Servizio studi |
indagini conoscitive |
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Le prospettive di riforma dell’ONU |
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n. 13 |
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5 ottobre 2004 |
Camera dei deputati
Dipartimento affari esteri
NOWEB
Consigliere |
Daniele Cabras (2771) |
Documentaristi |
Venanzi Massimo (9822) M. Luisa Carfora (4553) |
Segretari |
Rita Sorbello (4939) Francesca Maria Vitelli (4172) |
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze
di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei
parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni
responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non
consentiti dalla legge.
File ES0339
INDICE
§
Ruolo e struttura delle Nazioni
Unite
§
Il processo di riforma delle Nazioni
Unite
§
La proposta italiana per la riforma
del Consiglio di sicurezza
§
Il dibattito sulla riforma delle
Nazioni Unite
§
Rapporti tra l’Unione europea e le
Nazioni Unite (a cura dell’Ufficio
Rapporti con l’Unione europea)
Documentazione ONU
§
Statuto delle Nazioni Unite, adottato a San
Francisco il 26 giugno 1945
§
The High Level Panel
Documentazione dell’Unione Europea
§
Comunicazione della Commissione al Consiglio e
al Parlamento europeo, L’Unione europea e
le Nazioni Unite: la scelta del multilateralismo (10 settembre 2003)
§
Risoluzione del Parlamento europeo sulle
relazioni tra l’Unione europea e l’organizzazione delle Nazioni Unite
(2003/2049(INI))
§
Dichiarazione congiunta sulla cooperazione
UE-ONU nella gestione delle crisi (24 settembre 2003)
Attività parlamentare
Camera dei deputati
§
Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva
sulle prospettive di riforma dell’ONU in relazione all’evoluzione della
situazione politica internazionale, approvato dalla Commissione Affari esteri
della Camera dei deputati l’11 settembre 1997
§
Audizione del Ministro degli affari esteri sulle
prospettive di riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU presso la
Commissione Affari esteri della Camera, 27 agosto 2004
59a
Sessione ministeriale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (settembre
2004)
-
INTERVENTI
§
Italia
§
Nazioni Unite
§
Brasile
§
Francia
§
Germania
§
Giappone
§
India
§
Regno Unito
§
Spagna
§
Stati Uniti
Pubblicistica
§
A.
Novosseloff, L’ONU après le crise
irakienne, in Politique étrangère, nn. 3-4/2003-2004
§
J.M.
Guehenno, Maintien de la paix: les
nouveaux défis pour l’ONU et le Conseil de sécurité, in Politique
étrangère, nn. 3-4/2003-2004
§
T.G.
Weiss, The Illusion of UN Security
Council Reform, in The Washington Quarterly, Autumn 2003
§
T.
Murithi, Rethinking the united nations
system: prospects for a world federation of nations, in: International
journal on World Peace, dicembre 2003
§
U. Vattani, L’Italia
e la riforma, in Aspenia, n. 25/2004
§
Intervista
a Kofi Annan: Le tre crisi da superare, in: Aspenia, n. 25/2004
§
A ciascuno
la sua ONU: ipotesi di riforma, in: Aspenia, n. 25/2004
§
K. R. Holmes, Caucus delle democrazie
§
H.
Védrine, Riforma à la française
§
F. Salleo, Alla
ricerca di criteri
§
B. Romano, Il
seggio di Berlino
§
L.V. Ferraris, Il rischio di esclusione
§
B.
Boutros-Ghali, Peut-on Réformer les
Nations Unies?, in Pouvoirs, n. 109/2004
§
S.
Sur, Le Conseil de Sécurité: blocage,
renouveau et avenir, in Pouvoirs, n. 109/2004
§
B.
Urquahart, The United Nations Rediscovered?, in: World PolicyJournal, estate
2004
L'Organizzazione delle Nazioni Unite è il più vasto organismo internazionale esistente, contando oggi l'adesione di 191 membri, ossia la quasi totalità degli Stati del pianeta.
L'adesione all'ONU comporta, da parte degli Stati, l'assunzione dell'impegno giuridico a cooperare nell'applicazione dei principi e nella realizzazione degli obiettivi enunciati nella Carta dell'ONU, ossia ad operare per eliminare la guerra, garantire i diritti dell'uomo, il rispetto della giustizia e del diritto internazionale, il progresso sociale e le relazioni amichevoli tra Stati.
La Carta delle Nazioni Unite (o Statuto) fu redatta verso la fine della II Guerra mondiale, al termine di un processo negoziale avviato nel 1941, dai rappresentanti di 50 nazioni riuniti a San Francisco nel giugno del 1945. L'adesione alla Carta è aperta a tutti i paesi del mondo che ne accettino gli impegni. L'ammissione viene decisa dall'Assemblea generale su proposta del Consiglio di sicurezza.
I principali organi delle Nazioni Unite, istituiti dalla Carta, sono:
v L'Assemblea generale: è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo delle Nazioni Unite, essendo composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno. Le decisioni su questioni come la pace e la sicurezza, l'ammissione di nuovi membri o le decisioni di bilancio, sono prese a maggioranza dei due terzi, le altre a maggioranza semplice. Tra queste ultime vi sono le Risoluzioni, che hanno valore di raccomandazione etico-politica nei confronti degli Stati membri.
La sessione annuale ordinaria dell’Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre. All’inizio di ogni sessione vengono eletti un Presidente, 21 Vicepresidenti e i Presidenti delle sei Commissioni principali. L’elezione del Presidente segue una rigida rotazione su base geografica che vede alternarsi un rappresentante delle cinque aree nelle quali si suddividono i membri dell’Organizzazione (Africa, Asia, Europa orientale, America latina, Europa occidentale e altri). Le sedute straordinarie dell’Assemblea possono essere convocate dal Segretario Generale su proposta del Consiglio di sicurezza, della maggioranza degli Stati membri o anche di un solo Stato, purché riceva l’appoggio della maggioranza degli altri Paesi. A causa del gran numero di temi in agenda l’Assemblea assegna la maggior parte delle questioni da discutere in sessione ordinaria alle sei Commissioni principali, che sono, nell’ordine:
1)
Disarmo e
sicurezza internazionale
2)
Questioni
economiche e finanziarie
3)
Questioni
sociali, umanitarie e culturali
4)
Territori sotto
tutela e territori non autonomi
5)
Questioni
amministrative e di bilancio
6)
Questioni
giuridiche
Esiste poi un
Comitato generale composto dal Presidente, dai 21 Vicepresidenti dell’Assemblea
e dai Presidenti delle sei Commissioni. L’Assemblea elegge i 10 membri non
permanenti del Consiglio di sicurezza e i 54 componenti
del Consiglio economico e sociale. Inoltre, insieme al Consiglio di sicurezza,
elegge i giudici della Corte internazionale di giustizia e, sempre su
raccomandazione del Consiglio, nomina il Segretario Generale. Si ricorda,
infine, che nel novembre 1950 l’Assemblea Generale ha adottato la famosa
risoluzione “Uniting
for peace” in base alla
quale essa può intervenire attivamente nel caso di grave minaccia alla pace o
del verificarsi di un atto di aggressione, allo scopo
di superare il blocco determinato in seno al Consiglio di sicurezza dal veto
posto da uno dei membri permanenti. In questo caso l’Assemblea ha il potere di
considerare la questione immediatamente e di fare raccomandazioni agli Stati
membri per l’adozione di misure collettive, compreso l’uso della forza armata se
ciò fosse necessario a mantenere o ristabilire la pace
e la sicurezza internazionali.
v Il Consiglio di sicurezza ha il ruolo, affidatogli dallo Statuto, di mantenere la pace e la sicurezza internazionali. E' composto di 15 membri, di cui 5 permanenti (Cina, Federazione russa, Francia, Regno Unito, Stati Uniti) e 10 eletti dall'Assemblea generale per periodi biennali. Ciascun membro del Consiglio dispone di un voto; le decisioni su questioni di fondo sono assunte con una maggioranza di 9 voti, tra i quali devono figurare tutti i membri permanenti (diritto di veto). Il Consiglio di sicurezza ha il potere di adottare risoluzioni, di avviare indagini e di assumere decisioni vincolanti per gli Stati membri. Le principali funzioni del Consiglio di sicurezza sono disciplinate dai capitoli VI (Soluzione pacifica delle controversie) e VII (Azione rispetto alle minacce alla pace, alla violazione della pace ed agli atti di aggressione) della Carta delle Nazioni Unite. Ai sensi del capitolo VII il Consiglio di sicurezza può irrogare sanzioni o decidere l'impiego della forza, e tali decisioni sono vincolanti per gli Stati membri.
v Il Segretariato generale è costituito da personale amministrativo dell'ONU (staff members), con a capo il Segretario generale nominato dall'Assemblea generale, su proposta del Consiglio di sicurezza. Il Segretario generale partecipa a tutte le riunioni dei principali organi delle Nazioni Unite e può sottoporre al Consiglio di sicurezza qualsiasi questione che, a suo avviso, rischi di minacciare la pace e la sicurezza. I funzionari delle Nazioni Unite non rappresentano gli Stati di appartenenza e devono agire in piena indipendenza nell'interesse dell'organizzazione.
v Il Consiglio economico e sociale, ai sensi della Carta, è il principale organo di coordinamento delle attività economiche e sociali dell'ONU e dei suoi organismi ed istituzioni specializzate. E' composto dai rappresentanti di 54 Stati membri, eletti per periodi triennali, di cui un terzo è sostituito annualmente. Ciascun membro dispone di un voto e le decisioni sono prese a maggioranza semplice. Fanno capo all'ECOSOC importanti organi quali la Commissione dei diritti dell'uomo, la Sottocommissione contro la discriminazione e per la tutela delle minoranze, la Commissione sulla condizione della donna, e programmi quali il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Oltre 1.500 organizzazioni non governative hanno status consultivo presso l'ECOSOC, svolgendo azione di denuncia, pressione e proposta.
v Al Consiglio di amministrazione fiduciaria, disciplinato nei capitoli XII e XIII dello Statuto e composto dai cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza, è affidato il compito di controllare l’amministrazione dei territori (ex colonie) in gestione fiduciaria. L’ultimo di questi undici territori, Palau (un gruppo di isole della Micronesia) ha ottenuto l’indipendenza nel novembre 1994 e il mese successivo è divenuto membro delle Nazioni Unite. Da allora il Consiglio ha formalmente sospeso la sua attività.
v La Corte internazionale di giustizia è il principale organo giudiziario dell'ONU. Il suo statuto fa parte integrante della Carta delle Nazioni Unite, cosicché tutti gli Stati membri dell'Organizzazione sono automaticamente parte dello statuto della Corte. Alla Corte possono adire tutti gli Stati membri e, a determinate condizioni, anche i non membri. Oltre ad emettere sentenze su controversie giuridiche (e non politiche) tra Stati, la Corte esercita anche funzioni consultive per il Consiglio di sicurezza e l'Assemblea generale, su richiesta di questi.
Negli ultimi anni le Nazioni Unite, considerate come sistema che comprende programmi, agenzie specializzate e fondi, hanno avviato un processo di riforma, finalizzato a rafforzare l'efficacia dell'organizzazione e renderla più vicina alle sfide del presente ed alle richieste dei suoi membri.
Tale processo di riforma è stato intrapreso a più livelli ed in diverse sedi. In particolare, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dato vita a 5 gruppi di lavoro sulle seguenti tematiche:
a) questione della promozione di una più equa e maggiore rappresentanza dei membri del Consiglio di Sicurezza ed altre questioni connesse;
b) situazione finanziaria;
c) Carta delle N.U e rafforzamento del ruolo dell'organizzazione;
d) Agenda per la pace;
e) Agenda per lo sviluppo.
Le procedure di modifica della Carta delle Nazioni Unite sono disciplinate all'articolo 108 dello Statuto stesso, che prevede che esse siano approvate sotto forma di risoluzione da una maggioranza dei due terzi dei membri dell'Assemblea generale (i membri dell'ONU sono attualmente 191). La modifica entra poi in vigore dopo il deposito dello strumento di ratifica da parte dei due terzi dei paesi membri, tra cui necessariamente i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Nell'unico precedente verificatosi, la riforma, approvata nel 1963, entrò in vigore nel 1965.
La riforma del Consiglio di sicurezza è uno dei profili maggiormente delicati nell’ambito della più generale strategia di riordino delle Nazioni Unite.
L'Assemblea generale – v. sub a) – ha da tempo avviato un’attività finalizzata alla definizione di una riforma dell’organo.
La risoluzione
dell’Assemblea generale 48/26 del 3 dicembre 1993, ha istituito un Gruppo di lavoro ad hoc, incaricato di riconsiderare la partecipazione al
Consiglio di sicurezza (Open-ended Working Group on Security Council Reform). Tale organo infatti
viene da più parti considerato obsoleto nella sua formazione e nelle sue
procedure di decisione e non più in grado di rappresentare la mutata realtà
mondiale né l'accresciuto numero dei membri dell'Organizzazione, in particolare
dei Paesi in via di sviluppo.
Il Gruppo di lavoro sulla riforma del Consiglio di sicurezza ha
iniziato i lavori nel gennaio 1994 ed è tuttora in corso, avendo presentato
un rapporto al termine di ciascuna sessione[1] in cui si è sempre riconosciuto che l'attività di
riforma deve essere guidata dai principi dell'uguaglianza di tutti i membri,
dell'equa distribuzione geografica e del contributo al mantenimento della pace
e della sicurezza internazionale. Non è stato però ancora raggiunto un accordo
definitivo su nessuna delle proposte presentate.
L'attività del gruppo di lavoro ruota intorno ai
seguenti aspetti:
composizione e dimensioni del Consiglio di sicurezza
procedure decisionali, compreso il diritto di veto
metodi di lavoro e trasparenza del Consiglio
altre questioni connesse.
Si ricorda che attualmente il
Consiglio di sicurezza è composto da 15
membri, di cui 5 permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati
Uniti), con diritto di veto, e gli altri 10 non permanenti, eletti per due anni
da una maggioranza dei due terzi dell'Assemblea generale, in base ad un'equa
ripartizione geografica. I membri non permanenti non possono essere rieletti
per due volte consecutive.
Una prima riforma della composizione del Consiglio di sicurezza fu attuata nel 1965, quando i membri non permanenti furono portati da sei a dieci.
Nel settembre 2002 il Segretario Generale Annan ha lanciato un nuovo piano per rafforzare il ruolo dell’Organizzazione al fine di migliorare le sue capacità di affrontare le sfide del nuovo millennio. L’obiettivo del Segretario generale era in questo caso quella di avviare una riforma a livello amministrativo al fine di incrementare l’efficacia e l’efficienza delle Nazioni Unite. L’iniziativa non presupponeva quindi una riforma dello Statuto per la quale è necessario acquisire il consenso dei due terzi degli Stati membri e di tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Lo stesso Segretario generale, anche in questa circostanza, ha tuttavia sottolineato come, al fine di rilanciare il ruolo dell’ONU, occorrerebbe procedere ad una riforma di carattere istituzionale coinvolgendo tutti i principali organismi delle Nazioni Unite.
Il piano, intitolato “un’Agenda per ulteriori
cambiamenti” (“An
Agenda for Further Change”), riguarda tutta la gamma di organismi e
attività delle Nazioni Unite. Per quanto concerne le tematiche
relative al processo di riforma dell’ONU, il rapporto di Kofi
Annan contiene: un’approfondita revisione del
programma di lavoro dell’Organizzazione; proposte dettagliate per ottenere
migliori risultati nel campo dei diritti umani e dell’informazione pubblica con
conseguente riorganizzazione della rete dei centri di informazione ONU, a
cominciare da quelli dell’Europa occidentale; una riduzione del numero degli
incontri e dei rapporti che il Segretariato è tenuto a presentare, al fine di
evitare sovrapposizioni o duplicazioni; un migliore coordinamento tra i vari
organismi tramite, ad esempio, programmi congiunti, banche dati comuni e
concentrazione delle risorse; modifiche nel sistema di finanziamento e di
pianificazione; una revisione, condotta da un gruppo di esperti indipendenti,
delle relazioni che intercorrono tra l’ONU e la società civile.
Nel capitolo conclusivo del rapporto n. A/58/323 -
presentato nel settembre 2003, in vista della scorsa sessione (la n. 58)
dell’Assemblea Generale, e dedicato all’attuazione della Dichiarazione del
Millennio (Implementation of United Nations Millennium Declaration) - il Segretario Generale sollecita un “esame severo” dell’attuale architettura
delle istituzioni internazionali e, in particolare, una revisione
dei principali organismi delle stesse Nazioni Unite, non soltanto del Consiglio
di sicurezza ma anche dell’Assemblea Generale e del Consiglio economico e sociale,
alla luce dei nuovi generi di responsabilità attribuite all’Organizzazione dai
suoi Stati membri nel corso degli ultimi anni.
Le difficoltà evidenti sperimentate dalle Nazioni Unite in conseguenza della guerra in Iraq, unitamente a quelle incontrate dall’attività dell’ONU in altri settori, hanno spinto il Segretario Generale (novembre 2003) a istituire un Gruppo di riflessione ad alto livello (High level panel), composto da 16 eminenti personalità, i cui lavori dovranno concludersi entro il 1° dicembre 2004. L’attività del Gruppo deve muovere dall’esame delle minacce globali contemporanee alla pace ed alla sicurezza al fine di individuare con chiarezza il contributo che l’azione collettiva può portare nei confronti di tali sfide. Sulla base di tale analisi, il Gruppo dovrà formulare raccomandazioni sui cambiamenti necessari nella struttura e nella operatività dei principali organi dell’ONU. Il Gruppo potrà formulare valutazioni e fornire indicazioni in merito a tutte le tematiche e le istituzioni, incluse quelle economiche e sociali, che abbiano un rapporto diretto con le minacce future alla pace ed alla sicurezza.
Il Gruppo ha suddiviso – pur nella consapevolezza dell’interrelazione di tutte le questioni globali – i problemi in sei settori: guerre civili e interne e connessi interventi di prevenzione, mediazione, peace-keeping o peace-building; tradizionali punti di tensione internazionale; minacce di carattere economico o sociale (come AIDS, povertà, carestie); armi di distruzione di massa; terrorismo internazionale; crimine organizzato.
In un’audizione svolta dalla Commissione affari esteri e comunitari della Camera il 27 agosto 2004, il Ministro Frattini, ha anticipato alcune raccomandazioni ed alcune linee emerse dal lavoro del Gruppo. La linea di tendenza sembra essere quella di un allargamento del Consiglio di sicurezza a nuovi membri non permanenti a presenza prolungata, ossia per un periodo superiore agli attuali due anni, ma sempre su base elettiva. Vi sarebbe inoltre un orientamento favorevole ad accentuare la rappresentatività delle diverse aree del mondo. Il Ministro ha sottolineato come emergerebbe “quella doppia impostazione che rappresenta il cuore della proposta italiana” (sulla quale v. il paragrafo successivo).
Tra le proposte presentate al Gruppo di lavoro sulla riforma del Consiglio di sicurezza vi è anche quella dell'Italia, annunciata fin dal 1993 e che ha poi subito successivi aggiustamenti.
La proposta italiana muove dalla constatazione della scarsa rappresentatività dell'attuale composizione del Consiglio di sicurezza, che registra un netto squilibrio in danno dei paesi in via di sviluppo, i quali costituiscono peraltro la maggioranza in seno all'Assemblea Generale. Aggiungere due nuovi membri permanenti del nord del mondo (il riferimento è a Germania e Giappone) non farebbe che aggravare la situazione.
L’Italia ha quindi formulato la proposta di istituire ulteriori seggi c.d. semipermanenti da attribuire, a rotazione, nell’ambito di gruppi di Stati individuati su base regionale. Oltre che rispondere a criteri di rappresentatività geografica, la scelta dovrebbe ricadere su quei Paesi che contribuiscono in misura maggiore, dal punto di vista politico, militare e finanziario, al raggiungimento degli obiettivi dell'ONU, ad esempio nel settore del mantenimento della pace. Netta e ribadita in più occasioni rimane l’opposizione del nostro Paese all’istituzione di nuovi seggi permanenti.
L’impostazione italiana riguardo al tema della riforma del Consiglio è stata di recente puntualizzata alla Camera dal Ministro Frattini nel corso dell’audizione del 27 agosto prima ricordata. Il Ministro, dopo aver dichiarato che il multilateralismo efficace, fondato sulla centralità, sulla credibilità e sulla capacità operative delle Nazioni Unite, è uno dei riferimenti principali della politica estera italiana, ha ribadito la convinzione dell’Italia in merito all’opportunità di creare esclusivamente nuovi membri non permanenti con una maggiore durata (quattro anni rispetto ai due previsti per gli attuali membri non permanenti). In ogni area regionale vi dovrebbe dunque essere l’individuazione di uno o più membri non permanenti a durata prolungata. Dovrebbe essere inoltre confermata la presenza di membri non permanenti eletti con mandato biennale nonché degli attuali membri permanenti. Secondo il Ministro, la rotazione in ambito regionale eviterebbe tra l’altro di innescare conflitti tra i paesi della medesima area.
Il Ministro ha inoltre confermato l’aspirazione italiana ad un seggio europeo al Consiglio di sicurezza, che rimane un obiettivo al quale tuttavia la proposta italiana non può limitarsi in quanto ciò “significherebbe irrimediabilmente veder diminuite le possibilità di approvazione della riforma”. Una simile scelta, infatti, comporterebbe confrontarsi, secondo il Ministro in maniera non risolvibile, con le pretese dei paesi europei con diritto di veto in seno al Consiglio e con lo Statuto delle Nazioni Unite che non consente la membership delle organizzazioni regionali.
Quale soluzione di compromesso l’Italia sembrerebbe anche poter appoggiare un limitato aumento dei soli seggi non permanenti, che potrebbe assicurare più ampia rappresentatività geografica e maggiore democraticità al Consiglio di Sicurezza, elevandone il numero di posti elettivi e quindi la possibilità di accesso di tutti gli Stati membri.
Si ricorda infine che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha inviato recentemente una lettera al Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ed ai capi di Governo di Cina, Russia e Gran Bretagna nella quale auspica che la prossima riforma delle Nazioni Unite tenga conto del ruolo politico ed economico dell’Italia. La lettera, secondo quanto precisato dal Ministro Frattini nella predetta audizione, non è stata inviata al governo francese in quanto la Francia ha già formalmente espresso in Assemblea generale un’opinione favorevole all’aumento dei membri permanenti.
Obiettivo essenziale dell’Italia è del pari quello di rafforzare il ruolo dell'Unione Europea all'ONU, per cui la Presidenza italiana si è adoperata per dare attuazione a quelle norme del Trattato dell’Unione Europea che prevedono il coordinamento delle azioni degli Stati Membri nelle Organizzazioni internazionali di cui fanno parte e l'impegno ad assicurare la difesa nel Consiglio di Sicurezza delle posizioni ed interessi dell’Unione. L’auspicio italiano è di poter pervenire infine ad ottenere un seggio europeo all’interno del Consiglio di Sicurezza.
Si ricorda, in
particolare, come l’art. 19 del TUE preveda che “Gli
Stati che sono anche membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si concerteranno e terranno pienamente
informati gli altri Stati membri. Gli Stati membri che sono membri
permanenti del Consiglio di sicurezza assicureranno,
nell’esercizio delle loro funzioni, la difesa
delle posizioni e dell’interesse dell’Unione…”. Inoltre, il nuovo Trattato
costituzionale adottato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno scorso,
all’articolo III-305, nel confermare le disposizioni ora ricordate, prevede
altresì che “Allorché l’Unione ha definito una posizione sul tema all’ordine
del giorno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati membri che
vi partecipano chiedono che il Ministro dei Affari esteri dell’Unione sia invitato a presentare la
posizione dell’Unione”.
E’ in questo quadro che vanno collocati gli sforzi diretti a strutturare la collaborazione tra l’UE e l’ONU nel settore della gestione delle crisi. In proposito si ricorda la Dichiarazione Congiunta tra l’Unione Europea e l’ONU, firmata a New York il 24 settembre 2003 nel corso del semestre di presidenza italiana (sulla quale si veda, infra, par. 4).
Le proposte di riforma del Consiglio di sicurezza formulate da altri paesi possono così sintetizzarsi:
la Germania, nella sua più recente proposta, chiede 5 nuovi membri permanenti (in particolare si tratterebbe di 2 seggi per Germania e Giappone e di altri 3 seggi da assegnare a India, Brasile e a un Paese africano), nonché un aumento dei membri non permanenti;
la Francia si è espressa in favore di un aumento dei membri permanenti in termini identici alla Germania nonché in favore di un aumento dei membri non permanenti;
la Gran Bretagna, nella sessione ministeriale dell’Assemblea generale del settembre 2004 ha ricordato di essere da tempo favorevole a portare a 24 i seggi del Consiglio di sicurezza e si è inoltre espressa a favore di un aumento dei seggi permanenti in termini identici a Germania e Francia;
la Norvegia ha proposto una variante della formula 2+3, ipotizzando di concedere ai paesi in via di sviluppo tre seggi permanenti regionali (Africa, Asia e America latina) a rotazione, demandando a ciascuna regione la scelta dei paesi che si avvicenderebbero al seggio permanente e le regole di avvicendamento;
la Spagna propone un sistema di rotazione più frequente dei membri non permanenti del Consiglio di sicurezza, che dovrebbero aumentare comprendendo paesi scelti sulla base di determinati criteri;
Monaco propone l'aumento da 5 a 10 dei membri permanenti e da 10 a 15 dei membri non permanenti del Consiglio di sicurezza. I nuovi cinque membri non permanenti resterebbero per un periodo più lungo (da sei a dodici anni);
l'Australia propone 5 nuovi membri permanenti (Giappone, Germania più tre rappresentanti dei continenti oggi sottorappresentati) e 5 nuovi membri non permanenti;
il Giappone chiede un aumento dei seggi permanenti in termini identici alla Germania e agli altri Paesi europei prima ricordati nonché un aumento dei seggi non permanenti;
la proposta principale dei non-Allineati suggerisce l’allargamento del Consiglio da 15 ad almeno 26 seggi, aggiungendovi nuovi seggi permanenti e non permanenti. L’assegnazione dei primi ai Paesi dei continenti meno favoriti mira a riequilibrare almeno in parte il divario esistente fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo;
la proposta subordinata dei non-Allineati: ove non risultasse possibile un accordo per l’aumento dei membri permanenti, i non-Allineati sarebbero favorevoli all’aumento – in un primo momento – dei soli seggi non permanenti, con il vantaggio di riequilibrare se non altro il rapporto fra il numero dei membri del Consiglio e l’accresciuta membership dell’ONU.
la proposta messicana prevede l’ampliamento del Consiglio da 15 a 20 seggi, mediante l’istituzione di soli 5 nuovi seggi non permanenti: uno per l’Africa, uno per l’Asia, uno per l’America latina e Caraibi, uno in alternanza biennale fra il Gruppo occidentale e quello est-europeo, e uno in alternanza biennale fra Germania e Giappone;
la posizione africana, ribadita al Vertice dei Paesi OUA di Harare del giugno 1997, prevede l’attribuzione all’Africa di almeno due seggi permanenti rotativi, dotati di tutte le attuali prerogative (diritto di veto incluso), nonché un totale di cinque seggi non permanenti, rispetto ai tre attuali. Rigetta la formula di una terza categoria di membri semi-permanenti;
i Paesi arabi hanno presentato nel maggio 1997 una proposta che prevede l’attribuzione ad essi di almeno due seggi non permanenti, nonché – qualora aumenti il numero dei seggi permanenti – anche di uno di questi ultimi, con tutte le relative prerogative. Tale seggio verrebbe fatto ruotare fra tutti gli Stati arabi.
alcuni Paesi, soprattutto latino-americani, propongono l'abolizione del divieto di rieleggibilità immediata dei membri non permanenti;
alcuni Paesi del nord Europa vorrebbero un sistema di costituencies (circoscrizioni elettorali), analogo a quello della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, in base al quale un membro non permanente sarebbe vincolato da impegni e responsabilità nei confronti degli altri paesi della propria circoscrizione.
A partire dagli inizi degli anni ’90, la riforma delle Nazioni Unite è stata oggetto di un’ampia ed intensa discussione da parte di studiosi ed esperti di politica estera e di diritto internazionale nonché di esponenti della società civile. Nel presente paragrafo si richiameranno in maniera sintetica alcuni temi del dibattito, mentre si rinvia agli articoli allegati al presente dossier per eventuali approfondimenti delle questioni trattate.
All’Onu sono stati rimproverati la scarsa modernità; le profonde divisioni tra i suoi membri; il deficit di rappresentatività del suo organo centrale, il Consiglio di sicurezza; l’insufficiente capacità di azione, l’inidoneità ad intervenire nelle crisi di maggiore rilevanza.
Pur rivestendo un ruolo centrale nel sistema delle relazioni internazionali e costituendo la base della legalità di ogni ricorso all’uso della forza, l’Onu, si osserva, non è stata in grado di intervenire, o di operare con efficacia, in presenza di gravi ed evidenti violazioni della pace e della sicurezza internazionale. Sono stati, per altro verso, svolti interventi militari di rilevante portata senza un’espressa autorizzazione dell’Organizzazione che si è limitata, al termine dei conflitti, a disciplinare l’azione di stabilizzazione e di ricostruzione del tessuto istituzionale, economico e sociale.
A tali obiezioni è sembrato in una qualche misura rispondere il Segretario generale[2] quando ha osservato come l’Organizzazione non abbia in se stessa la propria finalità e non rappresenti altro che uno strumento per raggiungere obiettivi definiti di comune accordo: essa trae la sua forza e la sua efficacia dall’azione degli Stati membri e dai principi che guidano la loro azione. Le Nazioni Unite non dispongano di forze militari proprie e non sono neanche previsti meccanismi volti a mettere automaticamente a disposizione dell’Organizzazione forze militari degli Stati membri. Il Consiglio deve pertanto limitarsi a delegare l’attuazione delle proprie deliberazioni al Segretario generale al quale spetta verificare la disponibilità dei singoli Stati.
L’inadeguatezza dell’attuale organizzazione istituzionale dell’Onu è unanimemente riconosciuta. Il punto di maggiore criticità è rappresentato dal Consiglio di sicurezza che riflette ancora gli equilibri geopolitica determinatisi al termine del secondo conflitto mondiale e non considera tra l’altro l’intervenuta crescita dei componenti dell’Organizzazione (attualmente gli Stati membri del Consiglio rappresentano l’8% dei 191 componenti dell’Organizzazione). E’ tuttavia l’intero sistema onusiano ad essere ritenuto meritevole di interventi riformatori che coinvolgano, in particolare, l’Assemblea generale, l’ECOSOC, le istituzioni di Bretton Woods, il sistema dei Comitati, anche in considerazione della crescente rilevanza delle minacce non militari alla pace ed alla sicurezza internazionale rappresentata dall’instabilità e dagli squilibri che caratterizzano i settori economico, sociale, umanitario ed ambientale.
Riguardo alla riforma del Consiglio di sicurezza, una proposta all’attenzione della comunità internazionale è quella che prevede un incremento dei membri permanenti a vantaggio di Germania, Giappone e di tre grandi paesi del Sud del mondo: Brasile, India e un Paese africano. Gli aspetti più problematici della proposta, sul piano delle relazioni tra gli Stati, riguardano l’ulteriore incremento della presenza europea nel Consiglio, l’esclusione di altri paesi occidentali quali l’Italia ed il Canada, e la difficoltà di individuare gli Stati dei paesi in via di sviluppo senza suscitare accese rivalità, ad esempio, tra India e Pakistan, tra Brasile ed Argentina, tra Sud Africa e Nigeria. Questa ultima scelta diverrebbe ancor più problematica qualora si intendesse attribuire ai nuovi membri permanenti il diritto di veto.
Su un altro piano, è stato sottolineato, è dubbio che una simile ipotesi rafforzerebbe l’efficienza e la capacità decisionale del Consiglio, rischiando piuttosto di andare nella direzione opposta. Va inoltre considerato come l’aumento dei membri permanenti ridurrebbe la legittimazione democratica del Consiglio, essendo questi ultimi sottratti ad ogni verifica elettorale. Incrementare il numero dei membri permanenti porrebbe inoltre in evidenza due ulteriori problemi: la legittimazione degli attuali membri permanenti a ricoprire ancora tale ruolo (si pensi ad esempio alla Russia) e la necessità di ripensare (alcuni ne prospettano addirittura l’abolizione) il diritto di veto che, da più parti, si è in vario modo proposto di limitare, escludendolo rispetto a talune materie o rendendone comunque più complesso l’esercizio.
Puntare, al contrario, sulla valorizzazione dei gruppi regionali attribuendogli la possibilità di designare al loro interno un membro del Consiglio, rafforzerebbe, secondo i sostenitori della posizione italiana, la democraticità e la rappresentatività dell’organo, senza generare conflitti tra gli Stati ed evitando di alterare in misura significativa gli equilibri interni ed esterni al Consiglio come avverrebbe con l’individuazione di nuovi membri permanenti. Tale soluzione sembrerebbe inoltre compatibile e coerente con la prospettiva di attribuire un seggio all’Unione europea in quanto tale. L’accrescimento del ruolo delle organizzazioni regionali è tra l’altro uno degli obiettivi della riforma dell’Onu sul quale si registra un maggiore consenso, riflette l’evoluzione della realtà internazionale ed appare effettivamente funzionale al rafforzamento del multilateralismo.
Sempre con riferimento alla riforma del Consiglio, è stata sottolineata la necessità di individuare validi criteri sulla base dei quali selezionare i futuri membri dell’organo, specie qualora prevalesse l’ipotesi di membri eletti nell’ambito di determinate aree regionali. A riguardo può ricordarsi come l’art. 23, c. 1, dello Statuto, stabilisca che l’Assemblea generale deve eleggere i membri non permanenti del Consiglio “avendo speciale riguardo, in primo luogo, al contributo dei membri delle Nazioni Unite al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed agli altri fini dell’Organizzazione”. Sulla base di tale previsione potrebbe essere valorizzato, oltre al contributo all’attività di peace keeping, l’aiuto allo sviluppo, l’impegno a difesa dell’ambiente, la coerenza dei comportamenti con le convenzioni dell’Onu. Andrebbe peraltro valutato se far valere, ai fini dell’eleggibilità, simili criteri per via politica o prevedere invece una qualche forma di sindacato giurisdizionale. Il fine di tali proposte è quello di promuovere dei comportamenti positivi che rafforzino l’Organizzazione da parte di chi aspira ad entrare nel massimo organo decisionale.
Secondo alcuni, una riforma delle Nazioni Unite richiederebbe di affrontare alcuni nodi di fondo che attengono ai principi sui quali tradizionalmente si basa l’Organizzazione.
Lo Statuto dell’Onu recepisce nella sostanza il principio, tradizionalmente accolto dal diritto internazionale, dell’intangibilità della sovranità dei singoli Stati, attribuendo rilevanza ai soli conflitti interstatuali. In tal modo gli Stati divengono liberi di disporre a proprio piacimento dei diritti e della stessa vita dei propri cittadini. L’esperienza del dopo guerra fredda ha tuttavia dimostrato come massicce e diffuse violazioni dei diritti umani siano spesso legate a vicende interne ai singoli Stati. Taluni interventi della comunità internazionale, si pensi al Kosovo, sono stati determinati proprio dalla volontà di porre fine a brutali repressioni dei governi nazionali nei confronti di propri cittadini, guerre civili e simili.
E’ stato pertanto sostenuto che la Carta dell’Onu dovrebbe prevedere la possibilità di intervenire negli affari interni dei singoli Stati qualora si verifichino significative violazioni dei diritti umani. In questi ultimi anni si è ripetutamente ricorsi al termine di “ingerenza umanitaria” per giustificare o auspicare interventi della comunità internazionale in determinate aree di crisi. Secondo la prevalente dottrina internazionalistica, risulta tuttavia assai difficile fondare tali pretese sulla Carta delle Nazioni Unite che appare giustificare il ricorso a misure coercitive nei confronti di un membro della comunità internazionale solo qualora quest’ultimo attenti alla pace o alla sicurezza internazionale attraverso un atto di aggressione rivolto contro un altro Stato.
Tale proposta evidenzia tra l’altro la difficoltà di continuare a riconoscere esclusivamente gli Stati quali soggetti costitutivi della comunità internazionale. Infatti, l’uso della forza da parte degli Stati si rivolge sempre più spesso contro minoranze nazionali, etniche, linguistiche e religiose che rivendicano una propria identità ed autonomia disconosciuta dal potere costituito. L’ulteriore e più ampio problema che si pone è quindi se ed entro quali limiti i diritti di tali comunità devono ritenersi meritevoli di tutela a livello internazionale.
Altro tema introdotto nel dibattito è stata la possibilità di ricorso alla legittima difesa preventiva a fronte delle minacce alla pace ed alla sicurezza internazionale provenienti da fenomeni quali il terrorismo e la proliferazione della armi di distruzione di massa. Il Segretario generale, nel suo discorso all’Assemblea generale del settembre 2003, ha affermato che “Il Consiglio di sicurezza deve porsi il problema di come gestire la possibilità che singoli Stati possano usare la forza in maniera preventiva contro minacce percepite”. La pre-emption, ossia un’autodifesa militare anticipata rispetto ad un attacco imminente, era stata teorizzata nella Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Bush (documento diffuso nel 2002). Alcuni autori hanno sottolineato come, prima della pre-emption, sia in ogni caso auspicabile affrontare il tema della definizione di una strategia di prevenzione che consenta di affrontare un problema prima che questo evolva in una crisi. Il “dovere di prevenire” dovrebbe, ad esempio, comportare che il Consiglio di sicurezza intervenga al fine di impedire agli Stati che non siano controllati democraticamente all’interno di acquisire o utilizzare armi di distruzione di massa.
Le ipotesi di ampliamento della sfera di intervento del Consiglio di sicurezza in materia di tutela della pace e della sicurezza è oggetto di opposte valutazioni. Da una parte, vi è chi sostiene che si corre il rischio di un cedimento alla volontà delle potenze egemoni in ambito internazionale e segnatamente degli Stati Uniti la cui capacità militare è oggi incomparabilmente maggiore di quella di ogni altro Stato del pianeta (oltre il 50% delle spese militari mondiali fanno capo agli Stati Uniti). Altri sottolineano l’obiettiva inadeguatezza della Carta a fronte delle nuove minacce internazionali ed il connesso rischio di una progressiva marginalizzazione delle Nazioni Unite. In altri termini, in assenza di un adeguamento degli obiettivi e degli strumenti l’unilateralismo non avrebbe alternative e risulterebbe in concreto non praticabile un approccio di tipo multilaterale ai problemi della sicurezza.
E’ stata inoltre sottolineata una sorta di contraddizione insita nella Carta delle Nazioni Unite. Gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi ed i valori espressi dalla Carta (pace, sicurezza, diritti umani ecc.). Eppure gli Stati non democratici godono nella vita dell’organizzazione di uno status del tutto analogo a quello degli Stati democratici e non vedono in alcun modo sanzionati i propri comportamenti. Così, ad esempio, nella Commissione sui diritti umani possono sedere Stati come Cuba, Sudan e Zimbabwe e la Libia può assumerne la presidenza. Simili circostanze sono state duramente criticate e ritenute fortemente pregiudizievoli della credibilità dell’Organizzazione. Si è pertanto proposto di individuare dei meccanismi che rafforzino l’intesa e la collaborazione tra i paesi democratici e limitino le prerogative dei paesi valutati non democratici e non rispettosi dei diritti umani sulla base di parametri obiettivi e condivisi. Il rispetto dei diritti umani dovrebbe secondo alcuni diventare una vera e propria condizione di eleggibilità agli organi delle Nazioni Unite.
Un’altra proposta di cui si discute da alcuni anni riguarda l’istituzione di un Consiglio di sicurezza economico e sociale formato dal Consiglio di sicurezza, G 8, Comitato interinale dell’FMI. L’obiettivo è quello di affidare un ruolo all’Onu in tema di governance mondiale raccordando maggiormente l’attività delle istituzioni di Bretton Woods e del WTO con le finalità proprie delle nazioni Unite.
Sono state manifestate opinioni favorevoli a conferire rappresentanza alla società civile ed in particolare a quel complesso di attori non istituzionali (organizzazioni non governative, associazioni di cittadini di vario tipo, società transnazionali ecc.) che stanno acquisendo un rilievo crescente a livello nazionale e internazionale. E’ stata in particolare proposta la creazione di un foro stabile di confronto o addirittura di una vera e propria Camera con poteri consultivi da affiancare all’Assemblea generale.
Le relazioni tra l’Unione europea e le Nazioni Unite sono sempre state fondate sulla condivisione di valori ed obiettivi, come la pace e la sicurezza mondiali, la difesa dei diritti umani, lo sviluppo, nonché la lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata ed al traffico di droga, di persone e di armi. Al fine di garantire un efficace ordine mondiale, l’Unione europea ha ribadito in numerose occasioni che il multilateralismo è uno dei principi centrali della sua politica estera.
Da qualche anno a questa parte le relazioni tra i due organismi si sono intensificate, anche in conseguenza degli sviluppi mondiali a partire dall’11 settembre 2001. Inoltre, il processo di riforma in atto nelle due organizzazioni rappresenta una preziosa opportunità per riflettere sul miglioramento della cooperazione e delle reciproche relazioni.
E’ opportuno ricordare che l’Unione europea ed i suoi Stati membri forniscono circa il 55% dell’aiuto internazionale allo sviluppo; il 37,8% del bilancio regolare dell’ONU; e circa il 50% dei contributi obbligatori a fondi e programmi ONU, a cui si aggiungono rilevanti contributi volontari.
L’UE, inoltre, partecipa attivamente alle operazioni di mantenimento della pace sotto l’egida dell’ONU, sia attraverso contributi di bilancio che raggiungono il 39% del totale, sia attraverso l’invio di truppe e personale. In questo momento è in corso una missione di polizia in Bosnia Erzegovina (EUPM) sotto comando europeo.
Il Consiglio europeo, fin dal Vertice di Goteborg del 15 e 16 giugno 2001, ha adottato importanti decisioni per rafforzare il dialogo politico e migliorare la cooperazione tra UE e ONU.
Il 24 settembre 2003 il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, e la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri italiano, Silvio Berlusconi, hanno firmato una Dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-ONU nella gestione delle crisi. Questa istituisce un meccanismo consultivo comune a livello operativo, teso a migliorare la compatibilità ed il coordinamento reciproci nei settori della pianificazione, formazione, comunicazione e migliori pratiche.
Il Consiglio Affari generali dell’8 dicembre 2003 ha ribadito il pieno sostegno all’ONU, e l’intenzione di contribuire attivamente al processo in corso di riforma dell’ONU.
La Commissione ha pubblicato, il 10 settembre 2003, una Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento dal titolo: L’Unione Europea e le Nazioni Unite: la scelta del multilateralismo[3]. In tale documento la Commissione, nel ribadire il proprio sostegno all’ONU, sottolinea l’esigenza di migliorare l’influenza dell’UE al fine di adeguarla al suo peso economico e politico ed al contributo fornito all’ONU. A tal fine, indica due principali direttrici di azione: da un lato, una serie di passi necessari a raggiungere una maggiore coesione e coordinamento tra rappresentanti dell’UE e dei singoli Stati membri nelle diverse sedi ONU. In tal senso, sarebbe cruciale l’adozione delle norme contenute nella bozza di Trattato costituzionale relative alla personalità giuridica internazionale dell’Unione ed al rafforzamento delle capacità di politica estera e di difesa. Dall’altro lato, la Commissione sottolinea la necessità di un maggiore coinvolgimento dell’UE nel processo di riforma dell’ONU, a cominciare da quella del Consiglio di sicurezza, ritenuta indispensabile per ottenere una maggiore efficienza dell’organizzazione.
Il Parlamento europeo, il 29 gennaio 2004, ha approvato una risoluzione sulla suddetta Comunicazione, condividendone l’impianto di fondo ma al tempo stesso fornendo orientamenti fortemente innovativi. In particolare, la risoluzione sollecita gli Stati membri dell’Unione a raggiungere con urgenza un accordo sulla riforma dell’ONU, alla luce seguenti principi:
· Aumento del numero dei seggi del Consiglio di sicurezza, compreso un seggio permanente all’Unione europea, una volta che le sarà riconosciuta la personalità giuridica (con l’entrata in vigore del nuovo trattato costituzionale), così come ad Asia, Africa ed America latina;
· Sostituzione dell’attuale sistema di veto al Consiglio di sicurezza con un sistema di doppio veto (efficace solo se espresso da due membri permanenti) e solo nei casi attinenti il capitolo VII della Carta dell’ONU (minacce alla pace e sicurezza);
· Partecipazione dell’UE a tutti i fori decisionali del sistema ONU, alle stesse condizioni degli altri Stati membri.
Inoltre la risoluzione osserva che, nell’ambito del rafforzamento del ruolo dell’UE, sarà necessario sviluppare la dimensione parlamentare delle relazioni UE-ONU in modo efficace e trasparente. A tal fine auspica che venga estesa al Parlamento europeo la prassi di dialogo, cooperazione e coordinamento attualmente esistente con il Consiglio e la Commissione. Indica infine l’opportunità di creare, in cooperazione con le esistenti assemblee parlamentari regionali o mondiali, un’assemblea parlamentare consultiva sotto l’egida dell’ONU.
[1] L’ultimo rapporto, in ordine di tempo, è stato pubblicato nel luglio 2003 (A/57/47). Il testo del rapporto è a disposizione presso il Dipartimento Affari Esteri del Servizio Studi.
[2] V. il Rapporto annuale del Segretario generale sull’attività dell’Organizzazione, settembre 2003, § 10.
[3] [1] COM (2003) 526