XIV Legislatura - Dossier di documentazione
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Studi - Segreteria generale-Ufficio rapporti con l'Unione europea , Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Conferenza parlamentare OMC (24-26 novembre 2004)
Serie: Note    Numero: 69
Data: 22/11/04
Abstract:    Schede su: l'Organizzazione mondiale del commercio, con particolare riferimento alla IV Conferenza ministeriale di Doha e ai seguiti di essa; l'azione dell'Unione europea in seno all'OMC (a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione europea); la dimensione parlamentare dell'OMC e la Sessione di Bruxelles (a cura del Servizio rapporti internazionali); lo stato del negoziato OMC (a cura del Ministero degli Affari esteri). Attività parlamentare. Documenti dell'OMC, internazionali e dell'Unione europea. Pubblicistica.
Descrittori:
COMMERCIO ED ECONOMIA INTERNAZIONALE   ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

Servizio studi

 

note

Conferenza parlamentare OMC

(24-26 novembre 2004)

n. 69

 

xiv legislatura

22 novembre 2004

 


Camera dei deputati


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

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File: ES0350.doc

 


INDICE

Schede di lettura

L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO   3

§      Fondazione, struttura e attività dell’Organizzazione  3

§      Il sistema di risoluzione delle controversie in ambito OMC   6

§      I principali Accordi commerciali nel sistema dell’OMC   7

LA IV CONFERENZA MINISTERIALE DI DOHA  11

§      L’attuazione degli Accordi (cd. implementation)15

§      La tutela della proprietà intellettuale e l’accesso ai farmaci per i Paesi meno sviluppati16

§      Il sistema commerciale multilaterale e le norme in materia di tutela del lavoro  17

§      Agricoltura  18

§      Tra Doha e Cancún.19

§      La riapertura delle prospettive negoziali.21

Schede a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea

L’Unione europea e l’Organizzazione mondiale del commercio  25

§      1. La partecipazione dell’Unione europea all’Organizzazione mondiale del commercio  25

§      2.  L’Agenda di Doha per lo sviluppo  25

§      3. Altre questioni.34

§      4. Controversie  36

Schede a cura del Servizio Rapporti Internazionali

§      Verso una dimensione parlamentare dell’OMC (2001-2003)41

§      Sessione di Bruxelles della Conferenza parlamentare sull’OMC (24-26 novembre 2004)45

§      Progetto di regolamento della Conferenza parlamentare dell’OMC   47

Ministero Affari esteri

§      Nota sullo stato del negoziato WTO (22 novembre 2004)49

Attività parlamentare

-       Camera dei Deputati

§      XIV Commissione Politiche dell’Unione europea

Seduta del 30 settembre 2003, Comunicazioni del Presidente sulla posizione dell’Unione europea alla Conferenza WTO di Cancun  57

§      III Commissione Affari esteri

Seduta del 1° ottobre 2003, Comunicazioni del Presidente sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO (Cancun, 10-14 settembre 2003)63

§      Commissioni Riunite X Attività produttive e IX Politiche dell’Unione europea

Seduta del 29 ottobre 2003, Audizione del viceministro delle attività produttive sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell’Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti produttivi nazionali67

§      III Commissioni Riunite X Attività produttive e XIV Politiche dell’Unione europea

Seduta del 3 dicembre 2003, seguito dell’Audizione del viceministro delle attività produttive sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell’Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti produttivi nazionali75

§      Commissioni riunite III Esteri e X Attività produttive

Seduta del 10 marzo 2004, Discussione congiunta delle Risoluzioni nn. 7-00361 Landi di Chiavenna: e 7-00366 Cima  87

§      Assemblea

Seduta del 26 aprile 2004, Discussione delle mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357 e Cima ed altri n. 1-00361 sugli esiti della Conferenza di Cancun)95

§      Assemblea

Seduta del 5 maggio 2004, Mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357, Cima ed altri n. 1-00361, Antonio Leone n. 1-00363 e Polledri ed altri n. 1-00365 sugli esiti della Conferenza di Cancun  113

§      Ministero degli Affari esteri

Nota sull’attuazione data alle mozioni Anedda ed altri, n. 1/00357, Antonio Leone n. 1/00363 e Poliedri ed altri n. 1/00365 sugli esiti della Conferenza di Cancun  151

Documenti della Conferenza parlamentare sull’OMC

§      DICHIARAZIONE adottata a Cancun il 12 settembre 2003  155

§      Sessione di Bruxelles del 24-26 novembre 2004

Agenda provvisoria  155

Bozza di programma aggiornata  155

Bozza di Regolamento  155

Discussion paper: Agricoltura  155

Discussion paper: Commercio di servizi nell’ottica dello sviluppo  155

Documenti dell’OMC

§      Documenti della Conferenza ministeriale di Doha

Dichiarazione ministeriale adottata a Doha il 14 novembre 2001  159

Dichiarazione relativa all'Accordo sugli ADPIC e la salute pubblica, adottata il 14 novembre 2001  159

Decisione sulle questioni e preoccupazioni relative all’applicazione, adottata il 14 novembre 2001  159

§      Doha Work Programme

Decisione adottata dal Consiglio Generale dell’OMC il 1° agosto 2004  159

§      WTO – Valutazione periodica delle politiche commerciali: Comunità Europee (27 ottobre 2004)159

Documenti Internazionali e dell’Unione Europea

§      Risoluzione del Parlamento europeo sulla Quinta Conferenza ministeriale dell’OMC di Cancun, n. 412 (25 settembre 2003)163

§      Consiglio europeo di Bruxelles, 17 e 17 ottobre 2003

Punto n. 40 (OMC)163

§      Lettera dei Commissari europei Lamy e Fischler ai Ministri competenti per il commercio dei Paesi WTO, sui punti chiave dei negoziati sul commercio internazionale (9 maggio 2004)163

§      Vertice G8 di Sea Island

Dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo del G8 sul commercio (9 giugno 2004)163

Pubblicistica

§      T. Castelletti, Riforma delle politiche agricole e WTO, in: La Questione Agraria, n. 1/2004  167

§      J.M. Paugam, A’ la recherche de la régulation perdue: quelles règles du jeu pour l’après Cancun?, in: Politique Étrangère, n. 3/2004  167

§      M. Genovese, L’accordo di Ginevra dell’Organizzazione mondiale per il commercio, in: Acque & Terre, n. 4-5/2004  167

§      A. Narlikar e D. Tassie, The G20 at the Cancun Ministerial: Developing Countries and Their Evolving Coalitions in the WTO, in: World Economy, n. 7/2004  167

§      J. P. Trachtman, Changing the Rules, in: Harvard International Review, estate 2004  167

§      W, R, Cline, Reducing Poverty, in: The international economy, estate 2004  167

Documentazione

§      Struttura organizzativa, Stati membri e Osservatori del WTO   171

 

 


Schede di lettura

 


 

 

 

L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO

Fondazione, struttura e attività dell’Organizzazione

L'Organizzazione mondiale del commercio (WTO - World Trade Organization) con sede a Ginevra, è stata fondata nel 1995, succedendo al Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade, isitituito nel 1947) come organismo preposto alla liberalizzazione del commercio e all'abbassamento delle barriere tariffarie.

A differenza del Gatt, che era un forum di negoziazione multilaterale permanente costituito da un gruppo di Paesi “contraenti”, l’OMC, la cui istituzione è stata decisa durante il c.d. Uruguay Round tenutosi dal 1986 al 1994[1], è strutturata come una vera e propria organizzazione internazionale.

Le origini di un’organizzazione internazionale per il commercio si possono far risalire ad un progetto del 1944, coevo alla nascita delle istituzioni di Bretton Woods (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) e volto alla creazione di un terzo organismo internazionale con il compito di porre fine alla disoccupazione, ridurre le tariffe di ostacolo alla crescita economica, di tutelare i diritti dei lavoratori, di limitare il potere delle grandi compagnie e di assistere le economie più deboli nel conseguimento di capitale. Il progetto dell’ITO (International Trade Organization) è però naufragato nel 1947 a causa dell’opposizione suscitata dai suoi contenuti all’interno del Congresso degli Stati Uniti. Successivamente è stato stipulato il Gatt, sotto forma di un accordo provvisorio mai ratificato dai Parlamenti dei Paesi membri e come premessa per una futura organizzazione stabile. Negli anni l’accordo Gatt è cresciuto attraverso vari negoziati, indicati col termine di “round”[2].

Attualmente gli Stati membri sono 148 (l’ultima a entrare a far parte dell'OMC è stata la Cambogia il 13 ottobre 2004), mentre altri 30 godono dello status di osservatore[3] - e tra questi 25 sono candidati all'adesione.

 

 I 25 Stati dell’Unione europea sono tutti membri dell’OMC. La partecipazione ai negoziati promossi dall’organizzazione si svolge nell’ambito del quadro definito dall’articolo 133 del Trattato CEE che detta le regole per lo svolgimento della politica commerciale comune. In particolare, tale articolo stabilisce che qualora si debbano negoziare accordi con uno o più Stati o organizzazioni internazionali, la Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio che l’autorizza ad aprire i negoziati. I negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con un comitato speciale designato dal Consiglio, nel quadro delle direttive impartite dallo stesso. La Commissione provvede, inoltre, ad acquisire il parere del Parlamento europeo, ai sensi dell’art. 97 del regolamento dello stesso Parlamento europeo. La firma e la conclusione degli accordi sono decise dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.

La struttura amministrativa dell’OMC comprende un Segretariato con sede a Ginevra, con a capo un Direttore Generale eletto dalla Conferenza dei Ministri per un periodo di sei anni e affiancato da 4 Vicedirettori generali.

La struttura decisionale è organizzata su quattro livelli di competenze e funzioni: la Conferenza dei ministri, composta dai rappresentanti di tutti gli Stati membri, che si riunisce con cadenza biennale; il Consiglio generale (che ha sostituito la vecchia Assemblea delle Parti contraenti del GATT), con funzioni di organo di conciliazione (risoluzione delle controversie) e di esame delle politiche commerciali; tre Consigli relativi ad alcuni singoli settori quali il commercio di beni, la proprietà intellettuale e i servizi; organi sussidiari ai precedenti consigli.

Per quanto attiene alla procedura decisionale, vige in generale la regola del consensus: i negoziati per l’adozione di una decisione avvengono preventivamente e si concludono con una dichiarazione del Presidente dell’Assemblea senza una votazione esplicita. Qualora ciò non sia possibile, le decisioni vengono prese a maggioranza dei voti espressi. La maggioranza dei tre quarti dei membri è richiesta per le decisioni interpretative dei testi legali dell’accordo istitutivo dell’OMC, mentre l’ingresso di nuovi Paesi nell’organizzazione necessita che il relativo accordo sia approvato dalla Conferenza ministeriale a maggioranza dei due terzi.

L’obiettivo fondamentale perseguito dall’OMC è quello di incrementare il libero scambio mediante l’abbattimento delle barriere commerciali (dazi, sussidi e tariffe preferenziali), allo scopo di aumentare il benessere delle popolazioni degli Stati membri. Attraverso gli accordi stipulati a tal fine, i Paesi dell’OMC cercano di stabilire un sistema di relazioni commerciali non discriminatorio, che sancisca diritti e doveri reciproci. Ogni Paese riceve garanzie che le proprie esportazioni vengano "accettate" liberamente nei mercati esteri, in cambio dell’impegno a riservare il medesimo trattamento alle importazioni. Il sistema creato accorda inoltre, mediante la clausola della "nazione più favorita", un trattamento preferenziale alle economie in via di sviluppo.

La Convenzione istitutiva dell’OMC impone agli Stati aderenti l’accettazione in blocco delle intese Gatt, così come modificate con l’Uruguay Round, e degli accordi accessori GATS (General Agreement on Trade in Service), TRIMs (Trade-Related Investment Measures), TRIPs (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) e DSU (Dispute Settlement Understanding). Tale disposizione ha in pratica abrogato la libertà di accettazione separata dei singoli accordi stipulati in seno al Gatt da parte degli Stati membri, che aveva come conseguenza una notevole frammentazione normativa.

La Convenzione OMC contiene più di 29 testi giuridici che coprono la normativa commerciale multilaterale in molteplici settori, ad esempio l’agricoltura, i servizi e la proprietà intellettuale. In linea generale, l’intero corpus normativo dell’OMC si ispira ad alcuni principi  fondamentali che figurano in tutti gli strumenti giuridici sopra menzionati:

Ø        estensione automatica a tutti i membri della “clausola della Nazione più favorita” (art. I GATT);

Ø        commercio senza discriminazioni sull’origine nazionale (art. III GATT);

Ø        crescita costante nelle possibilità di accesso ai mercati;

Ø        promozione di una competizione equa che tenga conto delle necessità di sviluppo dei membri;

Ø        impegno a promuovere lo sviluppo e le riforme economiche necessarie ai quei paesi con economie in transizione.

Nell’OMC non vi è delega di poteri ad un Consiglio di amministrazione e l’apparato amministrativo non ha alcuna influenza sulle politiche adottate dai singoli Paesi. Le regole cui sono sottoposti i Paesi membri, in materia di abolizioni tariffarie, sono quelle che essi stessi hanno deliberato durante i negoziati; gli stessi membri hanno quindi l’obbligo di rispettare e far rispettare le norme concordate. Il rispetto delle regole è avvalorato dalla possibilità di applicare sanzioni commerciali.

Oltre alla negoziazione di accordi in materia tariffaria, l'Organizzazione mondiale del commercio affronta tematiche più ampie, alcune in stretta connessione con la materia commerciale, come gli investimenti, la concorrenza appalti pubblici, la trasparenza delle regole e i comportamenti internazionali. La competenza dell'organizzazione si estende anche ad altri campi come condizioni di lavoro, ambiente, sanità, rapporti con la società civile e le Ong. Ma l'estensione della competenza oltre l'ambito del commercio è piuttosto controversa visto che molti Stati membri non la riconoscono. L’OMC si occupa anche dei Paesi in via di sviluppo fornendo assistenza sia tecnica che giuridica per favorire un loro migliore inserimento nel sistema commerciale globale.

Il sistema di risoluzione delle controversie in ambito OMC

La procedura istituita dall’OMC per la composizione delle controversie sorte a causa della violazione degli accordi commerciali stipulati dai Paesi membri rappresenta un notevole contributo alla stabilità dell’economia mondiale. Il sistema è basato su regole chiaramente definite, con scadenze temporali fisse, il cui scopo ultimo è infatti quello di garantire l’applicazione delle norme internazionali sul libero commercio.

Una procedura per la risoluzione delle controversie esisteva già nel regime del vecchio Gatt, ma all’epoca non erano state stabilite scadenze temporali, le decisioni potevano essere bloccate più facilmente e molti casi si trascinavano per lungo tempo senza giungere ad alcuna conclusione.

L’Accordo sulla composizione delle controversie definito nel corso dell’Uruguay Round (DSU – Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of Disputes) ha introdotto una procedura strutturata in tre fasi, rafforzando ulteriormente le riforme sulla semplificazione e lo snellimento del sistema già decise nell’incontro ministeriale di revisione di medio termine, tenutosi a Montreal nel dicembre 1988.

L’Accordo scaturito dall’Uruguay Round rende pressoché impossibile al Paese che ha perso la causa bloccare l’adozione della decisione finale. In base al sistema vigente nel Gatt, infatti, le decisioni potevano essere adottate soltanto per consensus, per cui anche una singola obiezione era sufficiente per impedire l’emanazione della decisione. Col nuovo sistema, invece, le decisioni vengono automaticamente adottate, a meno che non si raggiunga il consenso per respingere la decisione stessa: in questo modo il Paese che vuole bloccare la decisione deve necessariamente portare dalla sua parte tutti gli altri Stati membri, ivi compreso quello avversario.

Sebbene gran parte delle procedure presentino affinità con quelle di una corte o di un tribunale, la soluzione maggiormente preferibile per i Paesi coinvolti in una disputa resta quella di discutere i loro problemi e di risolvere la controversia da soli. La prima fase della procedura è perciò costituita da consultazioni tra i Governi dei Paesi interessati. Va inoltre precisato che in qualsiasi momento, vale a dire anche nelle fasi successive, è sempre possibile ricorrere alla consultazione e alla mediazione bilaterale.

La risoluzione delle controversie in ambito OMC è di competenza di un apposito organo (Dispute Settlement Body), in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri e che non è altro che il Consiglio generale in altre sembianze. Tale organo ha l’esclusiva autorità di istituire, di volta in volta, “giurie” (panels) di esperti per la valutazione delle cause, e di accettare o respingere le conclusioni delle giurie o i risultati di un appello. Ad esso spetta anche il monitoraggio dell’attuazione delle decisioni e delle raccomandazioni: nel caso in cui un Paese non ottempera ad una decisione, esso ha il potere di autorizzare misure di ritorsione.

Oltre che sui 27 articoli di cui si compone il DSU, la procedura per la soluzione delle controversie in ambito OMC si basa anche su un Regolamento di condotta adottato nel dicembre 1996 e sulle Procedure di lavoro per la revisione in appello, approvate il 28 febbraio 1997. Le tre fasi principali in cui si articola la procedura istituita con il DSU si distinguono in:

·         Prima fase (durata massima 60 giorni): consultazioni tra i Governi dei Paesi coinvolti in una controversia: Se non si riesce a trovare un accordo nei tempi previsti, il Governo della parte lesa può decidere di dar corso alla fase successiva.

·         Seconda fase: è la fase legale in cui il caso viene esaminato da una giuria indipendente composta da tre esperti tecnico-legali. La giuria ha a disposizione un periodo di 6-9 mesi per completare l’esame e compilare un rapporto dettagliato con allegate conclusioni e dichiarazioni scritte o orali dei Governi coinvolti. Se ci si appella al rapporto della giuria, un organo di appello (Appellate Body)[4] è tenuto ad esaminare la questione in 2-3 mesi e stilare un rapporto conclusivo. L’Organo di composizione delle controversie decide poi se adottare sia il rapporto della giuria sia quello dell’Organo di appello. Di solito vengono adottati entrambi, perché in base al nuovo regolamento i rapporti possono essere respinti soltanto per consensus. Se risulta l’innocenza del Paese chiamato in causa, la controversia giunge a conclusione. Viceversa, se viene constata la violazione di un accordo o di un impegno da parte del Paese accusato, la disputa prosegue nella terza fase.

·         Terza fase: attuazione; al Governo interessato viene assegnato un ragionevole periodo di tempo per attuare la decisione adottata dall’Organo di composizione delle controversie, sotto la supervisione di quest’ultimo. Se al termine di questo periodo il Paese in questione non ha messo in pratica la decisione, possono verificarsi due eventualità: la Parte che ha “perso” può offrire un risarcimento di natura commerciale; oppure, qualora l’offerta non venga accettata dalla Parte che ha “vinto”, quest’ultima può richiedere l’autorizzazione a prendere misure di ritorsione, cioè l’imposizione di limitate sanzioni commerciali contro l’altra Parte.

I principali Accordi commerciali nel sistema dell’OMC

Gli accordi dell’OMC, a differenza di quanto avveniva in seno al GATT, competente solo per gli scambi di beni materiali, coprono anche il commercio internazionale di servizi e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale. La liberalizzazione dell’economia mondiale perseguita dall’OMC consiste anzitutto nell’impegno  dei singoli Paesi a favorire gli scambi internazionali mediante la riduzione delle tariffe e la progressiva eliminazione delle barriere commerciali; nel settore dei servizi ciò equivale a mantenere aperti i relativi mercati nazionali. La trasparenza delle politiche commerciali nazionali è assicurata anche attraverso la costante informazione dell’OMC sull’evoluzione della legislazione e degli altri provvedimenti interni, che si realizza con la notifica tempestiva all’Organizzazione da parte dei singoli Governi ad essa partecipanti.

Altri aspetti fondamentali della governance della liberalizzazione che l’OMC intende rappresentare stanno nella definizione di appropriate procedure per la composizione delle numerose controversie commerciali internazionali, nonché nella previsione di particolari regimi di partecipazione dei Paesi in via di sviluppo al mercato mondiale, che tengano appunto conto delle peculiari necessità economico-sociali di quelle realtà.

L’articolazione degli strumenti volti a incoraggiare lo sviluppo sempre più ampio del commercio mondiale vede anzitutto il principio del progressivo abbassamento delle tariffe doganali, e quindi la rinuncia ad atteggiamenti protezionistici nei rapporti con gli altri Paesi: accanto a ciò, è essenziale anche l’eliminazione di altre misure non tariffarie, quali i divieti o i contingenti all’importazione, che ugualmente tendono a favorire le attività economiche del Paese che se ne serve.

Altro caposaldo della liberalizzazione economica internazionale è l’accettazione del principio di non discriminazione tra i diversi Paesi con cui si intrattengono rapporti di commercio, che debbono tutti essere trattati secondo la clausola della nazione più favorita. Le eccezioni previste concernono soprattutto il caso – ormai frequente – di Paesi che abbiano dato vita a un’area di integrazione economica (zone di libero scambio, ma anche processi più avanzati come la Comunità europea), e che perciò adotteranno comunque condotte più favorevoli verso i partner regionali. Si può derogare alla clausola della nazione più favorita anche per reagire a comportamenti commerciali ritenuti vessatori da parte di altri Paesi.

Strettamente collegato alla clausola della nazione più favorita è l’ulteriore principio del trattamento nazionale, ossia dell’equiparazione dei prodotti e servizi di provenienza estera a quelli offerti nel mercato interno di ciascun Paese, una volta che i primi abbiano assolto gli obblighi doganali – peraltro anch’essi, come abbiamo visto, oggetto di cospicue riduzioni.

Sul versante delle esportazioni di ogni singolo Paese, strumenti tradizionali di potenziamento della competitività sono i sussidi a favore delle esportazioni per  determinati settori economici che si desidera proiettare maggiormente sul mercato mondiale; e il dumping, che consente di conquistare nuove quote di mercato mediante vendita sottocosto di certi prodotti per un determinato lasso di tempo. Entrambe queste pratiche commerciali sono oggetto di forte contrasto da parte dell’OMC, che si preoccupa altresì di estendere per quanto possibile le regole della competizione agli acquisti effettuati dalle Pubbliche Amministrazioni dei vari Paesi[5].

 

Fino al 1986 i primi sette cicli di trattative del GATT hanno riguardato soltanto i problemi tariffari, con l’eccezione del cosiddetto “Kennedy Round (1964-1967), nel quale si trattò anche delle misure antidumping. Con l’ottavo ciclo, l’Uruguay Round, il campo di azione dei negoziati si è esteso a dismisura, coprendo un’amplissima gamma di attività economiche, e contemplando anche importanti risvolti istituzionali (tra i quali la stessa creazione dell’OMC): all’Uruguay Round ha partecipato anche il più alto numero di Paesi nella storia del GATT, ossia 123.

Il primo dei tre filoni principali degli accordi usciti dall’Uruguay Round è quello degli accordi GATT in senso più specifico, che concernono l’agricoltura; i regolamenti sanitari e fitosanitari; il settore del tessile-abbigliamento; gli standard dei prodotti; gli investimenti; le misure antidumping; i metodi di valutazione; le ispezioni navali; le regole di origine dei prodotti; le licenze d’importazione; gli incentivi alla propria produzione e le strategie di contrasto ai sussidi che altri Paesi, falsando la concorrenza, possano mettere in atto; la protezione dalle importazioni nei casi in cui esse possano mettere a rischio l’intero assetto sociale e di sicurezza di uno o più Paesi. In questo ambito vi è anche un dettagliato elenco di impegni vincolanti dei Paesi in materia tariffaria, e nel settore agricolo anche rispetto al problema delle quote. A proposito dell’agricoltura, i nuovi accordi GATT hanno previsto la fine graduale degli incentivi alla produzione nazionale o alle esportazioni, nonché del sistema delle quote, lasciando in prospettiva alla sola politica tariffaria l’ambito di manovra dei Governi nazionali. In particolare, è previsto che i Paesi sviluppati operino, nel periodo 1995-2000, riduzioni medie del 36% delle tariffe doganali sui prodotti agricoli, mentre i Paesi in via di sviluppo dovranno attuare, nel periodo 1995-2004, decrementi medi del 24%. Identiche riduzioni, e in periodi corrispondenti, dovranno essere messe in atto per quanto concerne il valore dei sussidi alle esportazioni, mentre per le sovvenzioni interne la diminuzione dovrà essere rispettivamente del 20% e del 13%. Nel settore tessile l’applicazione del relativo Accordo, già in corso, sarà completata nel 2005, quando è prevista la sparizione delle quote, principale ostacolo alle esportazioni tessili del Terzo Mondo verso i Paesi sviluppati.

Nell’ambito del GATS (Accordo generale sul commercio dei servizi) gli accordi riguardano invece i trasferimenti di persone connessi alla prestazione di servizi; i trasporti aerei; i trasporti marittimi; le telecomunicazioni; i servizi finanziari. Nel GATS gli impegni dei vari Stati si estendono fino a includere una lista delle eccezioni che i Paesi dichiarano di volere o dover applicare rispetto al principio di non discriminazione delle attività economiche straniere.

L’ultimo principale filone degli accordi dell’Uruguay Round è quello TRIPS (Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti alla proprietà intellettuale): vengono qui estesi alla tutela dei diritti d’autore i principi della nazione più favorita e del trattamento nazionale, e si precisano poi gli strumenti di difesa delle varie tipologie della proprietà intellettuale, rifacendosi agli esistenti standard internazionali e introducendo ulteriori previsioni in materia. La proprietà intellettuale contemplata nell’Accordo va dal copyright ai marchi, dalle indicazioni di tipicità geografica (es. vini, formaggi, ecc.) ai disegni industriali e ai brevetti, dai circuiti integrati alle notizie riservate.

 


LA IV CONFERENZA MINISTERIALE DI DOHA

 

Dal 9 al 14 novembre 2001 si è svolta a Doha, in Qatar, la quarta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). La Conferenza ha stabilito di lanciare un negoziato commerciale diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e a stabilire un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali.

A conclusione della Conferenza sono stati approvati, per consenso, i seguenti documenti:

·         la Dichiarazione ministeriale, che avvia i nuovi negoziati precisandone l’oggetto, i tempi e le finalità ;

·         la Dichiarazione sulla proprietà intellettuale e la salute pubblica, che propone una mediazione tra l’esigenza di tutela dei brevetti in campo farmaceutico e le esigenze sanitarie dei Paesi più poveri;

·         la Decisione sulle questioni relative all’applicazione degli accordi vigenti volta a migliorare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo all’OMC, rimovendo gli ostacoli che non consentono ai PVS di sfruttarne appieno i vantaggi.

 

Gli esiti della Conferenza di Doha sono stati giudicati positivamente dalla Commissione europea che ha ritenuto  soddisfatti i quattro obiettivi proposti dall'Unione ed in particolare:

·         la prospettiva di una nuova liberalizzazione per rilanciare la crescita economica e stimolare la fiducia del mondo finanziario in un momento critico per l'economia mondiale;

·         il potenziamento della regolamentazione del sistema commerciale multilaterale grazie alla messa a punto, sotto l'egida dell'OMC, di accordi sugli investimenti, sulla concorrenza, sulla facilitazione degli scambi e degli appalti pubblici, nonché di nuovi regolamenti in grado di disciplinare i rapporti tra i regolamenti dell'OMC e gli accordi globali sull'ambiente;

·         una risposta ai timori dei paesi in via di sviluppo relativi all'attuazione degli accordi di Marrakech e il rispetto della dimensione dello sviluppo in tutti i singoli negoziati;

·         la risposta alle attese della società civile in materia di trasparenza, di sviluppo sostenibile e di ambiente.

La Conferenza ha invece deluso le aspettative dell’Unione in materia di tutela del lavoro.

La posizione negoziale dell'Unione europea in vista della Conferenza di Doha era stata definita dal Consiglio il 30 ottobre 2001, ribadendo le conclusioni adottate il 25 ottobre 1999 in preparazione della Conferenza di Seattle.

Il Consiglio sottolineava in particolare che nel corso dei negoziati la Comunità e i suoi Stati membri si sarebbero dovuti adoperare per:

-          preservare e sviluppare le loro politiche culturali ed audiovisive (eccezione culturale);

-          integrare gli obiettivi dello sviluppo in tutti gli aspetti dei negoziati al fine di associare i paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale multilaterale;

-          garantire la protezione dei diritti essenziali dei lavoratori;

-          favorire l’unità dei negoziati al fine di garantire che nel corso del processo negoziale le priorità di tutti i membri dell’OMC fossero prese in considerazione e che i risultati finali fossero accettabili per tutti, garantendo un equilibrio tra diritti ed obblighi.

 

 

Il programma di lavoro delineato nella Dichiarazione di Doha - comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo in quanto  pone le esigenze dei Paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati al centro dei suoi obiettivi - enumera 21 questioni oggetto di futuri negoziati o di lavori - applicazione, analisi o misure di coordinamento – e stabilisce un calendario per ciascun settore.

I negoziati previsti sono considerati come facenti parte di un unico impegno che avrebbe dovuto essere finalizzato entro il 1° gennaio 2005, scadenza che tuttavia, dopo il sostanziale fallimento della V Conferenza ministeriale di Cancún (v. infra) non potrà essere rispettata. Fanno eccezione i capitoli relativi alla soluzione delle controversie, che avrebbe dovuto concludersi entro maggio 2003, e al sistema di registrazione delle indicazioni geografiche di vino e bevande spiritose, che avrebbe dovuto essere finalizzato nell’ambito della V Conferenza ministeriale.

 

In particolare le questioni indicate nella Dichiarazione di Doha sono le seguenti :

 

1)      applicazione nei PVS degli accordi vigenti;

 

2)      agricoltura: i negoziati sono iniziati nel gennaio 2000, secondo quanto previsto dagli Accordi GATT.

Termine per la presentazione di offerte iniziali da parte dei membri: 31 marzo 2003 (il termine non è stato rispettato)

Progetti globali di compromesso al più tardi nell’ambito della V Conferenza ministeriale

Termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

3)      servizi: i negoziati sono iniziati nel gennaio 2000, secondo quanto previsto dagli Accordi GATT.

Termine per la presentazione di indirizzi generali: 31 marzo 2001;

Richieste di accesso al mercato 30 giugno 2002;

Offerte iniziali di accesso al mercato: 31 marzo 2003 (il termine non è stato rispettato)

Termine ultimo del negoziato 1° gennaio 2005;

 

4)      accesso ai mercati per i prodotti non-agricoli: inizio del negoziato gennaio 2002 - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005[6];

 

5)      aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio:

·         data limite per i negoziati relativi al registro delle indicazioni geografiche (vino e bevande spiritose): Conferenza di Cancún;

·         negoziati specificamente indicati dalla Dichiarazione di Doha, 1° gennaio 2005;

·         applicazione delle disposizioni relative a brevetti farmaceutici per i Paesi meno avanzati, 2016;

 

6)      rapporto tra commercio e investimento: l’apertura dei negoziati è prevista dopo la Conferenza di Cancún che - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

7)      interazione tra commercio e politica di concorrenza: l’apertura dei negoziati è prevista dopo la Conferenza di Cancún - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

8)      trasparenza nella contrattazione pubblica: l’apertura dei negoziati è prevista dopo la Conferenza di Cancún - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

9)      facilitazioni degli scambi: l’apertura dei negoziati è prevista dopo la Conferenza di Cancún - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

10)  misure antidumping : inizio gennaio 2002 - termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

11)  misure antidumping e sovvenzioni: inizio gennaio 2002, -termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

12)  accordi commerciali  regionali: inizio gennaio 2002 -termine ultimo del negoziato: 1° gennaio 2005;

 

13)  soluzione di controversie,: inizio gennaio 2002 - termine ultimo maggio 2003 (la conclusione di tale negoziato è indipendente dagli altri);

 

14)  commercio e ambiente: è previsto che il comitato commercio e ambiente presenti alla Conferenza di Cancún una relazione; i negoziati dovranno concludersi entro il 1° gennaio 2005;

 

15)  commercio elettronico: non sono previsti negoziati, ma lavori relativi all’applicazione del programma di lavoro adottato il 25 settembre 1998, sulla base di quanto indicato dalla Conferenza ministeriale di Ginevra. E’ previsto che il comitato commercio elettronico presenti una relazione alla Conferenza di Cancún;

 

16)  piccole economie, non sono previsti negoziati, ma solo raccomandazioni nell’ambito della Conferenza di Cancún;

 

17)  commercio debito e finanze : è previsto che il gruppo di lavoro incaricato di esaminare tale questione presenti una relazione alla Conferenza di Cancún;

 

18)  commercio e trasferimento di tecnologia: è previsto che il gruppo di lavoro incaricato di esaminare tale questione presenti una relazione alla Conferenza di Cancún;

 

19)  cooperazione tecnica e creazione di capacità: sulla base delle indicazioni della dichiarazione di Doha il Consiglio generale dell’OMC nel dicembre 2001 ha aumentato dell’80% gli stanziamenti a favore dell’assistenza tecnica e del miglioramento di capacità. E’ previsto che Il direttore generale dell’OMC presenti alla Conferenza di Cancún una relazione su quanto realizzato;

 

20)   Paesi meno avanzati: nella Dichiarazione di Doha si è stabilito di agevolare l’accesso ai mercati dei prodotti dei Paesi meno avanzati, eliminando  dazi doganali e contingenti, e studiando forme ulteriori per migliorare l’accesso al mercato per tali prodotti. Il sottocomitato Paesi meno avanzati (Organo sussidiario del Comitato commercio e sviluppo dell’OMC) informerà il Consiglio generale su questo tema;

 

L’attuazione degli Accordi (cd. implementation)

La questione coinvolge il grado di partecipazione dei Paesi in via di sviluppo ed è stata al centro dei dibattiti nel corso dell’intera Conferenza che, come accennato, ha approvato un’apposita Decisione in materia (Decision on Implementation-Related Issues and Concerns).

Il tema del contendere può ricondursi alla mancanza di risorse finanziare, umane e istituzionali che ha di fatto impedito ai Paesi meno sviluppati la messa in pratica del complesso sistema commerciale elaborato nel corso dell’Uruguay Round.

In particolare, i rappresentanti di tali Paesi hanno sostenuto che gli accordi nel settore tessile e agricolo, quelli sui sussidi, sulla tutela della proprietà intellettuale, sull’anti-dumping, le misure sanitarie e fitosanitarie, nonché quelle relative agli investimenti legati al commercio, non rifletterebbero adeguatamente gli interessi dei Paesi in via di sviluppo e necessiterebbero di un riequilibrio.

Per questo motivo, l’8 maggio 2000 il Consiglio generale dell’OMC ha istituito un quadro di discussione e di negoziazione relativo al tema dell’attuazione, noto come “Meccanismo di revisione dell’attuazione” (IRM – Implementation Review Mechanism) ed è proprio nell’ambito di tale meccanismo che si sono svolte sessioni speciali del Consiglio generale dedicate esclusivamente a questo tema.

Nella specifica Decisione adottata a Doha, la Conferenza ha riaffermato l’importanza che i Membri attribuiscono ad una maggiore partecipazione dei Paesi in via di sviluppo al sistema di scambi multilaterale, e della necessità di assicurare che il sistema risponda interamente alle esigenze e agli interessi di tutti i partecipanti.

La Conferenza ha conseguentemente determinato di intraprendere azioni concrete per affrontare gli argomenti e le problematiche sollevate in materia dai paesi in via di sviluppo.

Tali azioni sono precisate dalla Decisione sopra ricordata, che si articola in 14 punti e copre la più gran parte delle materie di competenza dell’OMC, concludendosi con la richiesta al Direttore Generale di assicurare che l’assistenza tecnica si concentri prioritariamente ad assistere i paesi in via di sviluppo ad attuare gli obblighi dell’OMC già esistenti e ad aumentare la loro capacità di partecipare più efficientemente ai futuri negoziati multilaterali.

 

La tutela della proprietà intellettuale e l’accesso ai farmaci per i Paesi meno sviluppati

L’inclusione della proprietà intellettuale fra i settori coperti dall’OMC è stato uno degli esiti dell’Uruguay Round. L’accordo TRIPS (Trade related aspects of intellectual property rights), raggiunto in quella sede, assoggettava il settore dei diritti di proprietà intellettuale ai consueti princìpi applicati in ambito OMC. L’accordo copre copyright, marchi registrati, indicazioni geografiche e denominazioni d’origine, disegni industriali, brevetti, circuiti integrati e disegni topografici, dati riservati.

Il tema in questione è stato affrontato anche sotto il profilo dell’equilibrio da assicurare tra la salvaguardia degli investimenti fatti per sostenere la ricerca medica e farmaceutica e le pressanti necessità di tutela e salvaguardia della salute di alcuni paesi in via di sviluppo e, come accennato, la Conferenza di Doha ha approvato una apposita Dichiarazione in materia (Declaration on the TRIPS Agreement and Public Health).

Tale documento, anzitutto, riconosce la gravità del problema (con particolare riferimento a malattie epidemiche come l’Aids, la tubercolosi e la malaria, che vengono espressamente riconosciute situazioni di emergenza nazionale, nozione il cui contenuto è lasciato alla discrezionalità di ogni singolo paese) e la necessità che gli accordi dell’Organizzazione (ossia il TRIPS Agreement) concorrano ad affrontarlo.

Dopo aver riconosciuto l’importanza della protezione della proprietà intellettuale per lo sviluppo di nuovi medicinali, la Dichiarazione esprime le preoccupazioni dell’Organizzazione per i suoi effetti sui prezzi delle medicine, e riconosce che l’accordo non impedisce e non deve impedire agli Stati membri di prendere misure per proteggere la salute pubblica. L’accordo, dunque, deve e può essere interpretato dai membri dell’Organizzazione con una flessibilità tale da sostenere il diritto dei membri a proteggere la salute pubblica e a promuovere l’accesso di tutti ai medicinali.

Pertanto, le clausole dell’accordo TRIPS devono essere lette in quest’ottica, ed ogni membro ha il diritto di concedere permessi obbligatori e la libertà di determinare i presupposti di tali licenze.

L’effetto delle clausole TRIPS inerenti alle scadenze dei diritti di proprietà intellettuale, sempre secondo la Dichiarazione, è quello di lasciar libero ciascun Membro di stabilire il proprio regime per tali fattispecie senza contestazioni.

La Dichiarazione, inoltre, riconosce che i membri dell’Organizzazione senza o con insufficienti capacità nel settore farmaceutico potrebbero – di fatto - trovarsi di fronte a difficoltà nel far effettivo uso delle licenze obbligatorie. Il Consiglio TRIPS dovrà quindi trovare una sollecita soluzione a questo problema e riferirne al Consiglio generale prima della fine del 2002. Al proposito si ricorda che un’intesa positiva è stata invece raggiunta il 30 agosto 2003 (v. infra).

Viene riaffermato, infine, l’impegno dei paesi sviluppati di dare incentivi alle loro imprese e istituzioni per promuovere e incoraggiare il trasferimento di tecnologia a quelli meno sviluppati.

 

Il sistema commerciale multilaterale e le norme in materia di tutela del lavoro

La relazione tra queste due tematiche ha rappresentato uno degli argomenti più sensibili nell'ambito del dibattito per un nuovo ciclo di negoziati. La posizione, in particolare, dell’Unione europea, si è contrapposta a quella dei Paesi emergenti o in via di sviluppo, che talvolta vedono la regolamentazione e la tutela del lavoro come un freno al loro sviluppo e l’azione dei Paesi più sviluppati in materia come un modo surrettizio di mantenere le loro posizioni dominanti impedendo agli altri di crescere.

Si rammenta che, proprio in vista della definizione della posizione negoziale dell'Unione europea, in materia di tutela del lavoro la Commissione europea ha approvato, il 18 luglio 2001, una comunicazione sulla promozione delle norme fondamentali del lavoro e il miglioramento della governance sociale nel quadro della globalizzazione. La Commissione, in quell’occasione, ha sottolineato che la crescita economica sostenibile deve andare di pari passo con la coesione sociale, la quale a sua volta richiede il rispetto delle norme fondamentali del lavoro.

A sua volta, il Consiglio europeo, nella strategia di sviluppo sostenibile dell'Unione europea, adottata nel vertice di Göteborg del giugno 2001, ha dichiarato il proprio impegno per rafforzare la cooperazione tra l'OMC e l'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro), per sostenere l'attività di quest’ultima e il suo statuto di osservatore all'OMC, nonché creare un Forum di lavoro permanente congiunto OMC-OIL.

Il tema non ha registrato significativi progressi durante la Conferenza di Doha, e la posizione dell’organizzazione non è stata in sostanza modificata. La Dichiarazione ministeriale, infatti, si limita a riaffermare la dichiarazione fatta durante la Conferenza Ministeriale a Singapore, relativa agli standard di lavoro fondamentali internazionalmente riconosciuti, e a prendere nota del lavoro avviato dall’OIL nei riguardi della dimensione sociale della globalizzazione.

 

Agricoltura

E’ stato uno dei temi sui quali si è più discusso a Doha, e che ha principalmente visto la contrapposizione dell’Unione europea[7] ai  Paesi del CARNIS[8]. La materia del contendere era sostanzialmente il destino e la durata delle sovvenzioni al settore, in particolare di quelle alle esportazioni.

L’accordo è stato raggiunto nei termini di cui al paragrafo 13 della Dichiarazione ministeriale, che in materia avvia dunque il futuro negoziato sulla base di quelli già avviati agli inizi del 2000. L’obiettivo a lungo termine è stabilire un sistema commerciale equo e orientato ai mercati, attraverso un programma di riforma fondamentale che comprenda leggi rafforzate e impegni specifici riguardo al sostegno e alla protezione, in modo da correggere e prevenire restrizioni e distorsioni nei mercati agricoli mondiali.

Le parti si sono quindi impegnate a svolgere negoziati omnicomprensivi diretti ad apportare miglioramenti sostanziali nell’ambito dell’accesso ai mercati, ad operare sostanziali riduzioni nelle distorsioni degli scambi nel sostegno interno e a ridurre, in vista della loro eliminazione progressiva, ogni forma di sovvenzione all’esportazione. Proprio in questo ultimo inciso si compendia l’accordo predetto; resta dunque la previsione della abolizione dei sussidi, ma temperata da una prospettiva temporale non immediata (l’accordo si riassume nella frase “with a view of phasing out” - ossia: in vista della loro eliminazione progressiva – di cui al paragrafo 13 citato). Il paragrafo 13, inoltre, considera e riconosce gli aspetti connessi alla dimensione non commerciale dell’agricoltura, di cui dovrà tenersi conto nei negoziati.

Sempre il paragrafo 18 della Dichiarazione ministeriale (relativo agli aspetti correlati al commercio dei diritti di proprietà intellettuale), tra l’altro, registra l’accordo della Conferenza per negoziare l’istituzione di un sistema multilaterale di notifiche e registrazioni di indicazioni geografiche per i vini e gli alcolici. Per gli altri prodotti, il medesimo paragrafo prende nota che le questioni relative all’estensione della protezione delle indicazioni geografiche saranno trattate nel Consiglio sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale (v. anche i paragrafi 12 e 23 della Dichiarazione ministeriale stessa).

 

Tra Doha e Cancún.

Nei due anni scarsi intercorsi tra la Conferenza di Doha e quella di Cancún i negoziati e più in generale il dibattito in seno all’OMC si sono incentrati su alcuni temi, tra i quali quelli più critici sono stati l’agricoltura; l’accesso ai mercati dei prodotti non agricoli; il problema dei diritti di proprietà intellettuale sulle invenzioni farmaceutiche, con decisive conseguenze sulle possibilità di cura, nei Paesi in via i sviluppo e in quelli meno avanzati, di gravi pandemie in atto; i cosiddetti “temi di Singapore”, lanciati appunto nella I Conferenza ministeriale ivi tenutasi nel 1996, ossia i settori degli investimenti, degli appalti pubblici, della concorrenza e delle agevolazioni doganali al commercio.
Nel settore agricolo la base della discussione a Doha è stato l’Agricultural Agreement, concluso nel 1995 nell’ambito dell’Uruguay Round, con il duplice ma convergente obiettivo di ridurre tanto i sussidi alle esportazioni quanto le barriere in entrata aventi effetti distorsivi del commercio. Il tema particolare del commercio di cotone si è poi aggiunto proprio durante la Conferenza di Doha, con la richiesta pressante di numerosi Paesi produttori del’Africa occidentale di una riduzione dei rilevanti sussidi che gli Stati Uniti concedono ai propri produttori.
Come sopra rilevato, tuttavia, i negoziati avrebbero dovuto conoscere una fase decisiva entro il 31 marzo 2003, mentre tale termine non è stato onorato.
Oramai nell’imminenza di Cancún, USA e Unione europea (sulle posizioni  complessive della quale si veda infra più ampiamente l’apposita scheda) hanno presentato una proposta congiunta mirante a fornire una base negoziale sui punti più critici, che appena qualche giorno dopo è stata criticata prima dal gruppo dei Paesi africani, e poi, con ben maggiore incisività politica, controbilanciata dalle indicazioni dei Paesi del G20 (tra i quali Brasile, India, Cina, Egitto, Indonesia, Messico, Nigeria, Sudafrica, Pakistan), che spingevano per una radicale diminuzione delle forme di sussidio interno e di aiuti all’esportazione nei Paesi sviluppati, richiedendo nel contempo di poter conservare un’elevata protezione dei propri mercati interni.
Sul tema assai rilevante per l’Italia della difesa delle indicazioni geografiche protette, il commissario europeo Lamy ha sottolineato tre aspetti: puntare ad un registro multilaterale per vini e liquori, all'estensione dei principi di protezione anche per altri prodotti e al recupero dell'uso da parte di altri Paesi di una quarantina di prodotti europei. Non va inoltre dimenticato che nell’approccio europeo all’insieme dei negoziati WTO assumono specifica rilevanza alcune problematiche espresse in una serie di documenti della Commissione e del Consiglio, prima fra tutte quella dell’inclusione di standard elevati di rispetto dei diritti dei lavoratori (Convenzioni OIL) e dell’ambiente quali ulteriori crediti a favore dei PVS ottemperanti, anche mediante l’inclusione di criteri comuni di etichettatura che facilitano la “tracciabilità” dei prodotti in rapporto all’impatto ambientale che la loro produzione ha comportato.
Anche per quanto concerne le problematiche dell’accesso al mercato per i prodotti non agricoli, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno elaborato in vista di Cancún una posizione comune, incentrata sull’utilizzazione di un’unica formula matematica per la riduzione tariffaria, accanto alla possibilità di negoziati settoriali complementari e ad un trattamento differenziato per i PVS, ulteriormente flessibilizzato a vantaggio dei Paesi meno avanzati (PMA). Anche in questo caso tuttavia si sono manifestate perplessità, nell’ampio ventaglio dei PVS, sia con riguardo allo strumento matematico proposto, sia rispetto agli effetti – giudicati non equamente distribuiti – delle riduzioni contemplate.

Nell’imminenza del Vertice di Cancún ha destato molte speranze l’accordo sui farmaci essenziali, raggiunto il 30 agosto 2003 a Ginevra, di importanza vitale per molti PVS. In particolare, si trattava di consentire che le deroghe ai diritti di proprietà intellettuale sulle invenzioni farmaceutiche già previste a Doha, e in base alle quali una serie di Paesi dotati di sufficienti apparati industriali avrebbero potuto – in casi definiti di pericolo per la salute collettiva - produrre alcuni ritrovati alla stregua di “farmaci generici”; potessero estendersi anche ai Paesi meno avanzati, permettendo a questi ultimi di importare i farmaci a basso prezzo prodotti grazie alle previsioni di Doha. L’intesa è stata accompagnata da misure di garanzia per i Paesi avanzati contro possibili reimportazioni surrettizie dei farmaci a basso prezzo nel loro territorio, quali l’etichettatura specifica dei farmaci prodotti a basso prezzo, e un elenco di Paesi autoescludentisi dall’importazione di detti farmaci.

Nonostante questi incoraggianti sviluppi, il Vertice di Cancún appena pochi giorni dopo si è concluso con un fallimento, dovuto essenzialmente all’opposizione del G20, il gruppo di PVS guidati da Brasile, India e Cina alla politica dei sussidi agricoli degli USA e dell'UE – le cui aperture sono state ritenute del tutto insufficienti -, nonché al secco rifiuto della bozza finale di documento dei quattro paesi del cotone: Ciad, Mali, Burkina Faso e Benin. Anche sui “Temi di Singapore” il dissenso è stato netto, e lo scacco negoziale, di portata così ampia da porre in molti attori di esso l’esigenza di una profonda revisione della stessa WTO, ha reso impossibile rispettare la scadenza del 31 dicembre 2004, fissata a Doha per la sessione negoziale ivi lanciata.

 

La riapertura delle prospettive negoziali.

I rappresentanti dei 146 membri del WTO hanno ripreso il 26 marzo 2004 a Ginevra i difficili negoziati sugli scambi agricoli, e, in vista della riunione ministeriale WTO di Parigi (maggio 2004), i Commissari europei Lamy e Fischler hanno inviato una lettera (che non ha incontrato l’unanime consenso dei ministri dell’agricoltura europei) ai partner del WTO che, tra l’altro, propone di abolire le sovvenzioni destinate alle esportazioni dei prodotti agricoli. La misura – richiesta anche agli altri paesi del WTO – puntava a rilanciare i negoziati multilaterali di Doha per la liberalizzazione degli scambi. Si ricorda che l’Europa si muove da tempo nella direzione di favorire le importazioni dai PVS tramite l’applicazione di regimi preferenziali e aprendo le sue frontiere a tutti i prodotti (tranne armi) provenienti dai 49 paesi meno sviluppati del mondo.

Il 1° agosto 2004, i Paesi membri del WTO hanno raggiunto a Ginevra un accordo, approvato nel corso della seduta plenaria dei 147 membri dell'Organizzazione, per rilanciare i negoziati sulla liberalizzazione degli scambi internazionali. L’accordo, che si basa su un compromesso sulla più delicata delle questioni, quella relativa all'agricoltura, permetterà ai prodotti agricoli dei paesi in via di sviluppo di rafforzare la propria competitività con quelli dei paesi ricchi.

Il Governo italiano ha espresso un giudizio ampiamente positivo sull'accordo, per i contenuti del quale si rinvia alla sezione successiva concernente le posizioni dell’Unione europea.


Schede a cura dell’Ufficio Rapporti
con l’Unione europea

 


L’Unione europea e l’Organizzazione mondiale del commercio

1. La partecipazione dell’Unione europea all’Organizzazione mondiale del commercio

L’Unione europea è uno dei partecipanti chiave dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), nell’ambito della quale è l’entità più ampia e più rappresentativa. I 25 Stati dell’Unione, così come i paesi candidati, sono tutti membri dell’OMC ma è la Commissione europea ad intervenire a nome dell’Unione nella maggior parte delle riunioni dell’Organizzazione. Infatti, avendo una politica commerciale comune, in tutte le materie relative al commercio l’Unione agisce come un unico attore: è la Commissione europea a negoziare gli accordi commerciali e a rappresentare gli interessi comunitari a nome degli Stati membri. Anche la partecipazione ai negoziati promossi dall’OMC si svolge dunque nell’ambito del quadro definito dall’articolo 133 del Trattato CEE che detta le regole per lo svolgimento della politica commerciale comune.

Su questa base, previa autorizzazione del Consiglio,  la Commissione negozia a nome degli Stati membri, in consultazione con un comitato speciale denominato Comitato articolo 133, la cui funzione principale è quella di coordinare la politica commerciale dell’UE, garantendone la coerenza. Le decisioni formali sull’avvio e sulla conclusione dei negoziati sono confermate dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Benché Il Trattato CEE preveda un ruolo più limitato per il Parlamento europeo in materia di politica commerciale[9], la Commissione favorisce un maggiore coinvolgimento parlamentare in materia, consultando e informando sistematicamente il PE.

L’Unione europea è fra coloro che guidano i negoziati commerciali multilaterali in ambito OMC, a partire dal più rilevante di essi, il ciclo negoziale inaugurato a Doha nel 2001.

 

2.  L’Agenda di Doha per lo sviluppo

Dal 9 al 14 novembre 2001 si è svolta a Doha, in Qatar, la quarta Conferenza ministeriale[10] dell’OMC, nel corso della quale sono state prese decisioni di larga portata per il futuro dell’organizzazione:

·         avviare un nuovo round di negoziati commerciali diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e a definire un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali, rafforzando il sostegno ai paesi in via di sviluppo. Il principale obiettivo del nuovo round, infatti, è quello di favorire l’integrazione dei paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale internazionale, aiutandoli a combattere la povertà. Tale decisione è stata formalizzata nella Dichiarazione ministeriale di Doha;

·         aiutare i paesi in via di sviluppo ad attuare gli accordi già esistenti in ambito OMC e favorire la loro partecipazione in seno all’organizzazione, rimuovendo gli ostacoli che non consentono a tali paesi di sfruttarne appieno i vantaggi;

·         interpretare l’accordo Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS)  in modo da assicurare  una mediazione tra l’esigenza di tutela dei brevetti in campo farmaceutico e le esigenze sanitarie dei paesi più poveri;

La Dichiarazione ministeriale di Doha delinea un dettagliato programma di lavoro, comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo in quanto  pone al centro dei suoi obiettivi le esigenze dei paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati. Delle 21 questioni prese in esame dall’Agenda di Doha alcune sono oggetto di negoziato; per altre sono previste azioni di attuazione, analisi o monitoraggio. Per tutte le questioni l’Agenda di Doha stabilisce un calendario.

Le materie oggetto di negoziato sono: agricoltura, accesso al mercato per i prodotti industriali, apertura del mercato dei servizi, proprietà intellettuale (indicazioni geografiche e TRIPS), cosiddette questioni di Singapore (investimenti, concorrenza, trasparenza e facilitazioni commerciali), regole OMC in materia di anti-dumping, sussidi e accordi commerciali regionali, rapporto tra commercio e ambiente (relazioni tra regole OMC e obblighi derivanti dagli accordi multilaterali in materia ambientale).  I negoziati previsti sono considerati come facenti parte di un unico impegno che avrebbe dovuto essere finalizzato entro il 1° gennaio 2005.

La dimensione dello sviluppo è trasversale rispetto ai mandati negoziali e si esprime nell’esigenza di un trattamento speciale e differenziato che prenda la forma di previsioni specifiche per i paesi in via di sviluppo, quali periodi più lunghi nell’attuazione degli impegni o misure per incrementare le opportunità commerciali.

Con l’Agenda di Doha ci si prefigge di passare ad una nuova fase in cui l’OMC non si limiterà a migliorare le condizioni degli scambi e degli investimenti a livello mondiale  ma, attraverso regole nuove, potrà giocare un ruolo più efficace nel favorire crescita economica, occupazione e riduzione della povertà. Migliore governance internazionale e promozione dello sviluppo sostenibile rappresentano l’ambizioso progetto dell’Agenda.

 

2.1 Gli obiettivi dell’UE

L’Unione europea attraverso le sue istituzioni è determinata a portare a conclusione  con successo l’Agenda di Doha, di cui condivide i principi e gli obiettivi. Infatti, ulteriori regole per il commercio internazionale, apertura dei mercati, integrazione dei paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale internazionale e miglioramento del funzionamento dell’OMC rappresentano gli obiettivi generali della politica commerciale comunitaria.

Più nel dettaglio, le priorità di base dell’UE in relazione all’Agenda di Doha sono le seguenti:

·         in merito all’apertura del mercato per i beni industriali, l’UE intende eliminare tariffe doganali elevate, creste tariffarie e escalation delle tariffe, in modo da incrementare significativamente gli scambi commerciali nord-sud e sud-sud del mondo;

·         l’ulteriore apertura del mercato dei servizi dovrebbe portare considerevoli opportunità sia per il mondo degli affari sia per i consumatori in un momento critico dell’economia mondiale. L’Unione europea non si prefigge tuttavia la generale liberalizzazione dei settori di primario interesse pubblico ed è impegnata a difendere il diritto dei membri OMC a promuovere la diversità culturale;

·         l’Unione europea è determinare a liberalizzare ulteriormente il mercato agricolo, nonostante che l’Europa sia il più grande importatore di beni agricoli nel mondo ed anche il più grande importatore di prodotti agricoli dai paesi in via di sviluppo[11];

·         l’Unione europea ritiene che l’Agenda avrà successo soltanto se avrà un concreto impatto sulle opportunità di sviluppo dei singoli membri e se darà un tangibile contributo agli sforzi internazionali in favore dello sviluppo sostenibile, incrementando la coerenza di azione tra l’OMC e le altre organizzazioni internazionali, quali Banca mondiale, Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo e Fondo monetario internazionale;

·         l’Unione europea è impegnata a trovare una soluzione in favore dei paesi in via di sviluppo per ciò che riguarda l’attuazione degli accordi OMC esistenti e le proposte di trattamenti speciali e differenziati. Inoltre, intende sostenere gli sforzi dei paesi in via di sviluppo per integrare il tema del commercio nelle strategie nazionali di sviluppo e di riduzione della povertà. A questo proposito, l’UE è impegnata ad assicurare che gli aiuti al commercio rispondano alle attuali necessità di tali paesi sia attraverso i propri programmi di cooperazione allo sviluppo sia attraverso l’assistenza bilaterale e multilaterale;

·         protezione dell’ambiente, sviluppo sociale e interessi dei consumatori sono gli elementi chiave dello sviluppo sostenibile perseguito dall’Agenda di Doha. L’obiettivo dell’UE è quello di aumentare la coerenza tra politiche commerciali e tutela dell’ambiente;

·         la modifica delle regole del commercio mondiale è una pre-condizione per un sistema di governo del commercio e dell’investimento mondiale equo e trasparente.

 

2.2 La Conferenza di Cancún ed i suoi seguiti

La V Conferenza ministeriale di Cancún (Messico), svoltasi dal 10 al 14 settembre 2003, avrebbe dovuto rappresentare un giro di boa nell’attuazione dell’Agenda, procedendo ad un bilancio generale dei lavori fino ad allora realizzati. Era previsto inoltre che fossero prese decisioni in alcuni settori chiave, in particolare per quanto riguarda l’accesso al mercato per i prodotti agricoli e non agricoli. Come è noto, la Conferenza di Cancun si è conclusa con un nulla di fatto[12]. L’aspetto rilevante della Conferenza è stato la formazione di una dalla coalizione tra i paesi in via di sviluppo, in particolare tra i G20 (paesi in via di sviluppo a medio reddito con un’agenda forte in materia di agricoltura) e i G90 (una combinazione fra paesi meno sviluppati e paesi di Africa, Caraibi e Pacifico).

A seguito del fallimento di Cancun, il 26 novembre 2003 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione nella quale presenta una posizione negoziale riveduta e aggiornata. Il documento espone le conclusioni della Commissione elaborate sulla base dei contributi forniti dal Parlamento europeo, dalle imprese e dai sindacati dell’UE , nonché dalle organizzazioni non governative.

Per quanto riguarda l’equilibrio tra i negoziati commerciali multilaterali e i negoziati commerciali bilaterali/regionali, tutte le parti consultate ritengono che i negoziati multilaterali debbano rimanere la priorità europea.

In materia di sviluppo, le consultazioni hanno evidenziato la necessità di aprire maggiormente i mercati e di adottare norme commerciali volte ad integrare i paesi in via di sviluppo, segnatamente quelli più poveri, nell’economia mondiale. Secondo la comunicazione non si tratta di esonerare o di proteggere i paesi poveri dagli impegni OMC, ma di far sì che aprano gradatamente i loro mercati, prima di tutto fra di loro. Soluzioni particolari vanno riservate ai paesi meno sviluppati applicando loro un trattamento differenziato rispetto ai paesi in via di sviluppo per quanto riguarda l’accesso al mercato e l’assistenza tecnica necessaria.

Per ciò che attiene invece alla riforma dell’OMC, la Commissione ritiene che sia opportuno definire un pacchetto di riforme, modeste ma realizzabili, incentrate sulla preparazione e gestione delle riunioni ministeriali, su una maggiore partecipazione dei membri più piccoli e su altri accorgimenti tesi a migliorare l’efficienza e la completezza dei negoziati.

Sulle questioni agricole, la Commissione ricorda che la riforma della politica agricola comune significa per l’UE il passaggio progressivo ad un regime con un minor effetto distorsivo sul mercato, quasi anticipando così uno degli obiettivi di Doha. I negoziati dovranno concentrarsi soprattutto sugli aiuti veramente distorsivi degli scambi, vale a dire su quelli identificati dalla cosiddetta “scatola gialla” (amber box)[13] e sulle sovvenzioni all’esportazione.

Sulle indicazioni geografiche, la Commissione sottolinea che l’UE continuerà ad adoperarsi in sede negoziale per conseguire tre obiettivi principali: estendere ad altre merci europee il livello di protezione attuale dei vini e delle bevande alcoliche, ridurre l’elenco delle indicazioni geografiche in vigore nei paesi di cui dette indicazioni non sono originarie e creare un registro multilaterale delle indicazioni geografiche. La Commissione è comunque disposta a dar prova di flessibilità per quanto riguarda le modalità specifiche di creazione di detto registro.

 

2.3 La ripresa dei negoziati

Anche dopo Cancún, dunque, L’UE ha confermato i suoi impegni in favore del multilateralismo e di una rapida conclusione dell’Agenda di Doha e ha segnalato la propria disponibilità a cercare e verificare nuovi approcci. 

L’iniziativa più significativa intrapresa dall’UE allo scopo di favorire la ripresa dei negoziati dopo il fallimento di Cancun è rappresentata dalla lettera che il commissario per il commercio, Lamy, e il commissario per l’agricoltura, Fischler, hanno inviato ai partner dell’OMC il 10 maggio 2004. La lettera ha evidenziato una serie di idee e di proposte, segnalando la flessibilità dell’UE in diverse aree negoziali. In particolare, si segnala:

·         la disponibilità dell’UE a mettere sul tavolo dei negoziati tutti i sussidi alle esportazioni e a puntare ad una sostanziale riduzione di tutte le forme di aiuto distorsive per gli scambi commerciali;

·         la conferma dell’accordo ad eliminare dal tavolo negoziale di Doha alcune delle questioni di Singapore (investimenti, concorrenza e trasparenza), mantenendo invece aperte le trattative in materia di facilitazioni commerciali;

·         la proposta che paesi meno sviluppati e altri paesi vulnerabili (essenzialmente il gruppo G90) non siano tenuti ad aprire ulteriormente i loro mercati né a rispettare i nuovi impegni. Lo scopo è quello di consentire loro di godere dei benefici offerti dall’ulteriore apertura dei mercati dei paesi sviluppati o dei paesi in via di sviluppo avanzati.

 

2.4 L’accordo quadro di Ginevra

Il 31 luglio 2004 l’Organizzazione mondiale del commercio, riunita a Ginevra, ha raggiunto un accordo quadro (adottato formalmente dal Consiglio generale del 1° agosto) che spiana la strada per la conclusione del round negoziale avviato a Doha nel novembre 2001. Il testo adottato nel corso dell’incontro[14] definisce i parametri per le future trattative in cinque aree chiave: agricoltura, prodotti industriali, sviluppo, facilitazioni commerciali e servizi. In questi mesi i membri dell’OMC stanno trasformando l’accordo quadro in impegni concreti specifici e dettagliati, con l’obiettivo di concludere il round nel più breve tempo possibile e comunque entro dicembre 2005, data in cui dovrebbe svolgersi la sesta Conferenza ministeriale ad Hong Kong. Il risultato finale rimane un pacchetto indivisibile nella forma di una singola intesa per tutti i membri dell’OMC.

Si riportano di seguito gli elementi chiave dell’accordo di Ginevra.

·         In materia di prodotti industriali, l’accordo prevede la riduzione delle barriere non tariffarie e dei dazi doganali (dazi elevati, creste tariffarie, escalation delle tariffe), sulla base di una formula ambiziosa, non lineare, con tagli maggiori per le tariffe più alte. Tale riduzione andrebbe applicata a tutti i prodotti, senza esclusioni a priori. Il testo prevede anche la possibilità di ulteriori e più consistenti tagli in alcuni settori, in particolare in quelli di interesse dei paesi in via di sviluppo (cosiddette iniziative settoriali). Inoltre si prevedono regole speciali per gli ultimi del mondo, che godrebbero di periodi transitori più lunghi e di flessibilità nei tagli. Per i 50 paesi meno sviluppati è prevista l’esenzione dalle riduzioni;

·         I servizi rappresentano tra la metà e i due terzi delle economie dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, senza contare che 15 delle aziende leader nel settore sono di paesi in via di sviluppo. L’apertura dei mercati dei servizi alle aziende straniere è dunque considerata vitale per economie moderne ed efficienti. L’accordo quadro prevede uno sforzo di tutti i componenti OMC verso un progressivo incremento della liberalizzazione, senza che alcune settore o alcuna modalità di fornitura sia esclusa a priori;

·         sono stati inaugurati i negoziati in materia di facilitazioni commerciali. Le linee guida dell’accordo prevedono infatti negoziati focalizzati sui tagli alle procedure doganali e al cosiddetto red tape[15] che rappresentano il 5 per cento del valore delle importazioni, creando dunque un significativo ostacolo agli scambi. I paesi in via di sviluppo adotteranno impegni compatibili con la loro capacità. I negoziati tenderanno a definire disposizioni adeguate per favorire la cooperazione tra le autorità doganali e le altre autorità competenti in materia di facilitazione degli scambi. Le altre questioni di Singapore (investimento, concorrenza e trasparenza) sono state escluse dall’Agenda di lavoro, ma il lavoro continuerà nel più ampio contesto del OMC;

·         per quanto riguarda la dimensione dello sviluppo, l’accordo quadro richiede il rafforzamento delle previsioni in materia di trattamenti speciali e differenziati per i paesi in via di sviluppo e il miglioramento dell’assistenza in campo commerciale, incrementandone qualità, quantità e coordinamento.

 

Per quanto riguarda il settore agricolo, gli elementi dell’accordo nel settore agricolo sono i  seguenti:

ü      Aiuti agricoli. E’ la questione sulla quale l’UE ha visto l’accoglimento delle sue richieste: da una parte la recente riforma della politica agricola comune (PAC) è stata accolta positivamente, dall’altra si è registrato l’impegno di alcuni paesi sviluppati (come gli Stati Uniti) a rivedere la loro normativa, giudicata negativamente dall’UE. Più dettagliatamente è’ stata concordata una forte riduzione del livello generale degli aiuti interni, in particolare quelli che hanno un più forte effetto discorsivo sugli scambi e che vengono identificati dalla cosiddetta “scatola gialla” o amber box[16]. Nel corso del primo anno di vigore dell’accordo tali aiuti saranno ridotti inizialmente  del 20% : è la riduzione più rilevante tra quelle applicate su un periodo di sei anni dopo l’Uruguay Round.  Il sostegno identificato dalla cosiddetta “scatola blu” non può superare il 5% del valore della produzione agricola, mentre gli aiuti relativi alla “scatola verde” restano inalterati, non avendo alcun effetto discorsivo del commercio. Sarà ridotta (invece che abolita, come chiedeva l’UE per i paesi sviluppati[17]) la clausola “de minimis”, che consente una deroga ai limiti imposti agli aiuti agricoli.

ü      Sostegno alle esportazioni. Scopo dell’UE era di assicurare un trattamento uguale per tutte le forme di sostegno alle esportazioni praticate dai vari paesi. E’ stata convenuta, entro una data ancora da decidere, l’eliminazione di quelle forme di sostegno finanziario alle esportazioni (sovvenzioni, crediti, garanzie di credito e programmi di assicurazione) aventi una durata del periodo di rimborso superiore a 180 giorni. Le forme di sostegno finanziario con una durata inferiore ai suddetti 180 giorni saranno regolate da una normativa particolare. Anche le esportazioni delle imprese commerciali di Stato non avranno più sovvenzioni se queste saranno distorsive degli scambi. L’aiuto alimentare continuerà ad essere accordato alle popolazioni in stato di bisogna, ma in caso di abuso da parte di qualche paese che utilizza tale istituto del commercio internazionale per aggirare i limiti sul sostegno alle esportazioni, saranno imposte delle normative specifiche. La questione della fornitura di un aiuto alimentare esclusivamente a titolo di donazione sarà trattata nel prosieguo dei negoziati.

ü      Apertura dei mercati agricoli. L’accordo consentirà di migliorare sensibilmente l’accesso ai mercati agricoli. I diritti di dogana saranno ridotti secondo un metodo unico: a diritti più elevati corrisponderanno riduzioni più rilevanti. L’accordo tiene conto delle preoccupazioni dell’UE circa i prodotti sensibili: i paesi potranno selezionare essi stessi un numero appropriato di tali prodotti, da trattare in maniera più elastica.

ü      Paesi in via di sviluppo. Tutti i paesi in via di sviluppo beneficeranno in modo sistematico di un trattamento speciale e differenziato grazie ad una serie di misure come: periodi di applicazione più lunghi per tutti gli accordi, riduzioni minime dei diritti di dogana e delle sovvenzioni, trattamento particolare in materia di apertura dei mercati per una serie di “prodotti speciali” (per rimediare ai problemi di sicurezza alimentare, di sussistenza e di sviluppo rurale), liberalizzazione completa dei prodotti tropicali.

ü       Paesi meno avanzati. Non saranno tenuti a prendere impegni per abbassare i diritti di dogana o gli aiuti agricoli. Inoltre i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo che possono dovranno permettere ai prodotti di tali paesi di accedere ai loro mercati in franchigia di dogana e senza contingentamento. L’UE ha già messo in opera, unilateralmente, una misura di questo tipo nel quadro dell’iniziativa “tutto salvo le armi”.

 

E’ rimasta fuori dall’accordo, pur presentando elementi di interesse, la questione delle indicazioni geografiche, un tema sul quale l’UE si era impegnata nelle passate tornate negoziali. Il nuovo commissario europeo per l’agricoltura, Mariann Fischer Boel[18], ha dichiarato nel corso dell’audizione tenutasi il 6 ottobre 2004 presso la Commissione agricoltura del Parlamento europeo che avrebbe difeso la questione con tutte le sue forze nel corso dei negoziati in ambito OMC.

Sulla questione del cotone, l’accordo concluso a Ginevra riconosce l’importanza vitale  del cotone per un certo numero di paesi in via di sviluppo e stabilisce che il prosieguo dei negoziati risolverà la questione “in modo ambizioso, rapido e preciso”. Da parte sua l’UE ha già abolito le sovvenzioni all’esportazione nel settore del cotone con la riforma del 29 aprile 2004 che prevede anche l’eliminazione degli aiuti maggiormente distorsivi del mercato[19]. Si ricorda che l’8 settembre 2004 è stata pubblicata la sentenza con la quale il OMC ha condannato gli incentivi che il governo americano elargisce per i suoi 25 mila produttori di cotone.

 

2.5 L’UE e l’accordo quadro di Ginevra

Come dichiarato dal commissario Lamy a conclusione dell’incontro di Ginevra, l’UE si è costantemente impegnata in questi anni per far progredire i negoziati ed è soddisfatta dei risultati ottenuti.

 

Sull’accordo quadro si è espresso in più occasioni anche il Consiglio affari generali dell’UE. Nella riunione del 30 luglio 2004, dopo aver esaminato l’accordo in via di approvazione a Ginevra, il Consiglio;

Ø      ha sottolineato come la stragrande maggioranza delle delegazioni ritenesse il testo una base soddisfacente per il mantenimento dello slancio dei negoziati;

Ø      ha ribadito l’impostazione dell’UE nei negoziati attuali (ambiziosa liberalizzazione degli scambi, norme commerciali rafforzate e una migliore integrazione dei paesi in via di sviluppo nel sistema del commercio mondiale) ritenendo che questa debba essere mantenuta nei negoziati futuri;

Ø      ha convenuto di iscrivere a verbale una dichiarazione relativa alla questione del cotone, con la quale ribadisce l’importanza della riforma della PAC quale contributo dell’UE al Doha round, ma precisa anche che tale riforma costituisce il limite oltre il quale non possono essere presi ulteriori impegni, sottolineando anche l’importanza del cotone per talune zone rurali della Comunità.

Più recentemente, il Consiglio Affari generali dell’11 ottobre 2004 ha sottolineato l’importanza di giungere ad un risultato equilibrato al termine del ciclo di negoziati di Doha, ponendo l’accento sul principio dell’impegno unico, come confermato nell’accordo quadro. Per quanto riguarda l’agricoltura, il Consiglio ha richiamato anche l’attenzione sull’importanza di un parallelismo totale nell’eliminazione di tutte le forme di aiuti all’esportazione e la conseguente necessità di importanti riforme in questo senso negli altri paesi industrializzati.

Come ricordato dal Consiglio, infine, i temi che non stati affrontati con l’accordo quadro di Ginevra (dumping, accordi regionali di scambio, indicazioni geografiche, commercio e ambiente) restano della massima importanza per l’Unione europea che continuerà a perseguire i suoi obiettivi in queste aree.

 

3. Altre questioni.

Il 27 ottobre 2004 la politica commerciale dell’UE è stata sottoposta alla settima revisione da parte dell’OMC[20]. I risultati complessivi sono stati positivi. L’UE è stata elogiata per gli sforzi compiuti nella ulteriore liberalizzazione degli scambi e in materia di politica monetaria, sforzi che hanno comportato la diminuzione dell’inflazione ed il miglioramento della situazione finanziaria.

L’organizzazione ha sottolineato l’importante ruolo svolto dall’UE nella promozione dei negoziati per l’Agenda di Doha e nel rafforzamento del sistema commerciale multilaterale. Molti paesi in via di sviluppo e alcuni dei paesi avanzati hanno espresso la loro soddisfazione per le politiche di sostegno messe in atto dall’UE, facendo riferimento all’assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo; all’incentivazione dell’integrazione regionale; all’iniziativa “tutto tranne le armi” in favore dei paesi meno sviluppati, al Sistema delle preferenze generalizzate (SPG). A questo proposito alcuni membri hanno espresso preoccupazioni in merito alla recente proposta di modifica di tale sistema da parte dell’UE e hanno chiesto per il nuovo regime SPG criteri oggettivi e compatibili con le regole OMC.

Pur congratulandosi per gli orientamenti generali della politica agricola comune, alcuni membri ritengono che l’UE debba ridurre ulteriormente dazi doganali e sovvenzioni al mercato agricolo. Nel settore dei servizi, inoltre, l’esistenza di legislazioni nazionali diverse impedisce il nascere di un vero mercato interno. L’OMC ritiene dunque che la liberalizzazione supplementare dei servizi debba essere l’obiettivo a medio e a lungo termine dell’UE.

Il 31 dicembre 2004 scade l’Accordo OMC su tessile e abbigliamento, che prevedeva un periodo di dieci anni per l’eliminazione delle quote. Dal 1° gennaio 2005 dunque tali prodotti saranno soggetti alle regole generali GATT, che vietano l’imposizione di restrizioni quantitative alle importazioni. Pertanto, per corrispondere alle regole OMC, il 25 ottobre 2004 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento del Consiglio (COM(2004) 713) per l’eliminazione delle quote applicate alle importazioni tessili dai paesi OMC. Attualmente l’UE applica 210 quote sulle importazioni da 11 paesi o territori OMC, sulla base di accordi bilaterali conclusi negli anni settanta nell’ambito del precedente accordo GATT. Per seguire da vicino l’importazione dei prodotti tessili più sensibili, nel rispetto delle regole OMC verrà definito un sistema di monitoraggio per i prodotti cinesi. La proposta verrà sottoposta agli Stati membri per la sua adozione in modo che le quote possano essere rimosse a partire dal 1° gennaio 2005.

Per il settore delle banane, sono in corso in ambito OMC negoziati sul passaggio, al più tardi entro il gennaio 2006, ad un regime di importazione esclusivamente tariffario. La posizione dell’UE è favorevole al mantenimento delle quote attuali[21]. Nel quadro della riforma del regime comunitario delle banane applicabile dal 2006, l’UE ha proposto[22] di fissare il dazio doganale per le importazioni di banane a 230 euro per tonnellata (ma un gruppo di oltre dieci Stati membri tra cui Svezia, Danimarca, Finlandia, Belgio, Polonia si sono espressi a favore di un dazio pari a 75 euro per tonnellata). Il dazio di 230 euro/tonnellata è stato accolto positivamente dall’Unione dei produttori indipendenti di banane africane (UPIBA)[23].

Per quanto riguarda il riso, dal 1° settembre entra in vigore la nuova organizzazione comune di mercato decisa nell’ambito della riforma della politica agricola comune del 2003 che prevede la riduzione del prezzo di intervento a 150 euro per tonnellata. L’UE ha anche approvato, nell’agosto 2004, la revisione del sistema di importazioni in Europa (che importa 750 mila tonnellate di riso soprattutto da USA, India, Pakistan e Tailandia) dal mercato mondiale: tale modifica è volta a scongiurare il rischio di dover subire massicce importazioni a dazio zero e a ristabilire un minimo di protezione. E’ stata contestualmente approvata la concessione a India e Pakistan di un dazio zero per le esportazioni in Europa del riso Basmati. La decisione unilaterale dell’UE di modificare il regime di importazione del riso (previsto  dall’accordo GATT del 1994) ha suscitato la contrarietà degli USA che hanno annunciato la richiesta all’ OMC di verificare la compatibilità della decisione europea con le regole del commercio internazionale.

E’ in corso un negoziato tra USA e Unione europea per un accordo sul commercio dei vini. Il testo attualmente in discussione presenta molti punti critici relativi in particolar modo alle pratiche enologiche, all’etichettatura ed al riconoscimento delle menzioni tradizionali.

 

4. Controversie

Il 31 agosto 2004 l’OMC ha autorizzato l’UE e altri sette paesi[24] ad adottare sanzioni contro gli Stati Uniti in merito alla legislazione antidumping cosiddetta Amendment Byrd[25] che l’OMC ha giudicato illegale già nel gennaio 2003, ingiungendo al Congresso americano di modificare il testo entro la fine del 2003. La mancata conformità della legge statunitense alle regole OMC ha indotto l’UE e gli altri paesi coinvolti a richiedere l’autorizzazione ad imporre dazi addizionali all’importazione per i prodotti provenienti dagli Stati Uniti. I paesi ricorrenti ritengono infatti che l’Amendment Byrd costituisca un aiuto illegale e mascherato ai produttori americani.

L’8 settembre 2004 l’OMC ha condannato il regime europeo di sovvenzioni al settore dello zucchero, a seguito del ricorso presentato nel luglio 2003 dall’Australia, dal Brasile e dalla Tailandia. L’UE non avrebbe rispettato i limiti fissati in ambito OMC circa le esportazioni di zucchero sovvenzionato. Secondo alcuni dati diffusi dal ministero australiano del commercio, l’UE dovrebbe ritirare dal mercato mondiale fino a 4 milioni di tonnellate di zucchero sovvenzionato. Inoltre, dato che le raffinerie dell’UE importano zucchero dai paesi ACP (Africa, Carabi e Pacifico), qualsiasi modifica del regime europeo si ripercuoterà sui paesi ACP. L’Unione europea ha annunciato il ricorso contro la decisione dell’OMC il 15 ottobre 2004.

Si ricorda che il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla “realizzazione di un modello agricolo sostenibile per l’Europa mediante la riforma della PAC – riforma del settore dello zucchero”[26]. Nel documento la Commissione indica l’opportunità di adeguare il settore dello zucchero ai principi fondamentali della riforma della politica agricola del 2003 e 2004: l’orientamento al mercato, il sostegno al reddito agricolo disaccoppiato dalla produzione, il rafforzamento del sostegno allo sviluppo rurale. Inoltre viene prevista la modifica del regime d’importazione dai Balcani occidentali, mentre verrebbero mantenuti gli accordi coi i paesi ACP pur con una riduzione del prezzo garantito.

La Commissione europea ha chiesto, l’8 novembre 2004, consultazioni in ambito OMC per ottenere la revoca delle sanzioni che gli USA e il Canada continuano ad imporre ad una serie di importazioni provenienti dall’UE a seguito della questione della carne bovina agli ormoni[27]. Nel 1998, il OMC aveva condannato l’UE per il suo embargo contro le importazioni di carne bovina agli ormoni e aveva autorizzato USA e Canada ad adottare sanzioni contro le importazioni europee.  La Commissione europea ritiene che queste sanzioni (che colpiscono una varietà di settori, dal tessile alla carne o alla mostarda) siano divenute illegali poiché l’UE si è conformata nel frattempo a quanto stabilito dal OMC nel 1998.

Nell’agosto 2003 l’Australia e gli Stati Uniti hanno chiesto l’istituzione di un gruppo speciale per giudicare se la normativa europea sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e delle derrate alimentari (Reg. (CEE) n. 2081/92 del 14 luglio 1992, modificato dal reg. (CE) n. 692/2003 dell’8 aprile 2003) sia compatibile con gli accordi sul commercio internazionale. Il “gruppo” è stato  nominato il 2 ottobre 2003 e conta di terminare i suoi lavori entro la fine del 2004.

Notizie di stampa[28] riportano una dichiarazione, rilasciata venerdì 19 novembre 2004 da Pascal Lamy, secondo la quale il suddetto “gruppo” arbitrale sembrerebbe orientato a dare ragione agli USA e all’Australia, sulla base di una relazione provvisoria e ancora riservata. Il commissario uscente Lamy ha comunque ribadito la convinzione che il sistema comunitario di protezione delle denominazioni di origine è conforme alle regole OMC e che sarà comunque mantenuto.


 

Schede a cura del Servizio Rapporti Internazionali

 


Verso una dimensione parlamentare dell’OMC (2001-2003)

 

 

Le sempre maggiori difficoltà incontrate dall’OMC, a partire dalla Conferenza ministeriale di Seattle del dicembre 1999, per raggiungere un’intesa destinata a promuovere una nuova fase di liberalizzazione del commercio internazionale, unitamente alla diffidenza dell’opinione pubblica mondiale nei confronti di una globalizzazione incontrollata, hanno posto l’esigenza di un controllo democratico e di una maggiore trasparenza nel funzionamento dell’OMC.

In tale ottica, come ripetutamente sostenuto dai rappresentanti dell’Unione Europea, è stata auspicata una maggiore attenzione e controllo da parte dei Parlamenti sull’operato dei rispettivi governi nell’ambito dell’OMC, anche mediante la creazione di una dimensione parlamentare all’interno della stessa organizzazione.

 Questa proposta è stata oggetto di un seminario organizzato a Bruxelles dal Parlamento europeo il 10-11 aprile 2001[29], al quale sono stati invitati i parlamentari dei Paesi membri dell’OMC e i parlamentari europei. Al seminario ha preso parte una delegazione della Camera dei deputati composta dagli onorevoli Gianfranco Saraca, Presidente della X Commissione, Sandra Fei, membro della XIV Commissione e Marco Pezzoni, membro della III Commissione. A conclusione dei lavori, il Vice Presidente del Parlamento europeo, On. Wiebenga, ha proposto il lancio di una Conferenza a partecipazione allargata, per esaminare eventuali suggerimenti avanzati dai Parlamenti sulle modalità per accrescere il controllo parlamentare dell’OMC, e sull’istituzione di un forum parlamentare diretto a facilitare gli scambi di idee, ricevere informazioni e seguire le attività della dimensione governativa. In tale ottica, il Vice Presidente, ha invitato i presenti a riunirsi informalmente a Doha, in Qatar, nel novembre 2001, a margine della Conferenza ministeriale, per discutere delle questioni all’ordine del giorno della Conferenza medesima.

Tale orientamento del Parlamento Europeo si è affiancato a quello dell'UIP: l’opportunità di dar vita ad una dimensione parlamentare dell’OMC era stata già stata ribadita in occasione della riunione della UIP a Ginevra l’8-9 giugno 2001[30], con una dichiarazione con la quale i parlamentari presenti, rappresentanti 75 Paesi, invitavano la UIP a svolgere l’attività preparatoria necessaria all’organizzazione della riunione informale da tenere a Doha in occasione della Conferenza ministeriale.

Al fine di preparare la riunione di Doha, su iniziativa del Parlamento europeo, è stato convocato un Gruppo di lavoro congiunto che si è riunito il 5 settembre 2001 a Strasburgo e il 5 ottobre 2001 a Ginevra. In occasione di quest’ultima riunione il Gruppo ha adottato una relazione su “Parlamenti e commercio internazionale” che ha costituito la base del dibattito parlamentare a Doha.

Alla Conferenza parlamentare di Doha, tenutasi l'11 novembre 2001 in concomitanza con la Conferenza ministeriale dell’OMC, hanno partecipato circa 100 parlamentari dei Paesi aderenti all'OMC. La Delegazione italiana era composta dai deputati Landi di Chiavenna e Ruggeri, e dai senatori Coviello, Danieli e Nessa.

Al termine dei lavori, i rappresentanti dei Parlamenti hanno adottato una dichiarazione in cui si auspicava una più stretta collaborazione tra Parlamenti e OMC e a tal fine si stabiliva la creazione di una Commissione-pilota[31], con l’incarico di vagliare le modalità con cui si sarebbe potuta realizzare tale collaborazione.

 

 

La Conferenza parlamentare sull’OMC, tenutasi a Ginevra il 18 febbraio 2003, ha ribadito la necessità di far progredire il processo interparlamentare nel settore del commercio internazionale mediante riunioni parlamentari regolari, da organizzare annualmente in concomitanza della Conferenza ministeriale dell’OMC. Alla Conferenza di Ginevra hanno partecipato per la Camera dei deputati, l’on. Gian Paolo Landi di Chiavenna (AN) e l’on. Gabriella Pistone (Gruppo misto – Comunisti).

La Dichiarazione finale, adottata al termine dei lavori, sottolinea che le Conferenza parlamentari avranno come obiettivo la supervisione dell’attività  dell’OMC e la promozione della sua l’efficacia; in particolare i Parlamentari intendono stimolare il dialogo tra i negoziatori, rappresentanti dei Governi, e la società civile e migliorare lo scambio di informazioni e rafforzare le capacità dei Parlamenti nazionali in materia di commercio internazionale.

 

Alla Conferenza parlamentare sull’OMC tenutasi a Cancún (Messico) dal 9 al 12 settembre 2003, hanno partecipato sei deputati e sei senatori. La Camera era rappresentata dagli onorevoli Famiano Crucianelli (DS), III Commissione, Giacomo de Ghislanzoni Cardoli (FI), XIII Commissione, Gian Paolo Landi di Chiavenna (AN), III Commissione, Enzo Raisi (AN), X Commissione, Ruggero Ruggeri (Margherita), X Commissione, e Giacomo Stucchi (Lega Nord), XIV Commissione.

Al termine della Conferenza è stata adottata una Dichiarazione finale nella quale si sottolinea con forza il ruolo che i Parlamenti possono giocare nell’evoluzione pacifica delle società e delle relazioni multilaterali; i parlamentari hanno inoltre invitato i Governi partecipanti alla V Conferenza ministeriale di Cancún a includere nella Dichiarazione finale un paragrafo nel quale si dichiarava la volontà di “accrescere la trasparenza dell’OMC associando più strettamente i Parlamenti alle sue attività”. La Dichiarazione invitava inoltre i Membri dell’OMC ad includere dei parlamentari nelle loro delegazioni ufficiali delle prossime Conferenze ministeriali.

La Dichiarazione, nel sottolineare l’importanza di assicurare una dimensione parlamentare ai negoziati e ai meccanismi commerciali internazionali, proponeva inoltre l’introduzione nei Parlamenti nazionali di una sessione annuale di dibattito sulle questioni relative al commercio, con particolare riferimento ai negoziati in ambito OMC.

 

 

 

 

 

 


Sessione di Bruxelles della Conferenza parlamentare sull’OMC
(
24-26 novembre 2004)

 

 

La Conferenza parlamentare dell’OMC è un’iniziativa congiunta dell’Unione interparlamentare (UIP) e del Parlamento europeo mirante a rafforzare la democrazia a livello internazionale e a dare una dimensione parlamentare alla cooperazione multilaterale sulle questioni commerciali.

La prossima sessione della Conferenza si svolgerà a Bruxelles, dal 24 al 26 novembre 2004, nella sede del Parlamento europeo. La Conferenza, che fa seguito alla decisione assunta dal Consiglio generale dell’OMC il 31 luglio 2004 di adottare un pacchetto di accordi quadro per avanzare nei negoziati di Doha, ha l’obiettivo di esaminare i recenti sviluppi realizzati nel settore dell’agricoltura e dei servizi e di fare una riflessione sul contributo che i Parlamenti possono offrire per rilanciare il processo di Doha.

La Conferenza, coopresieduta dal Presidente del Parlamento europeo, on. Josep Borrell, e dal Presidente della UIP, senatore Sergio Páez, dopo un dibattito generale sulle decisioni adottate dal Consiglio generale OMC il 31 luglio 2004, si articolerà in due sessioni tematiche dedicate rispettivamente all’agricoltura e al commercio dei servizi.

L’ultima giornata dei lavori sarà dedicata all’adozione del Progetto di Regolamento della Conferenza che, secondo quanto stabilito in occasione della Conferenza parlamentare di Cancún del 9-12 settembre 2003, si svolgerà con regolarità, una volta all’anno, in concomitanza con la Conferenza ministeriale dell’OMC.

L’intervento del Direttore generale dell’OMC, Supachai Panitchpakdi chiuderà i lavori, al termine dei quali è prevista l’adozione di una Dichiarazione finale.

La delegazione italiana è composta per la Camera dei deputati dall’on. Giacomo Stucchi (Lega Nord), Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea, dall’on. Gian Paolo Landi di Chiavenna (Alleanza Nazionale), componente della Commissione Affari esteri, dall’on. Ruggero Ruggeri (Margherita – l’Ulivo) componente della Commissione Attività produttive, commercio e turismo e dall’on. Lino Rava (DS – l’Ulivo), componente della Commissione Agricoltura, e per il Senato della Repubblica dai senatori Giampaolo Bettamio (Forza Italia), Vice Presidente della Commissione Industria,commercio e turismo, Romualdo Coviello (Margherita – l’Ulivo), membro delle commissioni 10° e 14° (Industria, commercio e turismo e Politiche dell’UE), Roberto Salerno (Alleanza Nazionale), membro delle Commissioni 6° e 9° (Finanze e tesori e Agricoltura e produzione alimentare) e Giorgio Tonini (DS – l’Ulivo), membro della Commissione Affari esteri.

 

 


Progetto di regolamento della Conferenza parlamentare dell’OMC

 

 

La Commissione-pilota[32], istituita dalla Conferenza parlamentare dell’OMC di Doha del novembre 2001, ha elaborato un progetto di Regolamento sulle procedure della Conferenza parlamentare dell’OMC che sarà sottoposto all’esame del plenum il 26 novembre 2004.

Il progetto di Regolamento istituzionalizza la Conferenza parlamentare sull’OMC, prevedendo riunioni regolari almeno una volta all’anno, in concomitanza con la Conferenza ministeriale dell’OMC, al fine di promuovere un commercio libero ed equo, accelerare lo sviluppo e diminuire la povertà.

La Conferenza avrà i seguenti obiettivi:

·         seguire con attenzione le attività dell’OMC ed accrescerne l’efficacia e l’equità in accordo con i principî fissati a Marrakech;

·         promuovere la trasparenza delle procedure dell’OMC e migliorare il dialogo tra governi, Parlamenti e società civile;

·         rafforzare le competenze dei Parlamenti sulle questioni del commercio internazionale, al fine di influenzare le discussioni in corso nell’OMC.

 

Parteciperanno alla Conferenza delegazioni designate dai Parlamenti degli Stati membri dell’OMC, delegazioni designate dai Parlamenti dei Paesi membri della UIP che non sono membri dell’OMC, delegazioni designate dal Parlamento europeo, dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, dall’Assemblea Parlamentare del Commonwealth e dall’Assemblea parlamentare francofona.

Potranno partecipare, inoltre, in qualità di osservatori i rappresentanti di organismi internazionali ed altri soggetti interessati alle questioni del commercio internazionale, su invito della Commissione-pilota che predisporrà gli inviti in base ad una lista predisposta congiuntamente da UIP e PE. Avranno inoltre lo statuto di osservatori i rappresentanti dei governi membri dell’OMC.

 

Le decisioni della Conferenza saranno adottate per consenso.

La Presidenza della Conferenza, esercitata congiuntamente dal Presidente dell’Unione Interparlamentare e dal Presidente del Parlamento europeo, decide su tutte le questioni non previste dal Regolamento, dopo il parere della Commissione pilota.

 

La Commissione-pilota, costituita congiuntamente da UIP e PE, è responsabile delle questioni relative all’organizzazione della Conferenza e delibera per consenso. La Commissione pilota è assistita da un segretariato costituito dalla UIP e dal PE.

La Commissione pilota, con il contributo di uno o più relatori,  predispone i progetti di documenti finali della Conferenza, e li trasmette con largo anticipo ai partecipanti. I partecipanti possono presentare emendamenti, entro i termini fissati dalla Commissione pilota; gli emendamenti possono aggiungere, sopprimere o modificare il testo iniziale, ma non modificarne l’impianto.

 

La Conferenza approva e modifica il proprio Regolamento interno. Le proposte di modifica al Regolamento devono essere presentate in forma scritta, almeno tre mesi prima dello svolgimento del plenum, al Segretariato della Conferenza che li trasmette alla Commissione pilota e ai partecipanti alla Conferenza. I sub-emendamenti sono trasmessi almeno un mese prima della Conferenza. La Conferenza delibera sugli emendamenti al Regolamento dopo il parere della Commissione pilota anche sulla loro ammissibilità.

 

Si segnala che il progetto di Regolamento non precisa la composizione e le modalità di designazione della Commissione-pilota.

L’articolo 4. comma 1 si limita, infatti, a prevedere che essa sia costituita congiuntamente dall’Unione interparlamentare e dal Parlamento europeo, senza definire i criteri di designazione dei suoi membri e la loro eventuale rotazione. Attualmente l’Italia non fa parte della Commissione pilota (dei Paesi membri dell’Unione europea sono presenti – secondo fonti UIP – Belgio, Finlandia, Francia, Germania e Regno Unito). Inoltre, poiché la UIP ed il PE congiuntamente esercitano già la Presidenza della Conferenza risulterebbe squilibrata la preponderanza di questi organismi anche all’interno della Commissione pilota in cui sarebbe auspicabile, invece, un maggiore ruolo delle delegazioni dei Parlamenti nazionali.

Si segnala, altresì, l’opportunità di prevedere all’articolo 3, relativo alla Presidenza della Conferenza, l’inserimento del Presidenti delle Assemblee del Paese ospitante fra i soggetti che assicurano la Presidenza della Conferenza.


Ministero Affari esteri

 


Ministero Affari Esteri

 

D.G.C.E. – Coord. WTO

 

 

 

Stato del negoziato WTO

 

Adottando un metodo diverso da quello dell’Uruguay Round, nell’attuale round OMC di Doha si è scelto di negoziare in due fasi: nella prima trovare un accordo sullo schema dell’accordo finale, nella seconda accordarsi sui numeri da inserire nello schema definendone così l’effettiva portata liberalizzatrice.

 

Il 1 agosto u.s., il Consiglio Generale dell’OMC ha concluso la prima parte del negoziato giungendo all’atteso accordo sullo schema finale, un accordo che è stato complessivamente giudicato come sufficientemente equilibrato e che è stato possibile raggiungere solo grazie al ridimensionamento delle rispettive aspettative dei  principali “global players” (Unione Europea, USA, il G-20 ed il G-90). La valutazione italiana è largamente positiva essendo stati tutelati sufficientemente i nostri interessi, specialmente nel settore agricolo ed in quello delle Indicazioni Geografiche.

 

Successivamente è ripreso un intenso lavoro preparatorio tecnico all’interno dei vari gruppi negoziali sulla seconda parte dell’accordo (quello sui contenuti) in attesa di poter realmente progredire grazie allo stabilizzarsi della situazione politica degli USA (insediamento nuovo Gabinetto Presidenziale) e dell’UE (insediamento della nuova Commissione).

 

Un’incognita sul prosieguo del negoziato è rappresentata dall’accesa competizione che si è scatenata per  definire il successore dell’attuale Direttore Generale dell’OMC. Il mandato del presente Direttore, il tailandese Supachai, arriverà a scadenza il 31/08/05 e il nominativo del suo successore dovrà essere concordato con tre mesi di anticipo su tale scadenza.  Dopo l’italiano Ruggiero, il neozelandese Moore e il tailandese Supachai, una non scritta regola di rotazione  prevederebbe l’elezione di un latino-americano o di un africano.  Al momento le candidature formalizzate sono quella dell’On. Jaya Krishna Cuttaree, Ministro degli Affari Esteri e del Commercio Internazionale di Mauritius, dell’Ambasciatore uruguayano Perez del Castillo e dell’Ambasciatore brasiliano Luis Felipe de Sexas Correa. Il quadro definitivo delle candidature sarà però disponibile solamente alla fine del 2004 ma la prevista cena dei Ministri UE del 21 novembre p.v., sarà un importante occasione per iniziare a definire la posizione europea sulla successione a Supachai.

 La prossima Conferenza Ministeriale dell’OMC si terrà a Hong Kong dal 13 al 18 dicembre 2005, così come deciso il 20 ottobre u.s. nell’ultima riunione del Consiglio generale dell’OMC.

 

Sintetizziamo ora lo stato dei diversi volets negoziali, alla luce dell’accordo quadro e delle successive riunioni dei comitati negoziali, facendo specifico riferimento agli interessi europei cosi come ribaditi nelle conclusioni del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne dell’Unione Europea dell’11 ottobre 2004:

 

Ø     Agricoltura – Nonostante il suo scarso peso economico nel quadro generale degli scambi internazionali, l’agricoltura è ancora al centro del processo negoziale:

·                 Sussidi alle esportazioni – l’apertura europea per una eliminazione condizionata dei sussidi alle esportazioni agricole è stata la mossa che ha sbloccato in negoziato. Nell’accordo quadro si è legato l’impegno UE a quello parallelo degli USA di riformare la politica dei crediti all’esportazione e a quello del Canada e dell’Australia di eliminare i monopoli statali per l’esportazione dei prodotti agricoli;

·                 Sostegno interno – viene riconfermato l’impegno alla sua sostanziale riduzione con un metodo che prenda in considerazione il totale delle misure aggregate di supporto. Il metodo non sembra rimettere in discussione la recente riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria), ma nell’ultima riunione del Comitato Agricoltura Sessione Speciale (6 – 8 ottobre 2004), si è riscontratala forte insistenza del G20 e del Gruppo di Cairns a concentrare l’attenzione sulla “scatola verde” in un’ottica di “riesame e charimento”, posizione a cui si è nettamente opposta la Commissione Europea.

·                 Accesso al mercato – l’accordo conferma la spinta verso la complessiva riduzione tariffaria temperata dalla necessità di salvaguardare dalle riduzioni alcuni Prodotti Sensibili;

 

Ø                   Indicazioni geograficheAndando incontro alle aspirazioni italiane, l’accordo fissa la data del luglio 2005 come termine per definire le modalità di estensione ad altri prodotti agricoli delle addizionali protezioni della Indicazione Geografica attualmente riservate dagli accordi TRIPS solamente a vini e liquori.

 

Ø                   NAMA (Prodotti industriali) – Nonostante le pressioni del gruppo dei Paesi Meno sviluppati, il testo riafferma l’obiettivo delle riduzioni tariffarie, il ridimensionamento/eliminazione delle barriere non tariffarie (in particolare per i prodotti esportati dai Paesi in via di sviluppo) e la permanenza del Trattamento Speciale e Differenziato a favore dei Paesi in via di sviluppo. E’ uno dei settori dai quali l’UE si attende progressi più marcati nel prosieguo del negoziato.

 

Ø                   Servizi – Non ci sono stati risultati significativi ma solo un impegno generico al progresso del negoziato. E’ uno dei settori dai quali l’UE si attende progressi più marcati nel prosieguo del negoziato.

 

Ø                    Facilitazioni al Commercio – E’ l’unico “Tema di Singapore” sul quale viene lanciato definitivamente  il  negoziato e se ne stabiliscono le modalità. Gli altri tre temi di Singapore (investimenti, concorrenza e trasparenza negli appalti pubblici) escono invece definitivamente dal Round di Doha. E’ uno dei settori dai quali l’UE si attende progressi più marcati nel prosieguo del negoziato.

 

Ø                    Regole – I temi centrali erano le misure antidumping, sussidi e contromisure e gli accordi regionali.  L’Accordo quadro si limita a prendere atto dei rapporti dei rispettivi gruppi negoziali al Trade Negotiating Committee del 30 giugno u.s. e si impegna a far progredire i negoziati. E’ uno dei settori dai quali l’UE si attende progressi più marcati nel prosieguo del negoziato.

 

 

(red.vagni 19.11.2004)

 

 


 

Attività parlamentare


XIV COMMISSIONE PERMANENTE

(Politiche dell’Unione europea)
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Martedì 30 settembre 2003

Presidenza del presidente Giacomo STUCCHI

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

 


Sulla posizione dell'Unione europea alla Conferenza WTO di Cancun.

Giacomo STUCCHI, presidente, ricorda che dall'8 al 14 settembre si è svolta a Cancun la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio.

La Conferenza - alla quale ha partecipato come componente della delegazione della Camera dei Deputati unitamente ai deputati De Ghislanzioni Cardoli, Landi di Chiavenna, Raisi, Ruggero Ruggeri e Crucianelli - non ha dato gli esiti sperati e, sostanzialmente, si è risolta in un fallimento.

Le trattative, certo, sono destinate a proseguire nelle sedi e con la modalità «ordinarie, ma non può sottacersi che l'esito negativo del vertice deve indurre a serie riflessioni sull'opportunità di mantenere le attuali strutture e procedure decisionali all'interno dell'Organizzazione.

Considerazioni in tale senso, d'altro canto, sono state immediatamente svolte dal Commissario europeo Lamy oltre che da esponenti del nostro esecutivo.

Ciò premesso, rammenta che la posizione negoziale italiana era stata precisata in sede comunitaria e che - giacché la materia di cui si tratta è attribuita alla competenza dell'unione dall'articolo 133 TCE - le trattative vengono condotte dalle istituzioni comunitarie.

È opportuno rammentare la posizione con la quale l'Unione si è presentata alla Conferenza prima di svolgere alcune considerazioni sui suoi esiti.

Tale posizione era stata precisata dal Consiglio affari generali e relazioni esterne del 21 luglio 2003 che, a tal fine, aveva adottato delle conclusioni.

Ribadita la fiducia nel ruolo del sistema commerciale multilaterale come strumento per rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione e per contribuire alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile e dichiarato il proprio impegno per la realizzazione dell'Agenda di Doha, il Consiglio aveva anzitutto sottolineato che a Cancún si sarebbero dovute stabilire le modalità di negoziato per l'agricoltura, quelle di negoziato nel settore dell'accesso al mercato per i prodotti non agricoli e fissare un calendario preciso relativo ai negoziati sul mercato dei servizi.

Inoltre, si sarebbe dovuto giungere ad una soluzione definitiva sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio e all'accesso ai farmaci (questione successivamente risolta), realizzare progressi concreti su questioni di importanza rilevante per i Paesi in via di sviluppo, stabilire le modalità di negoziato sulle cosiddette questioni di Singapore (concorrenza, investimenti, facilitazioni al commercio e trasparenza negli appalti pubblici), concludere i negoziati sul sistema multilaterale di notifica e registrazione dell'indicazione geografica dei vini e delle bevande spiritose e avanzare nei negoziati relativi all'ampliamento della protezione ad altri prodotti;

Sempre nelle conclusioni del Consiglio, era inoltre previsto che si sarebbero dovute confermare le decisioni relative all'interazione tra commercio ed ambiente, il mandato per proseguire i negoziati sulla risoluzione delle controversie e dare impulso ad altre questioni del programma di Doha che non implicano decisioni formali (in particolare ai negoziati relativi all'antidumping e ai sussidi).

Inoltre, già in precedenza, il 3 luglio 2003, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione sui preparativi per la V Conferenza ministeriale dell'OMC.

La risoluzione in questione sottolineava l'importanza dell'esito positivo del ciclo di Doha per contribuire a sostenere la crescita dell'economia mondiale, rafforzare il multilateralismo e la governance globale e ribadiva l'impegno del PE a favore della riforma del sistema commerciale mondiale ai fini dell'equità, della democrazia, dello sviluppo sostenibile e della lotta contro la povertà. Secondo il Parlamento europeo, i membri dell'OMC dovrebbero ridurre considerevolmente le sovvenzioni all'esportazione e gli aiuti nazionali e i Paesi industrializzati dovrebbero accettare riduzioni sostanziali dei dazi agricoli, delle restrizioni quantitative relative alle importazioni agricole dei paesi in via di sviluppo e dei dazi applicati ai prodotti tessili e all'abbigliamento per agevolare il commercio con i Paesi meno sviluppati.

Il Parlamento europeo riteneva che le questioni di Singapore avrebbero dovuto rientrare nei negoziati formali dell'OMC, sulla base di un esplicito consenso da parte di tutti i membri, affrontando nello stesso tempo i timori legittimi dei PVS relativamente alla complessità e alla portata di tali negoziati e auspicava che la Conferenza di Cancún avrebbe ribadito l'impegno dei membri dell'OMC a favore delle norme fondamentali del lavoro e decida di includerle nella revisione della politica commerciale dell'OMC.

Il progetto di dichiarazione finale della Conferenza è stato presentato il 24 agosto a Ginevra, corredato da 7 dossier riguardanti l'agricoltura, le modalità per l'accesso ai mercati di prodotti industriali, il trattamento speciale e differenziato promesso ai paesi emergenti, e ciascuno dei temi di Singapore.

La bozza non ha ricevuto adesioni unanimi, e così si è giunti alla Conferenza con un testo ancora suscettibile di numerose e significative precisazioni.

In particolare, le critiche dell'Unione si erano appuntate sui crediti all'esportazione, sul trattamento differenziato concesso al Brasile e sulla terminologia non abbastanza forte impiegata per le preoccupazioni non commerciali.

D'altro canto, anche gli Stati Uniti, l'Australia e il Giappone non avevano risparmiato esplicite critiche alla proposta.

Passa quindi all'illustrazione delle posizioni sostenute dall'Unione sugli argomenti specificamente oggetto di negoziato.

Preliminarmente rammenta che l'agricoltura è stato uno dei temi centrali sui quali si è appuntato l'interesse negoziale dell'Unione, ma che gli esiti della Conferenza in materia sono stati ampiamente illustrati nelle comunicazioni rese nella seduta del 17 settembre alla Commissione agricoltura della Camera dei Deputati dal suo Presidente, deputato De Ghislanzoni Cardoli, anch'egli - come accennato - componente della delegazione parlamentare a Cancun.

Ritiene quindi di non doversi soffermare diffusamente sull'argomento, che peraltro, ha rappresentato uno dei più importanti capitoli scritti nel corso dell'intera fase negoziale.

Per quanto riguarda, invece, il negoziato sul commercio dei servizi, il principale, duplice obiettivo che si sarebbe inteso raggiungere era quello della crescita economica globale e dello sviluppo dei Paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati.

Il negoziato sui servizi, secondo quanto previsto dall'Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS) era iniziato il 1o gennaio 2000, ed il 28 marzo 2001 il Consiglio servizi dell'OMC aveva adottato le linee direttive del negoziato.

La Conferenza ministeriale di Doha aveva approvato i lavori realizzati in sede di Consiglio per il commercio dei servizi e indicato il 31 marzo 2003 come termine per la presentazione delle offerte iniziali da parte dei Paesi membri. Tale termine, peraltro, non è stato rispettato.

Il negoziato sui servizi, infatti, è stato ed è particolarmente complesso, sia per il suo carattere di estrema flessibilità (ossia per la discrezionalità di ogni governo di scegliere in quali settori, in quali tipologie di fornitura, e con quali livelli di liberalizzazione sottoscrivere impegni nei confronti degli altri Paesi Membri dell'OMC) sia per quello di avere ad oggetto attività ad alta regolamentazione.

La definizione di una normativa sui servizi si estende inevitabilmente a molteplici aspetti della capacità pubblica di disciplinare il mercato interno, dalla tutela della concorrenza al regime sugli investimenti diretti esteri, nonché all'organizzazione dei servizi di pubblica utilità. In particolare alcuni Stati membri hanno espresso preoccupazioni legate alla trasparenza della trattativa, all'impatto sui servizi pubblici, all'accesso alle risorse ambientali (con particolare riguardo alla questione dell'acqua) e all'ingresso temporaneo di lavoratori stranieri.

La Commissione europea, dopo una consultazione pubblica e un dibattito tra gli Stati membri è riuscita ad individuare una posizione comune ed ha presentato a Ginevra, il 28 aprile 2003, la propria offerta iniziale.

Gli obiettivi di tale offerta erano la promozione degli interessi strategici europei (i servizi costituiscono 2/3 del mercato del lavoro in Europa); la difesa dei servizi pubblici; aiutare i Paesi in via di sviluppo a inserirsi nell'economia mondiale, in accordo al loro modello di sviluppo.

L'offerta europea precisava anzitutto che il negoziato non avrebbe rimesso in causa i servizi pubblici e che la proposta non avrebbe apportato, pertanto, alcuna modifica alle attuali limitazioni previste all'interno dell'UE a favore dei servizi di pubblica utilità.

In dettaglio, la proposta prevedeva che per alcuni settori la UE non avrebbe presentato nessuna offerta (si tratta dell'audiovisivo, con le connesse questioni delle esenzioni dalla clausola della nazione più favorita elencate dall'UE durante l'Uruguay Round a copertura delle politiche culturali, e dei servizi sociali, servizi connessi alla salute, per i servizi di istruzione, per i quali gli Stati membri si riservano il diritto di decidere in merito all'organizzazione più adeguata dei propri sistemi sanitari e dell'istruzione)

Per altri settori, invece, la posizione dell'Unione comportava la presentazione di un'offerta, riassumibile nei termini seguenti.

Per i servizi finanziari, le istituzioni finanziarie straniere avrebbero potuto accedere più facilmente al mercato anche nei settori non armonizzati a livello dell'UE.

Per i servizi professionali la Commissione proponeva un miglior accesso al mercato per i cittadini extracomunitari in sottosettori (con particolare riguardo alle condizioni per l'accesso alle professioni inerenti i servizi giuridici e alla revisione contabile).

Per i servizi informatici e connessi la Commissione proponeva di offrire il pieno accesso al mercato per i fornitori di servizi esteri, compresi gli esperti informatici altamente qualificati che lavorano in Europa.

Per i servizi commerciali la Commissione proponeva di eliminare limitazioni specifiche dei Paesi membri sui servizi di imballaggio, stampa e pubblicazione su base contrattuale o dietro compenso. In alcuni settori sono rimosse le condizioni relative alla presenza commerciale, alla residenza e alla nazionalità.

Per i servizi postali e di corriere la Commissione confermava la volontà di aprire i mercati agli operatori stranieri. Sono tutelate le disposizioni vigenti in materia di servizio postale universale.

Per le telecomunicazioni l'offerta prevedeva di abolire diverse restrizioni e garantire agli operatori dei Paesi terzi un accesso illimitato al mercato interno, riservandosi però di definire i suoi obiettivi in materia di servizio universale.

Per i viaggi, il turismo e i servizi connessi si proponeva di consentire ai cittadini extracomunitari di aprire agenzia di viaggio alle stesse condizioni dei cittadini UE.

Per i servizi di costruzione e connessi servizi di ingegneria si proponeva di abolire il trattamento nazionale ed eliminare alcuni ostacoli che limitano l'accesso al mercato.

Per i servizi di distribuzione proponeva di garantire ai cittadini extracomunitari lo stesso trattamento riservato a quelli dell'UE; propone, inoltre, che i commissionari e gli agenti di commercio possano fornire servizi transfrontalieri in alcuni Stati membri e che si liberalizzi il franchising.

Per i servizi ambientali la proposta consente l'accesso ai fornitori stranieri di servizi di trattamento delle acque reflue, di servizi di igiene e servizi analoghi nonché ai fornitori dei servizi di protezione antifonica e di abbattimento delle vibrazioni. Ulteriori elementi della proposta riguardavano i servizi di consulenza sulla biodiversità e del paesaggio offerti da aziende straniere su base transfrontaliera.

Per le agenzie di stampa e servizi di intrattenimento la proposta prevede l'abolizione di alcune limitazioni vigenti in alcuni Stati membri.

Per i servizi di trasporto la proposta reintroduce l'offerta già presentata dall'UE nel settore dei trasporti marittimi nel 1996, nel corso dell'Uruguay round e garantisce l'accesso ai servizi di feeder per i cargo internazionali e ai servizi di riposizionamento dei container vuoti; per quanto riguarda il trasporto aereo la proposta comprende i servizi di groundhandling e la gestione degli aeroporti.

Per i servizi energetici non erano proposti miglioramenti in attesa del chiarimento in sede OMC sulla classificazione dei servizi in questione.

Per i servizi alle imprese, infine, la proposta prevedeva l'eliminazione di limitazioni specifiche vigenti in alcuni Stati membri.

In linea generale, l'offerta europea prevedeva altresì una ulteriore liberalizzazione del regime generale per gli investimenti esteri, l'abolizione di alcune restrizioni relative alle procedure per l'acquisto di beni immobili da parte di cittadini stranieri e modifica della procedura di autorizzazione e la possibilità di erogare anche nel futuro sovvenzioni a favore del terziario.

In materia di ingresso temporaneo di professionisti stranieri per la prestazione di servizi, l'Unione europea, anche rispondendo a richieste provenienti dai Paesi in via di sviluppo, e peraltro al termine di un dibattito accesso tra gli Stati membri, ha deciso di offrire condizioni per un migliore accesso al mercato.

Ha dunque proposto di aumentare o consolidare la durata del contratto o del soggiorno nel territorio dell'Unione, ampliando nel contempo le categorie di imprese prestatrici di servizi e di lavoratori altamente specializzati autorizzati a entrare nell'UE.

Inoltre gli Stati membri hanno assunto impegni a favore delle imprese straniere incaricate per contratto a prestare servizi nell'Unione, prevedendo altresì la possibilità per queste imprese di distaccare per un anno i loro futuri dirigenti presso una società collegata nell'Unione.

Alle persone autorizzate ad entrare nell'UE verranno applicate le condizioni di lavoro, i requisiti inerenti la retribuzione minima e tutti gli accordi salariali collettivi in vigore nell'UE. Gli Stati membri dell'Unione si riservano il diritto di rifiutare l'ingresso a persone che costituiscono una minaccia per la sicurezza. Il Commissario Lamy, già nel corso della presentazione dell'offerta, ha dichiarato che su questo punto, particolarmente sensibile per il possibile impatto sul mercato del lavoro e del nesso con le politiche dell'immigrazione, la Commissione ha preferito allo stato del negoziato non indicare il numero eventuale di persone a cui potrà essere consentito l'ingresso nell'UE per prestare servizi, in attesa dell'offerta dei partner.

In tema di servizi, la citata risoluzione del Parlamento europeo del 3 luglio 2003, prende atto che i negoziati sulle offerte iniziali nell'ambito dei negoziati GATS sono in corso e che a Cancún non sono previste deliberazioni al riguardo ma chiede il raggiungimento di un accordo sostanziale per avviare una valutazione globale del commercio dei servizi.

Il Parlamento europeo condivide peraltro la decisione dell'UE di non presentare proposte nei settori della salute, dell'istruzione e dell'audiovisivo e chiede alla Commissione di mantenere tale posizione nel corso delle trattative, senza tuttavia voler escludere in futuro altri settori dal GATS.

Giovanni BELLINI (DS-U) ricorda che a Cancun, oltre alla V Conferenza ministeriale dell'OMC, si sono registrati altri importanti appuntamenti. In primo luogo il Forum mondiale dei Parlamenti, cui erano presenti rappresentanti di oltre 140 Parlamenti, che ha formulato la richiesta di una riforma del funzionamento dello stesso OMC e di un riequilibrio dei vantaggi commerciali a favore delle zone più svantaggiate del pianeta, diminuendo, se non eliminando del tutto i finanziamenti alle agricolture dei paesi forti, Europa e Stati Uniti innanzitutto.

Ricorda, in secondo luogo, l'Assemblea interparlamentare nel cui documento conclusivo è contenuta la richiesta di un intervento per risolvere alcune gravi contraddizioni che caratterizzano le relazioni commerciali tra i paesi forti e quelli poveri, ad esempio per quanto riguarda il prezzo del cotone che è oggi sostenuto da altissime sovvenzioni.

Sottolinea in questo quadro la richiesta, già avanzata prima della Conferenza di Cancun, di conoscere nel dettaglio la posizione del nostro Paese, in particolare quale presidente di turno dell'Unione europea.

Giacomo STUCCHI, presidente, ritiene che l'esigenza sottolineata dal deputato Bellini possa essere soddisfatta svolgendo, appena possibile, un'audizione del viceministro alle attività produttive, Urso, che ha seguito l'intero svolgimento della Conferenza di Cancun, sulla posizione dell'Unione europea sui temi oggetto della Conferenza stessa.


 

 

 


 

III COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari esteri)
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mercoledì 1° ottobre 2003

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

 


Sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO (Cancun, 10-14 settembre 2003).

Gustavo SELVA, presidente, invita i deputati Crucianelli e Landi di Chiavenna a riferire sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO, svoltasi a Cancun dal 10 al 14 settembre 2003, alla quale essi hanno preso parte per la Commissione esteri nell'ambito della delegazione della Camera dei deputati.

Famiano CRUCIANELLI (DS-U) evidenzia come la Conferenza di Cancun, che avrebbe dovuto avere al centro i temi relativi allo sviluppo dei paesi del sud del mondo, si sia invece risolta in un clamoroso fallimento. Richiama innanzitutto i contenuti di un documento sull'agricoltura presentato da Europa e Stati Uniti nello scorso mese di agosto, al quale nella Conferenza di Cancun numerosi paesi hanno contrapposto un altro documento che ne ha contestato il valore. Osserva inoltre che il nostro paese aveva assunto l'impegno di porre al centro della Conferenza le questioni dei diritti sociali dei lavoratori del sud del mondo, ma in proposito si è registrata una forte resistenza in quanto si è colto in tale richiesta una sorta di neoprotezionismo di sinistra. In definitiva, tutta una serie di premesse aveva già reso evidente la contrapposizione fra gli interessi rappresentati dai paesi europei e dagli Stati Uniti e quelli del resto del mondo.

Pone poi l'accento sulle responsabilità dell'Europa nel fallimento della Conferenza, dal momento che l'Europa ha mostrato di non comprendere le dinamiche in gioco ed ha fatto affidamento su una posizione statunitense diversa rispetto a quella europea: si è paradossalmente assistito ad un conflitto tra Europa e paesi del sud del mondo, mentre gli Stati Uniti hanno sostanzialmente svolto un ruolo da osservatori. L'errore fondamentale dell'Europa è stato quello di aver voluto perseguire la linea della liberalizzazione degli investimenti come esigenza fondamentale e di rappresentare innanzitutto gli interessi di alcune corporazioni del mondo agricolo. Evidenzia ancora la posizione subalterna dell'Europa, risultata politicamente sconfitta, dal momento che uno dei contenziosi tra Europa e Stati Uniti ha riguardato il valore degli organismi multilaterali, ipotesi sulla quale si è registrata una sconfitta. Ritiene poi che l'Italia, pur avendo particolari responsabilità nell'ambito della Conferenza in quanto presidente di turno dell'Unione europea, non abbia invece esercitato quel ruolo attivo che avrebbe dovuto svolgere e non abbia avuto alcuna incidenza sull'andamento dei lavori.

Sottolinea quindi l'esigenza che sul tema della Conferenza di Cancun si svolga una discussione ampia che investa l'intero Parlamento, dal momento che il Vertice, che segna un fallimento per l'Europa, rappresenta tuttavia l'inizio di una nuova fase nella quale si aprono diverse ipotesi di sviluppo sulle quali sarebbe importante capire quale ruolo debba svolgere l'Italia. È necessario infatti comprendere se l'Italia intenda continuare sulla posizione fallimentare della Conferenza di Cancun oppure avviare una nuova fase di relazioni con i paesi del sud del mondo.

Evidenzia conclusivamente le forti responsabilità dell'Italia e dell'Europa sulla questione del cotone, sulla quale era stato chiesto che l'Europa si facesse portatrice delle esigenze di milioni di agricoltori.

Gian Paolo LANDI di CHIAVENNA (AN) condivide la valutazione secondo cui la Conferenza di Cancun si è risolta in un fallimento, richiamando in proposito i contenuti di una risoluzione approvata nel marzo 2003 che impegnava, tra l'altro, il Governo a condurre e sostenere i negoziati per la piena realizzazione degli obiettivi di Doha, a contribuire a definire in sede comunitaria le posizioni negoziali relativi ad alcuni settori, ad adoperarsi affinché a Cancun si aprisse il negoziato sulle cosiddette «tematiche di Singapore», a garantire maggiore trasparenza ai meccanismi decisionali e ad assicurare un maggiore coinvolgimento del Parlamento.

Ritiene che l'esito fallimentare del Vertice, nel quale l'Unione europea avrebbe dovuto svolgere un ruolo di maggiore strategia ed impegno, abbia reso evidente una serie di problemi di politica internazionale, la cui soluzione appare non più differibile. Innanzitutto, osserva che la sperequazione economica tra le sovvenzioni erogate ad ogni agricoltore europeo rispetto al reddito pro capite dei cittadini dei paesi poveri comporta la costituzione di eccedenze di prodotti agricoli svendute sottocosto proprio nei paesi poveri, con la conseguenza di ridurre la capacità esportativa delle economie povere, e senza che con ciò si risolva l'endemica carestia di molte popolazioni. Una certa miopia ed una certa enfasi protezionistica da parte di paesi quali la Francia e la Germania non hanno consentito di superare la politica dei protezionismi per arrivare ad una maggiore liberalizzazione dei mercati.

Sottolinea inoltre che la disponibilità a ridurre il protezionismo agricolo da parte dell'Unione europea e degli USA passava attraverso l'acquisizione di contropartite sul tema della maggiore apertura dei grandi mercati come la Cina e l'India. Osserva peraltro che i giganti asiatici hanno poco interesse ad aprire i propri mercati alle regole della trasparenza economica e commerciale.

Rileva poi che si è costituito un fronte di paesi contrapposti all'Unione europea e agli Stati Uniti, un gruppo anomalo per le istanze che formulava ma guidato dalle strategie di Cina e India, che si sono fatti paladini delle ragioni dei paesi in via di sviluppo, le vere vittime del fallimento di Cancun. I paesi in via di sviluppo escono da Cancun con le loro legittime pretese ed istanze strumentalizzate da alcuni paesi e senza avere compreso che questa forte contrapposizione determina un danno gravissimo alle loro economie.

Paventa inoltre il rischio che il rilancio del bilateralismo possa danneggiare ulteriormente i paesi poveri e i paesi in via di sviluppo, i quali saranno inevitabilmente costretti a subire la legge del più forte, cioè degli Stati Uniti e dell'Europa.

Precisato che non è soltanto il WTO ad essere in crisi, ma lo sono anche tutte le altre principali organizzazioni internazionali, cita al riguardo l'esempio del recente esito delle trattative con l'Argentina, che ha mostrato la debolezza del Fondo monetario internazionale, nonché il fatto che la Banca mondiale ha recentemente sottoposto ad un ripensamento le modalità del suo intervento nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

In conclusione, ritiene che le relazioni svolte dimostrino comunque la grande utilità della presenza delle delegazioni parlamentari, pur se in qualità di meri osservatori, nei vertici internazionali. Pone inoltre l'esigenza che il Parlamento continui a prestare grande attenzione a queste problematiche che coinvolgono gli equilibri economici ma che hanno anche una stretta attinenza con gli equilibri geopolitici. Auspica infine che in Commissione si apra un dibattito sull'opportunità di modificare grandi organismi internazionali quali la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, il WTO, l'ONU.

Gustavo SELVA, presidente, ritiene che le ottime relazioni svolte, pur avendo evidenziato talune divergenze di posizione, siano concordi sull'utilità della presenza alla Conferenza di Cancun delle delegazioni parlamentari. Osserva altresì che tali relazioni hanno indicato la direzione verso la quale indirizzare il lavoro parlamentare, cioè l'individuazione di una posizione comune dell'Unione europea, che a Cancun ha dato dimostrazione di eccessiva chiusura.

Ramon MANTOVANI (RC) ritiene che una discussione approfondita sulle tematiche oggetto delle comunicazioni potrebbe più utilmente svolgersi in sede di Commissioni riunite esteri, attività produttive ed agricoltura.

Entrando nel merito delle questioni poste, pur considerando opportuna la presenza di delegazioni parlamentari in sede di conferenze intergovernative, deve obiettare in linea di principio che queste spesso diventano di fatto sostitutive delle prerogative dei Parlamenti.

Considera innegabile che la Conferenza di Cancun si sia risolta in un fallimento ed al riguardo evidenzia innanzitutto come la causa del mancato accordo sia stata ricondotta alla contraddizione tra Stati Uniti ed Europa e tra Stati Uniti, Europa e paesi poveri. Ritiene tuttavia che esista un'altra contraddizione, meno evidente, che ha portato alla crisi del WTO e che è rappresentata dal fatto che gli accordi sono stati sempre stipulati segretamente, all'insaputa dei Governi, dei Parlamenti e dell'opinione pubblica ed hanno reso evidenti i loro effetti solo in un secondo momento. Dagli accordi segreti si è poi giunti ad una fase in cui nessun Governo era libero di firmare accordi senza rispondere ad una parte della società civile. In definitiva, si sono registrati da una parte gli interessi delle grandi società multinazionali, dall'altra gli interessi di coloro i quali hanno subito le conseguenze degli accordi di progressiva liberalizzazione del commercio. Considera, in proposito, del tutto indimostrabile l'idea secondo cui l'allargamento del mercato produce di per sé maggiore sviluppo e ricchezza.

Con riferimento, in particolare, alle esportazioni della Cina, fa presente che in realtà queste sono in gran parte ad opera di società multinazionali, per cui la reale minaccia nei confronti dell'Unione europea e degli Stati Uniti è rappresentata da grandi società multinazionali che si rafforzano come concentrazioni oligopolistiche e controllano settori fondamentali a livello mondiale.

Nel condividere totalmente la posizione di quei Governi di paesi dell'Unione europea che a Cancun hanno inteso proteggere le produzioni tipiche, osserva che mentre i Governi cercano di barcamenarsi, da una parte tutelando gli interessi nazionali e dall'altra cercando di non interrompere il processo di liberalizzazione, la Commissione europea ha invece sposato puramente e semplicemente le tesi delle grandi società multinazionali. Ritiene che questa posizione derivi dal fatto che la Commissione europea non debba rispondere ad un elettorato ma solamente alle grandi lobbies che hanno sede a Bruxelles. Sottolinea conclusivamente l'esigenza che l'Italia e l'Unione europea adottino politiche di tutela delle proprie peculiarità produttive e stipulino accordi bilaterali a favore dei paesi poveri, riconoscendo la loro condizione di povertà.

Gustavo SELVA, presidente, evidenzia come anche l'intervento del deputato Mantovani abbia offerto numerosi spunti per un'interessante discussione, di cui rinvia il seguito alla seduta di martedì prossimo, 7 ottobre.

La seduta termina alle 16.05.


COMMISSIONI RIUNITE

X (Attività produttive) e IX (Politiche dell’Unione europea)

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mercoledì 29 ottobre 2003

Presidenza del presidente della XIV Commissione Giacomo STUCCHI.

 

Resoconto stenografico

 

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XIV COMMISSIONE
GIACOMO STUCCHI


La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Cosi rimane stabilito).

Audizione del viceministro delle attività produttive, Adolfo Urso, sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell'Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti produttivi nazionali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del viceministro delle attività produttive, Adolfo Urso, sugli esiti della V Conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell'Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti produttivi nazionali.

Invito l'onorevole Urso ad illustrare alle Commissioni gli esiti dei lavori di tale conferenza.

ADOLFO URSO, Viceministro delle attività produttive. Permettetemi di ricordare che il giorno stesso in cui si è manifestato il fallimento della V conferenza ministeriale del WTO a Cancun, nell'ambito del Consiglio dei ministri dell'Unione europea cominciò una riflessione su due aspetti relativi a tale vicenda. Innanzitutto, sull'esito e le prospettive del round negoziale iniziato a Doha nel novembre del 2001, che dovrebbe concludersi - sottolineo quest'ultimo termine - nel dicembre del prossimo anno e, in secondo luogo, sulla struttura negoziale del WTO, anche alla luce dell'ennesimo fallimento della conferenza ministeriale (dopo quella clamorosa, poco meno di quattro anni prima, di Seattle).

L'Unione europea si è subito interrogata sui motivi dell'una e dell'altra questione e la riflessione sviluppata, almeno per una prima fase, sarà resa pubblica il 2 dicembre prossimo, quando a Bruxelles si riunirà (previa nostra convocazione) il Consiglio dei ministri del commercio estero dell'Unione europea, cui seguirà, nella stessa giornata, una nuova audizione presso l'Assemblea del Parlamento europeo del presidente in esercizio - e, quindi, del sottoscritto - nonché dei due commissari europei, Lamy e Fischler.

Proprio questa mattina ho ricevuto un appunto di lavoro da parte della Commissione europea per quanto riguarda la struttura negoziale del WTO e, pur trattandosi solo di una riflessione, ci aiuterà a giungere ai due appuntamenti che ho ricordato (il 2 dicembre) con una posizione più articolata.

Questo documento di riflessione avanza delle proposte proprio per assicurare il successo della futura conferenza ministeriale, che dovrebbe svolgersi all'inizio del prossimo anno ad Hong Kong. In questa riflessione, si parla di alcune misure che noi, come Unione europea, potremmo suggerire (anche se si tratta semplicemente di un primo documento di riflessione) per quanto riguarda la struttura negoziale del WTO (senza ovviamente modificarne l'attuale organizzazione dei lavori) attraverso, per esempio, il rafforzamento del ruolo del suo segretario e direttore generale, la conduzione delle conferenze ministeriali, la migliore partecipazione dei paesi membri, la semplificazione della struttura dei comitati e, infine, l'eventuale istituzione di un gruppo consultivo strutturato che possa facilitare l'elaborazione dei temi negoziali (questa ipotesi si aggiunge alla giornata del 2 dicembre quale riflessione di maggiore respiro sia in merito alle tematiche del round, sia in merito all'articolazione negoziale all'interno degli organismi del WTO).

Più specificamente, con riguardo alle informazioni richieste in occasione della odierna audizione, la Conferenza di Cancun è fallita su uno dei temi di discussione, i cosiddetti Singapore Issues, cioè le tematiche di Singapore, quando il ministro degli esteri messicano Derbez ha chiuso anzitempo i lavori alle 18 del 14 settembre, facendo stato dei progressi comunque realizzati e rinviando il proseguimento del negoziato ai tavoli di Ginevra, in vista della prossima ministeriale (che con molta probabilità avrà luogo a Hong Kong alla fine dell'anno prossimo) con l'obiettivo, al quale nessuno ha rinunciato - e certamente non l'Unione europea - di chiudere comunque il round entro la data prevista (un obiettivo per raggiungere il quale è evidentemente necessario accelerare i lavori all'interno della sede naturale del WTO, a Ginevra).

La decisione del presidente della conferenza è giunta, comunque, inaspettata (alcuni l'hanno definita affrettata) sia perché determinata da contrasti su una materia che certamente non costituiva, alla vigilia, il tema centrale del negoziato (almeno queste erano le apparenze, dato che tale tema centrale nelle previsioni avrebbe dovuto riguardare il settore dell'agricoltura), sia perché una tale chiusura anticipata è apparsa irrituale nel sistema WTO/GATT (terminando, cioè, una conferenza senza avere cercato, sino all'ultimo minuto, il compromesso finale). L'aver avviato la fase finale della conferenza con la trattazione dei Singapore Issues (scelta rivelatasi poi infelice alla luce dei risultati) costituiva, probabilmente, il tentativo di risolvere questioni giudicate, a torto, non eccessivamente difficili.

Ricordo però che con alcuni di voi partecipai alla conferenza di Doha e allora i negoziati, su deliberazione della Presidenza del Qatar, furono prorogati per altre 36 ore circa proprio su questi temi (Singapore Issues), riuscendo poi a risolvere quel negoziato e a lanciare la nuova Agenda (chiamata poi Agenda dello sviluppo) ma stabilendo di rinviare ogni decisione sulle Singapore Issues.

Si utilizzò una formula che consentì di chiudere la conferenza ministeriale di Doha e di lanciare il round ma non di sciogliere i nodi sulle questioni di Singapore, che furono in qualche modo inserite nel negoziato senza uno specifico impegno negoziale.

Allora, però, a Doha, c'erano straordinarie condizioni internazionali (si era a poco più di 2 mesi dall'11 settembre) e un'intesa appariva - giustamente - indispensabile. Per questo motivo vennero accantonate le tematiche di Singapore, stabilendo di trattarle nella successiva conferenza mondiale a Cancun. Possiamo ora affermare che i nodi non sciolti a Doha avrebbero, di lì a due anni, stretto il cappio intorno a Cancun e compromesso il vertice.

Volendo analizzare lo scenario, possiamo sottolineare come l'elemento più rilevante della V Conferenza ministeriale sia stata la definitiva presa di coscienza da parte dei paesi in via di sviluppo del loro potere negoziale.

Si può aggiungere che la spinta esterna verificatasi a Seattle nel 1999 e proseguita fino a Cancun, è stata pienamente recepita a livello governativo nei paesi in sviluppo che, facendo leva sulle promesse e gli impegni contenuti nell'Agenda di Doha, si sono presentati a Cancun determinati a ottenere una decisiva svolta rispetto al tradizionale modo di trattenere le relazioni commerciali internazionali (che sembrava riproporsi dopo l'avvenuta intesa tra l'Unione europea e gli Stati Uniti sul dossier agricolo alla vigilia della Conferenza).

La reazione di circa venti Paesi (chiamati G21), guidati da India, Brasile, Cina e Sudafrica (cioè i quattro grandi del Sud) e comprendente anche alcuni paesi in via di sviluppo del Gruppo di Caims (cioè paesi largamente produttori agricoli) è stata forte e si è mantenuta coerente per tutta la durata del vertice. Tra l'altro, anche dopo Cancun, si sono svolte riunioni significative del gruppo dei G21 che hanno mantenuto una loro struttura negoziale comune con un alto valore politico, nelle quali essi hanno manifestato la loro volontà di proseguire con determinazione il round commerciale all'interno della sede di Ginevra.

Questa posizione, talvolta manifestatasi, soprattutto all'inizio, come una spinta «anti» più che un spinta «per» (anche per la disomogeneità di partenza degli attori, alcuni importatori di prodotti agricoli, altri esportatori) ha portato però ad una polarizzazione delle posizioni che ha inasprito il negoziato.

A loro volta, i paesi ACP hanno cercato di posizionarsi su una linea originale e offensiva, facendosi promotori di iniziative tematiche come, ad esempio, quella sul cotone e inasprendo le posizioni anche sui capitoli tradizionali. Tutto ciò è avvenuto muovendo le discussioni attorno al controverso tema dell'agricoltura, se pure mai affrontato in dettaglio.

Su tale dossier gli Stati Uniti hanno mantenuto un atteggiamento piuttosto defilato (che ha caratterizzato l'intera posizione americana nel corso dei negoziati) mentre i margini di flessibilità dell'Unione europea sono apparsi piuttosto ristretti, contenuti entro i limiti della recente riforma della PAC, che tutti pensavamo (per questo motivo abbiamo agito) potesse rivelarsi propedeutica al raggiungimento degli accordi di Cancun, muovendo in vista dell'obiettivo di accogliere le istanze dei paesi in via di sviluppo e dell'Agenda negoziale (tra l'altro, modificando la struttura dei sussidi all'agricoltura all'interno dell'Unione europea).

Più aperta si è invece dimostrata la linea europea sulle tematiche di Singapore, per le quali la Commissione, proprio per evitare il fallimento della conferenza, è stata in grado di manifestare una posizione che andava oltre il mandato negoziale, preannunciando la possibilità di rinunciare alla richiesta di avviare un negoziato su due dei quattro temi di Singapore.

Di tale posizione è stato informato il Consiglio affari generali e relazioni esterne ed il Comitato 133, riunitisi regolarmente a Cancun, con il primo mostratosi sensibile alle esigenze di un'eventuale modifica del mandato sulla base di una riscontrata necessità di flessibilità negoziale.

Ulteriore elemento di complicazione dei lavori è risultata, come detto, l'iniziativa sul cotone presentata da quattro paesi africani, con un'economia fortemente dipendente dalla produzione e commercializzazione di questo prodotto. L'iniziativa tendeva ad ottenere l'eliminazione di qualsiasi aiuto pubblico, sia interno, sia all'esportazione negli altri paesi ed una completa liberalizzazione dell'accesso al mercato per il cotone.

La proposta, che toccava soprattutto interessi americani e marginalmente europei, non ha avuto il seguito che i paesi africani auspicavano né l'eco che forse avrebbe meritato, soprattutto se si considera che, nelle aspettative di molti, la questione del cotone (lo abbiamo rilevato anche durante l'incontro avvenuto a Cancun tra il Consiglio europeo e la delegazione degli europarlamentari) ha rappresentato a Cancun sul piano etico e politico ciò che i medicinali salvavita hanno rappresentato a Doha: cioè un valore sicuramente importante anche sul piano etico e politico e non soltanto commerciale.

Ciò, indubbiamente, ha irrigidito la posizione di tali paesi che, in occasione della discussione sui temi di Singapore, si sono manifestati intransigenti, suscitando una reazione uguale e contraria da parte della Corea. Probabilmente, dietro ai due schieramenti si erano posti altri paesi, talché il fallimento sui temi di Singapore (che hanno costituito solo la punta di un iceberg) è dovuto al concentrarsi su di essi delle insoddisfazioni che si andavano accumulando su molti altri temi del negoziato, ancora non esaminati.

Per quanto riguarda la seconda richiesta, cioè quella relativa alla posizione dell'Unione europea sulle materie oggetto del negoziato, possiamo dire che, dopo una prima fase di comprensibile smarrimento, si stanno cominciando a riannodare le fila per riprendere il negoziato. Molte sono state le dichiarazioni di fiducia nel sistema multilaterale e di volontà di riavviare la trattativa. A Ginevra, in questi ultimi giorni, è stato convenuto un percorso da seguire, da qui fino alla scadenza del 15 dicembre prossimo, data nella quale una riunione del Consiglio generale, a livello di alti funzionari, dovrebbe auspicabilmente decidere le modalità della cosiddetta «ripartenza».

Il percorso prevede una duplice serie di consultazioni del Presidente del Consiglio generale Perez del Castillo e del direttore generale Supachai con i principali attori del WTO.

Al di là delle dichiarazioni di buona volontà, occorrerà verificare le posizioni dei diversi partners sui temi più importanti e delicati del negoziato. Le consultazioni si concentreranno sull'agricoltura, l'accesso al mercato dei prodotti non agricoli (cosiddetti NAMA), i Singapore Issues e il cotone.

Continuare in questa fase a ricercare le responsabilità del mancato risultato di Cancun appare pertanto un percorso inutile e dannoso. Un'analisi obiettiva dei nodi del negoziato e del modo in cui le distanze registrate a Cancun possono essere ravvicinate appare certamente un approccio più efficace.

All'interno dell'Unione europea si sta avviando tale analisi, che si svolgerà nell'ambito del competente Comitato articolo 133, per culminare in una nuova riunione informale dei ministri del commercio che, d'intesa con il commissario Lamy, ho convocato per il prossimo 2 dicembre. L'obiettivo principale è quello di valutare l'opportunità di apportare alcuni aggiustamenti al mandato negoziale che il Consiglio, prima di Cancun, aveva conferito alla Commissione.

Si tratta, evidentemente, di rendere più flessibile il mandato - o alcuni aspetti di esso - per trovare una più larga intesa soprattutto con i paesi in via di sviluppo. Tale valutazione non potrà prescindere da ciò che saremo in grado di conoscere sulle posizioni negoziali dei nostri partners.

Vorrei, a questo riguardo, ribadire che la piattaforma negoziale dell'Unione europea era l'unica ad avere un ampio respiro, una linea precisa su tutti i dossiers sul tavolo: questo poteva - o avrebbe dovuto - consentirci di progredire nel negoziato verso il proseguimento di un obiettivo di risultati equilibrati, come è giusto che sia.

Ciò non è stato possibile, malgrado la flessibilità manifestata in una fase della conferenza, proprio perché le posizioni assunte da alcuni partecipanti si sono dimostrate troppo radicali e irrinunciabili.

Per quanto riguarda i quattro temi oggetto delle consultazioni, possiamo aggiungere che, in merito alla riforma della politica agricola, essa ha segnato un importante e decisivo passo per scrollarci di dosso quell'accusa di protezionismo, che sempre ha condizionato l'Unione Europea nei negoziati multilaterali (altri attori ricchi del nord del pianeta non hanno fatto altrettanto in questi anni, non modificando la loro legislazione ma anzi, in alcuni casi, hanno aumentato il livello dei sussidi al settore agricolo).

Forse, la riforma della PAC è giunta un po' in ritardo rispetto a Cancun e, per questo, non si è riusciti a pubblicizzare in modo adeguato gli effetti positivi che da essa si attendono, non solo per gli agricoltori europei, ma anche in termini di miglioramento delle condizioni del commercio internazionale e soprattutto per le esportazioni dei paesi in sviluppo.

Non dimentichiamo la proposta comunitaria di eliminare le sovvenzioni all'esportazione per particolari prodotti di interesse dei paesi in via di sviluppo (proposta ribadita più volte a Cancun in ogni ambito del negoziato).

Al momento, non è in discussione una revisione del mandato negoziale in agricoltura, ma sono convinto che se, nel contesto negoziale, saranno manifestate modifiche di quelle posizioni, attualmente considerate radicali e inaccettabili, nate soprattutto come reazione all'interno di gruppi con interessi eterogenei e a volte inconciliabili, l'Unione saprà fare la sua parte.

L'Unione europea saprà fare la sua parte se sarà riconosciuto il ruolo multifunzionale dell'agricoltura (uno degli obiettivi dell'Agenda di Doha) e se verrà accettato il principio, a noi caro, della tutela delle indicazioni geografiche.

Per quanto riguarda la questione riguardante i prodotti NAMA, l'Europa ha presentato una proposta ambiziosa per l'apertura dei mercati, che prefigura un tetto massimo del 15 per cento alla fine dell'applicazione dei risultati del negoziato.

La nostra tariffa è già ora tra le più basse al mondo mentre i nostri partners, anche quelli industrializzati, possono godere di una protezione che supera il 30 per cento e, in alcuni casi, va oltre il 50-60 per cento.

Abbiamo proposto riduzioni ancora maggiori per quei settori di prioritario interesse dei paesi in via di sviluppo (certo, a condizione che analogo comportamento venga adottato da tutti): l'obiettivo è quindi quello della riduzione e armonizzazione delle tariffe.

È impensabile che si continui ad aprire il nostro mercato e, al contempo, si accetti una situazione in cui le nostre esportazioni incontrino ostacoli tariffari sugli altri mercati (anche su quelli di paesi che sono sempre più agguerriti competitori delle imprese e, quindi, dei cittadini europei). Non ritengo che l'attuale mandato negoziale debba essere in questo caso modificato, anche se - e lo sottolineo - l'Unione europea è pronta a soluzioni negoziali che in un contesto globale assicurino risultati equilibrati.

Un'altra questione è quella relativa ai temi di Singapore, sui quali è naufragata la Conferenza di Cancun. La flessibilità dimostrata dall'Unione europea non ha consentito di superare gli antagonismi tra altri partners, che hanno causato la rottura delle trattative. Aspettiamo le proposte della Commissione per eventuali aggiustamenti del mandato.

Resta tuttavia di difficile comprensione l'atteggiamento negativo assunto da altri partners su temi quali la facilitazione degli scambi, che significa meno intralci burocratici al commercio internazionale, e la trasparenza negli appalti pubblici, che può combattere efficacemente fenomeni di corruzione e consentire, soprattutto ai paesi in via di sviluppo, risparmi fondamentali per i loro limitati bilanci.

Sul tema degli investimenti, sul quale si è coagulata una posizione fortemente negativa di alcuni paesi e di molte ONG, occorrerà proseguire un'attività di tipo didattico per spiegare ancora che solo un accordo multilaterale potrà liberare dalle pressioni del più forte e assicurare un aumento di quei flussi finanziari indispensabili per lo sviluppo. Su questa tematica, gli Stati Uniti sono meno sensibili perché, in realtà, hanno già in essere un gran numero di accordi bilaterali a protezione dei loro investimenti nei mercati dei paesi di loro preminente interesse.

L'Unione europea vuole proseguire sulla strada del multilateralismo anche in relazione a questa tematica, nella convinzione che un accordo multilaterale vada a beneficio soprattutto dei più deboli: non vogliamo in alcun modo limitare l'autonomia dei governi nelle scelte di politica economica ed anche questo sarà necessario spiegarlo a chiare lettere.

Più problematico appare, nella fase attuale, l'obiettivo di un accordo sulla concorrenza (il quarto tema di Singapore). Non tutti i paesi hanno una disciplina in materia e molti sono ancora sprovvisti di un'autorità del tipo di quella che conosciamo in Italia e nel resto d'Europa.

Per quanto riguarda la quarta grande questione, cioè quella del cotone, è un argomento che non fa parte del mandato conferito alla Commissione, essendo l'iniziativa dei paesi africani sbocciata a Cancun. Da parte nostra, vi è piena disponibilità a rispondere in modo positivo alle richieste africane, anche se sappiamo che sensibilità in queste materie esistono per alcuni paesi dell'Unione europea.

Per quanto riguarda i tre volets dell'iniziativa, non abbiamo problemi per l'accesso al mercato (già libero in Europa), né per le sovvenzioni all'esportazione (inesistenti nell'Unione europea).

In merito al sostegno interno, sarà a breve definita, nel quadro della PAC, la riforma anche per il cotone, che sicuramente seguirà la linea del disaccoppiamento degli aiuti, con vantaggi quindi solo per il reddito dei produttori e senza il sostegno per le quantità prodotte. Da parte dell'Unione europea, si potrà quindi svolgere un ruolo positivo nel ricercare soluzioni con altri partners, per i quali concessioni in questo settore costituiscono indubbiamente sacrifici più rilevanti (e forse difficili, anche in prossimità di elezioni presidenziali così significative per il partner in questione).

Per quanto riguarda i riflessi sul commercio internazionale e sui comparti produttivi italiani, la prima considerazione riguarda la fiducia ai mercati e la situazione economica internazionale.

La battuta d'arresto di Cancun è sopraggiunta in una congiuntura economica internazionale piuttosto difficile, impedendo che il rilancio del negoziato potesse essere un motivo di fiducia per i mercati nella volontà dei paesi di andare avanti nel processo di liberalizzazione.

Per il momento, a parte il proseguimento della fase di sviluppo che continuano a vivere la Cina e qualche altro paese asiatico, restano soltanto i segnali di una leggera ripresa dell'economia americana, forse insufficiente a ridare quello slancio che l'economia mondiale necessita da ormai quasi tre anni (i dati, anche odierni, sulla situazione europea sono estremamente problematici).

I dubbi sul multilateralismo, che sono nati dal fallimento di questa V Conferenza mondiale, ci devono portare a riflettere soprattutto all'interno dell'Unione europea. Se si ritarda nella ripresa del negoziato multilaterale, in una tale situazione economica, potrebbe forse essere più semplice perseguire l'obiettivo di accordi regionali o bilaterali, che hanno avuto certamente effetti positivi sugli scambi, ma sempre - questa è la posizione europea - sostenuti da un sistema multilaterale, una cornice di regole che ha assicurato un equilibrio tra vantaggi e svantaggi.

Il giorno stesso del fallimento di Cancun, il rappresentante americano Zoellick rilanciò l'ipotesi di accordi bilaterali, quale alternativa al multilateralismo. Da parte dell'Unione europea, vi è la volontà di difendere il multilateralismo proprio perché rappresenta un quadro di riferimento irrinunciabile che risponde, peraltro, ai valori con cui si è sviluppata la stessa Unione e che quindi resta al centro del sistema delle nostre relazioni commerciali.

Questo ovviamente non significa che l'Unione europea non debba anche sviluppare un'intensa attività bilaterale. La riaffermazione di questa priorità non impedisce, infatti, il proseguimento di negoziati bilaterali in corso, come ad esempio quello con il Mercosur, anche se certe posizioni assunte da Brasile ed Argentina a Cancun, in particolare in tema di agricoltura, lasciano qualche dubbio sulla possibilità di raggiungere risultati positivi a breve scadenza.

È importante che si prosegua su questa strada perché è verosimile che, entro il 2005, si raggiunga un accordo (perlomeno, questa è la volontà da parte degli Stati Uniti) che prefiguri la costituzione di un mercato comune americano più vasto: appunto l'ALCA.

Permane, quindi, un interesse specifico del nostro paese ad accelerare il processo di integrazione dei paesi del Mediterraneo e, al riguardo, vorrei ricordare che la conferenza Euromed di Palermo, parallelamente al negoziato WTO, è stata uno degli obiettivi principali della Presidenza Italiana dell'Unione europea.

Un'altra questione riguarda la clausola di pace agricola: forse questo è l'effetto più concreto ed immediato del fallimento di Cancun, con la mancata proroga della clausola di pace che, prevista nell'accordo sull'agricoltura dell'Uruguay Round, scadrà a fine anno.

Non si può valutare al momento quale potrà essere l'effetto di tale scadenza, ma è probabile che, in assenza di un rilancio del negoziato, assisteremo dal prossimo anno ad una serie di iniziative contro alcuni meccanismi della politica agricola comune che si risolveranno in altrettanti contenziosi in sede WTO.

Per quanto riguarda invece le conseguenze sulla tutela delle indicazioni geografiche, riteniamo che questa pausa obbligata del round, che porterà presumibilmente ad un rinvio della prevista conclusione per la fine del 2004, potrebbe avere anche risvolti positivi, concedendoci più tempo per proseguire nell'azione di alleanze in tema di indicazioni geografiche (tra l'altro, il prossimo anno è prevista un'importante conferenza internazionale in Tailandia).

In questa materia, com'è noto, Stati Uniti e Australia hanno lanciato un'offensiva contro la legislazione comunitaria sui prodotti DOC e un panel dovrà stabilire la compatibilità con le regole WTO. Appare quindi necessaria un'adeguata difesa delle nostre convinzioni e posizioni, anche perché un'auspicabile successo avrebbe un rilievo politico fondamentale per il perseguimento del nostro obiettivo di far riconoscere a tutti i nostri partners il principio della tutela delle indicazioni geografiche, sia per i vini, sia per gli altri prodotti.

Un risultato positivo del panel contribuirà in materia determinante a sostenere presso i nostri partners l'azione che stiamo svolgendo, in collaborazione con i consorzi, di informativa sui benefici che la tutela dei prodotti di qualità può recare a produzioni tipiche di altri paesi.

Peraltro, il giorno dopo il fallimento di Cancun, abbiamo siglato, a nome dell'Unione europea, un importante accordo fra quest'ultima e il Canada proprio sulla tutela dei vini e degli alcolici che, a nostro avviso, può rappresentare un modello per altri accordi bilaterali che preludano a un più vasto accordo multilaterale.

Per quanto riguarda il settore tessile, che è quello che più subisce la competizione sleale (talvolta anche la contraffazione) e gli effetti della globalizzazione, si profila all'orizzonte qualche problema in alcuni specifici settori nazionali quali quello del tessile-abbigliamento che, oltre a dover sostenere con crescente fatica la pressione delle produzioni cinesi, dalla fine del prossimo anno si dovrà confrontare con la totale liberalizzazione del mercato internazionale.

Sarà necessario, quindi, porre una grande attenzione all'evoluzione dei flussi commerciali da un lato e, dall'altro, cercare di portare avanti iniziative mirate alla lotta contro la contraffazione e alla tutela delle produzioni di qualità attraverso strumenti quali l'etichettatura e la tracciabilità che facciano maggiore chiarezza sull'origine dei prodotti e sulla loro rispondenza ad indispensabili requisiti di qualità.

A tal proposito, vorrei farvi notare che la proposta da noi formulata in sede del Consiglio dei ministri del commercio con l'estero dell'Unione europea, in data 6 luglio di quest'anno a Palermo, in merito all'obbligo della stampigliatura su ogni prodotto finale del paese di origine (e quindi alla istituzione di un marchio di origine europeo coniugato con un marchio di origine nazionale), ha compiuto due grandi passi in avanti: in sede nazionale, con quanto previsto nella legge finanziaria (peraltro, la Commissione attività produttive della Camera ha svolto un importante e meritorio lavoro preparatorio per molti mesi in merito all'eventualità di un marchio di origine made in Italy) e, soprattutto (come testimonia un articolo odierno pubblicato su un quotidiano nazionale), in sede europea, laddove proprio ieri i due commissari competenti hanno illustrato la possibilità di giungere a un regolamento che in qualche misura istituisca in tempo ragionevole l'obbligo della sopracitata stampigliatura su ogni prodotto finale. Ritengo che anche questo sia un effetto del lavoro che abbiamo svolto in questa prima parte del semestre di Presidenza italiana.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Urso per la relazione svolta e, come convenuto nei rispettivi uffici di presidenza, conclusa la sua illustrazione (mi scuso in modo particolare con i colleghi Ruggeri e Raisi che avevano chiesto di parlare), il seguito dell'audizione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.


 


 

 

 

COMMISSIONI RIUNITE

X (Attività produttive)

e XIV (Politiche dell’Unione europea)

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Resoconto stenografico

 

 

 


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE

DELLA X COMMISSIONE BRUNO TABACCI

La seduta comincia alle 15.

(omissis)

Seguito dell'audizione del viceministro delle attività produttive, Adolfo Urso, sugli esiti della V conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell'Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti nazionali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del viceministro delle attività produttive, Adolfo Urso, sugli esiti della V conferenza ministeriale del WTO di Cancun, con particolare riferimento alla posizione dell'Unione europea sulle materie oggetto di discussione ed ai riflessi sul commercio internazionale e sui comparti nazionali. Rammento che nella seduta del 29 ottobre scorso il viceministro aveva illustrato gli esiti della V conferenza ministeriale del WTO di Cancun e che il seguito del dibattito era stato rinviato. Do, quindi, la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

GIOVANNI BELLINI. Innanzitutto vorrei ringraziare il viceministro per la puntuale relazione sui risultati della conferenza intergovernativa di Cancun e sulle prospettive del round negoziale iniziato a Doha. Su alcune questioni convengo con lei, su altre no e comunque permangono differenti valutazioni su come ripartire: richiedo, pertanto, la sua attenzione per trovare il più ampio spirito all'interno del nostro Parlamento per fornire un contributo al lavoro che il suo ministero sta compiendo a Ginevra, dove si annunciano importanti riunioni.

Indubbiamente la conferenza ministeriale del WTO a Cancun si è chiusa con un insuccesso dei negoziati, un fallimento, come lei stesso ha affermato, soprattutto in riferimento alle rosee attese che circolavano tra i paesi industrializzati, convinti di dare un forte impulso al commercio mondiale e quindi allo sviluppo economico, riprendendo in mano la situazione del WTO dopo il precedente scacco di Seattle. Tutto questo senza tenere conto di quanto maturato proprio a Seattle che, lo voglio ricordare, fallì per la mancanza di trasparenza nelle trattative, per il cattivo funzionamento del WTO e per la sua struttura negoziale, per l'opposizione della maggioranza dei paesi meno sviluppati e per l'emergere di una particolare attenzione critica dell'opinione pubblica mondiale su questioni fino ad allora di esclusiva competenza degli addetti ai lavori. A ben guardare si tratta degli stessi argomenti irrisolti che hanno accompagnato i lavori preparatori e la conferenza di Cancun. Sono i temi che anche lei ha richiamato come una delle cause del fallimento e su cui si sta interrogando L'Unione europea.

Il fallimento è un giudizio unanimemente accettato, anche se diverso è il parere sulle cause di questo fallimento (il secondo consecutivo dopo Seattle). Sulle immediate prospettive, secondo diversi osservatori il risultato di Cancun non è però un fallimento, perché ha dimostrato l'inadeguatezza del WTO nel condurre questi negoziati, nel trattare un'agenda tanto ampia da spaziare dall'agricoltura ai servizi essenziali, agli investimenti, cercando di ridurli esclusivamente a semplici beni e servizi commerciali, e perché, in positivo, ha dato una nuova consapevolezza ed una nuova forza ai paesi del sud del mondo ed alla società civile complessiva.

C'è stata inadeguatezza nel condurre questi negoziati, non tanto per la gestione della presidenza messicana, quanto piuttosto nel trattare un'agenda tanto ampia da spaziare dall'agricoltura ai servizi essenziali agli investimenti, per di più con una preparazione alla conferenza che è sembrata superficiale o, peggio ancora, incapace di prevenire e dare un inizio di soluzione ai grandi temi del commercio mondiale secondo le attese dei paesi meno sviluppati. In questo sono evidenti le responsabilità politiche degli Stati Uniti, che hanno deliberatamente escluso la ricerca di soluzioni concordate con i paesi meno sviluppati, ma non è esente da critiche anche il comportamento complessivo tenuto dall'Unione europea. Particolarmente indicativo, anzi grave, il rifiuto degli Stati Uniti di affrontare il dossier sull'agricoltura e in special modo il problema del cotone (che rappresenta il principale problema dei paesi africani, che hanno un'economia fortemente dipendente dalla produzione e commercializzazione del cotone), rifiutando qualsiasi impegno alla riduzione del sostegno finanziario alla produzione ed esportazione. Il significato della trattativa sul cotone, sono d'accordo con lei, ha un valore etico e politico che va ben al di là di quello meramente commerciale. Secondo la sua definizione gli Stati Uniti hanno mantenuto un atteggiamento «piuttosto defilato» che ha caratterizzato l'intera posizione americana nel corso dei negoziati.

A questo, però, aggiungo che in realtà gli USA hanno deliberatamente evitato il confronto con gli altri paesi e, purtroppo, l'Unione Europea non è stata in grado di assicurare un nuovo punto di riferimento capace di far uscire dall'impasse la trattativa mondiale.

D'altronde anche lei riconosce che, pur con tutta la disponibilità a trattare per giungere a soluzioni accettabili da tutti i membri del WTO, l'Unione europea, sui diversi dossier della trattativa, ha avuto sulla stessa agricoltura (per usare le sue parole): «margini di flessibilità piuttosto ristretti, entro i limiti della recente riforma della PAC».

Flessibilità ristretta: impossibilità, quindi, di seguire davvero lo sviluppo dinamico di una trattativa. Infatti, solo tardivamente, il commissario Lamy ha cercato di portare nella discussione di Cancun un'ipotesi di modifica parziale della politica agricola dell'Unione, riducendo i contributi all'esportazione e portando in quell'occasione una generica promessa di realizzare nel medio periodo analoghe riduzioni concordate con gli Usa. Agli occhi dei paesi produttori agricoli del mondo non sono apparse proposte sufficienti e, soprattutto, politicamente credibili.

Anche dove le vicende avrebbero dovuto, a suo avviso, avere migliore esito, considerando la posizione più aperta dell'Unione, il risultato è stato un autentico disastro, come nel caso della questione cruciale, per molti paesi, dei cosiddetti quattro temi di Singapore concernenti la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza negli appalti pubblici e le facilitazioni al commercio. A tale riguardo, l'Unione europea si è dimostrata più aperta, giungendo a proporre di ridurre il negoziato a due soli temi; in realtà, però, non ha tenuto conto che ben ottanta paesi del WTO avevano apertamente, prima e durante il vertice di Cancun, dichiarato l'indisponibilità a negoziare qualunque tema di Singapore. Pertanto, l'insistenza dell'Unione europea a voler porre la questione della riduzione (anche se mitigata) della agenda di Singapore ha solo generato tensione e irrigidimento nella trattativa. D'altronde, va ricordato che anche tra i paesi membri dell'Unione sono emerse critiche a tale conduzione e riserve sull'operato del commissario Lamy, fino a chiederne la modifica del mandato sulla questione specifica dei nuovi temi da portare in discussione. Sarà interessante, a tale proposito, seguire questo aspetto della questione, anche per capire come il nostro Governo si stia orientando. Ritengo opportuno che anche l'Italia si faccia promotrice di un'iniziativa per ridefinire il mandato al commissario per le prossime trattative, vincolandolo, comunque, ad un maggiore coinvolgimento nelle decisioni delle istituzioni parlamentari nazionali. Si tratta di uno dei punti che avevamo avuto modo di discutere in una analoga occasione, prima del vertice di Cancun; mi riferisco, appunto, alla frequente assenza dei Parlamenti nazionali che non sono neanche in condizione di conoscere preventivamente i documenti. In fondo, come anche lei, viceministro, ha giustamente rilevato, il vero punto emerso a Cancun è consistito nella nascita del cosiddetto G21: un raggruppamento di paesi che si sono organizzati attorno alle posizioni iniziali del Brasile e dell'India; raggruppamento via via divenuto, nel corso del vertice, G22, G23 e, infine, G24. Il gruppo, peraltro, sta tuttora crescendo, per lo meno secondo quanto risulta dalle cronache relative a queste vicende.

La nascita di tale raggruppamento è sicuramente la conseguenza della non affidabilità della gestione politica dei paesi più ricchi dell'Organizzazione mondiale del commercio e della necessità di portare nella trattativa un punto di vista diverso, per incidere più efficacemente negli orientamenti generali della ripartizione del commercio mondiale.

Si è avuta, in tal caso, la conferma di un'impostazione che, purtroppo, ha continuato a sostenere un approccio ai temi del commercio mondiale esclusivamente puntando a ridurre tutto a libero commercio, senza preoccuparsi di promuovere i beni pubblici globali prima delle stesse regole del commercio e contribuire all'attuazione delle norme internazionali già esistenti in materia sociale, di diritti nell'ambiente e nel lavoro.

Insomma, non si è ancora preso atto di quello che un personaggio insospettabile come il premio Nobel per l'economia, già vicepresidente del Fondo mondiale per gli investimenti, nonché consigliere dell'amministrazione degli Stati Uniti, Joseph Stiglitz, ha recentemente scritto nell'ultimo libro pubblicato in Italia: «Sono allibito da questa incapacità di prendere in considerazione la dimensione sociale e umana dei problemi economici».

A Cancun è mancata proprio la politica, non vi è stato, in effetti, uno spazio per giungere ad un accordo poiché il fatto politico nuovo della conferenza, che è consistita nella creazione di un nuovo consistente raggruppamento di paesi intorno al Brasile, all'India e al Sud Africa, non è stato compreso dai paesi occidentali.

E nemmeno in precedenza, durante la preparazione del vertice, era stato concretamente avvertito il modificarsi del quadro generale delle trattative, tant'è che la stessa Unione si era adagiata sull'illusione di poter giungere all'appuntamento con tardivo e traballante accordo con gli USA sulle produzioni agricole e le relative politiche di sostegno con la nuova PAC.

Le indicazioni di lavoro, che sono state discusse anche nel nostro Parlamento - al riguardo, ricordo il contributo dell'opposizione, un documento di tutti i partiti dell'Ulivo - non sono state prese in considerazione (mi riferisco alla discussione delle mozioni in Assemblea e all'interrogazione in Commissione con il viceministro Urso); così, il nostro paese, anche come Presidenza di turno dell'Unione Europea, non ha svolto un ruolo attivo.

L'Italia si è limitata a cercare di portare avanti una rivendicazione importante per le nostre produzioni locali di qualità, come quella dei marchi sui prodotti locali, ma del tutto marginale rispetto ai grandi temi oggetto della trattativa a Cancun. Tra l'altro, senza nemmeno gran successo in quanto, ancora oggi, nessun concreto passo avanti è stato condotto sul piano della rivendicazione, tutta italiana, che pure importante è, delle produzioni locali di qualità.

I paesi del sud del mondo sono arrivati alla conferenza ministeriale con due scelte di fronte a loro: accettare le regole e le proposte presentate dai paesi occidentali oppure abbandonare i negoziati. In ciò deve ravvisarsi il punto di rapporto tra l'Unione europea e gli Stati Uniti. La proposta contenuta nella bozza di dichiarazione finale resa pubblica il 13 settembre ha evidenziato e confermato tale quadro di riferimento; una incapacità della Unione europea di distinguersi sul piano internazionale dagli interessi del nostro partner principale, gli Stati Uniti. La proposta di mediazione del commissario europeo Pascal Lamy di congelare due dei quattro temi della cosiddetta agenda Doha non ha sortito alcun effetto sui paesi contrari alla stessa discussione dei temi di quell'agenda poiché, nel documento presentato nella bozza, veniva confermata la rigida posizione degli USA, e in parte dell'Unione, sull'agricoltura, in particolare sul tema dei sussidi all'export (dumping), malgrado le esplicite richieste in direzione opposta di paesi che rappresentano la maggioranza dei cittadini ed oltre i due terzi degli agricoltori del pianeta. In maniera non opportuna, la bozza prevedeva l'inizio immediato di due, se non tre - parlando con il commissario Pascal Lamy, e seguendo da vicino la trattativa, si è capito quali fossero i nuovi negoziati per il cui avvio l'Unione «spingeva» contro il parere contrario di oltre 70 paesi del Sud - dei quattro «temi di Singapore».Su questo punto si è giocata la credibilità o almeno parte della credibilità dell'Unione. Il commissario europeo Pascal Lamy ha cercato di limitare l'inizio della trattativa da quattro a due temi, ma se si esclude il tema della facilitazione al commercio, gli altri temi di Singapore non sembrano rientrare nella competenza esclusiva dell'OMC.

Ecco perché occorre valutare attentamente le nuove proposte per la ripresa delle trattative senza riproporre ciò che è stato bocciato a Cancun. Comunque, come sappiamo, il commissario Lamy non è riuscito a convincere i paesi del G21 né gli altri paesi poiché non è apparsa chiara la proposta politica e le reali intenzioni successive. Riassumendo, i paesi occidentali hanno ancora una volta provato ad imporre una completa liberalizzazione dove sono più forti (industria e servizi), mantenendo un protezionismo spinto dove sono più deboli (agricoltura e tessile). È una rappresentazione di comodo - me ne rendo conto -; dà, però, un quadro immediato di quanto è accaduto.

Di fronte a quest'intransigenza ed all'assenza di una possibilità reale di negoziato i paesi meno sviluppati del sud del mondo hanno stretto una loro coalizione e hanno rifiutato le imposizioni dei paesi ricchi.

Il naufragio dei negoziati a Cancun non significa però - sono d'accordo sul punto, peraltro ripreso da molti commentatori - la fine delle politiche portate avanti dal WTO, né, tanto meno, l'arresto di quel processo di ricerca esasperata del libero commercio come risoluzione e panacea di tutti i mali per lo sviluppo economico del pianeta che da sempre, purtroppo, caratterizza i negoziati.

L'accordo sulle tariffe industriali (NAMA) va avanti, cosi come proseguono i negoziati per una totale liberalizzazione e privatizzazione dei servizi, anche di quelli pubblici ed essenziali come l'acqua e la sanità, con il negoziato GATS. Voglio qui ricordare come una corretta presa di posizione da parte del Parlamento abbia favorito anche la posizione del Governo italiano nella discussione all'interno dell'Unione europea per convincerla che nell'ambito del negoziato GATS l'acqua doveva essere trattata in modo del tutto diverso. Se ancora non è stato possibile giungere ad una conclusione complessiva credo che comunque quella posizione debba essere mantenuta, anzi, debba essere sviluppata, perché intorno ad essa si può davvero costruire la ripresa di un negoziato con i tantissimi paesi che ci guardano con attenzione, convinti che dalla nostra parte geografica possa provenire una proposta di miglioramento delle condizioni complessive nelle relazioni commerciali, proprio a partire da come debbono essere trattati i servizi pubblici essenziali.

Tuttavia, un'ulteriore concreta minaccia è rappresentata dalla posizione presa dagli Stati Uniti, che non hanno fatto mistero di voler sfruttare il fallimento di Cancun per rilanciare negoziati bilaterali o regionali se possibile ancora meno democratici e trasparenti di quelli in sede WTO, nei quali fare valere la legge del più forte.

Gli Stati Uniti hanno già dichiarato esplicitamente di voler percorrere questa strada, sono insofferenti a tutti gli accordi internazionali che vincolano le loro imprese ed il loro sviluppo economico, basta vedere il modo con cui hanno rifiutato di sottoscrivere il protocollo di Kyoto, mentre la ripresa dei negoziati deve avvenire confermando il sistema multilaterale.

L'Unione europea deve assumere precise iniziative politiche per favorire la strategia degli accordi multilaterali perché, sono d'accordo con lei, i risultati che così saranno raggiunti andranno a favore dei più deboli, senza con questo limitare l'autonomia politica ed economica di nessuno Stato.

Se da una parte con Cancun si è quindi aperto uno spazio politico nuovo per cercare di rinegoziare radicalmente le regole sul commercio, è importante il ruolo dell'Unione europea per far sì che a breve si renda concreto un nuovo quadro di riferimento che, partendo dalle reali esigenze di riequilibrio tra Stati, metta in primo piano la necessità di soddisfare le immediate esigenze della parte meno sviluppata del mondo.

Nell'immediato, il Governo italiano dovrebbe impegnarsi, anche in qualità di presidente di turno dell'Unione, per: escludere l'avvio di negoziati di Singapore dall'agenda di Doha; contribuire alla riforma dei meccanismi decisionali dell'OMC, proponendo la costituzione di un gruppo di lavoro a Ginevra, in cui siano rappresentate le diverse esigenze regionali, cosi come emerso a Cancun, e aperto ai Parlamenti nazionali, all'opinione pubblica e alle organizzazioni non governative; sostenere le richieste per un miglioramento immediato degli accordi già raggiunti in sede OMC, particolarmente per la salvaguardia sociale, ambientale e dei diritti del lavoro; giungere in tempi rapidi all'abolizione, in primo luogo in agricoltura, dei sussidi all'esportazione dei paesi occidentali.

Infine, si dovrebbe accantonare l'idea di portare alla riunione del 15 dicembre del consiglio WTO a Ginevra i temi di Singapore per gli investimenti e la concorrenza, anche se in maniera plurilaterale, cioè non obbligando tutti i paesi a firmare l'accordo finale. Un accordo plurilaterale, sugli investimenti costituirebbe la riproposizione dell'accordo MAI (accordo multilaterale sugli investimenti) i cui negoziati fallirono nel 1988 in sede OCSE, per la forte opposizione internazionale prima della società civile e poi di un gran numero di paesi a Seattle.

In questa fase, proporre l'accordo plurilaterale potrebbe rilevarsi controproducente e contrario all'interesse europeo di allacciare quanto prima sani rapporti economici e politici con tutti quei paesi che dal dopo Cancun si aspettano azioni coerenti per la ripresa di un dialogo alla pari e con la comune esigenza di dar vita ad una nuova fase dello sviluppo mondiale basato sul progresso reciproco.

Credo che queste riflessioni, che spero il viceministro voglia integrare e valutare attentamente, potranno contribuire alla nostra posizione in sede di discussione all'interno dell'Unione europea.

RUGGERO RUGGERI. Vorrei fare qualche considerazione a lato di quelle già espresse dal collega. Secondo me, in questo momento storico, dovremmo essere più sereni per comprendere ciò che sta accadendo effettivamente. Io non mi sento di parlare di successo o insuccesso, ma, certamente, ci sono accadimenti epocali di grandi trasformazioni e ci sono due punti in particolare su cui la riflessione dovrebbe aprirsi ad un dibattito a livello internazionale molto serio. La prima considerazione è che, per la prima volta nella storia, abbiamo un gruppo di paesi, la maggioranza dei quali sono in via di sviluppo o totalmente poveri, che hanno preso coscienza e posto un problema, perché, al di là di Cancun, dove ho apprezzato in modo particolare il lavoro di ricucitura e ricomposizione svolto dal viceministro Urso, la verità è che i tavoli non sono neanche partiti. I cosiddetti facilitatori, che dovevano predisporre una bozza su cui iniziare la discussione, non sono riusciti neanche a redigere la bozza. È evidente che già bolliva in pentola qualcosa di grosso che chi voleva intendere ha subito compreso. Oggi ci siamo accorti che il nostro modello di relazioni economiche e di sviluppo capitalistico non regge più, perché la povertà cresce in modo vertiginoso ed il gap tra paesi ricchi e paesi poveri sta aumentando a forbice, raggiungendo record storici, questo è ciò che ci dicono gli organismi internazionali che vanno a verificare i parametri economici e sociali. La richiesta di fondo ci pone un interrogativo non da poco, perché gli occidentali chiedono di eliminare le barriere e di liberalizzare, ma sono gli stessi occidentali i primi a non farlo. Il problema delle barriere è nostro, non loro!

Noi chiediamo la libertà di entrare ed investire in questi paesi e quella conseguente di disinvestire. L'altra richiesta è di relazioni più eque, perché da quando nasce la scienza economica, fondata sul liberismo e sulla creazione di libertà, il punto chiave del commercio con l'estero è il reciproco vantaggio; se ciò non avviene vuol dire che il vantaggio è solo per alcuni. Dobbiamo ristabilire nuove condizioni e nuove relazioni, questa è stata la richiesta cosciente dei paesi più arretrati. Proprio in questi anni ci siamo accorti che il debito estero dei paesi poveri è diventato addirittura il paradosso dell'economia mondiale, perché sembra che siano i paesi poveri a sostenere lo sviluppo dei paesi ricchi. Infatti, se calcoliamo il debito estero in dollari, e consideriamo che il dollaro è passato dalle 600 lire italiane di diversi anni fa alle attuali 2000 lire, si comprende come il debito sia quasi quadruplicato. I paesi poveri, secondo calcoli realizzati anche da economisti premi Nobel, di fatto avrebbero già pagato ampiamente i loro debiti. La forbice tra i prezzi dei prodotti occidentali ed i prezzi delle materie prime è un elemento di finanziamento che si va ad unire a quello del tasso di cambio.

Ricordo che attorno agli anni sessanta i membri aderenti al GATT erano ancora pochi, nel giro di qualche anno si è passati da circa 15 paesi aderenti a 40 circa.

Dagli anni sessanta in poi, si è verificata un'accelerazione (oggi siamo giunti a 146 paesi) che si spiega con un altro passaggio epocale avvenuto proprio nel torno di quegli anni. Non è un caso che ad avere, per così dire, acceso i fari sull'esistenza del terzo e quarto mondo sia stato Paolo VI con la Populorum progressio; è da allora che principia l'interesse per l'esistenza di tali paesi e per la ricerca di relazioni.

Quindi, prescindendo dalla questione se si sia trattato di un successo o di un insuccesso, si deve riconoscere che è stato posto un problema; questi paesi sono disponibili a discutere di tutto ma anzitutto di sviluppo reciproco e di relazioni più eque e, sotto tale profilo, devo rilevare il ruolo maggiore che l'Unione europea potrebbe esercitare. Non mi riferisco all'Italia, che a mio avviso anzi, si è comportata in modo corretto; piuttosto, è l'Europa a non avere preso coscienza, diversamente da quanto si è fatto altrove, della circostanza che, nell'attuale momento di transizione epocale, essa può giocare un ruolo di traino di questi paesi per un nuovo modello di sviluppo. Si tratta di un punto cardine che, però, non è stato considerato adeguatamente; abbiamo lasciato tale compito al Brasile, all'India e soprattutto alla Cina: oggi, sono queste le nazioni che stanno guidando i paesi in via di sviluppo. Ci siamo resi conto che, se 146 ministri devono decidere all'unanimità su una questione - piccola o grande che sia -, si deve rivedere una tale situazione, che non può funzionare. Ma la riforma del WTO non significa solamente trovare altre regole di democrazia; vuol dire anche mettere in discussione, come oggi fanno molti studiosi oltre ai politici, il fondamento degli accordi di Bretton Woods. Dobbiamo, infatti, arrivare ad una proposta per un «nuovo» Bretton Woods perché è in quell'occasione, alla fine della seconda guerra mondiale, che sono cominciate le relazioni giuste, quelle per un progresso raggiunto insieme. Quindi, una riforma della Banca mondiale, una riforma degli accordi tariffari ed una riforma del Fondo monetario internazionale; quest'ultimo, nella sua attuale configurazione, sta strozzando le piccole comunità, che non riescono a decollare nonostante gli aiuti. Tutti stanno sostenendo che questi organismi erano funzionali ed hanno retto fino alla fine degli anni '60 mentre, dopo, si sono rivelati funzionali solo alle economie ricche. Quindi, dobbiamo ritornare al punto di partenza, il reciproco vantaggio; l'auspicio è che vi sia un ruolo più forte dell'Europa e vi sia, altresì, una nuova Bretton Woods. Altrimenti, non riusciremo a trovare soluzioni efficaci considerando il problema solo dal basso; dobbiamo porci in una prospettiva alquanto più elevata.

L'altro aspetto con il quale concludo il mio intervento riguarda gli Stati Uniti; effettivamente, se qualcuno ha avuto successo, questi sono stati gli Stati Uniti in quanto, per così dire, hanno portato a casa praticamente tutto. Anzitutto, la rottura del multilateralismo, un aspetto estremamente grave e serio; per quanto riguarda l'ONU, le decisioni gravi circa l'avvio di una guerra, decisioni prese addirittura senza alcun coinvolgimento degli organismi internazionali. Oggi, si parla di una rottura del multilateralismo anche per le decisioni economiche; penso, soprattutto, alla convenienza degli Stati Uniti nel caso specifico improvvisamente postosi a Cancun. Mi riferisco alla questione del cotone, non prevista e, forse, non prevedibile; ma i maggiori produttori di cotone sono gli americani: quindi, non conveniva proprio, agli americani, porre il problema di togliere i sussidi all'esportazione del cotone.

In secondo luogo, abbiamo visto come, da qualche anno, gli Stati Uniti stiano privilegiando gli accordi bilaterali in quanto, in questi ultimi, possono mettere sul piatto tutto il loro peso, militare e politico. Non è un caso che proprio a Cancun, mentre il viceministro Urso era in contatto con le delegazioni per ritrovare un clima di distensione ed arrivare ad un «tavolo», qualcun altro - mi riferisco agli Stati Uniti - prometteva favori ed agevolazioni di carattere economico per farlo naufragare. Questo è quanto mi pare sia avvenuto a Cancun.

Un altro aspetto ancora concerne gli Stati Uniti e dovrà essere valutato dall'Unione europea; di fatto, la piattaforma europea concordata con quel paese è stata rotta. Ad un certo momento, gli Stati Uniti hanno abbandonato la piattaforma; hanno abbandonato l'Europa. Hanno ceduto rispetto alle richieste di togliere o diminuire i sussidi all'esportazione in agricoltura, ma così facendo hanno cavalcato un momento particolare di tensione senza assumersi alcuna precisa responsabilità. Si trattava solamente di andare avanti in quanto, dopo Cancun, dopo i progetti di Doha, o si va avanti o si torna indietro; tornare indietro vuol dire tornare al XIX secolo con le regole del gioco dettate unilateralmente.

Dunque, o ricostruiamo un sistema multilaterale di relazioni economiche, di relazioni di pagamenti, di relazioni finanziarie - ecco il discorso su una nuova Bretton Woods - o, altrimenti, non vi è via di uscita. Non si tratta di successo o insuccesso dei negoziati; si deve invece capire che o si dà corso ad una trasformazione per la quale occorre responsabilità, capacità e, altresì, fantasia, in modo da impostare in modo sereno - anche duro, ma sereno - nuove relazioni tra i paesi o, altrimenti, la vicenda non ha soluzione. Anzi, il problema dell'incancrenirsi della situazione di guerra e di terrorismo facilmente farà sentire i suoi effetti anche sulla guerra economica tra chi ha più potere e chi meno. Sono le riflessioni che, oggi, in questa sede, volevo svolgere, indipendentemente dalle tariffe o dalla difesa della mortadella di Bologna e via dicendo.

Dal punto di vista dialettico, è facile argomentare che, mentre noi difendevamo la mortadella, gli altri ponevano il tema dello sviluppo, della fame nel mondo e della gente che muore. Non è così; abbiamo fatto bene a difendere i nostri prodotti sia perché era un nostro impegno sia perché, soprattutto, costituiva un fatto di grande equità tenere conto dei costi e delle asimmetrie delle relazioni. Ciò, per poter arrivare ad un accordo vantaggioso per tutti; appunto, il dianzi auspicato ritorno al principio del reciproco vantaggio.

ANDREA LULLI. Anch'io desidero ringraziare il viceministro Urso; non è la prima volta che viene in Commissione e che ci consente di dialogare con il Governo su queste tematiche. Molti argomenti sono stati già trattati e non voglio tornarci diffusamente.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE RUGGERO RUGGERI

ANDREA LULLI. Certo è che siamo addivenuti, dopo Cancun - e non solo dopo Cancun, considerata la situazione internazionale - ad una crisi delle relazioni internazionali che può sicuramente rendere più complicata anche la ripresa di un processo di sviluppo che affronti le sacche di povertà e consenta di avere un orizzonte più sereno. Certo, come è stato ricordato, abbiamo assistito al fallimento del vertice di Cancun; a mio avviso, probabilmente, ha giocato un ruolo molto importante la volontà del Governo degli Stati Uniti di non lasciare molto spazio all'azione delle istituzioni internazionali, compresa l'Organizzazione mondiale del commercio. Hanno puntato a costruire, dall'alto del loro ruolo e della loro forza, rapporti bilaterali e ad usare poi i noti argomenti per imporre il proprio punto di vista e anche le proprie ragioni economiche. D'altra parte, credo sia anche venuto a maturazione un nodo non semplice da dispiegare, soprattutto in un periodo nel quale vi è un ricorso troppo accentuato e troppo frequente all'uso delle armi; un nodo che investe il rapporto tra le possibilità di sviluppo dei mercati e di crescita con tutte le problematiche sociali che, da tempo esistenti nei paesi in via di sviluppo (e soprattutto in quelli più poveri), si affacciano ormai anche nei paesi più ricchi. Ora, in tal caso, credo occorra piena consapevolezza del fatto che è nell'interesse nostro e dell'Europa poter continuare a dare maggiore forza, pur con le necessarie riforme, alle istituzioni internazionali, inclusa la stessa Organizzazione mondiale del commercio.

I paesi occidentali devono concedere qualcosa, perché non possono pensare che l'apertura dei mercati debba avvenire a costo zero per loro. L'apertura dei mercati deve fare i conti con problematiche rilevanti che debbono essere affrontate e governate con equilibrio.

Uno dei temi più rilevanti in questo campo è certamente quello dell'agricoltura. Occorre prendere atto che non possiamo continuare a sostenere in modo massiccio le nostre produzioni, impedendo di fatto l'accesso al mercato europeo dei prodotti di altri paesi, ma anche il mantenimento di quote nei loro stessi mercati. Dobbiamo proseguire in un logica di apertura tenendo conto, però, che c'è un equilibrio da recuperare rispetto alla legislazione del lavoro, alla tutela e alla prevenzione della salute. Ho constatato che nell'Unione europea queste tematiche hanno fatto passi in avanti, anche se ancora insufficienti, ma non mi pare di poterli cogliere altrove, soprattutto all'interno dell'ultima amministrazione americana.

Il fallimento di Cancun non avrà conseguenze negative esclusivamente nei confronti dei paesi più poveri, ma rischia di averle anche per le nostre economie. Di fatto, se tutto va avanti così, dovremo sviluppare la competizione in un contesto dove prevale la legge del più forte, con tutti gli squilibri che ciò comporterà sia nei paesi in via di sviluppo sia all'interno delle nostre economie.

In questo momento la reciprocità è fondamentale, vi è la necessità di accentuare una politica di riduzione reciproca dei dazi e delle barriere burocratiche non tariffarie, così come d'altra parte vi è la necessità di riaffermare il concetto della tracciabilità dei prodotti, come in questa Commissione abbiamo ripetuto più volte, perché è inevitabile. Infatti, pur avendo un giusto equilibrio, bisogna comprendere come si possa innescare un processo virtuoso che consenta la crescita e lo sviluppo dei paesi più arretrati e, contemporaneamente, consentire ai consumatori di avere le più ampie garanzie sui prodotti.

Occorre attuare politiche di valorizzazione che facciano perno sulla consapevolezza dei consumatori e che possano essere anche di stimolo affinché nei paesi in via di sviluppo, che molto spesso sono vittime dello strapotere economico delle grandi multinazionali, si rispettino parametri ambientali e di tutela del lavoro più vicini a quelli dei paesi occidentali, cercando di trovare dei percorsi che diano trasparenza al processo produttivo. Potrebbe essere questa una delle strade da seguire per conciliare l'apertura dei mercati con i diritti sociali, ambientali e del lavoro. In via di principio non si può negare alla radice che vi siano campi nei quali non si possano trovare accordi.

Il punto è muoversi in un'ottica in cui si cerchi di trovare il maggiore equilibrio possibile, tentando di creare un contesto di regole - poche ma certe - che favoriscano il progresso di tutti. Attualmente, non vi sono segnali in tal senso. Quanto alla preoccupazione per le maggiori difficoltà legate al momento di definitiva cessazione dell'accordo sulle quote tessili, si tratta, a mio avviso, di una questione ormai superata. Infatti, le massicce importazioni illegali e le ingenti contraffazioni da anni testimoniano che, senza una politica multilaterale e senza una politica di accordi globali, tali vicende peggiorano. Ciò evidenzia quanto sia importante cercare queste intese nell'ottica, da una parte, di concedere qualcosa, dall'altra, di pretendere, però, pur con i tempi necessari, un processo di maggiore trasparenza che possa, esso stesso, essere da stimolo.

Analogo discorso vale per le possibili politiche sui marchi e sulle produzioni tipiche; esse devono essere perseguite non nell'ottica di una protezione, per così dire, nazionalistica, ma nella prospettiva di valorizzare le capacità di assicurare la trasparenza nella comunicazione al mercato. Ciò, infatti, può rappresentare un motivo di crescita, anche civile, per tutti.

Gradirei, se fosse possibile, ricevere le ricordate informazioni e, soprattutto, sapere se l'Europa davvero intenda muoversi con convinzione, e fino a quale punto, sui temi della reciprocità e della tracciabilità dei prodotti. Ciò, non solo sul piano dei prodotti agricoli, ma anche su quello dell'industria.

PRESIDENTE. Mi corre l'obbligo di ricordare a tutti i colleghi che sono previste immediate votazioni in Assemblea alle ore 16; pertanto, mentre lo ringrazio per la sua presenza a nome delle Commissioni riunite X e XIV della Camera dei deputati, chiederei al viceministro di contenere i tempi della sua replica, eventualmente facendo pervenire alle Commissioni una successiva documentazione in relazione al dibattito svoltosi.

ADOLFO URSO, Viceministro delle attività produttive. Anzitutto, desidero ringraziare quanti sono intervenuti nel dibattito; dibattito che certamente arricchisce le nostre conoscenze, le nostre capacità critiche e, quindi, le nostre possibilità di agire nell'interesse, ovviamente, del paese ma, in generale, del mondo. La comunità internazionale, infatti, deve sempre più relazionarsi, anche e soprattutto a vantaggio dei più deboli.

In riferimento a quanto dianzi mi si chiedeva, devo osservare che ieri si è effettivamente svolta la riunione dei ministri del commercio con l'estero dell'Unione europea, da me convocata e presieduta (e allargata ai dieci paesi della adesione). A tale riunione hanno partecipato 25 ministri del commercio, tutti intervenuti sul primo punto all'ordine del giorno, dedicato al mandato che l'Unione europea si accinge a conferire, nel CAGRE del 9 dicembre, al commissario Pascal Lamy in merito al rilancio dei negoziati di Doha. La Commissione ha fatto pervenire un documento, che è stato discusso ieri da parte dei ministri del commercio con l'estero e che è stato giudicato positivamente dagli intervenuti, pur ravvisandosi, talora, differenti sensibilità su taluni aspetti. Il documento, a nostro avviso, sembra sufficientemente aggiornato rispetto a quanto l'Unione europea ha fatto in riferimento ai mandati che erano stati conferiti dal Consiglio europeo e dal Parlamento di Strasburgo durante la V conferenza mondiale di Cancun e sufficientemente adeguato rispetto alle esigenze di maggiore flessibilità che l'Unione europea si accinge a manifestare ai paesi membri del WTO per rilanciare il negoziato a partire dalla riunione importante del 15 dicembre che si terrà a Ginevra. Nel frattempo, il commissario Pascal Lamy andrà, il 12 dicembre, a Brasilia per incontrare ufficialmente i rappresentanti del G20, appunto al fine di tentare di trovare le coordinate e le direttrici per poter riprendere da subito, appunto nella riunione del 15 dicembre, a Ginevra, il negoziato che si è interrotto bruscamente a Cancun per il fallimento della V conferenza mondiale.

Il documento che la Commissione ci ha fatto pervenire - e che sarà mia cura, eventualmente, trasmettere alle Commissioni riunite in maniera completa - stabilisce alcune priorità dell'Unione; conferma, inoltre, che, per quanto riguarda il mandato, si procede per capitoli. Ad esempio, per il capitolo agricolo, ritiene che la riforma della politica agricola comune (che si sta dispiegando nell'Unione europea) sia sufficiente per affrontare il negoziato e round WTO e quindi non modifica la propria posizione al riguardo. Circa il capitolo riguardante le tariffe industriali, manifesta una maggiore capacità «offensiva»; ritiene, infatti, che si debba proseguire con determinazione sulla strada della riduzione delle tariffe e dell'armonizzazione delle stesse. Invece, manifesta una maggiore flessibilità per quanto riguarda appunto le quattro tematiche di Singapore. In precedenza, durante il dibattito svoltosi (in maniera anche informale) tra i ministri dell'Unione europea, era emersa la proposta di abbandonare una, due o tre di queste tematiche. La posizione che la Commissione ha illustrato - e che è stata ritenuta adeguata da parte dei ministri del commercio con l'estero - considera l'ipotesi di una ancor maggiore flessibilità circa la discussione delle quattro tematiche (nessuna esclusa: si potrebbe, perciò, discutere di una sola tematica, di due, di tre, di quattro oppure di nessuna).

Peraltro, su due tematiche è maggiore la resistenza: gli investimenti e la concorrenza; proprio a proposito degli investimenti, sappiamo che gli Stati Uniti non hanno alcun interesse a realizzare un accordo. Infatti, avendo già conseguito accordi bilaterali, preferiscono questi ultimi - che proteggono a sufficienza i loro investimenti - a quelli multilaterali che proteggerebbero tutti gli investimenti.

Comunque, l'Unione europea si è posta su posizioni di totale apertura su queste quattro tematiche con l'ipotesi di una flessibilità a geometria variabile. Ciò significa che se ne potrebbero discutere una sola, due, tre o tutte; verosimilmente, è più facile che si svolga la discussione sulla trasparenza negli appalti pubblici e sulla facilitazione al commercio, ma potrebbe anche non essere così. Comunque, si tratta della possibilità di un approccio a queste tematiche non multilaterale ma plurilaterale nell'ipotesi dianzi illustrata di un accordo a geometria variabile. Si tratterebbe di un accordo in grado di lasciare la facoltà ai singoli paesi membri di aderirvi o meno nell'arco del tempo che ritengono necessario.

L'Unione europea manifesterà anche una flessibilità, per così dire, di ordine minore su altri due aspetti della questione. Uno riguarda le connessioni tra ambiente e commercio; dobbiamo chiarire con franchezza che le maggiori resistenze, a causa delle quali già fallì il vertice di Seattle, si pongono proprio riguardo alla sfera sociale e ambientale delle tematiche commerciali. Da tale punto di vista, dobbiamo essere d'accordo; o l'Unione europea ritiene di inserire queste tematiche, sociali e ambientali - e, eventualmente, anche gli investimenti e la concorrenza - all'interno delle tematiche del WTO, allargando le competenze secondo una visione non meramente commerciale, oppure ritiene di non farlo. Le prime tematiche che, sostenute dalle posizioni europee, inevitabilmente cadrebbero sarebbero appunto quelle relative alle connessioni tra commercio e ambiente ed all'eventuale connessione tra commercio e diritti e standard sociali e lavorativi; temi, questi ultimi, che per il momento non fanno assolutamente parte dell'agenda negoziale. Quindi, sull'aspetto della connessione tra commercio e ambiente, si è manifestata una certa disponibilità, seguendo anche le richieste di alcune organizzazioni non governative che manifestano una attenzione su queste tematiche. Tematiche per le quali, secondo quanto riferitoci da Pascal Lamy, si va ad un approccio politico, non strettamente tecnico; ciò, per dare maggiore possibilità ai paesi in via sviluppo di aderirvi, senza essere costretti con vincoli di eccessiva tecnicalità che potrebbero essere, a loro parere, difficilmente recepibili.

Per quanto riguarda l'altra flessibilità, che interessa l'aspetto minimale, da noi condiviso, delle indicazioni geografiche (che vengono riconfermate nei tre pilastri, i quali peraltro fanno parte integrante della seconda versione della bozza Perez del Castillo, che, a nostro avviso, su questo aspetto era estremamente soddisfacente) è stata avanzata l'ipotesi che per i registri agroalimentari vi sia la possibilità di arrivare ad una adesione plurilaterale e non multilaterale, con una cadenza di tempi più facilmente recepibili da parte dei paesi in via di sviluppo.

In merito alla posizione americana debbo sottolineare come non si tratti di una novità di questa amministrazione, perché il fallimento di Seattle avvenne durante l'amministrazione Clinton, che su alcuni aspetti era molto più rigida nei confronti dei paesi in via di sviluppo di quanto non lo sia l'amministrazione Bush, ed avvenne su tematiche, quelle sociali ed ambientali, sulle quali quei paesi ritengono di non poter assolutamente soprassedere.

Riguardo alla tracciabilità ed alla proposta che abbiamo presentato in sede europea all'inizio del nostro semestre di presidenza sulla obbligatorietà dell'etichettatura, che rappresenta poi la strada per giungere alla tracciabilità del prodotto, posso comunicarvi che nella giornata di ieri, durante la colazione di lavoro che abbiamo tenuto con i ministri del commercio con l'estero europei, cui ho sottoposto questo argomento, Pascal Lamy ci ha annunciato che la Commissione europea presenterà un documento in merito a questa materia nelle prossime settimane. Con questo annuncio si apre una prospettiva del tutto nuova, che noi dovremo percorrere nei prossimi mesi.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro per la sua disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.


 

 


 

COMMISSIONI RIUNITE

III (Affari esteri e comunitari)

e X (Attività produttive)

10 marzo 2004

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RISOLUZIONI

Mercoledì 10 marzo 2004. - Presidenza del Vicepresidente della X Commissione Nicola COSENTINO indi del Presidente della X Commissione Bruno TABACCI. - Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Margherita Boniver.

La seduta comincia alle 14.35.

7-00361 Landi di Chiavenna: Sulle prospettive del negoziato sul commercio mondiale in sede di WTO

7-00366 Cima: Sulle prospettive del negoziato sul commercio mondiale in sede di WTO

(Discussione congiunta e rinvio).

La Commissione inizia la discussione congiunta.

Nicola COSENTINO, presidente, avverte che le risoluzioni in titolo, vertendo sulla stessa materia, saranno discusse congiuntamente.

Giampaolo LANDI DI CHIAVENNA (AN) illustra la risoluzione n. 7-00361, sottolineando come gli esiti dei recenti incontri svoltisi a Davos a margine del World Economic Forum abbiano lanciato alcuni segnali positivi per il futuro del negoziato sul commercio mondiale, in particolare nella disponibilità manifestata dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Robert Zoellick, a ridurre i sussidi ai produttori di cotone americani.

Ritiene superfluo rimarcare l'importanza che gli osservatori internazionali, nonché le forze politiche dei principali Paesi riconoscono alla necessità di riprendere le fila del dibattito interrotto in seguito all'insuccesso della Conferenza della WTO, svoltasi a Cancun nel settembre del 2003.

Anche il quadro di generale ripresa economica mondiale suggerisce l'opportunità di favorire in questo particolare momento la crescita anche politica, oltre che economica, dei Paesi in via di sviluppo. Chi governa tali Paesi deve infatti risolvere in primo luogo il grave problema di sottoalimentazione che affligge 840 milioni di persone e di fare uscire dalla povertà 2 miliardi di individui (dei quali due terzi vivono nelle campagne) che dispongono di soli due euro al giorno. I Paesi in via di sviluppo esportano prodotti agricoli per 150 miliardi di dollari l'anno verso i Paesi industrializzati, dove la produzione è alterata da sussidi pari a 300 miliardi di dollari l'anno; ciò fa dell'agricoltura l'ultimo grande settore sottratto alla disciplina di mercato. Soltanto due eccezioni a livello mondiale, la Nuova Zelanda e l'Australia, hanno pressoché eliminato la protezione sui loro prodotti agricoli, con l'effetto di far crescere produzione e reddito degli agricoltori.

Menziona i risultati di un recente studio dell'OCSE, che analizza gli effetti distorsivi nelle politiche agricole indotti dal sostegno pubblico: tali sussidi confluiscono nella disponibilità degli agricoltori solo nella misura di un quarto del loro ammontare.

Peraltro rileva come il protezionismo praticato dai Paesi ricchi, per quanto rilevante, sia comunque inferiore a quello messo in atto dai Paesi poveri. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale infatti, l'apertura dei mercati agricoli dei Paesi ricchi produrrebbe per quelli in via di sviluppo un beneficio di gran lunga inferiore a quello che a tali Paesi deriverebbe dallo smantellamento delle barriere agricole fra di loro.

In merito al ruolo svolto in questo quadro dalle società multinazionali, fa poi presente che, ad esempio, quattro multinazionali controllano attualmente la metà del mercato globale del caffè, e che, dei 70 miliardi di dollari di vendite nei Paesi ricchi, soltanto 6 miliardi arrivano ai produttori locali.

Ritiene pertanto che porre le esportazioni agricole al centro della costruzione di un futuro migliore per i Paesi in via di sviluppo non sia una panacea, ma al contrario possa avere un pesante effetto controproducente, consistente nel rallentare quella crescita economica che un mercato globale dei servizi potrebbe invece alimentare.

Infatti, per ridurre il tasso di povertà nel mondo, sarebbe più costruttivo, a suo giudizio, incoraggiare i Paesi poveri ad aprire i loro mercati agricoli domestici, come ha fatto la Cina, e ad organizzare la loro produzione agricola per soddisfare i bisogni alimentari dei loro cittadini in un ambito di scambi prevalentemente regionali, inducendoli contestualmente a continuare gli sforzi di liberalizzazione del settore industriale e ad avviare con vigore la liberalizzazione dei servizi, le cui inefficienze pesano fortemente sul buon funzionamento del settore agricolo. Questi sono infatti i settori che, per dimensione e caratteristiche, offrono il maggior potenziale di aumento della produttività, unica fonte di crescita sostenibile del benessere individuale.

Facendosi perciò promotore di un'impostazione pragmatica e scevra da elementi ideologici, ritiene essenziale che le politiche agricole occidentali spostino l'asse dell'intervento pubblico dal controllo dei prezzi verso politiche di sostegno del livello di vita dei contadini a basso reddito. In questo senso, l'Europa non deve mettersi in condizione di essere accusata di rallentare l'uscita dalla povertà di miliardi di individui: benché le nostre campagne meritino un'adeguata protezione, ciò deve avvenire per il tramite di strumenti compatibili con la tutela del contesto internazionale.

Auspica, in conclusione, che si svolga un dibattito serio ed approfondito, privo di condizionamenti ideologici, che consenta di raggiungere alcuni importanti punti fermi a favore di una più equa distribuzione delle ricchezze, da raggiungere attraverso un abbattimento delle barriere protezionistiche che non incida sulle specifiche vocazioni delle economie locali. In tal senso ritiene che l'Italia possa, anche in sede di Unione europea, svolgere un prezioso ruolo di impulso, volto a rilanciare il Doha Round e a combattere l'immobilismo dei mercati.

Laura CIMA, illustrando la risoluzione n. 7-00366, nel citare le cifre relative alla popolazione mondiale afflitta da denutrizione o sottoalimentazione, cifre che smentiscono decisamente la possibilità di conseguire nei tempi stabiliti gli obiettivi indicati dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sugli obiettivi del millennio, del settembre 2000 (Millennium Development Goals), denuncia il fallimento della conferenza del WTO, svoltasi a Cancun nel settembre 2003. Ricorda come in quella occasione i negoziati si siano caratterizzati per il protagonismo dimostrato dal fronte dei Paesi appartenenti al G20 e denuncia la politica dei sussidi alle produzioni agricole, che uccide l'economia dei Paesi in via di sviluppo e che è tuttavia perseguita dagli Stati Uniti e dall'Unione europea.

Avanza altresì una decisa critica alle affermazioni, provenienti in particolare da fonti statunitensi, per le quali il sistema delle imprese multinazionali e della produzione di Organismi geneticamente modificati (OGM) sarebbe in grado di risolvere buona parte dell'emergenza agroalimentare mondiale. In particolare sulla questione degli OGM, ricorda che, nonostante il ministro Alemanno abbia già espresso la propria contrarietà al riguardo, il Governo italiano potrebbe tuttavia assumere una posizione più decisamente contraria, anche nel rispetto del principio di precauzione, posto in tal senso dall'Unione europea, e in considerazione degli esiti della recente Conferenza sulla biodiversità, svoltasi lo scorso febbraio in Malesia. A tale proposito, ribadisce di essere nettamente contraria all'introduzione nelle agricolture locali di coltivazioni di organismi geneticamente modificati, che rischiano di distruggere colture millenarie, preziose per la sopravvivenza di intere popolazioni.

Alla luce di queste considerazioni, ritiene che si debba procedere ad una riforma strutturale della WTO o, in alternativa, alla creazione di un nuovo organismo con competenze analoghe, ma provvisto di maggiori capacità decisionali, nonché di una maggiore trasparenza e un'impostazione più democratica, tali da consentire un effettivo conseguimento dei citati Millennium Development Goals.

Ramon MANTOVANI (RC) ricorda preliminarmente come, già da molto tempo, si sia affermata un'ideologia largamente egemone, che predica la bontà della «mano invisibile» del mercato, una liberalizzazione estrema dei commerci e una conseguente necessità di deregolamentare i mercati mondiali. Nel denunciare il fatto che tale ideologia mostra già oggi alcune significative incrinature, ritiene che impegnare il Governo a promuovere politiche di liberalizzazione a livello mondiale, nella convinzione che tali politiche siano efficaci a combattere la fame nel mondo, sia una credenza assolutamente infondata.

La liberalizzazione infatti, a suo avviso, non ha mai condotto ad un aumento dell'indice di sviluppo e del volume del reddito dei Paesi in via di sviluppo.

Per descrivere gli effetti concreti delle politiche di liberalizzazione nello scenario mondiale, illustra il processo per il quale le imprese produttrici occidentali installano le proprie fabbriche nei Paesi in via di sviluppo, per usufruire di condizioni più vantaggiose in termini di fiscalità e di mercato del lavoro. Grazie all'esistenza di politiche di liberalizzazione, le merci così prodotte da quelle imprese hanno l'opportunità di circolare con maggiore facilità: ciò, peraltro, non solo non contribuisce ad aumentare il reddito locale, né la produzione autoctona (dal momento che la merce così prodotta è comunque destinata ai mercati occidentali), ma induce anche una perdita di posti di lavoro nei Paesi industrializzati, dovuta alla forte competitività esercitata dai Paesi in via di sviluppo, grazie anche alle loro politiche di ridotta protezione nei confronti dei lavoratori. Questo meccanismo contribuisce esclusivamente ad aumentare la concorrenza sleale e la competitività fra i lavoratori dei Paesi ricchi e quelli dei Paesi poveri, vinta da questi ultimi a svantaggio dei primi.

Osserva poi come la cosiddetta internazionalizzazione dei mercati si traduca in realtà in una concentrazione delle imprese produttrici, per la quale duecento multinazionali concentrano il 35 per cento della produzione mondiale di beni e servizi.

In merito alla tesi per la quale la liberalizzazione dei mercati favorirebbe il PIL dei Paesi in via di sviluppo, fa anzitutto rilevare come la misura del PIL attualmente non rifletta più l'indice di sviluppo dei Paesi poveri: mentre infatti nel passato l'aumento del PIL produceva un aumento dell'occupazione e del mercato interni, che si traduceva in una crescita complessiva del sistema economico, con la liberalizzazione del commercio e la finanziarizzazione dello stesso, favorita anche da liberi e incontrollati movimenti di capitali, si induce quella perdita di posti di lavoro cui faceva riferimento in precedenza. Ritenere che tale processo conduca ad una crescita generale del benessere dei Paesi in via di sviluppo è, a suo avviso, una mera credenza superstiziosa.

In ordine alla questione dei sussidi all'agricoltura, intende anzitutto porre in evidenza che, ogni qualvolta le multinazionali agricole hanno investito ingenti capitali all'interno di Paesi in via di sviluppo, le comunità autoctone di questi Paesi, originariamente autosufficienti, sono state distrutte dal sistema della monocoltura, che richiede un minore quantitativo di forza lavoro in loco ed espone le economie dei Paesi in via di sviluppo alle pesanti oscillazioni dei prezzi della coltura da cui dipendono, con grave danno sia dei contadini dei Paesi poveri, sia dei lavoratori agricoli dei Paesi più avanzati.

Sulla base di tali premesse, si domanda per quale motivo l'Unione europea dovrebbe rinunciare a proteggere i propri prodotti agricoli, verso i quali le società multinazionali esercitano una concorrenza sleale e serrata. In particolare, censura la recente politica con la quale l'Unione europea ha deciso di penalizzare pesantemente alcuni prodotti tipici dei Paesi in via di sviluppo, quali ad esempio il cacao, gettando sul lastrico molti produttori latino-americani, che hanno visto cadere verticalmente il prezzo del loro prodotto.

Per tutte le ragioni suesposte, si dichiara fermamente contrario ai contenuti di entrambe le risoluzioni. In luogo della liberalizzazione dei commerci, ritiene infatti necessaria l'erezione di nuove barriere doganali che prevedano specifiche clausole sociali, volte ad esempio a proibire lo sfruttamento del lavoro minorile. A tale riguardo, precisa infatti che il nostro Paese è firmatario di uno specifico Accordo, in ambito di WTO, con il quale si proibisce il divieto di vendita di una merce per ragioni che non attengano ad una qualità intrinseca della merce stessa: in conseguenza di ciò, se un paese firmatario non è sufficientemente ricco per pagare le sanzioni previste dal WTO per chi viola questo divieto, è costretto ad importare qualsiasi tipo di merce che non risulti immediatamente dannosa per le sue caratteristiche intrinseche, e comunque a prescindere dalle condizioni ambientali e lavorative nelle quali tale merce viene prodotta nel paese di origine.

Ricorda che esiste un organismo delle Nazioni Unite - l'UNCTAD - deputato a trattare le specifiche questioni connesse al commercio e allo sviluppo: denuncia tuttavia il fatto che le decisioni prese dall'UNCTAD abbiano un peso sempre minore sullo scenario internazionale, poiché vengono prese in una sede internazionale quale l'ONU, che prevede una partecipazione degli Stati membri a livello paritario e non riflette pertanto, come invece la WTO, quei rapporti di forza economici, politici, (quando non militari), che sembrano dominare il contesto internazionale odierno.

Bruno TABACCI, presidente, rinvia il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.25.

 


Atto Camera

 

Risoluzione in Commissione 7-00361

presentata da GIAN PAOLO LANDI DI CHIAVENNA giovedì 29 gennaio 2004 nella seduta n.415

 

Le Commissioni X e III,

premesso che:

i fili del commercio mondiale sembravano essersi spezzati tra violente polemiche a seguito dell'insuccesso della conferenza della WTO tenutasi a Cancun nel settembre 2003;

 

peraltro, nei giorni scorsi a Dovos a margine del World Economic Forum ministri e rappresentanti commerciali di 19 Paesi si sono incontrati e hanno concordato sulla necessità di trovare celermente «una cornice» all'interno della quale rilanciare il Doha Round;

 

è emerso così l'auspicio di poter realizzare entro un anno una conferenza interministeriale tra i 148 Paesi membri della WTO al fine di rilanciare pienamente il Round da concludersi entro il 2005;

 

il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Robert Zoellick, ha manifestato la disponibilità del suo Paese a ridurre i sussidi ai produttori di cotone americani. Tale disponibilità rappresenta un segnale politico di fortissimo impatto cui dovrebbe fare seguito altrettanta disponibilità da parte UE in ordine ai sussidi in agricoltura nonché da parte dei G 20, in particolare, per quanto riguarda le regole di trasparenza e concorrenza;

 

l'affermazione di principi fondamentali, quali la libertà e la democrazia, si fonda sulla volontà comune di sconfiggere il terrorismo internazionale in uno all'impegno di garantire la sicurezza e il benessere collettivo anche a vantaggio dei milioni di uomini e donne afflitti da miseria, fame e malattie mortali;

 

il rischio che il terrorismo esasperi le divisioni fra culture, religioni ed etnie, obbliga la comunità internazionale a contribuire e concorrere perché si eviti il regresso dei sistema delle relazioni internazionali a livello di feroce competizione basata sulle leggi della giungla;

 

in questa ottica e con la finalità di arrivare ad una più equa distribuzione delle risorse prodotte dal pianeta è necessaria una immediata ripresa del dialogo in materia di scambi commerciali,

impegnano il Governo:

a rilanciare, per quanto di sua competenza nell'Unione Europea, il Doha Round assumendo ogni utile iniziativa volta a contrastare spinte protezionistiche e ciò anche in previsione dell'allargamento a 25 dei Paesi aderenti all'UE;

 

ad attivarsi in ogni sede, nei confronti dei Paesi aderenti al cartello G 20 al fine di sensibilizzarli sulla necessità di addivenire ad un accordo sui Singapore issues.

 

(7-00361) «Landi di Chiavenna».

 

 

 

 

Atto Camera

 

Risoluzione in Commissione 7-00366

presentata da LAURA CIMA mercoledì 4 febbraio 2004 nella seduta n.418

 

Le Commissioni III e X,

premesso che:

 

la Quinta Conferenza Ministeriale del WTO tenutasi a Cancun dal 10 al 14 settembre 2003, si è conclusa nella delusione per non aver raggiunto accordi su nessuno degli argomenti oggetto dei negoziati, a cui si sono aggiunte le amare divisioni sul varo delle negoziazioni riguardanti l'agricoltura e i 4 nuovi temi di Singapore;

 

gli accordi preparatori per Cancun avevano prodotto un documento di lavoro che conteneva per lo più le posizioni protezionistiche dell'UE e degli USA, senza prendere in considerazione le richieste dei Paesi in Via di Sviluppo, ma l'insuccesso del Vertice ha aperto una partita che offre nuovi spazi per un modello di multilateralismo nel quale gruppi di paesi con interessi o vocazioni affini possano confrontarsi in maniera più democratica;

 

bisogna garantire ad ogni comunità internazionale la sovranità alimentare e il diritto di definire le proprie politiche e le strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e quindi l'accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione: la terra, l'acqua, il credito internazionale e il patrimonio genetico;

 

non occorre essere degli esperti in politiche agroalimentari per comprendere quanto sia decrepita l'impostazione legata alle sovvenzioni a pioggia, a uno sfruttamento intensivo della terra e ora all'utilizzo di sementi Ogm, un sistema che è vantaggioso solo per le multinazionali del settore che da sole controllano il mercato di alimenti geneticamente modificati e il 30 per cento del mercato globale dei semi;

 

studi recenti pubblicati dalla rivista Science hanno appurato che la produttività degli alimenti ottenuta con sementi Ogm non supera il 10 per cento delle colture tradizionali e che dunque la fame nel mondo non si attenua con le sementi transgeniche;

 

le popolazioni soffrono la fame o hanno carenze di vitamine non tanto perché cibo e vitamine non sono disponibili, quanto perché sono povere e non hanno i soldi per comprarli, come in Argentina dove ad esempio, si produce carne in abbondanza, ma gli argentini sono fra quei popoli che ne mangiano di meno (lo stesso discorso vale per le granaglie sud-americane); in Africa non si riesce a produrre alimenti utili a sfamare le loro popolazioni, perché il nord del mondo, ricco e opulento, chiede solo alimenti per il mercato occidentale cioè banane, ananas, datteri, caffè, eccetera, dunque prodotti non adatti a sfamare la popolazione africana;

 

con esclusione della facilitazione al commercio, o armonizzazione delle procedure doganali, i temi di Singapore non possono essere considerati questioni strettamente commerciali e quindi il WTO potrebbe non risultare come la sede più appropriata per negoziare tali temi, dal momento che in quella sede i princìpi negoziali si applicano ai beni commerciali e la semplice estensione a tematiche non commerciali potrebbe risultare difficile;

 

dopo la Ministeriale di Seattle, nel 1999, erano state previste delle riforme all'interno del WTO che non sono mai state realizzate e ora, dopo le accuse da parte dei Paesi in Via di Sviluppo per incapacità nel processo decisionale e mancanza di trasparenza e democrazia all'interno dell'organizzazione è più che mai urgente la sua trasformazione;

 

la nascita di nuove alleanze all'interno del WTO tra diversi paesi in via di sviluppo con interessi convergenti, che sono state legittimate politicamente nonostante l'esito della conferenza ministeriale, ha evidenziato l'innovativa realtà di un mondo multipolare e la necessità di mettere a punto strumenti negoziali multilaterali, democratici e all'altezza del nuovo scenario politico internazionale;

 

durante l'ultima edizione del Forum Economico Mondiale tenutosi a Davos lo scorso gennaio è emersa unanime la preoccupazione per il futuro determinato sia dallo stallo dei negoziati sul commercio internazionale, che attraverso misure come i sussidi all'agricoltura soffocano le economie più deboli, sia dalla minaccia del terrorismo mondiale e della guerra in Iraq che rischiano di far dimenticare le reali esigenze dei paesi poveri;

 

l'incontro ha evidenziato la necessità di riaprire i dialoghi e sciogliere il nodo della volontà politica dei paesi membri del WTO, per raggiungere un accordo entro il 2004 nei negoziati sulla liberalizzazione del commercio mondiale;

 

il Segretario Generale dell'Onu Kofi Annan ha rivolto un appello al mondo imprenditoriale affinché trovi il modo di ridurre il contributo, a volte cosciente a volte involontario, nell'alimentare i conflitti, spesso legati a rivalità fra fazioni per il controllo di risorse naturali, e per un maggiore attivismo degli imprenditori li ha invitati ad un vertice Global compact che si terrà a giugno a New York, e sarà l'inizio di una collaborazione tra ONU e imprese private;

impegna il Governo:

a dimostrare in ambito internazionale la volontà del nostro Paese, quale membro del WTO, di raggiungere un accordo sulla liberalizzazione del commercio mondiale entro il 2004;

 

ad impegnarsi in ogni sede europea ed internazionale, affinché siano seriamente considerate le richieste dei Paesi del G20 e sia siglato un accordo sui temi di Singapore;

 

a sollecitare la società imprenditoriale italiana a rispondere all'appello lanciato da Kofi Annan e partecipare al Global Compact impegnandosi attivamente affinché siano ridotti i motivi che alimentano i conflitti per il controllo delle risorse naturali;

 

di promuovere e rispettare la sovranità alimentare degli Stati, applicare il «principio di precauzione» prima dell'introduzione di risorse in grado di alterare la biodiversità, provocare danni alla salute e sottrarre agli agricoltori il diritto a praticare le colture millenarie indispensabili per la sopravvivenza;

 

a sostenere l'ipotesi di una riforma strutturale del WTO o la creazione di un organismo legittimato ad affrontare tematiche non esclusivamente commerciali con maggiore capacità decisionale, trasparenza e democrazia all'altezza del nuovo scenario politico internazionale.

 

(7-00366) «Cima».

 

 


 

XIV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 456 di lunedì 26 aprile 2004

 

 

Discussione delle mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357 e Cima ed altri n. 1-00361 sugli esiti della Conferenza di Cancun (ore 18,42).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357 e Cima ed altri n. 1-00361 sugli esiti della Conferenza di Cancun (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Avverto che è stata altresì presentata la mozione Antonio Leone n. 1-00363 (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1) che verte sullo stesso argomento. La discussione, pertanto, si svolgerà anche su tale mozione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Crucianelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00277 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

FAMIANO CRUCIANELLI. Vorrei aprire il mio intervento citando le parole pronunciate qualche tempo fa da Jacques Diouf, direttore generale della FAO, il quale, prima del vertice di Cancun, affermava: «(...) è alta la posta in gioco per l'incontro ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, per esempio, una migliore economia globale e la creazione di milioni di posti di lavoro grazie all'aumento degli scambi, ma per gli 840 milioni di persone che soffrono di fame nel mondo la posta è ancora più alta. Lo sviluppo dell'agricoltura e l'aumento dei posti di lavoro nelle zone rurali potrebbero segnare la differenza tra la possibilità di sopravvivenza e la morte. Il destino di queste persone sarà fondamentale per sapere se vivremo nella stabilità o in un mondo flagellato da economie in continua crisi, da turbolenze politiche e sociali».

Con questo tipo di aspettative si era giunti, lo scorso settembre, ad avviare i lavori della quinta Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio. Oggi, dopo circa sette mesi, siamo chiamati a tracciare un bilancio e a riflettere sulle cause di tale fallimento, per lo più scontato, ma ancor di più a comprendere come, a fronte di tali aspettative che permangono drammaticamente, la politica, le nostre istituzioni, la nostra cultura possano mettere in campo risposte convincenti.

Non partiamo dal nulla, partiamo dagli errori degli ultimi decenni, dalle nostre dimenticanze, dall'aver dimenticato, per esempio, un intero continente: l'Africa! Abbiamo dimenticato che due miliardi di esseri umani vivono o sopravvivono - ma più spesso muoiono - con meno di due dollari al giorno, che 842 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e che più di un miliardo di esse non ha accesso all'acqua potabile, che 3 milioni di bambini, ogni anno, muoiono a causa di malattie intestinali!

È da queste dimenticanze che dobbiamo ripartire! Per fortuna, devo ammettere che c'è chi aiuta a ricordare. Sono stati quei tantissimi giovani, cattolici e laici, che, impegnati in organismi non governativi, in campagne internazionali del volontariato, lo scorso 17 aprile hanno riempito le strade di Roma, dando vita ad un evento politico straordinario: una grande manifestazione per l'Africa, per la solidarietà e anche per la sostenibilità del nostro sistema sociale ed economico.

Ho inteso iniziare il mio intervento sulle mozioni in discussione a partire da questa breve riflessione perché sono convinto che la causa principale del fallimento del vertice del WTO è da ricercarsi, innanzitutto, nell'aridità politica e culturale che accompagna questi vertici internazionali.

Il vertice di Cancun è fallito perché ha dimenticato questo pezzo di mondo che era rimasto fuori! È fallito perché, al di là dei tatticismi o delle manovre più o meno occulte, non è stato in grado di rispondere a tali sfide.

I paesi del sud del mondo si sono trovati di fronte un gigante, egemonizzato dagli Stati Uniti, pronto a chiedere la liberalizzazione ai paesi poveri ma indisponibile a pur minime concessione di apertura del proprio mercato interno e ad abbassare i propri sussidi alle esportazioni.

Certo, si dirà che il WTO è un organismo democratico, dove anche il più piccolo Stato aderente può intervenire e decidere. A tale proposito, può esser utile citare le parole di una giovane delegata dell'Uganda che, in un'intervista a La Stampa, racconta così la sua esperienza: «Tutti i giorni i loro rappresentanti, in primo luogo quelli degli Stati Uniti, ci hanno chiamato a colloquio come se facessimo parte della loro delegazione e ci dettavano l'agenda (...) Voi dovete appoggiare o respingere questo o quel documento, votare quella certa mozione, rifiutare quell'altra e così via». Alla domanda su quale sarebbe stata la punizione per il mancato rispetto di tali richieste, la delegata rispondeva: minacciano di rivedere le esportazioni di cotone o la fornitura di medicinali per combattere l'AIDS; immagini qual è la rabbia e la frustrazione di una come me, che ha visto gli occhi dei bambini e degli adulti in agonia per questo male.

Il vertice del WTO è fallito. Si è discusso e si discuterà ancora a lungo se tale fallimento abbia rappresentato una vittoria oppure una sconfitta per i paesi poveri.

Di certo, si è trattato di una sconfitta per l'Europa che, proprio all'interno di questa contraddizione, avrebbe potuto giocare un ruolo fondamentale. L'Europa si è presentata con un documento unitario con gli Stati Uniti sull'agricoltura, scelta che si è rivelata provocatoria e che ha provocato uno contro documento da parte del cosiddetto G20, con a capo il Brasile e l'India.

Si è cercato, invece del confronto, la divisione tra i paesi del G20 e si è insistito, fino alle ultime ore, per imporre una risoluzione sugli investimenti, ignorando la contrarietà totale di tutti i paesi in via di sviluppo. La nostra delegazione, che durante il vertice aveva anche la responsabilità della Presidenza di turno dell'Unione europea, non è stata capace, non ha avuto la possibilità e, forse, neanche la volontà, di mettere in campo una pur minima iniziativa politica.

È indispensabile una svolta. Chiediamo al Governo italiano di farsi promotore, innanzitutto in sede comunitaria, di un cambio di marcia. Ci sono alcune questioni emblematiche su cui impegnarsi da subito. Intanto, ne cito una: il cotone.

Il cotone, o meglio, il suo commercio internazionale, ha rappresentato uno dei punti di maggiore scontro all'interno del vertice di Cancun. Gli Stati Uniti intervengono in sussidi a favore dei propri produttori di cotone nella misura di 4 miliardi di dollari, una cifra che è più dell'intero prodotto lordo del Burkina Faso e tre volte l'intero bilancio degli Stati Uniti per gli aiuti all'Africa.

A fronte di queste cifre, per un produttore di cotone del Mali, non vi è nessuna speranza di poter competere nel commercio internazionale!

Si calcola che circa dieci milioni di agricoltori africani sono impegnati nella produzione di cotone e vivono nelle aree più depresse del sud del Sahara. Un atto importante e non simbolico, ma concreto, da parte dell'Italia, sarebbe quello di farsi carico di tale questione per farla affrontare nelle prossime assise internazionali.

Bisognerebbe passare da una forma di sussidio alle esportazioni, a beneficio unicamente della grande industria, a forme di sostegno che tutelino la qualità, i mercati locali, l'agricoltura familiare, con una particolare attenzione alle produzioni ambientalmente sostenibili, all'esclusione di OGM e a misure per lo sviluppo del biologico e della filiera del commercio equo e solidale.

Questa nuova politica favorirebbe sia i piccoli produttori europei, sia quelli africani che, oggi, sono ai margini del commercio internazionale.

Sono anni che i paesi africani richiedono un trattamento speciale e differenziato in sede WTO e regole più eque su alcuni prodotti imprescindibili per il loro sviluppo, come, per esempio, il cotone.

Non solo tali richieste non sono mai state considerate ma, al contrario, l'Unione europea ha continuato ad insistere per l'apertura di nuovi negoziati - i temi di Singapore - contro l'esplicita avversione della quasi unanimità dei paesi in via di sviluppo.

Visti questi ripetuti fallimenti, sarebbe utile ripensare se non sarebbe più opportuno investire di tali tematiche altri organismi internazionali, quali, ad esempio, la FAO e le altre agenzie delle Nazioni Unite, in quanto sedi più idonee a trattare questioni che, prima che interessi commerciali, investono temi fondamentali come l'ambiente, lo sviluppo e la stessa sopravvivenza di milioni di uomini e donne.

Altro tema di forte contrasto che ha prodotto il fallimento del vertice di Cancun è legato all'introduzione nell'agenda del WTO dei quattro temi di Singapore: investimenti, trasparenza degli appalti pubblici, concorrenza e facilitazione del commercio.

Nel testo della mozione abbiamo ampiamente ripercorso la storia recente di questi negoziati, illustrando come tali temi siano vissuti dai paesi in via di sviluppo come un'imposizione da parte del nord del mondo in tematiche non solo commerciali, ma che inciderebbero sulla sovranità politica e sociale dei paesi del sud.

Dobbiamo lavorare affinché l'agenda del WTO non si espanda ulteriormente, ma, anzi, si concentri sulle questioni strettamente commerciali, delegando progressivamente alle agenzie dell'ONU le questioni di loro competenza: medicinali a tutela della salute all'OMS, sovranità alimentare alla FAO, sviluppo all'UNDP e all'UNCTAD.

È urgente che i diritti sociali e umani e la tutela ambientale abbiano la precedenza sulle questioni meramente commerciali. In questa direzione, dal calendario del WTO andranno accantonati i temi di Singapore, non per riproporli - come pure si sta facendo in altre sedi - quali accordi bilaterali e regionali o in sede OCSE nella stessa forma. È certo che una regolamentazione sugli investimenti potrebbe aiutare lo sviluppo sostenibile, ma non se tali accordi puntano unicamente a garantire i diritti delle grandi corporation, minando la sovranità nazionale degli Stati e la loro possibilità di cercare un modello originale di sviluppo economico decidendo se, come e quando aprirsi ad investimenti esteri.

Vorrei concludere il mio intervento ricordando le parole del segretario generale dell'ONU Kofi Annan all'apertura dei lavori del vertice di Cancun: «Invece di una concorrenza equa, permangono i sussidi e i paesi ricchi. Invece di regole globali negoziate da tutti, nell'interesse di tutti e condivise da tutti, ci sono troppe decisioni prese a porte chiuse, troppo a protezione di interessi particolari, troppe promesse infrante. Il danno è enorme. Le vittime si contano a miliardi. Io vi imploro di dire no a politiche che aggravano la povertà, no a pratiche commerciali che compromettano gli aiuti».

Signor rappresentante del Governo, siamo giunti ad un secondo dibattito su questi temi. Il primo dibattito è stato svolto prima del vertice di Cancun. Questo dibattito riguarda il bilancio ed anche la commemorazione di quell'evento, che si rivelò, per l'appunto, un fallimento.

Mi auguro che il dibattito odierno, che avviene in un momento particolare della nostra vita politica e della situazione internazionale, e che non è estraneo alle questioni mondiali che ci bruciano oggi sulla pelle, non sia inutile.

Ricordo che nel dibattito che si svolse quando si discuteva della guerra in Afghanistan, tutti quanti, in primis il Governo, sostennero la tesi che l'iniziativa militare era solo un aspetto della guerra al terrorismo. Ricordo anche che si fece una conferenza a Monterray delle Nazioni Unite alla quale parteciparono tutti i più grandi rappresentanti politici del mondo, da Bush a Chirac, ai rappresentanti della Commissione europea, compreso Romano Prodi, fino a centinaia di ministri degli esteri. In quella sede fu riproposto da Kofi Annan e dalle Nazioni Unite il problema dello sviluppo del sud del mondo e quindi, fondamentalmente, delle regole commerciali che devono guidare l'economia mondiale.

La risposta che allora dette il Presidente degli Stati Uniti fu molto deludente, perché, rivolto a questi paesi, egli disse: se volete intraprendere un futuro fertile, dovete fare la lotta al terrorismo e poi praticare e aprirvi al libero mercato.

Sono passati ormai tre anni da quando il mondo è stato scosso da drammatiche e tremende vicende (la prima guerra in Afghanistan, la seconda guerra in Iraq). In tutto questo periodo continuativamente ogni qual volta si è discusso, anche in quest'aula, si è sempre richiamato il problema della straordinaria disperazione sociale nella quale vive una gran parte del mondo.

Mi auguro che questo dibattito, che ovviamente non può affrontare e risolvere questi problemi, possa almeno dare un contributo positivo.

In questo mio brevissimo intervento ho voluto richiamare, non a caso, solo una questione, che a Cancun - come ricorderà l'onorevole Landi di Chiavenna - ha aperto un contenzioso molto forte. La rottura a Cancun avvenne infatti, prima ancora che per iniziativa del G20, per iniziativa dei paesi africani, a fronte della totale e deludente risposta che si dette loro quando essi dissero: dateci una risposta positiva almeno su una questione che per noi riveste un valore emblematico, perché rappresenta la possibilità di vita per una fascia importante di povertà del nostro mondo. La risposta che si dette fu quella di mettere il cotone al ventitreesimo posto dell'Agenda finale. Ciò determinò la reazione del rappresentante africano, che si alzò e se ne andò.

Mi auguro che il Governo mostri oggi una nuova sensibilità e che si possa discutere non solo delle grandi questioni commerciali che regolano il mondo.

Ho letto un articolo, pubblicato sul Sole 24 ore, in cui si affermava che gli scambi del mondo stanno andando meglio, indicando le relative cifre. La cosa sorprendente - perché talvolta discutiamo senza avere neanche la cognizione dei dati - è che nell'attuale miglioramento del commercio mondiale, una funzione importantissima è svolta dalla Cina, di cui si parla talvolta come «pericolo giallo». La Cina, in realtà, è un paese che oggi importa più di quanto esporta. Questa è la situazione.

Dentro il quadro mondiale nel quale si giocano i grandi scambi, il problema delle risposte che dobbiamo dare a quella gran parte del mondo che neppure partecipa agli scambi commerciali, perché non è né in condizione economica né sociale per farlo, resta pesantissimo.

Ecco perché mi auguro che questo dibattito non sia rituale ed inutile e che, perlomeno su una questione che qui richiamavo per il suo valore emblematico, si possa avere un confronto e forse anche una qualche soluzione unitaria in quest'Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Landi di Chiavenna, che illustrerà anche la mozione Anedda n. 1-00357, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Per quanto vi siano profonde divergenze di valutazione e di impostazione politica e culturale fra le mozioni, dell'opposizione e quelle della maggioranza, su un aspetto ritengo che vi sia una totale convergenza di vedute, ossia la necessità di rilanciare l'Agenda di Doha per tutta una serie di considerazioni che sono state già in parte esposte dal collega Crucianelli e che trovano una parziale condivisione da parte del sottoscritto, anche a nome della maggioranza. È necessario che il rilancio dell'agenda Doha consenta un recupero di dialogo tra i paesi del nord e del sud del mondo, che è assolutamente indispensabile per appianare quella conflittualità che, purtroppo, è emersa proprio nel corso del dibattito a Cancun.

Vorrei molto brevemente, nei limiti del tempo che mi è consentito, fare il punto della situazione al 21 aprile, sulla base almeno dei dati in mio possesso, perché in tale data si è tenuta a Ginevra la prima sessione del comitato per la negoziazione del commercio con l'estero dopo l'insuccesso di Cancun. La riunione era attesa, più che per gli aspetti sostanziali, per il segnale politico di conferma della piena ripresa del processo negoziale.

Nel suo intervento introduttivo, il direttore generale Supachai ha dichiarato che i suoi recenti incontri a livello politico lo incoraggiano a ritenere che nell'arco di tempo da qui fino alla pausa estiva possano essere fatti degli sforzi decisivi per salvare l'esito delle trattative. Sebbene non si registrino ancora dei progressi sostanziali, egli è convinto che i temi chiave e le possibili soluzioni incomincino a profilarsi con maggiore chiarezza. Supachai, infatti, è determinato a sfruttare al massimo tale periodo per identificare i termini di un accordo-quadro sulle modalità del negoziato.

In tal senso si è deciso di sfruttare al massimo il periodo di aprile-luglio per tentare di raggiungere un accordo quadro sulle modalità, che avrebbe già dovuto essere messo a punto nella conferenza ministeriale dello scorso settembre, per ottenere significativi progressi in agricoltura.

La Presidenza ha fatto cenno anche alla eventualità che a Ginevra, in concomitanza dell'ultima riunione dei gruppi di lavoro prima della pausa estiva, possa essere prevista la presenza di alcuni ministri, in una sorta di conferenza ministeriale che dovrebbe, almeno auspicabilmente, svolgersi a Londra verso la fine di questo mese o agli inizi del mese di maggio. L'Italia ha già vagliato posizioni e priorità con la Commissione e la Presidenza irlandese, e saranno presenti - ciò almeno è auspicabile - il Segretario di Stato americano al commercio, Zoellick, il commissario Lamy e i ministri del commercio del Brasile, del Kenya, del Messico e del Sudafrica.

Sui singoli capitoli la situazione, in sintesi, è la seguente. In materia di agricoltura sono state fissate tornate negoziali di una settimana nei quattro prossimi mesi. La Commissione ha fatto presente che permangono i noti problemi per quanto riguarda i temi ritenuti critici per i major players, cioè i sussidi all'export per l'Unione europea (ancorché l'Italia abbia ottenuto dalla Commissione l'impegno alla immediata abolizione dei sussidi all'export per i beni ritenuti sensibili per i paesi meno avanzati), l'accesso al mercato per il Giappone e gli aiuti interni per gli Stati Uniti. Anche per questo è stato sottolineato che, per raggiungere l'obiettivo di accordo quadro entro il mese di luglio, è opportuno non parlare di cifre, nel senso di non arrivare ad alcuna quantificazione numerica delle proposte sul tavolo negoziale, ma limitarsi a mettere a punto esclusivamente gli obiettivi generali. Timide aperture in questo senso sembrano essere state registrate anche nella posizione brasiliana.

Da parte di alcune delegazioni, tra cui quella italiana, è stata ribadita l'esigenza di un negoziato agricolo bilanciato, che non tralasci alcuno dei settori importanti in cambio di buoni risultati in altri campi. La Commissione ha rassicurato le delegazioni, precisando che effettuerà qualunque sforzo per arrivare ad un impegno unico, ma anche equilibrato, che porti vantaggi e miglioramenti reciproci per tutti i paesi, e soprattutto - e qui concordo con l'onorevole Crucianelli - per dare dei segnali di grande attenzione ai paesi del sud del mondo. Infatti i dati che ha citato il collega Crucianelli in ordine alle capacità reddituali, e quindi ai livelli di sopravvivenza, alle carestie endemiche e alle situazioni drammatiche in cui vivono alcuni miliardi di persone, colpiscono la sensibilità di tutti coloro che hanno a cuore questi temi, e il commercio internazionale non può prescindere da una visione solidale e umanistica. Le rinunce, che tutti auspicano, alle politiche nazionalistiche e protezionistiche debbono rivolgersi ad una economia di mercato dotata di una visione più solidaristica.

Il secondo punto all'attenzione è l'accesso al mercato: anche l'India ha mostrato qualche segnale di apertura, in particolare sulle tariffe. Questo paese, che in passato sembrava non voler accettare alcuna riduzione, ora è apparso sensibile alle argomentazioni in favore della necessità di modulare diversamente le tariffe nei confronti di paesi con diverso e minore grado di sviluppo. Sembrerebbe quindi che l'India, anche grazie al consolidamento del suo tasso di crescita intorno al 9 per cento su base annua, possa iniziare ad accettare l'idea di un trattamento migliore per il G90. Inoltre, il colosso asiatico non ha più insistito per una formula più lineare di riduzione delle tariffe, ma è sembrato disponibile a discutere eventuali tagli sui picchi tariffari. Naturalmente, solo l'avvio effettivo dei negoziati potrà mostrare quanto questi primi segnali corrispondano ad un impegno reale.

Sui temi di Singapore (questo è un punto di divergenza rispetto alla mozione dell'onorevole Crucianelli) - che noi riteniamo estremamente importanti - la Commissione, su stimolo dell'Italia, aveva fatto circolare già da dicembre, come corollario del semestre di Presidenza del nostro paese, un documento illustrativo della posizione comunitaria. Come già prospettato a Cancun, bisogna dare prova di grande flessibilità su questi temi, anche perché è chiaro che l'Unione non è disposta a pagare significative contropartite per tematiche, quali ad esempio gli investimenti, che potrebbero in primo luogo essere d'interesse dei paesi beneficiari. Quindi - mi rivolgo sempre all'amico Crucianelli -, forse è il caso di ridurre il tasso di «ideologizzazione» sui temi di Singapore e capire quanto essi possano essere, se trattati in modo coerente, di utilità anche per il rilancio e il rafforzamento dell'economia dei paesi poveri e in via di sviluppo.

Proprio su investimenti e concorrenza non sembra esservi, al momento, alcuna possibilità di accordo. Qualche difficoltà si registra sugli appalti pubblici, mentre le facilitazioni al commercio restano l'unico punto con buone prospettive negoziali. Le delegazioni di Regno Unito, Danimarca e Svezia hanno ribadito la necessità che la Commissione non abbandoni i temi di Singapore, in particolare quello degli appalti pubblici.

Il terzo tema affrontato nella riunione del 21 aprile scorso è quello dello sviluppo. Nel considerare gli scarsi risultati ottenuti su questo argomento attraverso l'approccio bilaterale, è stato sottolineato che, sebbene non si sia registrato a Ginevra alcun entusiasmo in merito, l'approccio multilaterale sembra rimanere l'unico possibile. Su due temi l'Italia è fortemente impegnata: le indicazioni geografiche e i farmaci salvavita, e su di essi il nostro paese svolgerà un ruolo fondamentale.

Perché è necessario rilanciare l'agenda di Doha? Per alcune considerazioni vitali per il sistema del pianeta, che vogliamo continuare o, per meglio dire, vogliamo riprendere a far vivere in un clima di nuova pacificazione e migliore prosperità, con prospettive future per la società comunque globalizzata.

La prima considerazione risiede nel complesso quadro di instabilità geopolitica che vede, nel caso iracheno e medio-orientale, la punta più avanzata in una mancanza di visione politica ed economica illuminata. Non è infatti errato sostenere che il miglioramento delle condizioni economiche di molti paesi poveri o in via di sviluppo aiuterebbe a ritrovare quel senso di responsabilità politica multilaterale che oggi è un fattore di destabilizzazione: più prosperità e più solidarietà consentirebbero azioni di sostegno politico più coese verso il contrasto fermo e risoluto al terrorismo internazionale, certamente ideologizzato, ma che trova facile terreno di coltura anche nelle grandi sacche di povertà e di disagio presenti in molte popolazioni. È come dire che, maggiore è il benessere, minori sarebbero le spinte a cooptare nelle file del terrorismo adepti preda della disperazione sociale ed economica. Più benessere sta anche alla base di processi di democratizzazione di molte aree geografiche, dove latitano i fondamentali della democrazia, secondo almeno l'accezione che noi occidentali diamo a questa parola. E non può non preoccupare il recente dato secondo il quale la maggioranza dei popoli dell'America centrale latina opterrebbero, ancora oggi, per regimi non democratici; se è vero che le democrazie non si esportano, è purtuttavia necessario lavorare per impiantare i semi della democrazia e del rispetto dei diritti umani e civili. È una sfida cruciale per nulla estranea all'economia mondiale, alle liberalizzazioni del mercato e dei commerci.

A questi processi, dunque, non possono risultare estranei gli organismi multilateriali, come l'Organizzazione del commercio mondiale e le Nazioni Unite (ognuna con responsabilità enormi), per i quali dunque è necessario auspicare un recupero di credibilità, compromessa, quanto alla Organizzazione mondiale del commercio, dal fallimento di Cancun e, quanto alle Nazioni Unite, anche purtroppo - e vanno qui ricordati - dagli scandali del programma «Petrol for food» in Iraq, che coinvolgono anche il Palazzo di vetro, e dagli insuccessi ottenuti in Africa, in Rwanda, in Somalia, e in parte anche in Kosovo.

Vi è un'altra considerazione: le liberalizzazioni sono la strada per la crescita delle economie. La ripresa economica latita in molte aree del pianeta; l'Europa né è un penoso esempio. Certo, molti eventi si sono susseguiti a giustificare questa cattiva evoluzione congiunturale: dall'attentato dell'11 settembre 2001 ai drammatici risvolti della guerra in Iraq, fino alla prepotente concorrenza cinese sui mercati internazionali e agli scandali finanziari, che stanno rendendo meno agevole il ricorso al debito per le imprese, quelle italiane in particolare.

Ma ogni epoca ha avuto i suoi problemi: quello che sgomenta è la scarsa capacità di reazione del sistema europeo che, a fronte dei problemi epocali, si dibatte su questioni minute interne e non è in grado di licenziare vere e serie riforme strutturali che rendano l'Europa un soggetto politico ed economico credibile e competitivo. Non esistono ricette magiche di fronte alle rigidità del sistema, alle incrostazioni ideologiche, al rigurgito della partitocrazia, alla cultura nazionalistica che frena - bisogna sottolinearlo - il processo di crescita e di arricchimento politico della vecchia Europa.

Per quanti sforzi si possano e si debbano compiere nell'ambito degli organismi multilaterali, è tuttavia necessario che gli Stati europei, unitariamente e collegialmente, capiscano che è necessario costruire veramente un mercato interno europeo, liberalizzando i settori e aprendo alla concorrenza.

L'Italia deve assumere una posizione avanzata in Europa, ponendosi alla guida del processo di unificazione dei mercati. Nel caso contrario, otterremmo probabilmente qualche vantaggio, ad esempio sulle quote latte, ma finiremmo per perdere tutte le nostre grandi imprese di servizi a causa del restringimento del mercato interno e della formazione di alleanze di carattere internazionale.

L'Italia deve favorire la crescita dimensionale delle nostre imprese, affinché siano in grado di affrontare mercati più ampi combattendo la concorrenza dei nuovi paesi industrializzati, come la Cina, certamente non con le politiche sui dazi ma perseguendo la qualità rapportata al miglior prezzo del prodotto.

L'internazionalizzazione delle relazioni commerciali costituisce un fattore strategico per il rilancio della nostra economia, che va peraltro accompagnato da coraggiose scelte in campo fiscale e dalla diminuzione del costo del lavoro. Su tali temi si manifesta la capacità politica e strategica del Governo, e in particolare del Governo di centrodestra, che forse dimostra ancora eccessiva timidezza nella cultura liberale di mercato. I dati sull'internazionalizzazione non sono incoraggianti: la costituzione di joint venture con imprese straniere è patrimonio, in Italia, solo del 5 per cento delle imprese nazionali; il 48 per cento delle imprese internazionalizza in totale isolamento, non trovando adeguati livelli di assistenza e di supporto in alcuno dei soggetti, pubblici o privati, preposti a tale strategico compito.

È dunque necessario «fare sistema»: si tratta di una sfida essenziale, nella quale - lo ripeto - si manifesta la capacità politica e strategica del Governo. L'Italia e l'Europa non possono permettersi l'errore di rinchiudersi nel proprio orticello, coltivando azioni premianti sul piano elettorale ma miopi dal punto di vista della strategia di lungo periodo.

Non meno gravi sono tuttavia le responsabilità dei paesi in via di sviluppo, come è stato avvertito chiaramente a Cancun. La sfida è certamente fra il Nord e il Sud, ma non vanno sottovalutati i problemi nell'ambito del Sud, con le gravi implicazioni che derivano e deriveranno dal contrasto politico, economico e sociale fra numerosi paesi poveri o in via di sviluppo.

È certamente necessario un commercio internazionale più equo e solidale, forse anche meno ispirato alla sola logica del profitto, ma sono sicuramente altresì necessari un minor tasso di ideologia e maggiori innesti di processi democratici. Non avrebbe senso, infatti, liberalizzare i mercati, se gli effetti positivi non dovessero ricadere sulle popolazioni la cui situazione - si tratta di quasi la metà del pianeta - è al di sotto dei livelli medi di sopravvivenza.

Non si tratta, dunque, di essere meno ricchi al Nord e più ricchi al Sud del mondo; si tratta di comprendere che le regole di un sano liberalismo economico, politico e sociale costituiscono l'unica medicina per iniziare a salvare il mondo. Occorre superare le barriere del protezionismo e delle ideologie, non in virtù di un «pensiero unico», ma per impiantare un seme di pace mondiale che faccia crescere la pianta della sopravvivenza del pianeta.

In tal senso, auspichiamo la pronta e decisa ripresa dell'agenda di Doha ed auspichiamo che l'Europa, l'Italia e gli Stati che hanno forti e reali responsabilità politiche ed economiche sappiano dare un segnale di attenzione. Infatti, la ripresa dei mercati in una chiave di maggiore liberalizzazione costituisce parte integrante e chiave di lettura anche per la soluzione dei gravi problemi di carattere geopolitico che stanno compromettendo gli equilibri e la pace del pianeta. Alleanza nazionale auspica pertanto la ripresa e il rilancio dell'agenda di Doha, affinché essa possa essere portata a compimento nei tempi previsti, vale a dire entro il gennaio 2005.

Il Governo è certamente impegnato a rilanciare tali questioni ed a fare quanto è nelle sue possibilità nell'ambito dell'Unione europea per stimolare l'attenzione dei paesi europei sui temi del commercio e della solidarietà. Sono tuttavia necessarie altrettanta sensibilità, altrettanta chiarezza e altrettanta capacità di interpretare la realtà in modo «de-ideologizzato» e più liberale e trasparente da parte dei paesi del Sud e in via di sviluppo, che spesso hanno dimostrato scarsa sensibilità sul piano democratico. Occorrono dunque meno ideologia, più libertà, più mercato, meno incrostazioni ideologiche, meno burocrazia e maggiore volontà di costruire un mondo libero e liberale, che sappia coniugare benessere e mercato, profitto e solidarietà.

Ciò è nell'interesse non solo dell'Italia, ma di tutto il mondo. Sono convinto che questo dibattito - condivido al riguardo l'auspicio del collega Crucianelli - possa far registrare un'ampia condivisione di almeno alcuni temi fondamentali e suscitare l'interesse del Parlamento. Non possiamo condividere alcuni aspetti delle mozioni presentate dall'opposizione, ma riscontriamo spunti di interesse sui quali occorre lavorare congiuntamente. Ci dividono visioni diverse per quanto concerne il rilancio dell'agenda di Doha e i temi di Singapore; tuttavia, ritengo sia unanime la concorde volontà di trovare almeno una piattaforma comune per rilanciare seriamente un accordo fondamentale, che è alla base della sopravvivenza del mondo. In caso contrario, il terrorismo e le piaghe sociali ed economiche continueranno a prevalere sugli interessi della collettività.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, senatore Ventucci.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esito negativo della conferenza di Cancun ha indotto a una profonda riflessione in sede comunitaria sulle migliori strategie da perseguire per un concreto rilancio dei negoziati commerciali multilaterali. L'Italia, quale presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, si è impegnata, nei mesi successivi al vertice di Cancun, affinché la pausa di riflessione fosse il più possibile breve, profonda, costruttiva ed utile a sviluppare una tattica europea per la «ripartenza», come auspicato dall'onorevole Crucianelli e dall'onorevole Landi di Chiavenna.

Le conclusioni del Consiglio affari generali dell'8 dicembre 2003 e le riunioni informali dei ministri del commercio del 2 dicembre 2003 e del 25 gennaio 2004 hanno costituito le basi per un'azione congiunta dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, finalizzata al rilancio del negoziato attraverso la riaffermazione dell'approccio multilaterale, quale obiettivo prioritario della politica commerciale dell'Uunione, a una maggiore flessibilità su alcuni temi negoziali e a un maggiore dialogo ed attenzione per alcune esigenze manifestate dai nuovi player negoziali.

Le conclusioni del Consiglio affari generali dell'8 dicembre 2003 hanno evidenziato l'orientamento della Comunità europea a far rivivere e a rivalutare i negoziati di Doha e a prestare maggiore attenzione alle richieste formulate a Cancun dai paesi del G20 e del G90. Sulla base di tali conclusioni, l'Unione europea riafferma l'orientamento per cui i negoziati dell'agenda di Doha continuano ad offrire notevoli potenzialità per promuovere lo sviluppo economico di lunga durata e per stimolare il commercio e gli investimenti anche attraverso maggiore dialogo e attenzione nei confronti degli interessi espressi dai nuovi player negoziali.

Tuttavia, non è emersa un'indicazione contraria circa l'inclusione nell'agenda negoziale dei temi di Singapore, che rimangono di interesse degli Stati membri dell'Unione. Le conclusioni del Consiglio affari generali dell'8 dicembre 2003 riaffermano, infatti, la validità delle conclusioni del 1999. Il Consiglio, al fine di favorire la rapida ripresa dei negoziati, riconosce tuttavia l'opportunità di mostrare la necessaria flessibilità di un certo numero di aree, sulla base delle discussioni che si sono sviluppate nei mesi recenti. In merito ai temi di Singapore, tale flessibilità potrebbe concretizzarsi nella possibilità di trattarne almeno due - investimenti e concorrenza - al di fuori dell'agenda di Doha, prevedendo negoziati su base volontaria con la possibilità di clausole di opting out per i paesi che abbiano preso parte alla definizione di un eventuale accordo.

Pertanto, alcuni degli impegni contenuti nelle mozioni all'ordine del giorno, alla luce di quanto emerge dall'attuale situazione negoziale, sono condivisibili e vanno nella direzione delle iniziative già intraprese dall'Italia, sia a livello bilaterale sia in sede comunitaria.

Il Governo si riserva tuttavia di intervenire nel prosieguo del dibattito al fine di precisare il proprio parere sulle mozioni stesse.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

 

 


Allegato A

Seduta n. 456 del 26/4/2004

 

MOZIONI CRUCIANELLI ED ALTRI N. 1-00277, ANEDDA ED ALTRI N. 1-00357, CIMA ED ALTRI N. 1-00361 E ANTONIO LEONE N. 1-00363 SUGLI ESITI DELLA CONFERENZA DI CANCUN

(Sezione 1 - Mozioni)

 

La Camera,

premesso che:

dal 10 al 14 settembre 2003 si è svolta a Cancun (Messico) la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio;

la suddetta conferenza si è conclusa con il completo fallimento (il secondo a livello ministeriale in soli quattro anni) di tutti gli argomenti oggetto dei negoziati; ciò rende evidente una crisi di funzionamento dell'istituzione, a fronte di un significativo aumento dei Paesi membri rispetto all'accordo Gatt e di un ampliamento molto rapido dell'agenda negoziale a scapito della verifica dell'attuazione degli accordi esistenti, come richiesto dai Paesi in via di sviluppo;

tra i negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio, quello sull'agricoltura - e in particolare la questione specifica del cotone per quel che concerne i Paesi dell'Africa occidentale - ha rivestito a Cancun un'importanza cruciale, in primo luogo per le economie dei Paesi in via di sviluppo, nonostante il negoziato a Cancun si sia interrotto sulla questione dell'allargamento del mandato negoziale dell'Organizzazione mondiale del commercio sui nuovi quattro temi, cosiddetti di Singapore, concernenti la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza negli appalti pubblici e la facilitazione al commercio;

oltre settanta Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio hanno esplicitamente dichiarato, prima e durante la Conferenza ministeriale di Cancun, di non essere pronti a negoziare i temi di Singapore e l'insistenza sulla necessità di avviare al più presto i negoziati, in particolare da parte dell'Unione europea, ha creato una forte tensione non solo tra i membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma anche tra gli stessi rappresentanti dell'Unione europea;

dopo il fallimento della Conferenza ministeriale di Cancun, l'Unione europea ha proposto un approccio plurilaterale, in base al quale solo i Paesi interessati potrebbero avviare e aderire ai negoziati sui temi di Singapore. Questo approccio è già stato respinto con forza dalla maggioranza dei Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, perché non risolverebbe in alcun modo i problemi legati all'introduzione di queste tematiche e anche perché un approccio plurilaterale non sarebbe ipotizzabile per un organismo multilaterale come l'Organizzazione mondiale del commercio;

il General council dell'Organizzazione mondiale del commercio a Ginevra, a dicembre del 2003, si è aperto con la richiesta di 44 Paesi in via di sviluppo di abbandonare immediatamente i Singapore issues, con l'eccezione parziale delle sole facilitazioni al commercio, e si è chiuso con la richiesta dei 90 Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio che fanno parte dell'Unione africana, del gruppo Africa-Caraibi-Pacifico e del gruppo dei Paesi meno sviluppati di abbandonare i negoziati su tutti e quattro i nuovi temi, respingendo nuovamente anche l'approccio plurilaterale proposto dall'Unione europea;

il Rappresentante al commercio degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, in una lettera spedita a metà gennaio del 2004 a tutti i Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, proponeva di abbandonare immediatamente i negoziati su investimenti e concorrenza per lavorare unicamente sulle facilitazioni al commercio, lasciando un minimo spiraglio aperto per successivi discorsi sul tema della trasparenza negli appalti pubblici;

nel corso dell'ultimo General council del febbraio 2004 sono stati nominati i presidenti dei diversi organismi e gruppi di lavoro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma non è stato proposto nessun nome per eventuali gruppi di lavoro sui temi di Singapore, a testimonianza della forte contrarietà della grande maggioranza dei Paesi membri verso questi negoziati;

con esclusione della facilitazione al commercio o armonizzazione delle procedure doganali, i temi di Singapore non possono essere considerati questioni strettamente commerciali: quindi, l'Organizzazione mondiale del commercio potrebbe non risultare come la sede più appropriata per negoziare tali temi, dal momento che i principi negoziali dell'Organizzazione mondiale del commercio si applicano ai beni commerciali e la semplice estensione a tematiche non commerciali potrebbe risultare difficile;

la dichiarazione finale della Conferenza ministeriale di Doha chiariva, rispetto ai temi di Singapore, che «i negoziati inizieranno dopo la quinta sessione della Conferenza ministeriale sulla base di una decisione da prendersi, con il metodo del consenso esplicito, nel corso di quella sessione, sulle modalità dei negoziati». Considerato che non solo non è stato raggiunto il consenso esplicito, ma la Conferenza di Cancun è fallita proprio su questi negoziati, rimane incerto se esista ancora un qualche mandato per continuare i negoziati o se dopo Cancun i temi di Singapore debbano essere considerati a tutti gli effetti decaduti e fuori dall'agenda negoziale di Doha;

il mandato conferito dal Consiglio europeo al Commissario europeo al commercio data ormai a prima della terza Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, tenutasi a Seattle nel dicembre 1999, nonostante prima del collasso dei negoziati fosse stato convocato un incontro del Consiglio europeo, non svoltosi pienamente, sotto la presidenza italiana a Cancun, al fine di modificare il mandato del Commissario Pascal Lamy, proprio per quanto concerneva la questione dei nuovi temi;

l'Italia, in quanto presidente di turno dell'Unione europea, in particolare nella persona del Vice Ministro delle attività produttive con delega al commercio estero, onorevole Adolfo Urso, aveva confidato nel ruolo di guida della Commissione europea nel sostenere le richieste italiane, come il riconoscimento delle indicazioni geografiche per i prodotti agricoli di qualità italiani, ma l'insistenza della Commissione europea sui temi di Singapore ha pregiudicato la possibilità di andare avanti nei negoziati e di strappare concessioni sulle indicazioni geografiche agli altri Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio;

oltre ai forti contrasti in materia di agricoltura, alla base del fallimento del vertice di Cancun, vi è stata la crescente diffidenza nei confronti del processo decisionale e della mancanza di democrazia e trasparenza all'interno dell'organizzazione, in particolare da parte dei Paesi in via di sviluppo: dopo la Conferenza ministeriale di Seattle, nel 1999, erano state previste delle riforme al riguardo, che non sono mai state realizzate;

la nascita di nuove alleanze all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio tra diversi Paesi in via di sviluppo con interessi convergenti, che sono state legittimate politicamente nonostante l'esito della conferenza ministeriale, ha evidenziato l'innovativa realtà di un mondo multipolare e la necessità di mettere a punto strumenti negoziali multilaterali, democratici e all'altezza del nuovo scenario politico internazionale;

il fallimento della Conferenza ministeriale di Cancun ha dimostrato l'incapacità dell'Organizzazione mondiale del commercio a trattare temi quali l'agricoltura, i servizi o gli investimenti soltanto come materie di libero commercio, trascurando così la necessità di promuovere i beni pubblici globali prima delle stesse regole del commercio e di contribuire all'attuazione delle norme internazionali già esistenti in materia ambientale e di diritto del lavoro;

i beni pubblici globali e i servizi essenziali, fondamentali nella definizione delle politiche di sviluppo e per la sovranità nazionale e per i diritti dei popoli, nel nord come nel sud del mondo, sono oggi minacciati dal negoziato sui servizi (Gats), che tende a ridurli a meri beni commerciali e che procede, malgrado il fallimento del vertice di Cancun, nella direzione di una completa liberalizzazione della gestione delle risorse idriche, della sanità e degli altri servizi pubblici essenziali;

l'attuale impasse nell'agenda commerciale multilaterale potrebbe aprire la strada ad accordi bilaterali o regionali ancora meno trasparenti e democratici di quelli negoziati in sede di Organizzazione mondiale del commercio, come ammesso nelle dichiarazioni del Rappresentante al commercio dell'amministrazione degli Stati Uniti d'America, e il prezzo di questo fallimento andrebbe, quindi, a ricadere ancora una volta sui Paesi più poveri, che risultano in posizione inferiore nei negoziati bilaterali con i Paesi forti;

risulta, invece, necessario ed urgente costruire un sistema di regole e di accordi multilaterali per regolamentare tutti gli aspetti legati al commercio internazionale e all'interno di questo quadro le agenzie specializzate delle Nazioni Unite dovrebbero giocare un ruolo chiave e complementare all'Organizzazione mondiale del commercio nella definizione di standard di sicurezza e di regole di salvaguardia sociale ed ambientale, nonché nel monitoraggio della corretta implementazione di queste regole;

impegna il Governo:

a confermare la scelta di adoperarsi per una politica multilaterale rispetto a possibili negoziati bilaterali o regionali in materia commerciale, con il fine di rivedere il mandato negoziale dell'Organizzazione mondiale del commercio, anche riguardo ad accordi esistenti, e di considerare modalità operative di raccordo tra le agenzie specializzate delle Nazioni Unite in materia di ambiente, diritti del lavoro, agricoltura, commercio e sviluppo con l'Organizzazione mondiale del commercio;

ad adoperarsi, anche in vista del rinnovo della Commissione europea previsto per il novembre del 2004, per:

a) escludere l'avvio dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha;

b) confermare il sostegno dell'Unione europea ad un'agenda commerciale multilaterale;

c) promuovere da subito una riforma democratica dei meccanismi decisionali dell'Organizzazione mondiale del commercio, tramite la creazione di un gruppo di lavoro speciale a Ginevra, che veda la partecipazione di tutti i blocchi regionali emersi dalla Conferenza ministeriale di Cancun e che sia aperto a consultazioni con il Parlamento europeo e la società civile europea;

d) sostenere - in questo quadro - l'ipotesi di una riforma del sistema delle Nazioni Unite, che comporti anche la costituzione di un Consiglio di sicurezza economico e sociale - così come recentemente rilanciato dal Segretario generale Kofi Annan - quale sede di indirizzo politico per gli organismi economici e finanziari intergovernativi (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio ed altri);

e) sostenere le richieste dei Paesi in via di sviluppo riguardo all'implementazione degli accordi già esistenti in sede di Organizzazione mondiale del commercio e ad un trattamento speciale e differenziato per loro, affinché siano rafforzate le misure di salvaguardia sociale ed ambientale in questi accordi;

f) promuovere una posizione dell'Unione europea di maggiore apertura verso le richieste e le posizioni di molti Paesi in via di sviluppo sulle questioni dell'accesso al mercato dei prodotti agricoli e, in particolare, per il cotone - su cui molto hanno insistito i Paesi dell'Africa occidentale - impegnandosi per stabilire regole più giuste e trasparenti e per l'abolizione dei sussidi all'esportazione dei Paesi occidentali per tutti i prodotti agricoli entro una data precisa, come richiesto dalla dichiarazione di Doha.

(1-00277)

(Nuova formulazione) «Crucianelli, Marcora, Sereni, Fioroni, Cima, Rizzo, Angioni, Annunziata, Bandoli, Banti, Roberto Barbieri, Battaglia, Bellillo, Bellini, Benvenuto, Giovanni Bianchi, Enzo Bianco, Gerardo Bianco, Bielli, Bimbi, Boato, Boccia, Bolognesi, Borrelli, Bottino, Bova, Bressa, Buffo, Buglio, Bulgarelli, Burtone, Cabras, Caldarola, Calzolaio, Camo, Carbonella, Cardinale, Carra, Cennamo, Cento, Chianale, Cialente, Ciani, Colasio, Maura Cossutta, Crisci, Dameri, De Brasi, Deiana, Delbono, Duilio, Fanfani, Folena, Franceschini, Franci, Frigato, Fumagalli, Gambini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giulietti, Grandi, Grignaffini, Grillini, Iannuzzi, Kessler, Labate, Leoni, Lettieri, Lion, Santino Adamo Loddo, Tonino Loddo, Lolli, Lucà, Lucidi, Lusetti, Maccanico, Mantini, Mariotti, Mattarella, Meduri, Melandri, Merlo, Micheli, Molinari, Morgando, Mosella, Motta, Mussi, Nannicini, Nesi, Oliverio, Panattoni, Pasetto, Pennacchi, Pinotti, Pisa, Pisapia, Piscitello, Pistelli, Pistone, Potenza, Preda, Quartiani, Raffaldini, Ranieri, Rava, Realacci, Rocchi, Rodeghiero, Rossiello, Rotundo, Ruggeri, Rugghia, Ruggieri, Rusconi, Ruta, Ruzzante, Santagata, Sasso, Sciacca, Sedioli, Soro, Spini, Squeglia, Stradiotto, Susini, Tanoni, Tidei, Tocci, Tuccillo, Michele Ventura, Vernetti, Vertone, Vigni, Villari, Widmann, Zanella, Zanotti, Manzini, Diana, Trupia, Albertini, Lumia».

(20 ottobre 2003)

La Camera,

premesso che:

i fili del commercio mondiale sembravano essersi spezzati tra violente polemiche a seguito dell'insuccesso della Conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio tenutasi a Cancun nel settembre 2003;

peraltro, durante l'ultima edizione del Forum economico mondiale, tenutosi a Davos nel mese di gennaio 2004, Ministri e Rappresentanti commerciali di 19 Paesi si sono incontrati e hanno concordato sulla necessità di trovare celermente «una cornice», all'interno della quale rilanciare il Doha round;

è emerso così l'auspicio di poter realizzare entro un anno una conferenza interministeriale tra i 148 Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di rilanciare pienamente il round da concludersi entro il 2005;

il Rappresentante commerciale degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, ha manifestato la disponibilità del suo Paese a ridurre i sussidi ai produttori di cotone americani. Tale disponibilità rappresenta un segnale politico di fortissimo impatto, cui dovrebbe fare seguito altrettanta disponibilità da parte dell'Unione europea in ordine ai sussidi in agricoltura, nonché da parte dei G-20, in particolare, per quanto riguarda le regole di trasparenza e concorrenza;

l'affermazione di principi fondamentali, quali la libertà e la democrazia, si fonda sulla volontà comune di sconfiggere il terrorismo internazionale insieme all'impegno di garantire la sicurezza e il benessere collettivo, anche a vantaggio dei milioni di uomini e donne afflitti da miseria, fame e malattie mortali;

il rischio che il terrorismo esasperi le divisioni fra culture, religioni ed etnie obbliga la comunità internazionale a contribuire e a concorrere perché si eviti il regresso del sistema delle relazioni internazionali a livello di feroce competizione basata sulle leggi della giungla;

in questa ottica e con la finalità di arrivare ad una più equa distribuzione delle risorse prodotte dal pianeta è necessaria un'immediata ripresa del dialogo in materia di scambi commerciali;

impegna il Governo:

a rilanciare, per quanto di sua competenza nell'Unione europea, il Doha round, assumendo ogni utile iniziativa volta a contrastare spinte protezionistiche e ciò anche in previsione dell'allargamento a 25 dei Paesi aderenti all'Unione europea;

ad attivarsi in ogni sede nei confronti dei Paesi aderenti al cartello G-20, al fine di sensibilizzarli sulla necessità di addivenire ad un accordo sui Singapore issues.

(1-00357)

«Anedda, Landi di Chiavenna, Airaghi, Foti, Saglia, Carrara, Rositani, Butti, Riccio, Maggi, Castellani».

(7 aprile 2004)

La Camera,

premesso che:

la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, tenutasi a Cancun dal 10 al 14 settembre 2003, si è conclusa nella delusione per non aver raggiunto accordi su nessuno degli argomenti oggetto dei negoziati, a cui si sono aggiunte le amare divisioni sul varo delle negoziazioni riguardanti l'agricoltura e i quattro nuovi temi di Singapore;

gli accordi preparatori per Cancun avevano prodotto un documento di lavoro che conteneva per lo più le posizioni protezionistiche dell'Unione europea e degli Usa, senza prendere in considerazione le richieste dei Paesi in via di sviluppo, ma l'insuccesso del vertice ha aperto una partita che offre nuovi spazi per un modello di multilateralismo, nel quale gruppi di Paesi con interessi o vocazioni affini possano confrontarsi in maniera più democratica;

bisogna garantire ad ogni comunità internazionale la sovranità alimentare e il diritto di definire le proprie politiche e le strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e, quindi, l'accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione: la terra, l'acqua, il credito internazionale e il patrimonio genetico;

non occorre essere degli esperti in politiche agroalimentari per comprendere quanto sia decrepita l'impostazione legata alle sovvenzioni a pioggia, a uno sfruttamento intensivo della terra e ora all'utilizzo di sementi geneticamente modificate, un sistema che è vantaggioso solo per le multinazionali del settore, che da sole controllano il mercato di alimenti geneticamente modificati e il 30 per cento del mercato globale dei semi;

studi recenti pubblicati dalla rivista Science hanno appurato che la produttività degli alimenti ottenuta con sementi geneticamente modificate non supera il 10 per cento delle colture tradizionali e che, dunque, la fame nel mondo non si attenua con le sementi transgeniche;

le popolazioni soffrono la fame o hanno carenze di vitamine non tanto perché cibo e vitamine non sono disponibili, quanto perché sono povere e non hanno i soldi per comprarli, come in Argentina, dove, ad esempio, si produce carne in abbondanza, ma gli argentini sono fra quei popoli che ne mangiano di meno (lo stesso discorso vale per le granaglie sud-americane); in Africa non si riesce a produrre alimenti utili a sfamare le loro popolazioni, perché il nord del mondo, ricco e opulento, chiede solo alimenti per il mercato occidentale, cioè banane, ananas, datteri, caffè ed altri, dunque prodotti non adatti a sfamare la popolazione africana;

con esclusione della facilitazione al commercio, o armonizzazione delle procedure doganali, i temi di Singapore non possono essere considerati questioni strettamente commerciali e, quindi, l'Organizzazione mondiale del commercio potrebbe non risultare come la sede più appropriata per negoziare tali temi, dal momento che in quella sede i principi negoziali si applicano ai beni commerciali e la semplice estensione a tematiche non commerciali potrebbe risultare difficile;

dopo la Conferenza ministeriale di Seattle, nel 1999, erano state previste delle riforme all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio che non sono mai state realizzate e ora, dopo le accuse da parte dei Paesi in via di sviluppo per incapacità nel processo decisionale e mancanza di trasparenza e democrazia all'interno dell'organizzazione, è più che mai urgente la sua trasformazione;

la nascita di nuove alleanze all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio tra diversi Paesi in via di sviluppo con interessi convergenti, che sono state legittimate politicamente nonostante l'esito della conferenza ministeriale, ha evidenziato l'innovativa realtà di un mondo multipolare e la necessità di mettere a punto la costruzione di un modello sostenibile e riaffermare la centralità dell'approccio multilaterale e democratico nelle questioni che riguardano lo sviluppo, il commercio, la lotta alla povertà e alla fame, l'accesso a prezzi equi ai farmaci per i Paesi in via di sviluppo;

durante l'ultima edizione del Forum economico mondiale, tenutosi a Davos nel mese di gennaio 2004, è emersa unanime la preoccupazione per il futuro, determinato sia dallo stallo dei negoziati sul commercio internazionale, che attraverso misure come i sussidi all'agricoltura soffocano le economie più deboli, sia dalla minaccia del terrorismo mondiale e della guerra in Iraq, che rischiano di far dimenticare le reali esigenze dei Paesi poveri;

il Segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha rivolto un appello al mondo imprenditoriale affinché trovi il modo di ridurre il contributo, a volte cosciente, a volte involontario, nell'alimentare i conflitti, spesso legati a rivalità fra fazioni per il controllo di risorse naturali, e per un maggiore attivismo degli imprenditori li ha invitati ad un vertice Global compact, che si terrà a giugno 2004 a New York e sarà l'inizio di una collaborazione tra Onu e imprese private;

impegna il Governo:

a mantenere la propria posizione, dichiarata sia in occasione della Conferenza di Monterray sul finanziamento dello sviluppo, sia nei successivi appuntamenti internazionali, di riformare la politica agricola comune, abolendo le misure che favoriscono il dumping e, in particolare, i sussidi alle esportazioni, che impediscono ai Paesi in via di sviluppo di commercializzare i propri prodotti sul mercato mondiale;

ad attivarsi per la costruzione di un sistema di relazioni e di scambi internazionali,

improntato verso un nuovo partenariato, che sia autenticamente equo e possa porre le basi per uno sviluppo sostenibile, per una risposta democratica agli squilibri mondiali;

a contribuire fattivamente al completamento della disciplina europea in materia di organismi geneticamente modificati, con l'adozione di un'adeguata regolamentazione per assicurare la tutela delle coltivazioni biologiche e convenzionali, introdurre la responsabilità del danno ed affermare la «tolleranza zero» in materia di contaminazione delle sementi;

ad approvare e dotare di idonee risorse finanziarie il piano di azione europeo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica, quale parte integrante della riforma di medio termine della politica agricola comune;

ad affermare in ogni sede preposta il principio di precauzione in materia di organismi geneticamente modificati, la difesa ed il riconoscimento internazionale delle produzioni di qualità e a denominazione d'origine e l'abbattimento delle misure tariffarie che ostacolano lo sviluppo agricolo dei Paesi del terzo mondo;

ad impegnarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché siano seriamente considerate le richieste dei Paesi del G-20 e sia siglato un accordo sui temi di Singapore;

a sollecitare la società imprenditoriale italiana a rispondere all'appello lanciato da Kofi Annan e a partecipare al Global compact, impegnandosi attivamente affinché siano ridotti i motivi che alimentano i conflitti per il controllo delle risorse naturali;

a sostenere l'ipotesi di una riforma strutturale dell'Organizzazione mondiale del commercio o la creazione di un organismo legittimato ad affrontare tematiche non esclusivamente commerciali, con maggiore capacità decisionale, trasparenza e democrazia all'altezza del nuovo scenario politico internazionale.

(1-00361)

«Cima, Pecoraro Scanio, Zanella, Bulgarelli, Cento, Lion, Boato».

(22 aprile 2004)

La Camera,

premesso che:

il fallimento della Conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio tenutasi a Cancun nel settembre del 2003 rappresenta un fatto preoccupante, che indica una forte divaricazione fra i Paesi avanzati e quelli in via di sviluppo in materia di assetto del commercio internazionale;

in particolare, è emerso un contrasto di fondo sul tema delle sovvenzioni che i Paesi sviluppati erogano ai propri produttori agricoli, che sono fortemente criticate dai Governi dei Paesi in via di sviluppo, ed è apparsa, fino ad ora, difficilmente conciliabile l'esigenza dei Paesi industrializzati di salvaguardare le proprie agricolture con quella degli altri Paesi di incrementare le proprie esportazioni agricole;

è preoccupante che sui temi fondamentali del commercio e dello sviluppo economico si approfondisca una divaricazione fra il nord ed il sud del mondo, che potrebbe alimentare tensioni ed instabilità: fatto che è assolutamente necessario scongiurare;

occorre conciliare, trovando un ragionevole punto di equilibrio, le esigenze di sviluppo dei Paesi più avanzati con quelle di crescita economica e commerciale dei Paesi in via di sviluppo, in quanto, senza un progresso economico, sociale e civile equilibrato ed armonico sul piano globale, potrebbero determinarsi ricadute negative per tutti i gruppi di Paesi, sia sul piano economico, sia sul piano politico e della sicurezza;

appare, comunque, auspicabile realizzare, entro un arco di tempo ragionevole, una nuova Conferenza tra i Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di rilanciare il ciclo di trattative da concludersi possibilmente entro il 2005;

appare positivo e politicamente significativo che il Rappresentante commerciale degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, abbia manifestato la disponibilità del suo Paese a ridurre i sussidi ai produttori di cotone, che rappresentano uno dei punti specifici di attrito;

è auspicabile, nel quadro del conseguimento di un equilibrio complessivo degli interessi dei Paesi dell'Organizzazione mondiale del commercio, una rinnovata disponibilità da parte dell'Unione europea sul tema globale dei sussidi in agricoltura. Esso va, in ogni caso, trattato con gradualismo e prudenza, in quanto non si può pretendere di esporre totalmente gli agricoltori europei alla concorrenza dei Paesi in via di sviluppo, che hanno, tra l'altro, costi del lavoro infinitamente più bassi;

impegna il Governo:

a rilanciare, nell'ambito delle proprie competenze, anche in sede di Unione europea, le trattative in materia di commercio mondiale, al fine di arrivare in tempi ragionevoli ad una composizione dei contrasti e delle divaricazioni tra i Paesi del nord e del sud del mondo, in una visione equilibrata delle diverse esigenze e dei diversi interessi ed in un quadro di rafforzata collaborazione internazionale;

ad attivarsi per definire un accordo, anche con i Paesi del G-20, sui quattro temi di Singapore, concernenti la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza negli appalti pubblici e la facilitazione al commercio.

(1-00363) «Antonio Leone».

(26 aprile 2004) <P

 

 


XIV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 462 di mercoledì 5 maggio 2004

 

 

 

Seguito della discussione delle mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357, Cima ed altri n. 1-00361, Antonio Leone n. 1-00363 e Polledri ed altri n. 1-00365 sugli esiti della Conferenza di Cancun (ore 16,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), Anedda ed altri n. 1-00357, Cima ed altri n. 1-00361, Antonio Leone n. 1-00363 e Polledri ed altri n. 1-00365 sugli esiti della Conferenza di Cancun. (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

Ricordo che nella seduta del 26 aprile si è conclusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo non accetta la mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione) nella parte motiva. L'accetta invece nella parte dispositiva, ad eccezione della lettera a) del secondo capoverso, che recita «escludere l'avvio dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha». Il Governo ritiene infatti che la maggior parte dei temi di Singapore siano importanti nel negoziato di Doha.

Il Governo accetta la mozione Anedda ed altri n. 1-00357; accetta la mozione Cima ed altri n. 1-00361 nella parte dispositiva mentre esprime parere contrario sulla parte motiva della stessa; accetta la mozione Antonio Leone n. 1-00363; accetta altresì la mozione Polledri n. 1-00365.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Naro. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE NARO. Signor Presidente, a nome dell'UDC, preannuncio il voto favorevole sulle mozioni accettate dal Governo e chiedo alla Presidenza l'autorizzazione a pubblicare in calce al resoconto della seduta odierna il testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. La presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.

LAURA CIMA. Signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi sul fatto che la discussione che svolgiamo oggi in quest'aula è di fondamentale importanza, in questa fase. L'ultimo vertice del WTO fallito a Cancun (dopo il vertice di Seattle, anch'esso fallito in presenza di una grandissima mobilitazione sociale degli agricoltori e di tutti i movimenti sociali che si è ripetuta ad ogni incontro) ha messo a fuoco nodi politici importantissimi sui quali oggi siamo chiamati a pronunciarci con chiarezza. Tale vertice è fallito proprio su questi nodi che riguardano il rifiuto, da parte dei cosiddetti paesi in via di sviluppo che si sono riuniti in una nuova aggregazione (G21, poi diventata G23), del sistema protezionistico dell'Unione europea e degli USA e dei sussidi in agricoltura. In altri termini, non si è stati in grado di dialogare con le richieste dei paesi in via di sviluppo.

Ricordo che il vertice è stato drammaticamente segnato dal suicidio di un contadino coreano, rappresentante di moltissimi contadini rovinati totalmente dal dumping americano. Ricordo anche la richiesta di imporre una serie di nuovi temi, ad esclusivo vantaggio dei paesi ricchi, i cosiddetti temi di Singapore, che non attengono a questioni strettamente commerciali (correttamente, a nostro avviso, 70 paesi hanno rifiutato di inserirli in agenda) e su cui, invece, sia l'Unione europea sia gli Stati Uniti si erano in qualche misura intestarditi.

Per quanto riguarda la vicenda del cotone africano, su cui vi era stata la richiesta specifica di modificare la posizione del WTO per venire incontro all'esportazione di tale prodotto, mentre l'Unione europea ha dimostrato una maggiore disponibilità, gli Stati Uniti hanno negato qualsiasi possibilità di interlocuzione.

A questo punto, la grossa novità politica che si è determinata con tale fallimento è la creazione di un sistema multilaterale nel quale, al fine di fronteggiare lo strapotere degli Stati Uniti e dell'Unione europea (ossia dei paesi ricchi), gruppi di paesi capeggiati da Brasile, India e Cina si sono riuniti ed hanno presentato un testo agricolo in antitesi.

A seguito di ciò, Brasile, India e Cina hanno iniziato ad intessere una serie di rapporti trilaterali (i cosiddetti G3), che stanno modificando i rapporti di forza all'interno di questo mondo martoriato dalle guerre e dalla fame.

Se non capiamo come deve collocarsi l'Italia in questa situazione e come deve agire all'interno dell'Europa per modificare la politica europea, effettivamente è come se volessimo continuamente battere la testa contro il muro e passare il rullo compressore su tutte le esigenze dei paesi poveri e dei paesi in via di sviluppo che hanno portato avanti la loro battaglia in modo, dal loro punto di vista, vincente.

Quindi, il primo vertice di Seattle è stato affossato dal movimento esterno, ossia da tutti coloro che hanno manifestato contro, modificando anche le relazioni interne.

Ormai a Cancun è nata una politica di alleanze multilaterali che ha messo fortemente in discussione il senso stesso di una organizzazione non democratica come l'Organizzazione mondiale del commercio, inventata in buona sostanza per portare avanti i temi neoliberisti in un mondo globalizzato, ma senza prestare attenzione al raggiungimento di quelli che, in altra sede, per esempio a Monterray, sono stati individuati come i millenium goal, non raggiungibili nel modo più assoluto, ma anzi destinati ad allontanarsi sempre più attraverso la politica portata avanti dai paesi presenti all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio.

PRESIDENTE. Onorevole Cima, si avvii a concludere.

LAURA CIMA. Concludo, signor Presidente, avanzando una richiesta di votazione per parti separate della mia mozione n. 1-00361, nel senso di votare distintamente l'ultimo capoverso del dispositivo, considerato che vi sono diverse posizioni, anche illustrate nella mozione Crucianelli ed altri. Preferirei che ognuno avesse modo di esprimerle.

PRESIDENTE. Onorevole Cima, le ricordo che il Governo ha espresso parere favorevole sul dispositivo della sua mozione.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rileggendo i documenti presentati dall'opposizione, devo dire che trovo imbarazzante riscontrare in essi elementi culturali legati ad un terzomondismo fallimentare. Un terzomondismo che, negli anni Ottanta e Novanta, ha mostrato i suoi limiti, indicando nell'Occidente il male e nei paesi in via di sviluppo quelli che, in qualche modo, rappresentavano il futuro da tutelare.

Credo che da parte della sinistra siano necessari su questi aspetti un maggiore equilibrio ed un'autocritica per cercare di inquadrare, in modo più calibrato ed anche sensato, i termini del problema.

È indubbio che vi siano state responsabilità dell'Occidente, come, al contempo, è indubbio che vi siano responsabilità gravi di governi dei paesi in via di sviluppo, che non accelerano il processo di democratizzazione in corso in quei paesi e che mantengono una forte corruzione in quei sistemi. Non a caso, cari colleghi, uno dei nodi sui quali vi è lo scontro, per richiamare i famosi quattro temi o issues di Singapore, verte, per la gran parte, sul tema della trasparenza.

Non comprendo il silenzio, da parte della sinistra, nel coprire in qualche modo i governi dei paesi in via di sviluppo che rifiutano il processo di trasparenza che, giustamente, i paesi occidentali chiedono di avviare nei paesi del terzo mondo. Come si fa ad essere contrari alla trasparenza negli appalti pubblici, cioè ad uno dei quattro temi di Singapore? Come si fa ad essere contrari ad un'apertura delle dogane, altra fonte di grande corruzione - non dimentichiamolo - nei paesi del terzo mondo?

Il vertice di Cancun è stato un fallimento? Probabilmente: tuttavia, tale incontro ha rappresentato un momento di riflessione. Se vi è stato un fallimento, occorre, anche in questo caso, capire di chi siano state le responsabilità. Io ho avuto l'onore di essere presente e ricordo qual è stato l'ostacolo: l'Unione europea era pronta ad affrontare alcuni dei temi posti dai paesi in via di sviluppo, ad esempio in agricoltura; tuttavia, si è registrata la chiusura totale e cieca da parte dei governi del cosiddetto terzo mondo e dei paesi in via di sviluppo in ordine ai quattro temi di Singapore, in particolare anche sui due sui quali l'Europa chiede in ogni caso e fermamente di mantenere aperta la discussione, ovvero sui temi del libero commercio e della trasparenza negli appalti. Non credo che si chieda qualcosa di irraggiungibile. In un paese democratico, in un paese occidentale, è una delle prime garanzie che si chiede per tutelare le aziende e le imprese.

Stupisce il silenzio da parte della sinistra quando il mondo occidentale porta avanti una battaglia sui diritti dell'ambiente e sui diritti dei lavoratori. Credo che almeno sui due punti - mi riferisco alla garanzia del libero commercio ed alla trasparenza negli appalti - che l'Unione europea ha chiesto di mantenere fermi anche nei negoziati sviluppatisi all'indomani di Cancun l'Italia debba tenere una certa posizione. Ciò affinché riprenda il negoziato, che ha avuto un momento di successo a Doha e si è bloccato a Cancun, non certo per responsabilità dei rappresentanti dell'Unione europea.

Cari colleghi, non credo che proposte come quella di ulteriori nascite di strumenti istituzionali legati all'ONU o ad altre realtà siano soluzioni accettabili. Abbiamo bisogno di decisioni, non di creare altre realtà assembleari in cui tutti partecipano e dicono la propria senza che vi sia la possibilità di decidere. Alla fine, infatti, succede quello che tutti ci aspettavamo: si fanno gli accordi bilaterali.

Bisogna evitare che si rompa il meccanismo faticosamente creatosi attraverso il WTO. Tale organizzazione ha garantito - nonostante qualcuno abbia affermato il contrario - trasparenza e democrazia a tutti i livelli. Credo sia necessario un rafforzamento della sede di confronto, pur rimanendo fermi alcuni concetti.

Certo, è giusto aiutare i paesi in via di sviluppo. L'Italia lo ha fatto, ad esempio, quando si è trattato di incrementare gli aiuti sui farmaci contro l'AIDS: non dimentichiamo la posizione del Governo italiano, forte e presente in tale occasione. Ritengo, però, che nella trattativa con i paesi in via di sviluppo vadano mantenuti alcuni paletti per l'Unione europea, che crede nel diritto alla trasparenza, nel diritto all'ambiente, nei diritti dei lavoratori.

Bisogna cedere e concedere, ad esempio, sui temi riguardanti i prodotti agricoli, sui quali - ripeto - l'Unione europea era già pronta anche a Cancun, a differenza di altri paesi occidentali. Anche in tale sede avevamo dichiarato la disponibilità da parte dell'Unione europea - come sottolineato dal commissario Lamy nel suo intervento - a compiere quel passo in avanti a favore delle richieste dei paesi in via di sviluppo, fermi restando i paletti riguardanti la trasparenza e lo sviluppo della democrazia in tali paesi.

Credo che questi siano i punti sui quali dobbiamo convergere: sono i punti che la mozione presentata dal mio gruppo cerca di rimarcare e di sostenere (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.

RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, sono favorevole alla mozione Crucianelli n. 1-00277 (Nuova formulazione) perché ritengo che abbia colto maggiormente quanto accaduto a Cancun. Certamente, vi è stato un fallimento per chi si aspettava una maggiore liberalizzazione dei commerci, per chi si aspettava di continuare un modello di sviluppo che invece ha creato problemi soprattutto per i paesi più poveri. Quindi, si è trattato di un fallimento, ma anche di un momento di riflessione per piccoli e grandi aspetti.

Ricordo che da anni ci stiamo trascinando un problema riguardante la gestione del WTO, la sua democrazia interna, il modo in cui vengono prese le decisioni. In quell'assemblea le decisioni sono prese all'unanimità. Tuttavia, nel 1948 i paesi membri erano 18, mentre oggi sono 146.

Occorre quindi ricostruire una nuova democrazia interna e trovare una nuova logica di rispetto, soprattutto nei confronti dei paesi che sono maggiormente da tutelare e da aiutare.

Vi è poi anche un problema di contenuto. Nel tempo c'è stato quasi un trascinamento di rapporti commerciali un po' iniqui, senza che vi fosse la possibilità di uno sviluppo che coinvolgesse reciprocamente le varie economie. Vi è stata una dinamica, che ha visto un aumento dei prezzi solo per i prodotti dei paesi occidentali, e non anche per quelli degli altri paesi. Ricordo che, soprattutto negli anni Settanta, si è preso coscienza, anche a livello politico e generale, dell'esistenza dei paesi in via di sviluppo. Infatti la terminologia di terzo o quarto mondo è nata in quegli anni e non a caso è proprio di quegli anni una grande enciclica, la Popolorum progressio, di Papa Paolo VI, il quale pose per primo il problema di una diversa distribuzione della ricchezza.

È da allora che noi ci siamo un po' persi, giorno dopo giorno. Quindi, per qualcuno non è stata una sorpresa che a Cancun, per la prima volta nella storia, un gruppo consistente di paesi abbia preso coscienza di un proprio ruolo in questa odierna società globalizzata. Se è vero che nel tempo le relazioni commerciali hanno creato ricchezza, vi è anche un'altra verità, con la quale dobbiamo fare i conti e riflettere, altrimenti la Conferenza di Cancun non sarà servita a nessuno. In questi anni, abbiamo assistito all'esplosione della povertà, al crescere del differenziale fra paesi ricchi e paesi poveri. Abbiamo assistito a un paradosso che vede i paesi poveri finanziare i paesi industrializzati occidentali attraverso una dinamica dei prezzi come quella che ricordavo prima, in presenza di prezzi dei prodotti dei paesi più ricchi (che sono anche i prodotti a più alto contenuto di valore) che nel tempo sono sempre più aumentati, a fronte dei prezzi delle materie prime, che invece nel tempo sono sempre diminuiti. Questa è stata la dinamica del finanziamento dei paesi poveri verso i paesi ricchi.

Non è un caso anche la denuncia, vergognosa, dei temi del debito dei paesi poveri. Ricordo che questo debito, come è stato già detto da tanti, sarebbe già stato ampiamente rimborsato se fosse stato calcolato non in dollari, ma in altre monete estere, in un paniere di monete internazionali, perché, quando il dollaro è passato da 600 lire a 2000 lire, il debito, solo per questo motivo, si è triplicato e così i paesi poveri non hanno avuto neppure la possibilità di rimborsare le rate degli interessi.

Questo è un problema sul quale riflettere ed indagare, per capire ciò che è accaduto a Cancun.

La Conferenza di Cancun è stata inoltre l'occasione per verificare un ulteriore paradosso: l'Occidente che chiede di liberalizzare di più gli scambi e gli investimenti occidentali in questi paesi in via di sviluppo; l'Occidente che chiede una concorrenza maggiore e la facilitazione del commercio. Queste sono prediche che noi abbiamo fatto ai paesi in via di sviluppo, mentre in realtà i primi a proteggere l'economia e a creare ostacoli e protezionismo - ecco il paradosso - siamo stati noi occidentali, noi paesi europei, noi paesi americani! Questo è dunque l'altro paradosso: la predica che facciamo, mentre nei fatti ognuno pensa solo per sé.

È ormai da tempo che si riflette (non è un fatto ideologico né politico, ma culturale profondo) sul fatto se lo sviluppo del capitalismo occidentale, posto a paradigma dello sviluppo dei paesi poveri, debba essere oggi modificato o riformato, non essendo riuscito a riallocare le risorse ed a distribuire la ricchezza anche fra chi viene prodotta.

Secondo le ultime indicazioni degli organismi internazionali (primo fra questi anche la FAO), la povertà sta aumentando e ciò vuol dire che il nostro sviluppo ha bisogno di essere rettificato. Dunque, si avverte la necessità di rivedere (non solo per problemi di democrazia interna, sarebbe già tanto, ma anche sotto il profilo delle organizzazioni internazionali, a partire dal WTO) le politiche degli scambi e della cooperazione: vi sono studi che dimostrano che, nel tempo, gli scambi commerciali sono stati funzionali solo alle economie più forti, dei paesi ricchi.

Qualcosa non ha funzionato: forse, gli intenti e gli obiettivi erano diversi, vale a dire più equi e più solidali. A Cancun ci si è posti di fronte a tali problematiche, che non sono di poco conto: o cerchiamo di interpretarle e di capirle o innescheremo processi involutivi inarrestabili.

Si avverte la necessità - questa è la richiesta dei paesi in via di sviluppo che hanno acquisito consapevolezza al riguardo - di instaurare relazioni più giuste, fondate sul rispetto e sulla dignità dei popoli, di un'economia di mercato più leale e più funzionale alle esigenze dei soggetti più deboli che maggiormente sono stati sfruttati (come abbiamo fatto anche noi). Sto parlando di risultati, non degli intenti.

A mio avviso, in questa mozione è presente il germe che ci spinge a dire che, ormai, è giunto il momento di un grande e nuovo progetto mondiale, finalizzato a ristabilire una certa legalità internazionale dell'economia, nonché a trovare, nella partecipazione e nella cooperazione, un nuovo e moderno Bretton Woods, un'economia più giusta e leale che vada a costruire nelle fondamenta il reciproco vantaggio delle economie. Questo è stato sempre l'obiettivo di ogni teoria economica e politica.

Questo è il nostro compito: occorre ritrovare le ragioni di fondo del commercio, perché non è possibile andare avanti, senza accorgersi che il commercio è funzionale solo ad alcuni, a scapito di altri.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 17,25)

RUGGERO RUGGERI. Questo tipo di politica non ha futuro! Occorre più democrazia politica ed economica.

Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, è stata creata la Banca mondiale per aiutare i paesi dissestati dalla guerra ad investire, a creare nuove fabbriche, a riavviare le produzioni in agricoltura, a creare ricchezza, a soddisfare determinati bisogni, ed è stato istituito il Fondo monetario internazionale che avrebbe dovuto gestire un sistema monetario internazionale, fondato sui cambi fissi, funzionale a dare garanzia a quelle monete, come la lira, che nessuno voleva utilizzare (non vi era alcuna fiducia nella lira). È stato poi istituito il GATT (successivamente denominato WTO) per favorire gli accordi commerciali, con riferimento ai quali ognuno potesse presentarsi e scambiare prodotti per sopravvivere ed aumentare un minimo il proprio livello di benessere.

Queste erano le intenzioni. Probabilmente, dobbiamo ritornare alle intenzioni per capire la situazione, sulla base degli strumenti e della realtà di oggi, ed inventare nuove politiche.

PRESIDENTE. Onorevole Ruggeri, dovrebbe smettere di inventare, perché ha concluso il tempo a sua disposizione. Deve tornare alla cruda realtà che incombe!

RUGGERO RUGGERI. Ricordo ai colleghi che da questo scenario nasce anche un nuovo ruolo dell'Unione europea sia nei confronti degli Stati Uniti d'America, che fanno sempre ciò che vogliono indipendentemente dagli accordi presi - a Cancun abbiamo verificato che gli Stati Uniti hanno abbandonato l'Europa -, sia soprattutto nei confronti dei paesi poveri.

L'Europa ha questo ruolo: trascinare anche i paesi poveri e non solo gli Stati Uniti verso un nuovo modello di sviluppo fondato sul rispetto della dignità delle persone (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, il sottosegretario Ventucci...

CESARE RIZZI. Presidente, ho chiesto di parlare sull'ordine dei lavori!

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, le darò la parola successivamente.

Prego, onorevole Mantovani.

RAMON MANTOVANI. Il sottosegretario Ventucci avrà notato che noi non abbiamo presentato alcuna mozione, in quanto ne presentammo una prima del vertice negoziale di Cancun; mozione che esprimeva pienamente sia la nostra posizione sia i nostri intendimenti programmatici, uno dei quali ha avuto successo: il vertice del WTO di Cancun è fallito. Noi ce lo auguravamo, lo volevamo e, in misura modesta, abbiamo anche contribuito a questo risultato partecipando alle proteste che mondialmente sono state condotte contro l'Organizzazione mondiale del commercio.

Vorrei far notare all'onorevole Raisi, che ha investito i presentatori delle mozioni di accuse anche piuttosto virulente (terzomondismo, fanatismo e quant'altro) che, per una proprietà transitiva, queste accuse le gira al suo stesso Governo, il quale ha accettato quasi integralmente preamboli e dispositivi di queste mozioni.

Approfitto di questa occasione per svolgere una considerazione suppletiva: io riconosco al Governo italiano, prima, durante e dopo Cancun, un atteggiamento non precluso ad ascoltare ragioni non solo dell'opposizione politica, ma anche ragioni di istanze sociali, come quelle in base alle quali si è chiesto all'esecutivo di escludere dai negoziati di Cancun la privatizzazione dell'acqua, nonché quelle per le quali si è chiesto di ascoltare le esigenze del movimento denominato «Via Campesina» che - come il Governo sa - raccoglie contadini del terzo mondo e contadini italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, greci ed anche tedeschi.

Do atto al Governo di un atteggiamento non chiuso e credo che il sottosegretario Ventucci, che è sempre stato presente in occasione di queste nostre discussioni su tale materia, abbia avuto un ruolo importante per l'apertura dell'esecutivo da questo punto di vista.

Vorrei ricordare ancora una volta agli onorevoli Raisi e Ruggeri che la Commissione europea, a Cancun, è stata la punta di diamante contro lo schieramento dei 23 paesi cosiddetti poveri. Al contrario, devo riconoscere che il Governo italiano, soprattutto nella persona del ministro Alemanno, ha avuto un atteggiamento diverso da quello del commissario Lamy. Probabilmente l'onorevole Raisi voleva alludere agli incontri svolti dal ministro Alemanno con i contadini di «Via Campesina», che invece il commissario Lamy avrebbe volentieri visto caricati dalla polizia.

Detto ciò, intendo entrare nel merito delle mozioni. Non interverrò sulla mozione presentata dai colleghi dei Verdi, in quanto sulla stessa esprimeremo un voto favorevole ad esclusione dell'ultimo capoverso del dispositivo (poi dirò il perché). Invece, sulla mozione Crucianelli, firmata da un notevole numero di colleghi del centrosinistra, vorrei fare un ragionamento, chiedendo agli onorevoli Crucianelli e Marcora - che stimo entrambi - di coglierne l'intento e l'essenza.

Esiste un aspetto di fondo della mozione che non condividiamo, perché in buona sostanza è improntato all'illusione che l'Organizzazione mondiale per il commercio si possa riformare, democratizzare e rendere trasparente nella capacità decisionale e nel raggiungimento degli accordi commerciali, previsti dai negoziati svolti in seno all'OMC.

All'onorevole Ruggeri vorrei dire invece che, al contrario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, sorti - come correttamente ha ricordato - a seguito degli accordi di Bretton Woods, prima il GATT e poi l'OMC nascono come alternativa all'UNCTAD, organizzazione preposta alla trattazione, in sede al sistema delle Nazioni Unite, dei temi relativi al commercio e allo sviluppo. Il GATT serve ai paesi forti per costringere ad un tavolo negoziale quelle nazioni che in sede ONU, in grazia alla maggiore democraticità degli organismi delle Nazioni Unite, avevano avuto maggiore spazio negoziale. Li si costringe, quindi, a sedere ad un tavolo e ad entrare in un'organizzazione in cui, in virtù dello statuto materiale, esiste una discriminazione. Infatti, l'astratta uguaglianza di paesi, codificata da regole che presumono parità di condizioni, finisce con l'esaltare soltanto la diseguaglianza, invece di risolvere i problemi, quando di fatto l'eguaglianza non esiste. Su questo ragionamento di fondo, quindi, siamo completamente in disaccordo.

Se oggi l'argomento dell'Organizzazione mondiale per il commercio viene maggiormente discusso all'interno dei Parlamenti, lo dobbiamo al movimento nato a Seattle che l'ha contestata, capeggiato dai portuali e dai metalmeccanici statunitensi e composto da moltissime organizzazioni di tutto il mondo. Una volta, cari colleghi, l'OMC ha visto un ministro italiano firmare un accordo in virtù del quale noi paghiamo multe, corrispondenti a migliaia di miliardi di lire, solo perché il nostro Parlamento ha inteso tutelare la salute dei nostri cittadini, proibendo ad esempio la vendita di carne trattata con estrogeni. A causa di questo, l'OMC condanna l'Italia a pagare sanzioni, solo per avere esercitato un diritto democratico. Questa è l'Organizzazione mondiale per il commercio!

Esistono poi luoghi comuni infondati, interni al ragionamento di queste mozioni. Lo ha già ricordato anche qualche altro collega: falliscono gli accordi multilaterali e allora prenderanno piede quelli bilaterali. Questa è una bugia, un'enorme bugia! Gli accordi bilaterali si fanno comunque, sia da parte degli Stati Uniti che da parte dell'Unione europea. Non è poi detto che gli accordi multilaterali siano migliori di quelli bilaterali, perché quello che importa è il loro contenuto. L'accordo multilaterale che ci costringe a pagare una sanzione per proteggere la salute dei nostri cittadini è ignobile, anche se multilaterale, mentre l'accordo bilaterale che fece l'Unione europea a Lomé, con i paesi produttori di alcune derrate agricole e che diede vita alla guerra commerciale con gli USA, era un buon accordo, anche se bilaterale. Allora mi chiedo: perché si insiste con questa litania sulla bontà degli accordi multilaterali e, al contrario, si procede con la demonizzazione di quelli bilaterali?

Infine, non è vero che gli accordi bilaterali seguono quelli multilaterali quando questi ultimi falliscono. Infatti, l'Unione europea e gli Stati Uniti, per contrastare il Mercosur e per porre un'ipoteca sull'effettiva possibilità di realizzare l'ALCA in tutti gli Stati americani, dal Canada alla Terra del fuoco, hanno stretto accordi bilaterali con il Cile: quello dell'Unione europea è pessimo, peggiore di quello degli Stati Uniti! Esso infatti inserisce nell'ambito della liberalizzazione anche i servizi, cosa che persino il Governo italiano aveva escluso, prima di andare al tavolo negoziale di Cancun: debbo dunque constatare che la Commissione europea è a destra del Governo italiano! Su questa materia, la Commissione europea è più a destra della destra estrema di qualsiasi governo europeo, perché è una Commissione composta di tecnocrati che rispondono alle multinazionali e a nessun altro! Non sono eletti da nessuno e rispondono soltanto ai governi che li nominano! È dunque illusorio ritenere che gli accordi multilaterali salveranno i paesi poveri o riusciranno a strappare migliori condizioni.

Vi è un'ulteriore questione relativa alla logica che ispira la mozione Crucianelli n. 1-00277 e che determina il nostro profondo dissenso, pur essendo d'accordo su numerosi aspetti e sullo spirito della mozione stessa: mi riferisco all'idea che siano puramente e semplicemente i dazi doganali in quanto tali a costituire un grave problema. Se l'Unione europea, o qualsiasi paese ricco, provvede ad erogare sussidi in favore delle esportazioni agricole e mantiene i dazi doganali per le importazioni, non nego che si determini un problema, ma non posso considerarlo il problema unico o principale.

PRESIDENTE. Onorevole Mantovani...

RAMON MANTOVANI. Ho concluso, signor Presidente, mi conceda ancora un minuto. Propongo di introdurre, in luogo dei dazi doganali, dazi sulla base di normative sociali: ritengo che l'Unione europea potrebbe proibire la vendita di merci che sono sicuramente prodotte con il lavoro minorile e con la schiavitù minorile (si tratta di 250 milioni di bambini del mondo). Tuttavia, ritengo anche che non si possa pretendere di far uscire un aspetto negativo dalla porta per farlo rientrare dalla finestra: a seguito dell'eliminazione dei dazi doganali e dei sussidi all'esportazione di alcuni prodotti agricoli (con questo, lo ripeto, non intendo dire che difendo tali dazi e sussidi), vi è il rischio che le multinazionali, magari aventi sede in Europa, vadano a produrre merci, che già si producono in Europa, in altri paesi del mondo, in modo industrializzato, cacciando le popolazioni che vivono in quelle terre e realizzando nuove monoculture che uccidono la natura e che provocano gravi problemi sociali, per importare successivamente in Europa le merci prodotte in concorrenza con i piccoli produttori europei, peraltro abbassando la qualità con il transgenico, con i diserbanti, con le sementi sterili e via dicendo.

Non possiamo pertanto convenire sulla mozione in esame. Restiamo fermi sulla posizione, articolata e programmatica, che abbiamo espresso prima del vertice di Cancun. Tale posizione è stata confermata dal fatto che l'Organizzazione mondiale del commercio ha fallito per due volte il round negoziale. Non comprendo perché si voglia, da parte dell'opposizione, tentare a tutti i costi di salvare questa organizzazione, che a nostro avviso è uno dei principali responsabili della fame, della miseria e della disperazione nel mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. L'onorevole Rizzi, che aveva chiesto precedentemente di parlare sull'ordine dei lavori, ha facoltà di intervenire.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, da un'ora e mezza stiamo discutendo, fra l'altro, su una mozione firmata da circa 150 deputati del centrosinistra. A prescindere dal fatto che vedo presenti circa 20 o 30 di tali deputati e che dunque la mozione appare essere di carattere puramente strumentale, le chiedo se risponda al vero che larga parte dei deputati del centrosinistra è andata a manifestare, non so per quale motivo. Trovo vergognoso che alcuni parlamentari blocchino i lavori della Camera per andare a manifestare: in questo paese, di manifestazioni già ne abbiamo tutti i giorni! È vergognoso che i membri del Parlamento, durante i lavori della Camera, vadano a manifestare (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia)! È bene che questo i cittadini lo sappiano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza nazionale)!

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, il collega Rizzi si è svegliato e giustamente ha posto all'Assemblea una questione sulla quale va detta qualche parola. Noi ricordiamo come negli anni in cui era all'opposizione, ma anche durante questa legislatura, nel ruolo di maggioranza, la Lega sovente abbia abbandonato quest'aula e non solo non ha consentito alla stessa maggioranza di procedere, ma spesso ha impedito all'intera Assemblea di proseguire i suoi lavori.

Il centrosinistra sta conducendo una vibrata protesta nei confronti dell'occupazione della RAI da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi (Commenti dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)... Ciononostante, siccome abbiamo molto rispetto per il lavoro parlamentare, sia gli iscritti a parlare sia i segretari d'aula, come lei può vedere, sono presenti per consentire all'Assemblea di proseguire l'esame di queste importanti mozioni e per permettere alle istituzioni di funzionare.

Quindi, mi consenta, Presidente, le osservazioni del collega Rizzi, per quanto egli goda della mia simpatia, in questo caso sono del tutto fuori luogo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, anche il nostro gruppo è costretto ad intervenire dopo le dichiarazioni insensate del collega Rizzi (mi limito a definirle tali). Noi non blocchiamo - e questo lo dimostra - i lavori della Camera, perché interveniamo con i nostri rappresentanti nel merito dei punti all'ordine del giorno. Quindi, non vedo dove il collega Rizzi individui il blocco delle attività. Forse lo immagina: il suo mondo è molto ristretto....

CESARE RIZZI. Ma se sono due ore che parlate su una mozione!

RENZO INNOCENTI. Collega Rizzi, non interrompere, per favore! Lo sai benissimo, non interrompiamo nulla, i lavori proseguono.

CESARE RIZZI. Roba da matti...

RENZO INNOCENTI. Non so se nel suo intervento lei volesse chiedere al Presidente di impedire che i parlamentari eletti partecipino a libere manifestazioni anche vicino alla sede del Parlamento. Non so se vi sia anche un tentativo di imporre la censura e la museruola ai parlamentari dell'opposizione che stanno manifestando contro quello che è successo alla RAI. Può essere condiviso o meno, ma comprendiamo anche che la Lega su questo ha sicuramente velleità che sono diametralmente opposte ai principi di libertà e di giustizia nell'informazione. Mi sembra si tratti della libera espressione di un parlamentare e non vedo da parte del rappresentante della Lega cosa vi sia da recriminare.

D'altra parte - e concludo, Presidente - stamani si è svolta una manifestazione con la partecipazione di esponenti della Lega davanti a Montecitorio contro «Forcolandia». Per chi non lo sapesse, «Forcolandia» è l'espressione con cui i rappresentanti della Lega denominano, da un po' di tempo a questa parte, l'Unione europea (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)...

CESARE RIZZI. Non sai neanche quello che dici!

CAROLINA LUSSANA. Eravamo in aula!

RENZO INNOCENTI. Stamani erano là, quindi non capisco per quale ragione le manifestazioni della Lega contro «Forcolandia» debbano essere autorizzate...

CESARE RIZZI. Ma non durante i lavori!

RENZO INNOCENTI. ... contro qualsiasi tipo di adempimento per cercare di far parte in modo integrale ed organico dell'Unione europea. Quelle vanno bene, le manifestazioni dell'opposizione, invece...

CESARE RIZZI. Ne fate due al giorno!

RENZO INNOCENTI. ...di fronte alla sede della RAI, per protestare contro un'occupazione del servizio pubblico, devono essere censurate! Questo è veramente uno scandalo, per il fatto stesso che il collega Rizzi continui a sostenerlo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Dai banchi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale si grida: «Buffone!»)!

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Landi di Chiavenna, ma le darò la parola successivamente, dopo aver risposto alla questione sollevata.

Onorevoli Rizzi, vorrei precisarle che i poteri del Presidente, per fortuna, si limitano alla disciplina dei rapporti interni, di modo che essi consentano il buon andamento dei lavori e dell'attività della Camera dei deputati. Ciò che avviene al di fuori della Camera e le decisioni che ciascun parlamentare, in qualsiasi parte sieda, decide di assumere attiene alle decisioni politiche, sulle quali, naturalmente, ognuno di noi può avere la rispettabile e rispettiva valutazione sulla sua opportunità o sul merito.

Ciò che non può essere inquadrato - e lo dico sinceramente, onorevole Rizzi - nell'ambito dell'ordine dei lavori è inserire, durante lo svolgimento dei lavori stessi, un tema che non può certamente interessare la Presidenza quando il Presidente di turno è seduto a questo banco, perché non ha compiti di censura e non può e non deve criticare il comportamento del singolo parlamentare.

Pertanto, evitiamo che su tale questione si apra un dibattito nel quale, poi, le parole possono essere diversamente indirizzate, e sempre con una forza polemica che non mi sembra il caso di esprimere in determinate situazioni, salvo che non si verifichi una lesione del regolamento. Il regolamento della Camera non è stato leso, e quindi possiamo procedere con i nostri lavori.

Prego, onorevole Landi di Chiavenna, ha facoltà di parlare. (Applausi del deputato Adduce).

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, vorrei chiedere molto brevemente un chiarimento al rappresentante del Governo. Mi sembra che, per quanto riguarda la mozione Crucianelli ed altri 1-00277 (Nuova formulazione), il Governo abbia accettato la parte motiva e numerosi punti del dispositivo, ad esclusione della lettera a) del secondo capoverso; domando pertanto al rappresentante del Governo una conferma della mia impressione.

Per quanto riguarda la mozione Cima ed altri n. 1-00361, chiedo al Governo di confermare l'orientamento espresso. Mi sembra, infatti, che sia stata accettata, ed allora vorrei sapere se il Governo ritenga di accettare anche il terzo e l'ultimo capoverso del dispositivo della suddetta mozione, poiché se il Governo confermerà tale orientamento, qualora si dovesse votare la mozione Cima ed altri n. 1-00361 per parti separate, esprimerò, a titolo personale, un voto contrario sul terzo e sull'ultimo capoverso del dispositivo, anche contrariamente alle indicazioni dell'Esecutivo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento.

Signor Presidente, intervengo per precisare che, per quanto riguarda la mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), il Governo non accetta la parte motiva e il primo capoverso del dispositivo, dalle parole «a confermare la scelta» fino alle parole «sviluppo con l'Organizzazione mondiale del commercio». Il Governo, pertanto, accetta del dispositivo della suddetta mozione le parole « impegna il Governo ad adoperarsi, anche in vista del rinnovo della Commissione europea previsto per il novembre del 2004, per: «e tutte le lettere dalla b) fino alla f), ad esclusione della lettera a) («escludere l'avvio dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha»).

Per quanto riguarda la mozione Cima ed altri n. 1-00361, invece, preciso che il Governo non ne accetta la parte motiva, mentre ne accetta l'intero dispositivo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.

ALDO PREDA. Signor Presidente, credo opportuno svolgere alcune considerazioni di cui la politica deve pur tenere conto dopo il fallimento della Conferenza di Cancun, il quale, indubbiamente, ha posto e pone a tutti la necessità di formulare alcune riflessioni. Ritengo che la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale si sia rivelata cruciale nel fare emergere problemi, contraddizioni e, appunto, necessarie riflessioni.

Il WTO è un'istituzione molto giovane, inserita nell'ambito del cosiddetto sistema multilaterale che ha governato le relazioni politiche, commerciali, economiche e finanziarie dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ma fuori dal sistema delle Nazioni Unite.

Oggi, la posta in gioco è altissima e dopo la Conferenza di Cancun è diventata ancora più alta, perché da una parte abbiamo i popoli della fame e, dall'altra, i popoli saziati e ricchi, e credo che questo problema sia emerso e sia stato denunciato in modo evidente proprio a Cancun. Ha rappresentato anche uno dei principali conflitti in essere e per comprendere la dimensione della partita di Cancun dobbiamo riguardare con attenzione all'agenda del vertice, a ciò che era stato programmato, a ciò che si intendeva fare.

A differenza delle ultime due conferenze del WTO, dove l'allargamento del mandato a nuovi accordi, a partire da quello sugli investimenti ed il lancio di un nuovo round negoziale, erano al centro del contenzioso tra i vari governi, nella Conferenza di Cancun è stato dominante il tema dell'agricoltura e quello delle protezioni dei dazi, della povertà, della fame. È questa un'equazione difficile da risolvere, che per essere compresa nelle sue difficoltà ha bisogno di qualche ipotesi esemplificativa e anche di alcune riflessioni che vadano oltre la politica.

Nella nostra mozione abbiamo cercato di svolgere una serie di riflessioni, la prima delle quali su affermazioni abbastanza importanti richiamate in quella sede. Ne cito solamente quattro, ma ce ne sono anche altre importanti: promuovere da subito una riforma democratica dei meccanismi decisionali dell'Organizzazione mondiale del commercio; sostenere - leggo solo l'inizio del capoverso - in questo quadro l'ipotesi di una riforma del sistema delle Nazioni Unite che comporti anche la costituzione di un Consiglio di sicurezza economico-sociale; sostenere le richieste dei paesi in via di sviluppo riguardo all'implementazione degli accordi già esistenti in sede di Organizzazione mondiale del commercio; promuovere una posizione dell'Unione europea di maggiore apertura verso le richieste e le posizioni di molti paesi in via di sviluppo. La Conferenza di Cancun ha portato ad una serie di riflessioni che dobbiamo fare ma che in questa sede mi limito ad elencare.

Un primo problema denunciato è quello del fallimento della globalizzazione dell'economia, così come è avvenuta ed avviene, che si gioca sui profitti delle multinazionali e sui differenziali sociali: è un fallimento per i paesi poveri, come lo sono il lavoro nero o un sistema finanziario che porta capitali in tutto il mondo e li trasferisce in tempo reale a seconda dei maggiori e minori profitti assicurati da alcuni paesi. La Conferenza di Cancun ha denunciato questa situazione e in tale quadro dobbiamo sottolineare l'importanza del ruolo della politica, perché non ci può essere solamente un ruolo delle multinazionali, non ci può essere solamente un ruolo dell'economia globalizzata: c'è anche il grande ruolo della politica, delle grandi organizzazioni politiche internazionali.

La Conferenza di Cancun ha significato anche un altro fatto importante: quello del superamento delle disuguaglianze fra paesi poveri e paesi ricchi, in un sistema di solidarietà mondiale che ci porti a vincere le disuguaglianze e la povertà, anche attraverso accordi alternativi per la cooperazione economica.

Ma Cancun ha denunciato anche un'altra necessità: quella di rivedere la politica degli scambi commerciali, che, così com'è impostata, non fa altro che aumentare le disuguaglianze tra paesi poveri e paesi ricchi. Cancun, cioè, ci porta anche a fare una riflessione sulla revisione delle regole dell'economia di mercato, non condizionata da una politica mondiale. Ci porta a dover rivedere funzioni e strategie delle grandi organizzazioni internazionali che non sempre hanno risposto alle esigenze dei popoli della fame e delle disuguaglianze sociali.

Il problema della fame nel mondo non è collegato, come qualcuno vuol fare apparire, alla mancanza della disponibilità di prodotti alimentari - anzi, nei paesi cosiddetti avanzati vi è eccedenza di prodotti alimentari - né all'uso ed alle sperimentazioni dei prodotti OGM da realizzare nei paesi del terzo mondo, i quali non vogliono la sperimentazione sulle sementi o sulle produzioni OGM.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Ma chi l'ha detto! Ma chi l'ha detto!

ALDO PREDA. È un problema collegato ad un'equa distribuzione della ricchezza, ad un grande atto di solidarietà mondiale di cui anche il nostro paese deve farsi promotore.

Un'ultima riflessione desidero proporre a quest'Assemblea: la fame nel mondo è strettamente connessa ad un problema etico mondiale. Sebbene non sia riuscito a rintracciarne il testo, mi è sovvenuta una considerazione del cardinale Martini a commento dell'esito della Conferenza di Cancun, che mi ha colpito per la sua semplicità ed anche perché, forse, nonostante il fallimento della predetta conferenza, indica il valore da attribuire ad essa. Se la memoria non mi inganna, il cardinale Martini ha scritto al riguardo (ovviamente, non cito le parole esatte da lui adoperate) che la politica avrà una funzione ed una missione fin quando vi sarà un uomo solo che avrà fame e che potrà gridare: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Cos'è il pane quotidiano secondo il cardinale? Non è solo il pane, ma anche la giustizia, l'istruzione, la formazione: una serie di elementi che mancano in alcuni paesi. A Cancun, ha scritto il cardinale Martini, la politica non ha teso la mano a quest'uomo solo!

Allora, io credo che il dopo Cancun ci imponga una riflessione approfondita sulla funzione che il nostro paese ed il nostro Governo debbono assumere nei confronti dell'Unione europea ed anche all'interno delle grandi organizzazioni internazionali: denunciare le disuguaglianze mondiali ed i differenziali sociali sui quali si basa la globalizzazione dell'economia e chiedere che la politica dia una mano agli uomini soli, dovunque essi siano (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crucianelli. Ne ha facoltà.

FAMIANO CRUCIANELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, anzitutto, chiedo la votazione per parti separate della mozione a mia prima firma, nel senso di votare preliminarmente la parte motiva e, congiuntamente, il primo ed il secondo capoverso, lettera a), del dispositivo e, successivamente, i restanti capoversi del dispositivo.

Ciò precisato, cos'è accaduto a Cancun? Se non è possibile trovarci d'accordo, almeno interroghiamoci su quanto è concretamente accaduto. Ebbene, credo si possa affermare che a Cancun si è verificato un evento politico di grandissima importanza e che, a mio parere, potrebbe segnare una svolta o, comunque, indicare un passaggio politico finanche epocale.

Non a caso, dopo Cancun, diversi commentatori ed analisti politici hanno rievocato la Conferenza di Bandung del 1955: in tale occasione, i paesi asiatici ed africani costruirono il nucleo fondamentale del Movimento dei paesi non allineati, che ebbe una grande funzione e che, per diversi anni, seppe guadagnarsi un ruolo di protagonista politico sulla scena mondiale.

Credo che a Cancun si sia verificato qualcosa di simile.

Per la prima volta, dopo anni, si è verificata l'agglutinazione di un'area del sud del mondo composta non solo dai paesi emergenti, ma anche da quelli del sud povero del mondo che hanno rifiutato gli imperativi economici e commerciali provenienti dai grandi paesi del nord.

Prima del vertice di Cancun, l'Europa e gli Stati Uniti compirono una scelta sbagliata: insieme presentarono un documento sull'agricoltura che, com'è noto, rappresenta uno dei punti fondamentali del contenzioso a livello commerciale e mondiale. Questo documento voleva imporre, ancora una volta, la logica dei paesi del nord, delle grandi multinazionali e delle grandi concentrazioni agroindustriali; per la prima volta, vi è stato, in quest'area del sud del mondo con in testa il Brasile, un rifiuto molto secco. In sostanza, vi è stata la rivolta di questa area del mondo. Tale evento rappresenta un fatto epocale; non a caso, alcuni ministri riconobbero che, prima di compiere determinate scelte, occorreva tentare di discutere con il Brasile e con l'organizzazione del G 21.

Credo - mi rivolgo amichevolmente al collega Mantovani - che Cancun abbia saputo dimostrare l'importanza di una sede multilaterale. Ciò non sarebbe stato possibile a Seattle, che fondamentalmente fallì non solo per la spinta dei movimenti, ma anche per le contraddizioni pesanti fra l'Europa e gli Stati Uniti.

A Cancun, invece, questa parte del mondo ha potuto dimostrare il proprio valore, contrapponendosi ai grandi e forti poteri del nord: gli Stati Uniti e l'Europa. Da questo punto di vista, difendo le sedi multilaterali, perché nella sede multilaterale è possibile la costruzione di un fronte ampio che possa contrastare ciò che difficilmente potrebbe essere contrastato. Infatti, in un rapporto bilaterale Brasile-Stati Uniti o un'area qualsiasi del sud del mondo e i grandi paesi del nord del mondo, non vi sarebbe discussione. Si possono fare anche buoni accordi per reciproche convenienze, ma certamente se esiste un forte interesse del nord, questo in un rapporto bilaterale è, in ogni caso, tutelato. Difendo quella sede come il luogo in cui è emersa una dialettica politica, una nuova forza politica, un nuovo soggetto. Ma difendo tutte le sedi multilaterali, come le Nazioni Unite che è una sede multilaterale nella quale è possibile far valere questi principi.

Non difendo il WTO per come è attualmente, né penso alla democratizzazione di questo organismo. Anzi, credo (è abbastanza chiaro nella mozione) che uno degli obiettivi fondamentali che dobbiamo porci sia quello di scorporare dal WTO tutto ciò che quest'organizzazione impropriamente e progressivamente ha assimilato e metabolizzato fino a svuotare tutte le grandi agenzie delle Nazione Unite, dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) all'Organizzazione mondiale della sanità. Ci siamo trovati di fronte all'assurdità che la discussione sulle medicine essenziali e sui farmaci salvavita riguardante una parte importante dell'Africa è avvenuta non nella sua sede propria, come avrebbe dovuto essere, ossia l'Organizzazione mondiale della sanità, ma nella sede del WTO, seguendo una logica puramente commerciale. Uno degli obiettivi che questa mozione si pone è quello di sottrarre al WTO le competenze che dovrebbero essere proprie delle agenzie delle Nazioni Unite.

Tornando alla questione fondamentale di Cancun (è interessante la discussione della sinistra, ma credo lo sia altrettanto il confronto con il Governo), ricordo che a Cancun una grande area del mondo è diventata protagonista nel totale silenzio dell'Europa e dell'Italia che in quel momento aveva la Presidenza dell'Unione europea.

Noi questo dobbiamo dircelo. Capisco che la premessa della mia mozione non possa essere accettata dal Governo, ma si tratta di un punto di verità, perché noi abbiamo avuto a Cancun una discussione molto forte, che ha riguardato le grandi questioni commerciali, che ha riguardato i grandi nodi sulla liberalizzazione che i paesi del nord volevano imporre ai paesi del sud del mondo. L'Europa in primis e l'Italia (anche quando aveva la Presidenza dell'Unione europea) non hanno fatto un passo per spezzare questa dialettica perversa. Anzi, Lamy, rappresentante dell'Unione europea, in quella sede, ha avuto una funzione estremamente negativa. Quando il Governo esprime parere contrario sulla lettera a) del dispositivo della mozione a mia prima firma fa esattamente quello che Lamy ha fatto a Cancun, cioè continua a difendere quelle politiche di liberalizzazione che riguardano appunto le cosiddette issues di Singapore sugli investimenti, sulla concorrenza, sulla trasparenza degli appalti, che sono esattamente i punti rifiutati da quasi tutti paesi del sud del mondo, perché sono una liberalizzazione che, nella sostanza, viene interpretata - e nella sostanza è - un'occupazione progressiva di questi paesi da parte delle grandi concentrazioni economiche ed una espropriazione dei diritti democratici su grandi tematiche che riguardano lo sviluppo, la società ed il commercio di questi stessi paesi. Io credo che il Governo ancora una volta qui compia lo stesso errore che ha portato al fallimento di Cancun. Se noi affrontiamo la fase attuale che, come noto, si è riaperta a livello internazionale con la discussione del dopo Cancun, sulla base del dibattito che si è aperto a Ginevra, con la stessa logica di Cancun, cioè con la logica che impone liberalizzazioni a questa area del sud del mondo, ho l'impressione che andremo incontro all'ennesimo fallimento.

Io credo che dietro a questa logica sbagliata, a questa rappresentazione molto particolaristica dei propri interessi nazionali da parte degli Stati Uniti e da parte dell'Europa vi sia in fondo però una grande miopia, una grande incomprensione dei processi mondiali che oggi abbiamo di fronte. Se dovessimo sottrarre a quello che viene chiamato genericamente lo sviluppo del mondo o il prodotto interno del mondo quella che è la crescita dell'economia del mondo, se dovessimo sottrarre la Cina e l'India, noi ci troveremmo di fronte ad una reale stagnazione dell'economia mondiale. Allora bisogna chiedersi perché, come mai questo tipo di economia da anni si trova in una condizione di incapacità reale di sviluppo. Io sono convinto di questo. Ma non solo io: vi sono analisti molto seri, che danno la responsabilità di questa situazione ad un ragionamento o a un fattore estremamente intuibile (non c'è bisogno di essere dei grandi e raffinati accademici, è la ragione semplice che ci porta a capirlo). La grande maggioranza del mondo è fuori dallo sviluppo, fuori dal commercio e fuori da quella che è una prospettiva di crescita dell'economia del mondo. La grande maggioranza dell'umanità non è in condizione di esprimere alcuna domanda nel mercato internazionale. Si registra, come è noto, un miliardo di persone che vive con un dollaro al giorno, 2 miliardi che vivono con 2 dollari al giorno. Siamo di fronte ad una miseria che investe una grande parte dell'umanità e che sottrae, quindi, questa parte del mondo alla crescita, allo sviluppo e alla produzione di ricchezza.

PRESIDENTE. Onorevole Crucianelli, la prego di concludere.

FAMIANO CRUCIANELLI. Quest'incomprensione - ho finito, Presidente -, questa miopia porta poi a non capire quali sono le politiche che bisogna mettere in campo. È per questo che noi assistiamo, come avviene nelle Commissioni, al rifiuto di discutere la tobin tax, se non in sede istruttoria, se non come inchiesta, se non come analisi, ma in questo modo dubito che riusciremo a produrre qualcosa. Per questo, sul debito internazionale di questa area del mondo non abbiamo delle risposte positive; per questo, sul commercio internazionale la politica dei paesi del nord è miope, parzialissima e particolarissima. Credo che questa incomprensione andrebbe rimossa dalla testa di chi oggi decide - a livello internazionale - nei grandi centri, nelle grandi metropoli capitalistiche, le politiche economiche e le politiche finanziarie. Senza di questo, noi andremo incontro a fallimenti continui, che non investiranno soltanto i paesi poveri del sud, ma gli stessi paesi del nord (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo ha voluto sollevare una grande questione, forse la questione epocale di questo periodo storico. Infatti, se non vi è un rapporto diretto fra sottosviluppo, fame, disuguaglianze e terrorismo, ve ne è certamente uno indiretto, ed è forte.

Vorrei ricordare che, nel presentare questa mozione, ci siamo ispirati ai fondamenti generali di un rapporto sulla globalizzazione, compiuto dal nuovo presidente del Partito del socialismo europeo, il danese Rasmussen, che mi sembra abbia ben collegato e messo in evidenza uno tra i grandi problemi mondiali. Dobbiamo dare una risposta a chi ci chiede se il treno dello sviluppo mondiale è diretto - sia pure con stazioni intermedie, sia pure lentamente - verso il traguardo del superamento di tali squilibri o se, invece, non siamo - nostro malgrado - imbarcati su un treno che porta ad accentuare tali squilibri. Ciò naturalmente dipende molto dai termini degli scambi dei rapporti internazionali, dai termini ineguali posti dal protezionismo dei prodotti agricoli, in particolare di quelli che riguardano il terzo mondo.

Nella Costituzione europea, se sarà approvata, vi sono meccanismi interessanti che possono rafforzare l'azione dell'Unione, prevista anche nella lettera f) della nostra mozione. Penso, per esempio, al concetto di personalità giuridica dell'Unione europea che, se approvato e se vi sarà una volontà politica (e per noi vi deve essere tale volontà) a concentrare in un unico rappresentante le quote dei singoli paesi europei nella Banca mondiale, potrebbe dare potenzialmente all'Unione europea nel menzionato organismo deputato ai finanziamenti dei paesi sottosviluppati, un peso maggiore di quello degli Stati Uniti. La nostra mozione, non a caso, richiama spesso il tema Europa, proprio perché vorremmo vedere l'Europa stessa protagonista di un rapporto diverso con gli Stati Uniti.

L'Europa non deve imitare gli Stati Uniti come superpotenza, ma deve, invece, adoperarsi per un rinvigorimento delle organizzazioni internazionali e della loro azione. È vero: l'Europa (la Commissione europea, in particolare) ha mancato l'appuntamento di Cancun. Noi vogliamo anche sottolineare come tutti gli annunci quantitativi dati in questo periodo dal Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi (ricordo con le mie orecchie quello dato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel settembre 2001) di portare il contributo italiano allo sviluppo allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo (una volta disse, addirittura, anche all'1 per cento), non si siano rivelati assolutamente fondati.

Siamo in vista sia di nuove scadenze internazionali sia dei documenti di programmazione economico-finanziaria del 2004. Siamo anche prossimi al rinnovo della Commissione europea. In questo senso, abbiamo posto una serie di problemi precisi al Governo. Come ci risponde il Governo, per bocca del senatore Ventucci (che, devo dire, sta sviluppando una grande competenza in materia di politica estera, perché, e lo devo lodare per questo, è sempre presente ai nostri dibattiti di politica estera che riguardano l'Europa o i problemi dell'organizzazione economica internazionale) (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia)? Ci risponde che non condivide le premesse di questa mozione, però può condividerne i dispositivi, eccettuata la lettera a), ossia l'esclusione dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha.

Come reagiamo? La situazione mondiale ci sembra talmente grave e drammatica che cerchiamo di approfittare comunque di tale disponibilità e, quindi, voteremo per parti separate questa mozione, in modo che essa ci consenta di mantenere la posizione di principio sul tema dell'esclusione dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha, ma anche di recepire questa disponibilità del Governo sugli altri punti.

La situazione sembra così drammatica e difficile che l'accettazione da parte del Governo è anche un'implicita accettazione dell'importanza e della giustezza della nostra mozione (e di altre che si muovono nella stessa direzione), proprio perché, evidentemente, si avverte la necessità di prendere posizioni assolutamente indilazionabili e indispensabili.

Cancun ha ospitato varie conferenze nel tempo: io sono in grado di ricordare quella di cui fu protagonista Willy Brandt, allora responsabile delle Nazioni Unite per il programma di sviluppo nord-sud, che fu l'incunabolo, il primo tentativo di porre questi problemi a livello internazionale. L'Italia, ad un certo punto, vi prese parte, anche se, purtroppo, la sua azione fu gravemente inficiata dalle vicende di tangentopoli. Tuttavia, non voglio dimenticare che l'Italia era arrivata a dare qualcosa in più dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo per l'aiuto al sottosviluppo ed ora questo importo è sceso fra lo 0,1 e lo 0,2 per cento. Credo che dovremmo veramente tornare a contribuire in misura maggiore, specie se - come sembra - l'ONU ci chiede di versare lo 0,7 per cento (qualcuno ha anche proposto percentuali più consistenti).

Ebbene, signor Presidente, onorevoli colleghi, accettiamo questa disponibilità del Governo, però - il senatore Ventucci me lo consentirà - ciò ci renderà ancora più esigenti nel chiedere una condotta conseguente. Naturalmente, non si tratta di concludere un dibattito in Assemblea in un modo qualsiasi, tanto per farlo, ma si tratta di assumere, insieme, impegni veramente meditati e comuni. Ecco il motivo per cui, per quanto riguarda la votazione della nostra mozione, ci comporteremo in questo modo.

Peraltro, raccolgo anche un clima di consenso più generale nell'ambito dell'opposizione nel suo complesso. Non condividiamo alcune delle considerazioni svolte, ad esempio, dall'onorevole Ramon Mantovani; mi sembra però di aver sentito anche nelle sue parole spirare la sensazione della drammaticità e dell'urgenza dei problemi che vengono posti. Si tratta di problemi molto presenti nei movimenti, anche giovanili, e nella sensibilità internazionale, ed il fatto che il Parlamento italiano dia un segnale di comprensione, di azione e di presa di responsabilità su questo piano ci sembra molto importante.

Ecco perché esprimeremo un voto favorevole sulla nostra mozione e saremmo contenti se, almeno in parte, quest'ultima potrà diventare, attraverso l'espressione della volontà del Parlamento, la volontà del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor sottosegretario, il tema in esame è sicuramente importante. Stiamo parlando della sovranità popolare e della sovranità nazionale; stiamo parlando della riforma del WTO e di regole condivise per tutti, di democrazia e di diritti.

Certo, in quest'Assemblea molti sono gli elementi che ci dividono, ma vorrei sottolineare anche qualcosa che ci unisce. Credo che questo sia un grande paese, dalla Padania al sud. È un paese generoso, che svolge e che ha svolto un proprio ruolo nell'ambito del WTO. È certo un grande paese industriale, mosso anche da motivazioni etiche e da sentimenti nobili. Abbiamo sentito parlare di povertà e di fame ed abbiamo sentito evocare temi alti e sicuramente necessari. Credo che, al riguardo, vadano svolte alcune piccole riflessioni.

Innanzitutto, sicuramente abbiamo registrato un fallimento, ma dobbiamo individuare alcuni punti fermi: il primo è quello della sovranità popolare e nazionale, che è stato evocato. Possiamo, forse, pensare - in nome di un multilateralismo che talvolta sta diventando un metodo plurilaterale, e talvolta bilaterale - di rinunciare sempre a quote di sovranità nazionale e popolare? Possiamo, forse, scambiare gli interessi delle multinazionali o di alcune corporazioni con la perdita di quote di sovranità popolare? Ecco: questo è un equilibrio delicato. Da parte della Lega Nord Federazione Padana, vi è una forte rivendicazione della necessità di mantenere ferma e fissa la barra della difesa della sovranità nazionale e di quella dei popoli liberi, dal nord al sud di questo paese.

Ho sentito parlare di riforma della rete mondiale del commercio. In primo luogo, vorremmo raccogliere positivamente alcune riflessioni avanzate dal centrosinistra. Dobbiamo forse riformare le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio e porre anche una discussione in questi termini? Credo che il Governo abbia compiuto uno sforzo in questi termini.

Sulla mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277, chiediamo la votazione per parti separate della lettera d) del secondo capoverso del dispositivo. Non siamo d'accordo sul fatto di togliere da un «carrozzone», quale a volte è il WTO, una competenza per porla in capo all'ONU, creando un altro organismo, probabilmente al di sopra delle attuali capacità della stessa ONU. Crediamo che quest'ultima debba fare il suo mestiere, che non riesce a svolgere, nel garantire i diritti che dovrebbe in qualche modo invocare: trasferire a tale organizzazione una serie di competenze, come viene proposto, non ci trova assolutamente favorevoli.

Parliamo anche di regole: credo che le issues di Singapore non siano state attentamente valorizzate. È o meno importante, per esempio, il tema della trasparenza negli appalti pubblici? Pensiamo, forse, che imporre o suggerire norme sulla trasparenza negli appalti pubblici rappresenti sicuramente un affronto allo sviluppo del sud del paese? Non è, magari, una necessità anche della nostra economia? Non abbiamo forse la necessità di competere, sul mercato cinese o su quello indiano, alla pari dei nostri competitori? Non abbiamo forse la necessità di concorrere sulla base di regole certe e trasparenti poste a favore dei cittadini?

Credo che questo debba essere un impegno anche per il Governo; tuttavia, deve trattarsi di un impegno che non lede i diritti e la necessità di uno sviluppo. Quindi, occorrono regole certe! Occorre anche, e soprattutto, ricordare che il libero mercato non esiste, se non esiste un libero mercato dei diritti. Forse questo tema andava «stressato» maggiormente dalla sinistra: questo, tuttavia, è un tema che la Casa delle libertà può portare avanti.

Noi non possiamo esportare la democrazia, se non esportiamo i diritti. Allora, il tema dei diritti dei lavoratori del terzo mondo è un tema che la Casa delle libertà porterà avanti in questo paese. Il fatto di esportare, ripeto, i diritti per i lavoratori cinesi (come è stato affermato ultimamente e come, in qualche modo, deve essere richiesto anche in occasione della futura visita del premier cinese in Italia) è oggi un tema prioritario della democrazia: non c'è democrazia senza sviluppo, non c'è democrazia senza diritti!

Per questo, credo che oggi un elemento fondamentale, probabilmente non affrontato e che quindi vogliamo brevemente sottolineare, sia rappresentato dalla necessità di garantire il rispetto della proprietà intellettuale contro la concorrenza sleale. Più volte abbiamo sottolineato questo tema, che «tocchiamo» tutti i giorni andando in giro per le strade delle nostre terre, ascoltando gli imprenditori del nord d'Italia così come quelli del sud e ricordandoci che 12 mila posti di lavoro sono andati perduti proprio perché non è stata rispettata la disciplina del marchio e della proprietà intellettuale nel nord e nel sud del paese. Circa il 70 per cento delle contrattazioni, oggi, provengono dal sud-est asiatico: dobbiamo quindi imporre regole certe per la protezione dei nostri marchi contro la contraffazione.

Questo è un impegno che il nostro paese deve portare avanti in sede europea, dal quale dipenderà necessariamente il futuro del nostro paese. Oggi si dice di non pensare a dazi e ad altre strutture protezionistiche: noi chiediamo che i dazi per la tutela del made in Italy e della proprietà intellettuale siano una necessità inderogabile. Rispetto a questa necessità, noi non possiamo derogare!

Concludo, signor Presidente, sottolineando che questi temi sono sicuramente importanti. Non voglio entrare nella polemica precedente, ma devo notare come, anziché discutere di temi importanti che attengono al futuro dell'umanità, gran parte della sinistra abbia preferito discutere di quattro poltrone RAI. Tale scelta, a mio giudizio, non gli rende onore.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.

ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, molti altri colleghi, anche dell'opposizione, hanno ampiamente trattato il tema in esame con argomentazioni condivisibili. Ci troviamo di fronte ad una delle più grandi sfide degli ultimi venti-trent'anni: quella di colmare il fossato esistente tra il nord ed il sud del mondo. Superato il conflitto tra est ed ovest dopo il crollo del muro di Berlino, la nuova sfida per tutti è quella di colmare il suddetto fossato. Su tale sfida dobbiamo impegnarci fino in fondo: non si rischia solo un progressivo peggioramento della situazione esistente nei paesi in via di sviluppo, ma anche che il suddetto divario si ritorca contro il mondo sviluppato.

La nostra epoca è punteggiata da Carte dei diritti, ma il paradosso è che tali Carte non sono assolutamente rispettate. Mi riferisco ai fallimenti delle grandi assise internazionali, a Cancun ed a tutto quanto riguarda la salvaguardia dell'ambiente. Dobbiamo assolutamente prendere sul serio l'impegno che abbiamo assunto nelle grandi assise internazionali per contribuire a risolvere tali problemi, che costituiscono - ripeto - la sfida più importante che abbiamo di fronte.

Ne hanno già parlato altri colleghi, quindi non voglio dilungarmi sui grandi temi di Singapore, quali la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza degli appalti pubblici, la facilitazione del commercio. Su tali temi sappiamo che settanta tra i paesi in via di sviluppo si sono dichiarati indisponibili. Sappiamo anche che a livello di Unione europea si è tentato un approccio plurilaterale, che non è ipotizzabile per un organismo multilaterale come l'Organizzazione mondiale del commercio.

L'Europa deve affrontare - gli Stati Uniti hanno già cominciato a farlo - il grande problema del cotone. Mi riferisco ai sussidi agli imprenditori cotonieri americani, che hanno messo completamente in ginocchio i paesi produttori, soprattutto quelli dell'Africa occidentale. Dobbiamo affrontare tale problema conciliando le esigenze dei nostri agricoltori con quelle degli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, i cui costi sono enormemente più bassi.

Tale problema va affrontato molto seriamente. Come possiamo pretendere di aiutare i paesi in via di sviluppo se non riusciamo a metterli in condizione di favorire l'accesso dei loro prodotti ai nostri mercati? È impossibile determinare uno sviluppo adeguato, in particolare dei paesi

dell'Africa, se non li mettiamo in condizione di autosvilupparsi. Questa è un'altra delle sfide che dobbiamo affrontare.

Molti nostri colleghi continuano ad elencare le disgrazie dell'Africa. Ogni volta parliamo di un miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno, delle malattie, dei conflitti etnici. Si tratta di temi che ognuno di noi conosce molto bene. Non credo valga la pena di continuare a fare l'elenco delle disgrazie. Dobbiamo bensì impegnarci seriamente per capire come aiutare queste popolazioni ad autosvilupparsi, mettendole in condizione di essere artefici del loro sviluppo. Questo è il punto, per quanto riguarda in modo particolare l'Africa, che come sappiamo è il «concentrato» di quello che purtroppo sta succedendo in senso negativo nel Terzo mondo.

I cosiddetti Millennium development goals, cioè gli obiettivi che 189 paesi hanno sottoscritto nel settembre del 2000, si riferiscono soprattutto all'Africa. In queste condizioni, si prevede che tali obiettivi non si riusciranno a raggiungere se non nel 2150 (altro che 2015!). Questo è il vero problema che dobbiamo affrontare in tutti i modi e con molta serietà, anche attraverso il dialogo tra maggioranza ed opposizione, che può vederci impegnati assieme per affrontare questi grandi temi. Se non è questo il terreno di confronto, quale può essere allora, nella dialettica interna del mondo di oggi, che ci vede divisi su tante cose? Io credo che una dialettica sul terreno dell'aiuto allo sviluppo può davvero vederci assieme.

Nessuno di voi ha parlato di quello che sta succedendo, a livello internazionale, tra il G8 e il nuovo partenariato per lo sviluppo dell'Africa. Questo è uno dei fatti più importanti, direi storici, che dal G8 di Genova in poi è successo, ma del quale non si parla assolutamente. Come paese che fa parte del G8, l'Italia sta lavorando su questo tema in maniera molto efficace. Tuttavia, sui giornali, in televisione e sui media in generale, c'è un silenzio totale al riguardo: di Africa si parla solamente quando ci sono centinaia di migliaia di vittime, per i conflitti, le malattie, gli scontri etnici, la povertà e i disastri naturali. Dobbiamo invece guardare a questo continente (e al mondo in via di sviluppo in generale) in modo positivo, cercando di valorizzare quel che c'è di buono.

Giro l'Africa in lungo e in largo e posso dire che quei popoli cominciano a guardarci con grande sospetto, perché vedono che utilizziamo nei loro confronti categorie che appartengono al passato. Per metterli in condizione di essere aiutati, dobbiamo affrontare i temi di fondo di cui stiamo parlando oggi, come quello del cotone, per quanto riguarda l'America, e quello dei sussidi agricoli; ma soprattutto dobbiamo convincere le nostre imprese a non limitarsi ad andare in Cina o nei paesi dell'est europeo, ma ad investire, per esempio, anche in Africa, dove i governi locali potranno metterle in condizione di investire nel modo migliore. Il vero sviluppo, colleghi, si determina non solo dando sussidi e solidarietà tout court e fine a se stessi, ma anche aiutando queste popolazioni ad autosvilupparsi. È un discorso complesso, non facile ma comunque possibile e, peraltro, è proprio quello che ci chiedono questi paesi.

Con la nostra mozione chiediamo, quindi, di rilanciare le trattative in materia di commercio mondiale, per arrivare in tempi ragionevoli ad una composizione dei contrasti e delle divaricazioni esistenti fra i paesi del nord e del sud del mondo, in una visione equilibrata delle diverse esigenze e dei differenti interessi, in un quadro di rafforzata collaborazione internazionale. Chiediamo, inoltre, che l'Italia si attivi per definire un accordo con i paesi del G20 sui quattro temi di Singapore dei quali parlavo all'inizio.

Dobbiamo tenere conto che, mentre noi stiamo litigando (tra il nord e il sud), ci sono paesi emergenti che hanno una grande forza, in particolare in termini di popolazione, che stanno rapidamente guadagnando terreno e rischiano di scompaginare la nostra visione del mondo. Grandi paesi come la Cina, l'India, il Brasile, il Sudafrica, che in un prossimo futuro, molto vicino, decideranno una loro politica, non tenendo più conto di quello che noi possiamo fare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcora. Ne ha facoltà.

Se i colleghi prestassero maggiore attenzione e facessero meno rumore, forse potremmo ascoltare le argomentazioni dei colleghi con maggiore serenità!

LUCA MARCORA. Il vertice di Cancun è stato un fallimento, una sconfitta; non sono fra coloro che hanno gridato alla vittoria quando il capo negoziatore messicano ha gettato la spugna rispetto alla possibilità di giungere ad un accordo sul commercio internazionale.

Ritengo si tratti di una sconfitta, in primo luogo, per i paesi in via di sviluppo: l'abbandono di una logica multilaterale, dove prevalgono i criteri di equilibrio e di compensazione degli interessi, rischia di essere sostituita da un certo bilateralismo in cui, naturalmente, vince il più forte; ma se è il più forte a vincere, ovviamente negli accordi di commercio internazionale sono i paesi in via di sviluppo a subire le conseguenze più drammatiche e negative. Quindi, è stata una sconfitta dello stesso gruppo dei G20, ma soprattutto dell'Unione europea.

L'Unione europea ha scelto una linea negoziale di assoluto appiattimento sugli interessi prevalenti degli Stati Uniti. Non vi è stata una logica di trattazione che ha permesso di valorizzare la riforma di medio periodo della politica agricola comunitaria, con l'affermazione di un nuovo modello agricolo europeo; ci si è piuttosto concentrati sui temi di Singapore (Singapore issues), che sicuramente hanno rappresentato il principale ostacolo al raggiungimento di un qualsiasi accordo a livello di WTO.

Di agricoltura a Cancun non si è nemmeno parlato - bisogna dirlo - perché l'Unione europea, il negoziatore Pascal Lamy, ma anche il nostro ministro Alemanno (allora presidente di turno del Consiglio agricolo europeo) non sono stati in grado di far capire ai paesi in via di sviluppo del G20 la portata storica della riforma della politica agricola comunitaria attuata attraverso la mid-term review. Fino ad oggi, la politica agricola comunitaria ha rappresentato una forte componente di distorsione dei mercati, attraverso processi di dumping nella vendita di prodotti europei trasformati nei paesi in via di sviluppo e la creazione di barriere all'entrata, che hanno impedito le esportazioni da questi paesi in via di sviluppo nel nostro mercato agricolo.

La mid-term review, la riforma di medio periodo, sposta completamente l'asse della politica agricola comunitaria. Non posso entrare nello specifico, ma vorrei citare il tema del disaccoppiamento, asse portante di questa riforma, che prevede che gli aiuti vengano forniti alle imprese non per quello e per quanto producono, ma per i propri comportamenti in termini di pratiche agronomiche, di tecniche allevatoriali, di rispetto dell'ambiente, di difesa della qualità, di presidio del territorio, ovvero per tutte quelle funzioni, non unicamente produttive, svolte con riferimento al sistema agricolo (mi riferisco, quindi, anche a quelle sociali, in termini di difesa dell'ambiente, di presidio del territorio, di valorizzazione della qualità e della tipicità del legame con il territorio e, soprattutto, di garanzia della sicurezza alimentare).

Da oggi in poi, o meglio da quando verrà applicata la riforma della PAC, a partire dal 2005 (speriamo che anche lo Stato italiano si adegui a tale scadenza), gli aiuti verranno commisurati a queste funzioni dell'agricoltura ovvero ai comportamenti dell'imprenditore agricolo, e non ai tipi e alle quantità di prodotti realizzati. Ciò depotenzia, ovviamente, la possibilità per gli agricoltori europei di produrre beni che poi vengono venduti nei paesi in via di sviluppo sotto costo e, quindi, disinnesca la potenzialità della politica di dumping da parte dell'Europa.

Tutto ciò avrebbe dovuto essere spiegato ai paesi in via di sviluppo e fare parte di una trattativa negoziale in cui l'Europa avrebbe dovuto, in primo luogo, raffrontarsi con tali paesi, al fine di individuare un asse comune che, di fronte all'accoglimento delle richieste da parte dei paesi in via di sviluppo in termini di definitiva chiusura della politica di dumping, trovasse altri tipi di alleanze, in particolare per quanto riguarda la difesa delle produzioni tipiche, dei marchi e delle indicazioni geografiche protette.

Si tratta di un tema fondamentale per l'agricoltura italiana, che non potrà competere in futuro, a livello di prezzi e di costi, sulle commodities, vale a dire sui beni agricoli indifferenziati che vengono prodotti nel mondo. Su questo livello di competizione globale saremo sempre perdenti, in quanto non siamo in grado di produrre il latte ai costi della Nuova Zelanda, il mais ai costi degli Stati Uniti, la soia ai costi del Brasile; quindi, saremo comunque costretti a competere sulla tipicità, sulla qualità, sulla sicurezza alimentare, sul legame del territorio, su quel patrimonio enogastronomico che fa forte il made in Italy in tutto il mondo. Non dimentichiamo che il made in Italy non è solo moda, non è solo Ferrari, ma è anche e soprattutto mangiare bene, cibi sani e di alta qualità.

Questo era il tema che dovevamo portare quale argomento di trattativa sul tavolo di Cancun, in cambio di un riconoscimento delle legittime aspirazioni dei paesi in via di sviluppo. Ciò, tra l'altro, era stato quasi venduto come un successo della delegazione italiana a Doha, quando il viceministro Urso tornò dicendoci che avevamo fatto grandissimi passi avanti in materia di riconoscimento dei diritti di protezione dei marchi dei prodotti agroalimentari; ma, di fatto, abbiamo visto poi a Cancun com'è andata a finire.

Da parte dell'Europa, è mancata quindi una strategia negoziale che non fosse supina rispetto agli interessi e alla linea di trattativa condotta dagli Stati Uniti, ed è mancata soprattutto una capacità di spiegare la nuova politica agricola comunitaria per trovare, proprio nei paesi in via di sviluppo, degli alleati sui temi dell'agricoltura.

A questo punto, occorre svolgere un'altra considerazione. Il negoziato è fallito perché il WTO è stato gravato di compiti che non rientrano tra le sue funzioni istituzionali. Che tale azione sia stata volontaria o involontaria è tutto da discutere: se, cioè, si sia voluto far passare come accordi sul commercio internazionale partite che avevano a che fare con temi ben più rilevanti dei diritti sociali, dei diritti dei lavoratori, dell'ambiente, dei beni pubblici globali, dei servizi sociali o se, invece, visto che nel mondo non esiste altro consesso internazionale di mediazione dei diversi interessi, ciò sia avvenuto per necessità. Ma, sicuramente, il WTO non è attrezzato per affrontare questo tipo di problematiche.

Dunque, è necessaria una riforma del WTO e probabilmente, a tal fine, sarebbe opportuno prendere in considerazione la proposta di Kofi Annan, volta ad istituire un consiglio di sicurezza economica e sociale che non deleghi al WTO la risoluzione delle controversie relative ad interessi che non sono solo economici, comportando effetti ambientali e sociali di portata sicuramente superiore al dato del commercio internazionale. Si potrebbe pensare anche ad agenzie specializzate dell'ONU che affianchino il WTO nello svolgimento di tale compito. Tra l'altro, questo consiglio di sicurezza economica e sociale potrebbe costituire anche una sede di indirizzo politico per organismi economici come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale del commercio. Tutto ciò ci deve far capire che, a livello di WTO, non è possibile risolvere i problemi della giustizia sociale nel mondo, degli equilibri economici e politici.

È quindi sbagliato attribuire alla partita agricola il fallimento del vertice di Cancun, in quanto è stata la linea negoziale portata avanti dalla Commissione europea ad essere errata, insieme alla sottovalutazione della costituzione del gruppo del G20.

Siamo qui a richiedere il rilancio di questi negoziati su basi diverse, che presuppongano una revisione del mandato - tra l'altro risalente al dicembre 1999 e quindi sicuramente da aggiornare - conferito al negoziatore, Pascal Lamy; ma soprattutto chiediamo che vengano chiariti determinati punti, come la necessità di ricercare alleanze con i paesi in via di sviluppo, nel riconoscimento delle loro legittime aspirazioni di libertà commerciale per quanto concerne i beni agricoli anche sul mercato europeo. Come contropartita vogliamo il rispetto dei marchi delle produzioni tipiche, nonché la protezione dei diritti intellettuali, aspetti commerciali, quindi, che possono interessare anche quei paesi.

In conclusione, vorrei ricordare che il cibo non è una merce. Dobbiamo pensare che sulle produzioni agricole si giocano i destini di milioni di persone, in particolare quelli dei residenti in una parte del mondo attanagliata da problemi di fame e miseria. Il settanta per cento della forza lavoro di questi paesi è costituita da agricoltori che, da un lato, devono poter produrre ed esportare i propri beni e, dall'altro, devono poter ricavare un reddito sufficiente a garantire loro di non morire di fame e ad assicurare loro una vita decente.

PRESIDENTE. Faccio notare che il collega Marcora è rientrato precisamente nei tempi.

ENZO RAISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Vorrei soltanto evidenziare la nostra intenzione di voto, anche a seguito di quanto precisato dal Governo che, giustamente, non ha accettato buona parte dei documenti presentati dalle minoranze, accogliendone però alcuni punti su cui persistono i nostri dubbi. In proposito ci rimettiamo al giudizio dell'Assemblea, ricordando però che questi punti ci sembrano importanti e decisivi, tanto da motivare in senso contrario il nostro voto.

Non comprendiamo, ad esempio, come si possa al punto d) del dispositivo della mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), sostenere la creazione di un ulteriore organismo internazionale, sotto l'egida dell'ONU, organizzazione che in questo momento attraversa una grave crisi, come dimostra la situazione irachena unitamente ad altre emergenze internazionali. Si vuole soltanto creare un doppione dell'Organizzazione mondiale per il Commercio.

Ma soprattutto - e richiamo al riguardo l'attenzione dei colleghi della maggioranza - mi chiedo come si possa, al punto e) del dispositivo di tale mozione, chiedere al nostro Governo di sostenere un binario diverso per i paesi in via di sviluppo sui temi della salvaguardia sociale ed ambientale. Di fatto, si vuole consentire a questi paesi di seguire una disciplina differente, rispetto al resto dei membri dell'Organizzazione mondiale per il commercio, in tema di ambiente e di salvaguardia sociale. Mi chiedo cosa potremo dire alle nostre industrie chimiche, che oggi attraversano una situazione di grande difficoltà dovuta al mancato rispetto da parte dei paesi in via di sviluppo delle regole ambientali, con conseguente disequilibrio sul mercato internazionale. Mi chiedo, inoltre, come si possa ignorare la salvaguardia sociale nei paesi in via di sviluppo, quando le condizioni dei lavoratori vi risultano subumane. Mi chiedo come sia possibile avanzare tali richieste!

Credo che, onestamente, da parte della maggioranza debba esserci una profonda riflessione che induca ad esprimere un voto omogeneo su tali richieste della minoranza.

Concludo dichiarando che il gruppo di Alleanza Nazionale esprimerà voto favorevole sui documenti presentati dai suoi deputati, dai colleghi del gruppo di Forza Italia e da quelli della Lega Nord Federazione Padana.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione).

Ricordo che è stata chiesta la votazione per parti separate, nel senso di votare distintamente la parte motiva, il primo capoverso e la lettera a) del secondo capoverso del dispositivo, la lettera d) del secondo capoverso del dispositivo, nonché la restante parte della mozione. In totale vi saranno quindi quattro votazioni.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla parte motiva della mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), non accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 383

Votanti 382

Astenuti 1

Maggioranza 192

Hanno votato 160

Hanno votato no 222).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), limitatamente al primo capoverso e alla lettera a) del secondo capoverso del dispositivo, non accettati dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 382

Votanti 381

Astenuti 1

Maggioranza 191

Hanno votato 163

Hanno votato no 218).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), limitatamente alla lettera d) del secondo capoverso del dispositivo, accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 390

Votanti 381

Astenuti 9

Maggioranza 191

Hanno votato 179

Hanno votato no 202).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla restante parte della mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 384

Votanti 382

Astenuti 2

Maggioranza 192

Hanno votato 166

Hanno votato no 216).

Prendo atto che l'onorevole Pisa non è riuscita a votare ed avrebbe voluto esprimere voto favorevole.

PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, intervengo per chiedere alla Presidenza di valutare se l'esito delle votazioni sulla mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione) determini effetti preclusivi su parti delle mozioni successive.

PRESIDENTE. Onorevole Ruzzante, la ringrazio per la sua sollecitazione. Con l'ausilio degli uffici, la Presidenza provvederà alle opportune verifiche al riguardo.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Anedda ed altri n. 1-00357, accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 391

Votanti 389

Astenuti 2

Maggioranza 195

Hanno votato 229

Hanno votato no 160).

Passiamo alla votazione della mozione Cima ed altri n. 1-00361.

Avverto che anche in tal caso è stata chiesta la votazione per parti separate, nel senso di votare distintamente la parte motiva, il dispositivo ad eccezione dell'ultimo capoverso e quindi l'ultimo capoverso del dispositivo della mozione.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Cima ed altri n. 1-00361, limitatamente alla parte motiva, non accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 388

Votanti 381

Astenuti 7

Maggioranza 191

Hanno votato 164

Hanno votato no 217).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Cima ed altri n. 1-00361, limitatamente al dispositivo, ad eccezione dell'ultimo capoverso, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 390

Votanti 389

Astenuti 1

Maggioranza 195

Hanno votato 178

Hanno votato no 211).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Cima ed altri n. 1-00361, limitatamente all'ultimo capoverso del dispositivo, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 389

Votanti 384

Astenuti 5

Maggioranza 193

Hanno votato 170

Hanno votato no 214).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Antonio Leone n. 1-00363, accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 391

Votanti 390

Astenuti 1

Maggioranza 196

Hanno votato 212

Hanno votato no 178).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Polledri ed altri n. 1-00365, accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 393

Votanti 386

Astenuti 7

Maggioranza 194

Hanno votato 210

Hanno votato no 176).


Allegato A

Seduta n. 462 del 5/5/2004

 

MOZIONI CRUCIANELLI ED ALTRI (NUOVA FORMULAZIONE) N. 1-00277, ANEDDA ED ALTRI N. 1-00357, CIMA ED ALTRI N. 1-00361, ANTONIO LEONE N. 1-00363 E POLLEDRI ED ALTRI N. 1-00365 SUGLI ESITI DELLA CONFERENZA DI CANCUN

(Sezione 1 - Mozioni)

La Camera,

premesso che:

dal 10 al 14 settembre 2003 si è svolta a Cancun (Messico) la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio;

la suddetta conferenza si è conclusa con il completo fallimento (il secondo a livello ministeriale in soli quattro anni) di tutti gli argomenti oggetto dei negoziati; ciò rende evidente una crisi di funzionamento dell'istituzione, a fronte di un significativo aumento dei Paesi membri rispetto all'accordo Gatt e di un ampliamento molto rapido dell'agenda negoziale a scapito della verifica dell'attuazione degli accordi esistenti, come richiesto dai Paesi in via di sviluppo;

tra i negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio, quello sull'agricoltura - e in particolare la questione specifica del cotone per quel che concerne i Paesi dell'Africa occidentale - ha rivestito a Cancun un'importanza cruciale, in primo luogo per le economie dei Paesi in via di sviluppo, nonostante il negoziato a Cancun si sia interrotto sulla questione dell'allargamento del mandato negoziale dell'Organizzazione mondiale del commercio sui nuovi quattro temi, cosiddetti di Singapore, concernenti la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza negli appalti pubblici e la facilitazione al commercio;

oltre settanta Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio hanno esplicitamente dichiarato, prima e durante la Conferenza ministeriale di Cancun, di non essere pronti a negoziare i temi di Singapore e l'insistenza sulla necessità di avviare al più presto i negoziati, in particolare da parte dell'Unione europea, ha creato una forte tensione non solo tra i membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma anche tra gli stessi rappresentanti dell'Unione europea;

dopo il fallimento della Conferenza ministeriale di Cancun, l'Unione europea ha proposto un approccio plurilaterale, in base al quale solo i Paesi interessati potrebbero avviare e aderire ai negoziati sui temi di Singapore. Questo approccio è già stato respinto con forza dalla maggioranza dei Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, perché non risolverebbe in alcun modo i problemi legati all'introduzione di queste tematiche e anche perché un approccio plurilaterale non sarebbe ipotizzabile per un organismo multilaterale come l'Organizzazione mondiale del commercio;

il General council dell'Organizzazione mondiale del commercio a Ginevra, a dicembre del 2003, si è aperto con la richiesta di 44 Paesi in via di sviluppo di abbandonare immediatamente i Singapore issues, con l'eccezione parziale delle sole facilitazioni al commercio, e si è chiuso con la richiesta dei 90 Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio che fanno parte dell'Unione africana, del gruppo Africa-Caraibi-Pacifico e del gruppo dei Paesi meno sviluppati di abbandonare i negoziati su tutti e quattro i nuovi temi, respingendo nuovamente anche l'approccio plurilaterale proposto dall'Unione europea;

il Rappresentante al commercio degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, in una lettera spedita a metà gennaio del 2004 a tutti i Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, proponeva di abbandonare immediatamente i negoziati su investimenti e concorrenza per lavorare unicamente sulle facilitazioni al commercio, lasciando un minimo spiraglio aperto per successivi discorsi sul tema della trasparenza negli appalti pubblici;

nel corso dell'ultimo General council del febbraio 2004 sono stati nominati i presidenti dei diversi organismi e gruppi di lavoro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ma non è stato proposto nessun nome per eventuali gruppi di lavoro sui temi di Singapore, a testimonianza della forte contrarietà della grande maggioranza dei Paesi membri verso questi negoziati;

con esclusione della facilitazione al commercio o armonizzazione delle procedure doganali, i temi di Singapore non possono essere considerati questioni strettamente commerciali: quindi, l'Organizzazione mondiale del commercio potrebbe non risultare come la sede più appropriata per negoziare tali temi, dal momento che i principi negoziali dell'Organizzazione mondiale del commercio si applicano ai beni commerciali e la semplice estensione a tematiche non commerciali potrebbe risultare difficile;

la dichiarazione finale della Conferenza ministeriale di Doha chiariva, rispetto ai temi di Singapore, che «i negoziati inizieranno dopo la quinta sessione della Conferenza ministeriale sulla base di una decisione da prendersi, con il metodo del consenso esplicito, nel corso di quella sessione, sulle modalità dei negoziati». Considerato che non solo non è stato raggiunto il consenso esplicito, ma la Conferenza di Cancun è fallita proprio su questi negoziati, rimane incerto se esista ancora un qualche mandato per continuare i negoziati o se dopo Cancun i temi di Singapore debbano essere considerati a tutti gli effetti decaduti e fuori dall'agenda negoziale di Doha;

il mandato conferito dal Consiglio europeo al Commissario europeo al commercio data ormai a prima della terza Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, tenutasi a Seattle nel dicembre 1999, nonostante prima del collasso dei negoziati fosse stato convocato un incontro del Consiglio europeo, non svoltosi pienamente, sotto la presidenza italiana a Cancun, al fine di modificare il mandato del Commissario Pascal Lamy, proprio per quanto concerneva la questione dei nuovi temi;

l'Italia, in quanto presidente di turno dell'Unione europea, in particolare nella persona del Vice Ministro delle attività produttive con delega al commercio estero, onorevole Adolfo Urso, aveva confidato nel ruolo di guida della Commissione europea nel sostenere le richieste italiane, come il riconoscimento delle indicazioni geografiche per i prodotti agricoli di qualità italiani, ma l'insistenza della Commissione europea sui temi di Singapore ha pregiudicato la possibilità di andare avanti nei negoziati e di strappare concessioni sulle indicazioni geografiche agli altri Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio;

oltre ai forti contrasti in materia di agricoltura, alla base del fallimento del vertice di Cancun, vi è stata la crescente diffidenza nei confronti del processo decisionale e della mancanza di democrazia e trasparenza all'interno dell'organizzazione, in particolare da parte dei Paesi in via di sviluppo: dopo la Conferenza ministeriale di Seattle, nel 1999, erano state

previste delle riforme al riguardo, che non sono mai state realizzate;

la nascita di nuove alleanze all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio tra diversi Paesi in via di sviluppo con interessi convergenti, che sono state legittimate politicamente nonostante l'esito della conferenza ministeriale, ha evidenziato l'innovativa realtà di un mondo multipolare e la necessità di mettere a punto strumenti negoziali multilaterali, democratici e all'altezza del nuovo scenario politico internazionale;

il fallimento della Conferenza ministeriale di Cancun ha dimostrato l'incapacità dell'Organizzazione mondiale del commercio a trattare temi quali l'agricoltura, i servizi o gli investimenti soltanto come materie di libero commercio, trascurando così la necessità di promuovere i beni pubblici globali prima delle stesse regole del commercio e di contribuire all'attuazione delle norme internazionali già esistenti in materia ambientale e di diritto del lavoro;

i beni pubblici globali e i servizi essenziali, fondamentali nella definizione delle politiche di sviluppo e per la sovranità nazionale e per i diritti dei popoli, nel nord come nel sud del mondo, sono oggi minacciati dal negoziato sui servizi (Gats), che tende a ridurli a meri beni commerciali e che procede, malgrado il fallimento del vertice di Cancun, nella direzione di una completa liberalizzazione della gestione delle risorse idriche, della sanità e degli altri servizi pubblici essenziali;

l'attuale impasse nell'agenda commerciale multilaterale potrebbe aprire la strada ad accordi bilaterali o regionali ancora meno trasparenti e democratici di quelli negoziati in sede di Organizzazione mondiale del commercio, come ammesso nelle dichiarazioni del Rappresentante al commercio dell'amministrazione degli Stati Uniti d'America, e il prezzo di questo fallimento andrebbe, quindi, a ricadere ancora una volta sui Paesi più poveri, che risultano in posizione inferiore nei negoziati bilaterali con i Paesi forti;

risulta, invece, necessario ed urgente costruire un sistema di regole e di accordi multilaterali per regolamentare tutti gli aspetti legati al commercio internazionale e all'interno di questo quadro le agenzie specializzate delle Nazioni Unite dovrebbero giocare un ruolo chiave e complementare all'Organizzazione mondiale del commercio nella definizione di standard di sicurezza e di regole di salvaguardia sociale ed ambientale, nonché nel monitoraggio della corretta implementazione di queste regole;

impegna il Governo:

 

a confermare la scelta di adoperarsi per una politica multilaterale rispetto a possibili negoziati bilaterali o regionali in materia commerciale, con il fine di rivedere il mandato negoziale dell'Organizzazione mondiale del commercio, anche riguardo ad accordi esistenti, e di considerare modalità operative di raccordo tra le agenzie specializzate delle Nazioni Unite in materia di ambiente, diritti del lavoro, agricoltura, commercio e sviluppo con l'Organizzazione mondiale del commercio;

ad adoperarsi, anche in vista del rinnovo della Commissione europea previsto per il novembre del 2004, per:

a) escludere l'avvio dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha;

b) confermare il sostegno dell'Unione europea ad un'agenda commerciale multilaterale;

c) promuovere da subito una riforma democratica dei meccanismi decisionali dell'Organizzazione mondiale del commercio, tramite la creazione di un gruppo di lavoro speciale a Ginevra, che veda la partecipazione di tutti i blocchi regionali emersi dalla Conferenza ministeriale di Cancun e che sia aperto a consultazioni con il Parlamento europeo e la società civile europea;

d) sostenere - in questo quadro - l'ipotesi di una riforma del sistema delle Nazioni Unite, che comporti anche la costituzione di un Consiglio di sicurezza economico e sociale - così come recentemente rilanciato dal Segretario generale Kofi Annan - quale sede di indirizzo politico per gli organismi economici e finanziari intergovernativi (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio ed altri);

e) sostenere le richieste dei Paesi in via di sviluppo riguardo all'implementazione degli accordi già esistenti in sede di Organizzazione mondiale del commercio e ad un trattamento speciale e differenziato per loro, affinché siano rafforzate le misure di salvaguardia sociale ed ambientale in questi accordi;

f) promuovere una posizione dell'Unione europea di maggiore apertura verso le richieste e le posizioni di molti Paesi in via di sviluppo sulle questioni dell'accesso al mercato dei prodotti agricoli e, in particolare, per il cotone - su cui molto hanno insistito i Paesi dell'Africa occidentale - impegnandosi per stabilire regole più giuste e trasparenti e per l'abolizione dei sussidi all'esportazione dei Paesi occidentali per tutti i prodotti agricoli entro una data precisa, come richiesto dalla dichiarazione di Doha.

(1-00277)

(Nuova formulazione) «Crucianelli, Marcora, Sereni, Fioroni, Cima, Rizzo, Angioni, Annunziata, Bandoli, Banti, Roberto Barbieri, Battaglia, Bellillo, Bellini, Benvenuto, Giovanni Bianchi, Enzo Bianco, Gerardo Bianco, Bielli, Bimbi, Boato, Boccia, Bolognesi, Borrelli, Bottino, Bova, Bressa, Buffo, Buglio, Bulgarelli, Burtone, Cabras, Caldarola, Calzolaio, Camo, Carbonella, Cardinale, Carra, Cennamo, Cento, Chianale, Cialente, Ciani, Colasio, Maura Cossutta, Crisci, Dameri, De Brasi, Deiana, Delbono, Duilio, Fanfani, Folena, Franceschini, Franci, Frigato, Fumagalli, Gambini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giulietti, Grandi, Grignaffini, Grillini, Iannuzzi, Kessler, Labate, Leoni, Lettieri, Lion, Santino Adamo Loddo, Tonino Loddo, Lolli, Lucà, Lucidi, Lusetti, Maccanico, Mantini, Mariotti, Mattarella, Meduri, Melandri, Merlo, Micheli, Molinari, Morgando, Mosella, Motta, Mussi, Nannicini, Nesi, Oliverio, Panattoni, Pasetto, Pennacchi, Pinotti, Pisa, Pisapia, Piscitello, Pistelli, Pistone, Potenza, Preda, Quartiani, Raffaldini, Ranieri, Rava, Realacci, Rocchi, Rodeghiero, Rossiello, Rotundo, Ruggeri, Rugghia, Ruggieri, Rusconi, Ruta, Ruzzante, Santagata, Sasso, Sciacca, Sedioli, Soro, Spini, Squeglia, Stradiotto, Susini, Tanoni, Tidei, Tocci, Tuccillo, Michele Ventura, Vernetti, Vertone, Vigni, Villari, Widmann, Zanella, Zanotti, Manzini, Diana, Trupia, Albertini, Lumia».

(20 ottobre 2003)

 

La Camera,

premesso che:

i fili del commercio mondiale sembravano essersi spezzati tra violente polemiche a seguito dell'insuccesso della Conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio tenutasi a Cancun nel settembre 2003;

peraltro, durante l'ultima edizione del Forum economico mondiale, tenutosi a Davos nel mese di gennaio 2004, Ministri e Rappresentanti commerciali di 19 Paesi si sono incontrati e hanno concordato sulla necessità di trovare celermente «una cornice», all'interno della quale rilanciare il Doha round; è emerso così l'auspicio di poter realizzare entro un anno una conferenza interministeriale tra i 148 Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di rilanciare pienamente il round da concludersi entro il 2005;

il Rappresentante commerciale degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, ha manifestato la disponibilità del suo Paese a ridurre i sussidi ai produttori di cotone americani. Tale disponibilità rappresenta un segnale politico di fortissimo impatto, cui dovrebbe fare seguito altrettanta disponibilità da parte dell'Unione europea in ordine ai sussidi in agricoltura, nonché da parte dei G-20, in particolare, per quanto riguarda le regole di trasparenza e concorrenza;

l'affermazione di principi fondamentali, quali la libertà e la democrazia, si fonda sulla volontà comune di sconfiggere il terrorismo internazionale insieme all'impegno di garantire la sicurezza e il benessere collettivo, anche a vantaggio dei milioni di uomini e donne afflitti da miseria, fame e malattie mortali;

il rischio che il terrorismo esasperi le divisioni fra culture, religioni ed etnie obbliga la comunità internazionale a contribuire e a concorrere perché si eviti il regresso del sistema delle relazioni internazionali a livello di feroce competizione basata sulle leggi della giungla;

in questa ottica e con la finalità di arrivare ad una più equa distribuzione delle risorse prodotte dal pianeta è necessaria un'immediata ripresa del dialogo in materia di scambi commerciali;

impegna il Governo:

 

a rilanciare, per quanto di sua competenza nell'Unione europea, il Doha round, assumendo ogni utile iniziativa volta a contrastare spinte protezionistiche e ciò anche in previsione dell'allargamento a 25 dei Paesi aderenti all'Unione europea;

ad attivarsi in ogni sede nei confronti dei Paesi aderenti al cartello G-20, al fine di sensibilizzarli sulla necessità di addivenire ad un accordo sui Singapore issues.

(1-00357)

«Anedda, Landi di Chiavenna, Airaghi, Foti, Saglia, Carrara, Rositani, Butti, Riccio, Maggi, Castellani».

(7 aprile 2004)

 

La Camera,

premesso che:

la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, tenutasi a Cancun dal 10 al 14 settembre 2003, si è conclusa nella delusione per non aver raggiunto accordi su nessuno degli argomenti oggetto dei negoziati, a cui si sono aggiunte le amare divisioni sul varo delle negoziazioni riguardanti l'agricoltura e i quattro nuovi temi di Singapore;

gli accordi preparatori per Cancun avevano prodotto un documento di lavoro che conteneva per lo più le posizioni protezionistiche dell'Unione europea e degli Usa, senza prendere in considerazione le richieste dei Paesi in via di sviluppo, ma l'insuccesso del vertice ha aperto una partita che offre nuovi spazi per un modello di multilateralismo, nel quale gruppi di Paesi con interessi o vocazioni affini possano confrontarsi in maniera più democratica;

bisogna garantire ad ogni comunità internazionale la sovranità alimentare e il diritto di definire le proprie politiche e le strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e, quindi, l'accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione: la terra, l'acqua, il credito internazionale e il patrimonio genetico;

non occorre essere degli esperti in politiche agroalimentari per comprendere quanto sia decrepita l'impostazione legata alle sovvenzioni a pioggia, a uno sfruttamento intensivo della terra e ora all'utilizzo di sementi geneticamente modificate, un sistema che è vantaggioso solo per le multinazionali del settore, che da sole controllano il mercato di alimenti geneticamente modificati e il 30 per cento del mercato globale dei semi;

studi recenti pubblicati dalla rivista Science hanno appurato che la produttività degli alimenti ottenuta con sementi geneticamente modificate non supera il 10 per cento delle colture tradizionali e che, dunque, la fame nel mondo non si attenua con le sementi transgeniche;

le popolazioni soffrono la fame o hanno carenze di vitamine non tanto perché cibo e vitamine non sono disponibili, quanto perché sono povere e non hanno i soldi per comprarli, come in Argentina, dove, ad esempio, si produce carne in abbondanza, ma gli argentini sono fra quei popoli che ne mangiano di meno (lo stesso discorso vale per le granaglie sud-americane); in Africa non si riesce a produrre alimenti utili a sfamare le loro popolazioni, perché il nord del mondo, ricco e opulento, chiede solo alimenti per il mercato occidentale, cioè banane, ananas, datteri, caffè ed altri, dunque prodotti non adatti a sfamare la popolazione africana;

con esclusione della facilitazione al commercio, o armonizzazione delle procedure doganali, i temi di Singapore non possono essere considerati questioni strettamente commerciali e, quindi, l'Organizzazione mondiale del commercio potrebbe non risultare come la sede più appropriata per negoziare tali temi, dal momento che in quella sede i principi negoziali si applicano ai beni commerciali e la semplice estensione a tematiche non commerciali potrebbe risultare difficile;

dopo la Conferenza ministeriale di Seattle, nel 1999, erano state previste delle riforme all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio che non sono mai state realizzate e ora, dopo le accuse da parte dei Paesi in via di sviluppo per incapacità nel processo decisionale e mancanza di trasparenza e democrazia all'interno dell'organizzazione, è più che mai urgente la sua trasformazione;

la nascita di nuove alleanze all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio tra diversi Paesi in via di sviluppo con interessi convergenti, che sono state legittimate politicamente nonostante l'esito della conferenza ministeriale, ha evidenziato l'innovativa realtà di un mondo multipolare e la necessità di mettere a punto la costruzione di un modello sostenibile e riaffermare la centralità dell'approccio multilaterale e democratico nelle questioni che riguardano lo sviluppo, il commercio, la lotta alla povertà e alla fame, l'accesso a prezzi equi ai farmaci per i Paesi in via di sviluppo;

durante l'ultima edizione del Forum economico mondiale, tenutosi a Davos nel mese di gennaio 2004, è emersa unanime la preoccupazione per il futuro, determinato sia dallo stallo dei negoziati sul commercio internazionale, che attraverso misure come i sussidi all'agricoltura soffocano le economie più deboli, sia dalla minaccia del terrorismo mondiale e della guerra in Iraq, che rischiano di far dimenticare le reali esigenze dei Paesi poveri;

il Segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha rivolto un appello al mondo imprenditoriale affinché trovi il modo di ridurre il contributo, a volte cosciente, a volte involontario, nell'alimentare i conflitti, spesso legati a rivalità fra fazioni per il controllo di risorse naturali, e per un maggiore attivismo degli imprenditori li ha invitati ad un vertice Global compact, che si terrà a giugno 2004 a New York e sarà l'inizio di una collaborazione tra Onu e imprese private;

impegna il Governo:

 

a mantenere la propria posizione, dichiarata sia in occasione della Conferenza di Monterray sul finanziamento dello sviluppo, sia nei successivi appuntamenti internazionali, di riformare la politica agricola comune, abolendo le misure che favoriscono il dumping e, in particolare, i sussidi alle esportazioni, che impediscono ai Paesi in via di sviluppo di commercializzare i propri prodotti sul mercato mondiale;

ad attivarsi per la costruzione di un sistema di relazioni e di scambi internazionali, improntato verso un nuovo partenariato, che sia autenticamente equo e possa porre le basi per uno sviluppo sostenibile, per una risposta democratica agli squilibri mondiali;

a contribuire fattivamente al completamento della disciplina europea in materia di organismi geneticamente modificati, con l'adozione di un'adeguata regolamentazione per assicurare la tutela delle coltivazioni biologiche e convenzionali, introdurre la responsabilità del danno ed affermare la «tolleranza zero» in materia di contaminazione delle sementi;

ad approvare e dotare di idonee risorse finanziarie il piano di azione europeo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica, quale parte integrante della riforma di medio termine della politica agricola comune;

ad affermare in ogni sede preposta il principio di precauzione in materia di organismi geneticamente modificati, la difesa ed il riconoscimento internazionale delle produzioni di qualità e a denominazione d'origine e l'abbattimento delle misure tariffarie che ostacolano lo sviluppo agricolo dei Paesi del terzo mondo;

ad impegnarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché siano seriamente considerate le richieste dei Paesi del G-20 e sia siglato un accordo sui temi di Singapore;

a sollecitare la società imprenditoriale italiana a rispondere all'appello lanciato da Kofi Annan e a partecipare al Global compact, impegnandosi attivamente affinché siano ridotti i motivi che alimentano i conflitti per il controllo delle risorse naturali;

a sostenere l'ipotesi di una riforma strutturale dell'Organizzazione mondiale del commercio o la creazione di un organismo legittimato ad affrontare tematiche non esclusivamente commerciali, con maggiore capacità decisionale, trasparenza e democrazia all'altezza del nuovo scenario politico internazionale.

(1-00361)

«Cima, Pecoraro Scanio, Zanella, Bulgarelli, Cento, Lion, Boato».

(22 aprile 2004)

 

La Camera,

premesso che:

il fallimento della Conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio tenutasi a Cancun nel settembre del 2003 rappresenta un fatto preoccupante, che indica una forte divaricazione fra i Paesi avanzati e quelli in via di sviluppo in materia di assetto del commercio internazionale;

in particolare, è emerso un contrasto di fondo sul tema delle sovvenzioni che i Paesi sviluppati erogano ai propri produttori agricoli, che sono fortemente criticate dai Governi dei Paesi in via di sviluppo, ed è apparsa, fino ad ora, difficilmente conciliabile l'esigenza dei Paesi industrializzati di salvaguardare le proprie agricolture con quella degli altri Paesi di incrementare le proprie esportazioni agricole;

è preoccupante che sui temi fondamentali del commercio e dello sviluppo economico si approfondisca una divaricazione fra il nord ed il sud del mondo, che potrebbe alimentare tensioni ed instabilità: fatto che è assolutamente necessario scongiurare;

occorre conciliare, trovando un ragionevole punto di equilibrio, le esigenze di sviluppo dei Paesi più avanzati con quelle di crescita economica e commerciale dei Paesi in via di sviluppo, in quanto, senza un progresso economico, sociale e civile equilibrato ed armonico sul piano globale, potrebbero determinarsi ricadute negative per tutti i gruppi di Paesi, sia sul piano economico, sia sul piano politico e della sicurezza;

appare, comunque, auspicabile realizzare, entro un arco di tempo ragionevole, una nuova Conferenza tra i Paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di rilanciare il ciclo di trattative da concludersi possibilmente entro il 2005;

appare positivo e politicamente significativo che il Rappresentante commerciale degli Stati Uniti d'America, Robert Zoellick, abbia manifestato la disponibilità del suo Paese a ridurre i sussidi ai produttori di cotone, che rappresentano uno dei punti specifici di attrito;

è auspicabile, nel quadro del conseguimento di un equilibrio complessivo degli interessi dei Paesi dell'Organizzazione mondiale del commercio, una rinnovata disponibilità da parte dell'Unione europea sul tema globale dei sussidi in agricoltura. Esso va, in ogni caso, trattato con gradualismo e prudenza, in quanto non si può pretendere di esporre totalmente gli agricoltori europei alla concorrenza dei Paesi in via di sviluppo, che hanno, tra l'altro, costi del lavoro infinitamente più bassi;

impegna il Governo:

 

a rilanciare, nell'ambito delle proprie competenze, anche in sede di Unione europea, le trattative in materia di commercio mondiale, al fine di arrivare in tempi ragionevoli ad una composizione dei contrasti e delle divaricazioni tra i Paesi del nord e del sud del mondo, in una visione equilibrata delle diverse esigenze e dei diversi interessi ed in un quadro di rafforzata collaborazione internazionale;

ad attivarsi per definire un accordo, anche con i Paesi del G-20, sui quattro temi di Singapore, concernenti la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza negli appalti pubblici e la facilitazione al commercio.

(1-00363) «Antonio Leone».

(26 aprile 2004)

 

La Camera,

premesso che:

l'Organizzazione mondiale del commercio organizza il proprio lavoro per «round negoziali»: nella Conferenza ministeriale del novembre 2001, a Doha, è stata fissata un'agenda, che comprende procedimenti di liberalizzazione del commercio e relative scadenze, mentre quello di Cancun (settembre 2003) è stato un incontro di medio periodo in cui non si fissano linee negoziali nuove, ma si fa il punto sullo stato dei negoziati;

è opinione pressoché unanime che il vertice di Cancun abbia registrato un sostanziale fallimento per quel che riguarda l'avanzamento dei negoziati e abbia fatto emergere l'esistenza di nuovi blocchi all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio, che favoriscono metodi plurilaterali piuttosto che quello multilaterale;

l'insuccesso non ha riguardato solo le tematiche agricole ed i Singapore issues (trasparenza negli appalti pubblici, commercio ed investimenti, facilitazioni al commercio, commercio e concorrenza), ma ancora una volta non si è trovata un'intesa sull'attualissimo problema dell'applicazione universale dei diritti minimi dei lavoratori;

l'Unione europea ed il Governo italiano si erano esplicitamente impegnati a portare la massima attenzione su alcuni temi di estremo interesse per l'economia italiana, soprattutto per quel che riguarda la tutela dei marchi commerciali e le denominazioni di origine dei prodotti agroindustriali;

impegna il Governo:

 

a rilanciare, in sede europea, la ferma volontà di addivenire, in sede di Organizzazione mondiale del commercio, ad accordi che, pur nel rispetto del libero commercio, garantiscano la massima tutela ai diritti di proprietà intellettuale nei confronti delle contraffazioni dei marchi e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari;

a farsi promotore della necessità che, parallelamente alla liberalizzazione del commercio, tutti i membri dell'Organizzazione mondiale del commercio si impegnino anche ad applicare forme comuni di tutela dei diritti dei lavoratori degli aspetti socio-ambientali degli ambienti produttivi.

(1-00365)

«Polledri, Francesca Martini, Lussana, Dario Galli, Fontanini, Didonè, Ercole, Parolo, Guido Giuseppe Rossi, Rodeghiero».

(27 aprile 2004)


 


 

Documenti della Conferenza parlamentare sull’OMC

 


 

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Documenti dell’OMC

 


 

 

 

 

 

 

 


 

Documenti Internazionali e dell’Unione Europea

 


 

 

 

 

 

 

 


Pubblicistica

 


 

 

 

 


Documentazione

 




[1]     La maratona di trattative, iniziata nel settembre 1986 e nota come“Uruguay Round”, è durata sette anni e mezzo interessando 123 Paesi. L’Atto finale è stato firmato il 15 aprile 1994 al meeting ministeriale di Marrakesh. L’OMC è poi nata ufficialmente il 1° gennaio 1995.

[2]     Si citano, in ordine di tempo, il Dillon Round (1960-61), il Kennedy Round (1964-1967), il Tokyo Round (1973-1979) e, infine, l’Uruguay Round (1986-1994).

[3]    Con l’eccezione della Santa Sede, ogni Paese che abbia visto riconosciuto il proprio status di osservatore è tenuto ad iniziare i negoziati per la piena adesione entro cinque anni.

[4]    Si tratta di un organo permanente composto da sette membri, istituito dal Dispute Settlement Body con un mandato di quattro anni. I componenti devono essere individui con un’esperienza riconosciuta nel campo del diritto e del commercio internazionale, indipendenti da qualsiasi Governo.

[5]    Si tratta in quest’ultimo caso di un Accordo non multilaterale, ma plurilaterale, ossia che vede la partecipazione solo di alcuni membri dell’OMC.

[6]    Il 13 agosto 2003 l’Unione europea, gli USA e il Canada hanno presentato all’OMC un documento comune finalizzato a facilitare i negoziati relativi all’accesso ai mercati per i prodotti industriali (ostacoli tariffari e non tariffari). In particolare il documento propone l’adozione di un unico metodo di calcolo per i dazi  al fine di ridurre le differenze tariffarie tra i membri dell’OMC nonché misure destinate a concedere ai PVS un trattamento speciale e differenziato e una certa flessibilità nella gestione dei dazi in funzione dei loro bisogni economici. Il Consiglio affari generali e relazioni esterne del 21 luglio 2003 ha sottolineato, a tale proposito, la necessità che le riduzioni tariffarie relative ai prodotti non agricoli debbano fondarsi su una formula semplice e unica e realizzare i pertinenti obiettivi di Doha.

[7]     La posizione dell’Unione in vista di Doha era stata precisata dal Consiglio Agricoltura del 21 novembre 2000, approvata dal Consiglio Affari Generali del 4 e 5 dicembre e presentata all'OMC il 5 febbraio 2001.

[8]     Si tratta di Australia, Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Fuji, Indonesia, Malesia, Nuova Zelanda, Paraguay, Filippine, Sud Africa Tailandia e Uruguay.

[9]    L’assenso del PE può essere richiesto per la ratifica dei trattati più importanti.

[10]   Sono cinque le Conferenze ministeriali svoltesi finora: a Singapore nel 1996, a Ginevra nel 1998, a Seattle nel 1999, a Doha nel 2001 e a Cancún nel 2003.

[11]   L’Europa importa dai paesi in via di sviluppo più di Stati uniti, Giappone, Australia e Nuova Zelanda messe insieme.

[12]   Sulla V Conferenza ministeriale dell’OMC di Cancún il Parlamento europeo, con la risoluzione approvata il 25 settembre 2003, esprime rammarico per il fallimento della riunione e sottolinea l’intenzione di mantenere il proprio sostegno ad un approccio commerciale multilaterale.

[13]   L’OMC classifica le sovvenzioni in categorie designate da  un colore: verde, gialla, blu. Alla “scatola gialla” (amber box) appartengono tutte le misure di sostegno interno (sostegno dei prezzi o sovvenzioni direttamente legate alla produzione)  ritenute aventi un effetto distorsivo sulla produzione e sugli scambi.

[14]   Il testo è stato indicato come testo “Oshima” dal nome del presidente in carica del Consiglio generale dell’OMC.

[15]    L’espressione red tape identifica l’eccesso di documentazione cartacea prodotta dalla burocrazia.

[16]   Il OMC classifica le sovvenzioni in categorie designate da un colore (verde,  blu e gialla) a seconda del grado distorsivo del loro effetto sulla produzione e sugli scambi.

[17]   Solo gli USA, in base a tale deroga, impegnano 8 miliardi di dollari l’anno che si aggiungono agli aiuti agricoli normalmente erogati.

[18]   La Commissione Barroso è entrata in carica il 22 novembre 2004.

[19]   Il 5-6 luglio si è tenuto a Parigi il Forum UE-Africa che ha definito una serie di indirizzi relativi alle misure di sostegno ai produttori africani di cotone.

[20]   L’ultima revisione si è tenuta due anni fa. Nel corso della revisione, sulla base di un rapporto predisposto dal segretariato dell’OMC, gli altri membri dell’organizzazione hanno modo di rivolgere domande ed esprimere opinioni sulla politica commerciale del paese interessato.

[21]   Fonte: Agence europe del 30 ottobre 2004.

[22]   COM(2004)399.

[23]   Fonte: Agence europe del 5 novembre 2004.

[24]   Canada, Brasile, Messico, Cile, India, Giappone e Corea del Sud.

[25]   L’Amendment Byrd (che prende nome dal senatore Robert Byrd) è stato approvato nel 2000. La legge prevede che l’Amministrazione statunitense versi alle imprese nazionali che abbiano denunciato casi di dumping i dazi compensativi imposti dalle dogane alle società accusate di vendere in perdita negli Stati Uniti.

[26]   COM(2004)499. Si veda il dossier “La riforma della politica agricola comune /La riforma del settore dello zucchero”, n. 18/II del 26 luglio 2004, a cura Ufficio Rapporti con l’Unione europea. Si ricorda che il 23 settembre 2003 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2003)554) che analizza il regime attuale del settore dello zucchero e le sue prospettive. Tale documento ha avviato il dibattito su tre opzioni di riforma: proroga dell’attuale regime oltre il 2006, riduzione dei prezzi interni; eliminazione graduale delle quote di produzione e liberalizzazione completa del regime.

[27]   Fonte: Agence europe del 9 novembre 2004.

[28]   Fonte: Agence europe del 20 novembre 2004.

[29]   Il Seminario sul tema Commercio, sviluppo e democrazia. La necessità di riformare l’OMC ha esaminato in particolare la questione della trasparenza interna ed esterna dell’OMC.

[30]   Per un sistema multilaterale libero, giusto ed equo: apportare una dimensione parlamentare.

[31]    La Comissione –pilota, costituita congiuntamente dalla UIP e dal Parlamento europeo, è formata dai rappresentanti dei seguenti Parlamenti e Organizzazioni internazionali: Belgio, Canada, Cina, Egitto, Finlandia,Francia, Germania, India, Iran, Giappone, Kenia, Marocco, Mauritius, Messico, Namibia, Niger, Nigeria, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Sudafrica, Tailandia, Uruguay, Assemblea parlamentare del Commonwealth, Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Organizzazione Mondiale del Commercio, Parlamento europeo, UIP.

[32]   La Commissione pilota è attualmente formata dai rappresentanti dei seguenti Parlamenti e Organizzazioni internazionali: Belgio, Canada, Cina, Egitto, Finlandia,Francia, Germania, India, Iran, Giappone, Kenia, Marocco, Mauritius, Messico, Namibia, Niger, Nigeria, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Sudafrica, Tailandia, Uruguay, Assemblea parlamentare del Commonwealth, Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Organizzazione Mondiale del Commercio, Parlamento europeo, UIP.