individuare gli atti espressivi di un’attivazione giudiziaria; stabilire il legame temporale che li deve collegare: sono i cardini della scelta legislativa che può ricondurre a razionalità l’istituto in esame.
6. All’apparenza queste scelte sono già state in gran parte compiute dal codice penale vigente. La quantità del tempo necessario a prescrivere è espressa dal primo comma dell’articolo 157, e se mai si tratterebbe soltanto di rivedere taluni valori. Gli atti interruttivi sono già descritti dall’articolo 160, come modificato dall’articolo 239 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, e al più si può parlare di qualche integrazione. Il legame temporale fra gli atti sembra individuato a sufficienza dall’esistenza di un «tetto» invalicabile che li obbliga a connettersi. Dove si colloca l’innovazione?
La risposta, tradotta in termini per ora elementari, risiede appunto nell’eliminazione del concetto di «tetto» rigido, e nella sua sostituzione con un concetto di «concatenazione».
La normativa vigente, infatti, alberga in sé due contraddizioni interne, che con il tempo hanno prodotto gli esiti infausti di cui si è detto in premessa. La prima si coglie valutando l’architettura degli articoli 157 e seguenti del codice penale. Mentre la parte iniziale dell’articolo 160 elenca gli atti interruttivi, li interpreta come sintomi del permanere della volontà punitiva e li dichiara idonei a far ricominciare il decorso del tempo, la parte successiva dello stesso articolo devitalizza questi atti quando essi si collocano nella seconda metà del termine di base, dato che il medesimo non può espandersi oltre la metà, e quindi li rende sostanzialmente inutili.
Se si considera, ad esempio, un termine di prescrizione di cinque anni, gli atti interruttivi sviluppano tutta la loro efficacia se compiuti entro due anni e sei mesi dal giorno della consumazione del reato, in quanto spostano in avanti il termine finale per l’intero quinquennio di competenza. Ma i medesimi atti, o i successivi aventi lo stesso valore interruttivo, perdono efficacia se vengono realizzati dopo oltre due anni e sei mesi, perché la misura massima continua ad essere quella di sette anni e sei mesi, già raggiunta. Dunque l’attivazione, per quanto codificata come rilevante e utile a far ridecorrere dall’inizio il termine di prescrizione, viene progressivamente sterilizzata, sino a non produrre più alcun effetto quando l’atto si colloca nella seconda metà del termine di base. Ciò rappresenta un’innegabile incoerenza della disciplina vigente.
La seconda contraddizione è rappresentata da un effetto di penalizzazione della parte incolpevole. L’apposizione di un termine nel corso del processo mira fisiologicamente a sollecitare il compimento di un atto, ed a produrre una conseguenza negativa a carico della parte che entro quel termine doveva attivarsi e non l’ha fatto. La previsione di un termine rigido di prescrizione, invece, non produce soltanto l’effetto tipico e salutare di stimolare il titolare dell’azione penale, ma, proprio per la sua rigidità complessiva, si traduce in un premio alla controparte che abbia saputo inzeppare quella misura temporale con attività anche non necessarie, ma utili a far trascorrere il tempo.
L’esempio più noto e più vistoso è dato dalle impugnazioni pretestuose, presentate non al fine di correggere un asserito errore (funzione corretta) ma a quello di raggiungere la prescrizione (funzione degenerata). A questo si possono aggiungere le lungaggini, gli ostruzionismi processuali, le attività ridondanti, gli impedimenti di varia natura, che rappresentano oggi il maggiore ostacolo ad una «durata ragionevole del processo», e che sono incentivati dalla prospettiva di un beneficio diverso da quello a cui l’atto dovrebbe in astratto tendere.
Per questo l’eliminazione del termine rigido di prescrizione costituisce non solo una razionalizzazione di questo istituto, ma una bonifica dell’intero sistema processuale, poiché rimuove in radice lo stimolo all’inutile. Se il compimento di un certo atto non produce più benefìci in termini di prescrizione, lo si compirà, di regola, solo in quanto serva realmente a qualche cosa. Ridurre la distorsione nell’impiego degli strumenti processuali migliora la deontologia delle parti, bonifica l’impiego delle garanzie e giova alla difesa ed alla diffusione delle medesime in una stagione nella quale possono essere messe a repentaglio.
Appare quindi raccomandabile l’adozione di questo correttivo, non solo per una razionalizzazione della disciplina della prescrizione, ma anche come sicuro tramite per uno snellimento e una maggior celerità dell’intero sistema processuale.
7. Il timore che la soppressione del «tetto» esponga ad una durata indefinita del processo non è fondato. Rammentato che questa tecnica è già presente nel processo civile, dove anzi l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione ad ogni atto interruttivo non conosce alcuna mitigazione (cfr. gli articoli da 2943 a 2945 del codice civile), si può replicare per intanto che gli atti interruttivi sono tipizzati, e molti di essi si escludono vicendevolmente, sicché il totale non è un valore senza confini. Ma soprattutto si deve rispondere che l’eliminazione del «tetto» è ampiamente compensata dalla pretesa che gli atti interruttivi siano legati da una precisa sequenza temporale, sì da realizzare addirittura un risparmio, anziché una dilatazione, dei tempi di celebrazione del processo. Se si pretende, ad esempio, che il detto termine sia di uno, o sia pure di due anni, la sentenza di primo grado seguirà il decreto di citazione con un’accelerazione rispetto alla stasi ben maggiore che oggi può intercorrere fra i due atti.
Il nodo di più difficile soluzione è, se mai, quello di definire con equilibrio il legame temporale che deve connettere i vari atti interruttivi. La formula più semplice sembra quella di individuare una certa misura di tempo entro il quale deve subentrare ciascun atto successivo. Per evitare eccessive frammentazioni della normativa, che rischierebbero di aumentare la gestione e il contenzioso, si propone il termine unico di due anni. Alla prevedibile obiezione, che in tal modo si configura un valore complessivo molto alto, sembra corretto opporre che la maggior parte degli atti interruttivi considerati si escludono a vicenda, e soprattutto che gli atti rientranti nella fase delle indagini preliminari hanno già di per sé una loro cornice temporale, definita dagli articoli 405, 406 e 407 del codice di procedura penale, che rimuove il pericolo di un’estensione smisurata; mentre per il giudizio il termine di un solo anno si risolverebbe in un impaccio insuperabile nei processi di appena media complessità, e tanto più per quelli molto complessi.
Il termine di due anni, d’altro canto, viene già adottato come orizzonte accettabile sia per le indagini preliminari, sia per la custodia cautelare (ove si considerino le possibili proroghe): non deve quindi essere ritenuto troppo severo se lo si adotta anche a proposito della prescrizione.
In questo modo si ottiene di non penalizzare l’azione penale quando la giurisdizione è attiva; di non protrarre la soggezione dell’accusato quando la giurisdizione è inerte; di non inibire, ma altresì di non premiare, qualsiasi attività difensiva, una volta che ne siano sterilizzati gli effetti sulla prescrizione.
8. Accanto a queste innovazioni, l’intervento riformatore deve prendere in considerazione anche un fenomeno distorsivo divenuto frequente e da più parti lamentato.
In forza del secondo comma dell’articolo 157 del codice penale, «per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilito dalla legge per il reato.... tenuto conto.... della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti». Ciò significa che, mentre durante il processo l’aspettativa di prescrizione ha una durata temporale ragguagliata al nomen iuris per cui si procede, questa misura può ridursi sensibilmente quando, nella sentenza di condanna, vengano concesse delle attenuanti che non sono legate oggettivamente alla descrizione del fatto (come avviene tipicamente, ma non solo, per le attenuanti generiche, la cui introduzione nel codice penale non a caso è successiva all’entrata in vigore del medesimo e della sua sistematica; e tanto più gli è estraneo il meccanismo del bilanciamento tra circostanze nella forma amplissima sancita dal decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 220); ovvero quando, in un grado di giudizio successivo al primo, le attenuanti, già dichiarate equivalenti alle aggravanti, vengono ritenute prevalenti sulle stesse.
Questo fenomeno dimezza o comunque riduce imprevedibilmente il termine di prescrizione, sul quale è stata tarata la gestione del processo; e lo dimezza per effetto di valutazioni del tutto estranee alla struttura e alla gravità del reato, che invece è il parametro che ha orientato il legislatore nel definire il termine, collegando quantità di tempo e quantità di pena edittale astratta.
La maturazione della prescrizione diventa in tal modo influenzata pesantemente sia da elementi soggettivi, sia da valutazioni discrezionali del giudice, che finiscono con l’operare retroattivamente. Il «tempo ragionevole», di cui parla il citato articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, deve essere valutato, sia dal versante dell’aspettativa dell’accusato, sia dal versante dell’accusa, come tempo sul quale essa possa fare ragionevole affidamento per esercitare l’azione penale con successo, valutabile nel momento in cui vengono compiuti i singoli atti. Appare quindi necessario intervenire anche sul secondo comma dell’articolo 157 del codice penale, neutralizzando gli effetti sulla prescrizione conseguenti all’applicazione di circostanze attenuanti soggettive, che non siano obiettivamente valutabili all’atto del rinvio a giudizio.
9. Passando all’esame dei singoli articoli, l’articolo 1 interviene sul codice penale e definisce i termini entro i quali si produce la prescrizione del reato. Esso semplifica la normativa vigente, che contempla ben sei classi di reati, e riduce da 20 a 15 anni il termine per la fascia più grave, poiché a questi si aggiungono i tempi del procedimento; reciprocamente aumenta a cinque anni il termine per i delitti meno gravi e per le contravvenzioni, posto che le contravvenzioni non depenalizzate rivestono ormai – per definizione – un rilevante interesse sociale, e sembra incongruo prevedere in cinque anni il termine di prescrizione per gli illeciti amministrativi, mentre rimane inferiore quello per gli illeciti penali. Sempre nell’articolo 1 si introduce la regola della irrilevanza delle attenuanti non obiettivamente preventivabili. Il resto dell’articolo 157 del codice penale è invariato rispetto al testo vigente
Nell’articolo 2 si stabilisce quando la prescrizione del reato non si verifica, individuando l’atto tipico che impedisce l’effetto estintivo, e cioè la presentazione della notizia di reato. Sul piano del diritto penale sostanziale il meccanismo viene semplificato, perché o tale evento si produce e allora la prescrizione del reato non si compie, restando indifferente a quanto avverrà nel procedimento, o non si produce e allora il reato si estingue, senza problematiche di interruzione o di sospensione, poiché si tratta di accadimento naturale e pre-processuale.
Di riflesso le problematiche anzidette si proiettano nel codice di procedura penale.
Nell’articolo 3 viene quindi disciplinata la prescrizione del procedimento. Essa si risolve in una causa di improcedibilità, che, ove maturi, sarà dichiarata ai sensi dell’articolo 129 (ovvero 425 o 529): per conseguenza, si ritiene opportuno collocare la nuova normativa in calce al titolo III del libro V della Parte seconda del codice (condizioni di procedibilità).
Viene riprodotta la serie degli atti interruttivi già elencati dall’articolo 160 del codice penale, unicamente aggiungendo l’iscrizione nel registro delle notizie di reato della persona alla quale lo stesso è attribuito (poiché è questo il primo atto giudiziario che soggettivizza la notizia di reato, e che è bene sia sollecitamente compiuto), nonché l’atto di impugnazione, perché marca il principio che l’esercizio del corrispondente diritto non deve produrre effetti distorsivi sulla prescrizione.
Ciò posto, si stabilisce che ciascuno degli atti interruttivi deve seguire il precedente ad una distanza non superiore a due anni. Il termine non produce dilatazioni preoccupanti, per quanto detto nel paragrafo 7. La prescrizione del procedimento si verifica quando i termini ora detti non sono osservati. E per quella fase nella quale più frequentemente si producono attività che ne ritardano la conclusione (giustificate o pretestuose che siano), e cioè il dibattimento, sono riprodotte le cause di sospensione già recepite a proposito dei termini di custodia cautelare: se esse operano nella delicata materia della libertà personale, è del tutto corretto invocarle anche a questo meno grave riguardo. Le altre disposizioni particolari riproducono la normativa vigente.
L’articolo 4 si limita ad
abrogare l’articolo 160 del codice penale, per le ragioni dette sopra
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1
1. I commi primo e secondo dell’articolo 157 del codice penale sono sostituiti dai seguenti: «La prescrizione estingue il reato: a) in quindici anni se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; b) in dieci anni se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; c) in cinque anni se si tratta di altri delitti o di contravvenzioni. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti. Non si tiene conto delle circostanze attenuanti soggettive che non siano obiettivamente valutabili al momento dell’esercizio dell’azione penale».
Art. 2.
1. L’articolo 159 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 159. - (Mancata attuazione della prescrizione). – La prescrizione del reato non si verifica se, entro i termini di cui all’articolo 157, viene presentata notizia di reato all’autorità giudiziaria».
Art. 3.
1. Nel Titolo III del Libro V della Parte seconda del codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 sono inseriti i seguenti: «Art. 346-bis. - (Improcedibilità del procedimento). – 1. Il giudice dichiara non doversi procedere per prescrizione del procedimento quando, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 346-ter, intercorrono più di due anni tra ciascuno degli atti interruttivi di cui al comma 2 e i successivi. 2. Costituiscono atti interruttivi del corso della prescrizione del procedimento: l’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona alla quale il reato è attribuito; l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto; l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice; l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio; il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione; la richiesta di rinvio a giudizio; il decreto di fissazione dell’udienza preliminare; l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato; il decreto di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena; la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo; il decreto penale di condanna; il decreto che dispone il giudizio immediato; il decreto che dispone il giudizio; il decreto di citazione a giudizio; la sentenza che definisce un grado del giudizio; l’atto di impugnazione. Art. 346-ter. - (Sospensione del corso della prescrizione). – 1. Il corso della prescrizione è sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, o di questione deferita ad altro giudice, di rogatoria internazionale, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge. E’ sospeso altresì, senza formalità, quando si verifica taluno dei fatti considerati negli articoli 304 e 305. 2. La sospensione del corso della prescrizione, nei casi di autorizzazione a procedere di cui al comma 1, si verifica dal momento in cui il pubblico ministero effettua la relativa richiesta. 3. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. In caso di autorizzazione a procedere il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta. Art. 346-quater. - (Effetti della sospensione e dell’interruzione). – 1. La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro ai quali è attribuito il reato. 2. Quando per più reati si procede congiuntamente, la sospensione o l’interruzione della prescrizione operante per taluno di essi ha effetto anche per gli altri».
Art. 4
1. L’articolo 160 del codice penale è abrogato. |
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 2699
DISEGNO DI LEGGE |
d’iniziativa dei senatori FASSONE, AYALA, BRUTTI Massimo, CALVI e MARITATI |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA 22 gennaio 2004 |
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Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce
del principio di «ragionevole durata» del processo
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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge si propone di sviluppare e modificare il precedente disegno n. 260, presentato dagli stessi firmatari, a seguito delle osservazioni e delle riflessioni scaturite in occasione della discussione del medesimo nella Commissione giustizia del Senato. Di tale disegno, pertanto, riprende le premesse e l’impianto, e ad esso intende apportare talune correzioni suggerite dal dibattito.
1. Rimangono valide le considerazioni che indussero, e oggi ancor più inducono, ad un intervento nella materia. Sempre maggiore è il numero dei processi che vengono dichiarati estinti per prescrizione. Innumerevoli sono i processi nei quali il contenzioso è privo di reale sostanza, e si sviluppa unicamente per l’interesse dell’imputato a conseguire la causa estintiva. Si accentua la disparità di condizioni tra gli imputati che possono permettersi una difesa spregiudicata e costosa, alla fine «premiata» con la pronuncia del non doversi procedere, e quelli che non possiedono le possibilità economiche e tecniche per sfruttare sino in fondo le risorse che il processo offre per giungere a tale esito. Pesante è la distorsione che patisce il lavoro giudiziario, ogni magistrato essendo principalmente impegnato a fare sì che la prescrizione non si verifichi nel segmento processuale affidato alla sua responsabilità, e assai meno attento ad una visuale complessiva del procedimento e ad un giudizio di economia del proprio operato.
Alle ragioni ampiamente esposte nel disegno di legge n. 260, e qui riprodotte solo in sintesi, si è aggiunta una notevole elaborazione ed una crescente sensibilità al recente disposto del «novellato» articolo 111 della Costituzione, il cui secondo comma stabilisce, come è noto, che «la legge assicura la ragionevole durata del processo». Questa proposizione, a differenza delle altre, non è concepita in termini di riconoscimento di diritti in capo alla persona accusata (come invece si esprime l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n.848, secondo la quale «toute personne a droit que sa cause soit entendue ... dans un délai raisonnable»), ma quale prospettazione di un impegno e di un vincolo per il legislatore, che deve costantemente bilanciare la struttura dei vari istituti con l’esigenza che essi non costituiscano un appesantimento eccessivo del processo.
Secondo un’autorevole dottrina, il disposto costituzionale ha inciso profondamente sulla dommatica delle garanzie nel processo, nel senso che la ragionevole durata deve rappresentare un valore anch’esso di rango costituzionale, e perciò deve prudentemente bilanciarsi con l’altro valore costituzionale rappresentato dal patrimonio essenziale delle garanzie che presidiano il processo penale (imparzialità del giudice, contraddittorio, diritto di difesa): non nel senso di giustificare il suo sacrificio perchè il tempo speso per assicurare quel nucleo essenziale non può mai dirsi irragionevole, ma nel senso di legittimare un argine all’illimitata moltiplicazione delle garanzie in cui esso può astrattamente esprimersi. Per cui, ognuna di tali garanzie va ponderata attentamente, per valutare se rientri nel nucleo essenziale insopprimibile, ovvero se il surplus rispetto a quel nucleo possa riverberarsi sui tempi processuali, così da renderli «non ragionevoli».
A questa stregua, la prescrizione non può dirsi ricompressa nel nucleo essenziale delle garanzie, trattandosi di un istituto introdotto per finalità di pace sociale e di certezza delle posizioni processuali. Per giunta, la concreta disciplina vigente ha fatto sì che essa non sia più un evento ineliminabile ma raro, bensì un traguardo normalmente raggiungibile almeno per i reati di media gravità. In conseguenza essa ha introdotto nel processo una permanente e deliberata tensione verso la sua decelerazione, una corsa a rovescio contro il tempo, non per concludere un certo percorso entro la misura assegnata, ma per fare trascorrere la misura senza che la conclusione si realizzi. Essa è quindi uno dei principali ostacoli all’attuazione del precetto sulla «ragionevole durata» del processo medesimo.
2. La necessità di un mutamento di prospettiva è resa più evidente dalla debolezza delle ragioni usualmente esposte per giustificare l’istituto della prescrizione. La più tradizionale risiede nella pretesa «indifferenza» della collettività a reprimere fatti risalenti nel tempo: decorsa una certa misura temporale, progressivamente maggiore quanto maggiore è la gravità del reato, non vi sarebbe più un interesse a perseguire fatti che la memoria comune ha già dimenticato. L’obiezione è agevole: questo disinteresse, per intanto, non può addursi se non dopo una quantità di tempo così apprezzabile da giustificare l’oblio; e pertanto esso non è invocabile quando i tempi sono quelli brevissimi previsti dai numeri 5 e 6 del primo comma dell’articolo 157 del codice penale a proposito delle contravvenzioni (due o tre anni): ne è prova il rilievo che molte di queste contravvenzioni sono espressamente eccettuate dai vari provvedimenti di amnistia, come segno di un rilevante interesse alla loro punizione. Ne consegue che è illogico prevedere per esse un termine di prescrizione che è oggettivamente insufficiente per potersi parlare di oblio collettivo, e processualmente insostenibile. Il preteso disinteresse della collettività, poi, è smentito all’evidenza nelle numerose vicende giudiziarie nelle quali si assiste ad un’autentica corsa contro la prescrizione, a sforzi e strategie volte ad evitare quella conclusione che l’improvvida disciplina processuale rende inevitabile, sebbene l’apparato abbia fatto il possibile per evitarla.
Non meno fragile è l’altra proposizione, anch’essa tradizionalmente posta a sostegno della prescrizione, secondo la quale dopo un certo tempo l’accusato è in difficoltà nel reperire le prove a sua difesa, le prove stesse sbiadiscono e diventano poco affidabili, e quindi è preferibile rinunciare ad un processo che avrebbe in sè un tasso troppo alto di incertezza. Anche a questo riguardo non è difficile replicare che la tesi avrebbe un senso solo quando l’imputato ricevesse notizia dell’accusa dopo molto tempo, non quando è stato posto nella condizione di contraddire a poca distanza dal fatto; che l’argomento, a tutto concedere, può valere sino al momento in cui le prove sono di fatto assunte, e non dopo (talchè la prescrizione non dovrebbe più maturare nei gradi di impugnazione); e infine che, se questo è il motivo, diventa illogica la diversificazione dei termini a seconda dei reati, giacchè l’affidabilità di un certo tipo di prova (ad esempio una testimonianza) non può essere ammessa se viene assunta in un processo per rapina a dieci o più anni di distanza dal fatto, e negata se resa in un processo per contravvenzione, a soli due o tre anni dal fatto.
Resta, quindi, quale unico valore meritevole di tutela, la giuridica aspettativa dell’accusato a non restare sotto la soggezione del processo per un tempo troppo lungo (articolo 6 della citata Convenzione europea). Ma questa ragione modifica notevolmente l’angolo visuale sotto il quale si deve riguardare l’istituto. Di un’aspettativa legittima di prescrizione può parlarsi solo quando altri (e cioè un soggetto diverso dall’accusato) tiene in vita il processo al di là di quella «ragionevole durata» che individua il confine della soggezione. Non quando è l’accusato stesso che determina il protrarsi del processo con un proprio atto, di suo esclusivo interesse. In questa ipotesi l’aspettativa di prescrizione si colora diversamente, essendo indiscutibile il diritto dell’imputato ad esercitare la facoltà che la legge gli attribuisce, ma essendo illogico che dal compimento egli tragga un vantaggio diverso ed ulteriore (la prescrizione) rispetto a quello coessenziale alla facoltà esercitata (ad esempio, la richiesta di un rinvio o l’esperimento di un’impugnazione).
3. Rimeditati questi concetti, già svolti nel ricordato disegno di legge n. 260, trova conferma la principale delle innovazioni in allora proposte, e cioè la distinzione tra la nozione di «prescrizione del reato» e quella di «prescrizione dell’azione» o, più correttamente, «del procedimento» (posto che, come è noto, l’azione penale nel nostro modello processuale insorge alla conclusione delle indagini preliminari, mentre la prescrizione del procedimento può operare anche prima dell’esercizio dell’azione). La prescrizione del reato continua ad essere intesa come istituto di diritto sostanziale, cioè come estinzione dell’ipotesi di reato, che, secondo la ratio primitiva, si verifica automaticamente per effetto del decorso di una certa quantità di tempo dal fatto senza che il processo sia stato attivato. La prescrizione del procedimento, invece, si fa più propriamente espressione della sensibilità moderna, e cioè come istituto di natura processuale (cioè come non luogo a procedere) che si produce quando il processo si svolge con cadenze troppo distanziate e lente.
In tal modo la prescrizione del reato recupera quel che vi è di valido nella giustificazione tradizionale dell’istituto, e cioè l’affievolirsi dell’interesse della comunità a perseguire reati commessi in data remota. Ridiventa plausibile dire che il venir meno dell’interesse a perseguire tanto prima si manifesta quanto meno grave è il reato; e l’affievolirsi dell’interesse discende esclusivamente dall’inerzia nel far giungere la notizia del reato all’autorità giudiziaria, non dalle ostruzioni che la stessa trova sul suo cammino di accertamento. Donde l’esigenza logica che questo «tempo dell’oblio» si sviluppi esclusivamente tra il fatto-reato e l’inizio del procedimento; e, per converso, che a questo istituto di diritto sostanziale rimangano estranei fenomeni di natura processuale, quali gli atti interruttivi che modulano lo svolgersi della vicenda.
La prescrizione del procedimento, invece, si muove nel solco dell’esigenza di una «durata ragionevole» del processo. Essa tutela, da un lato, l’aspettativa dell’imputato a che il processo si concluda entro una certa misura di tempo; e, dall’altro lato, l’aspettativa dell’istituzione procedente a poterlo concludere senza essere penalizzata da altro che non sia la propria scarsa sollecitudine.
È prevedibile l’obiezione che in tal modo si voglia introdurre surrettiziamente un raddoppio dei tempi, e che non è corretto rimediare agli esiti di prescrizione dilatando i termini anziché rendendo più spedito l’apparato. Ma l’obiezione non è fondata: la combinazione dei due istituti (prescrizione del reato e prescrizione del procedimento) non può essere vista come la somma aritmetica di due quantità di tempo, perchè la notizia di reato perviene di regola all’autorità giudiziaria a poca distanza dalla commissione del reato stesso, ed a questo punto è già interamente ed irrevocabilmente consumato tutto il primo segmento temporale: per cui i cinque, dieci, quindici o più anni previsti oggi dal codice penale si tradurranno normalmente in pochi giorni o in poche settimane, e il termine-base servirà unicamente ai rari casi di emersione tardiva della notizia.
Quindi l’architettura complessiva si risolve in linea di massima in un accorciamento dei tempi (quanti fascicoli rimangono intonsi negli armadi per anni, oggi che il termine-base di prescrizione è molto ampio!), e l’utilizzo molto ridotto del primo termine legittima una rimodulazione del secondo.
4. Non solo: muovendoci ancora per un momento sul piano del diritto penale sostanziale, appare quanto mai opportuno introdurre una semplificazione nell’individuazione della pena massima sulla quale tarare la fascia prescrizionale. Oggi il secondo comma dell’articolo 157 del codice penale attribuisce rilevanza sia alle circostanze aggravanti, sia alle attenuanti, con esiti macchinosi e contorti: la prospettazione di un certo termine di prescrizione, infatti, può discendere inizialmente da una più o meno fondata contestazione di aggravanti, mentre, al contrario, la concessione di attenuanti non oggettivamente prevedibili può fare slittare il reato in una fascia più breve, quando gli esiti di prescrizione non sono più riparabili. Eliminando invece la rilevanza di ogni circostanza, sia aggravante sia attenuante, si rimuovono gli inconvenienti predetti, e si aggiunge un argomento a sostegno della tesi che la disciplina qui proposta, impedendo artificiose dilatazioni del termine-base attraverso il gioco delle aggravanti, finisce con il ridurre, anzichè ampliare, i termini reali della prescrizione nel suo complesso.
5. Passando alla descrizione analitica della disciplina della prescrizione del reato, sembra bene prospettare, quanto ai delitti, una gamma di termini molto simile a quella oggi disegnata dall’articolo 157 del codice penale. La ricordata sterilizzazione delle aggravanti e il rilievo che questo segmento è utilizzato, per lo più, solo in minima parte fanno ritenere adeguate le quantità temporali oggi previste. Viceversa sembra da perseguirsi, per quanto detto nel paragrafo 1, una maggiore ampiezza quanto alle contravvenzioni, poiché esse non rappresentano affatto (soprattutto nella legislazione più moderna) dei «reati nani», ma al contrario condotte lesive di interessi diffusi e rilevanti. Appare opportuno, pertanto, definire in cinque e tre anni il termine di prescrizione dei reati contravvenzionali, a seconda che per essi sia o non sia prevista anche la pena dell’arresto.
6. Per quel che concerne, invece, la prescrizione del procedimento, la tecnica prospettata dal disegno di legge n.260 conservava l’istituto dell’interruzione della prescrizione in seguito al compimento di determinati atti tassativamente individuati, ma proponeva l’abbattimento del limite della metà che il termine di base poteva subire per effetto del compimento di tali atti. In luogo del «tetto» si prospettava un meccanismo di pura interruzione, e quindi di ripristino del termine per effetto degli atti interruttivi, ma con il vincolo che ciascuno di essi si legasse al precedente secondo un intervallo contenuto (individuato in due anni).
È stato obiettato che in tal modo si veniva a configurare un termine complessivo di prescrizione esageratamente lungo, in quanto frutto della somma di numerosi biennii. Tale preoccupazione, in realtà, non avrebbe fondamento nella maggior parte dei casi, poichè gli atti interruttivi elencati sono spesso alternativi fra loro o strettamente conseguenti (l’interrogatorio reso dall’indagato segue di pochissimo l’invito a presentarsi per renderlo, e la menzione del secondo serve essenzialmente per il caso che il primo non si effettui; analogamente per le varie coppie di atti che accostano la richiesta di un provvedimento e l’emanazione del medesimo). Tuttavia si può convenire che, da un lato, il termine complessivo sia comunque passibile di amplificazioni preoccupanti; mentre, sul versante opposto, si deve osservare che il meccanismo non mette neppur esso al riparo da comportamenti strenuamente ostruzionistici, tuttora allettati dal fatto che un termine rigido è comunque configurato (ad esempio, l’intervallo di due anni tra il decreto che dispone il giudizio e la sentenza che lo chiude può in effetti essere inadeguato, se il dibattimento è costellato di rinvii, di ostruzioni o di attività più o meno pretestuose).
Di qui la necessità di un ripensamento che si modelli sulla tecnica già adottata da tempo a proposito dei termini massimi di custodia cautelare, cioè della combinazione di due formule: quella dell’individuazione di segmenti processuali ai quali far corrispondere un tempo massimo adeguato (il cosiddetto termine di fase); e quella della sospensione allorquando il tempo non è utilizzabile ai fini processuali. Il meccanismo non è altro che la correzione di un’anomalia, rappresentata dalla presenza di un termine il cui decorso produce effetti negativi per una parte, ma in conseguenza non già dell’inattività della parte stessa, bensì (anche) di impedimenti frapposti dalla controparte.
L’anomalia è così evidente che l’istituto della sospensione è stato introdotto con ampiezza, e conservato senza contrasti, in una materia delicata come la libertà personale (articolo 304 del codice di procedura penale). La stessa disciplina della prescrizione ha già collegato, senza darne una lettura sistematica, la disciplina della sospensione e quella della custodia cautelare (articolo 159 comma 1 del codice penale). E la giurisprudenza, a sua volta, sollecitata dal richiamo contenuto nel nuovo articolo 111 della Costituzione, ha provveduto ad una rilettura dell’articolo 159 del codice penale, statuendo che «in tema di prescrizione del reato, la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano la sospensione dei relativi termini ogni qual volta siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta» (Cass., S.U., 28 novembre 2001, n. 1021).
7. Sulla scia di questa progressiva assimilazione, si può pertanto prevedere una serie di termini di fase, e costruire un sistema di cause di sospensione, che fermano l’orologio nei casi in cui non si può addebitare al procedimento la sua momentanea stasi.
Il termine di fase può essere definito singolarmente in due anni, sia per la fase delle indagini preliminari, sia per ogni grado del giudizio. Quanto alle indagini, esso si modella sul termine già previsto dall’articolo 407 del codice di procedura penale, e le eventuali accidentalità che talvolta rendono necessario un tempo maggiore (in effetti non escluso dagli articoli 407 e 430 del codice di procedura penale) possono essere adeguatamente fronteggiate attraverso il meccanismo della sospensione.
Quanto al dibattimento (che soprattutto nel primo grado patisce le maggiori difficoltà, sia per la pesantezza dei ruoli, sia per la complessità dell’istruttoria) anche a questo riguardo la tecnica della sospensione finisce con il premiare i «tempi attivi» del giudizio e con il neutralizzare i «tempi di attraversamento» dovuti ai rinvii forzati, e quindi appare appropriata al contemperamento delle note opposte esigenze.
La scelta delle cause di sospensione è bene sia modellata sulle esperienze già in atto. L’articolo 159 del codice penale offre un primo elenco, tarato sulla sospensione del procedimento: se questo subisce un blocco radicale, o anche parziale, è logico che non decorra il tempo utile a prescrivere. È questa la situazione di più immediata evidenza, tanto che anche la legislazione più recente se ne è fatta carico: si veda l’articolo 1 della legge 7 novembre 2002, n. 248, in tema di rimessione dei procedimenti nonché l’articolo 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, in tema di attuazione dell’articolo 68 della Costituzione. Dunque sono cause rilevanti: a) come ipotesi di blocco totale, ogni caso in cui la sospensione del procedimento è imposta da una particolare disposizione di legge (articoli 3, 47, 71, 477, 479, 509 del codice di procedura penale; articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; articolo 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, b) come casi di blocco parziale, le situazioni in cui la sospensione della prescrizione è imposta da una disposizione di legge, a prescindere dalla sospensione del procedimento (articolo 343 del codice di procedura penale, in tema di necessità dell’autorizzazione a procedere; articolo 16 della legge 22 maggio 1975, n. 152; c) come situazioni non di sospensione (in cui il termine finale della stessa non dipende dalla volontà del giudice che procede), ma comunque di temporaneo ostacolo a proseguire, i casi in cui il «fermo dell’orologio» è già considerato rilevante e legittimo a proposito dei termini di custodia cautelare (articolo 304 del codice di procedura penale, e pertanto le situazioni in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa dell’impedimento o della richiesta o della mancata presentazione o partecipazione dell’imputato o del suo difensore, nei sensi ivi specificati).
A queste ipotesi sembra doveroso aggiungere quelle in cui il blocco del procedimento si verifica per una causa esterna, non imputabile e non governabile dagli organi della giurisdizione, e perciò: d) i casi in cui il processo non può essere celebrato per la necessità di conseguire la presenza fisica dell’imputato estradando; e) i casi in cui è necessario espletare una rogatoria internazionale.
8. Affacciata questa costruzione dell’istituto, è però doveroso farsi carico del rilievo che essa rischia di penalizzare pesantemente la giurisdizione, sebbene incolpevole, poichè un qualche fatto impeditivo (ad esempio, la necessità di sostituire un giudice in una fase del dibattimento molto avanzata, ovvero una «novella» legislativa che costringa a ripercorrere un qualche tratto del procedimento, o simili) oggi può essere assorbito diluendone l’impatto su tutto l’arco della misura temporale prevista dall’articolo 157 del codice penale, domani potrà produrre effetti estintivi immediati, non fronteggiabili sebbene l’apparato si sia mosso senza negligenza.
Considerando che, a differenza del regime vigente, il «risparmio» eventualmente operato in una fase non giova alla fase successiva, e questo produce un ulteriore contenimento del termine complessivo, si può ritenere corretto ed opportuno introdurre un meccanismo di recupero, simile a quello già utilizzato dal decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, che ha modificato l’articolo 303 del codice di procedura penale. In forza di tale meccanismo si stabilisce che in ogni singola fase il termine di base può essere prolungato per non oltre sei mesi, i quali vanno imputati o a quello della fase precedente, se non completamente utilizzato, ovvero al termine previsto per la fase successiva, che ne risulterà depauperata per il tempo corrispondente (ovviamente le fasi estreme, e cioè le indagini preliminari e il giudizio di cassazione, fruiranno di una sola delle due possibilità). In tal modo non si dilata il termine complessivo, ma si possono neutralizzare eventuali accidentalità negative.
9. Quanto al regime transitorio, i procedimenti in corso non saranno interessati dalla modifica di diritto penale sostanziale (vale a dire dalla prescrizione del reato nel senso qui illustrato), se ed in quanto essa rappresenti un regime meno favorevole per l’imputato. La prescrizione del reato, infatti, sebbene si configuri come una causa di non luogo a procedere (tant’è vero che è possibile la rinuncia da parte dell’imputato, il che non sarebbe coerente con un istituto di diritto sostanziale), viene considerata dalla dottrina come un aspetto del fenomeno penale sostanziale, e quindi la successione di leggi penali al riguardo deve essere regolata alla stregua dell’articolo 2, comma terzo del codice penale.
L’aspetto di diritto processuale (e cioè la regola della prescrizione del procedimento, quale qui introdotta) in quanto tale dovrebbe essere soggetta alla regola del tempus regit actum: ma poiché finisce anch’essa con l’interferire con l’istituto di diritto penale sostanziale, sembra inevitabile pervenire alle medesime conclusioni di cui sopra. Pertanto nei procedimenti in corso il termine di prescrizione sarà quello risultante in concreto più vantaggioso per l’imputato, a seconda che si applichi la disciplina vigente o quella di nuova introduzione, ferma restando l’impossibilità di «contaminare» i due istituti nella ricerca di una terza soluzione ancora più benevola dell’una o dell’altra.
10. Anche la prescrizione del procedimento deve essere suscettibile di rinuncia da parte dell’imputato, secondo quanto a suo tempo statuito dalla Corte costituzionale con sentenza 23 maggio, 1990 n. 275.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1. 1. L’articolo 157 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 157. – (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). – La prescrizione estingue il reato: a) in venti anni se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; b) in quindici anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; c) in dieci anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; d) in cinque anni se si tratta di altri delitti o di contravvenzioni punite con la pena dell’arresto, solo o congiunto a pena pecuniaria; e) in tre anni se si tratta di contravvenzioni punite con la sola pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato. Non si tiene conto delle circostanze aggravanti o attenuanti. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e dall’ammenda si applicano i termini di cui alla lettera d) del primo comma». Art. 2. 1. L’articolo 159 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 159. - (Mancata attuazione della prescrizione). – La prescrizione del reato non si verifica se, entro i termini di cui all’articolo 157, perviene all’autorità giudiziaria la notizia del reato».
Art. 3. 1. Nel Titolo III del libro V della Parte seconda del codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 sono inseriti i seguenti: «Art. 346-bis. - (Prescrizione del procedimento). – 1. Il giudice dichiara non doversi procedere per prescrizione del procedimento quando, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 346-ter: a) dal momento in cui è pervenuta all’autorità giudiziaria una notizia di reato sono decorsi più di due anni senza che sia stato emesso il provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale; b) dal provvedimento di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stato dichiarato aperto il dibattimento; c) dalla dichiarazione di cui alla lettera b) sono decorsi più di due anni senza che sia stata emessa la sentenza che definisce il giudizio di primo grado; d) dalla sentenza di cui alla lettera c) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata la sentenza che definisce il giudizio di appello; e) dalla sentenza che definisce il giudizio di appello sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione; f) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata nuova sentenza da parte della Corte di cassazione. 2. I termini di cui al comma 1 possono essere aumentati sino a sei mesi. Tale ulteriore termine viene imputato a quello della fase precedente, ove non sia stato completamente utilizzato, ovvero a quello della fase successiva, che viene ridotto per la durata corrispondente. 3. Nel caso in cui sia necessaria una rogatoria internazionale, il termine di fase è aumentato del tempo necessario al suo espletamento. Art. 346-ter. - (Sospensione del corso della prescrizione del procedimento) – 1. Il corso dei termini indicati nell’articolo 346-bis è sospeso: a) nei casi di autorizzazione a procedere o di questione deferita ad altro giudice, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge; b) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova; c) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, che rendano privi di assistenza uno o più imputati; d) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando. 2. Nei casi di autorizzazione a procedere, la sospensione di cui al comma 1 si verifica dal momento in cui il pubblico ministero effettua la relativa richiesta. 3. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. Nel caso di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità giudiziaria riceve notizia che l’autorità competente ha accolto la richiesta. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono, se essi chiedono che nei loro confronti si proceda separatamente e se il giudice dispone la separazione, ritenendo che la stessa sia utile ai fini della speditezza del processo. 5. Quando si procede congiuntamente per più reati, la sospensione del corso della prescrizione per taluno di essi opera anche nei confronti degli altri. Art. 346-quater - (Richiesta di prosecuzione). – 1. L’imputato può richiedere che si proceda, nonostante siano maturati i presupposti per la dichiarazione di prescrizione di cui all’articolo 346-bis. La richiesta è formulata personalmente in udienza, ovvero è presentata dall’interessato personalmente, o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3. 2. Qualora il giudice abbia già dichiarato di non dover procedere per prescrizione del procedimento, e l’imputato non abbia avuto la possibilità di presentare previamente la richiesta di cui al comma 1, la stessa può essere presentata entro dieci giorni dalla notifica del provvedimento. In tal caso il giudice revoca la precedente declaratoria e dispone procedersi. 3. La richiesta non è revocabile e non può essere formulata solamente nei confronti di taluna delle imputazioni formulate. Se in una fase successiva del procedimento maturano nuovamente i presupposti per la dichiarazione di prescrizione, la richiesta deve essere rinnovata. 4. Ove si sia proceduto in seguito alla richiesta di cui al comma 1, la causa di improcedibilità non può più essere invocata nè applicata. 5. Qualora si proceda congiuntamente nei confronti di più imputati, la richiesta di taluno non impedisce la declaratoria di improcedibilità nei confronti degli altri».
Art. 4. 1. Nel comma 2 dell’articolo 345 del codice di procedura penale le parole: «La stessa» sono sostituite dalle seguenti: «Al di fuori dei casi di cui all’articolo 346-bis, la stessa».
Art. 5. 1. Nei procedimenti in corso all’entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, se più favorevoli all’imputato.
Art. 6. 1. Gli articoli 160 e 161 del codice penale sono abrogati.
Art. 7. 1. Nell’articolo 3, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro di grazia e giustizia 30 settembre 1989, n. 334, è aggiunta la seguente lettera: «d-bis) una scheda, aggiornata dal cancelliere e controfirmata dal magistrato che procede, indicante le date ed i fatti rilevanti ai fini della prescrizione del procedimento, e la data secondo la quale è attualmente prevedibile che debba maturare l’improcedibilità».
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SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 2784
DISEGNO DI LEGGE |
d’iniziativa del senatore d’iniziativa dei senatori GUBETTI, MALAN, PIANETTA, PALOMBO, FERRARA, ASCIUTTI, CIRAMI, CONTESTABILE, GRECO, BRIGNONE, FEDERICI, SAMBIN, CRINÒ, MANFREDI, BASILE, FRAU, PESSINA, RIZZI, CONSOLO, BOSCETTO, TRAVAGLIA, COMPAGNA, ZORZOLI, SCOTTI, CARRARA, DE RIGO, FALCIER, BALBONI, D’IPPOLITO, FABBRI, GUBERT, LAURO, CHIRILLI, FLORINO, FIRRARELLO, COSTA, MELELEO, PONZO, IZZO, BEVILACQUA, TREDESE, MORRA, TREMATERRA, GENTILE, IOANNUCCI, MEDURI, MANUNZA, NOCCO, ULIVI, MAINARDI, FAVARO, GUASTI, OGNIBENE, MARANO, PASINATO, FASOLINO, VALDITARA e CICCANTI |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 25 FEBBRAIO 2004 |
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Norme per la tutela della certezza della pena
e per la prevenzione delle recidive
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DISEGNO DI LEGGEArt. 1. (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale) 1. All’articolo 656 del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. La disposizione del comma 1 non si applica nei confronti di coloro che abbiano già riportato più di due condanne per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma previstadall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni»; b) al comma 5, dopo le parole: «dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione», sono aggiunte le seguenti: «qualora il condannato non abbia già riportato più di due condanne per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni»; c) al comma 9, dopo la lettera b), è aggiunta la seguente: «b-bis) nei confronti dei condannati i quali abbiano già riportato più di due condanne per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 608-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni». Art. 2. (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n.354) 1. Alla legge 26 luglio 1975, n.354, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 4-bis, comma 1, dopo le parole: «a norma dell’articolo 58-ter della presente legge» sono aggiunte le seguenti: «qualora i medesimi non abbiano già riportato più di due condanne per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni»; b) all’articolo 47, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi in cui il condannato abbia già riportato una condanna a pena detentiva per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni, l’affidamento in prova può essere disposto solo dopo che sia stata scontata almeno metà della pena detentiva, mentre può essere disposto nei confronti del condannato che abbia già riportato due condanne a pena detentiva per delitto doloso solo quando il residuo della pena da scontare non sia superiore ad un anno»; c) all’articolo 47-ter, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1.1. Nel caso di soggetto che ha già riportato una condanna a pena detentiva per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V, e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni, la detenzione domiciliare può essere disposta solo quando sia stata scontata almeno metà della pena, mentre quando si siano già riportate due condanne a pena detentiva per delitto doloso, la detenzione domiciliare può essere disposta solo ove il residuo di pena da scontare non sia superiore ad un anno»; d) all’articolo 50, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «qualora non abbia mai riportato condanne per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni,»; e) all’articolo 50, comma 2, le parole: «Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato», sono sostituite dalle seguenti: «Il condannato che abbia già riportato una condanna a pena detentiva per delitto doloso»; f) all’articolo 58-quater, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché a tutti coloro che abbiano già riportato più di due condanne a pena detentiva per i delitti dolosi previsti dal libro II, titoli I, V e VI, capo I e capo II, del codice penale, limitatamente ai delitti di cui agli articoli 438, 439, 440 e 442, nonché per i delitti di cui agli articoli 572, 575, anche nella forma prevista dall’articolo 56, 584, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis, 628, 629, 630, 644 e 648 del codice penale, per i delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n.75, e per i delitti di cui all’articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e successive modificazioni».
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GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 12 gennaio 2005
415a Seduta
Presidenza del Presidente
indi del Vice Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Valentino.
La seduta inizia alle ore 19,15.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri. - - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Esame congiunto e rinvio)
Il relatore ZICCONE (FI), con riferimento al disegno di legge n. 3247, osserva preliminarmente che l'iniziativa in titolo ha la peculiarità di intervenire su istituti del codice penale e di quello di procedura penale tra loro eterogenei, quali la recidiva, le circostanze attenuanti, il giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi e la prescrizione, non senza peraltro presentare aspetti comuni quali, da un lato, la nuova configurazione della recidiva e del suo modo di influire sugli altri istituti considerati dal disegno di legge e, dall'altro, un'aspirazione a stabilire in materia di prescrizione e di circostanze del reato una maggior attuazione del principio di certezza del diritto.
Si sofferma quindi sull'articolo 1 del disegno di legge che, intervenendo sull'articolo 62 del codice penale in materia di circostanze attenuanti comuni, introduce una nuova circostanza con riferimento alla persona che, alla commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non sia recidivo. La nuova attenuante appare in linea con l'ordinamento penale in vigore che attribuisce rilievo, sotto diversi profili, all'età del reo ed inoltre tiene conto della tendenziale minore pericolosità sociale dell'anziano, con salvezza delle ipotesi in cui la persona versi, al momento della sentenza, nelle condizioni di cui all'articolo 99 del codice penale, introducendosi quindi al riguardo una opportuna distinzione tra ultrasettantenni recidivi che non potranno beneficiare dell'attenuante e gli altri.
Il disegno di legge, all'articolo 2, riformula poi la disciplina delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62 bis del codice penale con l'obiettivo di dare maggiore certezza giuridica all'applicazione dell'istituto, in particolare per quanto riguarda i rapporti con talune circostanze di cui all'articolo 133 del codice penale. Si propone infatti di limitare il potere discrezionale del giudice nella concessione delle attenuanti generiche, in relazione a situazioni soggettive di particolare gravità come ad esempio nei casi di reiterazione della recidiva, con specifico riguardo a delitti di particolare rilevanza.
Il relatore si sofferma quindi brevemente sull'articolo 2, comma 2, del disegno di legge n. 3247 che, con riferimento a diversa materia, introduce inasprimenti dei limiti edittali delle pene previste per le fattispecie criminose di associazione mafiosa contemplate all'articolo 416 bis del codice penale. Si tratta, a suo avviso, di innovazioni opportune in quanto viene attribuito il dovuto rilievo ad un reato di estrema gravità, così come appare giustificato dall'insufficienza delle pene oggi previste l'incremento sanzionatorio operato con riferimento alla fattispecie di cui all'articolo 418 del codice penale (reato di assistenza agli associati).
L'articolo 3 interviene anche in questo caso opportunamente sul quarto comma dell'articolo 69 del codice penale in tema di concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti, operando, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 2, comma 1, eccezioni e limiti con riferimento ad alcune figure di imputati, quali in particolare i recidivi.
Quanto all'articolo 4, si introducono modifiche riguardanti la recidiva che, ad avviso del relatore avrebbero il merito di ricondurre l'istituto alla sua vera ed originaria natura. Al riguardo evidenzia l'innovazione costituita dall'aver configurato la recidiva limitatamente a delitti non colposi e ciò a differenza di quanto avviene nella disciplina vigente che riferisce l'istituto ai reati, senza peraltro distinguere quanto all'elemento soggettivo degli stessi. L'innovazione è giustificata dalla maggiore rilevanza in termini di pericolosità sociale che indubbiamente si collega all'avvenuta commissione di delitti connotati dal dolo.
Quanto alle altre innovazioni introdotte in materia, il relatore richiama l'attenzione sulla limitazione della discrezionalità del giudice in ordine alla determinazione della pena da applicare in conseguenza della recidiva, ferma restando la facoltà della valutazione discrezionale circa l'applicazione dell'istituto. Ricorda quindi la disposizione per la quale in nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo, evidenziando altresì che, con riferimento a reati di particolare gravità, quali quelli indicati dall'articolo 407, comma 2, lettera a) l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio.
Dopo aver richiamato l'attenzione brevemente sull'articolo 5, che interviene sull'articolo 81 del codice penale, in materia di concorso formale, con l'effetto di reintrodurre in sostanza una valutazione della personalità del reo, si sofferma sulla nuova disciplina introdotta dall'articolo 6 in materia di prescrizione. Al riguardo il relatore ritiene trattarsi di una innovazione molto significativa che non potrà non avere profonde implicazioni sotto il profilo dogmatico ed applicativo. Evidenzia infatti come la principale novità riguardi l'avvenuta sostituzione, per la determinazione della prescrizione, del criterio delle classi di reato individuate per fasce di pena con l'altro di riferire la prescrizione al massimo della pena edittale stabilita dalla legge per il singolo reato. Si introduce altresì un temperamento a possibili distorsioni derivanti dall'applicazione del nuovo criterio costituito dal fatto che la prescrizione non potrà in ogni caso determinarsi prima di sei anni, per i delitti, e prima di quattro anni, per le contravvenzioni. Si tratta di un criterio che in pratica in molti casi determinerà un allungamento del termine di prescrizione oggi previsto con conseguenze positive in ordine all'efficacia dell'azione punitiva per tutta una serie di reati importanti rispetto ai quali l'avvenuta prescrizione rende oggi inutile l'attività processuale svolta. Apprezzabili, sotto il profilo della certezza del diritto, sono anche le altre innovazioni introdotte in materia di prescrizione, in particolare quanto al rilievo delle circostanze, con previsioni che faranno venir meno notevoli incertezze applicative oggi invece esistenti. Ricorda quindi la previsione per la quale, nel caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale e di circostanze attenuanti, troveranno applicazione le disposizioni dell'articolo 69 e l'altra per cui è fatto salvo il principio della rinunciabilità della prescrizione da parte dell'imputato. Quanto alle innovazioni che si propone di introdurre all'articolo 159, in materia di sospensione del corso della prescrizione, evidenzia trattarsi di interventi, in particolare quello di cui al numero 3), che recepiscono principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Il relatore, rispondendo quindi ad un richiesta di chiarimenti del senatore Calvi in ordine all'interpretazione dell'espressione "per il tempo dell'impedimento" che a suo avviso potrebbe dar luogo a notevoli incertezze interpretative, ritiene in prima approssimazione corretta la disposizione ove della stessa non sia dia un'interpretazione meramente letterale.
Seguono brevi interventi del senatore AYALA (DS-U) - che condividendo le considerazioni del senatore CALVI (DS-U) - invita a valutare l'opportunità di espungere dal testo l'espressione citata - e del sottosegretario Valentino che invece ritiene superabili, tramite un'attenta lettura, le perplessità sollevate.
Il relatore ZICCONE (FI) riprendendo il suo intervento, sottolinea quindi come a suo avviso dall'approvazione del disegno di legge n. 3247 conseguiranno effetti positivi per l'efficacia dell'azione punitiva, determinandosi in molti casi un allungamento dei termini della prescrizione contrariamente a quanto ritenuto da alcune forze politiche. Evidenzia quindi come anche le innovazioni introdotte con riguardo all'articolo 161 del codice penale realizzeranno un corretto bilanciamento degli interessi in gioco. Queste infatti muovono dalla considerazione della ingiustizia di condanne che giungono dopo troppo tempo dalla commissione del fatto, parimenti alla valutazione che può farsi rispetto a termini di prescrizione troppo brevi, avuto riguardo alla rilevanza del reato. Ricorda quindi brevemente come i restanti articoli del disegno di legge affrontano il tema della concessione dei permessi premio ai recidivi e recano interventi in materia di esecuzione delle pene detentive.
Con riferimento al disegno di legge n. 2784, d'iniziativa del senatore Gubetti ed altri, il relatore osserva come lo stesso si ponga sulla stessa linea del disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati perseguendo l'obiettivo di tutelare la certezza della pena e prevenire le recidive. Fa quindi riserva di un maggior approfondimento dell'iniziativa nel prosieguo dell'esame.
Su proposta del relatore infine la Commissione conviene di congiungere l'esame dei disegni di legge in titolo.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 20,30.
GIUSTIZIA (2a)
giovedi' 13 gennaio 2005
416a Seduta (1a antimeridiana)
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Valentino.
La seduta inizia alle ore 10.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Seguito dell'esame congiunto dei disegni di legge nn. 3247 e 2784, congiunzione con il seguito dell'esame del disegno di legge n. 260 e con l'esame del disegno di legge n. 2699 e rinvio. Seguito dell'esame del disegno di legge n. 260, congiunzione con il seguito dell'esame congiunto dei disegni di legge nn. 3247 e 2784 e con l'esame del disegno di legge n. 2699 e rinvio. Esame del disegno di legge n. 2699, congiunzione con il seguito dell'esame disegno di legge n. 260 e con il seguito dell'esame congiunto dei disegni di legge nn. 3247 e 2784 e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge nn. 3247 e 2784, sospeso nella seduta pomeridiana di ieri, nonché l'esame del disegno di legge n. 260, sospeso nella seduta pomeridiana del 5 giugno 2002.
Il relatore ZICCONE (FI) riferisce brevemente sul disegno di legge n. 2699, presentato dai medesimi firmatari e che riprende il tema affrontato dal disegno di legge n. 260, in materia di prescrizione del reato, sviluppandolo anche alla luce delle osservazioni - espresse dal relatore in occasione dell'inizio dell'esame del disegno di legge n. 260 - che risultano in parte recepite nell'articolato. Evidenzia peraltro come, pur riferendo anche al disegno di legge n. 2699 quella medesima valutazione positiva già formulata sull'altra iniziativa, permangano tuttavia ancora perplessità riferibili in particolare alle proposte sui tempi di compimento della prescrizione in quanto il prolungamento dei termini che verrebbe così introdotto è, a suo avviso, da ritenersi incompatibile con principi di civiltà giuridica. Non esclude peraltro che alcune proposte, quali quelle finalizzate ad ottenere un'accelerazione dei processi penali, possano essere recepiti nell'ottica di un dialogo costruttivo con l'opposizione, anche perché è bene che il cittadino sia sottratto ad una soggezione processuale che si protragga indefinitamente. Ritiene quindi che i disegni di legge nn. 260 e 2699, pur affrontando la materia per alcuni aspetti in modo differente, non possano ritenersi tra loro incompatibili reputando possibile ed utile procedere ad un esame congiunto dei medesimi unitamente a quello degli agli altri disegni di legge in titolo.
Su proposta del relatore, la Commissione conviene di congiungere l'esame dei disegni di legge nn. 260 e 2699 all'esame congiunto dei disegni di legge nn. 3247 e 2784, indicando il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati quale testo base.
Si apre quindi il dibattito.
Il senatore FASSONE(DS-U), intervenendo in discussione generale, pur dichiarando di non condividere le finalità del disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, che sono risultate chiare a molta parte dell'opinione pubblica e che verranno sottolineate da altri oratori nel corso della discussione, fa presente che svolgerà considerazioni di natura strettamente tecnico-giuridica, riferite al disegno di legge n. 3247, auspicando che l'onestà intellettuale che va riconosciuta a molti senatori della maggioranza possa indurre i medesimi a prenderle in considerazione.
Con riferimento all'articolo 1, ritiene non chiara la ratio della diminuzione della pena per la persona ultrasettantenne. Anche se si tratta di norma non del tutto irragionevole, non convince l'accostamento operato dal relatore con riferimento alla condizione del minorenne che è ben diversa, sotto il profilo della capacità, da quella di una persona ultra - settantenne. Osserva quindi che l'età avanzata viene in considerazione nell'ordinamento per esigenze umanitarie, e quindi giustifica, di regola, solo un'attenuazione del rigore nell'esecuzione della pena o delle misure cautelari e non una riduzione della pena irrogabile. In ogni caso se la ratio è di tipo umanitario non appare giustificato escludere il recidivo, in specie se si tratta di recidiva semplice e non mancano ulteriori contraddizioni della disposizione che fa riserva di evidenziare nel prosieguo dell'esame.
Quanto al nuovo comma 2 dell'articolo 62-bis del codice penale - dopo aver evidenziato la presumibile ratio della disposizione, rinvenibile in quella di limitare la concessione delle attenuanti generiche agli autori di reati gravi che siano anche recidivi - il senatore Fassone ritiene improprio, in primo luogo, definire "circostanze" le situazioni considerate dall'articolo 133, potendosi più correttamente parlare di "criteri" (art. 133-bis) ed, in termini più generali, la disposizione non condivisibile perché suscettibile di incertezze interpretative in ragione della sua ambigua formulazione. Non si comprende perché non si debba tener conto, ai fini della concessione delle generiche, dell'intensità del dolo, dei precedenti e di quanto altro elencato nelle parti indicate dell'articolo 133, proprio in presenza di reati considerati di elevato allarme sociale. La norma si presta ad essere letta nel senso che - proprio in presenza di reati ex articolo 407 del codice di procedura penale e di recidiva qualificata - non si tiene conto della medesima, né dell'intensità del dolo, per quanto elevata. Quanto poi alla novella che si propone di introdurre al comma 1 dell'articolo 418, ne scaturirebbe una disarmonia difficilmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza, con riferimento al regime sanzionatorio del favoreggiamento. Infatti l'assistenza agli associati finirebbe per essere punita molto più gravemente del favoreggiamento ai medesimi. L'aiutare ad eludere le indagini - condotta di regola più grave - è infatti punibile da quindici giorni a quattro anni, mentre il fornire vitto e simili - condotta di per sé meno grave - verrebbe punito con un minimo di due anni.
Incertezze interpretative legate alla formulazione della disposizione possono essere riferite anche all'articolo 3, invitando anche in tal caso quindi la maggioranza ad una attenta riflessione. Con riguardo a possibili incertezze interpretative richiama l'attenzione sul caso della diminuente speciale prevista dal codice di procedura penale per effetto dell'adozione del rito abbreviato o del patteggiamento. Detta diminuente opera tecnicamente, o aritmeticamente, come una circostanza attenuante ma in realtà non sembra che essa possa venire negata a chi ha scelto quel tipo di rito processuale, poiché, a termini dell'articolo 442, comma 3, del codice di procedura penale, la pena deve essere sempre diminuita, in conseguenza del rito, dopo che il giudice ha compiuto tutte le operazioni di legge relative alla circostanze in senso proprio. Una diversa, quanto possibile lettura della norma, produrrebbe una vera e propria fuga dai riti alternativi; ragion per cui gli appare opportuna una riflessione sul punto.
L'articolo 4 del disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati manifesta l'intenzione della maggioranza di considerare con maggior rigore i recidivi. Si tratta di una scelta di natura politica attuata però con disposizioni che in molti casi presentano una illogicità interna, apparendo discutibili sotto il profilo della ragionevolezza. Nella riforma la recidiva semplice prevede un aumento di pena facoltativo ma rigido nella quantità. La recidiva qualificata invece prevede un aumento facoltativo ma flessibile. Se si tratta poi di uno dei delitti di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale l'aumento è in ogni caso obbligatorio. Si osserva quindi da un lato il venir meno di flessibilità dal quale, sotto il profilo strettamente operativo, è da ritenere che il primo aumento, quello per la recidiva semplice, non sarà quasi mai applicato specie quando il reato sottoposto a giudizio è sanzionato con una pena grave, che dovrebbe essere aumentata di un terzo e cioè in misura pesante a fronte di una recidiva molto leggera. Il risultato sul piano sistematico è che se il giudice decide di applicare l'aumento finirà col trattare più gravemente la situazione meno grave con conseguenze evidenti sotto il profilo della ragionevolezza della normativa. Altro punto che richiederebbe di essere chiarito - continua il senatore Fassone - è quello dell'individuazione del limite all'aumento qualora la condanna precedente o le condanne precedenti siano alla sola pena pecuniaria. Il quinto comma del nuovo articolo 99 non dice infatti qual è il limite all'aumento per le ipotesi di condanne precedenti a sola pena pecuniaria. Al riguardo appaiono possibili diverse interpretazioni, risultando ancora una volta opportuno un intervento diretto a far chiarezza sul punto.
Con riferimento al nuovo ultimo comma dell'articolo 99 non appare chiaro se l'aumento di pena, nel caso di delitti ex articolo 407 del codice di procedura penale, debba essere obbligatoriamente non inferiore ad un terzo anche se questo terzo supera il cumulo delle pene precedenti, ai sensi del comma quinto. La collocazione del comma dopo il predetto comma 5 sembrerebbe eludere l'applicabilità del limite ma, se così fosse, l'aumento rigido apparirebbe ingiustificato poiché lo stesso reato non solo riceverebbe doppia pena, ma in questo caso la seconda può persino essere maggiore della prima. Appare quindi opportuno, al fine di risolvere l'incertezza interpretativa, o posporre il comma 4 in fine di articolo o dire espressamente nel comma 6 che è fatto salvo il limite di cui al comma 5.
Con riferimento all'articolo 5, il senatore Fassone ritiene che l'aumento di pena previsto per il concorso formale di reati e per la continuazione, in presenza di recidiva qualificata, conduce a conseguenze inaccettabili. Innanzi tutto poiché la continuazione viene calcolata dopo che sono state compiute tutte le operazioni di quantificazione della pena a proposito del reato base, e quindi dopo che è stata conteggiata anche la recidiva, quest'ultima viene calcolata due volte: sul reato- base e poi sul reato satellite, il quale subisce un altro aggravamento di pena rispetto alla sua sanzione "naturale". Inoltre questa disciplina può condurre ad una sanzione per il reato satellite o per il reato formalmente concorrente, in concreto molto più pesante di quella che essi avrebbero prodotto da soli. L'aumento infatti non può essere inferiore ad un terzo della pena inflitta per il reato base e se questo è molto grave, l'aumento sarà a sua volta assai consistente, anche se il reato satellite giustificherebbe una pena molto minore. E' bensì vero che la norma fa salvi i limiti indicati dal terzo comma dell'articolo 81 del codice penale, ma questo non appare sufficiente. Infatti tra gli articoli precedenti nel caso di specie verrebbe in considerazione l'articolo 73 del codice a detta del quale - in situazione in cui non operino gli istituti mitigativi dell'articolo 81 - "se più reati importano pene detentive della stessa specie, si applica una pena unica per un tempo uguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbe infliggere per i singoli reati". Ciò significherebbe che se ad esempio un reato è sanzionato con sei anni e l'altro con un anno, l'articolo 73 produce una pena complessiva di sette anni, anzichè gli otto anni che scaturirebbero dall'aumento di un terzo. In questo modo però il recidivo viene totalmente privato dei benefici conseguenti all'applicazione della continuazione in senso contrario alla natura giuridica dell'istituto.
Quanto poi all'articolo 6, dopo aver evidenziato che lo stesso affronta una materia, quella della prescrizione, di cui non si parla nell'intitolazione del disegno di legge come invece sarebbe stato necessario, il senatore Fassone ritiene non chiara la ratio della disposizione. Se con l'intervento si intende ridurre i termini di prescrizione per accelerare la conclusione dei processi, ritiene conseguentemente assurdo che i termini vengano ridotti per i delitti più gravi, rendendo così più difficile l'azione di contrasto nei loro confronti, e vengano invece allungati per i delitti meno gravi: infatti i delitti puniti con una reclusione massima inferiore a cinque anni vedono esteso il termine attuale di cinque anni a quello di sei anni, mentre i delitti puniti con la reclusione massima di dieci anni vedono il termine ridotto da quindici a dieci anni. Altra irragionevolezza riguarda i rapporti tra i commi secondo e terzo del nuovo articolo 157 del codice penale. Se da un lato il comma 2 sterilizza, ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere, la rilevanza delle circostanze (quelle aggravanti vengono in considerazione solo se sono ad effetto speciale; quelle attenuanti non sono mai rilevanti) di contro, stante questa scelta, non si comprende perché il terzo comma richiami l'articolo 69 nel caso di concorso fra aggravanti ad effetto speciale ed attenuanti. L'articolo 69 infatti consente alle attenuanti di essere dichiarate equivalenti o prevalenti e dunque attribuisce loro rilievo. Il risultato paradossale sarebbe che le attenuanti non giocherebbero mai eccetto quando si tratta di neutralizzare le aggravanti ad effetto speciale.
Seguono brevi interventi del senatore AYALA (DS-U) - per il quale il meccanismo dell'articolo 69 rivive per le aggravanti ad effetto speciale - del RELATORE e del senatore FASSONE (DS-U) - il quale invita a considerare cosa accada qualora, avendo l'imputato rinunciato alla prescrizione, il processo ne accerti la colpevolezza.
Il senatore FASSONE (DS-U) invita quindi a riflettere sulle conseguenze rilevantissime che gli interventi in materia di prescrizione avranno sui processi in corso. Al riguardo ricorda che in occasione dell'emanazione della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 in materia di giusto processo il legislatore, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, si pose il problema delle conseguenze della nuova disciplina sui processi in corso, in particolare per quanto attiene alla sorte dell'attività istruttoria svolta non più in linea con i principi del giusto processo, ritenendo necessario emanare una disciplina transitoria (decreto legge 7 gennaio n. 2, convertito con modificazioni in legge 25 febbraio 2000, n. 35, recante disposizioni urgenti per l'attuazione dell'articolo 2 della legge costituzionale citata). Da tale disciplina si può ritenere esistente un principio di rango costituzionale per il quale ogni qual volta il legislatore interviene con una regolamentazione che innova profondamente sul regime processuale si rende necessario mitigarne l'impatto con un'opportuna disciplina transitoria. Ritiene quindi necessario intervenire introducendo un regime transitorio della prescrizione con riferimento ai procedimenti in corso.
Riferendosi poi all'articolo al n. 3) del nuovo articolo 159 in materia di sospensione del corso della prescrizione invita il relatore a riflettere sulla correttezza dell'espressione "e per il tempo dell'impedimento" ricordando in proposito la diversa formulazione contenuta nell'articolo 304 del codice di procedura penale che potrebbe essere assunta a parametro di riferimento.
Dopo che il relatore ZICCONE (FI) ha evidenziato, ad una più attenta valutazione, l'opportunità di una riflessione sul punto, il senatore FASSONE si sofferma sulle disposizioni di cui al quarto e quinto comma dell'articolo 6, richiamando l'attenzione, da un lato, sull'improprietà di far dipendere dalla recidiva un diverso regime di prescrizione dei reati e, dall'altro, sull'assurdità dell'aver previsto che la sospensione del processo, in ipotesi anche molto ampia, per causa non addebitabile in alcun modo agli attori del processo, penalizzi lo stesso in ogni caso.
Dopo un breve intervento del senatore Luigi BOBBIO (AN) - che dichiara invece di condividere l'impostazione sottesa alle novità che si propone di introdurre agli articoli 160 e 161 del codice penale - il senatore FASSONE (DS-U) si sofferma brevemente sulle disposizioni concernenti l'ordinamento penitenziario. Non comprende al riguardo il riassetto della detenzione domiciliare ritenendo abnorme la regola per cui la pena della reclusione, di qualunque entità, sia scontata in detenzione domiciliare se il condannato è ultrasettantenne e non recidivo. Evidenzia inoltre le ripetizioni e le improprietà con riguardo alle eccezioni dal beneficio della detenzione domiciliare, previste per tutta una serie di delitti. Sono infatti esclusi dall'elenco delitti di sicura gravità quali, ad esempio, quelli contro l'incolumità pubblica, la concussione, il riciclaggio, la clonazione di essere umani.
Dopo aver ricordato come per i detenuti recidivi si prevede un regime più rigoroso ritiene conclusivamente opportuna l'introduzione di una disposizione transitoria che regoli la situazione dei detenuti recidivi che al momento dell'entrata in vigore avranno maturato le condizioni per poter beneficiare di misure alternative.
Segue un breve intervento del senatore CENTARO(FI), il quale riferendosi alle considerazioni espresse dal senatore Fassone con riferimento alle novità che si propone di introdurre all'articolo 418, non ritiene sussistere le disarmonie evocate ricordando che il secondo comma dell'articolo 378 prevede che quando il delitto commesso è quello previsto dall'articolo 416-bis si applica, in ogni caso , la pena della reclusione non inferiore a due anni. Quanto poi alle novità riferite all'articolo 81 si introduce opportunamente una limitazione alla discrezionalità del magistrato senza che si possa parlare di ritorno al cumulo materiale.
Dopo brevi interventi dei senatori FASSONE(DS-U), ZICCONE (FI) e del sottosegretario VALENTINO, ha la parola il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) il quale a nome del suo Gruppo chiede che la Commissione acquisisca una serie di dati sul numero dei processi estinti per prescrizione e le previsioni in materia con riguardo ai procedimenti pendenti; dati che ritiene utili per valutare l'impatto della riforma dell'istituto della prescrizione. In particolare propone di chiedere al Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura di fornire i dati relativi alla durata media dei processi per reati di usura ed invece al Governo di fornire con apposita relazione alla Commissione gli altri dati idonei a valutare l'impatto della riforma dell'istituto della prescrizione sui processi in corso.
Seguono brevi interventi del senatore Luigi BOBBIO (AN) - che evidenzia alcune perplessità sulla praticabilità ed effettiva utilità della richiesta, tenuto conto, alla luce della sua esperienza, della prevedibile difficoltà di acquisire in tempi ragionevoli dati sulle previsioni di estinzione dei processi pendenti per prescrizione - del senatore CENTARO (FI) - che se da un lato ritiene agevole l'acquisizione dei dati in materia di usura, prevede invece serie difficoltà pratiche per gli altri, anche se in termini generali non si dichiara contrario alla richiesta - del relatore ZICCONE (FI) - che condivide le prevedibili difficoltà di acquisizione dei dati - ed infine del presidente Antonino CARUSO che esprime perplessità sull'utilità effettiva della richiesta.
Segue un breve intervento del senatore Massimo BRUTTI(DS-U), che dichiarandosi sorpreso dalle posizioni espresse ed in particolare dall'intervento del relatore, invita comunque la presidenza a prendere nella debita considerazione la richiesta che, oltre a fornire un utile contributo conoscitivo, non avrà effetti dilatori sui tempi dell'esame.
Il senatore DALLA CHIESA(Mar-DL-U), a nome del suo Gruppo, si associa alla richiesta del senatore Massimo Brutti.
Il presidente Antonino CARUSO, in considerazione di quanto emerso dal dibattito, dichiara che si inviterà il Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura a fornire i dati richiesti.
Il sottosegretario VALENTINO dichiara di contro la disponibilità del Governo a fornire i dati richiesti per quanto di competenza.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
ANTICIPAZIONE DELL'ORARIO DI INIZIO DELLA SEDUTA POMERIDIANA ODIERNA.
Il PRESIDENTE avverte che la seduta pomeridiana odierna della Commissione prevista per le ore 15 è anticipata alle ore 12,30
La seduta termina alle ore 11,30.
GIUSTIZIA (2a)
martedi' 18 gennaio 2005
418a Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 15,05.
(omissis)
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio.)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo sospeso nella 1a seduta antimeridiana del 13 gennaio scorso.
Sull'ordine dei lavori ha la parola il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) il quale avanza la richiesta di aggiornare l'esame congiunto sui disegni di legge in titolo alla settimana prossima in relazione al lavoro che la Commissione antimafia sta svolgendo in questi giorni a Napoli, che vede impegnati numerosi senatori della Commissione giustizia. Per la medesima ragione la Conferenza dei Capigruppo, tenutasi nella mattinata, ha deciso il rinvio dell'esame del disegno di legge sul mandato d'arresto europeo, già iscritto all'ordine del giorno dell'Assemblea, e il rinvio della discussione della proposta avanzata dalla Commissione di limitare l'esame del disegno di legge in materia di ordinamento giudiziario ai soli punti oggetto del messaggio con cui tale disegno di legge è stato rinviato alle Camere.
Il presidente Antonino CARUSO, nel rendere nota una lettera a lui inviata dal senatore Calvi con la quale lo stesso, a nome di altri senatori componenti della Commissione antimafia, chiede di non chiudere la discussione generale e di non fissare termine per la presentazione degli emendamenti, fa presente che, sempre, è stato consentito ai senatori - che non avevano potuto svolgere in una determinata seduta il loro intervento - di intervenire comunque prima della conclusione della discussione generale e che il termine per la presentazione gli emendamenti può ragionevolmente essere fissato alla scadenza di quindici giorni da oggi. Nella giornata odierna resta comunque sempre possibile proseguire la discussione generale con gli interventi dei presenti, attesa la pubblicità loro conferita dai resoconti parlamentari accessibile agli assenti.
Il senatore AYALA(DS-U) pone l'accento sulla circostanza che le richieste avanzate dal senatore Calvi anche a suo nome, risultano essere antecedenti all'odierna decisone della Conferenza dei Capigruppo del Senato della quale la Presidenza non può non tenere conto.
Il PRESIDENTE in replica osserva come i cambiamenti decisi dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari originino, tra l'altro, anche da una sua esplicita richiesta di essere esonerato dal compito di sostituire i relatori dei disegni di legge sul mandato d'arresto e su eurojust, ambedue assenti per l'impegno della Commissione antimafia, anche per rispetto del lavoro compiuto dagli stessi nella fase referente. Sottolinea che dei provvedimenti citati, solo quello in materia di mandato d'arresto risulta essere stato formalmente rinviato, mentre gli altri, sull'ordinamento giudiziario e su eurojust, costituivano oggetto di possibile inserimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea.
Interviene quindi il senatore ZANCAN (Verdi-U) il quale, nell'associarsi alla richiesta di rinvio dell'esame dei disegni di legge in titolo della quale nega qualsivoglia intento dilatorio, osserva come la sua presenza risulti legata all'inizio della discussione in Aula del mandato d'arresto europeo, oggi cancellato, dovendosi egli altrimenti trovare a Napoli per il sopralluogo della Commissione antimafia.
Chiede quindi di passare all'esame di argomenti all'ordine del giorno diversi dal disegno di legge in titolo, sui quali è pronto ad intervenire.
Ha quindi nuovamente la parola il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) il quale, nel rinnovare la richiesta di rinvio dell'esame, sottolinea come la stessa potrebbe risultare utile anche al fine di consentire che i commissari possano disporre, per il prosieguo della discussione, dei dati da lui richiesti sugli effetti della prescrizione su processi in corso.
Il senatore TIRELLI (LP) afferma di non condividere le richieste di rinvio, essendo la Commissione senz'altro in condizione di proseguire stante la presenza di numerosi senatori, del relatore e del rappresentante del Governo. D'altra parte, senatori di gruppi non numerosi fanno parte di più commissioni e la loro assenza, in determinate circostanze, non è ragione impedente.
Il presidente Antonino CARUSO chiede allora se vi sono senatori che vogliono intervenire e se il relatore intende proporre un termine per la presentazione di emendamenti al disegno di legge n.3247, già assunto come testo base nella 1a seduta antimeridiana di giovedì scorso.
Il relatore ZICCONE(FI), in considerazione della circostanza che per la settimana prossima deve attendersi la conclusione della discussione generale, propone il termine del 1° febbraio prossimo, alle ore 20,00.
Conviene la Commissione.
Il sottosegretario VITALI - non avendo avuto la materiale possibilità di parlare con il sottosegretario Valentino presente alla precedente seduta - chiede al senatore Massimo Brutti di meglio specificare la natura della richiesta di dati che il Governo si è impegnato a fornire alla Commissione.
Dopo aver espresso meraviglia per lo scarso livello di comunicazione tra due sottosegretari dello stesso Dicastero, il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) ribadisce trattarsi di dati relativi agli effetti che le nuove norme proposte in materia di prescrizione produrrebbero, in tempi definiti, sui processi in corso.
Interviene il presidente Antonino CARUSO facendo presente che, a suo avviso, la questione non può essere oggetto di alcuno stupore, essendo dovuta semplicemente ad un momentaneo disguido di ordine pratico e ricordando che, invece, per quanto riguarda l'ulteriore richiesta avanzata nella scorsa seduta dalla stesso senatore Massimo Brutti sulla eventuale prescrizione dei reati di usura, la relativa richiesta è già stata inoltrata.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
GIUSTIZIA (2a)
martedi' 25 gennaio 2005
421a Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 14,55.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo sospeso nella seduta pomeridiana del 19 gennaio scorso.
Interviene brevemente il sottosegretario, onorevole VITALI, il quale informa la Commissione che è in corso la raccolta delle informazioni richieste dalla Commissione nella seduta del 13 gennaio scorso e che ancora nella mattinata odierna stavano affluendo i relativi dati dalle Corti d'appello. Fa presente al riguardo che prime elaborazioni affidabili potranno essere predisposte già nella giornata di domani.
Il presidente Antonino CARUSO informa la Commissione che nella giornata di domani, salvo imprevisti, dovrebbero affluire anche i dati richiesti al Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.
Prende la parola il senatore ZANCAN (Verdi-U) il quale, nel soffermarsi specificamente sul testo del disegno di legge n. 3247, rileva come non possa non constatarsi che la dichiarata necessità di "salvare" l'onorevole Previti abbia portato alla predisposizione di un intervento normativo che rischia di determinare guasti gravissimi al vigente sistema sanzionatorio.
Più in particolare, per quel che attiene all'articolo 1, va stigmatizzata senza alcun dubbio la scelta irrazionale di introdurre un'ipotesi di diminuente obbligatoria della pena da infliggere il cui presupposto, costituito dall'"incensuratezza" del responsabile del fatto, non ha in realtà una valenza univoca e quindi non può fornire alcuna certezza circa la meritevolezza dello sconto di pena previsto. Né può poi sottovalutarsi la potenzialità criminogena di una simile previsione che può finire per favorire condotte criminali nelle quali verrebbero strumentalmente coinvolti come "teste di legno" persone in età avanzata.
In merito all'articolo 2 l'intervento proposto al comma 1 gli appare certamente non condivisibile laddove impone che nei confronti dei recidivi reiterati non si tenga conto della circostanza indicata nel numero 3 del secondo comma dell'articolo 133 del codice penale e ciò in quanto il legislatore dovrebbe sempre e in ogni caso favorire, laddove possibile, condotte potenzialmente antagoniste rispetto all'offesa posta in essere dal reo. In ordine invece al comma 2 dell'articolo 2 l'attenzione va posta essenzialmente sulla assoluta inutilità degli incrementi di pena ivi previsti che, tra l'altro, nelle ipotesi in cui la partecipazione all'associazione mafiosa dovesse risultare marginale, potrebbero sortire l'effetto controproducente di portare all'applicazione di un trattamento sanzionatorio sproporzionato.
Passando all'articolo 3, appare evidente come l'intervento sull'articolo 69 del codice penale - in tema di esclusione del giudizio di prevalenza delle eventuali circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti a tal fine specificamente considerate nello stesso articolo 3 - sia un'altra dimostrazione di come l'intervento sulla prescrizione volto a "salvare" l'onorevole Previti abbia poi portato la Camera dei deputati a ulteriori interventi, per così dire compensativi, che determinano un straordinario e ingiustificato inasprimento del quadro sanzionatorio vigente. In questa stessa prospettiva critica si inseriscono gli aumenti previsti per gli aggravamenti di pena conseguenti alla recidiva così come la reintroduzione di un'ipotesi di aumento obbligatorio della pena nei casi di recidiva relativi ai delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale.
Per quel che concerne l'articolo 5 la modifica apportata alla disciplina della continuazione è a dir poco paradossale in quanto la stessa rischia di tradire, in concreto, la finalità di mitigazione del trattamento sanzionatorio che costituisce la ratio dell'istituto in questione.
L'articolo 6 rappresenta sicuramente l'aspetto centrale dell'intervento in esame e non vi è dubbio che debba esprimersi un giudizio radicalmente negativo sulla nuova disciplina della prescrizione che con lo stesso viene introdotta. Il primo profilo su cui va richiamata l'attenzione è l'assoluta irragionevolezza della scelta normativa che pone sullo stesso piano le cause di interruzione della prescrizione e le cause di sospensione della medesima, prevedendo per la prescrizione un termine unico che costituisce un limite invalicabile sia per le prime che per le seconde. Sul piano logico tale scelta non tiene conto della natura delle cause di sospensione, per lo più rappresentate da impedimenti obiettivi non imputabili all'autorità procedente e la cui presenza impone anzi a tale autorità, per espresso disposto di legge, l'obbligo di sospendere il procedimento, mentre sul piano fattuale è facilmente prevedibile come la normativa proposta faciliterà la diffusione di tattiche dilatorie e strumentali che potranno far leva, ad esempio, ora sull'impossibilità dell'imputato di partecipare al procedimento ora sull'impossibilità del difensore, per conseguire agevolmente l'obiettivo del decorso del termine prescrizionale. Altro aspetto problematico di palese evidenza è poi il mancato riferimento alle pene pecuniarie che, unito al riferimento esplicito invece alle ipotesi in cui la legge stabilisce per il reato pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, comporta l'effetto paradossale che i reati puniti con la pena pecuniaria avranno un termine prescrizionale più lungo dei reati puniti con le predette pene di specie diversa, che sono però pur sempre pene più gravi di quelle pecuniarie in quanto comunque limitano attualmente la libertà personale. Ancora dal punto di vista operativo appare assurda la scelta di calibrare il termine prescrizionale diversamente a seconda della sussistenza dei presupposti previsti dall'articolo 99 del codice penale in materia di recidiva, in quanto ciò finisce per determinare il rischio della creazione di un sistema processuale a due velocità, mentre sotto un diverso punto di vista la determinazione dei termini di prescrizione in relazione ai diversi reati finisce anche qui paradossalmente per prevedere termini comparativamente più lunghi gli illeciti meno gravi rispetto a quelli previsti per gli illeciti più gravi.
Conclusivamente si è in presenza di un intervento disastroso per l'efficienza del processo penale al quale fanno seguito, negli articoli 7, 8 e 9 del testo, disposizioni che modificano la disciplina dell'esecuzione della pena, introducendo soluzioni anche in questo caso centrate sull'attribuzione di un'importanza fondamentale alla recidiva ovvero all'età del reo e che non si riesce a ricondurre ad una impostazione razionale e comprensibile.
Infine nell'articolo 10 deve richiamarsi l'attenzione su un lapsus rivelatore della esclusiva attenzione del legislatore, in questo caso, ai procedimenti in corso e agli effetti che su di essi avrà la nuova normativa in quanto in tale articolo si prevede espressamente che la nuova legge "si applica ai fatti commessi anteriormente" alla sua data di entrata in vigore omettendo però di inserire dopo le parole "si applica" la parola "anche" che è invece normalmente utilizzata in questi casi. E' un profilo su cui è evidente la necessità di un intervento correttivo unitamente, più in generale, ad una riflessione attenta in merito al fatto che la disposizione transitoria in questione fa retroagire anche disposizioni di carattere esclusivamente processuale il che suscita fortissime e, a suo avviso, insuperabili perplessità da un punto di vista sistematico.
Il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) propone che, anche alla luce di dati che sono stati pubblicati recentemente dalla stampa quotidiana, la Commissione proceda, nella sede che dalla medesima verrà definita, all'audizione del Primo Presidente della Corte di cassazione.
Il presidente Antonino CARUSO prende atto della proposta avanzata dal senatore Massimo Brutti e avverte che la stessa sarà esaminata nelle sedute della Commissione previste per la giornata di domani.
Rinvia infine il seguito dell'esame congiunto.
ANTICIPAZIONE DELL'ORARIO DI INIZIO DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI DOMANI
Il presidente Antonino CARUSO avverte che la seduta pomeridiana della Commissione, già convocata per domani alle ore 14,30, è anticipata alle ore 14,15.
POSTICIPAZIONE DELL'ORARIO DI INIZIO DELLA SOTTOCOMMISSIONE PARERI.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che la seduta della Sottocommissione pareri, già convocata per domani alle ore 14,15, è posticipata alle ore 16,30.
La seduta termina alle ore 16,30.
GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 26 gennaio 2005
422a Seduta (pomeridiana)
Presidenza del Presidente
Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Vietti e Vitali.
La seduta inizia alle ore 14,25.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta di ieri.
In apertura di seduta il sottosegretario VITALI consegna alla Commissione i dati richiesti nella seduta del 13 gennaio scorso finora pervenuti che, per la loro incompletezza, debbono essere considerati provvisori. Essendo prevedibile un ritardo nella completa trasmissione delle informazioni rispetto ai tempi di esame del provvedimento in titolo, ha peraltro ritenuto utile incaricare gli uffici del Ministero della giustizia di effettuare un'elaborazione dei dati disponibili che si avvicini il più possibile alla realtà.
Il presidente Antonino CARUSO informa la Commissione che l'ufficio del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura ha fatto sapere che i dati richiesti potranno essere trasmessi solo sulla base di una richiesta formale. Si incarica quindi di chiarire la vicenda attraverso i necessari contatti istituzionali.
In relazione poi alla richiesta avanzata dal senatore Massimo Brutti (DS-U) nella seduta di ieri di procedere all'audizione del Primo Presidente della Corte di cassazione, a seguito della pubblicazione di uno studio redatto dall'ufficio del Massimario della Corte che affronta la tematica della prescrizione, il Presidente chiede alla Commissione di pronunciarsi.
Il senatore CALVI(DS-U), chiede se sia possibile rinviare la decisione al momento in cui il senatore Massimo Brutti sarà presente in Commissione. Nel prendere quindi la parola in discussione generale, tiene a sottolineare che il suo intervento è frutto di un lavoro collegiale dell'intero gruppo di appartenenza alla redazione del quale ha contribuito, in particolar modo, il senatore Fassone ed è pertanto da considerarsi rappresentazione puntuale del punto di vista della sua parte politica.
Il disegno di legge n. 3247 affronta quattro temi: le circostanze; la recidiva; la prescrizione; l’ordinamento penitenziario (quest’ultimo sotto la particolare angolatura del trattamento riservato ai recidivi).
Per quanto attiene le circostanze, non risulta chiara la ratio della diminuzione della pena per la persona ultra-settantenne prevista dall'articolo 1. L’età avanzata viene in considerazione per esigenze umanitarie, e quindi può giustificare, di regola, solo un’attenuazione del rigore nell’esecuzione della pena o delle misure cautelari, non una riduzione della pena irrogabile (cfr. articoli 275 del codice di procedura penale e 47-quater dell'ordinamento penitenziario; e, in certo modo, anche articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002).
Il fatto che la minore età venga in considerazione per una riduzione della pena non può d'altra parte essere utilizzato per analogia, poiché in quel caso si tratta di una effettiva minore capacità di intendere e di volere, conseguente all’età, il che non si verifica nell’ultrasettantenne. In ogni caso, se la ratio è di tipo umanitario, non pare giustificato escludere il recidivo, in specie se si tratta di recidiva semplice. Si ravvisa inoltre una contraddizione tra il rilievo dato all’età avanzata nel momento della commissione del fatto, e la perdita di tale rilevanza se successivamente, e cioè nel momento della sentenza, il soggetto assume la qualifica di recidivo. Qualora si replichi che la legge, in realtà, prende in considerazione il binomio costituito dall'età avanzata insieme all'incensuratezza, si deve controreplicare che allora il binomio deve sussistere in entrambi i momenti salienti, e non solo nel momento della sentenza.
Infine, considerando che l'ultrasettantenne incensurato fruisce di una diminuzione di pena, mentre il già condannato subisce un aumento della medesima, viene a mancare uno "spazio di normalità", cioè una situazione nella quale si applica puramente e semplicemente la pena edittale.
Ancora, per quanto riguarda il tema delle "circostanze", di cui all'articolo 2, comma 1 e da rilevare come nel comma 2 dell’articolo 62-bis del codice penale risulti improprio definire "circostanze" le situazioni considerate dall’articolo 133. L’articolo 133-bis definisce criterii parametri considerati dall’articolo 133, e la locuzione deve essere mantenuta.
La ratio della disposizione, a quanto pare, è quelle di limitare la concessione delle attenuanti generiche agli autori di reati gravi, che siano anche recidivi. A questa stregua non si comprende perché non si debba tenere conto, ai fini della concessione delle generiche, dell’intensità del dolo, dei precedenti e di quant’altro elencato nelle parti indicate dell’articolo 133, proprio in presenza di reati considerati di elevato allarme. La norma si presta ad essere letta nel senso che - proprio in presenza dei reati ex 407 del codice di procedura penale e di recidiva qualificata - non si tiene conto della medesima, né dell’intensità del dolo, per quanto elevata. Si suggerisce quindi, quanto meno, di introdurre una precisazione del genere: "non si tiene conto, quando giocano a favore dell’imputato, …..". Va considerato, inoltre, che il sostanziale divieto (o quanto meno la fortissima limitazione, posto che non possono essere utilizzati i normali parametri afferenti le condizioni esistenziali del reo) di concessione delle attenuanti generiche, in presenza di condanne alla pena dell’ergastolo, rischia di consolidare tale sanzione estrema, con aspetti di eccessiva rigidità, a termini dell’articolo 27, comma 3, della Costituzione.
Proseguendo nel suo intervento, il senatore Calvi osserva come la norma di cui all'articolo 3 sembra voler escludere la prevalenza delle attenuanti quando vi è recidiva qualificata (o le circostanze di cui agli articoli 111 e 112 del codice penale). Ciò significa che non è preclusa l’equivalenza, per cui tutti gli inasprimenti voluti dall’articolo 4 potranno comunque essere sterilizzati dal bilanciamento. Questo non è un male, specie pensando alle recidive plurime dei tossicodipendenti: ma certo diminuisce di molto l’impatto della normativa, specie per i delitti che non ricadono nel catalogo di cui all’articolo 407 codice di procedura penale, per i quali è possibile il pieno utilizzo dei parametri ex articolo 133 del codice penale, ai fini delle attenuanti generiche.
Il dire che "le disposizioni del presente articolo"(cioè tutte, non solo il secondo comma dell’articolo 69 del codice penale che è quello della prevalenza) non siapplicano("sono escluse") quando c’è la recidiva qualificata, si presta d'altro canto ad essere letto anche nel senso che non c’è più alcuna normativa applicabile nella situazione considerata dal primo comma (prevalenza di aggravanti), o dal secondo comma (prevalenza delle attenuanti quando non si parla di recidiva) o dal terzo comma (equivalenza). In realtà, la deroga dovrebbe essere apportata al solo secondo comma, dicendo che "non è consentito il giudizio di prevalenza quando …."
Merita poi considerazione il caso della diminuentespeciale prevista dal codice di procedura penale per effetto dell’adozione del rito abbreviato o del patteggiamento. Detta diminuente opera tecnicamente, o aritmeticamente, come una circostanza attenuante, ma in realtà non sembra che essa possa venire negata a chi ha scelto quel tipo di rito processuale, poiché, a termini dell’articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale ("…la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo") la pena deve essere sempre diminuita, in conseguenza del rito, dopo che il giudice ha compiuto tutte le operazioni di legge relative alle circostanze in senso proprio. Una diversa conclusione, d’altronde, produrrebbe una vera e propria fuga dai riti alternativi.
Per quanto attiene alle modifiche apportate alle disposizioni dell'articolo 99 del codice penale in tema di recidiva, il senatore Calvi svolge una serie di considerazioni a partire dall'articolo 4, commi 1 e 2. La recidiva semplice prevede un aumento di pena facoltativo, ma rigido nella quantità ("può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena"). La recidiva qualificataprevede un aumento facoltativo, ma flessibile("… fino alla metà"). Se poi si tratta di uno dei delitti di cui all’articolo 407 del codice di procedura penale, l’aumento è in ogni caso obbligatorio. Il risultato empirico è che il primo aumento, quello per la recidiva semplice, non sarà quasi mai applicato (tranne che per i delitti di cui al comma 6, cioè quelli ex 407 del codice di procedura penale, per i quali è obbligatorio), specie quando il reato sottoposto a giudizio è sanzionato con una pena grave, che dovrebbe essere aumentata di un terzo, e cioè in misura pesante, a fronte di una recidiva molto leggera. Il risultato sul piano sistematico è che, se il giudice decide di applicare l’aumento, egli finisce col trattarepiù gravemente la situazione meno grave (pena aumentata di un terzo) che non la più grave (aumento fino alla metà, e quindi, teoricamente, anche di un solo giorno). E’ assai dubbia la ragionevolezza della normativa sul punto.
Inoltre, ai fini della recidiva, il nuovo delitto assume rilevanza solamente quando è "non colposo". Giusto non appesantire la situazione quando il delitto su cui si scarica l’aumento per la recidiva è un delitto doloso. Ma appare inopportuno sterilizzare del tutto la recidiva fra delitti tutti colposi ed omogenei: una reiterazione di infortuni stradali o sul lavoro denota una pericolosità che, in un contesto di rigore verso la recidiva, non merita di essere del tutto ignorata.
Relativamente ai commi 3 e 4 dell'articolo 4, gli aumenti rigidi della metà e dei due terzi (commi 3 e 4) possono essere oggettivamente eccessivi, anche se temperati dal comma 5. Si pensi al curriculum dei tossico-dipendenti, che spesso è ricco di episodi molteplici ma non gravi, e che produrrà condanne tombali.
Giusto che l’aumento di pena per la recidiva non possa superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti. Ma è troppo poco, poiché per quei reati (cioè quelli che producono la recidiva) si realizza un vero e proprio raddoppio di pena. Cioè, mentre il nuovo articolo 99 considera la recidiva come capace di produrre un aumento di pena al massimo di due terzi, con questo meccanismo, a rovescio, i reati commessi come primo e come secondo vedono raddoppiare la propria pena per effetto della commissione del terzo reato.
Inoltre nel comma 5 non si dice quale è il limite all’aumento, qualora la/le condanna/e precedente sia alla sola pena pecuniaria. La norma si può interpretare nel senso che l’aumento di pena sarà pari alla quantità di reclusione che si determina in forza della conversione delle pene pecuniarie anteriori: ma in tal caso si avrebbe una pena pecuniaria che si proietta in una pena detentiva, contro quanto stabilito da Corte Costituzionale n. 131 del 1979. Ovvero si può interpretare che l’aumento di pena corrisponde, appunto, alla (o alle) pene pecuniarie precedentemente irrogate: ma se il reato in questione non prevede la pena pecuniaria, è incongruo sanzionarlo con pena congiunta a causa della recidiva.
In merito all'articolo 4, comma 6, non è chiaro se l’aumento di pena, nel caso di delitti ex articolo 407 del codice di procedura penale, debba essere obbligatoriamente non inferiore ad un terzo anche se questo terzo supera il cumulo delle pene precedenti, ex comma 5. La collocazione del comma in esame dopo il predetto comma 5 sembra escludere, appunto, l’applicabilità del limite. Se così è, l’aumento rigido appare ingiustificato, poiché lo stesso reato (il primo) non solo riceve doppia pena, ma, in questo caso, la seconda può essere persino maggiore della prima. E’ opportuno, pertanto, o posporre il comma 5 in fine di articolo, o prevedere espressamente nel comma 6 che è fatto salvo il limite di cui al comma 5.
In ordine all'articolo 5, comma 1, l’aumento di pena quale previsto per il concorso formale di reati e per la continuazione, in presenza di recidiva qualificata, conduce a conseguenze inaccettabili. Innanzi tutto, poiché la recidiva viene computata due volte. Infatti l’aumento dovuto alla continuazione è calcolato dopo che sono state compiute tutte le operazioni di quantificazione della pena a proposito del reato-base, e quindi dopo che è stata conteggiata anche la recidiva. Dopo di che, quest’ultima agisce anche sul reato-satellite, il quale subisce un altro aggravamento di pena rispetto alla sua sanzione, quale si determinerebbe "naturalmente" ai sensi del vigente articolo 81 del codice penale.
Inoltre questa disciplina può condurre ad una sanzione, per il reato-satellite o per il reato formalmente concorrente, in concreto molto più pesante di quella che essi avrebbero prodotto da soli. L’aumento, infatti, non può essere inferiore ad un terzo della pena inflitta per il reato-base, e se questo è molto grave, l’aumento sarà a sua volta assai consistente, anche se il reato "satellite" giustificherebbe una pena molto minore (esempio: rapina aggravata e porto di coltello: sei anni per la prima, anche in forza della recidiva, e due anni di reclusione per il secondo, che in via ordinaria, ex articolo 81 del codice penale, sarebbe stato sanzionato con qualche giorno o settimana di arresto). E’ bensì vero che la norma fa salvi i limiti indicati dal terzo comma dell’articolo 81 del codice penale (il quale stabilisce che "La pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti"), ma ciò può non bastare. Infatti tra gli articoli precedenti, qui viene in considerazione l’articolo 73 del codice penale, a detta del quale - in situazione in cui non operino gli istituti mitigativi di cui all’articolo 81 - "se più reati importano pene detentive della stessa specie, si applica una pena unica per un tempo uguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati". Ciò significa che se, ad esempio, un reato è sanzionato con sei anni e l’altro (alla stregua del solo cumulo materiale) con un anno, l’articolo 73 riduce bensì la pena complessiva a sette anni, anziché gli otto anni che scaturirebbero dall’aumento di un terzo. Il recidivo, in sostanza, fruisce del c.d. cumulo materiale, anziché del più mite cumulo giuridico. Ma, in questo modo, il recidivo viene totalmente privato dei benefici conseguenti all’applicazione della continuazione. La natura giuridica della recidiva non pare consentire questa deprivazione. Sussistono dubbi di legittimità costituzionale sotto entrambi i profili considerati.
Le considerazioni svolte valgono anche a riguardo dell’articolo 671 del codice di procedura penale.
Per quanto concerne la prescrizione, si osserva in relazione al nuovo primo comma dell'articolo 157 del codice penale, che non si comprende la ratio della disposizione. Se con l’intervento si intende ridurre i termini di prescrizione per accelerare la conclusione dei processi, allora è assurdo che i termini vengano ridotti per i delitti più gravi, rendendo così più difficile l’azione di contrasto nei loro confronti, e vengano invece allungati per i delitti meno gravi: infatti i delitti puniti con una reclusione massima inferiore a cinque anni vedono esteso il termine attuale di cinque anni a quello di sei anni, mentre i delitti puniti con la reclusione massima di dieci anni vedono il termine ridotto da quindici a dieci anni. La disposizione appare manifestamente irragionevole. Inoltre la riduzione del termine di prescrizione per i delitti più gravi collide con il dichiarato proposito di inasprire il trattamento sanzionatorio per i recidivi. Infatti la drastica riduzione dei termini di base porterà ad un aumento notevole dei reati prescritti: e quindi molte sentenze di condanna, che avrebbero prodotto la qualità di recidivo, non saranno sentenze di condanna ma di proscioglimento, vanificando l’inasprimento voluto per la seconda, o plurima, commissione di reato (sempre che anche questa, a sua volta, non finisca pur essa in prescrizione). Il comma 5 dell'articolo 6, facendosi carico di questo probabile effetto, tenta di porvi rimedio aumentando la quota di estensione del termine di base per effetto di interruzione o di sospensione del medesimo. Ma, da un lato, il rimedio appare assai discutibile, perché la recidiva non giustifica effetti su istituti diversi dal trattamento sanzionatorio (quantità di pena, o benefici vari). Dall’altro lato, il rimedio, ove pur fosse giustificabile, non pone riparo sufficiente: un termine prescrizionale che oggi è di dieci anni più cinque, domani sarà, anche nel caso di recidiva più negativa, di sei anni più quattro, non difficile da valicare.
Il nuovo secondo comma dell'articolo 157 del codice penale prevede che, ai fini di determinare il tempo necessario a prescrivere si tiene conto delle sole aggravanti ad effetto speciale, e non sono invece considerate le aggravanti per le quali "la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato" (nozioni che l’articolo 63 comma 3 del codice individua come distinte). Questo significa che le aggravanti che producono il passaggio dalla reclusione all’ergastolo (articoli 576 e 577 del codice penale) non vengono conteggiate. Di qui l’evenienza che delitti gravissimi, oggi non passibili di prescrizione, eventualmente scoperti dopo molto tempo ma non per questo meno gravi, diverranno soggetti a prescrizione di 24 anni.
Nella nuova formulazione dell'articolo 157 manca poi ogni previsione relativamente ai delitti punti con la sola penapecuniaria (per i quali la norma vigente provvede assimilandoli ai delitti della fascia minore). Il risultato è che questi delitti, che sono i più lievi, diventano imprescrittibili. Si può replicare che il primo comma dell’articolo 157 del codice penale contempla una situazione residuale universale ("e comunque un tempo non inferiore a sei anni …"): ma la struttura dell’articolo è quella di una corrispondenza fra il tempo della prescrizione e il tempo corrispondente al massimo della pena edittale: dunque la pena pecuniaria, per definizione, non vi rientra.
L’avere espressamente stabilito che la prescrizione è rinunciabile consente di affermare con maggiore fondatezza che cosa accade qualora, avendo l’imputato rinunciato alla prescrizione, il processo ne accerti la colpevolezza. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, si deve condannare, altrimenti l’economia processuale sarebbe del tutto vanificata. Dall’innovazione di cui al comma 6 discende che la prescrizione non è un istituto di natura sostanziale, bensì di natura processuale. Ciò che l’imputato fa venir meno con la rinuncia è la conclusione in rito del processo: egli fa valere, in nome del diritto di difesa, una pretesa all’accertamento, il quale ovviamente è a doppia uscita.
Al riguardo, va sottolineato che da tale premessa discendono importanti conseguenze in tema di legge penale sopravvenuta più favorevole.
La normativa vigente prevede che per il reato continuato il termine per la prescrizione decorra dal giorno in cui è cessata la continuazione. Il disegno di legge, sopprimendo questa disposizione, fa decorrere il termine da ciascuno dei reati. L’innovazione urta anch’essa contro la natura del reato continuato, che in tanto giustifica il trattamento ad esso riservato, in quanto è considerato a tutti gli effetti come un reato unitario. Il rendere prescrivibile una parte del reato continuato e non l’altra, e magari prescrivibile proprio il reato-base, tra l’altro collide con l’obiettivo perseguito dall’articolo 5.
Il nuovo primo comma dell'articolo 159 del codice penale capovolge l’elencazione del testo vigente, con il risultato di considerare autonomamente, per una seconda volta, sia l’autorizzazione a procedere (n. 1) sia la sospensione per impedimento (n. 3), che sono già tutte incluse nella disposizione generale di cui alla prima parte del comma. Nel caso di impedimento dell’imputato o del suo difensore, la sospensione del processo, e quindi del termine di prescrizione, si verifica inoltre solamente "per il tempo dell’impedimento". Questo produce difficoltà di ordine pratico spesso insuperabili (quanto è durata la malattia dell’imputato?), laddove è indispensabile conoscere con certezza il formarsi del termine di prescrizione. Esso produce altresì un’illogicità di ordine sistematico, poiché l’articolo 304 del codice di procedura penale, nel regolare la medesima situazione in tema di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, assegna rilevanza non al solo "tempo dell’impedimento", ma all’intero "tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato". Prevedere una disciplina ampia in materia di libertà personale, e rigorosissima in materia di prescrizione, appare manifestamente irragionevole.
Il comma considera quale dies a quo della sospensione della prescrizione il "momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta" di autorizzazione a procedere. Ciò può essere appropriato quando si tratta dell’autorizzazione di cui all’articolo 313 del codice penale; non quando si tratta di richiesta presentata dal giudice ex articolo 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003 n. 140, in cui la domanda non mira ad ottenere un’autorizzazione a procedere, ma in cui è comunque imposta dalla legge una sospensione del processo. Sembra opportuno disciplinare anche questa situazione.
Con l’articolo 160 del codice penale si attribuisce rilevanza ad una serie di atti processuali, il cui compimento, essendo significativo di un’attivazione dell’apparato giudiziario, giustifica il "ripartire dell’orologio". Con l’articolo 161 del codice penale si devitalizza, in pratica, la maggior parte di quegli atti. Infatti, se l’aumento è comunque ristretto ad un quarto del termine di base, ogni atto che sia compiuto dopo il primo quarto del medesimo non ha più alcuna efficacia.
E' forte al riguardo il sospetto di irragionevolezza della previsione.
Sempre in relazione alle modifiche apportate all'articolo 161 del codice penale è assurdo che la sospensione del processo, in ipotesi anche molto ampia, per causa non addebitabile in alcun modo agli attori del processo, penalizzi il processo medesimo in ogni caso. Si pensi alla sospensione dovuta alla incapacitàdell’imputato(articolo 71 del codice di procedura penale), che può durare anni, e che non trova più riconoscimento, se non minimo o nullo, nella disciplina del disegno di legge.
Inoltre è preoccupante la scomparsa del vigente articolo 161, comma 2 ("Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l’interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri"). L’eliminazione di questa norma si presta a far insorgere cause di sospensione per taluno dei reati connessi, e quindi avviare più facilmente gli altri a prescrizione.
Va conclusivamente osservato che una forte riduzione dei termini di prescrizione avrà come ulteriore effetto negativo un ancora maggior rifiuto di ricorrere ai riti alternativi: nella comparazione tra una pena ridotta ma certa e un’estinzione del reato sempre più probabile, vi sarà - per lo meno per i reati il cui termine di prescrizione non è lunghissimo - una fuga ancora più pronunciata dal giudizio abbreviato e dal patteggiamento, con ulteriore affollamento dei dibattimenti ed effetto moltiplicatore in termini di lunghezza dei medesimi e di estinzione dei reati.
Particolare attenzione deve inoltre essere dedicata all’effetto dirompente che la nuova normativa avrà su un numero elevatissimo di processi in corso, i quali sono gestiti avendo come prospettiva legittima un certo termine di prescrizione, e si troveranno a dover fare i conti con un termine assai più breve, in taluni casi non osservabile in alcun modo. Occorre ricordare che, quando venne varata la riforma costituzionale dell’articolo 111 - la quale introduceva un’innovazione altrettanto dirompente sul regime di utilizzabilità delle prove - il legislatore, proprio per evitare una falcidia di processi condotti con l’osservanza delle norme allora vigenti, dettò una normadi rango costituzionale(l’articolo 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999) che rinviava ad una legge ordinaria per mitigare l’impatto della riforma sui processi in corso. Ciò significa che esiste un principio, sancito a livello costituzionale, di tutela dei processi in corso di fronte a norme fortemente innovative. Se la nuova norma sul "giusto processo", pur dettata da un principio di civiltà giuridica assai più elevato di quello in discussione, trovò una deroga temporanea per salvare i processi in corso, a maggior ragione deve essere introdotta una norma transitoria nella presente materia.
Per quanto concerne l’ordinamento penitenziario, si osserva che il riassetto della detenzione domiciliare sembra muoversi su tre linee: estensione sino alla totalità della pena per l’ultra-settantenne incensurato (salva esclusione per i reati considerati "gravi"); esclusione della misura per i reati "gravi" (disposizione già vigente) e per i recidivi ex articolo 99, comma 4; recupero della possibilità della misura anche per il recidivo ex articolo 99, comma 4, se appartiene ad una delle categorie speciali (ultra 60; infra 21; malato; genitore).
Il nuovo comma 0.1 introduce la regola che la pena della reclusione, di qualunque entità, è scontata in detenzione domiciliare se il condannato è ultrasettantenne e non recidivo. Il principio è abnorme, a) perché il reato può essere stato commesso anche molti anni prima dell’età avanzata; b) perché l’esigenza umanitaria, che pare essere l’unica ratio giustificatrice del beneficio rafforzato, trova già nella disciplina vigente una speciale considerazione; c) perché un’esigenza così forte da condurre alla non carcerazione totale, a prescindere dall’entità della pena, viene inspiegabilmente annullata da una recidiva anche modesta e insignificante (ad esempio una multa in età giovanile). A mitigare questa disciplina, il disegno di legge eccettua dal beneficio tutta una serie di delitti, considerati gravi, ma nel far ciò incorre in ripetizioni ed illogicità. I delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, ad esempio, compaiono una prima volta nel quadro del "libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale"; compaiono una seconda volta all’interno dell’articolo 51 comma 3-bis del codice di procedura penale e compaiono una terza volta nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario medesimo. Fra i delitti come sopra eccettuati ne compaiono alcuni (articolo 600-quater del codice penale, detenzione di materiale pedo-pornografico, punibile addirittura con la sola multa; articolo 609-quater del codice penale, specie nei casi di "minore gravità") la cui gravità non è tale da giustificare l’esclusione. Viceversa, dall’elenco sono esclusi delitti di sicura gravità, almeno quale desumibile dal livello di pena edittale: i delitti contro l’incolumità pubblica (quando non commessi per finalità di terrorismo), la concussione, il riciclaggio, la clonazione di esseri umani e altri. Infine: appare anomalo che l’ultra-sessantenne, purché affetto da una qualche inabilità parziale, possa godere di tre anni di detenzione domiciliare, anche se recidivo semplice (e i tre anni potrebbero anche rappresentare l’intera pena); mentre, nella stessa condizione giuridica e per il medesimo delitto non ostativo, ciò è precluso all’ultra-settantenne, la cui condizione umana, peraltro, è considerata così rilevante da meritargli la misura per grande che sia la pena da espiare (il che va letto come se l’ultra-settantenne fosse connotato da inabilità presunta alla detenzione carceraria). La norma non è facilmente difendibile sul piano della ragionevolezza.
L’articolo 50-bis, di nuova introduzione, estende la quantità di pena espiata, necessaria per ottenere la semi-libertà, in capo ai recidivi. L’espressione usata ("ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale") è tuttavia impropria (perché ciò che si applica è l’aumento della pena, e non la recidiva) e causa di incertezze. Che cosa avviene se la recidiva è stata ritenuta, ma bilanciata da attenuantise si tratta di recidiva semplice, ma entrambi i delitti ricadono sub 4-bis dell'ordinamento penitenziario (il quarto comma dell’articolo 99 presuppone la commissione del terzo reato). Questa situazione appare infatti più grave della recidiva "tripla" ma con precedenti insignificanti.
In ogni caso appare necessaria una disposizione transitoria, che chiarisca se la nuova restrizione si applichi o meno ai condannati che, al momento di entrata in vigore della legge, avevano già maturato un’espiazione di pena in misura sufficiente ad ottenere la semi-libertà. L’articolo 10 del disegno di legge non contiene disposizioni a questo riguardo.
Il comma 7 dell'articolo 7 pone il divieto di concedere più di una volta le misure alternative al recidivo ai sensi del quarto comma dell'articolo 99. Il divieto deve ritenersi operante anche se la misura applicata si è conclusa positivamente ed anche se all’affidato in prova è stata concessa la detrazione di pena ex articolo 54, sintomo di "positivo evolversi della sua personalità"; e persino se la nuova condanna (cioè quella che attribuisce all’interessato la qualità di "autore del terzo delitto") concerne un reato commesso anteriormente alla misura alternativa già fruita, ma passato in giudicato dopo. La norma è evidentemente di dubbia ragionevolezza.
Gli istituti di cui all'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 attengono la fase dell’esecuzione, e la pena detentiva inflitta può essere (anzi, di regola, è) essa medesima frutto di cumulo di varie condanne; e per taluna di queste condanne è altamente normale che sia stata applicata la recidiva, anche quella qualificata ai sensi del quarto comma dell'articolo 99 del codice penale. La dilatazione a quattro anni, prevista dal testo vigente, è appunto dettata dall’esigenza di racchiudere (o sperare di racchiudere) in un unico trattamento terapeutico una fase di vita del tossicodipendente. Con la prima proposizione dell'articolo 94-bis si contraddice la finalità primaria della norma.La lotta contro la recidiva non può trascurare che la recidiva del tossicodipendente ha connotati del tutto particolari. Al limite, si può intervenire sul comma 5 dell’articolo 94, stabilendo che la seconda fruizione del beneficio deve concernere una quantità di pena più ridotta della prima.
L’articolo 656 del codice di procedura penale ha in effetti prodotto molte disfunzioni. Tuttavia, il renderlo inoperante nei confronti dei recidivi, sia pure ai sensi del quarto comma dell'articolo 99 del codice penale, significa di fatto abrogarlo: infatti, se il soggetto deve essere incarcerato, è segno che non ha potuto fruire della condizionale, e quindi è, di regola, un recidivo plurimo.
L'articolo 10 recita: "La presente legge … si applica ai fatti commessi anteriormente … e ai procedimenti in corso … salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli". Dunque se contiene disposizioni più favorevoli, si applica ai reati commessi in passato; se contiene disposizioni meno favorevoli (ad esempio la recidiva, la prescrizione per i reati lievi), si continuano ad applicare le norme vigenti. Nulla è previsto per il futuro.
Sembrerebbe ovvio rispondere che una legge, per definizione, si applica agli accadimenti posteriori alla sua entrata in vigore. Ma questa dice espressamente che "entra in vigore il …" e "si applica a …". Dunque potrebbe sostenersi che, proprio perché consapevole dell’effetto pesantissimo che una simile normativa avrebbe se operante in perpetuo, il legislatore ha ritenuto di circoscriverne l’efficacia: "si applica ai fatti passati". In tal caso, peraltro, ne uscirebbe rafforzato il suo carattere di amnistia mascherata, perché l’effetto sarebbe circoscritto ad una certa data; nonché di norma di favore, perché destinata ai processi in corso.
Interviene quindi il senatore AYALA (DS-U) che, dopo aver fatto rinvio alle considerazioni di natura squisitamente tecnica espresse dal senatore Calvi, preannuncia un intervento sintetico nel quale si limiterà a richiamare l'attenzione della Commissione sugli aspetti più problematici del disegno di legge n. 3247 perché contrari in modo stridente a qualsiasi criterio di ragionevolezza.
Innanzitutto, appare perlomeno strano che il disegno di legge non faccia alcun riferimento nel suo titolo ad alcuni degli argomenti che non secondariamente sono stati affrontati, quali ad esempio l'intervento operato sull'articolo 416-bis del codice penale e quello in materia di prescrizione.
In secondo luogo, non può risultare esente da una forte critica l'eterogeneità delle materie disciplinate nel disegno di legge; tale modo di legiferare si pone infatti in netto contrasto con l'esigenza di una produzione legislativa, soprattutto in campo penale, che risponda a criteri di chiarezza e di omogeneità.
La rozzezza e l'irragionevolezza di talune disposizioni approvate dalla Camera dei deputati lo inducono a rivedere una sua iniziale contrarietà al sistema del bicameralismo perfetto consentendo questo, ad esempio nel caso in esame, la possibilità di correggere invece i macroscopici errori commessi dall'altro ramo del Parlamento.
In particolare, per quanto riguarda i profili sanzionatori, le norme proposte realizzano una forte compressione di alcuni principi basilari del codice penale, riferibili alla funzione anche rieducativa della pena, così come indicato nel terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione. La qual cosa impone che il giudice debba poter esercitare una certa discrezionalità sia pure all'interno di alcuni parametri. Il disegno di legge, al contrario, finisce invece per ridurre l'attività del giudice nella determinazione della pena ad un puro e semplice conteggio ragionieristico e per questo la norma, senza ombra di dubbio, gli appare decisamente antistorica.
Qualifica come errore da emendare l'aver definito "circostanze" quelle di cui all'articolo 133, primo comma, numero 3 del codice penale, laddove correttamente si deve parlare di "criteri": non è questione lessicale ma è conferma di quella rozzezza legislativa che pervade l'articolato, in questo come in altri casi. Come, ad esempio, il non tenere conto dell'intensità del dolo e degli altri parametri sol perché l'imputato è recidivo e non consentendo al giudice una sua valutazione al riguardo fa correre il serio rischio di causare disarmonie nella determinazione concreta della pena che appaiono incomprensibili.
Non è escluso, così ragionando, ipotizzare conseguenze anche estreme come quella per cui applicando tale meccanismo si potranno avere più condanne all'ergastolo, che il giudice non potrà evitare attesa la grave diminuzione della sua discrezionalità.
Riferendosi poi alla recidiva, si sofferma sulle innovazioni introdotte che gli appaiono non prive di contraddizioni e che fanno correre il rischio concreto di trattare più gravemente situazioni meno gravi.
Riferendosi poi alla prescrizione, non nega che esistano problemi in materia. Di tale istanza si è fatto carico anche l'opposizione con il disegno di legge n. 2699 di cui il senatore Fassone è primo firmatario. Ma la ratio del disegno di legge della maggioranza, invece, ha per obiettivo esclusivo quello di favorire una persona di cui ormai non si ha nemmeno più il pudore di nascondere il nome e cognome e suscita perplessità il fatto che per raggiungere tale obiettivo si debba pagare un prezzo elevatissimo producendo una disciplina dagli effetti a dir poco devastanti. La giustizia italiana è indubbiamente afflitta da una serie di mali, che hanno la loro origine nella insopportabile lentezza del processo, lentezza censurata anche in sede europea, che fa passare in secondo piano invece l'elevata qualità del processo.
Sarebbe stato opportuno intervenire sulla causa reale del problema accorciando i termini medi di durata dei processi risolvendo in tal modo anche il problema della prescrizione. Il disegno di legge si muove esclusivamente sul versante della diminuzione dei termini di prescrizione trascurando invece gli altri aspetti processuali e per di più, allunga la prescrizione per fatti meno rilevanti mentre la diminuisce in maniera significativa per i fatti di maggiore gravità. Così adesempio, il disegno di legge determina, per i reati per i quali è prevista la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, che la prescrizione passi da cinque a sei anni e, per i reati puniti con la reclusione nel massimo fino a dieci anni, che la prescrizione passi da quindici a dieci anni
Inaccettabile poi gli appare l'imprescrittibilità dei delitti puniti con la sola pena pecuniaria.
Proseguendo nel suo intervento, il senatore Ayala esprime una forte critica sul disposto del nuovo articolo 159, comma 1, numero 3) del codice penale in materia di sospensione del corso della prescrizione laddove è previsto che l'impedimento delle parti determina la sospensione del procedimento o del processo limitatamente al tempo dell'impedimento stesso. Si tratta di una soluzione illogica come appare, tra l'altro, dal contrasto con il disposto dell'articolo 304 del codice di procedura penale che, in tema di custodia cautelare, prevede che l'impedimento dell'imputato o del difensore determinino la sospensione dei termini di custodia cautelare per tutto il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato
Concludendo, il senatore Ayala riserva una decisa osservazione critica sulla norma relativa all'entrata in vigore della legge di cui all'articolo 10. Disponendo che la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e si applica ai fatti commessi anteriormente a tale data ed ai procedimenti ed ai processi pendenti, questa non potrà essere mai applicata a fatti successivi. La norma in sostanza configura una vera e propria amnistia ed in quanto tale è incostituzionale non essendo stata deliberata da una maggioranza dei due terzi del Parlamento.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
GIUSTIZIA (2a)
MERCOLEDI' 26 GENNAIO 2005
423a Seduta (notturna)
Presidenza del Presidente
indi del Vice Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 21,35.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta pomeridiana odierna.
Il presidente Antonino CARUSO, dopo aver ricordato che il senatore Massimo Brutti nel corso della seduta del 25 gennaio scorso, ha formulato una richiesta di audizione del Primo Presidente della Corte di cassazione, invita i rappresentanti dei Gruppi a pronunciarsi al riguardo. Con l'occasione rappresenta altresì che, a seguito di un colloquio con il Commissario straordinario del Governo per l'attività antiracket ed antiusura, ha provveduto a formalizzare la richiesta di dati sulla durata media dei procedimenti per i reati di usura ed estorsione anche al Ministro dell'interno. Ricorda altresì che - come già annunciato nella seduta pomeridiana - sono a disposizione della Commissione i dati richiesti nella seduta del 13 gennaio scorso che devono considerarsi provvisori in quanto ancora incompleti.
Il senatore BOBBIO(AN), riferendosi preliminarmente ai predetti dati, osserva come dagli stessi non emergano situazioni tranquillizzanti rilevando che, con riferimento al primo semestre del 2004, si è prescritta una percentuale significativa dei processi pendenti dei quali più della metà nella prima fase del procedimento. Riferendosi poi ad un articolo apparso di recente sulla stampa quotidiana, non comprende come l'Ufficio del massimario della Corte di Cassazione possa essere riuscito in tempi così brevi ad effettuare una elaborazione approfondita dei dati di interesse, tale da permettere di valutare l'impatto della proposta riforma della disciplina della prescrizione. La rapidità impiegata gli appare in contrasto sia con la complessità della elaborazione richiesta, sia con i tempi medi impiegati dall'ufficio del massimario per svolgere la sua ordinaria attività. Per quanto riguarda infine la richiesta di audizione avanzata dal senatore Massimo Brutti, a nome del suo Gruppo, esprime la contrarietà a dare corso alla stessa in quanto non gli appare che dalla medesima possano trarsi elementi utili all'istruttoria legislativa.
Il senatore Massimo BRUTTI(DS-U), anche a nome del suo Gruppo, richiama l'attenzione sulle ragioni per le quali ritiene utile procedere all'audizione richiesta. Esprime preliminarmente forte preoccupazione per il prevedibile impatto della riforma dell'istituto della prescrizione sui procedimenti in corso e su quelli futuri esprimendo rammarico per l'atteggiamento fin qui seguito dalla maggioranza che non sembra voler tenere in alcuna considerazione le numerose obiezioni di natura tecnica sollevate dall'opposizione. Altro segnale negativo e preoccupante è quello per cui la maggioranza risponde alle critiche sollevate attaccando coloro che le hanno espresse. Tutto questo testimonia di un deterioramento preoccupante nel funzionamento dei meccanismi istituzionali.
Più specificamente ritiene che l'impatto della riforma della prescrizione inciderà pesantemente proprio con riferimento ai procedimenti pendenti in cassazione e in considerazione di ciò ha ritenuto e ritiene che sarebbe opportuno poter disporre al riguardo di una valutazione autorevole come quella del Primo Presidente della Corte di cassazione. Si tratta di una richiesta che non dovrebbe apparire strana alla luce delle motivazioni indicate e non si comprendono pertanto i timori e le perplessità fin qui espresse della maggioranza.
Il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) ritiene opportuno procedere all'audizione richiesta in quanto dalla stessa potranno derivare elementi utili all'istruttoria legislativa, anche se ritiene che con molta probabilità non verrà modificato l'atteggiamento della maggioranza sulla riforma. Evidenzia quindi il mutato atteggiamento e la diversa considerazione che la maggioranza rivolge alla Corte di cassazione rispetto a quanto avveniva all'inizio della legislatura. Invita quindi la Commissione a prendere in considerazione la richiesta rigettando opinioni preconcette, anche perché la stessa non dovrebbe incidere in modo negativo sui tempi di approvazione dell'iniziativa legislativa. Fa quindi affidamento sulla correttezza della Presidenza, in molte occasioni dimostrata, invitando ancora una volta ad accedere alle richieste ragionevoli ed utili provenienti dall'opposizione.
Ha poi la parola il senatore ZANCAN (Verdi-U) che, a nome del suo Gruppo, aderisce alla richiesta di audizione, osservando come i dati sia pure provvisori offerti dal Governo non gli appaiono di particolare utilità non essendo gli stessi riferiti analiticamente in relazione ai più significativi reati rispetto ai quali la prescrizione opererebbe sulla base del nuovo meccanismo che si propone di introdurre. Giudica di particolare utilità poter acquisire la valutazione del Primo Presidente della cassazione, in quanto i problemi legati alla modifica della disciplina della prescrizione avranno particolare rilevanza proprio nella fase del giudizio di cassazione e dai dati elaborati dalla Corte potrebbe emergere l'esigenza di introdurre qualche correttivo alla riforma per evitare conseguenze disastrose che al momento si possono soltanto astrattamente ipotizzare. La Corte di cassazione è in grado di effettuare agevolmente un'elaborazione circa l'impatto della riforma sui procedimenti e quindi non comprende le perplessità del senatore Bobbio.
Il relatore ZICCONE(FI), pur dichiarando comprensibile in astratto la richiesta dell'opposizione di effettuare ulteriori approfondimenti, non comprende però la necessità di avere chiarimenti rispetto a dati e dichiarazioni pubblicati sui giornali che non risultano formalmente pervenuti alla Commissione. Ritiene poi che non risponda a un atteggiamento di correttezza istituzionale quella di far partire dalla Commissione l'iniziativa di chiedere l'audizione del Primo Presidente della Corte di cassazione.
Seguono brevi interventi del presidente Antonino CARUSO - il quale rappresenta alla Commissione che sul sito della Corte di cassazione è disponibile un documento recante la rassegna della giurisprudenza di legittimità, che reca la data del 15 gennaio 2005 e sembrerebbe contenere le elaborazioni alle quali si fa riferimento - e del senatore Massimo BRUTTI(DS-U), il quale sottolinea come la richiesta di audizione prescinda dalle dichiarazioni riportate sulla stampa e si giustifichi per l'utilità di avere una valutazione autorevole della cassazione su una riforma che avrà senza dubbio impatto sui procedimenti pendenti presso la medesima.
Posta infine ai voti, la proposta di audire il Primo Presidente della Corte di cassazione, non è approvata.
Il senatore CAVALLARO(Mar-DL-U), intervenendo in discussione generale esprime preliminarmente forte preoccupazione per le dichiarazioni del responsabile per la giustizia di Forza Italia, onorevole Gargani, che ha preannunciato la blindatura del disegno di legge n. 3247 e l'esigenza che si giunga ad una rapida conclusione dell'esame parlamentare. Auspica che la Commissione come in altre circostanze possa continuare ad avere un atteggiamento di indipendenza rispetto alle indicazioni predette considerata l'importanza degli istituti che sono interessati dalle modifiche proposte nel testo trasmesso dalla Camera dei deputati. Esprime quindi forti perplessità per un'iniziativa di riforma che interviene su una serie di istituti fra loro eterogenei che attengono sia al diritto penale sostanziale sia a quello processuale sia ancora alla disciplina dell'esecuzione della pena. Da un lato si va nella direzione di un forte inasprimento delle pene in ossequio ad un'esigenza di certezza sulla quale si potrebbe anche convenire in attuazione dell'articolo 27 della Costituzione. Di contro, peraltro, appare fortemente criticabile il fatto che si intervenga su materie che avrebbero potuto trovare migliore considerazione nel contesto di una più ampia riforma del codice penale, ricordando come in proposito siano a buon punto i lavori della cosiddetta Commissione Nordio. In questa sede si potrebbe affrontare il tema di una ridefinizione del giudizio diretto alla determinazione della pena che spesso assume un rilievo marginale rispetto all'accertamento della responsabilità. L'adozione di un diverso modello che attribuisca, quantomeno ad una distinta fase del procedimento, la valutazione della pena da applicare nel presupposto della avvenuta affermazione di responsabilità della persona potrebbe meglio assolvere all'esigenza di una maggiore personalizzazione della pena.
Si sofferma quindi su quelle che ritiene le principali criticità del disegno di legge n. 3247. In primo luogo non comprende la logica che è alla base dell'introduzione della nuova circostanza attenuante correlata all'età del reo. Esprime quindi preoccupazione con riferimento alla riforma della recidiva che risulta molto più rigorosa della disciplina vigente. Si tratta di innovazioni che rispondono ad una ben precisa concezione politica che può anche meritare rispetto, ma certo non condivisione in quanto esprime una scelta inefficace sotto il profilo dell'azione di contrasto alla criminalità. Quanto poi alla riforma della prescrizione fa rinvio a quanto già espresso dagli altri oratori nel corso del dibattito esprimendo in ogni caso perplessità per l'utilizzo dell'espressione "per il tempo dell'impedimento" che sarebbe opportuno rivedere per evitare inconvenienti facilmente prevedibili. Propone quindi di espungere tutte quelle disposizioni che intervengono sulla materia della concessione dei permessi premi non già perché la stessa non meriti considerazione, quanto perché sarebbe necessaria una riflessione sulla medesima più ampia e specifica che certo non è possibile svolgere in questa occasione. Richiama quindi l'attenzione da ultimo su quanto previsto all'articolo 10 del disegno di legge n. 3247, ritenendo che le disposizioni in esso contenute appaiano a dir poco incomprensibili visto che la lettera della norma riferisce le nuove disposizioni esclusivamente ai procedimenti pendenti o alle fattispecie pregresse. Conclude il suo intervento osservando come sussistano tutte le ragioni per emendare l'articolato e richiamando su di esse ancora una volta l'attenzione della maggioranza.
Ha quindi la parola il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) il quale preliminarmente osserva come l'iniziativa in titolo, per i temi dalla medesima affrontati, possa ritenersi impegnativa, anche se poi va constatato con rammarico come la stessa sia stata elaborata con grave approssimazione e superficialità. Dopo aver fatto rinvio alle considerazioni esposte dal senatore Calvi nel corso della seduta pomeridiana odierna nel suo intervento nel quale sono state rappresentate le principali criticità del disegno di legge n. 3247 sotto il profilo tecnico giuridico, esprime la sua difficoltà per identificare una ratio comune alle disposizioni alla luce della eterogeneità dei temi affrontati. Infatti, se da un lato alcune previsioni introducono elementi di indubbia severità e rigore, di contro altre norme determinano invece vantaggi per imputati di determinate categorie di reati soprattutto se incensurati. Esprime quindi perplessità per le innovazioni introdotte con riferimento all'istituto della recidiva in particolare ritenendo inopportuna la limitazione della discrezionalità del giudice in proposito. Le previsioni spesso tra loro in contraddizione appaiono altresì in contrasto con il principio di individuazione della pena in rapporto al fatto. La riforma sembra invece rispondere ad una diversa concezione del diritto penale nella quale la pena è per lo più correlata alla personalità del reo. L'idea della individualizzazione in rapporto alla figura dell'autore corrisponde a vedute di origine positivistica alle quali si contrappone la diversa concezione del diritto penale proprio della cultura romantica che pone l'accento sulla possibilità dell'imputato di poter cambiare e conseguentemente ritiene che nella determinazione della pena non debba enfatizzarsi il rilievo dei fatti illeciti commessi in precedenza. Quella seguita su quest'ultimo punto dalla maggioranza è, sotto il profilo in esame, un'impostazione che, ancorchè non condivisibile può meritare rispetto in quanto corrisponde ad una ben precisa impostazione di politica criminale. Quello che però non si comprende è l'aver accompagnato la maggiore severità per i recidivi con una inedita e inspiegabile indulgenza manifestata nei confronti di taluni reati che non appare in alcun modo comprensibile. Si sofferma quindi più specificamente sul nuovo meccanismo previsto con la riforma dell'istituto della prescrizione, osservando come da un lato l'allungamento dei termini riguardi reati di minore rilevanza, mentre dall'altro si effettua una valutazione di minore allarme sociale rispetto ad una serie di reati che sono quelli tipici delle classi dirigenti rispetto ai quali si ritiene che l'oblio su di essi debba arrivare prima del possibile. Appare strano che, da un lato, per le contravvenzioni si introduca un trattamento della prescrizione meno favorevole di quello vigente, mentre per delitti di particolare rilevanza la nuova disciplina appare più favorevole. Adduce quindi alla Commissione una serie di esempi in proposito quali gli effetti della riforma su reati come la corruzione, la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, la frode nelle pubbliche forniture, l'attentato alla sicurezza nei trasporti, l'incendio doloso, reati per i quali la prescrizione si abbassa sensibilmente in modo inaccettabile. Per tali ragioni l'atteggiamento dell'opposizione non potrà che essere quello di una forte contrarietà all'iniziativa. Deve essere chiaro che la riforma esprimerà la prepotenza dello Stato nei confronti dei più deboli e la tolleranza dei privilegi dei più forti e l'opposizione intende focalizzare il suo impegno proprio sulla necessità di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle vere finalità del disegno di legge n. 3247.
Ha quindi la parola il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) il quale, intervenendo in discussione generale, sottolinea come il disegno di legge n. 3247 sia stato indubbiamente concepito con l'obiettivo specifico di tutelare una data persona. A riprova di ciò indica quanto avvenuto presso l'altro ramo del Parlamento in occasione dell'approvazione dell'iniziativa ricordando la soddisfazione palesata dall'onorevole Previti al quale subito sono giunti i complimenti di molti esponenti della maggioranza. Ed è questo un punto di partenza necessario perché permette di comprendere la natura del lavoro che la Commissione è chiamata a svolgere. In altri termini ciò che appare innegabile è che, in questa legislatura il vero problema del Parlamento è costituito dal "previtismo", una vera e propria malattia che determina non soltanto leggi ad personam, ma al tempo stesso iniziative giudiziarie promosse nei confronti di parlamentari ai quali si imputa l'aver espresso una legittima opinione politica. Il Parlamento dunque è costretto ed umiliato a discutere di questioni che altrimenti sarebbero state affrontate da tutti con un approccio diverso. Dichiara poi di comprendere il disagio del presidente Antonino Caruso manifestato nel corso della seduta pomeridiana e correlato alla difficoltà di portare avanti altre iniziative, come ad esempio quella di riforma del codice di procedura civile. E' indubbio infatti che i tempi del relativo esame risentono del fatto che la Commissione è chiamata di volta in volta ad esaminare con assoluta priorità provvedimenti, quale quello in questione, i quali rispondono a ben precisi interessi.
Ricorda quindi un suo disegno di legge recante misure per il contrasto della criminalità organizzata nella quale era data facoltà al Presidente del Consiglio di indicare all'inizio del suo mandato dieci persone nei confronti dei quali la legge penale non avrebbe trovato applicazione. Si tratta di un'iniziativa - se si vuole paradossale - ma che certamente avrebbe evitato quello che sta accadendo con la riforma in esame nella quale per assicurare l'impunità ad un imputato si finisce per garantire quella di migliaia di persone. Preannuncia quindi in sede emendativa una serie di rilievi tecnici volti a riconsiderare le scelte contenute nel disegno di legge n. 3247. Riferendosi più in particolare alle disposizioni che introducono un maggiore rigore nel trattamento sanzionatorio e nella configurazione di alcuni istituti, sottolinea come si tratti di interventi strumentali che hanno l'obiettivo di far passare le altre innovazioni che appaiono in contrasto con le prime. Pur essendo stato da sempre sostenitore del massimo rigore nei confronti dei fenomeni di criminalità organizzata, non ritiene però equo che un reato associativo possa essere punito con ben ventiquattro anni di reclusione. Si chiede poi che fine abbiano fatto le dichiarazioni di principio espresse da esponenti della maggioranza in occasione delle note vicende connesse a dissesti finanziari di grandi gruppi italiani quando poi viene seguita una ben diversa impostazione nel ridefinire i termini di prescrizione con riferimento ai reati di bancarotta. Dalla riforma risulterà altresì svilita la figura del giudice che trova ridotta in molti casi la sua discrezionalità nell'attività di determinazione della pena. E' questo un dato che appare in contrasto con le dichiarazioni della maggioranza nel senso di una maggiore valorizzazione della professionalità del magistrato. Ricorda in proposito tutto il dibattito che si è svolto in occasione dell'esame dell'ordinamento giudiziario rispetto al quale le iniziative contenute nel disegno di legge n. 3247 appaiono in stridente contraddizione.
Con riferimento alla riforma dell'istituto della recidiva che non contempla i delitti colposi si chiede se questo possa essere una soluzione corretta con riferimento a taluni illeciti come, ad esempio, quelli conseguenti a condotte di automobilisti spregiudicati e recidivi. Condivide quindi le critiche espresse con riferimento all'articolo 10 che non sembrano avere incontrato la dovuta attenzione della maggioranza. Conclude quindi il suo intervento esprimendo il forte senso di umiliazione che il Parlamento subisce da iniziative come queste, in quanto l'istituzione finisce sostanzialmente per essere considerata come appendice di uno studio professionale.
Il PRESIDENTE dichiara chiusa la discussione generale.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 23,10.
GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 2 febbraio 2005
428a Seduta (pomeridiana)
Presidenza del Presidente
indi del Vice Presidente
Intervengono il ministro della giustizia Castelli e il sottosegretario di Stato per lo stesso dicastero Vitali.
La seduta inizia alle ore 14,50.
IN SEDE REFERENTE
(omissis)
(3247) Deputato AIRAGHI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta notturna del 26 gennaio.
Il presidente Antonino CARUSO comunica alla Commissione che sono pervenuti i dati richiesti dalla Commissione al Commissario straordinario del Governo per l'attività antiracket ed antiusura e che i medesimi sono a disposizione dei commissari.
Avverte quindi che si passerà all'esame degli emendamenti all'Atto Senato 3247 assunto quale testo base, a partire dall'emendamento 1.1.
Il senatore ZANCAN (Verdi-U) illustra gli emendamenti a sua firma relativi all'articolo 1. Riferendosi, in particolare, all'emendamento 1.1, evidenzia come la proposta di sopprimere l'articolo 1 può argomentarsi per tutta una serie di considerazioni tra cui, in particolare, quella per la quale l'avvenuto compimento dei settant'anni anni di età non costituisce per sé solo un motivo sufficiente per prevedere un'attenuazione di pena. Si tratta per di più di una previsione che determinerà disparità di trattamento in quanto potranno esserci ultrasettantenni in buone condizioni di salute, rispetto ai quali risulterà incomprensibile la ragione di un trattamento di maggiore favore.
Si tratta poi di una norma dagli effetti criminogeni, in quanto potrà determinare un impiego strumentale di anziani da parte della criminalità, riferendosi specificatamente a tutti quei casi in cui la condanna penale consegue a responsabilità connesse all'assunzione di una carica, come ad esempio per i reati di inquinamento ambientale o per quelli societari. In altri termini potranno essere attribuite cariche ad anziani, con preferenza rispetto ad altri, contando sulla disponibilità dei medesimi a ricoprirle visto che beneficerebbero di un minore rigore sanzionatorio. In ogni caso non gli appaiono comprensibili le ragioni dell'intervento, così come quelle per cui la recidiva semplice non dovrebbe consentire la applicazione della nuova circostanza. Riferendosi quindi agli emendamenti 1.9 e 1.8 evidenzia come si tratti di proposte subordinate al mancato accoglimento della prima e dirette a stemperare almeno alcuni degli aspetti non comprensibili del testo approvato dall'altro ramo del Parlamento. In tale ottica appare ragionevole far riferimento ad un'età maggiore, quale potrebbe essere quella dei settantacinque anni ovvero, riferendosi all'emendamento 1.8, non tener conto della recidiva semplice, ritenendo che anche in tali casi possa essere riconosciuta la circostanza attenuante in discussione.
Più in generale valuta non favorevolmente l'intervento in quanto, nella commisurazione della sanzione, pone l'accento sulla personalità del reo più che sulla gravità del fatto. Ritiene assolutamente incongrua la previsione in esame anche perché l'età al più dovrebbe rilevare semmai in senso contrario, come circostanza aggravante. Se una persona a settant'anni non sa infatti resistere astenendosi dal commettere delitti dovrebbe essere sanzionata con maggiore rigore non avendo tratto insegnamenti dalla lunga esperienza di vita vissuta. Ritiene, più in particolare, del tutto generica l'espressione "che non si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 99" potendo la stessa far sorgere il dubbio se occorra o meno la formale contestazione della recidiva o se invece si tratti di una condizione che può essere accertata dal giudice incidenter tantum. Ribadisce infine ancora una volta la sua perplessità per la concezione seguita dall'intervento in esame che sostituisce ad una sanzione commisurata alla gravità del fatto un'altra invece correlata alla personalità del reo con riferimento peraltro ad un dato non univocamente rilevante qual è quello dell'età.
Il senatore MARITATI (DS-U) illustrando gli emendamenti 1.2, 1.4, 1.6, 1.7, 1.10 e 1.11 dichiara di non comprendere le ragioni che sono alla base dell'introduzione della nuova circostanza attenuante in favore degli ultrasettantenni. Non convince la motivazione che fa leva sull'argomento costituito dalle condizioni di salute in quanto si tratta di un aspetto non riscontrabile nella generalità dei casi. E' invece vero che l'ordinamento dà rilievo all'età con riferimento alla minore capacità di sopportare l'esecuzione della pena, ma non si vede però come ciò possa rilevare sul piano del diritto penale sostanziale ai fini della configurazione di un attenuante e non invece piuttosto limitatamente al solo versante dell'esecuzione della pena. L'intervento appare in contraddizione inoltre con altre innovazioni contenute nelle iniziative in titolo, come ad esempio l'inasprimento delle pene realizzato anche attraverso una rivisitazione del rilievo dell'istituto della recidiva. Si interviene poi riducendo i termini della prescrizione in maniera del tutto incoerente con il restante impianto normativo. La qual cosa testimonia l'assenza di una visione organica e complessiva delle problematiche penaliste. Non si comprende infine perché la recidiva semplice ad esempio non consente l'applicazione della nuova circostanza attenuante.
Il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) illustra gli emendamenti 1.3 e 1.5 sottolineando come l'articolo 1 costituisca una delle tante "bizzarrie" del disegno di legge n.3247. Si realizza con tale disegno di legge un intervento che appare evidentemente disomogeneo rispetto alle altre circostanze indicate nel codice penale che richiama all'attenzione della Commissione. Si chiede quindi chi potrà essere la persona per beneficiare la quale l'intervento è stato concepito. Non si comprendono se non così le ragioni di tale previsione, non essendo ragionevole pensare che l'età di settant'anni possa costituire un indice della capacità di intendere e di volere. Vi sono infatti ultrasettantenni che notoriamente rivestono cariche prestigiose ed impegnative in contesti istituzionali nonché nell'ambito di grandi realtà societarie. Manifesta quindi la sua forte contrarietà per la disposizione in questione che andrebbe pertanto espunta dall'articolato.
L'emendamento 1.5 costituisce invece una proposta subordinata al mancato accoglimento della prima e persegue l'obiettivo di indicare una soglia di età più elevata in quanto maggiormente accettabile rispetto a quella, del tutto arbitraria, indicata dall'articolo 1 del disegno di legge.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
SCONVOCAZIONE DELLE SEDUTE DELLA COMMISSIONE E DELLA SOTTOCOMMISSIONE DI DOMANI
Il PRESIDENTE avverte che la seduta della Commissione, già convocata per domani, alle ore 8,30, e quella della Sottocommissione pareri, già convocata alle ore 9,30, non avranno più luogo.
La seduta termina alle ore 16,30.
GIUSTIZIA (2a)
martedi' 15 febbraio 2005
432a Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Jole Santelli.
La seduta inizia alle ore 14,50.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta pomeridiana del 2 febbraio scorso.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che, essendo stata svolta l'illustrazione degli emendamenti all'articolo 1 (che sono pubblicati in allegato al resoconto della seduta del 2 febbraio scorso), si passerà alla formulazione dei pareri del Relatore e del Governo.
Il relatore ZICCONE (FI) esprime parere contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 1 e analogamente si pronuncia il Rappresentante del Governo.
In sede di dichiarazione di voto sull'emendamento 1.1, ha la parola il senatore AYALA (DS-U) il quale, richiamando le considerazioni critiche già svolte in sede di discussione generale, ribadisce la sua netta contrarietà ad una norma, quale quella introdotta con il nuovo comma 6-bis all'articolo 62 del codice penale, con la quale si prevede una diminuzione di pena sol perché la persona che ha commesso il reato anagraficamente ha compiuto i settanta anni. La norma si pone in netta contraddizione rispetto al progressivo allungamento della durata media di vita e, soprattutto va nella direzione opposta a quanto questo stesso Parlamento ha legiferato in materia di età pensionabile. Risulta infatti incomprensibile che, da un lato, si ritenga un settantenne idoneo a ricoprire ad esempio la carica di Presidente della Cassazione e, dall'altro, si presuma che un suo coetaneo debba poter beneficiare di attenuanti in conseguenza di una supposta e indefinita minor capacità in ragione dell'età.
In buona sostanza continua a non riuscire a comprendere in alcun modo le ragioni di tale innovazione, a meno che non si intenda favorire qualcuno di cui però il pudore impedisce di pronunciare il nome. Infatti le norme vigenti consentono già oggi al giudice di tenere nella debita considerazione il dato anagrafico dell'imputato; con la disposizione in esame si vuole invece introdurre una sorta di automatismo che l'oratore considera irragionevole e sconsiderato. Annuncia quindi il voto favorevole agli emendamenti soppressivi 1.1, 1.2 e 1.3.
Ha successivamente la parola il senatore ZANCAN (Verdi-Un) il quale, annunciando il voto favorevole sull'emendamento 1.1, problematicamente si chiede come debba essere interpretata la norma laddove fa riferimento al "momento della sentenza", non essendo chiaro a quale dei tre gradi di giudizio ci si riferisca. Risulta poi incomprensibile il diverso trattamento riservato agli ultrasettantenni recidivi rispetto agli altri. La norma ha inoltre un indubbia valenza criminogena, non essendo certo frutto di fantasia l'ipotesi che, soprattutto in campo societario, anziani saranno indotti ad assumere cariche sociali, contando appunto sui benefici che la legge ad essi concede in caso di reati, in questo caso finanziari e societari.
Interviene quindi il senatore MANZIONE (Mar-DL-U) il quale dichiara il voto favorevole sull'emendamento 1.1 rilevando, più in generale, che il disegno di legge risulta essere affetto da una sorta di strabismo legislativo comune ad altri provvedimenti in materia di giustizia varati dall'attuale maggioranza. Insieme a norme che si segnalano per un vistoso passo indietro rispetto alla c.d. legge Simeone in materia di rieducazione e reinserimento sociale del condannato, il testo contiene norme di cui è difficile comprendere la ratio ed, altre ancora che invece chiariscono una certa vulgata giornalistica che le qualifica come norme "salva Previti". Questo coacervo di disposizioni determina un inserimento nell'ordinamento schizofrenico soprattutto nell'ottica degli operatori del diritto.
In particolare, con l'articolo 1 si introduce una attenuante per chi ha compiuto settanta anni prescindendo dalla gravità del reato e presumendo una non dimostrata attenuazione della capacità dell'ultrasettantenne. Diversa valutazione avrebbe potuto svolgersi se la norma avesse riguardato la fase esecutiva della pena nella quale l'età del condannato può indurre a diverse e più attenuate misure restrittive. Ma evidentemente la logica che presiede all'intera politica giudiziaria di questa maggioranza persegue obiettivi che certamente poco hanno a che fare con la ragionevolezza e l' organicità del sistema.
Conclusivamente, ribadisce la ferma opposizione del suo Gruppo di appartenenza al disegno di legge n. 3247 e all'articolo 1 e, più in generale, all'intero testo approvato dall'altro ramo del Parlamento.
Il PRESIDENTE , accertata quindi la presenza del numero legale, pone ai voti l' emendamento 1.1 - di contenuto identico agli emendamenti 1.2 e 1.3 - che non è approvato.
La Commissione respinge poi l'emendamento 1.4.
Il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 1.9 fino alle parole "all'articolo 99".
Posta ai voti, è respinta la prima parte dell'emendamento 1.9, risultando conseguentemente preclusa la restante parte, nonché l'emendamento 1.8.
Dopo che il senatore MANZIONE (Mar-DL-U) ha annunciato il voto favorevole del suo Gruppo, il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 1.5 fino alla parola "settanta".
Posta ai voti, è respinta la prima parte dell'emendamento 1.5, risultando conseguentemente preclusa la restante parte, nonché i successivi 1.6 e 1.7.
Previa dichiarazione di voto favorevole del senatore AYALA (DS-U) sull'emendamento 1.10, e dopo che il senatore MANZIONE (Mar-DL-U) ha sottolineato la validità della proposta emendativa non comprendendo perché la maggioranza ed il relatore non prenda in considerazione la stessa, l'emendamento 1.10 è posto ai voti e risulta respinto.
La Commissione respinge quindi l'emendamento 1.11.
Dopo che a nome dei rispettivi Gruppi di appartenenza, i senatori CAVALLARO (Mar-DL-U), AYALA (DS-U) e ZANCAN (Verdi-Un), hanno dichiarato il voto contrario sull'articolo 1, questo, posto ai voti, è approvato.
Dopo che il presentatore lo ha dato per illustrato, con il parere contrario del Relatore e del rappresentante del Governo, posto ai voti è respinto l'emendamento aggiuntivo 1.0.1.
Si passa all'esame degli emendamenti relativi all'articolo 2.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un), illustrando l'emendamento 2.1, osserva che la proposta di sopprimere l'articolo 2 del disegno di legge n. 3247 si giustifica, tra l'altro, per l'esigenza di rimediare ad un evidente errore tecnico nella formulazione della norma di cui al comma 2 del predetto articolo che interviene sulle disposizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale in materia di associazione di tipo mafioso. Osserva, in particolare con riguardo alla novella di cui alla lettera a) del citato comma 2, che la parola "tre" che verrebbe sostituita dalla parola "cinque" ricorre per ben due volte nel primo comma dell'articolo 416-bis, nel primo caso per determinare il numero minimo di persone in presenza delle quali si configura il reato, nel secondo invece per stabilire il minimo edittale di pena. Si tratterebbe dunque di un intervento che, per la sua non univocità, potrebbe dar luogo ad incertezze interpretative, ben potendosi intendere la sostituzione della parola "tre" come anche riferita al numero minimo di persone richiesto dalla legge per la configurazione della fattispecie in esame e non invece al minimo edittale di pena previsto. Dichiara pertanto di non comprendere le ragioni che sono alla base della "blindatura" dell'iniziativa in titolo quando sarebbe evidentemente non solo opportuno, una indispensabile correggere l'articolato in questo così come in altri punti, come si è avuto e si avrà modo di evidenziare nel corso dell'esame.
Dopo un breve intervento del presidente Antonino CARUSO il quale ricorda che l'atteggiamento della maggioranza deve essere imputato esclusivamente a posizioni politiche assunte da una parte dell'opposizione con riguardo all'iniziativa in titolo, il senatore ZANCAN (Verdi-Un) - continuando nell'illustrazione degli altri emendamenti a sua firma - esprime forti perplessità per l'inasprimento, a suo avviso eccessivo ed asistematico, delle pene riferite al reato di associazione del tipo mafioso. Si tratta di un incremento che, in quanto non equilibrato, non è idoneo a far sì che la norma penale possa svolgere quella necessaria funzione di prevenzione che alla stessa dovrebbe essere sempre correlata. Si sofferma quindi sull'emendamento 2.6, richiamando l'attenzione sull'opportunità di introdurre nel testo la specificazione "quando debbono essere valutate a favore dell'imputato" in quanto si tratta di una precisazione necessaria ad evitare possibili distorsioni applicative. Riferendosi quindi all'emendamento 2.7, ritiene che il termine "criteri" sia preferibile in quanto tecnicamente più corretto del riferimento alle "circostanze", espressione questa che evoca un ben preciso istituto. Illustra quindi brevemente l'emendamento 2.11 del quale raccomanda l'approvazione poiché in tal modo non risulterebbero disincentivati, così come nel testo approvato dall'altro ramo del Parlamento, alcuni comportamenti diretti ad attenuare gli effetti delle condotte illecite compiute.
Il senatore AYALA (DS-U) illustra quindi gli emendamenti 2.2, 2.4, 2.8, 2.12, 2.14, 2.18, 2.19, 2.20, e 2.26. Con riferimento all'emendamento 2.2, condivide le perplessità evidenziate dal senatore Zancan, espresse con riferimento all'emendamento 2.1, di identico contenuto. La novella infatti, per la sua formulazione, sarebbe idonea a modificare anche il numero minimo di persone - che verrebbe elevato da tre a cinque - in presenza delle quali si configura il reato di associazione di tipo mafioso ed anzi sarebbe proprio questa l'interpretazione che inevitabilmente prevarrebbe in sede applicativa. Si tratta di una innovazione che si pone in evidente contrasto con quanto previsto per la configurabilità del reato di associazione semplice per il quale, ricorda, si continuerebbe a prevedere un minimo di tre persone per la sussistenza del reato. Non si comprenderebbe quindi il diverso requisito soggettivo per fattispecie che appartengono al medesimo genere, costituendo il reato di associazione di tipo mafioso in sostanza un'ipotesi aggravata dell'associazione semplice. E' questo dunque un esempio evidente di come la maggioranza, ed essa soltanto, si accinga a votare un articolato che costituisce "il trionfo dell'ignoranza" e che dovrà essere imputato esclusivamente alla responsabilità della medesima. Che sia dunque la maggioranza a votare una legge il cui contenuto dovrebbe indurre i suoi autori a svolgere attività ben diverse dal legiferare e per le quali risulterebbero certo più adeguati. Riferendosi quindi all'emendamento 2.4 che propone di sopprimere la parola "diverse", osserva come l'emendamento realizzi un miglioramento sotto il profilo redazionale che si illustra da sé. Anche l'emendamento 2.8 non farebbe altro che introdurre un miglioramento terminologico sulla cui necessità non possono sussistere dubbi, essendo notorio nel linguaggio penalistico che le circostanze costituiscono un istituto ben diverso dai parametri richiamati dall'articolo 133 del codice penale. Con riferimento agli emendamenti 2.12, 2.14, 2.18, 2.19, 2.20 e 2.13, evidenzia come si tratti semplicemente di adeguamenti dalle previsioni di pena che si illustrano da sè. Da quindi per illustrati gli emendamenti 2.17 e 2.23 di cui il senatore Legnini è primo firmatario nonché i restanti emendamenti a firma di senatori del suo Gruppo.
Il presidente Antonino CARUSO fa propri e dà per illustrati gli emendamenti 2.3, 2.9, 2.10, 2.16, 2.21, 2.24, 2.27, 2.28 e 2.29 di cui il senatore Dalla Chiesa è primo firmatario.
Il relatore ZICCONE (FI) esprime un parere contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 2, osservando le disposizioni in esso contenute ed in particolare quelle relative agli aumenti di pena per il reato di associazione del tipo mafioso risultano coerenti ed in armonia con il sistema, contrariamente a quanto rappresentato da alcuni oratori.
Il sottosegretario Jole SANTELLI esprime il parere contrario del Governo su tutti gli emendamenti all'articolo 2.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un), dichiarando il suo voto favorevole sull'emendamento 2.1, sottolinea come con il nuovo articolo 62-bis del codice penale si finisca in realtà con il privare il giudice di una adeguata discrezionalità nella determinazione della pena, sia pure all'interno di parametri normativi prefissati; discrezionalità che invece è un elemento imprescindibile per poter correlare la sanzione penale alle peculiarità della fattispecie concreta. In realtà la maggioranza sta costruendo, intervento dopo intervento, un codice penale che contiene disposizioni rigide che esprimono scarsa fiducia per la magistratura e fanno venir meno quelle valvole di sfogo che sono necessarie al sistema, come è il caso delle circostanze generiche che nell'esperienza applicativa costituiscono un correttivo ad una applicazione della pena altrimenti non equilibrata e correlata alla gravità del fatto.
Posti ai voti gli emendamenti 2.1, - di contenuto identico agli emendamenti 2.2 e 2.3 - nonché gli emendamenti 2.4 e 2.5, in esito a distinte votazioni, risultano respinti.
Dopo che il senatore ZANCAN (Verdi-Un) ne ha raccomandato l'approvazione, posto ai voti, l'emendamento 2.6 non è approvato.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un), riferendosi all'emendamento 2.7, osserva che la proposta in esso contenuta non risponde semplicemente all'esigenza di realizzare un miglioramento redazionale. L'utilizzo del termine "circostanze" potrebbe infatti avere un significato tecnico in quanto vi sono criteri, tra quelli previsti nell'articolo 133 del codice penale, che conglobano circostanze; la qual cosa avrebbe conseguenze applicative che dovrebbero essere tenute presenti e dovrebbe indurre ad un necessario chiarimento della disposizione.
Il senatore AYALA (DS-U), raccomandando l'approvazione dell'emendamento 2.7, sottolinea come anche l'aspetto della precisione terminologica non sia affatto un elemento secondario, ricordando ancora una volta la diversità esistente tra circostanze del reato e criteri posti dall'articolo 133 per la determinazione della pena.
In esito a distinte votazione risultano quindi respinti gli emendamenti 2.7 - di contenuto identico ai successivi 2.8 e 2.9 - 2.10, 2.11, 2.12, 2.13 e 2.14.
Il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione dell'emendamento 2.15 fino alla parola "cinque". Posto ai voti, la prima parte dell'emendamento non è approvata e conseguentemente è preclusa la restante parte dell'emendamento, nonché gli emendamenti 2.16 e 2.17.
Posto ai voti è quindi respinto l'emendamento 2.18.
Il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione dell'emendamento 2.19 fino alla parola "sette". Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento risulta respinta e conseguentemente è preclusa la restante parte dell'emendamento nonché gli emendamenti 2.20 e 2.21. L'emendamento 2.22, posto ai voti non è quindi approvato.
Il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 2.25 fino alla parola "sette". Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento 2.25 non è approvato e conseguentemente risultano preclusi la restante parte dell'emendamento, nonché gli emendamenti 2.23 e 2.24.
Il PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione dell'emendamento 2.26 fino alla parola "dieci". Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento non è approvata e conseguentemente risulta preclusa la restante parte dell'emendamento, nonché l'emendamento 2.27. Posti ai voti, con distinte votazioni, sono quindi respinti gli emendamenti 2.28 e 2.29
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) annuncia il voto contrario sull'articolo 2, sottolineando ancora una volta l'assoluta non condivisibilità della disposizione contenuta nel comma 1 di tale articolo la cui ratio ispiratrice gli appare inaccettabile alla luce della sua quarantennale esperienza di avvocato e in patente contrasto con quella aspirazione al "diritto penale minimo" che, quanto meno a parole, è oggetto di una generale condivisione. Per quanto riguarda il comma 2, dell'articolo 2, rinvia alle considerazioni da lui già svolte ribadendo, in particolare, l'incontestabile e obiettiva incertezza della portata normativa dell'innovazione proposta con riferimento al primo comma dell'articolo 416-bis del codice penale.
Il senatore AYALA (DS-U) annuncia anch'egli il voto contrario sull'articolo 2, osservando come il disposto del comma 1 di tale articolo si rifaccia a concezioni comunemente individuate mediante il riferimento alla nozione di "colpa d'autore" che, oltre ad essere ampiamente disattese e contestate dalla dottrina, sono state poi superate dalla Costituzione repubblicana che ha inequivocabilmente effettuato una scelta che, facendo perno sulla funzione rieducativa della pena, impone quella individualizzazione del trattamento sanzionatorio che ne costituisce uno dei corollari logici. In questo senso, la modifica della previsione codicistica in materia di attenuanti generiche si inserisce coerentemente in un disegno di legge che fa fare una salto indietro di quaranta anni al codice penale e che propone un modello di "giudice ragioniere" privato di qualsiasi margine di descrezionalità che gli consenta di adeguare la risposta punitiva al fatto concreto, modello che, per le ragioni anzidette, risulta con certezza in contrasto con il vigente quadro costituzionale.
Per quel che attiene poi alla modifica apportata dal comma 2 dell'articolo 2 al primo comma dell' articolo 416-bis del codice penale, ci si deve limitare a prendere atto che la Commissione approverà senza modifiche il testo trasmesso dall'altro ramo del Parlamento, nonostante esso implichi l'assurda e incoerente conseguenza che, per il reato di associazione di tipo mafioso, sarà previsto il requisito della partecipazione alla stessa di almeno cinque persone.
Segue un breve intervento del presidente Antonino CARUSO il quale fa presente che la maggioranza voterà invece a favore dell'articolo 2 nel presupposto che esso sia chiaramente da interpretarsi, per quel che attiene al primo comma dell'articolo 416-bis del codice penale, nel senso di un intervento sul minimo e sul massimo della pena edittale ivi prevista.
Il senatore AYALA (DS-U) replica, osservando, alla luce della sua personale esperienza di magistrato, che non sarà certo questo l'effetto dell'innovazione proposta e che, dal giorno successivo all'entrata in vigore della nuova legge, un giudice non potrà che assolvere gli imputati di partecipazione ad un associazione di tipo mafioso se questa sarà formata da meno di cinque persone.
Segue un breve intervento del senatore ZANCAN (Verdi-Un) che evidenzia come il dibattito testè svoltosi confermi in ogni caso l'equivocità della previsione sul punto, rendendo incontestabile pertanto l'esigenza di un intervento chiarificatore al riguardo.
Posto ai voti, è approvato l'articolo 2.
Il presidente Antonino CARUSO rinvia infine il seguito dell'esame congiunto.
GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 16 febbraio 2005
433a Seduta (antimeridiana)
Presidenza del Vice Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 8,55.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto del disegno di legge in titolo, sospeso nella seduta del 15 febbraio scorso.
Il presidente ZANCAN avverte che si passerà all'esame degli emendamenti all'articolo 3.
Il presidente ZANCAN illustra quindi l'emendamento 3.1 che propone la soppressione dell'articolo 3 del disegno di legge n. 3247, richiamando l'attenzione sulle conseguenze, a suo avviso drammatiche, che deriverebbero dall'applicazione della disposizione. Anche a voler ammettere che l'esclusione del bilanciamento tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti in alcuni casi possa costituire una opzione normativa non priva di una certa razionalità, non altrettanto può dirsi con riferimento all'impianto della disposizione di cui al citato articolo 3, rispetto al quale viene in discussione la proporzionalità della sanzione. L'effetto derivante dall'applicazione delle nuove disposizioni in esame sarà infatti dirompente e si estenderà a piovra su tutto il processo penale determinando trattamenti sanzionatori inadeguati alle peculiarità delle fattispecie concrete. Con l'intervento in esame si realizzerà inoltre un ritorno al passato, essendo evidente come la ratio ispiratrice dello stesso richiami l'assetto dell'articolo 69 del codice penale anteriormente alla riforma del 1974; un assetto che - come è noto - comportava applicazioni sanzionatorie del tutto sproporzionate, con riferimento in particolare ad alcuni reati. Invita pertanto la maggioranza ad un ripensamento della norma. Si chiede poi quali siano le ragioni alla base della scelta di non restringere la discrezionalità del giudice nei casi considerati, osservando che gli errori indubbiamente compiuti in qualche caso dalla magistratura nell'applicazione delle norme non possono costituire argomenti a sostegno di una riforma che non appare in alcun modo equa e razionale. Si tratta altresì di una norma che non interessa il tema della prescrizione che è particolarmente caro alla maggioranza per finalità che sono a tutti evidenti, per cui non appare comprensibile la chiusura della maggioranza rispetto a proposte migliorative del testo. Dopo per aver dato per illustrati gli emendamenti 3.4 e 3.7, in merito all'emendamento 3.13, invita la Commissione a considerare l'opportunità di specificare la non applicazione del primo comma dell'articolo 69 del codice penale con riferimento alle diminuzioni di pena previste dagli articoli 444 e 441 del codice di procedura penale e ciò al fine di evitare che l'innovazione introdotta dall'articolo 3 possa determinare un mutamento dell'orientamento giurisprudenziale in materia.
Il senatore AYALA (DS-U) illustra gli emendamenti 3.2, 3.11 e 3.12 ribadendo con l'occasione la sua forte perplessità per l'assoluto atecnicismo dell'articolato che la maggioranza si accinge ad approvare. Ricorda come l'intervento operato sul codice penale con la riforma del 1974 fu salutato con favore sia dal mondo accademico sia dagli operatori giuridici proprio in quanto conferiva al giudice maggiore discrezionalità, permettendogli di graduare la pena in relazione alle caratteristiche della fattispecie concreta in coerenza con il dettato costituzionale e, in particolare, con il terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione. L'obiettivo di una pena che possa tendere alla rieducazione del condannato presuppone infatti necessariamente che il giudice sia posto in condizione di adeguare la sanzione al caso di specie. Si è già detto che l'articolato approvato dalla Camera dei deputati costituisce una "legge ad personam", ma non altrettanto sufficientemente è stato evidenziato che la sua approvazione segnerà il ritorno a scelte che caratterizzavano originariamente l'impianto del codice penale e che l'esperienza ha dimostrato inadeguate e non pienamente coerenti con il vigente quadro costituzionale. Con molta probabilità si sta determinando anche in questa occasione quanto già accaduto con l'approvazione della cosiddetta legge Cirami che, ricorda, ha sostanzialmente reintrodotto nell'ordinamento un istituto considerato da molti un "reperto archeologico". Si tratta dunque di iniziative che guardano al passato in maniera non comprensibile. Non si comprende, più specificamente, per quale ragione si vuole ridurre il ruolo del giudice ad una funzione di tipo ragionieristico che contraddice l'evoluzione della normativa penalistica, cancellando le innovazioni frutto dell'esperienza applicativa. Esprime conclusivamente il suo rammarico per la decisione della maggioranza di blindare l'articolato in questione in assenza di un atteggiamento ostruzionistico dell'opposizione; la qual cosa impedirà che le necessarie correzioni suggerite da più parti possano essere recepite nel testo.
Il senatore LEGNINI (DS-U) fa quindi propri e dà per illustrati gli emendamenti 3.3, 3.6, 3.8, 3.9 e 3.10 di cui il senatore Dalla Chiesa è primo firmatario.
Il relatore ZICCONE (FI) formula un parere contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 3. Riferendosi all'intervento del presidente Zancan ritiene le osservazioni svolte, essere di un certo interesse, ma richiama l'attenzione sul fatto che l'articolato approvato dall'altro ramo del Parlamento risponde ad una ratio ben evidente. L'articolo 3 non costituisce una disposizione avulsa dal complesso delle norme in esame, anzi chiarisce in modo deciso l'impostazione guida che sottende la riforma. Il problema di fondo evocato dall'articolato è quello del rapporto tra discrezionalità del giudice nell'applicazione della pena e certezza del diritto. Si può ritenere che il legislatore possa aver fatto un uso non del tutto appropriato dello strumento delle aggravanti ad effetto speciale, ma è pur vero che tali interventi rispondono alla indubbia esigenza di orientare e limitare la discrezionalità del magistrato. Nel caso in esame non si tratta dunque della eliminazione della discrezionalità del giudice, così come affermato da alcuni oratori, quanto dell'esigenza di ripristinare la certezza del diritto e di cercare di porre rimedio ad alcune applicazioni giurisprudenziali che vanno nel senso di un buonismo non del tutto giustificato dalla gravità delle fattispecie concrete. Pur giudicando che l'inasprimento del regime sanzionatorio non sia di per sé uno strumento adeguato a svolgere una funzione di prevenzione, diversamente deve ritenersi per le innovazioni volte ad assicurare un quadro di certezza applicativa al sistema sanzionatorio. Le modifiche introdotte dall'articolato in esame meritano rispetto rispondendo ad opzioni normative ben precise che al più possono essere ritenute non condivisibili ma, che in ogni caso non possono ritenersi irrazionali o ingiustificate. Conclude quindi il suo intervento ribadendo l'importanza di circoscrivere in alcuni casi la discrezionalità del giudice perché eccessiva, auspicando in termini generali che si possa realizzare una diminuzione del ricorso alle aggravanti ad effetto speciale.
Il presidente ZANCAN replicando alle osservazioni del relatore osserva che sarebbe possibile condividere le considerazioni dallo stesso svolte se da questo punto di vista gli interventi in discussione si inserissero in una generale rivisitazione dell'impianto codicistico senza la quale invece le innovazioni introdotte nell'ordinamento non trovano sufficiente giustificazione. Si tratterebbe quindi dell'ennesimo caso di un intervento modificativo privo di respiro e all'interno di un corpo normativo vecchio; ragion per cui lo stesso non appare possibile ed accettabile.
Il senatore MARITATI (DS-U) sottolinea come l'intervento del relatore non gli appaia sufficiente ad attribuire dignità alla riforma evidenziando la contraddizione in cui è incorso il medesimo quando ha affermato che gli aumenti di pena non costituiscono di per se stessi uno strumento adeguato a contenere la criminalità, mentre la riforma si limita a realizzare proprio esclusivamente un inasprimento del regime sanzionatorio, peraltro in modo del tutto irrazionale. Pur non essendo favorevole ad un atteggiamento di buonismo nei confronti di condotte di rilievo penale non gli appare possibile ragionevolmente ritenere, ad esempio, che il problema della criminalità napoletana possa essere risolto semplicemente inasprendo i trattamenti sanzionatori. Se questo fosse il rimedio non ci sarebbe alcuna difficoltà a sostenere un provvedimento urgente di tale contenuto. Si tratta invece di un intervento che lancia un messaggio di forza che non servirà a nulla, ma che invece determinerà in non pochi casi una risposta punitiva indiscriminata e arbitraria. E' necessario ribadire piuttosto che il magistrato deve essere posto in condizione di valutare caso per caso quale sia la pena più adeguata al caso concreto nell'ambito ovviamente dei parametri posti dal legislatore. Evidenzia infine le conseguenze della riforma sulla realtà penitenziaria che testimoniano ulteriormente della inadeguatezza dell'intervento, essendo evidente che l'impatto dello stesso sui numeri della popolazione detenuta, restando immutate le attuali condizioni strutturali, renderà più difficile la realizzazione di forme di trattamento penitenziario coerenti con la finalità rieducativi della pena.
Segue un breve intervento del senatore AYALA (DS-U), il quale ancora una volta invita a riflettere sulle conseguenze della riforma sul regime sanzionatorio di alcuni reati.
Il sottosegretario VITALI dichiara il parere contrario del Governo su tutti gli emendamenti all'articolo 3. Osserva che la ratio ispiratrice dell'intervento è chiara anche se è legittimo che possa non essere da tutti condivisa. Sottolinea una contraddizione nell'atteggiamento dell'opposizione che, mentre lamenta eccessivo l'inasprimento del regime sanzionatorio poi, grida allo scandalo per l'introduzione di una nuova circostanza attenuante con riguardo agli ultrasettantenni. Il senso della riforma è quello di dare un chiaro segnale alla collettività. E' stato fatto l'esempio delle conseguenze che gli interventi in esame avranno sul trattamento sanzionatorio. Ebbene dati statistici testimoniano che la maggioranza dei reati risulta commesso dalle medesime persone. In considerazione di ciò, la riforma manifesta attenzione verso gli incensurati, ma al tempo stesso realizza un giro di vite per i recidivi reteirati. Sarà poi l'applicazione concreta delle norme a permettere di valutare quale risulterà in concreto l'efficacia della riforma.
Il seguito dell'esame è infine rinviato.
La seduta termina alle ore 9,35.
GIUSTIZIA (2a)
martedi' 22 febbraio 2005
439a Seduta (notturna)
Presidenza del Presidente
La seduta inizia alle ore 20,20.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta antimeridiana del 16 febbraio scorso.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si proseguirà nell'esame degli emendamenti, a partire da quelli relativi all'articolo 3, già pubblicati in allegato al resoconto della seduta antimeridiana del 16 febbraio scorso.
Il senatore ZANCAN(Verdi-Un), dichiarando il voto favorevole sull'emendamento 3.1, evidenzia le ragioni a sostegno della proposta di soppressione dell'articolo 3 del disegno di legge n. 3247. Osserva che le disposizioni in esso contenute avranno un'applicazione generalizzata, destinata ad incidere in senso fortemente negativo sia sui processi in corso, sia su quelli futuri. Il divieto di bilanciamento delle circostanze attenuanti con le aggravanti considerate avrà, infatti, effetti rilevantissimi sulla determinazione del regime sanzionatorio, in particolare per alcuni reati comuni, determinando situazioni irrazionali ed ingiuste legate all'inasprimento delle pene che ne conseguirà. Con l'intervento in esame avrà luogo un ritorno inspiegabile alla disciplina in vigore prima del 1974 che tutti ritennero opportuno superare, nel presupposto della indispensabilità del riconoscimento al giudice di una certa discrezionalità nella determinazione del trattamento sanzionatorio. L'intervento in esame invece si basa su un'inaccettabile sfiducia nei confronti dell'operato della magistratura, introducendo un criterio rigoroso che provocherà profonde iniquità per via della necessità di applicare in modo ragionieristico un criterio che non consentirà certo l'indicazione di pene coerenti con la gravità delle condotte concretamente poste in essere.
Il senatore AYALA (DS-U) dichiara il voto favorevole sull'emendamento 3.1 e, premessa la condivisione delle osservazioni espresse dal senatore Zancan, ricorda l'atteggiamento dell'opposizione con riferimento alle numerose iniziative promosse dalla maggioranza in materia di giustizia nel corso della legislatura. In proposito sottolinea come la sua parte politica non si sia semplicemente preoccupata di contrapporre e contrastare talune scelte non condivisibili ma, in maniera costruttiva, abbia anche offerto un contributo propositivo sotto il profilo tecnico, cercando di mettere in guardia da alcune palesi incostituzionalità che, tra l'altro, in molti casi, sono state confermate dagli interventi successivi della Corte costituzionale. A riprova indica quanto sta accadendo nell'ambito dell'esame della riforma dell'ordinamento giudiziario, in relazione al quale l'opposizione sta dedicando particolare attenzione ad evidenziare problemi di natura tecnica proprio sotto il profilo della compatibilità dell'articolato con il quadro costituzionale vigente. Riferendosi quindi all'iniziativa in titolo, fa presente che autorevoli studiosi del diritto e della procedura penale hanno sottoscritto recentemente un documento che contiene una decisa presa di posizione in senso fortemente critico nei riguardi dell'articolato in esame. Il documento, che ha come suo primo firmatario il professor Giuliano Vassalli, qualifica il disegno di legge n. 3247 un articolato "criminogeno", costituzionalmente illegittimo in diverse sue disposizioni, e che attenta alle basi stesse della convivenza civile, minando l'efficienza del processo. E' quest'ultimo un principio non espresso nella Carta costituzionale, ma enucleato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che, nella sentenza n. 353 del 1996, individuava tale principio tra quelli desumibili con evidenza dalla Carta costituzionale. Altro principio che viene in rilievo è quello della ragionevolezza ed al riguardo gli appare evidente come sotto entrambi i profili l'articolato risulti censurabile per evidente incostituzionalità. Conclude quindi il suo intervento rappresentando che, in considerazione della decisione, assunta dalla maggioranza, di "blindare" il testo trasmesso dalla Camera dei deputati non rimane altro che testimoniare le ragioni per le quali l'opposizione non potrà offrire il benché minimo sostegno all'iniziativa.
Il senatore DALLA CHIESA(Mar-DL-U), dichiarando il voto favorevole del suo Gruppo sull'emendamento 3.1, ricorda come anche la sua parte politica abbia offerto contributi di natura tecnica e spunti di riflessione per valutare la compatibilità delle iniziative in materia di giustizia promosse dalla maggioranza con il vigente quadro costituzionale. Condivide le osservazioni svolte dagli oratori che l'hanno preceduto evidenziando che, alla base della contrarietà riferita alle disposizioni di cui all'articolo 3, vi è una ben determinata e non condivisibile concezione del modo di intendere la funzione del giudice nella determinazione della pena. E' questo un tema di grande rilievo, essendo innegabile la delicatezza della funzione che il giudice è chiamato a svolgere e va riconosciuto che non sempre essa è stata svolta in maniera adeguata, derivandone incomprensioni da parte dei cittadini in relazione a decisioni che sono apparse in contrasto talora con evidenti principi di ragionevolezza e buon senso. Pur essendo innegabili tali criticità, non costituisce certo una risposta efficace ed un valido rimedio un intervento nel senso della riduzione della discrezionalità del giudice, in quanto ciò impedisce al medesimo di poter procedere all'indispensabile adeguamento della pena da infliggere in concreto alla peculiarità della fattispecie concreta posta alla sua attenzione. E' necessario invece che il magistrato sia messo sempre in grado di poter valutare tutti gli aspetti della fattispecie concreta, come, ad esempio, il contesto sociale ed ambientale nel quale si è determinata la condotta illecita. Non condivide quindi la tendenza ad una riduzione dei momenti valutativi lasciati al giudice ed in tal senso sono criticabili le rigidità che sono state introdotte con riferimento ai recidivi. Non si nega in proposito che la commissione di altri reati debba meritare una attenta considerazione ma, certo, non potrà un meccanismo rigido costituire una risposta adeguata e piuttosto una soluzione in questo senso farà si che tutta una serie di persone saranno considerati dei veri e propri "rifiuti sociali", visto che per essi non potranno trovare applicazione gli istituti previsti invece per la generalità dei cittadini.
Conclude il suo intervento ribadendo la sua netta contrarietà alle disposizioni dell'articolo 3 per le ragioni sopra ricordate.
Il senatore BOBBIO (AN) dichiara il voto contrario del suo Gruppo sull'emendamento 3.1 e, con l'occasione, evidenzia alcune inesattezze che sono state espresse a suo avviso nel corso della discussione. Non appare giustificato, ad esempio, la critica rivolta all'articolo 3 dall'opposizione che dimentica che previsioni analoghe sono già presenti nell'ordinamento come, ad esempio, nell'articolo 7 del legge n. 152 del 1991. Non si comprendono quindi i presunti vizi di costituzionalità delle disposizioni in esame quando norme di analogo contenuto non sono state mai oggetto di tali rilievi. Quando poi alla pretesa natura criminogena delle disposizioni in esame appare quantomeno strano che tale caratteristica non sia stata riferita, ad esempio, anche alla disciplina del rito abbreviato, consentita dall'allora maggioranza, anche per i delitti puniti con l'ergastolo. Dopo aver ricordato che, in ogni caso, sarà la Corte costituzionale a valutare della compatibilità delle innovazioni rispetto al dettato costituzionale, sottolinea che, se è vero, come è stato da più parti evidenziato, che la discrezionalità del giudice costituisce un valore che deve essere salvaguardato, questo non significa però che debba impedirsi al legislatore di effettuare una diversa valutazione che tenga conto di una particolare situazione storica, anche alla luce delle distorsioni che si sono prodotte in conseguenza di talune applicazioni giurisprudenziali.
Il senatore CALVI(DS-U), in dissenso dal suo Gruppo, riferendosi all'intervento svolto dal relatore Bobbio, manifesta perplessità sulle considerazioni da lui svolte. Riconosce peraltro che, con riguardo alle norme di cui all'articolo 3, non è possibile ipotizzare un vizio di costituzionalità, essendo la previsione di un doppio binario nel trattamento sanzionatorio di alcune particolari situazioni, legittimato dalla stessa Corte costituzionale. Il codice penale vigente esprime una particolare concezione del diritto penale, oggi non più attuale e di cui costituiscono espressione pene molto alte e severe ed una forbice molto ampia con riguardo alle previsioni dei minimi e massimi edittali. E' anche vero che la magistratura ha gravi responsabilità per l'applicazione di alcuni istituti - come le circostanze generiche - che ha determinato in molti casi l'irrogazione di pene assolutamente improponibili rispetto alla gravità e rilevanza dei fatti connessi. La dottrina è opportunamente intervenuta per denunciare le distorsioni di talune applicazioni giurisprudenziali e ha affermato la necessità di una riconsiderazione dell'intero codice penale, per proporre un'idea che si è andata facendo strada, come testimoniano sia i lavori della Commissione ministeriale presieduta dal professor Grosso, sia i lavori di quella che ha preso il suo posto nell'attuale legislatura, presieduta dal dottor Nordio, per la elaborazione della riforma del codice penale. In entrambi i casi è stato affrontato il problema di riconsiderare il regime sanzionatorio con l'obiettivo di diminuire l'eccessiva discrezionalità del giudice che, in molti casi, finisce per determinare applicazioni a dir poco scandalose come, ad esempio, quando sono concesse le circostanze generiche per il sol fatto che l'imputato è incensurato. In considerazione di quanto precede, la critica che può essere rivolta alla maggioranza non è tanto quella di aver posto in essere una disposizione, come quella di cui all'articolo 3, che, in astratto, potrebbe anche essere presa in attenta considerazione, quanto l'aver affrontato il tema senza una riconsiderazione dell'intero quadro normativo di riferimento che è invece la premessa indispensabile affinché l'intervento non determini distorsioni più gravi di quelle che lo stesso intende prevenire. Dall'intervento deriveranno infatti applicazioni sanzionatorie di grande rigore, peraltro contraddette, su un piano generale, dagli effetti della riforma della disciplina della prescrizione. La maggioranza ha quindi perso una grande occasione, visto che ha preferito portare avanti una pessima riforma dell'ordinamento giudiziario, quando invece avrebbe potuto dedicarsi alla elaborazione di un nuovo codice penale, potendosi peraltro avvalere del contributo offerto dalle ricordate Commissioni ministeriali.
Conclude dunque il suo intervento evidenziando le distorsioni applicative della disposizione in esame in particolare con riferimento agli imputati più deboli e quindi dichiara che non voterà al fine di attribuire, con tale atteggiamento, maggiore forza al suo dissenso espresso nei riguardi dell'articolato in esame.
Posto quindi ai voti, l'emendamento 3.1 - di identico contenuto agli emendamenti 3.2 e 3.3 - non è approvato.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 3.4, evidenziando che in conseguenza dell'approvazione dell'iniziativa in titolo, si determineranno pene spaventosamente elevate, adducendo in proposito una serie di esempi concreti. Evidenzia quindi come non sia possibile una modifica, come quella in esame, senza una contestuale rimodulazione del regime sanzionatorio.
Posto ai voti, quindi, l'emendamento 3.4, non è approvato.
Il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 3.5 che ha per obiettivo quello di temperare la rigidità delle disposizioni in esame. E' indubbiamente vero che la giurisprudenza ha, in qualche caso, fatto un cattivo uso della discrezionalità alla stessa attribuita nella determinazione della pena, ma la soluzione al problema non può certo essere quella voluta dalla maggioranza, essendo invece necessario intervenire per elevare la professionalità del magistrato, continuando a rifiutare criteri rigidi nella determinazione delle pene.
Posto ai voti, l'emendamento 3.5, risulta respinto.
Dopo un breve intervento del senatore DALLA CHIESA(Mar-DL-U), il quale raccomanda l'approvazione dell'emendamento 3.6, che va nella direzione di un temperamento delle rigidità della previsione in esame, l'emendamento 3.6, non è approvato.
Il PRESIDENTE dichiara quindi improponibile, ai sensi dell'articolo 97 del Regolamento, l'emendamento 3.7.
Dopo che i senatori DALLA CHIESA (Mar-DL-U) e ZANCAN (Verdi-Un) hanno dichiarato il voto favorevole sull'emendamento 3.8, il PRESIDENTE avverte che l'emendamento verrà posto ai voti fino alla parola "limitatamente".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento, non è approvata e, conseguentemente, risulta preclusa la restante parte e gli emendamenti 3.9 e 3.10.
Il senatore CALVI (DS-U) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 3.11, sottolineando l'importanza di evitare gli effetti negativi della disposizione in esame sull'applicazione dei riti alternativi.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 3.11 concordando con il senatore Calvi sull'esigenza di evitare che le innovazioni producano effetti negativi con riferimento ai riti alternativi.
Il PRESIDENTE avverte che l'emendamento 3.11 verrà posto ai voti fino alle parole "non opera nei confronti". Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento, non è approvata e, conseguentemente, risulta preclusa la restante parte, nonché l'emendamento 3.12.
Dopo che il senatore ZANCAN (Verdi-Un) ha raccomandato l'approvazione dell'emendamento 3.13, posto ai voti, l'emendamento non è approvato.
Il senatore DALLA CHIESA(Mar-DL-U), dichiarando il voto contrario sull'articolo 3, evidenzia la disorganicità dell'iniziativa in titolo e richiama l'attenzione sull'importanza di approfondire adeguatamente le disposizioni in esso contenute per le evidenti ingiustizie che le stesse determineranno. Il risultato che ne deriverà sarà infatti una legislazione meno capace di porsi in rapporto equo e costruttivo con la società e di dare una risposta adeguata al bisogno di giustizia.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) dichiara il voto contrario sull'articolo 3 che determinerà, anche alla luce della sua incerta formulazione, questioni interpretative alle quali sarebbe necessario porre preventivamente rimedio.
Il senatore CALVI(DS-U), a nome del suo Gruppo, dichiara il voto contrario sull'articolo 3, facendo rinvio alle considerazioni svolte nei suoi interventi.
Posto ai voti, l'articolo 3, è quindi approvato.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
La seduta termina alle ore 21,55.
GIUSTIZIA (2a)
MERCOLEDi' 2 marzo 2005
446a Seduta (antimeridiana)
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 8,35.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge). - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto del disegno di legge in titolo, sospeso nella seduta notturna del 22 febbraio scorso.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) intervenendo in sede di illustrazione degli emendamenti di cui è primo firmatario, si sofferma sull'emendamento soppressivo 4.1 ed espone le ragioni per le quali è contrario alla riformulazione dell'articolo 99 del codice penale proposta nel disegno di legge n. 3247. In primo luogo la scelta di non considerare agli effetti della recidiva i delitti contravvenzionali che non sempre rivestono caratteristiche di non colposità e talora presentano aspetti di offensività particolarmente rilevanti, come ad esempio nel caso di quelli in materia ambientale od ancora di quelli in materia di infortuni sul lavoro, non può certamente essere condivisibile. Analogamente l'esclusione dei delitti colposi dall'ambito dell'operatività della recidiva è assolutamente fuor di luogo se si considera la gravità che possono rivestire tali fattispecie.
Pur consentendo in linea generale ad una considerazione della recidiva ai fini della sanzione, osserva poi che la previsione della obbligatorietà della sua applicazione non può essere esente da censure nel senso che il suo accertamento prescinderà dalla effettiva pericolosità del soggetto e l'aggravamento del trattamento sanzionatorio potrà essere conseguenza anche di fatti verificatisi a considerevole distanza di tempo.
Lo stesso aumento di pena previsto per i reati più gravi indicati all'articolo 407, comma 2, del codice di procedura penale che, in linea di astratto principio potrebbe essere condiviso, nella pratica non può essere accettabile in quanto il reato successivo potrebbe non avere gli stessi tratti di pericolosità del primo. E allora torna in rilievo l'opportunità che non risulti ingessato il potere discrezionale del giudice se si vuole consentire allo stesso di comminare pene adeguate al delitto o ai delitti commessi. In assenza della fiducia nell'azione del giudice si finisce infatti per prefigurare un improbabile ufficio della sanzione che per la sua astrattezza risulterebbe privo di riferimenti al fatto e alla persona concreta.
In conclusione, il senatore Zancan modifica l'emendamento 4.29, riformulandolo nell'emendamento 4.29 (testo2), in tal modo risultando chiaro il suo intendimento di espungere dal testo la previsione di aumento della pena non inferiore ad un terzo nei casi in cui venga in rilievo la commissione di uno dei delitti all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale.
Dopo che il senatore AYALA (DS-U) ha stigmatizzato l'assenza del Governo, in questo momento non ancora presente in Commissione, interviene il relatore ZICCONE (FI) per replicare ai rilievi svolti dal senatore Zancan. E' suo avviso che un conto sia fidarsi o meno della discrezionalità del giudice, altro stabilire dei limiti entro i quali questa può essere esercitata.
La scelta legislativa compiuta è volta a stabilire la regola di un peso diverso in relazione al valore che la recidiva assume nel comportamento del reo. Nel volere collegare alla recidiva un più significativo aumento di pena, la qual cosa può anche essere giudicata non condivisibile ma è certamente legittima, il legislatore ha inteso porre l'accento non tanto e non solo sulla pericolosità, ma anche e soprattutto sulla colpevolezza di chi, nonostante i richiami, le condanne e l'espiazione di pene, ha reiterato comportamenti illegali.
Ha quindi la parola il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) il quale espone le ragioni sottese agli emendamenti a sua firma relativi all'articolo 4, partendo da una condivisione delle osservazioni svolte in precedenza dal senatore Zancan in merito alla inaccettabilità della definizione rigidamente prescrittiva dell'aumento di pena da collegare alla recidiva, ribadendo al riguardo la propria preferenza per la scelta di individuare uno spazio entro il quale possa esercitarsi la discrezionalità del giudice. E' peraltro ragionevole quanto sostenuto dal relatore circa l'opportunità di definire quale debba essere il limite accettabile di discrezionalità che può essere affidato al giudice.
Il tema è sicuramente di grande attualità e delicatezza alla luce di rilievi statistici che testimoniano una prevalenza dei casi in cui, nel timore che la pena possa essere giudicata ingiusta, il giudice propende per sanzionare, fatti sottoposti alla sua cognizione attestandosi sui minimi edittali. Il fenomeno potrebbe essere qualificato come sintomo di deresponsabilizzazione degli organi giudicanti e capace di determinare effetti a catena su tutta una serie di istituti applicabili rispetto al quantum di pena e di rendere incerta la pena stessa.
Ciò premesso il senatore Dalla Chiesa giudica comunque non accettabile l'intero articolo 4 laddove si prevede, mediante meccanismi di automatica e obbligatoria applicazione dell'aumento della pena, una eccessiva restrizione della possibilità di valutazione rimessa al giudice.
La tassatività di tali disposizioni finisce complessivamente per scolorire ed annullare l'insieme delle circostanze in cui il delitto è reiterato, quando al contrario le stesse dovrebbero essere tenute in debita considerazione, così come le circostanze nelle quali si sviluppa la carriera criminale del soggetto, nonché l'influenza che sulla devianza, hanno i condizionamenti ambientali. Dovrebbe allora essere preoccupazione di tutti salvaguardare il criterio della valutabilità del rapporto tra delitto e circostanze e non invece determinare secchi aumenti di pena sulla base di presupposti privi di qualsiasi flessibilità.
In questa direzione si muovono gli emendamenti da lui presentati nella misura in cui propongono di fissare un limite massimo dell'ammonto e non invece una misura tassativamente fissa ed obbligatoria.
Altra questione di grande momento è quella relativa alla considerazione che deve riservarsi alla cosiddetta qualità del delitto rispetto alla quale applicare l'istituto della recidiva. Il disposto dell'articolo in esame appare segnato da una evidente ambivalenza in quanto, da un lato, ispirato da una cultura repressiva nei riguardi dei delitti non colposi e, dall'altro, indebitamente generoso verso quelli colposi. Valga come esempio la riapertura del caso giudiziario del rogo di Primavalle in cui i responsabili furono condannati per omicidio colposo od anche i casi di omicidio colposo per eccessiva velocità per i quali sarebbe intollerabile e ingiustificabile la mancata applicazione di una adeguata e severa sanzione in caso di reiterazione.
Il tema della recidiva è, conclusivamente, tema assai serio che abbisognerebbe di riflessione maggiore e di dati statistici sui quali costruire una norma adeguata al fine di garantire al sistema giudiziario un uso più efficace della leva penale.
Il senatore BOBBIO (AN) sottolinea la circostanza che per circa la metà dei casi è proprio il pubblico ministero che non si avvale della facoltà di contestare la recidiva, determinando in tal modo l'inapplicabilità della medesima. In altri termini, lo stesso pubblico ministero che dispone del casellario giudiziario e dei carichi pendenti, per ragioni pseudoculturali o per meglio dire per scarsa cultura del ruolo dell'accusa, evita di fare ricorso a strumenti conoscitivi pure disponibili, così determinando per difetto di contestazione la caducazione di fatto della recidiva.
Il senatore AYALA (DS-U) riallacciandosi all'intervento testé svolto dal senatore Dalla Chiesa sottolinea la gravità del fatto che le norme in esame non prevedano la recidiva, ad esempio, per l'imprenditore resosi responsabile in successione di tempo di più omicidi per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 2 marzo 2005
448a Seduta (notturna)
Presidenza del Presidente
La seduta inizia alle ore 21,35.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge). - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta antimeridiana di oggi.
Si prosegue nell'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 4.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si intende che i presentatori abbiano rinunciato ad illustrare gli emendamenti di cui sono primi firmatari i senatori Calvi e Maritati. Resta altresì inteso che la Presidenza consentirà agli stessi senatori Calvi e Maritati di intervenire comunque in via generale sul merito degli emendamenti alla prima seduta utile.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
La seduta termina alle ore 21,40.
GIUSTIZIA (2a)
giovedi' 3 marzo 2005
449a Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
La seduta inizia alle ore 14,40.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge). - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata del processo"
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta notturna del 2 marzo 2005.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si continuerà nell'esame degli emendamenti all'articolo 4 del disegno di legge n.3247, di cui una parte è stata pubblicata in allegato al resoconto della seduta antimeridiana del 2 marzo 2005 e un'altra parte in allegato al resoconto della seduta odierna. Il Presidente, svolgendo le funzioni di relatore, ed il sottosegretario VITALI formulano quindi un parere contrario su tutti gli emendamenti all'articolo 4.
Il senatore BOBBIO (AN) annuncia il voto contrario del suo Gruppo sull'emendamento 4.1 sottolineando l'utilità e la necessità di un intervento sull'articolo 99 del codice penale nel senso indicato dall'articolo 4, non risultando peraltro convincenti le osservazioni critiche esposte dai senatori dell'opposizione in materia. Le disposizioni contenute nell'articolo 4 del disegno di legge n. 3247 sono infatti centrali nell'ottica di restituire credibilità all'ordinamento penale e far sì che lo stesso possa svolgere la sua naturale funzione di repressione dei reati e di prevenzione dalla commissione dei medesimi. L'intervento effettuato sull'istituto della recidiva tiene conto della sua scarsa applicazione, molto spesso per difetto di contestazione da parte dello stesso pubblico ministero, anche quando sussisterebbero i presupposti di legge. Ne deriva che la recidiva rischia di non concorrere più in concreto a definire il trattamento sanzionatorio, in contrasto con l'intenzione del legislatore e con l'evidenza del dato normativo. Richiama quindi l'attenzione sul cattivo uso della discrezionalità che la legge lascia al giudice per la determinazione della pena da applicare, essendosi progressivamente registrata una involuzione nel modo in cui i giudici la intendono. Il magistrato infatti non si limita ad una applicazione delle norme ma, molto spesso, effettua una valutazione della rispondenza dello strumento sanzionatorio all'interesse della collettività, sostituendosi, in tal modo, al legislatore in una funzione che non gli è propria. Si registra, ad esempio, un'applicazione generalizzata delle circostanze generiche, senza alcuna rispondenza al caso concreto, ed un particolare modo di effettuare il bilanciamento delle circostanze tali da determinare in via sistematica una riduzione del livello delle pene che finiscono nella generalità dei casi ad attestarsi comunque sui minimi edittali. Con l'intervento in esame, attraverso l'introduzione di automatismi e limitazioni alla discrezionalità del giudice, si persegue l'obiettivo di recuperare l'efficacia formale della legge nei confronti degli operatori che sarebbero chiamati semplicemente ad applicarla e non ad offrire della medesima letture del tutto estranee al dettato normativo, svolgendo in tal modo una attività di politica del diritto che non compete loro. Non appare poi condivisibile la critica, rivolta dall'opposizione alla maggioranza, di aver configurato la recidiva con riferimento ai soli delitti non colposi in quanto si tratta di una scelta giustificata dalla necessità, in tal modo, di introdurre un temperamento al maggior rigore della nuova disciplina, nell'ottica di un migliore equilibrio. L'innovazione dovrebbe produrre anche effetti virtuosi con riferimento alla determinazione delle pene per i delitti colposi e per le contravvenzioni, favorendo l'abbandono degli automatismi, in particolare quanto all'applicazione delle circostanze generiche. Sottolinea conclusivamente come proprio applicazioni benevole, nella definizione del trattamento sanzionatorio, finiscano per essere criminogene, in quanto la minimizzazione sistematica delle pene non può che agevolare l'intento criminale.
Il senatore TIRELLI (LP), nel rifarsi per quanto riguarda gli aspetti più strettamente tecnici alle considerazioni già svolte dal senatore Bobbio, sottolinea, sotto un profilo più generale, l'esigenza di fornire una risposta effettiva alla diffusa percezione che il sistema sanzionatorio funzioni in maniera inefficace finendo per assicurare troppo spesso una sorta di vera e propria garanzia di impunità nei confronti di chi commette reati, con inevitabili riflessi negativi sulla sicurezza dei cittadini. In questo quadro ha sicuramente rilievo decisivo il dato di fatto rappresentato dall'elevatissimo numero di reati commessi da soggetti già autori di altri crimini commessi in precedenza. Da questo punto di vista, la scelta di valorizzare il ruolo della recidiva nella definizione del trattamento sanzionatorio appare senz'altro coerente e rispondente alla finalità di una azione legislativa che, nell'ambito considerato, deve avere anche un valore educativo e fornire risposte convincenti alle fondate preoccupazioni della collettività. Per tale ragione la sua parte politica voterà a favore dell'articolo 4 del disegno di legge n. 3247 e contro gli emendamenti soppressivi dello stesso.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 15,05.
GIUSTIZIA (2a)
mercoledi' 9 marzo 2005
450a Seduta (antimeridiana)
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Vitali.
IN SEDE REFERENTE
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri - (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta del 3 marzo 2005.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si continuerà nell'esame degli emendamenti all'articolo 4 del disegno di legge n. 3247, già pubblicati in allegato ai resoconti della seduta notturna del 2 marzo 2005 e della seduta del 3 marzo 2005.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 4.1 che propone di sopprimere l'articolo 4 del disegno di legge n. 3247, osservando che l'inasprimento del regime sanzionatorio realizzato con la riforma dell'istituto della recidiva non è condivisibile non soltanto perché determina aumenti di pena straordinari, ma soprattutto in quanto si tratta di un intervento episodico, privo di organicità e non accompagnato da altre modifiche del regime sanzionatorio che sarebbero state invece necessarie. In conseguenza dell'innovazione si determineranno, infatti, disparità di trattamento di difficile giustificazione anche perché verrà meno quella discrezionalità del giudice oggi riconosciuta con riguardo all'applicazione della recidiva che è necessaria per assicurare la determinazione di una sanzione correlata alla gravità delle fattispecie concrete ed alla personalità del reo. Ribadisce poi il giudizio negativo sulla scelta di escludere l'applicazione della recidiva con riferimento ai delitti colposi che sono molto spesso di particolare gravità, apparendogli incongruo ometterne la considerazione nel caso in cui l'autore dei medesimi reiteri la commissione degli illeciti. Dopo aver ricordato che l'efficacia delle sanzioni consegue anche al fatto che le condotte siano percepite come illeciti nel comune sentire dei cittadini, ritiene che, sotto tale profilo, l'intervento proposto ben difficilmente potrà incidere sul costume, avendo anzi effetti di ben altra natura, dal momento che dalla reiterazione di fatti gravi di natura colposa, come ad esempio quelli derivanti dalla circolazione dei veicoli o dallo svolgimento di attività produttive, non deriveranno più inasprimenti di pena che invece sarebbero opportuni. Si tratta quindi di una riforma che non colpisce i veri delinquenti ma che è invece destinata ad avere effetti eccessivi sulla piccola criminalità, impedendo altresì che la pena possa svolgere quella funzione rieducativa che la Costituzione gli assegna.
Il senatore AYALA (DS-U), dichiarando il voto favorevole sull'emendamento 4.1 evidenzia in primo luogo la scarsa qualità della legislazione posta in essere dall'attuale maggioranza. E' questa, una considerazione che può essere riferita anche al testo in esame che ne costituisce un ulteriore esempio connotato altresì dall'assurdità delle disposizioni in esso contenute che si giustificano esclusivamente per finalità di tipo propagandistico, e che appaiono, ad un'analisi obiettiva, del tutto inadeguate a fornire una risposta efficace al bisogno di sicurezza dei cittadini. Appare altresì contraddittorio il fatto che, da un lato, si costruisce un regime sanzionatorio di una rigidità che non ha precedenti con riferimento ai recidivi e, dall'altro, lo si accompagna con un intervento sull'istituto della prescrizione i cui effetti saranno devastanti e che, vanificando migliaia di processi, finirà per ridurre il numero dei soggetti cui sarà applicabile l'istituto della recidiva in modo palesemente paradossale. Più in generale si registra la riproposizione di un sistema obsoleto, attraverso il recupero di norme che l'esperienza applicativa ha dimostrato inaccettabili, e che non trovano riscontri in altri ordinamenti. Conclude quindi il suo intervento raccomandando ancora una volta l'approvazione dell'emendamento 4.1, che fa venir meno una disposizione sbagliata e contraddittoria della quale è impossibile giustificare la coerenza.
Posto ai voti l'emendamento 4.1 - di contenuto identico all'emendamento 4.2 - non è approvato.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) dichiarando il voto favorevole sull'emendamento 4.3, evidenzia come la proposta in esso contenuta - una volta costretti ad un intervento sull'istituto della recidiva - abbia per obiettivo quello di determinare una riforma dell'istituto accettabile. Al riguardo è necessario a suo avviso che l'applicazione della recidiva sia comunque rimessa alla discrezionalità del giudice apparendo non accettabile che anche la commissione di un fatto di lieve entità, per di più compiuto in un'epoca risalente nel tempo, possa avere effetti rilevantissimi sulla pena, né essendo possibile che la determinazione della sanzione sia influenzata significativamene dalla maggiore o minore durata del procedimento dalla cui conclusione deriverà la contestazione della recidiva. Ritiene infine necessario che la recidiva sia configurabile anche rispetto alle contravvenzioni adducendo l'esempio dei reati di tipo ambientale.
Ha quindi la parola il senatore AYALA (DS-U) il quale, raccomandando l'approvazione dell'emendamento 4.3, evidenzia come si tratti con tale proposta di ricondurre a ragionevolezza la riforma della recidiva voluta dalla maggioranza, ricordando come tale intervento contraddica quell'orientamento di pensiero autorevole e consolidato cui si fa riferimento utilizzando la nozione di "diritto penale mite", che si è sviluppato anche in reazione ad un impianto codicistico che è stato superato dal mutamento della società. Se infatti nel codice del '30 era normale che il carcere costituisse il pilastro essenziale ed esclusivo del trattamento sanzionatorio non altrettanto può dirsi nell'attuale contesto sociale rispetto al quale si avverte l'esigenza di individuare strumenti alternativi ed aggiuntivi al carcere stesso. L'intervento realizzato nel disegno di legge approvato dall'altro ramo del Parlamento contraddice la tendenza in corso, ripristinando antichi meccanismi giuridici non più attuali. L'intervento contraddice altresì l'iniziativa promossa dalla maggioranza che ha avvertito l'esigenza di una riforma del codice penale, istituendo a tal fine la Commissione ministeriale presieduta dal dottor Nordio.
Il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) dichiara il voto favorevole sull'emendamento 4.3 sottolineando l'inaccettabilità di un intervento che riduce fortemente la discrezionalità del giudice ed esclude la riferibilità della recidiva rispetto ai delitti non colposi. Dichiara quindi di non condividere in linea di principio quelle osservazioni per le quali risulterebbe estraneo all'iniziativa in esame un intervento sulla recidiva che è invece un tema che può ben essere affrontato in questa sede nell'ambito di un confronto costruttivo fra visioni diverse ma pur sempre meritevoli di rispetto. L'intervento realizzato dal Governo costituisce uno spunto di riflessione in un tema che si sarebbe potuto approfondire in maniera proficua se ad esso non si fosse accompagnato in modo contraddittorio, peraltro, anche la riforma della prescrizione che costituisce il punto centrale dell'intervento normativo voluto dalla maggioranza. Condivide pertanto le osservazioni già espresse circa la intima contraddizione di un articolato che, da un lato, inasprisce le pene con riferimento ai recidivi e, dall'altro, vanifica gli effetti dell'intervento attraverso una diversa considerazione della prescrizione. Conseguentemente, pur raccomandando l'approvazione dell'emendamento 4.3, osserva che sarebbe stato ancora più auspicabile la soppressione dell'intero articolo 4.
Posto quindi ai voti l'emendamento 4.3 non è approvato.
Ha quindi nuovamente la parola il senatore DALLA CHIESA (Mar-DL-U) per raccomandare l'approvazione dell'emendamento 4.4, ribadendo come non appaia condivisibile l'aver attribuito rilevanza soltanto alla ripetizione di alcuni comportamenti illeciti, trascurando invece altri di pari rilevanza ancorché connotati dalla colpa.
Posto quindi ai voti l'emendamento 4.4 non è approvato.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) dichiarando il voto favorevole sull'emendamento 4.5, osserva come la proposta in esso contenuta abbia per obiettivo quello di attribuire al giudice quella necessaria discrezionalità nella determinazione della pena che l'intervento voluto dalla maggioranza farebbe venir meno.
Il PRESIDENTE avverte che l'emendamento 4.5 verrà posto in votazione fino alle parole "di un terzo".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento, risulta respinta. Risultano conseguentemente preclusi la restante parte dell'emendamento, nonché gli emendamenti 4.6 e 4.7.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
La seduta termina alle ore 9,30.
GIUSTIZIA (2a)
MARTEDi' 15 marzo 2005
454a Seduta
Presidenza del Presidente
Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Vietti e Vitali.
La seduta inizia alle ore 15.
IN SEDE REFERENTE
(omissis)
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge).- Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata " del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo sospeso nella seduta antimeridiana del 9 marzo 2005.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si continuerà nell'esame degli emendamenti al disegno di legge n. 3247 già pubblicati in allegato ai resoconti della seduta notturna del 2 marzo 2005 e della seduta del 3 marzo 2005.
Il senatore ZANCAN(Verdi-Un), dopo aver ritirato l'emendamento 4.8, annuncia il voto favorevole sull'emendamento 4.9.
Posto ai voti l'emendamento 4.9, di contenuto identico agli emendamenti 4.10 e 4.11, è respinto.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) raccomanda l'approvazione dell'emendamento 4.12, sottolineando di ritenere assolutamente incomprensibile la pervicacia con cui la maggioranza insiste nel non attribuire rilievo alla recidiva in materia di delitti colposi e rilevando come tale orientamento sia, tra l'altro, in contraddizione anche con la ratio ispiratrice del disegno di legge recentemente approvato dall'altro ramo del Parlamento in materia di incidenti stradali.
Posto ai voti, è respinto l'emendamento 4.12.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 4.13, ribadendo ancora una volta la sua netta contrarietà alle previsioni del testo in esame che si risolvono in un'eccessiva e ingiustificata limitazione della discrezionalità del giudice nell'adeguamento del trattamento sanzionatorio al caso concreto.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 4.13 fino alle parole "è della metà".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento 4.13 è respinta e risultano conseguentemente preclusi la restante parte dell'emendamento, nonché gli emendamenti 4.14, 4.15 e 4.16.
Col voto favorevole del senatore ZANCAN(Verdi-Un), è poi posto ai voti e respinto l'emendamento 4.17.
Dopo che il senatore ZANCAN (Verdi-Un) ha raccomandato l'approvazione dell'emendamento 4.18, il presidente Antonino CARUSO avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 4.18 fino alle parole "è della metà".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento 4.18, è respinta. Risultano conseguentemente preclusi la restante parte, nonché l'emendamento 4.19.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 4.20.
Il presidente Antonino CARUSO avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 4.20 fino alle parole "è di due terzi".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento 4.20, è respinta e risultano conseguentemente preclusi la restante parte, nonché l'emendamento 4.21.
Col voto favorevole del senatore ZANCAN (Verdi-Un) è posto ai voti e respinto l'emendamento 4.22.
Dopo che il senatore ZANCAN (Verdi-Un) ha raccomandato l'approvazione dell'emendamento 4.23, evidenziando come lo stesso si faccia carico dell'esigenza di raccordare sistematicamente la disciplina della recidiva con le nuove specie di pena previste dal decreto legislativo n. 274 del 2000, relativo alla competenza penale del giudice di pace, il presidente Antonino CARUSO avverte che si passerà alla votazione della prima parte dell'emendamento 4.23 fino alle parole "è stata inflitta".
Posta ai voti, la prima parte dell'emendamento 4.23, è respinta e risultano conseguentemente preclusi la restante parte, nonché gli emendamenti 4.24 e 4.25.
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 4.26 raccomandando l'approvazione di una proposta che si muove in una prospettiva di riduzione del danno consentendo l'applicabilità delle disposizioni in materia di recidiva limitatamente ai delitti colposi commessi per inosservanza delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o per la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Posto ai voti, l'emendamento 4.26, è respinto.
Dopo che il senatore ZANCAN (Verdi-Un) ha annunciato il voto favorevole sull'emendamento 4.27, sono separatamente posti ai voti e respinti l'emendamento 4.27, l'emendamento 4.28, nonché l'emendamento 4.29 (testo 2).
Il senatore ZANCAN (Verdi-Un) annuncia il voto contrario sull'articolo 4 del disegno di legge n. 3247, richiamandosi alle considerazioni critiche già espresse nel corso del dibattito e sottolineando come le scelte effettuate nella definizione del nuovo assetto della disciplina della recidiva, se certamente non rappresentano l'unico aspetto non condivisibile del testo in esame, costituiscano però sicuramente l'innovazione più pervasiva e quella che produrrà effetti più devastanti sul concreto funzionamento della macchina giudiziaria penale.
Il senatore DONADI (Misto-IdV) annuncia il voto contrario sull'articolo 4, sottolineando peraltro, come, a differenza di altre previsioni del disegno di legge n. 3247 che appaiono in radice non condivisibili, l'esigenza sottesa all'articolo 4, e cioè quella di attribuire un maggiore rilievo alla recidiva nella definizione del trattamento sanzionatorio, appaia di per sé valutabile positivamente. Quello che invece appare sbagliato e assolutamente non convincente è la scelta di rispondere a questa esigenza con meccanismi sanzionatori che risultano sproporzionati e caratterizzati da un illogico automatismo che limita in modo inopportuno e ingiustificato la discrezionalità del giudice.
Posto ai voti, è quindi approvato l'articolo 4.
Il seguito dell'esame congiunto è infine rinviato.
La seduta termina alle ore 16,35.
AFFARI COSTITUZIONALI (1a)
Sottocommissione per i pareri
martedi’ 15 febbraio 2005
219a Seduta
Presidenza del Presidente
FALCIER
Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gagliardi.
La seduta inizia alle ore 14,35.
(omissis)
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati
(Parere su testo ed emendamenti alla 2ª Commissione. Esame. Parere non ostativo su testo ed emendamenti)
Il relatore BOSCETTO (FI) illustra il disegno di legge in titolo, già approvato dalla Camera dei deputati, con il quale si provvede a dettare una disciplina di maggiore rigore per i casi di recidiva, graduando l'aggravamento delle pene che ne consegue. Dopo aver ricordato il contenuto dell'articolo 1, volto a riconoscere una specifica attenuante alla persona che abbia commesso il fatto avendo compiuto 70 anni di età, sempre che non si trovi in una situazione di recidiva, si sofferma sulle disposizioni recate dall'articolo 2 con il quale vengono disciplinate le circostanze attenuanti generiche: si sofferma in particolare sul secondo comma del novellato articolo 62-bis del codice penale, che preclude l'applicazione di disposizioni favorevoli al reo in particolari casi di recidiva. Vengono inoltre previsti aggravamenti delle pene determinati dagli articoli 416-bis e 418 primo comma del codice penale. Dopo avere illustrato l'articolo 3, che individua ipotesi di esclusione del giudizio di comparazione, si sofferma sull’articolo 4 che sostituisce il vigente articolo 99 del codice penale: con la novella in questione si delinea una nuova disciplina della recidiva, prevedendo un diverso ambito di applicazione che ha a riferimento la condanna per un delitto non colposo, anziché quella per un reato, nonché aggravamenti di pena, in particolare per i casi di recidiva specifica infraquinquennale.
Dopo aver riferito sul contenuto dell’articolo 5, si sofferma sulle disposizioni in tema di prescrizione del reato di cui all’articolo 6 del disegno di legge n. 3247: si prevede che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione. Osserva come, in applicazione di tale nuova disciplina, per alcuni reati la prescrizione è destinata a operare dopo un tempo inferiore a quello stabilito dalla disciplina vigente; segnala che, tuttavia, gli stessi reati potranno prescriversi in un tempo anche più lungo di quello previsto dalle disposizioni vigenti in ragione dell’eventuale recidiva del condannato. Sottolinea che mentre nelle disposizioni vigenti del codice penale la prescrizione del reato opera in forza di un dato oggettivo, con la novella all’articolo 157 del codice penale, di cui all'articolo 6, essa sarà determinata anche in funzione di una condizione soggettiva, quale è la recidiva. Ritiene che tale scelta legislativa, pur potendo suscitare a prima lettura qualche perplessità anche per la sua carica innovativa, non sia in contrasto con i principi costituzionali.
Dopo aver illustrato gli articoli 7, 8 e 9 si sofferma sull’articolo 10 che disciplina l'entrata in vigore delle disposizioni in esame; a tale riguardo segnala che tale disposizione deve intendersi come riferita “anche” ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa in esame e ai procedimenti e processi pendenti a tale data, oltre che evidentemente a quelli ad essa successivi. Ricorda, infine, il rilievo emerso nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento in merito alla automatica applicazione dell’aumento di pena in tema di recidiva; in merito a tale previsione si paventava un contrasto con il principio di cui all’articolo 27, terzo comma, della Costituzione a norma del quale le pene debbono tendere alla rieducazione del condannato, nella misura in cui impedirebbe al giudice di valutare anche altri elementi nel comminare in concreto la pena. A tale proposito ricorda che il principio sancito dall’articolo 27, terzo comma della Costituzione riferisce la funzione rieducativa della pena alla fase della concreta esecuzione della pena stessa e inerisce al trattamento penitenziario che ne concreta l’esecuzione, più che al tipo di pena prevista, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. In conclusione, tale rilievo non è a suo avviso condivisibile, poiché la disposizione di cui si tratta condiziona l’operato del giudice in casi limitati e in misura non irragionevole.
Conclude proponendo alla Sottocommissione di esprimere, per quanto di competenza, un parere non ostativo.
Illustra quindi gli emendamenti riferiti al disegno di legge in titolo e propone di esprimere sul loro complesso, per quanto di competenza, un parere non ostativo.
La Sottocommissione concorda con le proposte del relatore.
(omissis)
IGIENE E SANITA’ (12a)
Sottocommissione per i pareri
MERCOLEDI’ 19 GENNAIO 2005
55a Seduta
La Sottocommissione, riunitasi sotto la presidenza del presidente Boldi, ha adottato le seguenti deliberazioni per i provvedimenti deferiti:
alla 2a Commissione:
(3247) Deputato CIRIELLI ed altri. - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, approvato dalla Camera dei deputati: parere favorevole con osservazione
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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837a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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GIOVEDI' 7 LUGLIO 2005 |
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Presidenza del vice presidente MORO, |
Discussione dei disegni di legge:
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (Approvato dalla Camera dei deputati)
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di «ragionevole durata» del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (ore 9,37)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge nn. 3247, già approvato dalla Camera dei deputati, 260, 2699 e 2784.
Ha facoltà di parlare il presidente della 2a Commissione permanente, senatore Antonino Caruso, per riferire sui lavori della Commissione.
CARUSO Antonino (AN). Signor Presidente, la Commissione giustizia ha dedicato all'esame di questo provvedimento sedici sedute tra il 5 giugno 2002 (quando si tenne la prima) ed il marzo del corrente anno. Il 5 giugno 2002, in realtà, si esaminò solo il disegno di legge n. 260 che è collegato a quello in esame. Quindi, si può semplicemente dire che il lavoro della Commissione si è concentrato nell'arco di tre mesi (gennaio-marzo 2005), per un complesso, come dicevo, di sedici sedute che hanno portato all'esame e alla votazione dei primi quattro articoli del disegno di legge n. 3247 che di articoli, nel suo complesso, ne ha dieci.
Il lavoro della Commissione si è poi interrotto a fronte del mutato atteggiamento delle forze di opposizione che, mentre nella prima fase avevano contribuito alla formazione di un testo migliore e comunque ad un dibattito pieno sulle questioni di volta in volta affrontate, a partire dell'esame dell'articolo 5, nella sostanza, si sono attestate su posizioni di ostruzionismo, utilizzando come strumento per lo stesso le diverse centinaia di emendamenti presentati.
Io devo solo riferire all'Assemblea, per forma più che per sostanza, perché tutti conoscono il contenuto di questo provvedimento, di che cosa si tratta. Il disegno di legge interviene su una serie di disposizioni che, per un verso, ridisegnano il sistema delle circostanze attenuanti del reato e, per altro verso, intervengono viceversa sul sistema della recidiva, sia con riferimento a disposizioni contenute nel codice penale, sia a disposizioni contenute nel codice di procedura penale, in particolare l'articolo 656, e nella legge sull'ordinamento penitenziario, con riferimento quindi a tutte le disposizioni miranti a regolare i cosiddetti benefici penitenziari.
Il motivo conduttore di quest'ultima serie di disposizioni che riguardano la recidiva risiede nel fatto di considerare la figura del recidivo, ancorché non tecnicamente dichiarato delinquente abituale, come quella di soggetto non meritevole, in linea generale, di poter godere di benefici, il che non è tradotto in disposizioni di carattere assoluto ma in disposizioni di carattere relativo, nel senso che i vari articoli, come ridisegnati dal provvedimento, inaspriscono per qualche verso e allontanano per qualche altro verso l'applicazione dei benefìci.
Per quanto riguarda la prescrizione, sono sorte numerose polemiche, signor Presidente, con riferimento alla circostanza, utilizzata più come uno slogan - mi piace pensare - che come un'argomentazione di sostanza, secondo cui il disegno di legge allunga il tempo di prescrizione per i reati di minore rilevanza, o sanzionati con sanzioni di minore importanza, e viceversa lo accorcia con riferimento a quelli di maggiore portata.
A me piace dire - ha già sostenuto questo argomento il relatore in Commissione, senatore Ziccone - che, al di là dello slogan, la circostanza in sé è assolutamente plausibile, posto che di fronte a condotte ad elevato allarme sociale, quindi accompagnate da sanzione di elevato rango e di elevata importanza, è assolutamente ragionevole, spiegabile, avvertito e desiderato dai cittadini che l'azione di contrasto posta in essere dallo Stato sia rapida, concentrata ed efficace. Per quanto riguarda, invece, le condotte a minor allarme sociale, quindi con sanzioni di minor portata, il contrasto alle stesse può essere certamente dilazionato nel tempo, può trovare certamente un momento di subordinazione.
Questa è la volontà del disegno di legge e non può essere completamente annullata; di qui la ragionevolezza dell'allungamento del termine complessivo. Il principio che non può essere revocato in dubbio - e che infatti non è revocato in dubbio in questo disegno di legge - è quello della proporzionalità non tra il rango della condotta il cui disvalore è socialmente avvertito rispetto alla durata del tempo di prescrizione, ma piuttosto rispetto all'entità della sanzione. La proporzione qui, come intuibile, è ovviamente assicurata, dunque su questo argomento, per quanto mi riguarda, non vi è questione alcuna. (Applausi dei senatori Nessa e Meduri).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, in relazione a quanto riferito dal senatore Caruso Antonino, il disegno di legge n. 3247, non essendosi concluso l'esame in Commissione, sarà discusso nel testo trasmesso dalla Camera dei deputati, senza relazione, neppure orale, ai sensi dell'articolo 44, comma 3, del Regolamento.
In conformità a quanto avvenuto in analoghe circostanze, non esiste nel caso in questione un relatore all'Assemblea, tale non potendosi considerare il relatore alla 2a Commissione permanente. Quest'ultima, infatti, non avendo concluso i propri lavori, non ha conferito specifico mandato di fiducia.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, vorrei avanzare una questione pregiudiziale.
Vi è veramente l'imbarazzo della scelta a proporre e prospettare questioni di incostituzionalità rispetto a questo testo di legge, dove i proponenti - ovverosia la maggioranza, per così dire, rimasta paralizzata rispetto alla spasmodica ricerca di realizzare l'obiettivo, ossia la salvezza processuale dell'onorevole Cesare Previti - hanno dimenticato ogni regola di buona tecnica processuale e, soprattutto, il rispetto di quella norma superiore che è la Carta costituzionale.
Indicherò, dunque, in via meramente esemplificativa ma non certamente esaustiva, alcune specifiche violazioni, in particolare quelle di due precisi princìpi costituzionali.
Secondo costante insegnamento della Corte costituzionale, è compito della Corte verificare che le norme processuali non conducano ad una paralisi, essendo valore di valenza costituzionale quello di assicurare l'efficienza di funzionamento del sistema processuale.
In secondo luogo, ferma la discrezionalità del legislatore in tema di decisione sanzionatoria - e questo è stato detto sin dalla sentenza n. 341 del 1994 - la Corte rivendica il ruolo, in materia sanzionatoria, di verificare il cosiddetto limite della ragionevolezza, limite che il testo in esame - come vedremo tra poco - vìola, in modo smaccato, in ripetute occasioni.
Prenderò come esempio soltanto due delle materie trattate dal disegno di legge. Ebbene, in tema di prescrizione, l'articolo 6 prevede l'aumento dei termini di prescrizione per i reati meno gravi e la loro diminuzione per quelli più gravi, che è disposizione contraria ad ogni principio di ragionevolezza.
Dice il presidente Antonino Caruso, riferendo sui lavori della Commissione, che ciò non è irragionevole perché è abbastanza logico desiderare un processo più celere per i reati più gravi. Dimentica il presidente Caruso che questa norma avrà una enorme disposizione transitoria, cosicché nel transitorio verranno in sostanza amnistiati i reati più gravi e lasciati indenni quelli meno gravi.
Ciò sta a significare, signori della maggioranza, che ci sarà una moria dei procedimenti più gravi, un'amnistia dei reati più gravi ed una sopravvivenza dei reati meno gravi. Questo è manifestamente incostituzionale per violazione del principio di razionalità. (Commenti ironici dai Gruppi della maggioranza).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il senatore Zancan sta illustrando una questione pregiudiziale. Non trovo adeguati i vostri commenti a quanto egli sta affermando.
ZANCAN (Verdi-Un). La ringrazio, signor Presidente.
In secondo luogo, consentire che la sospensione del procedimento abbia applicazione sino ad un quarto del tempo prescrizionale è contro ogni principio di efficienza, perchè - lasciatemelo dire - sarà impossibile fare un processo ad un imputato malato, così come sarà impossibile farlo ad un imputato che si sceglierà un avvocato ammalato o impedito per lavori parlamentari o per qualsiasi altra causa; saranno gettonati gli avvocati dell'età di 95 anni perché ciò consentirà il raggiungimento della prescrizione. Questo è contrastante con il principio di efficienza del processo, ma non basta.
Se guardiamo al trattamento sanzionatorio, per esempio all'articolo 5 del provvedimento in esame si prevede un aumento secco di un terzo per i reati in continuazione: tale aumento per i recidivi è assolutamente irragionevole. Si verificherà, infatti, che per una rapina commessa con un coltellino con una lama poco lunga sarà necessario (se la pena per la rapina è di sei anni) applicare sanzione di due anni per il porto di coltello, che non può tra l'altro essere applicata perché superiore al massimo edittale. Ciò significa che è assolutamente irrazionale predisporre una normativa in materia di continuazione che non dà vantaggi, ma anzi svantaggi.
Ancora, se esaminiamo l'articolo 3, è massimamente irrazionale il divieto di comparazione delle circostanze attenuanti con le aggravanti per i recidivi, che darà luogo a risultati talmente sperequati da essere assolutamente inaccettabili.
Il medesimo furto di una macchina commesso da un incensurato e da un recidivo avrà l'esito di una pena di due mesi per l'incensurato, superiore a due anni per il recidivo, il che significa ritornare al tipo di autore nella sanzione e non già, come afferma la Carta costituzionale, verificare la gravità del fatto come primo elemento di verifica della sanzione medesima.
All'articolo 8, poi, stabilite che l'affidamento in prova per i tossicodipendenti recidivi può essere dato soltanto una volta, dimenticando che nella vostra nuova proposta di legge in materia di droga la possibilità di affidamento è addirittura portata a tre volte; ma de minimis non curat questo legislatore, infatti, presentate un disegno di legge e, contestualmente, un altro provvedimento che reca disposizioni esattamente contrarie.
Ma, soprattutto, c'è una palese violazione del principio di rieducazione della pena, previsto dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione laddove l'affidamento in prova nei confronti del tossicodipendente è voluto come momento di recupero della persona che ha commesso determinati fatti stretto dalla necessità dell'uso della sostanza stupefacente.
Come - e qui vengo ad un altro punto di estrema incidenza del disegno di legge - è contrario a qualsiasi principio di efficienza il regime transitorio, che prevede, al di là di qualsiasi possibilità di conservazione del processo, che tutti i processi pendenti abbiano nuova applicazione di prescrizione e quindi non abbiano quella salvaguardia che la stessa normativa in materia di giusto processo ha previsto come momento, appunto, di salvaguardia rispetto a nuove previsioni normative.
Concludo qui la prospettazione di queste questioni di costituzionalità che, come i signori colleghi hanno potuto verificare, è ampia, variegata, articolata e investe non solo specifiche norme ma la struttura, lo spirito, quindi, in modo globale, il disegno di legge in titolo.
Sarebbe stato assai preferibile, signori colleghi, una norma secca di salvezza per l'onorevole Previti piuttosto che tanta devastazione della Carta costituzionale.
Le violazioni delle norme costituzionali previste in questo testo di legge sono così gravi, così pervasive, che nel momento in cui sento il dovere, a nome personale e del mio Gruppo, di sollevare tali questioni a quest'Aula del Parlamento, anticipo fin d'ora che, se questo ramo del Parlamento dovesse respingerle - Dio non voglia, perché la difesa della Costituzione è il compito più alto di qualsiasi Parlamento - sarà indispensabile chiedere al popolo italiano di mobilitarsi in difesa della Costituzione. (Applausi dal Gruppo Verdi-Un).
BRUTTI Massimo (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUTTI Massimo (DS-U). Signor Presidente, ho chiesto la parola per illustrare una pregiudiziale di costituzionalità.
Desidero, anzitutto, segnalare il nostro dissenso, la divergenza di valutazione rispetto alla ricostruzione della vicenda relativa al disegno di legge proposta qui dal presidente Caruso Antonino.
Assistiamo, sempre più spesso, ad una contrazione della discussione su disegni di legge delicati e al centro di uno scontro politico. Qualificare come ostruzionistica un'opposizione rigorosa, che naturalmente cerca anche di prendere tutto il tempo necessario a svolgere le proprie argomentazioni e a manifestarle entro e fuori la Commissione (quando passa qualche settimana di discussione è evidente che qualcuno, anche all'esterno, si accorge che si sta discutendo), secondo noi, non è esatto. L'ostruzionismo è altra cosa, l'abbiamo fatto in alcune occasioni, in questa volevamo continuare a discutere.
Si giunge invece all'esame in Assemblea senza che vi sia stata un'accurata discussione sulla parte più delicata e criticabile di questa legge, che è proprio la seconda.
Svolgerò alcune considerazioni volte a dimostrare che alcuni aspetti del disegno di legge sono in contrasto con il dettato costituzionale. L'articolo 1 del provvedimento introduce un numero 6-bis) all'articolo 62 del codice penale, prevedendo un'attenuante connessa alla circostanza che la persona cui si riferisce il giudizio era, al momento della commissione del fatto, di età pari o superiore ad anni settanta, mentre, al momento della sentenza, non si trovava nelle condizioni di cui all'articolo 99, cioè nei suoi confronti non era applicabile la recidiva.
A mio giudizio, l'articolo 1 del disegno di legge, così formulato, è illegittimo, sotto il profilo della conformità alla Costituzione, per due ordini di motivi. In primo luogo, la disparità di trattamento dovuta all'età mi pare in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione; in secondo luogo, esso è costituzionalmente illegittimo in relazione all'articolo 25 della Carta fondamentale. Mi capiterà di richiamare ancora l'articolo 25, che, al secondo comma, recita: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".
Si viene qui a determinare una posizione, quella della persona che abbia compiuto settant'anni di età al momento del fatto e che al momento della sentenza non si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 99, per motivi del tutto contingenti. Il momento della sentenza, che si presume irrevocabile, anche se nella norma non è detto, dipende da contingenze dovute all'organizzazione giudiziaria e dunque non da una legge precedente che fissi il regime sanzionatorio in modo inequivocabile.
Più in generale, vi sono altri aspetti del disegno di legge che, a mio giudizio, si manifestano in contrasto con l'articolo 25 della Costituzione. Nella nuova disciplina della recidiva che ci viene proposta, il trattamento sanzionatorio non deriva dal fatto che è previsto e disciplinato dalla norma penale, ma deriva da una condizione soggettiva, estranea al fatto. In particolare, il nuovo articolo 99 del codice penale, introdotto dall'articolo 4 del disegno di legge in esame, nella parte in cui rende obbligatorio l'aumento per la recidiva, vìola, in ragione di un semplice status soggettivo, il principio della parità di trattamento penale a parità di violazione della legge penale.
Ancora, con l'articolo 5 si interviene sull'istituto della continuazione, stabilendo l'aumento di pena per la continuazione in base ad una circostanza del tutto estranea al trattamento punitivo del fatto. E' assai singolare che, sulla base di una circostanza estranea che non dovrebbe rilevare ai fini della continuazione, si rimodelli proprio la disciplina della continuazione del reato in riferimento alla fattispecie qui delineata.
Più in generale, il mio dubbio nasce dal fatto che, secondo l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, si punisce un fatto, mentre in questo caso siamo di fronte a misure punitive costruite in modo diverso, non ancorate al fatto e alla sua valutazione: la punizione viene rapportata più che al fatto, oggetto di giudizio, al tipo di autore.
Questa è la caratteristica delle norme in tema di recidivo, introdotte con questo disegno di legge. Inoltre, a mio giudizio, un altro punto del disegno di legge entra in contrasto con il dettato costituzionale. Precisamente, ritengo che il regime della interruzione e della sospensione sia, nell'ambito della seconda parte del disegno di legge, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.
Secondo la disciplina contenuta nel disegno di legge, il prolungamento del termine di prescrizione è consentito solo in caso di interruzione e di sospensione del suo corso e non può, comunque, superare un quarto della durata massima. Siamo, pertanto, di fronte ad una equiparazione del regime della sospensione e di quello della interruzione. È un fatto assai rilevante, di cui è stata denunciata la stravaganza anche dai penalisti italiani in una lettera di qualche mese fa.
Come è noto, l'istituto della interruzione e quello della sospensione sono radicalmente diversi: l'interruzione è legata ad eventi processuali tipici, connessi alle iniziative che l'autorità giudiziaria assume per perseguire il reato, mentre la sospensione del corso della prescrizione vuole sottrarre dal calcolo definitivo quegli eventi che rappresentano una pausa del corso processuale non fisiologica. Insomma, la sospensione del processo dipende spesso da un evento sottratto alla disponibilità dell'autorità giudiziaria. Invece, il disegno di legge mette insieme, confondendole, interruzione e sospensione, con un effetto, quello di rimettere la disponibilità dei tempi processuali, essendo comunque breve il termine di prescrizione previsto, all'imputato. Non c'è freno alle attività dilatorie, sulla base di questa norma, all'uso strumentale del processo, a chi vuole perdere tempo, a chi si difende dal processo e punta all'obiettivo della prescrizione. Ebbene, ciò è in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.
Infine, l'ultima mia annotazione riguarda l'articolo 10, il più buffo e singolare di tutto il disegno di legge, che comunque credo dovrete correggere, essendo davvero impresentabile. L'articolo 10 recita testualmente: «La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli all'imputato, si applica ai fatti commessi anteriormente a tale data ai procedimenti e ai processi pendenti alla medesima data».
Stando alla lettera di questa norma, la legge non si applica per il futuro. Ma se si applica soltanto agli eventi e ai fatti passati e ai processi in corso e non la si applica per il futuro, se con la prescrizione si cancellano decine e decine di migliaia di processi, sulla base dell'anticipo del termine di prescrizione che la legge stabilisce, non siamo di fronte ad una amnistia mascherata? Non si tratta di una amnistia, che, con la scelta dello strumento normativo, ci appare illegittima ed in contrasto con il dettato costituzionale? È un altro argomento che sottopongo all'attenzione dei colleghi e che dimostra la censurabilità, sotto il profilo costituzionale, di questo testo normativo. (Applausi dal Gruppo DS-U).
FASSONE (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, illustrerò tre questioni pregiudiziali di ordine costituzionale, non senza premettere che quando vengono affacciate questioni di tale natura l'Assemblea le accoglie normalmente con un atteggiamento di rassegnata insofferenza - mi si accetti l'ossimoro - quasi che ciò rispondesse ad una liturgia, ad un gioco delle parti in cui l'opposizione è obbligata a sollevarle consapevole della loro infondatezza e la maggioranza è obbligata ad ascoltarle ansiosa di passare al voto, dove le quantità assicureranno il successo a prescindere dalla qualità.
Non è così, perché in questa legislatura abbiamo constatato più e più volte che la partita legislativa non si esaurisce qui e io ho fondata convinzione che le questioni che ora affaccerò abbiano solido fondamento.
La prima attiene all'articolo 5 e nasce dal criterio di non manifesta irragionevolezza delle scelte del legislatore. Il criterio della ragionevolezza è dai malevoli attribuito ad arbitraria invenzione della Corte costituzionale, dagli attenti è riconosciuto invece semplicemente come figlio del principio di uguaglianza. Il legislatore è libero di disciplinare le varie situazioni secondo la sua discrezionalità, ma deve trattare in modo uguale i casi uguali o simili, e in modo diseguale i casi difformi, ma in misura tale che la disuguaglianza non sia inversamente proporzionale alla loro scala di valori. In altri termini, il legislatore non può trattare in modo più grave una situazione che egli spesso in altra disposizione riconosce come più meritevole di quella trattata in modo meno grave.
Questo è esattamente quel che accade nell'articolo 4. Nel primo comma, infatti, a proposito della recidiva si prevede che il giudice può aumentare la pena di un terzo quando si tratti di recidiva semplice, la meno inquietante, la meno pericolosa, un eventuale precedente lontano, anche di modestissima qualità. Dunque, aumento facoltativo, quantità vincolata.
Nel caso invece di recidiva qualificata, cioè reato della stessa indole o commesso a distanza ravvicinata rispetto al primo, e quindi indice di maggiore pericolosità, l'aumento di pena è ancora discrezionale, facoltativo, ma è fino alla metà, cioè teoricamente anche di un solo giorno. Dunque la situazione meno grave, la recidiva semplice, è trattata in modo assai più pesante della recidiva qualificata, più grave. Questo è manifestamente contrario al principio di ragionevolezza.
La situazione è poi ulteriormente appesantita se si mettono in relazione le due norme che ho ora citato con l'ultimo comma dello stesso articolo 5, dove l'aumento di pena è obbligatorio in presenza di una certa tipologia di reati, anche a fronte di una recidiva semplice. Quindi, in questo caso abbiamo l'aumento di un terzo in presenza di una recidiva semplice e l'aumento teorico anche di un solo giorno in presenza di una recidiva qualificata: chiaramente non va.
La seconda pregiudiziale di costituzionalità attiene invece alla materia della prescrizione, e quindi investe l'articolo 6. La prescrizione del reato è evidentemente un fenomeno negativo per il processo, perché sta a significare che la giurisdizione non ha potuto approdare al suo epilogo, che è quello dell'accertamento della fondatezza o meno dell'ipotesi accusatoria. Tutte le pronunce in rito sono un insuccesso della giurisdizione. Dunque il legislatore deve disciplinare con prudente attenzione la materia della prescrizione, tenendo presente la sua ratio che, secondo ripetute sentenze della Corte costituzionale, e cito per tutte la n. 254 del 1985, si ricollega al presunto venir meno dell'allarme nella coscienza comune.
Ora, questo venir meno non c'è, e lo riconosce lo stesso testo al nostro esame, quando si è in presenza di due fenomeni: da un lato l'interruzione della prescrizione, cioè l'attivazione della giurisdizione che dimostra di volersi sollecitamente impegnare per la conclusione del processo, e la sospensione della prescrizione, che sta ad indicare che il processo non può essere penalizzato quando la giurisdizione è nell'impossibilità di operare.
La sospensione della prescrizione sta a significare che l'orologio si ferma per tutta la durata del tempo in cui la giurisdizione è bloccata. Questo è talmente vero che anche l'infelicissimo disegno al nostro esame continua… (Brusìo in Aula).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.
FASSONE (DS-U). Anche il disegno al nostro esame, dicevo, continua a considerare ed a rispettare l'interruzione della prescrizione e la sospensione della medesima, ma lo fa in un modo palesemente assurdo ed irrazionale, perché, una volta attribuita rilevanza alla sospensione, non può definirne la quantità. Se la sospensione dura, in ipotesi, tre anni, perché ad esempio l'imputato è malato o è infermo di mente o c'è comunque un impedimento che blocca il processo per tre anni, non si può riconoscere la rilevanza di questo impedimento e poi definirne la quantità, in ipotesi, in tre o in sei mesi, perché così stabilisce il testo, definendo lo scorrimento possibile nei limiti di un quarto, per giunta in concomitanza degli atti interruttivi.
Questo è manifestamente irragionevole, perché, se la sospensione ha un riconoscimento, essa dev'essere ragguagliata all'intera misura di tempo in cui la sospensione del processo opera.
Questo è il secondo profilo di illegittimità costituzionale che credo assai solidamente fondato.
Il terzo profilo attiene alla mancanza di una qualsiasi disposizione che regoli l'impatto di questa nuova normativa sui procedimenti in corso. L'impatto sarà devastante, come i colleghi hanno già illustrato. Non entro nel merito, perché questa non è la sede; mi limito ad osservare che, proprio alla luce di quelle premesse di cui ho detto nel precedente capitolo, cioè l'esigenza che la giurisdizione possa snodarsi secondo le sue finalità, è del tutto corretto e legittimo che un processo sia stato e sia tuttora gestito secondo le aspettative temporali della prescrizione vigente nel momento in cui il processo si svolge.
La cosa è talmente vera che, quando venne varata la riforma costituzionale dell'articolo 111, nota come quella del giusto processo, ivi, cioè con la legge costituzionale n. 2 del 1999, fu espressamente stabilito che si rinviava ad una legge ordinaria per mitigare l'impatto della nuova normativa sui processi in corso. Siccome la legge costituzionale sul giusto processo sovvertiva radicalmente i criteri di valutazione della prova secondo i quali i processi in corso venivano amministrati, la legge costituzionale individuò un parametro che oggi fa da riferimento anche per noi, di livello costituzionale, secondo cui, ogni volta che si innova profondamente in disposizioni processuali, occorre in qualche modo mitigare e contemperare l'effetto che le stesse hanno sui processi in corso e sotto pena di produrre gli effetti che i colleghi hanno ripetutamente segnalato.
Anche a questo riguardo, non volendo parlare in modo generico, mi limito a ricordare due sentenze della Corte costituzionale. Una, la n. 353 del 1996, che recita: «Pienamente libero nella costruzione delle scansioni processuali, il legislatore non può tuttavia scegliere, fra i possibili percorsi, quello che comporti, sia pure in casi estremi, la paralisi dell'attività processuale (...)». (Richiami del Presidente).
Venendo a tempi molto più vicini a noi, la sentenza n. 219 del 2004, a proposito del patteggiamento allargato, ha salvato la norma di tipo transitorio che era stata introdotta, proprio perché non manifestamente irragionevole, offrendoci quindi il parametro secondo il quale valutare le disposizioni in corso.
Molti altri profili ci sarebbero, ma il tempo limitato mi vieta di soffermarmi e comunque certamente nella discussione di merito non mancherà la possibilità di evidenziare alcune scelte, non solo infelici quanto all'opportunità, ma illegittime quanto alla loro costituzionalità. (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Cavallaro e Crema).
CAVALLARO (Mar-DL-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, mi pare di poter dire che, senza soluzione di continuità, prosegue oggi l'operazione che potrei definire di bricolage normativo, cioè di messa a punto di una serie di strumenti quanto mai imprecisi e approssimativi, che ieri definivo di possibile appartenenza a due grandi partizioni, a due tipologie: quella delle leggi manifesto e quella delle leggi ad personam.
Oggi ci troviamo in un caso che dimostra come ormai la maggioranza stia acquisendo una certa dimestichezza raffinata con tale tecnica. Siamo in un caso misto, cioè un caso in cui si compone una legge che ha alcune caratteristiche della legge manifesto e altre caratteristiche della legge ad personam, ovviamente mutuando di entrambe, come è inevitabile, vizi, difetti e inadeguatezze.
Queste inadeguatezze ridondano non soltanto nell'impianto di merito, del quale ci occuperemo successivamente, ma anche nel parametro di ragionevolezza e costituzionalità al quale dobbiamo sottoporre la norma ordinaria prima di discuterne i contenuti normativi specifici
I colleghi hanno sottratto al mio dire molte delle argomentazioni che avrei potuto portare e soprattutto hanno per una parte chiarito che, in realtà, le questioni che si possono e si dovrebbero proporre non sono solo quelle relative all'istituto della prescrizione, sul quale parlerò brevemente, ma anche quelle riferite all'istituto della recidiva.
Esso viene affrontato - tanto per cambiare - in maniera alquanto approssimativa, ma soprattutto - è una notazione che fino ad ora non era stata sollevata - si fa riferimento in particolare alle misure alternative alla detenzione e agli effetti della recidiva sulla detenzione con una demolizione indiretta delle norme attualmente vigenti in materia (mi riferisco, in particolare, alla cosiddetta legge Gozzini), mancando, anche in questo caso, di ogni sistematicità rispetto al tema generale delle misure alternative alla detenzione, le quali, come è noto, debbono essere valutate non soltanto in riferimento a coloro che sono recidivi, ma anche, in generale, al sistema dei reati, al loro valore, al loro peso, alla loro consistenza e al loro disvalore sociale. Ciò manca totalmente in queste disposizioni, per cui anche il capitolo sulla recidiva suonerebbe incompleto, illogico, irrazionale e dunque incostituzionale.
Ma qui intendo occuparmi specificamente dei problemi relativi alla prescrizione, ovviamente in maniera molto sintetica, non senza chiarire per l'ennesima volta che l'affermazione che è stata fatta, in un modo che definirei agghiacciante per un giurista, secondo cui la prescrizione sarebbe un istituto utile perché accelera il corso dei processi è una sciocchezza che non so dove possa essere stata raccolta. Non esiste infatti manuale, neanche il Bignami (come si diceva una volta; oggi si direbbe il Simone, ossia manuali compilativi molto sintetici) che possa contenere un'idiozia del genere.
La prescrizione è semplicemente una sorta di resa dello Stato, della potestà punitiva statuale. In teoria, non dovrebbe essere prescrittibile alcun reato, perché la pretesa punitiva statuale dovrebbe essere così forte, ma anche così efficace, da giungere al perseguimento dei reati nel tempo giusto affinché i colpevoli vengano scoperti e condannati. E' comunque una misura emergenziale, che lo Stato si dà per le ipotesi in cui la sua potestà punitiva fosse ormai nel tempo troppo dilatata rispetto alla gravità e al disvalore sociale del reato commesso.
Questo è l'istituto della prescrizione, tant'è vero che non a caso esso non appartiene al processo, ma alla teoria generale del reato. Ma soprattutto richiamo l'attenzione sul fatto che stiamo parlando di un istituto che avrebbe dovuto e dovrebbe trovare la sua ricomposizione all'interno di quel provvedimento che ci era stato annunciato come prossimo all'inizio della legislatura e che invece ancora attendiamo inutilmente.
Detto questo, le proposte che vengono formulate in ordine all'istituto della prescrizione sono tutte irrazionali, illogiche, contraddittorie e, ovviamente, sono motivate dal fatto che si cerca - tutti ormai lo sappiamo e lo abbiamo capito - di ridurre nella buona sostanza l'istituto della prescrizione partendo intanto dalla considerazione che la disciplina sconvolge il nostro attuale ordinamento perché prevede il calcolo della prescrizione, che prescinde dall'incidenza delle circostanze attenuanti o aggravanti in concreto, facendo salve soltanto le aggravanti ad effetto speciale e l'eventuale concorso con le attenuanti in quel caso.
Fra l'altro, si innova totalmente l'istituto, così come si innova gli istituti della sospensione e dell'interruzione della prescrizione. Ovviamente questo dovrebbe consentire il permanere di una delle condizioni di esistenza e giustificazione degli ordinamenti statali, cioè il perseguimento dei reati, cosa che invece qui si mina quasi alla radice, perché la repressione sicura dei comportamenti penalmente illeciti viene messa in notevole difficoltà.
Richiamo dunque un'altra specifica fonte normativa, cioè l'articolo 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che prevede la salvaguardia del diritto alla sicurezza. Il diritto alla sicurezza prevede il perseguimento dei reati e addirittura quindi non si soddisfa del contrario, cioè del tentativo di uno Stato di perseguirli il meno possibile. Quindi questa forma che, tra l'altro, è considerata, ai sensi dell'articolo 117, comma primo, della Costituzione, una fonte anche endogena di diritto, dev'essere ritenuta un limite invalicabile rispetto alle norme che interpolino o modifichino istituti di diritto sostanziale che hanno tuttavia una conseguenza sul perseguimento in concreto dei reati.
Aggiungo un altro tema: molte volte si è parlato in quest'Aula, direi del tutto inutilmente, delle vittime del reato; si pensi quanto questi provvedimenti incideranno negativamente, essendo noto che la pronuncia di prescrizione, specialmente se in primo grado, impedisce un accertamento di merito nella fase penale e quindi impone, a coloro che, ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione (quindi altra norma di rango primario costituzionale) volessero agire in giudizio per la tutela dei propri diritti di riprendere ex novo la loro difesa e di ricominciare da capo l'iter. Quindi, non solo questa non è una norma che accelera i processi ma, probabilmente, farà chiudere ignominiosamente molti processi penali per le vittime dei reati e necessiterà di una nuova fase di accertamento civile dei loro diritti.
L'ultima considerazione è già stata formulata e quindi la enuncio semplicemente: è del tutto irrazionale la fase transitoria, così come viene proposta dall'ultimo articolo di questo provvedimento che non è stato qui richiamato ma è stato persino ripudiato, come la guerra all'articolo 11 della Costituzione, da alcuni dei suoi presentatori, ed è quella che, tra l'altro, secondo alcuni, addirittura si applicherebbe solo ai processi pendenti alla medesima data.
Noi non vogliamo credere ad una interpretazione così causidica, ma qui soccorre l'argomentazione che già proponeva il collega Fassone, cioè è chiaro che una revisione così radicale dell'istituto comporterebbe che almeno esso non dovesse essere mai applicato ai processi pendenti. Infatti, è vero che si tratta, come io ho più volte richiamato, di norma di diritto sostanziale, ma è altrettanto vero che incide in maniera talmente massiccia sull'intero corso di migliaia, probabilmente di centinaia di migliaia di procedimenti che essa deve essere regolata anche come norma processuale, e quindi secondo il principio del tempus regit actum. Non è possibile che, tra l'altro, le pratiche che sono state poste in essere e che noi spesso sappiamo dilatorie ai fini della prescrizione, adesso improvvisamente vengano recepite come pratiche utili quando nel vecchio sistema non erano efficaci.
Quindi, ribadisco la necessità di non procedere all'esame di questo disegno di legge le cui motivazioni sono assolutamente da respingere. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
PRESIDENTE. Ricordo che, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, nella discussione sulla questione pregiudiziale può prendere la parola non più di un rappresentante per Gruppo per non più di dieci minuti.
AYALA (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, occuperò meno dei dieci minuti che il Regolamento mi assegna, anche perché non ritengo di dover aggiungere ulteriori approfondimenti alle osservazioni offerte alla valutazione dell'Assemblea dai colleghi che mi hanno preceduto. Devo dire che si è trattato di argomentazioni di una chiarezza solare, non soltanto per l'approfondimento che i colleghi hanno svolto su questo disegno di legge prima di prendere la parola, ma perché devo riconoscere che ci sono delle incostituzionalità che sarebbe difficile concepire anche in un ideale gioco di società in cui tutti ci misurassimo a chi riesce a farla più grossa.
Quindi, non tornerò analiticamente sulle questioni già illustrate. Desidero porre, in particolare, l'accento - dopo averlo letto più volte - sull'articolo 10, cioè sulla norma transitoria. Per quale motivo ho dovuto leggerlo più volte? Perché mi sembrava quasi incredibile, una normativa rozza; tutta questa normativa è rozza. Ho suggerito, a chi se ne è occupato, di tornare all'agricoltura; sono braccia sottratte ingiustamente a un lavoro che forse potrebbe essere svolto con migliore efficacia e migliore funzionalità, anziché fare questo tipo di leggi.
Quello che è incredibile è la risposta al quesito "questa legge a chi si applica". È un quesito che riguarda qualunque legge. Stabilire che questa normativa si applica soltanto - leggo testualmente, perché non ci sono parole che possano essere più chiare della lettura del testo - ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge e ai processi pendenti alla medesima data, vuol dire che il Parlamento è chiamato a legiferare, attraverso una importante - da certi punti di vista - innovazione normativa, non su istituti di rilievo del codice di procedura penale per il futuro, che è la normale prospettiva di ogni legge (si legifera perché si ritiene che vi è una normativa non coerente, insufficiente, superata dai tempi e si guarda al futuro per far sì che quei limiti siano superati), ma che questa legge si applica soltanto al passato. Credo non c'entri niente il fatto che in questa maniera si favorisce in particolare l'esito processuale di certi processi a carico di un certo imputato; non ci crederò mai, ma il dato di fatto oggettivo è questo.
Se così è, siamo di fronte ad una amnistia; impropria, quanto si vuole, la più impropria delle amnistie, ma pur sempre un'amnistia, cioè un fatto ablativo. A torto o a ragione, il legislatore del 1991 ha stabilito che si possa fare in Parlamento un'amnistia, ma che ci vogliono i due terzi dei votanti, cioè una maggioranza qualificata, che in questo caso è facile prevedere non ci sia.
Comincio dalla fine. Come si può credere che passi al vaglio della Corte costituzionale una norma del genere? Non passando (ecco perché questo mi sembra il punto più delicato), salta tutta la legge. È giusto, come hanno fatto i colleghi che mi hanno preceduto (e come magari brevemente accennerò anch'io), porre in evidenza i tanti punti di stridente incostituzionalità che sono contenuti nei nove articoli precedenti all'articolo 10; è giustissimo, ci sono e vanno evidenziati, vanno offerti alla riflessione dei colleghi. Però, nel momento in cui c'è questa macroscopica incostituzionalità che riguarda una norma che subordina l'entrata in vigore, l'efficacia e l'operatività di tutta la normativa nel suo complesso, essendo incostituzionale questa, è incostituzionale tutto.
Non è che la maggioranza, durante questa legislatura, non abbia approvato leggi incostituzionali. Io ho avvertito più volte i colleghi, non perché disponga di una palla di vetro che mi consentiva, durante il dibattito parlamentare, di prevedere quello che avrebbe fatto la Corte (ci mancherebbe altro), ma perché eravamo di fronte ad incostituzionalità di una virulenza tale che era chiaro ed evidente che la Corte non avrebbe mai potuto superarle. Qui siamo di fronte ad una di queste ipotesi.
VOCE DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Tempo!
AYALA (DS-U). Il tempo lo stabilisce il Presidente.
PRESIDENTE. Il tempo scorre.
AYALA (DS-U). Voi voterete questa vergogna, quindi almeno fateci parlare.
PRESIDENTE. Senatore Ayala, si rivolga alla Presidenza.
AYALA (DS-U). Io mi rivolgo sempre a lei, signor Presidente, e a lei come persona ancora di più. (Commenti del senatore Monti). Lo stile leghista dall'Europa approda alle Aule parlamentari nazionali, ma è sempre uguale, è sempre lo stesso, da molti anni. (Applausi dai banchi dell'opposizione).
VOCE DAI BANCHI DELL'OPPOSIZIONE. È il loro senso dell'umorismo!
AYALA (DS-U). Lo recepisco e lo accolgo come tale.
Signor Presidente, non si tratta di una polemica personale con il presidente Caruso, con il quale non riesco a polemizzare da quando lo conosco, ma è sorprendente - colgo quest'altro aspetto e mi avvio alla conclusione - l'argomentazione che questa mattina egli ha offerto all'Aula per superare una incongruenza fortissima, una delle tante. Il disegno di legge in esame allunga i termini di prescrizione per i reati meno gravi e li accorcia per quelli più gravi.
Non voglio ripetere quanto ha detto il senatore Caruso, in quanto i colleghi lo hanno ascoltato con l'attenzione che sempre meritano i suoi interventi. Dico soltanto che con facile prognosi il criterio di ragionevolezza del presidente Caruso non è e non potrà mai essere quello gestito dalla Corte costituzionale. Per nostra fortuna, la Corte costituzionale non ragiona come il presidente Caruso.
Pertanto, è insuperabile questo argomento: per i reati meno gravi termine di prescrizione più lungo, per i reati più gravi termine di prescrizione accorciato. La Corte casserà tutto questo, con buona pace dei tentativi del senatore Caruso. (Applausi dal Gruppo DS-U e del senatore Crema. Congratulazioni).
ZICCONE (FI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZICCONE (FI). Signor Presidente, vorrei brevemente chiarire un punto che ritengo fondamentale per tutte le questioni pregiudiziali che sono state poste.
Non è un caso che tutte le questioni si risolvano nell'invocazione del criterio della ragionevolezza. Sotto l'aspetto delle eccezioni di costituzionalità vengono presentate varie questioni che, esaminando il contenuto della legge, ne sottolineano aspetti per così dire di irragionevolezza.
Dico ai colleghi che so bene che la Corte costituzionale, fra i criteri che ha adottato nello stabilire quando una legge è contraria alla Costituzione, usa il criterio della ragionevolezza. Ma non tutte le critiche, direi nemmeno quelle più severe, si trasformano in irragionevolezza.
Vorrei partire da questa ovvia affermazione per quanto riguarda - ad esempio - il più attaccato degli articoli, quello più contestato dalle opposizioni, ossia l'articolo 10 e, quindi, la norma transitoria.
Desidero fare un discorso semplice. Non si può dare dell'articolo 10 - così come è stato fatto da alcuni colleghi dell'opposizione - una interpretazione francamente irragionevole, ossia che l'articolo 10 voglia disporre soltanto per il passato l'efficacia della legge in esame. Ciò è contrario a tutti i principi dell'ordinamento. Tutti sanno che un principio fondamentale del nostro ordinamento è quello che le leggi qualche volta possono riguardare il passato ma certamente riguardano sempre il futuro.
Se così non fosse, e se fosse stato scritto nell'articolo 10 - e non è scritto - che la legge in questione si applica soltanto ai fatti compiuti in precedenza, saremmo chiaramente in presenza di una norma palesemente incostituzionale e per ovvie ragioni; sarebbe evidentemente una sorta di camuffamento di amnistia. Ma i fatti non stanno in questi termini. Devo dire che non vi è alcuna possibilità di interpretare ragionevolmente l'articolo 10 se non nel senso che prevede l'ordinamento, ossia che la norma vale certamente per il futuro ed è poi previsto che valga anche per i casi compiuti in precedenza. Infatti, il criterio della ragionevolezza è stato invocato proprio per sostenere il contrario di quanto qualche autore ha sostenuto, ossia che l'articolo 10 prevede che la normativa valga solo per il futuro.
Si afferma che la irragionevolezza consiste proprio nel fatto che la norma riguarda i casi passati, perché è rispetto a quelli che si trasforma in una sorta di blocco per il processo penale: non c'è più la possibilità di giudicare perché questa sorta di prescrizione, che interviene in modo fulminante, annulla lo sforzo compiuto in molti anni dai giudici e ferma, qualunque ne sia lo stadio, il processo. Questo è un altro aspetto, opposto a quello che è stato chiarito prima, che riguarda quanto il collega Fassone ha spiegato un po' meglio: cioè vorremmo una norma transitoria che si ponesse un po' meglio e un po' di più il problema dell'attuazione e dell'efficacia rispetto ai casi passati.
Vedete, colleghi, al quesito se le norme che attengono alla prescrizione, quando sono più favorevoli al reo (perché quando non sono favorevoli al reo, in virtù dell'articolo 2 del codice penale e di un principio che si considera costituzionalizzato, è chiaro che non possono riguardare coloro i quali hanno già compiuto i fatti di cui si discute; quando, invece, si tratta di fatti futuri a cui bisogna applicare la normativa questa viene applicata), travolgano o non travolgano i procedimenti in corso, la risposta è stata già data, non dal legislatore in questo provvedimento ma dalla giurisprudenza, come è stato ricordato dalla Corte di cassazione. Quest'ultima illustrando e comprendendo il fenomeno della prescrizione, ha affermato che si tratta di un istituto che ha certamente un significato processuale, ma anche un significato sostanziale, cioè interviene nella disciplina sostanziale del reato, e per questa ragione ha spiegato che non può non essere applicata ai casi del passato. Questo è lo stato della giurisprudenza.
Il legislatore, nel prevedere l'articolo 10, ha inserito una norma che ha voluto trasformare in interpretazione autentica e chiara quella che è stata, per provvedimenti che hanno riguardato di fatto modifiche della prescrizione a seguito dell'abbassamento delle pene edittali, un'applicazione anche ai casi del passato.
In altri termini, voglio dire che tutte le critiche che sono state rivolte possono essere ragionevoli, possono avere il loro sfogo parlamentare attraverso la presentazione di emendamenti, possono provocare una riflessione - come è stato detto - nella maggioranza sull'opportunità di modificare o non modificare alcune norme, di applicare o non applicare alcuni principi in modo così rigoroso, ma non sono certamente critiche valide dal punto di vista della costituzionalità.
Per questo ritengo - e credo che il mio pensiero sia anche quello dell'intero Gruppo di Forza Italia - che le questioni di carattere pregiudiziale che sono state poste sul piano costituzionale debbano essere respinte. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della questione pregiudiziale.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti la questioni pregiudiziale, presentata, con diverse motivazioni, dai senatori Zancan, Brutti Massimo, Fassone e Cavallaro.
Non è approvata.
Dichiaro aperta la discussione generale che, come stabilito nella Conferenza dei Capigruppo, avrà luogo nella seduta antimeridiana di martedì prossimo.
Rinvio pertanto il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
(omissis)
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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839a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI' 12 LUGLIO 2005 |
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Presidenza del vice presidente FISICHELLA, |
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (Approvato dalla Camera dei deputati)
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di «ragionevole durata» del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (ore 10,11)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 3247, già approvato dalla Camera dei deputati, 260, 2699 e 2784.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 7 luglio il Presidente della 2a Commissione permanente ha riferito sui lavori della Commissione, sono state respinte alcune questioni pregiudiziali ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Fassone. Ne ha facoltà.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi esamini accuratamente questo disegno di legge, leggendolo e rileggendolo con pazienza, per tentare di capirne la filigrana, non può non uscirne con un sentimento che non saprei se definire di desolazione o di indignazione. È così trasparente l'indifferenza a quello che dovrebbe essere l'obiettivo di un legislatore, cioè legiferare per finalità universali e astratte, che sembra quasi di leggere, non direi in ogni comma, ma ripetutamente nel testo, il nome e il cognome della persona alla quale la norma si riferisce.
È un disegno di legge condito esclusivamente con l'erba voglio, quella che ai bambini si insegnava non crescere nemmeno nel giardino del re, ma che cresce invece abbondantissima in questo legislatore, indifferente agli effetti secondi della sua volontà, persuaso unicamente che quel che conta sia la sua intenzione di raggiungere un certo puntuale obiettivo, indifferente alle macerie che questo produce.
Basta addirittura vedere la contraddizione interna tra i due fondamentali obiettivi del disegno: il maggior rigore verso la recidiva e una disciplina estremamente severa e falcidiante in tema di prescrizione.
Come faremo ad avere dei recidivi da trattare duramente se non avremo i condannati? Come faremo a inasprire il regime verso coloro che, avendo commesso un reato, ne commettono un altro, se il primo avrà altissime probabilità di non poter essere accertato? Si vede persino dal titolo questa libido di utilizzare lo strumento legislativo per assolvere finalità particolari. Il titolo, infatti, è: "Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi". Nulla sulla prescrizione ed è intuitivo, perché la prescrizione è salita sul treno in corsa, senza vidimare il biglietto e senza quindi neanche apportare una modifica all'intitolazione.
E il disegno di legge è pieno di queste incongruenze. Basta leggere l'articolo 1, secondo il quale è prevista un'attenuante particolare a beneficio della persona che: "al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 99", cioè sia penalmente incensurato.
Ma qual è la ratio, nel senso etimologico, di questa disposizione? Qual è lo spunto di ragione che porta a scrivere una norma di questo genere? Uno penserebbe: è un'esigenza umanitaria. Nei confronti di una persona di età avanzata è giusto avere un atteggiamento di maggiore clemenza. Mi va bene, oltre tutto per ragioni anagrafiche mi sto avvicinando a quell'età e ne avrei perfino un qualche interesse se domani mi prendesse vaghezza di qualche licenza penale.
Ma se l'esigenza è di tipo umanitario, la si traduce in interventi nel momento dell'esecuzione, non nel momento della pena. Se invece di infliggere sei anni se ne infliggono quattro, sono sempre quattro anni di carcerazione anche per il settuagenario. Non ha senso un intervento di tipo umanitario applicato alla quantità di sanzione; ha senso applicato alle modalità con cui si esegue la sanzione. Infatti, la detenzione domiciliare prevede un modo particolare di espiare la carcerazione per la persona in età avanzata.
L'età viene in considerazione nel nostro ordinamento solo quando significa diminuita imputabilità, cioè quando effettivamente la responsabilità dell'autore del reato è diminuita in ragione dell'età. Non per nulla, si attenua la pena nei confronti del minorenne quando lo si riconosca, almeno parzialmente, imputabile. Ma stabilire che il settantenne ha per ciò solo una riduzione di pena, significa considerarlo meno imputabile, meno capace e meno consapevole di un sessantenne e questo mi ripugna accettarlo, ma, a parte il sentimento, ripugna alla coerenza del sistema penale.
Oltre tutto, riflettete, colleghi, perchè, codificando in questo modo, ovvero che è il settantesimo anno di età quello che giustifica una riduzione della pena, mutilerete quella giurisprudenza che oggi sistematicamente considera l'età avanzata e l'incensuratezza strumenti per concedere le attenuanti generiche.
Spessissimo accade di leggere che l'età avanzata è già considerata. Tuttavia, se noi codifichiamo che l'età avanzata che rileva è quella dei settant'anni, il sessantanovenne che non sia del tutto incensurato, o anche che lo sia ma che non ricade in questa disposizione, non potrà più fruire del trattamento benevolo della giurisprudenza. Noi abbiamo codificato non solo la soglia al di sopra della quale c'è un trattamento di favore inspiegabile, ma anche la soglia al di sotto della quale il trattamento razionale non potrà più essere applicato. Questi sono i bei risultati dell'erba voglio di cui è disseminato questo testo.
Per quanto concerne la recidiva, si può condividere, sia pure in misura non così esasperata, un atteggiamento di maggior rigore nei confronti dei soggetti che tornano a delinquere, anche perché il nostro ordinamento è largo di comprensione per i delinquenti primari e quindi chi effettivamente non ha ben utilizzato la clemenza nel primo episodio può essere accettabile che sia trattato più severamente nel secondo, nel terzo e nei successivi.
Ma così no, così no, onorevoli colleghi, non come scrive l'articolo 4. Quest'ultimo, da un lato, nel primo comma, prevede un aumento discrezionale nell'applicazione, ma rigido nella quantità, per il recidivo semplice (aumento facoltativo, ma fino a un terzo se deciso dal giudice) e, invece, un aumento discrezionale nell'applicazione ed elastico nella quantità per il recidivo qualificato.
È così evidente l'incrocio dei trattamenti (più grave per il fatto meno gravoso e più lieve per quello considerato più grave) che fortunatamente è stata prevista una correzione da parte degli stessi colleghi della maggioranza per rimediare a questa stortura.
Le altre storture, però, permangono. Ad esempio, il sesto comma prevede che se si tratta di uno dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, considerati particolarmente gravi, l'aumento della pena per la recidiva - qualsivoglia recidiva, quindi anche quella semplice - è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere, contraddicendo l'altro principio generale ed accettato, che anche il testo di legge recepisce e conferma, che in nessun caso l'aumento per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti.
Quindi, se vi fosse una remota sanzione di pochi giorni d'arresto ed il nuovo delitto, molto grave in sé, comportasse un aumento di un anno o due, noi gli daremmo un anno o due anche se la recidiva precedente è molto tenue. Questa è la cecità tecnica di cui è diffuso questo testo di legge.
Ma il punto più grave e difficile, che fa davvero temere effetti devastanti, è quello relativo alla prescrizione; quello del viaggiatore - come dicevo prima - salito sul convoglio in corsa quasi clandestinamente e senza pagare biglietto.
Qui è bene sgombrare il campo, con chiarezza, dalla carta falsa che, come spesso accade, nasconde la carta vera. La carta falsa esibita e ripetuta è che questo disegno di legge serve a rendere più veloci i processi: poiché si riduce il tempo di prescrizione, i processi saranno più veloci.
Ma abbiamo riflettuto veramente su cosa vuol dire questo? Cosa vuol dire semplicemente accorciare i tempi entro i quali i processi debbono concludersi, senza aver posto in essere alcun intervento strutturale atto a renderli in qualche modo più veloci?
È come se - mi si consenta il paragone un po' risibile, ma efficace - il treno che da Torino mi conduce a Roma, che oggi ha un orario di percorrenza di sette ore, venisse costretto a compiere lo stesso tragitto in sei ore, senza migliorare minimamente la viabilità ferroviaria. L'unico risultato concreto è che i viaggiatori scenderebbero con le valigie alla stazione di Civitavecchia. Questo è il risultato.
È come scrivere, appunto, che le ferrovie saranno più efficienti riducendo i tempi di percorrenza e gli orari. Alcuni decenni fa si era fatto il contrario, li si era fatti arrivare sempre in orario estendendo i tempi di percorrenza, qui invece si scrive che bisogna fare più presto, ma senza il più piccolo intervento sul materiale rotabile, sulle ferrovie, sulle gallerie, sulle curve.
È come se si scrivesse che ci saranno meno malati in ospedale semplicemente perché si è diminuito il numero dei posti letto.
No, anche questo non può andare. Scopriamo, quindi, questa prima carta falsa, che mette con ciò stesso in evidenza qual è la carta vera che occhieggia sotto. E sgombriamo il campo anche da un altro equivoco; poi vi torneremo nella illustrazione degli emendamenti, ma è bene dirlo, è bene chiarirci, se possibile, che cosa è davvero la prescrizione, al di là dell'usarla come strumento per certi fini.
Occorre sgombrare il campo da quella falsa cultura giuridica per cui ormai è entrato nel patrimonio comune che c'è un diritto alla prescrizione. Questo no, onorevoli colleghi. C'è un diritto dell'imputato a che siano osservate le regole dettate dal legislatore in tema di prescrizione. Questo è il diritto vero, ma il come atteggiare quelle regole appartiene alla prudenza e all'equilibrio del legislatore, che deve contemperare due valori entrambi di rango costituzionale, perché ormai sono scritti nell'articolo 111, e cioè il diritto della giurisdizione a poter esplicare il suo compito e giungere all'accertamento dell'innocenza o della colpevolezza, bilanciato con il diritto dell'imputato a non essere indefinitamente soggetto al processo. Questi sono i termini.
Le vecchie giustificazioni, che - lo riconosco - si leggono ancora nei trattati (non più negli ultimi studi sulla prescrizione, ma nei trattati che rappresentano una specie di cultura tralaticia) non valgono più, se raffrontate davvero alle esigenze e alla sensibilità moderna nata intorno al processo.
Non possiamo più sostenere che la prescrizione è l'abbandono del reato perché è cessato l'allarme e quindi l'interesse a perseguirlo. Non possiamo affermarlo, quando i termini sono oggi di due o tre anni. Come possiamo dire che contravvenzioni in materie delicatissime (ambientali, edilizie o simili), così importanti che lo stesso legislatore si premura di eccettuarle dai decreti di amnistia, poi si estinguono in due o tre anni, perché questo sarebbe il tempo decorso il quale lo Stato non ha più interesse a perseguirle?
Come possiamo affermare che non c'è più l'interesse dello Stato a perseguire certi fatti, quando la giurisdizione si sta attivando e sta facendo tutto quel che può per restringere i tempi, ma la tagliola scatta comunque?
È assolutamente ingiustificato addurre questo motivo a fondamento della prescrizione. E ancor più ingiustificato, addirittura risibile, è l'altro per cui dopo molto tempo è difficile acquisire le prove. Certo, dopo dieci o vent'anni è difficile acquisire le prove, ma se esse vengono acquisite subito non è quello il motivo per fare estinguere il processo quattro o sei anni dopo, sempre che la giurisdizione si sia attivata. E comunque, se così fosse, allora non ci sarebbe giustificazione a far intervenire la prescrizione quando è l'imputato stesso che manda avanti il processo.
Questo è l'unico vero punto, che va preso in seria e attenta considerazione, perché è scritto nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e perché è recepito in qualche misura anche nella nostra Costituzione: l'imputato ha diritto ad essere giudicato dans un délai raisonnable, in una misura di tempo ragionevole, questo è il vero obiettivo della prescrizione.
Ma allora, se è così, è agevole vedere l'incrocio dei due interessi costituzionali. Lo Stato ha diritto a non essere penalizzato tutte le volte che si attiva per concludere il processo in un tempo ragionevole. Viceversa, ha diritto a non essere penalizzato quando il tempo viene fatto decorrere su impulso del cittadino imputato, perché è lui che evidentemente, sia pure per fini del tutto legittimi, produce un'ulteriore soggezione al processo, tipicamente, per esempio, per le impugnazioni.
Queste sono le finalità che andrebbero perseguite, se si volesse metter mano con compiutezza e ragionevolezza ad un istituto nevralgico come quello della prescrizione, non le formule adottate nell'articolo 6, ossia l'abbreviazione indiscriminata dei termini. E su questo vedremo in sede emendativa quale contraddizione c'è tra certi interventi che questo stesso Parlamento ha effettuato per aumentare l'azione di contrasto nei confronti di certi delitti e oggi devitalizzarla attraverso termini di prescrizione che difficilmente potranno essere rispettati.
Vedremo in sede emendativa come è assurdo riconoscere la fondatezza di un istituto essenziale nella prescrizione, cioè la sospensione dei termini quando la giurisdizione è costretta a fermarsi, e poi definire la quantità di tempo entro la quale questa sospensione ha rilevanza e tutto il resto invece non conta. É assurdo, come abbiamo lamentato inutilmente in sede di questioni pregiudiziali, prevedere l'istituto della sospensione e ipotizzare una sospensione che dura due o tre anni e poi definirne la quantità massima rilevante nell'ordine di pochi mesi.
Queste sono le molteplici incongruenze che si leggono qua e là e che fanno vedere, anche a chi non voglia essere malizioso, il nome e il cognome che sta sotto certe norme.
L'ultima parte rasenta addirittura il comico, il che non mi disturba perché ne uccide più il ridicolo che la polemica, come tutti sappiamo. L'articolo 7, in materia penitenziaria, viene intitolato ad un'ulteriore accentuazione del rigore nei confronti dei recidivi e però leggiamo anche un additivo per cui la pena della reclusione, quale che ne sia l'entità, al limite anche l'ergastolo, viene espiata nella propria abitazione o in luogo di cura se il condannato ha settant'anni o più. Poi, ci si accorge che è un po' troppo e allora si aggiunge che non vale per i delitti molto gravi, di cui si fa un elenco.
E l'elenco è molto curioso perché, stranamente, non c'entra la concussione, non c'entra la corruzione, che per la mia sensibilità personale sono reati molto gravi, non c'entra la clonazione, non c'entrano alcuni delitti di terrorismo internazionale e però c'entrano i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, tra i quali, per un lapsus che appunto evidenzia gli aspetti di comicità di questa normativa, la detenzione di materiale pornografico: quella non si può espiare in casa, e posso anche capirlo, sarebbe una compagnia pericolosa. (Ilarità).
In conclusione, il disegno di legge al nostro esame non solo è inquinato da tutte queste perle, non solo avrà gli effetti devastanti che sono già stati accennati dai colleghi e sui quali certamente altri torneranno, ma avrà alcune conseguenze pericolose. In primo luogo, per il processo, perché esalterà la giustizia del pubblico ministero. Tutte le volte che il processo diventa più inabile a produrre il prodotto tipico, che è la sentenza di accertamento, le compensazioni occulte si scaricano a monte e avremo una esaltazione della giustizia del pubblico ministero: visto che tanto non li farai, incomincia a farti questi subito.
In secondo luogo, ma questa non è cosa che riguardi me personalmente, credo che la maggioranza e il Governo pagheranno un alto prezzo politico per questo disegno di legge. Secondo i sondaggi che capita di leggere, un'alta percentuale di cittadini che dichiarano la loro collocazione nel mondo politico di centro-destra ha affermato di non apprezzare affatto la politica della giustizia condotta dal Governo e dalla maggioranza. Pagherete un alto prezzo politico.
Avremo ulteriori guasti nel processo; avremo la prova, ahimè, di quella frase che i biografi mettono in bocca all'ex presidente Nixon: se due torti non fanno una ragione, prova con tre. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-Un).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cavallaro. Ne ha facoltà.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, svolgere dopo l'intervento del collega Fassone una serie di considerazioni generali rischia di essere ripetitivo, in quanto egli ha già delineato un quadro sufficientemente elevato sotto il profilo dell'impostazione giuridica e dottrinale e, al tempo stesso, sufficientemente lucido sotto il profilo politico da rendere superflue molte delle osservazioni che mi accingevo ad avanzare.
Ho già detto - e sono costretto a ripetermi - che questa è l'ennesima operazione di bricolage normativo che la Casa delle Libertà, mai doma e mai stanca di aver legiferato in maniera improvvida e approssimativa durante la legislatura, propone all'Aula parlamentare del Senato. Non so se sia una casualità: quasi tutte queste operazioni sono state compiute durante il periodo estivo; si pensa forse o si spera che con il caldo vi sia una maggiore distrazione degli operatori del diritto, una maggiore incertezza dell'opinione pubblica nel cogliere gli aspetti abnormi e paradossali di queste iniziative.
Non so se questo sia il motivo; come affermato in altre occasioni dal collega Calvi, registriamo in realtà una singolare scansione di questi provvedimenti rispetto ad affari giudiziari di personaggi eccellenti. Non c'è probabilmente la volontà di affrontare la calura, aumentando la temperatura delle Aule parlamentari del nostro Paese, ma vi è la necessità di corrispondere a richieste, che giungono impellenti e pressanti, per risolvere alcuni processi.
Abbiamo appreso che in questo caso si tratta di una sorta di mercimonio ancor più diabolico, perché si sarebbe scambiata l'approvazione del claudicante e improprio provvedimento sull'ordinamento giudiziario con quella del disegno di legge in esame, come se due zoppie potessero mai far correre speditamente un soggetto. Entrambi i provvedimenti faranno invece inciampare in un'infinita serie di rilievi di costituzionalità, di incoerenza e di mancanza totale di sistematicità.
Il primo rilievo che desidero fare in maniera generale, neanche in modo particolarmente politico, a questo testo normativo è che si tratta evidentemente di un ennesimo testo raffazzonato, oggetto della somma di più provvedimenti disparati, che non offre alcuna soluzione organica neanche agli stessi problemi che intende affrontare. Non è infatti inquadrato nella sistematicità della riforma del codice penale, di cui pure la Casa delle Libertà aveva desiderio di menare gran vanto, anche se lo stesso Nordio ha recentemente dichiarato che non si farà nulla di quello che, ambiziosamente, ci si era proposti; anche la parte che riguarda l'applicazione della pena, il codice di rito o il sistema dell'esecuzione penale presenta aspetti non meno rilevanti e drammatici nel nostro Paese.
Mentre stiamo approvando misure - giuste o sbagliate nel merito non è questa la sede per discuterne - che riguardano prognosticamente l'aumento della detenzione per una serie di soggetti, registriamo la totale insufficienza del sistema carcerario che ospita ormai circa 60.000 detenuti, un terzo in più della capienza degli istituti di pena, con una irrazionalità e una mancanza di senso di responsabilità, amministrativo prima ancora che politico, che ci sconcerta. È facilmente prevedibile che l'impatto negativo di queste disposizioni acuirebbe problemi che, per altra via, non si cerca di risolvere.
Questo è il quadro francamente desolante di attività legislativa della Casa delle Libertà. Vi è solo da rallegrarsi che, essendo noi alla fine della legislatura, possiamo auspicabilmente pensare, sommando i nostri desideri con quelli che sono ormai i totem della politica moderna, cioè i sondaggi, che questi siano gli ultimi, ahimè, terribili divertissements del Governo in questa materia. Poi, finalmente, potremo riprendere a legiferare seriamente nella importante materia della giustizia per i nostri cittadini.
Si è già detto, e basta ridirlo brevemente, intanto che i tre istituti assommati nel disegno di legge c'entrano l'uno contro l'altro, come avrebbe detto il buon Sergio Tofano, come i cavoli a merenda! Mi riferisco, in particolare, alla quasi nuova invenzione dell'ulteriore attenuante dell'essere vecchio (definibile ciceroniana se qualcuno ritenesse che il De Senectute potesse significare ciò; virginiana per la devozione al padre Anchise che manifesta il personaggio di Enea; omerica perché i suoi grandi eroi sono particolarmente circondati di ossequio e di rispetto in quanto anziani).
Il fatto che l'ossequio e il rispetto, che appartengono alla nostra antica tradizione culturale, umanistica e giuridica si sostanzino nel pensare che, avendo più di settant'anni, tutto sommato - mi si perdonerà la parola - si è un po' rimbecilliti per cui vi è una diminuita capacità tale, se non si è recidivi, da essere automaticamente soggetti all'applicazione di un'attenuante cosiddetta generica, in quanto si aggiunge il numero 6-bis all'articolo 62 del codice penale, mi sembra il primo e più paradossale, forse improvvido e approssimativo degli istituti introdotti.
Credo di comprenderne il motivo: penso non si applichi a Bernardo Provenzano, ma facciamo un elenco degli illustri imputati settantenni; procediamo ad una ricognizione del perché improvvisamente ci si inventa questa attenuante, che non ha altrimenti senso logico e non può averne.
Mentre la minore età nel nostro sistema giuridico è un elemento tipicamente attenuativo o diminutivo delle responsabilità e, in una certa fase, attributivo di mancanza di responsabilità penale, poiché ha senso attribuire un trattamento di favore al minore che delinque o commette un reato nella prospettiva di una rieducazione, è assolutamente incomprensibile e direi persino offensivo agire in tal senso nei confronti degli anziani che, in quanto tali, vengono definiti soggetti cui fare uno sconto nell'elemento oggettivo del reato in quanto si tratta di un'attenuante che prevede solo il compimento dell'età!
Questa è ovviamente una sciocchezza, un istituto che può anche essere spacciato come buon senso, ma che non ha alcun rapporto con la realtà né con la storia giuridica del nostro Paese.
Sugli altri due istituti, corpo del disegno di legge, si è parlato talmente a lungo ed insistentemente che ribadisco solo che la prescrizione non è affatto uno strumento acceleratorio dei processi. Per scrupolo ho riletto uno dei manuali più noti; tra l'altro Antolisei è nativo di San Severino, quindi, il mio è un tributo in ossequio alla scienza giuridica maceratese… (Commenti del senatore Zancan). Il senatore Zancan mi corregge, dicendo che in realtà costui ha sempre insegnato a Torino! Non voglio litigare, né ribadire ulteriormente il mio orgoglio.
Indipendentemente dalla motivazione della prescrizione e dalle questioni poste dal collega Fassone, su cui l'Antolisei tradizionale è meno attento per l'epoca in cui ha scritto, costui individua la prescrizione in ciò che manualisticamente si insegna, cioè l'attenuarsi della potestà e della pretesa punitiva dello Stato per il decorso del tempo. Ebbene, non esiste una riga in cui si parli di un possibile effetto acceleratorio dei processi.
Possiamo sostenere, e questo lo dico - come ho già detto - attraverso una comune esperienza forense, che si tratta di un istituto per farla franca dai processi; almeno così - ahimè - lo intendiamo nella nostra quotidiana attività noi avvocati penalisti. Tant'è che le tecniche e le modalità per sfuggire alla prescrizione sono oramai oggetto di un'infinita casistica che vede sempre la lotta (non si sa qual è il bene, non si sa qual è il male) tra colui che intende attuare tutte le tecniche per far decorrere la prescrizione e la potestà punitiva dello Stato, impersonata - ahimè - dai magistrati, che in questo Paese sembrano appestati o lebbrosi, se e in quanto perseguono questo onesto e misero scopo: praticamente tentano di impedire che la prescrizione copra il processo attraverso questa coperta che è la somma ingiustizia.
Infatti, fra l'altro - e questo lo abbiamo visto quando si è discusso, ad esempio, delle amnistie - mentre i provvedimenti di clemenza sono generalizzati ed astratti, la prescrizione è la più odiosa delle forme di estinzione dei reati perché è discrezionale, in quanto qualunque pubblico ministero può estrarre dal cappello a cilindro della sua attività un processo simile ad altri e giudicare quello, e così può fare la magistratura giudicante.
Quindi, si sta qui a difendere e ad incoraggiare l'applicazione di un istituto che, a mio parere, uno Stato serio dovrebbe persino rendere del tutto eccezionale nella sua attività. Lo Stato, lo ha già detto il collega Fassone, dovrebbe sapere sempre e comunque punire ed affermare il principio che chi delinque va sempre e comunque punito e che non la può far franca se ha, come diceva un proverbio veneto, «gambe da cerviere» per poter correre più veloce della giustizia.
Questo è il punto nodale di questo provvedimento, tanto è vero che esso interpola l'istituto della prescrizione con un beneficio sospetto verso certe figure e categorie di reati; fra l'altro, incide su tale istituto, anche qui inopportunamente, attraverso modifiche dell'istituto della sospensione che, com'è noto, è un altro di quegli istituti che, congelando anche per lunghi periodi il corso della prescrizione, deve essere considerato in forme e misure del tutto eccezionali, proprio per evitare - il collega Zancan ha fatto degli esempi gustosi, ma ai limiti del paradosso - che comunque ci si possa procurare in maniera furbesca delle condizioni, delle cause, delle modalità di sospensione della prescrizione medesima.
Di questo si tratta; non entro nel dettaglio e dico solo che, indipendentemente dal vergognoso fatto che tutti noi possiamo maliziosamente sospettare che questo istituto sia stato appiccicato alla recidiva per ragioni tutt'altro che sistematiche (anche perché continuiamo a meravigliarci, essendo un istituto del diritto sostanziale, che non venga proposto nella riforma generale del codice), si tratta di un istituto pericoloso sbagliato, che contribuirà ulteriormente alla rovina del processo penale, con quelle conseguenze che il collega Fassone ha già magistralmente evocato.
Passo ad illustrare due ultime questioni. Riguardo alla prima, non ho tempo per discutere in maniera dettagliata degli altri mostri e paradossi che anche nel regime della recidiva vengono introdotti da questo provvedimento.
Dico qui, anche qui, che sotto il profilo della sistematica questo provvedimento interpola in parte l'istituto della recidiva, e in parte anche incide su quella che noi definiamo volgarmente la legge Gozzini, cioè l'istituto complessivo dell'attuazione di modalità anche diverse dalla detenzione di espiazione della pena, e l'interpola in maniera errata, perché sostanzialmente non si nega affatto né l'efficienza, né che la recidiva sia elemento serio di valutazione delle condotte.
Tra l'altro, già le attuali norme del codice penale non di rito consentono di irrogare sanzioni molto più severe di quelle edittali. Ma soprattutto bisogna riformare radicalmente ed in maniera sistematica tutto l'istituto dell'espiazione delle pene in carcere, fra l'altro tenendo conto che non possiamo affermare dei princìpi giuridici, che sono quelli del diritto penale minimo, della funzione rieducativa della pena, della residualità della pena detentiva, se non nei casi in cui essa è funzionale ad una sicurezza sociale, quando invece sappiamo che oltretutto non assolve neanche a quelle finalità di sicurezza sociale che poi umoralmente vengono enunciate dagli esponenti politici di questa maggioranza.
Sappiamo, infatti, che la detenzione in queste forme e in queste condizioni non consente di sterilizzare il problema sociale di tantissime figure di soggetti potenzialmente criminogeni, che comunque non possono essere detenuti, e in ogni caso non possono essere detenuti per periodi così lunghi da impedirne la teorica pericolosità.
Di questo, quindi, si tratta; si tratta, anche sotto questo profilo, di una legge totalmente sbagliata.
Ultima considerazione. Ancor più grave di tutto e, direi, prova provata - se occorreva - che, nell'impostazione, questo è l'ennesimo disegno di legge ad personam, è poi, nelle conclusioni, la parte sulle modalità di applicazione dell'istituto della prescrizione.
Noi tutti siamo consapevoli, perché siamo esperti del diritto (io non mi definisco un giurista, diciamo che sono un onesto «pedalatore» del diritto), che, specialmente nell'evoluzione del nostro diritto penale, a cui il collega Fassone faceva riferimento, certo anche quella partizione classica a cui io prima facevo riferimento, cioè la prescrizione come elemento del diritto penale sostanziale e come misura che non attiene, quindi, al processo, è venuta attenuandosi (ma anche per altri istituti), perché si intersecano le conseguenze del diritto sostanziale con le attività attraverso le quali il diritto sostanziale si invera. Si pensi solo a quanto il diritto delle prove incide anche, ormai, nella sostanza dei diritti, specialmente quando alcune figure (per esempio, tutta la teoria delle aggravanti e dell'effetto speciale) integrano la fattispecie criminosa e quindi, quando è necessario accertare non solo il fatto inteso in senso tradizionale, ma anche elementi, per così dire, altri rispetto al fatto storicamente in sé considerato.
Orbene, se questo è, il legislatore può tranquillamente disporre dell'istituto della prescrizione, tant'è vero che lo ha fatto e lo fa per ragioni di politica legislativa, per esempio allungando anche enormemente i termini per alcuni reati; parlo, per esempio, non tanto dei cosiddetti crimini gravi, ma anche dei reati tributari, nel senso che la prescrizione per i reati tributari è stata più volte modificata con legge speciale.
La dottrina ritiene che questo istituto possa subire interpolazioni anche attraverso le leggi speciali; non esiste quindi la necessità totale ed assoluta di un sistema che sia di cosiddetta uguaglianza: semmai esiste un sistema che postula, come per tutti gli altri istituti giuridici, la parità di trattamento.
Ebbene, è evidente che, se interpoliamo così significativamente l'istituto della prescrizione e - aggiungo - a sfida, se si volesse dimostrare l'assoluta integrità di queste modifiche, cioè se si volesse dimostrare che esse non sono progettate come il sarto di Panama, ma sono progettate affinché vengano - come si vuole far credere - inserite nel futuro del nostro sistema giuridico, nulla di meglio, allora, che predisporre una norma che chiarisca, in sede di diritto transitorio, che queste misure non possono applicarsi alle fattispecie precedenti e stabilire che si applicano de futuro.
Infatti, è vero che si tratta di norme di diritto penale sostanziale, ma esse incidono tanto radicalmente anche sul corso dei processi - perché è attraverso i processi che si invera fisicamente la prescrizione - che non è pensabile che attività compiute sotto l'imperio della vecchia legge possano essere sanate o addirittura enfatizzate dalla nuova legge, che addirittura rende l'istituto ancora più facilmente utilizzabile per finalità non proprie.
A mio parere, quindi, a parte l'assoluta improprietà persino tecnica e raffazzonata dell'articolo 10, che secondo alcuni addirittura sembrerebbe applicarsi solo ai fatti precedenti, la dizione in esso contenuta dev'essere assolutamente cambiata; secondo me - ripeto - dovrebbe essere limpidamente cambiata, se vogliamo tentare di sostenere che questa è una introduzione de futuro, soltanto chiarendo che si applicherà ai regimi futuri.
Se ho un minuto solo, signor Presidente, per concludere, osservo che questo disegno di legge (lo abbiamo già detto più volte e non per uno spirito di estenuata e continua polemica, ma perché la nostra delusione è prima di giuristi e di cittadini che di politici e di parlamentari) è l'ennesimo tentativo, fra l'altro inutile e dannoso, di interpolare il sistema giustizia nel nostro Paese, mentre esso sta andando allo sfascio e dovrebbe occuparsi ben più utilmente di quelle cose che sentiamo dibattere più ancora e più convincentemente, anche in questo caso, dalla dottrina e dalla giurisprudenza che non dalla politica e soprattutto - occorre dirlo - dalla maggioranza.
Rivolgo allora un appello per l'ennesima volta: si abbandoni, anche sulla soglia dell'Aula, questo disegno di legge. Dobbiamo discutere i provvedimenti sul terrorismo internazionale, dobbiamo discutere dello sfascio dell'economia italiana: impegniamoci, signor Presidente, onorevoli colleghi senatori, sulle cose che il popolo italiano ci chiede, e non su quelle che qualcuno, più bravo, più eccellente, più importante degli altri, pretende che noi facciamo durante le solite estati parlamentari. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-Un e Misto-IdV).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ayala. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, colleghi, se vi confessassi che in questo momento provo un certo imbarazzo ad occuparmi del contenuto di questo disegno di legge credo che non vi stupirei. Infatti, non vi è dubbio che non riesco ad essere uomo di parte, nel senso che l'Istituzione - e non me ne dolgo affatto - in me finisce con il prevalere sempre.
Ma se fossi uomo di parte gioirei, a pochi mesi dalla campagna elettorale, di questo ennesimo tentativo di disarticolazione del sistema giudiziario italiano messo in campo con la solita arroganza, superata solo dalla rozzezza, dalla maggioranza, perché ci fa campagna elettorale (non c'è niente da fare, diciamocelo con franchezza), come teme anche qualche collega della maggioranza che dovrà, durante i suoi comizi o i suoi confronti con il candidato avversario, affrontare l'aver votato questo disegno di legge e alcuni precedenti che ricorderò in seguito.
Il mio imbarazzo nasce dal fatto che la più alta istituzione democratica del Paese, il Parlamento, venga ancora una volta chiamata ad occuparsi di un disegno di legge - perché tale dobbiamo continuare a chiamarlo - che in realtà ha una finalità molto precisa, ossia quella di «salvare il soldato Ryan», tanto per usare una metafora. Qualunque sia il prezzo determinato dalla ricaduta sul sistema di tale normativa, si paghi questo prezzo, perché il problema è che dobbiamo salvare il soldato Ryan.
Ora, la prima cosa che noto, caro Presidente - vi ha già fatto cenno il collega Fassone - è che l'intervento più devastante di questo disegno di legge, che riguarda la nuova disciplina della prescrizione, è nascosto. Infatti, leggendo l'intestazione del provvedimento, vediamo che esso recita: «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi». Non si parla della prescrizione, che è nascosta.
La seconda anomalia è che noi siamo qui in Aula chiamati ad affrontare in discussione generale questo disegno di legge dopo che la Commissione giustizia ne è stata scippata. Qual è la ragione per cui si è impedito alla Commissione di giungere, magari in maniera costruttiva, al termine dei suoi lavori? Qual è l'urgenza straordinaria che ha consentito alla Conferenza dei Capigruppo di calendarizzare per la discussione in Aula un provvedimento non concluso dalla Commissione giustizia? Perché attrarlo fuori dal canale fisiologico dell'iter parlamentare, se non per la famosa ragione, che mi piace stamattina - non so perché - chiamare «salvare il soldato Ryan»?
Tutto ciò mi crea un grande imbarazzo, anche perché - lo devo dire subito e lo spiegherò in seguito - mai mi sono trovato ad esaminare un provvedimento più rozzo e irragionevole di questo. Già in Commissione ho detto, e ripeto in Aula, che mi ha fatto pensare alla crisi dell'agricoltura. Quante braccia ingiustamente sottratte alla vanga, che si improvvisano legislatori, mentre l'agricoltura è in crisi! Tornassero ai campi, riprendessero la vanga: renderebbero così un servizio al Paese, non certamente licenziando questi disegni di legge così rozzi e così poco commestibili, prima ancora che sul piano giuridico sul piano della ragionevolezza, che dovrebbe essere il criterio guida fondamentale di qualunque normativa varata dal Parlamento.
Comincio dalla prescrizione, signor Presidente, perché secondo me è il tema più significativamente presente in questo disegno di legge e anche politicamente rilevante, poiché ha comportato - non dimentichiamolo - un fatto che non è frequente nella vita parlamentare, ossia il ritiro della firma di diversi colleghi deputati, a cominciare dal primo firmatario, l'onorevole Cirielli, che non ho il piacere di conoscere personalmente, il quale ad un certo punto, come si dice nell'intestazione, «ha ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge». Certamente ciò è avvenuto per l'inserimento della prescrizione, un tema assolutamente non previsto nel disegno di legge originario sottoscritto dal collega Cirielli, ma anche da altri colleghi che a loro volta hanno ritirato la propria firma.
Quindi, è quello il tema dolente. Non c'è niente da fare, ci piaccia o non ci piaccia, e a me non piace affatto, di quello dobbiamo occuparci.
Il collega Fassone poco fa faceva riferimento alla sensazione diffusa che una significativa parte dell'elettorato che si riconosce nel centro-destra dissenta fortemente dalla politica della giustizia che in questi quattro anni di legislatura è stata portata avanti. Come dargli torto?
La giustizia italiana è indubbiamente afflitta da una grave malattia, quella che io definisco la madre di tutte le malattie, ossia la sua insopportabile lentezza, ragione per la quale veniamo continuamente condannati in sede europea. Le condanne in sede europea, che si susseguono, hanno per oggetto sempre questa tremenda malattia, e mai altre ragioni: la lentezza assolutamente indegna di un Paese democratico e civile quale è certamente il nostro. Allora capisco che la maggioranza e il Governo si impegnino per superare questo problema.
Tralascio taluni altri provvedimenti precedentemente adottati, sui quali tornerò, e mi limito a questo al nostro esame. C'è un problema da risolvere, ci si deve inventare una terapia per guarire una malattia e cosa fanno? Anziché intervenire in maniera tale da ridurre quella lentezza, da accorciare i termini di durata dei processi, intervengono sulla conseguenza, una delle più odiose, la prescrizione, che è la sconfitta dello Stato, perché nei fatti è la rinuncia ad esercitare la potestà punitiva.
Per rimanere in ambito medico-terapeutico, l'esempio è facile: abbiamo un malato, che ha seri problemi di respirazione, quindi gli diamo un po' di ossigeno per aiutarlo. Questa legge prende atto che quel malato ha seri problemi respiratori, gli toglie l'ossigeno, gli dice che così imparerà a respirare da solo e che si riprenderà. Accorciano la prescrizione per velocizzare i processi. Sono pazzi! Sono irresponsabili! Ne avete dette tante, ditemene un'altra. Il problema è correggere il male intervenendo sul sintomo più grave, modificando la sua struttura. Credo sia un qualcosa che definire irragionevole è rendere omaggio a quella cautela di linguaggio che, come i colleghi mi riconosceranno, è mio costume adoperare, non perdendo di vista che mi trovo in un Aula parlamentare. Ma è una follia! Eppure, è così.
Colleghi, siccome il provvedimento si iscrive nella teoria, non breve, delle cosiddette leggi ad personam, io, scaramanticamente, qualche speranzella che non vada in porto ce l'ho, perché su quel tema la maggioranza è tornata più volte e non ne ha indovinata una.
L'esordio fu con il falso in bilancio. La sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio andò in porto. L'applicazione ad alcuni imputati, con nomi e cognomi illustri, fu consequenziale. Tale legge, devo ammetterlo, ha dato un bilancio attivo.
Poi dobbiamo parlare della Cirami: una vergogna, diamo alle cose il nome che meritano. Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ritenuto di non applicarla al processo per cui era stata voluta e varata dal Parlamento, quindi il risultato fu, per fortuna, di zero a zero.
Proseguo con il lodo Schifani. Non mi dite che fosse un provvedimento che rispondeva ai requisiti fondamentali della legge, cioè generalità e astrattezza. Era una legge tutt'altro che generale ed astratta, aveva un nome e un cognome. La Corte costituzionale, tutta composta da comunisti ovviamente, secondo le ultime esternazioni del Presidente del Consiglio (questi comunisti sono più bravi oggi che non ci sono più di quando c'erano!), ha cancellato quella norma palesemente incostituzionale.
Dobbiamo ricordare la legge sulle rogatorie, indegna nei suoi contenuti dal punto di vista tecnico-giuridico e che però venne varata dal Parlamento. I suoi autori tuttavia dimenticarono che nel codice di procedura penale, prima delle norme che disciplinano le rogatorie e che venivano stravolte in maniera - ripeto - indegna da quella normativa, c'era l'articolo 696, che non venne toccato da quella riforma.
Non mi addentrerò in tecnicismi, signor Presidente, per non annoiare i colleghi più di quanto non stia già facendo, ma devo sottolineare che non intervenendo su quella norma tutta la legge sulle rogatorie risultava inapplicabile, come di fatto è avvenuto, tant'é che la normativa non è stata applicata da nessun tribunale italiano.
Costoro, infatti, non solo fanno leggi che mai dovrebbero entrare in un Parlamento e cioè leggi ad personam, la negazione della democrazia, ma per nostra fortuna non le sanno fare. Del resto è con la vanga che hanno dimestichezza non con le leggi. Speriamo che la lezione serva e che tornino a coltivare i campi.
I risultati di questi precedenti tentativi di leggi ad personam, tutti negativi, mi fa sperare legittimamente che anche questa volta il risultato non venga raggiunto. Signor Presidente, uno studente di giurisprudenza al secondo o al terzo anno, anche di medio profitto ...
CALVI (DS-U). Anche di terza media.
AYALA (DS-U). Di terza media mi suggerisce il collega Calvi e ai suggerimenti del senatore Calvi presto sempre ossequio, giacché la sua autorevolezza è una delle poche certezza di cui disponiamo. Quindi, uno studente universitario a metà strada del suo corso di studi sarebbe in grado di scrivere meglio di così, meglio di quanto è stato fatto in questa legge.
Colleghi, mai si poteva immaginare un provvedimento, non solo tanto irragionevole (il che è già grave) ma tanto rozzo, almeno per il settore della giustizia che è quello che seguo con costanza da molti anni.
Signor Presidente,scegliamo qualche perla, anche se non voglio annoiarvi a lungo e manterrò l'impegno. Chiarito che è sbagliato intervenire sui termini della prescrizione accorciandoli, per le ragioni che ho già detto prima, qui si interviene sui termini di prescrizione accorciandoli per i reati più gravi, anche in misura consistente, e allungandoli, sia pure in misura non molto consistente, per i reati meno gravi.
Ma c'è una perla nella perla: i reati ancora meno gravi, che una certa dottrina definisce "delitti nani" sanzionati soltanto con la pena pecuniaria - signor Presidente, lei non ci crederà - sono imprescrittibili. Quindi, il reato più grave si vede accorciare i termini di prescrizione, il reato meno grave se li vede allungare, il reato nano non si prescrive mai.
Chi sono i nostri interlocutori? Colleghi dell'opposizione, come ci misuriamo con questa maggioranza su questo tema (su tante altre cose la nostra disponibilità è comprovata)? Di cosa dobbiamo discutere? Di diritto? Di ragionevolezza dell'intervento normativo? Di opportunità del dosaggio di questa nuova normativa? Di cosa dobbiamo discutere? Respingo l'analfabetismo giuridico perché per alcuni anni della mia vita ho studiato e vedo che non sono in totale buona compagnia. Qualcuno ha ancora studi da fare. Questa era solo una delle perle.
Nel provvedimento, ad esempio, non si tiene conto, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria. Il risultato è che delitti gravissimi, che già oggi non sono passibili di prescrizione e che poi restano eventualmente scoperti per molto tempo, diverranno soggetti a prescrizione.
Qual è l'interesse a reinserire nella estinzione per prescrizione - questa è la dizione tecnica - delitti la cui straordinaria gravità fa sì che da decenni il nostro codice penale ritiene debbano rimanere fuori da quella causa ablativa, estintiva? Non lo so. A chi chiediamo? La risposta chi la darà?
Penso che, anche questa volta come in qualche occasione precedente, se mai questo disegno di legge diventerà legge, sarà la Corte costituzionale a farlo, signor Presidente, al di là del denunciare ora qualche altra perla, che voglio mettere in evidenza.
Un problema che ritorna spesso è quello della sospensione del processo per impedimento e, ovviamente, questo ha refluenza sulla sospensione del decorso del termine di prescrizione. Ebbene, questo nuovo disegno di legge prevede che nel caso di impedimento dell'imputato o del suo difensore, la sospensione del processo, e quindi la sospensione del decorso del termine di prescrizione, si verifichi solamente per il tempo dell'impedimento.
Per far capire quanto sia asistemico questo intervento ricordo, e verrà in mente a tutti, sempre in tema di effetti giuridici del decorso del tempo, una rapida lettura dell'articolo 304 del codice di procedura penale, che riguarda il problema del decorso dei termini di custodia cautelare. In quel caso, diversamente, è prevista la sospensione non per il tempo dell'impedimento, ma per l'intero lasso di tempo in cui il dibattimento è stato sospeso o rinviato. È una soluzione ragionevole, che è prevista e rimane ancora prevista per la delicatissima materia dei termini di custodia cautelare, cioè in tema di libertà personale. Non si capisce perché, invece, adesso la sospensione della prescrizione sarà limitata al tempo dell'impedimento.
Tra l'altro, signor Presidente, come si procederà in concreto? Oggi l'imputato è ammalato, c'è una certificazione medica che lo comprova, non si presenta al dibattimento e il presidente, prendendo atto e dando per buona quella certificazione, sospende e rinvia ad una certa data. Normalmente, quel pezzo di processo che si ferma non può essere computato ai fini della prescrizione, così è oggi nel nostro ordinamento.
Ora invece, nell'ambito di quel periodo di tempo, cioè del rinvio del processo, quel che conta ai fini della sospensione del termine della prescrizione è soltanto il tempo dell'impedimento. Quando guarisce il malato? Chi lo stabilisce? Ci vorrà una perizia medica, una quotidiana assistenza da parte del presidente della corte (per dire "Come sta oggi? Meglio?"), finché un giorno non si stabilirà che è guarito? Non si potrà ricelebrare il processo, dal momento che è stato rinviato ad una data successiva, però il tempo successivo avrà un significato giuridico, perché la prescrizione comincerà a decorrere. Mi chiedo se si rendano conto di come scrivono le leggi!
Lasciamo perdere quello che li ispira, la finalità meno nobile possibile e immaginabile, ma ci deve pure essere una agibilità dignitosa nel trattare la materia, ripeto, a prescindere dal fine. Si stabilisce che ciò che conta è soltanto "il tempo dell'impedimento". E chi stabilisce quanto è durato quell'impedimento? Mentre per la libertà, che è un valore assoluto la cui privazione è sempre un momento di crisi dell'agibilità democratica di un Paese, il criterio rimane quello, più ragionevole, di escludere dal computo il periodo in cui il dibattimento è stato sospeso.
Signor Presidente, alla fine, chi rimarrà penalizzato sarà ancora una volta il processo; questo è il punto. Il bilancio di questi quattro anni di legislatura, sul tema della giustizia, l'ho ripercorso: nulla è stato fatto da questa maggioranza per cercare non dico di curare, ma di lenire qualcuno dei mali che pure affliggono la nostra giustizia.
C'è la riforma dell'ordinamento giudiziario che viene sbandierata, specialmente nelle valli padane perché altrove si fa più fatica a sbandierare quell'altra vergogna incostituzionale (ma è inutile che stiamo a ripetere concetti già espressi) la quale a tutto è finalizzata fuorché a migliorare il servizio giustizia, anche per espressa dichiarazione di alcuni autorevoli membri della maggioranza.
All'interno di tale riforma è stata inserita una norma da parte del relatore, il quale ha dichiarato in una intervista - e do atto dell'onestà intellettuale del senatore Bobbio - essere norma inserita per quale finalità di sollievo e miglioramento della giustizia? Per inibire al dottor Caselli la possibilità di essere nominato procuratore nazionale antimafia, questo perché - aggiunge ancora il presentatore della norma - a suo giudizio non degno di quell'incarico. Ebbene, se ne fa un articolo di legge inserito nell'ordinamento giudiziario.
Non devo dare la pagella a nessuno e mi guardo bene dal dire se è giusto che sia il dottor Caselli o un altro, questo è compito che spetta al Consiglio superiore della magistratura, figurarsi se ci metto un dito dentro, ma è mai possibile?
E grazie all'onestà intellettuale del senatore Bobbio la cosa è stata dichiarata alla stampa, non in un chiacchierata tra colleghi al ristorante o in un salotto. Siamo arrivati a questo punto e ci occupiamo di interventi devastanti per l'ordinario svolgimento della vita giudiziaria solo perché dobbiamo salvare l'onorevole Cesare Previti.
Colleghi della maggioranza, ribellatevi, non fatelo più, lo avete fatto in passato e non vi è servito a niente. E, poi, non so se qualcuno di voi ha voglia di tornare in Parlamento, ma se approvate alla fine della legislatura questa roba, per molti di voi sarà dura, anzi durissima, cosa che peraltro mi auguro. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-Un e del senatore Donadi. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Battisti. Ne ha facoltà.
BATTISTI (Mar-DL-U). Signor Presidente, il disagio cui faceva riferimento il collega Ayala è quello un po' di tutti, che colpisce non soltanto il provvedimento al nostro esame ma un po' l'intero sistema che il Parlamento ha adottato nei confronti della giustizia, della sicurezza, dei diritti costituzionali, della riforma costituzionale e quant'altro.
Abbiamo una esposizione mediatica che è di un colore e abbiamo poi un'attività legislativa di colore esattamente opposto, però spesso quel che appare risulta essere.
Sono di questi giorni le polemiche sulla sicurezza e in parte anche su alcune riforme che coinvolgeranno o coinvolgerebbero la giustizia in ordine al fenomeno terrificante del terrorismo. Abbiamo avuto dichiarazioni che, per ragionevolezza, prendiamo come delle boutade, delle semplici battute, come quella sulla dichiarazione di stato di guerra od altro; però, rimane il fatto che il tema giustizia e il tema sicurezza, per gli immigrati, per il terrorismo, per i processi, e via dicendo, viene sbandierato normalmente da questo centro-destra per mostrare quanto è attento a tutto ciò e finanche quanto è attento a proteggere i cittadini, come abbiamo visto nei giorni scorsi anche rispetto all'uso delle armi, con il disegno di legge sulla legittima difesa, e così via.
La realtà del legislatore è un'altra. In questi anni - la disamina è già stata fatta da qualcuno ed è inutile che la ripeta, se non per titoli - sono stati approvati provvedimenti quali la riforma dell'ordinamento giudiziario, la legge Cirami, la trasparenza dei mercati, il falso in bilancio, la criminalità internazionale, le rogatorie, e potrei proseguire oltre. Tutto è stato fatto per non occuparsi del tema giustizia, mentre abbiamo problemi seri e gravi.
Abbiamo da pochi giorni il maggior numero di detenuti ristretti in istituti penitenziari che si è mai registrato dalla nascita della Repubblica ad oggi; stiamo toccando i 60.000 detenuti, e mi riferisco solo a quelli ristretti negli istituti penitenziari, non anche a coloro che scontano la pena in regimi alternativi, cioè diversi dal carcere, e ai soggetti in attesa di esecuzione. Spesso, bisogna dirlo, sono in attesa di esecuzione, sono prenotati nella lista, perché non c'è posto.
Di tutti i problemi della giustizia, tra i quali la lentezza dei processi, questo Parlamento non si è mai occupato; questo Parlamento si occupa invece dei problemi relativi al signor Berlusconi. Anche la legge in esame, che dovrebbe teoricamente salvare l'onorevole Previti, è congegnata per favorire l'onorevole Berlusconi, per far sì che l'onorevole Previti non lo danneggi vieppiù. Inanelliamo così un'altra legge vergogna, un'altra legge fatta per salvare l'onorevole Berlusconi.
Al di là di valutazioni che tutti condividiamo, pubblicamente o privatamente, dovremmo interrogarci sulla funzione del Parlamento. È certamente molto grave che si usi lo strumento della legge per cambiare i processi, le pene, la prescrizione. Questo meccanismo potrebbe essere applicato agli ambiti più vari, e in parte lo è stato, come insegna la vicenda della comunicazione: ogni aspetto potrebbe essere cambiato per qualsiasi motivo funzionale a favorire il Presidente del Consiglio; potremmo avere così una legge speciale per Arcore, un diverso sistema di trasporti autostradale o aeroportuale. Il Parlamento potrebbe varare una serie di leggi a favore del Presidente del Consiglio, non solo in tema di giustizia.
Il provvedimento modifica anche alcune professionalità. Credo che la Corte costituzionale interverrà, e non sarebbe la prima volta come ha ricordato il collega Ayala. Da questa legge scaturiranno figure professionali e imputati antropologicamente nuovi: avremo avvocati in pessimo stato di salute per moltissimo tempo; vi sarà una concorrenza feroce perché gli unici avvocati che difenderanno la giustizia saranno parlamentari, gli altri avranno poco lavoro. Si registrerà un tasso di deficienza fisica e psichica negli imputati notevolmente superiore alla media nazionale. Saranno condotte indagini di tipo sociologico sulle ragioni per cui gli avvocati sono solo parlamentari e gli imputati sono solo malati. Ci saranno poi medici che dovranno certificare l'inizio e la cessazione della malattia. Se Bertolt Brecht fosse ancora vivo, potrebbe scrivere una commedia sulle parti in gioco di questo sistema.
In questo modo frantumiamo lo Stato di diritto, non difendiamo le regole poste a difesa dello Stato di diritto. Torno al problema attuale del terrorismo perché la demagogia che circonda alcuni dibattiti mi colpisce, così come mi ha colpito il fatto che i due più strenui difensori dello Stato di diritto siano stati due: re Juan Carlos di Spagna e la regina Elisabetta II, i quali hanno preso posizione contro leggi antidemocratiche a seguito di atti terroristici, chiarendo subito che lo Stato di diritto si difende con il diritto, non con regole che lo incrinano.
Certamente il paragone può sembrare ardito, ma credo che la giustizia penale ed il diritto si difendano con il diritto e non con il suo stravolgimento. Dobbiamo allora dirlo chiaramente: da quattro anni qui dentro non ci occupiamo di diritto, di giustizia, di criminalità, delle vittime dei reati, ma dei fatti personali di alcuni signori che dobbiamo sottrarre alla giustizia.
L'elenco è lungo; lo hanno fatto molti prima di me e quindi non sarò io a ripeterlo pedissequamente, se non facendo alcuni cenni. Fatto sta che, quando si ha presente un obiettivo (come, in questo caso, quello di salvare l'onorevole Berlusconi), anche nella dialettica tra persone, prima si affrontano altre materie molto distrattamente, dato che l'obiettivo principale è e resta il medesimo. Anch'io, quindi, non so fornire una risposta all'articolo 6, per il quale dovremmo vedere aumentata la prescrizione per reati meno gravi e diminuita per reati più gravi.
Non so perché, ma di fronte ad un sistema penitenziario che sta scoppiando, come sempre accade nei mesi estivi, molti parlamentari avevano sollecitato un intervento; assieme al senatore Calvi avevamo presentato un provvedimento di amnistia, ma ci è stato risposto: fermi tutti, perché non si possono rimettere in giro fior di delinquenti riaprendo le carceri e mancare di dare quindi un segno di fermezza!
Ebbene, signori, il meccanismo al nostro esame è un'amnistia. La si può chiamare in tutti i modi, si possono prevedere le forme più diverse, si può allungare e diminuire la prescrizione; sta di fatto che stiamo varando un'amnistia non per il popolo in carcere, al 90 per cento costituito da extracomunitari e tossicodipendenti (in breve, da poveracci rinchiusi), ma per soggetti che hanno commesso reati ben più gravi. Non la chiamiamo, però, amnistia, perché i cartelli che predicano "tolleranza zero" non avrebbero più nessun effetto.
Abbiamo già parlato della sospensione dei processi, laddove sarebbe necessario un giurista per capire come si fa a confondere bene sospensione ed interruzione, mescolando i due elementi e facendone un mix, per ottenere questa miscela esplosiva dal punto di vista giuridico che, comunque, nei fatti darà risultati assolutamente folli; delle contraddizioni insite in ciò, ricordo l'articolo 8, laddove si stabilisce che l'affidamento in prova per i tossicodipendenti recidivi può essere dato una sola volta, mentre, al contempo, in altro provvedimento l'affidamento è addirittura portato a tre volte, in tutto questo dimentichi del fatto che esiste l'articolo 27 della Costituzione, per il quale vi è una natura rieducativa della persona che ha commesso quei reati sotto la necessità dell'uso di sostanze stupefacenti. Non parlo del momento dell'applicazione della legge in questione, altra perla dal punto di vista giuridico.
Molte sono state le questioni sollevate dal punto di vista costituzionale, che non ripeterò. Folle è la nuova formulazione di quello che era e non so se resterà l'articolo 69 del codice penale sul giudizio di bilanciamento delle circostanze. Infatti, lì non solo si tradisce tutta la letteratura e la giurisprudenza che aveva portato alla riforma dell'articolo 69, di fatto reintroducendo il tipo d'autore, ma creando quelle difficoltà cui anche il collega Calvi accennava in relazione a quelle circostanze per le quali è prevista una pena autonoma o di specie diversa, ma finanche quello che talora si diceva dei delitti aggravati dall'evento.
Il caso tipico che si faceva era quello della rissa cui seguiva l'evento morte. Da taluni si diceva prima che quell'evento morte è una circostanza aggravante del reato base, che sarebbe quello di rissa, da altri si diceva che ciò non è vero e che si tratta di un titolo autonomo di reato. Quella discussione portò ad una soluzione all'interno dell'articolo 69, perché certo le sperequazioni erano folli: poteva esserci taluno che aveva ucciso un soggetto in un duello e, in virtù del giudizio di cui all'articolo 69, veniva condannato ad un paio d'anni, ed altri che invece aveva ucciso in un contesto meno feroce e veniva condannato a vent'anni.
Si risolse quel problema; lo si risolse proprio con un'attività dottrinale e di giurisprudenza che eliminava questo tipo di sperequazioni. Oggi ritornano, e non ritornano per una svista; ritornano sempre e soltanto perché l'uso che stiamo facendo di questo Parlamento è un uso teso a risolvere i guai giudiziari dell'onorevole Berlusconi.
Io non so come proseguirà l'iter di questo provvedimento in Parlamento. Troppe volte abbiamo fatto appello alla coscienza dei parlamentari del centro-destra perché facciano sentire la loro voce. Io non credo che avverrà; io credo che i parlamentari del centro-destra siano obbligati a far passare questa legge e a spingere il bottone. E credo anche che, quando i colleghi dell'UDC o di qualche altra parte politica reclameranno la loro autonomia perché così, a loro dire, questo Governo non va, noi dovremo ricordare loro che nei momenti cruciali spingono il bottone e abbassano la testa. Credo quindi che questa legge passerà; confido più nella Corte costituzionale.
Noi dovremo fare un'opera di comunicazione, perché questo è uno schiaffo, ed è uno schiaffo all'opinione pubblica; è uno schiaffo alla gente che si trova di fronte alla giustizia, è uno schiaffo alla gente cui si dice che questo Governo lotta contro il crimine. Si fanno vedere alla gente le villette del Nord-Est dove ci sono le rapine e si mente sui dati della giustizia, non dicendo che omicidi, rapine e furti aumentano perché diminuiscono le risorse finanziarie ed economiche che questo Stato, questo Governo assegna alla giustizia.
L'unica attività che esso compie in tema di giustizia è cambiare le cose in modo tale che non ci siano problemi. I cittadini sono preoccupati perché spesso vengono proposti loro dei mostri, come gli sbarchi degli immigrati dipinti come orde di barbari, mentre - ahimè - è questo Parlamento che viene invaso da orde di barbari che fanno scempio del diritto.
Quindi, io non sono molto fiducioso che da qui possa uscire una legge diversa da come vi è entrata; lo sono un po' di più nella Corte costituzionale, ma soprattutto spero che noi sapremo mettere i cittadini in grado di giudicare ciò che questo Governo ha fatto. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Verdi-Un).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Calvi, il quale nel corso del suo intervento illustrerà anche gli ordini del giorno G1, G2, G4, G5, G6, G7 e G8. Ne ha facoltà.
*CALVI (DS-U). Signor Presidente, mi accingo ad esprimere le mie osservazioni critiche. Più che un intervento nel dibattito nel quale si spera in un ascolto attento, ho l'impressione che le nostre parole abbiano il segno della testimonianza: parliamo in solitudine e certamente inascoltati.
Vorrei ringraziare il Sottosegretario e soprattutto i due colleghi senatori della maggioranza, gli unici due presenti. Mi sembra che questi nostri interventi (finora abbiamo parlato in molti) siano appunto un segno di testimonianza più che una interlocuzione in un dibattito.
Per questa ragione, signor Presidente, dividerò in due parti il mio intervento: una parte strettamente tecnica, che ho scritto e chiedo che sia allegata al Resoconto della seduta; per quanto concerne l'altra parte, mi limiterò in questa sede a fare due osservazioni, muovendo da una considerazione.
Questa legge non è dissimile da altre che sono state presentate; è un disegno che rispecchia un modulo di politica del diritto che siamo stati abituati in questa legislatura a leggere e le cui caratteristiche sono le seguenti. La prima è l'eterogeneità dei fini: solitamente una legge, specialmente in tema di diritto, dovrebbe avere il segno della omogeneità del tema, della organicità dei contenuti, della sistematicità dell'intervento e invece, ogni volta che trattiamo un disegno di legge in tema di diritto, notiamo che esso è, per così dire, «connotato» da una serie di interventi che hanno la connotazione della eterogeneità.
La seconda caratteristica è quella della occasionalità delle proposte: le leggi non nascono perché c'è necessità di intervenire su un tema (sulla prescrizione certo, occorre intervenire); ogni volta, oltre che alla eterogeneità asistematica, ci troviamo di fronte anche all'occasionalità: c'è un processo, una questione, un interesse specifico.
La terza caratteristica è quella della irragionevolezza delle previsioni: abbiamo già ascoltato quanto queste previsioni siano segnate certamente non da connotati ragionevoli.
Infine, una sconcertante erroneità nella formulazione. Mi sembra che tali caratteristiche si ripropongano anche per questa legge.
Non ripeterò quanto altri colleghi hanno già detto. Farei soltanto due osservazioni e questa volta parlerò soltanto al collega Peruzzotti, che mi sembra sia l'ultimo senatore della maggioranza rimasto e che voglio ancora una volta ringraziare, sperando che non si allontani prima che io abbia terminato.
Collega Peruzzotti, farò un'osservazione sull'articolo 10 di questo disegno di legge. Tale articolo dice: «La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli all'imputato, si applica ai fatti commessi anteriormente a tale data e ai procedimenti e ai processi pendenti alla medesima data».
Sono certo che lei, collega Peruzzotti, coglierà la distonia di questa norma, una norma singolare che non ha alcun senso giuridico, naturalmente. Essa ci dice che la legge entra in vigore il giorno successivo a quello in cui verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; poi dice: «salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli all'imputato», il che significa che, se l'attuale sistema prevede norme più favorevoli all'imputato, allora si applicano le vecchie disposizioni e rimangono soltanto quelle parti di questa legge che hanno connotazioni più favorevoli per l'imputato stesso. Partiamo dunque dall'idea che il disegno, qualora divenisse legge, si applicherà soltanto a quegli imputati per i quali questa legge è più favorevole.
Poi prosegue: «si applica ai fatti commessi anteriormente a tale data», quindi soltanto per i fatti che siano meno favorevoli all'imputato, che però siano stati commessi prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Poi aggiunge: «e ai procedimenti e ai processi pendenti alla medesima data».
Quindi, in sostanza abbiamo il seguente schema, signor Presidente: se la legge attuale è più favorevole all'imputato, si applica quella; se invece è più favorevole questa, allora si applicherà soltanto ai fatti commessi in data anteriore alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e ai processi in corso.
Anch'io ho studiato sul manuale di Antolisei, che è stato ricordato poco fa anche dal senatore Cavallaro. Era un marchigiano andato ad insegnare a Torino, a portare la cultura marchigiana anche in Piemonte, ma potrei citare altri giuristi (Betti, Vassalli e tanti ancora), passati per le nostre università. Ebbene, signor Presidente, ci hanno tutti insegnato - e nessuno meglio di lei lo sa - che la legge vale per il futuro, non per il passato, altrimenti è un'amnistia. È per il passato che si fa una legge di amnistia o di condono.
Questa legge, invece, vale per i fatti commessi anteriormente e per i processi in corso. Allora mi pongo una domanda. La Camera dei deputati (non la Camera alta, ossia noi) mi sembra che sia ricca di prestigiosi giuristi e il Sottosegretario ce lo potrà confermare. Possibile che la maggioranza e il Governo abbiano commesso un errore di questo genere? Oltretutto, sarebbe stato sufficiente dire che si applica «anche», sarebbe bastato un «anche», ma per la legge questa assenza, questa omissione, ovviamente non è priva di rilievo: se non è stata inserita, non è stata inserita. Bastava quell'«anche» che non è stato messo e la Camera, che è così ricca di prestigiosi giuristi, debbo pensare che non abbia commesso un errore così grossolano.
Possibile che maggioranza e Governo abbiano fatto un errore così enorme? Credo invece che alla Camera siano stati, per così dire, turbati da una preoccupazione ossessiva. Il problema è che questa legge doveva essere applicata non per il futuro, ma per ciò che è accaduto nel passato e per i processi in corso. Guai a dubitare che la legge valga per il futuro: no, deve valere per i processi in corso. Ci sarà un significato per questo? Io credo di sì.
Non voglio entrare nel merito delle cronache, però mi sembra che i colleghi della Camera abbiano avuto una preoccupazione, una sorta di ossessione: mi raccomando, stabiliamo che questa legge si applica ai processi in corso! Così si sono dimenticati di dire che si applica «anche» ai processi in corso, che si deve applicare per il futuro, ma anche per i processi in corso.
Il disegno di legge al nostro esame non potrà quindi essere approvato. Ciascuno di noi - primo fra tutti il Sottosegretario, che è un avvocato, un giurista - sa bene che nessuno potrà mai interpretare estensivamente questa norma aggiungendo un «anche» che non c'è. Per tale ragione, questo provvedimento certamente non potrà essere approvato. A me però interessava sottolineare come ci fosse non una volontà di legiferare nell'interesse generale, ma una sorta di ossessione parossistica di legiferare per «quello». Questa è la prima considerazione.
La seconda (sto facendo osservazioni marginali, riservando quelle più corpose al mio testo scritto) rientra tra le osservazioni critiche già svolte dal collega Ayala. Nel riformulare l'articolo 159 del codice penale («Sospensione del corso della prescrizione») si dice che il corso della sospensione rimane sospeso nel caso di «sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori e per il tempo dell'impedimento».
Credo vada detto subito, da persona che qualche processo l'ha pur fatto, che trovo assolutamente ingiusto, su questo punto, l'attuale sistema, secondo il quale la sospensione del procedimento si ha quando vi sono ragioni di impedimento delle parti e del difensore.
Tuttavia sappiamo anche che il processo viene rinviato per uno o due anni per ragioni di insufficienza di organico, di carico pendente, di insufficienza sistematica. È giusto che questo gravi sull'imputato? È giusto che il cittadino paghi con la sospensione della prescrizione l'anno in cui i giudici non sono stati in grado, per ragioni oggettive, di celebrare il processo? Non credo. Il cittadino ha diritto ad un processo celere.
Sto parlando di ciò che dovrebbe accadere, come una sorta di dover essere, ma sappiamo bene che spesso avviene il contrario se c'è un interesse a rallentare ed a avvicinarsi alle prescrizioni. Ma questo fa parte della patologia. In realtà, dovremmo tutti avere interesse ad un processo rapido. Ma se è così, è giusto che le insufficienze del processo gravino sull'imputato, il quale si vede rinviato il processo perché, per esempio, il difensore è malato? Il processo viene rinviato di un anno e su di lui ricadrà un anno in più nella decorrenza della prescrizione.
Certamente non è giusto, bisognava fare qualcosa, ma ancora una volta l'intervento del legislatore, con questo disegno di legge, è pessimo, perché passiamo da un eccesso ad un altro. Si dice che è vero che non si deve far ricadere sull'imputato questo lungo tempo, ma lo si restringe per il tempo dell'impedimento. Ciò provocherà gravi conseguenze. Chi stabilisce il tempo? Chi stabilisce se l'imputato è malato? E se è convalescente e non si cura? E se la malattia si protrae? E se è una malattia per la quale bisognerà stabilire se può provocare o meno l'impedimento ad andare in udienza? Bisognerà fare una perizia ad ogni processo, ad ogni impedimento. Bisognerà stabilire quale è questo tempo. Stiamo parlando di prescrizione, non di una cosa irrilevante nel sistema penale. Vogliamo fare una perizia ogni volta?
A me sembra che la cosa più ovvia fosse intervenire in modo organico sull'istituto della prescrizione o, meglio ancora, sul sistema processuale affinché il processo si velocizzasse. È un po' come se, di fronte ad una gravissima malattia, si pensasse di utilizzare un analgesico. Un analgesico fa bene, attenua il dolore, ma non cura. La cura è nel processo. Invece qui si restringe il tempo della prescrizione, creando situazioni a dir poco esilaranti, se non preoccupanti o tragiche.
Facciamo l'ipotesi che l'imputato sia un parlamentare, certo non capita spesso, è raro; che sia particolarmente impegnato; che ogni qualvolta viene fissata l'udienza, faccia presente il suo impegno in un'Aula del Parlamento. Il processo verrà rinviato, ma non verrà fissato al giorno dopo, ma a uno, tre, cinque mesi o a un anno. Intanto la prescrizione si sospende soltanto per quel giorno. Il parlamentare imputato, certo, non si avvarrà di questo espediente, tranne in casi particolarmente eccezionali, ma facciamo il caso in cui invece questa situazione dovesse essere reiterata. Capirete che saremmo di fronte ad una sorta di impunità non prevista dalla nostra legislazione.
Non si potrebbe mai processare non soltanto quell'imputato parlamentare, ma quell'imputato che avesse anche un difensore parlamentare. Porto l'esempio del nostro Sottosegretario il quale non può più esercitare la professione forense, anche se è stato un noto penalista, perché essendo Sottosegretario vi è un'incompatibilità. Ma se così non fosse, caro collega Vitali, saremmo di fronte ad una sorta d'investitura di difensore il quale garantisce l'impunità. Infatti, chiunque di noi esercita l'attività forense sarebbe in grado di legittimare un impedimento che non consente la celebrazione del processo. Credo che questa sia una situazione paradossale, assurda, inaccettabile, ingiustificabile.
Nella mia attività professionale non ho mai esercitato questo legittimo impedimento e se c'era ho chiesto al giudice cortesemente di dilazionarmi l'udienza. Ma in teoria così è, e se passa questa legge lo è ancora di più: si matura una prescrizione, dopodiché, a seguito di un rinvio del processo, sospeso per un anno, la decorrenza dei termini di prescrizione continua e, a seguito di due o tre rinvii, il processo è prescritto.
Siamo di fronte ad un'anomalia sistematica che crea preoccupazione e sdegno. Occorrerà certamente intervenire per eliminare questa discrasia e trovare soluzioni ragionevoli. È ingiusto che per un anno decorra il termine per la prescrizione e sull'imputato ricadano le insufficienze sistematiche del processo, ma non è neanche giusto che egli si avvalga in modo scandaloso di una norma che certamente porterà all'impunità di fronte alla necessità che lo Stato invece persegua e colpisca chiunque commetta reati particolarmente gravi, sia esso parlamentare, sia esso difensore parlamentare.
A me sembra che questa legge - e ho citato soltanto due punti ma nell'intervento scritto che depositerò agli atti ho analizzato l'intero complesso delle norme - si presenta con tutte le caratteristiche peggiori del modulo di politica del diritto con cui in questa legislatura si è intervenuti. Le riassumo per concludere. Abbiamo un'eterogeneità che non è assolutamente consentita. Anche per ragioni di decoro dobbiamo fare leggi che abbiano omogeneità di temi, una loro organicità e sistematicità.
Se si interviene a macchia di leopardo il sistema crolla. Occorre intervenire in modo organico e complessivo quando è possibile, altrimenti è opportuno intervenire in un istituto in modo sistematico rispetto all'intero sistema. Non bisogna cogliere l'occasione di un evento. Ricordo quando in molte legislature passate si interveniva sui termini della libertà provvisoria a seconda degli eventi. Anche quegli interventi erano irragionevoli, ma credo che vi sia soprattutto una irragionevolezza dettata dalla specificità degli interessi che si vogliono perseguire e da una sconcertante erroneità nella formulazione della legge stessa.
Mi auguro, pertanto, che questa legge non divenga mai legge dello Stato e che il disegno di legge al nostro esame sia bocciato prima qui in Senato e poi alla Camera dei deputati. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-Un).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Zancan. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, è l'ennesima legge verrina, anche se ho un po' lo scrupolo di offendere il buon vecchio governatore corrotto, perché ormai le leggi verrine superano di gran lunga quelle che vennero emesse a favore di Verre.
Per cercare di celare la vergogna della finalità, che è la prescrizione in determinati processi, in particolare quello a carico dell'onorevole Previti, si sono adottati alcuni passaggi devastanti. Anzitutto, si è passati dal diritto penale sul fatto, al diritto penale sulla persona, al delitto d'autore che, come è noto, signor Sottosegretario, ha avuto particolare successo nella Germania nazista.
Si sono disposti forsennati inasprimenti di pena nei confronti degli ultimi o, se vuole, nei confronti della "schiuma della terra". Si sono utilizzati errori tecnico-giuridici che, correggendo i miei colleghi di opposizione, non possono essere che degni, al più, di uno studente del primo anno di università.
Signor Sottosegretario, perché non avete fatto una legge singola ad personam chiara, anziché compiere questo massacro del diritto penale in cui lei ed io da tanti anni lavoriamo?
Si è passati dallo Stato sociale allo Stato penale, dimenticando che una scelta penale minima è un a priori sine qua non per risolvere i problemi della giustizia. Avete fatto il calcolo di quanti detenuti in più ci sanno nelle carceri italiane se mai, Dio non voglia, questa legge venisse approvata? Lo ha fatto questo calcolo il Ministero, che pur conserva carceri che versano in uno stato di inciviltà? Lo conoscete il numero dei suicidi verificatisi quest'anno nelle carceri italiane? Lo sapete che superano il numero di 60?
Affronto per primo il tema obiettivo, ovverosia la prescrizione. Come già si è osservato, la prescrizione non compare nel titolo: c'è un rigurgito, un soprassalto di vergogna.
Leggo, signor Sottosegretario, un passo e, se lei mi consente, non le dico subito chi ne sia l'autore: «Ha sollevato diffuse perplessità il disegno di legge che abbrevia i termini di prescrizione, atteso che vi è il sospetto che il provvedimento abbia di mira situazioni di singole persone. Se diventasse legge la prospettata abbreviazione, aumenterebbe perciò il numero delle leggi verrine, ad personam. Un'altra ferita allo Stato di diritto». È il solito giurista comunista? È il cardinale Ruini sul «Corriere della Sera» del 18 gennaio 2005. Mi sembra che sia voce che è stata molto ascoltata in occasione del recente referendum, ma forse la ascoltate soltanto quando vi fa comodo, perché non ci può essere condanna più netta, più ferma di quella della personalizzazione della legge, della volontà di aiutare una persona specifica che travalica e fa aggio su qualsiasi volontà di ben legiferare.
Quali sono le critiche di fondo (e qui mischio il giurista all'uomo politico, all'uomo che - ripeto - ha vissuto tutta una vita nel campo dell'amministrazione della giustizia)?
La normativa accorcia i termini prescrizionali per i reati più gravi e li allunga per i reati meno gravi. Vede, signor Sottosegretario, onorevole senatore di maggioranza, il calcolo è matematico: sei è il limite massimo, il che significa che per tutti i reati che hanno pena massima inferiore a sei il termine prescrizionale è aumentato, per tutti quelli che hanno limite massimo superiore a sei il termine di prescrizione può essere diminuito.
Dunque, è certo, - lo lasci dire da un pratico, nel senso buono del termine, nel senso medioevale del termine - che saranno diminuite le prescrizioni per usura, bancarotta, sfruttamento della prostituzione, corruzione e concussione. Questo non è soltanto irrazionale, signor Sottosegretario, è immorale!
Ci sarà più tempo per fare il processo ai censurati e ci sarà meno tempo per fare il processo agli incensurati: perché questa doppia velocità, che è assolutamente irragionevole se inserita nei reati concorsuali? Siete mai andati a vedere un processo, chi scrive questa legge è mai andato a vedere un processo dove magari ci sono sei imputati e ci saranno sei termini diversi a seconda della recidiva? Vi rendete conto del guazzabuglio in cui si troverà un povero patrono di parte civile - questa parte civile che è la Cenerentola del processo - che dovrà immettersi nel tunnel del processo penale, che avrà delle scadenze differenziate? Non potrà che scappare via dal processo penale questa Cenerentola per buttarsi nei tempi eterni della giustizia civile. Riflettete su questi aspetti, o invece decidete dando veramente i numeri (perché qui date i numeri)?
Avete riflettuto su quali guasti avrà sul piano preventivo la retrodatazione del calcolo della prescrizione rispetto al reato continuato? Nei reati di criminalità organizzata, quando c'è finalmente un imputato collaborante che racconta le cose dall'inizio alla fine, per l'inizio non potrà più essere avviata l'azione penale, i primi fatti cadranno in prescrizione come birilli perché, contandoli dall'inizio e non dal fondo come si fa adesso, il termine di prescrizione li fulminerà.
Avete scritto che ci saranno calcoli diversi nei casi di cui all'articolo 99: cosa significa questo, signor Sottosegretario? Che c'è necessità di un accertamento giudiziale? Che c'è necessità di una contestazione formale della recidiva? Si rende conto in quale pasticcio mettete qualsiasi operatore di giustizia nei casi di cui all'articolo 99?
Presidenza del vice presidente SALVI(ore 12)
(Segue ZANCAN). La devastazione è totale in materia di regime dell'interruzione delle sospensioni. Perché si debbono conteggiare di più le interruzioni della prescrizione per i recidivi, considerato che la recidiva non è un atto processuale? Non ci azzeccate in nulla sul piano del diritto! Come può un fatto non processuale incidere su un fatto processuale? Perché debbono essere conteggiate egualmente l'interruzione e la sospensione, che sono due istituti di natura diversa? Voglio dirlo in quest'Aula, che si sappia almeno la vergogna di incultura che questa legge appalesa.
L'interruzione manifesta il perdurante interesse dello Stato all'esercizio dell'azione penale, la sospensione è invece una forzata inattività giudiziaria per attendere provvedimenti di altra autorità o il venire meno di impedimenti delle parti o dei difensori: questo si legge in qualsiasi manuale, leggeteli per piacere prima di scrivere leggi inculturali!
Lasciamo stare che la sospensione ha solo riguardo al tempo dell'impedimento; i colleghi hanno già ironizzato su questo tribunale che sarà costretto a dire che la convalescenza è finita oppure che l'ammalato si è curato a sufficienza. Il presidente andrà a casa dell'ammalato per chiedergli se ha preso le medicine perché, se vi fosse una volontaria prosecuzione della malattia, il tribunale dovrebbe intervenire. Ci sarà un perito per ogni caseggiato per verificare tutto ciò? Ma lo sapete a quale assurdità conducete l'amministrazione della giustizia?
L'imputato parlamentare che nomina un difensore parlamentare è salvo; l'imputato parlamentare ammalato che nomina un difensore parlamentare ammalato è salvissimo. Mettendo insieme questi due dati, ammalato e parlamentare, si otterrà un'equazione: il processo non si farà mai. Una vergogna istituzionale, signor Sottosegretario. Ci sarà una corsa forsennata agli impedimenti dilatori, la fantasia italica si sbizzarrirà.
L'estensione dell'interruzione e della sospensione, l'articolo 161 del codice penale, vi interessa mica tanto; ma debbo richiamarvi all'assurdità per cui la sospensione per un imputato ammalato estende i suoi effetti ad altro imputato sanissimo. Guai a non fare un processo con concorrente ammalato; anzi l'ideale è avere almeno un difensore parlamentare ammalato: questo è il miraggio di qualsiasi imputato.
All'articolo 10 la vostra freudiana dimenticanza della parola "anche" - e gli emendamenti di Alleanza Nazionale e di Forza Italia corrono al riparo in termine assolutamente tardivo - dimostra che la vostra attenzione è diretta esclusivamente al passato e non al futuro.
Ma siete sicuri che quell'articolo 10 possa essere applicato nei vostri termini, ovverosia con efficacia retroattiva, il che significa una prescrizione applicata a reati gravissimi e quindi un'amnistia? Ha controllato il Ministero quali procedimenti per usura, bancarotta, corruzione, sfruttamento della prostituzione, concussione saranno fulminati da questa legge? Vi sembra giusto tutto ciò? O forse l'applicazione retroattiva - attenzione, la magistratura lo rileverà sicuramente - non può valere per quella sospensione e interruzione perché si è già esaurita in ragione del principio tempus regit actum, e la sospensione e interruzione conteggiate in precedenza non possono avere quindi un calcolo nuovo?
Forse il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Anche questa volta vediamo le altre norme, che non sono di pari gravità dell'articolo 6, obiettivo finale della legge. Dall'articolo 1 al 5 disciplinate le circostanze, la recidiva; disponete inasprimenti di sanzioni.
L'articolo 1, lo sappiamo, dispone l'attenuante automatica ex lege per gli ultrasettantenni incensurati. Signor Sottosegretario, l'incensuratezza non è un merito: non vado di certo in giro a dire che sono meritevole perché sono incensurato! È la censuratezza ad essere un demerito. Lo vogliamo capire che l'onestà dei cittadini è a priori e che soltanto la censuratezza può essere sanzionata, sebbene non premiata?
Questa è una norma criminogena perché sfrutterà gli anziani come teste di legno per reati societari, fallimenti e quant'altro. Almeno, per evitare quegli effetti criminogeni, avreste dovuto inserire, esattamente come si è determinato per i minori, una circostanza aggravante per coloro che portano gli anziani a commettere dei reati.
L'articolo 2, per i reati più gravi e per i recidivi elimina la possibilità di tener conto di tutti i comportamenti successivi al reato. Ma non è interesse dello Stato invogliare i comportamenti successivi? Al di là del risarcimento del danno, è giusto che si tenga conto se uno può emendarsi anche parzialmente. Non è giusto che si diano indicazioni successivamente. Non volete tener conto di tutto questo: è un'altra norma criminogena, signor Sottosegretario!
L'articolo 3 prevede per i recidivi l'impossibilità del bilanciamento: ho già visto questa norma, era in vigore negli anni Sessanta. Non inventate niente; ogni tanto fate dei ritorni al passato. Ne consegue, ad esempio, che due ragazzi, di cui uno con un precedente, l'altro incensurato, per il furto di un'auto saranno puniti diversamente: uno si prenderà due anni; l'altro minimo due anni e due mesi! Vi sembra giustizia?
L'articolo 4 prevede un dissennato aumento di pena per la recidiva. E' un fatto gravissimo. Voglio fare una denuncia squisitamente giuridico-politica: non applicate la recidiva per i reati colposi (vedi gli incidenti stradali, gli infortuni sul lavoro, la colpa professionale), per le contravvenzioni (ambientali, antinfortunistiche) per i cui casi è esclusa.
Non mi dilungherò sull'articolo 5, passando a trattare degli articolo 7, 8, 9 dove applicate un giro di vite assolutamente inaccettabile in materia di esecuzione della pena. Lo Stato - inadempiente sulle carceri che conserva incivili, che non ha ascoltato le accorate parole di papa Wojtyla sulla situazione dei detenuti - gira la vite.
Concludo dicendovi che, come si dice che del maiale si salva tutto, di questa legge non si salva niente! (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Passigli. Ne ha facoltà.
*PASSIGLI (DS-U). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, onorevoli colleghi, il senatore Calvi nel suo intervento ringraziava il rappresentante del Governo e i due senatori della maggioranza presenti in quel momento in Aula per l'attenzione che portavano alle sue parole. Io devo a mia volta ringraziare il Sottosegretario ed il solitario, e per questo ancor più prezioso, rappresentante della maggioranza per la loro attenzione.
Ma, nel mio ottimismo, voglio sperare che l'assenza così evidente e così marcata della maggioranza in questo dibattito significhi una presa di distanza di componenti numerose della maggioranza stessa da questo progetto di legge che porta il nome del suo sfortunato presentatore, l'onorevole Cirielli. Sfortunato perché mai credo si sia assistito ad una eterogenesi dei fini più clamorosa in un iter legislativo.
L'onorevole Cirielli ha dichiarato che le sue intenzioni erano quelle di introdurre norme che inasprissero le pene per i recidivi; quanto rischia di ottenere, se questa sciagurata legge andrà in porto, sarà di vanificare un numero molto elevato di procedimenti per intervenuta prescrizione.
In proposito mi sembra assolutamente vago argomentare, come qualcuno ha fatto nella maggioranza, che questo progetto mantiene una sua coerenza interna, maggiori pene per i recidivi e processi più veloci. No, non vi saranno processi più veloci, vi saranno meno processi per intervenuta prescrizione, vi sarà una vanificazione dei processi, ma per raggiungere la prescrizione si useranno tutte le possibili astuzie procedurali. Una prescrizione lunga scoraggia, almeno in una fase iniziale dei procedimenti, l'utilizzo delle rules, delle astuzie procedurali; non così se la prescrizione è a portata di mano.
Ne uscirà quindi ingigantito, se il provvedimento verrà approvato, uno dei principali difetti che caratterizza lo stesso esercizio dell'avvocatura penalista nel nostro Paese. Io vedo molti penalisti (non è certo il caso dei migliori fra di loro, che seggono in quest'Aula, che seggono ai banchi del Governo) specialisti in procedura combattere le loro battaglie giudiziarie più sul terreno della procedura che su quello della sostanza, difendersi insomma, per usare un'espressione ormai di uso comune, dal processo piuttosto che nel processo.
Se questi sono i difetti di impostazione di questo disegno di legge, e senza entrare negli specifici difetti che sono stati così bene tecnicamente illustrati, valutati e demoliti - direi - dagli interventi dei colleghi Ayala, Calvi, Battisti e Zancan, senza ripetere quanto già è stato detto, credo che a me, che non sono un tecnico del diritto penale, né della procedura penale, spetti invece di domandarsi perché in questa fase di fine legislatura, con un calendario molto pieno di provvedimenti importanti, in una situazione di grave crisi del Paese, si voglia varare questa legge.
È una legge che di nuovo la vox populi ha chiamato salva-Previti, e credo che la vox populi in questo caso sia nel vero, che ci sia una grande verità nell'indicare che questa è una legge che nasce da esigenze particolari, non da esigenze generali, o che per lo meno è stata piegata a queste esigenze particolari che sono quelle che ne impongono l'iter e che temo - come diceva il senatore Battisti - ne imporranno l'approvazione, anche se qualche resipiscenza nella maggioranza mi sembra vi sia, e su quella credo che tutti gli uomini di buona volontà e tutti gli onesti debbano contare.
Questa legge però ha una portata più generale, a mio avviso: connota, se vogliamo, in maniera esemplare tutta l'attività del Governo di centro-destra in questa legislatura. Vi è una morale politica da trarre dalla presentazione di una legge di questo genere in questo momento, motivata da quelle esigenze particolari che ricordavo.
In una prima fase, per i primi due anni e mezzo della sua attività, il Governo Berlusconi si è caratterizzato per una serie di provvedimenti legislativi intesi largamente a sistemare gli interessi giudiziari ed economici dello stesso Premier, a tutelare i suoi interessi e quelli di un gruppo ristretto a egli vicino.
Vogliamo semplicemente richiamare alcune leggi: quella sulle rogatorie; la legge Cirami, posta poi largamente nel vuoto dalla Consulta; la legge sul falso in bilancio, per rimanere nell'ambito giudiziario; venendo a quelle che hanno anche una valenza economica, alcune leggi fiscali o alcuni articoli delle leggi fiscali promosse dal ministro Tremonti, che hanno consentito, ad esempio, la rivalutazione delle basi imponibili delle partecipazioni possedute da imprese e hanno quindi permesso, ad esempio, la vendita di un pacchetto del 17 per cento di Mediaset da parte di Fininvest senza apprezzabile tassazione; ricordo che il primo ed emblematico provvedimento fu l'abolizione della tassa sulle successioni; la tassa sulle successioni fu una conquista dei Governi liberali, la parità della condizioni di partenza era il principio cui si ispirava tale tassazione, che è stata largamente abolita, in quasi tutti i Paesi, ma non per le grandi fortune.
Dunque, i primi due anni e mezzo sono stati caratterizzati da questi provvedimenti e, soprattutto, da quel rimpatrio dei capitali scudato che sicuramente ha permesso anche a molti capitali di origine incerta, se non criminosa, di rientrare nel Paese senza apprezzabili benefici per la nostra economia, ma sicuramente con l'apprezzabile beneficio, per i possessori di quei capitali, di vedere lavata l'origine dei capitali stessi; e non è tanto l'aspetto fiscale che interessa, quanto l'aspetto di possibile riciclaggio legittimato dalla legge di fortune che avevano origini incerte, ripeto, quando non criminose.
Chiusa questa fase, a metà legislatura il Governo ha tentato di governare: lo ha fatto con una riforma fiscale senza riuscirvi, malgrado una serie di disastrosi ricorsi a finanza straordinaria, innovativa, ma sicuramente con esiti sul gettito futuro negativi; lo ha fatto con la riforma Moratti, che abbiamo criticato e non ritorno qui a criticare.
Dopo questa fase, caratterizzata appunto da tentativi di riforma largamente abortiti almeno nel raggiungimento dei fini che si ripromettevano, in questa fine di legislatura si torna sui passi iniziali, si torna ai provvedimenti ad personam, si ritorna alle leggine con fotografia, che però, al contrario delle vere leggine, che avevano una portata limitata, scardinano princìpi fondamentali dell'ordinamento.
E come avviene per tutti gli eserciti in ritirata - in Italia le grandi stragi di civili furono compiute durante la guerra nelle ultimissime settimane - si fanno le vendette (penso all'ordinamento giudiziario) e si raccolgono i propri feriti e caduti per porli in salvo (penso a questo provvedimento e all'avvocato Previti).
Si fanno, poi, un po' di contratti più o meno in odore di conflitto di interessi, e se andassimo a vedere l'operato dei ministri Lunardi e Stanca - tanto per fare due nomi - credo che troveremmo, anche lì, alcune cose in questa fine legislatura che ci potrebbero lasciare molto perplessi. Quindi, tornando un esercito che si ritira in disordine o che teme di doversi ritirare in disordine, si chiude un ciclo con dei provvedimenti che tendono a salvare alcune persone.
Un ciclo inglorioso, che rischia di far apparire evidente che questo è forse il peggiore Governo della Repubblica, sicuramente uno dei peggiori del dopoguerra. Un solo dato, a suffragare quella che può sembrare un'analisi troppo dura o di routine per un membro dell'opposizione: nei cinque anni di Governo del centro-sinistra il debito pubblico come percentuale del PIL si è ridotto dal 125 al 108 per cento (17 punti). Il centro-destra lo ha ereditato a 108 e lo renderà, secondo tutte le previsioni degli economisti, a 109. Si è interrotto un ciclo. L'avanzo primario, che era di cinque punti, si è annullato, la spesa pubblica corrente è salita di un punto.
In questo quadro drammatico di caduta delle esportazioni e della nostra competitività, questo Governo occupa non i parlamentari - che sono assenti - ma il tempo di questo Parlamento in fine legislatura con provvedimenti ad personam, di scarsissimo significato generale, se non quello di scassare l'ordinamento, con tutte le conseguenze che gli interventi precedenti dei senatori Ayala, Calvi, Battisti, Zancan, eccetera, hanno ricordato.
È una colpa grave attentare alla stabilità degli ordinamenti (l'ordinamento costituzionale con una riforma che ha spaccato il Paese e che lo spaccherà ancor più in sede di referendum) e al funzionamento di un ordinamento giudiziario che può sicuramente abbisognare di interventi, ma certamente non del conflitto in atto tra Ministero della giustizia e magistratura, che ha tutte le caratteristiche, come dicevo prima, di essere espressione di uno spirito di vendetta.
In tutto questo, non mi sembra si faccia alcunché per l'economia, con il disastroso spettacolo di un Vice presidente del Consiglio, ex Ministro dell'economia, che critica apertamente l'attuale titolare del Dicastero dicendo che lui non si interessa di psicanalisi e che quindi non guarda nemmeno ai numeri e alle linee di un DPEF peraltro ancora tutto da presentare, malgrado siano abbondantemente scaduti i termini.
È questo il quadro in cui si inserisce il disegno di legge in esame, con tutte le contraddizioni e debolezze che sono state ampiamente illustrate dai colleghi di opposizione, e in questo quadro - per il momento - non ci viene detto dalla maggioranza quali sono le sue intenzioni.
Abbiamo preso nota con piacere di alcuni emendamenti che limitano il danno, ma ci chiediamo se non sia il caso che questo provvedimento venga ritirato o affossato definitivamente da parte della maggioranza, proprio per far sì che in fine legislatura (in fine velocior, velocior nel peggio) non si compia questo ennesimo misfatto e non si ritorni ai tempi tristi dei primi provvedimenti ad personam in materia di giustizia e di economia che hanno caratterizzato l'avvio di questa legislatura.
Siamo in una fase in cui, tra maggioranza e opposizione, si dovrebbe discutere di quali provvedimenti, in materia di politica economica, possano rilanciare questo Paese. Non ci possiamo permettere il lusso di uno scontro protratto tra maggioranza e opposizione, che continuerà, se queste sono le premesse, anche nella prossima legislatura, perché se passeranno provvedimenti come questi non potremo, se, come credo, saremo vittoriosi, che rivederli e cancellarli. Ripeto, non possiamo continuare in questo scontro. Il Paese ha bisogno di aree di politica consensuale.
Il bipolarismo reale è quel sistema che conosce ampie aeree di politica bipartisan. Noi abbiamo invece assistito ad una concezione di bipolarismo portata avanti da questa maggioranza, che echeggia troppo quel "non faremo prigionieri" di Cesare Previti del I Governo Berlusconi, quel Cesare Previti che aleggia su tanti dei provvedimenti di questo Governo.
Quindi, un invito calmo, pacato, ma fermo alla maggioranza a portare avanti i suoi emendamenti, a rivedere ancor più profondamente questo provvedimento e, in realtà, a considerare l'opportunità di ritirarlo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malabarba. Ne ha facoltà.
MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, è ormai dall'inizio della legislatura che questa maggioranza dispensa proclami sulla necessità di riformare completamente il nostro codice penale e certo questa proposta non trova ostracismo alcuno da parte nostra né da parte degli operatori della giustizia. E' verissimo, la giustizia penale italiana va rivista, così come va rivisto lo stesso codice penale, che risale al 1930.
Ma il tutto va ridiscusso alla luce dei princìpi sanciti nella nostra Costituzione che, per quanto poco possa piacere ad alcuni esponenti del Governo, ha il pregio di risultare estremamente chiara su alcune questioni cruciali. Ma questo aspetto, quello della costituzionalità delle leggi, sembra non interessare troppo alla maggioranza. Così, sebbene in questi anni non si sia vista alcuna proposta di riforma organica, quello a cui abbiamo assistito è la proliferazione, con o senza scandalo, di leggi parziali, spesso ad personam, troppo in aperto contrasto con la nostra Carta costituzionale.
E' vero, il codice penale va riformato, ma va riformato non per perseguire le esigenze di qualche noto personaggio, bensì perché cambiano le condizioni in cui i reati vengono commessi, cambia la tipologia di popolazione carceraria e, soprattutto, si inaspriscono sempre più le condizioni di vita nelle carceri italiane. Il nostro sistema carcerario è destinato ad implodere e le uniche proposte che finora siete stati in grado di presentare miravano a salvare la faccia di qualche amico di amici.
Con questa proposta bisogna ammettere che cambiate il passo. Bisogna darvi atto che, sebbene anche tra le righe di questo disegno di legge sia presente la solita norma salva-qualcuno, stavolta non ci troviamo di fronte ad una Cirami. Questa non è una proposta che, sfruttando codici e codicilli, cerca di minare le procedure dei processi. Per quanto scandaloso sia il tentativo di salvare l'onorevole Previti, è altro lo sdegno che dovrebbe muovere la discussione in Aula oggi.
Lo sdegno per le norme liberticide che siete riusciti ad infilare in questa proposta, in palese contrasto con l'articolo 27 della Costituzione, il cui comma 3 stabilisce che: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.". Certo, non sono pochi quelli che, fra i banchi della maggioranza, sembrano gradire poco la funzione riabilitatrice che lo Stato italiano ha inteso dare agli istituti di pena, ma tant'è, questo diritto è sancito dalla Carta costituzionale e ad esso dovrebbero tendere le leggi approvate in quest'Aula.
Ci rendiamo conto che la Costituzione italiana rischia di essere di una chiarezza disarmante per i membri di questo Governo, che in alcuni casi sia difficile aggirarla, nonostante schiere di azzeccagarbugli, e che siate costretti a porvici in netto contrasto. È questo il caso del disegno di legge n. 3247, che, sulla scia del modello americano della Three Strikes Law, prevede un aumento delle pene per piccoli e grandi criminali, lo stravolgimento dell'istituto della recidiva e, più in generale, l'inasprimento del regime penitenziario in termini di concessione delle misure alternative e dei benefici.
Le ripercussioni di questa legge sul nostro sistema penitenziario saranno enormi: come ci comunica l'allarme dell'associazione «Antigone» che si occupa di diritti e garanzie del sistema penale, il vostro disegno di legge potrebbe portare ad un aumento della popolazione carceraria di circa 20.000 persone. E questo in un contesto già di per sé drammatico, ove a fronte di una capienza di poco più di 41.000 detenuti, le carceri italiane ne ospitano 56.000, di cui 16.000 condannati a meno di 5 anni di carcere.
Non ci sono dati statistici sulla recidiva, ma chiunque conosca minimamente il mondo penale e quello penitenziario sa benissimo che una grandissima parte della popolazione reclusa è in galera non per un solo fatto, bensì per un cumulo di piccoli reati, spesso dettati da condizioni di disagio sociale al limite della sopportabilità. Ma questo a voi poco importa e siete sempre pronti a legiferare per acuire la marginalizzazione di chi in questa società è già svantaggiato.
Lo scippatore, il borseggiatore, il ladro, il piccolo spacciatore, il truffatore, in particolare se stranieri, saranno loro a cadere sotto la mannaia dell'aumento di pena più congruo. Così potrà accadere che un giovane tossicodipendente condannato la prima volta per rapina e ricondannato una seconda per lo stesso reato, al posto dei previsti otto anni di carcere ne sconterà sino a dodici. Lo stesso rapinatore, mentre prima avrebbe potuto andare in permesso premio dopo due anni e mezzo, ora invece ci potrà andare solo dopo tre anni e tre mesi; non potrà più chiedere la detenzione domiciliare prevista all'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario; gli sarà consentito l'accesso alla semilibertà dopo sette anni anziché cinque; ma soprattutto mai potrà fruire di una misura alternativa (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro all'esterno) più di una volta.
Eppure, non contenti di quanto scritto in questo pessimo disegno di legge, numerosi esponenti della maggioranza hanno presentato emendamenti in cui si prevedono norme ancora più aspre. Per meglio applicare il vostro disegno giustizialista chiedete addirittura di rendere obbligatorio l'aumento della pena per i recidivi, in modo da non lasciare al giudice lo spazio per una valutazione discrezionale, che non è arbitraria ma si fonda sugli elementi complessivi posti alla sua attenzione.
Nelle vostre mani le carceri italiane rischiano di diventare delle gabbie in cui rinchiudere chi in questa società non riesce a trovare posto, chi rappresenta un fastidio perché portatore di un disagio. Ma la strada che avete intrapreso, lungi dall'essere in grado di garantire sicurezza alla popolazione italiana, non farà altro che arrecare sempre più disagi ad un sistema già allo sfascio, generando sempre più marginalità e acuendo il problema invece di risolverlo.
Il clima di sapore emergenziale che si respira in questi giorni, dopo gli attentati di Londra, e che spinge settori del Governo verso tentazioni di ordine securitario e di limitazione delle libertà democratiche, è sicuramente quello meno adatto per affrontare serenamente i problemi della giustizia. Mi auguro quindi, anche per questo motivo, un ripensamento da parte della maggioranza: siete ancora in tempo a ritirare questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Donadi. Ne ha facoltà.
DONADI (Misto-IdV). Signor Presidente, alcuni interventi di chi mi ha preceduto questa mattina dai banchi dell'opposizione hanno illustrato con perizia tecnica e nitidezza di ragionamento tutto il male che il centro-sinistra pensa di questo disegno di legge in un modo che non saprei esprimere con pari pertinenza.
Voglio incentrare questo breve intervento su un aspetto che credo sia ugualmente significativo, al di là del contenuto e delle storture tecniche che questa legge porta in sé.
Questo disegno di legge arriva in Parlamento essendosi già guadagnato il poco onorevole appellativo di "legge salva-Previti", e credo che sia un appellativo pienamente meritato per quel che è l'intero capo di questa legge che riguarda le norme sulla prescrizione.
Ce lo fa pensare il fatto che il provvedimento in esame sia stato precipitosamente scippato dalle mani della Commissione giustizia per essere portato qui, alla discussione generale dell'Assemblea, con una strana quanto puntuale coincidenza con le note vicende giudiziarie dell'onorevole Previti.
Ce lo fa pensare il fatto che tutto questo avvenga subito dopo che la maggioranza, lacerata da quella che sembra ormai essere una capacità normativa basata più sul reciproco ricatto o sulle reciproche concessioni - chiamiamole come vogliamo - ha fatto sì che la discussione potesse iniziare soltanto dopo che era stata approvata la legge sull'ordinamento giudiziario.
Credo sia il caso di riflettere su un punto, vale a dire sull'effetto sociale della ricaduta di questa legge su tutti i cittadini, nel momento in cui ancora una volta la dignità di questo Parlamento viene piegata all'interesse di sottrarre una o poche persone, sempre le stesse, all'esito del loro processo. Per fare ciò, questa volta, l'attuale maggioranza e l'attuale Governo, di fatto, realizzano un colpo di spugna generalizzato, una sorta di amnistia strisciante, verso reati quali l'usura, la corruzione, la bancarotta e la concussione.
Questo significa che la stragrande maggioranza dei procedimenti giudiziari attualmente pendenti e tesi a perseguire questi - mi sento veramente di dirlo - odiosi reati si concluderà con l'estinzione. Infatti, come sanno perfettamente i colleghi della maggioranza, il giorno dopo che questa legge sarà pubblicata saranno estinti non solo i processi a carico dell'onorevole Previti, ma anche gran parte dei reati che ho indicato.
Voglio allora considerare solo uno di tali reati, l'usura, uno dei reati più devastanti nel tessuto sociale ed economico del nostro Paese; un reato che spinge le famiglie alla disperazione, che spesso porta chi ne è vittima al suicidio, che toglie a migliaia di famiglie italiane la speranza di poter tornare in futuro ad avere una vita serena e normale.
Ebbene, anch'io mi associo agli auspici di chi, fino all'ultimo, spera che, in un sussulto di pudore di questa maggioranza (anche se debbo dire che di simili sussulti, questa maggioranza ne ha avuti ben pochi, nel corso di quattro anni di legislatura) questo disegno di legge venga ritirato. Ma se così non sarà, se oggi approveremo questo provvedimento, come potremo spiegare a queste famiglie, che attraverso sofferenze indicibili e anche rischi personali, per la propria integrità fisica, arrivano a denunciare quei soggetti, spesso appartenenti alla criminalità organizzata e alla malavita, responsabili del reato di usura, a queste persone che hanno trovato la forza e il coraggio di ribellarsi, che vedranno, uno dopo l'altro, i loro aguzzini tornare liberi perché i processi si sono nel frattempo estinti?
Credo che queste siano le spiegazioni che questa Assemblea dovrà dare al Paese, al di là dei tecnicismi giuridici. Un Paese che oggi, più che mai, avverte forte e chiaro il bisogno che dallo Stato e anche dal Parlamento, che delle leggi ha la responsabilità, venga un messaggio inequivocabile nei confronti della criminalità e di un ordine pubblico sempre più violato e leso. E qual è la risposta dello Stato? Quella di abbassare ancor di più la guardia, di lasciare ancora più indifesi proprio verso i reati più gravi. La risposta dello Stato è quella che in futuro, in questo Paese, pagheranno soltanto i poveri cristi.
I reati socialmente più pericolosi, quelli che creano più sconquasso nella società, nell'economia, nell'equilibrio delle famiglie, i reati dei colletti bianchi sono e saranno impuniti.
Allora, permettetemi di dire che quella parte del disegno di legge che prevede un inasprimento delle sanzioni nei casi di recidiva finisce per assumere, relativamente a questi reati, un carattere quasi grottesco.
È vero, continuo a far riferimento al reato di usura, che è notoriamente non un reato casuale, ma di fatto una professione, un esercizio continuativo di questa attività da parte della criminalità organizzata, quindi si presta a forme di recidiva. Mi chiedo, però, come faremo ad arrivare alla recidiva, quando mai ci saranno degli strozzini recidivi, se non sarà mai più possibile condannarne uno in primo grado.
Questo è il primo inganno che abbiamo l'obbligo di spiegare al Paese: quello di un Governo e di una maggioranza che in questi anni della parola «sicurezza» si sono riempiti la bocca, ma l'unica sicurezza che hanno saputo garantire, o almeno hanno tentato pervicacemente per quattro anni di garantire, è quella di pochi potenti. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione tutti gli interventi che, al netto delle strumentalizzazioni e della polemica politica, hanno posto alcuni problemi tecnici.
I problemi politici, per quel che ci riguarda, li rimandiamo al mittente, perché fanno parte della polemica quotidiana che esiste all'interno del Parlamento. Sui problemi tecnici, rassicuro i colleghi intervenuti di aver esaminato gli emendamenti, che sono stati presentati in un numero che si avvicina a 500, all'interno dei quali ci sono le soluzioni ad alcune delle problematiche tecniche che sono state poste.
Per il resto, faccio presente che non si tratta di un disegno di legge governativo, ma di una iniziativa parlamentare, che vede il Governo assolutamente neutro sulla proposta in sé e per sé e che valutiamo nella giustezza della filosofia che prevede l'irrigidimento del sistema nei confronti dei recidivi e una maggiore elasticità e permeabilità nei confronti degli incensurati.
Questo è quanto ritenevo di dover rispondere, signor Presidente, agli interventi che abbiamo ascoltato questa mattina.
PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
Allegato A
DISEGNI DI LEGGE DISCUSSI AI SENSI DELL'ARTICOLO 44, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO
Nuova disciplina della prescrizione del reato (260)
Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata" del processo (2699)
Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (2784)
(*) Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (3247)
________________
(*) Testo preso a base dall'Assemblea
ORDINI DEL GIORNO
G1
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
il nuovo testo recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi ed i termini di prescrizione del reato, per quanto emerso sin qui dai lavori parlamentari, trova la sua ispirazione di fondo nella condivisibile esigenza di fronteggiare adeguatamente ed efficacemente il pericoloso incremento delle attività criminali su tutto il territorio nazionale, minando alla radice le esigenze di sicurezza della convivenza sociale;
le misure previste comporteranno inevitabilmente un aggravamento delle sanzioni penali la cui applicazione risulterà concretamente disancorata da una esaustiva e generalizzata valutazione da parte del giudice, così correndo il rischio di non consentire pienamente al giudice la possibilità di valutare tutti gli elementi necessari per la determinazione in concreto della pena da infliggere, con più che evidenti profili di incostituzionalità;
il prefigurato aumento delle pene, anche a seguito del più che prevedibile depotenziamento delle misure deflattive e della riduzione delle potenzialità proprie della così detta legge Gozzini, avrà come inevitabile conseguenza quella di un sensibile incremento della popolazione carceraria, che laddove non supportata dall’adozione di adeguate misure atte a fronteggiare il prevedibile affollamento degli istituti penitenziari, produrrà una inaccettabile lesione del fondamentale principio della funzione rieducativa della pena,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il possibile aumento della popolazione carceraria anche attraverso il potenziamento degli organici del personale di custodia e di supporto allo scopo di assicurare dignitose condizioni di reclusione in coerenza con il principio della funzione rieducativa della pena, avendo particolare riguardo a quelle realtà territoriali dove si registrano più alti livelli di criminalità.
G2
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
l’approvazione senza modifiche del disegno di legge recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi ed i termini di prescrizione del reato comporterà un probabile aggravamento delle sanzioni penali, la cui applicazione risulterà concretamente disancorata da una esaustiva e generalizzata valutazione da parte del giudice, così correndo il rischio di non consentire pienamente allo stesso la possibilità di valutare tutti gli elementi necessari per la determinazione in concreto della pena da infliggere, con più che evidenti profili di incostituzionalità;
che il prefigurato aumento delle pene, anche a seguito del più che prevedibile depotenziamento delle misure deflattive e della riduzione delle potenzialità proprie della così detta legge Gozzini, avrà come inevitabile conseguenza quella di un sensibile incremento della popolazione carceraria, che laddove non supportata dall’adozione di adeguate misure atte a fronteggiare il prevedibile affollamento degli istituti penitenziari, produrrà una inaccettabile lesione del fondamentale principio della funzione rieducativa della pena,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il possibile aumento della popolazione carceraria attraverso l’individuazione delle risorse finanziarie finalizzate al conseguente potenziamento e miglioramento delle strutture carcerarie allo scopo di assicurare dignitose condizioni di reclusione in coerenza con il principio della funzione rieducativa della pena.
G3
MARITATI, CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI
Il Senato,
considerato che:
l’Assemblea è impegnata nell’esame del disegno di legge n. 3247 recante «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi» con il quale, tra gli altri interventi, si reca un consistente inasprimento degli aumenti di pena previsti dal codice penale in caso di recidiva;
che attualmente la disciplina dettata dall’articolo 99 del codice penale è, di fatto, resa meno efficace dal ritardo con il quale gli uffici provvedono all’aggiornamento del casellario giudiziale, nel quale molto spesso sono assenti notizie relative a condanne definitive già inflitte o a carichi pendenti;
che l’inadeguatezza delle risorse stanziate per l’amministrazione della giustizia – che colpisce inevitabilmente anche gli uffici preposti a tale indispensabile compito – oltre a vanificare le attuali previsioni di legge, rischia di vanificare anche l’approvazione delle modifiche alla disciplina della recidiva contenute nel disegno di legge all’esame dell’Assemblea,
impegna il Governo
a stanziare le necessarie risorse economiche e strumentali e a predisporre le opportune modifiche al testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti al fine di rendere tempestivo l’aggiornamento delle iscrizioni nel casellario giudiziale.
G4
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
l’efficacia dell’inasprimento delle norme connesse al fenomeno della recidiva è strettamente collegato alla conoscenza e conoscibilità della «storia giudiziaria personale» di ogni cittadino;
che risulta al contrario che per problemi legati a carenza di personale e di risorse finanziarie l’aggiornamento dei dati viene effettuato con un ritardo di circa cinque anni,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici del personale amministrativo della giustizia.
G5
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
dopo oltre 40 anni solo grazie ad una difficoltosa e meritoria azione istruttoria delle procure militari – in particolare di quella di La Spezia – è stata svelata l’esistenza di fascicoli riguardanti i gravissimi crimini perpetrati all’indomani dell’8 settembre 1943 da appartenenti all’esercito tedesco, alle SS, alla Guardia Nazionale Repubblicana e alle «Camicie Nere». Finalmente gli eccidi di Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Civitella, San Pancrazio e Cebeno di Carpi potranno trovare la risposta che meritano da parte dello Stato e i responsabili, per lo meno coloro che ancora sono in vita, la giusta punizione. Al tempo stesso risultano attualmente in fase di indagine preliminare numerosi altri procedimenti per eccidi, omicidi, stragi e violenze inaudite compiute ai danni di appartenenti alle forze armate italiane che non aderirono a «Salò» nonché appartenenti all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, oltre che sacerdoti, donne, bambini e anziani, vittime delle «foibe».
Considerato che:
con il disegno di legge A.S. 3247 attualmente all’esame del Senato, si prevede di ridurre il termine temporale di prescrizione, attualmente fissato dall’articolo 157 del Codice Penale e che la sua approvazione, rispetto ai crimini citati, vanificherebbe ogni sforzo in corso per recare almeno a parte delle 15/20 mila vittime delle stragi nazifasciste compiute in Italia dal ’43 al ’45, quella giustizia che già fu colpevolmente impedita con l’occultamento dell’«armadio della vergogna» e di fascicoli «archiviati provvisoriamente» nel 1960 e riscoperti fortunosamente e che con ciò verrebbero mortificate e per sempre deluse le attese di verità e giustizia riaccese dopo decenni,
impegna il Governo:
a predisporre le opportune proposte emendative affinché sia evitata la prescrizione di reati gravissimi come quelli appena richiamati.
G6
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
le modifiche contenute nell’Atto Senato 3247 con specifico riferimento alla contrazione dei termini di prescrizione del reato, produrranno come inevitabile effetto quello di una sostanziale rinuncia da parte dello Stato all’esercizio della funzione punitiva, contraddicendo in tal modo le professate esigenze di garantire più efficacemente la sicurezza dei cittadini ed il contrasto alle attività criminogene;
che la condivisa esigenza di pervenire a tempestive definizioni dei procedimenti penali, in assenza della predisposizione di adeguati supporti finanziari, strumentali e di personale resterà, come fino ad oggi accaduto, lettera morta con la fin troppo prevedibile conseguenza che si produrrà uno smisurato ed inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione favorendo in tal modo il diffondersi di una cultura dell’impunità, che produrrà il pericoloso ulteriore deterioramento del principio di legalità con conseguente mortificazione del sentimento di sicurezza dei cittadini,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici della magistratura con funzioni giudicante e requirente, avendo particolare riguardo alle aree interessate dal fenomeno della criminalità organizzata riconducibile alla sacra corona unita.
G7
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
la modifica proposta con l’Atto Senato 3247 alle norme sulla prescrizione dei reati comporterà un innalzamento dei termini di prescrizione per i reati meno gravi ed una riduzione di quelli per i reati più gravi,
impegna il Governo;
ad adottare tutte le misure necessarie in termini di risorse finanziarie per garantire che la polizia giudiziaria sia posta nelle condizioni di poter assolvere alle proprie funzioni nell’ambito dell’attività di indagine con tempestività ed efficacia, al fine di arginare il rischio del prodursi della prescrizione dei reati più gravi.
G8
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Il Senato,
premesso che:
la condivisa esigenza di pervenire a tempestive definizioni dei procedimenti penali, in assenza della predisposizione di adeguati supporti finanziari, strumentali e di personale resterà, come fino ad oggi accaduto, lettera morta con la fin troppo prevedibile conseguenza che si produrrà uno smisurato ed inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, favorendo in tal modo il diffondersi di una cultura dell’impunità, che produrrà il pericoloso ulteriore deterioramento del principio di legalità con conseguente mortificazione del sentimento di sicurezza dei cittadini,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire che il personale amministrativo della giustizia sia posto nelle condizioni di poter assolvere alle proprie funzioni, anche al fine di contribuire ad arginare il rischio del prodursi della prescrizione dei reati .
Allegato B
Integrazione all'intervento del senatore Calvi nella discussione generale
del disegno di legge n. 3247 e connessi
II disegno di legge n. 3247 affronta quattro temi: le circostanze; la recidiva; la prescrizione; l'ordinamento penitenziario (quest'ultimo sotto la particolare angolatura del trattamento riservato ai recidivi).
Per quanto attiene le circostanze, non risulta chiara la ratio della diminuzione della pena per la persona ultrasettantenne prevista dall'articolo 1. L'età avanzata viene in considerazione per esigenze umanitarie, e quindi può giustificare, di regola, solo un'attenuazione del rigore nell'esecuzione della pena o delle misure cautelari, non una riduzione della pena irrogabile (cfr. articoli 275 del codice di procedura penale e 47-quater dell'ordinamento penitenziario; e, in certo modo, anche l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002).
Il fatto che la minore età venga in considerazione per una riduzione della pena non può d'altra parte essere utilizzato per analogia, poiché in quel caso si tratta di una effettiva minore capacità di intendere e di volere, conseguente all'età, il che non si verifica nell'ultrasettantenne. In ogni caso, se la ratio è di tipo umanitario, non pare giustificato escludere il recidivo, in specie se si tratta di recidiva semplice. Si ravvisa inoltre una contraddizione tra il rilievo dato all'età avanzata nel momento della commissione del fatto, e la perdita di tale rilevanza se successivamente, e cioè nel momento della sentenza, il soggetto assume la qualifica di recidivo. Qualora si replichi che la legge, in realtà, prende in considerazione il binomio costituito dall'età avanzata insieme all'incensuratezza, si deve controreplicare che allora il binomio deve sussistere in entrambi i momenti salienti, e non solo nel momento della sentenza.
Infine, considerando che l'ultrasettantenne incensurato fruisce di una diminuzione di pena, mentre il già condannato subisce un aumento della medesima, viene a mancare uno "spazio di normalità", cioè una situazione nella quale si applica puramente e semplicemente la pena edittale.
Ancora, per quanto riguarda il tema delle "circostanze", di cui all'articolo 2, comma 1, è da rilevare come nel comma 2 dell'articolo 62-bis del codice penale risulti improprio definire "circostanze" le situazioni considerate dall'articolo 133. L'articolo 133-bis definisce criteri i parametri considerati dall'articolo 133, e la locuzione deve essere mantenuta.
La ratio della disposizione, a quanto pare, è quella di limitare la concessione delle attenuanti generiche agli autori di reati gravi, che siano anche recidivi. A questa stregua non si comprende perché non si debba tenere conto, ai fini della concessione delle generiche, dell'intensità del dolo, dei precedenti e di quant'altro elencato nelle parti indicate dell'articolo 133, proprio in presenza di reati considerati di elevato allarme. La norma si presta ad essere letta nel senso che - proprio in presenza dei reati ex articolo 407 del codice di procedura penale e di recidiva qualificata - non si tiene conto della medesima, né dell'intensità del dolo, per quanto elevata. Si suggerisce quindi, quanto meno, di introdurre una precisazione del genere: "non si tiene conto, quando giocano a favore dell'imputato, (...)". Va considerato, inoltre, che il sostanziale divieto (o quanto meno la fortissima limitazione, posto che non possono essere utilizzati i normali parametri afferenti le condizioni esistenziali del reo) di concessione delle attenuanti generiche, in presenza di condanne alla pena dell'ergastolo, rischia di consolidare tale sanzione estrema, con aspetti di eccessiva rigidità, a termini dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione.
Vorrei, poi, osservare come la norma di cui all'articolo 3 sembri voler escludere la prevalenza delle attenuanti quando vi è recidiva qualificata (o le circostanze di cui agli articoli 111 e 112 del codice penale). Ciò significa che non è preclusa l'equivalenza, per cui tutti gli inasprimenti voluti dall'articolo 4 potranno comunque essere sterilizzati dal bilanciamento. Questo non è un male, specie pensando alle recidive plurime dei tossicodipendenti: ma certo diminuisce di molto l'impatto della normativa, specie per i delitti che non ricadono nel catalogo di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale, per i quali è possibile il pieno utilizzo dei parametri ex articolo 133 del codice penale, ai fini delle attenuanti generiche.
Il dire che "le disposizioni del presente articolo" (cioè tutte, non solo il secondo comma dell'articolo 69 del codice penale, che è quello della prevalenza) non si applicano ("sono escluse") quando c'è la recidiva qualificata, si presta d'altro canto ad essere letto anche nel senso che non c'è più alcuna normativa applicabile nella situazione considerata dal primo comma (prevalenza di aggravanti), o dal secondo comma (prevalenza delle attenuanti quando non si parla di recidiva) o dal terzo comma (equivalenza). In realtà, la deroga dovrebbe essere apportata al solo secondo comma, dicendo che "non è consentito il giudizio di prevalenza quando (...)".
Merita poi considerazione il caso della diminuente speciale prevista dal codice di procedura penale per effetto dell'adozione del rito abbreviato o del patteggiamento. Detta diminuente opera tecnicamente, o aritmeticamente, come una circostanza attenuante, ma in realtà non sembra che essa possa venire negata a chi ha scelto quel tipo di rito processuale, poiché, a termini dell'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale ("(...) la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo"), la pena deve essere sempre diminuita, in conseguenza del rito, dopo che il giudice ha compiuto tutte le operazioni di legge relative alle circostanze in senso proprio. Una diversa conclusione, d'altronde, produrrebbe una vera e propria fuga dai riti alternativi.
Per quanto attiene alle modifiche apportate alle disposizioni dell'articolo 99 del codice penale in tema di recidiva, vorrei svolgere una serie di considerazioni a partire dall'articolo 4, commi 1 e 2. La recidiva semplice prevede un aumento di pena facoltativo, ma rigido nella quantità ("può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena"). La recidiva qualificata prevede un aumento facoltativo, ma flessibile ("(...) fino alla metà"). Se poi si tratta di uno dei delitti di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale, l'aumento è in ogni caso obbligatorio. Il risultato empirico è che il primo aumento, quello per la recidiva semplice, non sarà quasi mai applicato (tranne che per i delitti di cui al comma 6, cioè quelli ex articolo 407 del codice di procedura penale, per i quali è obbligatorio), specie quando il reato sottoposto a giudizio è sanzionato con una pena grave, che dovrebbe essere aumentata di un terzo, e cioè in misura pesante, a fronte di una recidiva molto leggera. Il risultato sul piano sistematico è che, se il giudice decide di applicare l'aumento, egli finisce col trattare più gravemente la situazione meno grave (pena aumentata di un terzo) che non la più grave (aumento fino alla metà, e quindi, teoricamente, anche di un solo giorno). È assai dubbia la ragionevolezza della normativa sul punto.
Inoltre, ai fini della recidiva, il nuovo delitto assume rilevanza solamente quando è "non colposo". Giusto non appesantire la situazione quando il delitto su cui si scarica l'aumento per la recidiva è un delitto doloso. Ma appare inopportuno sterilizzare del tutto la recidiva fra delitti tutti colposi ed omogenei: una reiterazione di infortuni stradali o sul lavoro denota una pericolosità che, in un contesto di rigore verso la recidiva, non merita di essere del tutto ignorata.
Relativamente ai commi 3 e 4 dell'articolo 4, gli aumenti rigidi della metà e dei due terzi (commi 3 e 4) possono essere oggettivamente eccessivi, anche se temperati dal comma 5. Si pensi al curriculum dei tossicodipendenti, che spesso è ricco di episodi molteplici ma non gravi, e che produrrà condanne tombali.
Giusto che l'aumento di pena per la recidiva non possa superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti. Ma è troppo poco, poiché per quei reati (cioè quelli che producono la recidiva) si realizza un vero e proprio raddoppio di pena. Cioè, mentre il nuovo articolo 99 considera la recidiva come capace di produrre un aumento di pena al massimo di due terzi, con questo meccanismo, a rovescio, i reati commessi come primo e come secondo vedono raddoppiare la propria pena per effetto della commissione del terzo reato.
Inoltre, nel comma 5 non si dice qual è il limite all'aumento, qualora la/le condanna/e precedente sia la sola pena pecuniaria. La norma si può interpretare nel senso che l'aumento di pena sarà pari alla quantità di reclusione che si determina in forza della conversione delle pene pecuniarie anteriori: ma in tal caso si avrebbe una pena pecuniaria che si proietta in una pena detentiva, contro quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 1979. Ovvero, si può interpretare che l'aumento di pena corrisponde, appunto, alla, o alle, pene pecuniarie precedentemente irrogate: ma se il reato in questione non prevede la pena pecuniaria, è incongruo sanzionarlo con pena congiunta a causa della recidiva.
In merito all'articolo 4, comma 6, non è chiaro se l'aumento di pena, nel caso di delitti ex articolo 407 del codice di procedura penale, debba essere obbligatoriamente non inferiore ad un terzo anche se questo terzo supera il cumulo delle pene precedenti, ex comma 5. La collocazione del comma in esame dopo il predetto comma 5 sembra escludere, appunto, l'applicabilità del limite. Se così è, l'aumento rigido appare ingiustificato, poiché lo stesso reato (il primo) non solo riceve doppia pena, ma, in questo caso, la seconda può essere persino maggiore della prima. È opportuno, pertanto, o posporre il comma 5 in fine di articolo, o prevedere espressamente nel comma 6 che è fatto salvo il limite di cui al comma 5.
In ordine all'articolo 5, comma 1, l'aumento di pena quale previsto per il concorso formale di reati e per la continuazione, in presenza di recidiva qualificata, conduce a conseguenze inaccettabili. Innanzitutto, poiché la recidiva viene computata due volte. Infatti l'aumento dovuto alla continuazione è calcolato dopo che sono state compiute tutte le operazioni di quantificazione della pena a proposito del reato-base, e quindi dopo che è stata conteggiata anche la recidiva. Dopo di che, quest'ultima agisce anche sul reato-satellite, il quale subisce un altro aggravamento di pena rispetto alla sua sanzione, quale si determinerebbe "naturalmente" ai sensi del vigente articolo 81 del codice penale.
Inoltre, questa disciplina può condurre ad una sanzione, per il reato-satellite o per il reato formalmente concorrente, in concreto molto più pesante di quella che essi avrebbero prodotto da soli. L'aumento, infatti, non può essere inferiore ad un terzo della pena inflitta per il reato-base, e se questo è molto grave, l'aumento sarà a sua volta assai consistente, anche se il reato "satellite" giustificherebbe una pena molto minore (esempio: rapina aggravata e porto di coltello: sei anni per la prima, anche in forza della recidiva, e due anni di reclusione per il secondo, che in via ordinaria, ex articolo 81 del codice penale, sarebbe stato sanzionato con qualche giorno o settimana di arresto). È bensì vero che la norma fa salvi i limiti indicati dal terzo comma dell'articolo 81 del codice penale (il quale stabilisce che "La pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti"), ma ciò può non bastare. Infatti, tra gli articoli precedenti, qui viene in considerazione l'articolo 73 del codice penale, a detta del quale - in situazione in cui non operino gli istituti mitigativi di cui all'articolo 81 - "se più reati importano pene detentive della stessa specie, si applica una pena unica per un tempo uguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati". Ciò significa che se, ad esempio, un reato è sanzionato con sei anni e l'altro (alla stregua del solo cumulo materiale) con un anno, l'articolo 73 riduce bensì la pena complessiva a sette anni, anziché gli otto anni che scaturirebbero dall'aumento di un terzo. Il recidivo, in sostanza, fruisce del cosiddetto cumulo materiale, anziché del più mite cumulo giuridico. Ma, in questo modo, il recidivo viene totalmente privato dei benefici conseguenti all'applicazione della continuazione. La natura giuridica della recidiva non pare consentire questa deprivazione. Sussistono dubbi di legittimità costituzionale sotto entrambi i profili considerati.
Le considerazioni svolte valgono anche a riguardo dell'articolo 671 del codice di procedura penale.
Per quanto concerne la prescrizione, si osserva, in relazione al nuovo primo comma dell'articolo 157 del codice penale, che non si comprende la ratio della disposizione. Se con l'intervento si intende ridurre i termini di prescrizione per accelerare la conclusione dei processi, allora è assurdo che i termini vengano ridotti per i delitti più gravi, rendendo così più difficile l'azione di contrasto nei loro confronti, e vengano invece allungati per i delitti meno gravi: infatti i delitti puniti con una reclusione massima inferiore a cinque anni vedono esteso il termine attuale di cinque anni a quello di sei anni, mentre i delitti puniti con la reclusione massima di dieci anni vedono il termine ridotto da quindici a dieci anni. La disposizione appare manifestamente irragionevole. Inoltre la riduzione del termine di prescrizione per i delitti più gravi collide con il dichiarato proposito di inasprire il trattamento sanzionatorio per i recidivi. Infatti la drastica riduzione dei termini di base porterà ad un aumento notevole dei reati prescritti: e quindi molte sentenze di condanna, che avrebbero prodotto la qualità di recidivo, non saranno sentenze di condanna ma di proscioglimento, vanificando l'inasprimento voluto per la seconda, o plurima, commissione di reato (sempre che anche questa, a sua volta, non finisca pur essa in prescrizione). Il comma 5 dell'articolo 6, facendosi carico di questo probabile effetto, tenta di porvi rimedio, aumentando la quota di estensione del termine di base per effetto di interruzione o di sospensione del medesimo. Ma, da un lato, il rimedio appare assai discutibile, perché la recidiva non giustifica effetti su istituti diversi dal trattamento sanzionatorio (quantità di pena, o benefici vari). Dall'altro lato, il rimedio, ove pur fosse giustificabile, non pone riparo sufficiente: un termine prescrizionale che oggi è di dieci anni più cinque, domani sarà, anche nel caso di recidiva più negativa, di sei anni più quattro, non difficile da valicare.
Il nuovo secondo comma dell'articolo 157 del codice penale prevede che, ai fini di determinare il tempo necessario a prescrivere si tiene conto delle sole aggravanti ad effetto speciale, e non sono invece considerate le aggravanti per le quali "la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato" (nozioni che l'articolo 63, comma 3, del codice individua come distinte). Questo significa che le aggravanti che producono il passaggio dalla reclusione all'ergastolo (articoli 576 e 577 del codice penale) non vengono conteggiate. Di qui l'evenienza che delitti gravissimi, oggi non passibili di prescrizione, eventualmente scoperti dopo molto tempo ma non per questo meno gravi, diverranno soggetti a prescrizione di ventiquattro anni.
Nella nuova formulazione dell'articolo 157 manca poi ogni previsione relativamente ai delitti puniti con la sola pena pecuniaria (per i quali la norma vigente provvede assimilandoli ai delitti della fascia minore). Il risultato è che questi delitti, che sono i più lievi, diventano imprescrittibili. Si può replicare che il primo comma dell'articolo 157 del codice penale contempla una situazione residuale universale ("e comunque un tempo non inferiore a sei anni ..."): ma la struttura dell'articolo è quella di una corrispondenza fra il tempo della prescrizione e il tempo corrispondente al massimo della pena edittale: dunque la pena pecuniaria, per definizione, non vi rientra.
L'avere espressamente stabilito che la prescrizione è rinunciabile consente di affermare con maggiore fondatezza che cosa accade qualora, avendo l'imputato rinunciato alla prescrizione, il processo ne accerti la colpevolezza. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, si deve condannare, altrimenti l'economia processuale sarebbe del tutto vanificata. Dall'innovazione di cui al comma 6 discende che la prescrizione non è un istituto di natura sostanziale, bensì di natura processuale. Ciò che l'imputato fa venir meno con la rinuncia è la conclusione in rito del processo: egli fa valere, in nome del diritto di difesa, una pretesa all'accertamento, il quale ovviamente è a doppia uscita.
Al riguardo, va sottolineato che da tale premessa discendono importanti conseguenze in tema di legge penale sopravvenuta più favorevole.
La normativa vigente prevede che per il reato continuato il termine per la prescrizione decorra dal giorno in cui è cessata la continuazione. Il disegno di legge, sopprimendo questa disposizione, fa decorrere il termine da ciascuno dei reati. L'innovazione urta anch'essa contro la natura del reato continuato, che in tanto giustifica il trattamento ad esso riservato, in quanto è considerato a tutti gli effetti come un reato unitario. Il rendere prescrivibile una parte del reato continuato e non l'altra, e magari prescrivibile proprio il reato-base, tra l'altro collide con l'obiettivo perseguito dall'articolo 5.
Il nuovo primo comma dell'articolo 159 del codice penale capovolge l'elencazione del testo vigente, con il risultato di considerare autonomamente, per una seconda volta, sia l'autorizzazione a procedere (n. 1) sia la sospensione per impedimento (n. 3), che sono già tutte incluse nella disposizione generale di cui alla prima parte del comma. Nel caso di impedimento dell'imputato o del suo difensore, la sospensione del processo, e quindi del termine di prescrizione, si verifica inoltre solamente "per il tempo dell'impedimento". Questo produce difficoltà di ordine pratico spesso insuperabili (quanto è durata la malattia dell'imputato?), laddove è indispensabile conoscere con certezza il formarsi del termine di prescrizione. Esso produce altresì un'illogicità di ordine sistematico, poiché l'articolo 304 del codice di procedura penale, nel regolare la medesima situazione in tema di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, assegna rilevanza non al solo "tempo dell'impedimento", ma all'intero "tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato". Prevedere una disciplina ampia in materia di libertà personale, e rigorosissima in materia di prescrizione, appare manifestamente irragionevole.
Il comma considera quale dies a quo della sospensione della prescrizione il "momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta" di autorizzazione a procedere. Ciò può essere appropriato quando si tratta dell'autorizzazione di cui all'articolo 313 del codice penale; non quando si tratta di richiesta presentata dal giudice ex articolo 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003 n. 140, in cui la domanda non mira ad ottenere un'autorizzazione a procedere, ma in cui è comunque imposta dalla legge una sospensione del processo. Sembra opportuno disciplinare anche questa situazione.
Con l'articolo 160 del codice penale si attribuisce rilevanza ad una serie di atti processuali, il cui compimento, essendo significativo di un'attivazione dell'apparato giudiziario, giustifica il "ripartire dell'orologio". Con l'articolo 161 del codice penale si devitalizza, in pratica, la maggior parte di quegli atti. Infatti, se l'aumento è comunque ristretto ad un quarto del termine di base, ogni atto che sia compiuto dopo il primo quarto del medesimo non ha più alcuna efficacia.
È forte al riguardo il sospetto di irragionevolezza della previsione.
Sempre in relazione alle modifiche apportate all'articolo 161 del codice penale, è assurdo che la sospensione del processo, in ipotesi anche molto ampia, per causa non addebitabile in alcun modo agli attori del processo, penalizzi il processo medesimo in ogni caso. Si pensi alla sospensione dovuta alla incapacità dell'imputato (articolo 71 del codice di procedura penale), che può durare anni, e che non trova più riconoscimento, se non minimo o nullo, nella disciplina del disegno di legge.
Inoltre è preoccupante la scomparsa del vigente articolo 161, comma 2 ("Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri"). L'eliminazione di questa norma si presta a far insorgere cause di sospensione per taluno dei reati connessi, e quindi avviare più facilmente gli altri a prescrizione.
Va conclusivamente osservato che una forte riduzione dei termini di prescrizione avrà come ulteriore effetto negativo un ancora maggior rifiuto di ricorrere ai riti alternativi: nella comparazione tra una pena ridotta ma certa e un'estinzione del reato sempre più probabile, vi sarà - per lo meno per i reati il cui termine di prescrizione non è lunghissimo - una fuga ancora più pronunciata dal giudizio abbreviato e dal patteggiamento, con ulteriore affollamento dei dibattimenti ed effetto moltiplicatore in termini di lunghezza dei medesimi e di estinzione dei reati.
Particolare attenzione deve inoltre essere dedicata all'effetto dirompente che la nuova normativa avrà su un numero elevatissimo di processi in corso, i quali sono gestiti avendo come prospettiva legittima un certo termine di prescrizione, e si troveranno a dover fare i conti con un termine assai più breve, in taluni casi non osservabile in alcun modo. Occorre ricordare che, quando venne varata la riforma costituzionale dell'articolo 111 - la quale introduceva un'innovazione altrettanto dirompente sul regime di utilizzabilità delle prove - il legislatore, proprio per evitare una falcidia di processi condotti con l'osservanza delle norme allora vigenti, dettò una norma di rango costituzionale (l'articolo 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999) che rinviava ad una legge ordinaria per mitigare l'impatto della riforma sui processi in corso. Ciò significa che esiste un principio, sancito a livello costituzionale, di tutela dei processi in corso di fronte a norme fortemente innovative. Se la nuova norma sul "giusto processo", pur dettata da un principio di civiltà giuridica assai più elevato di quello in discussione, trovò una deroga temporanea per salvare i processi in corso, a maggior ragione deve essere introdotta una norma transitoria nella presente materia.
Per quanto concerne l'ordinamento penitenziario, si osserva che il riassetto della detenzione domiciliare sembra muoversi su tre linee: estensione sino alla totalità della pena per l'ultrasettantenne incensurato (salva esclusione per i reati considerati "gravi"); esclusione della misura per i reati "gravi" (disposizione già vigente) e per i recidivi ex articolo 99, comma 4; recupero della possibilità della misura anche per il recidivo ex articolo 99, comma 4, se appartiene ad una delle categorie speciali (ultra 60; infra 21; malato; genitore).
Il nuovo comma 0.1 introduce la regola che la pena della reclusione, di qualunque entità, è scontata in detenzione domiciliare se il condannato è ultrasettantenne e non recidivo. Il principio è abnorme: a) perché il reato può essere stato commesso anche molti anni prima dell'età avanzata; b) perché l'esigenza umanitaria, che pare essere l'unica ratio giustificatrice del beneficio rafforzato, trova già nella disciplina vigente una speciale considerazione; c) perché un'esigenza così forte da condurre alla non carcerazione totale, a prescindere dall'entità della pena, viene inspiegabilmente annullata da una recidiva anche modesta e insignificante (ad esempio una multa in età giovanile). A mitigare questa disciplina, il disegno di legge eccettua dal beneficio tutta una serie di delitti, considerati gravi, ma nel far ciò incorre in ripetizioni ed illogicità. I delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, ad esempio, compaiono una prima volta nel quadro del "libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale"; compaiono una seconda volta all'interno dell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e compaiono una terza volta nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario medesimo. Fra i delitti come sopra eccettuati ne compaiono alcuni (articolo 600-quater del codice penale, detenzione di materiale pedo-pornografico, punibile addirittura con la sola multa; articolo 609-quater del codice penale, specie nei casi di "minore gravità") la cui gravita non è tale da giustificare l'esclusione. Viceversa, dall'elenco sono esclusi delitti di sicura gravità, almeno quale desumibile dal livello di pena edittale: i delitti contro l'incolumità pubblica (quando non commessi per finalità di terrorismo), la concussione, il riciclaggio, la clonazione di esseri umani e altri. Infine: appare anomalo che l'ultrasessantenne, purché affetto da una qualche inabilità parziale, possa godere di tre anni di detenzione domiciliare, anche se recidivo semplice (e i tre anni potrebbero anche rappresentare l'intera pena); mentre, nella stessa condizione giuridica e per il medesimo delitto non ostativo, ciò è precluso all'ultrasettantenne, la cui condizione umana, peraltro, è considerata così rilevante da meritargli la misura per grande che sia la pena da espiare (il che va letto come se l'ultrasettantenne fosse connotato da inabilità presunta alla detenzione carceraria). La norma non è facilmente difendibile sul piano della ragionevolezza.
L'articolo 50-bis, di nuova introduzione, estende la quantità di pena espiata, necessaria per ottenere la semi-libertà, in capo ai recidivi. L'espressione usata ("ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale") è tuttavia impropria (perché ciò che si applica è l'aumento della pena, e non la recidiva) e causa di incertezze. Che cosa avviene se la recidiva è stata ritenuta, ma bilanciata da attenuanti se si tratta di recidiva semplice, ma entrambi i delitti ricadono sub articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario (il quarto comma dell'articolo 99 presuppone la commissione del terzo reato)? Questa situazione appare infatti più grave della recidiva "tripla" ma con precedenti insignificanti.
In ogni caso, appare necessaria una disposizione transitoria, che chiarisca se la nuova restrizione si applichi o meno ai condannati che, al momento di entrata in vigore della legge, avevano già maturato un'espiazione di pena in misura sufficiente ad ottenere la semi-libertà. L'articolo 10 del disegno di legge non contiene disposizioni a questo riguardo.
Il comma 7 dell'articolo 7 pone il divieto di concedere più di una volta le misure alternative al recidivo ai sensi del quarto comma dell'articolo 99. Il divieto deve ritenersi operante anche se la misura applicata si è conclusa positivamente ed anche se all'affidato in prova è stata concessa la detrazione di pena ex articolo 54, sintomo di "positivo evolversi della sua personalità"; e persino se la nuova condanna (cioè quella che attribuisce all'interessato la qualità di "autore del terzo delitto") concerne un reato commesso anteriormente alla misura alternativa già fruita, ma passato in giudicato dopo. La norma è evidentemente di dubbia ragionevolezza.
Gli istituti di cui all'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 attengono la fase dell'esecuzione, e la pena detentiva inflitta può essere (anzi, di regola, è) essa medesima frutto di cumulo di varie condanne; e per taluna di queste condanne è altamente normale che sia stata applicata la recidiva, anche quella qualificata ai sensi del quarto comma dell'articolo 99 del codice penale. La dilatazione a quattro anni, prevista dal testo vigente, è appunto dettata dall'esigenza di racchiudere (o sperare di racchiudere) in un unico trattamento terapeutico una fase della vita del tossicodipendente. Con la prima proposizione dell'articolo 94-bis si contraddice la finalità primaria della norma. La lotta contro la recidiva non può trascurare che la recidiva del tossicodipendente ha connotati del tutto particolari. Al limite, si può intervenire sul comma 5 dell'articolo 94, stabilendo che la seconda fruizione del beneficio deve concernere una quantità di iena più ridotta della prima.
L'articolo 656 del codice di procedura penale ha in effetti prodotto molte disfunzioni.
Tuttavia, il renderlo inoperante nei confronti dei recidivi, sia pure ai sensi del quarto comma dell'articolo 99 del codice penale, significa, di fatto, abrogarlo: infatti, se il soggetto deve essere incarcerato, è segno che non ha potuto fruire della condizionale, e quindi è, di regola, un recidivo plurimo.
L'articolo 10 recita: "La presente legge (...) si applica ai fatti commessi anteriormente (...) e ai procedimenti in corso (...) salvo che le disposizioni vigenti siano più favorevoli". Dunque, se contiene disposizioni più favorevoli, si applica ai reati commessi in passato; se contiene disposizioni meno favorevoli (ad esempio, la recidiva, la prescrizione per i reati lievi), si continuano ad applicare le norme vigenti. Nulla è previsto per il futuro.
Sembrerebbe ovvio rispondere che una legge, per definizione, si applica agli accadimenti posteriori alla sua entrata in vigore. Ma questa dice espressamente che "entra in vigore il (...)" e "si applica a (...)". Dunque potrebbe sostenersi che, proprio perché consapevole dell'effetto pesantissimo che una simile normativa avrebbe se operante in perpetuo, il legislatore ha ritenuto di circoscriverne l'efficacia: "si applica ai fatti passati". In tal caso, peraltro, ne uscirebbe rafforzato il suo carattere di amnistia mascherata, perché l'effetto sarebbe circoscritto ad una certa data; nonché di norma di favore, perché destinata ai processi in corso.
Sen. Calvi
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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841a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MERCOLEDI' 13 LUGLIO 2005 |
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Presidenza del presidente PERA,
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Seguito della discussione dei disegni di legge:
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (Approvato dalla Camera dei deputati)
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di «ragionevole durata» del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (ore 10,07)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 3247, già approvato dalla Camera dei deputati, 260, 2699 e 2784.
Ricordo che nella seduta antimeridiana di ieri si è svolta la discussione generale ed ha avuto luogo la replica del rappresentante del Governo.
CALVI (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALVI (DS-U). Signor Presidente, prima di passare all'esame degli ordini del giorno, vorrei rivolgerle un'istanza.
Come lei ha ricordato, ieri si è conclusa la fase della discussione generale. Sono intervenuti i senatori Fassone, Cavallaro, Ayala, Battisti, Calvi, Zancan, Passigli, Malabarba e Donadi. Come tutti possono constatare, sono intervenuti tutti i Gruppi dell'opposizione, ma nessun esponente della maggioranza ha ritenuto di dover interloquire.
Non solo, signor Presidente: come abbiamo avuto più volte occasione di stigmatizzare, abbiamo parlato alla presenza di un senatore della maggioranza, in certi momenti di due. Quindi, non soltanto non abbiamo avuto la possibilità di interloquire, ma i nostri interventi, più che quella di un dibattito, hanno avuto la natura di testimonianze.
Il Sottosegretario, nel concludere la sua brevissima replica (solo poche righe), in sostanza ha detto soltanto che negli emendamenti «ci sono» - il linguaggio è quello che è - «le soluzioni ad alcune delle problematiche tecniche». Così si è espresso; in realtà, voleva dire che gli interventi, e soprattutto gli interventi emendativi, hanno proposto soluzioni a problemi tecnico-giuridici che apparivano di evidente inapplicabilità e quindi, a questo punto, vi sono soluzioni.
Il problema che pongo all'attenzione sua e dei colleghi, che oggi vedo fortunatamente più numerosi, è il seguente. (Brusìo in Aula). Sono più numerosi, ma egualmente non attenti e forse anche un po' chiassosi.
Questo disegno di legge ha avuto un'elaborazione molto approfondita in Commissione (basta leggere i resoconti dei nostri lavori in quella sede). Improvvisamente, la discussione si è interrotta e il provvedimento è passato in Aula.
Credo che, per la natura stessa dei lavori parlamentari, le Commissioni siano i luoghi deputati a far sì che i problemi tecnici più complessi siano valutati e risolti in un confronto in cui il rapporto e l'apporto di ciascuno di noi è più incisivo e certamente più efficace, al fine di arrivare in Aula con un testo non certamente condiviso (questo è un testo che non condivideremo mai), ma almeno più dignitoso e presentabile.
Questa è la ragione, signor Presidente, per cui chiedo a lei e all'Assemblea di valutare la mia proposta di non passare all'esame degli articoli e il ritorno del testo in Commissione. È una proposta ragionevole e dettata dal buonsenso, affinché l'Aula sia più attenta ad una legge che si presenti in modo più congruo e coerente con il nostro sistema giuridico penale.
PRESIDENTE. Senatore Calvi, lei ha avanzato due richieste che non possono essere soddisfatte contemporaneamente. È ammissibile, in questa fase, la richiesta di non passare all'esame degli articoli, ma non quella di rinvio in Commissione del disegno di legge.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo argomentare ancora un attimo sulla richiesta, avanzata dal senatore Calvi, di non passare all'esame degli articoli.
Il provvedimento al nostro esame, colleghi della maggioranza, ha una intelaiatura basata su scelte in materia di politica giudiziaria assolutamente errate. Per sintetizzarle, ne indicherò essenzialmente tre.
In primo luogo, si tratta la materia della prescrizione come fosse un evento fisiologico, mentre, al di là dei dati statistici, la prescrizione deve rimanere un fatto patologico che va contrastato con ogni mezzo. Lasciamo stare a questo punto, per evitare polemiche, gli intenti salvifici nei confronti di determinati imputati eccellenti.
In secondo luogo, questo testo di legge tratta le attenuanti della sanzione in modo assolutamente rigido, così da non consentire alcun adeguato trattamento del caso concreto. Insomma, si sposta il diritto penale dal fatto all'autore, un passaggio e una direzione assolutamente pericolosissimi.
In terzo luogo, questo disegno di legge tratta la materia dell'esecuzione con un autentico giro di vite nei confronti degli ultimi, il che significa abbandonare - anzi, cancellare di fatto - l'articolo 27, secondo comma, della Costituzione, che - come tutti i colleghi sanno - prevede che la pena abbia uno scopo e una finalità rieducativi.
A fronte di queste scelte errate di politica giudiziaria, sta però ancora, e forse proprio in forza delle scelte di fondo sbagliate, una pluralità di errori tecnico-giuridici che non sta a me dimostrare, perché gli emendamenti prospettati dalla maggioranza, che - se non conto male - sono 26, incidono e cercano di superare errori tecnico-giuridici vistosi. Lasciamo stare il discorso della carenza di un «anche», lasciamo stare addirittura errori matematici nel calcolo della sanzione. Arrivo alla conclusione.
In materia tecnico-giuridica, signor Presidente, onorevoli colleghi, non è possibile improvvisare, non è possibile farsi dominare dagli intenti e non seguire, invece, le norme di buona tecnica legislativa. Quando si abbandona la sede della Commissione, per evenienze che non voglio in questo momento sindacare, è inevitabile che si verifichino errori tecnico-giuridici, perché il lavoro di Commissione è quello che consente la limatura, la previsione delle norme in modo da evitare chiare discrasie in termini tecnico-giuridici.
È per tale ragione, perché non può essere discusso in questo momento un testo di legge che gronda, che è permeato da errori, che darebbe luogo a paralisi, ad una estrema difficoltà interpretativa, a diverse interpretazioni, che inciderebbe sui settori delicatissimi dell'esecuzione penale e della sanzione in termini tanto devastanti attraverso una pluralità di interpretazioni, che mi sembra sia molto opportuno non passare all'esame degli articoli, anzi, importantissimo.
Direi che è essenziale per avere un momento di meditazione di tutte le parti, un momento di meditazione che l'attività emendativa della maggioranza sembra lasciare intuire. Le proposte di modifica non chiudono la porta in faccia ma, a mio avviso, dovrebbero essere maggiori, più radicali, più incisive, perché soltanto così si può evitare che una legge comporti effetti devastanti per l'attività giudiziaria. Credo sia superiore saggezza non proseguire su un percorso così lastricato di errori.
La proposta del senatore Calvi, a mio avviso, non dovrebbe essere condivisa soltanto dall'opposizione. Tutta l'Aula dovrebbe avere in questo momento un soprassalto di superiore saggezza e comprendere che una norma di questo tipo porterebbe non già miglioramenti, bensì devastazione e disastri.
PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta di non passare all'esame degli articoli, avanzata dal senatore Calvi.
Non è approvata.
PAGANO (DS-U). Chiediamo la controprova.
PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.
Non è approvata.
Passiamo all'esame degli ordini del giorno, già illustrati nel corso della discussione generale e su cui invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Esprimo parere contrario su tutti gli ordini del giorno.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G1.
*CALVI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALVI (DS-U). Signor Presidente, rispetto naturalmente le indicazioni regolamentari che mi sono state date e sostituisco l'illustrazione dell'ordine del giorno con una dichiarazione di voto.
Perché questo atto di indirizzo? Rilevo che, come potrete vedere, tutti gli ordini del giorno, dal primo all'ultimo, hanno l'intento di far sì che il Governo intervenga per dare un sostegno all'attuazione della legge: non si tratta di ordini del giorno mirati ad interdire o ad impedire l'applicazione di questo provvedimento, perché denunciano l'impossibilità di attuarlo se il Governo non dovesse intervenire in qualche modo.
Questo primo ordine del giorno G1 parte dalla considerazione che la legge 26 luglio 1975, n. 354, interviene «in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi e di termini di prescrizione del reato». Nella sostanza, si avrà un aggravamento delle sanzioni penali e in qualche modo vi sarà una disapplicazione da parte del giudice di uno dei suoi compiti prioritari, vale a dire quello di valutare in modo personalizzato il condannato, al fine di determinare la pena.
Se il Governo non dovesse intervenire in maniera efficace, si determinerebbe un depotenziamento delle misure deflattive delle potenzialità della cosiddetta legge Gozzini, il che certamente produrrebbe il risultato di incrementare la popolazione carceraria. Credo che tutti siano d'accordo nel constatare che questo provvedimento, aggravando le disposizioni di diritto sanzionatorio e, allo stesso tempo, eliminando quei benefici che concede la legge Gozzini a chi è detenuto, inevitabilmente creerà una situazione di grande difficoltà all'interno del carcere.
La nostra richiesta contenuta nell'ordine del giorno è tesa a far sì che il Governo si impegni «ad adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il possibile aumento della popolazione carceraria anche attraverso il potenziamento degli organici del personale di custodia e di supporto allo scopo di assicurare dignitose condizioni di reclusione», rispettose anche dei dispositivi di ordine costituzionale.
L'ordine del giorno G1 chiede quindi un impegno diretto ed immediato del Governo perché qualora questa normativa dovesse essere approvata inevitabilmente troverebbe nel mondo carcerario una risposta drammatica in questa prossima estate, a meno che non si intervenga, appunto, con misure quali quelle che esso sollecita. (Applausi dal Gruppo DS-U).
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, la ragione sottesa all'ordine del giorno in votazione è assolutamente elementare. È certo che l'eventuale approvazione - Dio non voglia! - di questo provvedimento porterebbe ad un sensibilissimo aumento della popolazione carceraria: si è calcolato che in breve tempo vi sarebbe un ingresso di 12.000 unità di detenuti.
Questo argomento non piace troppo alla maggioranza, dunque lasciamo stare il fatto che un siffatto aumento incrementerebbe l'inciviltà della situazione detentiva. Esiste però anche un problema di controllo sulla popolazione carceraria. Sappiamo che c'è un numero non superabile di agenti di custodia rispetto alla popolazione detenuta: se si diminuisce questo numero aumenta la pericolosità e si incrementa il rischio di evasione, dunque non si attua un buon regime di detenzione, sempre a prescindere dalla inciviltà della detenzione medesima.
Non prevedere tutto ciò significa approvare un provvedimento dissennatamente fuori dalla realtà, perché determina delle situazioni senza considerare, detto in termini scacchistici, la seconda mossa, ovverosia il fatto che bisogna prevedere finanziamenti rispetto alle strutture carcerarie e al numero degli agenti di custodia.
Ieri, in Commissione, abbiamo iniziato a discutere il bilancio dell'amministrazione penitenziaria per l'anno in corso, al fine di esprimere il parere, richiesto per legge, sul bilancio di quest'ultima. Anche in questo caso, non voglio entrare nel merito, ma le risorse che il Governo mette a disposizione dell'amministrazione penitenziaria è miserevole.
Questa miserabilità, già miserabile nello statu quo, diventerebbe assolutamente carente e insufficiente rispetto ad una situazione in incremento.
Per tali ragioni credo che l'approvazione dell'ordine del giorno G1 rappresenterebbe quanto meno una previsione di saggezza rispetto alla seconda mossa conseguente, cioè l'approvazione di questo disegno di legge.
PRESIDENTE. Metto ai voti l'ordine del giorno G1, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G2.
AYALA (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, questo ordine del giorno si muove sulla stessa linea del precedente. Si fa fatica a capire perché il Governo abbia espresso su di esso un netto parere contrario. Tra l'altro, nella replica svoltasi nel corso della seduta di ieri mattina il Sottosegretario ha ricordato che il disegno di legge di cui ci occupiamo non è di iniziativa governativa, ma di iniziativa parlamentare, e che rispetto ad esso il Governo ha una posizione sostanzialmente neutrale.
A maggior ragione, quando attraverso un ordine del giorno si solleva la concreta possibilità che una delle conseguenze dell'impatto di tale normativa possa incidere sulla situazione carceraria, in un momento in cui (non occorre essere addetti ai lavori per saperlo, basta leggere i giornali) vi è un forte problema di incremento progressivo della popolazione carceraria nell'ambito di una strutturazione delle carceri che è sicuramente inadeguata rispetto a questo andamento in crescita, di fronte alle probabili conseguenze di questo disegno di legge, nell'ipotesi, che mi auguro rimanga soltanto un timore, che possa diventare legge, sul sistema carcerario credo che il Governo non avrebbe dovuto avere alcuna difficoltà ad impegnarsi a vigilare e ad adottare tutte le misure possibili per far sì che questo ulteriore incremento della popolazione carceraria non aggravi ancora di più quello che - come è riconoscibile da tutti - è già oggi un grave problema.
Magari molti dei colleghi della maggioranza che votano contro non hanno seguito con attenzione, o ritengono legittimamente di uniformarsi così ad una indicazione di squadra. Lungi da me voler fare polemiche, anche perché mi si darà atto che non lo faccio di frequente, anzi quasi mai, però qui si tratta di ragionevolezza.
Certo, il disegno di legge non è di iniziativa del Governo, però l'Esecutivo ha delle responsabilità, tra l'altro anche in relazione alle carceri, sì o no? Ce le ha sì, ce le ha un Ministro in particolare. C'è attualmente un grave problema di popolazione carceraria? Sì. Una delle conseguenze dell'entrata in vigore di questo provvedimento, nell'ipotesi malaugurata che diventi legge, non è forse di provocare un'ulteriore incremento della popolazione carceraria? E allora, è strano, è politicamente inopportuno, o che altro, chiedere al Governo di porsi il problema e di predisporre quanto possa attutire questa conseguenza gravosa, onerosa e certamente non gradita a nessuno?
Il Governo si alza ed esprime parere contrario tout court. Che dirle, signor Presidente? In quattro legislature ne ho viste tante; vedo anche questa!
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
Verifica del numero legale
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
(Il senatore Garraffa si dirige verso i banchi della maggioranza indicando delle luci accese).
Senatore Garraffa, la prego di riprendere il suo posto.
PILONI (DS-U). Là, signor Presidente, sotto il giornale, vicino al senatore Fasolino. (Vive proteste del senatore Garraffa).
PRESIDENTE. Senatore Garraffa, provvedo io, lei non può sostituirsi a me.
FASOLINO (FI). Io non ho toccato niente!
PILONI (DS-U). Allora c'è un fantasma accanto a te! (Continue proteste del senatore Garraffa).
PRESIDENTE. Senatore Garraffa, non mi costringa a richiamarla all'ordine.
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti l'ordine del giorno G2, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G3.
(Forte brusìo in Aula. Commenti dai banchi del centro-sinistra).
FASOLINO (FI). Signor Presidente, io sto seduto al mio posto e l'opposizione se la prende con me. Sono molto arrabbiato.
PRESIDENTE. Senatore Fasolino, la prego di calmarsi.
Senatrice Pagano, la prego di interporre i suoi buoni uffici, altrimenti il senatore Maritati non potrà intervenire su quest'ordine del giorno. (Forte brusìo in Aula). Prego tutti i senatori di fare silenzio e di stare al proprio posto.
MARITATI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARITATI (DS-U). Signor Presidente, il disegno di legge al nostro esame affronta, come è noto, quattro temi di rilievo tra cui quello relativo all'istituto della recidiva.
Tale istituto determinerà un sensibile aumento di pene e un numero veramente enorme di processi e condanne. Pertanto il giudice, nel momento finale del processo, ha bisogno di disporre di questo dato. In assenza di tale conoscenza, la sentenza risulterà obiettivamente falsata nella parte centrale relativa all'entità della pena.
Oggi già si registra - è un fatto notorio - un ritardo grave e sistematico, nonostante l'avvenuta informatizzazione del sistema del casellario giudiziale, nell'inserimento dei dati relativi alle sentenze passate in giudicato.
Chiediamo soltanto che - pur nell'auspicio che questo disegno di legge non sia licenziato - nel momento in cui si dovesse procedere alla sua approvazione, il Governo prenda in considerazione e si faccia carico di un intervento di sostegno sul terreno dell'organizzazione del casellario giudiziale.
Mi rendo conto che l'obiettivo principale non è quello di attuare pienamente la legge, nel momento in cui malauguratamente dovesse essere approvata. Sappiamo bene che questa maggioranza si muove in maniera quanto mai decisa nel perseguimento di un obiettivo che non è quello di rendere funzionante nel modo più corretto e proficuo il sistema giudiziario.
Questi obiettivi non riguardano e non hanno riguardato in questi quattro anni la maggioranza e il Governo. Lo sappiamo bene, però bisogna anche ricordare che nel disegno di legge è previsto l'istituto della recidiva. I dati riferiti a tale istituto, assolutamente obiettivi, si possono rilevare soltanto dall'iscrizione nel casellario giudiziale. Quest'ultimo ha bisogno di essere potenziato. Non riesco a comprendere le ragioni per cui anche una raccomandazione in tal senso non debba essere condivisa dal Governo. Non si sta chiedendo di modificare qualcosa, ma soltanto di essere coerenti rispetto alle premesse contenute nel disegno di legge.
Ecco perché invito la maggioranza, qualora volesse dedicare un minimo di attenzione anche alle ragioni e al fondamento di ciò che si accinge a votare, e in particolare il Governo a ragionare su tale questione e ad esprimersi in senso favorevole su questo ordine del giorno G3. (Applausi dal Gruppo DS-U).
PRESIDENTE. Il sottosegretario Vitali intende intervenire in merito alla questione sollevata dal senatore Maritati?
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, intendo modificare il parere contrario del Governo sull'ordine del giorno G3 e accoglierlo come raccomandazione.
PRESIDENTE. Poiché i presentatori non insistono, l'ordine del giorno G3 non verrà posto in votazione.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G4.
*CALVI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALVI (DS-U). Signor Presidente, anche questo ordine del giorno appartiene a quell'area di interventi con i quali noi sollecitiamo il Governo a far sì che anche questo provvedimento non si traduca, oltre che in una pessima legge, anche in una beffa, nel senso che il Parlamento l'approva e poi, di fatto, non è utilizzabile.
Il problema è che esso interviene sulla recidiva, cioè un istituto che consente la verifica dei precedenti: un cittadino che commetta un reato, qualora ne abbia commessi in precedenza della medesima o di diversa natura, sarà soggetto ad una sanzione maggiore, più gravosa. Il presupposto è però che il giudice ne venga a conoscenza, cioè che il giudice sappia che c'è stato un processo precedente che determina l'applicazione dell'aggravante della recidiva.
Oggi questo non avviene mai, e non per cattiva volontà del cancelliere o del giudice ma perché gli strumenti tecnici sono tali che non consentono di fornire al giudice, inserendoli nel fascicolo processuale, i precedenti dell'imputato. Oggi questi dati vengono aggiornati nel casellario con un ritardo di circa cinque anni. A questo punto credo che il Governo debba assolutamente intervenire con una tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici del personale amministrativo della giustizia, proprio perché è necessario che l'elemento della recidiva possa essere, come è giusto che sia, contestato all'imputato.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, voterò a favore dell'ordine del giorno G4.
Vorrei segnalare al signor Sottosegretario alcuni dati. In primo luogo, una serie numerosa di soggetti risulta idonea a svolgere mansioni di cancelleria e di ufficiale giudiziario. Potrebbero essere immessi subito in ruolo poiché attendono esclusivamente di esercitare la propria idoneità; non ci sarebbe quindi neppure bisogno di bandire concorsi e quant'altro. Questo personale è indispensabile perché dalla segnatura della recidiva sul casellario giudiziale discendono conseguenze enormi.
Oggigiorno la recidiva è un optional, che non sempre viene registrata nel casellario giudiziale e, considerata la possibilità di valutarla discrezionalmente da parte del magistrato, non risulta essere così incidente. Con questo testo di legge la recidiva diviene invece decisiva rispetto alla prescrizione e al bilanciamento delle attenuanti. Signor Sottosegretario, lei comprende che se due ragazzi rubano una macchina, quello incensurato può essere soggetto ad una pena di tre mesi di detenzione, quello censurato può invece essere soggetto ad una pena che parte dai due anni di detenzione in su. Segnare nel casellario la recidiva di quello censurato diviene allora essenziale per non produrre un mancato rispetto della legge in relazione ad una disfunzione amministrativa.
Non si può accettare che in amministrazioni giudiziarie dove c'è meno lavoro vi sia puntualità delle annotazioni sul certificato penale e invece nei grossi centri come Milano e Roma vi siano ritardi devastanti. Come è possibile tutto questo? Che senso di giustizia diamo? Perché non accogliere princìpi di buon senso? Come fate a sostenere che siete aperti al dialogo se esprimete un parere negativo su interventi di buonsenso, migliorativi rispetto all'ottica della vostra legge?
Prego il Sottosegretario di meditare nuovamente, come ha fatto per l'ordine del giorno precedente, perché qui si chiede soltanto di valutare - cosa possibile perché il blocco delle assunzioni per i dipendenti statali non è valido in materia di amministrazione della giustizia - che per nuove incombenze si debba prevedere un aumento del personale. Si tratta di una misura veramente elementare che credo risponda a sostanziale buonsenso.
Per questa ragione chiedo che l'ordine del giorno sia accolto.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il parere contrario espresso inizialmente su questo ordine del giorno non è frutto di un preconcetto da parte del Governo, ma è il risultato dei vincoli posti nelle leggi finanziarie relativamente alle assunzioni.
Allora, per non scontentare il senatore Zancan e anche i proponenti, sono disponibile a rivedere il parere contrario in un accoglimento come raccomandazione, a condizione che venga riformulato l'impegno per il Governo nel senso di aggiungere, dopo le parole «ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici del personale amministrativo della giustizia» le parole «compatibilmente con i vincoli imposti dalle leggi finanziarie».
A queste condizioni posso trasformare il parere contrario in un accoglimento come raccomandazione.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Senatore Zancan, il suo sarebbe un secondo intervento.
ZANCAN (Verdi-Un). Vorrei soltanto spiegare che non ci sono vincoli. In materia di personale dell'amministrazione della giustizia non ci sono i vincoli che esistono per gli altri dipendenti statali.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Senatore Zancan, i vincoli ci sono.
ZANCAN (Verdi-Un). I vincoli non esistono.
AYALA (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, modifico il testo dell'ordine del giorno secondo le indicazioni del Governo e non insisto per la sua votazione.
PRESIDENTE. Pertanto, l'ordine del giorno G4 (testo 2) non verrà posto ai voti.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G5.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, per l'economia dei nostri lavori intervengo preventivamente anche sull'ordine del giorno G5, chiedendone il ritiro.
Infatti, essendoci il parere favorevole del Governo su un emendamento presentato a tal riguardo, diventa pleonastico votare questo ordine del giorno. Ripeto, c'è il parere favorevole del Governo su un emendamento che interviene sulle problematiche segnalate dall'ordine del giorno G5. Pertanto, invito al ritiro.
*CALVI (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALVI (DS-U). Signor Presidente, prendo atto della dichiarazione del Sottosegretario che appoggerà l'emendamento. Io non ho presentato questo ordine del giorno per ricevere il consenso, che naturalmente è apprezzato, del Governo sull'emendamento, perché sarà poi la maggioranza a decidere se accoglierlo o meno, anche se spero che, avendo il consenso del Governo, la maggioranza segua questo orientamento.
Signor Presidente, sto parlando non soltanto come parlamentare, ma anche come avvocato difensore del Comune di Civitella nel procedimento che oggi si sta svolgendo avanti il tribunale militare di La Spezia: 203 cittadini uccisi, donne bambini e anziani, una vera e propria strage. I morti provocati dalle SS in fuga sono oltre 15.000. Voglio dire che non si tratta soltanto di un problema emendativo, ma vorrei che il Governo si impegnasse, qualora l'emendamento non fosse accolto, anche ad iniziative di ordine legislativo. Altrimenti il Governo si impegna, la maggioranza non accoglie questo impegno e il problema rimane ugualmente irrisolto.
Vorrei quindi che il Governo, oltre ad appoggiare gli emendamenti già presentati, convenisse, qualora questi ultimi non fossero accolti, sulla necessità di intraprendere iniziative legislative tali da consentire la realizzazione del fine proposto da questo ordine del giorno.
Accolgo pertanto l'invito del Governo e ritiro l'ordine del giorno G5.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G6.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ho già espresso parere contrario, anche perché si tratta di una competenza del CSM e non del Governo.
AYALA (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Non è un problema di competenza della magistratura, è un problema di competenza del Ministero della giustizia, che gestisce i concorsi. Di conseguenza, alcuni insopportabili ritardi e lentezze nel bandirli e nel gestirli, dei quali - come il Presidente e i colleghi ricorderanno - in passato ci siamo dovuti occupare in Aula, senza contrapposizioni e senza spirito polemico, anche col ministro Castelli, sono una questione legittimamente proposta al Governo.
Dobbiamo renderci conto di quello che stiamo facendo; sono convinto che non tutti ci rendiamo esattamente conto di ciò che stiamo facendo. Io me ne rendo conto e me ne assumo la responsabilità.
L'impatto della normativa di cui ci stiamo occupando, a bocce ferme, cioè ipotizzando una situazione di funzionamento della macchina giudiziaria uguale a quella attuale, comporterà sicuramente un incremento che non saprei definire (e non voglio neanche indicare una percentuale), ma comunque importante, significativo di declaratorie di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. È ovvio e scontato: se la macchina della giustizia continua a procedere alla stessa velocità e un Parlamento secondo me irresponsabile decide di accorciare i termini di decorso della prescrizione, si "consumeranno" più declaratorie di estinzione del reato, essendo stati abbreviati i termini. Un alunno di quinta elementare risolverebbe il problema in maniera sicuramente gradita alla sua insegnante.
Se così è, fermo restando che questo è un disegno di legge da stracciare (il mio dissenso radicale rimane fermo), devo tuttavia prestare ossequio alla volontà della maggioranza nell'ipotesi, ripeto, malaugurata che dovesse diventar legge. Dopo le leggi sul falso in bilancio e sulle rogatorie, dopo il lodo Schifani (ora non ricordo quali altre leggi vergogna ci sono state), vuole il Governo fare finalmente qualcosa per aiutare questa macchina asfittica della giustizia a respirare un po'? Oppure non gliene importa nulla? La giustizia deve essere sempre e soltanto vissuta dal Governo come un problema di questo o quell'imputato?
Allora, con riferimento all'ordine del giorno G6, chiedo soltanto di prendere atto che ci sono vacanze importanti negli organici della magistratura, sia requirente che giudicante, e - per la parte di competenza del Ministero, ci mancherebbe altro - che si cerchi di rimuovere quegli ostacoli che si sono frapposti ad una velocizzazione delle procedure. È solo questo ciò che si chiede. Francamente, se fossi al Governo (avventura che mi è capitata), riterrei difficile dire di no di fronte ad una richiesta di questo genere. (Applausi dal Gruppo DS-U).
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Per parlare in termini concreti, ricordo che nella passata legislatura è stato approvato un aumento dell'organico di 1.000 magistrati. Sta terminando questa legislatura, che dura - lo ricordo a me stesso - da quasi cinque anni, e in questo lasso di tempo sta arrivando faticosamente a compimento solo il primo dei tre concorsi che avrebbero dovuto incrementare gli organici della magistratura di 1.000 unità. Il secondo concorso deve ancora partire e il terzo è - come si dice - nella mente di Giove, ossia del Ministro della giustizia.
Allora, dal momento che questa è la realtà, signor Sottosegretario e onorevoli colleghi, chiedere che di fronte a nuove incombenze almeno si realizzino gli aumenti già stabiliti è una richiesta di buonsenso, una richiesta collaborativa e di aiuto al Governo e alla maggioranza. Prendo atto che neppure le offerte di aiuto vengono accettate in termini positivi.
PRESIDENTE. Metto ai voti l'ordine del giorno G6, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Presidenza del vice presidente FISICHELLA(ore 10,51)
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G7.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, desidero annunciare il voto a favore dell'ordine del giorno G7.
Stiamo discutendo una diminuzione dei termini di prescrizione per reati gravissimi, perché sono ricompresi tutti i reati, inclusi quelli di criminalità organizzata, nonché, ad esempio, la bancarotta fraudolenta, l'usura, la corruzione e la concussione, per cui, nel momento in cui si restringono i termini per celebrare i processi, si chiede che venga rafforzata la polizia giudiziaria.
Non comprendo come forze che parlano di ordine pubblico e di impegno per la sicurezza dei cittadini, possano, nei fatti, contraddire le parole. Infatti, se vi è meno tempo per celebrare i processi, se non aumentiamo gli organici della polizia giudiziaria, se non diamo forze nuove alle Forze dell'ordine e, soprattutto, non stanziamo nuove risorse finanziarie, da un lato si restringono i tempi e dall'altro non si consente di portare a termine i processi. Insomma, si predica bene e si razzola male, come spesso e volentieri fanno questo Governo e la maggioranza che lo sostiene.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, desidero intervenire per dichiarazione di voto sull'ordine del giorno G7, proprio perché esso mette in luce uno dei punti a mio parere più rilevanti sotto il profilo comunicativo.
Molto di quello che abbiamo detto e diremo in materia è talmente tecnico che può sfuggire all'opinione pubblica il senso, non profondo, ma sostanziale, di quel che andiamo facendo e dicendo. E fra le conseguenze, devo dire non sempre neutralmente sopportate dalla maggioranza, vi è una sorta di non dichiarato conflitto (o il tentativo di dimostrare che vi sia una sorta di non dichiarato conflitto) tra le attività di polizia, che sarebbero virtuosamente finalizzate al perseguimento dei colpevoli, e le attività della non meglio precisata magistratura, la quale, non si capisce per quale motivo, nel nostro Paese, oltre che essere odiosamente comunista, sarebbe anche ispirata al principio che normalmente i colpevoli devono essere lasciati liberi.
Ora, poiché questo è un luogo comune e certamente è un odioso pregiudizio (ma in realtà può accadere che tutto ciò derivi proprio dall'inserimento improvvido, attraverso disegni e provvedimenti parlamentari non sufficientemente pensati, di norme contraddittorie), è bene venga richiamata la necessità non solo di rafforzare le Forze della polizia, ma anche di fare in modo che l'operato di queste ultime non sia vanificato non da una magistratura ottusa e politicizzata, ma da una magistratura alla quale consegniamo norme che sono sia le manette, sia la chiave delle manette medesime, perché di questo si tratta.
In particolare, come è noto e come è stato più volte ribadito, quello della prescrizione non solo non è un istituto acceleratorio dei processi, ma è un istituto che, nella prassi ormai consolidata del nostro Paese, serve a farla franca dai processi. Questo in linea generale.
Ancor più grave è che ciò accada distinguendo, in maniera oltretutto irrazionale, tra reati più gravi e meno gravi, perché l'allungamento dei tempi per i reati cosiddetti meno gravi non sempre riesce a consentire il perseguimento, soprattutto nel caso frequentissimo in cui questi reati, pur non essendo puniti con pene edittali molto elevate, sono comunque di grave disvalore sotto il profilo sociale; basti pensare a tutta la messe dei reati contravvenzionali che però, a vario titolo, offendono l'ambiente e l'urbanistica e quindi anche valori sociali oramai ritenuti di notevole rilievo, così come quelli patrimoniali.
Viceversa, è assolutamente odioso, e consegna all'impotenza il diritto, che si diminuiscano i tempi di prescrizione per reati gravi, essendo noto che nel nostro sistema, per ragioni complesse e che qui non si affrontano assolutamente (non facendo quindi alcuna manutenzione del processo penale), i tempi e le modalità dell'espletamento delle attività di indagine, di ricerca e anche solo di celebrazione dei processi sono talmente lunghi che l'accorciamento dei termini di prescrizione è prognostico di sicura impunità.
In particolare, se oltre a riformare l'istituto in sé riformiamo anche le regole della sospensione, in maniera tale che non si capisce bene come funzionerà, basta che un imputato o un avvocato si ammali che tutto ciò provocherà un'ulteriore situazione di favore.
È, dunque, molto importante, non solo l'ordine del giorno in sé, ma anche richiamare che non esiste alcun conflitto tra le attività della polizia e le attività di indagine e il perseguimento dei reati.
MARITATI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARITATI (DS-U). Signor Presidente, mi rendo conto come i colleghi della maggioranza, davanti ad otto ordini del giorno, possano pensare che qui inizia l'attività di ostruzionismo dell'opposizione. Così non è, e se qualcuno di loro volesse dedicare pochi minuti a leggere questi ordini del giorno, forse si renderebbe conto, approcciandosi con uno spirito non settario e non preconcetto, che non stiamo facendo ostruzionismo ma tentando di svolgere il nostro lavoro, cioè di contribuire a rendere una legge, sia pure non accettata e non accettabile, la meno dannosa possibile.
Ricordo, in questi quattro anni, che in molte circostanze colleghi, soprattutto di Napoli, ma anche di altre parti d'Italia, sono scattati in piedi per gridare contro una giustizia che non funziona, levando l'indice nei confronti dei magistrati, rei di tutto. Bene, se in un cantiere il direttore dei lavori decidesse che i lavori devono terminare entro un determinato giorno, ma non si facesse carico che il materiale necessario alla costruzione fosse presente, che il numero degli operai fosse adeguato e che ogni altra circostanza fosse rispettata, renderebbe assurdo l'ordine con il quale ha stabilito che i lavori dovevano terminare entro una data stabilita. Questo disegno di legge avrebbe potuto portare un grosso vantaggio all'amministrazione della giustizia se avesse pensato a ciò che veramente serve, a ciò che non c'è e che continuate a non voler garantire.
Come è possibile concepire un miglioramento dell'amministrazione della giustizia, quando imponete termini più brevi di prescrizione e lasciate tutto il resto inalterato? Sappiamo, e chi sostiene anche da parte del Governo questo disegno di legge lo sa bene per la sua conoscenza professionale, che oggi è un'avventura svolgere un'indagine preliminare, perché le forze di polizia sono numericamente inadeguate, perché i mezzi a disposizione sono inadeguati e chiediamo che si accorcino i tempi. Voi cosa fate? Accorciate i tempi di prescrizione, non mutate nulla e, così facendo, garantirete l'aumento di una denegata giustizia nel Paese.
Vi rendete conto di quello che sta per accadere? Ancora una volta, per salvare il solito noto, buttiamo o spingiamo in un baratro ancora più profondo la nostra amministrazione della giustizia, per poi gridare continuamente contro i magistrati, che in questo caso almeno veramente non c'entreranno nulla.
Vi chiedo di ragionare, di pensare a cosa serve ridurre i termini di prescrizione di reati gravi se non si mette l'amministrazione della giustizia in condizione di lavorare. Pretenderemo, il Paese pretenderà e dovrà pretendere tempi rapidi, rispetto dei tempi della giustizia, se il Governo metterà a disposizione tutto ciò che è indispensabile affinché la macchina della giustizia possa funzionare.
L'ordine del giorno in esame non chiede altro, se non che si pensi al settore delicatissimo della polizia giudiziaria, che molte volte consegna ai magistrati, per rispettare i termini, indagini sostanzialmente non effettuate, con un danno enorme. Ricordate che, oltre agli imputati eccellenti di cui voi specialmente vi occupate, esiste una pletora, esiste un popolo di parti lese, di parti offese che attende una giustizia che non verrà data in maniera ancora più drammatica grazie a questo ennesimo provvedimento-vergogna.
PRESIDENTE. Metto ai voti l'ordine del giorno G7, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno G8.
FASSONE (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, l'ordine del giorno G8 nasce da una considerazione elementare: oggi sono già moltissimi i procedimenti penali che si estinguono per prescrizione; secondo dati che ho acquisito relativamente a pochissimi anni or sono, erano già nell'ordine dei 150.000 e tutto lascia pensare che siano ulteriormente accresciuti. Le cause possono essere molteplici e non sta a me sindacarle: scarsa laboriosità, forse, di taluni settori della magistratura, forse atteggiamento ostruzionistico della difesa, forse deficienza delle strutture, non importa, è certo invece che, attraverso la riduzione dei tempi di prescrizione, si estenderà il numero dei reati prescritti, in mancanza di interventi collaterali.
Stabilire semplicemente che il tempo di prescrizione diminuisce, non autorizza in alcun modo ad affermare che si ridurranno i tempi processuali, autorizza solo a pensare ad un aumento della moria processuale. È come se si pretendesse che i treni percorressero una certa distanza in un tempo minore, soltanto perché si modificano gli orari ferroviari. Ecco perché abbiamo chiesto che all'intervento di natura penal-processuale si affianchino interventi di natura strutturale.
Per la verità, signor Presidente, ero tentato di ritirare l'ordine del giorno perché il suo eventuale accoglimento avrebbe offerto un'ottima chance al Governo, quella di dire che non sta intervenendo soltanto sul piano normativo, ma si fa carico delle conseguenze e opera anche sul piano strutturale. Avendo appreso che il parere è contrario, insisto e rilevo che, qualora nemmeno questo suggerimento sia accolto, sarà palese la volontà della maggioranza e del Governo.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, rettifico il parere dato, accogliendo l'ordine del giorno come raccomandazione.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, vorrei sostenere la bontà dell'ordine del giorno G8, che è un atto complessivo rispetto agli altri sette ordini del giorno.
Signor Sottosegretario, che ci concede solo una raccomandazione sul punto, se lei si reca in qualsiasi pomeriggio presso il tribunale di Torino, come è forse suo compito, e controlla cosa succede, vedrà che non si possono tenere le udienze. Se lei si reca in tribunale il sabato mattina, cosa che io facevo puntualmente quando c'erano le vecchie preture, vedrà che non si possono tenere le udienze.
Ciò accade non per ignavia dei magistrati e neppure per attività dilatorie dei difensori. Qui dissento dal collega Fassone e, capitandomi raramente di dissentire dal collega, non posso non sottolinearlo. L'attività dilatoria del difensore non esiste, all'interno della deontologia del difensore non è dato difendere il proprio rappresentato anche allontanando le sanzioni del processo.
Le udienze non si tengono per ragioni pratiche, perché nei processi occorrono un cancelliere e un ufficiale giudiziario. Sono strumenti indispensabili senza i quali i processi non si possono tenere e, siccome alle 13,30 cancellieri e ufficiali giudiziari hanno terminato l'orario normale e bisognerebbe pagare loro gli straordinari, ma i soldi per farlo non ci sono, per questa ragione molto banale ma molto concreta i processi subiscono i ritardi che tutti conosciamo.
Credo che il Governo debba avere massima considerazione di tale aspetto.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che questi ordini del giorno abbiano il senso profondo di evitare che le previsioni contenute nel disegno di legge di cui ci accingiamo a discutere e votare gli emendamenti possano produrre un fallimento della giustizia su scala generale (come noi temiamo), vale a dire possano produrre, alla fine, un incremento - come viene precisato in questo ordine del giorno - smisurato e inaccettabile dei casi di estinzione del reato per avvenuta prescrizione.
Apprezzo il fatto che il signor Sottosegretario si sia dichiarato disponibile ad accogliere l'ordine del giorno G8 come raccomandazione, ma è evidente che c'è una sproporzione tra la forza cogente della legge e la forza della raccomandazione. Infatti, qui si chiede di impegnare il Governo, sia pure in forma generale e perfino generica, a garantire le condizioni per cui l'abbattimento dei tempi di prescrizione previsto nel disegno di legge non funzioni come una mannaia su migliaia di procedimenti; ritenere che tale rischio concreto possa essere allontanato raccomandando al Governo di porre in atto tutte le misure necessarie a tal fine, piuttosto che assumere un impegno formale in tal senso, genera una contraddizione che ci rafforza nella convinzione che, in realtà, la finalità del provvedimento è esattamente quella di ottenere uno smisurato e inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato.
Preciso meglio quanto intendo dire. Non ritengo che questo sia il fine del provvedimento, che, come sappiamo, è un altro, vale a dire salvare una singola posizione personale: il problema è che per far questo si è disposti ad accettare lo smisurato e inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato.
Dunque, se davvero la riduzione dei tempi di prescrizione volesse essere un incentivo a determinare tempi del processo più rapidi e dovesse, quindi, essere intesa (come a volte ho sentito dire) come una misura di armonizzazione forzata con i princìpi costituzionali del giusto processo, sarebbe un conto; allora, però, lo stesso provvedimento conterrebbe una serie di misure che andrebbero ad incidere anche sul bilancio dello Stato, volte a garantire le strumentazioni necessarie e vitali perché, alla fine, quell'abbattimento dei tempi di prescrizione sia davvero riconducibile all'attuazione del principio del giusto processo.
Così, il divario che si realizza tra i tempi possibili della giustizia, con gli strumenti e le risorse che ha oggi, e le previsioni che sono invece contenute nel disegno di legge diventa, in realtà, un abisso, anche perché è vero quanto ha ricordato poc'anzi il collega Zancan, che lo ha rivendicato come un contenuto della deontologia professionale dell'avvocato, mentre io lo ricordo come una trasformazione progressiva del lavoro svolto dall'avvocato in questi anni.
Molti convegni scientifici hanno indicato come si sia passati da una strategia di difesa nel processo ad una strategia di difesa dal processo. Molti sono i convegni, i luoghi di discussione ben argomentata, sorretta da una marea di prove empiriche, nei quali si è sottolineata questa involuzione della funzione del difensore. Se siamo, allora, davanti a questo mutamento di orientamento del difensore di fronte al processo, siamo anche innanzi ad una permanenza della crisi di risorse della giustizia e ciò che ci propone il disegno di legge ha una natura molto semplice, vale a dire il fallimento su tutta la linea, o sulla linea di alcuni reati, della nostra giustizia.
Di fronte a questo, la disponibilità espressa dal Governo oggi, in questa sede, ad accogliere l'ordine del giorno G8 come pura raccomandazione è una dichiarazione di princìpi che non ha alcuna possibilità di corrispondenza nella realtà, mentre, se questo disegno di legge venisse approvato, esso avrebbe una capacità di incidere sulla realtà particolarmente pericolosa.
Per tali ragioni, signor Presidente, chiederei ai presentatori dell'ordine del giorno G8 di insistere per la sua votazione, perché, rispetto ai rischi che stiamo prospettando, la semplice raccomandazione non è un modo per venire incontro ai problemi che qui l'opposizione pone.
PRESIDENTE. Senatore Calvi, insiste per la votazione dell'ordine del giorno G8?
CALVI (DS-U). Sì, signor Presidente, insisto per la votazione dell'ordine del giorno.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
Verifica del numero legale
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
(Vive proteste dai banchi dell'opposizione).
Vedo molte luci accese in modo dubbio. Invito i senatori segretari a controllare. Dietro il senatore Ragno c'è una luce accesa cui non corrisponde la presenza di alcun senatore.
PILONI (DS-U). Dietro il senatore Specchia, signor Presidente!
GARRAFFA (DS-U). Lì, signor Presidente, al secondo banco.
PRESIDENTE. Invito i commessi a rimuovere le tessere in eccesso.
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11,15, è ripresa alle ore 11,35).
Presidenza del vice presidente SALVI
Ripresa della discussione dei disegni di legge
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Passiamo nuovamente alla votazione dell'ordine del giorno G8.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti l'ordine del giorno G8, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Procediamo all'esame degli articoli del disegno di legge n. 3247.
Passiamo all'esame dell'articolo 1, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, mi limiterò in particolare ad illustrare l'emendamento 1.1, soppressivo dell'articolo 1. Tale articolo prevede un'attenuante automatica ex lege per gli ultrasettantenni incensurati. Sono assolutamente convinto che stabilire un'attenuante automatica sia un grave errore, una grave violazione del principio di parità di tutti i possibili imputati.
L'incensuratezza non è un merito; chi è incensurato non va in giro per strada a dire che merita un trattamento di favore, in quanto tale; è un demerito la censuratezza non un merito l'incensuratezza, che dovrebbe essere la normalità per i cittadini. Il rispetto della legge dovrebbe essere - ripeto - normale non eccezionale, come purtroppo avviene in questo nostro Paese. Aggiungo che spesso l'incensuratezza è il vestito che consente la commissione dei reati, è uno strumento di lavoro. Certamente un pubblico ufficiale il quale voglia ricevere corruzioni o che intenda esercitare concussioni non può che essere incensurato; se così non fosse non potrebbe essere un pubblico ufficiale. Da questo ragionamento elementare quanto effettivo e concreto se ne ricava che l'incensuratezza non può essere premiata a priori.
Inoltre, la norma ha una forte propensione criminogena perché se l'incensurato ultrasettantenne sarà sempre premiato con le attenuanti generiche, se la concessione delle attenuanti generiche produrrà dunque una diminuzione di pena obbligatoria per gli ultrasettantenni incensurati, ci sarà una corsa ad arruolare gli ultrasettantenni, che non avranno più il vigore della giovinezza e dell'età ma che saranno utilissimi nei consigli di amministrazione di società che intendono fare dei bidoni in danno dei cittadini.
Saranno utilissimi per fare gli amministratori delegati di società truffaldine; avranno dunque una seconda giovinezza criminale che voi assicurerete attraverso un premio automatico, che per tale ragione mi sembra assolutamente non commendevole. L'utilizzo dei minori per la commissione dei reati è previsto dalla legge e chi istiga i minori a commettere dei reati, come stabilisce il testo di legge, è sanzionato più severamente attraverso una circostanza aggravante. Ho proposto tra i miei emendamenti, quanto meno per evitare l'utilizzo a scopi criminali degli ultrasettantenni, che anche chi determina l'ultrasettantenne a commettere dei reati, ad esempio, la persona che sceglie un amministratore testa di legno ultrasettantenne per giovarsi di tale attenuante, sia soggetta quanto meno ad un'aggravante. È una doverosa euritmia rispetto all'aggravante prevista nei confronti dei minori.
Inoltre, è mai possibile determinare in modo automatico la pena? Pensiamo ai reati in materia sessuale commessi da imputati anziani, che spesso sono protagonisti dei peggiori episodi. Possiamo concedere in via automatica a questi imputati le attenuanti generiche? Possiamo dire a questo punto che per legge si stabilisce una diminuzione della pena per chi commette, non voglio dire stupri perché forse non ce la si fa più dopo una certa età, ma certamente gravi atti di libidine nei confronti dei minori? (Vivaci commenti dai Gruppi della maggioranza).
PASTORE (FI). Signor Presidente, il senatore Zancan sta dicendo cose offensive.
PRESIDENTE. Colleghi, non interrompete e non mancate di rispetto all'oratore.
ZANCAN (Verdi-Un). Si tratta di un criterio discriminatorio: siccome gli anziani sono premiati, si va contro il principio di eguaglianza che ogni cittadino deve avere davanti alla legge. (Commenti dai banchi della maggioranza). Vi agitate tanto, forse in previsione di non godere delle attenuanti generiche, visto che il Senato è composto da senatori e che il nome è già un programma? Se vi agitate tanto fatelo voi, io continuerò a battermi contro una previsione di un'attenuante che è indecente, perché diversifica la posizione dei cittadini in termini automatici: questo non è accettabile! Avete capito, signori senatori?
PRESIDENTE. Spero che la propensione a delinquere dei senatori sia bassa, per rendere inutile l'applicazione di questa norma.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, illustro l'emendamento 1.2, radicalmente soppressivo e questo perché l'articolo non potrebbe utilmente essere fatto oggetto di emendamenti migliorativi. Esso infatti è tecnicamente sbagliato, praticamente inutile e persino dannoso secondo quella intenzione che i maliziosi (categoria nella quale faccio fatica a non inscrivermi nella presente circostanza) ritengono essere stata l'ispirazione della norma. Provo ad argomentare.
La norma in esame si articola su due proposizioni sostanziali: la prima prevede una riduzione della pena per colui che abbia commesso il reato avendo più di settant'anni, dunque più di settant'anni al momento del fatto; la seconda si può rovesciare dicendo: il beneficio non spetta ai recidivi.
Accantono, quindi, momentaneamente la seconda e mi soffermo sulla prima: perché ridurre la pena quando l'autore del reato ha un'età avanzata? Le considerazioni possono essere soltanto due: o si interviene per ragioni di tipo umanitario, poiché il settuagenario indubbiamente giustifica un atteggiamento di minor rigore, o si interviene perché l'età ha una qualche influenza sulla imputabilità. Il sistema penale non ci consente altre alternative. Ma allora la prima è impropriamente utilizzata, perché se è l'esigenza umanitaria quella che suggerisce l'attenuazione della pena, l'intervento non va fatto sulla quantità della pena, ma sulla qualità, cioè nel momento dell'esecuzione.
In effetti, l'ordinamento penitenziario prevede già una misura di minor rigore quando l'espiante ha un'età avanzata, prevede cioè la detenzione domiciliare ricorrendo determinati presupposti. Infliggere quattro anni di reclusione anziché sei non risolve il problema del settuagenario, perché sempre detenzione sarà, anche se in quantità minore. Dunque, l'esigenza umanitaria non è giustificatrice di questo intervento; se tale voleva essere, lo si sarebbe fatto nel momento dell'esecuzione in sede penitenziaria.
Allora, la ratio non può che essere l'altra, perché il nostro ordinamento contempla un solo caso in cui l'età viene in considerazione ai fini della pena, ed è l'età minore, perché, in effetti, l'infradiciottenne fruisce, qualora ritenuto almeno parzialmente imputabile, di una riduzione di pena proprio perché è minorenne, perché il suo senso di responsabilità non si è ancora sviluppato e completato, perché la sua struttura cultural-spirituale non è compiuta e quindi si riduce la pena. Ma lo possiamo dire anche nei confronti del settuagenario?
Io so, come diceva un collega, che in Aula ci sono molti senatori che hanno varcato questa età e avrebbero probabilmente da risentirsi se la norma avesse questa giustificazione. Quindi, la norma è tecnicamente sbagliata: se si vuole intervenire a favore della persona anziana, non è questa la sede per farlo.
La norma, però, è anche dannosa, onorevoli colleghi, perché, per giurisprudenza pressoché costante, che in molti e molti anni di aule giudiziarie ho constatato, se una persona è anziana e incensurata non c'è tribunale che le rifiuti le attenuanti generiche e i colleghi che hanno esperienza di aule giudiziarie lo possono sicuramente confermare.
Se una persona è anziana e incensurata, le vengono concesse infallibilmente le attenuanti generiche. In questo modo, invece, ciò non accade, perché le attenuanti generiche, ai sensi dell'articolo 62-bis del codice penale (che su questo punto voi non modificate), sono date indipendentemente dalle circostanze previste dall'articolo 62 e quando il giudice considera elementi diversi. Ciò significa che l'età avanzata (quando però non varchi la soglia dei settant'anni) e l'incensuratezza non giustificano più le attenuanti generiche.
Quindi, avete arrecato un nocumento non lieve alle persone abbastanza anziane, a quelle non tanto anziane da rientrare nella categoria che viene considerata ormai testualmente dalla legge come quella che giustifica l'abbuono di pena. Non fate un bel servizio ai sessantacinquenni, ai sessantottenni, a tutti coloro che, in sostanza. non hanno raggiunto l'età indicata, poiché precludete loro le attenuanti generiche.
Infine (lo dico in tono colloquiale e confidenziale, sempre nell'ottica di quella malizia che cerco di evitare, ma che tanti dicono sia veramente l'ispiratrice di questa norma), le persone eccellenti che abbiamo tutti nella mente, e i cui nomi occhieggiano sotto queste norme, non avevano l'età in questione allorché è stato commesso il fatto che viene loro ascritto come reato. Danneggiate quindi anche loro, perché in quanto infrasettantenni non potrebbero beneficiare, in ipotesi di condanna, del trattamento mite che i tribunali oggi riserverebbero loro.
Allora, se posso concludere rivolgendomi al Sottosegretario (anche se so bene che non mi spetta dare suggerimenti al Governo dai banchi dell'opposizione), lo invito caldamente ad esprimere un parere favorevole all'accoglimento di questo emendamento. Eliminando questa norma, non precludete alcuno dei vostri obiettivi, ma date un segno di resipiscenza e di saggezza.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo davanti ad uno dei misteri del disegno di legge in esame. Questo articolo non era nella versione originale e neanche nel testo esaminato in Commissione alla Camera, ma è stato introdotto in Aula con questa previsione un po' strampalata, secondo cui sarebbe un'attenuante l'aver commesso un reato dopo i settant'anni di età.
Naturalmente, si è aperta la caccia al tesoro per capire chi è questo settantenne, chi è la persona in onore della quale ad un certo punto si è introdotto l'articolo 1 di questo disegno di legge, originariamente non presente, e che non rientra neanche nelle ipotesi di abbattimento dei tempi di prescrizione del reato che sono introdotte successivamente, all'articolo 6.
Credo che gli italiani avrebbero il diritto di sapere chi è la persona così influente o così amica, così affettivamente vicina ai presentatori di quell'emendamento da meritare una simile attenzione. I colleghi hanno già espresso le perplessità, i dubbi, lo sconcerto ed hanno anche fatto percepire la dimensione comica che innegabilmente si ritrova nell'articolo 1.
Chi al momento della commissione del fatto abbia compiuto settant'anni di età e al momento della sentenza non si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 99, gode di un'attenuante. Credo che una persona che ha superato i settant'anni debba sentirsi coinvolta in modo fastidioso da questo articolo, perché di fatto si sostiene che chi ha superato i settant'anni abbia meno capacità di intendere e di volere.
Il nostro pensiero corre deferente al Presidente della Repubblica, che ha compiuto più di ottant'anni da molto tempo, eppure, almeno a mio avviso, anche se non ad avviso dei colleghi della Lega, guida con saggezza, previdenza e lungimiranza le sorti del nostro Paese.
Il nostro pensiero dovrebbe andare allora ad uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa, scomparso recentemente, che da molto tempo aveva compiuto i settanta anni e governava non solo con grandi capacità e saggezza, ma anche con grande slancio personale i sentimenti di gran parte della popolazione del mondo.
Credo bastino questi due esempi per rendersi conto che un'attenuante concessa indiscriminatamente a chi ha compiuto settant'anni perché meno capace di intendere e di volere sia un'offesa alla nostra stessa conoscenza della storia e delle persone.
Non tutti si sintonizzano con quel che dico; mi rivolgo sempre al Presidente. Alle mie spalle mi stanno suggerendo anche l'esempio degli operai. Penso che gli operai che hanno compiuto settant'anni abbiano il diritto, anche se in quiescenza, di pensare di loro stessi che non sono incapaci di intendere e di volere.
Cos'è, allora, questa norma? A chi si pensa con questa norma? Sicuramente non agli imputati eccellenti di cui abbiamo parlato durante tutta questa legislatura, perché non avevano settant'anni nel momento in cui hanno compiuto i reati che hanno inchiodato questo Parlamento a parlare di giustizia per metà del suo tempo.
Riuscire ad organizzare una specie di concorso a premi per indovinare chi sia questo ultrasettantenne sicuramente metterebbe finalmente un po' di sano buonumore a questo Parlamento e toglierebbe una soddisfazione, per lo meno all'opposizione.
Pensiamo che uomini che hanno "governato e sgovernato" la finanza, che sono stati ai vertici del potere finanziario e dalla loro posizione hanno anche combinato qualche sostanziosa marachella non fossero nel pieno della loro capacità di intendere e di volere?
Pensiamo che, in un sistema gerontocratico come quello italiano, aver superato i settant'anni non sia spesso la condizione per accedere ai livelli più elevati del potere che conta? Ma in questo modo stiamo dicendo che è un'attenuante essere ai vertici del potere. Ma ci rendiamo conto?
Ci rendiamo conto che non dare la possibilità al giudice di esercitare la propria discrezionalità nella valutazione delle attenuanti fissando una soglia per cui a partire dai settanta anni in su si gode di un'attenuante significa dire che proprio coloro che dovrebbero subire un'aggravante per aver commesso un reato nella pienezza dell'esercizio del proprio potere (e di poteri sostanziosi, che possono produrre danni anche rilevanti agli utenti e ai risparmiatori per la posizione che occupano), in virtù di questo, invece di subire un'aggravante, beneficiano di un'attenuante? Ma quale diritto stiamo costruendo? Quale criterio di proporzionalità stiamo esercitando?
Peraltro, richiamo la vostra attenzione sul fatto che in questo caso non stiamo parlando delle sanzioni alternative al carcere, che possiamo prevedere per chi soffra di alcune malattie o abbia un'età talmente avanzata da sconsigliare la detenzione, bensì proprio della valutazione che deve essere data della gravità del reato commesso. Stiamo dicendo un'altra cosa.
Spesso ci preoccupiamo dell'età avanzata perché può accompagnarsi ad uno stato fisico particolare e a malattie che è meglio non vengano curate in carcere, ma non stiamo dicendo questo: stiamo commisurando la gravità del reato all'età che si ha quando viene commesso, senza operare alcuna distinzione di posizioni e di stato.
Anzi, visto che questo articolo è stato introdotto non all'inizio, non nel dibattito in Commissione, ma presumibilmente alla chetichella in Aula, rivela non una condizione disagiata, ma una condizione di forza e di potere.
Per questa ragione, rivolgendo di nuovo un appello alla comunità nazionale, all'opinione pubblica nazionale, alla stampa nazionale, perché identifichino attraverso un ricco concorso a premi questo "Mister X", preannuncio il voto a favore della Margherita sull'emendamento 1.3, così come nei confronti delle altre proposte di modifica dello stesso tenore, presentate dai colleghi degli altri partiti dell'opposizione, con il rammarico che non soltanto i soliti noti possano avere accesso privilegiato alle nostre leggi, ma anche qualche solito ignoto abbia potuto avere la possibilità di infilarsi in un varco aperto generosamente per lui nella discussione di questo provvedimento alla Camera. Oltre i soliti noti, ce n'è uno in più, o qualche solito ignoto che si aggiunge.
Bisogna dire con rammarico, signor Presidente, che facciamo veramente acqua da tutte le parti. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Verdi-Un e del senatore Occhetto).
*CALVI (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello al nostro esame è un disegno di legge singolare, al quale contrapponiamo una serie di emendamenti.
Mi auguro che coloro che tra i colleghi senatori hanno superato i settant'anni di età siano indignati, si organizzino in qualche modo per protestare, perché sono considerati dei minus habens. E, guardate, che poi questa attenuante non incide sulla imputabilità, come è stato detto, o sulla qualità del sistema sanzionatorio. Se fosse stata fatta una legge con la quale si stabilisce che gli ultrasettantenni scontino in casa e non in carcere la sanzione irrogata, avrei votato a favore, ma diminuirla di un terzo è veramente privo di senso logico prima che giuridico.
Perché mai un ultrasettantenne dovrebbe godere di un'attenuante che ha una presunta natura umanitaria, quando poi in realtà in prigione deve andare ugualmente? Molto più saggio e ragionevole sarebbe stato se si fosse detto che, condannato a due, tre, venti anni o quello che sia, l'ultrasettantenne può scontare la pena nel proprio domicilio: questo, sì, sarebbe stato un obiettivo realizzabile al quale forse avremmo concorso con un voto positivo. Si prevede, invece, che l'ultrasettantenne, il quale viene trattato, a questo punto, veramente come una sorta di minus habens, deve godere di un'attenuante che riduce la pena ma che comunque egli dovrà scontare nel carcere.
Devo dire che sono anch'io curioso, come il collega Dalla Chiesa, di sapere chi è il beneficiario di questa norma; se lo conoscessi, la prima cosa che andrei a dirgli sarebbe di reagire, di disconoscere questo regalo. Una volta si sarebbe detto «Timeo Danaos et dona ferentes»: colui che ha proposto questa norma pensando di favorire qualche suo amico, qualche suo collega, qualche suo dirigente di partito, o chiunque esso sia, in realtà gli fa soltanto del male perché sarà considerato una sorta di minus habens che dovrà purtuttavia sempre scontare la pena in carcere.
Il fatto, poi, che la minore età venga in considerazione per una riduzione della pena non può essere utilizzato per analogia, perché in quel caso si tratta di una effettiva minore capacità di intendere e di volere conseguente dall'età, il che non si verifica per l'ultrasettantenne.
I colleghi della Lega hanno protestato quando il senatore Zancan ha fatto l'esempio dello stupro, non già dell'attività sessuale; cari colleghi della Lega, sappiamo che siete iperattivi su questo terreno, ma mi auguro che lo siate normalmente, non commettendo reati di stupro, ai quali si riferiva il collega Zancan. Stiamo parlando di reati, la protesta è stata perciò incongrua.
E allora, se la ratio è di tipo umanitario, non pare giustificato escludere per esempio il recidivo, in specie se si tratta di recidiva semplice. E vorrei ravvisare un'ulteriore contraddizione tra il rilievo dato all'età avanzata al momento della commissione del fatto e la perdita di tale rilevanza se successivamente, cioè al momento della sentenza, il soggetto assume la qualifica di recidivo.
L'ultrasettantenne incensurato fruisce di una riduzione di pena, mentre il già condannato subisce un aumento della medesima. Viene a mancare uno spazio di normalità, nessuno sarà condannato per la pena normalmente irrogata: o ci sarà una diminuente, prevista da questa attenuante, oppure, se il soggetto è recidivo, vi sarà un'aggravante. Se la finalità è appunto di consentire un trattamento umanitario della sanzione, non si capisce perché, qualora sia recidivo, il soggetto debba scontare una pena maggiore, addirittura in carcere. Mi sembra che siamo di fronte ad una proposta che rasenta la farsa legislativa, una proposta irragionevole, incongrua, asistematica, di fronte alla quale mi auguro che i colleghi abbiano un momento di saggezza, di equilibrio, sappiano rispondere indignati all'abnormità e accolgano i nostri emendamenti, respingendo l'articolo 1 della legge in questione. (Congratulazioni).
MARITATI (DS-U). Signor Presidente, con l'emendamento 1.401 si intendono evidenziare condizioni che ricorrono spesso e sono degne di considerazione. Con le parole "l'avere commesso il reato per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio" viene richiamato un concetto già presente e regolato dal codice penale. Viene in mente lo stato di necessità, anche se non sussistono tutti i requisiti.
Vi sono situazioni limite che, non potendo essere considerate nell'ambito della scriminante dello stato di necessità, devono essere tuttavia considerate ai fini della gradazione della pena. Mi riferisco all'ipotesi in cui il reato sia commesso per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio, in una situazione particolare nella quale era sensibilmente diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma. Vi sono situazioni in cui la parte che risulterà aver violato le norme penali, si è trovata in condizioni tali da non essere scriminate, che sono tuttavia degne di essere prese in considerazione al fine di concedere una diminuzione della pena.
Credo che ciò sia doveroso in un momento in cui, con la legittima difesa, si è voluto dislocare la posizione dell'autore di un fatto illecito in un'area da considerarsi, a nostro avviso, assai pericolosa per la lesione di interessi primari protetti. In questo caso chiediamo semplicemente che si prenda in considerazione qualcosa che è degno di rispetto: l'aver agito il soggetto in una condizione di forte turbamento, in cui è diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma.
Il successivo emendamento è ancora più delicato e invito la maggioranza a prenderlo in considerazione. Nel nostro codice c'è un principio fondamentale per cui l'atto illecito resta tale anche se compiuto sulla base di un ordine emesso dall'autorità gerarchicamente superiore oppure da chi ha potere di dirigere all'interno di una organizzazione pubblica o privata. L'ordine, quindi, illegittimo non discrimina l'illegittimità dell'azione posta in essere da chi lo esegue e questo è un punto indiscutibilmente esatto.
Con l'emendamento 1.402 si chiede soltanto di inserire un'attenuante rispetto alla gravità del fatto commesso da chi ha posto in essere un comportamento considerato dalla legge reato perché indotto da persona alla cui autorità soggiace o l'avere commesso il reato, appunto, nell'ambito di una prestazione lavorativa subordinata perché fortemente condizionato dalle disposizioni impartite da un suo superiore. Non si può ritenere irrilevante lo stato di soggezione o comunque di condizionamento in cui si trova il subordinato gerarchico o il dipendente rispetto al datore di lavoro.
Ed ecco, quindi, l'opportunità di prendere in considerazione queste due situazioni con gli emendamenti 1.401 e 1.402, che affido alla sensibilità della maggioranza.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, torno anch'io sulla previsione, per certi versi sorprendente, di cui all'articolo 1 del disegno di legge in esame, in forza della quale nasce un'attenuante legata (cito testualmente, perché talvolta nulla è più chiaro del testo di una norma) all'essere «persona che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età». Ebbene, rilevo un primo dato: una norma del genere non era mai stata prevista nel nostro ordinamento, nel nostro codice penale. Francamente, non so se in altri ordinamenti sia prevista una cosa simile (lo ignoro), ma mi pare difficile che possa essere rinvenuta, almeno per quanto riguarda i Paesi europei.
In data 13 luglio 2005 il Parlamento può decidere (non è detto, infatti, che lo faccia) di legare al compimento dei settant'anni - questo fatto indubbiamente è oggettivo: nulla è più cogente dell'anagrafe - una riduzione di pena tout court. Sostengo che tutto questo è anche antistorico, perché al legislatore del codice penale (ricordiamoci che il nostro codice ha superato i settant'anni di età, strana coincidenza), agli inizi degli anni Trenta, una cosa del genere non venne in mente a nessuno.
Nel frattempo, dati statistici alla mano (è un'osservazione che mi pare nessuno abbia mai fatto, ma credo sia utile per la riflessione dei colleghi), per nostra somma fortuna - nostra, nel senso di tutti - c'è stato un importante allungamento medio della vita. Vale a dire che l'allungamento medio della vita, rispetto a settantaquattro anni fa (data in cui venne concepito l'attuale codice penale), è di circa il 30 per cento.
Qual è il criterio di ragionevolezza per cui si supera la previsione Rocco (cito il Padre del codice penale italiano: va bene che eravamo in epoca fascista, ma questo non mi impedisce di riconoscere il fatto che Rocco fosse un grande giurista e che il nostro codice penale meriti indubbiamente assoluto rispetto, anche se poi, naturalmente, i tempi ne imporranno una revisione)? Noi arriviamo dove Rocco non pensava di arrivare, ma nel frattempo la vita media (ripeto, per nostra somma fortuna) si è allungata almeno del 30 per cento. Questo è il primo dato di irragionevolezza assoluta.
Non c'è dubbio, poi, che sia un equivoco ritenere che questa previsione sia legata a ragioni umanitarie, perché nel nostro ordinamento esistono almeno due norme che tengono conto, in ordine all'esecuzione della pena, dell'età avanzata.
Per informazione dei colleghi, ricordo l'articolo 275 del codice di procedura penale e l'articolo 47-quater dell'Ordinamento penitenziario. Quindi, diciamo che l'aspetto umanitario è già salvaguardato dal nostro ordinamento. Non c'è dubbio, perciò, che questa attenuante è legata ad un problema di imputabilità, cioè quasi un pendant con quella prevista per la minore età.
Questa mattina, signor Presidente, mi sono premurato di guardare l'elenco dei senatori della Repubblica di questa legislatura (tolti i senatori a vita, naturalmente, alcuni dei quali hanno delle età ragguardevoli: penso al Premio Nobel Rita Levi Montalcini, nata nel 1909, come ho visto stamattina; ma lasciamo perdere i senatori a vita, che hanno una legittimazione diversa da noi che siamo eletti) e ho trovato che ci sono 22 dei nostri colleghi, più o meno equamente distribuiti tra maggioranza ed opposizione, che hanno dai settant'anni in su. Io farei qualche nome ed inviterei - lo dico senza nessuno spirito polemico, senza nessuna voglia provocatoria - ad esempio il senatore Debenedetti, il senatore Delogu, il presidente Fisichella, il senatore Iannuzzi, il senatore Zavoli, i senatori Monticone, Ragno o Rizzi ad alzarsi e a dirci se ritengono di possedere una capacità di intendere e di volere minorata. Ce lo dicano!
Io lo escludo. Ho raggiunto il traguardo della minorata capacità di intendere e di volere a sessant'anni anni, ma è un fatto personale che riguarda me e non possiamo tradurlo in un parametro oggettivo. (Ilarità). Mi rivolgo a questi 22 colleghi: ci volete dire se vi ritenete titolari di una capacità di intendere e di volere minorata? Voi non lo verificherete mai, non sarete mai sottoposti a processo, siete dei galantuomini e quindi il problema dell'applicazione di questa attenuante per voi non si porrà mai. Ma il principio che la ispira dà una presunzione assoluta e non contestabile che chi ha settant'anni abbia una minore capacità di intendere e di volere.
State votando questa roba! Vi apprestate a votare questa incredibile previsione normativa! Senza dire poi (perché l'irragionevolezza, che è l'humus di cui si alimenta l'intero disegno di legge, in questa norma raggiunge un livello ancora più incredibile) che l'ultrasettantenne incensurato avrà elargita di diritto un'attenuante, mentre l'ultrasettantenne che magari quarant'anni fa commise un reatucolo di non particolare allarme sociale, che però in forza di quel precedente sarà dichiarato recidivo, non solo non fruirà di quell'attenuante, ma si troverà con una pena aggravata. E lo spazio di normalità sanzionatoria, dov'è? A parità di età, una pena diminuita; a parità di età, una pena aggravata!
Non c'è spazio di normalità in questa norma, come non c'è in tutto il disegno di legge, perché - qualcuno mi fa pensare all'elogio della follia - questo è l'elogio dell'incompetenza ed è - lo devo dire per l'ennesima volta - l'ulteriore spunto che mi ha fatto superare la mia contrarietà al bicameralismo perfetto, che indubbiamente comporta un appesantimento nei lavori parlamentari. Sono tornato ad essere favorevole al bicameralismo perfetto perché quello che ci arriva dalla Camera dei deputati (mi riferisco al tema della giustizia soltanto, perché di quello mi occupo) è tale che meno male che ci siamo noi! Però, diamo un senso a questo «meno male che ci siamo noi»; quello che si può rimediare, rimediamolo. Non ci facciamo ridere dietro!
Sull'argomento gradirei intervenisse, o dalla maggioranza o dall'opposizione, qualcuno degli illustri colleghi, tutti autorevoli, che hanno già raggiunto o superato i settant'anni. Ce lo dicano loro se questa norma ha un senso o no! (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Crema, Dalla Chiesa, De Zulueta e Togni).
PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Mi rimetto all'Assemblea su tutti gli emendamenti presentati all'articolo 1.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.1, identico agli emendamenti 1.2 e 1.3.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 12,18, è ripresa alle ore 12,38).
Ripresa della discussione dei disegni di legge
PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
Passiamo nuovamente alla votazione dell'emendamento 1.1, identico agli emendamenti 1.2 e 1.3.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Data l'ora, rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
DISEGNI DI LEGGE DISCUSSI AI SENSI DELL'ARTICOLO 44, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO
Nuova disciplina della prescrizione del reato (260)
Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata" del processo (2699)
Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (2784)
(*) Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (3247)
________________
(*) Testo preso a base dall'Assemblea
ORDINI DEL GIORNO
G1
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Respinto
Il Senato,
premesso che:
il nuovo testo recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi e di termini di prescrizione del reato, per quanto emerso sin qui dai lavori parlamentari, trova la sua ispirazione di fondo nella condivisibile esigenza di fronteggiare adeguatamente ed efficacemente il pericoloso incremento delle attività criminali su tutto il territorio nazionale, minando alla radice le esigenze di sicurezza della convivenza sociale;
le misure previste comporteranno inevitabilmente un aggravamento delle sanzioni penali la cui applicazione risulterà concretamente disancorata da una esaustiva e generalizzata valutazione da parte del giudice, così correndo il rischio di non consentire pienamente al giudice la possibilità di valutare tutti gli elementi necessari per la determinazione in concreto della pena da infliggere, con più che evidenti profili di incostituzionalità;
il prefigurato aumento delle pene, anche a seguito del più che prevedibile depotenziamento delle misure deflattive e della riduzione delle potenzialità proprie della così detta legge Gozzini, avrà come inevitabile conseguenza quella di un sensibile incremento della popolazione carceraria, che laddove non supportata dall’adozione di adeguate misure atte a fronteggiare il prevedibile affollamento degli istituti penitenziari, produrrà una inaccettabile lesione del fondamentale principio della funzione rieducativa della pena,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il possibile aumento della popolazione carceraria anche attraverso il potenziamento degli organici del personale di custodia e di supporto allo scopo di assicurare dignitose condizioni di reclusione in coerenza con il principio della funzione rieducativa della pena, avendo particolare riguardo a quelle realtà territoriali dove si registrano più alti livelli di criminalità.
G2
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Respinto
Il Senato,
premesso che:
l’approvazione senza modifiche del disegno di legge recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi e di termini di prescrizione del reato comporterà un probabile aggravamento delle sanzioni penali, la cui applicazione risulterà concretamente disancorata da una esaustiva e generalizzata valutazione da parte del giudice, così correndo il rischio di non consentire pienamente allo stesso la possibilità di valutare tutti gli elementi necessari per la determinazione in concreto della pena da infliggere, con più che evidenti profili di incostituzionalità;
che il prefigurato aumento delle pene, anche a seguito del più che prevedibile depotenziamento delle misure deflattive e della riduzione delle potenzialità proprie della così detta legge Gozzini, avrà come inevitabile conseguenza quella di un sensibile incremento della popolazione carceraria, che laddove non supportata dall’adozione di adeguate misure atte a fronteggiare il prevedibile affollamento degli istituti penitenziari, produrrà una inaccettabile lesione del fondamentale principio della funzione rieducativa della pena,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il possibile aumento della popolazione carceraria attraverso l’individuazione delle risorse finanziarie finalizzate al conseguente potenziamento e miglioramento delle strutture carcerarie allo scopo di assicurare dignitose condizioni di reclusione in coerenza con il principio della funzione rieducativa della pena.
G3
MARITATI, CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI
Non posto in votazione (*)
Il Senato,
considerato che:
l’Assemblea è impegnata nell’esame del disegno di legge n. 3247 recante «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi» con il quale, tra gli altri interventi, si reca un consistente inasprimento degli aumenti di pena previsti dal codice penale in caso di recidiva;
che attualmente la disciplina dettata dall’articolo 99 del codice penale è, di fatto, resa meno efficace dal ritardo con il quale gli uffici provvedono all’aggiornamento del casellario giudiziale, nel quale molto spesso sono assenti notizie relative a condanne definitive già inflitte o a carichi pendenti;
che l’inadeguatezza delle risorse stanziate per l’amministrazione della giustizia – che colpisce inevitabilmente anche gli uffici preposti a tale indispensabile compito – oltre a vanificare le attuali previsioni di legge, rischia di vanificare anche l’approvazione delle modifiche alla disciplina della recidiva contenute nel disegno di legge all’esame dell’Assemblea,
impegna il Governo
a stanziare le necessarie risorse economiche e strumentali e a predisporre le opportune modifiche al testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti al fine di rendere tempestivo l’aggiornamento delle iscrizioni nel casellario giudiziale.
________________
(*) Accolto dal Governo come raccomandazione
G4 (testo 2)
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Non posto in votazione (*)
Il Senato,
premesso che:
l’efficacia dell’inasprimento delle norme connesse al fenomeno della recidiva è strettamente collegato alla conoscenza e conoscibilità della «storia giudiziaria personale» di ogni cittadino;
che risulta al contrario che per problemi legati a carenza di personale e di risorse finanziarie l’aggiornamento dei dati viene effettuato con un ritardo di circa cinque anni,
impegna il Governo
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici del personale amministrativo della giustizia, compatibilmente con i vincoli imposti dalle leggi finanziarie.
________________
(*) Accolto dal Governo come raccomandazione con l'integrazione evidenziata
G5
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Ritirato
Il Senato,
premesso che:
dopo oltre 40 anni solo grazie ad una difficoltosa e meritoria azione istruttoria delle procure militari – in particolare di quella di La Spezia – è stata svelata l’esistenza di fascicoli riguardanti i gravissimi crimini perpetrati all’indomani dell’8 settembre 1943 da appartenenti all’esercito tedesco, alle SS, alla Guardia Nazionale Repubblicana e alle «Camicie Nere». Finalmente gli eccidi di Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Civitella, San Pancrazio e Cebeno di Carpi potranno trovare la risposta che meritano da parte dello Stato e i responsabili, per lo meno coloro che ancora sono in vita, la giusta punizione. Al tempo stesso risultano attualmente in fase di indagine preliminare numerosi altri procedimenti per eccidi, omicidi, stragi e violenze inaudite compiute ai danni di appartenenti alle forze armate italiane che non aderirono a «Salò» nonché appartenenti all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, oltre che sacerdoti, donne, bambini e anziani, vittime delle «foibe».
Considerato che:
con il disegno di legge A.S. 3247 attualmente all’esame del Senato, si prevede di ridurre il termine temporale di prescrizione, attualmente fissato dall’articolo 157 del Codice Penale e che la sua approvazione, rispetto ai crimini citati, vanificherebbe ogni sforzo in corso per recare almeno a parte delle 15/20 mila vittime delle stragi nazifasciste compiute in Italia dal ’43 al ’45, quella giustizia che già fu colpevolmente impedita con l’occultamento dell’«armadio della vergogna» e di fascicoli «archiviati provvisoriamente» nel 1960 e riscoperti fortunosamente e che con ciò verrebbero mortificate e per sempre deluse le attese di verità e giustizia riaccese dopo decenni,
impegna il Governo:
a predisporre le opportune proposte emendative affinché sia evitata la prescrizione di reati gravissimi come quelli appena richiamati.
G6
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Respinto
Il Senato,
premesso che:
le modifiche contenute nell’Atto Senato 3247 con specifico riferimento alla contrazione dei termini di prescrizione del reato, produrranno come inevitabile effetto quello di una sostanziale rinuncia da parte dello Stato all’esercizio della funzione punitiva, contraddicendo in tal modo le professate esigenze di garantire più efficacemente la sicurezza dei cittadini ed il contrasto alle attività criminogene;
che la condivisa esigenza di pervenire a tempestive definizioni dei procedimenti penali, in assenza della predisposizione di adeguati supporti finanziari, strumentali e di personale resterà, come fino ad oggi accaduto, lettera morta con la fin troppo prevedibile conseguenza che si produrrà uno smisurato ed inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione favorendo in tal modo il diffondersi di una cultura dell’impunità, che produrrà il pericoloso ulteriore deterioramento del principio di legalità con conseguente mortificazione del sentimento di sicurezza dei cittadini,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti negli organici della magistratura con funzioni giudicante e requirente, avendo particolare riguardo alle aree interessate dal fenomeno della criminalità organizzata riconducibile alla sacra corona unita.
G7
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Respinto
Il Senato,
premesso che:
la modifica proposta con l’Atto Senato 3247 alle norme sulla prescrizione dei reati comporterà un innalzamento dei termini di prescrizione per i reati meno gravi ed una riduzione di quelli per i reati più gravi,
impegna il Governo;
ad adottare tutte le misure necessarie in termini di risorse finanziarie per garantire che la polizia giudiziaria sia posta nelle condizioni di poter assolvere alle proprie funzioni nell’ambito dell’attività di indagine con tempestività ed efficacia, al fine di arginare il rischio del prodursi della prescrizione dei reati più gravi.
G8
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI
Respinto
Il Senato,
premesso che:
la condivisa esigenza di pervenire a tempestive definizioni dei procedimenti penali, in assenza della predisposizione di adeguati supporti finanziari, strumentali e di personale resterà, come fino ad oggi accaduto, lettera morta con la fin troppo prevedibile conseguenza che si produrrà uno smisurato ed inaccettabile incremento dei casi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, favorendo in tal modo il diffondersi di una cultura dell’impunità, che produrrà il pericoloso ulteriore deterioramento del principio di legalità con conseguente mortificazione del sentimento di sicurezza dei cittadini,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure necessarie atte a garantire che il personale amministrativo della giustizia sia posto nelle condizioni di poter assolvere alle proprie funzioni, anche al fine di contribuire ad arginare il rischio del prodursi della prescrizione dei reati.
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3247 NEL TESTO APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
ART. 1.
1. All’articolo 62 del codice penale, dopo il numero 6), è aggiunto il seguente:
«6-bis) l’essere persona che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99».
EMENDAMENTI
1.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Sopprimere l’articolo.
1.2
FASSONE, CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Sopprimere l’articolo.
1.3
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Sopprimere l’articolo.
1.400
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Sostituire l’articolo 1 con il seguente:
«Art. 1. – L’articolo 62 del codice penale è sostituito dal seguente:
"Art. 62. - (Circostanze attenuanti). – Sono circostanze attenuanti comuni, salvo che la legge disponga diversamente:
a)l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
b)l’avere reagito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui;
c)l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato o tentato di cagionare un danno di particolare tenuità;
d)l’avere commesso il reato perchè indotto da persona alla cui autorità l’autore del reato era sottoposto, o l’avere, nell’esercizio di una prestazione lavorativa subordinata, commesso il reato perchè condizionato da disposizioni impartite da un superiore;
e)l’avere commesso il reato per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio, in una situazione particolare nella quale era sensibilmente diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma;
f)l’avere, prima del giudizio, risarcito integralmente il danno, o comunque l’essersi adoperato efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato"».
1.401
MARITATI, LEGNINI, FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis con il seguente:
«6-bis) L’avere commesso il reato per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio, in una situazione particolare nella quale era sensibilmente diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma;».
1.402
MARITATI, LEGNINI, FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis con il seguente:
«6-bis) L’avere commesso il reato perché indotto da persona alla cui autorità l’autore del reato era sottoposto, o l’avere, nell’esercizio di una prestazione lavorativa subordinata, commesso il reato perchè condizionato da disposizioni impartite da un superiore;».
1.403
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) L’aver commesso il fatto avendo non meno di settantacinque anni di età e senza trovarsi nelle condizioni di cui all’art. 99, al momento della sentenza».
1.405
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) Il possedere colui che ha commesso il fatto i seguenti requisiti:
a) età di settantacinque anni al momento della commissione del fatto;
b)non essere nelle condizioni di cui all’articolo 99 comma secondo c.p. al momento della sentenza».
1.407
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, sostituire capoverso 6-bis sostituire le parole da: «persona» fino alla fine del comma, con le seguenti: «soggetto che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settantacinque anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma c.p.».
1.408
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «al momento» fino alla fine del comma, con le seguenti: «abbia compiuto settantacinque anni di età al momento della commissione del fatto e che non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma al momento della sentenza».
1.404
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) Il non trovarsi, da parte del soggetto che ha commesso il fatto, nelle condizioni di cui all’art. 99 c.p. al momento della sentenza e il non avere, al momento della commissione del fatto, meno di settantasei anni di età».
1.406
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) godere, da parte di colui che ha commesso il fatto, di entrambi i seguenti requisiti:
a) il non trovarsi, al momento della sentenza nelle condizioni di cui all’articolo 99 al momento della sentenza;
b)l’avere non meno di settantaquattro anni al momento in cui ha commesso il fatto».
1.4
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, capoverso 6-bis), sopprimere le parole: «,al momento della commissione del fatto,».
1.409
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «della commissione» fino alla fine del comma, con le seguenti: «in cui il fatto è stato commesso, abbia compiuto settantaquattro anni di età e non rientri nelle condizioni di cui all’articolo 99 al momento della pronuncia della sentenza».
1.411
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso 6-bis), sopprimere le seguenti parole: «al momento della sentenza».
1.412
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «al momento della sentenza» fino alla fine del comma, con le seguenti: «non sia già stato dichiarato, ai sensi dell’articolo 99, recidivo».
1.410
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «settanta» fino alla fine del comma, con le seguenti: «settantacinque anni di età e non rientri nelle condizioni di cui all’articolo 99 comma secondo al momento della pronuncia della sentenza».
1.8
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole da: «settanta anni di età» fino: «all’art. 99» con: «settantacinque anni di età e non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma c.p.».
1.9
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole da: «settanta anni di età» fino: «all’art. 99» con le altre: «settantacinque anni di età».
1.300
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole: «compiuto settanta» con le seguenti: «non meno di ottanta».
1.5
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Sostituire la parola: «settanta» con la seguente: «ottanta».
1.6
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole: «settanta anni» con le seguenti: «settantadue anni».
1.7
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole: «settanta anni» con le seguenti: «sessantacinque anni».
1.301
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, capoverso «6-bis)», sostituire le parole: «compiuto settanta», con le seguenti: «più di settantacinque».
1.10
CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, capoverso 6-bis), alla parola: «sentenza» sono premesse le parole: «pronuncia della».
1.11
CALVI, FASSONE, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, capoverso 6-bis), le parole: «non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99» sono sostituite dalle seguenti: «non sia già stato dichiarato recidivo ai sensi dell’articolo 99».
1.302
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sostituire le parole: «si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «sia recidivo».
1.303
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sostituire le parole: «nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «nella condizione di recidivo».
1.304
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sostituire le parole: «nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «sia stato già condannato per un altro reato».
1.413
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso «6-bis)», aggiungere, in fine, le seguenti parole: «primo e secondo comma».
1.414
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Al comma 1, capoverso «6-bis)», aggiungere, in fine, le seguenti parole: «comma secondo».
EMENDAMENTO TENDENTE AD INSERIRE UN ARTICOLO AGGIUNTIVO DOPO L'ARTICOLO 1
1.0.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Dopo l’articolo 1, inserire il seguente:
«Art. 1-bis.
Al primo comma, n.4) dell’articolo 112 del codice penale dopo le parole: "deficienza psichica" aggiungere le seguenti: "o nelle condizioni di cui all’articolo 62 n.6-bis del codice penale"».
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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842a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MERCOLEDI' 13 LUGLIO 2005 |
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Presidenza del vice presidente DINI, |
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (Approvato dalla Camera dei deputati)
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di «ragionevole durata» del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (ore 16,37)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 3247, già approvato dalla Camera dei deputati, 260, 2699 e 2784.
Riprendiamo l'esame degli articoli del disegno di legge n. 3247.
Ricordo che nella seduta antimeridiana ha avuto luogo l'illustrazione degli emendamenti presentati all'articolo 1 ed il rappresentante del Governo si è rimesso all'Assemblea.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.1, identico agli emendamenti 1.2 e 1.3.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE.Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 16,40, è ripresa alle ore 17,03).
Ripresa della discussione dei disegni di legge
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.1, identico agli emendamenti 1.2 e 1.3.
BOBBIO Luigi (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, colgo l'occasione per rappresentare all'Assemblea e prendere tutti insieme atto di una serie di fatti pregressi ed attuali che ci portano, a mio avviso, ad una constatazione in ordine alla sostanziale inutilità addirittura che si proceda al voto degli emendamenti soppressivi l'articolo 1.
Brevemente ma in maniera spero compiuta, vorrei ripercorrere con lei, signor Presidente, e con i colleghi, un passaggio verificatosi alla Camera dei deputati in relazione all'attuale articolo 1 del disegno di legge, in tema di circostanze attenuanti generiche, che aggiunge all'articolo 62 del codice penale, il numero 6-bis, mancante nel testo originario del disegno di legge. Quest'ultimo viene aggiunto con un emendamento che, accompagnato da dichiarazioni di voto di larga adesione, seppur in alcuni casi poste a sostegno di dichiarazioni di astensione da parte di alcuni Gruppi, al momento del voto ha visto - leggo per chiarezza assieme a tutti voi - una presenza di 488 deputati; 466 votanti, 22 astenuti, una maggioranza prevista di 234 e ben 443 voti favorevoli al testo che voi oggi volete sopprimere.
AYALA (DS-U). La Camera è un disastro, è una catastrofe!
BOBBIO Luigi (AN). Ciò che intendo, in primo luogo, chiedere al Parlamento tutto e agli italiani, ovviamente come interrogativo retorico, è se fra questi 443 voti favorevoli non vi fosse un gran numero di colleghi dell'opposizione del centro-sinistra e se questa è la coerenza di linea politica dei colleghi dell'opposizione che dimostrano di non avere una linea politica, visto che alla Camera hanno contribuito in maniera determinante ad introdurre questo articolo ed oggi al Senato fanno battaglia per modificarlo… (Commenti dei senatori Ayala e Calvi).
Detto questo, preso atto che i colleghi del centro-sinistra dimostrano - gliene siamo grati perché ci danno una mano nel mostrare la verità delle cose - di non avere una vera linea politica, ma di muoversi soltanto in spirito di mera contrapposizione…
CALVI (DS-U). Stai facendo un comizio! (Commenti della senatrice Pagano).
BOBBIO Luigi (AN). ...senza badare alla sostanza dei problemi, prendiamo altresì atto che a questa situazione si aggiungono altri due aspetti non meno rilevanti.
Abbiamo, infatti, ben due emendamenti modificativi, a fronte di quelli soppressivi dell'intero articolo. Mi riferisco, in particolare all'emendamento 1.4, di cui è primo firmatario il senatore Calvi, che è un emendamento addirittura peggiorativo del testo attuale, perché non solo ne prevede il mantenimento, ma propone la soppressione della previsione di aver compiuto settanta anni "al momento della commissione del fatto"; abbiamo poi un altro emendamento dell'opposizione, l'emendamento 1.409 del senatore Zancan, che prevede semplicemente che il fatto sia stato commesso da chi abbia compiuto settantaquattro anni di età …
ZANCAN (Verdi-Un). L'ho ritirato!
PRESIDENTE. L'emendamento 1.409 è stato ritirato.
BOBBIO Luigi (AN). Ne prendiamo atto, signor Presidente. probabilmente qualcuno si è reso conto che l'incoerenza politica doveva trovare un limite e una fine per non avere momenti …
PAGANO (DS-U). Bobbio, il comizio lo fai nel tuo collegio! (Brusìo in Aula).
PRESIDENTE. Se qualche senatore del centro-sinistra vorrà poi intervenire in dichiarazione di voto ne avrà facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Nel prendere atto di una situazione di enorme incoerenza e di gigantesca confusione e strumentalizzazione da parte del centro-sinistra su questa materia, che con l'interesse degli italiani mi sembra abbia ben poco a che vedere, noi oggi constatiamo che si prospetta un altro scenario. Uno scenario in cui i colleghi di Forza Italia, se non anche altri colleghi di questa maggioranza, voterebbero a favore dell'emendamento soppressivo che con grande coerenza - ripeto - l'opposizione presenta oggi in quest'Aula all'articolo 1.
Noi ci rendiamo conto come partito, come Alleanza Nazionale, che lo scenario in quanto tale sta subendo delle modificazioni, delle quali peraltro diventa sempre più difficile comprendere le reali connotazioni politiche. Non c'è dubbio, infatti, che il testo dell'articolo 1, così come è strutturato e quale oggi ci troviamo a valutare, da un lato, sembra costituire - e manteniamo la nostra valutazione in termini politici - un utile e necessario contrappeso a situazioni di inasprimento presenti in altra parte del testo; dall'altro lato, ci rendiamo conto, e confermiamo, che tale testo, così come viene oggi all'esame dell'Aula del Senato, è e resta un testo sostanzialmente innocuo, sia dal punto di vista della ricaduta sull'annoso tema della prescrizione, sia dal punto di vista generale della tenuta del sistema, considerato che continua a trattarsi di un'ipotesi di attenuante generica rimessa pur sempre alla discrezionalità del magistrato, in relazione soprattutto a quella che è la tematica generale del giudizio di equivalenza e prevalenza fra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti.
Da ultimo, vorrei evidenziare, sempre nel prendere atto di questo repentino, inopinato e sostanzialmente immotivato, almeno preannunciato, mutamento di scenario, che, in relazione alla tematica dell'articolo 1 chi ritiene che lo stesso possa sollevare scandalo (senza mai seriamente essere riuscito a motivarne il perché sempre peraltro di fronte a quel voto della Camera), e lo fa rilanciando o continuando a relazionarsi al tema dei termini della prescrizione, avrebbe forse dovuto meglio valutare, a pagina 60 del fascicolo degli emendamenti, l'emendamento 6.210, a firma mia e del senatore Salerno.
Esso, infatti, in relazione all'articolo 157, introducendo delle variazioni di previsione garantirebbe, se pure fosse rimasto un benché minimo dubbio circa la possibilità di interazione tra questo articolo, la sua previsione e la tematica generale dei termini di prescrizione, assoluta tranquillità circa l'inesistenza di questi pericoli e di queste eventuali ricadute negative. Questo perchè, con grande chiarezza, questo emendamento, che non ho difficoltà a ritenere che quest'Aula possa, quando arriveremo a trattarlo, valutare serenamente ed approvare, va a ridisegnare in maniera parziale, ma a mio giudizio certamente sufficiente ed adeguata, proprio quel meccanismo di interazione reciproca e di valutazione coordinata fra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti, che lascia del tutto e definitivamente tranquilli anche sotto questo eventuale, residuale e marginale aspetto.
Quindi, per ricapitolare e concludendo la dichiarazione di voto su questi emendamenti, prendo atto, insieme al Gruppo che in questo momento mi onoro di rappresentare, del fatto che c'è un mutamento generale, immotivato, incoerente e incompatibile con quanto verificatosi alla Camera dei deputati in relazione a questo testo, mutamento al quale noi, pur non comprendendolo, in qualche maniera ci adeguiamo.
Alleanza Nazionale, fermi restando tutti gli aspetti che mio tramite ha cercato di illustrare in questi pochi minuti, non avrà altra scelta - ma lo dice con grande chiarezza - che adeguarsi a quelle che saranno, da qui a poco, le prese di posizione che l'Assemblea vorrà adottare. (Applausi dai Gruppi AN e FI. Congratulazioni).
CENTARO (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CENTARO (FI). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, Forza Italia voterà a favore degli emendamenti 1.1, 1.2 e 1.3, soppressivi dell'articolo 1, a dimostrazione - se ve ne fosse la necessità - che queste leggi non sono fatte per salvare alcuno. (Commenti ironici dai banchi dell'opposizione). Se così non fosse, sarebbe stato facile votare l'emendamento 1.4, che certamente avrebbe riportato questa legge in quell'alveo che già era stato seguìto nella scorsa legislatura con la riforma dell'abuso d'ufficio, che ha salvato - lo sappiamo tutti - leader del centro-sinistra dell'epoca.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Non è vero. (Repliche dai banchi del Gruppo LP).
CENTARO (FI). Senatore Cavallaro, basta chiederselo in latino. (Reiterati commenti del senatore Cavallaro. Repliche dai banchi del Gruppo LP. Richiami del Presidente).
PRESIDENTE. Prego di non interrompere. Senatore Cavallaro, la prego.
CENTARO (FI). La verità è che, a fronte di un emendamento che veniva introdotto su richiesta della minoranza alla Camera e che introduceva una disparità di trattamento, per certi versi, nei confronti dei settantenni, ma che rispondeva, in realtà, a ragioni di riequilibrio rispetto alla maggiore severità adottata sotto il profilo delle recidive, si è accesa una polemica che non aveva ragione di essere. Infatti, è a tutti evidente che i personaggi eccellenti che sono stati evocati in quest'Aula ma anche alla Camera, eventualmente questi fatti li hanno commessi ben prima del compimento del settantesimo anno di età. Questo taglia assolutamente la testa al toro su tutte le polemiche, le dicerie e sulla facile demagogia che è stata fatta su questo primo articolo.
Verificheremo poi la tenuta della minoranza anche sotto il profilo della capacità e della volontà di combattere seriamente la delinquenza che affligge Napoli, e non solo, sulle problematiche relative alla recidiva e su quelle relative a quegli inasprimenti di pena che riguardano l'articolo 416-bis, riguardo al quale in Commissione ho sentito levarsi voci contrarie agli aumenti di pena, che escludono la possibilità del patteggiamento semplice per quel reato così come per tanti altri.
Sgombrato dunque il campo da questa forma di opposizione assolutamente demagogica e dimostrato che è vero che tra Camera e Senato non vi è ponte (no bridge, dicono gli inglesi, tra i due rami del Parlamento), è però altrettanto vero che coerenza vorrebbe anche una linea univoca da parte della maggioranza e da parte della minoranza e non certamente qualcosa di assolutamente differente, con un battage che sconfessa l'atteggiamento posto in essere dalla minoranza nell'un ramo del Parlamento e che si basa su situazioni infondate nel modo più assoluto.
Peraltro, si evitano anche eventuali problematiche attinenti a vizi di illegittimità costituzionale per eventuali disparità di trattamento. Si riporta la questione, in termini di assoluta coerenza, verso una maggiore certezza della pena e una maggiore severità, ma anche verso la necessità che il processo non duri tempi indefiniti, fatta eccezione per i reati più gravi. Mi riferisco, e lo vedremo con i successivi emendamenti, ai reati di mafia e di terrorismo per i quali è necessario un binario diverso per la lunghezza delle indagini e per i maggiori approfondimenti richiesti. (Applausi dal Gruppo FI).
CALLEGARO (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALLEGARO (UDC). Signor Presidente, abbiamo sempre affrontato l'esame dei disegni di legge con molto buon senso, cercando di approfondire l'argomento e di esprimerci sull'utilità o meno delle norme in discussione nei confronti di tutti i cittadini italiani.
Certamente quanto ha detto il collega Bobbio lascia stupefatti o quantomeno interdetti. La battaglia dei colleghi dell'opposizione contro questo articolo ha poi rivelato che in realtà alla Camera lo hanno votato anche loro e, come è stato richiamato dal collega Centaro, nell'emendamento 1.4, presentato dai Democratici di Sinistra, si chiedeva la soppressione delle parole: «al momento della commissione del fatto», cioè la soppressione del riferimento all'attenuante dell'età oltre i settant'anni: ciò vuol dire che si sarebbe dovuta considerare l'età al momento della sentenza, che magari viene pronunciata dieci anni dopo mentre il fatto è stato commesso quando l'interessato ne aveva sessantuno?
Sinceramente non posso sottacere che l'opposizione feroce del centro-sinistra sia meramente strumentale: poiché il testo dice questo, bisogna assolutamente essere contrari. Noi invece abbiamo considerato il fatto che questo articolo, da un punto di vista obiettivo e strettamente giuridico, era al di fuori di ogni buon senso. Come si fa a stabilire un'attenuante per coloro che hanno compiuto i settant'anni?
Li dobbiamo forse paragonare a chi è incapace di intendere e di volere perché minore? Dobbiamo ritenere che uno di settant'anni sia incapace di intendere e di volere quando invece il limite di età per i magistrati è stato portato a settantacinque anni?
Il discorso è un altro. Avrei capito se si fosse detto che occorreva avere riguardo ad una affievolita capacità del soggetto a causa dell'età, che comporta gli acciacchi che tutti conosciamo, agendo sul momento di esecuzione della pena e non su quello anteriore di accertamento del reato e della pena. Una persona di 73-75 anni, anziché scontare la pena in carcere, potrebbe scontarla agli arresti domiciliari; questo lo avrei capito, ma non comprendo il fatto che una persona di settant'anni debba godere, solo per motivi di età, di un'attenuante di questo tipo.
Pertanto, al di là di ogni strumentazione e di ogni argomento di contrapposizione e a seguito di un esame approfondito della norma, riteniamo di votare a favore dell'emendamento soppressivo dell'articolo 1. (Applausi dal Gruppo UDC).
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 1.1, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori, identico agli emendamenti 1.2, presentato dal senatore Fassone e da altri senatori, e 1.3, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
E' approvato.
STIFFONI (LP). Chiediamo la controprova.
PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.
È approvato.
Sono pertanto preclusi tutti i restanti emendamenti presentati all'articolo 1, ad eccezione di quelli ritirati dal senatore Zancan, nonché l'emendamento 1.0.1.
Passiamo all'articolo 2, su cui sono stati presentati alcuni emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, illustrerò soltanto l'emendamento 2.1, soppressivo dell'articolo 2, nell'attesa di un'adesione di Forza Italia o di quella, obtorto collo, di Alleanza Nazionale; con le loro adesioni hanno superato qualsiasi discorso causidico di un avvocato privo di argomenti.
Scusate se lo dico, ma ne ho sentiti tanti parlare di avvocati privi di argomenti. Non è possibile che abbiate la faccia di sostenere che l'emendamento soppressivo approvato all'unanimità sia merito vostro. Questo è prendere in giro il Parlamento e il popolo italiano, tanto per dire le cose come stanno! (Applausi dai Gruppi Verdi-Un, Mar-DL-U e DS-U. Commenti dai Gruppi AN, FI, LP e UDC).
PRESIDENTE. Senatore Zancan, la prego, non ecciti gli animi e prosegua il suo intervento. (Brusìo in Aula).
ZANCAN (Verdi-Un). Allora, siccome a me interessa vincere per non far passare norme di sovrana inciviltà, illustrerò il mio emendamento soppressivo dell'articolo 2 e attenderò poi con piacere le contorsioni di Forza Italia e di Alleanza Nazionale.
VOCE DAI BANCHI DEL GRUPPO LP. Ha aderito anche la Lega!
ZANCAN (Verdi-Un). Poverina, è stata travolta dal raglio di questi due raggruppamenti, non ha neanche parlato; comunque, se aderite anche voi, sono contento ancora di più.
VOCE DAI BANCHI DEL GRUPPO LP. Grazie!
ZANCAN (Verdi-Un). Perché dunque un emendamento soppressivo dell'articolo 2? Perché tale norma limita la possibilità d'incidere delle attenuanti relative alla persona dell'imputato, compiendo un'operazione dissennata rispetto al buon esito processuale.
Tra i comportamenti che attengono alla personalità del giudicabile rientrano anche quelli successivi, come - per esempio - riparare parzialmente il danno, collaborare con le indagini ed attivarsi perché vengano attenuate le conseguenze del reato. Sono tutti comportamenti che, anziché non essere tenuti in conto, dovrebbero invece essere incentivati, spronati, valutati per la riparazione del danno.
Se fate una norma di chiusura in cui tutto questo non viene conteggiato, emanate - per carità! - una norma che si raccomanda per l'apparente fiscalità, ma che non è di sostanziale giustizia. Non fate gli interessi della parte lesa del processo - la benedetta e sempre citata, ma mai onorata e rispettata Cenerentola - non consentendo il recupero del danno, non consentendo di ottenere i nominativi dei complici e quindi di riparare il danno, non cercando di chiudere il vulnus che si è aperto nel corpo sociale e, quindi, non facendo un'opera idonea, dopo la commissione del reato, per cercare di recuperare il reato stesso.
Per queste ragioni di chiusura formale, chiedo di accogliere per la seconda volta - e mi rivolgo in particolare alla maggioranza - un emendamento soppressivo, quello riferito all'articolo 2.
CALVI (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, le attenuanti generiche - come alcuni di voi certamente ricordano - furono introdotte in quanto il codice del 1930 prevedeva pene estremamente alte, per cui si consentì che fossero diminuite e, successivamente, che vi fosse la comparazione tra aggravanti e attenuanti ai fini di un'equa concessione di pena, adeguata al fatto commesso.
Questo meccanismo non funziona più. Se qualcuno di voi ha avuto cura di leggere la riforma del Libro primo del codice penale preparata dalla commissione Grosso, troverà che l'articolo 62-bis, ossia quello che concede le attenuanti generiche, è stato cancellato perché si va verso una ridefinizione delle pene in una forbice più ristretta.
Questa norma dunque non può essere certamente apprezzata, deve essere sicuramente riformata se non cancellata e per una ragione assai semplice: le attenuanti generiche non sono più concedibili allorquando vi sia una previsione di recidiva e questo determina - come dice l'articolo - l'inapplicabilità dell'articolo 133.
In sostanza, significa che quella norma che concede al giudice di valutare la personalità dell'imputato, l'intensità del dolo, la capacità di reiterare il reato e quindi di modulare la pena su questi elementi - il furto è un'entità astratta, ma bisogna vedere il perché, il come, in quali occasioni, la personalità dell'imputato per determinare una pena che può andare da sette giorni a dodici anni - non è più applicabile. Questa è la ragione per la quale la norma di cui all'articolo 2 non può essere assolutamente contenuta in un disegno di legge ragionevole.
Tuttavia, signor Presidente, se me lo concede, vorrei svolgere solo due brevi osservazioni, rivolgendomi ai colleghi che sono poco fa intervenuti.
Al collega Bobbio vorrei ricordare che viviamo in un regime di bicameralismo perfetto. Non vedo ragione per cui il Senato, se anche la Camera ha votato questo articolo a grande maggioranza, non possa rileggere, ripensare e andare in direzione opposta. Spesso non è capitato, ma questo non è un argomento per dire che così ha deciso la Camera e quindi dobbiamo seguire quell'orientamento. Il sistema bicamerale è fondato proprio sul fatto che la rilettura può consentire modifiche e, addirittura, travolgimento di quanto deciso da un'altra Camera precedentemente.
Si tratta quindi un argomento specioso, come tutto il discorso di chiara natura comiziesca e politica che cercava di addebitare alla sinistra, quindi a noi, l'aver ragionato sull'assurdità di questa norma, tanto è vero che la sua soppressione è stata poi votata pressoché all'unanimità da quest'Aula.
Una seconda osservazione la devo fare al collega Callegaro, il quale continua a citare questo benedetto emendamento 1.4, firmato da alcuni di noi, secondo il quale, avendo eliminato l'espressione: «al momento della commissione del fatto», si potesse in qualche modo arguire che l'età in questione fosse dilatabile fino al momento della sentenza.
Collega Callegaro, lei fa l'avvocato e spero che abbia pratica di giustizia. Sa bene che se, per esempio, un minorenne commette un reato e il processo viene celebrato dieci anni dopo, non si procede dinanzi al tribunale ordinario, ma sempre dinanzi al tribunale dei minorenni, perché è l'età della commissione del fatto che determina la competenza. (Commenti del senatore Callegaro).
L'emendamento quindi serviva a eliminare dalla norma un'espressione pleonastica, tutto qua. Pertanto, è inutile cercare esempi di questo genere per giustificare un cambiamento di orientamento che abbiamo apprezzato. Avete capito che la norma contenuta nell'articolo 1 era sbagliata. Noi lo apprezziamo, perché avete ascoltato le nostre argomentazioni. Apprezziamo il fatto che abbiate cambiato orientamento rispetto a ciò che fu detto in Commissione e a quanto fu votato dai vostri e dai nostri colleghi della Camera in modo, secondo me, non opportuno.
Quindi, non troviamo argomentazioni così speciose e giuridicamente errate. Manteniamo fermo un orientamento rigido e rigoroso. Mi auguro che, così come abbiamo cancellato l'articolo 1, che era scandaloso nella sua assurda formulazione, si possa proseguire la discussione su questa legge con lo stesso clima, con la stessa intelligenza e con lo stesso equilibrio. (Applausi dal Gruppo DS-U).
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, vorrei proporre a lei e ai colleghi l'opportunità che vengano accolti gli emendamenti che abbiamo presentato all'articolo 2 e che sono in linea con il dibattito che c'è stato in Commissione.
Vorrei, infatti, ricordare che l'unica linea di coerenza che possiamo misurare rispetto al nostro impegno parlamentare, si costruisce sulle cose che sono state dichiarate e sulle posizioni che sono state assunte nel corso dell'iter parlamentare. Ci sono convinzioni che si sono formate alla lettura del testo, che sono state espresse in sede di dibattito in Commissione e che tornano attraverso gli emendamenti proposti in Aula.
Vorrei rispondere al rilievo che è stato avanzato precedentemente dal collega Bobbio. Nel momento in cui siamo in un sistema bicamerale, si pensa, a priori, che non possano esserci opinioni diverse su temi, anche delicati, in entrambe le Camere. Più volte mi sono sentito opporre, quando ero alla Camera, il voto del Senato, ora al Senato, il voto della Camera.
Ma questa è la fisiologia di una democrazia, nella quale è previsto che esistano due Camere, che esistano, vivaddio, anche persone e non soltanto partiti ai quali si dà il comando di votare in un certo modo; persone che hanno le loro convinzioni, che ragionano (bene o male che sia) con la propria testa e poi cercano, insieme ai colleghi dell'opposizione, di far maturare delle posizioni nella Camera di appartenenza.
Basta rileggersi gli atti parlamentari relativi alla discussione svolta in Commissione, per rendersi conto che non c'è nessuna incoerenza, né alcuna assenza di linea e che quindi noi stiamo ragionando tenendo conto degli stessi princìpi ai quali ci siamo richiamati nell'ambito del dibattito svolto in quella sede. Ovviamente siamo sempre pronti a prendere atto di proposte migliorative che vengano anche dalla maggioranza e siamo altresì disponibili a verificare se alcune argomentazioni siano più efficaci di quelle che siamo in grado di proporre.
Credo che la discussione in un Parlamento serio si possa impostare soltanto in questo modo, soltanto così. Non esiste, infatti, un principio di autorità di una Camera rispetto all'altra, bensì un procedimento di confronto nel quale ognuno legittimamente propone e sviluppa le proprie idee.
D'altra parte, a proposito di coerenza e incoerenza, abbiamo visto da parte di qualcuno svolgere una dichiarazione di voto contraria ad un emendamento per poi votare a favore dello stesso. Ebbene, a questi capolavori non siamo ancora arrivati e comunque anche di questi riconosco la legittimità.
Nel merito, gli emendamenti proposti all'articolo 2, hanno una duplice natura. Una parte di essi cerca di garantire una superiore armonia tra la previsione di circostanze attenuanti generiche e la concorrenza o il concorso di comportamenti che il nostro codice penale o il nostro codice di procedura penale considerano invece altamente sanzionabili. Mi pare che la stessa formulazione letterale che è stata utilizzata in questo caso dal legislatore non aiuti a trovare delle linee di armonia tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti.
Per questo motivo c'è una prima batteria di emendamenti che ha la funzione di garantire un equilibrio tra attenuanti e aggravanti e tra le previsioni incluse in una parte dell'articolo 62-bis del codice penale, così come viene riformulato, e quelle contenute nella parte successiva.
Va poi considerato il comma 2 dell'articolo in esame, al quale ha fatto riferimento anche il collega Centaro invitando - a mio avviso giustamente - ad essere molto attenti al tipo di argomentazioni e di proposte che si adducono con riferimento all'articolo 416-bis del codice penale.
Desidero chiarire che si tratta soprattutto - ed anche il dibattito svoltosi in Commissione si è riferito in particolar modo a questo aspetto - non tanto della possibilità di elevare i termini massimi della pena, ma di quella di elevare anche i minimi, posto che sappiamo che nelle associazioni previste dall'articolo 416-bis si può entrare - ad esempio, nel caso della stidda nella Sicilia meridionale - anche quando si è minori ed indipendentemente dall'avere una carriera criminale alle spalle.
Pertanto, il nostro diritto penale, pur elevando i massimi della pena, deve saper tenere conto, in modo pragmatico e rispettoso, delle personalità dei rei, o meglio degli imputati, e di conseguenza avere a disposizione un ventaglio ampio di pene e di sanzioni in relazione sia alle personalità che alle carriere criminali degli imputati.
Dunque, siamo d'accordo con l'aumento delle pene massime, ma riteniamo doveroso rivolgere particolare attenzione - come mi sembra la Commissione antimafia abbia dimostrato nella cultura che ha espresso nelle sue missioni - alle specificità con cui si presenta il fenomeno della associazione mafiosa nell'una o nell'altra area, dove la presenza di devianza giovanile, più tipicamente considerabile tale, può essere particolarmente elevata.
Sono queste le preoccupazioni che abbiamo immesso nel dibattito, e le riproporremo nel nostro confronto, senza pensare con ciò di concedere vantaggi di tipo legislativo a organizzazioni mafiose, alle quali non abbiamo mai voluto concedere vantaggi e intendiamo continuare a non concederli.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, l'emendamento 2.8 è di tutta evidenza: si limita a correggere un'improprietà, una sciatteria terminologica, dal momento che gli elementi considerati da questo comma non sono chiamati dal codice "circostanze" ma, secondo il dettato dell'articolo 133-bis, "criteri".
L'emendamento è così auspicabilmente fondato che lo vedo condiviso dall'emendamento 2.200 dei senatori Bobbio e Salerno, i quali, se non sbaglio, sono della stessa parte politica che alla Camera ha approvato all'unanimità il testo che essi vogliono ora correggere, ma non affondo il coltello in questa piccolissima piaga.
Chiedo al Presidente di consentirmi poche parole anche in merito all'emendamento 2.6 che, solo per un disguido, non reca anche la mia firma che prego di aggiungere.
È un emendamento necessario proprio nella prospettiva sollecitata dal senatore Centaro pochi attimi fa. Il comma 2 dell'articolo 2, asciugato nei suoi estremi essenziali, prevede che, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, quando si tratta di persona pluricondannata e quando si tratta di reati gravi, non si possono utilizzare certi parametri di benevolenza per elidere l'aumento di pena dovuto alla recidiva.
Il testo nasce, in sostanza, dalla preoccupazione che molti tribunali hanno il cuore di marzapane per cui, anche di fronte ad una recidiva molteplice, si finisce per concedere le attenuanti generiche e, con queste, bilanciare ed elidere l'aumento di pena dovuto alla recidiva.
Il criterio può anche essere condiviso, ma, così come è scritto, si presta ad una interpretazione distorta che va esattamente nella direzione contraria a quella voluta dai proponenti del testo. Infatti, non tenere conto di quei criteri può significare che il giudice non dovrà considerarli nemmeno quando essi sono gravemente accusatori nei confronti dell'imputato, cioè quando l'intensità del dolo è molto elevata, quando i motivi a delinquere sono abietti, quando la condotta precedente è gravemente censurabile.
Scrivendo il testo in questo modo si rischia proprio di sterilizzare l'obiettivo che si vuole raggiungere. Ecco perché mi sembra altamente auspicabile, proprio nella prospettiva di contrasto alla delinquenza recidiva, precisare che di questi elementi non si tiene conto unicamente quando debbono essere valutati a favore dell'imputato.
Infine, signor Presidente, pochissime parole in replica a quanto detto dal senatore Bobbio a proposito dell'articolo 1. Non ho chiesto la parola allora perché eravamo in votazione, ma mi sia consentito un accenno almeno ora.
Se è vero che alla Camera 444 deputati hanno votato a favore del testo e se è vero che in questa cifra entrarono sicuramente non pochi deputati della opposizione, è altresì vero che il nerbo di costoro furono deputati della maggioranza e l'addebito di scarsa coerenza deve essere, come minimo, solidalmente condiviso. (Applausi dal Gruppo DS-U).
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, l'emendamento 2.200 ha un contenuto tecnico perché, come hanno già detto colleghi presentatori di emendamenti identici, sostituire l'espressione "circostanze" con il termine "criteri" risponde molto di più alla tecnica della redazione attuale del codice, essendo più correttamente individuati quelli di cui all'articolo 133 come criteri e non come circostanze.
Quindi, si tratta di un emendamento che è quasi un atto dovuto dal punto di vista della pulizia formale del testo.
L'emendamento 2.201 tende a dissipare un equivoco terminologico del testo attuale, sul quale per la verità (e purtroppo non è l'unico caso) molto si è - mi si perdoni l'espressione colloquiale - marciato da parte di un'opposizione che in questi mesi è stata spasmodicamente tesa alla ricerca della denigrazione a tutti i costi. L'equivocità della terminologia, usata in questa parte dell'articolo 2, ha sicuramente aiutato gli amici ed i colleghi dell'opposizione in un'opera di denigrazione, in questo caso forse degna di miglior causa.
Ma tant'è: abbiamo l'occasione di eliminare una ragione di equivoco, probabilmente più formale che sostanziale, ma ritengo sia comunque utile da cogliere nell'interesse dell'agevole lettura ed applicazione di un testo che - è bene non dimenticarlo - riguarda una disposizione normativa di diritto penale sostanziale particolarmente delicata e vitale per l'ordinata convivenza civile nel nostro Paese.
Ritengo, unitamente al collega Salerno, che l'emendamento 2.202 e quindi la soppressione del comma 3 non sia legata alla non accettabilità della previsione in questione in relazione alla necessità di arrivare ad un aumento sanzionatorio dell'ipotesi del reato di assistenza degli associati. Più che altro ritengo utile una soppressione in questo momento in relazione ad un problema di coordinamento tra le varie norme, in particolare di questa con quella prevista per il diritto di favoreggiamento, posto che in questo modo mantenendo l'attuale innalzamento di pena previsto al comma 3, si verrebbe a creare una discrasia dal punto di vista della entità delle pene tra le due norme da me richiamate.
Ritengo pertanto anche questo un emendamento utile dal punto di vista della congruità del tessuto normativo.
MARITATI (DS-U). Signor Presidente, l'emendamento da me presentato è volto ad attenuare gli effetti assurdi ed inaccettabili di una limitazione posta ad una delle prerogative basilari del giudice: quella di graduare la pena in relazione alla natura ed alla gravità del fatto reato.
Sulla richiesta della maggioranza e sulla pretesa di modificare un principio ormai fondamentale e universalmente riconosciuto vi è un errore di fondo: voler sottrarre al giudice una delle funzioni cardine che l'ordinamento gli attribuisce, cioè la valutazione della pena, della sua natura e della sua entità.
Questo naturale compito vige ovunque, anche nei Paesi in cui vi è il regime del tribunale con giuria, laddove quest'ultima si limita a stabilire la colpevolezza dell'imputato, restando sempre al giudice il compito di definire l'entità della pena. Qui, invece, si sfiora l'assurdo. Per alcuni reati, per quanto gravi (ma tali non sono solo quelli, ricordiamolo, di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale, ve ne sono, infatti, altri altrettanto gravi) si vuole impedire al giudice di tener conto delle circostanze - oggi ovviamente viene corretto anche questo errore - ossia dei criteri di cui all'articolo 133 del codice penale.
Il collega Fassone poco fa ha spiegato anche l'erroneità di tale previsione rispetto agli obiettivi che la maggioranza dice di voler perseguire, quello di un maggiore rigore. È errato, infatti, escludere questa possibilità, oltre che in termini di princìpi fondamentali anche quanto all'effetto, perché i criteri indicati all'articolo 133 non sono quelli che consentono al giudice di valutare o definire una pena più lieve.
Sono criteri che danno la possibilità al giudice anche di aumentare la pena; sono criteri che riguardano la gravità, l'intensità del dolo, le modalità, il modo con cui conduce la vita l'imputato, i suoi precedenti. Ora, escludere la possibilità che il giudice tenga conto dei criteri di cui all'articolo 133 del codice penale costituisce un errore da ogni punto di vista.
Non si comprende allora perché mai, dinanzi a reati puniti con pena non inferiore nel minimo a cinque anni, ci debba essere questo limite. Penso che il limite debba essere portato a dieci anni, e qui mi preme richiamare il concetto sfida del collega Centaro, esplicitato poco fa.
Dico a Centaro, il quale ben comprende la materia che stiamo trattando, che la lotta o la contrapposizione al crimine, e al crimine organizzato in particolare, non si fa, non si può fare - sarebbe troppo facile e sarebbe stato già raggiunto un grande obiettivo - soltanto incrementando la gravità delle pene. C'è un limite a tutto, quindi non è possibile confondere l'aumento di pena con lo strumento migliore per contrapporsi al crimine organizzato. Anche nei confronti di coloro che commettono crimini gravi, come associazione per delinquere, o comunque collegati alla mafiosità, il giudice deve continuare a poter disporre del potere, che gli riconosce la nostra Costituzione ed i princìpi fondamentali del diritto, di graduare la pena, perché anche in questi casi è indispensabile una graduazione della pena.
Non si può, tout court, attribuire a questo tipo di reati una pena sproporzionata. La pena deve essere valutata dal giudice in base ai criteri indicati dal nostro codice.
Ecco perché tentiamo con questi emendamenti di correggere almeno questo errore di fondo.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, prima di illustrare gli emendamenti desidero fare un breve cenno alla votazione precedente. Stamattina mi ero presa la briga di ricavare dall'elenco dei senatori a nostra disposizione, che reca per ciascuno anche la data di nascita (esclusi i senatori a vita, che hanno un diverso titolo di legittimazione; noi siamo eletti dal popolo), un elenco di coloro i quali avessero già compiuto - signor Presidente, lei è tra questi - o addirittura fossero oltre i settanta anni. Questo elenco è fatto di ventidue persone.
Stamattina ne ho citati alcuni a mo' di esempio, chiedendo loro di dirci se a settant'anni si ritengano gravati di una incapacità di intendere e di volere. Infatti, se così è, non c'è dubbio che quella norma, che per fortuna è stata espunta, avrebbe un senso; se così non è, evidentemente, è una norma che non ha senso.
La risposta è arrivata con comportamenti d'Aula che in un Parlamento sono sempre i più significativi, cioè con un voto molto ampio che ci ha tranquillizzati tutti. Non voglio assolutamente annoiarvi con l'elenco dei ventidue senatori, settantenni o ultrasettantenni, ma da questo momento sappiamo che avere settant'anni, o anche qualche anno di più, non vuol dire non avere la piena capacità di intendere e di volere.
Tuttavia, devo anche dire che in età molto inferiore ai settant'anni, qual è sicuramente quella del giovane collega Bobbio, una maggiore attenzione a non perdere utili occasioni per tacere forse meriterebbe una riflessione. In un sistema a bicameralismo perfetto come il nostro, quando capita una difformità di vedute tra la Camera e il Senato (è successo a tutti i Gruppi parlamentari, in tutte e quattro le legislature in cui ho avuto l'onore di sedere in Parlamento), è strano denunciare questa come un'incoerenza politica.
Invece, il collega Bobbio ci ha spiegato che il centro-sinistra al Senato manifestava, con gli emendamenti soppressivi, una forte incoerenza politica rispetto a molti colleghi del centro-sinistra alla Camera, che invece avevano votato a favore di quella norma di cui qui chiedevano l'abrogazione.
È argomento assai opinabile. Naturalmente, può valere per tutti i Gruppi parlamentari; ci sono precedenti parlamentari a iosa, che non starò a citare. Qualcuno, per la verità, mi sta tornando in mente e riguarda proprio Alleanza Nazionale, ma è un dettaglio. Ciò che non è mai successo - e chiedo ai nostri Uffici, solerti e assai capaci, di rinvenire anche un solo precedente - è che un Gruppo parlamentare, per bocca di un suo autorevole, sia pur giovane, esponente, quale il senatore Bobbio, annunci, con una certa iattanza e con un rimprovero di incoerenza politica all'opposizione, la difesa di quella norma e che \poi quello stesso Gruppo voti a favore della sua abrogazione.
Vedi, collega Bobbio, la coerenza politica non si misura soltanto da un ramo del Parlamento all'altro; si misura anche all'interno dello stesso ramo del Parlamento e non voglio dire quanto tutto appaia più incredibile quando si svolge nella stessa seduta e a distanza di pochi minuti.
Allora, le lezioni è meglio ascoltarle da discenti, in certi casi, che non volerle elargire da docenti (Applausi del senatore Garraffa), perché si fanno figuracce come quella fatta oggi. (Applausi del senatore Rotondo).
Detto questo, signor Presidente, sugli emendamenti a mia firma non ho molto da aggiungere a quanto i colleghi hanno già detto. C'è un nodo fondamentale (vado per estrema sintesi): ci piaccia o no, vige ancora l'articolo 27 della Costituzione, e in particolare il comma terzo (che, ripeto, può non piacere, ma è vigente ed è norma di rango costituzionale), il quale assegna alla pena una funzione rieducativa.
A questo dettato costituzionale si collega tutta una serie di norme che costituiscono un impianto essenziale della struttura del codice penale, che (sempre per procedere in estrema sintesi) si risolve soprattutto nel conferire al giudice una notevole discrezionalità nell'irrogazione concreta della misura della pena, proprio perché l'obiettivo fondamentale che i Padri costituenti vollero è che la pena non avesse soltanto una funzione retributiva, ma soprattutto una funzione rieducativa.
Di qui, ad esempio, l'articolo 133 del codice penale. Naturalmente, i colleghi della Camera (facciamo polemica, perché anche in questo caso ci furono ampi voti da parte della maggioranza) hanno definito le situazioni previste dall'articolo 133 medesimo come «circostanze», quando è notorio e pacifico, per giurisprudenza e dottrina assolutamente costante, che le circostanze sono un'altra cosa e che non trovano ingresso nell'articolo 133 del codice penale; lì si parla di parametri o, meglio ancora, di «criteri», che sono giuridicamente un'altra cosa. Ma anche noi corriamo il rischio di fare delle lezioncine come il collega Bobbio? No, anche se abbiamo migliori argomenti, ovviamente, e ce lo potremmo anche permettere; ma evitiamo.
La sostanza, quindi, è che ridurre, in taluni casi, come fa l'articolo 2 del disegno di legge, la funzione del giudice nella irrogazione concreta della misura della pena, ad una funzione ragionieristica, vìola un principio fondamentale della Costituzione, perché quanta più discrezionalità viene tolta al giudice in questa materia, tanto meno possiamo realizzare quel precetto costituzionale che ho più volte ricordato e che assegna alla pena, oltre che una funzione retributiva, che certamente ha, soprattutto una funzione rieducativa.
Tale è la finalità dei nostri emendamenti. E questa è un'ulteriore conferma di ciò che ho detto anche in discussione generale: il guaio del provvedimento oggi al nostro esame non è tanto la finalità, che è assolutamente personalistica, di salvare un determinato imputato da determinate conseguenze sanzionatorie; il guaio è che è un monumento all'ignoranza giuridica. (Applausi dal Gruppo DS-U).
CENTARO (FI). Signor Presidente, la finalità dell'emendamento 2.0.100 è quella di rapportare la pena per il reato di usura alla situazione attuale.
In un momento di particolare finanziarizzazione dell'economia e di stagnazione, di flessione della stessa economia, il mercato parallelo dell'usura rappresenta un pericolo per l'economia sana di notevole importanza, ancor più a fronte di un sistema creditizio che offre un modello statico nei confronti dell'adozione di ulteriori linee di credito all'imprenditore in difficoltà, piuttosto che quel modello dinamico che dovrebbe guardare al progetto e alla sua fattibilità piuttosto che alle garanzie reali che l'imprenditore è in grado di offrire.
È evidente allora che, poiché comunque il diritto penale dev'essere un diritto dinamico per eccellenza, perché deve aumentare o diminuire, graduare le pene in relazione alla pericolosità sociale del momento, arrivando anche alla soppressione o all'introduzione delle norme, oggi il reato di usura è comunque sottovalutato nella sue entità e di conseguenza le pene relative devono essere aumentate.
PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo si rimette all'Aula su tutti gli emendamenti presentati all'articolo 2.
Se mi è consentito, però, vorrei fare una considerazione sulla votazione precedente con la quale si è soppresso l'articolo 1. Se tale votazione doveva dimostrare che questa norma non è blindata ben venga, anche se è un controsenso rispetto a quanto è avvenuto alla Camera dei deputati.
Vorrei, tuttavia, richiamare gli onorevoli senatori non ad un assalto alla diligenza ma a varare modifiche ragionevoli rispetto all'impianto complessivo del provvedimento. Infatti, la norma che avete abrogato - io rispetto il voto del Parlamento e quindi del Senato - non soltanto è stata discussa in modo approfondito alla Camera dei deputati, ma ha ottenuto l'apprezzamento dell'onorevole Violante che ha parlato per conto del Gruppo DS riformulando addirittura la norma accettata dal relatore. Non mi sembra che l'onorevole Violante possa essere iscritto nella categoria degli agricoltori del diritto, come ho sentito dire questa mattina, né in quella degli amici del centro-destra e del Governo.
Quindi, un po' più di attenzione e una maggiore coerenza probabilmente non guasterebbero. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.1, identico agli emendamenti 2.2 e 2.3.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, vorrei svolgere una breve dichiarazione di voto sull'emendamento 2.1, soppressivo dell'articolo 2. Come comunicato alla Segreteria dell'Aula, ho ritirato gli emendamenti riduttivi del danno concentrando la mia attenzione su quelli che chiedono la soppressione degli articoli perché, a ben vedere, il testo di legge presenta così tanti errori, articolo per articolo, che credo sia opportuno concentrare le nostre energie sulla soppressione degli articoli.
Senatore Centaro, affrontando il tema dell'emendamento soppressivo e del suo emendamento aggiuntivo, le dico fin d'ora che sono d'accordo sull'aumento delle pene per l'usura, ma dico anche che questo è fumo negli occhi. Lei, infatti, sa benissimo che vige la norma più favorevole al reo e quindi vi è la possibilità di prescrivere tutti i processi pendenti in materia di usura.
Pertanto, se con questa norma si vuole celare la vergogna della prescrizione di un'infinità di processi per usura, questo scopo glielo smaschero perché non è così. Le dico invece che voterò a favore del suo emendamento, che vale per il futuro ma non per il passato, finalizzato ad aumentare la pena per l'usura. Questo per essere chiaro.
In secondo luogo, quando non accettate l'emendamento 2.6 che mi vede primo firmatario, ben illustrato dal senatore Fassone, in cui si dice che non si tiene conto delle circostanze quando debbono essere valutate a favore dell'imputato e non a sfavore, voi castrate l'attività del giudice. Se non tenete conto dell'articolo 133 del codice penale nel suo complesso castrate l'attività del giudice e lo fate anche quando richiedete al giudice la doverosa e giusta severità. La realtà è che questo articolo ne è la prova; l'articolo 2 è l'ennesima prova di sfiducia in qualsiasi forma di discrezionalità, anche virtuosa, da parte del magistrato.
Signori della maggioranza, parliamoci chiaro: potete modificare l'ordinamento giudiziario, potete volere un giudice diverso, che noi non riteniamo compatibile con il nostro sistema costituzionale, non ha importanza, ma vi sarà sempre un giudice che, valutate le carte e valutato l'imputato, emetterà una sentenza ed erogherà una sanzione. Questo non lo potete evitare. Per cortesia, lasciate questo giudice adempiere al suo compito, esercitare la sua discrezionalità e non mettetegli strettoie e paratie che non servono al buon andamento della giustizia.
Infine, cominciando a tirare le somme del dibattito su questa norma di legge, il senatore Bobbio vi dice di accogliere il suo emendamento (per la verità, identico ad un emendamento soppressivo del senatore Dalla Chiesa e all'emendamento soppressivo del senatore Zancan) soppressivo del terzo comma dell'articolo 2. Traiamo le somme: l'articolo 1 è saltato, dei tre commi dell'articolo 2 è saltato il terzo comma.
Signori della maggioranza, certamente voi tutti conoscerete una famosa frase del marchese De Sade: fate uno sforzo, francesi, per la Repubblica. Ebbene, fate uno sforzo e sostituite tutti e tre i commi dell'articolo 2. (Commenti dai Gruppi FI e AN).
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.1, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori, identico agli emendamenti 2.2, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori, e 2.3, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che gli emendamenti 2.400, 2.401 e 2.402 sono stati ritirati.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.4.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.4, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che l'emendamento 2.404 è stato ritirato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.5.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.5, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che gli emendamenti 2.405 e 2.403 sono stati ritirati.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.6.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, non posso rivolgermi al relatore, perché non c'è; non posso rivolgermi al Governo, perché si è rimesso all'Aula; mi rivolgo, dunque, alla maggioranza.
Colleghi, guardate che questo è un emendamento da approvare, perché dice soltanto che non si può tenere conto delle circostanze di cui all'articolo 133 quando debbano essere valutate a favore dell'imputato. Di quelle a sfavore (lo ha già indicato il senatore Fassone), che sono l'intensità del dolo e quant'altro, si deve tenere conto perché se il giudice non ne tiene conto non dà la giusta pena.
Per favore, signori della maggioranza, datemi questa piccola soddisfazione, in questo emendamento non c'è nessun significato politico ma solo tecnico-giuridico! (Applausi dai Gruppi Verdi-Un e DS-U. Applausi ironici dai banchi della maggioranza).
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, vorrei sottolineare la bontà delle ragioni dell'emendamento in esame.
Mi sembrerebbe ulteriormente in contraddizione con una parte dell'impianto della legge, impianto che mira ad inasprire le sanzioni, il fatto che possano essere previste circostanze attenuanti e che queste non vengano bilanciate dalla considerazione delle circostanze aggravanti.
Quindi, quella attività liberalmente svolta dal giudice di apprezzamento dell'insieme delle condizioni che configurano il contesto in cui viene commesso un reato, e anche la carriera criminale dell'imputato, verrebbe sicuramente inficiata dall'impossibilità di tenere conto di una serie di elementi che ovviamente non possono essere soltanto di natura attenuante laddove debba essere considerato l'insieme sia del contesto che dell'azione svolta e della personalità dell'imputato. Si devono tenere in conto anche le condizioni qui ricordate le quali, per una ragione che mi è estranea e che non riesco a capire, dovrebbero invece non essere considerate.
Come hanno già ricordato i colleghi Fassone e Zancan, qualunque persona di buon senso si potrebbe chiedere per quale motivo la necessaria azione di bilanciamento viene in questo caso impedita al giudice.
Parliamo della commissione di altri reati o di una particolare intensità del dolo che sottostà alla commissione del reato stesso e questa non dovrebbe essere tenuta in considerazione? È vero che, per l'ennesima volta, la formulazione della legge è macchinosa, farraginosa e fa di tutto per non essere capita da chi cerca di leggerla per votarla, figurarsi dal cittadino qualunque. Ma al di là di questo, emerge con ogni evidenza il fatto che si vogliono tenere fuori dalla porta circostanze aggravanti nel momento in cui il giudice deve esprimere il suo apprezzamento. Questo è incomprensibile.
Per tale ragione, l'emendamento ha una sua ragionevolezza e una condivisibilità che oserei dire di tipo universalistico, in quanto non esiste persona di buon senso che possa ritenere che degli elementi del giudizio debbano essere estromessi dal procedimento di valutazione.
Per questi motivi, votiamo a favore dell'emendamento 2.6.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, per l'importanza della questione e soprattutto per far constatare chi vota a favore e chi vota contro, chi dà una mano ai delinquenti e chi non gliela dà (Commenti ironici dai Gruppi FI, UDC e AN), chiedo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dal senatore Zancan, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Presidenza del vice presidente MORO(ore 18,15)
Votazione nominale con scrutinio simultaneo
PRESIDENTE. Indìco pertanto la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell'emendamento 2.6, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Il Senato non approva. (v. Allegato B).
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.7, identico agli emendamenti 2.8, 2.9 e 2.200.
AYALA (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, mi rivolgo a tutti i colleghi, e in particolare a quelli della maggioranza, per dire loro che l'emendamento 2.7 è svuotato veramente da qualunque significato politico. Si tratta di un emendamento che più tecnico di così si farebbe fatica ad immaginare.
Presidenza del presidente PERA(ore 18,17)
(Segue AYALA). I colleghi della Camera, non è la prima volta e non sarà neanche l'ultima, a stragrande maggioranza hanno commesso uno strafalcione, perché, facendo riferimento all'articolo 133 del codice penale, parlano di circostanze. Il piccolo particolare è che l'articolo 133 non contiene il riferimento ad alcuna circostanza, ma a «criteri».
È questione assolutamente pacifica e siccome in diritto, anche e non soltanto, le parole hanno un significato molto preciso, vi si dovrebbe porre rimedio. A che serve il bicameralismo perfetto? Anche a consentire ad una Camera di correggere un errore clamoroso commesso dall'altra. Qui non c'entra la politica.
D'altra parte, il fatto stesso che sia stato cancellato, a larga maggioranza, l'articolo 1, comporta che il disegno di legge debba tornare all'altro ramo del Parlamento. Allora, perché lasciare uno strafalcione, quando abbiamo la possibilità di eliminarlo? (Cenni di assenso del sottosegretario Vitali). Mi piace notare l'assenso del rappresentante del Governo, che in verità davo per scontato, e ne prendo atto.
Signor Sottosegretario, già nell'intervento in replica di ieri e spesso anche con i suoi pareri sugli emendamenti, lei ha sottolineato e sottolinea che il disegno di legge è un disegno d'iniziativa parlamentare, rispetto al quale il Governo sostanzialmente tende a rimettersi all'Aula. Se questo è vero, non inviti i senatori ad andarci piano con le modifiche. Se lei dice che è roba del Parlamento e si rimette alla volontà dello stesso, la rispetti fino in fondo.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. La rispetto, infatti.
AYALA (DS-U). Le modifiche le decideranno i senatori. In questo caso non dovrebbero esserci inviti. E' soltanto una correzione di forma e non vuole assolutamente essere l'innesco di una polemica. Mi premeva dirlo e l'ho detto. (Applausi dal Gruppo DS-U e del senatore Crema).
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.7, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori, identico agli emendamenti 2.8, presentato dal senatore Fassone e da altri senatori, 2.9, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori e 2.200, presentato dai senatori Bobbio e Salerno.
E' approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.10, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.11.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, già che ci siamo messi sul piano delle correzioni, vediamo di correggere tutto ciò che si può. Purtroppo, la legge nella sua interezza non si potrà cancellare, ma almeno gli errori tecnico-giuridici togliamoli.
Il n. 3, che ho escluso dal mio emendamento, prevede le circostanze successive alla commissione di un reato, che devono comunque sempre contare, perché bisogna fare ponti d'oro a chi ha commesso un reato, se risarcisce, se dice i nomi, se collabora e quant'altro. Se non le conteggiamo, facciamo attività di dissuasione rispetto alla collaborazione del personaggio, che avrà sbagliato, che ha sbagliato, che certamente ha molto peccato, ma diamo una valutazione cattolica e cerchiamo di implementare il suo pentimento, tenendo conto di quanto farà successivamente al reato.
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.11, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione della prima parte dell'emendamento 2.13.
Verifica del numero legale
ZANCAN (Verdi-Un). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti la prima parte dell'emendamento 2.13, presentato dal senatore Maritati e da altri senatori, fino alle parole «con la seguente».
Non è approvata.
Risultano pertanto preclusi la restante parte dell'emendamento 2.13 e gli emendamenti 2.14 e 2.12.
Metto ai voti l'emendamento 2.351, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.406, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che gli emendamenti 2.407 e 2.408 sono stati ritirati.
Metto ai voti l'emendamento 2.15, presentato dal senatore Brutti Massimo e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione della prima parte dell'emendamento 2.16.
Verifica del numero legale
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn. 3247, 260, 2699 e 2784
PRESIDENTE. Metto ai voti la prima parte dell'emendamento 2.16, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori, fino alle parole «con la seguente».
Non è approvata.
Risultano pertanto preclusi la restante parte dell'emendamento 2.16 e l'emendamento 2.17.
Metto ai voti l'emendamento 2.18, presentato dal senatore Ayala e da altri senatori, identico all'emendamento 2.352, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.201, identico all'emendamento 2.350.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Desidero svolgere una breve dichiarazione di voto sull'emendamento 2.201 che porta la firma dei senatori Bobbio e Salerno, identico al successivo 2.350.
Il senatore Bobbio ha un po' glissato sulla natura della correzione di tipo formale proposta dall'emendamento, laddove vorrei segnalare che l'errore che si è inteso correggere se non è così grave da meritare di essere segnato con il blu, quanto meno merita il rosso-blu, tenuto conto che, modificando l'articolo 2, si elimina una incertezza. Infatti, siccome le parole: «tre e sei» erano contenute due volte nell'articolo, e la parola «tre» era contenuta in particolare nella previsione del primo comma dove veniva stabilito il numero di persone che debbono far parte dell'associazione a delinquere perché quest'ultima sia costituita, se si manteneva invariata la norma si poteva essere indotti a ritenere che venisse modificato anche il numero di persone necessarie alla formazione di una associazione a delinquere.
Non si tratta dunque soltanto di una correzione formale bensì sostanziale, finalizzata ad evitare una incertezza di fondo sul numero dei partecipanti per la costituzione di un'associazione. Per questa ragione preannuncio il voto favorevole sull'emendamento in esame.
BOBBIO Luigi (AN). Domando di parlare
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Intervengo per evidenziare che il testo del mio emendamento, laddove si dice: «da tre a sei anni», in realtà, deve essere inteso come "tre e sei anni". Deve esserci quindi un refuso, giacché il riferimento non può che essere alla parte del testo che genera equivoco con il numero delle persone che formano l'associazione a delinquere.
Chiedo scusa, signor Presidente, controllando meglio il testo dell'emendamento vedo che si tratta di un mio errore, in quanto facciamo riferimento al testo attuale dell'articolo 416-bis del codice penale ed in tal senso rispondo anche al collega Fassone che mi aveva fatto notare quello che mi era sembrato su sua segnalazione un errore, ma che in realtà non è tale. Infatti, con il nostro emendamento andiamo a modificare l'articolo 2 nella parte in cui modifica a sua volta l'articolo 416-bis.
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.201, presentato dai senatori Bobbio e Salerno, identico all'emendamento 2.350, presentato dal senatore Ziccone.
È approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.19, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che gli emendamenti 2.409 e 2.410 sono stati ritirati.
Metto ai voti l'emendamento 2.20, presentato dal senatore Ayala e da altri senatori, identico all'emendamento 2.21, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.22, presentato dal senatore Maritati e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che l'emendamento 2.411 è ritirato.
Metto ai voti l'emendamento 2.412, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.353, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.25, presentato dal senatore Brutti Massimo e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.23, identico all'emendamento 2.24.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta non risulta appoggiata).
Metto ai voti l'emendamento 2.23, presentato dal senatore Legnini e da altri senatori, identico all'emendamento 2.24, presentato dal senatore Dalla Chiesa da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che l'emendamento 2.413 è stato ritirato.
Metto ai voti la prima parte l'emendamento 2.26, presentato dal senatore Ayala e da altri senatori, fino alla parola «con la seguente».
Non è approvata.
Risultano pertanto preclusi la restante parte dell'emendamento 2.26 e l'emendamento 2.27.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.28, identico agli emendamenti 2.202 e 2.214.
BOBBIO Luigi (AN). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, ritiriamo l'emendamento 2.202.
PRESIDENTE. Ne prendo atto.
Verifica del numero legale
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 3247
PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.28, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori, identico all'emendamento 2.414, presentato dal senatore Zancan e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l'emendamento 2.29, presentato dal senatore Dalla Chiesa e da altri senatori.
Non è approvato.
Ricordo che l'emendamento 2.416 è stato ritirato.
Passiamo alla votazione dell'articolo 2.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, l'atteggiamento della maggioranza è veramente molto incerto, molto ondivago, molto altalenante. Basti dire che abbiamo ascoltato un quarto d'ora fa un'illustrazione dell'emendamento soppressivo del comma 3, ove il senatore Bobbio, presentatore dell'emendamento 2.202, ha argomentato puntualmente le ragioni della soppressione. Poco fa, l'emendamento è stato inopinatamente ritirato, e a ciò è seguito il voto contrario agli emendamenti identici 2.28 e 2.414.
Signori della maggioranza, signori del Governo, che figura ci fate con questa legge, cambiando idea ogni quarto d'ora? Quale impressione date a chi deve amministrare la giustizia? Quale impressione date ai cittadini che vanno tutte le mattine in tribunale per ricercare l'affermazione dei loro diritti? Anche se tirare i dadi era stato consigliato dal grande vecchio Rabelais, qui non stiamo tirando i dadi, stabilendo una pena diversa ogni quarto d'ora.
Per cortesia, cercate di fare le cose seriamente, ve ne prego, non abbiate questo atteggiamento che è segno di come il vostro parere giuridico sia un venticello che soffia da una parte e dall'altra, senza riuscire mai a coagularsi in elementi di razionalità.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Anche da parte mia, signor Presidente, onorevoli colleghi, vi è l'intenzione di segnalare una certa contraddittorietà nella filosofia dell'impianto della legge già dall'articolo 2. Abbiamo già detto e lo ripeteremo ancora sottolineandolo in forma ancora più incisiva che si tratta di una legge che alterna intenzioni di inasprimento delle sanzioni, cioè un volto punitivo, con un altro particolarmente ed inopinatamente generoso.
Già l'articolo 2, però, si incarica di dimostrare l'esistenza di questa contraddittorietà. Non mi riferisco solamente alle dichiarazioni ed ai comportamenti di voto, ma proprio all'impianto. Se questo articolo avesse voluto esprimere una maggiore propensione a punire alcuni reati particolarmente antisociali, alcuni particolarmente odiosi e pericolosi anche per la comunità nazionale, avrebbe dovuto - come correttamente è stato già detto da chi mi ha preceduto - raccordarsi in termini di emendamento, anche con le parti successive.
Se vogliamo sanzionare in modo più severo comportamenti che - stiamo vedendo - minano alla base la convivenza civile - il collega Centaro ha giustamente fatto riferimento al fenomeno dell'usura ma vi sono altri fenomeni cui continuamente la stampa ed i fatti di cronaca ci riportano e a cui continuamente ci costringono a volgere la nostra attenzione - avremmo dovuto o si sarebbe dovuto da parte di chi ha presentato emendamenti collegare questo inasprimento di pene anche con la garanzia che esse vengano effettivamente scontate.
Alzare le pene e ridurre la certezza della pena è evidentemente un esercizio contraddittorio. Eppure questo viene fatto già dall'articolo 2. Ricordo ancora di non aver accettato emendamenti che riguardavano il comma 2 dell'articolo 62-bis che introduce ulteriori elementi di contraddizione.
Nonostante sia più che soddisfatto della soppressione dell'articolo 1, alla fine non usciremo comunque dalla permanente e rischiosa ambivalenza. Mentre il povero collega Cirielli avrebbe voluto una legge più aspra, più capace di incidere, di punire e colpire dei comportamenti illegali, si è trovato tra le mani una legge che da un lato punisce e dall'altro perdona e molto!
Questa è la ragione per cui il collega Cirielli ha ritirato la sua firma; è una legge senza padre quella in discussione e se ne può ben capire la ragione: non ha un suo DNA, se non la confusione straordinaria di DNA, di filosofie, che con molta difficoltà riusciamo a maneggiare. Intendo sottolineare ancora questo. Per quale ragione, signor Presidente? Anche se partendo da altra legge, siamo stati autorevolmente sollecitati a legiferare in modo chiaro e comprensibile: invece, stiamo discutendo di una legge di cui fatichiamo a seguire persino gli emendamenti.
Naturalmente questo è un limite mio e forse anche di altri colleghi! Se non riusciamo ad intervenire tutte le volte che lei ci chiede di prendere la parola nel senso che deve ricordare cosa si sta votando, è anche perché non riusciamo a seguire la ratio effettiva dell'emendamento che siamo chiamati a discutere in relazione all'impianto complessivo dell'articolo. Ogni volta siamo costretti, rapidamente, ad andare da un rinvio che la formulazione letterale fa ad una legge ad un altro o ad un'altra eccezione.
Naturalmente giuristi temprati e raffinati si sanno muovere: chi ha scritto questo testo è probabilmente in grado di balzare, come se avesse la liana di Tarzan, da una parte all'altra del testo in discussione. Ma chi debba pazientemente seguire emendamento dietro emendamento, ha difficoltà ad intervenire proprio per le ragioni che ho cercato di esporre. Comunque queste sono le ragioni per le quali il Gruppo della Margherita voterà contro l'articolo 2.
AYALA (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, vorrei svolgere alcune brevi notazioni sull'articolo 2, che mi vengono suggerite non soltanto dal suo intrinseco contenuto, ma anche dalla sua collocazione all'interno di altre disposizioni di questo stesso disegno di legge. Ovviamente, non mi riferisco alla parte che riguarda un aumento di pena effetto dell'articolo 416-bis del codice penale, perché è superfluo dire che sono assolutamente d'accordo e quindi non ci spenderò neanche una parola; è sul resto che non riesco a superare forti perplessità.
In buona sostanza, risolta la questione terminologica per cui abbiamo eliminato la parola «circostanze» e l'abbiamo giustamente sostituita con l'altra «criteri», si riduce fortemente il potere discrezionale del giudice nella determinazione concreta della pena da erogare.
Con una battuta, in Commissione ho parlato di ridimensionamento ad una funzione quasi ragionieristica; confesso di aver esagerato, ma ho usato questo termine per rendere più chiaro il mio pensiero. Nessuno mi potrà contestare che una fortissima contrazione del potere discrezionale ovviamente è presente, è determinata da questa norma; direi che è proprio la finalità.
La prima questione che mi preoccupa e mi preme sottolineare è la coerenza di questo tipo di normativa, di questa linea, scelta anche con tale norma, rispetto al dettato costituzionale, e in particolare alla previsione di cui al comma terzo dell'articolo 27 della Costituzione, che - come dicevo prima - può anche non piacere, però è lì, è vigente ed è norma di rango costituzionale: cioè, la funzione non meramente retributiva, ma soprattutto rieducativa della pena.
Da quel principio costituzionale consegue una serie di norme di rango inferiore (legge ordinaria), alcune delle quali inserite nel codice penale, in particolare, il summenzionato articolo 133, che offre al giudice (il quale, non dobbiamo mai dimenticarlo, non si deve limitare ad irrogare una certa pena, ma deve dare conto poi in motivazione del perché è pervenuto a quella determinazione), attuando il precetto costituzionale, una serie di parametri di riferimento, di talché il giudice stesso è in condizione di realizzare in concreto la finalità costituzionale della funzione rieducativa della pena.
Quanto più si restringe questo margine di discrezionalità (e questa norma lo restringe in maniera significativa), tanto più entra in fibrillazione il rapporto di coerenza tra una norma ordinaria (nella fattispecie, l'articolo 133) e la previsione costituzionale.
Ma quello che è ancor più suscettibile quanto meno di una riflessione, direi anche di forti perplessità, è che questa rischia di essere la classica norma manifesto, da sbandierare come una scelta di maggiore severità del Parlamento, e della maggioranza in particolare, nei confronti di questi delinquenti, che - per carità - sono anche troppi nel nostro Paese e attentano alla sicurezza dei cittadini.
Perché parlo di norma manifesto? Perché ciò che rende effettivo il significato di un sistema repressivo non è rinvenibile nella misura della pena così come è astrattamente prevista, ma nel principio di effettività della pena, rispetto al quale devo dire che in Italia siamo assai deboli; lo sappiamo tutti ed è perfettamente inutile ripeterlo. Allora, che senso ha prevedere un inasprimento, stabilire criteri che inaspriscono l'irrogazione della pena in concreto, quando l'effettività rimane fuori da qualunque iniziativa legislativa di questa maggioranza e di questo Governo?
Continuiamo ad avere processi lentissimi e nessuna legge, nessun provvedimento è stato adottato in quattro anni per cercare di sveltire la macchina giudiziaria; in questo stesso disegno di legge accorciamo i termini della prescrizione, cioè inneschiamo nel sistema una causa estintiva del reato che, ferma restando la lentezza, che nessuno si è peritato di migliorare, cioè di accelerare, segnerà un incremento assai maggiore delle cause estintive che verranno dichiarate in sentenza.
Vi sarà quindi una severità maggiore nei confronti dei recidivi, ma vi saranno molti meno recidivi, perché molte meno sentenze di condanna saranno pronunziate, in quanto molte più saranno di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione.
Qual è dunque la coerenza logica di questo impianto, al di là, ripeto, di quella forte perplessità di rango costituzionale? Se guardiamo una singola norma di qualunque disegno di legge, un singolo articolo, un singolo comma, possiamo anche ragionarci, trovare anche motivi di riflessione; ma se poi alziamo lo sguardo, come secondo me il legislatore dovrebbe sempre fare, e facciamo un discorso più organico, senza andare al sistema nel suo complesso, anche limitandoci al disegno di legge portato al nostro esame e troviamo questo genere di incongruenze, i limiti di una scelta contenuta in un comma o in un articolo risaltano ancora maggiormente.
Senza volere - per carità - puntare il dito contro nessuno, né processare nessuno in quest'Aula - ci mancherebbe altro - queste sono le ragioni che mi premeva chiarire per motivare il nostro voto fermamente contrario all'articolo 2.
Concludendo, chiedo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di verifica del numero legale risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta non risulta appoggiata).
Metto ai voti l'articolo 2, nel testo emendato.
È approvato.
BETTAMIO (FI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BETTAMIO (FI). Signor Presidente, intervengo per una questione tecnica. Vorrei risultasse a verbale che, essendosi smagnetizzata improvvisamente la mia tessera, ho effettuato una serie di votazioni senza che risultassero. I servizi mi hanno prontamente rimesso in condizione di farlo e adesso ricomincio a votare regolarmente.
PRESIDENTE. Ne prendiamo atto, senatore Bettamio.
Accoglimento di proposta d'inversione dell'ordine del giorno
CENTARO (FI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CENTARO (FI). Signor Presidente, vorrei proporre all'Aula e a lei un'inversione dell'ordine del giorno, nel senso di un accantonamento momentaneo del disegno di legge attualmente in esame e la prosecuzione dei nostri lavori con l'esame dell'Atto Senato n. 1184-B.
PRESIDENTE. Poiché non si fanno osservazioni, dispongo l'inversione dell'ordine del giorno nel senso richiesto dal senatore Centaro.
(omissis)
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.3247,260,2699 e 2784 (ore 19,42)
PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame del disegno di legge n. 3247 e connessi.
Metto ai voti l'emendamento 2.0.400, presentato dal senatore Calvi e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 2.0.100.
ZANCAN (Verdi-Un). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, come avevo accennato in precedenza, sono d'accordo sull'inasprimento della sanzione per il reato di usura, non tanto nel massimo, quanto nel portare il minimo da uno a due anni. Ma l'inasprimento della pena per il reato di usura rende ancora più incongrue le norme di regime transitorio che prevedono, attraverso il conteggio della prescrizione, di applicare questi nuovi termini prescrizionali, anche per il reato di usura, secondo la formulazione vecchia, così sostanzialmente portando ad un'amnistia per il reato di usura.
Ora, è veramente schizofrenico, senatore Centaro, un testo di legge che, da un lato, aumenta la pena per un reato, dall'altro, provoca, attraverso un meccanismo di prescrizione che vale per il passato, una sostanziale amnistia per coloro che hanno commesso il medesimo reato. C'è proprio una discrasia interna, non c'è alcuna logica in tutto questo.
Credo allora che si debba, quanto meno, prevedere che questa nuova previsione per il reato di usura sfugga alla mannaia dell'articolo 10. Questa è un'assicurazione che mi sembra il senatore Centaro debba offrire all'Aula nel proporre il suo emendamento, perché non può altrimenti convincerci di un aumento di sanzione, quando poi tale aumento non ha alcuna efficacia per il passato, per i procedimenti in corso e, anzi, il meccanismo dell'intiera legge finisce sostanzialmente per essere messo in non cale.
Aderisco dunque all'emendamento del senatore Centaro, ma in ogni caso l'importanza del voto mi impone di richiedere la verifica del numero legale.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mia è una dichiarazione di voto a favore dell'emendamento del senatore Centaro. Devo dire… (Il senatore Veraldi discute animatamente con il senatore Meduri).
PRESIDENTE. Senatore Meduri, per cortesia. Prego, senatore Dalla Chiesa. (Il senatore Veraldi continua a discutere animatamente con il senatore Meduri).
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). C'è una contestazione in calabrese.
PRESIDENTE. Senatore Veraldi, senatore Meduri, uscite se dovete discutere.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Dicevo che sono anch'io a favore dell'emendamento del senatore Centaro, con qualche dubbio però sull'innalzamento del minimo rispetto al collega Zancan, che ha dei dubbi invece sull'innalzamento della pena massima, per una ragione che sottopongo al collega Centaro, il quale probabilmente potrà rispondermi.
L'associazione «Libera» ha condotto un'inchiesta nel Nord sulle forme embrionali di usura che vengono esercitate anche tra gli studenti delle scuole superiori, forme di usura che, almeno in base alla ricerca, hanno dimostrato una disponibilità, da parte degli studenti, a corrispondere anche degli interessi del cento per cento nel corso di pochi mesi per l'acquisto di beni di consumo a cui tipicamente la cultura adolescenziale e giovanile è molto affezionata.
Questo mi pone dei problemi proprio sull'innalzamento della pena minima, perché, a sentir parlare dell'usura, immediatamente, per l'odiosità del comportamento e del reato, si sarebbe portati a ritenere che sia sacrosanto un innalzamento da uno a due anni per la pena minima e da sei a dieci anni per la pena massima.
Sulla pena massima non avrei problemi. Credo che nei casi più gravi l'usura debba essere colpita con una pena molto severa. Tuttavia, nel momento in cui si manifestano comportamenti che giuridicamente non possiamo non considerare usurari, ma che avvengono in uno stato di non totale consapevolezza da parte di coloro che li mettono in atto, l'innalzamento da uno a due anni può comportare qualche problema. Da quest'Aula possiamo rispondere che l'innalzamento della pena può essere anche un deterrente significativo che consegnamo alla coscienza collettiva e che può produrre una maggiore consapevolezza.
In linea di massima e con questa perplessità, condivido il senso dell'emendamento presentato e credo che il Gruppo della Margherita possa pronunciarsi a favore. Ciò non di meno, permane in me quella contrarietà istintiva e anche di diritto che ho espresso prima e che è stata precedentemente illustrata dal senatore Zancan.
Stiamo procedendo ad un meritorio innalzamento della pena per un reato che ha sconvolto la vita di decine di migliaia di famiglie e, al tempo stesso, prevediamo che questo reato possa più facilmente non essere scontato abbattendo i tempi della prescrizione. E lo facciamo per un reato che riteniamo così necessario combattere da innalzarne la pena in base alla proposta avanzata dal senatore Centaro.
Tutti sappiamo, ma voglio ricordarlo, che il senatore Centaro è il presidente della Commissione antimafia. Egli, quindi, in base alla sua esperienza e a quella della Commissione, ci sta dicendo che questo è un reato che va punito più severamente aumentando la pena massima, ma noi lasciamo inalterate le condizioni per cui questo reato alla fine può non essere sanzionato a tutti gli effetti.
Se tutti insieme vogliamo svolgere adeguatamente il nostro ruolo di legislatori, quelli con la "L" maiuscola di cui si studia sui manuali di diritto, non possiamo non porci seriamente questo problema. Da un lato, innalziamo le pene perché ce lo chiede il Presidente della Commissione antimafia, dall'altro, lasciamo inalterate le condizioni per cui queste pene, alla prova dei fatti, possono non essere erogate.
Nonostante questa perplessità, che porterà poi ad un voto contrario sul provvedimento, l'emendamento 2.0.100 ci sembra meritevole di un voto favorevole; caso mai, aumenterà le contraddizioni che la legge reca in sé.
BOBBIO Luigi (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Gruppo di Alleanza Nazionale non potrà non votare a favore di questo emendamento. Tuttavia, mi consentano i colleghi, non è possibile non formulare sull'emendamento in questione alcune valutazioni ed avanzare eventualmente suggerimenti e richieste al presidente Centaro in relazione alla funzione e alla tenuta stessa della norma ipotizzata nell'emendamento.
Non possiamo non votare a favore dell'emendamento; forse preferiremmo non doverlo fare, ma finiremmo comunque per approvarlo, e ciò non solo in relazione al tenore, alla finalità, al contenuto e alla ratio ispiratrice della norma. Infatti, come esponenti di un centro-destra che ispira il suo agire alla certezza della pena, alla forza della risposta repressiva della legge e alla sicurezza dei cittadini non possiamo non considerare con favore un'ipotesi di consolidamento sanzionatorio dell'apparato normativo in relazione a fattispecie gravi e devastanti quali l'usura.
Nel muoverci però in questo territorio, comunque complesso e delicato, in relazione al disegno di legge in esame non possiamo non formulare alcuni rilievi.
In primo luogo, sono ancora una volta lieto e soddisfatto di aver fatto il precedente riferimento all'esito del voto della Camera e all'atteggiamento politicamente e legislativamente schizoide del centro-sinistra in questa vicenda, visto che il riferimento all'articolo 1 ha generato e continua a generare reazioni scomposte sul piano politico.
GARRAFFA (DS-U). Ma pensa a te che hai dichiarato una cosa e hai votato in modo diverso! Sei una banderuola!
BOBBIO Luigi (AN). In relazione a questo vanno aggiunte alcune considerazioni.
PAGANO (DS-U). Sei ridicolo!
BOBBIO Luigi (AN). Va aggiunta innanzitutto una considerazione: con questo emendamento (lo dico con la consueta stima, con affetto e considerazione per il presidente Centaro) forse facciamo al centro-sinistra politicamente incerto, strumentalizzatore e disattento, una concessione di troppo. Andiamo, cioè, a concedere qualcosa a una delle cosiddette argomentazioni forti dell'opposizione che forse avremmo potuto non dare.
Basterebbe infatti far notare ai colleghi del centro-sinistra (certamente i più attenti fra di loro lo hanno già notato ma si guardano bene dal dirlo, nelle loro ripetute, reierate e francamente ormai un po' ripetitive argomentazioni sul punto) che la cosiddetta legge ex Cirielli agevolerebbe i delinquenti e le prescrizioni, che andrebbe a colpire indagini e processi di particolare delicatezza (Applausi dei senatori Garraffa e Zancan), che in rerum natura, come si dice dal punto di vista giuridico, l'usura semplice non esiste.
L'usura semplice finisce con l'essere un caso di scuola perché non vi sono fatti di usura che non siano nella totalità dei casi riconducibili sotto il paradigma normativo dell'usura aggravata, che prevede pene molto più elevate e che lascerebbe comunque nella pratica sempre assolutamente tranquilli circa l'inesistenza di un dedotto - anche se inesistente - pericolo concreto e fattuale di abbassamento dei termini della prescrizione.
Se è vero come è vero tutto ciò, votando questo emendamento, ripeto lodevole del suo intento, faremmo alla strumentalizzazione politica dell'opposizione una concessione largamente, enormemente superiore alla fondatezza delle censure che la stessa opposizione muove al disegno di legge, anche utilizzando questa parte della normativa in relazione al termine di prescrizione e al fatto che l'usura semplice con il termine sanzionatorio attuale probabilmente, anzi certamente, andrebbe incontro a momenti di prescrizione largamente inferiori a quelli che oggi vi sono.
Dovremmo anche renderci conto che nel momento in cui andremo a votare questo emendamento avremo sì innalzato drasticamente le pene per l'usura semplice di cui al comma 1 dell'articolo 644, ma avremo anche innescato un effetto molto forte al rialzo delle pene previste per quella che invece è l'usura che si incontra ogni giorno negli uffici delle procure e nelle aule dei tribunali, perché porteremo d'un colpo, d'emblée, la pena dell'ipotesi aggravata dell'usura fino ad un massimo di vent'anni. Ora, non è detto, e non vi è chi non veda che questo non è detto, che sia un effetto da respingere.
Rendetevi però conto, cari amici dell'opposizione che oggi sembrate pronunciarvi - o almeno alcuni di voi - così fortemente a favore di questa ipotesi emendativa, che genererà un effetto violento di innalzamento della pena edittale per l'usura aggravata, che è l'usura normale che si incontra ogni giorno nelle prassi giudiziarie.
Si tratta di quella stessa usura che voi stessi in mille altri casi avete detto di non volere e che rappresenta, se si verificherà, un'ipotesi molto forte di risposta sanzionatoria in una linea di rigore sanzionatorio che a noi esponenti del centro-destra può anche andar bene.
Ne prendiamo atto ma suonerà, per ragioni strumentali, una volta di più in una logica di intima contraddittorietà, di assoluta incertezza e di natura ondivaga del vostro legiferare, del vostro approcciarvi al processo legislativo.
Teniamo conto di un'altra circostanza: il timore dal quale prende le mosse questo emendamento, timore corretto entro certi limiti e sotto certi aspetti stante così la norma della quale ci stiamo occupando, potrebbe largamente essere sminuito o azzerato se solo si considerano anche gli altri emendamenti successivi, in particolare quelli che recano la firma mia e quella di colleghi di Forza Italia.
Incidendo correttamente sul tema prescrizione, sul tetto massimo - per esempio - della prescrizione in relazione ai meccanismi di sospensione ed interruzione portati drasticamente verso l'alto, finirebbe con il risolvere in via generale, seppure fosse ritenuto esistente, l'eventuale problema dal punto di vista della risposta in termini di processi e di processabilità in relazione a fattispecie di reato ritenute gravi, pericolose, allarmanti.
Quindi, per evitare forme di eccessiva forza tutta teorica nella risposta sanzionatoria, suggerisco di valutare eventualmente anche una rimodulazione dell'emendamento in questione, per tenere conto anche del fatto che si finirebbe con l'andare a colpire, con una risposta sanzionatoria davvero forte, casi spesso teorici, (per non dire sempre teorici) che comunque di essa forse non necessitano. Ma quand'anche si volesse fare questo, non potremmo non tener conto del fatto che le ipotesi di usura aggravata raggiungerebbero un tetto sanzionatorio addirittura superiore a quello previsto per il delitto ex articolo 416-bis o per reati legati al traffico di stupefacenti.
Detto questo, se dovesse restare in questi termini la formulazione negativa, Alleanza Nazionale voterà comunque a favore del provvedimento. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Chincarini).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, tenuto conto dell'ora e poiché sono iscritti a parlare in dichiarazione di voto ancora tre senatori, rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
Allegato A
DISEGNI DI LEGGE DISCUSSI AI SENSI DELL'ARTICOLO 44, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO
Nuova disciplina della prescrizione del reato (260)
Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di "ragionevole durata" del processo (2699)
Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (2784)
(*) Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (3247)
________________
(*) Testo preso a base dall'Assemblea
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3247 NEL TESTO APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
ART. 1.
Soppresso
1. All’articolo 62 del codice penale, dopo il numero 6), è aggiunto il seguente:
«6-bis) l’essere persona che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settanta anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99».
EMENDAMENTI
1.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Approvato
Sopprimere l’articolo.
1.2
FASSONE, CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Id. em. 1.1
Sopprimere l’articolo.
1.3
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 1.1
Sopprimere l’articolo.
1.400
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Precluso
Sostituire l’articolo 1 con il seguente:
«Art. 1. – L’articolo 62 del codice penale è sostituito dal seguente:
"Art. 62. - (Circostanze attenuanti). – Sono circostanze attenuanti comuni, salvo che la legge disponga diversamente:
a)l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
b)l’avere reagito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui;
c)l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato o tentato di cagionare un danno di particolare tenuità;
d)l’avere commesso il reato perchè indotto da persona alla cui autorità l’autore del reato era sottoposto, o l’avere, nell’esercizio di una prestazione lavorativa subordinata, commesso il reato perchè condizionato da disposizioni impartite da un superiore;
e)l’avere commesso il reato per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio, in una situazione particolare nella quale era sensibilmente diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma;
f)l’avere, prima del giudizio, risarcito integralmente il danno, o comunque l’essersi adoperato efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato"».
1.401
MARITATI, LEGNINI, FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA
Precluso
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis con il seguente:
«6-bis) L’avere commesso il reato per evitare un pericolo grave di danno alla persona o al patrimonio, in una situazione particolare nella quale era sensibilmente diminuita la possibilità di tenere un comportamento conforme alla norma;».
1.402
MARITATI, LEGNINI, FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA
Precluso
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis con il seguente:
«6-bis) L’avere commesso il reato perchè indotto da persona alla cui autorità l’autore del reato era sottoposto, o l’avere, nell’esercizio di una prestazione lavorativa subordinata, commesso il reato perchè condizionato da disposizioni impartite da un superiore;».
1.403
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) L’aver commesso il fatto avendo non meno di settantacinque anni di età e senza trovarsi nelle condizioni di cui all’art. 99, al momento della sentenza».
1.405
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) Il possedere colui che ha commesso il fatto i seguenti requisiti:
a) età di settantacinque anni al momento della commissione del fatto;
b)non essere nelle condizioni di cui all’articolo 99 comma secondo c.p. al momento della sentenza».
1.407
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire capoverso 6-bis sostituire le parole da: «persona» fino alla fine del comma, con le seguenti: «soggetto che, al momento della commissione del fatto, abbia compiuto settantacinque anni di età e che, al momento della sentenza, non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma c.p.».
1.408
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «al momento» fino alla fine del comma, con le seguenti: «abbia compiuto settantacinque anni di età al momento della commissione del fatto e che non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma al momento della sentenza».
1.404
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) Il non trovarsi, da parte del soggetto che ha commesso il fatto, nelle condizioni di cui all’art. 99 c.p. al momento della sentenza e il non avere, al momento della commissione del fatto, meno di settantasei anni di età».
1.406
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire il capoverso 6-bis ivi richiamato con il seguente:
«6-bis) godere, da parte di colui che ha commesso il fatto, di entrambi i seguenti requisiti:
a) il non trovarsi, al momento della sentenza nelle condizioni di cui all’articolo 99 al momento della sentenza;
b)l’avere non meno di settantaquattro anni al momento in cui ha commesso il fatto».
1.4
CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis), sopprimere le parole: «,al momento della commissione del fatto,».
1.409
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «della commissione» fino alla fine del comma, con le seguenti: «in cui il fatto è stato commesso, abbia compiuto settantaquattro anni di età e non rientri nelle condizioni di cui all’articolo 99 al momento della pronuncia della sentenza».
1.411
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis), sopprimere le seguenti parole: «al momento della sentenza».
1.412
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «al momento della sentenza» fino alla fine del comma, con le seguenti: «non sia già stato dichiarato, ai sensi dell’articolo 99, recidivo».
1.410
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole da: «settanta» fino alla fine del comma, con le seguenti: «settantacinque anni di età e non rientri nelle condizioni di cui all’articolo 99 comma secondo al momento della pronuncia della sentenza».
1.8
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole da: «settanta anni di età» fino: «all’art. 99» con: «settantacinque anni di età e non si trovi nelle condizioni di cui all’art. 99 II comma c.p.».
1.9
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Ritirato
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole da: «settanta anni di età» fino: «all’art. 99» con le altre: «settantacinque anni di età».
1.300
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis) sostituire le parole: «compiuto settanta» con le seguenti: «non meno di ottanta».
1.5
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Sostituire la parola: «settanta» con la seguente: «ottanta».
1.6
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole: «settanta anni» con le seguenti: «settantadue anni».
1.7
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis), sostituire le parole: «settanta anni» con le seguenti: «sessantacinque anni».
1.301
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso «6-bis)», sostituire le parole: «compiuto settanta», con le seguenti: «più di settantacinque».
1.10
CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis), alla parola: «sentenza» sono premesse le parole: «pronuncia della».
1.11
CALVI, FASSONE, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, capoverso 6-bis), le parole: «non si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99» sono sostituite dalle seguenti: «non sia già stato dichiarato recidivo ai sensi dell’articolo 99».
1.302
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, sostituire le parole: «si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «sia recidivo».
1.303
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, sostituire le parole: «nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «nella condizione di recidivo».
1.304
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo
Al comma 1, sostituire le parole: «nelle condizioni di cui all’articolo 99» con le seguenti: «sia stato già condannato per un altro reato».
1.413
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso «6-bis)», aggiungere, in fine, le seguenti parole: «primo e secondo comma».
1.414
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso «6-bis)», aggiungere, in fine, le seguenti parole: «comma secondo».
EMENDAMENTO TENDENTE AD INSERIRE UN ARTICOLO AGGIUNTIVO DOPO L'ARTICOLO 1
1.0.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Precluso dalla soppressione dell'articolo 1
Dopo l’articolo 1, inserire il seguente:
«Art. 1-bis.
Al primo comma, n.4) dell’articolo 112 del codice penale dopo le parole: "deficienza psichica" aggiungere le seguenti: "o nelle condizioni di cui all’articolo 62 n.6-bis del codice penale"».
ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3247 NEL TESTO APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
ART. 2.
Approvato con emendamenti
1. L’articolo 62-bis del codice penale è sostituito dal seguente:
«Art. 62-bis. - (Circostanze attenuanti generiche). – Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.
Ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto delle circostanze di cui all’articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni».
2. All’articolo 416-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «tre» e «sei» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «cinque» e «dieci»;
b) al secondo comma, le parole: «quattro» e «nove» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «sette» e «dodici»;
c) al quarto comma, le parole: «quattro» e «dieci» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «sette» e «quindici» e le parole: «cinque» e «quindici» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «dieci» e «ventiquattro».
3. All’articolo 418, primo comma, del codice penale, le parole: «fino a due anni» sono sostituite dalle seguenti: «da due a quattro anni».
EMENDAMENTI
2.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Respinto
Sopprimere l’articolo.
2.2
CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Id. em. 2.1
Sopprimere l’articolo.
2.3
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 2.1
Sopprimere l’articolo.
2.400
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Sostituire l’articolo con il seguente:
«Art. 2.
1. L’articolo 62-bis del codice penale è sostituito dal seguente:
"Art. 62-bis. - (Circostanze attenuanti generiche). – Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62"».
2.401
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso «62-bis)», nel primo comma, dopo le parole: «può prendere in considerazione» aggiungere le seguenti: «ulteriori criteri e».
2.402
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso «62-bis)», nel primo comma, sostituire le parole: «altre circostanze diverse» con le seguenti: «ulteriori circostanze».
2.4
CALVI, MARITATI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis» al comma primo la parola «diverse» è soppressa.
2.404
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, all’articolo 62-bis ivi richiamato, al primo comma, sopprimere il secondo periodo.
2.5
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Respinto
Al comma 1, primo capoverso dell’«Art. 62-bis» richiamato, sopprimere dalle parole: «indicate nel predetto art. 62» fino alla fine.
2.405
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso dell’«Art. 62», sostituire il secondo comma con il seguente:
«Ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto delle circostanze di cui all’articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, n.1, n.2 e n.4, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni».
2.403
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, nel secondo capoverso dell’«Art. 62-bis)», ivi richiamato, sostituire le parole da «non si tiene conto» fino alla fine del capoverso, con le seguenti:
«non sono considerati i criteri di cui all’articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni».
2.6
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Respinto
Al comma 1, secondo capoverso dell’«Art. 62-bis» ivi richiamato, dopo le parole: «non si tiene conto» aggiungere le seguenti: «quando debbano essere valutate a favore dell’imputato».
2.7
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Approvato
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis» al comma 2, sostituire le parole: «delle circostanze» con le seguenti: «dei criteri».
2.8
FASSONE, CALVI, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, ZANCAN, LEGNINI
Id. em. 2.7
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis» al comma 2, sostituire le parole: «delle circostanze» con le seguenti: «dei criteri».
2.9
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 2.7
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», al comma 2, sostituire le parole: «delle circostanze» con le seguenti: «dei criteri».
2.200
Id. em. 2.7
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», al comma 2, sostituire le parole: «delle circostanze» con l’altra: «dei criteri».
2.10
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Respinto
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», al secondo comma, sopprimere le parole: e secondo comma».
2.11
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Respinto
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», al secondo comma, dopo le parole: «secondo comma» aggiungere le seguenti: «n.1, n.2, n.4».
2.13
MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, ZANCAN
Le parole da: «Al comma 1» a: «la seguente:» respinte; seconda parte preclusa
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis» secondo comma, sostituire la parola: «cinque» con la seguente: «dieci».
2.14
AYALA, FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, ZANCAN, LEGNINI
Precluso
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis» secondo comma, sostituire le parole: «a cinque anni» con le seguenti: «a sei anni».
2.12
CALVI, FASSONE, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, ZANCAN, LEGNINI
Precluso
Nel comma 1, capoverso «Art. 62-bis» secondo comma, sostituire le parole: «nel minimo a cinque anni» con le seguenti: «nel minimo a quattro anni».
2.351
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Respinto
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», al comma 2, sostituire le parole: «nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni» con le parole: «limitatamente al caso di delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a sette anni».
2.406
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Respinto
Al comma 1, capoverso «Art. 62-bis», dopo il comma secondo, aggiungere i seguenti commi:
«Il fatto non è punibile quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) il fatto è di particolare tenuità, per la minima entità del danno o del pericolo nonché per la minima colpevolezza dell’agente;
b) il comportamento è stato occasionale;
c) non sussistono pretese risarcitorie;
d) non sussistono esigenze di prevenzione generale o speciale tali da richiedere una qualsiasi misura nei confronti dell’autore del reato.
La disposizione di cui al comma terzo si applica ai reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a due anni».
2.407
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, sostituire le lettera a) con la seguente:
«a) al primo comma, la parola: "sei" è sostituita dalla seguente: "otto"».
2.408
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, lettera a), sostituire le parole: «cinque» e «dieci» rispettivamente con le seguenti: «quattro» e «otto».
2.15
BRUTTI MASSIMO, MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera a), sostituire le parole: «cinque» e «dieci» con le seguenti: «sei» e «undici».
2.16
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Le parole da: «Al comma 2» a: «la seguente:» respinte; seconda parte preclusa
Al comma 2, lettera a), sostituire la parola: «cinque» con la seguente: «sette».
2.17
LEGNINI, MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, BRUTTI MASSIMO, ZANCAN
Precluso
Al comma 2, lettera a), sostituire la parola: «cinque» con la seguente: «sei».
2.18
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera a), sostituire la parola: «dieci» con la seguente: «dodici».
2.352
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 2.18
Al comma 2, lettera a), sostituire la parola: «dieci» con la seguente: «dodici».
2.201
Approvato
Al comma 2, sostituire la lettera a), con la seguente:
a) al primo comma le parole: «da tre a sei anni» sono sostituite con le seguenti: «da cinque a dieci anni».
2.350
Id. em. 2.201
Al comma 2, sostituire la lettera a), con la seguente:
a) al primo comma le parole: «da tre a sei anni» sono sostituite con le seguenti: «da cinque a dieci anni».
2.19
CALVI, FASSONE, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera b), sostituire le parole: «sette» e «dodici» con le seguenti: «dieci» e «quindici».
2.409
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, lettera b), sostituire le parole: «sette» e «dodici» con le seguenti: «cinque» e «dieci».
2.20
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera b), sostituire la parola: «sette» con la seguente: «dieci».
2.21
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 2.20
Al comma 2, lettera b), sostituire la parola: «sette» con la seguente: «dieci».
2.410
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, lettera b), sostituire la parola: «sette» con la seguente: «sei».
2.22
MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera b), sostituire la parola: «dodici» con la seguente: «quindici».
2.411
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, lettera b), sostituire la parola: «dodici» con la seguente: «dieci».
2.412
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Respinto
Al comma 2, sostituire la lettera c), con la seguente:
c) al quarto comma le parole: «quattro» e «dieci» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «sei» e «dodici».
2.353
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Respinto
Al comma 2, lettera c), sostituire le parole da: «sette» fino alla fine della lettera, con le seguenti: «"dieci" e "quindici" e le parole: "cinque" e "quindici" sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: "dodici" e "ventisei"».
2.25
BRUTTI MASSIMO, MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, LEGNINI, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera c), sostituire le parole: «sette» e «quindici» con le seguenti: «dieci» e «venti».
2.23
LEGNINI, MARITATI, FASSONE, AYALA, CALVI, BRUTTI MASSIMO, ZANCAN
Respinto
Al comma 2, lettera c), sostituire la parola: «sette» con la seguente: «dieci».
2.24
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Id. em. 2.23
Al comma 2, lettera c), sostituire la parola: «sette» con la seguente: «dieci».
2.413
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 2, lettera c), sostituire le parole: «cinque» e «quindici» rispettivamente, con le seguenti: «sette» e «diciotto».
2.26
AYALA, CALVI, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Le parole da: «Al comma 2» a: «la seguente:» respinte; seconda parte preclusa
Al comma 2, lettera c), sostituire la parola: «dieci» con la seguente: «quindici».
2.27
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Precluso
Al comma 2, lettera c), ultima riga, sostituire la parola: «dieci» con la seguente: «dodici».
2.28
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Respinto
Sopprimere il comma 3.
2.202
Ritirato
Sopprimere il comma 3.
2.414
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Id. em. 2.28
Sopprimere il comma 3.
2.29
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Respinto
Al comma 3, sostituire le parole: «da due a quattro anni» con le seguenti: «da cinque a dieci anni».
2.416
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 3, sostituire le parole: «da due a quattro» con le seguenti: «fino a tre».
EMENDAMENTI TENDENTI AD INSERIRE ARTICOLI AGGIUNTIVI DOPO L'ARTICOLO 2
2.0.400
CALVI, AYALA, FASSONE, BRUTTI MASSIMO, LEGNINI, MARITATI
Respinto
Dopo l’articolo 2, inserire il seguente:
«Art. 2-bis.
1. L’articolo 61 del codice penale è sostituito dal seguente:
"Art. 61. - (Circostanze aggravanti) - Sono circostanze aggravanti comuni, salvo che la legge disponga diversamente:
a) l’avere commesso il delitto per finalità di discriminazione razziale;
b) l’avere commesso il reato per eseguire o occultare un altro reato, ovvero per assicurare a sè o ad altri il profitto o l’impunità di un altro reato;
c) l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;
d) l’avere, nei delitti dolosi contro la persona, o comunque commessi con violenza alla persona, agito per motivi abietti o futili, o con sevizie;
e) l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento"».
2.0.100
Dopo l’articolo 2, inserire il seguente:
«Art. 2-bis.
1. Al comma 1 dell’articolo 644 del codice penale sostituire le parole: "da uno a sei anni e con la multa da euro 3.089 a euro 15.493" con le parole: "da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000"».
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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843a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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GIOVEDI’ 14 LUGLIO 2005 |
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Presidenza del presidente PERA, |
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(3247) Deputati CIRIELLI ed altri. (I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge) - Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (Approvato dalla Camera dei deputati)
(260) FASSONE ed altri. - Nuova disciplina della prescrizione del reato
(2699) FASSONE ed altri. - Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di «ragionevole durata» del processo
(2784) GUBETTI ed altri. - Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (ore 10,47)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 3247, già approvato dalla Camera dei deputati, 260, 2699 e 2784.
Riprendiamo l'esame degli articoli del disegno di legge n. 3247.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri hanno avuto inizio le dichiarazioni di voto sull'emendamento 2.0.100.
FASSONE (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, i Democratici di Sinistra voteranno a favore di questo emendamento, ma lo faranno senza entusiasmo.
Esso dispone un sensibile aumento delle pene per il delitto di usura e questo ci può trovare, in linea di principio, consenzienti, alla luce del fatto che il delitto di usura è un delitto grave, che desta profondo allarme sociale. Tale emendamento porta, però, ad un appesantimento sanzionatorio potenzialmente grave, sul quale invece non siamo d'accordo, anche perché non è il primo intervento che i colleghi della maggioranza operano in termini di inasprimento delle pene. (Brusìo in Aula).
PRESIDENTE. C'è troppo brusìo, colleghi, per cortesia. Non si riesce a sentire l'intervento del senatore Fassone. Un po' di silenzio.
FASSONE (DS-U). Grazie, signor Presidente.
Dicevo che questo emendamento si aggiunge ad altro, poco prima approvato e anch'esso su proposta dei colleghi della maggioranza, che già aumentava le sanzioni per altri delitti, quelli di cui all'articolo 416-bis.
Presidenza del vice presidente FISICHELLA(ore 10,48)
(Segue FASSONE). Perché questo reiterato ritornare sulle sanzioni, nel senso di appesantirle sensibilmente, al punto da suscitare allarmi in altri colleghi della maggioranza stessa, come il senatore Bobbio? È molto semplice: perché è un modo necessitato di rimediare con una stortura ad un'altra stortura, quella dell'articolo 6 e della prescrizione. Siccome la prescrizione adegua i termini di estinzione del reato per detta causa al massimo edittale e quindi produce un sensibile abbassamento dei tempi di prescrizione, allora si interviene sui massimi edittali, e di riflesso anche sui minimi, per cercare di fronteggiare la moria processuale che altrimenti conseguirebbe a questo infelice intervento.
Non è un bel modo di legiferare, perché appunto ad una stortura si risponde con un'altra stortura. Siccome si vuole ad ogni costo raggiungere un certo obiettivo attraverso l'istituto della prescrizione, poi si corregge una parte delle sue conseguenze attraverso questo tipo di interventi, che quindi siamo anche noi costretti a votare senza entusiasmo.
A questo punto, il discorso potrebbe finire, ma la prego, signor Presidente, di concedermi ancora un piccolo supplemento, relativo all'intervento di ieri del senatore Bobbio, il quale ha detto cose davvero sorprendenti.
Egli ha affermato che questo emendamento è rappresentativo del modo incoerente e sorprendente di legiferare dell'opposizione. Egli ha detto: «Rendetevi però conto, cari amici dell'opposizione che oggi sembrate pronunciarvi (...) a favore di questa ipotesi emendativa, che genererà un effetto violento di innalzamento della pena edittale per l'usura aggravata (...)» «Ne prendiamo atto ma suonerà (...) una volta di più in una logica di intima contraddittorietà, di assoluta incertezza e di natura ondivaga del vostro legiferare (...)».
Talché mi sono domandato se, per avventura, vi fosse un senatore Centaro anche nelle file dell'opposizione per qualche elezione suppletiva, di quelle che hanno portato tanti volti nuovi nelle nostre file in questi anni. Ma, effettivamente, il senatore Centaro è solo nella maggioranza.
E allora perché il senatore Bobbio continua ad attribuire all'opposizione demeriti che non ha? Non è la prima volta, e sono costretto a rimarcarlo, perché poco prima di questo intervento egli ne aveva fatto un altro assai violento nei confronti dell'opposizione, accusata di incoerenza per aver proposto la soppressione dell'articolo 1.
C'è stata davvero una pesante requisitoria, una severa reprimenda, una violenta strapazzata del centro-sinistra, cosa da coprirsi il capo di cenere per il resto dei nostri giorni, se non fosse che questo obiettivo era, almeno in parte, sbagliato. Infatti, se è vero che alla Camera maggioranza e opposizione hanno approvato l'articolo 1, è altrettanto vero che al Senato maggioranza e opposizione ne hanno approvato la soppressione. E sì che il centro-destra aveva un'occasione splendida per accusarci con ragione: bastava respingesse il nostro emendamento soppressivo e avrebbe davvero potuto professare la propria coerenza e la nostra incoerenza. Invece non l'ha fatto; aveva l'occasione su un piatto d'argento e non l'ha raccolta. Perché?
Non sono legittimato ad entrare nella mente dei colleghi, ma i fatti hanno una loro eloquenza. Noi avevamo deciso di correre il rischio dell'incoerenza, perché il nostro obiettivo è quello di non permettere oggi l'approvazione di questa infelicissima legge e, ben sapendo che il punto di resistenza massimo sarebbe stato su quello che è il massimo nostro contrasto, cioè l'articolo 6, abbiamo provato ad erodere dove minore era prevedibile fosse la resistenza. Così è stato, ma perché voi, colleghi della maggioranza, vi siete associati a noi.
Dunque, perché vi siete associati a noi? Credo che la risposta sia molto evidente, documentata anche da tutta la serie di emendamenti che verranno tra breve esaminati e che portano la firma di vostri autorevoli esponenti: perché questo testo non piace nemmeno a voi e sapete che pagherete un alto prezzo politico se insisterete nella sua approvazione.
Allora, non rovesciate su di noi deficienze che sono essenzialmente vostre. Questo si chiama bluff, ma anche il più callido giocatore di poker sa che, pur rilanciando, se tutti gli altri non si ritirano dal tavolo, ad un certo punto si va a scoprire le carte. Ora, non so chi abbia le carte migliori, anche se ho solide speranze che esse siano nelle nostre mani, ma so per certo che non ci ritireremo.
PERUZZOTTI (LP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERUZZOTTI (LP). Signor Presidente, la Lega Nord voterà a favore dell'emendamento presentato dal senatore Centaro.
La ragione del nostro voto favorevole è che la problematica - ma io la considererei una piaga - dell'usura deve trovare risposte da parte del Parlamento. L'emendamento in esame è una piccola risposta a questa problematica che affligge ormai gran parte dei cittadini italiani. Si chiamino, a seconda della collocazione geografica, usurai, strozzini o cravattari, l'usura è una piaga che deve essere combattuta e tocca al legislatore dare risposte complete.
Mi è successo - ma credo che anche altri parlamentari abbiano avuto un'esperienza simile - di avere colloqui con persone, vittime degli usurai, che non riescono più a pagare il prezzo del prestito a strozzo e che sono costrette addirittura a commettere reati che molto probabilmente non si sarebbero mai sognate di commettere: gente che è costretta a rubare, che è costretta a prostituirsi, gente che addirittura è costretta a vendere un organo del proprio corpo per pagare gli usurai!
Al di là delle belle parole pronunciate dagli addetti ai lavori, siano essi parlamentari avvocati o parlamentari magistrati, appartenenti a questo o a quello schieramento, forse è opportuno, signor Presidente, attivarsi, anche al di fuori di questo provvedimento, ma in questa legislatura, per trovare una soluzione legislativa che colpisca senza pietà chi presta i soldi a strozzo.
Spesso questo avviene anche con la complicità di certi addetti ai lavori del settore bancario, che troppo spesso rimangono impuniti nel dedalo di leggi esistenti, per cui molte volte si rischia di perseguire i poveri diavoli, mentre i veri delinquenti non vengono perseguiti.
Ripeto, questo è un piccolo passo e pertanto siamo favorevoli all'emendamento, ma richiamiamo tutti i colleghi parlamentari perché forse è arrivato il momento di darsi da fare seriamente per evitare che questa piaga continui come un bubbone purulento ad infestare la nostra vita. (Applausi dal Gruppo LP e del senatore Zancan).
CENTARO (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CENTARO (FI). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, le ragioni poste a fondamento dell'emendamento non riposano - come qualche collega ha sostenuto - sulla necessità di riequilibrare il periodo di prescrizione inferiore derivante dalle modifiche contenute nel disegno di legge al nostro esame, perché - a tutta evidenza - l'usura è uno dei reati più facilmente verificabili attraverso le indagini, ma che in realtà viene poi posto in secondo piano nella selezione dei processi da svolgere in fase di indagini preliminari e in fase dibattimentale.
Vi è certamente, infatti, una selezione che guarda al reato più grave, al reato ritenuto di maggior pericolo sociale e, nelle pendenze notevoli che affliggono i nostri uffici giudiziari, è logico pensare a ciò. Tuttavia dobbiamo essere responsabilmente attenti ai mutamenti delle dinamiche della pericolosità sociale e quindi dobbiamo apprestare pene maggiori nel momento in cui si verifica uno spostamento verso il mercato dell'economia di quello che è il prodotto negativo dell'attività delinquenziale.
Oggi, in un periodo di finanziarizzazione dell'economia, in un periodo in cui le organizzazioni criminali hanno una grande capacità di arricchimento, dobbiamo spostare il mirino dall'attacco personale all'attacco finanziario e allora ci si rende conto che oggi la pena minima del reato di usura è assolutamente insufficiente. Vi è un mercato parallelo dell'economia fortemente penalizzante, a fronte di un modello statico degli istituti di credito legali, che non sempre consente un aggravamento di pena.
Consideriamo che l'attività degli usurai si sta evolvendo attraverso forme diverse da quelle previste nel codice; è quindi necessario ipotizzare un inasprimento di pena se si prende in esame anche la relazione con le pene oggi comminate per il furto aggravato, che colpisce episodicamente il patrimonio, mentre il ricorso al mercato dell'usura rappresenta l'ingresso in un tunnel da cui difficilmente sarà possibile uscire.
Va poi considerata anche un'altra circostanza: nell'applicazione della pena, i magistrati italiani partono raramente dai massimi, nella maggior parte dei casi partono dai minimi. È certamente importante che vi sia una forbice discrezionale perché il magistrato valuti la gravità del caso, ma se si parte sempre dai minimi e non si tocca mai il massimo della pena, il legislatore è costretto a intervenire di fronte a questo tipo di applicazione diffusa.
Del resto, gli stessi magistrati a volte invocano incoerentemente una maggiore severità di pena; mi è capitato, in una recente trasmissione televisiva, di ascoltare un pubblico ministero che invocava una maggiore severità delle pene e alla mia domanda perché non si partisse dal massimo, ha risposto che, notoriamente, non si procede mai così. Questa risposta è suffragata peraltro da una verifica su tutto il territorio nazionale. Ci sono coloro che irrogano le pene graduate alla severità ed è un peccato ridurre la forbice, ma il legislatore si trova necessitato ad aumentare le pene.
Sono queste le ragioni poste alla base dell'emendamento, per il quale il Gruppo di Forza Italia voterà a favore.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, si deve ribadire che l'introduzione di questo emendamento - non ce ne voglia il presidente Centaro - dimostra che l'impianto complessivo del provvedimento è approssimativo ed improvvido. Tra l'altro, abbiamo saltato una parte cospicua del lavoro in Commissione che, come è noto, è essenziale per questo tipo di provvedimenti. L'attività emendativa in Aula dimostra che il provvedimento non è stato costruito tenendo a mente tutte le complesse conseguenze che la modifica del regime della prescrizione provoca nel sistema penale di merito.
Abbiamo più volte ricordato, per la verità solo in parte inutilmente visto che la soppressione dell'articolo 1 dimostra questo assunto, che il regime della prescrizione, che peraltro si pone a cavallo del sistema processuale e di quello del diritto sostanziale, comunque, allo stato attuale, nel nostro sistema giuridico dottrinale, prim'ancora che codicistico, appartiene al sistema per così dire del merito del diritto penale.
Di conseguenza, è certamente opportuno tener conto del fatto che il reato per il quale si propongono aumenti di pena è certamente grave ed odioso, anche perché può dar luogo ad altre forme di reato e di organizzazione criminale, ma non è l'unico. Potremmo discutere anche del reato di estorsione, di rapina pluriaggravata oppure di corruzione, insomma dell'intero sistema di repressione penale. Di questo si tratta. Quando si agisce sulla prescrizione si fa inevitabilmente una riflessione in cui si mettono a confronto i vari reati e la loro offensività sociale.
Di conseguenza, il nostro voto è favorevole, ma condizionato dalla riflessione che la norma in discussione introduce comunque un elemento d'improprietà, non essendo in alcun modo sistematica rispetto alla restante parte dell'impianto normativo del provvedimento.
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione dell'emendamento 2.0.100.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo pertanto la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11,05, è ripresa alle ore 11,25).
Ripresa della discussione dei disegni di legge
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Procediamo nuovamente alla votazione dell'emendamento 2.0.100.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Invito i senatori segretari a vigilare sulla regolarità della votazione, anche perché vedo da quella parte una luce accesa a cui non corrisponde la presenza di nessun collega. Invito gli assistenti ad intervenire. (Vive proteste dei senatori Pagano, Piloni e Garraffa).
Anche lassù vedo cinque o sei luci che si accendono contemporaneamente, praticamente tutta una fila, l'ultima fila sopra la porta. (Gli assistenti parlamentari intervengono togliendo le tessere in eccesso).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11,27, è ripresa alle ore 12).
Presidenza del presidente PERA
In memoria delle vittime degli attentati londinesi
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli colleghi, prima di proseguire nei nostri lavori, desidero celebrare due minuti di silenzio, così come è stato convenuto in tutta Europa alle ore 12, ora continentale, per ricordare le vittime degli attentati terroristici avvenuti a Londra, per esprimere ai loro parenti e a tutto il popolo inglese la nostra solidarietà, nonché per riflettere su quanto sta accadendo e sulle misure con cui possiamo fronteggiare l'incredibile sfida con la quale si è aperto il nuovo secolo.
Per queste ragioni, osserviamo momento due minuti di silenzio.
Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.3247,260,2699 e 2784 (ore 12,03)
PRESIDENTE. Colleghi, riprendiamo i nostri lavori.
Passiamo nuovamente alla votazione dell'emendamento 2.0.100.
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta non risulta appoggiata).
Metto ai voti l'emendamento 2.0.100, presentato dal senatore Centaro.
È approvato.
Passiamo all'esame dell'articolo 3, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
ZANCAN (Verdi-Un). Signor Presidente, signori colleghi, questo articolo 3 potrebbe avere come sottotitolo "Ritorno al passato".
Nelle modifiche che vengono prospettate da questo testo di legge purtroppo, ahimè, non si inventa niente di nuovo, ma si ritorna al passato, a norme che la nostra civiltà giuridica aveva abbandonato. Infatti, si mette in discussione il bilanciamento tra le attenuanti e le aggravanti, che era stato introdotto da legge del 1975.
Presidenza del vice presidente SALVI(ore 12,06)
(Segue ZANCAN). Mi rincresce che non sia presente il senatore Andreotti; certamente egli votò a favore di quel testo di legge che ha rappresentato un momento di superamento di una certa situazione emergenziale.
Si ritorna dunque agli anni Sessanta, quando si esercitava una dissennata pressione punitiva laddove - diciamo così - si verificava l'impossibilità di bilanciare le attenuanti generiche con le aggravanti.
Sono costretto ad illustrarvi, con un esempio concreto, cosa succederebbe se mai questa norma, assolutamente sbagliata e al di fuori di qualsiasi nozione di equità, venisse approvata.
Supponiamo il caso di un ragazzo che abbia commesso un furtarello (per carità, il furtarello non è commendevole, ma certamente ad esso non corrisponde una sanzione particolarmente rilevante). In un momento successivo a detto furtarello, questo ragazzo tira un cazzotto alla partita di pallone, discutendo davanti ad un bar o litigando per una morosa. Il non bilanciamento delle attenuanti, visto che è recidivo dal precedente furtarello, gli porterà una pena minima da tre a sette anni.
È inutile che discutiamo su princìpi astratti, vediamo di verificare nel caso concreto che cosa succederebbe.
Supponiamo che due ragazzi decidano di rubare un motorino, uno dei due è la seconda volta che commette un furto, l'altro la prima volta: quest'ultimo si prenderà tre mesi, l'altro, che lo ha già fatto un'altra volta, si prenderà minimo da due anni in su. (Commenti dai Gruppi LP e FI)…Ah, vivaddio, è normale? Andate nei tribunali a vedere cosa succede, perché sono anche i nostri figli che fanno queste stupidaggini! (Commenti dai Gruppi LP e FI).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, qualche interruzione fa parte del dibattito parlamentare, ma non i boati. Qualche interruzione vivacizza, ma non i cori da stadio.
La prego, senatore Zancan, prosegua il suo intervento.
ZANCAN (Verdi-Un). Siccome so, signor Presidente, che non commettono furti coloro che nascono alla Crocetta - mi scusi se cito Torino - ma coloro che invece sono nati in Via delle Primule, in Via delle Pervinche, in Via dei Mughetti, senza colpa di nascere lì, allora continuo a pensare che questa legge sia contro gli ultimi della terra, sia un discrimine di classe, sia un discrimine di nascita, un discrimine che picchia sui deboli e non sui forti, sia un meccanismo legislativo che, con la finta idea di inasprire le sanzioni, le inasprisce soltanto nei confronti di determinate categorie che continuo a definire gli ultimi della terra.
Se voi, amanti del rigore, vi rendeste conto che questo provvedimento è in realtà un'amnistia per gli usurai, checché ne dica l'emendamento del senatore Centaro che vale per il futuro ma non per il passato, per i bancarottieri, per i concussori, per i corrotti e quant'altro, allora forse vi rendereste conto che si tratta dell'ennesimo provvedimento forte con i deboli e debole con i forti.
Faccio un altro esempio tecnico che riguarda il furto: se due portano la pena da tre a dieci anni, una delle aggravanti è che la porta sia chiusa o meno, perché se per caso non fosse chiusa, non ci sarebbe l'aggravante della forzatura, della destrezza nell'aprire la porta. Ricordo le domande: gentile signora, per cortesia, lei è proprio sicura di aver chiuso la portiera della sua macchina? E quando quella signora, nella sua onestà, rispondeva: la chiudo sempre, però non posso giurare di averla chiusa quella volta, si era vinta la causa, perché cadendo un'aggravante si passava da una pena di due anni ad una di due mesi di reclusione.
Volete tornare a questo sistema, che è stantio, vecchio, che è stato assolutamente espunto dal nostro ordinamento giuridico? Accomodatevi, ma non pensiate che così facendo otterrete una severità che serve alla tranquillità e alla pace sociale del Paese; inasprirete soltanto gli animi di quegli ultimi della terra, inasprirete quei quartieri della città dove purtroppo queste cose a un giovane di venti anni, senza posto di lavoro, possono succedere, mentre non colpirete quei poteri forti - tanto per intenderci Parmalat, tanto per intenderci Cirio - che voi, contestualmente a queste misure, prescrivete e a cui non date sanzione.
Per queste ragioni, signor Presidente, chiedo di accogliere l'emendamento soppressivo dell'articolo 3.
CONTESTABILE (FI). Bravo!
PRESIDENTE. Senatore Zancan, vedo che il suo intervento è apprezzato anche dall'opposizione.
PASTORE (FI). Opposizione? Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. Intendevo opposizione al ragionamento del senatore Zancan.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, illustrerò essenzialmente l'emendamento soppressivo dell'articolo 3. Nella sostanza, la norma in esame determina un'esclusione della possibilità di dichiarare prevalenti le attenuanti in presenza di una recidiva qualificata.
Riferendomi ad alcune osservazioni fatte prima di me dal senatore Zancan, ho rilevato più volte un ricorrente modo di legiferare da parte di questa maggioranza, un legiferare con lo sguardo rivolto all'indietro, ad una normativa superata da trent'anni. Per carità, esiste anche l'antiquariato, al quale sono personalmente molto sensibile, e non tutto quello che è vecchio è da gettare via, ci mancherebbe altro! Nel diritto il discorso è però un po' diverso: non c'è il bel cassettone o il buon quadro di fine Settecento, il diritto attraversa un'evoluzione spesso collegata ai cambiamenti profondi che intervengono nella società.
Esattamente trent'anni fa fu introdotta una novella legislativa che liberava le mani al giudice, rendeva meno rigidi alcuni criteri ai quali il giudice doveva uniformarsi nel determinare la pena; il bilanciamento o la dichiarazione di prevalenza tra attenuanti e aggravanti venne liberata dai lacciuoli che la rendevano impraticabile.
Al di là di una singola sentenza che possiamo non condividere nella misura della pena irrogata - è sempre giustizia retta da uomini e donne e quindi, per definizione, fallace - dobbiamo ricordare che stiamo parlando da legislatori. Ebbene, mai come di fronte a questo disegno di legge trovo che una scelta da me effettuata in qualità di magistrato, una scelta che vi racconterò, fu giusta.
Non voglio fare un discorso di parte, noi siamo accomunati dalla straordinaria capacità di legiferare troppo e male. Un grande Paese democratico come il nostro, in cui vigono contemporaneamente circa 150.000 leggi, è un Paese che ha qualche problema. Sulla qualità infima del disegno di legge al nostro esame questa maggioranza sarà insuperabile; questo però ci propone e di questo dobbiamo occuparci.
Negli anni '70, in qualità di pretore, quindi di magistrato che aveva il ruolo di applicare la legge non di concorrere a formarla come mi accade da qualche anno, decisi di rompere la tradizione secondo cui in tutti i libri di diritto, nelle sentenze e negli atti della difesa la parola «legislatore» si scriveva con la lettera maiuscola. Nelle sentenze emesse «nel nome del popolo italiano», io scrivevo la parola con la lettera minuscola perché ritenevo che le leggi che avevo il dovere di applicare erano fatte in maniera tale che questo rispetto legato all'uso della lettera maiuscola fosse venuto meno. Non so come scriverei la parola oggi, nell'ipotesi in cui fossi ancora magistrato e questo testo dovesse diventare legge.
L'evoluzione del diritto è legata anche a quel punto di riferimento fondamentale che illumina e che deve guidare la nostra strada, non solo la strada di chi applicherà le leggi che noi variamo: la Carta costituzionale. Se mettiamo in discussione soprattutto la prima parte della Carta costituzionale, perdiamo ogni possibile riferimento.
Tra gli articoli che sono contenuti in quel documento fondamentale, ricordo l'articolo 27, comma terzo, il quale assegna alla pena, secondo la volontà dei nostri Padri costituenti - e mi sembra anche ragionevole - non soltanto la funzione retributiva, vale a dire la risposta al concetto "hai sbagliato e dunque devi pagare", che poi è la nozione base del perché esiste una sanzione, ma anche una funzione rieducativa.
La possibilità di rendere effettiva la sanzione - e sappiamo purtroppo quanto attualmente poco effettiva sia nel nostro sistema - non può non prescindere dal conferimento al giudice di un'ampia discrezionalità, naturalmente non libera e assoluta, anche perchè non dimentichiamo mai che le sentenze sono composte di due parti: una è il dispositivo e l'altra la motivazione. Il giudice, cioè, deve comunque render conto del perché ha compiuto certe scelte e del perché le ha compiute in una determnata maniera.
Ma come si può assegnare una funzione rieducativa alla pena se il giudice non può graduarla in relazione alla specifica vicenda portata al suo esame e giudizio? Non è che nel 1975 il legislatore, rompendo quei lacci che legavano le mani al giudice e ne limitavano fortemente la discrezionalità, lo fece in nome di chissà quale cedimento al nuovismo o per altre ragioni, bensì guardando alla necessità, sempre immanente e presente in ognuna delle nostre scelte legislative, di dare maggiore concretezza ad un progetto costituzionale.
Francamente capisco poco il senso di questo ritorno indietro, ma se, come è doveroso fare, anziché fermarmi alla singola norma, valuto il disegno di legge nel suo complesso, magari prescindendo per un attimo anche dalla specifica questione della prescrizione (le cui finalità ben conosciamo avendo un nome, un cognome e un indirizzo), e mi soffermo sulla parte relativa ad un maggiore inasprimento, ad una maggior severità nella previsione sanzionatoria, allora devo dire che l'efficienza e la bontà di un sistema sanzionatorio - badate che da questo momento in poi, e lo dico soprattutto agli addetti ai lavori, mi sto affacciando nell'ampio stanzone delle ovvietà, che talvolta vanno comunque ricordate - non si misura dall'astratta previsione delle varie norme, bensì sul piano della certezza della pena.
Io posso prevedere per il furto trent'anni di galera, ma se poi la polizia non è in grado di catturare il delinquente, il sistema giudiziario non è in grado, in tempi ragionevolmente brevi, di irrogare la condanna se lo ritiene colpevole e non c'è un sistema successivo di espiazione della pena che, con tutti gli adattamenti di civiltà giuridica che per fortuna nel nostro ordinamento sono presenti, renda effettiva l'espiazione della stessa, abbiamo messo al mondo quello che voi state mettendo al mondo: non soltanto una pessima qualità normativa ma norme manifesto.
Siccome il provvedimento va analizzato nel suo insieme, come si può collegare un inasprimento di pene e un irrigidimento dei criteri, legati soprattutto alla recidiva, quando contemporaneamente, all'interno dello stesso disegno di legge, ad immutati tempi della giustizia, si prevedono termini di prescrizione accorciati? Avremo, dunque, un'enorme quantità di condannati in meno, un'enorme quantità in più di declaratorie di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e molti meno recidivi. Ricordo, infatti, che il recidivo è colui il quale ha già subito una condanna definitiva.
Se questo è un modo coerente e logico di legiferare, è nozione della coerenza e della logica che lascio a voi e rispetto alla quale voglio marcare una nettissima distinzione.
Di qui la necessità che i nostri emendamenti correggano in qualche maniera questo testo che non ci piace affatto e rispetto al quale siamo assolutamente contrari.
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, diversamente dall'emendamento dei colleghi, che vorrebbero sopprimere l'articolo, il mio emendamento 3.200 si muove in una linea di integrazione e completamento della norma, nel senso di colmare quella che appare essere una lacuna nel catalogo di cui alla norma stessa in relazione alle circostanze aggravanti, posto che attualmente il testo fa riferimento a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa, o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria prevista per il reato.
Sostanzialmente, con la previsione della pena di specie diversa viene ricompresa nel catalogo la categoria delle cosiddette aggravanti speciali, ma rimane fuori la categoria delle cosiddette circostanze aggravanti ad effetto speciale. Il mio emendamento tende proprio ad inserire nel nuovo testo del quarto comma dell'articolo 69 del codice penale una maggiore completezza nella previsione delle circostanze aggravanti ritenute rilevanti ai fini del nuovo modello del giudizio di bilanciamento.
La caratteristica di questo emendamento è quella di completare una norma che ovviamente vogliamo mantenere nel testo del disegno di legge. Ed io credo che sia necessario il dibattito che da ieri si sta svolgendo su questa materia, perché tra ieri e oggi si è realizzato, e continua a realizzarsi, un ulteriore evento politicamente di grande importanza. Infatti, con le votazioni svoltesi fra ieri e stamattina, noi abbiamo dato, come maggioranza, la definitiva dimostrazione che stiamo uscendo da un equivoco, equivoco creato ed alimentato artatamente dai colleghi dell'opposizione. Con i nostri voti abbiamo dimostrato che non abbiamo alcun interesse ad personam in questa legge.
Tuttavia, l'importante - ed è l'altro aspetto rilevante di questi accadimenti parlamentari - è che i colleghi dell'opposizione, così ostinatamente arroccati anche su questo tipo di emendamenti, stiano invece dimostrando qual è il loro vero ruolo in relazione a questo disegno di legge. Infatti, opporsi così fieramente, e con argomentazioni francamente così deludenti, vecchie, non più sostenibili a questa parte del disegno di legge, dimostra molto chiaramente - e lo dimostra finalmente agli italiani e perciò dico che finalmente usciamo dall'equivoco - quale sia, a differenza di noi della maggioranza, che teniamo a quella parte di norme la cui funzione è, in prospettiva, di irrobustire il sistema sanzionatorio, l'efficacia general-preventiva e special-preventiva delle norme per migliorare il sistema di garanzia e di sicurezza dei cittadini, il vero atteggiamento dei colleghi del centro-sinistra nei confronti di queste tematiche. Questo stesso atteggiamento lo hanno mostrato in occasione del disegno di legge sull'oltraggio, lo hanno mostrato in occasione del disegno di legge sulla legittima difesa (Commenti della senatrice Pagano), lo mostrano oggi una volta di più.
A loro non interessa rafforzare le garanzie di sicurezza dei cittadini perbene, dei cittadini onesti, a loro interessa continuare in una dissennata, dannosa, deleteria politica che va avanti da sessant'anni, giustificazionista… (Proteste della senatrice Pagano. Richiami del Presidente) …ripeto: giustificazionista, perdonista, volta unicamente a tutelare gli autori di reati spesso efferati e assolutamente disinteressata alla tutela delle vittime dei reati. (Applausi dal Gruppo AN. Congratulazioni. Proteste della senatrice Pagano).
PRESIDENTE. Senatrice Pagano, potrà iscriversi a parlare successivamente per esprimere il suo punto di vista.
FASSONE (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, … (Brusìo in Aula).
PRESIDENTE. Colleghi, non interrompete, per cortesia. Questo è un dibattito, ci sono tutti i tempi; chi ha qualcosa da dire può chiedere la parola al momento propizio ed intervenire. Può riprendere la parola, senatore Fassone.
FASSONE (DS-U). Grazie, signor Presidente. Mi soffermerò unicamente sugli emendamenti 3.11 e 3.12, caldeggiando soprattutto l'approvazione del primo.
Devo dire subito che, rassegnati come siamo a misurarci molto spesso con norme destinate a produrre effetti molto pesanti sul processo, vediamo con un certo sollievo il confronto sull'articolo 3. Infatti, su questo possiamo convenire (ed è l'unico punto sul quale mi trovo consenziente con il senatore Bobbio, il che non è frequente), è uno degli articoli meno nocivi, meno pesanti di questo disegno di legge e può persino essere condiviso, se non fosse che in gran parte è inutile e in una piccola parte nocivo, quella cioè che ci proponiamo di correggere con l'emendamento.
Perché dico che è sostanzialmente inutile o quasi? Perché esso si inscrive in quel disegno complessivo di maggior contrasto alla recidiva e prende a riferimento l'articolo 69 del codice penale che, come ben sanno gli addetti ai lavori, è quello che si occupa di contemporanea presenza di circostanze aggravanti e attenuanti nella stessa vicenda giudiziaria e stabilisce che cosa il giudice deve fare quando giudica prevalenti le une o le altre o equivalenti le une alle altre. Ora, siccome la recidiva è, per espressa disposizione dell'articolo 70 del codice penale, una circostanza, anch'essa entra nel gioco di bilanciamento, ragion per cui sarebbe inutile o quasi prevedere un forte appesantimento delle sanzioni per la recidiva se poi la stessa potesse essere bilanciata e cancellata dalla concessione di una qualche attenuante e in particolare dalle attenuanti generiche (sulle quali già si è intervenuti nell'articolo 2).
E allora, il testo che cosa fa? Scrive, con una sintassi un po' tortuosa, che «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole», e dunque alla recidiva, esclusi però i casi di recidiva qualificata e altra piccola variazione sulla quale non indugio. In sostanza, cioè, si vuol dire che, quando si è applicata la recidiva, non possono essere dichiarate prevalenti le circostanze attenuanti, quali che siano. Il che può rientrare in quel disegno più o meno condivisibile, ma certamente dice poco, dal momento che, se prevalenti non saranno, potranno comunque essere dichiarate equivalenti e quindi elidere comunque tutto lo sforzo sanzionatorio che si è compiuto in un altro momento.
Ecco perché dico che siamo sostanzialmente indifferenti a questa norma, essendo di poco significato anche ai fini che vi proponete di raggiungere.
Dove però essa rischia di diventare dannosa, a fini che credo ci siano comuni, è nel vietare la prevalenza anche per quelle circostanze del tutto particolari, accidentali che l'ordinamento è venuto assumendo negli ultimi tempi. Mi riferisco all'attenuante concessa all'imputato che sceglie i riti alternativi, che cioè fa guadagnare una forte economia processuale, nel senso che questa è indiscutibilmente anch'essa una circostanza e anch'essa può giocare pesantemente nella scelta dell'imputato di chiedere quel rito.
È vero che, secondo quanto dice questa norma, l'equivalenza sarà pur sempre possibile, ma spesso si fa affidamento proprio su una prevalenza per abbattere ulteriormente la pena concreta e ad esempio introdursi nel patteggiamento, che altrimenti non sarebbe ammesso. Se noi sterilizziamo anche questa situazione processuale, rischiamo di recare un danno all'interesse, che tutti credo condividiamo, al massimo uso possibile dei riti alternativi.
Lo stesso vale anche per quell'altra circostanza attenuante che è la riduzione di pena concessa ai collaboratori di giustizia. Anche questa è una circostanza di relativamente recente nuovo conio ed è molto importante che essa possa essere prevalente perché, soprattutto quando si controverte di delitti gravissimi come l'omicidio, in cui l'aggravante porta all'ergastolo e l'elisione dell'aggravante mantiene comunque nel range tra ventuno e ventiquattro anni, è molto importante che il collaboratore possa aspettarsi una sanzione sensibilmente minore in forza della prevalenza.
Ecco perché dicevo che questa norma non è certamente tra le peggiori del testo, ma, se non accompagnata dalle correzioni che suggeriamo, finisce con l'ottenere risultati negativi. (Applausi del senatore Morando).
PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo, come su tutti gli altri emendamenti, si rimette all'Assemblea.
Qualche osservazione però la devo fare, perché ho ascoltato il dibattito e - non da operatore del diritto, ma da praticante stregone, per usare una terminologia utilizzata dal senatore Ayala - intendo fare alcune precisazioni.
Per quanto riguarda l'intervento del senatore Zancan, non è assolutamente verosimile l'ipotesi alla quale egli fa riferimento, poiché parliamo dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, quindi, di una recidiva ben reiterata, non quella di un soggetto che abbia commesso un reato e al secondo reato si vede aumentata indiscriminatamente la pena.
Una risposta merita anche il senatore Ayala. Credo non passi attraverso questo articolo il principio per cui la pena diventa non rieducativa. Qui parliamo soltanto di eliminare la prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti; rimane, quindi, comunque il principio della rieducazione della pena…
AYALA (DS-U). E' opinabile.
VITALI, sottosegretario di Stato per la giustizia. …perché è il giudice che parte da un minimo e da un massimo della pena e nell'ambito di quel minimo e di quel massimo evidentemente ritiene di rendere concreta e attuale la pena.
Per ultimo, signor Presidente, rivolgendomi al senatore Ayala - il quale ieri mi ha fatto richiamo espresso di non sollecitare i senatori a non approvare modifiche al testo, ma di rispettare la volontà del Parlamento - sicuramente è un invito che accetto, ma vorrei evidenziare che il mio non era assolutamente uno stimolo, bensì soltanto un auspicio. In quanto tale, credo che nessuno se ne debba dolere.
AYALA (DS-U). Ne prendiamo atto con soddisfazione.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 3.1, identico agli emendamenti 3.2 e 3.3.
AYALA (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AYALA (DS-U). Signor Presidente, in effetti, c'è un aspetto ulteriore della norma di cui ci stiamo occupando, della quale con questo emendamento chiediamo la soppressione, che, per ragioni di tempo (ed è il motivo per cui ho chiesto di intervenire in dichiarazione di voto), non avevo potuto affrontare in sede di illustrazione degli emendamenti.
Mi riferisco a cosa accade nel caso della diminuente speciale (secondo il meccanismo descritto dall'articolo 3) prevista dal codice di procedura penale in conseguenza dell'adozione del rito abbreviato o del patteggiamento. È un bel problema, perché questa diminuente opera sia tecnicamente - per pacifica giurisprudenza e dottrina - sia aritmeticamente come una circostanza attenuante.
Pertanto, o la si considera cosa a sé, strettamente connessa all'adozione di quel rito e quindi comunque operativa e fuori dalle restrizioni di cui all'articolo 3 (ma è un problema da risolvere a livello interpretativo, non certamente legato alla chiarezza della norma), oppure paradossalmente, poiché è circostanza a tutti gli effetti come le altre, si finirebbe con il ritenere che debba ricadere nelle limitazioni previste dall'articolo 3. Ciò comporterebbe (e questo è il tema che mi piace evidenziare nel mio breve intervento) anche da questo punto di vista - e sottolineo "anche" - una fuga dai riti alternativi, fuga che permea l'intero disegno di legge.
Cari colleghi, al pari di ciascuno di voi, s'intende, potete capire quanta fatica io faccia ad immaginarmi nelle vesti di imputato: una fatica disumana. Voglio però fare questo sforzo; naturalmente, è la stessa fatica che affronterebbe ciascuno di voi, per una condizione che, per definizione, non ci può appartenere.
Ebbene, con i termini di prescrizione così significativamente abbreviati, con la macchina giudiziaria che continuerà (perché nulla si è fatto per migliorare la situazione) a procedere con i lentissimi tempi che la caratterizzano, qual sarà l'interesse a scegliere, per esempio, il patteggiamento, che comunque comporta l'irrogazione della sanzione, sia pure contenuta rispetto a quella astrattamente prevista o irrogabile in esito al dibattimento? Quindi, quando si fanno le leggi bisogna pensare anche all'impatto concreto che sono destinate ad avere nella realtà in cui dovranno operare.
Allora, noi abbiamo fatto una fatica enorme, ma se c'è un punto su cui tutti gli addetti ai lavori concordano è questo: un processo accusatorio intanto si può reggere in quanto i processi che vanno al dibattimento siano il minor numero possibile e quindi debbono essere il maggior numero possibile quelli che si risolvono con i riti alternativi. Si fa sempre l'esempio degli Stati Uniti d'America; insomma, sono discorsi che hanno caratterizzato convegni e dibattiti almeno dal 1989 - data di entrata in vigore del nuovo codice - ad oggi.
Quindi, diciamo che una delle priorità per rendere in qualche modo efficiente questo modello di codice, che ci siamo dati ormai da sedici anni, è quella di far sì che il ricorso al rito alternativo sia il più vantaggioso possibile, altrimenti gli imputati non tenderanno ad avvalersene. Questo consente di scaricare il lavoro nella fase dibattimentale che, essendo caratterizzata dalla formazione della prova in dibattimento, sotto la diretta percezione del giudice, richiede quei tempi che tutti conosciamo essere particolarmente lunghi.
Pertanto, acceleratore a tavoletta, soprattutto dal punto di vista normativo, sui riti alternativi. Questo è uno dei nodi fondamentali - non l'unico, per carità - per consentire al processo di funzionare meglio. Su questo non c'è destra o sinistra, siamo tutti assolutamente d'accordo; chi se ne intende, chi ha dimestichezza con questi problemi, a prescindere dal colore politico, conviene sulla necessità di incentivare al massimo il ricorso ai riti alternativi.
Ebbene, in questo disegno di legge assistiamo alla scelta esattamente contraria: una serie di norme - non dico tutte - che caratterizzano questo provvedimento comporteranno, tra le altre conseguenze nefaste (alcune delle quali ho già illustrato), la non meno nefasta conseguenza di ridurre, di contrarre, sicuramente in maniera molto significativa, la scelta degli imputati verso il rito alternativo.
Allora, colleghi della maggioranza, al di là della singola norma e del singolo emendamento, fate un bilancio, perché ormai sono passati quattro anni di legislatura e si respira già aria elettorale per il rinnovo del Parlamento. Fatelo, un bilancio! Ai vostri elettori (probabilmente io avrò uno di voi come avversario) che cosa racconterete di aver fatto per la giustizia? Cosa racconterete di aver messo in opera per vincere il male fondamentale che affligge la giustizia italiana, cioè la sua insopportabile, direi quasi incivile, lentezza? Che cosa direte?
Immaginate quello che dirò io, a chi di voi mi ritroverò ad avere come avversario, questa volta, sì, con buonissimi argomenti forniti da voi. Magari poi li saprò anche esprimere bene e riuscirò ad essere convincente, ma gli argomenti me li fornite voi. Avete fatto leggi ad personam e una riforma dell'ordinamento giudiziario, per fortuna non ancora arrivata al traguardo, che sarà - ve lo anticipo fin d'ora - uno dei miei grandi cavalli di battaglia nella prossima campagna elettorale. Questo è il punto.
Allora, al male non c'è fine, ragioniamo come volete, ma al termine della legislatura perché volete continuare a far danni alla giustizia italiana? Questo è il messaggio che, con assoluta pacatezza e serenità, mi sento di trasmettervi sperando, anche se probabilmente è una speranza illusoria, che in qualche misura possa trovare recepimento nelle vostre coscienze, nelle vostre intelligenze che conosco e che apprezzo. Almeno questo ulteriore danno vediamo di non farlo alla giustizia italiana, ne avete già fatti tanti. Fermatevi! (Applausi del senatore Fassone).
BOBBIO Luigi (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOBBIO Luigi (AN). Signor Presidente, solo perché a volte diventa difficile e duro continuare a sentire tante inesattezze tre minuti di replica si impongono, anche per informazione di coloro che possono seguire i nostri lavori.
Io comincio sinceramente a non sopportare più - lo dico simpaticamente nei confronti di molti amici dell'opposizione - queste cassandre un po' spocchiose. Sono quattro anni che preannunciano ad ogni piè sospinto, ad ogni disegno di legge, ad ogni legge approvata disastri, sfaceli, crolli del sistema, massacri di tutti i tipi e puntualmente, grazie a Dio, e con loro marcio dispetto, non succede niente.
Quindi, cerchiamo di cambiare registro. Cercate qualche volta di scendere sul piano del confronto concreto sui temi e sulle idee.
Che cosa dire su questo specifico emendamento? Voteremo contro di esso e contro molti di quelli che seguiranno per una fondamentale ragione. Si è citato in maniera apparentemente dotta - permettetemi di dirvelo - l'esempio relativo al danno, ancora una volta esiziale, che ne deriverebbe al sistema dei riti alternativi e, quindi, al processo di deflazione della giustizia ove mai questa ennesima fantasmagoricamente negativa norma dovesse diventare legge dello Stato.
Oggi ho sentito svolgere alcune considerazioni che mi lasciano perplesso e sulle quali non posso non puntualizzare. È stato detto che la diminuente del rito, sia esso patteggiamento o rito abbreviato, è una circostanza attenuante. Devo dire che è la prima volta che sento fare questa affermazione. Certamente si tratta di una mia forma di ignoranza - come dice spesso il senatore Zancan, il quale usa una espressione che detesto - dal punto di vista tecnico-giuridico. Non credo di sbagliare affermando che voler propagandare, una volta di più con spocchiosa arroganza, una bufala di questo tipo sia veramente voler fare un torto non all'intelligenza mia e a quella del centro-destra, ma addirittura a quella degli italiani che ci ascoltano.
La diminuente del rito non è una circostanza attenuante, non c'entra affatto con questo genere di valutazioni. Non c'è mai entrata, non ci può entrare e mai ci entrerà. Non ha niente a che vedere con questo momento valutativo in ordine al giudizio di equivalenza fra le circostanze attenuanti e quelle aggravanti. È solo un inevitabile effetto del rito. Se chiedo il patteggiamento, l'effetto mi tocca; se chiedo il rito abbreviato, l'effetto mi tocca. Si tratta di una diminuente, tanto è vero che si applica all'esito di tutti i computi fatti per arrivare alla determinazione di una pena sulla quale si effettua cogentemente la diminuente del rito. Quindi, finiamola - per favore - di fare affermazioni giuridicamente inesatte.
Basta con la giustizia concepita solo per logiche (concedetemi questa espressione) finto-deflattive. Basta con quelle logiche, che non so più come definire, che proponete continuamente, logiche da saldi commerciali. La giustizia è e resta, malgrado i troppi interventi che sembrerebbero in senso contrario, un fatto serio. La giustizia serve a mantenere in piedi la struttura di questa società. Volerci far credere di farci accostare in sede normativa alle tematiche della giustizia, in particolare penale, sempre e soltanto invocando da anni lacerazioni e strappi a logiche deflattive, quasi da saldi commerciali, significa non voler rendere un buon servizio alla giustizia.
I riti alternativi sono nati, e devono restare tali, come strumenti possibili per arrivare ad un momento di deflazione, ma non sono necessità cogenti. Su tutto, anche sulle logiche deflattive, deve comunque prevalere la necessità di arrivare a pronunce, di rendere comunque una giustizia e, se necessario, di celebrare i processi.
Chiedano i riti alternativi quegli imputati che li possono ottenere. Quelli che non ritengono di trovarsi in una condizione di convenienza chiedendo il rito alternativo non lo chiedano, non lo pratichino. Non è una necessità.
La giustizia - vi contesto questo vostro modo di valutare la giustizia penale - non è una maglietta da mettere in saldo. (Applausi dai Gruppi AN, UDC e FI. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione dell'emendamento 3.1, identico agli emendamenti 3.2 e 3.3.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiedo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 12,47, è ripresa alle ore 13,07).
Ripresa della discussione dei disegni di legge
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Passiamo nuovamente alla votazione dell'emendamento 3.1, identico agli emendamenti 3.2 e 3.3.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
(omissis)
Allegato A
DISEGNI DI LEGGE DISCUSSI AI SENSI DELL'ARTICOLO 44, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO
Nuova disciplina della prescrizione del reato (260)
Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di " ragionevole durata" del processo (2699)
Norme per la tutela della certezza della pena e per la prevenzione delle recidive (2784)
(*) Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi (3247)
________________
(*) Testo preso a base dall'Assemblea
EMENDAMENTO 2.0.100 TENDENTE AD INSERIRE UN ARTICOLO AGGIUNTIVO DOPO L'ARTICOLO 2
2.0.100
Approvato
Dopo l’articolo 2, inserire il seguente:
«Art. 2-bis.
1. Al comma 1 dell’articolo 644 del codice penale sostituire le parole: "da uno a sei anni e con la multa da euro 3.089 a euro 15.493" con le parole: "da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000"».
ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3247 NEL TESTO APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
ART. 3.
1. Il quarto comma dell’articolo 69 del codice penale è sostituito dal seguente:
«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonchè dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato».
EMENDAMENTI
3.1
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Sopprimere l’articolo.
3.2
CALVI, FASSONE, AYALA, BRUTTI MASSIMO, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Sopprimere l’articolo.
3.3
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Sopprimere l’articolo.
3.4
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Ritirato
Sostituire l’articolo con il seguente:
«1. Il quarto comma dell’articolo 69 del codice penale è sostituito dal seguente:
"Le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ma il giudizio di prevalenza non è consentito nei casi di cui all’articolo 99 quarto comma del codice penale, nonché in quelli di cui agli articoli 111 e 112 primo comma n.4 del codice penale"».
3.350
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sopprimere le parole: «esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti,».
3.5
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sopprimere le parole: «esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma».
3.400
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, sostituire le parole da: «esclusi i casi previsti» fino alla fine del comma, con le seguenti: «ma il giudizio di prevalenza non è consentito nei casi di cui all’articolo 99 quarto comma del codice penale, nonché in quelli di cui agli articoli 111 e 112 primo comma, numero 4), del codice penale».
3.351
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, sopprimere le parole: «dall’articolo 99, quarto comma, nonché».
3.401
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso, dopo le parole: «dall’articolo 99» sopprimere le parole: «, quarto comma».
3.6
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «112, primo comma», aggiungere le seguenti: «numero 3) e».
3.402
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso, sopprimere le parole: «numero 4)».
3.403
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso, sopprimere le parole da: «per cui vi è divieto» fino a: «circostanze aggravanti».
3.7
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Al comma 1, sopprimere le parole da: «circostanze aggravanti» sino alla fine del comma.
3.8
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «limitatamente al numero 1) dell’articolo 61».
3.9
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «limitatamente al numero 4) dell’articolo 61».
3.352
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «, a condizione che ricorrano le circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 4)».
3.10
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «limitatamente al numero 9) dell’articolo 61».
3.353
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «, purché ricorrano le circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 9)».
3.354
DALLA CHIESA, CAVALLARO, MAGISTRELLI, MANZIONE, BATTISTI
Al comma 1, dopo le parole: «ritenute circostanze aggravanti», aggiungere le seguenti: «solo nei casi di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11)».
3.404
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso, sopprimere le parole: «stabilisca una pena di specie diversa o».
3.200
Al comma 1, al capoverso ivi richiamato, dopo le parole: «di specie diversa» inserire le altre: «ovvero un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo».
3.405
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, RIPAMONTI, TURRONI, DE ZULUETA
Ritirato
Al comma 1, capoverso, sopprimere le parole da: «o determini la misura» fino alla fine del comma.
3.11
CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA, FASSONE, MARITATI, LEGNINI, ZANCAN
Al comma 1, quarto comma dell’articolo 69 del codice penale, ivi richiamato, aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Il divieto di prevalenza, di cui sopra, non opera nei confronti delle diminuzioni di pena previste per la scelta di riti processuali alternativi né per quelle previste a favore di chi collabora con la giustizia».
3.12
FASSONE, CALVI, BRUTTI MASSIMO, AYALA, MARITATI, ZANCAN, LEGNINI
Al comma 1, quarto comma dell’articolo 69 del codice penale ivi richiamato, aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Il divieto di prevalenza, di cui sopra, non opera nei confronti delle diminuzioni di pena previste per la scelta di riti processuali».
3.13
ZANCAN, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DE ZULUETA, DONATI, TURRONI, RIPAMONTI
Al comma 1, dopo il quarto comma dell’articolo 69 del codice penale ivi richiamato, aggiungere il seguente:
«Il primo comma non si applica con riferimento alla diminuzione di pena conseguente agli articoli 444 e 441 del codice di procedura penale».