XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive , Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Codice dei diritti di proprietà industriale - Schema di D.Lgs. n. 423 (art. 15, L. n. 273/2002) | ||||
Serie: | Pareri al Governo Numero: 358 | ||||
Data: | 10/11/04 | ||||
Abstract: | Scheda di sintesi; schede di lettura; schema di decreto legislativo. | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
V-Bilancio, Tesoro e programmazione
X-Attività produttive, commercio e turismo |
Servizio studi |
pareri al governo |
Codice dei diritti Schema di D.Lgs. n. 423 (art. 15 , L. 273/02)
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n. 358
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10 novembre 2004 |
Camera dei deputati
Il presente dossier, redatto in occasione dell’esame dello schema D.Lgs. n. 423, recante “Riassetto delle disposizioni in materia di proprietà - Codice dei diritti di proprietà industriale”, si articola in due volumi:
- il primo contiene le schede di lettura e il testo dello schema di decreto legislativo (n. 358);
- il secondo riporta la normativa di riferimento.(n. 358/1).
Dipartimento Attività produttive
SIWEB
Il presente dossier è stato redatto in collaborazione con il Dipartimento giustizia
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ap0159
INDICE
Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa
Elementi per l'istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
Il Codice dei diritti di proprietà industriale
§ 1. La delega per il riassetto della disciplina della proprietà industriale
§ 2. Il Codice dei diritti della proprietà industriale
Capo I - Disposizioni generali principi fondamentali
Capo III – Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale
Capo IV – Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure
Capo VI – Ordinamento professionale
Capo VII – Gestione dei servizi e diritti
Capo VIII – Disposizioni transitorie e finali
Schema di D.Lgs. (atto n. 423)
§ Riassetto delle disposizioni in materia di proprietà - Codice dei diritti di proprietà industriale
Parere del Consiglio di Stato, adunanza generale del 25 ottobre 2004
Parere della Conferenza unificata, repertorio n. 789/CU del 28 ottobre 2004
Numero dello schema di decreto legislativo |
423 |
Titolo |
Riassetto delle disposizioni in materia di proprietà - Codice dei diritti di proprietà industriale |
Norma di delega |
L. 12 dicembre 2002, n. 273, art. 15 |
Settore d’intervento |
Diritto civile, diritto commerciale, diritto internazionale, industria |
Numero di articoli |
245 |
Date |
|
§ presentazione |
22 ottobre 2004 |
§ assegnazione |
3 novembre 2004 |
§ termine per l’espressione del parere |
23 novembre 2004 |
§ scadenza della delega |
29 dicembre 2004 |
Commissioni competenti |
X Commissione (Attività produttive), ai sensi dell’art. 143, co. 4 del Regolamento V Commissione (Bilancio), ai sensi dell’art. 96-ter, co. 2 del Regolamento |
Lo schema di decreto legislativo reca il nuovo “Codice dei diritti di proprietà industriale”, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”, finalizzata al riassetto della disciplina inerente la "proprietà industriale".
Il Codice, in considerazione dei criteri di delega, reca una disciplina unitaria ed omogenea della proprietà industriale, coordinata con la normativa comunitaria ed internazionale ed aggiornata, fra l’altro, con le norme di recente emanazione concernenti la lotta alla contraffazione ed alla pirateria.
L'obiettivo che il Governo si pone con l’introduzione del nuovo Codice, come si legge nella relazione illustrativa, è quello della semplificazione normativa, che viene conseguita non solo sul piano quantitativo, attraverso l’unificazione redazionale di numerose leggi e provvedimenti di diverso rango legislativo, ma anche su quello qualitativo della unificazione del linguaggio e della coerenza giuridica, logica e sistematica delle norme.
Il Codice non si configura, pertanto, come un semplice Testo Unico, posto che esso ha, in virtù dei criteri di delega, anche una portata innovativa della legislazione vigente, finalizzata a ricostruire in un quadro nuovo i nessi sistematici che collegano i molteplici diritti di proprietà industriale, nella cui categoria vengono fatti confluire diritti non titolati protetti attualmente dalle norme del Codice civile sulla concorrenza sleale, come ad esempio i marchi cosiddetti di fatto e le informazioni aziendali riservate.
La finalità sostanziale sottesa a tale riassetto sistematico delle disposizioni in materia di proprietà industriale è costituita, come si legge nella relazione illustrativa, dal recupero della competitività del “sistema Italia”, per il quale la disciplina della proprietà industriale assume una valenza strategica nell'ambito della concorrenza internazionale, posto che una riorganizzazione normativa e gestionale che tuteli tale proprietà non può che avere un impatto positivo anche sulla ricerca e l’innovazione, potenziando per questa via il livello qualitativo delle produzioni che caratterizzano l’economia nazionale.
Il Codice, che ricalca, nella sua struttura, lo schema dell’Accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), ossia la più estesa convenzione multilaterale che fissa uno standard minimo di tutela della proprietà industriale a livello internazionale, è articolato in 8 Capi, di norma suddivisi in sezioni, e consta complessivamente di 245 articoli, destinati a sostituire, abrogandole in blocco, numerosi leggi e provvedimenti di diverso tipo.
In particolare, il Capo I del Codice, composto di sei articoli, reca le disposizioni generali che riguardano indistintamente tutti i diritti di proprietà industriale, enunciando i principi fondamentali, quali l’ambito di applicazione della normativa, la disciplina applicabile agli stranieri e le disposizioni in tema di priorità, comunione ed esaurimento dei diritti.
Il Capo II, reca le norme sostanziali, afferenti all’esistenza, l’ambito e l’esercizio di ciascun diritto di proprietà industriale, divise in apposite sezioni recanti relative, rispettivamente, a: marchi, indicazioni geografiche, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni segrete ed infine nuove varietà vegetali.
Seguendo la sistematica dell'Accordo TRIP's, nel Capo III del Codice sono state collocate le norme dedicate alla tutela giurisdizionale, riproducendo sostanzialmente la disciplina delle azioni giudiziarie, sia ordinarie che cautelari, recata dalla singole leggi speciali, ivi compresi il riferimento alle sezioni specializzate dei tribunali in materia di proprietà intellettuale ed industriale, istituite con il D.Lgs. 168/03 e le norme sulla lotta alla contraffazione e alla pirateria, introdotte nei commi 79, 80 ed 81 dell'art. 4 della legge finanziaria per il 2004.
Il Capo IV è dedicato all'acquisto ed al mantenimento dei diritti di proprietà industriale ed alle relative procedure. In tale ambito sono state previste due procedure con effetto costitutivo, ma che differiscono nella loro intitolazione formale secondo che si tratti di brevettazione o di registrazione, conformemente alla terminologia comunitaria ed internazionale.
Il Capo V disciplina le "procedure speciali", quali quelle relative all’espropriazione, alla trascrizione, al sequestro, alla segretazione militare, alle licenze obbligatorie e a quelle volontarie sui principi attivi farmaceutici, ed infine quelle concernenti il contenzioso davanti alla commissione dei ricorsi.
Il Capo VI è dedicato all’"ordinamento professionale" e regola dettagliatamente l'esercizio della rappresentanza ed il funzionamento dell'ordine dei consulenti in proprietà industriale.
Il Capo VII è dedicato alla "gestione dei servizi", ed ai "diritti", sia di concessione, sia di mantenimento dei titoli di proprietà industriale, da parte dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
Da ultimo, il Capo VIII reca le disposizioni transitorie e finali, che comprendono anche le norme abrogate.
Oltre alla relazione illustrativa e ad una relazione tecnico finanziaria, allo schema di decreto legislativo sono allegati il parere favorevole, con osservazioni, espresso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza generale del 25 ottobre 2004, nonché il parere favorevole espresso, ai sensi dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo 8 agosto 1997, n. 281, dalla Conferenza unificata in data 28 ottobre 2004.
Lo schema di decreto legislativo in esame è stato adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”, finalizzata al riassetto della disciplina inerente la "proprietà industriale"[1].
In ordine ai criteri di delega, va preliminarmente evidenziato come la norma delegante da cui il Codice trae origine costituisca un’anticipazione di quelle della legge di semplificazione per il 2001, posto che il citato art. 15 della legge n. 273 del 2002 richiama espressamente, tra i criteri di delega, la norma-cardine della semplificazione normativa, ossia l’articolo 20 della legge n. 59 del 1997, il quale è stato da ultimo novellato proprio dalla citata legge di semplificazione n. 229 del 2003. Quest’ultima, all’articolo 1, comma 2, estende infatti espressamente i nuovi principi e criteri direttivi del riformulato art. 20 della legge n. 59 del 1997 anche alle deleghe ancora in corso approvate prima della l. n. 229 che vi facciano riferimento, tra le quali rientra anche la delega in oggetto. [2]
Come evidenziato nel parere sul provvedimento reso dal Consiglio di Stato, si può affermare che l’intervento in esame segna l’avvio di una nuova fase in materia di semplificazione e riordino (ora denominato “riassetto”) normativo, dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’abrogato art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50[3].
In tema di semplificazione normativa, l’ordinamento italiano è progressivamente passato da un “modello di semplificazione/delegificazione”, che consisteva nella emanazione di regolamenti ex art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988 della disciplina di singoli procedimenti amministrativi, ad un “modello di riordino/riassetto” di intere materie organiche, prima con testi unici e ora con i “codici”. [4]
Lo schema di Codice in esame rappresenta pertanto il primo esempio di questa nuova fase di riassetto normativo, fondata appunto sulla codificazione, la quale si caratterizza, rispetto ai testi unici, per due aspetti fondamentali.
Il primo di tali aspetti è costituito dall’abbandono del livello regolamentare, che può comportare, in taluni casi, la legificazione o la ri-legificazione di alcuni aspetti della disciplina, prima regolati con norme secondarie. In diversi punti dello schema in oggetto, il Codice dei diritti di proprietà industriale ha infatti unificato, vista la loro stretta connessione, norme legislative con disposizioni di origine regolamentare, che vengono quindi legificate.
Quanto al secondo profilo, esso consiste nella capacità innovativa della previgente disciplina di livello primario, posto che per i decreti legislativi “di riassetto” vi sono di norma criteri di delega più ampi e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche a innovazioni del merito della disciplina codificata.
L’innovatività sostanziale e il consolidamento formale costituiscono pertanto gli elementi distintivi della codificazione, in base ai quali la riforma dei contenuti della disciplina legislativa della materia si ispira necessariamente anche a criteri di semplificazione “sostanziale” (come l’alleggerimento degli oneri burocratici)[5] e di “deregolazione”.
Ciò premesso in ordine al quadro concettuale dell’intervento di codificazione in oggetto, si osserva come la specifica norma di delega da cui trae origine lo schema di decreto in oggetto, ossia l’art. 15 della legge n. 273 del 2002, contenga criteri specifici che eccedono il puro riordino della materia[6]ed il suo adeguamento ai mutamenti intervenuti nelle fonti comunitarie e nella disciplina internazionale, fermo restando che il criterio di delega diretto ad assicurare la coerenza giuridica, logica e sistematica delle norme, nonchégli altri criteri metodologici inerenti la codificazione[7], sembrano comunque legittimare interventi di semplificazione e coordinamento sostanziale che non si traducano in una mera nuova sistemazione della normativa esistente.
A tale proposito va segnalato come nella relazione illustrativa il Ministero delle Attività Produttive, nel prendere atto della rilevanza che la legge n. 273/2002 attribuisce alla proprietà industriale come strumento di recupero della competitività del "sistema Italia" nell'ambito della concorrenza internazionale, ha precisato che, nei limiti in cui la delega attribuisce al Governo un potere di revisione della disciplina preesistente, questo potere è stato esercitato in modo funzionale al citato obiettivo
In ordine alla conformità ai specifici criteri di delega da parte dello schema di decreto in oggetto, si osserva , in primo luogo, come non sia stata data una compiuta attuazione al criterio direttivo di cui alla citata lettera c), laddove si prevede la revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti. In proposito, la relazione illustrativa[8], giustifica tale mancata attuazione facendo riferimento alla particolare ampiezza del criterio di delega, tale da poter persino suscitare dubbi di legittimità costituzionale, ed alle preoccupazioni che il cumulo delle tutele suscita nella piccola e media impresa italiana.
La questione è diffusamente segnalata anche al paragrafo 11 del parere espresso dal Consiglio di Stato e ripresa nelle schede di lettura del presente dossier, alle quali si rinvia per ogni approfondimento.
Si segnala, poi, come l’art. 134, commi 1 e 3, estenda la giurisdizione delle sezioni dei Tribunali specializzate in materia di proprietà intellettuale e industriale, istituite ai sensi del D.Lgs 168/03[9], a materie non direttamente contemplate dalla citata legge delega, la quale si riferisce ai procedimenti giurisdizionali in materia di proprietà industriale, nonché a quelli in materia di concorrenza sleale connessi con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale. L’articolo in commento contempla invece anche i processi “in materia di illeciti ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287 e degli articoli 81 e 82 del Trattato UE afferenti all’esercizio dei diritti di proprietà industriale”, attirando nell’orbita delle sezioni specializzate le controversie in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante. Al riguardo, si osserva come il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo, abbia evidenziato come, per non eccedere l’oggetto della delega, debba essere meglio chiarita la competenza delle sezioni specializzate, la quale dovrebbe investire soltanto: le controversie che la legge n. 287 del 1990 attribuisce al giudice ordinario (e non anche quelle devolute al giudice amministrativo) e le controversie in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante strettamente connesse alla violazione di diritti di proprietà industriale; andrebbero inoltre meglio chiariti il senso e la portata di tale connessione.
Con riferimento al Capo IV del Codice, recante la disciplina dell’acquisto e del mantenimento dei diritti di proprietà industriale e le relative procedure, si osserva come nel parere del Consiglio di Stato, se, da una parte, si evidenzia la sostanziale conformità con i criteri di delega di cui alle citate lett. a) e b) - in quanto la materia è stata riordinata in modo organico e coordinato, anche con riguardo alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta nel settore considerato - da altra angolazione, viene formulato un rilievo critico, che trova il suo presupposto nella constatazione delle carenza o, quantomeno, della scarsa presenza di istituti che, in linea con i criteri di cui alle citate lettere f) e g), prevedano strumenti di semplificazione e di riduzione degli adempimenti amministrativi. Il Consiglio di Stato sottolinea, in particolare, come appaiano inadeguate, a fronte dei criteri di delega ampi ed articolati, le poche disposizioni che recano semplificazioni procedurali, contenute negli articoli 147, 156, 158 e 159, rilevando in proposito che, in linea con il criterio di cui alla lett. g), ampi settori della regolamentazione contenuta nel Codice avrebbero potuto trovare una disciplina adeguata con fonti secondarie, come la procedura di opposizione alla registrazione del marchio di impresa, le modalità di pubblicità dei titoli di proprietà industriale, le norme sull’ordinamento dell’Albo professionale contenute nel successivo Capo VI, la disciplina dei diritti dovuti per i servizi resi in materia di proprietà industriale e la definizione delle funzioni dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (Capo VII). Benché consapevole della difficoltà di semplificare procedimenti amministrativi in buona parte disciplinati da norme comunitarie ed internazionali, il Consiglio sottolinea, pertanto, come sarebbe stato comunque possibile rinvenire uno spazio per una attuazione più estesa dei citati criteri di delega, rilevando, infine, come anche il deposito per via telematica della documentazione richiesta ed il pagamento delle tasse e diritti con lo stesso sistema avrebbero indubbiamente caratterizzato il Codice per un maggiore raccordo con il criterio di cui alla lett. f) dell’art. 15 della legge di delega.
Si osserva, da ultimo, come in calce alla relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo in oggetto sia stata allegata una relazione tecnico finanziaria finalizzata ad illustrare come il provvedimento, conformemente al criterio di delega di cui al citato articolo 15, comma 3, non rechi maggiori oneri a carico del Bilancio dello Stato, con particolare riferimento agli articoli 199, 200, 215 e 224.
Tale ultimo articolo, oggetto di una approfondita disamina in relazione ai profili di compatibilità finanziaria, va in particolare segnalato in quanto costituisce, in base alla citata relazione, una attuazione del criterio di delega di cui alla citata lettera e), che prevede il riordino e il potenziamento della struttura istituzionale preposta alla gestione della normativa, rinvenibile nell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, e l’attribuzione alla stessa di autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale.
Lo schema di decreto in oggetto, recando un complessivo riassetto della disciplina della proprietà industriale, rientra nella materia delle “opere dell’ingegno”, che l’articolo 117, comma 2, lettera r), della Costituzione, riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Peraltro, considerati l’ambito di applicazione del Codice dei diritti di proprietà industriale, esteso a taluni diritti cosiddetti non titolati attualmente protetti dalla disciplina del Codice civile in materia concorrenza sleale, nonché, più in generale, la specifica valenza di un efficace sistema di tutela delle opere dell’ingegno nell’ambito della concorrenza internazionale, lo schema di decreto in esame presenta altresì profili strettamente inerenti le materia della “tutela della concorrenza”, anch’essa riservata, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
La struttura del Codice in esame, prendendo atto di come la materia dei diritti di proprietà industriale sia sostanzialmente internazionalizzata, ricalca, come accennato, l’Accordo TRIP’s (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights)[10] sulla proprietà intellettuale, che costituisce una sorta di statuto dei diritti della proprietà industriale a livello internazionale.
Sotto questo profilo, la sistematica del Codice, essendo modellata sulle fonti internazionali e comunitarie, appare conforme al criterio direttivo della legge di delega, che prevede l’adeguamento della disciplina in materia di proprietà industriale alla normativa internazionale e comunitaria vigente.
In proposito, si rileva, sulla scorta anche di quanto evidenziato nel parere espresso dal Consiglio di Stato, come la tendenza alla internazionalizzazione della materia derivi non solo dall'esigenza di integrazione a livello europeo, che si realizza attraverso convenzioni, regolamenti e direttive comunitarie, ma anche dalla spinta ad una sempre più incisiva armonizzazione della disciplina di tutti i Paesi industrializzati ed in via di sviluppo, di cui il citato accordo Trip’s costituisce una delle manifestazione più evidenti. Tale evoluzione si ricollega altresì allo sviluppo della ricerca ed al realizzarsi di nuove tecnologie, che comportando investimenti e rischi economici ingenti, richiedono strumenti giuridici di protezione particolarmente efficaci.
Al riguardo, può richiamarsi, ad esempio, l'estensione della tutela brevettale: alle invenzioni farmaceutiche, la cui brevettabilità risale alla decisione della Corte costituzionale 20 marzo 1978 n. 20, seguita dalle disposizioni per il rilascio del certificato complementare di protezione per i medicamenti oggetto di brevetto, di cui alla legge n. 349/91 ed al regolamento CEE n. 1768/92; alle nuove varietà vegetali (la cui brevettabilità è stata introdotta sino dal 1975) oggi disciplinate dal D.P.R. 18 aprile 1994, n. 391 e dal reg. CE n. 2100/94, cui si aggiunge il reg. CE 8 agosto 1996, n. 1610/96 istitutivo di un certificato complementare di protezione per i prodotti fitosanitari; ai programmi per elaboratore, cui si applica, in virtù della legge n. 518/92 ed in attuazione della direttiva CEE n. 91/250, il diritto d'autore ed in relazione ai quali è stata anche emanata la legge n. 547/93 in tema di criminalità informatica; alle cosiddette topografie di prodotti a semiconduttori che, sulla base della direttiva CE 16 dicembre 1986, n. 87/54, sono oggi disciplinate dalla legge n. 70/89 e dal regolamento di cui al d.m. 11 gennaio 1991, n. 122.
Va, inoltre, segnalato l'ingresso nell'area della brevettabilità delle biotecnologie, in relazione alle quali si richiama la proposta modificata di direttiva del Consiglio CE del 25 gennaio 1996, n. 96/C296/03.
In ordine alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, si osserva come la materia - oggetto della direttiva 94/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio - non sia contemplata nel Codice in esame, in quanto, come si afferma nella relazione illustrativa, il silenzio della legge di delega confermerebbe implicitamente l’intenzione del legislatore di confermare l’autonoma operatività della specifica delega prevista nella materia da un disegno di legge governativo, il cui iter è stato particolarmente travagliato, che risulta attualmente all’esame del Senato[11].
Il Codice mantiene, inoltre, distinta la disciplina dei brevetti per invenzioni da quella dei modelli di utilità, nonostante tale distinzione non sia contemplata dalla Convenzione sul brevetto europeo, considerato brevetto per modello quando viene nazionalizzato in Italia.
La mancata soppressione della disciplina dei modelli di utilità è giustificata, nella relazione illustrativa, sia con riferimento al dubbio che il potere di semplificazione concesso dalla legge di delega non si potesse estendere sino a sopprimere un titolo brevettuale che da sempre caratterizza l'ordinamento italiano, sia in considerazione del fatto che a livello comunitario sono in corso i lavori preparatori per l’introduzione di una disciplina comunitaria dei modelli di utilità da affiancare a quella dei modelli e disegni, non apparendo pertanto opportuna la soppressione di un titolo brevettuale che potrebbe essere "rivitalizzato" a livello europeo.
Da ultimo, ai fini della valutazione di conformità con la normativa comunitaria, merita di essere segnalato l’articolo 44 del Codice, il quale dispone, al comma 1, che "i diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli protetti anche ai sensi dell'art. 2, comma 1, n. 10, legge n. 633 del 1941, durano tutta la vita dell'autore e fino al termine del 25° anno solare dopo la sua morte".
Nella relazione illustrativa si osserva come tale norma sia stata contestata sulla base del rilievo che la normativa comunitaria (Direttiva 93/98/CE) prevede un termine ordinario di durata per il diritto d'autore pari a 70 anni post mortem autoris; è stato altresì rilevato che tale normativa risulta su questo specifico punto direttamente applicabile in Italia, con conseguente possibilità per il giudice di disapplicare una difforme norma interna, osservandosi inoltre che l'introduzione di una durata diversa ed inferiore rispetto a quella prevista per la tutela di opere identiche in altri paesi dell'unione avrebbe poi un verosimile effetto negativo diretto sulla possibilità per un'azienda italiana di aggiudicarsi i contratti di licenza e produzione nel nostro paese di tali opere: contratti che verrebbero di preferenza perfezionati in quei paesi nei quali la durata del diritto d'autore è quella prevista dalla direttiva. A fronte di tali considerazioni, la relazione sottolinea il fatto che l'accorciamento della tutela per diritto d'autore è disposto esplicitamente dalla legge di delega, con la conseguenza che il legislatore delegato non potrebbe discostarsi da questa prescrizione senza incorrere nel vizio di incostituzionalità per eccesso di delega.
Il problema dunque semmai si pone non con riguardo all'art. 44 del Codice, ma con riguardo all'art. 17 della legge di delega, in quanto se fosse vero che con l'accorciamento della tutela per diritto d'autore si darebbe luogo ad una norma nazionale incompatibile con una norma comunitaria direttamente applicabile, sarebbe consentito al legislatore delegato di correggere l'errore in applicazione di un principio di auto-tutela del legislatore stesso. Tuttavia, ad avviso del Governo, la tesi della incompatibilità del termine di 25 anni post mortem autoris rispetto a quello "normale" di 70 anni non sembra affatto sicura. In senso contrario, si rileva infatti che durate diverse sono fissate nella legge sul diritto d'autore per i diritti cosiddetti connessi i quali, tuttavia, non possono considerarsi avere diversa natura rispetto alle opere dell'ingegno pure e semplici, in modo che la durata contemplata nella direttiva comunitaria non sembra assumere la connotazione dell'inderogabilità.
Peraltro, il Consiglio di Stato, nelle osservazioni contenute nel parere sullo schema di decreto, rileva come le argomentazioni offerte dalla relazione governativa non appaiano conferenti al fine di giustificare la scelta della previsione della durata venticinquennale del diritto di utilizzazione.
Al riguardo, il Consiglio, dopo aver osservato, in primo luogo, che la norma di cui all’art. 17 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 che prevede tale termine non detta un criterio di delega, ma è una norma di carattere materiale, si sofferma sul dubbio di compatibilità comunitaria, rilevando al riguardo come la disposizione di cui all’articolo 17 della direttiva n.71/98 CE sia sufficientemente ampia, nel suo tenore, da offrire “copertura” comunitaria al più breve termine di durata della protezione del diritto di autore connesso a modelli industriali, come appare confermato da analoghe scelte effettuate da altri Paesi della Comunità.
La Commissione ha inviato nel dicembre 2003 un parere motivato invitando l’Italia a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia del 13 febbraio 2003 (sentenza C-131/01), relativa all’esercizio della professione di agente in brevetti. La Corte aveva considerato che obbligare gli agenti di brevetti a risiedere nel paese costituisce un ostacolo alla libera prestazione di servizi.
Nel corso dell’esame del disegno di legge comunitaria 2004 (A.C. 5179-A) presso la Commissione XIV - Politiche dell’Unione europea, è stato approvato un articolo aggiuntivo[12] – recante modifica al regolamento sull’ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale e sulla formazione del relativo Albo - in esecuzione della citata sentenza della Corte di giustizia.
La disciplina del brevetto comunitario rientra tra le priorità della Presidenza olandese la quale ha sottolineato peraltro la difficoltà, già riscontrata dalla precedente Presidenza irlandese, di superare le resistenze di alcuni Stati membri.
Il 1° agosto 2000 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sul brevetto comunitario (COM(2000)412) che mira alla creazione di un sistema di brevetto unico valido in tutta l’Unione europea, rilasciato dall’Ufficio europeo dei brevetti, al fine di ridurre i costi per le imprese e incoraggiare l’innovazione.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo il 10 aprile 2002. Dopo aver raggiunto un accordo politico di massima il 3 marzo 2003, il 26 novembre 2003 il Consiglio ha esaminato il testo di compromesso presentato dalla Presidenza italiana. L’ampio accordo raggiunto su questo testo non era tuttavia completo, essendo rimasta in sospeso una specifica disposizione relativa al regime linguistico. Allo stesso modo Il Consiglio Competitività del 17 e 18 maggio 2004 non è riuscito a raggiungere un accordo sulla proposta di compromesso della Presidenza.
Il 20 febbraio 2002 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici (COM(2002)92), intesa ad armonizzare le normative nazionali in materia di brevetti nel campo informatico.
La disciplina, da cui sono esclusi i programmi informatici, protetti dal diritto d’autore, si applica ai “contributi tecnici”, ovvero a quelle invenzioni che migliorano lo stato della tecnica in un determinato settore.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 24 settembre 2003.
Il Consiglio Competitività del 17 e 18 maggio 2004 ha raggiunto un accordo politico sulla proposta a maggioranza qualificata - con l'astensione delle delegazioni austriaca, italiana e belga e col voto contrario della Spagna - in vista della posizione comune in prima lettura, che sarà approvata in una delle prossime riunioni del Consiglio. Il Parlamento europeo dovrebbe esaminare il testo della proposta, in seconda lettura, probabilmente nell’ambito della sessione del 7 marzo 2005.
Le Commissioni X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) della Camera hanno avviato l’esame della proposta di direttiva, ai sensi dell’art. 126-bis del Regolamento della Camera. In particolare, la XIV Commissione nella seduta dell’11 dicembre 2003 ha deciso lo svolgimento di una serie di audizioni, avviata il 14 gennaio con l’audizione del ministro per l’innovazione e la tecnologia, Lucio Stanca. Il 20 gennaio 2004 l’esame è iniziato anche presso la X Commissione; il relatore Cialente ha segnalato l’opportunità di procedere, ad una serie di audizioni in congiunta con la XIV Commissione.
Il Codice in esame è diretto a semplificare e riordinare, in una logica di riassetto sistematico della materia, una lunga serie di leggi e atti normativi di rango secondario, originati da tempo da fonti normative istituzionalmente collocate non più soltanto a livello nazionale, ma anche internazionale e sopratutto comunitario.
Come si legge nella relazione illustrativa, il Codice in esame sostituisce, sostituisce, abrogandole in blocco, non meno di 39 leggi (o norme di leggi) ed innumerevoli provvedimenti di altro tipo.
Va tuttavia considerato come le stesse caratteristiche dell’attività di codificazione abbiano comportato una parziale legificazione o la ri-legificazione di alcuni aspetti della disciplina in materia di proprietà industriale, prima regolati con norme secondarie. In diversi punti dello schema in oggetto, il Codice dei diritti di proprietà industriale ha infatti unificato, vista la loro stretta connessione, norme legislative con disposizioni di origine regolamentare, che vengono quindi legificate.
Per quanto concerne i profili di coordinamento e le disposizioni recanti elementi di novità rispetto alla legislazione vigente, si rinvia a quanto esposto al riguardo nelle schede di lettura del presente dossier.
Si segnala come sia attualmente all’esame in sede referente presso le Commissioni X Attività produttive e VII Cultura, la proposta di legge, d'iniziativa del deputato Cialente ed altri (AC n. 3723), diretta a modificare la legislazione vigente in materia di titolarità dell’appartenenza dei risultati della attività di ricerca universitaria e pubblica.
Disposizioni incidenti sulla medesima materia delle invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca sono, inoltre, rinvenibili nel disegno di legge AC 2238 A, recante “Disposizioni concernenti la scuola, l’università e la ricerca scientifica“, approvato dal Senato il 29 gennaio 2002 ed attualmente in stato di relazione presso le medesime Commissioni X Attività produttive e VII Cultura della Camera dei deputati.
Il riassetto, mediante la codificazione settoriale, della disciplina giuridica della proprietà industriale, nonché il potenziamento delle strutture organizzative preordinate alla gestione dei diritti connessi, costituiscono un intervento in grado di garantire una migliore leggibilità e fruibilità del sistema nel suo complesso.
Sotto questo profilo, la relazione illustrativa evidenzia come la riorganizzazione normativa e gestionale della proprietà industriale possa costituire un efficace strumento sia per il potenziamento della competitività delle imprese nazionali, sia per l’incentivazione dello sviluppo tecnologico.
In tal senso, il Codice in oggetto intende fornire alle imprese italiane, e in particolare a quelle maggiormente orientate nei mercati internazionali - che operano nelle aree di eccellenza dell'economia nazionale, come, ad esempio, i settori della moda, dell'arredamento, dell'oreficeria, delle calzature, del tessile ecc. ecc. – un efficace sistema dei diritti di proprietà industriale, che consenta loro di poter fare affidamento sia su un mercato interno efficacemente difeso contro le contraffazioni e la pirateria, sia sui mercati dei paesi esteri che sono disposti a garantire i loro diritti a condizione di reciprocità, ciò che giustifica la partecipazione dell’Italia al sistema internazionale di protezione dei diritti di proprietà industriale. Al contempo, il riassetto e la migliore intelligibilità della disciplina in oggetto possono contribuire ad evitare il rischio che le imprese nazionali incorrano inconsapevolmente in misure restrittive di carattere giudiziario ottenute da imprese straniere che detengono diritti di proprietà industriale a contenuto tecnologico, nonché le possibili insidie derivanti dall'esercizio abusivo dei diritti in questione da parte di imprese straniere.
Per i rilievi di carattere formale e sostanziale inerenti le singole disposizioni del Codice in oggetto, si rinvia a quanto evidenziato - anche in relazione alle osservazioni formulate nel parere espresso dal Consiglio di Stato - nelle schede di lettura del presente dossier.
Lo schema di decreto legislativo in esame è stato adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”, finalizzata al riassetto della disciplina inerente la "proprietà industriale" .
Il termine per l’esercizio della delega, inizialmente fissato in diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge delega, è stato prolungato di sei mesi dall’art. 2, comma 8, della legge 27 luglio 2004, n. 196 , per cui la scadenza del termine è ora stabilita alla data del 29 dicembre 2004.
In ordine ai criteri di delega, va preliminarmente evidenziato come la norma delegante da cui il Codice trae origine costituisca un’anticipazione di quelle della legge di semplificazione per il 2001, posto che il citato art. 15 della legge n. 273 del 2002 richiama espressamente, tra i criteri di delega, la norma-cardine della semplificazione normativa, ossia l’articolo 20 della legge n. 59 del 1997, il quale è stato da ultimo novellato proprio dalla citata legge di semplificazione n. 229 del 2003. Quest’ultima, all’articolo 1, comma 2, estende infatti espressamente i nuovi principi e criteri direttivi del riformulato art. 20 della legge n. 59 del 1997 anche alle deleghe ancora in corso approvate prima della legge n. 229 che vi facciano riferimento, tra le quali rientra anche la delega in oggetto[13].
Come evidenziato nel parere sul provvedimento reso dal Consiglio di Stato, si può affermare che l’intervento in esame segna l’avvio di una nuova fase in materia di semplificazione e riordino (ora denominato “riassetto”) normativo, dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’abrogato art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50.
In tema di semplificazione normativa, l’ordinamento italiano è progressivamente passato da un “modello di semplificazione/delegificazione”, che consisteva nella emanazione di regolamenti ex art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988 della disciplina di singoli procedimenti amministrativi, ad un “modello di riordino/riassetto” di intere materie organiche, prima con testi unici e ora con i “codici”.
Nel parere espresso dal Consiglio di Stato si ricorda, in particolare, come tutti gli interventi succedutisi da oltre dieci anni (anche quelli di riordino, codificazione o riassetto) si inseriscano in una strategia di “semplificazione” e come anche le “leggi annuali” di recente emanate in materia facciano perno su questo concetto. Anche nell’esperienza internazionale, del resto, tale strategia riflette la tendenza a liberare i mercati e i cittadini da regole prescrittive, attuando un ampio processo di liberalizzazione e di deregolazione che liberi energie economiche e risorse umane in grado di operare con agilità in un mercato globalizzato. Il parere richiamato sottolinea, tuttavia, come l’approccio italiano al tema della semplificazione sia stato invece, almeno inizialmente, diverso, posto che l’analisi economica delle regole è rimasta a lungo fuori dal dibattito politico-istituzionale sulla normazione e la produzione delle leggi è stata, soprattutto in origine, fortemente influenzata da un’impostazione di tipo “giuridico”, non sempre attenta agli effetti che si dispiegano sui destinatari delle regole.
Nelle strategie di semplificazione, il nostro ordinamento si è pertanto progressivamente evoluto, passando da un concetto di “semplificazione” limitato al mero snellimento dei procedimenti amministrativi (e dell’organizzazione degli uffici pubblici), operato tramite la delegificazione di una parte della loro disciplina, ad un concetto più ampio e in linea con l’esperienza internazionale, che mira a cogliere la valenza economica del processo di semplificazione nel più generale contesto della ricerca della qualità della regolazione, dove per qualità si intendono regole coerenti e chiare da un punto di vista giuridico-formale, leggibili sia per gli operatori che per i cittadini, e soprattutto essenziali e non onerose da un punto di vista economico-sostanziale, in grado di intervenire solo laddove i benefici di una norma siano superiori ai suoi costi.
Lo schema di Codice in esame rappresenta pertanto il primo esempio di questa nuova fase di semplificazione e riassetto normativo, fondata appunto sulla codificazione, la quale si caratterizza, rispetto ai testi unici, per due aspetti fondamentali.
Il primo di tali aspetti è costituito dall’abbandono del livello regolamentare, che può comportare, in taluni casi, la legificazione o la ri-legificazione di alcuni aspetti della disciplina, prima regolati con norme secondarie. In diversi punti dello schema in oggetto, il Codice dei diritti di proprietà industriale ha infatti unificato, vista la loro stretta connessione, norme legislative con disposizioni di origine regolamentare, che vengono quindi legificate.
Quanto al secondo profilo, esso consiste nella capacità innovativa della previgente disciplina di livello primario, posto che per i decreti legislativi “di riassetto” vi sono di norma criteri di delega più ampi e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche a innovazioni del merito della disciplina codificata.
L’innovatività sostanziale e il consolidamento formale costituiscono pertanto gli elementi distintivi della codificazione, in base ai quali la riforma dei contenuti della disciplina legislativa della materia si ispira necessariamente anche a criteri di semplificazione “sostanziale” (come, ad esempio, l’alleggerimento degli oneri burocratici) e di “deregolazione”.
Ciò premesso in ordine al quadro concettuale dell’intervento di codificazione in oggetto, si osserva, sulla scorta di quanto rilevato nel parere reso dal Consiglio di Stato, come nella specifica norma di delega da cui trae origine lo schema in oggetto, ossia l’articolo 15 della legge n. 273 del 2002, possano essere distinti in modo sufficientemente chiaro i profili “sostanziali” da quelli “metodologici” della codificazione: da una parte, infatti, i criteri di delega di cui alle lettere b), c), d), e), h) dell’articolo 15, comma 1, comportano una vera e propria delega legislativa di “riforma” del settore, posto che essi prevedono:
· l’adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta (lett.b);
· la revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti (lett.c);
· l’adeguamento della disciplina alle moderne tecnologie informatiche (lett.d);
· il riordino e potenziamento della struttura istituzionale preposta alla gestione della normativa, con previsione dell'estensione della competenza anche alla tutela del diritto d'autore sui disegni e modelli, anche con attribuzione di autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale (lett.e);
· la previsione che la rivelazione o l'impiego di conoscenze ed esperienze tecnico-industriali, generalmente note e facilmente accessibili agli esperti e operatori del settore, non costituiscono violazioni di segreto aziendale (lett. h).
Dall’altra parte, gli aspetti inerenti la “codificazione” del settore della proprietà industriale si evincono dai criteri di delega di cui alle lettere a), f) e g), che assumono una portata “metodologica”, in quanto prevedono:
· la ripartizione della materia per settori omogenei e il coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica (lett.a);
· l’introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi (lett.f);
· la delegificazione e il rinvio alla normazione regolamentare della disciplina dei procedimenti amministrativi, secondo i criteri di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (lett.g).
La delega in oggetto contiene pertanto criteri specifici che eccedono il puro riordino della materia ed il suo adeguamento ai mutamenti intervenuti nelle fonti comunitarie e nella disciplina internazionale e gli stessi principi della codificazione, diretti ad assicurare la semplificazione/riduzione degli adempimenti amministrativi, nonché la coerenza giuridica, logica e sistematica delle norme, legittimano interventi di coordinamento sostanziale che non si traducano in una mera nuova sistemazione della normativa esistente.
In proposito si segnala che nella relazione illustrativa il Ministero delle Attività Produttive, nel prendere atto della rilevanza che la legge n. 273/2002 attribuisce alla proprietà industriale come strumento di recupero della competitività del "sistema Italia" nell'ambito della concorrenza internazionale, ha precisato che, nei limiti in cui la delega attribuisce al Governo un potere di revisione della disciplina preesistente, questo potere è stato esercitato in modo funzionale al citato obiettivo
Si ricorda, infine, che il citato articolo 15 della legge 273/02 dispone, al comma 3, che i decreti legislativi di attuazione della delega non debbano recare maggiori oneri a carico del Bilancio dello Stato.
Per i profili attinenti la conformità ai criteri di delega da parte dello schema di decreto in oggetto, si rinvia a quanto evidenziato nel paragrafo relativo della scheda di sintesi del presente dossier.
Per quanto concerne l’oggetto della delega, si rileva come questa, nel disporre il riassetto delle disposizioni vigenti, si riferisce alla sola materia della proprietà industriale, volendo con tale espressione escludere la materia del diritto d'autore.
Com’è noto, la più ampia categoria della proprietà intellettuale è ripartita fra la disciplina del diritto di autore e la disciplina della proprietà industriale. In base alla relazione illustrativa, la suddetta esclusione è dettata da ragioni inerenti il riparto delle competenze ministeriali, posto che il diritto d'autore rientra tra le attribuzioni del Ministero dei beni culturali, mentre tutti i rimanenti istituti della proprietà immateriale sono compresi tra le attribuzioni del Ministero delle attività produttive. Le diverse materie fanno dunque capo a diversi dicasteri, benché le fonti del diritto internazionale e la dottrina giuridica tendano a considerarle unitariamente.
La medesima relazione rileva, infatti, come la distinzione tra la proprietà industriale e la proprietà intellettuale risulti ormai del tutto superata da quando tra le opere dell'ingegno protette dal diritto d'autore, oltre a quelle frutto dell'esperienza artistica (opere della letteratura, della musica, delle arti figurative, ecc. ecc.) rientrano anche quelle cosiddette "utilitaristiche", come il software oppure come le banche dati, ed ora anche i disegni e modelli aventi carattere creativo e valore artistico.
Il superamento di tale distinzione nell’ambito dei diritti di proprietà immateriale è consacrato, tra l’altro, anche nella sistematica del citato Accordo TRIP's, sulla quale è modellato il Codice in esame (cfr.oltre), secondo cui la proprietà intellettuale comprende anche quella da noi chiamata proprietà industriale, rispecchiando così la concezione anglo-americana in base alla quale la protezione del diritto d'autore non si distingue concettualmente da ogni altro diritto esclusivo su bene immateriale.
La limitazione imposta della legge di delega, sempre secondo la relazione illustrativa, comporta un riordino per certi versi parziale e, dal punto di vista della interpretazione sistematica, rallenta il processo di integrazione del diritto d'autore e della proprietà intellettualenell'ambito del sistema complessivo nel quale i titoli di proprietà immateriale sono visti come funzionali al corretto svolgimento della concorrenza nell'economia di mercato. A questo riguardo la relazione governativa auspica, alternativamente, di poter pervenire ad un unico Codice della proprietà intellettuale comprensivo della proprietà industriale, oppure di trasferire nel Codice della proprietà industriale la tutela del software, quella delle banche dati e quella del design industriale, così da lasciare alla disciplina del diritto d'autore la sua materia tradizionale, ricondotta nell'ordinamento italiano (come in quello tedesco), alle opere dell'ingegno di contenuto artistico, ancorché – ovviamente – secondo le moderne tecniche di sfruttamento commerciale.
Lo schema di decreto legislativo recante il nuovo “Codice dei diritti di proprietà industriale delineauna disciplina unitaria ed omogenea della proprietà industriale, coordinata con la normativa comunitaria ed internazionale ed aggiornata, tra l’altro, con le norme di recente emanazione concernenti la lotta alla contraffazione ed alla pirateria.
L' obiettivo che il Governo si pone con l’introduzione del nuovo Codice , come si legge nella relazione illustrativa, è quello della semplificazione normativa, la quale viene conseguita non solo sul piano quantitativo, attraverso l’unificazione redazionale di numerose leggi e provvedimenti di diverso rango legislativo, ma anche su quello qualitativo della unificazione del linguaggio e della coerenza giuridica, logica e sistematica delle norme.
Il Codice non si configura, pertanto, come è semplice testo unico, posto che esso ha, seppur limitatamente, una portata innovativa della legislazione vigente, finalizzata a ricostruire in un quadro nuovo i nessi sistematici che collegano i molteplici diritti di proprietà industriale, nella cui categoria vengono fatti confluire diritti di proprietà “non titolati”, protetti attualmente dalle norme del Codice civile sulla concorrenza sleale, come ad esempio i marchi di fatto e le informazioni aziendali riservate.
La finalità sostanziale sottesa a tale riassetto sistematico delle disposizioni in materia di proprietà industriale è costituita dal potenziamento della competitività del “sistema Italia”, per il quale la disciplina della proprietà industriale assume una valenza strategica nell'ambito della concorrenza internazionale. La relazione illustrativa evidenzia, in particolare, come la riorganizzazione normativa e gestionale della proprietà industriale possa costituire un efficace strumento sia per il potenziamento della competitività delle imprese nazionali, sia per l’incentivazione dello sviluppo tecnologico.
In tal senso, il Codice in oggetto intende fornire alle imprese italiane, e in particolare a quelle maggiormente orientate nei mercati internazionali, un efficace sistema dei diritti di proprietà industriale, che consenta loro di poter fare affidamento sia su un mercato interno efficacemente difeso contro le contraffazioni e la pirateria, sia sui mercati dei paesi esteri che sono disposti a garantire i loro diritti a condizione di reciprocità, ciò che giustifica la partecipazione dell’Italia al sistema internazionale di protezione dei diritti di proprietà industriale. Al contempo, il riassetto e la migliore intelligibilità della disciplina in oggetto possono contribuire ad evitare il rischio che le imprese nazionali incorrano inconsapevolmente in misure restrittive di carattere giudiziario ottenute da imprese straniere che detengono diritti di proprietà industriale a contenuto tecnologico, nonché le possibili insidie derivanti dall'esercizio abusivo dei diritti in questione da parte di imprese straniere.
Sempre nella relazione si osserva come il recupero della competitività delle imprese nazionali sia subordinato all'incremento della loro capacità d'innovazione nel campo della ricerca tecnologica, del design industriale, del marketing creativo e della capacità di consolidare valori aziendali d'immagine e di avviamento commerciale mediante segni distintivi dotati di rinomanza mondiale. In questo senso la riorganizzazione della Proprietà Industriale nel nostro Paese può costituire un efficace strumento di mantenimento e di potenziamento delle aree di eccellenza che caratterizzano l'economia nazionale, come sono – ad esempio – i settori della moda, dell'arredamento, dell'oreficeria, delle calzature, del tessile ecc. Peraltro, l'impegno del Governo a migliorare l'efficienza del sistema della Proprietà Industriale è diretto, necessariamente, anche ai settori, quali quelli della tecnologia più progredita e recente, come la biotecnologia, la tecnologia elettronica, il software, ecc., che registrano una certa arretratezza nell’imprenditorialità italiana.
La sistematica del Codice - articolato in 8 Capi, di norma suddivisi in sezioni, per complessivi 245 articoli - ricalca l’impianto dell’Accordo TRIP’s (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights)[14] sulla proprietà intellettuale, che costituisce una sorta di statuto dei diritti della proprietà industriale a livello internazionale.
In proposito, si rileva come in materia di proprietà industriale assumano un peculiare rilievo le fonti internazionali e comunitarie; si assiste, infatti, ad una tendenza alla internazionalizzazione della materia, che deriva non solo dall'esigenza di integrazione a livello europeo, che si realizza attraverso convenzioni, regolamenti e direttive comunitarie, ma anche dalla spinta ad una sempre più incisiva armonizzazione della disciplina di tutti i Paesi industrializzati ed in via di sviluppo, di cui il citato accordo Trip’s costituisce una delle manifestazione più evidenti. Tale evoluzione si ricollega altresì allo sviluppo della ricerca ed al realizzarsi di nuove tecnologie, che comportando investimenti e rischi economici ingenti, richiedono strumenti giuridici di protezione particolarmente efficaci.
Tra le convenzioni internazionali maggiormente rilevanti ai fini dell’armonizzazione delle discipline brevettali si segnalano:
- La Convenzione di Parigi (1883) – istitutiva dell’Unione internazionale per la protezione della proprietà industriale – che stabilisce il principio della reciprocità di trattamento (tutti i cittadini degli Stati aderenti sono trattati in modo uguale) ed il diritto di priorità, che consente al titolare di una domanda di brevetto depositata in uno degli Stati membri di depositare analoga domanda anche negli altri Stati dell’Unione, entro un termine stabilito, mantenendo come valida la data del primo deposito.
- La Convenzione di Monaco di Baviera (ratificata il 5 ottobre 1973) per il brevetto europeo, sottoscritta tanto da paesi appartenenti alla CEE che da altri paesi europei, consente con una procedura unificata di deposito, esame e concessione dei brevetti, di ottenere con un un’unica concessione brevettale un insieme di brevetti nazionali per i Paesi che sono stati designati nella domanda. La Convenzione, cui hanno aderito la maggior parte degli Stati della Comunità e alcuni paesi dell'Europa occidentale, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 26 maggio 1978, n. 260, ha di fatto costituito un importante passo verso l'adozione di standard tendenzialmente uniformi per i brevetti rilasciati in vari paesi europei (compresi appunto alcuni non appartenenti alla Comunità).
Istituendo l'Ufficio europeo dei brevetti (EPO), la Convenzione ha dato vita ad una procedura di brevettazione delle invenzioni in qualche modo alternativa a quella prevista dalle legislazioni nazionali, ma che tuttavia si intrecciava con esse. Il brevetto europeo, concesso dall'Ufficio europeo dei brevetti, dava origine, infatti, ad una serie di brevetti nazionali o di brevetti equiparati sotto tutti gli effetti a brevetti ottenuti per via nazionale nei singoli paesi aderenti alla Convenzione.
La Convenzione di Monaco non costituisce uno strumento di diritto comunitario. All’istituzione di un brevetto comunitario si e cercato di provvedere successivamente tramite la firma della Convenzione di Lussemburgo del 1975 che oggi fa parte integrante dell’Accordo sul brevetto comunitario, firmato il 15 dicembre del 1989.
- La Convenzione del Lussemburgo del 15 dicembre 1975 per il brevetto comunitario prevede che con un’unica procedura, instaurata presso l’Ufficio Brevetti di Monaco o presso le sedi distaccate, si ottenga un brevetto automaticamente valido in tutti gli Stati europei e non solo in quelli designati. La ratifica in Italia della Convenzione sul brevetto comunitario, sottoscritta a Lussemburgo il 15 dicembre 1989, è stata autorizzata con la legge 26 luglio 1993, n. 302, inoltre, l'Accordo sul brevetto comunitario ha comportato una parziale modifica della Convenzione del 1973, già ratificata dalla citata L. n. 260/78. Il brevetto comunitario, sottoposto alle disposizioni della Convenzione di Lussemburgo e della Convenzione sul brevetto europeo, istituisce un ordinamento comune che regola gli effetti dei brevetti europei concessi per gli Stati comunitari, in modo tale che essi risultino uniformi su tutto il territorio comunitario - in coerenza con gli obiettivi principali del Mercato unico europeo - e introduce una situazione giuridica omogenea ed unitaria in materia di diritti di privativa sulle invenzioni. Tale ordinamento si presenta del tutto autonomo rispetto alle legislazioni nazionali.
- La Convenzione di Washington del 1970, alla quale aderiscono 117 Stati, ha istituito il sistema del Patent Cooperation Treaty (PTC) per il brevetto internazionale, il quale prevede che con unico deposito si possa ottenere il diritto di brevetto in un gran numero di Stati nei quali ha lo stesso effetto di una domanda nazionale. La domanda di brevetto internazionale può essere redatta in una delle tre lingue ufficiali (francese, inglese, tedesco), può essere deposita presso l’ufficio dell’ Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) di Ginevra o presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) di Monaco di Baviera o presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) di Roma.
Per quanto concerne il citato l’Accordo TRIP’s, esso costituiscela più estesa convenzione multilaterale che fissa uno standard minimo di tutela della proprietà industriale a livello internazionale.
Ad avviso del Governo, il riordino della materia mediante l’adozione dello stesso schema previsto da tale Accordo appare pienamente conforme al criterio direttivo della legge di delega, posto che l'accordo TRIP's è strutturato in parti nelle quali la materia trova collocazione "per settori omogenei", come richiede la legge di delega, e questi – a loro volta – realizzano un "coordinamento formale e sostanziale" come del pari richiede la legge di delega, in modo da garantire "coerenza giuridica, logica e sistematica".
Peraltro, mentre l'accordo suddivide l'intera materia della proprietà intellettuale in parti, sezioni ed articoli, il Governo ha ritenuto opportuno sostituire le parti con le sezioni, sulla base di criteri redazionali introdotti dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 maggio 2001.
L’Accordo Trip’s (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) sulla proprietà intellettuale, siglato al termine dell'Uruguay Round ed entrato in vigore il 1 gennaio 1995, un rilevante risultato negoziale perché per la prima volta questa materia è stata regolamentata in sede GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) in seguito a problemi scaturiti dalla carenza di norme relative alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale, dall'insufficiente applicazione delle norme vigenti o dall'esistenza di procedure discriminatorie
I Paesi industrializzati avevano infatti constatato che l'attività dell'OMPI (Organizzazione internazionale preposta all'armonizzazione delle normative nazionale sulla proprietà intellettuale) era vanificata dall'assenza di adeguati meccanismi diretti a garantire l'effettiva adozione e applicazione da parte dei Paesi membri delle norme di protezione stabilite internazionalmente. Altro problema importante era rappresentato della contraffazione, causa di ingenti danni economici ai produttori di beni originali, che si traduce anche in alti rischi per i consumatori, soprattutto quando la contraffazione non riguarda soltanto beni di lusso, ma prodotti dalla cui qualità può dipendere la stessa vita dei consumatori.
L'Accordo TRIP’s, frutto di cinque anni di intense trattative, stabilisce una disciplina pressoché completa della materia, articolata in sette parti, concernenti rispettivamente l'applicazione dei principi fondamentali del GATT, la stesura di norme sull'esistenza, la portata e l'esercizio dei diritti di proprietà intellettuale, i mezzi per il rispetto dei diritti, l'acquisizione ed il mantenimento dei diritti stessi, la prevenzione ed il regolamento delle controversie.
Vengono applicati alla materia, con alcune eccezioni, i principi GATT del trattamento nazionale (trattamento delle persone e imprese estere non inferiore a quello delle persone e imprese nazionali) e della clausola della nazione più favorita (estensione a tute le Parti contraenti del trattamento più favorevole disposto nei confronti di uno o più Paesi).
Vengono, inoltre, definiti gli strumenti per l'attuazione dei diritti (procedure amministrative e giudiziarie), norme per l'acquisto e il mantenimento dei diritti stessi.
Si tratta quindi nel complesso di un
Accordo molto dettagliato che recepisce quasi tutti gli obiettivi che
- assicurare l'attuazione degli accordi internazionali esistenti nella materia;
- estendere la protezione dei diritti d'autore a nuovi settori (quali i programmi per computer); migliorare la protezione delle registrazioni sonore; proteggere i diritti degli artisti interpreti;
- stabilire un alto livello di protezione dei marchi;
- proteggere i modelli e disegni industriali;
- assicurare una protezione brevettuale sufficientemente lunga in tutti i settori;
- assicurare un livello di protezione alle topografie di semiconduttori corrispondente a quello esistente all'interno dell'Unione Europea;
- stabilire chiari principi per l'attuazione dei diritti di proprietà intellettuale.
Sono stati invece disattesi altri obiettivi:
- non si è potuto assicurare una protezione dei diritti morali degli autori;
- non si è potuto assicurare un livello adeguato di protezione delle denominazioni di origine dei vini ed alcolici.
Con D.Lgs 19 marzo 1996, n. 198"Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell'accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio-Uruguay Round"è stata esercitata la delega - prevista inizialmente dalla legge di ratifica degli accordi (l. 29 dicembre 1994, n. 747) e poi prorogata dalle leggi 295/95 e L.73/96 - per l'emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati all'adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell'accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio e sono state apportate le necessarie modifiche alla normativa vigente in materia di marchi di impresa, di modelli di utilità ed ornamentali e di brevetti per invenzioni industriali.
Il nuovo Codice dei diritti di proprietà industriale è diretto a garantire l’ordinata raccolta dei diritti di proprietà aventi contenuto intellettuale, natura immateriale nonché attitudine ad essere sfruttati industrialmente e si compone, come accennato, di otto capi - di cui l'ultimo è dedicato alle disposizioni transitorie e finali - a loro volta articolati in sezioni, per complessivi 245 articoli.
Per quanto concerne le principali innovazioni che emergono dal riassetto normativo e gestionale del sistema della proprietà industriale e le relative osservazioni formulate dal Consiglio di Stato nel parere espresso sul provvedimento, si osserva quanto segue.
Il Capo I del Codice, composto di sei articoli, reca le disposizioni generali che riguardano indistintamente tutti i diritti di proprietà industriale, enunciando i principi fondamentali, quali la definizione di proprietà industriale, la disciplina applicabile agli stranieri e le disposizioni in tema di priorità, comunione ed esaurimento dei diritti.
Per quanto riguarda il Capo I, una rilevante novità è costituita dal riconoscimento nell’ambito della categoria dei diritti di proprietà industriale di talune fattispecie di diritti c.d. non titolati, attualmente protetti dalle norme del Codice civile sulla concorrenza sleale.
L'articolo 1, infatti, nel definire l’espressione “proprietà industriale “, realizza l'intenzione sistematica di ricomprendervi oltre:
· le invenzioni,
· i modelli di utilità,
· i disegni e modelli,
· le nuove varietà vegetali,
· le topografie dei prodotti a semi conduttori
· ed i marchi ,
anche:
gli altri segni distintivi tipici ed atipici (che tuttavia non sono poi analiticamente contemplati nel Codice, che non menziona la ditta e neanche il marchio di fatto nel Capo II )
· le indicazioni geografiche,
· le denominazioni di origine,
· le informazioni aziendali riservate.
Il successivo articolo 2, dedicato alla costituzione, serve a mettere in evidenza, per i riflessi sistematici che ne derivano, la distinzione tra i diritti di proprietà industriale “titolati” e cioè costitutivamente originati dalla brevettazione (invenzioni, modelli di utilità, nuove varietà vegetali) oppure dalla registrazione (marchi, disegni e modelli, topografie dei prodotti a semiconduttori), e quelli “non titolati”, che sorgono da determinati presupposti di legge, e che, tuttavia, riferiscono la tutela ad un oggetto specifico.
Nella relazione illustrativa che accompagna lo schema si dà conto dell'obiezione secondo la quale l'allargamento della categoria dei diritti di proprietà industriale ai diritti non "titolati", come ad esempio il marchio c.d. di fatto e le informazioni aziendali riservate, comportando il riferimento alla disciplina del Codice civile sulla concorrenza sleale, ne determina la divisione in due tronconi. In proposito, il Governo rileva come, più che essere spezzata in due tronconi, la concorrenza sleale venga circoscritta alle fattispecie che non rientrano fra quelle che fanno parte della categoria allargata dei diritti di proprietà industriale. In altri termini, il trasferimento della tutela dei diritti di proprietà industriale "non titolati" dalla normativa contro la concorrenza sleale a quella del Codice, non comporta nessuna conseguenza pregiudizievole una volta che si sia d'accordo - come lo si deve essere - sul rilievo che si tratta di una tutela della stessa natura e con gli stessi effetti, solo più articolata e completa nel Codice di quanto non lo sia sulla base delle norme contro la concorrenza sleale, posto che nell’ordinamento italiano i diritti di proprietà industriale “titolati” partecipano, per quanto concerne la circolazione e la trascrizione degli atti di trasferimento, alla più generale disciplina dei beni mobili registrati.
La relazione osserva, altresì, come l'allargamento della categoria dei diritti di proprietà industriale non soltanto non produca alcun effetto negativo, ma sia già ora un dato sostanzialmente accettato. A supporto di tale assunto si sottolinea come la giurisprudenza e un importante orientamento dottrinale già attualmente suggeriscano di assicurare la protezione al marchio di fatto mediante l’applicazione analogica delle norme sul marchio registrato, così come la giurisprudenza protegge i segreti aziendali applicando le sanzioni e le misure cautelari previste dalla legge sulle invenzioni.
In ordine alla problematica legata alla futura coesistenza del Codice civile - che non viene tra l’altro modificato - e del Codice dei diritti di proprietà industriale, il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo schema in oggetto, ha rilevato che la scelta di oggettivare posizioni giuridiche posizioni giuridiche soggettive protette in precedenza con le norme contro la concorrenza sleale, facendole rientrare nello schema della proprietà industriale – come, nella fattispecie, la disciplina dei marchi c.d. di fatto e delle informazioni aziendali riservate, comporta un’accentuazione dei profili della tutela dell’imprenditore interessato allo sfruttamento del marchio di fatto o dell’informazione riservata rispetto alla tutela garantita ad altri soggetti come i consumatori. In particolare, con la sussunzione di tali situazioni nell’ambito dei diritti di proprietà essi riceverebbero una tutela immediata che, in precedenza, non era loro garantita, trattandosi di mediatamente tutelare l’impresa, avuto riguardo all’interesse dei consumatori ed alle condizioni del mercato.
Il fatto che tale scelta moltiplicherebbe le situazioni proprietarie tutelate, creandone nuove, per le quali prevede statuti differenziati del diritto di proprietà, tanto da definirle situazioni di diritti di proprietà industriale non titolata, creando un tertium genus, fra la tutela dell’attività e la tutela del tradizionale diritto di proprietà industriale, che per la sua natura immateriale, è normalmente definito mediante il ricorso a procedimenti amministrativi di brevettazione o registrazione, non deve tuttavia guardarsi criticamente, poiché già nella sistematica del Codice civile è scontata la pluralità degli statuti giuridici della proprietà. A parere del Consiglio, la scelta operata sul piano sistematico garantirebbe anche la coerenza postulata dalla legge-delega, poiché essa persegue l’obiettivo dell’unificazione nell’unica categoria dei diritti di proprietà industriale delle diverse situazioni giuridiche soggettive ravvisabili nella materia, anche se tale obiettivo non si è tradotto in un vero e proprio trattamento giuridico unitario della proprietà industriale, che si presenta diversamente conformata a seconda che i diritti siano quelli c.d. titolati (ossia fatti oggetto di una procedura di accertamento amministrativo) o non titolati.
Ad avviso del Consiglio, infine, la scelta sistematica adottata dal Legislatore sarebbe per alcuni aspetti persino obbligata ed imposta dalla stessa legge delega, nella parte in cui essa prescrive l’adeguamento della disciplina dei diritti di proprietà industriale al diritto internazionale vigente nel settore, dal momento che la riconduzione di tali situazioni di proprietà c.d. non titolata al Codice di settore non è una innovazione dirompente, che svuota il Codice civile, in quanto la disciplina dettata dal Codice in esame, nel suo complesso, appare in linea con il citato Accordo TRIP’s sulla proprietà intellettuale e, soprattutto, la configurazione di alcune posizioni giuridiche come dotate di tutela reale può apparire conforme all’evoluzione del diritto industriale raggiunta dalla giurisprudenza.
Con riferimento all’articolo 1, si osserva come nel parere espresso sul provvedimento, il Consiglio di Stato abbia rilevato che, diversamente dalla rubrica, che fa riferimento all’ ’“Ambito dei diritti di proprietà industriale” - la disposizione sia volta a chiarire non la portata applicativa dei singoli diritti di proprietà industriale, bensì il contenuto dell’espressione proprietà industriale, sottolineando pertanto l’opportunità di sostituire la rubrica con la seguente: “Diritti di proprietà industriale”.
In relazione alla la natura dei diritti sulle invenzioni e sulla proprietà industriale, il parere del Consiglio di Stato ricorda, segnatamente, come, in dottrina, vi sia chi qualifica il diritto di proprietà industriale come un diritto su un bene immateriale, qualificando la relativa posizione giuridica come diritto di privativa, ossia come diritto soggettivo assoluto avente ad oggetto il bene immateriale (invenzione od altro); c’è chi, invece, fermo il concetto di proprietà come disponibilità massima ed esclusiva di un bene riferibile ad ogni oggetto economico e, quindi, anche a beni immateriali, ritiene che si tratti, nel caso della proprietà industriale, di un diritto di proprietà di tipo del tutto particolare, che con la proprietà ha in comune solo il nome, essendovi un regime giuridico dell’acquisto e del godimento speciale, connotato dalla presenza di attività amministrative di accertamento costituivo, da vicende dell’utilizzazione che, di norma, hanno durata temporanea, dando luogo quindi ad una forma di proprietà temporanea. In tale ambito, il Consiglio rileva altresì come ancora oggi si assista ad un graduale processo di emersione di nuove situazioni giuridiche e di nuovi oggetti che costituiscono punti di riferimento per la proprietà su beni immateriali di cui il Codice tiene conto prevedendo i c.d. diritti non titolati, anche se, per altri versi, il campo delle situazioni protette previste dal Codice non è completo poiché esso, per le ragioni illustrate nella relazione, non comprende il diritto di autore, le invenzioni biotecnologiche e tutti i segni distintivi dell’impresa, non rinvenendosi, ad esempio, nel Codice, la disciplina della ditta, che ben potrebbe figurare nel Codice di proprietà industriale in considerazione del fatto che la legge delega non esclude la possibilità di novellare anche il Codice civile, ovvero di innestare istituti del Codice civile nel Codice di settore.
Nel medesimo parere richiamato si segnala, inoltre, come il marchio venga menzionato senza distinguere fra marchio registrato e marchio di fatto o marchio non registrato, pur trattandosi di posizioni giuridiche non assimilabili, rilevandosi altresì come la norma elenchi otto situazioni proprietarie, fra le quali i segni distintivi diversi dal marchio registrato, essendo annoverati fra i diritti non titolati, meriterebbero una considerazione a sé stante, anche se ciò determinerebbe un non perfetto allineamento alla sistematica del TRIP’s, con il risultato, tuttavia, di evidenziare immediatamente la diversa tipologia e struttura delle situazioni protette
Il Consiglio di Stato ravvisa, inoltre l’opportunità di effettuare l’elencazione dei singoli diritti nell’ordine in cui essi appaiono nel Capo II del Codice, ossia iniziando dai marchi e finendo con le nuove varietà vegetali, pur considerando che l’ordine prescelto appare chiaramente volto ad indicare una scala decrescente di tipicità, una gradazione dei diritti che va dal tipico all’atipico, scala peraltro che ispira la disposizione di cui all’articolo 2.
In relazione all’articolo 2, il Consiglio di Stato segnala, sul piano formale, l’opportunità di denominare più esattamente la rubrica “Costituzione ed acquisto dei diritti di proprietà industriale” oppure più sinteticamente “Costituzione ed acquisto dei diritti”.
Il Consiglio rileva, inoltre, che la disposizione di cui all’art. 2 chiarisce che la brevettazione e la registrazione danno luogo ai “titoli” di proprietà industriale, ma non definisce la nozione di titolo, che è legata non ad un’attività negoziale privata, ma ad un’attività amministrativa di accertamento ed abilitazione; ne deriva pertanto la necessità di precisare la natura amministrativa dell’attività di brevettazione e registrazione, quali attività di accertamento costitutivo dei diritti di proprietà industriale, soggette quindi ad un regime speciale di invalidazione, da concepirsi in termini generali, anche mediante l’arricchimento del Capo I con una disciplina comune a tali attività amministrative ed alle cause di nullità e decadenza dei titoli.
Da ultimo, si segnala come al comma 4, dopo le parole “ricorrendone i presupposti”, andrebbe inserita la parola “di legge”.
L’articolo 3 è dedicato al trattamento dello straniero, ed in esso confluiscono, secondo la relazione, gli artt. 23 e 24 della legge marchi (r.d. n. 929/1942); l’art. 21 della legge sulle invenzioni (r.d. n. 1127/1939); l’art. 5 della legge sulle topografie dei prodotti a semiconduttori (legge n. 70/1999); l’art. 10 delle norme di adeguamento alle prescrizioni dell’atto di revisione del 1991 della Convenzione Internazionale per la protezione delle novità vegetali.
Al riguardo, si rileva come a giudizio del Consiglio di Stato le norme richiamate nella relazione non siano le uniche rilevanti e neanche le principali trasfuse nel testo, il quale appare piuttosto recepire le norme di attuazione della Convenzione di Parigi e del complesso dei trattati che legano l’Italia all’OMC (Organizzazione mondiale del Commercio).
In particolare, la convenzione di Parigi sulla proprietà industriale, conclusa nel 1883, e sottoposta a numerose revisioni fino all’atto di Stoccolma del 1967, appare il perno della disposizione, ove estende la tutela anche ai cittadini di Stati non facenti parte di dette convenzioni, ma che siano domiciliati o abbiano uno stabilimento industriale o commerciale effettivo e serio sul territorio di uno Stato facente parte della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (art. 3 della convenzione di Parigi). Va ricordato che la convenzione di Parigi è stata ratificata dall’Italia con legge 28 aprile 1976, n. 424, è entrata in vigore il 20 aprile del 1977 ed è ancora in vigore. Pertanto, sono il testo della Convenzione di Parigi e la legge di ratifica (l. n. 424/1976) la vera e propria matrice dell’art. 3, unitamente alle altre norme prima indicate.
Il Consiglio segnala, altresì, che viene abrogata, dall’art. 245 del Codice, la legge 21 febbraio 1989, n. 70, che all’art. 5 della legge n. 70/1989 detta una normativa più complessa, quanto al riconoscimento dei diritti agli stranieri, di quella contenuta nell’art. 3 del Codice che, erroneamente, menziona i cittadini di altro Stato accordando sempre il trattamento a condizione di reciprocità, senza distinguere e considerare separatamente i cittadini che appartengono alla Comunità europea o a Stati che sono stipulanti la convenzione sulla protezione delle topografie dei prodotti a semiconduttori. Il Consiglio sottolinea, pertanto, come prima di procedere ad abrogazioni occorra trasfondere completamente il contenuto della disciplina “abroganda” che si vuole (o si deve) salvare nella nuova disciplina.
Inoltre, l’articolo 3 non menziona, per quanto attiene alle topografie dei prodotti a semiconduttori, le persone giuridiche che sono oggetto di protezione secondo il menzionato art. 5 della legge n. 70/1989.
Anche nel caso delle nuove varietà vegetali, il parere del Consiglio di Stato rileva come non vi sia più alcun riferimento alle persone giuridiche, che invece erano menzionate nella normativa precedente e come sul punto la relazione non fornisca alcuna spiegazione.
L’art. 4 rubricato “Priorità” contiene al comma 4 una norma innovativa che introduce nel nostro ordinamento l’istituto della “priorità interna”, con il quale si prevede la possibilità, per chi abbia depositato una domanda di brevetto in o per uno Stato facente parte di una Convenzione internazionale, di fruire di un diritto di priorità a decorrere dalla prima domanda
Attualmente in una domanda di brevetto europeo è possibile rivendicare la priorità della prima antecedente domanda di brevetto depositata in uno stato membro della Convenzione di Parigi entro 12 mesi dalla data di tale prima domanda. Sono ammesse più priorità. Se invece si tratta di un primo deposito, la domanda di brevetto europeo può costituire diritto di priorità al momento del deposito di domande in altri paesi della Convenzione di Parigi per la stessa invenzione.
L’istituto, chesi giustifica solo per i brevetti per invenzione industriale, consente unicamente, come precisa la relazione illustrativa, di esplicitare meglio elementi inventivi già descritti nella domanda di cui si rivendica la priorità, senza peraltro poter incorrere nel rischio di una possibile retrodatazione della domanda di brevetto rispetto al momento in cui è stata realizzata l’invenzione.
Al riguardo, il Consiglio di Stato osserva che il comma 4, introducendo il diritto di priorità interno valido solo per i brevetti di invenzione, costituisce una disposizione non collocata nella sede appropriata del Codice, in quanto l’art. 4, essendo incluso nella parte generale, dovrebbe contenere norme applicabili a tutti gli istituti in modo “generale” o “trasversale”. La norma, pertanto, dovrebbe essere collocata nella disciplina dei brevetti per invenzione, di cui al Capo II, Sezione IV.
Il Capo II del Codice, di particolarmente importanza, è costituito da varie sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ai singoli diritti di proprietà industriale disposti nel seguente ordine:
- Sezione I - Marchi
- Sezione II- Indicazioni geografiche
- Sezione III- Disegni e modelli
- Sezione IV- Invenzioni
- Sezione V- Modelli di utilità
- Sezione VI-Topografie dei prodotti e semiconduttori
- Sezione VII- Informazioni segrete
- Sezione VIII- Nuove varietà vegetali
La sezione sui marchi (artt. 7-28), depurata da tutte le disposizioni relative alla disciplina processuale delle azioni e alla disciplina delle procedure amministrative, è costituita dalle sole norme sostanziali che definiscono l'esistenza, l'ambito e l'esercizio del diritto di marchio.
Secondo la relazione illustrativa non è stata apportata alcuna modificazione alla disciplina vigente.
In relazione alla coesistenza del Codice civile e del Codice della proprietà industriale, si ricorda come nella vigente normativa del Codice civile il marchio sia contemplato agli art. 2569 ss., i quali riconoscono un diritto esclusivo di utilizzazione del marchio di impresa definito come denominazione od emblema destinato a distinguere merci od altri prodotti; il segno è disciplinato come uno strumento di distinzione di entità, reali o di mero comportamento, formanti oggetto di rapporti di scambio ed in funzione del valore che esso assume in relazione a tali rapporti. In tal senso deve intendersi la dottrina che attribuisce al marchio, al di là di una generica funzione di indicazione di provenienza, una funzione distintiva dell'azienda (quale «nome proprio» considerato in tale funzione), intesa quale entità di comportamento sostanziale.
A tale riguardo, nel parere del Consiglio di Stato si evidenzia il delicato problema, non affrontato dal Codice, della definizione del marchio rispetto alla ditta. Pur non potendosi negare l'unità sostanziale di certi fenomeni, il Consiglio osserva che un criterio di distinzione tra il dato di comportamento rilevante come attività imprenditoriale individuata dalla ditta ed il dato di comportamento individuato dal marchio, possa situarsi nel diverso rilievo che nei due istituti riceve la considerazione strutturale dell'impresa. Il segno denominato “ditta” considerato oggettivamente individua l'organizzazione della impresa e la sua struttura aziendale, intese nel loro complesso quali espressioni e manifestazioni dinamiche di attività economica.
Il marchio individua i prodotti in senso lato (prodotti in senso stretto e servizi offerti e forniti dall'impresa). Ne individua pertanto le prestazioni. Anche se queste si traducono in un dato di comportamento strettamente legato alla organizzazione, intesa in senso dinamico, della impresa, è pur sempre possibile, sia pure in termini di sottocategoria, pervenire ad un principio di distinzione del segno marchio dalla ditta oggettiva, intendendolo come strumento di individuazione, non tanto dell'organizzazione in sé, quanto dei comportamenti organizzati costituenti le prestazioni offerte.
L'art. 7 del Codice, rubricato "oggetto della registrazione”, detta una più analitica descrizione dell’oggetto del marchio (prima limitata a parole, figure o segni) che comprende anche nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni, forma del prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche.
Si osserva in proposito come, a parere del Consiglio di Stato, questa maggiore analiticità dell’elencazione dei segni oggettivabili in marchi (attualmente limitata a parole, figure o segni) possa determinare problemi di involontaria esclusione di fattispecie dall’ambito della disciplina in caso di assunzione a marchio di segni non menzionati nella norma.
L’art. 9, rubricato “marchi di forma”, riproduce l’art. 18, comma 1, lett. c) della legge marchi.
Con riferimento a tale disciplina il Consiglio di Stato segnala come la norma lasci irrisolta, rimettendola all’interprete, la questione relativa alla qualificazione come marchio di forma (di cui è vietata la registrazione) delle qualità estetiche del prodotto, come ad esempio il confezionamento.
In proposito, il Consiglio di Stato invita a chiarire, almeno nella relazione, “la funzione del riferimento al valore sostanziale del prodotto ed i requisiti per ritenere l’ inscindibilità del segno ornamentale (non tutelabile come marchio) e la possibile interferenza di questa fattispecie con la disciplina dei modelli ornamentali e con il diritto di autore”.
Considerato l’interesse che il mondo delle aziende italiane operanti in settori ove la creatività artistica può considerarsi “un valore aggiunto”, il Consiglio invita pertanto il Governo a valutare “se vi sia un interesse all’esatta individuazione dei confini delle regole in materia di marchio di forma rispetto alla disciplina dei modelli ornamentali ed al diritto di autore”.
L'art. 16, rubricato "rinnovazione", riproduce l'art. 5 della legge marchi, con esclusione del comma 2 di tale norma, che è stato soppresso per precludere la possibilità di apportare al marchio "modifiche nei caratteri non distintivi che non alterino sostanzialmente la identità del marchio inizialmente registrato" e così esonerare l'ufficio da un giudizio di fatto di esito incerto.
L'art. 28, rubricato "convalidazione", riproduce l'art. 48 della legge marchi, ad esclusione del comma 2, mantenuto in precedenza per errore, in quanto “incompatibile con la trasformazione in nullità relativa della nullità del marchio derivante dal conflitto con diritti anteriori di terzi a seguito della attuazione, con D.L. 8.10.1999, n. 447, del protocollo relativo all'intesa di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi”.
Per quanto riguarda la Sezione II relativa alle “indicazioni geografiche” (artt. 29 e 30), la novità da segnalare consiste nel fatto che, in conseguenza dell’ampliamento della categoria dei diritti di proprietà industriale, disposta dall’art. 1 del Codice, tali indicazioni costituiscono oggetto di una tutela che viene ricondotta alla tutela generale contemplata nel Capo III del Codice, fatta salva la disciplina della concorrenza sleale, quella delle convenzioni internazionali in materia, nonché i diritti di marchi anteriormente acquisiti in buona fede, come si sottolinea nella relazione illustrativa.
Quest’ultima evidenzia, inoltre, come la previsione di carattere generale contenuta nella sezione in esame debba essere integrata con il disposto di cui al comma 49 dell'art. 4 della legge Finanziaria per il 2004, che menziona espressamente il cosiddetto "Made in Italy" come indicazione geografica della quale è vietato fare uso ingannevole apponendola su prodotti o merci non originarie dall'Italia.
Per quanto concerne
Come si legge nella relazione illustrativa, la citata nuova disciplina dei disegni e modelli ha modificato gli equilibri che in precedenza avevano caratterizzato l'intero sistema nazionale della proprietà industriale, equilibri che erano basati – com'è noto – sul principio della alternatività delle tutele riguardanti la forma tridimensionale o bidimensionale dei prodotti; principio in forza del quale occorreva qualificare tale forma per stabilire se essa potesse formare oggetto di brevetto per invenzione o per modello di utilità, di marchio, di tutela concorrenziale contro l'imitazione servile oppure infine come opera dell'ingegno proteggibile con il diritto d'autore. In tal senso, la nuova disciplina si risolve – in sostanza – nell'attrarre la tutela concorrenziale contro la confondibilità per imitazione servile nell'ambito della proprietà industriale oggetto di registrazione, nel quadro di quell'allargamento dei diritti di proprietà industriale che caratterizza la sistematica del Codice. Nella relazione si sottolinea, in proposito, come il Governo non potesse intervenire su tale problema perché qualsiasi intervento volto a garantire il mantenimento della situazione precedente, riservando la registrazione ai disegni e modelli particolarmente innovativi, avrebbe comportato una inammissibile riformulazione del requisito del "carattere individuale”. Il principio della alternatività delle tutele – caposaldo del sistema nazionale precedente – è messo in discussione anche – e questa volta frontalmente – dalla norma della direttiva che sancisce l'opposto principio del cumulo fra protezione mediante registrazione e protezione per diritto d'autore. E' significativo che la legge-delega del 12.12.2003, n. 273 abbia dettato – come si è accennato – un apposito principio a questo riguardo prescrivendo che si faccia luogo alla revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti.
Sennonché, ad avviso del Governo, il decreto legislativo n. 95/2001 ha modificato la disciplina dei disegni e modelli ex ornamentali esaurendo le condizioni del cumulo. Ed infatti - com'è noto - ha abrogato la disposizione dell'art. 2, n. 4, della Legge sul Diritto d'Autore nella parte in cui stabiliva che le opere d'arte applicate all'industria erano proteggibili solo se il valore artistico era scindibile rispetto al carattere industriale del prodotto (così vietando il cumulo) ed ha aggiunto all'elenco delle opere dell'ingegno proteggibili (con il n. 10) "le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico". Così stabilendo, il decreto ha fissato in altri termini le condizioni del cumulo con una norma “il cui significato è, in estrema sintesi, quello di vietare il cosiddetto "cumulo alla pari" e di riservare la protezione del diritto d'autore ai disegni e modelli capaci di esprimere una innovatività qualitativamente diversa rispetto a quella espressa da un normale – ancorché nuovo - progetto di design”.
Con riferimento alla sezione in oggetto, si osserva come la relazione governativa richiami espressamente il criterio di delega di cui alla lettera c) dell'art. 15 della legge n.273/2002, in base al quale sembrerebbe che il legislatore delegante, non essendo soddisfatto della disciplina di cui al citato D. Lgs. n. 95/01, avrebbe desiderato che fossero apportate delle modificazioni alle norme che attualmente disciplinano la protezione per diritto d'autore quando questa debba essere applicata, per effetto del cumulo, ai disegni e modelli che già sono tutelati come oggetto di proprietà industriale. In particolare, la relazione rileva come il legislatore delegante abbia voluto che fossero “ripensate le condizioni alle quali viene concessa la protezione per diritto d'autore, che ne venisse ripensata l'estensione temporale e che venissero stabilite delle procedure per il riconoscimento della sussistenza del requisito di proteggibilità del disegno o modello con il diritto d'autore”.
In proposito, il Governo ha ritenuto che il requisito del valore artistico, al quale attualmente viene subordinata la tutela per diritto d'autore, non potesse essere modificato, posto che esso trae origine dalla preoccupazione che il cumulo suscita negli ambienti della piccola e media impresa italiana, la quale teme di trovare ostacolo alla propria libertà di azione nella progettazione dei prodotti industriali per effetto di una tutela non soltanto incerta sulle condizioni di accesso ma soprattutto difficilmente controllabile. In questa ottica, “il requisito del "valore artistico" circoscrive il cumulo in modo drastico, perché fa scattare la tutela per diritto d'autore unicamente a beneficio di pochi disegni e modelli e cioè di quei disegni e modelli che si distaccano nettamente dalla normale progettazione dei prodotti industriali per accedere - nelle intenzioni e nella concreta realizzazione - ad un livello talmente superiore da potersi qualificare come "artistico" pur nell'ambito dell'arte applicata all'industria”.
Quanto invece alla preoccupazione
che la tutela per diritto d'autore dei disegni e modelli industriali possa
pregiudicare la piccola e media industria italiana a causa
dell'impossibilità di verificare l'esistenza di diritti esclusivi di terzi
mediante opportune forme di pubblicità, il Governo, nella relazione
illustrativa, prende atto di come l'art.
17 della legge di delega n. 273/2002, intitolato "Operabilità del
diritto d'autore sui disegni e modelli industriali" aveva inteso
provvedere già da subito, prevedendo una denuncia all'Ufficio della Proprietà
Letteraria Scientifica ed Artistica presso
Preso atto di come il riferimento all'art. 28 della Legge sul Diritto d'Autore sia frutto di un equivoco, il Governo ha provveduto con l'art. 44, comma 2, del Codice ad istituire un registro pubblico speciale per le opere del disegno industriale, nel quale sono indicati l'autore ed il titolo dell'opera, il nome ed il domicilio del titolare, la data di prima divulgazione nonché ogni altra annotazione o trascrizione effettuata a norma di regolamento.
Si tratta di un registro speciale del tutto analogo
a quello che è stato istituito per il software. Essendo infatti la protezione
per diritto d'autore dei disegni e modelli, come la protezione per diritto
d'autore del software, una protezione di opere dell'ingegno a carattere
utilitaristico, secondo la relazione è bene attivare forme di pubblicità che
servono per la certezza dei rapporti giuridici, fermo restando che si tratta di
pubblicità-notizia e non di pubblicità costitutiva la quale sarebbe
incompatibile con il diritto d'autore e con
Particolare rilevanza assume la disposizione di cui al comma 1 del medesimo articolo 44 del Codice, la quale dispone che "i diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli protetti anche ai sensi dell'art. 2, comma 1, n. 10, legge 22.4.1941 n. 633, durano tutta la vita dell'autore e fino al termine del 25° anno solare dopo la sua morte".
Nella relazione illustrativa si osserva, in proposito, come tale norma sia stata contestata sulla base del rilievo che la normativa comunitaria (Direttiva 93/98/CE) prevede un termine ordinario di durata per il diritto d'autore pari a 70 anni post mortem autoris; è stato altresì rilevato che tale normativa risulta su questo specifico punto direttamente applicabile in Italia, con conseguente possibilità per il giudice di disapplicare una difforme norma interna, osservandosi inoltre che l'introduzione di una durata diversa ed inferiore rispetto a quella prevista per la tutela di opere identiche in altri paesi dell'unione avrebbe poi un verosimile effetto negativo diretto sulla possibilità per un'azienda italiana di aggiudicarsi i contratti di licenza e produzione nel nostro paese di tali opere: contratti che verrebbero di preferenza perfezionati in quei paesi nei quali la durata del diritto d'autore è quella prevista dalla direttiva.
A fronte di tali considerazioni, la relazione sottolinea il fatto che l'accorciamento della tutela per diritto d'autore è disposto – come si è visto – esplicitamente dalla legge di delega, con la conseguenza che il legislatore delegato non potrebbe discostarsi da questa prescrizione senza incorrere nel vizio di incostituzionalità per eccesso di delega.
Il problema dunque semmai si pone non con riguardo all'art. 44 del Codice ma con riguardo all'art. 17 della legge di delega, in quanto se fosse vero che con l'accorciamento della tutela per diritto d'autore si darebbe luogo ad una norma nazionale incompatibile con una norma comunitaria direttamente applicabile, sarebbe consentito al legislatore delegato di correggere l'errore in applicazione di un principio di auto-tutela del legislatore stesso. Tuttavia, ad avviso del Governo, la tesi della incompatibilità del termine di 25 anni post mortem autoris rispetto a quello "normale" di 70 anni non sembra affatto sicura. In senso contrario, si rileva infatti che durate diverse sono fissate nella legge sul diritto d'autore per i diritti cosiddetti connessi i quali, tuttavia, non possono considerarsi avere diversa natura rispetto alle opere dell'ingegno pure e semplici, in modo che la durata contemplata nella direttiva comunitaria non sembra assumere la connotazione dell'inderogabilità.
Con riferimento alla questione in oggetto, il Consiglio di Stato, nelle osservazioni contenute nel parere sullo schema di decreto, rileva che le argomentazioni offerte dalla relazione governativa non appaiano conferenti al fine di giustificare la scelta della previsione della durata venticinquennale del diritto di utilizzazione.
Al riguardo, il Consiglio osserva, in primo luogo, che la norma di cui all’art. 17 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 che prevede tale termine non detta un criterio di delega, ma è una norma di carattere materiale; in secondo luogo, si rileva che i diritti connessi aventi per la normativa una durata più limitata nel tempo, non possono considerarsi avere la stessa natura delle opere dell’ingegno, in quanto mancano del requisito dell’originalità proprio di queste ultime.
Sul dubbio di compatibilità comunitaria è invece pertinente il richiamo all’art. 17 della direttiva 13 ottobre 1998 n. 71 che recita “i disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d'autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l'estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere.”
Sul punto relativo alla legittimità comunitaria della disposizione, il Consiglio rileva che la disposizione, contenendo l’inciso “compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere” sembrerebbe alludere alla possibilità del legislatore di conformare la disciplina del diritto di autore cumulato al modello anche quanto alla durata, essendo tale aspetto astrattamente sussumibile nel termine “condizioni alle quali … è concessa” l’estensione. Di contro potrebbe osservarsi che la durata è un elemento essenziale del diritto di autore, sicché riconosciuto il cumulo, la protezione dovrebbe avvenire alle condizioni previste dalla direttiva n. 93/98 CE (settanta anni).
Il Consiglio, in proposito, ritiene che la disposizione della direttiva n.71/98 CE sia sufficientemente ampia, nel suo tenore, da offrire “copertura” comunitaria al più breve termine di durata della protezione del diritto di autore connesso a modelli industriali, come appare confermato da analoghe scelte effettuate da altri Paesi della Comunità ( il Dicastero ha fatto riferimento all’esperienza della Gran Bretagna ).
Inoltre, si segnala come i redattori del Codice si siano limitati a riprodurre la disposizione già attualmente vigente ( e che, verosimilmente, avrebbe continuato ad esserlo anche se non fosse stata trasfusa nel Codice ), effettuando quindi una recezione giustificabile in considerazione del fatto che, in virtù dei compiti assegnati con la delega, il Governo deve operare il “riassetto” della normativa e quindi non può, in adempimento di tale criterio direttivo, omettere di considerare la disposizione in questione, salva l’eventuale sua disapplicazione nelle competenti sedi.
Da ultimo, il Consiglio di Stato rileva, più in generale, come il nostro ordinamento giuridico rimanga parco nel consentire una tutela effettiva del design, dal momento che l'accostamento fra momento funzionale e momento estetico (cioè la sostanziale equazione fra modello di utilità e modello o disegno ornamentale,) avviene, come è stato notato in dottrina, “sul livello più basso, con esclusione della rilevanza del diritto di autore”.
Il Consiglio di Stato osserva, pertanto, come il Codice non risolva la problematica evidenziata, giustificando la mancata attuazione della delega (in relazione al criterio di cui alla lettera c) dell’articolo 15, ove si prevede la revisione e l’armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti) con riferimento alla sua vaghezza ed alle preoccupazioni che il cumulo delle tutele suscita nella piccola e media impresa italiana, spaventata da una nozione di artisticità applicata all’industria.
Per quanto concerne il Capo in esame va infine segnalato l'art. 38, rubricato "Diritto alla registrazione ed effetti", che costituisce una novità in quanto trasfonde la disciplina in materia di brevetti per invenzioni industriali ai modelli e disegni industriali, chiarendo la decorrenza degli effetti della registrazione, che si fa risalire alla data in cui la domanda di registrazione viene resa accessibile al pubblico. Per chi richiede la registrazione è prevista la possibilità di chiedere l’esclusione dell’accessibilità per un periodo non superiore a trenta mesi e la possibilità di provvedere comunque a notifiche individuali al fine di fare decorrere il termine a favore del richiedente.
A parere del Consiglio di Stato si tratta di una disciplina opportuna, in quanto definisce in termini di certezza gli effetti della registrazione, prevedendo alcune cautele, su un modello consolidato perché tratto dalla disciplina sulle invenzioni.
Con riferimento alla sezione relativa alle invenzioni (artt. 45 - 81), si osserva, in primo luogo, come il Codice, che riproduce, seppur con significative innovazioni l’attuale disciplina, non reca la disciplina delle invenzioni biotecnologiche, nonostante tra i criteri della di delega figuri espressamente l'adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria.
In ordine alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, si osserva come la materia - oggetto della direttiva 94/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio - non sia contemplata nel Codice in esame, in quanto, come si afferma nella relazione illustrativa, il silenzio della legge di delega sul punto confermerebbe implicitamente l’intenzione del legislatore di confermare l’autonoma operatività della specifica delega prevista nella materia da un disegno di legge governativo, il cui iter è stato particolarmente travagliato, che risulta attualmente all’esame del Senato[15].
Si ricorda, sinteticamente, che il brevetto per invenzioni industriali si rinviene quando si è in presenza di una invenzione nuova - vale a dire di una soluzione nuova ed originale ad un problema tecnico non ancora risolto o risolto con mezzi e metodi diversi – adatta ad essere realizzata e suscettibile di avere un'applicazione su scala industriale.
Dagli articoli 46, 48, 49 e 50 del Codice in esame, che riproducono gli artt. 12 e 13 del RD 1939/1127, si desumono i 4 requisiti di brevettabilità delle invenzioni industriali: novità, attività inventiva, industrialità e liceità. Il brevetto viene pertanto concesso a tutela di una invenzione nuova, ossia non compresa nello stato della tecnica, che implichi un’attività inventiva (o originalità) e che sia atta ad avere un’applicazione industriale; inoltre, deve essere lecito e usato in conformità all’ordine pubblico e al buon costume. All’attività inventiva sono riconosciuti diritti di carattere patrimoniale (esclusiva di sfruttamento concessa dal brevetto registrato) e di carattere morale: i primi hanno una durata temporale e sono alienabili, a differenza dei secondi che non sono soggetti a scadenza temporale, non possono essere alienati e consentono di far figurare il proprio nome sul brevetto e sul registro dei brevetti, nonché di agire in giudizio per rivendicare la paternità dell’opera ed opporsi a qualsiasi deformazione e, in genere, a qualsiasi atto a danno dell’opera stessa che possa essere di pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 45 del Codice, non sono considerate invenzioni e dunque non possono costituire oggetto di brevetto:
a) le scoperte - che attengono al campo della conoscenza - le teorie scientifiche - che non hanno applicazione industriale - i metodi matematici - quando sono afferenti ad un piano meramente teorico.
b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali ed i programmi di elaboratore;
c) le presentazioni di informazioni;
Ai sensi del comma 4 del medesimo articolo non sono altresì considerate invenzioni i metodi per il trattamento terapeutico e chirurgico del corpo umano o animale, i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale, specificando peraltro che tale disposizione non si applica ai prodotti, in particolare alle sostanze e alle miscele di sostanze, per l’attuazione di uno dei metodi nominati. Ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, non possono inoltre costituire oggetto di brevetto le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento delle stesse; anche in tal caso la norma specifica che la disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici ad ai prodotti ottenuti mediante tali procedimenti.
In via generale si segnala, inoltre, la mancata soppressione della disciplina dei modelli di utilità. Nel Codice, infatti, viene mantenuta distinta la disciplina delle invenzioni industriali da quella dei modelli di utilità, nonostantetale distinzione non sia contemplata dalla Convenzione sul brevetto europeo, considerato brevetto per modello quando viene nazionalizzato in Italia.
Il mantenimento del doppio titolo brevettuale è giustificato, nella relazione illustrativa, sia con riferimento al dubbio che il potere di semplificazione concesso dalla legge di delega non si potesse estendere sino a sopprimere un titolo brevettuale che da sempre caratterizza l'ordinamento italiano, sia in considerazione del fatto che a livello comunitario sono in corso i lavori preparatori per l’introduzione di una disciplina comunitaria dei modelli di utilità da affiancare a quella dei modelli e disegni, non apparendo pertanto opportuna la soppressione di un titolo brevettuale che potrebbe essere "rivitalizzato" a livello europeo.
Per quanto attiene alle principali innovazioni della disciplina sulle invenzioni, si osserva come una particolare attenzione sia stata riservata (art. 61) alla disciplina del certificato complementare nazionale, oggetto di recenti modifiche con la legge 15 aprile 2002, n. 63 e la legge 15 giugno 2002 n. 112 che, a giudizio dei redattori del Codice, ha avuto l’effetto di procrastinare eccessivamente la caduta in pubblico dominio delle invenzioni farmaceutiche.
Altro significativo intervento ha riguardato la disciplina delle invenzioni dei dipendenti che stabilisce dei nuovi specifici parametri per la determinazione dell’equo premio, prevedendo anche l’intervento di un collegio di arbitratori.
La relazione illustrativa segnala novità anche in tema di invenzioni realizzate dai ricercatori delle università e degli enti di ricerca, materia da ultimo disciplinata dalla legge n.383/01, anche se le modifiche illustrate nella relazione non trovano riscontro nel testo dell’articolo 65 del Codice.
Più in dettaglio, si segnalano di seguito, alla luce delle osservazioni formulate nel parere reso dal Consiglio di Stato, le principali innovazioni alla disciplina in tema di invenzioni.
L'art. 52, concernente le “Rivendicazioni”, introduce, nei commi 2 e 3, novità rilevanti in tema di interpretazione della portata dell’invenzione, tese ad orientare il giudice all’atto di individuare l’esatta portata del diritto di brevetto, mediando fra l’intento dell’inventore e l’esigenza di ragionevole sicurezza dei terzi. Si tratta di principi codificati nel diritto internazionale, la cui introduzione è ritenuta opportuna dal Consiglio di Stato
L'art. 64, relativo alle“Invenzioni dei dipendenti”, riproduce i primi due commi dell'art. 23 della legge Invenzioni, con l'aggiunta nel comma 2 dell'inciso, tratto dalla giurisprudenza consolidata dalla Suprema Corte, “qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto” e con la modificazione chiarificatrice secondo la quale “per la determinazione dell'equo premio si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione aziendale”. Si tratta della fissazione di parametri di commisurazione dell’equo premio che sono valutati favorevolmente sul piano delle esigenze di certezza del diritto.
I commi 4 e 5 del medesimo articolo riproducono l'articolo 25 della Legge Invenzioni, con qualche precisazione chiarificatrice in tema di qualificazione del collegio competente alla determinazione dell’equo premio in caso di mancato accordo.
L'art. 65, relativo alle “invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca”, riproduce la disciplina dell'art. 24-bis della legge Invenzioni, introdotto dalla citata legge n. 383/2001.
Si ricorda come le novità al riguardo segnalate dalla relazione governativa e dirette, tra l’altro, ad introdurre un diritto di opzione a favore delle università e degli enti pubblici di ricerca, non siano riscontrabili nel testo trasmesso.
La relazione illustrativa segnala poi un significativo aggiustamento della disciplina precedente ad opera del comma 3 dell'articolo 72, nel quale viene precisato che la licenza obbligatoria non può essere concessa quando risulti che il richiedente abbia contraffatto il brevetto in malafede.
L'art. 77, rubricato “Effetti della nullità”, riproduce l'art. 59 bis della legge invenzioni, con l'aggiunta della lettera c) che estende il principio della irretroattività della dichiarazione di nullità anche ai compensi corrisposti ai dipendenti inventori.
Si tratta di una novità che secondo il Consiglio di Stato va vista favorevolmente atteso l’intento protettivo del lavoratore-inventore.
L'art. 81, rubricato “Licenza volontaria sui principi attivi mediata dal Ministro”, riproduce l’articolo 3, commi 8 bis, 8 ter e 8 quater del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112: la norma, secondo il Consiglio di Stato, che peraltro segnala la particolare attenzione riservata alla disciplina del certificato complementare nazionale, costituisce un’importante innovazione che va salutata favorevolmente, in quanto volta a stabilire un limite alla protezione assicurata dai certificati complementari di cui alla legge 19 ottobre 1991, n. 349, la cui scadenza vede muoversi i contrapposti interessi delle imprese farmaceutiche e delle imprese fabbricanti di principi attivi per l’esportazione. La norma introduce, anche in pendenza di validità ed efficacia dei certificati, una liberalizzazione della produzione, per l’esportazione, dei principi attivi, disposta con la mediazione del Ministro. Le finalità sociali della disposizione risulterebbero evidenti, in quanto dovrebbe consentire di soddisfare provvisoriamente il fabbisogno di medicinali generici di alcuni Paesi delle aree più povere del pianeta, senza venir meno tuttavia al rispetto degli standards internazionali di protezione della proprietà industriale.
La disciplina del certificato complementare nazionale, titolo di protezione brevettuale ad esaurimento originato dalla legge 19 ottobre 1991 n. 349, con specifico riferimento all'allungamento della protezione conferita dal brevetto di base, è stata modificata da ultimo con il DL 15 aprile 2002, n. 63 conv., con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002 n. 112, al fine di accorciare la protezione complementare la cui durata è apparsa eccessiva e tale da determinare un incremento ingiustificato della spesa farmaceutica nell'ambito del servizio sanitario nazionale, procrastinando eccessivamente la caduta in pubblico dominio delle invenzioni farmaceutiche.
Con riferimento alla Sezione V - modelli di utilità (artt. 82-86), come già anticipato, il Governo intende conservare i modelli di utilità come oggetto di un titolo brevettuale autonomo rispetto a quello sulle invenzioni industriali, in quanto sussiste una possibilità che tale categoria sia “rivitalizzata” a livello comunitario.
Il riordino delle norme, secondo la relazione, è avvenuto senza significative modifiche alla attuale disciplina.
Si segnala, peraltro, l'art. 85, cheal comma 2 chiarisce che gli effetti della brevettazione del modello di utilità equivalgono esattamente agli effetti della brevettazione delle invenzioni industriali. La norma, come rileva il Consiglio di Stato, costituisce una novità per i modelli di utilità, ma allinea in modo opportuno la disciplina dei brevetti per invenzioni e quella per i modelli e, quindi, va salutata con favore.
In ordine alla Sezione VI, recante la disciplina dei prodotti a semiconduttori, si rilevano novità rispetto alla legislazione vigente, salo una notazione di carattere formale relativa all'articolo 93, rubricato “Decorrenza e durata della tutela”, che ad avviso del Consiglio di Stato “presenta un primo comma che sembra scritto per errore, per cui esso deve essere riformulato”.
La disciplina delle informazioni segrete, contenuta nellaSezione VII,costituisce, come già rilevato, una previsionesignificativa, che, conformemente alla sistematica dell’Accordo TRIP’s, attrae nell’orbita della categoria dei diritti di proprietà industriale alcuni diritti c.d. non titolati, attualmente protetti dalle norme del Codice civile sulla concorrenza sleale.
La sezione VIII reca la disciplina delle nuove varietà vegetali, riproducendo il contenuto delle fonti convenzionali da cui deriva.
In proposito, il Consiglio di Stato ha rilevato che l'articolo 108, rubricato “limitazioni del diritto del costitutore”, se da una parte riproduce l'art. 14 della Legge varietà vegetali, al comma 2 introduce una nuova disciplina della moltiplicazione del materiale proveniente da varietà oggetto di privativa, che non si coordina con la disposizione dell’art. 107, comma 1, che richiede l’autorizzazione del costitutore, per la moltiplicazione della varietà protetta.
Sul punto
il Consiglio suggerisce di inserire un inciso del tipo “fermo quanto disposto
dall’art, 107, comma
In base alla relazione illustrativa, il Capo III, articolato in due sezioni, concernenti, nell’ordine, le “Disposizioni processuali” (artt. 117-143) le “Misure contro la pirateria” (artt. 144-146), costituisce uno dei momenti più significativi della strategia adottata per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale, proprio in quanto, collocando la specifica materia della tutela giurisdizionale in un capo ad hoc ed operando il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti in materia di tutela giurisdizionale sono stati raggiunti simultaneamente i due obiettivi della semplificazione (perché la disciplina è unica per tutti i diritti di proprietà industriale) e della coerenza giuridica, logica e sistematica (perché tutti i diritti di proprietà industriale beneficiano della stessa garanzia di tutela giurisdizionale).
In realtà, come osservato dal Consiglio di Stato, mentre il Capo III presenta norme di natura non giurisdizionale come quelle sull’espropriazione e la trascrizione (artt. 137 e ss.), disposizioni di natura giurisdizionale sono contenute anche nel Capo V dello schema di codice in esame, che presenta norme relative al procedimento giurisdizionale di esecuzione e di sequestro, nonché quello di analoga natura davanti alla Commissione ricorsi.
Da qui, il rilievo, di carattere sistematico, avanzato dal Consiglio di Stato relativo alla corretta distribuzione e collocazione degli argomenti nei diversi Capi del provvedimento.
Per quel che concerne il contenuto del Capo III si osserva che la Sezione I (Disposizioni processuali) riproduce, coordinandole, disposizioni per la gran parte già previste dalla Legge Marchi e dalla Legge Invenzioni. Il Capo contiene, in particolare, le disposizioni processuali relative alla procedura di rivendica del diritto di proprietà industriale; con esse, sono previste norme che prevedono - oltre al risarcimento del danno - anche una tutela cautelare (eventualmente anticipata), con l’inibitoria dei comportamenti illeciti, la descrizione e l’eventuale sequestro dei beni contraffatti; sono poi individuate fattispecie di natura penale e amministrativa, ulteriori rispetto alle ipotesi di reato previste dal codice penale (artt. 473-475) ed è disciplinato il procedimento giurisdizionale cautelare.
Ulteriori norme di questa sezione riguardano l’impugnabilità dei provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi davanti alla Commissione ricorsi, cui è riconosciuta funzione consultiva nella materia della proprietà industriale.
Un ultimo gruppo di norme è, infine relativo all’esecuzione forzata dei diritti de qua ed alla loro obbligatoria trascrizione presso il citato Ufficio brevetti.
La Sezione II (Misure contro la pirateria) individua nelle contraffazioni ed usurpazioni dolose e sistematiche le fattispecie di pirateria dei diritti di proprietà industriale. Riprendendo le disposizioni introdotte dalla legge finanziaria per il 2004[16], si prevede la costituzione di un Comitato nazionale anti-contraffazione presso il Ministero delle attività produttive con funzioni di monitoraggio del fenomeno e di studio delle misure di contrasto, nonché la possibilità per lo stesso Ministero - per il tramite del prefetto e delle autorità comunali - di disporre il sequestro e (previa autorizzazione del presidente della competente sezione del tribunale specializzata in materia di proprieta' industriale ed intellettuale) l’eventuale distruzione della merce contraffatta.
Per quanto concerne le novità introdotte dal Capo in esame, si osserva quanto segue:
§ l’art. 118, che riproduce l’art. 27-bis della Legge Marchi, modifica il comma 5 ed aggiunge un comma 6 che prevede la revoca dell’abusiva registrazione di un nome a dominio aziendale oppure il trasferimento all’avente diritto della registrazione da parte dell’autorità competente;
§ l’art. 122 (legittimazione all’azione di nullità e di decadenza - artt. 78, Legge Invenzioni e 59 Legge Marchi) esclude l’intervento obbligatorio del PM in deroga alle previsioni dell’art. 70 c.p.c. che, invece, lo prevede;
§ l’art. 124 del Codice, relativo alle sanzioni civili disposte con la sentenza che accerta la violazione del diritto di proprietà industriale, riproduce, integrandoli, gli artt. 85 della Legge Invenzioni e 66 della Legge Marchi;
§ l’art. 125 prevede che il risarcimento danni nella materia della tutela dei diritti di proprietà industriale sia allineato alle regole della responsabilità extracontrattuale, come riconosciuto sia dalla dottrina, siadalla giurisprudenza. Si segnala che una prima versione della seconda parte della norma, colmando una lacuna della legge, aveva inoltre stabilito la possibilità che gli utili del contraffattore potessero essere direttamente intascati dall’avente diritto, così facendo rientrare la fattispecie tra quelle di arricchimento senza causa; si è , invece, preferito considerare, a fini risarcitori, il lucro cessante, valutato anche in riferimento agli utili illegittimamente acquisiti. Ne deriva, però, la mancata considerazione, ai fini della valutazione giudiziale risarcitoria, del cd. danno emergente, che invece spesso costituisce parte notevole del danno subito dal titolare di un diritto di proprietà intellettuale (ne sono esempio i costi sostenuti per la tutela);
§ l’art. 127 prevede sanzioni penali e amministrative per le violazioni a diverso titolo, dei diritti di proprietà industriale. Si osserva, però, che la disposizione prevede la punibilità a querela di parte, creando problemi di coordinamento con la disciplina prevista dall'art. 474 c.p. a tutela dei marchi; tale norma prevede, al contrario, la procedibilità d’ufficio e l'applicazione di sanzioni detentive di cui, invece, è privo l’art. 127;
§ l’art. 133 del Codice è di nuova formulazione e prevede la possibilità di tutela giudiziale cautelare dei nomi a dominio: inibitoria dell’uso del nome ed eventuale trasferimento provvisorio all’avente diritto;
§ l’art. 134 è, anch’esso, di nuova formulazione e mira alla definizione della competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale istituite con D.Lgs 168/2003, favorendone una interpretazione estensiva; le controversie nella materia de qua sono assoggettate alle norme procedurali dettate dal D.Lgs n. 5 del 2003 per le controversie societarie;
§ l’art. 135 introduce alcune modifiche alla disposizioni delle leggi Marchi ed Invenzioni relativi alla Commissione dei ricorsi, organo competente per il riesame dei provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti e marchi;
§ l’art. 143 riproduce, con modifiche, gli artt. 63-65 della Legge Invenzioni in materia di ricorso al collegio arbitrale in caso di contestazione dell’indennità di espropriazione fissata dal DPR in favore del titolare del diritto;
§ l’art. 144 definisce in maniera specifica la fattispecie di pirateria allo scopo di distinguerla da quella di semplice contraffazione, evitando così la possibile degiurisdizionalizzazione delle misure repressive;
§ l’art. 145 istituisce il Comitato per il monitoraggio della pirateria in materia di proprietà industriale presso il Ministero delle attività produttive
§ l’art. 146 riproduce, integrandole, le previsioni dei commi 79, 80 e 81 dell’art. 4 della legge finanziaria 2004 relativi ad interventi contro la pirateria. Il sequestro amministrativo e la distruzione sono individuate come specifiche misure di contrasto, mentre l’opposizione all’ordine di distruzione segue le norme procedurali previste dagli artt. 22 e 23 della legge 689/1981 per l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione. Il riferimento del comma 4 alle “forme” del procedimento si ritiene inteso in senso stretto, non riguardando, quindi, l’autorità decidente il ricorso; tale autorità, nella legge 689/1981, è infatti il giudice di pace che, in caso di interpretazione diversa, si troverebbe giudice di appello rispetto al tribunale.
In relazione al Capo in esame, il Consiglio di Stato, in sede di emanazione del parere sullo schema di decreto, oltre all’osservazione di carattere sistematico precedentemente ricordata, ha ritenuto di formulare i seguenti rilievi e di suggerire le seguenti modifiche:
§ l’art. 120, co. 2, nell’individuare i criteri di competenza territoriale, trascrive fedelmente l’art. 75, co. 2, del r.d. n. 1127/1939 e l’art. 56, co. 2, del r.d. n. 929/1942. Tuttavia, la norma non è del tutto chiara: essendo evidente l’intento di utilizzare un criterio in tutto simile al c.d. “foro generale delle persone fisiche” di cui all’art. 18 cod. proc. civ.; va pertanto introdotta una norma in tutto simile al citato art. 18, in base al quale è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, ovvero la dimora; se il convenuto non ha residenza, dimora o domicilio nello Stato (ovvero la dimora sia sconosciuta) è competente il giudice del luogo di residenza dell’attore;
§ il medesimo art. 121, co. 2, nel riprodurre l’art. 77, co. 2, del r.d. n. 1127/1939, e l’art. 58 bis, co. 1, del r.d. n. 929/1942, si limita a prevedere una richiesta del giudice di informazioni alla controparte, laddove lo strumento per tale richiesta era correttamente individuato dall’art. 77 e nell’art. 58 bis previgenti nell’interrogatorio: tale strumento andrebbe pertanto ripristinato
§ L’art. 122, co. 1, prevede che l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale “può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa di ufficio dal pubblico ministero”. La previsione va coordinata con quella di cui all’art. 118, co. 4, riproduttiva dell’art. 27-bis r.d. 1127/1939, secondo cui l’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse solo dopo che siano decorsi due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto o della registrazione, senza che l’avente diritto si sia valso delle azioni ad esso spettanti. Tale soluzione sembra preferibile, in quanto attenua il rischio che terzi diversi dall’avente diritto sollecitino l’azione del pubblico ministero, prima del decorso dei due anni che costituiscono lo spatium deliberandi per le azioni di esclusiva spettanza dell’avente diritto.
§ Nell’art. 124, co. 3, è formulata una nuova disposizione, in virtù della quale la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può ordinare la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Sarebbe opportuno fare salvo, richiamandolo espressamente, il limite generale alla distruzione, sancito dall’art. 2933, comma 2, c.c., laddove la distruzione sia di pregiudizio all’economia nazionale.
§ L’art. 124, co. 7, nel riprodurre l’art. 86, co. 3, del r.d. n. 1127/1939 e l’art. 66, co. 4, del r.d. n. 929/1942, stabilisce che sulle controversie che insorgono nell’esecuzione delle sentenze sui diritti di proprietà industriale, decide il giudice che ha emesso la sentenza, “con ordinanza non soggetta a gravame”. E’ preferibile sostituire l’espressione “ordinanza” con quella “sentenza”, in analogia all’art. 618 c.p.c. (che stabilisce che l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi sono decise con sentenza non impugnabile). Può essere peraltro mantenuto l’inciso “non soggetta a gravame”, che compare anche nell’art. 618 c.p.c., inciso che vale ad escludere un giudizio di appello, ma non impedisce in ogni caso il ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.
§ L’art. 128, co. 3, relativamente al procedimento giurisdizionale di descrizione, riproduce formalmente la normativa vigente (art. 82, commi 1 e 4, r.d. n. 1127/1939; art. 62, commi 1 e 4, r.d. n. 929/1942), anche nel rinvio al codice processuale civile in relazione alla disciplina del procedimento di istruzione preventiva. Come in precedenza, viene stabilito che non si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 693, l’art. 694 e il comma 2 dell’art. 696. Vi è però un profilo di contraddittorietà, ereditato dalla disciplina attualmente in vigore. Da un lato, infatti, il comma 3 dell’art. 128 dichiara inapplicabili i commi 2 e 3 dell’art. 693, relativi al procedimento di istruzione preventiva in caso di eccezionale urgenza; dall’altro lato, il comma 4 dell’art. 128 richiama l’art. 697 che disciplina i provvedimenti da adottarsi in caso di eccezionale urgenza. Sembra perciò corretto dichiarare inapplicabile solo il comma 2 dell’art. 693 (che prevede una regola di competenza territoriale aggiuntiva, in effetti incompatibile con la nuova competenza delle sezioni specializzate), mentre deve ritenersi applicabile il comma 3 dell’art. 693, che disciplina il contenuto del ricorso in caso di eccezionale urgenza. Pertanto va sostituita, all’art. 128, co. 3, l’espressione “non si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 693 del codice di procedura civile” con quella “non si applica il comma 2 dell’art. 693 del codice di procedura civile”.
§ L’art. 134, commi 1 e 3, letti in combinato disposto, estendono la giurisdizione delle sezioni specializzate di cui all’art. 16, legge n. 273 del 2002 e relativo decreto legislativo di attuazione, a materie non direttamente contemplate dalla legge delega. L’art. 16 della legge delega si riferisce infatti ai procedimenti giurisdizionali in materia di proprietà industriale, nonché a quelli in materia di concorrenza sleale connessi con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale. L’articolo in esame contempla, invece, richiamando la legge 287/1990 e gli articoli 81 e 82 del Trattato UE, anche i processi in materia di intese restrittive della concorrenza ed abuso di posizione dominante: per non eccedere l’oggetto della delega, va chiarito che la competenza delle sezioni specializzate investe soltanto le controversie che la legge. 287 del 1990 attribuisce al giudice ordinario (e non anche quelle devolute al giudice amministrativo) nonché quelle in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante strettamente connesse alla violazione di diritti di proprietà industriale.
§ In relazione all’art. 135, co. 1, che disciplina i ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio brevetti, proposti alla competente Commissione (che è una giurisdizione speciale preesistente alla Costituzione) si equipara il regime temporale del ricorso alla Commissione a quello del ricorso ai Tribunali amministrativi regionali: per evitare dubbi esegetici, è preferibile menzionare espressamente, tra le controversie devolute alla Commissione ricorsi, quelle contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti che rifiutano la trascrizione.
§ Nell’art. 135, co. 4, che regola la composizione della commissione ricorsi, prevedendo i tecnici aggregati senza voto deliberativo, si evita, opportunamente, di riprodurre l’art. 71, comma 2, del r.d. n. 1127/1939, in base al quale “il direttore dell’Ufficio brevetti fa parte della commissione senza voto deliberativo”. Invero, l’Ufficio brevetti è amministrazione resistente, quale autorità che ha emesso il provvedimento che viene impugnato davanti alla commissione ricorsi; sicché, appare incostituzionale il ruolo, che riveste attualmente, di componente, ancorché senza voto, della commissione ricorsi, non potendosi cumulare in uno stesso soggetto il ruolo di parte e di giudice, né il ruolo di parte e di consulente. Per coerenza, occorrerebbe anche sopprimere il successivo art. 200, comma 9, che invece mantiene la figura del direttore dell’ufficio brevetti, come partecipante alle sedute della commissione.
§ L’art. 136, nel prevedere la funzione consultiva della Commissione ricorsi in materia di proprietà industriale, ha portata molto più estesa dell’art. 71, comma 3, del r.d. n. 1127/1939, secondo cui tale funzione consultiva si esercitava solo nei confronti del Ministero dell’industria (ora Ministero delle attività produttive). Con la nuova norma, la Commissione ricorsi potrebbe essere investita da richieste di parere da parte di qualsivoglia pubblica amministrazione. Non sembra corretto, sia sul piano sistematico, sia per considerazioni di copertura finanziaria, generalizzare la funzione consultiva della Commissione. Si suggerisce, pertanto, di precisare, nell’art. 136, che la funzione consultiva viene esercitata su richiesta del Ministero delle attività produttive.
§ Nell’art. 138, co. 1, la lett. h) contempla, oltre alla trascrizione delle sentenze, la trascrizione, in via facoltativa, delle domande dirette ad ottenere le sentenze che pronunciano la nullità, annullamento, risoluzione, revocazione, rescissione, di un atto trascritto. Al riguardo andrebbe invece separatamente stabilito, in termini generali, che può essere chiesta la trascrizione delle domande giudiziali (sempre come facoltà della parte interessata) relative a tutte le sentenze soggette a trascrizione ai sensi dell’art. 138, con la conseguenza di far risalire gli effetti della trascrizione della sentenza alla data della trascrizione della domanda giudiziale. Sembrerebbe inoltre opportuno, disciplinare in termini generali la trascrizione delle domande giudiziali relative alle cause sui diritti di proprietà industriale in conformità ai principi sanciti dal codice civile.
§ In relazione all’art. 142, comma 2, si segnala che la norma impone in ogni caso di determinare l’indennità nel decreto di espropriazione: si segnala, pertanto, l’opportunità di stabilire un ragionevole criterio guida per la determinazione dell’indennità, ovviamente nella logica dei prezzi di mercato, pur nella consapevolezza che anche la disciplina vigente non stabilisce nessun criterio.
§ In relazione all’art. 143, che prevede l’estensione della disciplina (ora prevista solo per le espropriazioni nell’interesse militare; art. 63, r.d. n. 1127/1939) relativa alla nomina di un collegio di arbitratori per la determinazione dell’indennità di esproprio, in caso di non accettazione da parte dell’espropriato dell’offerta dell’amministrazione procedente, si segnala che: gli artt 143 e 194, commi 4 e 5, vanno meglio coordinati, contenendo disposizioni in parte coincidenti; il terzo arbitratore, in caso di disaccordo tra le parti, dovrebbe essere nominato dal presidente della sezione specializzata del tribunale di Roma, e non dal presidente del tribunale di Roma, atteso che le competenze giurisdizionali in materia di indennità di esproprio dei diritti di proprietà industriale sembrano da attribuire alle sezioni specializzate previste dalla legge n. 273/2002; la nomina ad arbitratore dovrebbe presupporre il possesso di requisiti di professionalità ed esperienza nel settore della proprietà industriale, come già previsto sia all’art. 63 del rd 1127/1939 che nel TU sull’espropriazione immobiliare. In relazione all’impugnazione della stima degli arbitratori davanti al giudice, andrebbe specificato che la competenza spetta alla sezione specializzata del tribunale di Roma; relativamente al procedimento di fronte al giudice amministrativo concernente i decreti di espropriazione (eccettuate le questioni indennitarie), andrebbe valutata l’opportunità di prevedere un rito accelerato analogo a quello che l’art. 23 bis, legge n. 1034/1971 rende applicabile alle controversie in materia di espropriazioni immobiliare.
Il Capo IV, che comprende gli articoli dal 147 al 193, disciplina, in modo simmetrico alla parte IV dell’accordo TRIP’s, l’acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e le relative procedure. In tale parte del Codice sono state fatte confluire tutte le disposizioni di carattere amministrativo che regolano la gestione dei diritti di proprietà industriale, prevedendo due procedure con effetto costitutivo, ma che differiscono nella loro intitolazione formale secondo che si tratti di brevettazione o di registrazione, conformemente alla terminologia comunitaria ed internazionale
In particolare, il capo in esame si compone di quattro sezioni.
Sono incluse in questa sezione anche le norme sulla rivendicazione di priorità e quelle sull'esame e sulle relative procedure che regolano l’esame delle domande, il ritiro, la rettifica o l’integrazione delle stesse, i rilievi che l’Ufficio italiano brevetti e marchi può muovere sui contenuti delle domande, nonché le relative procedure in contraddittorio per permettere la partecipazione del richiedente al procedimento di esame della domanda.
In base alla relazione illustrativa, si segnalano di seguito le principali innovazioni recate dal Capo in esame:
§ l’art. 163, rubricato “domanda di certificato complementare per i medicinali e per i prodotti fitosanitari” è nuovo ed opera un rinvio ai vigenti regolamenti comunitari che disciplinano in via esclusiva i requisiti delle domande intese ad ottenere un certificato complementare di protezione;
§ l’art. 166, rubricato “domanda di denominazione varietale” è nuovo e prescrive i criteri da rispettare per l’attribuzione della denominazione proposta per la nuova varietà vegetale;
§ l’art. 170, rubricato “ esame delle domande” riproduce con modifiche gli artt. 29 legge marchi, 31 legge invenzioni, 25 D.M. 22.10.1976 e 11 legge n. 70/1989; in particolare al comma 2 è stata introdotta la novità del concerto del Ministero delle Politiche agricole e Forestali per i marchi consistenti in denominazioni geografiche e attinenti a prodotti agricoli e a quelli agroalimentari di prima trasformazione;
§ l’art. 183, rubricato “nomina degli esaminatori” è nuovo e indica i requisiti dei funzionari, designati per l’esame delle opposizioni, nonché le modalità di nomina e la durata dell’incarico;
§ l’art. 184, rubricato “entrata in vigore della procedura di opposizione” è nuovo e rinvia all’emanazione di successive disposizioni;
§ l’art. 189, rubricato “ bollettino ufficiale di brevetti d’invenzione e modelli di utilità” è nuovo e prevede le informazioni da inserire nel bollettino, con riferimento a ciascun titolo;
§ l’art. 190, rubricato “bollettino ufficiale dei certificati complementari per i medicinali e per i prodotti fitosanitari” è nuovo ed indica le informazioni da inserire nel bollettino;
§ l’art. 192, rubricato “continuazione della procedura” è nuovo ed introduce la possibilità di riattivare la procedura, quando il richiedente dimostri di aver osservato un adempimento, la verifica della cui inosservanza aveva determinato il rigetto dell’istanza o la decadenza di un diritto;
§ art. 193, rubricato “reintegrazione”, riproduce con modificazioni gli artt. 78-bis e 78.ter legge marchi e l’art. 90 legge invenzioni;a questo proposito, nella relazione generale al provvedimento, il Governo osserva, in ordine alle modificazioni apportate nel Codice all’istituto, che è stata eliminata la formula delle “massima diligenza esigibile”, che aveva comportato “una sostanziale abrogazione dell’istituto” .
Con riferimento al Capo in oggetto, si osserva, preliminarmente, come il Consiglio di Stato, pur riconoscendo che appaiono rispettati i criteri di delega definiti con l’art. 15, primo comma, lett. a) e b) della legge n.273/02 - in quanto la materia è stata riordinata in modo organico e coordinato anche con riguardo alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta nel settore considerato - formuli un rilievo critico alla luce dei criteri di delega espressi nelle lett. f) e g) della disposizione richiamata, lamentando in particolare la carenza o, quantomeno la scarsa presenza, di istituti che, in linea con tali criteri, prevedano strumenti di semplificazione e di riduzione degli adempimenti amministrativi.
A fronte di criteri di delega ampi ed articolati (Cfr. supra), si richiamano le poche disposizioni che recano semplificazioni procedurali contenute negli articoli 147 (previsione di un decreto ministeriale che definisca modalità alternative per il deposito delle domande ed istanze), 156 (riduzione dei documenti necessari per la registrazione del marchio), 158 (divisione della domanda di registrazione del marchio in più istanze nel caso che nascano contestazioni solo su una parte della richiesta) e 159 (esame solo formale della istanza di rinnovazione del marchio).
Nel parere del Consiglio si rileva, in particolare, che, in linea con il criterio di cui alla lett. g) dell’art. 15 della legge n. 273/2002, ampi settori della regolamentazione contenuta nel Codice avrebbero potuto trovare una disciplina adeguata con fonti secondarie, come la procedura di opposizione alla registrazione del marchio di impresa, le modalità di pubblicità dei titoli di proprietà industriale, le norme sull’ordinamento dell’Albo professionale contenute nel successivo Capo VI, la disciplina dei diritti dovuti per i servizi resi in materia di proprietà industriale e la definizione delle funzioni dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (Capo VII).
Da altra angolazione, si sottolinea invece come anche il deposito per via telematica della documentazione richiesta ed il pagamento delle tasse e diritti con lo stesso sistema avrebbero indubbiamente caratterizzato il Codice per un maggiore raccordo con il criterio di cui alla lett. f) dell’art. 15 della legge di delega, che ha esplicitamente previsto l’introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi.
Per quanto concerne le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato, sia di carattere formale sia con riguardo ai contenuti sostanziali, si segnalano le seguenti specifiche disposizioni.
§ Art. 147, primo comma: l’espressione “all’atto del ricevimento lo attestano”, essendo riferita al deposito delle domande ed istanze di registrazione presso gli uffici, andrebbe sostituita con quella “rilasciano l’ attestazione dell’avvenuto deposito”.
§ Art. 149, primo comma: l’espressione “nelle modalità” appare impropria, perché le domande di brevetto possono essere depositate “secondo le modalità” dello specifico regolamento di attuazione, e potrebbe essere pertanto sostituita con la dizione “secondo le modalità”.
§ Art.163: il mero riferimento alle norme dei regolamenti comunitari citati nella disposizione in esame non appare sufficiente per chiarire la procedura per il conseguimento del certificato complementare. Sarebbe necessario precisare nel Codice l’organo competente all’esame, le modalità seguite per il rilascio del certificato nonché le fasi procedimentali di istruttoria e contraddittorio che sono espressamente previste per gli altri diritti di proprietà industriale contemplati dal Codice medesimo.
§ Art.169: nel richiamo contenuto nel terzo comma all’art. 161 va espunto il riferimento al quinto comma dello stesso articolo che non esiste.
§ Art.183: la disposizione prevede che l’esame delle opposizioni presentate alla registrazione dei marchi sia riservato a funzionari appartenenti alla carriera direttiva o dirigenziale dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi nominati con atto del Direttore Generale competente nel limite massimo di trenta unità. E’ previsto che i funzionari in parola seguano un corso di formazione organizzato dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e, per l’ipotesi che i funzionari nominati esaminatori siano in numero inadeguato rispetto alle esigenze, che si possa ricorrere ad esperti esterni ovvero a funzionari del Ministero delle Attività Produttive. In relazione alla delicatezza e difficoltà delle decisioni relative al procedimento di opposizione ed alla necessità di disporre di competenze anche tecniche e professionali per effettuare le valutazioni che si possono presentare nel corso del procedimento stesso, il Consiglio sottopone alla valutazione del Governo l’opportunità di specificare i requisiti degli esaminatori esterni ed i criteri per la scelta degli stessi.
§ Art. 184: non appare opportuna la disposizione contenuta nella seconda parte dell’articolo in questione, che prevede la facoltà di graduare l’entrata in vigore delle norme sul procedimento di opposizione soltanto ad alcune delle classi di prodotti e servizi per i quali possono essere registrati i marchi d’impresa secondo l’Accordo di Nizza, in relazione ad esigenze organizzative non meglio precisate e che determinerebbero la sospensione della applicabilità di un istituto fondamentale per la efficace tutela dei marchi registrati .
§ Art. 192: la previsione della possibilità di riaprire i termini non rispettati con l’iniziativa del richiedente o del titolare del diritto di proprietà industriale che provi entro due mesi dalla scadenza del termine di aver adempiuto a quanto era prescritto non è condivisa dal Consiglio di Stato per una duplice ragione: sia in relazione alla norma generale, contenuta nell’art. 191, secondo cui è consentito prima della scadenza del termine chiedere ed ottenere una proroga del termine, per cui chi ritenga di non poter essere tempestivo e sia diligente può evitare gli effetti negativi della scadenza del termine che non può osservare, sia con riguardo alla impossibilità della proroga di termini alla cui inosservanza è collegato un effetto decadenziale, termini che, per loro natura e funzione, sono improrogabili.
Da ultimo, da un punto di vista formale, il Consiglio di Stato osserva come la citazione di atti legislativi e normativi, interni, comunitari ed internazionali non sempre sia stata formulata correttamente, con la indicazione completa degli estremi dei relativi atti (così per esempio all’art. 149, primo comma ed all’art. 163); analogamente alcuni organismi sono individuati in modo generico (art. 169, quinto comma); il Ministero delle politiche agricole e forestali, che nell’art. 165, comma 1, lett. c, si precisa che verrà individuato in seguito come MIPAF viene invece indicato ancora con l’espressione per esteso (art. 170, primo comma, lett. a).
Il Capo V disciplina le "procedure speciali", quali quelle relative all’espropriazione, alla trascrizione, al sequestro, alla segretazione militare, alle licenze obbligatorie e a quelle volontarie sui principi attivi farmaceutici, nonché, infine, quelle concernenti il contenzioso davanti alla commissione dei ricorsi.
Come osservato nella relazione generale governativa, il Capo in esame è stato redatto avendo cura di mantenere sostanzialmente inalterata la disciplina precedente, seppure le procedure speciali in esso contenute siano state “razionalizzate”, perché estese a tutti i diritti di proprietà industriale.
Quanto alle
osservazioni del Consiglio di Stato in ordine alla formulazione degli articoli
da
· in relazione all’art. 194, comma 2, laddove si stabilisce che il decreto di espropriazione è notificato nelle forme di legge, si suggerisce di chiarire, ancorché la norma costituisca fedele riproduzione delle precedenti (art. 53, co. 1, regolamento n. 244/1940) che le forme di legge sono quelle previste per la notificazione degli atti processuali civili;
· nell’art. 194, si rileva l’esigenza di coordinare i commi 4 e 5 con l’art. 143, commi 1 e 2, di cui sono in parte una ripetizione;
· l’art. 195, comma 1, si limita a stabilire che la domanda di trascrizione va redatta in unico esemplare, mentre la vigente disciplina (artt. 59 e 63, regolamento n. 244/1940; artt. 44 e 48, regolamento n. 795/1948), prevede invece che la domanda sia presentata in doppio esemplare, di cui uno viene restituito al richiedente, con la dichiarazione dell’avvenuta trascrizione; in proposito si suggerisce di prevedere nella nuova disciplina un meccanismo analogo di rilascio al richiedente di una ricevuta con annotazione dell’avvenuta trascrizione;
· nell’art. 200, comma 1, si sottolinea l’opportunità di prevedere che il trattamento economico del personale di segreteria della Commissione ricorsi, costituito da funzionari dell’Ufficio brevetti, sia quello stabilito dalla vigente normativa (legislativa, regolamentare o contrattuale):
·
l’art. 200, comma 3, stabilisce che in caso di ricorso alla Commissione,
all’originale del ricorso vanno accluse sei
copie in carta libera, salva la facoltà della segreteria della Commissione di
chiedere un numero maggiore di copie; si segnala in proposito che la disciplina
ora vigente (art. 79, co. 2, regolamento n. 244/1940; art 52, co. 2,
regolamento n. 795/1948), prevede, oltre all’originale, sei copie libere e una
in bollo, in totale dunque sette copie, rilevandosi pertanto l’opportunità di stabilire
un numero di copie (oltre all’originale) corrispondente al numero di componenti
Sempre in relazione all’art. 200, il Consiglio di Stato, pur constatando che le norme riproducono fedelmente il diritto vigente, suggerisce di cogliere l’occasione per ammodernare il giudizio davanti alla Commissione dei ricorsi, al fine di renderlo conforme ai dettami costituzionali di un processo celere idoneo ad assicurare una difesa effettiva per tutte le parti.
Al fine di ammodernare il giudizio dinanzi alla citata Commissione dei ricorsi, il Consiglio suggerisce di valutare l’opportunità di modificare il vigente sistema di incardinamento del ricorso davanti alla Commissione (deposito, e trasmissione del ricorso alle controparti a cura della Commissione), con un sistema più moderno e conforme ai ricorsi giurisdizionali amministrativi (notifica del ricorso alle controparti a cura del ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni, decorrenti da notificazione, comunicazione o piena conoscenza del provvedimento che si impugna; notifica del ricorso con le forme previste per la notifica del ricorso al T.a.r.; deposito del ricorso entro il termine di giorni trenta decorrenti dall’ultima notificazione).
In relazione
all’art. 200, comma 8, che
stabilisce che le sedute della Commissione non sono valide se non sia presente
la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto deliberativo, il Consiglio
suggerisce inoltre di valutare l’opportunità di dettare una regola nuova, più
confacente alla natura di giurisdizione speciale. In proposto si prospetta una
soluzione in termini “giurisdizionali” diretta a stabilire che
Con riguardo al medesimo l’art. 200, il Consiglio di Stato sottolinea
l’esigenza, già richiamata in relazione all’articolo 135, di sopprimere il comma 9 del medesimo
articolo, che attribuisce all’Ufficio brevetti, che è parte processuale, anche
il ruolo di componente della Commissione dei ricorsi e di consulente della stessa,
valutando al contempo l’opportunità di prevedere che
Tale osservazione è argomentata dalla constatazione di come attualmente l’amministrazione resistente (ufficio brevetti) abbia un ruolo di aiuto e collaborazione nei confronti del collegio, ma non sia previsto che si costituisca in giudizio come amministrazione resistente e che possa difendersi con l’assistenza di un legale. Il Consiglio osserva in proposito come tale sistema non sia più “confacente all’attuale sistema di giustizia amministrativa, che contempla la tutela risarcitoria a fronte di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione. L’Ufficio brevetti, in caso di accoglimento del ricorso, potrebbe essere esposto a domande risarcitorie, e pertanto ne andrebbe riconosciuta la posizione processuale di parte, e non di collaboratore del giudice, per essere in condizione di espletare una difesa tecnica”.
In considerazione della vigente legislazione sulla durata ragionevole del processo, il Consiglio di Stato suggerisce, inoltre, di stabilire, nell’art. 200, comma 15, un termine per il deposito della sentenza, disciplinando al contempo il procedimento cautelare davanti alla Commissione ricorsi, anche mediante una norma di rinvio al processo davanti al tribunale amministrativo regionale, nei limiti della compatibilità, per quanto attiene a tutela cautelare e termini di deposito della sentenza..
Il Capo VI è dedicato all’ordinamento professionale e regola dettagliatamente l'esercizio della rappresentanza ed il funzionamento dell'ordine dei consulenti in proprietà industriale.
Nella relazione governativa si afferma che l'ordinamento professionale è stato ridisegnato sulla base di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che si erano venute sovrapponendo nel corso degli anni. La disciplina relativa è rimasta tuttavia sostanzialmente immutata.
Il Consiglio di Stato, dopo aver constatato come l’ordinamento professionale sia stato riordinato nel rispetto delle norme in vigore, ha formulato, in ordine ai singoli articoli del Capo VI, le seguenti osservazioni:
§ Art. 203: nella previsione dei requisiti di correttezza formale per l’iscrizione all’Albo occorre uniformarsi alla vigente disciplina dettata per altri Albi professionali, avendo presente, in particolare, la sopravvenuta normativa in materia di buona condotta civile e morale.
§ Art. 215: la norma definisce i compiti del Consiglio dell’ordine professionale. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiesto che sia esplicitato nel testo che ai componenti del Consiglio non sia corrisposto alcun compenso nè il rimborso di spese sostenute a qualsiasi titolo. Tale rilievo può essere accolto parzialmente, nel senso di riconoscere unicamente il rimborso delle spese.
§ Art. 217: fra le attribuzioni del Consiglio dell’Ordine è prevista la facoltà del Ministro delle Attività Produttive di indicare con decreto specifici compiti. La norma, che è innovativa, appare eccessivamente generica e, qualora si intenda conservarla, andrebbe previsto che gli ulteriori compiti individuati dal Ministro abbiano carattere di strumentalità necessaria rispetto a quelli previsti dal Codice.
§ Art. 220: la disposizione non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare che può condurre alla irrogazione di sanzioni nei confronti di un iscritto all’Albo, una fase di contestazione degli addebiti precedente all’audizione dell’interessato che potrebbe, quindi, non avere notizia dei contenuti dei rilievi mossi nei suoi confronti nel momento in cui viene sentito. La modifica dell’articolo in esame sul punto appare indispensabile.
Il Capo VII è dedicato alla "gestione dei servizi", ed ai "diritti", sia di concessione, sia di mantenimento, dei titoli di proprietà industriale, da parte dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
Al fine di assicurare il contemperamento dell'interesse individuale dell'inventore a farsi riconoscere tale e a trarre dall'invenzione i vantaggi economici conseguenti con l'interesse sociale a rendere l'invenzione tecnica patrimonio comune, in tutti i Paesi viene creato un organismo che regolamenti la nascita del diritto di brevetto e ne assicuri la tutela in via amministrativa. Nell'ordinamento italiano queste funzioni sono attribuite all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che è un organo del Ministero delle attività produttive, al quale indirizzare le domanda di concessione del brevetto. Il controllo esercitato dall'Ufficio mira ad accertare, oltre alla regolarità formale della domanda, il requisito dell'industrialità e la non contrarietà dell'invenzione alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume.
Il riassetto complessivo del sistema della proprietà industriale non poteva che investire anche la struttura istituzionalmente preposta alla gestione dei diritti di proprietà in questione, conformemente a quanto disposto dalla lettera f) dell’articolo 15 della legge di delega, in base al quale il potenziamento di tale struttura comporta altresì l’attribuzione di una autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale.
In attuazione di tale criterio di delega, il Capo VII (artt. 223-230) reca la disciplina della gestione dei servizi diretti a garantire un efficace sistema di tutela della proprietà industriale e dei diritti posti a carico degli utenti dei servizi, definendo i compiti dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e contemplando una ampia autonomia finanziaria e contabile, fondata sulla percezione di diritti per il compimento di ogni attività prevista nel Codice a tutela della proprietà industriale (conseguimento dei titoli di proprietà, concessioni, opposizioni, trascrizioni, rinnovo e mantenimento in vita dei titoli).
L’entità dei diritti è determinata con provvedimento del Ministro per le Attività Produttive di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Al riguardo, nella relazione governativa si evidenzia come il Capo VII del Codice e, in particolare, l'art. 223 del Codice, oltre ad attribuire all’Ufficio italiano brevetti e marchi la gestione dei servizi e il compito di promuovere e mantenere relazioni a livello internazionale, ponga un “principio la cui osservanza è “conditio sine qua non” affinché la gestione della proprietà industriale in Italia acceda a livelli di efficienza finora del tutto sconosciuti”: tale condizione viene rinvenuta proprio nella previsione del finanziamento della gestione con le risorse provenienti dai corrispettivi riscossi per i servizi resi nella materia e con il gettito di quota parte dei diritti riscossi in occasione della concessione e del mantenimento degli stessi diritti di proprietà industriale che sono indicati nella sezione seconda dello stesso Capo VII che chiude il Codice.
Per ciò che concerne il Capo VII, si segnala, quale elemento di novità, l’articolo 224, che disegna il quadro finanziario, in base al quale le risorse finanziarie dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi sono costituite anche dalle disponibilità iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero delle Attività produttive e da una quota del cinquanta per cento delle tasse annuali per il mantenimento in vita dei titoli brevettuali europei.
A tale riguardo, il Consiglio di Stato evidenzia il parere negativo espresso in una nota dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, rilevando come esso si fondi su una duplice argomentazione che fa riferimento sia alla mancanza nella legge di delegazione di una norma specifica che autorizzi la riassegnazione dei diritti all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, sia all’assenza di una idonea copertura finanziaria del provvedimento, posto che le somme in questione sono acquisite al bilancio dello Stato.
In ordine alla disposizione di cui all’art. 223, comma 3, lett. e), del Codice, che prevede l’effettuazione da parte dell’Ufficio, a richiesta di privati, di servizi a pagamento, il Consiglio di Stato ha osservato come “anche questa disposizione, in astratto, potrebbe rientrare nell’ambito del criterio di delega che consente la previsione di forme di autonomia finanziaria dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi”, sottolineando tuttavia come, almeno nella formulazione adottata, essa possa apparire “incompatibile con la natura delle funzioni svolte dall’Ufficio che assumono anche natura contenziosa, come in materia di opposizione alla registrazione dei marchi, e che non si conciliano con rapporti di tipo negoziale con soggetti privati anche se aventi ad oggetto servizi non istituzionali”.
Ad avviso del Consiglio di Stato “la delicatezza delle funzioni svolte dall’Ufficio postula che la sua posizione di imparzialità ed indipendenza sia rafforzata rispetto a quella propria di tutti gli organi della Pubblica Amministrazione, mentre la previsione in esame rischia di far apparire meno neutrale l’operato dell’Ufficio che potrebbe essere chiamato ad istruire domande o istanze di soggetti con i quali è in rapporti contrattuali”.
Peraltro, sempre secondo le osservazioni del Consiglio di Stato, nel Codice emergerebbe la preoccupazione di una non assoluta adeguatezza delle strutture istituzionali per far fronte ai compiti ad essa attribuiti ( citando in proposito l’art. 184 che prevede che per esigenze organizzative possa essere rinviata almeno in parte l’operatività del regime delle opposizioni alla registrazione dei marchi): da ciò discenderebbe la inopportunità di una disposizione che potrebbe distogliere risorse personali ed organizzative dall’adempimento dei compiti istituzionali.
Al fine di mitigare, almeno in parte, le perplessità e i rilievi critici formulati dal Consiglio di Stato, va comunque segnalato come la disposizione in commento preveda espressamente che le prestazioni di servizi a titolo oneroso non istituzionali possano essere effettuate, a richiesta di privati, solo a “condizione che siano compatibili con la funzione e il ruolo istituzionale” attributo all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
Al fine accogliere nella sostanza le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato si potrebbe valutare l’opportunità di definire, in modo più dettagliato e rigoroso, le tipologie di servizi non istituzionali che l’Ufficio può offrire, articolandone il contenuto in modo da salvaguardare comunque l’imparzialità e l’indipendenza dell’Amministrazione.
Il Capo VIII, recante la disciplina transitoria e le abrogazioni, contiene la riproposizione delle norme transitorie presenti in testi normativi abrogati, di cui è stato ritenuto utile mantenere l’efficacia, per consentirne l’ulteriore applicazione alle fattispecie che rientrano nella disciplina transitoria dei testi stessi.
Tra le norme transitorie riprodotte che non hanno esaurito la loro efficacia, la relazione illustrativa segnala, in particolare, l'art. 239, che riproduce la norma dell'art. 25 bis introdotto nel D.L. 2 febbraio 2001, n. 95 dal D. L. 12 aprile 2001, n. 164 con l'unica specificazione, ad avviso del Governo implicita nel testo originario, secondo la quale la protezione per diritto d'autore non può essere fatta valere non solo quando il disegno o modello sono stati oggetto di un brevetto scaduto ma anche quando non sono stati oggetto di alcun brevetto. La medesima relazione governativa rileva, inoltre, come la norma transitoria in questione sia stata critica e come in effetti essa sia "anomala", discostandosi da tutte le altre che, nel passato, hanno reso perpetuamente inapplicabile il nuovo regime di protezione, ma limitatamente a coloro che avessero "compiuto investimenti seri ed effettivi" per lo sfruttamento di ciò che entra nell'ambito della nuova protezione (si cita ad esempio l’art. 84 D.P.R. n. 338/79, il cui contenuto è stato ripreso nell'art. 238 del Codice a proposito dell'allungamento della durata della registrazione dei disegni e modelli). Sempre in base alla relazione, il Governo, pur riscontrando l'anomalia, avrebbe ritenuto di non modificare la norma che era stata appena emanata, benchè poi si affermi che l’art. 239 introduce una deroga al citato art. 25 bis del decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 95, riferita a determinate categorie di soggetti, in particolare a coloro che hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità a disegni e modelli già divenuti di dominio pubblico, prima dell’entrata in vigore della legge n. 95/2001.
Il Consiglio di Stato non ha formulato osservazioni di merito sulla disciplina transitoria, che viene pertanto condivisa; sul piano meramente formale, il Consiglio, con riferimento all’art. 245, recante le abrogazioni, ha rilevato che, essendosi seguito il metodo di indicare per ogni lettera un provvedimento normativo abrogato, sarebbe opportuno correggere le lettere p), u), dd), che indicano ciascuna come abrogati diversi provvedimenti normativi.
R E L A Z I O N E
Illustrativa del "Codice dei diritti di proprietà industriale" redatto dal Ministero delle Attività Produttive al fine di dare corso alla delega concessa al Governo con Legge 12.12.2002 n. 273 sul riassetto delle disposizioni in materia di Proprietà Industriale
1.- Premessa.
Nel quadro di un programma di Governo avente lo scopo di semplificare e riordinare le innumerevoli leggi in vigore, originate ormai da tempo da fonti normative istituzionalmente collocate non più soltanto a livello nazionale, ma anche internazionale e sopratutto comunitario, divenute di interpretazione sempre più difficile anche a causa della diversità dei linguaggi adoperati, ma sopratutto a causa dello sfilacciamento dei nessi sistematici e della necessaria coerenza delle singole disposizioni, la legge 12.12.2002 n. 273, ha delegato il Governo ad operare il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale concedendogli un termine di 12 mesi a partire dal dicembre del 2002 (art. 15).
La stessa Legge n. 273/2002 ha delegato il Governo per l'istituzione di sezioni dei Tribunali specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (art. 16) ed ha altresì disposto affinché si proceda alla "operabilità del diritto di autore sui disegni e modelli industriali (art. 17)". E' ovvio che queste tre disposizioni non si pongono sullo stesso piano, essendo la delega di cui all'art. 15 in un certo senso assorbente.
La semplificazione normativa, in un settore come quello dei diritti di proprietà industriale, che fornisce o almeno concorre a fornire la cornice istituzionale del mercato concorrenziale non è l'unico scopo della legge n. 273/2002. Questa legge infatti contiene "misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza" ed induce conseguentemente a considerare la materia della proprietà industriale riordinata come una di tali misure. Anzi, come una delle più importanti dato che – come si è accennato – non si tratta di una misura di politica industriale riconducibile ad esigenze contingenti, ma si tratta – al contrario – di una misura strutturale, una di quelle – cioè – che forniscono la cornice istituzionale garantita dall'art. 41 della Costituzione. Oltre alla consapevolezza che la disciplina della proprietà industriale costituisce un elemento essenziale della più generale disciplina del mercato, il legislatore delegante con la legge n. 273/2002 ha dimostrato chiaramente di considerare tale disciplina come strumento per ottenere il recupero della competitività del "sistema Italia" nel cosiddetto mercato globale.
Questi concetti interpretativi sono utili per misurare l'ampiezza della delega ed i limiti entro i quali è dato al Governo di apportare modifiche alla disciplina preesistente.
Per quanto concerne l'obiettivo della semplificazione normativa, occorre considerare che l'ultimo tentativo di un testo unitario della Proprietà Industriale risale al 1934 ed è per giunta fallito innescando, fin da allora, un processo di proliferazione divenuto via via sempre più intenso e disordinato. Presentando il nuovo Codice dei diritti di proprietà industriale composto di sette capi, oltre l'ottavo dedicato alle disposizioni transitorie e finali, e di 246 articoli, il Ministero delle Attività Produttive sottolinea che esso sostituisce, abrogandole in blocco, non meno di 39 leggi (o norme di leggi) ed innumerevoli provvedimenti di altro tipo. La semplificazione normativa è stata così certamente conseguita ma non soltanto sul piano quantitativo bensì anche su quello qualitativo della unificazione del linguaggio e, sopratutto, della ricostruzione dei nessi sistematici che, ricondotti al cosiddetto accordo TRIP's (e cioè – com'è noto – alla più estesa convenzione multilaterale sulla proprietà intellettuale ed industriale oggi esistente e collegata ai negoziati GATT nell'ambito dell'organizzazione mondiale del commercio internazionale) daranno alla normativa italiana una coerenza rivolta essenzialmente al futuro.
Il Ministero delle Attività Produttive è consapevole che non bastano le norme per attuare una riforma capace di incidere anche sugli aspetti della gestione amministrativa della Proprietà Industriale, ed è perciò che il Nuovo Codice prevede anche la riorganizzazione dei servizi che si è scelto di lasciare alla responsabilità del Ministero proprio per favorire la necessaria concentrazione delle strutture che dovranno essere dotate di adeguati strumenti informatici e dovranno operare non soltanto per garantire al meglio la concessione, il mantenimento e la radiazione dei titoli di proprietà industriale ma anche per fornire al sistema delle imprese veri e propri servizi di affidabile informazione su tutto ciò che fa parte della proprietà industriale in termini di tecnologia, di design e di segni distintivi.
Il Ministero delle Attività Produttive, nel prendere atto della rilevanza che la legge n. 273/2002 attribuisce alla proprietà industriale come strumento di recupero della competitività del "sistema Italia" nell'ambito della concorrenza internazionale, tiene a precisare che, nei limiti in cui la delega attribuisce al Governo un potere di revisione della disciplina preesistente, questo potere è stato esercitato in modo funzionale a siffatto obiettivo. Sotto questo profilo è necessario muovere dalla premessa che i diritti di proprietà industriale conferiscono ai titolari lo jus excludendi alios dal compimento di atti di gestione della loro impresa che, se consentiti, costituirebbero utilizzazione di ciò che forma oggetto del diritto stesso (la tecnologia per i diritti di brevetto, l'immagine aziendale per i diritti di marchio, ecc. ecc.). Dato che questi diritti vengono concessi indipendentemente dalla nazionalità e sulla base di presupposti uguali per tutti, sembrerebbe che la proprietà industriale complessivamente considerata sia – per così dire – "neutrale" dal punto di vista del livello di competitività del Paese dato che le imprese che quivi operano possono, a seconda dei casi, beneficiare del vantaggio competitivo che deriva dalla protezione (e cioè dallo jus excludendi alios) così come possono – al contrario – soggiacere alle iniziative ostruttive assunte nei loro confronti da chi abbia titolo per esercitare un diritto di proprietà industriale che interferisce negativamente sullo svolgimento della loro attività d'impresa.
Bisogna peraltro riconoscere che una certa "neutralità" del sistema della proprietà industriale rispetto alla competitività del Paese che ne garantisce la protezione fu assicurata, nel contesto internazionale, fino a quando operò il principio in base al quale la protezione della proprietà industriale veniva garantita da ciascun paese a condizione che l'esercizio di ciascun diritto (che di per sé si traduce – come si è detto – nello jus excludendi alios) fosse obbligatoriamente associato alla concreta attuazione del diritto stesso nel territorio nazionale (per esempio il diritto di brevetto su una determinata tecnologia fosse esercitabile impedendo ai concorrenti di praticare la tecnologia brevettata ma a condizione che il titolare del brevetto attuasse a sua volta quella stessa tecnologia nel territorio nazionale quivi localizzando la corrispondente attività d'impresa). Da quando però il diritto di proprietà industriale viene garantito dallo Stato senza obbligo per il titolare di localizzare nel territorio l'attività d'impresa che realizza il concreto sfruttamento della creazione intellettuale oggetto del diritto, il sistema non è più "neutrale" sotto il profilo della competitività del Paese perché il territorio nazionale non integra più necessariamente i confini di un mercato di produzione e di un mercato di sbocco ma può integrare i confini di un mercato di sbocco di merci la cui produzione avviene fuori del Paese ed è al contempo interdetta agli operatori economici nazionali.
Così essendo, è necessario innanzitutto che le imprese nazionali detengano quote significative di proprietà industriale, e cioè quote sufficienti quanto meno a fronteggiare adeguatamente il vantaggio competitivo che imprese di altri paesi acquisiscono a loro volta attraverso l'esercizio dei diritti di proprietà industriale. Sotto questo profilo il recupero della competitività delle imprese nazionali è, e rimane, subordinato all'incremento della capacità d'innovazione delle imprese suddette nel campo della ricerca tecnologica, del design industriale, del marketing creativo e della capacità di consolidare valori aziendali d'immagine e di avviamento commerciale mediante segni distintivi dotati di rinomanza mondiale, non solo e non tanto perché appartenenti a grandi imprese ma perché appartenenti ad imprese capaci di produrre ed esportare in tutto il mondo beni e servizi di alta qualità. Sotto questo profilo non è difficile comprendere che la riorganizzazione normativa e gestionale della Proprietà Industriale in Italia può costituire un efficace strumento per il mantenimento e, se possibile, per il potenziamento delle aree di eccellenza che caratterizzano l'economia nazionale, come sono – ad esempio – i settori della moda, dell'arredamento, dell'oreficeria, delle calzature, del tessile ecc. ecc. Gli operatori italiani di questi settori, che beneficiano di efficaci diritti di proprietà industriale (come quelli di marchio, visto anche come strumento di merchandising, oppure come quelli sui disegni e modelli) devono poter contare sul loro mercato interno efficacemente difeso contro le contraffazioni e sopratutto contro la pirateria, e devono però anche poter contare su tutti i mercati dei paesi che sono disposti a garantire i loro diritti: disponibilità che spesso è subordinata alla reciprocità, e cioè alla condizione che diritti di ugual natura siano garantiti in Italia anche se in titolarità di imprese straniere. Per questa ragione l'Italia non può non partecipare al sistema internazionale di protezione dei diritti di proprietà industriale e può partecipare a pieno titolo soltanto a condizione che, come pretende che i suoi operatori siano garantiti negli altri paesi così garantisce gli operatori degli altri paesi nel proprio territorio.
La valorizzazione della imprenditorialità italiana nei settori nei quali questa manifesta nel più alto grado la sua eccellenza giustifica dunque senza alcun dubbio l'impegno del Governo a migliorare l'efficienza del sistema della Proprietà Industriale nel nostro paese.
Ma uguale impegno è necessario, sia pure in un ottica diversa, anche considerando i settori nei quali è dato registrare, purtroppo, una certa arretratezza della imprenditorialità italiana, come ad esempio nei settori della tecnologia più progredita e recente, ed in primo luogo della biotecnologia, della tecnologia elettronica, del software, ecc. ecc. E' noto che, proprio con riferimento a questi settori, si paventa da più parti il pericolo del declino dell'Italia e, addirittura, di una vera e propria deindustrializzazione. Rispetto a questo pericolo è ovvio che il sistema della Proprietà Industriale, per se stesso considerato, e cioè considerato puramente e semplicemente in funzione della sua articolazione giuridica ed organizzativa, non costituisce un rimedio. Sotto questo profilo, l'azione di Governo è significativa soltanto se crea le condizioni utili a colmare il deficit di innovatività: condizioni che – ovviamente – non possono prescindere dalla destinazione di importanti risorse verso il finanziamento della ricerca tecnologica. Al contempo però non si può non sottolineare che anche il sistema della Proprietà Industriale può contribuire ad incrementare le potenzialità tecnologiche della imprenditorialità italiana mediante l'effetto di incentivazione che la tutela brevettuale determina nei confronti dei ricercatori. In questa ottica il Governo ha previsto – come si vedrà meglio in seguito – un particolare trattamento a beneficio dei ricercatori universitari che contribuiscono con la loro ricerca a mettere a disposizione delle imprese tecnologie suscettibili di proficuo sfruttamento commerciale.
Un efficace sistema di tutela della Proprietà Industriale fornisce peraltro vantaggi non trascurabili anche sotto il profilo della messa a disposizione degli operatori economici di informazioni essenziali sotto almeno due profili:
quello della necessità di orientare i progetti di ricerca cercando di evitare investimenti in direzioni che sono già occupate da brevetti altrui, sicché i risultati non soltanto non potrebbero fornire alcun vantaggio competitivo ma, addirittura, finirebbero con l'essere inattuabili proprio perché ostruiti dalle altrui esclusive brevettuali;
quello della necessità di evitare che le imprese nazionali incorrano inconsapevolmente in misure restrittive di carattere giudiziario ottenute da imprese straniere che detengono diritti di proprietà industriale a contenuto tecnologico: iniziative che, sempre più spesso, mortificano le imprese nazionali vanificando talvolta importanti investimenti produttivi compiuti senza le necessarie precauzioni. Sotto questo specifico profilo occorre dunque gestire il sistema della Proprietà Industriale in modo da mettere le imprese nazionali in condizioni di evitare tutte le possibili insidie derivanti dall'esercizio dei diritti in questione da parte delle imprese straniere, ed occorre fare ciò ammodernando e potenziando il funzionamento al meglio del sistema di pubblicità legale dei titoli italiani europei ed internazionali di Proprietà Industriale.
Ma vi è un profilo ulteriore che giustifica l'impegno del Governo per un efficace monitoraggio dei titoli di Proprietà Industriale depositati nel nostro Paese mediante procedure extra nazionali come quella del brevetto europeo o del brevetto internazionale. E' evidente infatti che un Governo che abbia a cuore la difesa delle imprese nazionali contro un esercizio abusivo da parte di imprese straniere di titoli di Proprietà Industriale deve essere posto in grado di verificare che si tratta di titoli concessi su di un adeguato contenuto tecnologico e non su pseudo-invenzioni che nulla hanno a che vedere con le vere e proprie innovazioni dotate dei necessari requisiti di novità e di attività inventiva. Se una siffatta verifica dovesse mettere in evidenza che vengono concessi titoli di proprietà industriale con efficacia anche per l'Italia su innovazioni non meritevoli, per essere gestiti unicamente per frapporre ostacoli ingiustificati allo sviluppo della competitività delle piccole e medie imprese nazionali, è ovvio che sorgerebbe un preciso dovere per il governo di intervenire in tutte le sedi in modo da garantire che la Proprietà Industriale sia e rimanga un efficace strumento di incentivazione dello sviluppo tecnologico e non uno strumento per compiere abusi di mercato e per ridurre ingiustificatamente la dinamica concorrenziale del mercato stesso.
Queste sono le premesse che hanno motivato l'iniziativa del Governo nella materia della Proprietà Industriale revisionando profondamente la disciplina giuridica della materia in questione e potenziando le strutture organizzative preordinate alla gestione del sistema.
2.- La struttura del codice.
Il Codice di Diritti di Proprietà Industriale non è un puro e semplice Testo Unico perché non si limita ad unificare dal punto di vista redazionale le 27 leggi e gli innumerevoli provvedimenti di altro tipo che, nel loro insieme, pongono oggi la disciplina della Proprietà Industriale. Il Codice, pur non modificando se non nella misura strettamente necessaria, le singole disposizioni che compongo l'attuale legislazione, ricostruisce in un quadro nuovo e moderno i nessi sistematici che collegano i molteplici diritti di proprietà industriale, ampliando altresì la categoria di tali diritti nella quale vengono fatti confluire diritti che, protetti in precedenza con le norme contro la concorrenza sleale, possiedono una oggettività sufficiente per essere ricompresi nello schema della Proprietà Industriale. Questo riassetto sistematico corrisponde sia ad una più rigorosa impostazione dogmatica dei rapporti intercorrenti fra proprietà industriale e concorrenza sleale, sia alle indicazioni che provengono dai TRIP's che – come si è detto – costituiscono un accordo complementare dei negoziati GATT nell'ambito della organizzazione mondiale del commercio, sia – infine – al criterio fondamentale della legge di delega che impone il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e – appunto – sistematica.
Sotto il primo profilo – quello storico sistematico – a distanza ormai di più di 50 anni dalla entrata in vigore del Codice del 1942 non può non essere divenuto chiaro a tutti che le norme sulla concorrenza sleale degli artt. 2598-2601 cod. civ. costituiscono il fondamento di un diritto alla lealtà della concorrenza che, nei suoi tratti essenziali e nel corredo sanzionatorio, non differisce né punto né poco dai diritti di Proprietà Industriale. L'unica differenza è data – ripetesi – dalla maggiore o minore "oggettività" della protezione, di guisa che, sussistendo tale oggettività, non vi è più ragione di distinguere la fonte della tutela e la sua stessa articolazione funzionale. Accade così che un marchio di fatto costituisca oggetto di proprietà industriale non diversamente di come lo è un marchio registrato; che un'informazione aziendale riservata costituisca oggetto di proprietà industriale non diversamente di come lo è una invenzione brevettata. L'idea che nella tutela contro la concorrenza sleale abbiano rilevanza interessi diversi ed antagonistici rispetto a quello del titolare del diritto (come l'interesse dei consumatori) e che tale rilevanza possa segnare una distinzione rispetto alla impostazione dominicale della proprietà industriale, è ormai completamente superata. La tutela dei consumatori infatti viene organizzata sulla base di appositi istituti che non per nulla sono in attesa di un loro codice separato mentre l'interesse della collettività ad un mercato concorrenziale libero ed efficiente viene garantito dalla legge antitrust: ed entrambi questi interessi antagonistici sono garantiti dal controllo di autorità indipendenti la cui funzione è completamente estranea alla tutela della Proprietà Industriale.
Sotto il secondo profilo il Governo reputa che il modo migliore di attuare la delega sia quello di riordinare l'intera materia della Proprietà Industriale adottando lo stesso schema dell'accordo TRIP's il quale costituisce uno statuto vero e proprio che tutti gli Stati aderenti all'accordo si sono impegnati di rispettare nella materia della Proprietà Industriale: statuto che, per la sua destinazione planetaria, fissa uno standard minimo di tutela della proprietà industriale ma definisce concettualmente, con una precisione maggiore di quanto non sia mai stato fatto fino ad ora, il rapporto che si ritiene debba intercorrere fra la tutela della Proprietà Industriale ed il principio della libertà di concorrenza inteso qui nella sua accezione più vasta di mercato concorrenziale globale. Com'è noto, l'accordo TRIP's è strutturato in parti nelle quali la materia trova collocazione "per settori omogenei" come richiede la legge di delega, e questi – a loro volta – realizzano un "coordinamento formale e sostanziale" come del pari richiede la legge di delega, in modo da garantire "coerenza giuridica, logica e sistematica". Mentre l'accordo TRIP's suddivide l'intera materia della Proprietà Intellettuale in parti, sezioni ed articoli, il Governo ha ritenuto più opportuno sostituire le parti con le sezioni, secondo i criteri redazionali di cui alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001. Conseguentemente il riordino è stato realizzato distribuendo la materia in sezioni, capi ed articoli.
2.1.- L'esclusione dei diritto d'autore.
La delega parlamentare, nel disporre il riassetto delle disposizioni vigenti, si riferisce alla materia della proprietà industriale volendo, con tale espressione, escludere la materia del diritto d'autore. Questa esclusione è giustificata unicamente da ragioni inerenti alla ripartizione delle competenze ministeriali, essendo il diritto d'autore compreso nelle attribuzioni del Ministero dei Beni Culturali ed essendo, per contro, tutti i rimanenti istituti facenti parte dell'universo della proprietà immateriale ricompresi nelle attribuzioni del Ministero delle Attività Produttive. Purtroppo, al di fuori della indicata giustificazione organizzativa, la distinzione tra la Proprietà Industriale e la Proprietà Intellettuale è del tutto superata da quando le opere dell'ingegno protette appunto dal diritto d'autore non sono più soltanto quelle frutto dell'esperienza artistica (opere della letteratura, della musica, delle arti figurative, ecc. ecc.) ma sono anche quelle cosiddette "utilitaristiche" come il software oppure come le banche dati, ed ora anche come i disegni e modelli aventi carattere creativo e valore artistico. Il superamento della distinzione fra Proprietà Industriale e Proprietà Intellettuale, come comparti separati della Proprietà Immateriale, è consacrato nella stessa sistematica dell'accordo TRIP's. Questo – infatti – si riferisce precisamente alla Proprietà Intellettuale comprensiva anche di quella che noi chiamiamo Proprietà Industriale, rispecchiando così la concezione anglo-americana in base alla quale la protezione del diritto d'autore non si distingue concettualmente da ogni altro diritto esclusivo su bene immateriale. La limitazione della legge di delega comporta dunque un riordino per certi versi monco e, dal punto di vista della interpretazione sistematica, rallenta il processo di integrazione del diritto d'autore e della Proprietà Intellettuale nell'ambito del sistema complessivo nel quale i titoli di Proprietà Immateriale sono visti come funzionali al corretto svolgimento della concorrenza nell'economia di mercato. Se il Ministro proponente può formulare un auspicio, questo è alternativamente quello di fare luogo ad un unico codice della proprietà intellettuale comprensivo della Proprietà Industriale oppure di trasferire nel Codice della Proprietà Industriale la tutela del software, quella delle banche dati e quella del design industriale così lasciando alla disciplina del diritto d'autore la sua materia tradizionale, ricondotta nell'ordinamento italiano (come in quello tedesco), alle opere dell'ingegno di contenuto artistico ancorché – ovviamente – secondo le moderne tecniche di sfruttamento commerciale.
2.3.- Le parti del codice.
La prima parte dell'accordo TRIP's è dedicata alle disposizioni generali ed ai principi fondamentali. Gli stessi argomenti sono stati inseriti nel Capo I del Codice dei diritti di proprietà industriale che comprende sei articoli.
Quelli contemplati nel Capo I del Codice sono profili di disciplina che riguardano indistintamente tutti i diritti di proprietà industriale, di guisa che la loro collocazione in una parte generale ed unitaria, presenta il duplice vantaggio: a) di evitare la reiterazioni di norme sostanzialmente uguali per ciascun diritto di proprietà industriale; b) di uniformare la disciplina per tutti i diritti di proprietà industriale eliminando differenze talvolta puramente redazionali e tal altra dovuta a contingenti ragioni che determinerebbero – se mantenute – ingiustificate disparità di trattamento.
La parte II dell'accordo TRIP's è divisa in più sezioni, ciascuna delle quali si riferisce ad un specifico diritto di Proprietà Industriale del quale fissa le condizioni di esistenza, di estensione e di esercizio. Parallelamente il capo II del Codice – indubbiamente il più importante – è concepito come un insieme di sezioni dedicate ai singoli diritti di Proprietà Industriale disposti nel seguente ordine: marchi, indicazioni geografiche, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni segrete ed infine nuove varietà vegetali.
Rinviando al prosieguo le notazioni più specifiche, è sufficiente al momento sottolineare che le norme del capo II sono redatte con l'osservanza dei seguenti criteri: a) rimanere fedeli alla terminologia del legislatore nazionale, come del resto è stato sempre fatto a partire dal 1979 ai fini dell'attuazione delle direttive, oppure ai fini dell'armonizzazione con i trattati internazionali ed i regolamenti comunitari; b) non immutare la disciplina in vigore se non negli strettissimi limiti consentiti dal legislatore delegante per ottenere il coordinamento delle disposizioni e la coerenza giuridica logica e sistematica dell'intera disciplina. Quelle rarissime volte nelle quali si è ritenuto di modificare la disciplina vigente, lo si è fatto unicamente per ottenere l'effetto di una maggiore certezza dei rapporti giuridici senza mai perseguire un obiettivo d'innovazione che sarebbe stato incompatibile con i limiti della delega.
Sempre seguendo la sistematica dell'accordo TRIP's, si è provveduto a collocare nel Capo III del codice dei diritti di proprietà industriale le norme che sono dedicate alla tutela giurisdizionale. Anche sotto questo profilo non si è fatto che riprodurre sostanzialmente la disciplina in vigore in tutte le sue articolazioni, ma con il risultato sicuramente positivo di configurare e regolamentare le azioni giudiziarie, sia ordinarie che cautelari, un'unica volta per tutti i diritti in questione. La sezione II di questo capo è dedicata alle misure contro la pirateria destinate ad operare nell'ambito dell'ordinamento nazionale: misure che razionalizzano, rendendole coerenti con l'ordinamento processuale, quelle estemporaneamente introdotte nei commi 79, 80 ed 81 dell'art. 4 della Legge finanziaria per il 2004 23.12.2003 (le quali sono dunque abrogate). L'amministrativizzazione della tutela contro la pirateria non poteva ovviamente che avere il suo riferimento specifico alla "pirateria" come fenomeno distinto rispetto alla normale violazione dei diritti di proprietà industriale: fenomeno che è stato dunque definito nell'art. 144.
Le novità più significative introdotte nel Capo III sia per dare attuazione alla stessa legge di delega – come avviene per l'istituzione delle sezioni specializzate – sia per ottenere risultati di coerenza sistematica, saranno illustrate più avanti in apposito paragrafo.
La parte IV dell'accordo TRIP's è dedicata all'acquisto ed al mantenimento dei diritti di proprietà industriale ed alle relative procedure. Poche e semplici sono le disposizioni contenute nell'accordo TRIP's a questo riguardo, proprio in quanto è data agli Stati Membri la più ampia facoltà di decidere se e quali procedure di concessione e di registrazione dei diritti di proprietà industriale debbano condizionarne la tutela. Gli stessi argomenti sono stati inseriti nel Capo IV del codice (intitolato precisamente "acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure"), ma è ovvio che questo capo abbia avuto uno sviluppo assai maggiore di quello che compare nell'accordo TRIP's, e ciò nonostante l'importante semplificazione dell'accorpamento di molti elementi delle procedure prima singolarmente previste per ogni diritto di proprietà industriale.
Una drastica riduzione della disciplina sarebbe stata possibile soltanto mediante massiccio ricorso alla delegificazione e rinvio alle fonti normative secondarie di molti ed importanti elementi delle procedure. Poiché però nella materia della Proprietà Industriale le procedure amministrative sono dirette sostanzialmente a garantire l'esercizio del diritto alla concessione o al mantenimento in vita dei titoli di proprietà industriale, è parso più corretto considerare operante la riserva di legge per tutto ciò che non fosse pura e semplice attività organizzativa interna dell'ufficio.
Sono state previste due procedure che hanno entrambe effetto costitutivo, ma che differiscono nella loro intitolazione formale secondo che si tratti di brevettazione o di registrazione conformemente alla terminologia comunitaria ed internazionale. Sono state previste tutte le procedure complementari quivi comprese quelle eventuali di opposizione, revoca ed annullamento in sede amministrativa, fermo restando l'indefettibile principio dei provvedimenti finali da parte dell'autorità giudiziaria.
Naturalmente, per i diritti di proprietà industriale non titolati non sussistono procedure con effetto costitutivo ma esistono soltanto presupposti che compete all'autorità giudiziaria di accertare volta per volta sulla base delle disposizioni di natura sostanziale che, nel codice o fuori di esso, definiscono il diritto soggettivo e la tutela nei confronti dei terzi. Il capo IV è particolarmente complesso e se ne illustrerà in apposito paragrafo la struttura generale ed alcune delle più importanti connotazioni specifiche.
Al capo IV seguono tre ulteriori capi nei quali hanno trovato collocazione tutte le rimanenti disposizioni contenute nelle molteplici leggi speciali attualmente in vigore.
Il capo V è dedicato alle "procedure speciali" come quella di espropriazione, di trascrizione, di esecuzione e sequestro, di segretazione militare, di licenza obbligatoria e di licenza volontaria sui principi attivi farmaceutici, ed infine come quella – di particolare importanza – che regola il contenzioso davanti alla commissione dei ricorsi.
Il capo VI è dedicato allo "ordinamento professionale" e regola dettagliatamente l'esercizio della rappresentanza ed il funzionamento dell'ordine dei consulenti in proprietà industriale.
Il capo VII è dedicato alla "gestione dei servizi" ed ai "diritti" sia di concessione che di mantenimento dei titoli di proprietà industriale. Contiene poche norme, per lo più programmatiche, ma potenzialmente capaci di riformare profondamente la struttura ed il funzionamento dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e di garantirne l'efficienza.
3.- Sulle disposizioni generali ed i principi fondamentali (Capo I).
L'art. 1 dedicato alla definizione dell'ambito dei diritti di proprietà industriale, realizza l'intenzione sistematica di ricomprendervi oltre alle invenzioni, ai modelli di utilità, ai disegni e modelli, alle nuove varietà vegetali, alle topografie dei prodotti a semi conduttori ed ai marchi anche gli altri segni distintivi tipici ed atipici, le indicazioni geografiche, le denominazioni di origine ed infine le informazioni aziendali riservate. L'art. 2, dedicato alla costituzione, serve a mettere in evidenza, sempre per i riflessi sistematici che ne derivano, la distinzione fra diritti di Proprietà Industriale "titolati" e cioè costitutivamente originati dalla brevettazione oppure dalla registrazione e quelli non titolati che sorgono da determinati presupposti dalla legge e che tuttavia riferiscono la tutela ad un oggetto specifico. Nell'ordinamento italiano i diritti di proprietà industriale "titolati" partecipano alla più generale disciplina dei beni mobili registrati soprattutto per quanto concerne la circolazione e la trascrizione degli atti di trasferimento.
L'obiezione secondo la quale l'allargamento della categoria dei diritti di proprietà industriale ai diritti non "titolati", comportando il riferimento alla normativa della concorrenza sleale ne determina la divisione in due tronconi, non sembra appropriata. Più che essere spezzata in due tronconi, la concorrenza sleale viene circoscritta alle fattispecie che non rientrano fra quelle che fanno parte della categoria allargata dei diritti di proprietà industriale. In altri termini il trasferimento della tutela dei diritti di proprietà industriale "non titolati" dalla normativa contro la concorrenza sleale a quella del Codice non comporta nessuna conseguenza pregiudizievole una volta che si sia d'accordo - come lo si deve essere - sul rilievo che si tratta di una tutela della stessa natura e con gli stessi effetti, solo più articolata e completa nel Codice di quanto non lo sia sulla base delle norme contro la concorrenza sleale. L'allargamento della categoria dei diritti di proprietà industriale non soltanto non produce alcun effetto negativo ma è già ora un dato sostanzialmente accettato: basta pensare - ad esempio - che un importante orientamento dottrinale e giurisprudenziale suggerisce l'applicazione al marchio di fatto in via analogica delle norme sul marchio registrato; basta pensare che la giurisprudenza, per il solo fatto che la tutela dei segreti aziendali è collocata nella legge sulle invenzioni industriali all'art. 6-bis, già da oggi applica le sanzioni e le misure cautelari previste in tale legge. Se dunque l'eliminazione di qualsiasi differenza sotto il profilo della tutela cautelare e delle sanzioni tra marchi registrati e non registrati oppure tra informazioni riservate ed invenzioni brevettate non sembra un inconveniente, certamente – per converso - non potrebbe la categoria dei diritti di proprietà industriale essere estesa fino al punto da ricomprendervi, come bene tutelato, l'onorabilità dell'impresa protetta dal n. 2 dell'art. 2598 c.c. oppure l'avviamento aziendale protetto contro l'appropriazione di pregi oppure contro lo storno dei dipendenti: dato che - ripetesi - in questi casi il comportamento illecito è vietato per se stesso e non perché possa essere configurato come lesione di un'entità oggettivamente riconducibile al diritto del titolare.
Nell'art. 3 dedicato al "trattamento dello straniero" confluiscono le norme seguenti:
gli artt. 23 e 24 della Legge-Marchi;
l'art. 21 Legge-Invenzioni;
l'art. 5.d) della Legge sulle topografie dei prodotti a semiconduttori;
l'art. 10 delle norme di adeguamento alle prescrizioni dell'atto di revisione del 1991 della Convenzione Internazionale per la Protezione delle Novità Vegetali.
La norma dell'art. 3 del Codice è puramente riproduttiva della disciplina precedente.
L'art. 4 disciplina la rivendicazione di priorità ed in tale norma confluiscono le seguenti norme della legislazione precedente:
artt. 16 e 17 del Regolamento-Marchi;
art. 11 Regolamento-Invenzioni;
art. 15 Regolamento-Modelli;
art. 11 della Legge sulle Nuove Varietà Vegetali (D.Lgs. 3.11.1998, n. 455) e art. 19 del relativo Regolamento.
Innovativa invece è la norma del comma 4 dell'art. 4 del Codice che introduce nel nostro ordinamento la cosiddetta "priorità interna". L'introduzione di questo istituto è stata raccomandata da tutti gli ambienti professionali interessati i quali hanno fatto presente che attualmente lo stesso risultato si ottiene rivendicando in una domanda di brevetto europeo la priorità di una domanda di brevetto italiano. La priorità interna consente unicamente di esplicitare meglio elementi inventivi già sufficientemente descritti nella domanda di cui si rivendica la priorità e, conseguentemente, non vi è alcuna ragione di temere che la norma, contraddicendo il principio sancito dall'art. 26 del Regolamento-Invenzioni, renda possibile la retrodatazione della domanda di brevetto rispetto al momento in cui è stata realizzata l'invenzione. Data la natura della priorità interna, la norma si giustifica soltanto per i brevetti per invenzione industriale e non per gli altri diritti di proprietà industriale.
L'art. 5 del Codice pone, con riferimento a tutti i diritti di proprietà industriale, la disciplina dell'esaurimento. Nella norma confluiscono le seguenti disposizioni:
art. 1-bis.2 Legge-Marchi;
art. 1.1 Legge-Invenzioni;
art. 16 della Legge sulle Nuove Varietà Vegetali (Legge 3.11.1998, n. 455).
La norma del Codice riproduce la disciplina in vigore nella legislazione precedente.
L'art. 6 costituisce estensione a tutti i diritti di proprietà industriale del principio sancito dall'art. 20 della Legge sulle Invenzioni Industriali. L'estensione è ovviamente giustificata dalla necessità di garantire la parità di trattamento rispetto ad una fattispecie in ordine alla quale il rinvio alle norme del Codice civile svolge la medesima funzione per tutti i diritti in questione.
4.- Sui marchi (artt. 7-28 del Capo II).
La sezione prima del capo II è dedicata ai marchi ed è stata redatta sulla base di questi criteri:
- dopo la individuazione di ciò che può formare oggetto di registrazione come marchio, tutte le disposizioni che la dottrina e la giurisprudenza italiane, per lunga tradizione, riconducono al tipo di marchio sono state riordinate in articoli la cui rubrica individua il tipo in questione: nomi e ritratti di persona, marchi di forma, stemmi, marchi collettivi;
- seguono le norme sui requisiti di validità, ma, avendo cura anche in questo caso di ricondurre al requisito (indicato nella rubrica) tutte le disposizioni che ad esso si riferiscono. Così, ad esempio, la norma sulla capacità distintiva, oltre a definire il requisito in questione, contiene nei commi successivi le disposizioni sul secondary meaning e sulla volgarizzazione proprio in quanto alla capacità distintiva si riferiscono, o per dare rilevanza alla sua sopravvenienza oppure al suo venir meno. Non diversamente la norma sulla liceità, oltre a definire il requisito in questione, indicando le ipotesi in cui non sussiste, sancisce l'effetto della decadenza nelle ipotesi di illiceità sopravvenuta;
- seguono le norme sugli effetti della registrazione e sulla rinnovazione nonché sulla registrazione internazionale completate dall'istituto della protezione temporanea che fa risalire la priorità della registrazione al giorno della consegna del prodotto recante il nuovo marchio alla Esposizione alla quale è accordato questo beneficio. La registrazione del marchio viene poi disciplinata come oggetto di un diritto, anche se l'azione giudiziale di rivendicazione del marchio abusivamente registrato da un terzo non avente diritto è stata disciplinata nel Capo III relativo – appunto – alla tutela giurisdizionale. Segue la indicazione delle facoltà che formano il contenuto del diritto derivante dalla registrazione del marchio e dei limiti del diritto di marchio;
- il principio della unitarietà dei segni distintivi, le norme sul trasferimento del marchio e sull'uso del marchio come onere del titolare al fine di evitare la decadenza sono state collocate subito appresso;
- si è ritenuto di mettere poi in evidenza tutte le ipotesi di nullità e di decadenza e di concludere la sezione con la norma sulla convalidazione che – com'è noto – costituisce deroga alla disciplina generale della nullità del marchio per difetto di novità o per le altre cause espressamente indicate.
La sezione sui marchi, depurata da tutte le disposizioni relative alla disciplina processuale delle azioni e relative alla disciplina delle procedure amministrative, risulta essere un compendio di agevole lettura delle sole norme sostanziali che definiscono l'esistenza, l'ambito e l'esercizio del diritto di marchio.
Nessuna modificazione è stata apportata alla normativa preesistente.
5.- Sulle indicazioni geografiche (artt. 29 e 30 del Capo II).
Già con il D. Lgs. 19.3.1996 n. 198 emanato in attuazione dell'accordo TRIP's era stato introdotto un articolo 31 con la definizione, nel 1° comma, delle indicazioni geografiche la cui tutela veniva ricondotta, nel 2° comma, alla disciplina della concorrenza sleale. Per effetto dell'ampliamento della categoria dei diritti di proprietà industriale le indicazioni geografiche, la cui definizione è rimasta immutata nell'art. 29, costituiscono oggetto di una tutela che, salva la disciplina della concorrenza sleale e quella delle convenzioni internazionali in materia e salvi altresì i diritti di marchi anteriormente acquisiti in buona fede, viene ricondotta alla generale tutela contemplata nel Capo III del codice. Conseguentemente l'uso ingannevole di una indicazione geografica o di una denominazione di origine (la cui menzione è stata aggiunta nella nuova redazione) può essere ora sanzionato con tutte le misure cautelari e definitive applicabili per ogni altra ipotesi di violazione di un altrui diritto di proprietà industriale.
La previsione di carattere generale contenuta in questa sezione 2a del Capo II del Codice acquista particolare rilevanza se si considera che deve essere integrata con il comma 49 dell'art. 4 della Legge Finanziaria per il 2004 che menziona espressamente il cosiddetto "Made in Italy" come indicazione geografica della quale è vietato fare uso ingannevole apponendola su prodotti o merci non originarie dall'Italia.
6.- Sui disegni e modelli (artt. 31-44 del Capo II).
La Sezione 3a del Capo II, dedicata ai disegni e modelli, rispecchia ovviamente la disciplina di recente introduzione nell'ordinamento nazionale mediante il decreto legislativo 2 gennaio 2001, n. 95 in attuazione della direttiva comunitaria n. 98/71/CE del Parlamento Europeo del Consiglio del 13.10.1998.
Non è certo questa la sede per commentare l'effetto dirompente che la nuova disciplina dei disegni e modelli ha prodotto sugli equilibri che in precedenza avevano caratterizzato l'intero sistema nazionale della proprietà industriale: equilibri basati – com'è noto – sul principio della alternatività delle tutele riguardanti la forma tridimensionale o bidimensionale dei prodotti; principio in forza del quale occorreva qualificare tale forma per stabilire se essa potesse formare oggetto di brevetto per invenzione o per modello di utilità, di marchio, di tutela concorrenziale contro l'imitazione servile oppure infine come opera dell'ingegno proteggibile con il diritto d'autore. Questi equilibri sono messi in discussione innanzitutto per effetto del nuovo requisito del "carattere individuale" perché, se interpretato ed applicato in modo da abbassare significativamente il gradiente di originalità necessario per una valida registrazione del disegno o modello questo requisito determina la sovrapposizione della protezione derivante dalla registrazione rispetto a quella contro la imitazione servile. In tal senso dunque la nuova disciplina si risolve – in sostanza – nell'attrarre la tutela concorrenziale contro la confondibilità per imitazione servile nell'ambito della proprietà industriale oggetto di registrazione nel quadro di quell'allargamento dei diritti di proprietà industriale che caratterizza la sistematica del Codice. Il Governo non poteva intervenire su questo problema perché qualsiasi intervento volto a garantire il mantenimento della situazione precedente, riservando la registrazione ai disegni e modelli particolarmente innovativi, avrebbe comportato una inammissibile riformulazione del requisito del "carattere individuale".
6.2.- Il principio della alternatività delle tutele – caposaldo del sistema nazionale precedente – è messo in discussione anche – e questa volta frontalmente – dalla norma della Direttiva che sancisce l'opposto principio del cumulo fra protezione mediante registrazione e protezione per diritto d'autore. E' significativo che la legge-delega del 12.12.2003, n. 273 abbia dettato – come si è accennato – un apposito principio a questo riguardo prescrivendo che si faccia luogo alla revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti.
Sennonché, il Decreto Legislativo n. 95/2001 ha modificato la disciplina dei disegni e modelli ex ornamentali esaurendo le condizioni del cumulo. Ed infatti - com'è noto - ha abrogato la disposizione dell'art. 2, n. 4, della Legge sul Diritto d'Autore nella parte in cui stabiliva che le opere d'arte applicate all'industria erano proteggibili solo se il valore artistico era scindibile rispetto al carattere industriale del prodotto (così vietando il cumulo) ed ha aggiunto all'elenco delle opere dell'ingegno proteggibili (con il n. 10) "le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico". Così stabilendo il decreto ha fissato in altri termini le condizioni del cumulo con una norma il cui significato è, in estrema sintesi, quello di vietare il cosiddetto "cumulo alla pari" e di riservare la protezione del diritto d'autore ai disegni e modelli capaci di esprimere una innovatività qualitativamente diversa rispetto a quella espressa da un normale – ancorché nuovo - progetto di design.
Dettando con la norma della lettera c) dell'art. 15 della Legge n. 273/2002 il principio sopra riportato, sembrerebbe che il legislatore delegante non sia soddisfatto della disciplina scaturita dal D. Lgs. 2 gennaio 2001, n. 95, e che avrebbe desiderato che fossero apportate delle modificazioni alle norme che attualmente disciplinano la protezione per diritto d'autore quando questa debba essere applicata, per effetto del cumulo, ai disegni e modelli che già sono tutelati come oggetto di proprietà industriale. In particolare sembrerebbe che il legislatore delegante abbia voluto che fossero ripensate le condizioni alle quali viene concessa la protezione per diritto d'autore, che ne venisse ripensata l'estensione temporale e che venissero stabilite delle procedure per il riconoscimento della sussistenza del requisito di proteggibilità del disegno o modello con il diritto d'autore.
La norma di delega è particolarmente ampia, ed anzi lo è in misura tale da suscitare qualche dubbio sulla sua legittimità costituzionale.
Il Governo ha ritenuto che il requisito del valore artistico, al quale attualmente viene subordinata la tutela per diritto d'autore, non potesse essere modificato. Esso - com'è noto - trae origine dalla preoccupazione che il cumulo suscita negli ambienti della piccola e media impresa italiana la quale teme di trovare ostacolo alla propria libertà di azione nella progettazione dei prodotti industriali per effetto di una tutela non soltanto incerta sulle condizioni di accesso ma soprattutto difficilmente controllabile, e vuole evitare di fare investimenti che potrebbero rivelarsi, a posteriori, pregiudicati da pretese altrui non potute prevedere in anticipo. In questa ottica il requisito del "valore artistico" circoscrive il cumulo in modo drastico perché fa scattare la tutela per diritto d'autore unicamente a beneficio di pochi disegni e modelli e cioè di quei disegni e modelli che si distaccano nettamente dalla normale progettazione dei prodotti industriali per accedere - nelle intenzioni e nella concreta realizzazione - ad un livello talmente superiore da potersi qualificare come "artistico" pur nell'ambito dell'arte applicata all'industria.
6.3.- Quanto invece alla preoccupazione che la tutela per diritto d'autore dei disegni e modelli industriali possa pregiudicare la piccola e media industria italiana a causa dell'impossibilità di verificare l'esistenza di diritti esclusivi di terzi mediante opportune forme di pubblicità, il Governo ha preso atto che l'art. 17 della Legge di Delega n. 273/2002 intitolato "Operabilità del diritto d'autore sui disegni e modelli industriali" aveva inteso provvedere già da subito prevedendo una denuncia all'Ufficio della Proprietà Letteraria Scientifica ed Artistica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri da effettuarsi contestualmente alla domanda di registrazione del disegno o modello o comunque prima del rilascio della registrazione. Sennonché questa norma è frutto di un equivoco sulla funzione attribuibile all'art. 28 della Legge sul Diritto d'Autore (Legge n. 633 del 1941), che non è quella di rendere nota la tutela del disegno o modello, ma è quella - del tutto diversa - di fissare il dies a quo della protezione, che - come si sa - per il diritto d'autore decorre dalla morte dell'autore, quando l'autore dell'opera protetta non si conosce ed occorre perciò che venga rivelato mediante la denuncia all'Ufficio della Proprietà Letteraria. Preso atto che il riferimento all'art. 28 della Legge sul Diritto d'Autore è frutto di un equivoco, il Governo ha provveduto con l'art. 44 della Sezione 3a del Capo II dedicata ai disegni e modelli ad istituire un registro pubblico speciale per le opere del disegno industriale nel quale sono indicati l'autore ed il titolo dell'opera, il nome ed il domicilio del titolare, la data di prima divulgazione nonché ogni altra annotazione o trascrizione effettuata a norma di regolamento. Si tratta di un registro speciale del tutto analogo a quello che è stato istituito per il software. Essendo infatti la protezione per diritto d'autore dei disegni e modelli, come la protezione per diritto d'autore del software, una protezione di opere dell'ingegno a carattere utilitaristico, è bene attivare forme di pubblicità che servono per la certezza dei rapporti giuridici, fermo restando che si tratta di pubblicità-notizia e non di pubblicità costitutiva la quale sarebbe incompatibile con il diritto d'autore e con la Convenzione di Berna.
6.4.- L'art. 17 della legge di delega (Legge 12.12.2002 n. 273) dispone al 3° comma che "i diritti di utilizzazione economica del disegno o modello protetto dal diritto d'autore durano fino al termine del 25° anno dopo la morte dell'autore". Parallelamente l'art. 44 del codice al primo comma dispone che "i diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli protetti anche ai sensi dell'art. 2, comma 1, n. 10, legge 22.4.1941 n. 633, durano tutta la vita dell'autore e fino al termine del 25° anno solare dopo la sua morte". La norma è stata contestata sulla base del rilievo che la normativa comunitaria (Direttiva 93/98/CE) prevede un termine ordinario di durata per il diritto d'autore pari a 70 anni post mortem autoris; è stato altresì rilevato che tale normativa risulta su questo specifico punto direttamente applicabile in Italia, con conseguente possibilità per il giudice di disapplicare una difforme norma interna. Si è pure osservato che l'introduzione di una durata diversa ed inferiore rispetto a quella prevista per la tutela di opere identiche in altri paesi dell'unione avrebbe poi un verosimile effetto negativo diretto sulla possibilità per un'azienda italiana di aggiudicarsi i contratti di licenza e produzione nel nostro paese di tali opere: contratti che verrebbero di preferenza perfezionati in quei paesi nei quali la durata del diritto d'autore è quella prevista dalla direttiva.
A fronte di queste considerazioni critiche sta innanzitutto il fatto che l'accorciamento della tutela per diritto d'autore è disposto – come si è visto – esplicitamente dalla legge di delega, con la conseguenza che il legislatore delegato giammai potrebbe discostarsi da questa prescrizione senza incorrere nel vizio di incostituzionalità per eccesso di delega. Il problema dunque semmai si pone non con riguardo all'art. 44 del codice ma con riguardo all'art. 17 della legge di delega. Se fosse vero che con l'accorciamento della tutela per diritto d'autore si farebbe luogo ad una norma nazionale incompatibile con una norma comunitaria direttamente applicabile, sarebbe consentito al legislatore delegato di correggere l'errore in applicazione – per così dire – di un principio di auto-tutela del legislatore stesso. Sennonché la tesi della incompatibilità del termine di 25 anni post mortem autoris rispetto a quello "normale" di 70 anni non sembra affatto sicura. In contrario è sufficiente rilevare che durate diverse sono fissate nella legge sul diritto d'autore per i diritti cosiddetti connessi i quali, tuttavia, non possono considerarsi avere diversa natura rispetto alle opere dell'ingegno pure e semplici, di guisa che la durata contemplata nella direttiva comunitaria non sembra assumere la connotazione dell'inderogabilità. Certamente, se si considera che le durate più brevi relative, per esempio, alle edizioni critiche e scientifiche di opere di pubblico dominio, ai bozzetti di scene teatrali, alle fotografie, alle banche dati, ai progetti di lavori dell'ingegneria non decorrono dalla morte dell'autore, sarebbe stato forse preferibile anche nel caso dei disegni e modelli far decorrere il termine di 25 anni dalla prima utilizzazione: ma la scelta effettuata al riguardo dal legislatore delegante non pare suscettibile di un intervento correttivo.
7.- Sulle invenzioni (artt. 45 – 81 del Capo II).
La sezione 4a del Capo II del Codice contiene la disciplina delle invenzioni industriali riprodotta secondo il consueto ordine logico utilizzando la terminologia tradizionale italiana.
Qui di seguito si darà conto soltanto di ciò che fornisce elementi di valutazione rispetto alla attuazione della delega oppure rispetto a profili innovativi della disciplina.
7.1.- La legge di delega richiedeva l'adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria. Si tratta ovviamente di un principio e di un criterio elementari, diretti ad evitare che il riordino nascesse per così dire arretrato in partenza rispetto al flusso ininterrotto di nuove disposizioni che si rendono via via necessarie per dare attuazione alle direttive comunitarie oppure per rendere operative convenzioni internazionali. Orbene, proprio con riferimento a tale criterio direttivo, un delicato problema si è posto nei riguardi del recepimento della direttiva 94/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6.7.1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in conformità – peraltro – con la sentenza della Corte di Giustizia 9.10.2001. La vicenda della protezione delle invenzioni biotecnologiche è davvero singolare se si considera che una prima delega parlamentare era stata emanata in data 30.9.2002 dando luogo alla nomina di una commissione da parte del precedente Governo che aveva redatto il testo di un decreto legislativo poi definitivamente accantonato. Una seconda delega parlamentare è stata approvata dall'Aula il 2.4.2003 ma essa non ha avuto, a tutt'oggi, alcun seguito dato che l'attuale Governo non considera maturi i tempi per avviare la procedura di approvazione del decreto legislativo delegato. Si dovrebbe ovviamente presumere che le norme della nuova legge di delega siano diverse da quelle della precedente legge di delega ma, al tempo stesso, non è dato comprendere come questa diversità sia compatibile con il contenuto della direttiva comunitaria che lascia pochi margini di autonomia agli Stati Membri, di guisa che non è dato comprendere come la nuova legge di delega e la sua attuazione potranno essere conformi alla direttiva – che è rimasta immutata – e, nel contempo, soddisfare quelle riserve di carattere politico e sociale che si sono manifestate e che hanno comportato l'accantonamento dello schema a suo tempo predisposto in attuazione della prima delega parlamentare.
Non c'è dubbio che le norme concernenti la protezione delle invenzioni biotecnologiche incidono direttamente su alcune norme fondamentali della disciplina generale delle invenzioni e non c'è dubbio che – conseguentemente – la delega in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e quella per il riassetto generale delle disposizioni in materia di proprietà industriale avrebbero dovuto essere attuate in un contesto unitario. Questo, che sarebbe stato il metodo più corretto per affrontare razionalmente la complessa questione, non ha potuto essere seguito, poiché è sembrato del tutto evidente che il silenzio della legge di delega 12.12.2002 n. 273 che è all'origine del presente Codice sulle invenzioni biotecnologiche altro significato non può avere se non quello della conferma della autonoma operatività, nella materia in questione, della delega approvata dall'aula il 2.4.2003.
Conseguentemente, le invenzioni biotecnologiche non sono menzionate nel codice dei diritti di proprietà industriale al quale si riferisce la presente relazione illustrativa.
7.2.- Si è voluto mantenere distinte le invenzioni industriali dai modelli di utilità, ancorché la modificazione avrebbe rappresentato una semplificazione per certi versi auspicabile della attuale situazione. Bisogna infatti considerare che la Convenzione sul brevetto europeo non contempla i modelli di utilità i quali pertanto sono, alla stregua di tale convenzione, brevettabili come invenzioni sempre che – ovviamente – presentino i necessari requisiti di novità e di attività inventiva oltre che di sufficiente descrizione. La presenza, nell'ordinamento nazionale, del doppio titolo brevettuale riconducibile alle invenzioni ed ai modelli di utilità ha comportato la conseguenza che il brevetto europeo, concesso su un trovato qualificabile come modello di utilità, viene nazionalizzato in Italia come brevetto per modello dato che – come è noto – la protezione del titolo brevettuale europeo viene garantita dai singoli Stati Membri in funzione delle norme che nel singolo Stato garantiscono la tutela del brevetto nazionale. D'altronde, se la nazionalizzazione del brevetto europeo concesso su di un modello di utilità comporta che questo brevetto valga nell'ambito nazionale come brevetto per modello di utilità, il fenomeno è quello della conversione ben noto nell'ordinamento italiano ed ora contemplato nell'art. 76 comma 3 del Capo III come effetto sostanziale che integra la disciplina della nullità.
La distinzione fra brevetti per invenzione e brevetti per modello di utilità è stata mantenuta in primo luogo perché è sorto il dubbio che il potere di semplificazione concesso dalla legge di delega non si estendesse fino al punto di sopprimere un titolo brevettuale che da sempre caratterizza l'ordinamento italiano. In secondo luogo perché, ancorché di esito molto incerto, sono in corso lavori preparatori per introdurre una disciplina comunitaria dei modelli di utilità da affiancare a quella dei modelli e disegni, di guisa che si poteva correre il rischio di sopprimere un titolo brevettuale alla vigilia della sua "rivitalizzazione" nell'ordinamento comunitario.
7.3.- La disciplina delle invenzioni è stata risistemata applicando lo stesso schema seguito per gli altri diritti di proprietà industriale. Dopo la definizione dell'oggetto del brevetto sono stati contemplati i requisiti di validità in apposite norme adeguatamente rubricate. Subito dopo sono state collocate le norme che disciplinano gli effetti della brevettazione avendo cura di "interiorizzare" nel codice la disciplina degli effetti della domanda e del brevetto europeo che, dando luogo a titoli di proprietà industriale efficaci per l'Italia, non c'è ragione di distinguere dalle domande e dai brevetti nazionali.
Dopo la norma sulla durata del brevetto (art. 60) è stata collocata la norma sul "certificato complementare" nazionale che – com'è noto – costituisce oggi un titolo di protezione brevettuale ad esaurimento perché, originato dalla legge 19 ottobre 1991 n. 349, è stato sostituito dal certificato complementare comunitario retto dall'apposito regolamento del Consiglio n. 1768/1992/CE del 18.6.1992.
La disciplina del certificato complementare nazionale resta attuale innanzitutto perché applicabile ai certificati nazionali già concessi nel periodo in cui è rimasta in vigore la legge 19.10.1991, n. 349 ed anche perché questa disciplina, con specifico riferimento all'allungamento della protezione conferita dal brevetto di base, è stata modificata di recente con il decreto legge 15.4.2002, n. 63 convertito con legge 15.6.2002 n. 112 onde conseguire un accorciamento della protezione complementare la cui durata, alla stregua della legge originaria, è apparsa al Governo eccessiva e tale che, procrastinando eccessivamente la caduta in pubblico dominio delle invenzioni farmaceutiche, determina un incremento ingiustificato della spesa farmaceutica nell'ambito del servizio sanitario nazionale. La norma dell'art. 8 del decreto legge 15.4.2002 n. 63 convertito con legge 15.6.2002 n. 112 è stata trasfusa nei commi 4 e 5 dell'art. 61 del codice: il comma 4 infatti contempla una riduzione della protezione complementare pari a sei mesi per ogni anno solare a decorrere dal 1 gennaio 2004 fino al completo allineamento alla durata della copertura brevettuale complementare stabilita dalla normativa comunitaria; il comma 5 autorizza le imprese che intendono produrre specialità farmaceutiche cadute in pubblico dominio ad avviare la procedura di registrazione sanitaria entro l'anno precedente alla scadenza della protezione complementare del principio attivo. Le due disposizioni, ed in modo particolare la prima, alimentano una forte polemica fra le contrapposte categorie di imprenditori ed in particolare fra le imprese farmaceutiche che, nell'accorciamento della protezione complementare, vedono realizzarsi un vero e proprio attentato ai loro interessi e le imprese dei fabbricanti di principi attivi e di materie prime farmaceutiche che vedono per contro, nell'accorciamento della protezione complementare dei brevetti sulle invenzioni farmaceutiche, il riequilibrio parziale di una situazione sbilanciata che, impedendo per lunghissimo tempo la caduta in pubblico dominio delle invenzioni farmaceutiche, preclude lo sviluppo del cosiddetto farmaco generico (non brevettato) e con esso non soltanto lo sviluppo, ma forse anche la stessa sopravvivenza dell'industria dei principi attivi significativamente radicata nel territorio nazionale.
7.4.- La contrapposizione fra le imprese farmaceutiche e le imprese dei fabbricanti di principi attivi e di materie prime farmaceutiche non si è manifestata soltanto con riferimento alla durata della protezione complementare (adeguata per le prime ed eccessiva per le seconde) ma anche su una questione interpretativa di rilevanza addirittura maggiore, non soltanto – ovviamente – dal punto di vista degli interessi aziendali ma anche dal punto di vista della relazione che intercorre fra la tutela brevettuale ed il corretto funzionamento del mercato concorrenziale. La questione può essere illustrata semplificando nei seguenti termini: secondo le imprese dei principi attivi e delle materie prime farmaceutiche il certificato complementare sia nazionale che comunitario, essendo stato istituito per consentire al titolare del brevetto farmaceutico di recuperare il tempo perduto per ottenere l'autorizzazione alla immissione in commercio del farmaco, allunga la protezione brevettuale unicamente con riferimento al farmaco stesso che costituisce un prodotto a se stante per la sua destinazione al soddisfacimento del bisogno terapeutico e per le rigidissime regole che ne governano la vendita in tutti gli Stati: un prodotto quindi non in concorrenza con i principi attivi e le materie prime farmaceutiche che sono destinati alle imprese che fabbricano le specialità medicinali e non ai consumatori finali. Poiché dunque il certificato complementare ha lo scopo di allungare il diritto esclusivo di fabbricazione e vendita del farmaco per garantire al titolare del brevetto il beneficio monopolistico nel territorio nel quale il brevetto stesso è valido ed efficace, l'allungamento non può riguardare anche principi attivi e materie prime la cui fabbricazione e vendita liberalizzata per effetto della scadenza del brevetto di base non può incidere negativamente riducendo i profitti del titolare del brevetto nel mercato della specialità medicinale. Questa tesi è stata ed è fortemente combattuta dalle imprese farmaceutiche titolari di brevetti, secondo le quali – per contro – il certificato complementare determina un allungamento della protezione non soltanto per le specialità medicinali, ma anche per i principi attivi e per le materie prime.
Il conflitto fra le apposte categorie imprenditoriali, trasferitosi mediante le consuete azioni di lobby sul terreno parlamentare, ha sortito l'introduzione, sempre con il decreto legge 15.4.2002 n. 63 convertito con legge 15.6.2002 n. 112, di un istituto che si colloca fra la licenza obbligatoria e la licenza volontaria. Gli artt. 8 bis 8 ter ed 8 quater della citata legge 15.6.2003 n. 112 di conversione del decreto legge 15.4.2002 n. 63, per la parte della disciplina sostanziale, sono stati riprodotti nell'art. 81 del codice rubricato "licenza volontaria sui principi attivi mediata dal Ministro"; per la parte procedimentale, sono stati collocati nei commi 8 e seguenti dell'art. 204 rubricato "procedura di licenza obbligatoria e di licenza volontaria sui principi attivi".
Di questa disciplina si dà conto in questa parte della relazione illustrativa del codice perché integra a tutti gli effetti una disciplina riconducibile al certificato complementare farmaceutico ed ai problemi applicativi che lo riguardano.
Il Governo si è astenuto da qualsiasi intervento sulla disciplina in questione ancorché non possa fare a meno di segnalare che essa assume straordinaria importanza al fine di garantire un equilibrio soddisfacente fra l'incentivazione dell'innovazione tecnologica nel campo farmaceutico ed il trasferimento, mediante la caduta in pubblico dominio, dei benefici derivanti dalla suddetta innovazione a vantaggio effettivo dell'interesse della collettività, visto non soltanto in funzione dei bisogni terapeutici ma anche della necessità di contrarre la spesa pubblica sanitaria mediante un corretto funzionamento del mercato concorrenziale nel settore dei farmaci.
7.5.- Ribadita la distinzione fra diritti morali e diritti patrimoniali il codice è intervenuto sulla disciplina delle "invenzioni dei dipendenti" (art. 64) e delle "invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca" (art. 65).
La disciplina delle invenzioni dei dipendenti, ove si assegni al brevetto sulle invenzioni il compito di contribuire efficacemente al recupero della competitività delle imprese nazionali, assume una rilevanza particolare poiché sono gli sforzi soggettivi degli stessi dipendenti che si pongono all'origine della capacità delle imprese e delle loro strutture di realizzare significativi incrementi del patrimonio tecnologico nazionale.
Il Governo ha preso atto che la giurisprudenza a tutt'oggi prevalente interpreta il vecchio testo degli artt. 23 e 24 della Legge sulle Invenzioni Industriali distinguendo tre ipotesi: a) quella della invenzione di servizio, realizzata da chi è stato assunto per inventare ed è retribuito a tale scopo. A costui - ferma restando l'appartenenza dell'invenzione al datore di lavoro –viene riconosciuto da una isolata sentenza della Suprema Corte un quid pluris di retribuzione nel caso in cui quella originariamente pattuita fosse gravemente insufficiente in relazione alla qualità della prestazione ed ai risultati che ne fossero conseguiti (Cass. 6.3.1992 n. 2732); b) quella dell'invenzione d'azienda, realizzata dal dipendente che non è stato assunto per inventare e che ha realizzato l'invenzione nello svolgimento dell'attività lavorativa. A costui – ferma restando l'appartenenza dell'invenzione al datore di lavoro – viene riconosciuto il diritto ad un equo premio che la giurisprudenza qualifica come indennità straordinaria da pagare una tantum (Cass. 16.1.1979, n. 329); c) quella dell'invenzione che viene realizzata dal dipendente mediante un'attività estranea alla prestazione lavorativa, nel qual caso viene attribuito al datore di lavoro un diritto di opzione sull'invenzione dietro pagamento del prezzo. Il Governo ha preso atto della diversa interpretazione degli artt. 23 e 24 secondo la quale le ipotesi si riducono a due: quella delle invenzioni di servizio nella quale l'invenzione è fatta da chi è stato assunto per inventare e nella quale spetta al dipendente un equo premio sol perché la retribuzione pattuita non è tale da compensare il vantaggio competitivo acquisito mediante la brevettazione, e quella delle invenzioni di azienda nella quale l'invenzione è stata realizzata da chi non è stato assunto per inventare ancorché nello svolgimento della prestazione lavorativa, nella quale al datore di lavoro è attribuito il diritto di opzione da esercitarsi dietro pagamento del prezzo.
Orbene, questo contrasto interpretativo ed anche il diverso risultato pratico al quale conduce la prima delle due interpretazioni secondo chi si versi nella prima e nella seconda delle tre ipotesi, attizza un contenzioso giudiziale che è di per sé pregiudizievole e che disincentiva l'impegno dei dipendenti nella attività di ricerca e di sviluppo. Il Governo aveva perciò considerato la possibilità di semplificare la disciplina prevedendo una unica l'ipotesi caratterizzata dal fatto che l'invenzione sia stata conseguita nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego: ipotesi di accertamento estremamente semplificato perché basato unicamente sulla circostanza che l'invenzione fosse stata conseguita nel tempo dedicato alla prestazione lavorativa e nella quale i diritti derivanti dall'invenzione di natura patrimoniale sarebbero spettati al datore di lavoro mentre al dipendente inventore sarebbe spettato sempre un equo premio.
Sennonché – a fronte anche delle reazioni ostili che si sono manifestate - la suddetta semplificazione è sembrata eccedere i limiti della delega parlamentare e conseguentemente la disciplina è stata confermata nella originaria formulazione. E' stato tuttavia chiarito ciò che è risultato con certezza dalla precorsa interpretazione giurisprudenziale: e cioè che l'equo premio non costituisce il corrispettivo della tecnologia che l'impresa attuerà nell'ambito delle sue strutture produttive (dato che il corrispettivo di tale tecnologia è costituito dalla retribuzione prevista nel contratto) ma è e rimane una indennità straordinaria derivante dal fatto che quella tecnologia, essendo stata validamente brevettata, abbia conferito al datore di lavoro un effettivo vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti dando origine ad un quid pluris di redditività aziendale alla quale è giusto che partecipi il dipendente.
7.6.- Sempre allo scopo di semplificare e razionalizzare la disciplina delle invenzioni dei dipendenti, il Governo ha ritenuto opportuno ripristinare, codificandola, l'originaria impostazione delle norme degli artt. 23, 24 e 25 del R.D. 29.6.1939 n. 1127, che attribuisce ad un Collegio di arbitratori il compito di determinare l'equo premio oppure il prezzo o il canone spettanti al dipendente.
L'arbitraggio come strumento di determinazione dell'equo premio è apparso al Governo quello più efficace, fermo restando che si tratta di una determinazione da compiere con equo apprezzamento e perciò impugnabile ai sensi e per gli effetti dell'art. 1349 c.c. integrato, dal punto di vista procedurale, dalle norme degli artt. 806 e segg. c.p.c. L'impugnabilità esclude che la disciplina possa essere sospettata di incostituzionalità sotto il profilo della violazione dell'art. 24 della Costituzione. La circostanza che prima di fare luogo all'arbitraggio si debba eventualmente risolvere il problema dell'an debeatur costituisce un inconveniente meno grave di quello connesso ad una liquidazione diretta da parte del giudice, con la minore garanzia della consulenza tecnica.
7.7.- Com'è noto con la legge 18.10.2001 n. 383 è stata dettata una norma ad hoc per le invenzioni realizzate dai ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca, con l'obiettivo di sottrarre la disciplina relativa a tali invenzioni alle incertezze interpretative ed applicative che – come si è detto – affliggevano la disciplina generale dettata in materia di invenzione dei dipendenti. La norma dell'art. 7 della legge n. 383/2001 rubricata "Nuove regole sulla proprietà intellettuale di invenzioni industriali" stabiliva che il ricercatore fosse sempre "proprietario esclusivo dell'invenzione brevettabile di cui è autore" ma che egli dovesse "dare comunicazione alla pubblica amministrazione dell'invenzione e presenta(re) la domanda di brevetto". L'obiettivo di questa norma era inequivocabile essendo costituito con certezza dall'effetto di incentivazione che il legislatore ha ritenuto concretamente prevedibile attribuendo al ricercatore universitario il beneficio della titolarità dell'invenzione e del relativo brevetto. Sennonché, il secondo comma della stessa norma aveva, in un certo senso, contraddetto la disposizione del primo comma ipotizzando che le università e le pubbliche amministrazioni potessero negoziare licenze a terzi di sfruttamento dell'invenzione brevettata della quale – perciò – si era postulata la titolarità in capo alle stesse università ed alle stesse pubbliche amministrazioni. Indipendentemente da questa contraddizione, preoccupazione del legislatore fu che università e pubbliche amministrazioni stabilissero l'importo dei canoni di licenza (II comma del citato art. 7) e che il ricercatore – inventore avesse "diritto a non meno del 50% dei proventi o dei canoni di sfruttamento" ed a non meno del 30% ove le università o le amministrazioni pubbliche non avessero provveduto alla (pre)determinazione dei canoni di licenza. Il comma 4 – infine – del citato art. 7 stabiliva che il ricercatore-inventore titolare del brevetto avesse l'onere di sfruttare l'invenzione entro cinque anni dalla data di rilascio del brevetto medesimo, termine trascorso il quale l'università o la pubblica amministrazione avrebbe automaticamente acquisito il diritto non esclusivo di sfruttare l'invenzione senza nulla dovere corrispondere al titolare del brevetto.
E' del tutto superfluo illustrare in questa sede le critiche che sono state mosse all'art. 7 della legge 18.10.2001, n. 383, giustificate quanto meno dalla evidente contraddizione fra il primo ed il secondo comma della norma in questione, ma tutte – in ogni caso – ineludibili sotto questo specifico profilo: che, se il legislatore ipotizzava che il ricercatore-inventore avrebbe beneficiato del riconoscimento della appartenenza in capo a lui dell'invenzione presentando la relativa domanda di brevetto, si è sbagliato poiché l'esperienza, anche successiva alla entrata in vigore di questa norma, ha dimostrata l'inettitudine del ricercatore universitario o del dipendente della struttura pubblica di ricerca a comportarsi in modo da conseguire la titolarità del brevetto e da ottenere in concreto lo sfruttamento dell'invenzione diretto o indiretto, così da averne il relativo vantaggio economico.
Preso atto di ciò, il Governo ha ritenuto di rimanere il più possibile prossimo alle intenzioni del legislatore considerando l'invenzione brevettabile come un risultato estraneo a quelli che l'università o l'ente pubblico di ricerca si ripromettono di conseguire mediante la prestazione lavorativa del dipendente. In altri termini, anziché stabilire che il ricercatore universitario o dipendente dell'ente pubblico di ricerca sia sempre il proprietario dell'invenzione e sia sempre colui che può presentare la relativa domanda di brevetto, l'art. 65 del codice colloca il ricercatore nella stessa posizione in cui si trova il dipendente dell'impresa privata che abbia realizzato l'invenzione al di fuori della prestazione lavorativa, di guisa che viene riconosciuto all'università oppure all'ente pubblico di ricerca un diritto di opzione da esercitare entro sei mesi dal momento in cui l'inventore comunica l'ottenimento della sua invenzione. Esercitato il diritto di opzione, le università e le amministrazioni aventi fini di ricerca, alle quali viene fatto obbligo di dotarsi nell'ambito delle proprie risorse finanziarie di strutture idonee a garantire la valorizzazione delle invenzioni realizzate dai ricercatori, sono tenute a riservare ai ricercatori stessi almeno il 30% dei proventi derivanti dallo sfruttamento economico del brevetto. La regola contenuta originariamente nel comma 4 dell'art. 7 della legge 18.10.2001, n. 383 è stata mantenuta in forma rovesciata. Ed invero, una volta riconosciuto in capo alla università oppure all'ente pubblico di ricerca il diritto di brevettare l'invenzione si è previsto che questo diritto debba essere esercitato entro sei mesi dalla comunicazione del suo ottenimento, con la conseguenza che se il diritto non viene esercitato nel termine, la facoltà di brevettare l'invenzione torna in capo all'inventore. Parallelamente, qualora l'università o l'ente pubblico di ricerca abbia esercitato il diritto di chiedere il brevetto nel termine di sei mesi dalla comunicazione dell'invenzione, ma non abbia iniziato lo sfruttamento dell'invenzione nei tre anni successivi, il diritto di sfruttare l'invenzione torna automaticamente in capo all'inventore senza che questi nulla debba corrispondere alla università o all'ente pubblico di ricerca pur beneficiando dei vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento stesso.
Infine è stato riconosciuto all'inventore un diritto di prelazione per il caso in cui l'università o l'ente pubblico di ricerca abbia esercitato il diritto di opzione depositando il brevetto ma abbia in animo di alienare il brevetto stesso.
La disciplina contenuta nell'art. 65 del codice è sembrata al Goerno quella che persegue lo stesso obiettivo che il legislatore della legge n. 383/2001 si era ripromesso di conseguire con regole che peraltro appaiono il più possibile simili a quelle originarie ma, a differenza di queste, concretamente applicabili.
7.8.- Le norme successive relative al diritto di brevetto, precisate in funzione del fatto che oggetto del brevetto sia un procedimento ed in funzione delle limitazioni, sono fedelmente riproduttive della disciplina in vigore.
Del pari è meramente riproduttiva la disciplina delle licenze obbligatorie ed in particolare di quella per mancata attuazione collegata – com'è noto – al relativo onere la cui definizione è contenuta nell'art. 69 del codice.
Un significativo aggiustamento della disciplina precedente si ha nel comma 3 dell'art. 72 nel quale si precisa che la licenza obbligatoria non può essere concessa quando risulti che il richiedente abbia contraffatto il brevetto in malafede.
Una necessaria razionalizzazione è stata quella di subordinare la decadenza del brevetto per mancato pagamento dei diritti all'osservanza del procedimento amministrativo destinato a concludersi con apposita annotazione della avvenuta decadenza nel registro dei brevetti e con la pubblicazione nel bollettino della notizia della decadenza stessa. Trattasi invero della cosiddetta pregiudiziale amministrativa rispetto alla decadenza per mancato pagamento delle tasse, che ripristina il significato originario della disciplina vigente, dal quale la giurisprudenza si è allontanata con una interpretazione che però ha il gravissimo difetto di rendere assai incerta e di difficile dimostrazione da parte di chi impugna il brevetto la circostanza del mancato pagamento delle tasse dovute: circostanza che invece la pregiudiziale amministrativa rende certa ed inconfutabile per chiunque.
Nullità, effetti della nullità, rinuncia e limitazione sono i profili delle norme successive tutte redatte avendo cura di riprodurre fedelmente la disciplina in vigore.
La sezione si conclude con l'art. 80 dedicato alla "licenza di diritto" e con l'art. 81 dedicato alla "licenza volontaria sui principi attivi mediata dal Ministro" della quale si è già dato conto (v. retro par. 7.4.).
8.- I modelli di utilità (artt. 82-86 del capo II).
Si è già detto che il Governo ha deciso di conservare i modelli di utilità come oggetto di un titolo brevettuale autonomo rispetto a quello sulle invenzioni, in considerazione anche della – ancorché incerta – possibilità che siffatta categoria di creazioni intellettuali a contenuto tecnologico sia presa in considerazione per attribuirle autonoma rilevanza nell'ordinamento comunitario. Si può ora aggiungere che potrebbe tornare di attualità la ragione storica per la quale, nella metà degli anni '30 dello scorso secolo, i modelli di utilità furono contemplati come oggetto di brevetto separatamente dalle invenzioni. Ragione storica riconducibile a ciò: che avendo il legislatore dell'epoca con il decreto del '34, introdotto l'esame preventivo dei requisiti di validità ai fini della brevettazione delle invenzioni, volle individuare una categoria di "invenzioni minori" per la quale i richiedenti sarebbero stati esonerati dalla procedura di esame preventivo. Dunque i modelli di utilità storicamente sono nati per distinguersi dalle invenzioni sotto il profilo quantitativo, nel senso di invenzioni di minore importanza, la cui brevettazione sarebbe stata agevolata con l'esonero – appunto - dalla procedura di esame preventivo dei requisiti di validità. Come è noto, difficoltà insormontabili dal punto di vista organizzativo fecero sì che si rinunciasse a subordinare la brevettazione delle invenzioni ad un esame preventivo dei requisiti di validità e, come conseguenza di ciò, i modelli di utilità rimasero come oggetto di autonoma brevettazione non più come invenzioni di minore importanza ma come invenzioni diverse, qualitativamente diverse, in quanto riferibili a prodotti (e non a procedimenti) ed a prodotti noti resi o di più comodo uso oppure di migliore funzionamento oppure anche di più conveniente produzione per effetto di modificazioni di forma oppure della adozione di particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti. Invenzioni dunque sì qualitativamente diverse, ma certamente anche di minore importanza proprio perché il concetto innovativo che ne giustifica la brevettabilità attiene sostanzialmente alla configurazione formale di un prodotto già noto.
Orbene, l'esperienza del passato potrebbe ritornare rilevante se l'odierno legislatore riuscisse a fare ciò che non fu possibile allora e, tornando alle origini, volesse esonerare dall'esame preventivo dei requisiti di validità la brevettazione dei modelli di utilità.
Il riordino delle norme in materia di modelli di utilità è avvenuto senza alcuna significativa modificazione della disciplina esistente.
9.- Le tipografie dei prodotti a semiconduttori (artt. 87-97 del capo II).
La Sezione VI del Capo II contiene la disciplina delle topografie dei prodotti a semiconduttori. Il Governo, con riferimento a queste creazioni intellettuali a contenuto tecnologico protette – com'è noto – unicamente in funzione dello schema tridimensionale che caratterizza gli strati del microcircuito elettronico, si è reso conto che, pur trattandosi concettualmente di una protezione del tipo di quella che compete al modello di utilità, presenta tuttavia peculiarità tali da risultare difficilmente coordinabile con la disciplina "ordinaria" e dei modelli: peculiarità peraltro che, essendo attuative della corrispondente direttiva comunitaria, sono immodificabili.
In una siffatta situazione il riordino non poteva che avvenire dedicando alle topografie dei prodotti a semiconduttori una apposita sezione del Capo II, rubricando gli articoli con una terminologia il più possibile conforme alla tradizione nazionale ma – ovviamente – nulla immutando rispetto alla legislazione precedente.
10.- Le informazioni segrete (artt. 98-99 del capo II).
Come le indicazioni geografiche anche le informazioni segrete costituiscono oggetto di un diritto di proprietà industriale non incorporato in un titolo di protezione ottenibile mediante registrazione oppure mediante brevettazione.
E' precisamente la sistematica dell'accordo TRIP's, alla quale si ispira il Codice dei Diritti di Proprietà Industriale, quella che giustifica l'attrazione nell'ambito della tutela dominicale (property rule) di beni suscettibili di formare oggetto di un diritto esclusivo azionabile nei confronti dei terzi. Ed invero, una volta che il diritto alla lealtà della concorrenza si sia "affrancato" dal contesto originario delle norme sulla responsabilità extracontrattuale, beneficiando di una protezione che va ben oltre la sanzione risarcitoria e così configurandosi a tutti gli effetti come un diritto assoluto azionabile erga omnes con riferimento ad un contenuto proprio, nulla si oppone alla configurazione dominicale purché – come nella specie - lo jus excludendi alios sia circoscrivibile in funzione di un oggetto fenomenologicamente individuato.
Si capisce allora, per tornare alle informazioni segrete, che queste formano oggetto di diritto come – ad esempio – le invenzioni con la sola differenza che mentre queste ultime sono descritte e rivendicate in un titolo che beneficia di un sistema di pubblicità legale, le prime sono oggetto di protezione subordinatamente alla ricorrenza dei presupposti all'uopo espressamente contemplati nell'art. 98 del Codice.
11.- Le nuove varietà vegetali (artt. 100-116 del capoII).
Valgono per le nuove varietà vegetali le stesse considerazioni metodologiche riferite alle topografie dei prodotti a semiconduttori: nel senso che le fonti delineano una disciplina speciale non soltanto – ovviamente – per quanto concerne la individuazione dell'oggetto e – giustificatamente – dei requisiti di validità del diritto esclusivo conferito al costitutore, ma anche per quanto concerne altri profili della protezione che si discostano dai profili comuni alla maggior parte dei diritti di proprietà industriale. Il Governo ha preso atto di ciò ma, reputando che la disciplina delle nuove varietà vegetali non può che essere conforme alle fonti (nella specie convenzionali) da cui deriva, ne ha riportato il contenuto senza modificarlo neppure minimamente.
12.- La tutela giurisdizionale dei diritti di Proprietà Industriale.
Il Capo III, così intitolato, costituisce uno dei momenti più significativi della strategia adottata per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale: proprio in quanto, collocando la specifica materia della tutela giurisdizionale in un capo ad hoc ed operando il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti in materia di tutela giurisdizionale sono stati raggiunti simultaneamente i due obiettivi della semplificazione (perché la disciplina è unica per tutti i diritti di proprietà industriale) e della coerenza giuridica, logica e sistematica (perché tutti i diritti di proprietà industriale beneficiano della stessa garanzia di tutela giurisdizionale).
Solo per indicare i profili più significativi della semplificazione e della razionalizzazione derivanti dall'unificazione di tutte le norme concernenti la tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale, basta considerare:
che l'azione di rivendicazione a tutela dell'appartenenza è disciplinata dall'art. 118 con riferimento sia ai diritti oggetto di registrazione che a quelli oggetto di brevettazione. Non sono rivendicabili i diritti di proprietà industriale non incorporati in un titolo costitutivo perché per essi non è configurabile l'intestazione o il trasferimento in capo all'avente diritto, ferma restando tuttavia la possibilità di una applicazione analogica;
del pari, unica è la disciplina dell'azione a tutela della paternità, contenuta nell'art. 119;
uguali sono i criteri di collegamento ai fini della giurisdizione e della competenza per tutte le azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione;
unica la ripartizione dell'onere della prova nel giudizio di nullità o di decadenza del titolo di proprietà industriale e nel giudizio di contraffazione;
con le necessarie specificazioni - invece - è stata disciplinata la legittimazione all'azione di nullità e di decadenza mentre è comune l'efficacia erga omnes della sentenza che abbia accolto la domanda. Una innovazione significativa a proposito delle azioni dirette ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale è stata quella di mantenere la legittimazione attiva del Pubblico Ministero, ma di escludere che il suo intervento nelle controversie fra privati sia obbligatorio, con ciò recependosi l'indicazione di una prassi consolidata che faceva di tale intervento obbligatorio una inutile formalità priva di qualsiasi significato sostanziale. La norma dell'art. 122 rispecchia ovviamente la diversa disciplina della legittimazione attiva derivante dal fatto che talune cause di nullità del marchio e della registrazione del disegno o modello sono relative, di guisa che l'azione può essere esercitata soltanto dai soggetti interessati ed abilitati a promuoverla.
Le norme degli articoli 124, 125 e 126 sono dedicate alla disciplina delle sanzioni civili dell'inibitoria, della pubblicazione della sentenza e del risarcimento del danno in relazione al quale il Governo ha ritenuto di colmare una vistosa lacuna segnalata dalla dottrina e dalla giurisprudenza disponendo esplicitamente che "il titolare del diritto di proprietà industriale può altresì chiedere che gli vengano attribuiti gli utili realizzati dal contraffattore": disposizione questa la cui rilevanza si manifesta soprattutto quando una massiccia contraffazione sia posta in essere ai danni di un soggetto, titolare del diritto di proprietà industriale, che, per le più varie ragioni quivi compresa eventualmente la sua ridotta dimensione, non sia in grado di dimostrare di avere subito perdite e mancati guadagni a causa della contraffazione posta in essere. L'art. 127 disciplina le misure penali e quelle amministrative diverse dalle misure contro la pirateria che per la loro specificità e per la loro importanza sono state inserite in una apposita sezione del capo III.
Segue la disciplina delle misure cautelari della descrizione e del sequestro nonché quella dell'inibitoria, che rispecchia esattamente le norme della legislazione in vigore, fatta eccezione per l'esclusione della competenza del Presidente del Tribunale nella procedura di descrizione che impediva di presentare un solo ricorso per descrizione, sequestro ed inibitoria.
12.1.- L'art. 134 del Codice, rubricato "Norme di procedura" attua ed integra le prescrizioni della Legge 12.12.2002, n. 273, nella parte in cui delega il Governo per l'istituzione di sezioni dei Tribunali specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (art. 16). Il comma 3 dell'art. 134 ribadisce che tutte le controversie in materia di diritti di proprietà industriale, quivi comprese quelle di lavoro intercorrenti con dipendenti inventori sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate che, in attuazione della menzionata Legge di Delega, sono state istituite dal D.Lgs. 11.7.2003 il quale definisce anche la composizione delle suddette sezioni e degli organi giudicanti, la competenza territoriale delle sezioni medesime e le competenze del Presidente di ciascuna sezione specializzata. L'art. 134 del Codice, nel quadro del più generale obiettivo del riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale e del loro coordinamento formale e sostanziale per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica, ha integrato la disciplina del D.Lgs. 11.7.2003: a) innanzitutto, con riferimento all'individuazione delle controversie nelle quali si esplica la competenza delle sezioni specializzate; b) in secondo luogo correggendo l'errore nel quale è incorso il D. Legislativo 11.7.2003 che non ha menzionato le controversie in materia di topografie dei prodotti a semiconduttori; c) in terzo luogo individuando le controversie relative alle fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale non con riferimento a quelle incluse ma a quelle escluse dalla competenza delle sezioni specializzata, perché tali da non interferire neppure indirettamente con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale; d) infine includendo nella competenza delle sezioni specializzate anche le controversie in materia di illeciti ai sensi delle norme antitrust nazionali e comunitarie.
Lo stesso art. 134 del Codice ha provveduto ad assoggettare tutte le controversie di competenza delle sezioni specializzate alle norme di procedura contenute nei Capi I e IV del Titolo II, a quelle del Titolo III nonché agli artt. 35 e 36 del Titolo V del D.Lgs. 17.1.2003, n. 5, le quali - com'è noto - sono state emanate per essere applicabili nelle controversie di diritto societario e per conseguire quivi risultati di maggiore efficienza: risultati che, se sono necessari per il diritto delle società, lo sono altrettanto per il diritto della proprietà industriale ed anzi, forse, ancor di più.
12.2.- Il Capo III definisce la giurisdizione speciale della Commissione dei Ricorsi e disciplina i profili sostanziali della trascrizione, dei diritti di garanzia su titoli di proprietà industriale e della espropriazione di tali diritti: profili sostanziali che trovano il loro completamento nelle procedure speciali disciplinati nel successivo Capo V.
13.- Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure.
Si tratta del contenuto del Capo IV del Codice nel quale sono state fatte confluire tutte le disposizioni di carattere amministrativo che regolano la gestione dei diritti di proprietà industriale. Per quanto improntata a criteri di semplificazione e di delegificazione, la sintesi di tutte le disposizioni amministrative in questione va dall'art. 152 all'art. 198 e la materia è divisa in quattro sezioni:
la prima, dedicata alle domande in generale, contiene le norme sul deposito con riferimento alle domande di brevetto nazionali, europee ed internazionali, alle domande di registrazione di marchio, a quelle per l'ottenimento dei certificati complementari per i medicinali e per i prodotti fitosanitari ed a quelle per l'ottenimento delle privative per le varietà vegetali nonché infine a quelle di registrazione delle topografie dei prodotti a semiconduttori. La prima sezione contiene anche le norme sulla rivendicazione di priorità e quelle sull'esame e sulle relative procedure che regolano i rapporti fra richiedenti ed ufficio;
la Sezione seconda è dedicata alla disciplina delle opposizioni alla registrazione dei marchi, introdotta - com'è noto - di recente con il D.Lgs. 8.10.1999, n. 447 emanato in attuazione del Protocollo di Madrid;
la Sezione terza raccoglie tutte le disposizioni che definiscono il sistema di pubblicità legale dei titoli di proprietà industriale e disciplinano la pubblicazione dei vari Bollettini Ufficiali;
la Sezione quarta - infine - è dedicata alla disciplina dei termini ed all'importante istituto della reintegrazione, reso peraltro praticabile mediante l'eliminazione di una formula (quella della massima diligenza esigibile) che aveva comportato una sostanziale abrogazione dell'istituto.
14.- Le procedure speciali.
Data l'ampiezza assunta dal Capo IV dedicato - come si è detto - alle procedure amministrative inerenti alla gestione dei titoli di proprietà industriale da parte dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, è sembrato opportuno dislocare in un apposito Capo V diverse procedure che - ancora una volta - sono state conservate in quanto facenti parte della legislazione in vigore, ma al tempo stesso "razionalizzate" perché rese riferibili a tutti i diritti di proprietà industriale, così eliminando ingiustificate disparità di trattamento fra un diritto e l'altro.
E' stata perciò disciplinata autonomamente la procedura di espropriazione, quella di trascrizione dei diritti di proprietà industriale, la procedura di esecuzione e di sequestro, la procedura di segretazione militare con tutte le sue molteplici implicazioni, le procedure di licenza obbligatoria e di licenza sui principi attivi farmaceutici mediata dal Ministro delle Attività Produttive nonché, infine, la procedura da applicare nei giudizi avanti la Commissione dei Ricorsi.
Il CapoV è stato redatto avendo cura di mantenere sostanzialmente inalterata la disciplina precedente.
15.- Ordinamento professionale.
Un codice redatto con lo scopo di operare il riordino di tutte le norme e le disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale non poteva trascurare quelle relative alla rappresentanza dei richiedenti presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ed all'ordinamento professionale dei Consulenti in Proprietà Industriale ai quali soltanto può essere conferito il mandato da parte del richiedente che voglia farsi rappresentare nelle procedure di fronte all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
L'ordinamento professionale è stato ridisegnato sulla base di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che si erano venute sovrapponendo nel corso degli anni. La disciplina relativa è rimasta tuttavia sostanzialmente immutata.
16.- Istituzioni e risorse per la gestione della proprietà industriale.
Il CapoVII del Codice e, in particolare l'art. 223 definisce i compiti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e pone un principio la cui osservanza è conditio sine qua non affinché la gestione della proprietà industriale in Italia acceda a livelli di efficienza finora del tutto sconosciuti: la condizione cioè che la gestione sia finanziata con risorse provenienti dai corrispettivi riscossi per i servizi resi nella materia e con il gettito di quota parte dei diritti riscossi in occasione della concessione e del mantenimento degli stessi diritti di proprietà industriale: diritti che sono indicati nella Sezione seconda dello stesso Capo VII che chiude il Codice.
17.- Disposizioni transitorie e finali.
Atteso che il Codice abroga tutte le leggi anteriori che disciplinano la materia, è ovvio che si dovessero riprodurre tutte le norme transitorie che non avessero esaurito nel frattempo la loro efficacia.
Di queste norme rilievo particolare assume l'art. 239 che riproduce la norma dell'art. 25 bis introdotto nel D.L. 2 febbraio 2001, n. 95 dal D. L. 12 aprile 2001, n. 164 con l'unica specificazione, certamente implicita nel testo originario, secondo la quale la protezione per diritto d'autore non può essere fatta valere non solo quando il disegno o modello sono stati oggetto di un brevetto scaduto ma anche quando non sono stati oggetto di alcun brevetto. La norma transitoria in questione è stata critica ed in effetti essa è "anomala" perché si discosta da tutte le altre che, nel passato, hanno reso perpetuamente inapplicabile il nuovo regime di protezione ma limitatamente a coloro che avessero "compiuto investimenti seri ed effettivi" per lo sfruttamento di ciò che entra nell'ambito della nuova protezione (ad esempio v. art. 84 D.P.R. n. 338/79 il cui contenuto è stato ripreso nell'art. 238 del Codice a proposito dell'allungamento della durata della registrazione dei disegni e modelli).
Il Governo, pur riscontrando l'anomalia, ha ritenuto di non modificare la norma che era stata appena emanata.
Si evidenzia che l’art. 239 introduce una deroga all’art. 25 bis del decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 95 riferita a determinate categorie di soggetti, in particolare a coloro che hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità a disegni e modelli già divenuti di dominio pubblico, prima dell’entrata in vigore della legge n. 95/2001.
Il provvedimento non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, né determina nuove entrate.
A tale riguardo si precisa che l’art. 199 non prevede oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.
Per quanto riguarda l’art. 200 gli emolumenti per i componenti della segreteria della Commissione ricorsi sono previsti dall’art. 71 comma 4 R.D. 29.6.1939 n. 1127 e sono già stanziati sullo stato di previsione della spesa del Ministero delle attività produttive. Essi vengono corrisposti nel rispetto del contratto collettivo di lavoro.
In ordine all’art. 215 si precisa che il Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale è dotato di autonomia e che, quindi, non può prevedersi che ai suoi componenti non spetti alcun emolumento, fermo restando che eventuali compensi non possono gravare sul bilancio dello Stato.
Relazione tecnico finanziaria
Il decreto legislativo in oggetto non comporta maggiori oneri a carico del bilancio statale, né determina minori entrate
Ad illustrazione degli articoli 199, 200, 215, e 224 si svolgono le seguenti osservazioni.
A tale riguardo si precisa che l’art. 199 non prevede oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.
Per quanto riguarda l’art. 200 gli emolumenti per i componenti della segreteria della Commissione ricorsi sono previsti dall’art. 71 comma 4 del R.D. 29.6.1939, n. 1127 e sono già stanziati sullo stato di previsione della spesa del Ministero delle attività produttive. Essi vengono corrisposti nel rispetto del contratto collettivo di lavoro.
In ordine all’art. 215 si precisa che il Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale è dotato di autonomia e che, quindi, non può prevedersi che ai suoi componenti non spetti alcun emolumento, fermo restando che eventuali compensi non possono gravare sul bilancio dello Stato.
L’attribuzione di un’autonomia finanziaria per l’UIBM rientra inequivocabilmente nelle previsioni della legge delega. L’art.15 lettera e) della legge 273/2002 stabilisce il “riordino e potenziamento della struttura istituzionale preposta alla gestione della normativa (UIBM), con previsione dell'estensione della competenza anche alla tutela del diritto d'autore sui disegni e modelli, anche con attribuzione di autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale”.
L’ultima stesura dell’articolo 224 prevede una quota dei proventi (derivanti dalle tasse annuali per il mantenimento in vita dei titoli brevettuali europei designanti l’Italia) a favore dell’UIBM dell’ordine del 50%. Tuttavia l’utilizzo di tali fondi è destinato non solo all’assorbimento dei compiti dell’Ufficio, ma anche al finanziamento della ricerca di anteriorità per le domande di brevetto.
Le previsioni dell’articolo 224 comportano i vantaggi che già in passato sono stati sottolineati:
1. Una razionalizzazione degli adempimenti amministrativi per lo Stato italiano - così come chiaramente richiesto dallo stesso legislatore nell’evidenziare i criteri a cui ci si deve attenere nella predisposizione del nuovo codice (cfr. art. 15 lettera f legge 273/2002[18]) - consentendo anche di poter meglio assolvere alle obbligazioni derivanti dalla Convenzione di Monaco sul brevetto europeo del 5 ottobre 1973, ratificata con legge n. 260 del 1978. Detta Convenzione richiede che gli Stati membri, all’interno dei quali sia stata depositata la traduzione dei brevetti europei, debbano riversare all’Organismo internazionale un ammontare (attualmente del 50%) di tutti i proventi derivanti dal pagamento delle annualità afferenti le privative europee. Detta percentuale può variare in base a nuove decisioni del Consiglio di Amministrazione di detto Organismo. A titolo esplicativo si rappresenta che nel 2001 le entrate affluite per il pagamento delle annualità relative ai brevetti europei è stato di euro 38.273.759,00 mentre per il 2002 è stato di 42.663.178,63 Il 50% di detti importi, si ribadisce è stato riversato all’Organizzazione Europea dei Brevetti. Attualmente l’U.I.B.M., al fine di poter correttamente adempiere all’obbligazione contrattuale che la normativa internazionale gli impone, necessita di una certificazione ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate (attuale beneficiaria degli importi in argomento) per poi predisporre il mandato di pagamento a favore dell’Organizzazione europea dei brevetti, con una conseguente dilatazione dei tempi e un aggravio considerevole di interessi derivanti dall’inevitabile sfasamento dei tempi che l’attuale farraginosa procedura determina. E’ sintomatico evidenziare che, nel solo anno 2001, l’esborso per interessi è stato di euro 238.584,85
La novella legislativa consente, in buona sostanza, all’U.I.B.M., di poter direttamente e correttamente gestire il flusso monetario derivante dalla corresponsione delle somme afferenti le diverse privative europee, operando nel pieno rispetto dei termini imposti dall’ Organismo internazionale a cui l’Italia aderisce, determinando un risparmio considerevole in termini di interessi di mora da non dover più corrispondere. Permette,nel contempo, l’immediato adeguamento alle nuove determinazioni che gli organi direttivi dell’Organismo internazionale dovesse adottare sia con riferimento ad una diversa percentuale degli importi da corrispondere, sia con riguardo a diverse e nuove scadenze che gli organi direttivi dell’ Organizzazione in argomento dovessero prevedere per il riversamento delle somme nel bilancio di detto Organismo.
2. L’afflusso diretto a favore dell’U.I.B.M. di dette entrate consentirebbe, inoltre, l’impiego di parte di dette risorse per attività di ricerca e di sviluppo che in ogni caso lo Stato italiano dovrebbe incentivare, attività che appaiono ormai improcrastinabili nell’attuale contesto economico europeo ed internazionale in cui si colloca l’Italia.
Tra le azioni finanziate con tali risorse l’art. 224 prevede il rilascio dei brevetti completo dell’esame di novità, sulla base del sistema francese. Tale sistema, affidando la ricerca sui propri brevetti nazionali all’Ufficio Europeo dei brevetti che garantisce il più elevato standard livello di qualità al mondo, finanzia il 50% del costo di ricerca così da offrire ai titolari la convenienza a depositare i brevetti nazionali. Il sistema in generale ne ricava un grande vantaggio. Infatti, tale tassa di ricerca viene defalcata e la ricerca ovviamente riconosciuta, una volta che un brevetto francese decide di percorre la strada del brevetto europeo. La Francia, dunque, impiega parte del 50% delle tasse versate dai titolari per mantenere in vita i brevetti europei per finanziare la tassa di ricerca dei brevetti nascenti. Finanzia la nuova tecnologia con la tecnologia già affermata e così facendo dà un forte stimolo alla brevettazione, attraverso l’EPO, dei brevetti di provenienza nazionale. Il costo dell’operazione per noi sarebbe pari a circa € 3.500.000,00 se le domande di brevetto restano stabili[19]. Sono però risorse date indirettamente alla ricerca e all’innovazione, in una parola, al sistema imprese e non investite a lungo termine in una struttura burocratica che non potrà mai dare la stessa qualità della ricerca EPO. Di più. Se si paragonano i dati italiani, 10.000 brevetti all’anno e 3.000 domande verso l’EPO (pari quindi al 3% delle domande di brevetto che complessivamente pervengono all’EPO ogni anno), con quelli francesi, 16.000 brevetti all’anno e 6000 verso l’EPO (il 6% delle domande presentate all’EPO), tenendo conto che il brevetto francese è rilasciato con la migliore ricerca al mondo (EPO) e che, convertendosi in brevetto europeo, il titolo francese non paga la tassa di ricerca[20], si vedrà che la realtà italiana non è così distante da quella francese. E’ probabile, infatti, che l’attuazione di un meccanismo analogo a quello francese dia come risultato un incremento della brevettazione nel breve periodo ed insieme una crescita della spesa in R&S.
L’introduzione di una tale norma, oltre a qualificare i brevetti nazionali, attirerebbe ulteriori depositi nazionali la cui quantificazione potrebbe quanto meno assestarsi su un numero pari a tremila brevetti riferendosi al numero dei brevetti euro diretti ed euro PCT che ogni anno vengono depositati presso l’OEB e che potrebbero, in queste condizioni avere convenienza ad effettuare un precedente deposito italiano.
L’aumento delle risorse finanziarie relative alle tasse nazionali immediatamente afferenti al bilancio dello Stato che questa proposta comporta sarà alla fine dell’anno 2005 pari a € 664.891,64 pari a circa il 7% della cifra richiesta (€ 10 Ml)
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Annualità in € |
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Primo triennio |
IV |
V |
VI |
VII |
VIII |
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Anni |
N. |
188,51 |
36,15 |
46,48 |
67,14 |
92,96 |
129.11.00 |
Totali |
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2005 |
1477 |
278.429,27 |
53.393,55 |
68.650,96 |
99.165,78 |
137.301,92 |
7.950,16 |
644.891,64 |
||
2006 |
1610 |
303.487,90 |
58.198,97 |
74.829,55 |
108.090,70 |
149.659,09 |
8.665,67 |
702.931,89 |
||
2007 |
1755 |
330.801,82 |
63.436,88 |
81.564,21 |
117.818,86 |
163.128,41 |
9.445,58 |
766.195,75 |
||
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Serie storiche |
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Domande |
Domande PCT |
Domande |
Richieste |
Totali |
Dirrefenza |
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2001 |
3329 |
186 |
669 |
366 |
1221 |
|
|
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2002 |
3336 |
233 |
650 |
467 |
1350 |
9,56 |
|
|
||
2003 |
3676 |
247 |
665 |
565 |
1477 |
8,60 |
|
|
||
Tuttavia la qualificazione dei brevetti nazionali realizzata attraverso l’introduzione della ricerca di anteriorità presso l’OEB che assorbirà 3.500.000 € e l’adeguamento dei servizi UIBM agli standard europei da realizzarsi con la restante quota di 6,5 Ml di € potrà e dovrà comportare un adeguamento delle tasse italiane agli importi delle tasse previste dagli altri Stati dell’Unione europea.
Infine l’accresciuta funzionalità del sistema recherà notevoli benefici alle aziende italiane e alla loro posizione competitiva nell’economia mondiale con conseguenti aumenti di reddito e quindi anche indirettamente di gettito erariale oggi difficilmente quantificabile.
Infatti il sistema brevettuale è volano della crescita economica e non si può quindi pretendere di valutare gli effetti delle misure attuate al suo interno prendendo in considerazione esclusivamente il campo della proprietà industriale .
La struttura dell’UIBM così come è attualmente non può sostenere il processo di innovazione dell’Italia. Ciò emerge con evidenza dal confronto con gli altri paesi europei.
Principali Uffici nazionali Brevetti e Marchi in Europa: caratteristiche istituzionali, volume annuo di strumenti brevettuali trattati, bilancio*
Nazione |
Stato giuridico |
Vigilanza ente |
Autonomia |
Dip.ti |
Quantità Trattate (domande depositate per tipologia di strumento) |
Bilancio
|
Francia |
Ufficio pubblico indipendente |
Segretariato di Stato presso il Ministero dell’Economia della Finanza e Industria |
Finanziaria Economica |
793
|
Brevetti 17353 Disegni e modelli 11473 Marchi 101047 |
M€ 126,5 |
Germania |
Fa parte del Ministero Federale della giustizia |
Ministero Federale della Giustizia |
=====
|
2400 |
Brevetti 110392 Modelli 22310 Disegni 71375 Marchi 86983 |
M€ 220,1 entrate M€ 118,7 uscite |
Gran Bretagna |
Agenzia governativa |
Segretario di Stato per il Commercio e l’Industria |
Patrimoniale Finanziaria Economica |
867 |
Brevetti e modelli 31412 Disegni 9380 Marchi 100907 |
M€ 89,3 |
Spagna |
Ente autonomo |
Ministero della Scienza e Tecnologia |
Finanziaria Economica |
467 |
Brevetti 2859 Modelli 3264 Disegni 3412 Marchi 75598** |
M€ 61,7 |
Portogallo |
Ufficio pubblico Indipendente |
Ministro dell’Economia |
Patrimoniale Finanziaria Economica |
156 |
Brevetti 204 Modelli 712 Marchi 7986 |
M€ 7,7 |
Italia *** |
Fa parte del Ministero delle Attività produttive |
Ministero Attività Produttive |
======== |
120 |
Brevetti 9234 Disegni 2338 Modelli 3429 Marchi 41588 |
|
*i dati riportati nella tabella si riferiscono al 1999 (dati più recenti per i quali si dispone di un’informazione uniforme per gli uffici nazionali considerati) e sono tratti dalle statistiche degli uffici nazionali consultabili su internet
**il dato non è direttamente confrontabile con quello degli altri paesi. In Spagna, infatti, i marchi sono solo uniclasse a differenza di quanto accade nel resto dell’Europa dove vige la regola “multiclasse”: un’unica domanda può riguardare 45 classi di prodotti e servizi; in Italia, ad esempio,un marchio viene richiesto, in media, per tre classi
***nel 2002 in Italia si è registrato il seguente andamento: brevetti 9139, disegni 2561, modelli 2733, marchi 44945
E’ necessario, inoltre, avvantaggiarsi di tutte quelle iniziative che l’odierno sviluppo tecnologico consente di usufruire e che sono una realtà ormai operativa in tutti i principali Paesi europei, quali il deposito elettronico dei titoli brevettali con considerevoli elevati standard di qualità e notevole risparmio dei tempi, l’inserimento on-line dell’intero patrimonio brevettale da porre a disposizione dell’utenza, l’attivazione di un sistema informatico delle tasse brevettali comprensivo di bollo virtuale. Più in generale l’obiettivo che ci si prefigge è una semplificazione e automazione totale delle procedure e la valorizzazione di tutte quelle azioni promozionali volte a diffondere la conoscenza e l’uso degli strumenti della proprietà industriale, attività che nell’attuale panorama internazionale sono ormai divenute di primaria importanza.
Roma, 9 Settembre 2004
CODICECODICE
DEI DIRITTI DI PROPRIETA' INDUSTRIALE
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
VISTA la legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza, come modificata dall’articolo 2, comma 8 della legge 27 luglio 2004, n. 186 ed in particolare l’articolo 15, recante delega al Governo per il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale;
VISTO l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
VISTOil regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127;
VISTO il regio decreto 5 febbraio 1940, n. 244;
VISTO il regio decreto 25 agosto 1940, n. 1411;
VISTO il regio decreto 31 ottobre 1941, n. 1354;
VISTO il regio decreto 21 giugno 1942, n. 929;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1948, n. 795;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 540;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 12 agosto 1975, n. 974;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 8 gennaio 1979, n. 32;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1979, n. 338;
VISTAla legge 3 maggio 1985, n. 194;
VISTAla legge 14 ottobre 1985, n. 620;
VISTAla legge 14 febbraio 1987, n. 60;
VISTAla legge 21 febbraio 1989, n. 70;
VISTAla legge 10 ottobre 1991, n. 349;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1993, n. 595;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 360;
VISTOil decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 391;
VISTAla legge 21 dicembre 1984, n. 890;
VISTOil decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 164;
VISTIgli articoli 8, 8-bis, 8-ter ed 8-quater della legge 15 giugno 2002, n. 112, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63;
VISTOil decreto ministeriale 17 ottobre 2002;
VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del ………….;
VISTO il parere del Consiglio di Stato, espresso nell’adunanza del ……
VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 luglio 2003;
SULLA PROPOSTA del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze, degli affari esteri e per la funzione pubblica;
EMANA
il seguente decreto legislativo
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI PRINCIPI FONDAMENTALI
art. 1
(Ambito dei diritti di proprietà industriale)
1. Ai fini del presente codicecodice,
l'espressione proprietà industriale comprende brevetti per invenzioni, modelli
di utilità, disegni e modelli, nuove varietà vegetali, topografie dei prodotti
a semiconduttori, marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche,
denominazioni di origine, informazioni aziendali riservate.
Art. 2
(Costituzione)
1. I diritti di proprietà
industriale si acquistano mediante brevettazione, oppure mediante registrazione, oppure
infine ricorrendo i presupposti specifici a tale scopo o negli
altri modi previsti nel presente codicecodice.
La brevettazione e la registrazione danno luogo ai titoli di proprietà
industriale.
2. Sono oggetto di brevettazione presso l'Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi le invenzioni, i modelli di
utilità, le nuove varietà vegetali.
3. Sono oggetto di registrazione presso l'Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi i marchi,
i disegni e modelli, le topografie dei prodotti a seminconduttori ed i nomi a
dominio.
4. Sono protetti, ricorrendone i
presupposti, i segni distintivi diversi dal marchio registrato, ,
quivi compresi i nomi a dominio aziendali, le indicazioni geografiche, le
denominazioni di origine, le informazioni aziendali
riservate, le
indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.
Art. 3
(Trattamento dello straniero)
1. Ai cittadini di ciascuno Stato
facente parte della Convenzione di Parigi per la pProtezione
della pProprietà
iIndustriale
ovvero della Organizzazione mMondiale del cCommercio,
ed ai cittadini di Stati non facenti parte delle suddette Convenzioni, ma che
siano domiciliati o abbiano uno stabilimento industriale o commerciale serio ed effettivo
e serio sul territorio di uno Stato facente parte della Convenzione di Parigi
per la pProtezione
della pProprietà
iIndustriale,
è accordato, per le materie di cui al presente Codicecodice,
lo stesso trattamento accordato ai cittadini italiani. In materia di nuove
varietà vegetali, il trattamento accordato ai cittadini italiani è accordato ai
cittadini di uno Stato facente parte della Convenzione per la pProtezione
delle nNovità
vVegetali.
In materia di topografie dei prodotti a seminconduttori, il trattamento
accordato ai cittadini italiani è accordato ai cittadini di un altro Stato solo
se la protezione accordata da quello Stato ai cittadini italiani è analoga a
quella prevista dal presente cCodiceodice.
2. Ai cittadini di Stati non facenti
parte né della Convenzione di Parigi per la pProtezione
della pProprietà
iIndustriale,
né della Organizzazione mMondiale del cCommercio,
né, per quanto attiene alle nuove varietà vegetali, della Convenzione per la pProtezione
delle nNovità
vVegetali,
è accordato, per le materie di cui al presente cCodiceodice,
il trattamento accordato ai cittadini italiani, se lo Stato al quale il
cittadino appartiene accorda ai cittadini italiani reciprocità di trattamento.
3. Tutti i benefici che le
convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dall'Italia riconoscono
allo straniero nel territorio dello Stato, per le materie di cui al presente Codicecodice,
si intendono automaticamente estese ai cittadini italiani.
4. Il diritto di ottenere ai sensi delle convenzioni internazionali la registrazione in Italia di un marchio registrato precedentemente all'estero, al quale si fa riferimento nella domanda di registrazione, spetta al titolare del marchio all'estero, o al suo avente causa.
Art. 4
(Priorità)
1. Chiunque abbia regolarmente depositato, in o per uno Stato facente parte di una Convenzione internazionale ratificata dall'Italia che riconosce il diritto di priorità, una domanda di brevetto d'invenzione, di modello di utilità, di certificato di utilità, di certificato d'autore d'invenzione, di nuova varietà vegetale, di registrazione di disegno o modello, o di marchio, o il suo avente causa, fruisce di un diritto di priorità a decorrere dalla prima domanda per effettuare il deposito di una domanda di brevetto d'invenzione, di modello di utilità, o di nuova varietà vegetale o di registrazione di disegno o modello, o marchio, secondo le disposizioni dell’articolo 4 della Convenzione di Parigi.
2. Il termine di priorità è di dodici mesi per i brevetti d'invenzione ed i modelli di utilità e le varietà vegetali, di sei mesi per i disegni o modelli ed i marchi.
3. E' riconosciuto come idoneo a far nascere il diritto di priorità qualsiasi deposito avente valore di deposito nazionale regolare, cioè idoneo a stabilire la data alla quale la prima domanda è stata depositata, a norma della legislazione nazionale dello Stato nel quale è stato effettuato, o di accordi bilaterali o plurilaterali, qualunque sia la sorte ulteriore di tale domanda.
4. Per i brevetti di invenzione il deposito nazionale in Italia dà luogo al diritto di priorità anche rispetto ad una successiva domanda nazionale depositata in Italia, in relazione ad elementi già sufficientemente descritti nella domanda di cui si rivendica la priorità.
Art. 5
(Esaurimento)
1. Le facoltà esclusive attribuite
dal presente cCodiceodice al titolare
di un diritto di pProprietà iIndustriale
si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà
industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso
nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato mMembro
della Comunità eEuropea o dello Sspazio
economico europeo.
2. Questa limitazione dei poteri del titolare tuttavia non si applica, con riferimento al marchio, quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.
3. Le facoltà esclusive attribuite
al costitutore di una varietà protetta e delle varietà essenzialmente derivate
dalla varietà protetta quando questa non sia, a sua volta una varietà
essenzialmente derivata, nonché delle varietà che non si distinguono nettamente
dalla varietà protetta, nonché delle varietà la cui produzione necessita del
ripetuto impiego della varietà protetta non si estendono al materiale di
riproduzione o di moltiplicazione vegetativa, quale che ne sia la forma, al
prodotto della raccolta, comprese piante intere e parti di esse, né a qualsiasi
prodotto fabbricato direttamente a partire dal prodotto della raccolta e
neppure ad ogni altro materiale derivato da quelli indicati, che siano stati
venduti o commercializzati dallo stesso costitutore o con il suo consenso sul
territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità eEuropea
o dello Sspazio
economico europeo, a meno che si tratti di atti che implicano una nuova
riproduzione o moltiplicazione della varietà protetta oppure un'esportazione
del materiale della varietà stessa che consenta di riprodurla in uno Stato che
non protegge la varietà del genere o della specie vegetale a cui appartiene,
salvo che il materiale esportato sia destinato al consumo.
Art. 6
(Comunione)
1. Se un titolo di pProprietà
iIndustriale
appartiene a più soggetti, i diritti relativi sono regolati, salvo convenzioni
in contrario, dalle disposizioni del codicecodice
civile relative alla comunione in quanto compatibili.
CAPO II
NORME RELATIVE ALL’ESISTENZA, ALL’AMBITO E ALL’ESERCIZIO DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE
SEZIONE I
MARCHI
Art. 7
(Oggetto della registrazione)
1. Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.
Art. 8
(Nomi, ritratti di persone e segni notori)
1. I ritratti di persone non possono essere registrati come marchi senza il consenso delle medesime e, dopo la loro morte, senza il consenso del coniuge e dei figli; in loro mancanza o dopo la loro morte, dei genitori e degli altri ascendenti, e, in mancanza o dopo la morte anche di questi ultimi, dei parenti fino al quarto grado incluso.
2. I nomi di
persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione possono essere
registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il
credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi. L'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi ha tuttavia la facoltà di subordinare la registrazione al
consenso stabilito al comma 1. In ogni caso, la registrazione non impedirà a
chi abbia diritto al nome, di farne uso nella ditta da lui prescelta.
3. Se notori, possono essere registrati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi, o dei soggetti di cui al comma 1: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi.
Art. 9
(Marchi di forma)
1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto.
Art. 10
(Stemmi)
1. Gli stemmi e gli altri segni considerati nelle convenzioni internazionali vigenti in materia, nei casi e alle condizioni menzionati nelle convenzioni stesse, nonché i segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa, a meno che l'autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione.
2. Trattandosi di
marchio contenente parole, figure o segni con significazione politica o di alto
valore simbolico, o contenente elementi araldici, l'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi,
prima della registrazione, invia l'esemplare del marchio e quant'altro possa
occorrere alle amministrazioni pubbliche interessate, o competenti, per
sentirne l'avviso, in conformità di quanto è disposto nel comma 4.
3. L'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi ha la facoltà di provvedere ai termini del comma 2 in ogni
caso in cui sussista dubbio che il marchio possa essere contrario all'ordine
pubblico o al buon costume.
4. Se
l'amministrazione interessata, o competente, di cui ai commi 2 e 3, esprime
avviso contrario alla registrazione del marchio, l'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi
respinge la domanda.
Art. 11
(Marchio collettivo)
1. I soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi, ed hanno la facoltà di concedere l'uso dei marchi stessi a produttori o commercianti.
2. I regolamenti
concernenti l'uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni,
devono essere allegati alla domanda di registrazione; le modificazioni regolamentari
devono essere comunicate a cura dei titolari all'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi per
essere incluse tra i documenti allegati alla domanda.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 sono applicabili anche ai marchi collettivi stranieri registrati nel paese di origine.
4. In deroga
all'articolo 13, comma 1, un marchio collettivo può consistere in segni o
indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza
geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi può
rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi
richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio, o comunque
recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle
amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti.
L'avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico
non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome
stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza
professionale e quindi limitato alla funzione di indicazione di provenienza.
5. I marchi
collettivi sono soggetti a tutte le altre disposizioni del presente codicecodice
in quanto non contrastino con la natura di essi.
Art. 12
(Novità)
1. Non sono nuovi, ai sensi dell'articolo 7, i segni che alla data del deposito della domanda:
a) consistano esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio;
b)
siano identici o simili ad un segno già noto come
marchio o segno distintivo di prodotti o servizi fabbricati, messi in commercio
o prestati da altri per prodotti o servizi identici o affini, se a causa
dell'identità o somiglianza tra i segni e dell'identità o affinità fra i
prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il
pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due
segni. Si considera altresì noto il marchio che ai sensi dell'articolo 6-bis
della Convenzione di Unione di Parigi - (testo
di Stoccolma 14 luglio 1967), sia notoriamente conosciuto presso
il pubblico interessato, anche in forza della notorietà acquisita nello Stato
attraverso la promozione del marchio. L'uso precedente del segno, quando non
importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la
novità, ma il terzo preutente ha diritto di continuare nell'uso del marchio,
anche ai fini della pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante
la registrazione del marchio stesso. L'uso precedente del segno da parte del
richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla registrazione;
c) siano identici o simili a un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale, adottato da altri, se a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra l'attività d'impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. L'uso precedente del segno, quando non importi notorietà di esso, o importi notorietà puramente locale, non toglie la novità. L'uso precedente del segno da parte del richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla registrazione;
d) siano identici ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici;
e) siano identici o simili ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni o dell'identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
f) nei casi di cui alle lettere d) ed e), non toglie la novità il marchio anteriore che sia scaduto da oltre due anni ovvero tre se si tratta di un marchio collettivo o possa considerarsi decaduto per non uso ai sensi dell’articolo 26 al momento della proposizione della domanda o dell'eccezione di nullità;
g) siano identici o simili ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi anche non affini, quando il marchio anteriore goda nella Comunità, se comunitario, o nello Stato, di rinomanza e quando l'uso di quello successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi;
h)
siano identici o simili ad un marchio già
notoriamente conosciuto ai sensi dell'articolo 6-bisdella Convenzione di Unione di Parigi, (testo di
Stoccolma 14 luglio 1967), per prodotti o servizi anche non
affini, quando ricorrono le condizioni di cui alla lettera g).
2. Ai fini previsti al comma 1, lettere d), e) e g), le domande anteriori sono assimilate ai marchi anteriori registrati, sotto riserva della conseguente registrazione.
Art. 13
(Capacità distintiva)
1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio.
2. In deroga al comma 1 e all'articolo 12, comma 1, lettera a) possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.
3. Il marchio non può essere dichiarato o considerato nullo se prima della proposizione della domanda o dell'eccezione di nullità, il segno che ne forma oggetto, a seguito dell'uso che ne è stato fatto, ha acquistato carattere distintivo.
4. Il marchio decade se, per il fatto dell'attività o dell'inattività del suo titolare sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia perduto la sua capacità distintiva.
Art. 14
(Liceità)
1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa:
a) i segni contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume;
b) i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi;
c) i segni il cui uso costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi.
2. Il marchio d'impresa decade:
a) se sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato;
b) se sia divenuto contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume;
c) per omissione da parte del titolare dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull'uso del marchio collettivo.
Art. 15
(Effetti della registrazione)
1. I diritti
esclusivi considerati da questo codicecodice sono conferiti
con la registrazione.
2. Gli effetti della prima registrazione decorrono dalla data di deposito della domanda. Trattandosi di rinnovazione gli effetti di essa decorrono dalla data di scadenza della registrazione precedente.
3. Salvo il disposto dell'articolo 20, comma 1, lettera c), la registrazione esplica effetto limitatamente ai prodotti o servizi indicati nella registrazione stessa ed ai prodotti o servizi affini.
4. La registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di rinuncia del titolare.
5. La rinuncia diviene efficace con la sua annotazione nel registro dei marchi di impresa e di essa deve essere data notizia nel bollettino.
Art. 16
(Rinnovazione)
1. La
registrazione può essere rinnovata per lo stesso marchio precedente, con riguardo allo
stesso genere di prodotti o di servizi secondo la classificazione internazionale
dei prodotti e dei servizi risultante dall'accordo di Nizza 15 giugno 1957,
ratificato con legge 24 dicembre 1959 n. 1178 e successive modificazioni.
2. La rinnovazione si effettua per periodi di dieci anni.
3. La rinnovazione della registrazione di un marchio che è stato oggetto di trasferimento per una parte dei prodotti o servizi è effettuata separatamente dai rispettivi titolari.
4. Restano
immutate la decorrenza e la durata degli effetti della registrazione per i
marchi registrati presso l'Organizzazione mMondiale
della pProprietà
iIntellettuale
di Ginevra.
Art. 17
(Registrazione internazionale)
1. Rimangono
ferme, per la registrazione dei marchi presso l'Organizzazione mMondiale
della pProprietà
iIntellettuale
di Ginevra (– OMPI),
le disposizioni vigenti ai sensi delle convenzioni internazionali.
2. I marchi
internazionali registrati presso l'Organizzazione mMondiale
della pProprietà
Iintellettuale
(OMPI) di Ginevra, in base all'accordo di Madrid concernente la registrazione
internazionale dei marchi ed al relativo protocollo adottato a Madrid il 27
giugno 1989, recanti la designazione dell'Italia quale Paese in cui si chiede
la protezione, devono rispondere ai requisiti previsti per i marchi nazionali
dal presente codicecodice.
3. L'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi effettua l'esame dei marchi internazionali designanti
l'Italia conformemente alle disposizioni applicabili alle domande di marchi
nazionali.
Art. 18
(Protezione temporanea)
1. Entro i limiti
ed alle condizioni indicate nel comma 2, può essere accordata, mediante decreto
del Ministro per delle attività
produttive, una protezione temporanea ai nuovi marchi apposti sui prodotti o
sui materiali inerenti alla prestazione dei servizi che figurano in esposizioni
nazionali o internazionali, ufficiali od ufficialmente riconosciute, tenute nel
territorio dello Stato o in uno Stato estero che accordi reciprocità di
trattamento.
2. La protezione temporanea fa risalire la priorità della registrazione, a favore del titolare o del suo avente causa, al giorno della consegna del prodotto o del materiale inerente alla prestazione del servizio per l'esposizione, ed ha effetto sempre che la domanda di registrazione sia depositata entro sei mesi dalla data della consegna ed in ogni caso non oltre sei mesi dall'apertura dell'esposizione.
3. Nel caso di esposizione tenuta in uno Stato estero, se ivi è stabilito un termine più breve, la domanda di registrazione deve essere depositata entro questo termine.
4. Tra più marchi identici o simili per prodotti o servizi identici o affini presentati per l'esposizione nello stesso giorno, la priorità spetta al marchio per il quale è stata depositata prima la domanda di registrazione.
5. Le date di cui
ai commi 2, 3 e 4 devono essere indicate dall'interessato e menzionate
nell'attestato di registrazione, previa la loro verifica da parte dell'Ufficio Italiano
Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e marchi.
Art. 19
(Diritto alla registrazione)
1. Può ottenere una registrazione per marchio d'impresa chi lo utilizzi, o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso.
2. Non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede.
3. Anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio.
Art. 20
(Diritti conferiti dalla registrazione)
1. I diritti del
titolare del marchio d'impresa registrato consistono consistono
nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il
diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività
economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.
Art. 21
(Limitazioni del diritto di marchio)
1. I diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio d'impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva.
2. Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi.
3. E' vietato a chiunque di fare uso di un marchio registrato dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio.
Art. 22
(Unitarietà dei segni distintivi)
1. E' vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all'altrui marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
2. Il divieto di cui al comma 1 si estende all'adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
Art. 23
(Trasferimento del marchio)
1. Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato.
2. Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.
3. Il titolare del marchio d'impresa può far valere il diritto all'uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata, al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario.
4. In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico.
Art. 24
(Uso del marchio)
1. A pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo.
2. Ai fini di cui al presente articolo sono equiparati all'uso del marchio l'uso dello stesso in forma modificata che non ne alteri il carattere distintivo, nonché l'apposizione nello Stato del marchio sui prodotti o sulle loro confezioni ai fini dell'esportazione di essi.
3. Salvo il caso di diritti acquistati sul marchio da terzi con il deposito o con l'uso, la decadenza non può essere fatta valere qualora fra la scadenza del quinquennio di non uso e la proposizione della domanda o dell’eccezione di decadenza sia iniziato o ripreso l'uso effettivo del marchio. Tuttavia se il titolare effettua i preparativi per l'inizio o per la ripresa dell'uso del marchio solo dopo aver saputo che sta per essere proposta la domanda o eccezione di decadenza, tale inizio o ripresa non vengono presi in considerazione se non effettuati almeno tre mesi prima della proposizione della domanda o eccezione di decadenza; tale periodo assume peraltro rilievo solo se decorso successivamente alla scadenza del quinquennio di mancato uso.
4. Inoltre, neppure avrà luogo la decadenza per non uso se il titolare del marchio non utilizzato sia titolare, in pari tempo, di altro o altri marchi simili tuttora in vigore di almeno uno dei quali faccia effettiva utilizzazione per contraddistinguere gli stessi prodotti o servizi.
Art. 25
(Nullità)
1. Il marchio è nullo:
a) se manca di uno dei requisiti previsti nell'articolo 7 o se sussista uno degli impedimenti previsti dall'articolo 12;
b) se è in contrasto con il disposto degli articoli 9, 10, 13, 14, comma 1 e 19, comma 2;
c) se è in contrasto con il disposto dell'articolo 8;
d) nel caso dell'articolo 118, comma 3, lettera b).
Art. 26
(Decadenza)
1. Il marchio decade:
a) per volgarizzazione ai sensi dell'articolo 13, comma 4;
b) per illiceità sopravvenuta ai sensi dell'articolo 14, comma 2;
c) per non uso ai sensi dell'articolo 24.
Art. 27
(Decadenza e nullità parziale)
1. Se i motivi di decadenza o di nullità di un marchio d'impresa sussistono soltanto per una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, la decadenza o nullità riguardano solo questa parte dei prodotti o servizi.
Art. 28
(Convalidazione)
1. Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso.
2. La disciplina del comma 1 si applica anche al caso di marchio registrato in violazione degli articoli 8 e 14, comma 1, lettera c).
SEZIONE II
INDICAZIONI GEOGRAFICHE
Art. 29
(Oggetto della tutela)
1. Sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico d'origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione.
Art. 30
(Tutela)
1. Salva la disciplina della concorrenza sleale, salve le convenzioni internazionali in materia e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede è vietato quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l'uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l'uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un'indicazione geografica.
2. La tutela di cui al comma 1 non permette di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica del proprio nome, o del nome del proprio dante causa nell'attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da ingannare il pubblico.
SEZIONE III
DISEGNI E MODELLI
Art. 31
(Oggetto della registrazione)
1. Possono
costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l'aspetto
dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle
caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della
struttura superficiale e/oovvero dei
materiali del prodotto stesso e/oovvero del suo
ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale.
2. Per prodotto si intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l'altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore.
3. Per prodotto complesso si intende un prodotto formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto.
Art. 32
(La novità)
1. Un disegno o modello è nuovo se nessun disegno o modello identico è stato divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione, ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest'ultima. I disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti.
Art. 33
(Carattere individuale)
1. Un disegno o modello ha carattere individuale se l'impressione generale che suscita nell'utilizzatore informato differisce dall'impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest'ultima.
2. Nell'accertare il carattere individuale di cui al comma 1, si prende in considerazione il margine di libertà di cui l'autore ha beneficiato nel realizzare il disegno o modello.
Art. 34
(Divulgazione)
1. Ai fini dell'applicazione degli articoli 32 e 33, il disegno o modello si considera divulgato se è stato reso accessibile al pubblico per effetto di registrazione o in altro modo, ovvero, se è stato esposto, messo in commercio o altrimenti reso pubblico, a meno che tali eventi non potessero ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato, operanti nella Comunità, nel corso della normale attività commerciale, prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest'ultima.
2. Il disegno o modello non si considera reso accessibile al pubblico per il solo fatto di essere stato rivelato ad un terzo sotto vincolo esplicito o implicito di riservatezza.
3. Ai fini dell'applicazione degli articoli 32 e 33 non si considera reso accessibile al pubblico il disegno o modello divulgato dall'autore o dal suo avente causa oppure da un qualsiasi terzo in virtù di informazioni o di atti compiuti dall'autore o dal suo avente causa nei dodici mesi precedenti la data di presentazione della domanda di registrazione ovvero, quando si rivendichi la priorità, nei dodici mesi precedenti la data di quest'ultima.
4. Non costituisce altresì divulgazione, ai fini dell'applicazione degli articoli 32 e 33, il fatto che il disegno o modello sia stato reso accessibile al pubblico nei dodici mesi precedenti la data di presentazione della domanda o la data di priorità, se ciò risulti, direttamente o indirettamente, da un abuso commesso nei confronti dell'autore o del suo avente causa.
Art. 35
(Prodotto complesso)
1. Il disegno o modello applicato od incorporato nel componente di un prodotto complesso possiede i requisiti della novità e del carattere individuale soltanto:
a) se il componente, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione e cioè durante l'utilizzazione da parte del consumatore finale, esclusi gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione;
b) se le caratteristiche visibili del componente possiedono di per sé i requisiti di novità e di individualità.
Art. 36
(Funzione tecnica)
1. Non possono costituire oggetto di registrazione come disegni o modelli quelle caratteristiche dell'aspetto del prodotto che sono determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso.
2. Non possono formare oggetto di registrazione per disegno o modello le caratteristiche dell'aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere incorporato in esso oppure intorno o a contatto con esso, in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione. Tuttavia possono costituire oggetto di registrazione i disegni o modelli che possiedono i requisiti della novità e del carattere individuale quando hanno lo scopo di consentire l'unione o la connessione multipla di prodotti intercambiabili in un sistema modulare.
Art. 37
(Durata della protezione)
1. La registrazione del disegno o modello dura cinque anni a decorrere dalla data di presentazione della domanda. Il titolare può ottenere la proroga della durata per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione.
Art. 38
(Diritto alla registrazione ed effetti)
1. I diritti esclusivi sui disegni e modelli sono attribuiti con la registrazione.
2. Il diritto alla registrazione spetta all'autore del disegno o modello ed ai suoi aventi causa.
3. Salvo patto contrario, la registrazione per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro, fermo restando il diritto del dipendente di essere riconosciuto come autore del disegno o modello e di fare inserire il suo nome nell'attestato di registrazione.
4. Gli effetti della registrazione decorrono dalla data in cui la domanda con la relativa documentazione è resa accessibile al pubblico.
5. L'Ufficio Italiano Brevetti e MarchiUfficio
italiano brevetti e marchi pone a disposizione del pubblico la
domanda di registrazione con le riproduzioni grafiche o i campioni e le
eventuali descrizioni dopo il deposito, purché il richiedente non abbia escluso
nella domanda l'accessibilità per un periodo che non può essere superiore a
trenta mesi dalla data di deposito o da quella di priorità.
6. Nei confronti delle persone alle quali la domanda con la riproduzione del disegno o modello e l'eventuale descrizione è stata notificata a cura del richiedente, glieffetti della registrazione decorrono dalla data di tale notifica.
Art. 39
(Registrazione multipla)
1. Con una sola domanda può essere chiesta la registrazione per più disegni e modelli purché destinati ad essere attuati o incorporati in oggetti inseriti nella medesima classe della classificazione internazionale dei disegni e modelli, formata ai sensi delle disposizioni di cui all'accordo di Locarno dell'8 ottobre 1968, e successive modificazioni, ratificato dalla legge 22 maggio 1974, n. 348.
2. Salvo il disposto del comma 1 e dell'articolo 40
non è ammessa la domanda concernente più registrazioni ovvero una sola
registrazione per più disegni e modelli. Se la domanda non è ammissibile l'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi invita l'interessato, assegnandogli un termine, a limitare
la domanda alla parte ammissibile, con facoltà di presentare, per i rimanenti
disegni e modelli, altrettante domande che avranno effetto dalla data della
prima domanda.
3. La registrazione concernente più modelli o disegni può essere limitata su istanza del titolare ad uno o più di essi.
4.
La domanda o la registrazione concernente un disegno o modello che non presenta
i requisiti di validità, su istanza del titolare, può essere mantenuta in forma
modificata, se l’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi verifica che in tale forma il disegno o
modello conserva la sua identità. La modificazione può risultare altresì da
parziale rinuncia da parte del titolare o dalla annotazione sull'attestato di
registrazione di una sentenza che dichiari la parziale nullità della
registrazione stessa.
Art. 40
(Registrazione contemporanea)
1. Se un disegno o modello possiede i requisiti di registrabilità ed al tempo stesso accresce l'utilità dell'oggetto al quale si riferisce, possono essere chiesti contemporaneamente il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello, ma l'una e l'altra protezione non possono venire cumulate in un solo titolo.
2. Se la domanda di registrazione comprende un oggetto la cui forma o disegno gli conferisca carattere nuovo e individuale e nello stesso tempo ne accresca l'utilità, è applicabile la procedura di limitazione di cui all’articolo 39, comma 2, apportando le necessarie modifiche.
Art. 41
(Diritti conferiti dal disegno o modello)
1. La registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo, e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso.
2. Costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l'offerta, la commercializzazione, l'importazione, l'esportazione o l'impiego di un prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini.
3. I diritti esclusivi conferiti dalla registrazione di un disegno o modello si estendono a qualunque disegno o modello che non produca nell'utilizzatore informato una impressione generale diversa.
4. Nel determinare l'estensione della protezione si tiene conto del margine di libertà dell'autore nella realizzazione del disegno o modello.
Art. 42
(Le limitazioni del diritto su disegno o modello)
1. I diritti conferiti dalla registrazione del disegno o modello non si estendono:
a) agli atti compiuti in ambito privato e per fini non commerciali;
b) agli atti compiuti a fini di sperimentazione;
c) agli atti di riproduzione necessari per le citazioni o per fini didattici, purché siano compatibili con i principi della correttezza professionale, non pregiudichino indebitamente l'utilizzazione normale del disegno o modello e sia indicata la fonte.
2. I diritti esclusivi conferiti dalla registrazione del disegno o modello non sono esercitabili riguardo:
a) all'arredo e alle installazioni dei mezzi di locomozione navale e aerea immatricolati in altri paesi che entrano temporaneamente nel territorio dello Stato;
b) all'importazione nello Stato di pezzi di ricambio e accessori destinati alla riparazione dei mezzi di trasporto di cui alla lettera a);
c) all'esecuzione delle riparazioni sui mezzi di trasporto predetti.
Art. 43
(Nullità)
1. La registrazione è nulla:
a) se il disegno o modello non è registrabile ai sensi degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36;
b) se il disegno o modello è contrario all'ordine pubblico o al buon costume; il disegno o modello non può essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietato da una disposizione di legge o amministrativa;
c) se il titolare della registrazione non aveva diritto di ottenerla e l'autore non si sia avvalso delle facoltà accordategli dall'articolo 118;
d) se il disegno o modello è in conflitto con un disegno o modello precedente che sia stato reso noto dopo la data di presentazione della domanda o, quando si rivendichi la priorità, dopo la data di quest' ultimama il cui diritto esclusivo decorre da una data precedente per effetto di registrazione comunitaria, nazionale o internazionale ovvero per effetto della relativa domanda;
e) se il disegno o modello è tale che il suo uso costituirebbe violazione di un segno distintivo ovvero di un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore;
f) se il disegno o modello costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati nell'articolo 6-ter della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, ovvero di segni, emblemi e stemmi diversi da quelli contemplati da detto articolo e che rivestono un particolare interesse pubblico nello Stato.
2. La nullità della registrazione del disegno o modello che forma oggetto di diritti anteriori ai sensi del comma 1, lettere d) ed e), può essere promossa unicamente dal titolare di tali diritti o dai suoi aventi causa.
3. La nullità della registrazione del disegno o modello che costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati nell'articolo 6-ter della Convenzione di Parigi ovvero di segni, emblemi e stemmi che rivestono un particolare interesse pubblico nello Stato, può essere fatta valere unicamente dall' interessato alla utilizzazione
Art. 44
(Durata del diritto di utilizzazione economica per diritto d'autore)
1. I diritti di utilizzazione
economica dei disegni e modelli industriali protetti ai sensi protetti
dell'articolo 2, comma 1, numero 10, della legge 22 aprile 1941,
n. 633, durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del venticinquesimo
venticinquesimoventicinquesimo
settantesimo anno solare
dopo la sua morte o dopo la morte dell'ultimo dei coautori.
2. Il Ministero per i beni e le attività culturali comunica, con cadenza
periodica, Aall'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi i dati relativi alle opere depositate ai sensi
dell’articolo 103 della legge 22 aprile 1941, n. 633, con riferimento al
titolo, alla descrizione dell’oggetto ed all’autore, al nome, al domicilio del
titolare dei diritti, alla data della pubblicazione, nonché ad ogni altra
annotazione o trascrizione.
3. L'Ufficio italiano brevetti e marchi annota i dati di cui al comma 2 nel Bollettino Ufficiale pubblicato ai sensi dell’articolo 189 del presente codice.
SEZIONE IV
INVENZIONI
Art. 45
(Oggetto del brevetto)
1. Possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un'attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale.
2. Non sono considerate come invenzioni ai sensi del comma 1 in particolare:
a) le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;
b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale ed i programmi di elaboratore;
c) le presentazioni di informazioni.
3. Le disposizioni del comma 2 escludono la brevettabilità di ciò che in esse è nominato solo nella misura in cui la domanda di brevetto o il brevetto concerna scoperte, teorie, piani, principi, metodi, programmi e presentazioni di informazioni considerati in quanto tali.
4. Non sono considerati come invenzioni ai sensi del comma 1 i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale. Questa disposizione non si applica ai prodotti, in particolare alle sostanze o alle miscele di sostanze, per l'attuazione di uno dei metodi nominati;
5. Non possono costituire oggetto di brevetto le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici per l'ottenimento delle stesse. Questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici ed ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti.
Art. 46
(La novità)
1. Un'invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica.
2. Lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo.
3. E' pure considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti e aventi effetto per l'Italia, così come sono state depositate, che abbiano una data di deposito anteriore a quella menzionata nel comma 2 e che siano state pubblicate o rese accessibili al pubblico anche in questa data o più tardi.
4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purché in funzione di una nuova utilizzazione.
Art. 47
(Divulgazioni non opponibili)
1. Per l'applicazione dell'articolo 46, una divulgazione dell'invenzione non è presa in considerazione se si è verificata nei sei mesi che precedono il deposito della domanda di brevetto e risulta direttamente o indirettamente da un abuso evidente ai danni del richiedente o del suo dante causa.
2. Non è presa altresì in
considerazione la divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali o
ufficialmente riconosciute ai sensi della convenzione concernente le esposizioni
internazionali, firmata a Parigi il 22 novembre.11.1928,
e successive modificazioni.
3. Per le invenzioni per le quali si è rivendicata la priorità ai sensi delle convenzioni internazionali, la sussistenza del requisito della novità deve valutarsi con riferimento alla data alla quale risale la priorità.
Art. 48
(Attività inventiva)
1. Un'invenzione è considerata come implicante un'attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. Se lo stato della tecnica comprende documenti di cui al comma 3 dell'articolo 46, questi documenti non sono presi in considerazione per l'apprezzamento dell'attività inventiva.
Art. 49
(Industrialità)
1. Un'invenzione è considerata atta ad avere un'applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola.
Art. 50
(Liceità)
1. Non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione è contraria all'ordine pubblico o al buon costume.
2. L'attuazione di un’ invenzione non può essere considerata contraria all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa.
Art. 51
(Sufficiente descrizione)
1. Alla domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale debbono unirsi la descrizione e i disegni necessari alla sua intelligenza.
2. L'invenzione deve essere descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla e deve essere contraddistinta da un titolo corrispondente al suo oggetto.
3. Se un'invenzione riguarda un procedimento microbiologico o un prodotto ottenuto mediante tale procedimento e implica l'utilizzazione di un microrganismo non accessibile al pubblico e che non può essere descritto in modo tale da permettere ad ogni persona esperta del ramo di attuare l'invenzione, nella domanda di brevetto si dovranno osservare, quanto alla descrizione, le norme previste nel regolamento.
Art. 52
(Rivendicazioni)
1. La descrizione deve iniziare con un riassunto che ha solo fini di informazione tecnica e deve concludersi con una o più rivendicazioni in cui sia indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto.
2. I limiti della protezione sono determinati dal tenore delle rivendicazioni. Tuttavia, la descrizione e i disegni servono ad interpretare le rivendicazioni.
3. La disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
Art. 53
(Effetti della brevettazione)
1. I diritti esclusivi
considerati da questo codicecodice sono
conferiti con la concessione del brevetto.
2. Gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è resa accessibile al pubblico.
3. Decorso il termine di
diciotto mesi dalla data di deposito della domanda oppure dalla data di
priorità, ovvero dopo novanta giorni dalla data di deposito della domanda se il
richiedente ha dichiarato nella domanda stessa di volerla rendere
immediatamente accessibile al pubblico, l'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi
pone a disposizione del pubblico la domanda con gli allegati.
4. Nei confronti delle persone alle quali la domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è stata notificata a cura del richiedente, gli effetti del brevetto per invenzione industriale decorrono dalla data di tale notifica.
Art. 54
(Effetti della domanda di brevetto europeo)
1. La protezione conferita
dalla domanda di brevetto europeo ai sensi dell'articolo 67, paragrafo 1, della
Convenzione sul brevetto europeo, decorre dalla data in cui il titolare
medesimo abbia resa accessibile al pubblico, tramite l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi,
una traduzione in lingua italiana delle rivendicazioni ovvero l'abbia
notificata direttamente al presunto contraffattore. Gli effetti della domanda
di brevetto europeo sono considerati nulli dall'origine quando la domanda
stessa sia stata ritirata o respinta, ovvero quando la designazione dell'Italia
sia stata ritirata.
Art. 55
(Effetti della designazione o dell'elezione dell'Italia)
1. La domanda internazionale depositata ai sensi del Trattato di cooperazione in materia di brevetti, ratificato dalla legge 26 maggio 1978, n. 260, e contenente la designazione o l'elezione dell'Italia equivale ad una domanda di brevetto europeo nella quale sia stata designata l'Italia e ne produce gli effetti ai sensi della convenzione sul brevetto europeo e delle norme di attuazione dello stesso.
Art. 56
(Effetti del brevetto europeo)
1. Il brevetto europeo rilasciato per l'Italia ha gli stessi effetti ed è sottoposto allo stesso regime dei brevetti italiani a decorrere dalla data in cui è pubblicata nel Bollettino Europeo dei brevetti la menzione della concessione del brevetto ovvero, qualora nella procedura di opposizione esso sia mantenuto in forma modificata, a decorrere dalla data in cui è pubblicata la menzione della decisione concernente l'opposizione.
2. Le contraffazioni sono valutate in conformità della legislazione italiana in materia.
3. I predetti effetti sono
subordinati alla condizione che il titolare abbia fornito all'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi una traduzione in lingua italiana del testo nel quale
l'Ufficio europeo ha concesso il brevetto ovvero lo ha mantenuto in forma modificata.
4. La traduzione, dichiarata perfettamente conforme al testo originale dal titolare del brevetto ovvero dal suo mandatario deve essere depositata entro il termine di tre mesi dalla data di pubblicazione di cui al comma 1.
5. In caso di inosservanza alle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, il brevetto europeo è considerato, fin dall'origine, senza effetto in Italia.
Art. 57
(Testo della domanda o del brevetto europeo che fa fede)
1. Il testo della domanda di brevetto europeo o del brevetto europeo, redatto nella lingua di procedura davanti l'Ufficio europeo dei brevetti, fa fede per quanto concerne l'estensione della protezione, salvo il disposto dell'articolo 70, paragrafo 2, della Convenzione sul brevetto europeo.
2. Tuttavia la traduzione in lingua italiana degli atti relativi al deposito della domanda ed alla concessione del brevetto europeo è considerata facente fede nel territorio dello Stato qualora conferisca una protezione meno estesa di quella conferita dal testo redatto nella lingua di procedura dell'Ufficio europeo dei brevetti.
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica nel caso di azione di nullità.
4. Una traduzione
rettificata può essere presentata, in qualsiasi momento, dal titolare della
domanda o del brevetto; essa esplica i suoi effetti solo dopo che sia stata
resa accessibile al pubblico presso l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
ovvero notificata al presunto contraffattore.
5. Chiunque, in buona fede, abbia cominciato ad attuare in Italia un'invenzione, ovvero abbia fatto effettivi preparativi a questo scopo senza che detta attuazione costituisca contraffazione della domanda o del brevetto nel testo della traduzione inizialmente presentata, può proseguire a titolo gratuito lo sfruttamento dell'invenzione nella sua azienda o per i bisogni di essa anche dopo che la traduzione rettificata ha preso effetto.
Art. 58
(Trasformazione della domanda di brevetto europeo)
1. La domanda di brevetto europeo, nella quale sia stata designata l'Italia, può essere trasformata in domanda di brevetto italiano per invenzione industriale:
a) nei casi previsti dall'articolo 135, paragrafo 1, lettera a) della Convenzione sul brevetto europeo;
b) in caso di inosservanza del termine di cui all'articolo 14, paragrafo 2, della Convenzione sul brevetto europeo, quando la domanda sia stata originariamente depositata in lingua italiana.
2. E' consentita la trasformazione in domanda nazionale per modello di utilità di una domanda di brevetto europeo respinta, ritirata o considerata ritirata o del brevetto europeo revocato il cui oggetto abbia i requisiti di brevettabilità previsti dalla legislazione italiana per i modelli di utilità.
3. A coloro che richiedano la trasformazione di cui al comma 1 è consentito chiedere contemporaneamente l'eventuale trasformazione in domanda di modello di utilità ai sensi dell'articolo 84.
4. Se una regolare
richiesta di trasformazione ai sensi dei commi 1, 2 e 3 è stata trasmessa all'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, la domanda di brevetto è considerata come depositata in
Italia alla stessa data di deposito della domanda di brevetto europeo; gli atti
annessi a detta domanda che sono stati presentati all'Ufficio europeo dei
brevetti sono considerati come depositati in Italia alla stessa data.
Art. 59
(Preminenza del brevetto europeo in caso di cumulo delle protezioni)
1. Qualora, per la medesima invenzione un brevetto italiano ed un brevetto europeo valido in Italia siano stati concessi allo stesso inventore o al suo avente causa con la medesima data di deposito o di priorità, il brevetto italiano, nella misura in cui esso tutela la stessa invenzione del brevetto europeo, cessa di produrre i suoi effetti alla data in cui:
a) il termine per promuovere l'opposizione al brevetto europeo è scaduto senza che sia stata fatta opposizione, ovvero
b) la procedura di opposizione si è definitivamente conclusa con il mantenimento in vigore del brevetto europeo, ovvero
c) il brevetto italiano è stato rilasciato, se tale data è posteriore a quella di cui alle lettere a) o b).
2. Le disposizioni del
comma 1 rimangono valide anche se, successivamente, il brevetto
europeo venga annullato o decada.
3. Alla scadenza dei termini di cui al comma 1, colui che ha promosso un'azione a tutela del brevetto italiano può chiederne la conversione nella corrispondente azione a tutela del brevetto europeo, fatti salvi i diritti che scaturiscono dal brevetto italiano per il periodo anteriore.
Art. 60
(Durata)
1. Il brevetto per invenzione industriale dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata.
Art. 61
(Certificato complementare)
1. Ai Certificati Complementari di Protezione si applica il Regolamento 1768/92/CEE.
2. Ai certificati
complementari di protezione concessi ai sensi della Llegge
19 ottobre 1991, n. 349, si applica il regime giuridico, con gli stessi diritti
esclusivi ed obblighi, del brevetto. Il certificato complementare di protezione
produce gli stessi effetti del brevetto al quale si riferisce limitatamente
alla parte o alle parti di esso relative al medicamento oggetto
dell'autorizzazione all'immissione in commercio.
3. Gli effetti del certificato complementare di protezione, di cui al comma 2, decorrono dal momento in cui il brevetto perviene al termine della sua durata legale e si estendono per una durata pari al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda di brevetto e la data del decreto con cui viene concessa la prima autorizzazione all'immissione in commercio del medicamento.
4. La durata del certificato complementare di protezione, di cui al comma 2, non può in ogni caso essere superiore a diciotto anni a decorrere dalla data in cui il brevetto perviene al termine della sua durata legale.
5. Al fine di adeguare
progressivamente la durata della copertura brevettuale complementare a quella
prevista dalla normativa comunitaria, le disposizioni di cui alla lLegge
19 ottobre 1991, n. 349, ed al regolamento CEE n. 1768/1992 del Consiglio del
18 giugno 1992, trovano attuazione attraverso una riduzione della protezione
complementare pari a sei mesi per ogni anno solare, a decorrere dal 1° gennaio
2004, fino al completo allineamento alla normativa europea.
6. Le aziende che intendono produrre specialità farmaceutiche al di fuori della copertura brevettuale possono avviare la procedura di registrazione del prodotto contenente il principio attivo in anticipo di un anno rispetto alla scadenza della copertura brevettuale complementare del principio attivo.
Art.62
(Diritto morale)
1. Il diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione può essere fatto valere dall'inventore e, dopo la sua morte, dal coniuge, e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la loro morte, dai genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto grado incluso.
Art. 63
(Diritti patrimoniali)
1. I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di essere riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili.
2. Il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all'autore dell'invenzione e ai suoi aventi causa.
Art. 64
(Invenzioni dei dipendenti)
1. Quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.
2. Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione aziendale.
3. Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività dell'impresa, a cui è addetto l'inventore, il datore di lavoro ha il diritto di opzione per l'uso esclusivo, o non esclusivo, dell'invenzione, o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere, od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all'estero, verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla ricevuta comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto.
4. Ferma la competenza del giudice ordinario relativa all'accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l'accordo circa l'ammontare degli stessi, anche se l'inventore è un dipendente di amministrazione statale, alla determinazione dell'ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale del luogo dove il prestatore d'opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile.
5. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal giudice.
6. Agli effetti dei commi 1, 2 e 3, si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'amministrazione pubblica nel cui campo di attività l'invenzione rientra.
Art. 65
(Invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca)
1. In deroga all'articolo
64 Codice
e all'articolo 34 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, quando il rapporto di lavoro intercorre con
un'università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi
istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei
diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più
autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette
ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall’invenzione
appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. L’inventore
presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all’amministrazione
2. Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione, ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci.
3. In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il trenta per cento dei proventi o canoni.
4. Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualor l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati, ovvero realizzate nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.
Art. 66
(Diritto di brevetto)
1. I diritti di brevetto
per invenzione industriale consistono nella facoltà esclusiva di attuare
l'invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, entro i limiti ed
alle condizioni previste dal presente codicecodice.
2. In particolare il brevetto conferisce al titolare i seguenti diritti esclusivi:
a) se oggetto del brevetto è un prodotto, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione;
b) se oggetto del brevetto è un procedimento, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione.
Art. 67
(Brevetto di procedimento)
1. Nel caso di brevetto di procedimento, ogni prodotto identico a quello ottenuto mediante il procedimento brevettato si presume ottenuto, salva prova contraria, mediante tale procedimento, alternativamente:
a) se il prodotto ottenuto mediante il procedimento è nuovo;
b) se risulta una sostanziale probabilità che il prodotto identico sia stato fabbricato mediante il procedimento e se il titolare del brevetto non è riuscito attraverso ragionevoli sforzi a determinare il procedimento effettivamente attuato.
2. Ai fini della prova contraria, deve tenersi conto del legittimo interesse del convenuto in contraffazione alla protezione dei suoi segreti di fabbricazione e commerciali.
3. Quando il titolare di un brevetto concernente un nuovo metodo o processo industriale somministra ad altri i mezzi univocamente destinati ad attuare l'oggetto del brevetto, si presume che abbia anche dato licenza di fare uso di tale metodo o processo purché non esistano patti contrari.
Art. 68
(Limitazioni del diritto di brevetto)
1. La facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale che sia l'oggetto dell'invenzione:
a) agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali, ovvero in via sperimentale;
b) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati; in questo caso vengono fatti salvi i diritti derivanti da brevetti di sintesi di principi attivi.
2. Il brevetto per invenzione industriale, la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso dei titolari di questi ultimi.
3. Chiunque, nel corso dei dodici mesi anteriori alla data di deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità, abbia fatto uso nella propria azienda dell'invenzione può continuare ad usarne nei limiti del preuso. Tale facoltà è trasferibile soltanto insieme all'azienda in cui l'invenzione viene utilizzata. La prova del preuso e della sua estensione è a carico del preutente.
Art. 69
(Onere di attuazione)
1. L'invenzione industriale che costituisce oggetto di brevetto deve essere attuata nel territorio dello Stato in misura tale da non risultare in grave sproporzione con i bisogni del paese.
2. Le invenzioni riguardanti oggetti che per la prima volta figurano in una esposizione ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, si considerano attuate da quando gli oggetti vi sono introdotti fino alla chiusura della medesima, purché siano stati esposti almeno per dieci giorni o, in caso di esposizione di più breve durata, per tutto il periodo di essa.
3. L'introduzione o la
vendita nel territorio dello Stato di oggetti prodotti in Stati diversi da
quelli membri della unione europea o dello Spazio economico europeo e/oovvero
da quelli membri dell'Organizzazione mondiale del commercio non costituisce
attuazione dell'invenzione.
Art. 70
(Licenza obbligatoria per mancata attuazione)
1. Trascorsi tre anni dalla
data di rilascio del brevetto, o quattro anni dalla data di deposito della
domanda se questo termine scade successivamente al precedente, qualora il
titolare del brevetto o il suo avente causa, direttamente o a mezzo di uno o
più licenziatari, non abbia attuato l'invenzione brevettata, producendo nel
territorio dello Stato o importando oggetti prodotti in uno Stato membro della
unione europea o dello Spazio economico europeo e/oovvero
in uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ovvero l'abbia
attuata in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del
paese, può essere concessa licenza obbligatoria per l'uso non esclusivo dell'invenzione
medesima, a favore di ogni interessato che ne faccia richiesta.
2. La licenza obbligatoria di cui al comma 1 può ugualmente venire concessa qualora l'attuazione dell'invenzione sia stata, per oltre tre anni, sospesa o ridotta in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del paese.
3. La licenza obbligatoria non viene concessa se la mancata o insufficiente attuazione è dovuta a cause indipendenti dalla volontà del titolare del brevetto o del suo avente causa. Non sono comprese fra tali cause la mancanza di mezzi finanziari e, qualora il prodotto stesso sia diffuso all'estero, la mancanza di richiesta nel mercato interno del prodotto brevettato od ottenuto con il procedimento brevettato.
4. La concessione della licenza obbligatoria non esonera il titolare del brevetto, o il suo avente causa, dall'onere di attuare l'invenzione. Il brevetto decade qualora l'invenzione non sia stata attuata entro due anni dalla concessione della prima licenza obbligatoria o lo sia stata in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del paese.
Art. 71
(Brevetto dipendente)
1. Può essere concessa licenza obbligatoria se l'invenzione protetta dal brevetto non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un brevetto concesso in base a domanda precedente. In tal caso la licenza può essere concessa al titolare del brevetto posteriore nella misura necessaria a sfruttare l'invenzione, purché questa rappresenti, rispetto all'oggetto del precedente brevetto, un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica.
2. La licenza così ottenuta non è cedibile se non unitamente al brevetto sull'invenzione dipendente. Il titolare del brevetto sull'invenzione principale ha diritto a sua volta alla concessione di una licenza obbligatoria a condizioni ragionevoli sul brevetto dell'invenzione dipendente.
Art. 72
(Disposizioni comuni)
1. Chiunque domandi la concessione di una licenza obbligatoria ai sensi degli articoli 70 e 71, deve provare di essersi preventivamente rivolto al titolare del brevetto e di non avere potuto ottenere da questi una licenza contrattuale ad eque condizioni.
2. La licenza obbligatoria può essere concessa soltanto contro corresponsione, da parte del licenziatario ed a favore del titolare del brevetto o dei suoi aventi causa, di un equo compenso e purché il richiedente la licenza fornisca le necessarie garanzie in ordine ad una soddisfacente attuazione dell'invenzione a norma delle condizioni fissate nella licenza medesima.
3. La licenza obbligatoria non può essere concessa quando risulti che il richiedente abbia contraffatto il brevetto a meno che non dimostri la sua buona fede.
4. La licenza obbligatoria può essere concessa per uno sfruttamento dell'invenzione diretto prevalentemente all'approvvigionamento del mercato interno.
5. La licenza obbligatoria è concessa per durata non superiore alla rimanente durata del brevetto e, salvo che vi sia il consenso del titolare del brevetto o del suo avente causa, può essere trasferita soltanto con l'azienda del licenziatario o con il ramo particolare di questa nel quale la licenza stessa viene utilizzata.
6. La concessione della licenza obbligatoria non pregiudica l'esercizio, anche da parte del licenziatario, dell'azione giudiziaria circa la validità del brevetto, o l'estensione dei diritti che ne derivano.
7. Nel decreto di concessione della licenza vengono determinati l'ambito, la durata, le modalità per l'attuazione, le garanzie e le altre condizioni alle quali è subordinata la concessione in relazione allo scopo della stessa, la misura e le modalità di pagamento del compenso. In caso di opposizione la misura e le modalità di pagamento del compenso sono determinate a norma dell'articolo 80.
8. Le condizioni della licenza possono, con decreto del Ministero delle attività produttive, essere variate su richiesta di ognuna delle parti interessate, qualora sussistano validi motivi al riguardo.
9. Per la modificazione del compenso si applica l'articolo 80.
10. Nel caso in cui il titolare del brevetto per il quale sia stata concessa licenza obbligatoria, o il suo avente causa, conceda a terzi l'uso del brevetto medesimo a condizioni più vantaggiose di quelle stabilite per la licenza obbligatoria, le condizioni stesse sono estese alla licenza obbligatoria, su istanza del licenziatario.
Art. 73
(Revoca della licenza obbligatoria)
1. La licenza obbligatoria è revocata con decreto del Ministero delle attività produttive qualora non risultino adempiute le condizioni stabilite per l'attuazione dell'invenzione, oppure qualora il titolare della licenza non abbia provveduto al pagamento del compenso nella misura e con le modalità prescritte.
2. La licenza obbligatoria è altresì revocata con decreto del Ministero delle attività produttive se e quando le circostanze che hanno determinato la concessione cessino di esistere ed è improbabile che tornino a verificarsi oppure su istanza concorde delle parti.
3. La revoca può essere
richiesta dal titolare del brevetto con istanza presentata all'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi che ne dà pronta notizia mediante lettera raccomandata con
avviso di ricevimento al titolare della licenza obbligatoria, il quale, entro
sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata, può opporsi motivatamente
alla revoca, con istanza presentata all'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi. Si
applicano le disposizioni dell'articolo 199, commi 3, 4, 5, 6 e 7.
4. In caso di revoca colui che aveva ottenuto la licenza può attuare l'invenzione alle stesse condizioni, nei limiti del preuso o in quelli che risultano da preparativi seri ed effettivi.
Art. 74
(Invenzioni militari)
1. Le disposizioni relative alla concessione di licenza obbligatoria per mancata o insufficiente attuazione oppure su brevetto dipendente non si applicano alle invenzioni brevettate appartenenti all'amministrazione militare o a quelle sottoposte dall'amministrazione militare al vincolo del segreto.
Art. 75
(Decadenza per mancato pagamento dei diritti.)
1. Il brevetto per invenzione decade per mancato pagamento entro sei mesi dalla scadenza del diritto annuale dovuto, subordinatamente all'osservanza delle disposizioni dei commi 2, 3 e 4.
2. Trascorso il mese di
scadenza del diritto annuale e trascorsi altresì inutilmente i successivi sei
mesi nei quali il pagamento è ammesso con l'applicazione di un diritto di mora,
e comunque scaduto il termine utile per il pagamento del diritto, l'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi notifica all'interessato, con comunicazione raccomandata,
che non risulta effettuato, nel termine prescritto, il pagamento del diritto
dovuto. L'Ufficio Italiano Brevetti e MarchiUfficio
italiano brevetti e marchi, dopo trenta giorni dalla comunicazione
anzidetta, dà atto nel registro dei brevetti, con apposita annotazione, della
avvenuta decadenza del brevetto per mancato pagamento del diritto annuale,
pubblicando poi nel bollettino la notizia della decadenza stessa.
3. Il titolare del brevetto, ove provi di avere tempestivamente effettuato il pagamento, può chiedere, con ricorso alla Commissione dei ricorsi, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del Bollettino, l'annullamento della anzidetta annotazione di decadenza e la rettifica della pubblicazione. La Commissione procede, udita la parte interessata, o i suoi incaricati, e tenute presenti le loro eventuali osservazioni scritte. Tanto della presentazione del ricorso, quanto del dispositivo della sentenza, deve essere presa nota nel registro dei brevetti e pubblicata notizia nel Bollettino.
4. Intervenuta la pubblicazione di cui al comma 2 e trascorsi sei mesi da tale pubblicazione, ovvero se il ricorso sia stato respinto, il brevetto si intende decaduto nei confronti di chiunque dal compimento dell'ultimo anno per il quali sia stato pagato utilmente il diritto.
Art. 76
(Nullità)
1. Il brevetto è nullo:
a) se l'invenzione non è brevettabile ai sensi degli articoli 45, 46, 48, 49, e50;
b) se, ai sensi dell'articolo 51, l'invenzione non è descritta in modo sufficientemente chiaro e completo da consentire a persona esperta di attuarla;
c) se l'oggetto del brevetto si estende oltre il contenuto della domanda iniziale;
d) se il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l'avente diritto non si sia valso delle facoltà accordategli dall'articolo 118.
2. Se le cause di nullità colpiscono solo parzialmente il brevetto, la relativa sentenza di nullità parziale comporta una corrispondente limitazione del brevetto stesso.
3. Il brevetto nullo può produrre gli effetti di un diverso brevetto del quale contenga i requisiti di validità e che sarebbe stato voluto dal richiedente, qualora questi ne avesse conosciuto la nullità. La domanda di conversione può essere proposta in ogni stato e grado del giudizio. La sentenza che accerta i requisiti per la validità del diverso brevetto dispone la conversione del brevetto nullo. Il titolare del brevetto convertito, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di conversione, presenta domanda di correzione del testo del brevetto. L'Ufficio, verificata la corrispondenza del testo alla sentenza, lo rende accessibile al pubblico.
4. Qualora la conversione comporti il prolungamento della durata originaria del brevetto nullo, i licenziatari e coloro che in vista della prossima scadenza avevano compiuto investimenti seri ed effettivi per utilizzare l'oggetto del brevetto hanno diritto di ottenere licenza obbligatoria e gratuita non esclusiva per il periodo di maggior durata.
5. Il brevetto europeo può essere dichiarato nullo per l'Italia ai sensi del presente articolo, ed altresì quando la protezione conferita dal brevetto è stata estesa.
Art. 77
(Effetti della nullità)
1. La declaratoria di nullità del brevetto ha effetto retroattivo, ma non pregiudica:
a) gli atti di esecuzione di sentenze di contraffazione passate in giudicato già compiuti;
b) i contratti aventi ad oggetto l'invenzione conclusi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la nullità nella misura in cui siano già stati eseguiti. In questo caso tuttavia il giudice, tenuto conto delle circostanze, può accordare un equo rimborso di importi già versati in esecuzione del contratto;
c) i pagamenti già effettuati ai sensi degli articoli 64 e 65 a titolo di equo premio, canone o prezzo.
Art. 78
(Rinuncia)
1. Il titolare può
rinunciare al brevetto con atto ricevuto dall'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi da
annotare sul Registro dei brevetti.
2. Qualora in relazione al brevetto siano trascritti atti o sentenze che attribuiscano o accertino diritti patrimoniali di terzi sul brevetto ovvero domande giudiziali con le quali si chiede l'attribuzione o l'accertamento di tali diritti, la rinuncia è senza effetto se non accompagnata dal consenso scritto dei terzi medesimi.
Art. 79
(Limitazione)
1. Il brevetto può essere limitato su istanza del titolare alla quale devono unirsi la descrizione, le rivendicazioni e i disegni modificati.
2. Ove l'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi accolga l'istanza, il richiedente dovrà provvedere a
versare nuovamente la tassa per la pubblicazione a stampa della descrizione e
dei disegni qualora si fosse già provveduto alla stampa del brevetto originariamente
concesso.
3. L'istanza di limitazione non può essere accolta se è pendente un giudizio di nullità del brevetto e finché non sia passata in giudicato la relativa sentenza. Neppure può essere accolta in mancanza del consenso dei terzi che abbiano trascritto atti o sentenze che attribuiscano o accertino diritti patrimoniali o domande giudiziali con le quali si chiede l'attribuzione o l'accertamento di tali diritti.
4. L'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi
pubblica sul Bollettino la notizia della limitazione del brevetto.
Art. 80
(Licenza di diritto)
1. Il richiedente o il
titolare del brevetto nella domanda o con istanza anche del mandatario che
pervenga all'Ufficio Italiano Brevetti e MarchiUfficio
italiano brevetti e marchi, se non è trascritta licenza esclusiva,
può offrire al pubblico licenza per l'uso non esclusivo dell'invenzione.
2. Gli effetti della licenza decorrono dalla notificazione al titolare dell'accettazione dell'offerta, anche se non è accettato il compenso.
3. In quest'ultimo caso alla determinazione della misura e delle modalità di pagamento del compenso provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuno delle parti, ed il terzo nominato dai primi due o, in caso di disaccordo, dal presidente della commissione dei ricorsi. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea, oppure se una delle parti rifiuta di nominare il proprio arbitratore, la determinazione è fatta dal giudice.
4. Il compenso può essere modificato negli stessi modi prescritti nella determinazione di quello originario qualora si siano prodotti o rivelati fatti che fanno apparire manifestamente inadeguato il compenso già fissato.
5. Il richiedente o titolare del brevetto che abbia offerto al pubblico licenza sul brevetto ha diritto alla riduzione alla metà dei diritti annuali.
6. La riduzione è concessa
dall'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi. La dichiarazione di offerta viene annotata nel registro
dei brevetti, pubblicata nel Bollettino e gli effetti di essa perdurano finché
non è revocata.
Art. 81
(Licenza volontaria sui principi attivi mediata dal Ministro)
1. E' consentito a soggetti
terzi che intendano produrre per l'esportazione principi attivi coperti da
certificati complementari di protezione concessi ai sensi della lLegge
19 ottobre 1991, n. 349, di avviare con i titolari dei certificati suddetti,
presso il Ministero delle aAttività pProduttive,
una procedura per il rilascio di licenze volontarie non esclusive a titolo oneroso
nel rispetto della legislazione vigente in materia.
2. Le licenze di cui al comma 1 sono comunque
valide unicamente per l'esportazione verso paesi nei quali la protezione
brevettuale e del cCertificato cComplementare
di pProtezione
non esiste, è scaduta ovvero nei quali l'esportazione del principio attivo non
costituisce contraffazione del relativo brevetto in conformità alle normative
vigenti nei paesi di destinazione.
3. La licenza cessa di avere effetto allo scadere del certificato complementare a cui fa riferimento.
SEZIONE V
I MODELLI DI UTILITA’
Art. 82
(Oggetto del brevetto)
1. Possono costituire oggetto di brevetto per modello di utilità i nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione, o di impiego, a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti.
2. Il brevetto per le macchine nel loro complesso non comprende la protezione delle singole parti.
3. Gli effetti del brevetto per modello di utilità si estendono ai modelli che conseguono pari utilità, purché utilizzino lo stesso concetto innovativo.
Art. 83
(Il diritto alla brevettazione)
1. Il diritto al brevetto spetta all'autore del nuovo modello di utilità e ai suoi aventi causa.
Art. 84
(Brevettazione alternativa)
1. È consentito a
chi chiede il brevetto per invenzione industriale, ai sensi del presente codicecodice,
di presentare contemporaneamente domanda di brevetto per modello di utilità, da
valere nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte.
2. Se la domanda
ha per oggetto un modello anziché un'invenzione o viceversa, l'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi invita l'interessato, assegnandogli un termine, a
modificare la domanda stessa la quale, tuttavia, ha effetto dalla data di
presentazione originaria.
3. Se la domanda di brevetto per modello di utilità contiene anche un'invenzione o viceversa, è applicabile l'articolo 161.
Art. 85
(Durata ed effetti della brevettazione)
1. Il brevetto per modello di utilità dura dieci anni dalla data di presentazione della domanda.
2. I diritti conferiti e la decorrenza degli effetti del brevetto sono regolati conformemente all'articolo 53.
Art. 86
(Rinvio)
1. Le disposizioni della Sezione IV, sulle invenzioni industriali, oltre che a tali invenzioni, spiegano effetto anche nella materia dei modelli di utilità, in quanto applicabili.
2. In particolare sono estese ai brevetti per modello di utilità le disposizioni in materia di invenzioni dei dipendenti e licenze obbligatorie.
SEZIONE VI
TOPOGRAFIE DEI PRODOTTI A SEMICONDUTTORI
Art. 87
(Oggetto della tutela)
1. E' prodotto a semiconduttori ogni prodotto finito o intermedio:
a) consistente in un insieme di materiali che comprende uno strato di materiale semiconduttore;
b) che contiene uno o più strati composti di materiale conduttore, isolante o semiconduttore, disposti secondo uno schema tridimensionale prestabilito;
c) destinato a svolgere, esclusivamente o insieme ad altre funzioni, una funzione elettronica.
2. La topografia di un prodotto a semiconduttori è una serie di disegni correlati, comunque fissati o codificati:
a) rappresentanti lo schema tridimensionale degli strati di cui si compone un prodotto a semiconduttori;
b) nella qual serie ciascuna immagine riproduce in tutto o in parte una superficie del prodotto a semiconduttori in uno stadio qualsiasi della sua fabbricazione.
Art. 88
(Requisiti della tutela)
1. Possono costituire oggetto di diritti esclusivi le topografie risultanti dallo sforzo intellettuale creativo del loro autore che non siano comuni o familiari nell'ambito dell'industria dei prodotti a semiconduttori.
2. Possono costituire oggetto di diritti esclusivi anche le topografie risultanti dalla combinazione di elementi comuni o familiari, purché nell'insieme soddisfino ai requisiti di cui al comma 1.
Art. 89
(Diritto alla tutela)
1. I diritti esclusivi sulle topografie dei prodotti a semiconduttori che presentano i requisiti di proteggibilità spettano all'autore e ai suoi aventi causa.
2. Qualora la topografia venga creata nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente o di impiego, si applica l'articolo 64.
3. Qualora la topografia venga creata nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto diverso da un contratto di lavoro, il diritto alla tutela spetta, salvo che il contratto stesso disponga diversamente, al committente la topografia.
Art. 90
(Contenuto dei diritti)
1. I diritti esclusivi sulle topografie dei prodotti a semiconduttori consistono nella facoltà di:
a) riprodurre in qualsiasi modo o forma, totalmente o parzialmente, la topografia;
b) sfruttare commercialmente, ovvero detenere o distribuire a scopo di commercializzazione, ovvero importare una topografia o un prodotto a semiconduttori in cui è fissata la topografia.
2. Lo sfruttamento commerciale è costituito dalla vendita, l'affitto, il leasing o qualsiasi altro metodo di distribuzione commerciale o l'offerta per tali scopi.
Art. 91
(Limitazione dei diritti esclusivi)
1. La tutela concessa alle topografie dei prodotti a semiconduttori non si estende ai concetti, processi, sistemi, tecniche o informazioni codificate, incorporati nelle topografie stesse.
2. I diritti esclusivi di cui all'articolo 90 non si estendono alle riproduzioni compiute in ambito privato, in via sperimentale, a scopo di insegnamento, di analisi o di valutazione della topografia e dei concetti, delle procedure, dei sistemi o delle tecniche incluse nella topografia stessa.
3. I diritti esclusivi non possono essere esercitati nei confronti di topografie create da terzi sulla base di un'analisi o valutazione effettuata in conformità al comma 2, qualora tali topografie rispondano ai requisiti di proteggibilità.
Art. 92
(Registrazione)
1. La topografia dei prodotti a semiconduttori è proteggibile a condizione che:
a) ne sia richiesta la registrazione in Italia ovvero, qualora la topografia sia stata oggetto di precedente sfruttamento commerciale ovunque nel mondo, ne sia richiesta la registrazione entro il termine di due anni dalla data di tale primo sfruttamento, purché tale data sia precisata in apposita dichiarazione scritta. A tali effetti lo sfruttamento commerciale non comprende lo sfruttamento in condizioni di riservatezza nel quale non vi sia stata alcuna ulteriore distribuzione ai terzi, a meno che lo sfruttamento della topografia non avvenga secondo le condizioni di riservatezza imposte dall'adozione di misure ritenute necessarie alla tutela degli interessi essenziali della sicurezza nazionale e che si riferiscono alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico;
b) al momento del primo sfruttamento commerciale o della richiesta di registrazione il proprietario della topografia sia cittadino o persona giuridica italiana o, se straniero, sia rispondente ai requisiti indicati nell'articolo 3 del Capo I.
2. Il diritto di richiedere la registrazione si estingue con il decorso di quindici anni dalla data della prima fissazione o codificazione della topografia, ove essa non abbia formato oggetto di sfruttamento commerciale in una qualsiasi parte del mondo per lo stesso periodo. A tali effetti per sfruttamento commerciale si intende quello non comprensivo dello sfruttamento in condizione di riservatezza secondo le indicazioni contenute nel comma 1, lettera a).
Art. 93
(Decorrenza e durata della tutela)
1. I diritti esclusivi di cui all'articolo 90 sorgono alla prima, in ordine di tempo, delle date seguenti:
a) la data del primo sfruttamento commerciale della topografia in una qualsiasi parte del mondo;
b) la data in cui è stata presentata nella debita forma la domanda di registrazione.
2. I diritti esclusivi di cui al comma 1 si estinguono dieci anni dopo la prima, in ordine di tempo, delle seguenti date:
a) la fine dell'anno civile in cui la topografia è stata per la prima volta sfruttata commercialmente in una qualsiasi parte del mondo;
b) la fine dell'anno civile in cui è stata presentata nella debita forma la domanda di registrazione.
3. Agli effetti del presente articolo per sfruttamento commerciale si intende quello non comprensivo dello sfruttamento in condizioni di riservatezza secondo le indicazioni contenute nell'articolo 92, comma 1, lettera a).
Art. 94
(Menzione di riserva)
1. La topografia, il prodotto a semiconduttori ed il suo involucro esterno possono recare una menzione costituita da:
a) il segno T racchiuso da un cerchio;
b) la data in cui per la prima volta la topografia è stata oggetto di sfruttamento commerciale;
c) il nome, la denominazione o la sigla del titolare dei diritti sulla topografia.
2. Tale menzione prova l'avvenuta registrazione della topografia, ovvero la rivendicazione della titolarità sulla topografia, o l'intenzione di chiedere la registrazione entro il termine di due anni dalla data del primo sfruttamento commerciale.
3. La menzione non può essere riportata su prodotti per i quali la domanda di registrazione non sia stata presentata entro i due anni dalla data del primo sfruttamento commerciale ovunque nel mondo o sia stata rifiutata definitivamente.
Art. 95
(Contraffazione)
1. Costituisce atto di contraffazione e di violazione dei diritti esclusivi sulle topografie dei prodotti a semiconduttori l'esercizio, senza il consenso del titolare,delle seguenti attività, anche per interposta persona:
a) la riproduzione in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo della topografia;
b) la fissazione con qualsiasi mezzo della topografia in un prodotto a semiconduttori;
c) l'utilizzazione, l'importazione e la detenzione a fini di commercializzazione, nonché la commercializzazione o distribuzione del prodotto a semiconduttori in cui è fissata la topografia.
2. Non costituiscono atti di contraffazione l'importazione, la distribuzione, la commercializzazione o l'utilizzazione di prodotti a semiconduttori contraffatti, effettuati senza sapere o senza avere una ragione valida di ritenere l'esistenza dei diritti esclusivi di cui all'articolo 90.
3. Nell'ipotesi di cui al comma 2 è consentita la prosecuzione dell'attività intrapresa, nei limiti dei contratti già stipulati e delle scorte esistenti, ma il titolare dei diritti esclusivi ha diritto alla corresponsione di un equo corrispettivo, a partire dal momento in cui abbia adeguatamente avvisato l'acquirente in buona fede che la topografia è stata riprodotta illegalmente. In mancanza di accordo tra le parti, per la determinazione e le modalità di pagamento dell'equo corrispettivo ragguagliato al prezzo di mercato, si applicano le disposizioni previste alla Sezione IV per la licenza di diritto.
Art. 96
(Risarcimento del danno ed equo compenso)
1. Chiunque, dopo la registrazione della topografia, o dopo la diffida di colui che ha presentato la domanda di registrazione, ove accolta, pone in essere gli atti di cui all'articolo 95, è tenuto al risarcimento dei danni a sensi delle disposizioni del Capo III.
2. Se gli atti di cui al comma 1 avvengono tra il primo atto di sfruttamento commerciale del prodotto a semiconduttori con menzione di riserva e la registrazione della topografia, il responsabile è tenuto a corrispondere solo un equo compenso al titolare della topografia registrata.
3. Se gli atti indicati alle lettere a) e b) dell'articolo 95 avvengono dopo il primo atto di sfruttamento commerciale di un prodotto a semiconduttori senza menzione di riserva, il titolare della topografia registrata ha diritto ad un equo compenso e l'autore della contraffazione ha diritto di ottenere una licenza ad eque condizioni per continuare a sfruttare la topografia nei limiti dell'uso fatto prima che essa fosse registrata. Qualora il titolare della registrazione si rifiuti di rilasciare una licenza contrattuale, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di concessione di licenza obbligatoria di cui alla Sezione IV, incluse quelle relative alla determinazione della misura e delle modalità di pagamento del compenso in caso di opposizione.
4. Chi ha acquistato un prodotto a semiconduttori senza sapere o senza avere una ragione valida di ritenere che il prodotto è tutelato da registrazione, ha diritto a continuare lo sfruttamento commerciale del prodotto. Tuttavia, per gli atti compiuti dopo avere saputo o avere avuto valide ragioni per ritenere che il prodotto a semiconduttori è tutelato, è dovuto il pagamento di un equo compenso. L'avente causa dell'acquirente di cui al presente comma conserva gli stessi diritti ed obblighi.
5. Agli effetti del presente articolo per sfruttamento commerciale si intende quello non comprensivo dello sfruttamento in condizione di riservatezza secondo le indicazioni di cui all'articolo 92, comma 1.
Art. 97
(Nullità della registrazione)
1. La domanda diretta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di nullità della registrazione della topografia può essere promossa in qualsiasi momento e da chiunque vi abbia interesse, se è omesso, non sussiste o risulta assolutamente incerto uno dei seguenti requisiti:
a) i requisiti di proteggibilità di cui all'articolo 88;
l
b) proprietario della topografia non sia
alcuno dei soggetti indicati all'articolo 92, ,
comma 1, lettere b);
c) non sia stata chiesta la registrazione in Italia entro il termine all'uopo previsto
all'articolo 92, comma 1, lettera a) e, qualora trattisi di topografie il cui
sfruttamento commerciale sia iniziato nel biennio precedente il 18 marzo 1989, la registrazione non sia stata richiesta entro il 18 marzo 1990;
d) non sia stata precisata la data del primo atto di sfruttamento in apposita dichiarazione scritta;
e) la domanda di registrazione non presenta i requisiti richiesti.
SEZIONE VII
INFORMAZIONI SEGRETE
Art. 98
(Oggetto della tutela)
1. Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme, o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche.
Art. 99
(Tutela)
1. Salva la disciplina della concorrenza sleale è vietato rivelare a terzi, oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali di cui all'articolo 98.
SEZIONE VIII
NUOVE VARIETÀ VEGETALI
Art. 100
(Oggetto del diritto)
1. Può costituire oggetto del diritto su una nuova varietà vegetale un insieme vegetale di un taxon botanico del grado più basso conosciuto che, conformandosi integralmente o meno alle condizioni previste per il conferimento del diritto di costitutore può essere:
a) definito in base ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi;
b) distinto da ogni altro insieme vegetale in base all'espressione di almeno uno dei suddetti caratteri;
c) considerato come un'entità rispetto alla sua idoneità a essere riprodotto in modo conforme.
Art. 101
(Costitutore)
1. Ai fini del
presente codicecodice si intende
per costitutore:
a) la persona che ha creato o che ha scoperto e messo a punto una varietà;
b) la persona che è il datore di lavoro della persona sopraindicata o che ne ha commissionato il lavoro;
c) l'avente diritto o avente causa dai soggetti indicati nelle lettere a) e b).
Art. 102
(Requisiti)
1. Il diritto di costitutore è conferito quando la varietà è nuova, distinta, omogenea e stabile.
Art. 103
(Novità)
1. La varietà si reputa nuova quando, alla data di deposito della domanda di costitutore, il materiale di riproduzione o di moltiplicazione vegetativa, o un prodotto di raccolta della varietà, non è stato venduto né altrimenti ceduto a terzi, dal costitutore o con il suo consenso, ai fini dello sfruttamento della varietà:
a) sul territorio italiano da oltre un anno dalla data di deposito della domanda;
b) in qualsiasi altro Stato da oltre quattro anni o, nel caso di alberi e viti, da oltre sei anni.
Art. 104
(Distinzione)
1. La varietà si reputa distinta quando si contraddistingue nettamente da ogni altra varietà la cui esistenza, alla data del deposito della domanda, è notoriamente conosciuta.
2. In particolare un'altra varietà si reputa notoriamente conosciuta quando:
a) per essa è stata depositata, in qualsiasi Paese, una domanda per il conferimento del diritto di costitutore o l'iscrizione in un registro ufficiale, purché detta domanda abbia come effetto il conferimento del diritto di costitutore o l'iscrizione nel registro ufficiale delle varietà;
b) è presente in collezioni pubbliche.
Art. 105
(Omogeneità)
1. La varietà si reputa omogenea quando è sufficientemente uniforme nei suoi caratteri pertinenti e rilevanti ai fini della protezione, con riserva della variazione prevedibile in conseguenza delle particolarità attinenti alla sua riproduzione sessuata e alla sua moltiplicazione vegetativa.
Art. 106
(Stabilità)
1. La varietà si reputa stabile quando i caratteri pertinenti e rilevanti ai fini della protezione rimangono invariati in seguito alle successive riproduzioni o moltiplicazioni o, in caso di un particolare ciclo di riproduzione o moltiplicazione, alla fine di ogni ciclo.
Art. 107
(Contenuto del diritto del costitutore)
1. E' richiesta l'autorizzazione del costitutore per i seguenti atti compiuti in relazione al materiale di riproduzione o di moltiplicazione della varietà protetta:
a) produzione o riproduzione;
b) condizionamento a scopo di riproduzione o moltiplicazione;
c) offerta in vendita, vendita o qualsiasi altra forma di commercializzazione;
d) esportazione o importazione;
e) detenzione per uno degli scopi sopra elencati.
2. L'autorizzazione del costitutore è richiesta per gli atti menzionati al comma 1 compiuti in relazione al prodotto della raccolta, comprese piante intere e parti di piante, ottenuto mediante utilizzazione non autorizzata di materiali di riproduzione o di moltiplicazione della varietà protetta, a meno che il costitutore non abbia potuto esercitare ragionevolmente il proprio diritto in relazione al suddetto materiale di riproduzione o di moltiplicazione. L'utilizzazione si presume non autorizzata salvo prova contraria.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche:
a) alle varietà essenzialmente derivate dalla varietà protetta quando questa non sia, a sua volta, una varietà essenzialmente derivata;
b) alle varietà che non si distinguono nettamente dalla varietà protetta conformemente al requisito della distinzione;
c) alle varietà la cui produzione necessita del ripetuto impiego della varietà protetta.
4. Ai fini del comma 3, lettera a), si considera che una varietà è essenzialmente derivata da un'altra varietà, definita varietà iniziale, quando:
a) deriva prevalentemente dalla varietà iniziale, o da una varietà che a sua volta è prevalentemente derivata dalla varietà iniziale, pur conservando le espressioni dei caratteri essenziali che risultano dal genotipo o dalla combinazione dei genotipi della varietà iniziale;
b) si distingue nettamente dalla varietà iniziale e, salvo per quanto concerne le differenze generate dalla derivazione, risulta conforme alla varietà iniziale nell'espressione dei caratteri essenziali che risultano dal genotipo o dalla combinazione dei genotipi della varietà iniziale.
5. Le varietà essenzialmente derivate possono essere ottenute, tra l'altro, mediante selezione di un mutante naturale o indotto o da una variante somaclonale, mediante selezione di una variante individuale fra piante della varietà iniziale, mediante retroincroci o mediante trasformazione attraverso l'ingegneria genetica.
6. Durante il periodo compreso tra la pubblicazione della domanda e la concessione della privativa il costitutore ha diritto ad una equa remunerazione da parte di colui che, nel periodo suddetto, ha compiuto gli atti che, una volta conferito il diritto, richiedono l'autorizzazione del costitutore.
Art. 108
(Limitazioni del diritto del costitutore)
1. Il diritto di costitutore non si estende ad atti compiuti in ambito privato, a scopi non commerciali; ad atti compiuti a titolo sperimentale; ad atti compiuti allo scopo di creare altre varietà, nonché, ove non siano applicabili le disposizioni dell'articolo 107, comma 3, ad atti di cui allo stesso articolo 107, commi 1 e 2, compiuti rispetto a tali altre varietà.
2. Chiunque intende procedere alla moltiplicazione, in vista della certificazione, di materiale proveniente da varietà oggetto di privativa per nuova varietà vegetale, è tenuto a darne preventiva comunicazione al titolare del diritto.
Art. 109
(Durata della protezione.)
1. Il diritto di costitutore, concesso
a norma di questo codicecodice, dura
venti anni a decorrere dalla data della sua concessione. Per gli alberi e le
viti tale diritto dura trent'anni dalla sua concessione.
2. Gli effetti della privativa decorrono dalla data in cui la domanda, corredata degli elementi descrittivi, è resa accessibile al pubblico.
3. Nei confronti delle persone alle quali la domanda, corredata degli elementi descrittivi, è stata notificata a cura del costitutore, gli effetti della privativa decorrono dalla data di tale notifica.
Art. 110
(Diritto morale)
1. Il diritto di essere considerato autore della nuova varietà vegetale può essere fatto valere dall'autore stesso e, dopo la sua morte, dal coniuge, e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la loro morte, dai genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto grado incluso.
Art. 111
(Diritti patrimoniali)
1. I diritti nascenti dalla costituzione di nuove varietà vegetali, tranne il diritto di esserne riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili.
2. Qualora la nuova varietà vegetale venga creata nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente o di impiego, si applica l'articolo 64.
Art. 112
(Nullità del diritto)
1. Il diritto di costitutore è nullo se è accertato che:
a) le condizioni fissate dalle norme sulla novità e sulla distinzione non erano effettivamente soddisfatte al momento del conferimento del diritto di costitutore;
b) le condizioni fissate dalle norme sulla omogeneità e sulla stabilità non sono state effettivamente soddisfatte al momento del conferimento del diritto di costitutore, ove il diritto di costitutore è stato conferito essenzialmente sulla base di informazioni o documenti forniti dal costitutore;
c) il diritto di costitutore è stato conferito a chi non aveva diritto, e l'avente diritto non si sia valso delle facoltà accordategli dall'articolo 118.
Art. 113
(Decadenza del diritto.)
1. Il diritto di costitutore decade quando viene accertato che le condizioni relative alla omogeneità e alla stabilità non sono più effettivamente soddisfatte.
2. Il diritto decade inoltre se il costitutore, previa messa in mora da parte dell'Amministrazione competente:
a) non presenta, entro il termine di trenta giorni le informazioni, i documenti o il materiale ritenuti necessari al controllo del mantenimento della varietà;
b) non ha pagato i diritti dovuti per il mantenimento del proprio diritto;
c) non propone, in caso di cancellazione della denominazione della varietà successivamente al conferimento del diritto, un'altra denominazione adeguata.
3. Nei casi
previsti nel comma 2, lettere a) e c), la decadenza è dichiarata dall'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, su proposta del Ministero delle politiche agricole e
forestali.
Art. 114
(Denominazione della varietà)
1. La varietà deve essere designata con una denominazione destinata ad essere la sua designazione generica.
2. La
denominazione deve permettere di identificare la varietà. Essa non può consistere
unicamente di cifre, a meno che non si tratti di una prassi stabilita per
designare talune varietà. Essa non deve essere suscettibile di indurre in
errore o di creare confusione quanto alle sue caratteristiche, al valore o alla
identità della varietà o alla identità del costitutore. In particolare, essa
deve essere diversa da ogni altra denominazione che designi, sul territorio di
uno Stato aderente all'Unione per la pProtezione
delle nNuove
vVarietà
vVegetali
(UPOV), una varietà preesistente, della stessa specie vegetale o di una specie
simile, a meno che quest'altra varietà non esista più e la sua denominazione
non abbia assunto alcuna importanza particolare.
3. I diritti acquisiti anteriormente da terzi non sono pregiudicati.
4. La denominazione deve essere uguale a quella già registrata in uno degli Stati aderenti all'Unione per la protezione delle nuove varietà vegetali (UPOV) per designare la stessa varietà.
5. La denominazione depositata che risponde ai requisiti dei commi 1, 2, 3 e 4 è registrata.
6. La denominazione depositata e registrata, nonché le relative variazioni sono comunicate alle autorità competenti degli Stati aderenti all'UPOV.
7. La denominazione registrata deve essere utilizzata per la varietà anche dopo l'estinzione del diritto di costitutore, nella misura in cui, conformemente alle disposizioni di cui al comma 3, diritti acquisiti anteriormente non si oppongano a tale utilizzazione.
8. E' consentito associare alla denominazione varietale un marchio d'impresa, un nome commerciale o una simile indicazione, purché la denominazione varietale risulti, in ogni caso, facilmente riconoscibile.
Art. 115
(Licenze obbligatorie ed espropriazione)
1. Il diritto di costitutore può formare oggetto di licenze obbligatorie non esclusive soltanto per motivi di interesse pubblico.
2. Alle licenze obbligatorie per mancata attuazione si applicano, in quanto compatibili con le disposizioni contenute in questa Sezione, le norme in materia di licenza obbligatoria di cui alla Sezione IV, incluse quelle relative alla determinazione della misura e delle modalità di pagamento del compenso in caso di opposizione.
3. La mancanza, la sospensione o la riduzione dell'attuazione prevista all'articolo 70 si verifica quando il titolare del diritto di costitutore o il suo avente causa, direttamente o a mezzo di più licenziatari, non pone a disposizione degli utilizzatori, nel territorio dello Stato, il materiale di propagazione e di moltiplicazione della varietà vegetale protetta in misura adeguata alle esigenze dell'economia nazionale.
4. Con le stesse modalità previste al comma 2, possono altresì, indipendentemente dalla attuazione dell'oggetto del diritto di costitutore, essere concesse, in qualunque momento, mediante pagamento di equo compenso al titolare del diritto di costitutore, licenze obbligatorie speciali, non esclusive, per l'utilizzazione di nuove varietà vegetali protette che possono servire all'alimentazione umana o del bestiame, nonché per usi terapeutici o per la produzione di medicinali.
5. Le licenze previste ai commi 1, 2, 3 e 4 sono concesse su conforme parere del Ministero delle politiche agricole e forestali che si pronuncia sulle condizioni prescritte per la concessione delle licenze.
6. Il decreto di concessione della licenza può
prevedere l'obbligo per il titolare del diritto di mettere a disposizione del
licenziatario il materiale di propagazione e/oovvero
di moltiplicazione necessario.
7. L'espropriazione ha luogo, per le nuove varietà vegetali, sentito il Ministero delle politiche agricole e forestali.
Art. 116
(Rinvio)
1. Sono applicabili alle nuove varietà vegetali le disposizioni della sezione IV in quanto non contrastino con le disposizioni della presente sezione.
CAPO III
TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE
SEZIONE I
disposizioni processuali
Art. 117
(Validità ed appartenenza)
1. La
registrazione e la brevettazione non pregiudicano l'esercizio delle azioni giudiziarie
circa la validità e l'appartenenza dei diritti di proprietà
industriale.
Art. 118
(Rivendica)
1. Chiunque ne abbia diritto ai sensi del
presente codicecodice può
presentare una domanda di registrazione oppure una domanda di brevetto.
2. Qualora con sentenza passata in
giudicato passata in giudicato esecutivapassata in
giudicatosi accerti che il diritto alla
registrazione oppure al brevetto spetta ad un soggetto diversoa persona
diversa da chi abbia depositato la domanda, questi tale persona
può, se il titolo di proprietà industriale non è sia stato
ancora rilasciato ed entro tre mesi dal passaggio in giudicatodal
passaggio in giudicato dalla pubblicazione dal passaggio
in giudicato della sentenzadella sentenza, a sua
scelta:
a) assumere a proprio nome la domanda di brevetto o la domanda di registrazione rivestendo a tutti gli effetti la qualità di richiedente;
b) depositare una nuova domanda di brevetto oppure di registrazione la cui decorrenza, nei limiti in cui il contenuto di essa non ecceda quello della prima domanda o si riferisca ad un oggetto sostanzialmente identico a quello della prima domanda, risale alla data di deposito o di priorità della domanda iniziale la quale cessa comunque di avere effetti; depositare, nel caso del marchio, una nuova domanda di registrazione la cui decorrenza, nei limiti in cui il marchio contenuto in essa sia sostanzialmente identico a quello della prima domanda, risale alla data di deposito o di priorità della domanda iniziale la quale cessa comunque di avere effetti;
c) ottenere il rigetto della domanda.
3. Se il brevetto è sia
stato rilasciato oppure la registrazione è sia
stata effettuata a nome di persona diversa dall'avente diritto, questi può in
alternativa a sua scelta:
a)
ottenere con sentenza, avente efficacia retroattiva,
il trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell'attestato di registrazione a far data dal
momento del deposito;
b) far valere la nullità del brevetto o della registrazione concessi a nome di chi non ne aveva diritto.
4. Decorso il termine di due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto per invenzione, per modello di utilità, per una nuova varietà vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della topografia dei prodotti a semiconduttori, senza che l'avente diritto si sia valso di una delle facoltà di cui al comma 3, la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse.
5. La norma del comma 4 non si applica alle registrazioni di marchio e di disegni e modelli.
6. Salva
l'applicazione di ogni altra tutela, la registrazione di nome a dominio
aziendale concessa in violazione dell'articolo 22 codice o
richiesta in mala fede, può essere, su domanda dell'avente diritto, revocata
oppure a lui trasferita da parte dell'autorità di registrazione.
Art. 119
(Paternità)
1. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi non verifica l'esattezza della designazione dell'inventore
o dell'autore, né la legittimazione del richiedente, fatte salve le verifiche
previste dalla legge o dalle convenzioni internazionali. Avanti l'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi si presume che il richiedente sia titolare del diritto alla
registrazione oppure al brevetto e sia legittimato ad esercitarlo.
2. Una
designazione incompleta od errata può essere rettificata soltanto su istanza
corredata da una dichiarazione di consenso della persona precedentemente designata,
e,
qualora l'istanza non sia presentata dal richiedente o dal titolare del
brevetto o della registrazione, anche da una dichiarazione di consenso di
quest'ultimo.
3. Se un terzo
presenta all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi una sentenza, passata in
giudicato, esecutiva in
base alla quale il richiedente o il titolare del brevetto o della registrazione
è tenuto a designarlo come inventore o come autore l'Ufficio lo annota sul
registro e ne dà notizia nel Bollettino.
Art. 120
(Giurisdizione e competenza)
1. Le azioni in materia di proprietà industriale
i cui titoli sono concessi o in corso di concessione si propongono avanti
l'Autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio
e la residenza delle parti.Se l’azione di nullità è proposta
quando il titolo non è stato ancora concesso la sentenza può essere pronunciata
solo dopo che Se l'azione di nullità è proposta quando il titolo
non è stato ancora concesso la sentenza può essere pronunciatadecisa
l'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi ha provveduto sulla domanda esaminandola con precedenza
rispetto a domande presentate in data anteriore.
2. Le Tali
azioni previste
al comma 1 si propongono davanti all'Autorità giudiziaria del
domicilio del convenuto.; Qquando
però
il convenuto non ha abbia residenza,
dimora o domicilio eletto nel territorio dello Stato, le dette
azioni sono proposte davanti all'Autorità giudiziaria del luogo in cui l'attore
ha domicilio o residenza.; qQualora
né l'attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato il domicilio
reale o il domicilio eletto, è competente l'Autorità giudiziaria di Roma.
3. L'indicazione
di domicilio effettuata con la domanda di registrazione o di brevettazione e
annotata nel registro vale come elezione di domicilio esclusivo ai fini della
determinazione della competenza e di ogni notificazione di atti di procedimenti
davanti ad autorità giurisdizionali ordinarie o amministrative. Il domicilio
così eletto può essere modificato soltanto con apposita istanza di sostituzione
da annotarsi sul registro a cura dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
4. La competenza territoriale
in materia di diritti di proprietà industriale appartiene ai
Tribunali espressamente indicati a tale scopo dal decreto legislativoD.L.
27 giugno 27.6.2003, n. 168, ai quali
si aggiunge il Tribunale di Cagliari per il territorio ricompreso nel distretto
di Corte d'Appello di Cagliari e Sassari. Presso i medesimi Uffici
Giudiziari sono istituite nell'ambito delle relative Procure della Repubblica
sezioni specializzate del Pubblico Ministero.
5. I
Tribunali di cui al comma 4 sono anche designati Per "Tribunali
dei marchi e dei disegni e modelli comunitari" ai sensi dell'articolo 91
del rRegolamento
CE n. 40/94 e dell'articolo 80 del rRegolamento CE n.
2002/6 e svolgono le funzioni
ad essi attribuite da tali rRegolamentisi
intendono quelli di cui al comma 4.
6. Le Qualora
trattisi diazioni fondate su fatti che si
assumono lesivi del diritto dell'attore, queste possono
essere proposte anche dinanzi all'Autorità giudiziaria dotata di sezione
specializzata nella cui giurisdizione i fatti sono stati commessi.
Art. 121
(Ripartizione dell'onere della prova)
1. L'onere di provare la nullità o la decadenza del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo. Salvo il disposto dell'articolo 67 l'onere di provare la contraffazione incombe al titolare. La prova della decadenza del marchio per non uso può essere fornita con qualsiasi mezzo comprese le presunzioni semplici.
2. Qualora una parte abbia fornito seri indizi della fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi, essa può ottenere che il giudice ne disponga l'esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte. Può ottenere altresì che il giudice ordini di fornire gli elementi per l'identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di proprietà industriale.
3. Il giudice, nell'assumere i provvedimenti di cui sopra, adotta le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte.
4. Il giudice desume argomenti di prova dalle risposte che le parti danno e dal rifiuto ingiustificato di ottemperare agli ordini.
5. Nella materia
di cui al presente codicecodice il
consulente tecnico d'ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti
dal giudice anche se non ancora prodotti in causa rendendoli noti a
tutte le parti. Ciascuna parte può nominare più di un consulente.
Art. 122
(Legittimazione all'azione di nullità e di decadenza)
1. L'azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa d'ufficio dal pubblico ministero. In deroga all'articolo 70 del codice di procedura civile l'intervento del pubblico ministero non è obbligatorio.
2. Tuttavia, lL'azione
diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un marchio per la
sussistenza di diritti anteriori, oppure perché l'uso del marchio costituirebbe
violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro
diritto esclusivo di terzi, oppure perché il marchio costituisce violazione del
diritto al nome oppure al ritratto, oppure perché la registrazione del marchio
è stata effettuata a nome del non avente diritto, può essere esercitata
soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal suo avente causa o
dall'avente diritto.
3. Del pari lL'azione
diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un disegno o modello per la
sussistenza di diritti anteriori oppure perché la registrazione è stata
effettuata a nome del non avente diritto oppure perché il disegno o modello
costituisce utilizzazione impropria di uno degli elementi elencati
nell'articolo 6-ter della Convenzione di Parigi o di disegni, emblemi e stemmi
che rivestano un particolare interesse pubblico nello Stato, può essere
rispettivamente esercitata soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal
suo avente causa o dall'avente diritto oppure da chi abbia interesse
all'utilizzazione.
4. L'azione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale è esercitata in contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati nel registro quali aventi diritto.
5. Le sentenze che
dichiarano la nullità o la decadenza di un titolo di proprietà industriale sono
annotate nel registro a cura dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi.
6. Una copia
dell'atto introduttivo di ogni giudizio civile in materia di diritti di
proprietà industriale deve essere comunicata all'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi a
cura di chi promuove il giudizio.
7. Ove alla comunicazione anzidetta non si sia provveduto, l'Autorità giudiziaria, in qualunque grado del giudizio, prima di decidere nel merito, dispone che tale comunicazione venga effettuata.
8. Il cancelliere
deve trasmettere all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi copia di ogni sentenza in materia di
diritti di proprietà industriale.
Art. 123
(Efficacia erga omnes)
1. Le decadenze o le nullità anche parziali di un titolo di proprietà industriale hanno efficacia nei confronti di tutti quando siano dichiarate con sentenza passata in giudicato.
Art. 124
(Sanzioni civili)
1. Con lLa
sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere
disposta disporre
l'inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell'uso di quanto
costituisce violazione del diritto.
2. Pronunciando l'inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.
3. Con la La
sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere
ordinata ordinare la distruzione di tutte le cose
costituenti la violazione. Nel caso della violazione di diritti di marchio la
distruzione concerne il marchio ma può comprendere le confezioni e, quando
l'Autorità giudiziaria lo ritenga opportuno conveniente,
anche i prodotti o i materiali inerenti alla prestazione dei servizi se ciò sia
necessario per eliminare gli effetti della violazione del diritto.
4. Con la La sentenza
che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale, può essere
ordinata ordinare che gli oggetti prodotti
importati o venduti in violazione del diritto, e i mezzi specifici che servono
univocamente a produrli o ad attuare il metodo o processo tutelato, siano assegnati
in proprietà al titolare del diritto stesso fermo salvo restando
il diritto al risarcimento del danno.
5. E' altresì in facoltà del giudice, su richiesta del proprietario degli oggetti o dei mezzi di produzione di cui al comma 4, tenuto conto della residua durata del titolo di proprietà industriale o delle particolari circostanze del caso, ordinare il sequestro, a spese dell'autore della violazione, fino all'estinzione del titolo, degli oggetti e dei mezzi di produzione. In quest'ultimo caso, il titolare del diritto di proprietà industriale può chiedere che gli oggetti sequestrati gli siano aggiudicati al prezzo che, in mancanza di accordo tra le parti, verrà stabilito dal giudice dell'esecuzione, sentito, occorrendo, un perito.
6. Delle cose costituenti violazione del diritto di proprietà industriale non si può disporre la rimozione o la distruzione né può esserne interdetto l'uso quando appartengono a chi ne fa uso personale o domestico.
7. Sulle contestazioni che sorgono nell'eseguire le misure menzionate in questo articolo decide, con ordinanza non soggetta a gravame, sentite le parti, assunte informazioni sommarie, il giudice che ha emesso la sentenza recante le misure anzidette.
Art. 125
(Risarcimento del danno)
1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto.
Art. 126
(Pubblicazione della sentenza)
1. L'autorità giudiziaria può ordinare che
l'ordinanza cautelare o la sentenza che accerta la emessa in dipendenza dellaviolazione
dei diritti di proprietà industriale, sia pubblicata, integralmente onella
sola parte dispositiva in sunto,in
sunto o nella sola parte dispositiva, tenuto conto della gravità
dei fatti, in uno o più giornali da essa indicati, a spese del soccombente.
Art. 127
(Sanzioni penali e amministrative)
1. Salva
l'applicazione degli articoli 473, 474 e 517 del cCodiceodice
penale chiunque fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente, introduce
nello Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido
ai sensi delle norme del presente cCodiceodice, è punito,
a querela di parte, con la multa fino a 1.032,91 euro.
2. Chiunque appone, su un oggetto, parole o indicazioni non corrispondenti al vero, tendenti a far credere che l'oggetto sia protetto da brevetto, disegno o modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue sia stato registrato, è punito con la sanzione amministrativa da 51,65 euro a 516,46 euro.
3. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa estensibile fino a 2.065,83 euro, anche quando non vi sia danno al terzo, chiunque faccia uso di un marchio registrato, dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio, oppure sopprima il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci a fini commerciali.
Art. 128
(Descrizione)
1. Il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere che sia disposta la descrizione degli oggetti costituenti violazione di tale diritto nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entità.
2. Sono adottate le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate.
3. Il procedimento di descrizione è
disciplinato dalle norme del codicecodice di
procedura civile concernenti i procedimenti di istruzione preventiva ma non si
applicano i commi 2 e 3 dell'articolo 693 del codice di procedura civile, l'articolo 694 del codice di procedura civile
ed il comma 2 dell'articolo 696 del codice di procedura civile.
4. Ai fini dell'articolo 697 del codice di procedura civile, il carattere dell'eccezionale urgenza deve valutarsi alla stregua dell'esigenza di non pregiudicare l'attuazione del provvedimento.
5. Si applica anche alla descrizione il disposto degli articoli 669- ter, 669- octies, 669- novies, 669- undecies e 675 del codice di procedura civile.
6. Salve le esigenze della giustizia penale non possono essere sequestrati, ma soltanto descritti, gli oggetti nei quali si ravvisi la violazione di un diritto di proprietà industriale, finché figurino nel recinto di un esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato, o siano in transito da o per la medesima.
Art.129
(Sequestro)
1. Il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere il sequestro di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Sono adottate in quest'ultimo caso le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate.
2. Il procedimento
di sequestro è disciplinato dalle norme del codicecodice
di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari.
Art. 130
(Disposizioni comuni)
1. La descrizione e il sequestro vengono eseguiti a mezzo di ufficiale giudiziario, con l'assistenza, ove occorra, di uno o più periti ed anche con l'impiego di mezzi tecnici di accertamento, fotografici o di altra natura.
2. Gli interessati possono essere autorizzati ad assistere alle operazioni anche a mezzo di loro rappresentanti e ad essere assistiti da tecnici di loro fiducia.
3. Decorso il
termine dell'articolo 675 del codice di procedura civile possono essere
completate le operazioni di descrizione di sequestro già iniziate, ma non
possono esserne iniziate altre fondate sullo stesso provvedimento;.
rResta
salva la facoltà di chiedere al giudice di disporre ulteriori provvedimenti di
descrizione o sequestro nel corso del procedimento di merito.
4. La dDescrizione
e il sequestro
possono concernere oggetti appartenenti a soggetti anche non identificati nel
ricorso, purché si tratti di oggetti prodotti, offerti, importati, esportati o
messi in commercio dalla parte nei cui confronti siano stati emessi i suddetti
provvedimenti e purché tali oggetti non siano adibiti ad uso personale.
5. Il verbale delle operazioni di sequestro e di descrizione, con il ricorso ed il provvedimento, deve essere notificato al terzo cui appartengono gli oggetti sui quali descrizione o sequestro sono stati eseguiti entro quindici giorni dalla conclusione delle operazioni stesse a pena di inefficacia.
Art. 131
(Inibitoria)
1. Il titolare di
un diritto di proprietà industriale può chiedere che sia disposta l'inibitoria
della fabbricazione, del commercio e dell'uso di quanto costituisce violazione
del diritto secondo le norme del codicecodice di
procedura civile concernenti i procedimenti cautelari.
2. Pronunciando l'inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.
Art. 132
(Anticipazione della tutela cautelare)
1. I provvedimenti
di cui agli articoli 128, 129 e 131 Codice possono essere concessi anche
in corso di brevettazione o di registrazione purché la domanda sia stata resa
accessibile al pubblico oppure nei confronti delle persone a cui la domanda sia
stata notificata.
Art. 133
(Tutela cautelare dei nomi a dominio)
1. L'Autorità
giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria dell'uso del
nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo
trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno del caso,
alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del
provvedimento.
Art. 134
(Norme di procedura)
1. Nei
procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di sleale concorrenza, con esclusione delle
sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l'esercizio
dei diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti ai sensi
della legge 10 ottobre.10.1990, n. 287,
e degli articoli 81 e 82 del Trattato U.E. afferenti all'esercizio di diritti di
proprietà industriale, si applicano le norme dei Capi I e IV del Titolo II e
quelle del Titolo III del dDecreto lLegislativo
17 gennaio 2003, n. 5, e, per quanto non disciplinato dalle norme suddette, si
applicano le disposizioni del cCodiceodice di
procedura civile in quanto compatibili, salva in ogni caso l'applicabilità
dell'articolo 121, comma 5.Codice
2. Negli arbitrati
sulle materie di cui al comma 1 si applicano le norme degli articoli 35 e 36
del Titolo V del dDecreto lLegislativo
17 gennaio 2003, n. 5.
3. Tutte le
controversie nelle materie di cui al comma 1, quivi comprese quelle
disciplinate dagli articoli 64 e 65 e dagli articoli 98 e 99 sono devolute alla
cognizione delle sSezioni
specializzate istituite con decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168.
4.- Il Tribunale giudica in composizione
collegiale.
Art. 135
(Commissione dei ricorsi)
1. Contro i
provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi che respingono totalmente o parzialmente
una domanda o istanza, oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e
negli altri casi previsti dal presente CodiceCodice,
è ammesso ricorso entro il termine perentorio di sessanta giorni 2 mesi
dal ricevimento della comunicazione del provvedimento alla Commissione dei rRicorsi.
2. La Commissione
dei ricorsi, già istituita con regio decretoR
29 giugno 1939, n. 1127, è composta di un presidente, un presidente aggiunto e
di otto membri scelti fra i magistrati di grado non inferiore a quello di
consigliere d'appello, sentito il Consiglio superiore della magistratura o tra
i professori di materie giuridiche delle università o degli istituti superiori
dello Stato.
3. La Commissione
si articola in due sezioni, presiedute dal presidente e dal presidente
aggiunto. Il presidente, il presidente aggiunto ed i membri della Commissione
sono nominati con decreto del Ministro delle attività produttive, durano in
carica due anni e sono rinnovabili rieleggibili.
4. Alla Commissione possono essere aggregati dei tecnici scelti dal presidente tra i professori delle Università e degli Istituti superiori e tra i Consulenti in proprietà industriale iscritti all'Ordine aventi una comprovata esperienza come Consulenti tecnici d'ufficio, per riferire su singole questioni ad essa sottoposte. I tecnici aggregati non hanno voto deliberativo.
5. La scelta dei componenti la Commissione anzidetta, nonché dei tecnici, può cadere sia su funzionari in attività di servizio, sia su funzionari a riposo, ferme le categorie di funzionari entro le quali la scelta deve essere effettuata.
6. La Commissione
provvede con sentenza motivata, udite le parti interessate, o i loro incaricati
o mandatari, e tenute presente le loro osservazioni scritte.
7. Nelle sentenze
e nelle altre decisioni della Commissione dei ricorsi si osservanodebbono
osservarsi, in quanto applicabili, le disposizioni del codicecodice
di procedura civile relative alla pronuncia e alla forma delle sentenze e delle
ordinanze.
Art. 136
(Funzione consultiva e compensi)
1. La Commissione dei ricorsi ha funzione consultiva nella materia della proprietà industriale.
2. I compensi per
i componenti la Commissione, i componenti la segreteria della Commissione ed i
tecnici che
dovessero essere aggregati alla Commissione per riferire su singole
questioni, sono determinati con decreto del Ministro per delle
Aattività
pProduttive
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Art. 137
(Esecuzione forzata)
1. I diritti patrimoniali di proprietà industriale possono formare oggetto di esecuzione forzata.
2. All'esecuzione
si applicano le norme stabilite dal Codicecodice di
procedura civile per l'esecuzione sui beni mobili.
Art. 138
(Trascrizione)
1. Debbono essere
resi pubblici mediante per mezzo della
trascrizione presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi:
a) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che trasferiscono in tutto o in parte, i diritti su titoli di proprietà industriale;
b) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento o diritti di garanzia, costituiti ai sensi dell’ articolo 140 concernenti i titoli anzidetti;
c) gli atti di divisione, di società, di transazione, di rinuncia, relativi ai diritti enunciati nelle lettere a) e b);
d) il verbale di pignoramento;
e) il verbale di aggiudicazione in seguito a vendita forzata;
f)
il verbale di sospensione della vendita di parte
dei diritti di proprietà industriale pignorati per essere restituiti al
debitore a norma del codicecodice di
procedura civile;
g) i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità;
h) le sentenze che dichiarano l'esistenza degli atti indicati nelle lettere a), b) e c), quando tali atti non siano stati precedentemente trascritti. Le sentenze che pronunciano la nullità, l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione di un atto trascritto devono essere annotate in margine alla trascrizione dell'atto al quale si riferiscono. Possono inoltre essere trascritte le domande giudiziali dirette ad ottenere le sentenze di cui al presente articolo. In tal caso gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla data della trascrizione della domanda giudiziale;
i) i testamenti e gli atti che provano l'avvenuta successione legittima e le sentenze relative;
l) le sentenze di rivendicazione di diritti di proprietà industriale e le relative domande giudiziali;
m)le sentenze che dispongono la conversione di titoli di proprietà industriale nulli e le relative domande giudiziali.
2. La trascrizione è soggetta al pagamento del diritto prescritto.
3. Per ottenere la trascrizione, il richiedente deve presentare apposita nota di trascrizione, sotto forma di domanda, allegando copia autentica dell'atto pubblico, ovvero l'originale o la copia autentica della scrittura privata autenticata ovvero qualsiasi altra documentazione prevista dall'articolo 195.
4. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, esaminata la regolarità formale degli atti, procede, senza
ritardo, alla trascrizione con la data di presentazione della domanda.
5. L'ordine delle trascrizioni è determinato dall'ordine di presentazione delle domande.
6. Le omissioni o
le inesattezze che non inducano incertezza assoluta sull'atto che si intende
trascrivere o sul titolo di proprietà industriale a cui l'atto si riferisce,
non
comportano nuocciono all’a
invalidità
della trascrizione.
Art. 139
(Effetti della trascrizione)
1. Gli atti e le sentenze, tranne i testamenti e gli altri atti e sentenze indicati alle lettere d), i) ed l) dell’articolo 138 finché non siano trascritti, non hanno effetto di fronte ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato e legalmente conservato diritti sul titolo di proprietà industriale.
2. Nel conflitto concorso
di più acquirenti dello stesso diritto di proprietà industriale dal medesimo
titolare, è preferito chi ha prima trascritto per primo il
suo titolo di acquisto.
3. La trascrizione
del verbale di pignoramento, finché dura la sua 'efficacia
di
questo, sospende gli effetti delle trascrizioni ulteriori degli
atti e delle sentenze anzidetti. Gli effetti di tali trascrizioni vengono meno
dopo la trascrizione del verbale di aggiudicazione, purché avvenga entro tre
mesi dalla data della aggiudicazione stessa.
4. I testamenti e gli atti che provano l'avvenuta legittima successione, e le sentenze relative, sono trascritti solo per stabilire la continuità dei trasferimenti.
5. Sono opponibili
ai terzi gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, ovvero modificano i
diritti inerenti ad una domanda o ad un brevetto europeo, a condizione che se
siano stati trascritti nel registro italiano dei brevetti europei.
Art. 140
(Diritti di garanzia)
1. I diritti di garanzia sui titoli di proprietà industriale devono essere costituiti per crediti di denaro.
2. Nel concorso di più diritti di garanzia, il grado è determinato dall'ordine delle trascrizioni.
3. La cancellazione delle trascrizioni dei diritti di garanzia è eseguita in seguito alla produzione dell'atto di consenso del creditore con sottoscrizione autenticata, ovvero quando la cancellazione sia ordinata con sentenza passata in giudicato, ovvero in seguito al soddisfacimento dei diritti assistiti da garanzia a seguito di esecuzione forzata.
4. Per la cancellazione è dovuto lo stesso diritto prescritto per la trascrizione.
Art. 141
(Espropriazione)
1. Con esclusione dei diritti sui marchi, i diritti di proprietà industriale, ancorché in corso di registrazione o di brevettazione, possono essere espropriati dallo Stato nell'interesse della difesa militare del paese o per altre ragioni di pubblica utilità.
2. L'espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili.
3. Con lL'espropriazione
anzidetta, quando sia effettuata nell'interesse della difesa militare del paese
e riguardi titoli di proprietà industriale di titolari italiani, è trasferito
trasferisce all'amministrazione
espropriante anche il diritto di chiedere titoli di proprietà industriale
all'estero, salvo rinuncia o limitazioni dell'amministrazione
stessa.
Art. 142
(Decreto di espropriazione)
1.
L'espropriazione viene disposta ha luogo per
decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministro competente, di concerto
con i Ministri delle attività produttive e dell'economia e finanze, sentito il
Consiglio dei ministri, se il provvedimento interessa la difesa militare del
Paese o, negli altri casi, la Commissione dei ricorsi.
2. Il decreto di
espropriazione nell'interesse della difesa militare del Paese, quando viene evenga emanato
prima della stampa dell'attestato di brevettazione o di registrazione, può potrà
contenere l'obbligo e stabilire la durata del segreto sull'oggetto del titolo
di proprietà industriale.
3. La violazione del
segreto è punita ai sensi dell'articolo 262 del codicecodice
penale.
4. Nel decreto di
espropriazione è fissata l'indennità spettante al titolare del diritto di
proprietà industriale, sentita la Commissione dei rRicorsi.
Art. 143
(Indennità di espropriazione)
1. Ove il titolare
del diritto espropriato non accetti l'indennità fissata ai sensi dell'articolo
142, ed in mancanza di accordo fra il titolare e l'amministrazione procedente,
l'indennità è sarà determinata
da un collegio di arbitratori composto di tre membri nominati uno
dall'espropriato, uno dal Ministero procedente ed il terzo con funzione di
presidente dai due nominati o, in caso di disaccordo, dal presidente del
tribunale di Roma.
2. Il collegio
degli arbitratori deve provvedere procederecon
equo apprezzamento. la La determinazione
degli arbitratori può essere impugnata davanti al giudice, che provvede alla
quantificazione dell'indennità.
3. All'inventore o
all'autore, il quale provi di avere perduto il diritto di priorità all'estero
per il ritardo della decisione negativa del Ministero in merito all'espropriazione,
è sarà
concesso un equo indennizzo, osservate le norme relative all'indennità di
espropriazione.
4. Contro i
decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità è ammesso il ricorso,
in sede giurisdizionale, al Tribunale amministrativo regionale Consiglio di
Stato competente per territorio, tranne per
le controversie riguardanti l'ammontare delle indennità per le quali si
applicano i commi 1 e 2 del presente articolo.
5. I decreti di
espropriazione nell’interesse della difesa devono essere annotati nel Registro
dei titoli di proprietà industriale a cura dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
SEZIONE II
MISURE CONTRO LA PIRATERIA
Art. 144
(Atti di pirateria)
1. Agli effetti
delle norme contenute nella presente sezione sono atti di pirateria le
contraffazioni e le usurpazioni di altrui diritti di proprietà industriale,
realizzate dolosamente in modo sistematico e massivo.
Art. 145
(Comitato Nazionale Anti-Contraffazione)
1. Presso il
Ministero delle attività produttive è costituito il Comitato nazionale con
funzioni di monitoraggio dei fenomeni in materia di violazione dei diritti di
proprietà industriale nonché di proprietà intellettuale limitatamente ai
disegni e modelli, di coordinamento e di studio delle misure volte ad
contrastarli, nonché di assistenza alle imprese per la tutela contro le
pratiche commerciali sleali.e intellettuale
2. Le modalità di composizione e di funzionamento del Comitato di cui al comma 1 sono definite con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, degli affari esteri, delle politiche agricole e forestali, dell’interno, della giustizia e per i beni e le attività culturali in modo da garantire la rappresentanza degli interessi pubblici e privati.
3. Il funzionamento del Comitato di cui al comma 1 non comporta oneri per la finanza pubblica.
Art. 146
(Interventi contro la pirateria)
1.
Qualora ne abbia notizia, il Ministero delle
aAttività
produttive segnala alla procura della repubblica, competente per territorio,
per le iniziative di sua competenza, i casi di pirateria.
2. Fatta salva la
repressione dei reati e l’applicazione della normativa
nazionale e comunitaria vigente in materia, di competenza dell'Autorità
doganale, il Ministero delle aAttività
pProduttive,
per il tramite del Prefetto della provincia
interessatadei prefetti, e i
sindaci, limitatamente al territorio comunale, possono disporre anche d’ufficio,
il sequestro amministrativo della merce
contraffatta e, decorsi tre mesi, previa autorizzazione
dell'autorità giudiziaria di cui al comma 3, procedere alla sua distruzione,
a spese del contravventore;. E’è
fatta salva la facoltà di conservare i
campioni da utilizzare a fini giudiziari.
3. Competente ad
autorizzare la distruzione è il presidente della sezione specializzata di cui
all’articolo 120, nel cui territorio è compiuto l’atto di pirateria, su
richiesta dell'amministrazione statale o comunale che
ha disposto il sequestro..
4. L’opposizione
avverso il provvedimento di distruzione di cui al comma 2 è proposta nelle
forme di cui agli articoli 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e
successive modificazioni. I; a tal fine il
termine per ricorrere decorre dalla data di notificazione del provvedimento o
da quella della sua pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana.
CAPO IV
ACQUISTO E MANTENIMENTO DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE
E RELATIVE PROCEDURE
SEZIONE I
DOMANDE IN GENERALE
Art. 147
(Deposito delle domande e delle istanze)
1. Tutte le
domande, le istanze, gli atti, i documenti e i ricorsi menzionati nel presente codicecodice
sono depositati, presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, presso le Camere di commercio,
industria e artigianato e presso gli uffici o enti pubblici determinati con
decreto del Ministro per delle
aAttività
pProduttive.
Con decreto dello stesso Ministro sono determinate le modalità di deposito,
quivi comprese quelle da attuare mediante ricorso ad altri mezzi di
comunicazione. Gli uffici o enti anzidetti, all'atto del ricevimento, lo
attestano ed entro i successivi dieci giorni trasmettono all'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, nelle forme indicate nel decretoregolamento,
gli atti depositati e la relativa attestazione.
2. Gli uffici o enti abilitati a ricevere i depositi sono tenuti ad adottare le misure necessarie per assicurare l'osservanza del segreto d'ufficio.
3. Non possono, né
direttamente, né per interposta persona, chiedere brevetti per invenzioni
industriali, o divenire cessionari, gli impiegati addetti all'Ufficio italiano
brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e marchi, se
non dopo due anni da quando abbiano cessato di appartenere al loro ufficio.
Art. 148
(Ricevibilità ed integrazione delle domande)
1. Le domande di
brevetto e di registrazione di cui
all'articolo 147, comma 1, non sono ricevibili se il richiedente non è
identificabile o non è raggiungibile e, nel caso dei marchi, anche quando la
domanda non contiene la riproduzione del marchio o l’elenco dei prodotti e/oovvero
dei servizi. L'irricevibilità, salvo quanto stabilito nel comma 3, è dichiarata
dall'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi.
2. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi invita il richiedente a fare le necessarie integrazioni,
soggette ad un diritto di mora in caso di pagamento tardivo, entro il termine
di due mesi dalla data della comunicazione se constata che:
a) alla domanda di invenzioni industriali e modelli di utilità non è allegato un documento che possa essere assimilato ad una descrizione ovvero manchi parte della descrizione o un disegno in essa richiamato ovvero la domanda contiene, in sostituzione della descrizione, il riferimento ad una domanda anteriore di cui non sono forniti il numero, la data di deposito, lo stato in cui è avvenuto il deposito ed i dati identificativi del richiedente;
b) alla domanda di varietà vegetale non è allegato almeno un esemplare della descrizione con almeno un esemplare delle fotografie in essa richiamate;
c) alla domanda di modelli e disegni non è allegata la riproduzione grafica o fotografica;
d) alla domanda di topografie non è allegato un documento che ne consenta l'identificazione;
e) non sono consegnati i documenti comprovanti il pagamento dei diritti prescritti entro il termine di cui all'articolo 226.
3. Se il richiedente ottempera all'invito dell'ufficio entro il termine di cui al comma 2 o provvede spontaneamente alla relativa integrazione, l'Ufficio riconosce quale data del deposito, da valere a tutti gli effetti, la data di ricevimento della integrazione richiesta e ne dà comunicazione al richiedente. Se il richiedente non ottempera all'invito dell'ufficio entro il termine di cui al comma 2, salvo il caso in cui, entro tale termine, abbia fatto espressa rinuncia alla parte della descrizione o disegno mancanti di cui al comma 2, lettera a), l'Ufficio dichiara l'irricevibilità della domanda ai sensi del comma 1.
4. Se il richiedente provvede spontaneamente
all’integrazione di cui al comma 2, l’Ufficio riconosce quale data del
deposito, da valere a tutti gli effetti, la data di ricevimento
dell’integrazione e ne dà comunicazione al richiedente. 4.- Se il richiedente provvede
spontaneamente all'integrazione di cui al comma 2, l'Ufficio riconosce quale
data del deposito, da valere a tutti gli effetti, la data di ricevimento
dell'integrazione e ne dà comunicazione al richiedente.
5. Tutte le
domande, le istanze ed i ricorsi di cui all'articolo 147, con gli atti allegati,
devono essere redatti in lingua italiana e così gli atti allegati.
Degli atti in lingua diversa dall'italiana, deve essere fornita la traduzione
in lingua italiana. Se la descrizione è presentata in lingua diversa da quella
italiana, la traduzione in lingua italiana deve essere depositata entro il
termine fissato dall'Ufficio.
Art. 149
(Deposito delle domande di brevetto europeo)
1. Le domande di
brevetto europeo possono essere depositate presso l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
nelle modalità previste dal regolamento di attuazione.
2. Si applicano le disposizioni dell’ articolo 198, commi 1 e 2. Ai fini dell'applicazione di tali disposizioni, la domanda deve essere corredata da una copia delle descrizioni e delle rivendicazioni redatte in lingua italiana, nonché degli eventuali disegni.
3. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi informa immediatamente l'Ufficio europeo dei brevetti
dell'avvenuto deposito della domanda.
Art. 150
(Trasmissione della domanda di brevetto europeo)
1. Le domande di
brevetto europeo il cui oggetto, ad avviso del servizio militare brevetti del
Ministero della difesa, è manifestamente non suscettibile di essere vincolatao
al segreto per motivi di difesa militare, sono trasmesse, a cura dell'Ufficio italiano
brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e marchi,
all'Ufficio europeo dei brevetti nel più breve termine possibile e, comunque,
entro sei settimane dalla data del loro deposito.
2. Nel caso in cui
le domande di brevetto europeo si consideraino
ritirate a norma dell'articolo 77, paragrafo 5, della Convenzione sul brevetto
europeo, il richiedente, entro tre mesi dalla ricezione della comunicazione, ha
facoltà di chiedere la trasformazione della domanda in domanda di brevetto
italiano per invenzione industriale.
3. Salvo che le disposizioni della tutela del
segreto sulle invenzioni interessanti la difesa militare del Paese non lo
consentano, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, qualora non siano ancora trascorsi
venti mesi dalla data di deposito o di priorità, trasmette copia della
richiesta di trasformazione di cui al comma 2 ai servizi centrali degli altri
Stati indicati nella richiesta medesima allegando una copia della domanda di
brevetto europeo prodotta dall'istante.
Art. 151
(Deposito della domanda internazionale)
1. Le persone
fisiche e giuridiche italiane e quelle che abbiano il domicilio o la sede in
Italia possono depositare le domande internazionali per la protezione delle
invenzioni presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, il quale agisce in qualità di ufficio
ricevente ai sensi dell'articolo 10 del Trattato di cooperazione in materia di
brevetti, ratificato dalla legge 26 maggio 1978, n. 260.
2. La domanda può
essere presentata presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi secondo quanto previsto dal regolamento
di attuazione; la data di deposito della domanda viene determinata a norma
dell'articolo 11 del Trattato.
3. La domanda
internazionale può essere depositata anche presso l'Ufficio europeo dei
brevetti, nella sua qualità di ufficio ricevente, ai sensi dell'articolo 151
della convenzione sul brevetto europeo, ratificata dalla legge 26 maggio 1978,
n. 260, e presso l'Organizzazione Mondiale della Proprietà
IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale di Ginevra quale ufficio ricevente, osservate le
disposizioni dell'articolo 198, commi 1 e 2.
Art. 152
(Requisiti della domanda internazionale)
1. La domanda internazionale deve essere conforme alle disposizioni del Trattato di cooperazione in materia di brevetti e del suo regolamento di esecuzione.
2. Ai soli fini dell'applicazione dell'articolo 198, commi 1 e 2, la domanda deve essere corredata da una copia della descrizione e delle rivendicazioni in lingua italiana, nonché degli eventuali disegni.
3. La domanda
internazionale e ciascuno dei documenti allegati, ad eccezione di quelli
comprovanti il pagamento delle tasse, devono essere depositati in un originale
e due copie. ;Le
copie mancanti sono approntate dall'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi a spese del richiedente.
Art. 153
(Segretezza della domanda internazionale)
1. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, salvo consenso del richiedente, rende accessibile al
pubblico la domanda solo dopo che abbia avuto luogo la pubblicazione
internazionale o sia pervenuta all'ufficio designato la comunicazione di cui all'articolo
20 del Trattato di cooperazione in materia di brevetti o la copia di cui all'articolo 22 del
medesimo Trattato o, comunque, decorsi venti mesi dalla data di priorità.
2. L’ Tuttavia l'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi può dare comunicazione e pubblicare di
essere stato designato, rivelando unicamente il nome del richiedente, il titolo
dell'invenzione, la data del deposito e il numero della domanda internazionale.
Art. 154
(Trasmissione della domanda internazionale)
1. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi trasmette all'Ufficio internazionale e all'amministrazione
che viene incaricata della ricerca la domanda internazionale entro i termini
previsti dalle regole 22 e 23 del regolamento di esecuzione del trattato di
cooperazione in materia di brevetti.
2. Se quindici giorni prima della scadenza del termine per la trasmissione dell’esemplare originale della domanda internazionale, fissato dalla regola 22 del regolamento di esecuzione del trattato, è pervenuta dal Ministero della difesa l’imposizione del vincolo del segreto, l’Ufficio ne dà comunicazione al richiedente diffidandolo ad osservare l’obbligo del segreto.
3. Entro novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 2, può essere chiesta la trasformazione della domanda internazionale in una domanda nazionale che assume la stessa data di quella internazionale; se la trasformazione non viene richiesta, la domanda si intende ritirata.
Art. 155
(Deposito di domande internazionali di disegni e modelli)
1. Le persone
fisiche e giuridiche italiane o quelle che abbiano il domicilio o una effettiva
organizzazione in Italia possono depositare le domande internazionali per la
protezione dei disegni o modelli direttamente prezzo l'Ufficio internazionale
oppure presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, dell'accordo dell'Aja del 6 novembre
1925, e successive revisioni, ratificato con legge 24 ottobre 1980, n. 744, e
di seguito chiamato Accordo.
2. La domanda
presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi può anche essere inviata in plico
raccomandato con avviso di ricevimento.
3. La data di deposito della domanda è quella dell'articolo 6, comma 2, dell'Accordo.
4. La domanda internazionale deve essere conforme alle disposizioni dell'Accordo e del relativo regolamento di esecuzione oltre che alle istruzioni amministrative emanate dall'Ufficio internazionale, ed essere redatta in lingua francese o inglese su formulari predisposti dall'Ufficio internazionale.
Art. 156
(Domanda di registrazione di marchio)
1. La domanda di registrazione di marchio deve contenere:
a) l’identificazione del richiedente ed anche del mandatario, se vi sia;
b)
la eventuale rivendicazione della priorità e/oovvero
della data da cui decorrono gli effetti della domanda in seguito ad
accoglimento di conversione di precedente domanda comunitaria o di
registrazione internazionale ai sensi del protocollo di Madrid;
c) la riproduzione del marchio;
d) l'elenco dei prodotti o dei servizi che il marchio è destinato a contraddistinguere, raggruppati secondo le classi della classificazione di cui all’accordo di Nizza del 15 giugno 1957, e successive modificazioni.
2. Quando vi sia mandatario, alla domanda deve essere unito l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201.
Art. 157
(Domanda di registrazione di marchio collettivo)
1. Alla domanda di registrazione per marchio collettivo deve unirsi oltre ai documenti di cui all’articolo 156, comma 1, anche copia dei regolamenti di cui all'articolo 11.
Art. 158
(Divisione della domanda di registrazione di marchio)
1. Ogni domanda deve aver per oggetto un solo marchio.
2. Se la domanda
riguarda più marchi, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi inviterà l'interessato, assegnandogli
un termine, a limitare la domanda ad un solo marchio, con facoltà di
presentare, per i rimanenti marchi, altrettante domande, che avranno effetto
dalla data della domanda primitiva.
3. Ogni domanda di registrazione, avente per oggetto più prodotti o servizi, può essere divisa dal richiedente in più domande parziali, nelle quali sono ripartiti i prodotti o i servizi della domanda iniziale, nei seguenti casi:
a) prima della decisione dell'ufficio relativo alla registrazione del marchio;
b) durante ogni procedura di opposizione alla decisione dell'ufficio di registrazione del marchio;
c) durante ogni procedura di ricorso contro la decisione di registrare il marchio.
4. Le domande parziali conservano la data di deposito della domanda iniziale e, se del caso, il beneficio del diritto di priorità.
5. Il ricorso alla Commissione dei ricorsi sospende il termine assegnato dall'ufficio.
Art. 159
(Domanda di rinnovazione di marchio)
1. La domanda di rinnovazione di marchio di impresa deve essere fatta dal titolare o dal suo avente causa.
2. La domanda, accompagnata dal versamento delle tasse dovute, deve essere depositata entro gli ultimi dodici mesi precedenti la scadenza del decennio in corso. Trascorso tale periodo, la domanda di rinnovazione può essere presentata nei sei mesi successivi al mese di scadenza con l'applicazione di una soprattassa.
3. Quando vi sia mandatario, alla domanda deve essere unito l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201.
4. Per i marchi registrati sulla base di una domanda di trasformazione di una domanda di marchio comunitario o di un marchio comunitario, presentata ai sensi del regolamento CE n. 40/94 del Consiglio del 20 dicembre 1993 sul marchio comunitario e successive modifiche, ovvero sulla base di una domanda di trasformazione di una registrazione internazionale, presentata ai sensi dell'articolo 9-quinquies del protocollo relativo all'accordo di Madrid sulla registrazione internazionale del marchi, gli effetti della prima registrazione, ai fini della rinnovazione, decorrono rispettivamente dalla data di deposito della domanda di marchio comunitario o dalla data di registrazione internazionale.
5. Se il marchio precedente appartiene a più persone, la domanda di rinnovazione può essere fatta da una soltanto, nell'interesse di tutte.
6. Se la domanda di rinnovazione o le tasse pagate si riferiscono soltanto ad una parte dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è stato registrato, la registrazione viene rinnovata soltanto per i prodotti o i servizi di cui trattasi.
Art. 160
(Domanda di brevetto per invenzione e per modello di utilità)
1. La domanda deve contenere:
a) l’identificazione del richiedente e del mandatario, se vi sia;
b) l'indicazione dell'invenzione o del modello, in forma di titolo, che ne esprima brevemente, ma con precisione, i caratteri e lo scopo.
2. Una medesima domanda non può contenere la richiesta di più brevetti, né di un solo brevetto per più invenzioni o modelli.
3. Alla domanda devono essere uniti:
a) la descrizione dell'invenzione effettuata ai sensi dell'articolo 51;
b) i disegni dell’invenzione, ove sia possibile;
c) la designazione dell'inventore;
d) quando vi sia mandatario, anche l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201;
e) in caso di rivendicazione di priorità i documenti relativi.
4. La descrizione dell'invenzione o del modello deve iniziare con un riassunto che ha solo fini di informazione tecnica, e deve concludersi con una o più rivendicazioni in cui sia indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto.
Art. 161
(Unicità dell'invenzione e divisione della domanda)
1. Ogni domanda deve avere per oggetto una sola invenzione.
2. Se la domanda
comprende più invenzioni, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi inviterà l'interessato, assegnandogli
un termine, a limitare tale domanda ad una sola invenzione, con facoltà di
presentare, per le rimanenti invenzioni, altrettante domande, che avranno
effetto dalla data della domanda primitiva.
3. Il ricorso alla Commissione dei ricorsi sospende il termine assegnato dall'Ufficio.
Art. 162
(Procedimento microbiologico)
1. Una domanda di brevetto riguardante un procedimento microbiologico o un prodotto ottenuto secondo tale procedimento sarà considerata descritta qualora:
a) una coltura del microrganismo sia stata depositata, al più tardi il giorno stesso del deposito della domanda di brevetto, presso un centro di raccolta di tali colture;
b) la domanda depositata contenga le informazioni pertinenti di cui il richiedente dispone sulle caratteristiche del microrganismo;
c)
la domanda venga completata con l'indicazione di un
centro di raccolta di colture abilitato presso il quale una coltura del
microrganismo sia stata depositata nonché con il numero e la data di deposito
di detta coltura, salva la facoltà per l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi di
chiedere copia della ricevuta di deposito.
2. Si considerano centri abilitati quelli riconosciuti ai fini dell'ottenimento di un brevetto europeo o un'autorità internazionale riconosciuta in forza di convenzione ratificata dall'Italia.
3. Le indicazioni di cui alla lettera c) possono essere comunicate entro un termine di due mesi a decorrere dal deposito della domanda di brevetto. La comunicazione di questa indicazione è considerata quale consenso irrevocabile e senza riserve del titolare della domanda a mettere la coltura depositata a disposizione di qualsiasi persona che, a partire dalla data in cui la domanda di brevetto è resa accessibile al pubblico, presenti richiesta al centro di raccolta presso il quale il microrganismo è stato depositato.
4. La richiesta di cui al comma 3 dovrà essere notificata al titolare della domanda o del brevetto e dovrà essere completata dalle seguenti indicazioni:
a) il nome e l'indirizzo di chi fa la richiesta;
b) l'impegno di chi presenta la richiesta nei confronti del titolare del brevetto o della domanda di brevetto di non rendere accessibile la coltura a qualsiasi terzo;
c)
l'impegno ad effettuare l'utilizzazione di tale
coltura attraverso un esperto qualificato nominativamente indicato
esclusivamente a fini sperimentali fino alla data in cui la domanda di brevetto
non venga rigettata o ritirata o il brevetto sia definitivamente decaduto o
dichiarato nullo e sia venuta meno qualsiasi possibilità di reintegrazione in forma
specifica restitutio
in integrum a favore del richiedente o del titolare del
brevetto.
5. L'esperto designato per l'utilizzazione è responsabile solidalmente per gli abusi commessi dal richiedente.
Art. 163
(Domanda di certificato complementare per i medicinali e per i prodotti fitosanitari)
1. La domanda di certificato complementare deve essere conforme ai requisiti previsti dai regolamenti CE n. 1768/92 e n. 1610/96.
Art. 164
(Domanda di privativa per varietà vegetale)
1. La domanda di privativa per varietà vegetale deve contenere:
a) l'identificazione del richiedente ed anche del mandatario, se vi sia;
b) l'indicazione in italiano ed in latino del genere o della specie cui la varietà appartiene;
c)
la denominazione proposta, specificando se trattasi
di codicecodice
o di nome di fantasia;
d) il nome e la nazionalità dell'autore della varietà vegetale;
e) l'eventuale rivendicazione della priorità;
f) l'elenco dei documenti allegati.
2. Alla domanda devono essere uniti:
a) la descrizione della varietà vegetale. In caso di varietà ibrida, a richiesta del costitutore, le informazioni relative ai componenti genealogici non sono messi a disposizione del pubblico dall'ufficio ricevente;
b) la riproduzione fotografica della varietà vegetale e delle sue caratteristiche specifiche;
c) ogni informazione e documentazione ritenuta utile ai fini dell'esame della domanda, e, in particolare, i risultati degli esami in coltura eventualmente già intrapresi in Italia o all'estero. La documentazione redatta in lingua straniera è corredata da una traduzione in lingua italiana dichiarata conforme dal richiedente o dal suo mandatario;
d) la dichiarazione di cui all'articolo 165;
e) i documenti comprovanti le priorità eventualmente rivendicate;
f) quando vi sia mandatario, l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201;
g) il documento comprovante il pagamento della tassa di domanda, della tassa per la lettera d'incarico o per la relativa autocertificazione.
3. I documenti indicati al comma 2 lettere b), d), ed e), possono essere depositati successivamente, ma non oltre il termine di sei mesi dal deposito della domanda. I documenti indicati al comma 2, lettere c) e g), possono essere presentate successivamente ma non oltre la data d'inizio delle prove di coltivazione della varietà.
4. La varietà è descritta in modo da mettere chiaramente in evidenza in quale maniera essa è stata ottenuta e quali sono i caratteri di natura morfologica o fisiologica che la differenziano da altre varietà similari conosciute.
5. Nella descrizione è indicata anche la denominazione proposta dal costitutore.
6. Se trattasi di varietà essenzialmente derivata ai sensi del comma 4 dell'articolo107, è indicata la varietà iniziale. Se trattasi di varietà geneticamente modificata sono indicati l'origine e la natura della modifica genetica.
Art. 165
(Dichiarazione del costitutore.)
1. Il costitutore dichiara che:
a) la varietà di cui chiede la protezione costituisce, a sua conoscenza, una nuova varietà vegetale ai sensi dell'articolo 103 epresenta i requisiti della suddetta norma;
b) ha ottenuto l'autorizzazione dei titolari di altre nuove varietà vegetali eventualmente occorrenti per la produzione di quella richiesta;
c) s'impegna a fornire, a richiesta dei competenti organi del Ministero delle politiche agricole e forestali, di seguito indicato con la sigla MIPAF, e nei termini da essi stabiliti, il materiale di riproduzione o di moltiplicazione vegetativa della varietà destinato a consentire l'esame della stessa;
d) è stata depositata per la stessa varietà, domanda di protezione in altri Stati e quale ne sia stato l'esito;
e) rinuncia al marchio d'impresa eventualmente utilizzato qualora sia identico alla denominazione proposta per la varietà.
Art. 166
(Domanda di denominazione varietale)
1. La denominazione proposta per la nuova varietà:
a) deve essere conforme alle linee guida del consiglio di amministrazione dell'ufficio comunitario delle varietà vegetali;
b) non deve risultare contraria alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume;
c) non deve contenere nomi geografici.
Art. 167
(Domanda di registrazione di disegni e modelli)
1. La domanda deve contenere:
a) l’identificazione del richiedente ed anche del mandatario, se vi sia;
b) l'indicazione del disegno o modello, in forma di titolo ed eventualmente l'indicazione delle caratteristiche dei prodotti che si intendono rivendicare.
2. Alla domanda devono essere uniti:
a) la riproduzione grafica del disegno o modello, o la riproduzione grafica dei prodotti industriali la cui fabbricazione deve formare oggetto del diritto esclusivo, o un campione dei prodotti stessi quando trattasi di prodotti industriali aventi fondamentalmente due sole dimensioni;
b) la descrizione del disegno o modello, se necessaria per l'intelligenza del disegno o modello medesimo;
c) quando vi sia mandatario, l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201;
d) in caso di rivendicazione di priorità i documenti relativi.
Art. 168
(Domanda di registrazione delle topografie)
1. Ogni domanda deve avere per oggetto una sola topografia di un prodotto a semiconduttori e, qualora indichi una data di primo sfruttamento commerciale, corrispondere alla topografia esistente in detta data.
2. Alla domanda di registrazione debbono essere allegati:
a) una documentazione che consenta l'identificazione della topografia, in conformità alle prescrizioni del regolamento;
b) una dichiarazione attestante la data del primo atto di sfruttamento commerciale della topografia qualora questa data sia anteriore a quella della domanda di registrazione. Se il richiedente è persona diversa da chi ha effettuato il primo atto di sfruttamento commerciale deve dichiarare il rapporto giuridico intercorso con quest'ultimo;
c) quando vi sia un mandatario l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201;
d) l'eventuale designazione dell'autore o degli autori della topografia.
3.E' consentita l'utilizzazione di termini tecnici stranieri divenuti di uso corrente nel settore specifico.
Art. 169
(Rivendicazione di priorità)
1. Quando si rivendichi la priorità di un deposito ai sensi dell'articolo 4 si deve unire copia della domanda prioritaria da cui si rilevino il nome del richiedente, l'entità e l'estensione del diritto di proprietà industriale e la data in cui il deposito è avvenuto.
2. Se il deposito è stato eseguito da altri, il richiedente deve anche dare la prova di essere successore o avente causa del primo depositante.
3. Quando all'estero siano state depositate separate domande, in date diverse, per le varie parti di uno stesso marchio, e di tali parti si voglia rivendicare il diritto di priorità, per ognuna di esse, ancorché costituiscano un tutto unico, deve depositarsi separata domanda. Ove con una sola domanda siano rivendicate più registrazioni o più depositi delle dette diverse parti di uno stesso marchio, alle nuove domande separate si applica l'articolo 158, commi 1, 2 e 5.
4. Quando siano state depositate separate domande, in date diverse, per le varie parti di una stessa invenzione, il diritto di priorità può essere rivendicato con una unica domanda se vi sia unità di invenzione. Nel caso che con una sola domanda siano rivendicati più depositi e non si riscontri l'unità inventiva, alle nuove domande separate è applicabile l'articolo 161.
5. Quando sia intervenuto il decreto ministeriale per la protezione temporanea dei nuovi marchi apposti su prodotti o su materiali inerenti alla prestazione del servizio che hanno figurato in una esposizione e si rivendichino i diritti di priorità per tale protezione temporanea, il richiedente deve allegare alla domanda di registrazione un certificato del comitato esecutivo o direttivo o della presidenza dell'esposizione, avente il contenuto prescritto nel relativo regolamento.
6. La brevettazione o la registrazione vengono effettuate senza menzione della priorità qualora entro sei mesi dal deposito della domanda non vengano prodotti, nelle forme dovute, i documenti di cui al comma 1. Per le invenzioni e i modelli di utilità il termine per deposito di tali documenti è di sedici mesi dalla data della domanda anteriore, di cui si rivendica la priorità, se tale termine è più favorevole al richiedente.
7. Qualora la
priorità di un deposito compiuta agli effetti delle convenzioni internazionali
vigenti venga comunque rifiutata, nel titolo di proprietà industriale deve dovrà
farsi analoga annotazione del rifiuto.
8. La rivendicazione di priorità nella domanda di privativa per nuova varietà vegetale è rifiutata se è effettuata dopo il termine di dodici mesi dal deposito della prima domanda e se il richiedente non ne ha diritto. Qualora la priorità sia rifiutata non se ne fa menzione nella privativa.
Art. 170
(Esame delle domande)
1. L’esame delle domande, delle quali sia stata riconosciuta la regolarità formale, è rivolto ad accertare:
a) per i marchi: se può trovare applicazione l'articolo 11 quando si tratta di marchi collettivi; se la parola, figura o segno possono essere registrati come marchio a norma degli articoli 7, 8, 9, 10, 12, comma 1, lettera a), 13, comma 1 e 14, comma 1, lettere a) e b); se concorrono le condizioni di cui all'articolo 3;
b) per le invenzioni ed i modelli di utilità che l'oggetto della domanda sia conforme a quello previsto dagli articoli 45, 50 e dall'articolo 82, esclusi i requisiti di validità a meno che la loro assenza risulti assolutamente evidente sulla base delle stesse dichiarazioni ed allegazioni del richiedente oppure sia certa alla stregua del notorio;
c) per i disegni e modelli che l'oggetto della domanda sia conforme alle prescrizioni dell'articolo 31, esclusi i requisiti di validità;
d)
per le varietà vegetali, i requisiti di validità
previsti nella sezione VIII del Capo II di questo codicecodice,
nonché l'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 114 della stessa
sezione. L'esame di tali requisiti è compiuto dal Ministero delle politiche agricole
e forestali il quale formula parere vincolante avvalendosi della commissione
consultiva istituita dall'articolo 18 del decreto del Presidente della
RepubblicaD 12 agosto 1975, n. 974. La
Commissione opera osservando le norme di procedura dettate con apposito
regolamento di funzionamento. Al fine di
accertare la permanenza dei requisiti il Ministero delle politiche
agricole e forestali IPAF può chiedere al titolare o al suo
avente causa il materiale di riproduzione o di moltiplicazione necessario per
effettuare il controllo;
e) per le topografie dei prodotti a semiconduttori, che l'oggetto della domanda sia conforme a quello previsto dall'articolo 87, esclusi i requisiti di validità;
2. Per i marchi relativi a prodotti agricoli ed a quelli agroalimentari di prima trasformazione, che utilizzano denominazioni geografiche, l’Ufficio trasmette l’esemplare del marchio ed ogni altra documentazione al Ministero delle politiche agricole e forestali, che esprime il parere di competenza entro dieci giorni dal ricevimento della relativa richiesta.
3. Qualora non si
riscontrino le condizioni sopra indicate, l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
provvede ai sensi dell'articolo 173, comma 7.
Art. 171
(Esame dei marchi internazionali)
1. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi effettua l'esame dei marchi internazionali designanti
l'Italia conformemente alle norme relative aimarchi nazionali ai sensi dell'articolo 170, comma 1, lettera a).
2. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, se ritiene che il marchio non possa essere registrato in
tutto o in parte, ovvero se è stata presentata opposizione da parte di terzi ai
sensi dell'articolo 176, provvede, ai sensi dell'articolo 5 dell'Accordo di
Madrid o del relativo Protocollo, all'emissione di un rifiuto provvisorio della
registrazione internazionale e ne dà comunicazione all'Organizzazione Mondiale della
Proprietà IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale.
3. Il rifiuto provvisorio ai sensi del comma 2 è emesso entro un anno per le registrazioni internazionali basate sull'accordo di Madrid e diciotto mesi per quelle basate sul relativo protocollo. I termini decorrono dalle date rispettivamente indicate nelle citate Convenzioni internazionali.
4. In caso di
rifiuto provvisorio, la protezione del marchio è la medesima di quella di una
domanda di marchio depositata presso l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
5. Entro il
termine perentorio all'uopo fissato
dall'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, il titolare di una registrazione internazionale, per la
quale sia stato comunicato all'Organizzazione Mondiale della Proprietà
IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale un rifiuto provvisorio, tramite un mandatario
nominato ai sensi dell'articolo 201, può presentare le proprie deduzioni,
ovvero richiedere copia dell'atto di opposizione sulla base del quale è stato
emesso il rifiuto provvisorio. In tale ultimo caso, se il titolare della
registrazione internazionale richiede la copia nel termine prescritto,
l'Ufficio comunica alle parti l’avviso di cui all’articolo 178, comma 1, e
applica le altre norme sulla procedura di opposizione di cui agli articoli 178
e seguenti.
6. Qualora entro
il termine di cui al comma 5 il titolare della registrazione internazionale non
presenti le proprie deduzioni, ovvero non richieda copia dell’atto di
opposizione secondo le modalità prescritte, l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
emette il rifiuto definitivo.
7. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi comunica all'Organizzazione Mondiale della Proprietà
IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale le decisioni definitive relative ai marchi internazionali
designanti l'Italia.
8. Nel caso che il
marchio designante l'Italia in base al Protocollo di Madrid sia successivamente
radiato in tutto o in parte su richiesta dell'ufficio di proprietà industriale
d'origine, il suo titolare può depositare una domanda di registrazione per lo
stesso segno presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi. Tale domanda ha effetto dalla data di
registrazione internazionale, con l'eventuale priorità riconosciuta, o da
quella dell'iscrizione dell'estensione territoriale concernente l'Italia.
9. La domanda è depositata nel termine perentorio di tre mesi a decorrere dalla data di radiazione della registrazione internazionale e può riguardare solo i prodotti e servizi in essa compresi relativamente all'Italia.
10. Alla domanda si applicano le disposizioni vigenti per le domande nazionali.
Art. 172
(Ritiro, rettifiche, integrazioni della domanda)
1. Il richiedente
può sempre ritirare la domanda durante la procedura di esame e nel caso dei
marchi, anche durante la procedura di opposizione, prima che l'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi abbia provveduto alla concessione del titolo.
2. Il richiedente,
prima che l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi abbia provveduto alla concessione del
titolo o deciso in merito ad una istanza o ad una opposizione, o comunque prima
che la Commissione dei ricorsi, nei casi in cui sia stato interposto ricorso
abbia provveduto, ha facoltà di correggere, negli aspetti non sostanziali, la
domanda originariamente depositata o ogni altra istanza ad essa relativa
nonché, nel caso di domanda di brevetto per invenzione o modello di utilità, di
integrare anche con nuovi esempi o limitare la descrizione, le rivendicazioni o
i disegni originariamente depositati e, nel caso di domanda di marchio, di
limitare o precisare i prodotti e i servizi originariamente elencati.
3. Il richiedente,
su invito dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, deve completare o rettificare la
documentazione ove sia necessario per l'intelligenza del diritto di proprietà
industriale o per meglio determinare l'ambito della tutela richiesta.
4. Qualora siano
necessari gli accertamenti di cui all'articolo 170, comma 1, lettera d), il
Ministero delle politiche agricole e forestali invita il richiedente a
presentare il materiale di riproduzione o di moltiplicazione della varietà e,
nel caso di varietà ibride, può richiedere, ove necessario, anche la consegna
del materiale dei componenti genealogici. Gli istituti e gli enti designati per
gli accertamenti rilasciano ricevuta del materiale loro consegnato. Se il
materiale è consegnato in quantità insufficiente o qualitativamente non idoneo,
gli istituti e gli enti anzidetti redigono apposito processo verbale da trasmettere
al Ministero delle pPolitiche aAgricole
e fForestali.
5. Il Ministero
delle pPolitiche
aAgricole
e Fforestali,
di concerto con gli enti e gli organismi responsabili delle prove può, anche su
richiesta del titolare della domanda o di terzi, disporre che siano effettuate
visite presso i campi per fare prendere visione delle prove agli interessati.
Gli enti e gli organismi responsabili delle prove, ove lo ritengano necessario,
invitano il titolare della domanda a visitare i campi prova. L'ente o l'organismo
designato trasmette, al termine delle prove, un rapporto sui risultati ottenuti
al Ministero delle pPolitiche aAgricole
e fForestali,
il quale, in caso di dubbi sui risultati medesimi, può disporre la ripetizione
delle prove. Il Ministero delle pPolitiche aAgricole
e fForestali,
sulla base del rapporto d'esame, redige la descrizione ufficiale della varietà.
L'Ufficio, ricevuta dal Ministero delle pPolitiche
aAgricole
e fForestali
la descrizione ufficiale, la trasmette al costitutore assegnandogli un termine
per le osservazioni.
6. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi deve conservare la documentazione relativa alla domanda
iniziale, fare risultare la data di ricezione delle modifiche o integrazioni,
ed adottare ogni altra opportuna modalità cautelare.
Art. 173
(Rilievi)
1. I rilievi ai quali dia luogo l'esame delle domande e delle istanze devono essere comunicati all'interessato con l'assegnazione di un termine per la risposta non inferiore a due mesi dalla data di ricezione della comunicazione.
2.Le osservazionie
dei terzi ed i rilievi ai quali dia luogo l'esame della domanda di privativa
per nuova varietà vegetale sono comunicati all'interessato con l'assegnazione
di un termine, non superiore a sei mesi, per la risposta. Nel caso in cui il
rilievo riguardi la denominazione, la nuova proposta è corredata da una
dichiarazione integrativa includente anche la dichiarazione di cui alla lettera
e), del comma 1, dell'articolo 165. L'ufficio ed il Ministero delle pPolitiche
aAgricole
e fForestali
si comunicano reciprocamente le osservazioni e i rilievi trasmessi al richiedente
e le risposte ricevute.
3. Quando, a causa di irregolarità nel conferimento del mandato, di cui all'articolo 201, il mancato adempimento ai rilievi comporta il rigetto delle domande e delle istanze connesse, il rilievo deve essere comunicato al richiedente.
4. Quando il termine sia decorso senza che sia pervenuta risposta ai rilievi, la domanda o l'istanza è respinta con provvedimento da notificare al titolare della domanda stessa o dell'istanza con raccomandata con avviso di ricevimento. Tuttavia se il rilievo concerne la rivendicazione di un diritto di priorità, la mancata risposta comporta esclusivamente la perdita di tale diritto.
5. La domanda di privativa per nuova varietà vegetale è rifiutata:
a) in caso di mancata risposta ai rilievi dell'ufficio e del Ministero delle politiche agricole e forestali nei termini stabiliti;
b) in caso di mancata consegna dei materiali per le prove varietali ai sensi dell'articolo 165, comma 1, lettera c), salvo che la mancata consegna sia dipesa da causa di forza maggiore;
c) in caso di assenza di uno dei requisiti previsti dall'articolo 170, comma 1, lettera d).
6. Se la domanda di privativa per nuova varietà vegetale non è accolta o se essa è ritirata, il compenso dovuto per i controlli tecnici è rimborsato solo quando non siano già stati avviati i controlli tecnici suddetti.
7. Prima di
respingere in tutto o in parte una domanda o una istanza ad essa connessa, per
motivi che non siano stati oggetto di rilievi ai sensi del comma 1, l’Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi assegna al
richiedente il termine di due mesi per formulare osservazioni. Scaduto detto
termine, se non sono state presentate osservazioni o l’Ufficio ritiene di non
potere accogliere quelle presentate, la domanda o l'istanza è respinta in tutto
o in parte.
8. Per le domande di
brevetto internazionale l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, compiuto l'accertamento di cui
all'articolo 14 del Trattato di cooperazione in materia di brevetti, invita il
richiedente ad effettuare le eventuali correzioni e a depositare i disegni non
acclusi, fissando all'uopo un termine non superiore a mesi tre, ferma restando
l'osservanza del termine per la trasmissione dell'esemplare originale della
domanda internazionale, previsto dalla regola 22 del regolamento di esecuzione
del Trattato. L'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi dichiara che la domanda s'intende
ritirata nelle ipotesi previste dall'articolo 14 del Trattato.
9. Qualora la domanda sia
accolta, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi provvede alla concessione deltitolo.
10. I fascicoli
degli atti e dei documenti relativi alle domande di brevettazione o di
registrazione sono conservati dall'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi fino a dieci anni dopo l'estinzione dei
diritti corrispondenti. Dopo la scadenza di tale termine l'Ufficio può
distruggere i fascicoli anche senza il parere dell'Archivio centrale di Stato,
previa acquisizione informatica su dispositivi non alterabili degli originali,
delle domande, delle descrizioni e dei singoli disegni ad esse allegati.
SEZIONE II
OSSERVAZIONI SUI MARCHI D'IMPRESA E OPPOSIZIONI ALLA REGISTRAZIONE DEI MARCHI
Art. 174
(Osservazioni e opposizioni alla registrazione del marchio)
1.1. Le
domande di marchio ritenute registrabili ai sensi dell’articolo 170, comma 1,
lettera a), le registrazioni di marchio effettuate secondo la procedura di cui
all'articolo 179, comma 2, ed i marchi internazionali, designanti l'Italia,
possono essere oggetto di osservazioni e di opposizioni in conformità alle
norme di cui ai successivi articoli.
Art. 175
(Deposito delle osservazioni dei terzi)
1. Qualsiasi
interessato può, senza con ciò assumere la qualità di parte nella procedura di
registrazione, indirizzare all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi osservazioni scritte, specificando i
motivi per i quali un marchio devedovrebbe
essere escluso d'ufficio dalla registrazione entro il termine perentorio di due
mesi:
a) dalla data di pubblicazione di una domanda di registrazione, ritenuta registrabile ai sensi dell’articolo 170, comma 1, lettera a), ovvero ritenuta registrabile in base a sentenza di accoglimento passata in giudicato;
b) dalla data di pubblicazione della registrazione di un marchio, la cui domanda non è stata pubblicata ai sensi dell’articolo 179, comma 2;
c) dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuta la pubblicazione del marchio internazionale nella Gazette de l’Organisation Mondiale de la Propriété Intellectuelle des Marques Internationales.
2. Le
osservazioni, se ritenute pertinenti e rilevanti, sono dall'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
comunicate al richiedente che può presentare le proprie deduzioni entro il
termine di trenta giorni dalla data della comunicazione.
3. Nel caso di marchio internazionale, le
osservazioni sono considerate dall'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi solo al fine dell'esame di cui
all'articolo 170, comma 1, lettera a).
Art. 176
(Deposito dell’opposizione)
1. I soggetti,
legittimati ai sensi dell’articolo 177, possono
presentare all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi opposizione la quale, a pena di
inammissibilità, deve essere scritta, motivata e documentata, entro il termine
perentorio di tre mesi dalle date indicate nell’ articolo 175, comma 1, lettere
a), b), e c), avverso gli atti ivi
indicati.
2. L'opposizione, che può riguardare una sola domanda o registrazione di marchio, deve contenere a pena di inammissibilità:
a) in relazione al marchio oggetto dell'opposizione, l'identificazione del richiedente, il numero e la data della domanda della registrazione e i prodotti e i servizi contro cui è proposta l'opposizione;
b) in relazione al marchio o diritto dell'opponente, l'identificazione del marchio o dei marchi anteriori di cui all'articolo 12, comma 1, lettere d) ed e), nonché dei prodotti e servizi sui quali è basata l'opposizione oppure del diritto di cui all'articolo 8;
c) i motivi su cui si fonda l'opposizione.
3. L'opposizione si considera ritirata se non è comprovato il pagamento dei diritti di opposizione entro i termini e con le modalità stabiliti dal decreto di cui all'articolo 226.
4. Chi presenta l'opposizione, deve depositare entro il termine perentorio di due mesi dalla scadenza del termine per il raggiungimento di un accordo di conciliazione di cui all’articolo 178, comma 1:
a) copia della domanda o del certificato di registrazione del marchio su cui è basata l'opposizione, ove non si tratti di domande o di certificati nazionali e, se del caso, la documentazione relativa al diritto di priorità o di preesistenza di cui esso beneficia, nonché la loro traduzione in lingua italiana; nel caso della preesistenza, questa deve essere già stata rivendicata in relazione a domanda od a registrazione di marchio comunitario;
b) ogni altra documentazione a prova dei fatti addotti;
c)
la documentazione necessaria a dimostrare la
legittimazione a presentare opposizione, qualora il marchio anteriore non
risulti a suo nome dal Registro tenuto dall'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi;
d) l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201, se è stato nominato un mandatario.
5. Con l'opposizione possono farsi valere gli impedimenti alla registrazione del marchio previsti dall'articolo 12, comma 1, lettere d) ed e), per tutti o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stata chiesta la registrazione, e la mancanza del consenso alla registrazione da parte degli aventi diritto di cui all'articolo 8.
Art. 177
(Legittimazione all’opposizione)
1. Sono legittimati all'opposizione
a) il titolare di un marchio già registrato nello Stato o con efficacia nello Stato da data anteriore;
b)
il soggetto chechi ha depositato
nello sStato
domanda di registrazione di un marchio in data anteriore o avente effetto nello
Stato da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida
rivendicazione di preesistenza;
c) il licenziatario dell'uso esclusivo del marchio;
d) le persone, gli enti e le associazioni di cui all'articolo 8.
Art. 178
(Esame dell'opposizione e decisioni)
1. Scaduto il
termine di cui all’articolo 176, comma 1, l'Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi,
verificate la ricevibilità e l'ammissibilità dell'opposizione ai sensi degli
articoli 148, comma 1, e 176, comma 2, entro due mesi dalla scadenza del
termine per il pagamento dei diritti di cui all'articolo 225, comunica l'opposizione
al richiedente la registrazione con l'avviso, anche all'opponente, della
facoltà di raggiungere un accordo di conciliazione entro due mesi dalla data
della comunicazione, prorogabile su istanza comune delle parti.
2. In assenza di accordo ai sensi del comma 1, il richiedente che abbia ricevuto la documentazione di cui all’articolo 176, comma 2, lettere a), b) e c), può presentare per iscritto le proprie deduzioni entro il termine all'uopo fissato dall'Ufficio.
3. Nel corso del
procedimento di opposizione, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi può, in ogni momento, invitare le parti
a presentare nel termine da esso fissato ulteriori documenti, deduzioni od
osservazioni in funzione delle allegazioni, deduzioni ed osservazioni delle
altre parti.
4. Su istanza del
richiedente, l'opponente che sia titolare di marchio anteriore registrato da
almeno cinque anni fornisce i documenti idonei a provare che tale marchio è
stato oggetto di uso effettivo, da parte sua o con il suo consenso, per i
prodotti e servizi per i quali è stato registrato e sui quali si fonda
l'opposizione, o che vi siano i motivi legittimi per la mancata utilizzazione.
In mancanza di tale prova, da fornire entro trenta giorni dalla comunicazione
dell'istanza da parte dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, l'opposizione è respinta. Se l'uso
effettivo è provato solo per una parte dei prodotti o servizi per i quali il
marchio anteriore è stato registrato, esso, ai soli fini dell'esame dell'opposizione,
si considera registrato solo per quella parte di prodotti o servizi.
5. L'istanza del richiedente per ottenere la prova dell'uso effettivo del marchio deve essere presentata non oltre la data di presentazione delle prime deduzioni ai sensi del comma 2.
6. In caso di opposizioni relative allo stesso marchio, le opposizioni successive alla prima sono riunite a questa.
7. Al termine del
procedimento di opposizione, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi accoglie l'opposizione stessa
respingendo la domanda di registrazione in tutto o in parte se risulta che il
marchio non può essere registrato per la totalità o per una parte soltanto dei prodotti e
servizi indicati nella domanda; in caso contrario respinge l’opposizione. Nel
caso di registrazione internazionale, l’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi emette rifiuto definitivo parziale o
totale ovvero respinge l’opposizione dandone comunicazione all’ Organizzazione
mondiale della proprietà intellettuale (OMPI).
Art. 179
(Estensione della protezione)
1. Se il
richiedente intende estendere la protezione del marchio all'estero ai sensi
dell'Accordo di Madrid, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, anche se è già stata proposta
un'opposizione, procede alla registrazione ed effettua le relative annotazioni.
2. Se la domanda di marchio, di cui al comma 1, non è già stata pubblicata, la pubblicazione della registrazione è accompagnata, in tal caso, dall'avviso che tale pubblicazione è termine iniziale per l'opposizione. L'accoglimento dell'opposizione determina la radiazione totale o parziale del marchio.
Art. 180
(Sospensione della procedura di opposizione)
1. Il procedimento
di un'opposizione
è sospeso:
a) durante il periodo concesso alle parti al fine di pervenire ad un accordo di conciliazione, ai sensi dell'articolo 178, comma 1;
b) se l'opposizione è basata su una domanda di marchio, fino alla registrazione di tale marchio;
c) se l'opposizione è basata su un marchio internazionale, fino a quando non siano scaduti i termini per il rifiuto o la presentazione di un'opposizione avverso la registrazione di tale marchio, ovvero si siano conclusi i relativi procedimenti di esame o di opposizione;
d) se l’opposizione è proposta avverso un marchio nazionale oggetto di riesame in seguito ad osservazioni di cui all'articolo 175, comma 2, fino a quando si sia concluso il relativo procedimento di riesame;
e) se è pendente un giudizio di nullità o di decadenza del marchio sul quale si fonda l'opposizione o relativo alla spettanza del diritto alla registrazione a norma dell'articolo 118, fino al passaggio in giudicato della sentenza, laddove il richiedente la registrazione depositi apposita istanza;
2. Su istanza del
richiedente la registrazione, la sospensione di cui alla lettera e), comma
1, lettera
e), può essere successivamente revocata.
3. Se
l’opposizione è sospesa ai sensi del comma 1, lettere c) e d), l'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e marchi esamina con precedenza la domanda di marchio
o la registrazione del marchio internazionale.
Art. 181
(Estinzione della procedura di opposizione)
1. La procedura di opposizione si estingue se:
a) il marchio sul quale si fonda l'opposizione è stato dichiarato nullo o decaduto con sentenza passata in giudicato;
b) le parti hanno raggiunto l'accordo di cui all'articolo 178, comma 1;
c) l'opposizione è ritirata;
d) la domanda, oggetto di opposizione, è ritirata o rigettata con decisione definitiva;
e) chi ha presentato opposizione cessa di essere legittimato a norma dell'articolo 177.
Art. 182
(Ricorso)
1. Il
provvedimento col quale l'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi dichiara inammissibile o respinge l'opposizione, è
comunicato alle parti, le quali, entro trenta giorni dalla data della
comunicazione, hanno facoltà di presentare ricorso alla Commissione dei
ricorsi, di cui all’articolo 135.
Art. 183
(Nomina degli esaminatori)
1. Le opposizioni
sono decise da funzionari nominati per un periodo di due anni con decreto del
direttore generale tra gli appartenenti alla carriera direttiva o dirigenziale
dell’Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi e muniti di laurea
in giurisprudenza.
2. La nomina all’incarico di
esaminatore giudicante, di cui al comma 1, rinnovabile e retribuita con
compenso da stabilirsi con decreto del Ministro delle attività produttive, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è riservata a coloro
che, in possesso dei requisiti di cui al comma 1, hanno frequentato con esito
favorevole, apposito corso di formazione da organizzarsi da parte dell’Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi.
3. Se il numero dei funzionari nominati ai sensi dei commi 1 e 2 è inadeguato in relazione alle opposizioni depositate, possono essere nominati anche funzionari scelti fra il personale del Ministero delle attività produttive, a parità di requisiti e formazione, oppure esperti con notoria conoscenza della materia.
4. Il numero complessivo dei funzionari designati per l'esame delle opposizioni non può superare le trenta unità.
Art. 184
(Entrata in vigore della procedura di opposizione)
1. Le norme sul procedimento di opposizione entrano in vigore con il successivo decreto del Ministro delle attività produttive per tutte le classi di prodotti e servizi per i quali possono essere registrati i marchi d'impresa secondo l'accordo di Nizza del 15 giugno 1957, ratificato con legge 24 dicembre 1959, n. 1178, salvo che con lo stesso decreto non si disponga, per esigenze organizzative, la graduazione temporale, per classi di registrazione, dell'inizio del funzionamento del procedimento di opposizione.
SEZIONE III
PUBBLICITÀ
Art. 185
(Raccolta dei titoli di proprietà industriale)
1. I titoli originali di proprietà industriale devono essere firmati dal Dirigente dell’ufficio competente o da un funzionario da lui delegato.
2. I titoli di proprietà industriale, contrassegnati da un numero progressivo, secondo la data di concessione, contengono:
a) la data e il numero della domanda;
b) il cognome, il nome, il domicilio del titolare e, nel caso delle varietà vegetali, del costitutore, la ragione ovvero la denominazione sociale e la sede, se trattasi di persona giuridica;
c) il cognome, il nome, il domicilio del mandatario, se vi sia;
d) il cognome ed il nome dell'autore;
e) gli estremi della priorità rivendicata;
f) nel caso delle varietà vegetali il genere o la specie di appartenenza della nuova varietà vegetale e la relativa denominazione.
3. Gli originali dei titoli di proprietà industriale sono raccolti in registri.
4. Una copia certificata conforme del titolo di proprietà industriale è trasmessa al titolare. Nel caso delle privative per varietà vegetali l'ufficio informa il MIPAF della concessione.
Art. 186
(Visioni e pubblicazioni)
1. La raccolta dei
titoli di proprietà industriale e la raccolta delle domande possono essere
consultate dal pubblico, dietro autorizzazione dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi, in
seguito a domanda.
2. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, a partire dai termini stabiliti per l'accessibilità al
pubblico delle domande, tiene a disposizione gratuita del pubblico, perché
possano essere consultate, le domande di brevettazione o di registrazione. Il
pubblico può pure consultare, nello stesso modo, le descrizioni ed i disegni
relativi ai titoli di proprietà industriale e gli allegati alle domande nelle
quali si sia rivendicata la priorità di precedenti depositi.
3. L'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi può consentire che si estragga copia delle domande, delle
descrizioni e dei disegni, nonché degli altri documenti di cui è consentita la
visione al pubblico, a chi ne faccia domanda subordinatamente a quelle cautele
che siano ritenute necessarie per evitare ogni guasto o deterioramento dei
documenti a disposizione del pubblico.
4. Le copie per le quali si chiede l'autenticazione di conformità all'esemplare messo a disposizione del pubblico devono essere in regola con l’imposta di bollo. Il Ministero delle attività produttive può tuttavia stabilire che alla copiatura o comunque alla riproduzione, anche fotografica, degli atti e dei documenti anzidetti provveda esclusivamente l'Ufficio previo pagamento dei diritti di segreteria.
5. Le copie di
estratti dei titoli di proprietà industriale e di certificati relativi a
notizie da estrarsi dalla relativa documentazione, nonché i duplicati degli
originali, sono fatti esclusivamente dall'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi in
seguito ad istanza nella quale sia indicato il numero d'ordine del titolo del
quale si chiede la copia o l'estratto.
6. La
certificazione di autenticità delle copie è soggettaall’imposta di bollo e al pagamento dei diritti di segreteria da
corrispondersi all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi per ogni foglio e per ogni tavola di
disegno.
7. La misura dei
diritti previsti dal presente Codicecodice è stabilita
con decreto del Ministro delle aAttività pProduttive,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle fdelle Finanze.
Sono determinate, nello stesso modo, le tariffe per i lavori di copiatura e
quelli di riproduzione fotografica ai quali provvede l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
8. I titoli di proprietà industriale, distinti per classi, e le trascrizioni avvenute, sono pubblicati, almeno mensilmente, nel Bollettino Ufficiale previsto per ciascun tipo di titoli dagli articoli 187, 188, 189 e 190. La pubblicazione conterrà le indicazioni fondamentali comprese in ciascun titolo e, rispettivamente, nelle domande di trascrizione. Il Bollettino potrà contenere, inoltre, sia gli indici analitici dei diritti di proprietà industriale sia gli indici alfabetici dei titolari ed in esso potranno pure pubblicarsi i riassunti delle descrizioni.
9. Il Bollettino
può essere distribuito gratuitamente alle Camere di commercio, nonché agli enti
potranno
essere indicati in un elenco da compilarsi a cura del Ministro
delle aAttività
pProduttive.
Art. 187
(Bollettino Ufficiale dei marchi d'impresa)
1. Il Bollettino
ufficiale dei marchi d'impresa, da pubblicarsi con cadenza almeno mensile da
parte dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, contiene almeno le seguenti notizie
relative a:
a) domande ritenute registrabili ai sensi dell'articolo 170, comma 1, lettera a), con l'indicazione dell'eventuale priorità;
b) domande conseguenti alla richiesta di trasformazione di marchio comunitario con l'indicazione della data di deposito della relativa domanda;
c) registrazioni;
d) registrazioni accompagnate dall'avviso di cui all'articolo 179, comma 2;
e) rinnovazioni;
f)
domande di trascrizione degli atti indicati da
questo codicecodice
e trascrizioni avvenute.
2. I dati identificativi delle domande e delle registrazioni, oltre quelli specifici indicati al comma 1, lettere a), b), e d), ed ai relativi numeri e date, sono quelli di cui all'articolo 156.
3. Il Bollettino Ufficiale è corredato da indici analitici, almeno alfabetici per titolari, numerici e per classi.
Art. 188
(Bollettino ufficiale delle nuove varietà vegetali)
1. La comunicazione al pubblico prevista dall'articolo 30 della Convenzione di Parigi per la protezione dei ritrovati vegetali del 2 dicembre 1961 riveduta da ultimo il 19 marzo 1991 si effettua mediante pubblicazione di un "Bollettino ufficiale delle nuove varietà vegetali" edito a cura dell'Ufficio.
2. Il Bollettino ha frequenza almeno semestrale e contiene:
a) l'elenco delle domande di privative, distinte per specie, indicante, oltre il numero e la data di deposito della domanda, il nome e l'indirizzo del richiedente ed il nome dell'autore se persona diversa dal richiedente, la denominazione proposta e una descrizione succinta della varietà vegetale della quale è richiesta la protezione;
b) l'elenco delle privative concesse, per genere e specie, indicante il numero e la data di deposito della corrispondente domanda, il nome e l'indirizzo del titolare e la denominazione varietale definitivamente attribuita;
c) ogni altra informazione di pubblico interesse.
3. Il Bollettino è inviato gratuitamente, in scambio, ai competenti uffici degli altri Stati membri dell'Union pour la protection des obtentions végétales (U.P.O.V.)
Art. 189
(Bollettino ufficiale di brevetti d'invenzione e modelli d’utilità,
registrazioni di disegni e modelli, topografie di prodotti a semiconduttori)
1. Il Bollettino
ufficiale di brevetti d'invenzione e modelli d’utilità, registrazioni di
disegni e modelli, topografie di prodotti a semiconduttori, da pubblicarsi con
cadenza almeno mensile da parte dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi, contiene
almeno le seguenti notizie relative a:
g)a) domande di
brevetto o di registrazione con l'indicazione dell'eventuale priorità o richiesta
di differimento dell'accessibilità al pubblico;
h)b) brevetti e registrazioni concessi;
i)c) brevetti e
registrazioni decaduti per mancato
pagamento delle tasse previste per il mantenimento annuale;
l)d) brevetti e
registrazioni offerti in licenza al pubblico;
n)e) brevetti e registrazioni oggetto di decreto
di espropriazione o di licenza obbligatoria;
f) brevetti e registrazioni oggetto di conversione;
g) domande di trascrizione degli atti di cui all’articolo 138 e trascrizioni avvenute.
2. I dati
identificativi di domande, brevetti e registrazioni, oltre quelli specifici
indicati al comma 1, lettere a), d), e), ed ai relativi numeri e date, sono
quelli di cui agli articoli 160, comma 1, 167, comma 1, 168, commi 1 e 2,
lettere b) e d).,
3. Il Bollettino ufficiale è corredato da indici analitici, almeno alfabetici per titolari, numerici e per classi.
Art. 190
(Bollettino ufficiale dei
certificati complementari
per i medicinali e per i prodotti fitosanitari)
1. Il
Bollettino ufficiale delle domande e dei certificati complementari per i
medicinali e per i prodotti fitosanitari, da pubblicarsi con cadenza almeno
mensile da parte dell'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, contiene almeno le notizie previste
dall’articolo 11 dei regolamenti CE n. 1768/92 del 18 giugno 1992 e n. 1610/96
del 23 luglio 1996.
SEZIONE IV
TERMINI
Art. 191
(Scadenza dei termini)
1. I termini
previsti nel presente codicecodice sono
prorogabili su istanza presentata prima della loro scadenza all'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi, salvo che il termine sia indicato come improrogabile.
2. Su richiesta
motivata la proroga può essere concessa fino ad un massimo di sei mesi dalla
scadenza o dalla comunicazione con cui l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi ha
fissato il termine.
Art. 192
(Continuazione della procedura)
1. Quando il
richiedente o il titolare di un diritto di proprietà industriale non abbia
osservato un termine fissato dall'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi, relativamente ad una procedura di
fronte allo stesso Ufficio, che comporti il rigetto della domanda o istanza o
la decadenza di un diritto, la procedura è ripresa su richiesta del richiedente
o titolare accompagnata dalla prova dell'avvenuta osservanza di quanto era
richiesto entro il termine precedentemente scaduto.
2. La richiesta deve essere presentata entro due mesi dal termine non osservato.
3. La disposizione di cui al presente articolo non è applicabile ai termini riguardanti la procedura di opposizione.
Art. 193
(Reintegrazione)
1. Il richiedente o il titolare di un titolo di
proprietà industriale che, pur
avendo usato la diligenza richiesta dalle circostanze, non ha pur avendo
usato la diligenza richiesta dalle circostanzeabbiapotuto
osservare un termine nei confronti dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi o
della Commissione dei ricorsi, è reintegrato nei suoi diritti se l'impedimento
ha per conseguenza diretta il rigetto della domanda o di una istanza ad essa
relativa, ovvero la decadenza del titolo di proprietà industriale o la perdita
di qualsiasi altro diritto o di una facoltà di ricorso.
2. Nel termine di due mesi dalla cessazione dell'impedimento deve essere compiuto l'atto omesso e deve essere presentata l'istanza di reintegrazione con l'indicazione dei fatti e delle giustificazioni e con la documentazione idonea. L'istanza non è ricevibile se sia trascorso un anno dalla scadenza del termine non osservato. Nel caso di mancato pagamento di un diritto di mantenimento o rinnovo, detto periodo di un anno decorre dal giorno di scadenza del termine comunque utile stabilito per il versamento del diritto. In questo caso deve anche allegarsi l'attestazione comprovante il pagamento del diritto dovuto, comprensivo del diritto di mora.
3. Prima del rigetto della istanza il richiedente o il titolare del diritto di proprietà industriale può, entro il termine fissato dall'Ufficio, presentare proprie argomentazioni o deduzioni.
4. Le disposizioni di questo articolo non sono applicabili ai termini di cui al comma 2, al termine assegnato per la divisione delle domande di brevettazione e di registrazione, nonché per la presentazione della domanda divisionale e per la presentazione degli atti di opposizione alla registrazione dei marchi.
5. Se il
richiedente la registrazione o il brevetto, pur avendo usato la diligenza
richiesta dalle circostanzepur avendo usato la diligenza richiesta dalle
circostanze, non ha potuto osservare il termine per la
rivendicazione del diritto di priorità, é reintegrato nel suo diritto se la
priorità è rivendicata entro due mesi dalla scadenza di tale termine. Questa
disposizione si applica, altresì, in caso di mancato rispetto del termine per
produrre il documento di priorità.
6. Chiunque in buona fede abbia fatto preparativi seri ed effettivi od abbia iniziato ad utilizzare l'oggetto dell'altrui diritto di proprietà industriale nel periodo compreso fra la perdita dell'esclusiva o del diritto di acquistarla e la reintegrazione ai sensi del comma 1, può:
a) se si tratta di invenzione, modello di utilità, disegno o modello, nuova varietà vegetale o topografia di prodotti a semiconduttori, attuarli a titolo gratuito nei limiti del preuso o quale risultano dai preparativi;
b) se si tratta di marchio chiedere di essere reintegrato delle spese sostenute.
CAPO V
PROCEDURE SPECIALI
Art. 194
(Procedura di espropriazione)
1. Qualora il
Ministero interessato intenda espropriare la titolarità del diritto di
proprietà industriale oppure l'utilizzazione dello stesso, deve comunicare la
relativa determinazione ai richiedenti per mezzo di lettera raccomandata ed
all'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
2. Il decreto di
espropriazione è trasmesso in copia all'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi e
notificato, nelle forme di legge, agli interessati. Avvenuta la notifica, i
diritti che hanno formato oggetto della espropriazione vengono acquisiti dpassano all'amministrazione
espropriante, che ha, senz'altro, facoltà di avvalersene. , eA all'amministrazione
stessa è
anche trasferito passa anche l'eventuale onere del
pagamento dei diritti prescritti per il mantenimento in vigore del diritto di
proprietà industriale. Salvo il caso che la pubblicazione possa recare pregiudizio,
dei decreti di espropriazione e di quelli che modificano o revocano i
precedenti decreti, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi dà notizia nel Bollettino Ufficiale e
fa annotazione nel titolo o nella domanda.
3. Nel decreto di espropriazione della sola utilizzazione del diritto di proprietà industriale deve essere indicata la durata dell'utilizzazione espropriata. Nel caso in cui sia stata espropriata la sola utilizzazione del diritto di proprietà industriale, la brevettazione e la registrazione, nonché la pubblicazione dei relativi titoli si effettuano secondo la procedura ordinaria.
4. Ai soli fini della determinazione dell'indennità da corrispondersi per l'espropriazione, se non si raggiunge l'accordo circa l'ammontare della stessa, provvede un Collegio di arbitratori composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal presidente del Tribunale del luogo dove ha sede l'espropriato. Si applicano in quanto compatibili le norme dell'articolo 806 e seguenti del codice di procedura civile.
5. Il Collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento tenendo conto della perdita del vantaggio competitivo che sarebbe derivato dal brevetto espropriato.
6. Se è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal giudice, su richiesta della parte interessata.
7. Le spese dell'arbitraggio, gli onorari dovuti agli arbitri e le spese e gli onorari di difesa sono liquidati nel lodo, che stabilisce altresì su chi ed in quale misura debba gravare l'onere relativo. Tale onere grava, in ogni caso, sull'espropriato quando l'indennità venga liquidata in misura inferiore a quella offerta inizialmente dall'amministrazione.
Art. 195
(Domande e procedura di trascrizione)
1. Deve essere
redatta in unico esemplare secondo le prescrizioni di cui al decreto del
Ministro delle attività produttiveregolamento di attuazione:
a) la domanda di trascrizione di cambiamento di titolarità, conseguente ad atti di cessione o ad atti societari di fusione o scissione o divisione o a successione o a sentenza che accerti la cessione, fusione, scissione divisione o successione, ovvero la domanda di trascrizione di atti che costituiscono o modificano o estinguono diritti personali o reali di godimento o diritti di garanzia;
b) la domanda di trascrizione degli atti di pignoramento, aggiudicazione in seguito a vendita forzata, sospensione della vendita di parte dei diritti di proprietà industriale pignorati per essere restituiti al debitore, espropriazione per causa di pubblica utilità, nonché delle sentenze di rivendicazione di diritti di proprietà industriale e relative domande giudiziali, e delle sentenze che dispongono la conversione di titoli di proprietà industriale nulli e relative domande giudiziali.
2. La domanda deve contenere:
a) il cognome, nome e domicilio del beneficiario della trascrizione richiesta e del mandatario, se vi sia;
b) il cognome e nome del titolare del diritto di proprietà industriale;
c) la natura dell’atto o il motivo che giustifica la trascrizione richiesta;
d) l'elencazione dei diritti di proprietà industriale oggetto della trascrizione richiesta;
e) nel caso di cambiamento di titolarità, il nome dello Stato di cui il nuovo richiedente o il nuovo titolare ha la cittadinanza, il nome dello Stato di cui il nuovo richiedente o il nuovo titolare ha il domicilio, ovvero il nome dello Stato nel quale il nuovo richiedente o il nuovo titolare ha uno stabilimento industriale o commerciale effettivo e serio.
3. Alla domanda di trascrizione, di cui al comma 2, debbono essere uniti:
a)
copia dell’atto da cui risulta il cambiamento di
titolarità o dell’atto che costituisce o modifica o estingue i diritti
personali o reali di godimento o di garanzia di cui al comma 1, lettera a),
ovvero copia dei verbali e sentenze di cui al comma 1, lettera b), osservate le
norme della legge sul registro ove occorra, oppure un estratto dell’atto stesso
oppure nel caso di fusione una certificazione rilasciata dal Registro delle imprese
o da altra autorità competente, oppure, nel caso di cessione, una dichiarazione
di cessione o di avvenuta cessione firmata dal cedente e dal cessionario con
l’elencazione dei diritti oggetto della cessione; oppure in caso di rinunzia
una dichiarazione di rinunzia sottoscritta dal titolare; l’Ufficio Italiano Brevetti e
MarchiUfficio italiano brevetti e marchi può
richiedere che la copia dell’atto o dell’estratto sia certificata conforme
all’originale da un pubblico ufficiale o da ogni altra autorità pubblica competente.
b) il documento comprovante il pagamento dei diritti prescritti.
4. E’ sufficiente una sola richiesta quando la trascrizione riguarda più diritti di proprietà industriale sia allo stato di domanda che concessi alla stessa persona, a condizione che il beneficiario del cambiamento di titolarità o dei diritti di godimento o garanzia o dell’atto da trascrivere sia lo stesso per tutti i titoli e che i numeri di tutte le domande e di tutti i titoli in questione siano indicati nella richiesta medesima.
5. Quando vi sia mandatario, si dovrà unire anche l'atto di nomina ai sensi dell'articolo 201.
6. Sul registro per ogni trascrizione si deve indicare:
a) la data di presentazione della domanda, che è quella della trascrizione;
b) il cognome, nome e domicilio dell'avente causa, o la denominazione e la sede, se trattasi di società o di ente morale, nonché il cognome, nome e domicilio del mandatario, quando vi sia;
c) la natura dei diritti ai quali la trascrizione si riferisce.
7. I documenti e
le sentenze, presentati per la trascrizione, vengono conservati dall'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi.
8. Le richieste di cancellazione delle trascrizioni debbono essere fatte nelle stesse forme e con le stesse modalità stabilite per le domande di trascrizione. Le cancellazioni devono essere eseguite mediante annotazione a margine.
9. Qualora, per la trascrizione dei diritti di garanzia, sia necessario convertire l'ammontare del credito in moneta nazionale, tale conversione sarà fatta in base al corso del cambio del giorno in cui la garanzia è stata concessa.
Art. 196
(Annotazioni)
1. Il richiedente
o il suo mandatario, se vi sia, deve in ciascuna domanda indicare o eleggere il
suo domicilio nello Stato per tutte le comunicazioni e notificazioni da farsi a
norma del presente cCodiceodice.
2. I mutamenti del nome o del domicilio del titolare del diritto di proprietà industriale o del suo mandatario, se vi sia, devono essere portati a conoscenza dell’Ufficio per l’annotazione sul registro di cui all’articolo 185.
3. La domanda di annotazione di cambiamento di nome o indirizzo deve essere redatta in unico esemplare secondo le prescrizioni di cui al regolamento di attuazione.
4. E’ sufficiente una sola richiesta quando la modifica riguarda più diritti di proprietà industriale sia allo stato di domanda che concessi.
5. Le disposizioni
di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano, mutatis mutandis, al cambiamento di nome o di indirizzo
del mandatario di cui all’articolo 201.
6. Le sentenze che
pronunciano la nullità o la decadenza dei titoli di proprietà industriale
pervenuti all’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi devono essere annotate sul registro e
di esse deve essere data notizia nel Bollettino Ufficiale.
Art. 197
(Procedura di esecuzione e sequestro dei titoli di proprietà industriale)
1. Il pignoramento del titolo di proprietà industriale si esegue con atto notificato al debitore, a mezzo di ufficiale giudiziario. L'atto deve contenere:
a) la dichiarazione di pignoramento del titolo di proprietà industriale, previa menzione degli elementi atti ad identificarlo;
b) la data del titolo e della sua spedizione in forma esecutiva;
c) la somma per cui si procede all'esecuzione;
d) il cognome, nome e domicilio, o residenza, del creditore e del debitore;
e)
il cognome e nome dell'Uufficiale
gGiudiziario.
2. Il debitore, dalla data della notificazione, assume gli obblighi del sequestratario giudiziale del titolo di proprietà industriale, anche per quanto riguarda gli eventuali frutti. I frutti, maturati dopo la data della notificazione, derivanti dalla concessione d'uso del diritto di proprietà industriale, si cumulano con il ricavato della vendita, ai fini della successiva attribuzione.
3. Si osservano,
nei riguardi della notificazione dell'atto di pignoramento, le norme contenute
nel Codicecodice
di procedura civile per la notificazione delle citazioni. Se colui al quale
l'atto di pignoramento deve essere notificato non abbia domicilio o residenza
nello Stato, né abbia in questo eletto domicilio, la notificazione è eseguita
presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi. In quest'ultimo caso, copia dell'atto
è affissa nell'Albo dell'Ufficio ed inserita nel Bollettino.
4. L'atto di
pignoramento del diritto di proprietà industriale deve essere trascritto, a pena di
inefficacia, entro otto giorni dalla notifica e in difetto il pignoramento
perde ogni efficacia. Avvenuta la trascrizione dell'atto di
pignoramento del diritto di proprietà industriale, e finché il pignoramento
stesso spiega effetto, i pignoramenti, successivamente
trascritti, valgono come importano
opposizione sul prezzo di vendita, quando siano notificati al creditore procedente.
5. La vendita e
l'aggiudicazione dei diritti di proprietà industriale pignorati sono fatte con
le corrispondenti norme stabilite dal Codicecodice
di procedura civile in quanto applicabili, salve le disposizioni particolari
del presente Codicecodice.
6. La vendita del
diritto di proprietà industriale non può farsi se non siano trascorsi almeno
trenta giorni dal pignoramento. Un termine di venti giorni deve decorrere, per
la vendita, dal decreto di fissazione del giorno della vendita stessa. Il
giudice, per la vendita e l'aggiudicazione dei diritti di proprietà
industriale, dispone le forme speciali che ritiene creda
opportune nei singoli casi, provvedendo altresì per l'annunzio della vendita al
pubblico, anche in deroga alle norme del Codicecodice
di procedura civile. All'uopo il giudice può stabilire che l'annunzio sia
affisso nei locali della Camera di commercio ed in quelli dell'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi e pubblicato nel Bollettino dei diritti di proprietà industriale.
7. Il verbale di aggiudicazione deve contenere gli estremi del diritto di proprietà industriale giusta le risultanze dei relativi titoli.
8. Il creditore istante, nell'esecuzione forzata sui diritti di proprietà industriale, deve notificare almeno dieci giorni prima della vendita, ai creditori titolari dei diritti di garanzia, trascritti, l'atto di pignoramento e il decreto di fissazione del giorno della vendita. Questi ultimi creditori devono depositare, nella cancelleria dell'autorità giudiziaria competente, le loro domande di collocazione con i documenti giustificativi entro quindici giorni dalla vendita. Chiunque vi abbia interesse può esaminare dette domande e i documenti.
9. Trascorso il
termine di quindici giorni, previsto nel
comma 8, il
giudice, su istanza di una delle parti, fissa l'udienza nella quale proporrà lo
stato di graduazione e di ripartizione del prezzo ricavato dalla vendita e
dagli eventuali frutti. Il giudice, nell'udienza, accertata l'osservanza delle
disposizioni del comma 8, ove le parti non si siano accordate sulla
distribuzione del ricavato dei frutti, procede alla graduazione fra i creditori
ed alla distribuzione di tale ricavato dei frutti stessi, secondo le relative
norme stabilite nel Codicecodice di
procedura civile per l'esecuzione mobiliare. I crediti con mora, eventuali o
condizionati, diventano esigibili secondo le norme del Codicecodice
civile.
10.
L'aggiudicatario del diritto di proprietà industriale ha diritto di ottenere
che siano cancellate le trascrizioni dei diritti di garanzia sul titolo
corrispondente, depositando, presso l'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi,
copia del verbale di aggiudicazione e attestato del cancelliere dell'avvenuto
versamento del prezzo di aggiudicazione, osservate le norme per la cancellazione
delle trascrizioni.
11. I diritti di
proprietà industriale, ancorché in corso di concessione o di registrazione,
possono essere oggetto di sequestro. Alla procedura del sequestro si applicano
le disposizioni in materia di esecuzione forzata stabilite dal presente
articolo ed altresì quelle sul sequestro, stabilite dal Codicecodice
di procedura civile, in quanto non contrastino con le disposizioni dei
commi stessi.
12. Le controversie in materia di esecuzione forzata e di sequestro dei diritti di proprietà industriale si propongono davanti all'autorità giudiziaria dello Stato competente a norma dell'articolo 120.
Art. 198
(Procedure di segretazione militare)
1. Coloro che
risiedono nel territorio dello Stato non possono, senza autorizzazione del
Ministero delle attività produttive, depositare esclusivamente presso uffici di
Stati esteri o l’Ufficio brevetti europeo o l’Ufficio internazionale dell’oOrganizzazione
Mondiale della Proprietà Intellettualerganizzazione mondiale della
proprietà intellettuale in qualità di ufficio ricevente, le loro
domande di concessione di brevetto per invenzione, modello di utilità o di topografia
né depositarle presso tali uffici prima che siano trascorsi novanta giorni
dalla data del deposito in Italia, o da quella di presentazione dell'istanza di
autorizzazione. Il Ministero predetto provvede sulle istanze di autorizzazione,
previo nulla-osta del Ministero della difesa. Trascorso il termine di novanta
giorni senza che sia intervenuto un provvedimento di rifiuto, l'autorizzazione
deve intendersi concessa.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione delle disposizioni del comma 1 è punita con l'ammenda non inferiore a 77.47 euro o con l'arresto. Se la violazione è commessa quando l'autorizzazione sia stata negata, si applica l'arresto in misura non inferiore ad un anno.
3. L'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi mette con immediatezza a disposizione
della servizio militare brevetti del Ministero della difesa le domande di
brevetto per invenzioni industriali, per modelli di utilità e per topografie di
prodotti a semiconduttori ad esso pervenute.
4. Qualora la sezione predetta ritenga che le domande riguardino invenzioni o modelli utili alla difesa del Paese, anche ufficiali o funzionari estranei alla sezione stessa espressamente delegati dal Ministro della difesa possono prendere visione, nella sede dell'Ufficio, delle descrizioni e dei disegni allegati alle domande.
5. Tutti coloro che hanno preso visione di domande e di documenti relativi a brevetti o che ne hanno avuto notizia per ragioni di ufficio sono tenuti all'obbligo del segreto.
6. Entro novanta giorni
successivi alla data del deposito delle domande, il Ministero della difesa può
chiedere all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi il differimento della concessione del
titolo di proprietà industriale e di ogni pubblicazione relativa. L'Ufficio dà
comunicazione della richiesta all'interessato, diffidandolo ad osservare
l'obbligo del segreto.
7.
Se, entro otto mesi dalla data del deposito della domanda, il Ministero
competente non ha avrà inviato
all'Ufficio e al richiedente, in quanto questi abbia indicato il proprio
domicilio nello Stato, la notizia di voler procedere all'espropriazione, si dà
seguito alla procedura ordinaria per la concessione del titolo di proprietà
industriale. Tuttavia, Nnel termine
predetto, il Ministero della dDifesa può
chiedere che sia ulteriormente differito, per un tempo non superiore a tre anni
dalla data di deposito della domanda, la concessione del titolo di proprietà
industriale ed ogni pubblicazione relativa. In tal caso l'inventore o il suo
avente causa ha diritto ad un'indennità per la determinazione della quale si
applicano le disposizioni in materia di espropriazione.
8. Per i modelli di utilità l’ulteriore
differimento previsto nel comma 7 può essere chiesto per un tempo non superiore
a un anno dalla data di deposito della domanda.
9. A richiesta di Stati esteri che accordino il trattamento di reciprocità, il Ministero della difesa può richiedere, per un tempo anche superiore a tre anni, il differimento della concessione del brevetto e di ogni pubblicazione relativa all’invenzione per domande di brevetto già depositate all’estero e ivi assoggettate a vincolo di segreto.
10. Le indennità eventuali sono a carico dello Stato estero richiedente.
11. L’invenzione deve essere tenuta segreta dopo la comunicazione della richiesta di differimento e per tutta la durata del differimento stesso, nonché durante lo svolgimento della espropriazione e dopo il relativo decreto se questo porti l’obbligo del segreto.
12. L’invenzione deve essere, altresì, tenuta segreta nel caso previsto dal comma 6, dopo che sia stata comunicata all’interessato la determinazione di promuovere l’espropriazione con imposizione del segreto.
13.
Tuttavia
lL’obbligo del segreto cessa qualora il
Ministero della difesa lo consenta.
14.
La violazione del segreto è punita ai termini dell’articolo 262 del codicecodice
penale.
15.
Il Ministero della dDifesa può
chiedere che le domande di brevetto per le invenzioni industriali di organismi
dipendenti o vigilati siano mantenute segrete.
16.
Qualora, per invenzione interessante la difesa militare del Paese, il Ministero
della dDifesa
richieda o, nell’ipotesi di differimento di cui al comma 6, consenta
la concessione del brevetto, la procedura relativa si svolge, su domanda dello
stesso Ministero, in forma segreta. In tal caso non si effettua alcuna
pubblicazione e non si consentono le visioni nel presente Codicecodice.
17. In caso di esposizioni da tenersi nel territorio dello Stato, il Ministero della difesa ha facoltà, mediante propri funzionari od ufficiali, di procedere a particolareggiato esame degli oggetti e dei trovati consegnati per l'esposizione che possano ritenersi utili alla difesa militare del Paese ed ha facoltà altresì di assumere notizie e chiedere chiarimenti sugli oggetti e trovati stessi.
18. Gli
enti organizzatori di esposizioni devono consegnare ai suddetti funzionari o
ufficiali gli elenchi completi degli oggetti da esporre riferentisi ad
invenzioni industriali non protette ai sensi del presente codicecodice.
19. I funzionari e gli ufficiali di cui al comma sopra 17 possono
imporre all'ente stesso il divieto di esposizione degli oggetti per quelli
che riconoscano utili alla difesa militare del Paese.
20. Il
Ministero della dDifesa, a mezzo
raccomandata con avviso di ricevimento, deve dare notizia alla presidenza
dell'esposizione e agli interessati del divieto di esposizione, diffidandoli
circa l'obbligo del segreto. La presidenza dell'esposizione deve conservare gli
oggetti sottoposti al divieto di esposizione con il vincolo di segreto sulla loro
natura.
21. Nel
caso che il divieto di esposizione venga imposto dopo che gli oggetti siano
stati esposti, gli oggetti stessi devono dovrannoessere
subito ritirati senza, peraltro, imposizione del vincolo del segreto.
22.
E' fatta salva, in ogni caso, la facoltà del Ministero della difesa, per gli
oggetti riferentisi ad invenzioni riconosciute utili alla difesa militare del
Paese, di procedere all'espropriazione dei diritti derivanti dall'invenzione ai
sensi delle norme relative all’espropriazione contenute nel presente Codicecodice.
23. Qualora non sia rispettato il divieto di esposizione i responsabili dell’abusiva esposizione sono puniti con la sanzione amministrativa da 25,00 euro a 13.000,00 euro.
Art. 199
(Procedura di licenza obbligatoria e di licenza volontaria sui principi attivi)
1. Chiunque voglia
ottenere la licenza obbligatoria di cui agli articoli 70 e 71 del Capo II,
sezione IV, per l'uso non esclusivo di invenzione industriale o di modello di
utilità deve presentare istanza motivata all'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi,
indicando la misura e le modalità di pagamento del compenso offerto. L'Ufficio
dà pronta notizia dell'istanza, mediante raccomandata con avviso di
ricevimento, al titolare del brevetto e a coloro che abbiano acquistato diritti
sul brevetto in base ad atti trascritti o annotati.
2. Entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata, il titolare del brevetto e tutti coloro che ne hanno diritto in base ad atti trascritti o annotati possono opporsi all'accoglimento dell'istanza ovvero dichiarare di non accettare la misura e le modalità di pagamento del compenso. L'opposizione deve essere motivata.
3. In caso di
opposizioni, entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la
presentazione delle stesse, l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi convoca per un tentativo di
conciliazione l'istante, il titolare del brevetto e tutti coloro che hanno
diritti in base ad atti trascritti o annotati. L'atto di convocazione è inviato
ai soggetti suddetti mediante raccomandata con avviso di ricevimento o tramite
altri mezzi, anche informatici, purché siffatte modalità garantiscano una
sufficiente certezza dell'avvenuto ricevimento della comunicazione.
4. Nell'atto di
convocazione l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi deve comunicare e trasmettere
all'istante copia delle opposizioni presentate.
5. L'istante può
presentare controdeduzioni scritte all'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi
entro il quinto giorno antecedente allo svolgimento della riunione.
6. Nei quarantacinque giorni successivi alla riunione per il tentativo di conciliazione, il Ministero delle attività produttive concede la licenza o respinge l'istanza.
7. Il termine per la conclusione del procedimento è di centottanta giorni, decorrenti dalla data di presentazione della domanda.
8. La domanda di richiesta di licenza volontaria sui principi attivi, corredata dell’attestazione comprovante l’avvenuto pagamento dei diritti nella misura stabilita dal decreto del Ministro delle attività produttive di cui all’articolo 226, deve contenere le seguenti informazioni:
a) nome o ragione sociale e domicilio o sede sociale del richiedente la licenza volontaria;
b) nome del principio attivo;
c) estremi di protezione, numero del brevetto e del certificato complementare di protezione;
d) indicazione dell'officina farmaceutica italiana, regolarmente autorizzata dal Ministero della salute ai sensi di legge, ove si intende produrre il principio attivo.
9. Il richiedente
deve inoltrare, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno o tramite altri
mezzi che garantiscano l'avvenuto ricevimento della comunicazione, all'Ufficio
Italiano Brevetti e MarchiUfficio italiano brevetti e
marchi (UIBM) domanda, con allegata traduzione in lingua inglese,
corredata dagli elementi previsti dal comma 8.
10. L'UIBM dà
pronta notizia, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o tramite altri
mezzi che garantiscano l'avvenuto ricevimento della comunicazione, dell'istanza
alle parti interessate e a coloro che abbiano acquisito diritti sul brevetto e/oovvero
sul certificato complementare di protezione in base ad atti trascritti o
annotati.
11. Qualora entro
novanta giorni dalla data di ricevimento della domanda, prorogabili d'intesa
tra le parti, le stesse raggiungano un accordo sulla base di una royalty contenuta, copia dello stesso
deve essere trasmessa, con analoghe modalità, al Ministero delle aAttività
pProduttive
- UIBM. Se nei trenta giorni successivi l'Ufficio non comunica rilievi alle
parti, l'accordo di licenza volontaria si intende perfezionato.
12. Nel caso in cui le parti comunichino all'UIBM che non è stato possibile raggiungere un accordo, l'Ufficio dà inizio alla procedura di conciliazione di cui al comma 15.
13. Il Ministero
delle aAttività
pProduttive,
nomina, con proprio decreto, una Commissione avente il compito di valutare le
richieste di licenza volontaria per le quali non è stato possibile raggiungere
un accordo tra parti.
14. La Commissione è composta da sei componenti e da altrettanti supplenti di cui:
a) due rappresentanti
del Ministero delle aAttività pProduttive;
b) un rappresentante
del Ministero della sSalute;
c) un rappresentante della Agenzia Italiana del Farmaco;
d) un rappresentante
dei detentori di CCP, su proposta delle associazioni di categoria maggiormente
rappresentative;
e) un rappresentante
dei produttori di principi attivi farmaceutici, su proposta delle associazioni
di categoria maggiormente rappresentative.
15. La Commissione di cui al comma 14, entro trenta giorni dalla data di comunicazione ricevuta dall'UIBM del mancato accordo raggiunto tra le parti, procede alla loro convocazione, al fine di individuare un'ipotesi di accordo finalizzato a contemperare le esigenze delle parti medesime, garantendo, comunque, un'equa remunerazione del soggetto che rilascia la licenza volontaria, mediante indicazione di una royalty contenuta, stabilita con criteri che tengono conto delle necessità di competizione internazionale dei produttori di principi attivi.
16. Qualora, nonostante la mediazione ministeriale, l'accordo di licenza non venga concluso, il Ministero delle attività produttive, ove ne ravvisi i presupposti giuridici, dispone la trasmissione degli atti del procedimento all'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Art. 200
(Procedura avanti la Commissione dei ricorsi)
1. La Commissione
dei ricorsi è assistita da una segreteria i cui componenti sono nominati con lo
stesso decreto di costituzione della Commissione, o con decreto a parte. I
componenti della segreteria debbono essere scelti fra i funzionari dell'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi.
2. I ricorsi
devono essere depositati presso gli uffici di cui all’ articolo 147 o inviati
direttamente, per raccomandata postale, alla segreteria della Commissione dei
ricorsi, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi. Insieme al ricorso, deve presentarsi
la prova del pagamento del contributo unificato di cui all’articolo 9 del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
3. All’originale del ricorso devono essere unite sei copie in carta libera, salva, tuttavia, la facoltà della segreteria della Commissione di richiedere agli interessati un numero maggiore di copie.
4. Il presidente
della Commissione assegna alla sezione competente il ricorso. Il presidente o
il presidente aggiunto nomina un relatore tra i componenti assegnati alla
sezione e, ove si trattitrattisi di
questioni di natura tecnica, può nominare anche uno o più relatori aggiunti,
scelti tra i tecnici aggregati.
5. Le copie per le controparti sono trasmesse alle medesime in plico raccomandato, a cura della segreteria della Commissione.
6. Il presidente, o il relatore da lui delegato, fissa i termini, non superiori in ogni caso a novanta giorni, per la presentazione delle memorie e delle repliche delle controparti e per il deposito dei documenti relativi.
7. Scaduti i
termini di cui al comma 6, la Commissione può disporre i mezzi istruttori che ritiene crede opportuni,
stabilendone le modalità della loro assunzione.
Il presidente, o il relatore da lui delegato, durante il corso
dell’istruttoria, può sentire le parti per eventuali chiarimenti. Ove i mezzi
istruttori non siano necessari, o, comunque, dopo l’espletamento di essi, il
presidente fissa la data per la discussione dinanzi alla Commissione.
8. Le sedute della Commissione non sono valide se non sia presente la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto deliberativo.
9. Il Direttore
dell'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi o un funzionario dello stesso ufficio, da lui designato a
rappresentarlo, prende parte alle sedute e fornisce alla Commissione tutte le
notizie e i documenti che possono occorrere ma non partecipa alla deliberazione.
10. Il ricorrente,
o il suo mandatario se vi sia, che ne faccia domanda in tempo utile e comunque
almeno due giorni prima della discussione ha diritto di essere ammesso ad
esporre oralmente le sue ragioni, purché si presenti nel giorno e nell’ora stabiliti
per la discussione del ricorso che lo riguarda,, purché si presenti nel
giorno e nell’ora stabiliti per la discussione del ricorso che lo riguarda,
comunicatigli tempestivamente dalla segreteria della Commissione. Il ricorrente
può farsi assistere da un legale ed anche da un tecnico.
11. Aperta la
seduta, il relatore riferisce sul ricorso. Successivamente le parti, od i loro
incaricati, espongono le loro ragioni e, nel caso di richiesta dei membri della
Commissione, il direttore dell’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi o il funzionario dello stesso Ufficio,
da lui designato a rappresentarlo, fornisce lo notizie e i documenti richiesti.
12. Ogni interessato, prima della chiusura della discussione del ricorso, può presentare alla Commissione memorie esplicative. Se, durante la discussione, emergono fatti nuovi influenti sulla decisione essi devono essere contestati alle parti.
13. La Commissione ha sempre facoltà di disporre i mezzi istruttori che creda opportuni ed ha altresì facoltà, in ogni caso, di ordinare il differimento della decisione, o anche della discussione, ad altra seduta.
14. La Commissione decide dopo che il ricorrente si è allontanato.
15. Il relatore,
od un altro membro della Commissione, è incaricato di redigere stendere
la sentenza.
16. La sentenza è notificata, per raccomandata postale, a cura della segreteria della Commissione, all'interessato od al suo mandatario, se nominato, ed è pubblicata nel Bollettino Ufficiale, nella sola parte dispositiva, salva la facoltà della Commissione di disporre che le sentenze vengano pubblicate integralmente nel detto Bollettino quando riguardino questioni di massima e quando la pubblicazione non possa recare pregiudizio.
CAPO VI
ORDINAMENTO PROFESSIONALE
Art. 201
(Rappresentanza)
1. Nessuno è
tenuto a farsi rappresentare da un mandatario abilitato nelle procedure di
fronte all’Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi; le persone fisiche e giuridiche possono
agire per mezzo di un loro dipendente anche se non abilitato, o per mezzo di un
dipendente di altra società collegata ai sensi dell’articolo 205, comma 3.
2. La nomina di uno o più mandatari, qualora non sia fatta nella domanda, oppure con separato atto, autentico o autenticato, può farsi con apposita lettera d’incarico, soggetta al pagamento della tassa prescritta.
3. L’atto di
nomina o la lettera d’incarico può riguardare una o più domande o in generale
la rappresentanza professionale per ogni procedura di fronte all’Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi ed alla Commissione dei ricorsi. In tal caso, in ogni
successiva domanda, istanza e ricorso, il mandatario dovrà fare riferimento
alla procura o lettera d’incarico.
4. Il mandato può essere conferito soltanto a mandatari iscritti in un albo all’uopo istituito presso il Consiglio dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale.
5. Il mandato può
anche essere conferito a cittadini dell’Unione europea in possesso di una
qualifica corrispondente a quella dei mandatari abilitati in materia di
brevetti o di marchi iscritti all’Albo italiano dei consulenti in proprietà
industriale, riconosciuta ufficialmente nello Stato membro dell’Unione europea
ove essi hanno il loro domicilio professionale, a condizione che nell’attività
svolta il mandatario utilizzi esclusivamente il titolo professionale dello
Stato membro in cui risiede, espresso nella lingua originale, e che l’attività
di rappresentanza dei propri mandanti sia prestata esclusivamente a titolo
temporaneo. Il mandatario inviaerà la
documentazione, comprovante il possesso della qualifica nel proprio Stato
membro, all’Ufficio e al Consiglio dell’ordine, cui spetta l’attività di
controllo del rispetto delle condizioni per l’esercizio dell’attività di
rappresentanza professionale previste in questo articolo.
6. Il mandato può essere anche conferito ad un avvocato iscritto nel suo albo professionale.
Art. 202
(Albo dei consulenti)
1. Fermo quanto disposto
dall’ articolo 201, la rappresentanza di persone fisiche o giuridiche nelle
procedure di fronte all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi ed alla Commissione dei ricorsi può
essere assunta unicamente da consulenti abilitati iscritti in un albo istituito
presso il Consiglio dell'ordine e denominato Albo dei consulenti in proprietà
industriale abilitati nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli
avvocati.
2. L'Albo è costituito da due sezioni denominate rispettivamente sezione brevetti e sezione marchi, riservate la prima ai consulenti agenti in materia di brevetti per invenzioni, modelli di utilità, disegni e modelli, nuove varietà vegetali, topografie dei prodotti a semiconduttori e la seconda ai consulenti abilitati agenti in materia di disegni e modelli, marchi ed altri segni distintivi e indicazioni geografiche.
3. Gli iscritti all'Albo costituiscono l'ordine dei consulenti in proprietà industriale.
4. La vigilanza
sull'esercizio della professione viene esercitata dal Ministero delle attività
produttive, tramite l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi.
Art. 203
(Requisiti per l'iscrizione.)
1. Può essere iscritta all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati qualsiasi persona fisica che:
a) abbia il godimento dei diritti civili nel proprio ordinamento e nell'ordinamento nazionale e sia persona di buona condotta civile e morale;
b) sia cittadino italiano ovvero cittadino degli Stati membri dell'Unione europea ovvero cittadino di Stati esteri nei cui confronti vige un regime di reciprocità;
c) abbia la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia o nell'Unione europea se si tratta di cittadino di uno Stato membro di essa, a condizione, in quest'ultimo caso, che elegga domicilio presso un consulente in proprietà industriale abilitato, avente domicilio professionale in Italia; il requisito della residenza in Italia non è richiesto se si tratti di un cittadino di Stati extra comunitari che consentano ai cittadini italiani l'iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito;
d) abbia superato l'esame di abilitazione, di cui all'articolo 207 o abbia superato la prova attitudinale prevista per i consulenti in proprietà industriale al comma 2 dell'articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115.
2. L'iscrizione è
effettuata dal Consiglio dell'ordine su presentazione di un'istanza
accompagnata dai documenti comprovanti il possesso dei requisiti di cui al
comma 1 ovvero includente le autocertificazioni previste per legge. L'avvenuta
iscrizione è prontamente comunicata dal Consiglio all'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi.
Art. 204
(Titolo professionale oggetto dell'attività)
1. Il titolo di consulente in proprietà industriale è riservato alle persone iscritte nell'albo dei consulenti abilitati. Le persone iscritte solo nella sezione brevetti devono utilizzare il titolo nella forma di consulente in brevettie le persone iscritte solo nella sezione marchi devono utilizzare il titolo nella forma di consulente in marchi. Le persone iscritte in entrambe le sezioni possono utilizzare il titolo di consulente in proprietà industriale senza ulteriori specificazioni.
2. Le persone indicate nell'articolo 202 svolgono per conto di qualsiasi persona fisica o giuridica tutti gli adempimenti previsti dalle norme che regolano i servizi attinenti rispettivamente alla materia dei brevetti per invenzioni, per modelli di utilità, per disegni e modelli per nuove varietà vegetali, per topografie dei prodotti a semiconduttori ovvero alla materia dei marchi, dei disegni e modelli e delle indicazioni geografiche, a seconda della sezione in cui sono iscritte.
3. Essi inoltre, su mandato ed in rappresentanza degli interessati, possono svolgere ogni altra funzione che sia affine, connessa, conseguente a quanto previsto nel comma 2.
4. Se l'incarico è conferito a più consulenti abilitati, essi, salva diversa disposizione, possono agire anche separatamente. Se l'incarico è conferito a più consulenti abilitati, costituiti in associazione o società, l'incarico si considera conferito ad ognuno di essi in quanto agisca in seno a detta associazione o società.
Art. 205
(Incompatibilità)
1. L'iscrizione all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati e l'esercizio della professione di consulente in proprietà industriale sono incompatibili con qualsiasi impiego od ufficio pubblico o privato ad eccezione del rapporto di impiego o di cariche rivestite presso società, uffici o servizi specializzati in materia, sia autonomi che organizzati nell'ambito di enti o imprese, e dell'attività di insegnamento in qualsiasi forma esercitata; con l'esercizio del commercio, con la professione di notaio, di giornalista professionista, di mediatore, di agente di cambio o di esattore dei tributi.
2. L'iscrizione all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati e l'esercizio della professione di consulente in proprietà industriale è compatibile, se non previsto altrimenti e fermo restando il disposto del comma 1, con l'iscrizione in altri albi professionali e con l'esercizio della relativa professione.
3. I consulenti in proprietà industriale abilitati, che esercitano la loro attività in uffici o servizi organizzati nell'ambito di enti o di imprese, ovvero nell'ambito di consorzi o gruppi di imprese, possono operare esclusivamente in nome e per conto:
a) dell'ente o impresa da cui dipendono;
b) delle imprese appartenenti al consorzio o gruppo nella cui organizzazione essi sono stabilmente inseriti;
c)
di imprese aziende o persone
che siano con enti o imprese o gruppi o consorzi, in cui è inserito il consulente
abilitato, in rapporti sistematici di collaborazione, ivi compresi quelli di
ricerca, di produzione o scambi tecnologici.
Art. 206
(Obbligo del segreto professionale)
1. Il consulente
in proprietà industriale ha l'obbligo del segreto professionale e nei suoi
confronti si applica l'articolo 200 del codice di procedura penale . proc. pen.
Art. 207
(Esame di abilitazione)
1. L'abilitazione è concessa previo superamento di un esame sostenuto davanti ad una commissione composta per ciascuna sessione:
a)
dal direttore dell'Ufficio italiano brevetti e
marchiUfficio italiano brevetti e marchi o
da un suo delegato con funzione di presidente;
b) da un membro della commissione dei ricorsi designato dal presidente della stessa con funzione di vice-presidente;
c) da due professori universitari rispettivamente di materie giuridiche e tecniche designati dal Ministro delle attività produttive;
d) da quattro consulenti in proprietà industriale abilitati designati dal Consiglio di cui all'articolo 215, di cui due scelti fra i dipendenti di enti o imprese e due che esercitano la professione in modo autonomo;
e) da membri supplenti che possono sostituire quelli di cui alla lettere b), c) e d) se impossibilitati.
2. E' ammessa all'esame di abilitazione qualsiasi persona che:
a) abbia conseguito:
1) la laurea o un titolo universitario equipollente in qualsiasi Paese estero;
2) un diploma o un titolo rilasciato da un Paese membro dell'Unione europea includenti l'attestazione che il candidato abbia seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in un'università o in un istituto d'istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione, a condizione che il ciclo di studi abbia indirizzo tecnico-professionale attinente all'attività di consulente in proprietà industriale in materia di brevetti d'invenzione e modelli ovvero in materia di marchi e disegni e modelli a seconda dell'abilitazione richiesta;
b) abbia compiuto presso società, uffici o servizi specializzati in proprietà industriale almeno due anni di tirocinio professionale effettivo, documentato in modo idoneo.
3. E' ammessa all'esame di abilitazione per l'iscrizione nella sezione brevetti qualsiasi persona che abbia superato l'esame di qualificazione come consulente abilitato presso l'Ufficio europeo dei brevetti.
4. Il periodo di tirocinio è limitato a diciotto mesi se il candidato all'esame di abilitazione dimostri di aver frequentato con profitto un corso qualificato di formazione per consulenti abilitati in materia di brevetti ovvero di marchi, a seconda dell'abilitazione richiesta.
5. L'esame di abilitazione per l'iscrizione nella sezione brevetti e rispettivamente nella sezione marchi consiste in prove scritte ed orali, tendenti ad accertare la preparazione teorico-pratica del candidato nel campo specifico dei diritti di proprietà industriale, così come a livello della cultura tecnica, giuridica, e linguistica, conformemente alla sezione interessata, secondo le modalità stabilite nel regolamento da emanarsi con decreto.
6. L'esame di abilitazione per l'iscrizione nella sezione brevetti ovvero quello per l'iscrizione nella sezione marchi è indetto ogni due anni con decreto del Ministero delle attività produttive.
Art. 208
(Esonero dall'esame di abilitazione)
1. Sono esonerati
dall'esame di abilitazione coloro che, già dipendenti del Ministero delle
attività produttive, abbiano prestato servizio, per almeno cinque anni, con
mansioni direttive presso l'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi.
2. Sono anche esonerati, ai fini dell'iscrizione nella sezione brevetti, i cittadini italiani che abbiano prestato servizio per almeno cinque anni con mansioni di esaminatori presso l'Ufficio europeo dei brevetti.
Art. 209
(Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati)
1. L'Albo istituito ai sensi dell'articolo 202 deve contenere per ciascun iscritto il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il titolo di studio, la data di iscrizione, il domicilio professionale o i domicili professionali oppure la sede dell'ente o impresa da cui dipende.
2. La data di iscrizione determina l'anzianità. Coloro che dopo la cancellazione sono di nuovo iscritti all'albo hanno l'anzianità derivante dalla prima iscrizione dedotta la durata dell'interruzione.
Art. 210
(Cancellazione dall’albo e sospensione di diritto)
1. Il consulente abilitato è cancellato dall'albo:
a) quando è venuto meno uno dei requisiti dell'iscrizione, di cui all'articolo 203;
b) quando ricorre uno dei casi di incompatibilità previsti dall'articolo 205;
c) quando ne è fatta richiesta dall'interessato.
2. Il consulente abilitato può chiedere la reiscrizione nell'albo quando sono cessate le cause della cancellazione senza necessità di nuovo esame.
3. Il consulente
abilitato è dichiarato sospeso di diritto dall'esercizio professionale dal
momento della sottoposizione alle misure coercitive o interdittive previste dai
capi II e III del Capo IV, titolo I, del codicecodice
di procedura penale sino a quello della revoca delle misure stesse, nonché in
caso di mancato pagamento entro il termine fissato, del contributo annuo, sino
alla data dell'accertato adempimento.
Art. 211
(Sanzioni disciplinari)
1. I consulenti abilitati sono soggetti a censura in caso di abusi e mancanze di lieve entità, alla sospensione per non più di due anni in caso di abusi gravi; alla radiazione in caso di condotta che abbia compromesso gravemente la reputazione e la dignità professionale.
Art. 212
(Assemblea degli iscritti all'Albo)
1. L'assemblea è convocata dal presidente su delibera del Consiglio dell'ordine. Essa è regolarmente costituita in prima convocazione con la presenza di almeno la metà degli iscritti ed in seconda convocazione, che non può aver luogo lo stesso giorno fissato per la prima, con la presenza di almeno un sesto degli iscritti se gli iscritti presenti erappresentati raggiungono la presenza di almeno un quinto degli iscritti. Essa delibera a maggioranza assoluta dei voti.
2. Ogni consulente abilitato iscritto all'Albo può farsi rappresentare da un altro consulente abilitato iscritto all'albo con delega scritta. Un medesimo partecipante non può rappresentare più di cinque iscritti.
3. Le modalità di
convocazione e di svolgimento dell'assemblea sono determinate con decreto
del Ministro delle attività produttivedal regolamento, da emanarsi
con decreto.
Art. 213
(Compiti dell'assemblea)
1. L'assemblea si
riunisce almeno una volta all'anno entro il mese di marzo, per l'approvazione
del conto preventivo e di quello consuntivo, per la determinazione
dell'ammontare del contributo annuo che deve ovrà essere
uguale per tutti gli iscritti e, occorrendo, per l'elezione del Consiglio
dell'ordine, nel qual caso la convocazione deve avvenire almeno un mese prima
della sua scadenza.
2. L'assemblea si
riunisce inoltre ogni qualvolta il
Consiglio dell'ordine lo reputi necessario, nonché quando ne sia fatta domanda
per iscritto con indicazione degli argomenti da trattare da almeno un decimo
degli iscritti all'Albo.
Art. 214
(Assemblea per l'elezione del Consiglio dell'ordine)
1. I componenti
del Consiglio dell'ordine di cui all'articolo 215 sono eletti a maggioranza
semplice dei voti segreti validamente espressi per mezzo di schede contenenti
un numero di nomi non superiore alla metà più uno dei componenti da eleggere.
Vengono quindi
così considerati eletti i dieci candidati che hanno riportato il
maggior numero di voti. In caso di parità è preferito il candidato più anziano
per iscrizione e, tra coloro che abbiano uguale anzianità di iscrizione, il più
anziano di età.
2. Ciascuna categoria dei consulenti che esercitano la professione in forma autonoma, sia individualmente che nell'ambito di società, uffici o servizi autonomi, da una parte, e dei consulenti che esercitano in uffici e servizi specializzati nell'ambito di enti o imprese di cui all'articolo 205, comma 3, dall'altra, non può essere rappresentata in seno al Consiglio dell'ordine con più di otto componenti. Parimenti ciascuna sezione dell'albo non può essere rappresentata in seno al Consiglio dell'ordine con più di sette componenti, ad essa iscritti in via esclusiva.
3. Non sono ammesse le partecipazioni e votazioni per delega. E' ammessa la votazione mediante lettera.
4. Le modalità di
svolgimento delle votazioni, delle operazioni di scrutinio e di proclamazione
degli eletti sono stabilite con decreto del Ministro delle attività produttivedal
regolamento da emanarsi con decreto.
Art. 215
(Consiglio dell'ordine dei consulenti in proprietà industriale)
1. L'ordine dei consulenti in proprietà industriale è retto da un Consiglio che dura in carica tre anni ed è composto da dieci membri con non meno di tre anni di anzianità eletti dall'assemblea. A sostituire i componenti cessati per qualsiasi causa prima della scadenza sono chiamati i candidati compresi nella graduatoria che, dopo quelli eletti, hanno ottenuto il maggior numero di voti, ferme restando le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 214.
2. In caso di mancato tempestivo rinnovo, il Consiglio dell'ordine continua a funzionare sino alla nomina del nuovo Consiglio.
3. Il Consiglio
dell'ordine si riunisce validamente con la presenza della maggioranza dei
componenti e delibera a maggioranza assoluta. In caso di parità prevale il voto
del i
presidente. In materia disciplinare il Consiglio dell'ordine delibera con la presenza
di almeno tre quarti dei componenti.
Art. 216
(Attribuzioni del presidente del Consiglio dell'ordine)
1. Il Consiglio dell'ordine nomina tra i suoi componenti un presidente il quale ne ha la rappresentanza, adotta in casi urgenti i provvedimenti necessari salva ratifica del Consiglio nella prima seduta successiva ed esercita le rimanenti attribuzioni a lui conferite dal presente codice.
2. Il presidente può delegare a componenti il Consiglio attribuzioni di segreteria o di tesoreria.
3. Il Consiglio nomina altresì fra i suoi componenti un vice presidente, il quale sostituisce il presidente in sua assenza o impedimento, oppure su delega dello stesso per singoli atti.
Art. 217
(Attribuzioni del Consiglio dell'Ordine)
1. Il Consiglio dell'ordine:
a)
provvede tempestivamente agli adempimenti relativi
alle iscrizioni, alle sospensioni ed alle cancellazioni da eseguire nell'Albo,
dandone immediata comunicazione all'Ufficio italiano brevetti e marchiUfficio
italiano brevetti e marchi;
b) vigilia per la tutela del titolo professionale di consulente in proprietà industriale e propone all'assemblea le iniziative all'uopo necessarie;
c) interviene, su concorde richiesta delle parti, per comporre le contestazioni che sorgono fra gli iscritti all'albo in dipendenza dell'esercizio della professione;
d) propone modifiche ed aggiornamenti della tariffa professionale;
e) su richiesta del cliente o dello stesso consulente abilitato esprime parere sulla misura delle spettanze dovute ai consulenti in proprietà industriale per le prestazioni inerenti all'esercizio della professione;
f) adotta i provvedimenti disciplinari;
g) designa i quattro consulenti in proprietà industriale abilitati che concorrono a formare la commissione di esame di cui all'articolo 207;
h) adotta le iniziative più opportune per conseguire il miglioramento ed il perfezionamento degli iscritti nello svolgimento dell'attività professionale;
i) stabilisce la propria sede e predispone i mezzi necessari al suo funzionamento;
l) riscuote ed amministra il contributo annuo degli iscritti;
m)predispone il conto preventivo e redige il conto consuntivo della gestione;
n) riceve le domande di ammissione all'esame di abilitazione di cui all'articolo 207 e ne verifica la rispondenza alle condizioni per l'ammissione;
o) mantiene i rapporti e collabora con gli organismi e le istituzioni che operano nel settore della proprietà industriale o che svolgono attività aventi attinenza con essa formulando ove opportuno proposte o pareri;
p)
svolge gli altri compiti definiti definiti con
decreto del Ministro delle attività produttivedal
regolamento da emanarsi con decreto.
Art. 218
(Decadenza dalla carica di componente il Consiglio dell'ordine, scioglimento e mancata costituzione del Consiglio dell'ordine.)
1. I componenti che, senza giustificati motivi, non intervengono per tre volte consecutive alle sedute del Consiglio dell'ordine sono da questo dichiarati decaduti dalla carica.
2. Il Consiglio
può essere sciolto dal Ministro delle attività produttive, se non è sia
in grado di funzionare ed in ogni caso se sono cessati o decaduti più di
quattro degli originari componenti, ovvero nel caso che siano accertate gravi
irregolarità.
3. In caso di scioglimento del Consiglio, le sue funzioni sono assunte da un commissario nominato dal Ministro delle attività produttive. Il commissario provvede, entro sessanta giorni, ad indire nuove elezioni, per lo svolgimento delle quali l'assemblea deve riunirsi non prima di trenta giorni e non oltre sessanta giorni dalla data dell'atto di convocazione.
Art. 219
(Sedute del Consiglio dell'ordine)
1. Il Consiglio dell'ordine è convocato dal presidente almeno una volta ogni sei mesi o quando lo ritiene opportuno, ovvero quando ne sia fatta richiesta dalla maggioranza dei componenti. Le deliberazioni del Consiglio sono verbalizzate da un componente nominato segretario all'inizio di ogni seduta.
Art. 220
(Procedimento disciplinare)
1. Quando perviene notizia di fatti che possono condurre all'applicazione di una delle sanzioni disciplinari di cui all'articolo 211, il presidente nomina tra i membri del Consiglio un relatore.
2. Il Consiglio, udito l'interessato, esaminate le eventuali memorie e documenti, delibera a maggioranza assoluta dei presenti; in caso di parità di voti prevale la decisione più favorevole all'incolpato.
3. Se l'interessato non si presenta o non fa pervenire alcuna memoria difensiva si procede in sua assenza a meno che non sia dimostrato un legittimo impedimento.
4. La deliberazione deve contenere l'indicazione dei fatti, i motivi e l'enunciazione sintetica della decisione.
5. I membri del
Consiglio devono astenersi quando ricorrano i motivi indicati dall'articolo 51,
comma 1, del codicecodice di
procedura civile in quanto applicabili, e possono essere ricusati per gli
stessi motivi con istanza depositata presso la segreteria del Consiglio prima
della discussione.
6. In ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza i membri possono richiedere al presidente del Consiglio dell'ordine l'autorizzazione ad astenersi.
7. Sulla ricusazione decide la commissione dei ricorsi.
Art. 221
(Ricorso contro i provvedimenti del Consiglio dell'ordine.)
1. Contro tutti i provvedimenti del Consiglio dell'ordine è esperibile ricorso davanti alla commissione dei ricorsi.
2. Il direttore
dell'Ufficio
italiano brevetti e marchiUfficio italiano brevetti e
marchi assicura la regolarità dell'operato e la funzionalità del
Consiglio e può ricorrere, per ogni irregolarità constatata, alla commissione
dei ricorsi entro trenta giorni dalla comunicazione della delibera. Il ricorso
non ha effetto sospensivo.
Art. 222
(Tariffa professionale)
1. Il Ministro delle attività produttive approva, con proprio decreto, le modifiche e gli aggiornamenti della tariffa professionale proposti dal Consiglio dell'ordine, ai sensi dell'articolo 217, comma 1,lettera d).
2. Lo svolgimento delle attività relative all'ordinamento professionale non comportano oneri aggiuntivi a carico del bilancio statale.
CAPO VII
GESTIONE DEI SERVIZI E DIRITTI
Art. 223
(Compiti)
1. Ai servizi
attinenti alla materia regolata da questo codicecodice
provvedela
competente Direzione Generale del Ministero delle Attività Produttive al
cui interno opera Ufficio Italiano Brevetti e Marchi l’Ufficio
italiano brevetti e marchi.
2.
Fatte
salve le competenze istituzionali del Ministero degli affari esteri
in materia di proprietà industriale e l’attività di coordinamento del
Presidente del Consiglio dei Ministri, l’Ufficio italiano brevetti e marchi del
Ministero delle attività produttive promuove e mantiene relazioni con le
istituzioni e gli organismi comunitari ed internazionali competenti in materia,
nonché con gli uffici nazionali della proprietà industriale degli altri Stati,
e provvede alla trattazione delle relative questioni assicurando la
partecipazione negli organi e nei gruppi di lavoro.
Fatti salvi i compiti
istituzionali del Ministero degli affari esteri, L’Ufficio l'Ufficio italiano brevetti e
marchi a Direzione Generale di cui al comma 1rappresenta
l'Italia provvede,
presso le istituzioni e gli organismi comunitari ed
internazionali, che operano nel campo della proprietà
industriale, alla trattazione delle
materie di propria competenza assicurando la partecipazione negli organi e nei
gruppi di lavoro,promuove
e mantiene le relazioni
con gli organi competenti dell'Organizzazione Mondiale della
Proprietà IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale, dell'Unione Europea, dell'Organizzazione Europea
dei brevetti e con gli altri organismi internazionali del settore nonché con
gli uffici nazionali della proprietà industriale degli altri Stati.
3. L’Ufficio italiano brevetti e
marchiLa Direzione Generale di cui
al comma 1 provvede altresì ai seguenti ulteriori compiti:
a) creazione e gestione di banche dati e diffusione delle informazioni brevettuali con particolare riferimento all'aggiornamento sullo stato della tecnica;
b) promozione della preparazione tecnico-giuridica del personale della pubblica amministrazione operante nel campo della proprietà industriale e della innovazione tecnologica e di coloro che svolgono o intendono svolgere la professione di consulente in proprietà industriale;
c) promozione della cultura e dell'uso della proprietà industriale presso i potenziali utenti, in particolare presso le piccole medie imprese e le zone in ritardo di sviluppo;
d) effettuazione di studi, ricerche, indagini e pubblicazioni correlate alla materia della proprietà industriale e sviluppo di indicatori brevettuali per l'analisi competitiva dell'Italia, in proprio o in collaborazione con amministrazioni pubbliche, istituti di ricerca, associazioni, organismi internazionali;
e)
effettuazione di prestazioni a titolo oneroso di
servizi non istituzionali a richiesta di privati, a condizione che siano sempre che
compatibili con la funzione e il ruolo istituzionale ad essa attribuito.
4. L’Ufficio
italiano brevetti e marchiLa Direzione Generale di cui
al comma 1 può stipulare convenzioni con regioni, camere di
commercio, iIndustria, aArtigianato
ed aAgricoltura,
enti pubblici e privati finalizzati allo svolgimento dei propri compiti.
Art. 224
(Risorse finanziarie)
1. L?'Ufficio
italiano brevetti e marchia Direzione Generale di cui
all'articolo 223 provvede all'assolvimento dei propri compiti ed
al finanziamento della ricerca di anteriorità con le risorse di bilancio
iscritte allo stato di previsione della spesa del Ministero delle aAttività
pProduttive,
con i corrispettivi direttamente riscossi per i servizi resi in materia di
proprietà industriale e con il versamento sullo stato di previsione del Ministero delle attività
produttive dell’ammontare complessivo dei proventi derivanti dalle tasse
annuali per il mantenimento in vita dei titoli brevettuali europei designanti l’Italia.
2. Il Ministero delle attività produttive provvede a corrispondere annualmente il cinquanta per cento dell’ammontare delle tasse di cui al comma 1 all’Ufficio europeo dei brevetti così come previsto dall’articolo 30 della Convenzione di Monaco del 5 ottobre 1973, ratificata dalla legge 260 del 1978.
3.
L?'Ufficio
italiano brevetti e marchi a Direzione generale della
proprietà industriale provvede all'assolvimento dei propri compiti
anche con i versamenti ed i rimborsi eventualmente effettuati da organismi
internazionali di proprietà industriale ai quali l'Italia partecipa e con ogni
altro provento derivante dalla sua attività.
(4. La copertura relativa alle minori entrate derivanti dal presente articolo è assicurata nell’ambito della legge finanziaria con successivi provvedimenti.)
Art. 225
(Diritti di concessione e di mantenimento)
1. Per le domande
presentate al Ministero delle aAttività pProduttive
al fine dell'ottenimento di titoli di proprietà industriale, per le
concessioni, le opposizioni, le trascrizioni, il rinnovo e mantenimento in vita
dei titoli è dovuto il pagamento dell’imposta di bollo, nonché delle tasse di
concessione governativa e dei di diritti la cui determinazione in relazione a
ciascun titolo o domanda ed all'intervallo di tempo al quale si riferiscono
viene effettuata con apposito decreto dal Ministro delle aAttività
pProduttive,
di concerto con il Ministro dell'eEconomia e delle fFinanze.
2. La tassa individuale di
designazione dell'Italia nella domanda di registrazione internazionale di
marchio, nella designazione posteriore o nell'istanza di rinnovo applicabile ai
marchi internazionali esteri che chiedono la protezione sul territorio italiano
tramite l'Organizzazione Mondiale della Proprietà
IntellettualeOrganizzazione mondiale della proprietà
intellettuale di Ginevra, ai sensi del Protocollo relativo
all'Accordo di Madrid, è fissata nella misura del novanta per cento dei diritti
previsti per il deposito della concessione di un marchio nazionale ovvero della
rinnovazione.
Art. 226
(Termini e modalità di pagamento)
1. Il pagamento dei diritti
di cui al presente Codicecodice è effettuato
nei termini e nelle modalità fissati dal Ministro delle aAttività
pProduttive
con proprio decreto.
Art. 227
(Diritti per il mantenimento in vita dei titoli di proprietà industriale)
1. Tutti i diritti previsti per il mantenimento in vita dei titoli di proprietà industriale devono essere pagati anticipatamente, entro il mese corrispondente a quello in cui è stata depositata la domanda, trascorso il periodo coperto dal precedente pagamento.
2. Trascorso questo termine di
scadenza, il pagamento è ammesso nei sei mesi successivi con l'applicazione di
un diritto di mora il cui ammontare è determinato per ciascun diritto di
proprietà industriale dal Ministero delle aAttività
pProduttive,
di concerto con il Ministero dell'eEconomia e delle fFinanze.
3. Possono pagarsi anticipatamente più diritti annuali.
4. Nel caso di cui all’articolo 6, comma 1, tutti i soggetti sono tenuti solidalmente al pagamento dei diritti di mantenimento.
Art. 228
(Esenzione e sospensione del pagamento dei diritti)
1. All'inventore, il quale
dimostri di essere in condizioni di indigenza, il Ministro delle aAttività
pProduttive
può concedere l'esenzione dai diritti di concessione e la sospensione dal
pagamento dei diritti annuali per i primi cinque anni. Allo scadere del quinto
anno l'inventore che intende mantenere in vigore il brevetto deve pagare, oltre
il diritto annuale per il sesto anno anche quelli arretrati. In caso contrario
il brevetto decade e l'inventore non è tenuto al pagamento dei diritti degli
anni anteriori.
Art. 229
(Diritti rimborsabili)
1. In caso di rigetto della domanda o di rinuncia alla medesima, prima che la registrazione sia stata effettuata o il brevetto sia stato concesso, sono rimborsati i diritti versati, ad eccezione del diritto di domanda. Il diritto previsto per il deposito di opposizione è rimborsato in caso di estinzione dell’opposizione ai sensi dell’articolo 181, comma 1, lettera b).
2. I rimborsi dei diritti
sono autorizzati dal Ministero delle aAttività
pProduttive.
L'autorizzazione viene disposta ha luogo
d'ufficio quando i diritti da rimborsare si riferiscono ad una domanda di
registrazione o di brevetto definitivamente respinta o ad un ricorso accolto.
In ogni altro caso, il rimborso viene effettuato su richiesta dell'avente
diritto, con istanza diretta al Ministero delle aAttività
pProduttive.
3. I rimborsi devono essere annotati nel registro dei brevetti e, ove si riferiscano a domande ritirate o respinte, vengono annotati nel registro delle domande.
Art. 230
(Pagamento incompleto od irregolare)
1. Se per evidente errore,
o per altri scusabili motivi, un diritto venga pagato incompletamente o
comunque irregolarmente, l’Ufficio Italiano Brevetti e MarchiUfficio
italiano brevetti e marchi di cui all’articolo 223 può ammettere
come utile l'integrazione o la regolarizzazione anche tardiva del pagamento.
2. Se si tratta di un
diritto annuale, l’Ufficio Italiano Brevetti e MarchiUfficio
italiano brevetti e marchi provvede solo su istanza
dell'interessato. Se l’istanza viene respintaOve
l’Ufficio respinga l'istanza, l'interessato può ricorrere alla
Commissione dei ricorsi entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data
della comunicazione.
3. Il ritardo nel pagamento che sia superiore a sei mesi comporta la decadenza del diritto di proprietà industriale.
CAPO VIII
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
SEZIONE I
MARCHI
art. 231
(Domande anteriori)
1. Le domande di registrazione di
marchio e le domande di trascrizione depositate prima della data di entrata in
vigore del dDecreto lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, sono trattate secondo le disposizioni in esso
contenute. Tuttavia, per quanto riguarda la regolarità formale, sono soggette
alle norme preesistenti.
art. 232
(Limiti al diritto esclusivo sul marchio rinomato)
1. Il diritto di fare uso esclusivo
di un marchio registrato prima della data di entrata in vigore del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, e che goda di rinomanza, non consente al titolare di
opporsi all'ulteriore uso nel commercio di un segno identico o simile al
marchio per prodotti o servizi non affini a quelli per cui esso è stato
registrato.
art. 233
(Nullità)
1. I marchi di impresa registrati
prima della data di entrata in vigore del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, sono soggetti, in quanto alle cause di nullità, alle
norme di legge anteriori.
2. Non può essere dichiarata la nullità del marchio se anteriormente alla proposizione della domanda principale o riconvenzionale di nullità, il segno, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbia acquistato carattere distintivo.
3. Non può essere dichiarata la nullità del marchio se il marchio anteriore sia scaduto da oltre due anni, ovvero tre se si tratta di marchio collettivo, o possa considerarsi decaduto per non uso anteriormente alla proposizione della domanda principale o riconvenzionale di nullità.
4. Ai fini dell'applicazione
dell'articolo 48 del rRegio dDecreto
29 giugno 1942, n. 929, come sostituito dal dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, il termine di cinque anni decorre dalla data di
entrata in vigore dello stesso.
art. 234
(Trasferimento e licenza del marchio)
1. Le norme del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, che disciplinano il trasferimento e la licenza del
marchio si applicano anche ai marchi già concessi ma non ai contratti conclusi
prima della data di entrata in vigore del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480.
art. 235
(Decadenza per non uso)
1. Le norme del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480, che disciplinano la decadenza per non uso si applicano
ai marchi già concessi alla data di entrata in vigore dello stesso dDecreto
lLegislativo,
purché non ancora decaduti a tale data.
art. 236
(Decadenza per uso ingannevole)
1. Le norme del dDecreto
lLegislativo
4 dicembre 1992, n. 480 che disciplinano la decadenza del marchio per uso
ingannevole dello stesso si applicano ai marchi già concessi alla data di
entrata in vigore dello stesso dDecreto lLegislativo,
in relazione ad un uso ingannevole posto in essere dopo la sua entrata in
vigore.
SEZIONE II
DISEGNI E MODELLI
art. 237
(Domande anteriori)
1. Le domande di brevetto per
disegno o modello ornamentale e le domande di trascrizione depositate prima
della data di entrata in vigore del dDecreto lLegislativo
2 febbraio 2001, n. 95, sono trattate secondo le disposizioni
in esso contenute. Le stesse domande sono soggette alle norme
precedentiTuttavia, per quanto riguarda la
relativamente alla regolarità
formale,
sono soggette alle norme precedenti.
art.238
(Proroga della privativa)
1. I brevetti per disegno o modello
ornamentale concessi prima della data di entrata in vigore del dDecreto
lLegislativo
2 febbraio 2001, n. 95, purché non scaduti né decaduti alla data di entrata in
vigore del decreto legislativo citato, possono essere prorogati fino al termine
massimo di venticinque anni dalla data di deposito della domanda di brevetto. Tuttavia iI
licenziatari e coloro che in vista della prossima scadenza avevano compiuto
investimenti seri ed effettivi per utilizzare il disegno o modello hanno
diritto di ottenere licenza obbligatoria gratuita e non esclusiva per il
periodo di maggior durata. Questa facoltà non si applica ai contraffattori dei
brevetti non ancora scaduti.
2. Le tasse di concessione
corrisposte in un'unica soluzione valgono per le prime due proroghe. Le tasse
sulle concessioni governative relative al quarto e quinto quinquennio, a far
data dal 19 aprile 2001, sono di importo corrispondente alla rata del terzo
quinquennio prevista dall'articolo 10, titolo IV, numero 2, lettere c) ed f),
della tariffa indicata nella tabella allegata al dDecreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641.
art. 239
(Limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore)
1. Per un periodo di dieci anni decorrenti dal 19 aprile 2001, la protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell’articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera nei soli confronti di coloro che, anteriormente alla predetta data, hanno intrapreso la fabbricazione, l'offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio. I diritti di fabbricazione, di offerta e di commercializzazione non possono essere trasferiti separatamente dall'azienda.
art. 240
(Nullità)
1. I brevetti per disegni e modelli
ornamentali concessi prima della data di entrata in vigore del dDecreto
lLegislativo
2 febbraio 2001, n. 95, sono soggetti, in quanto alle cause di nullità, alle
norme di legge anteriori e, quanto agli effetti della declaratoria di nullità,
alla norma di cui all'articolo 77 del presente Codicecodice.
art.241
(Diritti esclusivi sulle componenti di un prodotto complesso)
1. Fino a che la dDirettiva
98/71/CE sulla protezione giuridica dei disegni e modelli non sarà modificata
su proposta della Commissione a norma dell'articolo 18 della dDirettiva
medesima, i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non
possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei
componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di
ripristinarne l'aspetto originario.
SEZIONE III
NUOVE VARIETA’ VEGETALI
art.242
(Durata della privativa)
1. Le disposizioni dell'articolo 109
del presente Codicecodice si
applicano ai brevetti per nuove varietà vegetali concessi conformemente al
decreto del Presidente della Repubblica
12 agosto 1975, n. 974, non scaduti o decaduti alla data di entrata in
vigore del dDecreto lLegislativo
3 novembre 1998, n. 455.
2. I licenziatari e coloro che, alla
data di entrata i vigore del dDecreto lLegislativo
3 novembre 1998, n. 455, hanno compiuto seri ed effettivi investimenti per
l'utilizzo delle nuove varietà vegetali coperte dal diritto di costitutore
hanno diritto di ottenere licenza obbligatoria gratuita e non esclusiva per il
periodo di maggior durata. Questa facoltà non si applica ai contraffattori dei
diritti non ancora scaduti.
SEZIONE IV
INVENZIONI
art.243
(Invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca)
1. La disciplina di cui all'articolo
65 del presente Codicecodice si applica
alle invenzioni conseguite successivamente alla data di entrata in vigore
dell'articolo 24-bis del regio decretoR 29 giugno 1939,
n. 1127, introdotto con lLegge 18 ottobre
2001, n. 383, nonché a quelle conseguite successivamente alla data di entrata
in vigore del presente codicecodice ancorché
in dipendenza di ricerche cominciate anteriormente.
SEZIONE V
DOMANDE ANTERIORI
art.244
(Trattamento delle domande)
1. Le domande di brevetto o di
registrazione e quelle di trascrizione e annotazione, anche se già depositate
al momento della data di entrata in vigore del presente Codicecodice,
sono trattate secondo le disposizioni in esso contenute. Tuttavia, per quanto riguarda
la ricevibilità, lLe domande di cui al Capo IV, sezione I, sono soggette alle norme preesistenti
relativamente alle condizioni di ricevibilità.
SEZIONE VI
ABROGAZIONI
art.245
1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) il regio decreto 29 giugno
1939, R.D.
29.6.1939 n. 1127;
b) il regio decreto 5 febbraio
1940, R.D. 5.2.1940 n.
244;
c) il regio decreto 25 agosto
1940, R.D. 25.8.1940 n. 1411;
d) il regio decreto 31 ottobre 1941, R.D. 31.10.1941 n. 1354;
e) il regio decreto 21 giugno
1942,R.D. 21.6.1942 n. 929;
f) il decreto del Presidente
della Repubblica 8 maggio 1948,D.P.R.
8.5.1948 n. 795;
g) il decreto del Presidente
della Repubblica 30 giugno 1972, D.P.R. 30.6.1972 n. 540;
h) il decreto del
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 22 febbraio 1973 D.M. 22.2.1973, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 69 del 15 marzo 1973;
i)
il decreto
del Presidente della Repubblica 12 agosto 1975, D.P.R. 12.8.1975 n. 974, fatto salvo
l’articolo 18;
l)
il decreto
del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 22 ottobre
1976, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della repubblica
Italiana n. 15 del 18 febbraio 1977D.M.
22.10.1976;
m)il decreto del Presidente
della Repubblica 8 gennaio 1979, D.P.R.
8.1.1979 n. 32;
n) il decreto del Presidente
della Repubblica 22 giugno 1979,D.P.R.
22.6.1979 n. 338;
o) la l Legge 3 maggio 1985, 3.5.1985 n.
194;
p) la lLegge
14
ottobre 1985, 14.10.1985 n. 620; il decreto del
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 26 febbraio 1986
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana n. 104 del 7 maggio 1986;
q) la l Legge
14
febbraio 1987, 14.2.1987 n. 60;
r) la lLegge
21
febbraio 1989, 21.2.1989 n. 70;
s) il decreto del
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 19 luglio 1989, D.M.
19.7.1989 n. 320, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 220 del 20 settembre 1989;
t) il decreto del
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 gennaio 1991,D.M.
11.1.1991 n. 122, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 85 dell’11 aprile 1991;
u) la l Legge 19 ottobre 1991, 10.10.1991
n. 349; il decreto legislativo 4 dicembre
1992, n.D.L. 4.12.1992 n. 480; la leLegge 26 luglio.7.1993,
n. 302;
v) il decreto
del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1993,D.P.R.
1.12.1993 n. 595;
z) il decreto
del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, D.P.R. 18.4.1994 n. 360;
aa)
il decreto del Presidente della Repubblica 18
aprile 1994, n D.P.R. 18.4.1994 n. 391;
bb)
la leLegge
21
dicembre .12.1984, n. 890;
cc)
il decreto del
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 30 maggio 1995, D.M.
30.5.1995 n. 342, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 192 del 18 agosto 1995;
dd)
il decreto legislativo 19 marzo
1996, D.L.
19.3.1996 n. 198; il decreto legislativo 3 novembre
1998, D.L. 3.11.1998 n. 455; il decreto legislativo 8 ottobre 1999, L. 8.10.1999
n. 447;
ee)
il decreto legislativo D.L. 2 febbraio 2001 2.2.2001,
n. 95;
ff)
il decreto legislativo 12 aprile 2001, nD. Lgs.
12.4.2001 n.. 164;
gg)
l’ articolo.
7 della lLegge 18 ottobre
2001, n18.10.2001 n. 383;
hh)
il decreto legislativo 2 febbraio
2002, R.D. 2.2.2002 n. 26;
ii)
i commi artt. 8, 8-bis, 8-tered 8-quater dell’articolo 3 della lLegge
15
giugno 2002, n..6.2002 n. 112, di conversione, con
modificazioni, del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63;
ll)
il Ddecreto
del Ministro delle attività produttive M 17 ottobre.10.2002,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 28 ottobre 2002;
mm) l’articoloArt 17 della lLegge
12
dicembre .12.2002,
n. 273;
nn) i commi 72, 73, 79, 80 e 81 dell’articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
Consiglio di Stato
Adunanza Generale del 25 ottobre 2004
N. Sezione 10548/04
N. Gab. 2/04
_____________________________
OGGETTO
MINISTERO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE – Schema di decreto legislativo recante il “Codice dei diritti di proprietà industriale”, ai sensi dell’art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273.
Il Consiglio
Visto lo schema di decreto legislativo recante il “Codice dei diritti di proprietà industriale”, ai sensi dell’art. 15 della
legge 12 dicembre 2002, n. 273, trasmesso con nota del Ministero delle attività produttive prot. n. 22513-R3b/131 del 14 settembre 2004, pervenuta il 21 settembre 2004, sul quale il Ministero delle attività produttive richiede il parere del Consiglio di Stato;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori, Consiglieri Luigi Carbone, Goffredo Zaccardi, Rosanna De Nictolis e Giancarlo Montedoro;
PREMESSO e CONSIDERATO:
1. Lo schema di decreto legislativo in esame sottopone al parere del Consiglio di Stato il nuovo “Codice dei diritti di proprietà industriale”, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”.
L’alinea del comma 1 del citato art. 15 è stato novellato dall’art. 2, comma 8, della legge 27 luglio 2004, n. 196, di conversione del decreto legge 28 maggio 2004, n. 136 (recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), prolungando di sei mesi il termine per l’esercizio della delega (inizialmente previsto in “diciotto mesi” e ora portato a “due anni”) per cui la scadenza del termine per l’esercizio della delega è ora stabilita alla data del 29 dicembre 2004.
L’intervento costituisce uno dei primi e più importanti codici adottati nel corso della presente legislatura (un precedente, relativo però ad una situazione del tutto peculiare, è costituito dallo schema di decreto legislativo recante la “Istituzione del sistema pubblico di connettività e della rete internazionale della pubblica amministrazione” su cui cfr. il parere della Sezione per gli atti normativi n. 7904/04 del 30 agosto 2004).
Pur se la norma delegante da cui il codice trae origine non è una di quelle contenute nella legge 29 luglio 2003, n. 229, recante “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001”, ma è ad essa antecedente, la delega su cui si fonda il codice in oggetto costituisce un’anticipazione di quelle della legge di semplificazione per il 2001 (che peraltro era stata presentata antecedentemente dal Governo ma è stata approvata successivamente dal Parlamento).
Difatti, l’art. 15 della l. n. 273 del 2002 richiama espressamente, tra i criteri di delega, la norma-cardine della semplificazione normativa, che è sempre rimasta l’articolo 20 della l. n. 59 del 1997, da ultimo novellato proprio dalla legge n. 229 del 2003. Orbene, il comma 2 dell’art. 1 della l. n. 229 del 2003 estende espressamente i nuovi principi e criteri direttivi del riformulato art. 20 della legge n. 59 del 1997 anche alle deleghe ancora in corso approvate prima della l. n. 229 che vi facciano riferimento: tra queste rientra anche la delega in oggetto (il comma 2 dell’art. 1 della l. n. 229 in questione recita: “Le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dal presente articolo, si applicano anche alle deleghe legislative in materia di semplificazione e riassetto normativo conferite con leggi approvate dal Parlamento nel corso della presente legislatura prima della data di entrata in vigore della presente legge”).
Si può, quindi, affermare che l’intervento in esame segna l’avvio di una nuova fase in materia di semplificazione e riordino (ora denominato “riassetto”) normativo dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’abrogato art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (soppresso dall’art. 23, comma 3, della l. n. 229 del 2003).
Tale nuova fase si inserisce tra le iniziative del legislatore italiano volte a realizzare la “semplificazione normativa”, a ridurre il numero esorbitante delle regole del nostro ordinamento e a porre rimedio alla loro contraddittorietà, alla loro onerosità nei confronti di cittadini e imprese, alla loro relativamente non elevata qualità.
Il primo intervento in materia è costituito dall’art. 2 della legge n. 537 del 24 dicembre 1993, in cui fu lanciato il primo processo sistematico di delegificazione e semplificazione di un numero consistente di procedimenti amministrativi prima regolati dalla legge, per proseguire con l’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (di cui si è appena detto) e sfociare nelle tre “leggi annuali di semplificazione” (che però hanno subito assunto una cadenza più lenta), interamente dedicate alla materia della semplificazione normativa e amministrativa.
Si tratta della legge 8 marzo 1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”), della legge 24 novembre 2000, n. 340 (“Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi. Legge di semplificazione 1999”) e della già citata 29 luglio 2003, n. 229, “legge di semplificazione 2001”. Con esse si è progressivamente passati da un “modello di semplificazione/delegificazione” che consisteva nella emanazione di regolamenti ex art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988 della disciplina di singoli procedimenti amministrativi ad un “modello di riordino/riassetto” di intere materie organiche, prima con testi unici e poi con “codici” (cfr. ampiamente infra, al punto 3). Accanto al processo di codificazione si sono introdotti – anche se spesso solo in via sperimentale – strumenti innovativi per il miglioramento della qualità della regolazione mutuati dall’esperienza comparata e internazionale (come la consultazione e l’analisi di impatto della regolamentazione di cui rispettivamente agli articoli 1, comma 2, e 5 della legge n. 50 del 1999).
In considerazione della rilevanza dello schema in esame anche sotto tale profilo generale, questo Consiglio di Stato ritiene quindi necessario, prima di esaminare l’intervento nei suoi contenuti innovativi e ricostruttivi, evidenziarne i profili storico-sistematici e metodologici.
2. In considerazione del fatto che tutti gli interventi succedutisi da oltre dieci anni (anche quelli di riordino, codificazione o riassetto) si inseriscono in una strategia di “semplificazione” e che anche le “leggi annuali” di recente emanate in materia fanno perno su questo concetto, si ritiene opportuno operare una ricognizione preliminare sul significato attuale del concetto di “semplificazione” – un concetto che è andato evolvendosi notevolmente negli anni – come risulta identificabile dalla prassi internazionale, dall’uso legislativo corrente, dalla dottrina e anche dai documenti degli organismi di categoria.
2.1. Nell’esperienza internazionale, il punto di partenza è la tendenza a liberare i mercati e i cittadini da regole prescrittive, attuando un ampio processo di liberalizzazione e di deregolazione che liberi energie economiche e risorse umane in un mercato globalizzato. L’approccio al tema è determinato, nella sua genesi, dalle esigenze di un mercato in evoluzione, in cui vi sono spinte contrapposte: da un lato, verso una sempre maggiore deregolazione per favorire l’azione degli operatori, dall’altro, verso una “iperregolamentazione” di alcuni settori con funzioni di disciplina della concorrenza e di protezione di interessi di natura prioritaria (ambiente, salute, sicurezza). Tali spinte trovano il loro momento di composizione nella ricerca della “giusta dose” di regolazione e della buona qualità della normazione.
L’approccio italiano è stato invece, almeno inizialmente, diverso. Come è stato osservato anche in dottrina, l’analisi economica delle regole è rimasta a lungo fuori dal dibattito politico-istituzionale sulla normazione e la produzione delle leggi è stata, specie all’inizio, fortemente influenzata da un’impostazione di tipo “giuridico”, non sempre attenta agli effetti che si dispiegano sui destinatari delle regole.
Particolarmente significativa dell’evoluzione del tipo di approccio al tema della semplificazione è l’esperienza italiana della riforma amministrativa. Gli anni ‘90 sono stati caratterizzati, come è noto, da un rinnovato interesse per un diverso ruolo dell’amministrazione pubblica del nostro Paese nei confronti dei cittadini e non a caso le prime norme in materia di “semplificazione” si inserivano in leggi generali di riforma dell’amministrazione (l. n. 537 del 1993 e l. n. 59 del 1997).
Il punto di partenza era costituito dalla presa d’atto che l’amministrazione deve essere meno autoreferenziale e soddisfare le esigenze che vengono dagli “amministrati”; l’erogazione dei servizi al pubblico – di tipo burocratico (certificati) o imprenditoriale (forniture di servizi) – deve essere efficiente ed economicamente competitiva. Per fare questo, occorrono regole più flessibili: è in questa cornice che si è imposto anche il tema della delegificazione, incentrato essenzialmente su un processo di snellimento dei procedimenti amministrativi e di riorganizzazione dell’apparato di governo secondo regole più flessibili (questo periodo è stato efficacemente caratterizzato dalla dottrina come passaggio “dalla legge al regolamento”).
2.2. L’impulso dato alla semplificazione “di singoli procedimenti” della ricordate leggi n. 537 del 1993 e n. 59 del 1997 ha successivamente indotto a una pausa di riflessione dalla quale sono emerse due esigenze: svincolare il “metodo della semplificazione” da un’ottica di semplice “semplificazione amministrativa”, pure indispensabile; ridurre cospicuamente il numero di norme esistenti nel nostro ordinamento (risultato che invece non si consegue attraverso l’emanazione di nuovi regolamenti di delegificazione: cfr. infra, punto 2.3).
Sul piano operativo, questo processo di maturazione segna il passaggio da un concetto – più risalente – di “semplificazione” limitato al mero snellimento dei procedimenti amministrativi (e dell’organizzazione degli uffici pubblici), operato tramite la delegificazione di una parte della loro disciplina, ad un concetto più ampio e attuale, in linea con l’esperienza internazionale, che ricomprende l’intera tematica generale della “qualità” delle regole. Laddove una normazione “di qualità” implica sia coerenza e chiarezza da un punto di vista giuridico-formale (regole leggibili sia per gli operatori che per i cittadini) che essenzialità e minore onerosità da un punto di vista economico-sostanziale (una regola interviene solo quando è indispensabile e se i benefici da ottenere sono superiori ai costi).
Tale accezione più ampia di semplificazione è certamente quella intesa dalle tre “leggi annuali” ad essa dedicate (l’ultima, la l. n. 229 del 2003, reca significativamente la locuzione “qualità della regolazione” anche nel titolo). Come è stato affermato a commento della prima legge, la n. 50 del 1999, “la nuova fase di semplificazione delle procedure avviata dalla legge n. 50 del 1999 mira a svincolare la cultura della semplificazione da una considerazione eminentemente giuridica e burocratica e a cogliere la valenza economica del processo di semplificazione nel più generale contesto della riforma della regolazione”.
2.3. In piena coerenza con la descritta, più ampia accezione di semplificazione intesa come sinonimo di qualità della regolamentazione, si colloca altresì la scelta legislativa degli ultimi anni, cui si è accennato retro, al punto 1, di privilegiare un’opera di riduzione del numero di norme e, in generale, di consolidamento/codificazione di quelle restanti. La finalità di riduzione degli oneri burocratici (la cd. semplificazione “sostanziale”) della disciplina non scompare (anzi, si accresce di strumenti nuovi di analisi di impatto), ma si accompagna ad un’opera di smaltimento dello stock normativo.
La portata dell’“inflazione normativa”, che rende peculiare la situazione del nostro Paese rispetto ad altri Stati, è tale da condizionare qualsiasi strategia di “qualità della regolazione”, che non può limitarsi ai pur essenziali profili “sostanziali” di riduzione degli oneri delle regole. Su questo aspetto si innesta l’ulteriore esigenza che il linguaggio normativo sia semplice e chiaro.
Inoltre, lo strumento dei regolamenti di delegificazione si dimostra sempre meno adeguato – se non altro come strumento-cardine di intervento – nel nuovo assetto di poteri normativi disposto dalla riforma del Titolo V della Costituzione (cfr. anche infra, il punto 4.5).
Ciò non significa che la delegificazione, di per sé, nelle materie in cui lo Stato conservi ancora una potestà regolamentare ai sensi dell’art. 117 Cost., non resti uno strumento prezioso per rendere più flessibili taluni aspetti di una disciplina. Ma la sua utilità si può accrescere laddove lo si inserisca nell’ambito di un processo di riduzione dello stock normativo (il rapporto tra codici e delegificazione è previsto espressamente dall’art. 20, comma 2 e comma 3, lett. c), come introdotto dalla l. n. 229 del 2002, nonché, per la delega su cui si fonda lo schema in questione, dall’art. 15, comma 1, lett. g), della l. n. 272 del 2002).
La necessità di un intervento di riordino normativo – che costituiva già l’obiettivo principale del programma di riordino delle norme legislative e regolamentari delineato dall’articolo 7 della legge n. 50 del 1999, anche se quella legge operava ancora un ampio ricorso alla tecnica di delegificazione “per singoli procedimenti” – si accentua nella legge n. 229 del 2003, che elimina del tutto il filone di intervento tramite singoli regolamenti di delegificazione e fonda la strategia di semplificazione sul “riassetto” sostanziale delle materie, che deve avvenire tramite decreti legislativi di riforma dei singoli settori, i quali si conformino, oltre a principi e criteri direttivi specifici per le singole materie, a principi e criteri direttivi comuni, ispirati alla massima riduzione dell’intervento pubblico laddove non necessario (cfr. l’art. 1 della legge n. 229 del 2003, che ha interamente sostituito l’art. 20 della l. n. 59 del 1997 e che costituisce criterio di delega anche per l’intervento qui in oggetto, come si è detto retro, al punto 1).
La medesima legge n. 229 del 2003 (della quale, come si è visto, l’intervento in esame costituisce l’anticipazione) reca anche, per la prima volta, nel titolo, il termine “codificazione”.
Di tale processo – su cui occorre, brevemente, soffermarsi – lo schema di codice in esame rappresenta il primo risultato.
3. Lasciando da parte, per il momento, i profili della qualità della normazione relativi alla misurazione dell’impatto, specie economico, delle regole sui loro destinatari – su questo, si tornerà comunque infra, al punto 4.4 – occorre ora soffermarsi sull’uso della denominazione di “codice”, in luogo di “testo unico”.
3.1. Se il modello illuministico della codificazione è sicuramente scomparso (si è anche parlato di “età della decodificazione”), l’esigenza di raccogliere organicamente le norme che disciplinano una stessa materia si fa sempre più pressante: tale esigenza ha consentito, negli ultimi anni, un ritorno anche del concetto di codificazione – sotto forme diverse e soprattutto con metodologie più attente all’impatto sostanziale delle norme, oltre alla indispensabile coerenza e armonia giuridica delle stesse all’interno del codice e con le altre norme dell’ordinamento giuridico.
Le codificazioni incentrate sull’unità del soggetto giuridico e sulla centralità e sistematicità del diritto civile stanno, quindi, lasciando spazi a micro-sistemi legislativi, dotati di una razionalità più debole, non fondati sull’idea dell’immutabilità della società civile, improntati a sperimentalismo ed incentrati su logiche di settore, di matrice non esclusivamente giuridica.
Cambia in tal modo l’idea di codificazione: essa si accompagna al raggiungimento di equilibri provvisori, ma di particolare significato perché orientati a raccogliere le numerose leggi speciali di settore, in modo tale da conferire alla raccolta una portata sistematica, orientandola ad idee regolative capaci di garantire l’unità e la coerenza complessiva della disciplina. Siamo in una fase storica nella quale all’idea regolativa del codice si è sostituita l’esistenza di discipline sistematicamente organizzabili in una pluralità di codici di settore. A questa codificazione di nuova generazione appartiene senz’altro il codice dei diritti di proprietà industriale, che sotto questo profilo merita apprezzamento.
3.2. In Italia, come è noto, si è da poco conclusa una breve fase connotata da “testi unici misti” ai sensi dell’art. 7 della l. n. 50 del 1999, ora abrogato, che ha prodotto risultati comunque positivi da un punto di vista della chiarezza delle discipline riordinate. Si ricordano, tra gli altri, i testi unici sulla documentazione amministrativa (n. 445 del 28 dicembre 2000), sull’edilizia (n. 380 del 6 giugno 2001), sull’espropriazione (n. 327 dell’8 giugno 2001) e sulle spese di giustizia (n. 115 del 30 maggio 2002).
Queste opere ricomprendono in uno stesso testo disposizioni sia legislative che regolamentari.
È noto che ai testi unici misti era stata riconosciuta natura di decreti legislativi delegati, come tali aventi capacità “innovativa” del livello normativo primario (cfr. la risoluzione della Camera dei deputati del 19 ottobre del 1999 sul programma governativo di riordino e le modifiche all’art. 7 della legge n. 50 del 1999 apportate dall’art. 1 della l. n. 340 del 2000). Tale loro capacità era, però, limitata, secondo il criterio di delega dell’art. 7, coma 2, lett. d) della l. n. 50 del 1999, al “coordinamento formale” della legislazione vigente, con la (sola) possibilità di apportare, “nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo”.
Per contro, il duplice effetto di delegificazione e semplificazione procedimentale aveva molto accentuato le capacità innovative per il livello secondario dei testi unici misti (capacità, peraltro, ancora molto consistenti prima dell’avvento della riforma del Titolo V della Costituzione).
3.3. Oggi, lo strumento di intervento dei testi unici misti “di riordino” è stato soppresso dalla legge n. 229 del 2003, che prevede dei decreti legislativi “di riassetto” o “codici”.
L’obiettivo comune, sia ai precedenti testi unici misti di riordino che agli attuali decreti legislativi di riassetto, è certamente quello della “riorganizzazione” (termine che comprende sia il “riordino” che il “riassetto”) delle fonti di regolazione e una drastica riduzione del loro numero, in modo da permettere ai cittadini di avere un quadro ben preciso e unitario delle regole che disciplinano un settore della vita sociale.
La differenza tra testi unici e “codici” consiste, sotto un primo profilo, nell’abbandono del livello regolamentare (su cui cfr. infra, al punto 4.6). Ciò può comportare, in certi casi, la legificazione o la ri-legificazione di alcuni aspetti della disciplina, prima regolati con norme secondarie. In più punti dello schema in oggetto, e persino nella disciplina generale, il codice dei diritti di proprietà industriale ha “cucito” insieme, vista la loro stretta connessione, norme legislative con disposizioni di origine regolamentare, che vengono quindi legificate (si tratta, in qualche modo, del processo opposto a quello descritto retro, al punto 2.1, con un passaggio “dal regolamento alla legge”: per approfondimenti cfr. infra, i punti 17.1 e 18.1, ma anche le disposizioni generali ed i principi fondamentali “legificano” norme secondarie e si pensi alle disposizioni regolamentari in tema di rivendicazione di priorità che confluiscono nell’art. 4).
Quanto al secondo profilo, quello della capacità innovativa della previgente disciplina di livello primario, va chiarito il ricorso al termine “riassetto” normativo, un termine inusuale nel lessico degli interventi in materia di qualità regolamentare, dove è invece più ricorrente il termine “riordino”. Il legislatore degli anni 2002-2003, forse nell’intento di segnare maggiormente le distanze dalla precedente esperienza dei testi unici misti, ha preferito abbandonare l’utilizzo del termine “riordino” e definire i decreti legislativi previsti dalla legge n. 229 del 2003 (e dalla l. n. 273 del 2002) come “decreti di riassetto”, anche a costo di ricorrere ad un termine meno indicativo e, soprattutto, meno comprensibile e più atecnico.
Nella sostanza, la finalità è la stessa di quella del riordino normativo, e lo è anche la “qualità” dell’intervento, effettuato tramite uno strumento con capacità innovativa delle fonti primarie quale il decreto legislativo. Ciò che cambia è la portata, per così dire, “quantitativa” dell’intervento innovativo, poiché per i decreti legislativi “di riassetto” vi sono criteri di delega più ampi e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche a consistenti innovazioni del merito della disciplina codificata.
In realtà, anche a voler considerare il riordino come un intervento prevalentemente ricognitivo della disciplina previgente (il che non è, poiché “riordino” resta un concetto con valenza generale, riferito solo nella contingenza dell’art. 7 della l. n. 50 del 1999 ai testi unici misti), rispetto alla parola “riassetto” appare preferibile il termine “codificazione” – che pure compare nella l. n. 229 del 2003, ma soltanto nel suo titolo. Il termine “codice”, pur nella accezione “non illuministica” che oggi solo può avere, contiene entrambi gli elementi caratterizzanti sopra descritti: l’innovatività sostanziale e il consolidamento formale.
Peraltro, “codice” è l’espressione cui, correttamente, fa ricorso lo schema di decreto legislativo in oggetto, superando le incertezze terminologiche della l. n. 229 sopra descritte.
3.4. A conclusione di questo punto, si può quindi affermare che i “codici” che caratterizzano questa nuova fase di “riassetto normativo” posseggono due requisiti essenziali:
- la riforma dei contenuti della disciplina legislativa della materia, ispirandosi necessariamente anche a criteri di semplificazione “sostanziale” (alleggerimento degli oneri burocratici) e di “deregolazione”;
- la creazione di una raccolta organica, a livello primario (e solo a questo livello, salvo quanto di dirà in seguito, infra, al punto 4.6), di tutte le norme relative a una determinata materia.
Il primo requisito (tipico dei decreti legislativi innovativi) li distingue dai precedenti testi unici, quantomeno nella parte di innovazione sui contenuti; il secondo (tipico, invece, dei testi unici) li caratterizza nell’ambito degli ordinari decreti legislativi di riforma di una materia ai sensi dell’art. 76 Cost..
4. Una volta chiarito il quadro concettuale dell’intervento di codificazione in oggetto, anche in prospettiva di futuri ulteriori interventi, appare utile ora soffermarsi su alcune questioni relative al metodo della codificazione, ormai definite nella pratica europea e internazionale.
In primo luogo, trattandosi di un’opera di codificazione concepita unitariamente, con principi e criteri generali comuni e non tramite singole e asistematiche norme di delega, occorre segnalare la necessità di un approccio coerente, se non coordinato, degli interventi di codificazione, quantomeno riguardo agli aspetti metodologici.
In secondo luogo, è utile segnalare alcuni aspetti tipici del metodo codificatorio, che dovrebbero essere comuni a tutti gli interventi.
In terzo luogo, va rilevata l’opportunità di inserire, nell’opera di riforma e di codificazione di una singola materia, elementi che comportino una effettiva semplificazione “sostanziale”, e preferibilmente una (anche solo parziale) deregolazione della materia, avvalendosi della ampie potenzialità fornite dai criteri generali di delega di cui alla l. n. 229 del 2003, valevoli come si è visto per tutti gli interventi di codificazione, ivi compresa la delega in oggetto.
In quarto luogo, si rappresenta l’esigenza che l’opera di codificazione – comportando anche una “nuova regolazione” e non soltanto il riordino di quella previgente – sia condotta ricorrendo anche ai nuovi strumenti di qualità “sostanziale” della regolazione: l’analisi di impatto della regolazione (AIR), la consultazione, la valutazione ex post dell’impatto regolamentare (VIR).
In quinto luogo, occorre menzionare la necessità di tenere presente le possibili interferenze con la normativa regionale, non soltanto, ovviamente, per le materie a legislazione concorrente (art. 117, secondo comma, Cost.), ma anche per quei profili della competenza legislativa esclusiva dello Stato che necessariamente si incrociano con altre materie in cui sono previsti poteri normativi regionali (cfr., sul punto, il parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 3075/04 del 17 maggio 2004,in materia di immigrazione ma anche quella giurisprudenza costituzionale aperta dalla sent. n. 282/02 sulla differenza tra il concetto di “materia” e quello di “valore”, o di funzione trasversale).
In sesto luogo, va affrontato il delicato problema del rapporto tra i codici – che dopo la soppressione dei testi unici misti vanno limitati al solo livello legislativo – e la normativa regolamentare attuativa e integrativa, ovvero con la normativa di delegificazione.
A tutti questi profili si farà cenno nei punti che seguono, con l’avvertenza che le considerazioni ivi contenute non riguardano la legittimità e l’efficacia dell’intervento in esame, ma mirano a offrire indicazioni – provenienti prevalentemente da esperienze ormai consolidatesi in campo europeo e internazionale – che contribuiscano a rendere il processo generale più incisivo, più coordinato e di portata ordinamentale più ampia.
4.1. Sotto un primo profilo, occorre rilevare che l’opera di codificazione avviata dalla l. n. 229 del 2003 e dalle norme ad essa strettamente connesse, come l’art. 15 della l. n. 273 del 2002, è concepita come un’opera complessiva di “riassetto” normativo, con principi e criteri generali comuni che affiancano criteri specifici “di settore”, relativi a ciascuna materia oggetto di codificazione. La presenza di tali criteri di metodo, di semplificazione e di deregolazione, validi per tutti gli interventi, è evidente nel nuovo testo dell’art. 20 della l. n. 59 del 1997, come novellato dalla l. n. 229 del 2003 (testo che, come si è visto retro, al punto 1, ha una portata espansiva nei confronti delle altre deleghe “di riassetto”, tra cui quella qui in esame).
L’Adunanza generale è dell’avviso che questo dato normativo sia caratterizzante dell’intero processo di codificazione. Altrimenti, per riformare in modo organico singoli settori sarebbe bastato al legislatore ricorrere a singole (e asistematiche) disposizioni di delega, contenute in leggi diverse e non collegate tra loro, come peraltro accade da sempre nell’ordinamento repubblicano, poiché da sempre ciò è consentito in via generale dall’art. 76 della Costituzione.
Pertanto, l’unitarietà della sede di previsione (il novellato art. 20 della l. n. 59 del 1997) e dei criteri metodologici di codificazione (non, ovviamente, di quelli sostanziali relativi al contenuto delle singole materie oggetto di codificazione) segnala l’esigenza di un approccio coordinato, se non comune, riguardo agli interventi di codificazione, quantomeno per gli aspetti di “metodo” e per gli strumenti giuridici da adottare.
Peraltro, tale visione unitaria appare essere quella che garantisce un’opera di codificazione più coerente e incisiva: basti pensare, con riferimento allo schema in oggetto, alle problematiche che esso pone nella definizione del confine con la materia del diritto d’autore (peraltro, di competenza di un Dicastero diverso da quello qui proponente), che un approccio coordinato e trasversale può risolvere più efficacemente. Una conferma dell’utilità di tale approccio proviene dalle frequenti raccomandazioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, oltre che dall’esperienza della Commission supérieure de codification francese, istituita nel 1989 tra gli Uffici del Primo Ministro, che, con i suoi compiti di assistenza – non certo di sostituzione – delle amministrazioni di settore, ha consentito di codificare una buona parte dell’ordinamento francese con criteri metodologici comuni, salvaguardando ovviamente tutte le specificità delle diverse materie codificate, cui provvedono le amministrazioni di settore responsabili per ciascun code, ma delimitandone con coerenza i rispettivi confini.
Anche riguardo alla diversa finalità di alleggerimento degli oneri burocratici e di deregolazione (molto accentuata, come si è detto, dalla legge n. 229 del 2003) viene da più parti rilevato un dato di fondo ai processi di semplificazione e di deregulation che accomuna tutte le esperienze che si sono succedute negli anni: la dialettica, talvolta il conflitto, tra gli interessi di settore che emergono nel corso dell’istruttoria normativa e un interesse trasversale, di tipo “istituzionale”, “neutro”, alla qualità della normazione.
Così, per esempio, la legge tende a mediare tra valutazioni politiche contrapposte; e la conseguenza di questa mediazione, anzi talvolta il metodo di composizione degli interessi, è costituito dall’ambiguità della norma. Ancora, le esigenze sistematiche e la tendenza a individuare nella legge la regola astratta del caso, proprie della normazione di qualità, confliggono con l’esigenza dei singoli partecipanti al processo normativo (nel Parlamento e nel Governo) di inserire norme ben specifiche, di dettaglio, quando non “disposizioni-fotografia”, nell’ordinamento; o con la tendenza della burocrazia amministrativa a trasferire sul piano normativo, e spesso a livello primario, la scelta tra soluzioni che potrebbero essere rimesse alla responsabilità dell’amministrazione.
Pertanto, nella pratica internazionale si suole affermare – in primo luogo, ufficialmente, dal Rapporto dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sulla Regulatory Reform in Italy del 2001, ma anche dalla più attenta dottrina – che la riforma del sistema di regolazione richiede un forte coordinamento all’interno del centro di produzione normativa e forme tendenzialmente stabili di raccordo interistituzionale tra i centri medesimi, in primo luogo all’interno del Governo, ma anche tra Parlamento e Governo e tra Stato e Regioni (su questo specifico profilo, v. infra, il punto 4.5).
In conclusione sul punto, ciò che più rileva è sottolineare il carattere unitario di una funzione di governo volta ad assicurare, con la qualità della normazione, un’azione di rivisitazione normativa ispirata a metodologie e finalità omogenee, a garantire la coerenza del processo di semplificazione, a renderlo periodicamente misurabile in termini di abolizione di norme, di riduzione di incombenze amministrative, di tempi e di costi e, infine, a tener conto del rapporto tra semplificazione e cd. multilevel governance, in cui oltre allo Stato sono soggetti fondamentali della produzione normativa anche le Regioni e l’Unione Europea.
4.2. Le indicazioni provenienti dalla dottrina e dall’esperienza internazionale consentono, altresì, di individuare alcuni profili ormai tipizzati della metodologia e della tecnica di elaborazione dei codici e dei testi unici. Essi potrebbero accomunare i vari interventi, o quantomeno essere affrontati in un’ottica unitaria, nell’ambito della policy organica di cui si è detto al punto precedente.
Secondo la manualistica oramai diffusa, non solo in Italia, e i pochi atti ufficiali esistenti in materia (cfr., ad esempio, la “Relazione del Governo al Parlamento per l’adozione del programma di riordino delle norme legislative e regolamentari”, presentata il 6 luglio 1999 – AC – XII legislatura – doc. XXVII n.5), sono state segnalate le seguenti fasi del processo di codificazione:
a) perimetrazione, cioè individuazione degli ambiti di materia e dei raggruppamenti normativi che vanno ricompresi nel testo unico;
b) redazione del “piano dell’opera”, di facile comprensibilità, che divenga alla fine un vero e proprio “indice del codice” (che l’Adunanza generale ritiene sia utile redigere anche per l’intervento in oggetto);
c) analisi “interna” della normativa, in modo da procedere ad accorpamenti, smembramenti o suddivisioni delle norme nelle varie parti del testo e, in definitiva, a una loro riallocazione sistematica.
La stesura del testo unico è condotta previa definizione di alcuni criteri comuni, quali l’uniformità della terminologia usata, la ripartizione delle norme in gruppi a seconda se sia possibile modificarle o se ci si debba limitare al coordinamento formale, la semplicità del linguaggio e la semplificazione di quello esistente, la tecnica dei rinvii e delle citazioni, il trattamento delle cd. norme intruse, la soluzione delle antinomie (alcuni di questi problemi, di natura tecnica, possono ricollegarsi a scelte di teoria generale: si pensi al tema delle antinomie, collegato a quello della completezza dell’ordinamento giuridico e alle lacune), il lavoro di aggiornamento periodico dei codici e di difesa dell’unitarietà della sede della disciplina.
Un cenno particolare merita la questione della semplificazione del linguaggio. È noto che esistono diverse teorie sul linguaggio giuridico: quelle che tendono ad avvicinarlo senz’altro al linguaggio comune e quelle che sottolineano la valenza tecnica non solo dei termini ma anche della struttura logica della proposizione giuridica. Probabilmente, la soluzione va ricercata pragmaticamente di volta in volta, avendo cura che il testo sia chiaro e, al tempo stesso, che non sempre in un singolo testo può modificarsi un termine se, in altri testi e nel linguaggio corrente tra giuristi e nelle corti, il termine ha ormai acquisito un significato ben preciso. In altre parole, l’uso di termini estranei al linguaggio comune, ma con uno specifico significato tecnico-giuridico, è compatibile con la finalità di “chiarezza” del linguaggio, purché l’uso di tali espressioni sia coerente e univoco, sia all’interno del testo normativo che nell’ambito dell’intero ordinamento.
4.3. L’eliminazione, ove possibile, dell’intervento normativo-burocratico sembra costituire il contenuto più chiaramente innovativo dei “codici” di questa nuova fase alla stregua dei nuovi criteri contenuti nell’art. 20 della legge n. 59 del 1997 (applicabili, come si è ripetuto, anche alla delega in oggetto).
Va, pertanto, rilevata la necessità di inserire, ove possibile, nell’opera di riforma e di codificazione di una singola materia, elementi che comportino una effettiva semplificazione e un effettivo alleggerimento degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, oltre che un arretramento dell’intervento pubblico in un dato settore. E di darne atto espressamente.
Sul punto, occorre precisare che la specifica materia oggetto dello schema in esame non è certamente tra quelle che maggiormente si prestano a quest’opera di semplificazione e deregulation, trattando di diritti per gran parte non incisi da oneri amministrativi. Ciò nonostante, alcuni profili appaiono passibili di un intervento semplificatorio, come ad esempio quelli relativi al procedimento di registrazione del marchio (per gli specifici rilievi, anche critici, di questa Adunanza generale sul punto, cfr. infra, il punto 18.1 del parere).
4.4. Sotto un altro profilo, l’opera di codificazione – comportando come si è visto un effetto non solo di riordino ma anche fortemente innovativo nell’ordinamento – va considerata alla stregua di ogni “nuova regolazione” e ad essa andranno, pertanto, applicati, quando saranno portati a regime, gli strumenti tipici di qualità della normazione: l’analisi di impatto della regolazione (AIR), la consultazione, la valutazione ex post dell’impatto regolamentare (VIR).
A tale riguardo, questo Consiglio di Stato non può trattenersi dal rappresentare l’esigenza che il Governo acceleri il processo di “messa a regime” dei suddetti strumenti di qualità della nuova regolazione, che ormai dall’anno 2000 operano, a livello statale, soltanto in fase sperimentale.
Anche se la strada intrapresa è certamente quella giusta, occorre che l’AIR entri appieno nella “cultura” della produzione delle regole, uscendo dallo stato embrionale e diventando parte integrante dell’iter normativo, coinvolgendo anche, sistematicamente, i destinatari delle norme.
I modelli più efficienti (ad esempio, quello della R.I.U., la Regulatory Impact Unit inglese) dimostrano la necessità di affiancare una fase analitica presso le amministrazioni competenti per settore con funzioni di guida, indirizzo, coordinamento, revisione e, in casi estremi di inerzia, sostituzione da parte di una struttura centralizzata (come, appunto, la R.I.U.).
Le più moderne tecniche di AIR prevedono anche una fase di verifica, successiva, dell’impatto della regolazione (cd. VIR) e si spingono sino alla valutazione, ex post, del grado di “obbedienza” (cd. compliance analysis), di rispetto e di attuazione di una normativa, per ricavarne indicazioni per interventi correttivi.
4.5. Un altro profilo problematico per la nuova fase di codificazione – molto accresciutosi a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione – proviene dalla necessità di prendere in considerazione il rapporto con le competenze normative regionali.
Ciò vale non soltanto, come si è detto retro, al punto 4, per le materie a legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ma anche per quei profili della competenza legislativa esclusiva dello Stato che necessariamente si incrociano con altre materie in cui sono previsti poteri normativi regionali (cfr., sul punto, anche il già richiamato parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 3075/04 del 17 maggio 2004, in materia di immigrazione).
In realtà, la riforma del Titolo V ha radicalmente cambiato il contesto rispetto alle precedenti politiche di semplificazione, nelle quali lo strumento dei regolamenti statali di delegificazione era ancora preponderante. In questi ultimi anni ci si muove, invece, in un contesto nuovo, a più livelli, in cui molte scelte rilevanti sono adottate anche in sede regionale, per non parlare di quelle che si prendono in sede di Unione Europea, che pure sfuggono al “semplificatore” nazionale.
Pertanto, il processo di codificazione deve operare nel rispetto di un assetto riformato dei centri di produzione normativa, in cui lo Stato continua, in parte, a dettare i principi e le Regioni acquistano progressivamente spazi di intervento.
In tale assetto, il livello normativo primario appare oggi l’unico praticabile per una raccolta dei principi fondamentali o, comunque, per interventi normativi di tipo trasversale da parte dello Stato che possano assicurare le esigenze di unitarietà compatibili con le nuove competenze normative regionali: tali finalità potranno essere perseguite anche dai nuovi codici, in modo che i principi in questione siano agevolmente ricavabili nell’ambito della disciplina organica della materia “codficata”.
Inoltre, va preso atto della riduzione della potestà normativa secondaria dello Stato, la quale non presenta quella potenzialità (limitatamente) espansiva che invece viene riconosciuta alle funzioni legislative statali anche nel nuovo sistema costituzionale (cfr. sent. C. Cost. n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004 ma anche, in relazione ai regolamenti, i pareri n. 2 e n. 5 del 2002 di questa Adunanza generale).
4.6. Un altro delicato aspetto dell’attività di codificazione prevista dal nuovo art. 20 della l. n. 59 del 1997 e dalle norme ad esso connesse – attività che va limitata al solo livello legislativo, vista la soppressione dei testi unici misti – è il suo rapporto con la normativa regolamentare.
La codificazione deve garantire il più possibile non solo l’organicità della materia oggetto del riordino ad un dato livello normativo (quello primario), ma anche la sua completezza. E tale completezza non può prescindere, per le materie in cui tale competenza sia rimasta in capo allo Stato, dalla normazione secondaria: non solo quella di natura attuativa e integrativa, ma anche quella di delegificazione. Tale ultimo profilo appare rafforzato, nel caso di specie, dalla disposizione della delega di cui alla lettera g) del comma 1 dell’art. 15 della l. n. 273 del 2002, oltre che dal novellato art. 20 della l. n. 59 del 1997.
Lo strumento dei testi unici misti, anche se poteva comportare l’indubbio svantaggio di accostare, talvolta addirittura nello stesso articolo, disposizioni di rango normativo diverso, aveva dato risultati positivi diffusamente riconosciuti, soprattutto per il vantaggio di contenere in un unico contesto una disciplina completa, già direttamente applicabile in tutti i suoi aspetti perché provvista anche delle disposizioni integrative e attuative (cfr., ad esempio, il parere della Sezione atti normativi del 18 settembre 2000 riguardo al t.u. sulla documentazione amministrativa, e i due pareri dell’Adunanza generale del 29 marzo 2001 sui testi unici in materia di edilizia e di espropriazione, rispettivamente n. 3 e n. 4 del 2001).
Sotto questo profilo, l’introduzione di un corpus normativo compiuto soltanto per la normazione di livello primario e non anche per quella di livello secondario può apparire un limite rilevante, oltre che per la possibile legificazione dei profili più strettamente connessi (cfr. retro, punto 3.3), anche per la stessa immediata operatività della disciplina, per la sua completezza, per la sua leggibilità, per la sua diretta applicabilità da parte degli operatori e degli interpreti. Ma tale limite appare a questo Consiglio di Stato superabile, anche in assenza di una espressa previsione nella delega, alla stregua delle considerazioni che seguono.
L’Adunanza rileva come una norma generale che fondi la potestà normativa secondaria del Governo nell’ambito del processo di riassetto sia, oggi, fornita dal comma 2 dell’art. 20 della l. n. 59 del 1997, come riformulato dalla l. n. 229 del 2003, che autorizza interventi regolamentari sia ai sensi del comma 1 che del comma 2 dell’art. 17 della l. n. 400 del 1988.
Alla stregua di tale disposizione generale, e in considerazione del fatto che il Governo può in ogni momento avvalersi della propria potestà normativa secondaria, che è una potestà autonoma e non “delegata” (ovviamente, per le sole materie consentite ai sensi dell’art. 117 Cost.), può ritenersi che la redazione e l’adozione di un corpus organico di norme di natura regolamentare possa avvenire anche contestualmente al processo di adozione del codice e non richieda un ulteriore fondamento legislativo nelle specifiche norme di delega “sostanziale” per le singole materie.
In altri termini, nel corso di un intervento di riassetto ai sensi della l. n. 229 (cui quello in oggetto va, anche per tale profilo, assimilato), in alternativa alla codificazione, ad un livello primario, di norme di origine regolamentare - che è un intervento cui ricorrere con estrema cautela (cfr., in relazione allo schema in oggetto, infra, il punto 18.1) – ben si potrebbe operare una verifica delle norme regolamentari preesistenti e della loro compatibilità o meno con la nuova disciplina di rango legislativo. Tale verifica potrebbe indurre ad intervenire su tale normativa regolamentare per adeguarla al mutato quadro di livello superiore e, possibilmente, per consolidarla in un secondo testo unico, di livello secondario.
L’adozione “in parallelo” di tale seconda disciplina organica, di rango regolamentare, produrrebbe l’innegabile vantaggio di disporre, alla fine del processo di codificazione, di un quadro unitario della disciplina, in tutti i suoi livelli, già corredato delle norme che ne consentono la diretta attuazione in ogni sua parte.
Certo, occorrerebbe un accorto sistema di rinvii tra i due testi – che resterebbero comunque separati, a differenza che nei testi unici misti – ma la loro redazione contestuale potrebbe risultare vantaggiosa anche a questo scopo.
Anche se, come si è detto, non vi è bisogno di un fondamento normativo ulteriore per l’attività regolamentare integrativa o attuativa, ovviamente la legge delega o lo stesso codice ben potrebbero fissare ulteriori limiti e condizioni per l’esercizio dell’attività secondaria. E, naturalmente, una fonte di livello primario potrebbe ulteriormente specificare la portata dell’intervento di delegificazione, pure già consentito dal novellato comma 2 dell’art. 20 della l. n. 59 del 1997.
Ma anche ove fosse necessario un espresso riferimento alle norme regolamentari da parte di singole disposizioni del codice, nulla impedisce che i due schemi di testi unici – formalmente, di decreto legislativo e di d.P.R. – possano procedere in ogni caso parallelamente nella redazione, nella procedura di rilascio dei pareri e persino nella loro pubblicazione (anzi, sarebbe auspicabile una pubblicazione ad hoc sulla Gazzetta Ufficiale di entrambi i testi, a fini di leggibilità e di chiarezza, per offrire agli operatori un unico “testo” con tutta la normativa completa). Basterebbe soltanto avere l’accortezza di far entrare in vigore il corpus di rango legislativo prima del corpus di norme regolamentari.
Un diverso ordine di problemi riguarda il rapporto tra i diversi livelli di fonte secondaria in un eventuale testo unico ad hoc.
Se può essere semplice raggruppare in due corpi distinti norme legislative e norme regolamentari, va tenuto presente che le norme regolamentari possono essere di vario rango, perché contenute in regolamenti governativi o ministeriali. In tal caso, l’inclusione della normativa secondaria in un regolamento unico (necessariamente di tipo governativo) comporterebbe, per i regolamenti ministeriali, l’innalzamento della fonte, il che, a prescindere dall’opportunità, è illegittimo (come questo Consiglio ha già avuto modo di rilevare) perché è una legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, a fondare la potestà regolamentare dei ministri, e tale previsione non può essere derogata da un regolamento governativo. Si può allora ritenere necessario che una disposizione del codice consenta, in deroga alla precedente previsione che ha fondato la potestà regolamentare del ministro, di disciplinare la materia con regolamento governativo.
In alternativa, occorrerebbe riordinare le norme di rango secondario mantenendo la distinzione dei livelli, giungendo ad adottare due testi regolamentari distinti, uno di norme di livello governativo e uno di livello ministeriale.
5. Dopo aver esaminato in via generale i profili problematici del processo di codificazione, si può ora passare ad esaminare, sempre sotto tali profili generali, la specifica norma di delega da cui trae origine lo schema in oggetto.
Come si è rilevato, la delega di cui all’art. 15 della l. n. 273 del 2002 costituisce un’anticipazione del metodo introdotto in via generale dalla legge di semplificazione per il 2001, la n. 229 del 2003.
L’oggetto fondante della delega è, infatti, il “riassetto” delle disposizioni “vigenti” in materia di proprietà industriale (del concetto di riassetto si è già parlato retro, al punto 3.3).
La norma in questione tiene distinti abbastanza chiaramente i profili “sostanziali” da quelli “metodologici” della codificazione: se le lettere b), c), d), e), h) della norma di delega comportano una vera e propria delega legislativa, nel senso tradizionale del termine, di “riforma” del settore, è evidente anche l’intento di “codificazione” del settore medesimo nelle lettere a), f) e g), che assumono una portata “metodologica”:
- la lettera a), relativa alla “ripartizione della materia per settori omogenei” e al “coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica”;
- la lettera f), sull’ “introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi”;
- la lettera g), che autorizza la delegificazione e opera il “rinvio alla normazione regolamentare della disciplina dei procedimenti amministrativi secondo i criteri di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59” (è stato già affrontato e risolto retro, al punto 1, il problema della valenza “mobile” del rinvio all’articolo 20, riformulato successivamente all’approvazione della delega in oggetto ma mentre essa era ancora in corso).
Della ottemperanza a tali specifici criteri di delega da parte dello schema in oggetto si tratterà infra, nell’esame delle singole disposizioni condotto nei punti 7 e seguenti ed al punto 18.
6. Per completare questo quadro generale, occorre far cenno al ruolo consultivo del Consiglio di Stato nell’ambito dell’attività di codificazione.
6.1. Si ritiene opportuno richiamare l’attenzione sulla ridefinizione delle funzioni consultive di questo Consiglio ad opera della legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha modificato il baricentro dell’attività consultiva diversa da quella finalizzata all’esame dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato.
La soppressione – ad opera dell’articolo 17, commi 25 e 26, della legge n. 127 del 1997 – dell’attività consultiva obbligatoria sui singoli contratti delle pubbliche amministrazioni statali; la riduzione delle funzioni consultive obbligatorie ai casi degli atti normativi, dei contratti-tipo e dei ricorsi straordinari; la contestuale creazione (ex articolo 17, comma 28, della stessa legge) di un’apposita Sezione del Consiglio di Stato esclusivamente dedicata all’attività consultiva sugli atti normativi del Governo (attività già prevista “a regime” dall’articolo 17, commi 1 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400) segnano una trasformazione delle funzioni consultive del Consiglio di Stato dal sostegno all’attività di mera gestione dell’amministrazione pubblica al ruolo di organo ausiliario nell’attività di “regolazione”, sia quella secondaria che quella di riordino e “riassetto” (cfr., sul punto, il parere dell’Adunanza generale del 2 ottobre 2003, n. 4/03, relativo al Consiglio di giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, nonché il citato parere della Sezione per gli atti normativi n. 3075/04 del 17 maggio 2004, sulla disciplina attuativa in materia di immigrazione).
Peraltro, il rafforzamento delle funzioni consultive sull’attività normativa appare coerente con il nuovo ruolo che i Consigli di Stato dei paesi occidentali stanno assumendo nel processo di miglioramento della “qualità della regolazione”, non soltanto sotto i profili di mera legittimità formale di cui si è detto retro, al punto 2.
6.2. Non è questa la sede per approfondire le ragioni della natura comune delle funzioni consultive e di quelle giurisdizionali del Consiglio di Stato, che la Costituzione affianca configurando la prima come un’attività neutrale di garanzia, svolta come quella giurisdizionale secondo canoni di assoluta autonomia e indipendenza. Né è la sede per analizzare la complementarietà tra tali funzioni, tipica dei sistemi dotati di una giustizia amministrativa autonoma da quella ordinaria.
Quello che qui rileva osservare è che la suddetta posizione di terzietà e garanzia conferisce al parere del Consiglio di Stato sugli schemi di atti normativi un ruolo peculiare, che lo colloca al termine del processo di redazione degli atti normativi e che va fornito al Governo subito prima della deliberazione finale del Consiglio dei Ministri o del Ministro, su uno schema definitivo, che abbia tenuto conto di tutti gli apporti endoprocedimentali interni al processo di formazione della decisione normativa (cfr. la pacifica giurisprudenza consultiva di questo Consiglio di Stato, ribadita sin dai primi pareri della Sezione per gli atti normativi: 22 settembre 1997 n. 106, n. 107, n. 108, n. 110 e n. 117; 20 ottobre 1997 n. 145; ma cfr. anche, da ultimo, il citato parere della stessa Sezione 17 maggio 2004 n. 3075).
L’unica eccezione a questa regola generale può essere costituita dai pareri delle Camere parlamentari, laddove previsti, poiché tali avvisi costituiscono il frutto di una valutazione di natura ontologicamente differente da quella prevista per il parere del Consiglio di Stato dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988 o dall’art. 17 della legge n. 127 del 1997. Tali pareri, infatti, negli sviluppi più recenti della prassi, vengono considerati non come atti endoprocedimentali in senso tecnico ma piuttosto come pareri in funzione “politica”, di indirizzo del Parlamento al Governo, in quanto tali estranei al procedimento amministrativo inteso come serie di atti funzionalmente collegati in vista del provvedimento finale, sicché rientra solo nella responsabilità politica del Governo il tenerne o meno conto.
6.3. La riformulazione delle funzioni consultive sull’attività normativa del Governo si estende anche all’ambito di tale attività. Non soltanto, infatti, essa si estende alla maggior parte dell’attività normativa del Governo statale, ma il medesimo comma 28 afferma che “La Sezione esamina altresì, se richiesto dal Presidente del Consiglio dei ministri, gli schemi di atti normativi dell’Unione Europea”.
La ratio sottesa alla norma in questione sembra essere quella della esigenza di una visione unitaria dei processi di regolazione in un sistema a più livelli, che non comprende soltanto la normativa statale, ma anche quella di derivazione comunitaria che però ha una valenza diretta nel nostro ordinamento.
Le medesime considerazioni possono, oggi, essere svolte, come si è visto, anche per le competenze normative delle Regioni (nei cui confronti le funzioni consultive dell’Istituto erano state riconosciute sin dal parere n. 40 del 1980). Questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che le funzioni consultive in materia di regolamentazione acquisiscono una nuova valenza nel contesto istituzionale conseguente alla riforma del Titolo V, in considerazione dell’esigenza di un sostegno tecnico anche per le nuove funzioni normative delle Regioni, sostegno che sia autonomo e idoneo a favorire la necessaria coerenza del sistema (cfr., oltre ai pareri già citati, il parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1354/02 del 1° luglio 2002, in materia di fondazioni bancarie).
La medesima esigenza di coerenza del sistema suggerirebbe di associare sistematicamente il Consiglio di Stato all’attività di “semplificazione” normativa in senso lato, oltre che attraverso una partecipazione diretta alla fase di riassetto – come già avvenuto per quella di riordino, ad esempio, con il testo unico in materia di espropriazione n. 327 del 2001, la cui compilazione fu demandata integralmente al Consiglio di Stato – anche mediante un sostegno tecnico-giuridico alla fase di definizione e “messa a regime” degli strumenti di qualità della regolazione che risulta, come si è visto, strettamente connessa al processo di codificazione (cfr. in particolare, per i diversi profili di tale connessione, retro, i punti 2.2, 3.3 e 4.4).
6.4. L’art. 17, comma 25, della legge n. 127 del 1997, nel delimitare le funzioni consultive obbligatorie del Consiglio di Stato, fa rientrare, accanto all’attività regolamentare – governativa e ministeriale – anche “l’emanazione dei testi unici”.
Tale espressione va intesa in senso ampio, poiché è antecedente alla nuova fase di codificazione di cui alla l. n. 229 del 2003 (ed anche alla fase di riordino avviata con la l. n. 50 del 1999) e si colloca in un periodo in cui quel termine comprendeva, indistintamente, sia i testi unici “compilativi” sia quelli “innovativi”. Riguardo a questi ultimi, come si è visto ampiamente retro, ai punti 2 e 3, solo ora è tornato ad usarsi il termine “codice”, che deve quindi ritenersi compreso nell’ambito di applicazione del citato comma 25.
Pertanto, se dalla dizione del comma in questione possono escludersi i decreti legislativi “ordinari” – e cioè quelli non contenenti elementi di “riordino” o di “riassetto”, nelle accezioni evidenziate retro, al punto 3 – per i “decreti di riassetto” o codici (come già per i decreti di “riordino”) che recano invece, come elemento caratterizzante, anche la raccolta in un “testo unico” delle disposizioni vigenti, va ritenuta applicabile la disposizione che prevede il parere obbligatorio del Consiglio di Stato, anche laddove la specifica norma di delega non dovesse contenere tale indicazione.
La volontà del legislatore di sottoporre tutti i decreti legislativi di questo tipo al parere del Consiglio di Stato, anche in assenza di una previsione specifica nella legge delegante, viene ribadita nell’ambito dei criteri generali di delega forniti del novellato art. 20 della l. n. 59 del 1997, che al comma 3, lett. a), prevede espressamente, per tutti gli interventi di riassetto, il parere del Consiglio di Stato (“reso nel termine di novanta giorni dalla richiesta”). E il comma 2 dell’art. 1 della l. n. 229 del 2003 (già riportato retro, al punto 1), che segue immediatamente alla riformulazione dell’art. 20 operata dal comma 1, estende, come si è visto, “le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dal presente articolo”– ivi compresa quindi la disposizione che prevede in via generale il parere del Consiglio di Stato sui decreti di riassetto – “anche alle deleghe legislative in materia di semplificazione e riassetto normativo conferite con leggi approvate dal Parlamento nel corso della presente legislatura prima della data di entrata in vigore della presente legge”.
La esposta affermazione è, peraltro, coerente con l’argomento sistematico della possibilità, presente sin dal testo unico del 1907 (e ribadita dal t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, all’articolo 14, secondo comma), di demandare direttamente al Consiglio di Stato la redazione degli schemi di testi unici o di codici di leggi e regolamenti (e nello stesso senso, a dimostrazione della continuità della presenza del Consiglio di Stato nel processo di riordino normativo, si veda pure l’abrogato articolo 7, comma 5, della legge n. 50 dell’8 marzo 1999).
L’assetto sopra descritto è ribadito, infine, dall’art. 2, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in relazione ai decreti legislativi di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione, ha previsto il parere del Consiglio di Stato, confermando la specificità del suo ruolo in relazione all’attività normativa. La legge in parola, inoltre, conferma espressamente la collocazione del parere del Consiglio al termine del processo di formazione della volontà del regolatore laddove afferma, anche per i decreti legislativi in questione, che i relativi schemi, ormai definiti nella fase “interna” al Governo, “dopo l’acquisizione dei pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata”, “sono trasmessi alle Camere”.
6.5. Un ultimo chiarimento va fornito in relazione alle modalità di espressione del parere sugli atti normativi del Governo da parte del Consiglio di Stato.
Il comma 28 dell’art. 17 della l. n. 127 del 1997, nel costituire una Sezione ad hoc per l’esame degli schemi di atti normativi, dispone che “il parere del Consiglio di Stato è sempre reso in adunanza generale per gli schemi di atti legislativi e di regolamenti devoluti dalla sezione o dal presidente del Consiglio di Stato a causa della loro particolare importanza”.
Tale norma sembra avere implicitamente abrogato le precedenti disposizioni che rendevano obbligatorio demandare all’Adunanza generale il parere su schemi di atti normativi (in particolare, l’art. 24 del r.d. n. 1054 del 1924 e l’art. 47, nn. 1 e 2, del r.d. n. 444 del 1942, recante il regolamento di esecuzione). Ciò appare confermato dai lavori preparatori della legge n. 127, che enfatizzano la forte accelerazione che avrebbe subito l’attività consultiva sugli atti normativi, come in effetti è accaduto.
Resta, invece, ferma la facoltà di un Ministro “di esigere che dati affari siano trattati in adunanza generale” ai sensi dell’art. 23 del t.u. del 1924, così come resta salva la facoltà del Consiglio di Stato (anche attraverso la nuova Sezione per gli atti normativi) di fare rapporto al Capo del Governo “quando all’esame degli affari discussi dal Consiglio risulti che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta” (art. 58 del r.d. n. 444 del 1942).
L’elasticità della dizione contenuta nella legge n. 127 del 1997 rimette, di fatto, la scelta di adire o meno l’Adunanza generale alla responsabile valutazione della Sezione per gli atti normativi, ovvero del presidente del Consiglio di Stato.
La norma sembra legittimare, come uno dei criteri di scelta, il riferimento della “particolare importanza” di uno schema normativo all’innovatività giuridica dell’intervento esaminato dal Consiglio di Stato (come è il caso dello schema in oggetto).
Essa sembra, poi, consentire di evitare il, pur auspicabile, passaggio in Adunanza generale – anche in presenza di uno schema che teoricamente sia “di particolare importanza” – laddove vi siano esigenze di particolare celerità (ad esempio, la ravvicinata scadenza del termine di delega).
7. La delega per il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale, recata dall’art. 15 l. 12 dicembre 2002, n. 273, è una delega di indubbia ampiezza, connotata da principî e criteri direttivi di una certa generalità, che contiene comunque criteri specifici che eccedono il puro riordino della materia ed il suo adeguamento ai mutamenti intervenuti nelle fonti comunitarie e nella disciplina internazionale, quando, alla lettera c), pone un criterio che riguarda anche il diritto di autore, per il quale si prevede una revisione ed un’armonizzazione con la disciplina della proprietà industriale sui disegni o modelli e, alla lettera h), prevede la possibilità di toccare la materia dei segreti aziendali e, quindi, delle c.d. proprietà industriali non titolate (tanto che l’ultimo criterio di delega impone al legislatore delegato una cautela volta a salvaguardare la rivelazione o l’impiego di conoscenze tecnico-industriali generalmente note e facilmente accessibili agli esperti del settore).
Va rilevato che, in ogni caso, menzionandosi un’esigenza di coerenza giuridica logica e sistematica, sono legittimati interventi che non si traducono in una mera nuova sistemazione dell’esistente, ma possono giustificare l’introduzione di innovazioni, anche significative.
Il Consiglio, nell’esaminare lo schema di decreto di attuazione, tiene conto ovviamente dell’insegnamento del giudice delle leggi sulla necessaria elasticità della delega quando abbia ampio oggetto e sul grado di opportuna discrezionalità da riconoscersi al legislatore delegato; ad esempio, quando Corte cost. 5 febbraio 1999, n. 15 assume che, ai fini del controllo di un preteso vizio costituzionale di eccesso di delega, occorre condurre l’interpretazione tenendo conto del complessivo contesto e delle finalità che hanno ispirato la legge delega, considerando che i principi e criteri direttivi, oltre che fondamento e limite, sono anche un criterio interpretativo delle norme delegate (da leggere, fin dove possibile, in senso compatibile con i principi della delega), ed infine riconoscendo al legislatore delegato un potere di scelta negli ambiti alternativi ad esso offerti, delinea un percorso logico di controllo che proietta la sua portata oltre il giudizio di costituzionalità per la rispondenza alla delega, divenendo in primo luogo guida all’interprete per individuare l’oggetto e la materia rimessa dal legislatore delegante al legislatore delegato e guida allo stesso legislatore delegato.
Pertanto, in questo quadro, l’ampiezza della delega va misurata alla luce degli obiettivi dati al legislatore delegato che, riguardando il riassetto della disciplina della proprietà industriale, sono destinati, inevitabilmente, a produrre effetti di rilievo anche sulla disciplina del codice civile, che, seppure non formalmente toccata dalle disposizioni del codice dei diritti di proprietà industriale, ne risulta risagomata.
Il principale intento del codice dei diritti di proprietà industriale è di garantire l’ordinata raccolta dei diritti di proprietà aventi contenuto intellettuale, natura immateriale nonché attitudine ad essere sfruttati industrialmente, in particolare stabilendo un organico raccordo della disciplina del codice di settore con il codice civile ed altresì dettando un’adeguata disciplina dei principi comuni ai diversi diritti.
Mentre la normativa ricostruisce in un quadro nuovo e moderno i nessi sistematici che collegano i vari diritti di proprietà industriale, sotto entrambi i profili prima indicati (ossia raccordo con il codice civile e compiutezza della disciplina relativa ai principi generali) possono essere segnalati i tratti peculiari dell’opera intrapresa.
7.1. In primo luogo va segnalata la problematica legata alla futura coesistenza del codice civile e del codice dei diritti di proprietà industriale.
Non può assumersi come una novità la esistenza, a fianco del codice civile, di una normazione speciale, che specifichi le regole relative alle modalità di gestione dei beni produttivi: già nella sistematica del codice, alla definizione del concetto generale di proprietà (quale diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo) si accompagna il rinvio a limiti che sono nel codice civile ma possono rinvenirsi e si rinvengono anche in altre fonti (poiché l’art. 832 del codice civile precisa che il diritto di proprietà è assicurato “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento giuridico”).
Il codice civile nasce quindi con un’apertura verso le leggi speciali, come disciplina che detta la cornice generale dei principi e delle disposizioni generali relative ai rapporti fra privati, destinata ad essere completata dalla legislazione speciale, che ora inizia a raccogliersi con i codici di settore.
Il codice civile del 1942, termine ultimo del processo di unificazione del diritto privato, momento di confluenza del diritto commerciale nel diritto civile, è connotato dalla centralità dell’impresa, dalla feconda idea regolativa di una molteplicità di statuti proprietari ritagliati sui diversi usi dei beni produttivi, dalla necessaria compresenza delle regole codicistiche e delle regole contenute nella legislazione speciale.
Il crescere della legislazione speciale impone la nuova sistemazione delle disiecta membra delle fonti extracodicistiche in codici di settore, al fine di offrire all’interprete un testo di riferimento sistematicamente organizzato, che renda meno erratico il processo interpretativo, meno casuale lo sviluppo della riflessione scientifica e della giurisprudenza.
Ciò premesso in via generale ed in modo da valutare favorevolmente l’opera di riordino e sistemazione operata dal nuovo codice di settore, va peraltro rilevato che sotto il profilo del raccordo con il codice civile qualche perplessità potrebbe destare l’enucleazione di una serie di posizioni giuridiche soggettive, che, protette in precedenza con le norme contro la concorrenza sleale, ora vengono ritenute in possesso di un’oggettività sufficiente a ricomprenderle nello schema della proprietà industriale.
Si tratta, secondo la relazione, della disciplina dei marchi c.d. di fatto e delle informazioni aziendali riservate; disciplina che, oggettivata, viene spostata dal piano delle regole di condotta dell’attività d’impresa a quello dei beni, garantiti secondo schemi proprietari.
Ciò, in astratto, potrebbe determinare un parziale svuotamento della disciplina del codice civile relativa alla concorrenza sleale; codice civile che, peraltro, formalmente non viene modificato, come puntualmente rilevato nella relazione al provvedimento. La scelta di oggettivare tali posizioni giuridiche comporterebbe un’accentuazione dei profili della tutela dell’imprenditore interessato allo sfruttamento del marchio di fatto o dell’informazione riservata rispetto alla tutela garantita ad altri soggetti come i consumatori. In particolare, con la sussunzione di tali situazioni nell’ambito dei diritti di proprietà esse riceverebbero una tutela immediata che, in precedenza, non era loro garantita, trattandosi di mediatamente tutelare l’impresa, avuto riguardo all’interesse dei consumatori ed alle condizioni del mercato.
Il fatto che tale scelta moltiplicherebbe le situazioni proprietarie tutelate, creandone nuove, per le quali prevede statuti differenziati del diritto di proprietà, tanto da definirle situazioni di diritti di proprietà industriale non titolata, creando un tertium genus, fra la tutela dell’attività e la tutela del tradizionale diritto di proprietà industriale, che per la sua natura immateriale, è normalmente definito mediante il ricorso a procedimenti amministrativi di brevettazione o registrazione, non deve tuttavia guardarsi criticamente poiché già nella sistematica del codice civile è scontata la pluralità degli statuti giuridici della proprietà.
Né può dirsi che la scelta operata sul piano sistematico non garantisca la coerenza postulata dalla legge-delega, poiché essa persegue l’obiettivo dell’ unificazione nell’unica categoria dei diritti di proprietà industriale delle diverse situazioni giuridiche soggettive ravvisabili nella materia,anche se tale obiettivo, a questo stadio dello sviluppo storico e della riflessione sugli istituti giuridici, non si è tradotto in un vero e proprio trattamento giuridico unitario della proprietà industriale che si presenta diversamente conformata a seconda che i diritti siano quelli c.d. titolati (ossia fatti oggetto di una procedura di accertamento amministrativo) o non titolati.
Giova anche osservare che la chiarezza dogmatica della divisione fra diritti titolati e non titolati non è discutibile, pur comportando tale summa divisio una scissione all’interno dell’unitaria categoria del diritto soggettivo di proprietà industriale.
La scelta in questione, inoltre, a parere del Consiglio, era obbligata ed imposta dalla legge delega nella parte in cui prescriveva al legislatore delegato l’adeguamento della disciplina dei diritti di proprietà industriale al diritto internazionale vigente nel settore ed è nel complesso in sostanza corrispondente alla situazione del diritto vivente: riportare queste situazioni di proprietà c.d. non titolata al codice di settore, sottraendole così alla disciplina codicistica, non è una innovazione dirompente, che svuota il codice civile, in quanto la disciplina dettata dal codice, nel suo complesso, appare in linea con l’accordo TRIP’s o Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, (ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, parte quarta, sezioni da I a VII) sulla proprietà intellettuale e la configurazione di alcune posizioni come dotate di tutela reale può apparire conforme all’evoluzione del diritto industriale raggiunta dalla giurisprudenza.
Deve inoltre notarsi che l’accordo TRIP’s, che è parte integrante del GATT, concluso a Marrakesh il 15 aprile 1994 (l’accordo TRIP’s è un'importante Convenzione sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio) è lo schema basilare al quale è ispirata la struttura del codice che costituisce, sotto questo profilo, una recezione, sin nell’elencazione della tipologia dei diritti proprietari tutelati, delle tipologie di situazioni giuridiche previste dall’accordo TRIP’s con la aggiunta della disciplina in tema di nuove varietà vegetali prevista dalla Sezione VIII del Capo II del codice, con piena attuazione del criterio di delega prima ricordato.
La disciplina della proprietà industriale con l’accordo TRIP’s si è sostanzialmente internazionalizzata ed il codice prende atto di questi connotati internazionali della materia.
Infatti, anche solo prendendo in considerazione la normativa sulle invenzioni, va rilevato che essa e più in generale la disciplina della ricerca e dello sviluppo scientifico e tecnico, pur restando sostanzialmente invariato l'impianto normativo risalente alla Convenzione di Monaco del 5 ottobre 1973 (istitutiva del brevetto europeo e ratificata dal nostro Paese con l. 26 maggio 1978, n. 260) ed alla conseguente riforma della legge nazionale attuata con d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, si è considerevolmente evoluta ed arricchita negli anni successivi.
Soprattutto negli anni '90, la disciplina della proprietà intellettuale si è estesa a nuovi territori, ampliando, in modo spesso imprevedibile, l'importanza e la complessità sistematica di questa sempre più importante parte dell'ordinamento giuridico.
Le ragioni di questa evoluzione sono molteplici.
Esse possono individuarsi, in primo luogo, nell'affermarsi di una decisa tendenza alla "internazionalizzazione" della materia, derivante non solo dall'esigenza di integrazione a livello europeo (che si realizza attraverso convenzioni, regolamenti e direttive comunitarie), ma anche dalla spinta ad una sempre più incisiva armonizzazione della disciplina di tutti i Paesi industrializzati ed in via di sviluppo (in relazione alla quale è sufficiente ricordare - come si è detto - l'Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, cosiddetto TRIP’s, del 15 aprile 1994, ratificato dall'Italia con l. 29 dicembre 1994, n. 747 ed attuato con d. lg. 19 marzo 1996, n. 198).
Questa eccezionale evoluzione si ricollega poi allo sviluppo della ricerca ed al realizzarsi di nuove tecnologie, che comportano investimenti e rischi economici ingentissimi e che richiedono strumenti giuridici di protezione particolarmente efficaci.
È sufficiente richiamare l'estendersi della tutela brevettuale alle invenzioni farmaceutiche, la cui brevettabilità risale alla decisione della Corte costituzionale 20 marzo 1978 n. 20, seguita dalle disposizioni per il rilascio del certificato complementare di protezione per i medicamenti oggetto di brevetto, di cui alla l. 19 ottobre 1991, n. 349 ed al reg. CEE 18 giugno 1992, n. 1768/92; alle nuove varietà vegetali (la cui brevettabilità è stata introdotta sino dal 1975) oggi disciplinate dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 391 e dal reg. CE 27 luglio 1994, n. 2100/94, cui si aggiunge il reg. CE 8 agosto 1996, n. 1610/96 istitutivo di un certificato complementare di protezione per i prodotti fitosanitari; ai programmi per elaboratore, cui si applica, in virtù della l. 29 dicembre 1992, n. 518 ed in attuazione della direttiva CEE 14 maggio 1991, n. 91/250, il diritto d'autore ed in relazione ai quali sono stati anche emanati la l. 23 dicembre 1993, n. 547 in tema di criminalità informatica ed il d.P.R. 3 gennaio 1994, n. 244 sul registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore; alle cosiddette topografie di prodotti a semiconduttori che, sulla base della direttiva CE 16 dicembre 1986, n. 87/54, sono oggi disciplinate dalla l. 21 febbraio 1989, n. 70 e dal regolamento di cui al d.m. 11 gennaio 1991, n. 122.
Né può omettersi di segnalare l'ingresso nell'area della brevettabilità delle biotecnologie, in relazione alle quali deve richiamarsi la proposta modificata di direttiva del Consiglio CE del 25 gennaio 1996, n. 96/C296/03.
Per tutto quanto esposto sull’internazionalizzazione della materia, tenuto conto dell’intento di ispirarsi all’accordo TRIP’s, va rilevato che la sistematica del codice si presenta modellata e ricalcata sulle fonti internazionali, risentendo in un certo modo della impostazione di queste ultime, che, riservando spazio autonomo a discipline molto tecniche (quali, ad esempio, quella sulle topografie di prodotti a semiconduttori), purtroppo non sono facilmente traducibili in principi generali od in regole di natura prettamente codicistica od in regole aventi carattere di schema giuridico fondamentale per la generalità dei rapporti civili.
Ciononostante il Consiglio di Stato, tenuto conto della pluralità delle fonti riordinate, della loro plurima origine e complessa stratificazione, valuta la codificazione settoriale come un progresso in grado di garantire una migliore leggibilità del sistema.
Quanto poi alla disciplina dei principi fondamentali ed alle disposizioni generali del codice, che costituiscono la disciplina comune ai diversi diritti di proprietà industriale va notato che particolare valore unificante rivestono non tanto le norme relative al Capo I (che appaiono scarne e potrebbero irrobustirsi con una considerazione di altri aspetti comuni ai diversi istituti, ad es. quali regole comuni in tema di nullità e decadenza dei titoli) quanto le disposizioni in tema di tutela processuale e di acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure.
7.2. Ulteriori considerazioni devono essere svolte in ordine al concetto di proprietà industriale.
Nel secolo scorso, nell’economia mondiale e sul piano giuridico, in modo diversificato a seconda delle normative presenti nei diversi ordinamenti giuridici nazionali ed in quello internazionale in genere, è emerso come unitario il complesso degli istituti giuridici riassunto con il nome di proprietà intellettuale.
La proprietà intellettuale è il diritto di utilizzazione esclusiva delle creazioni dello spirito, con essa ci si riferisce a quei beni astratti o immateriali che possono concretizzarsi, ma non necessariamente, in prodotti tangibili, che possiedono un’autonomia esistenziale propria, a prescindere dal prodotto stesso.
La proprietà intellettuale è ripartita fra disciplina del diritto di autore e disciplina della proprietà industriale: le diverse materie, come segnalato dalla relazione, fanno capo a diversi dicasteri, ma le fonti del diritto internazionale e la dottrina giuridica hanno preso a considerarle unitariamente.
L’individuazione degli oggetti della proprietà intellettuale ed industriale si trova nella già citata Convenzione adottata a Stoccolma nel giugno-luglio 1967 (firmata il 14 luglio di quell’anno e ratificata dall’Italia con l. 28 aprile1976, n. 424).
Tale convenzione ha stabilito che nella proprietà intellettuale devono ricomprendersi i diritti relativi alle:
1) opere letterarie, artistiche e scientifiche;
2) interpretazioni degli artisti interpreti ed esecuzioni degli attori, fonogrammi ed emissioni radiofoniche;
3) invenzioni in tutti i settori delle attività umane;
4) scoperte scientifiche;
5) disegni e modelli ornamentali e diritti relativi;
6) marchi di fabbrica, di commercio, di servizio, nonché nomi e denominazioni commerciali;
oltre che
7) la protezione contro la concorrenza sleale e ogni altro diritto derivante dall’attività intellettuale nel settore industriale, scientifico, letterario ed artistico.
Alcune delle categorie menzionate rientrano nel diritto d’autore o nei diritti a quest’ultimo connessi (1 e 2).
Le scoperte scientifiche non sono oggetto di proprietà industriale al di là dell’esistenza di ricadute applicative delle scoperte, sicché la loro inclusione senza distinguo, nel novero di tali diritti operata dalla richiamata fonte convenzionale, appare obiettivamente una “forzatura” della logica dell’istituto; di tanto il codice ha opportunamente tenuto conto nel prevedere una disciplina delle invenzioni farmaceutiche e dei principi attivi che, come si osserverà nell’esame delle singole disposizioni, appare tesa a ricercare un punto di equilibrio fra produttori di farmaci ed imprese farmaceutiche titolari di brevetti.
In linea di massima, anche se in maniera non del tutto netta, l'invenzione va inoltre tenuta distinta dalla scoperta, come previsto dall’art. 45 del codice, norma che è effettivamente di basilare importanza definendo l’oggetto del brevetto.
La scelta operata nel codice non è andata nel senso di riconoscere all'autore della scoperta la possibilità di partecipare ai vantaggi economici delle invenzioni che derivino direttamente dalla scoperta e di cui questa rappresenti quindi l'immediata premessa, o di porre a carico dello Stato, analogamente a quanto è previsto da altre legislazioni, l'onere di una ricompensa a favore dell'autore della scoperta.
Il codice all’art. 45, comma 2, lett. a), precisa che le scoperte, le teorie scientifiche ed i metodi matematici (così come i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale ed i programmi per elaboratore nonché la presentazione di informazioni) non costituiscono oggetto di brevetto per invenzione nel caso in cui le scoperte siano nella domanda di brevetto considerate in quanto tali ossia non fatte oggetto di un’attività inventiva che modifica lo stato della tecnica.
Trattandosi di conferma del diritto vigente, il Consiglio sottolinea la delicatezza della tematica, centrale per trovare un punto di equilibrio fra libertà della ricerca scientifica e sviluppo industriale (un equilibrio che è rilevante in vari settori di punta delle attività industriali, come nella ricerca nel campo delle biotecnologie), entrambi valori costituzionalmente tutelati ed oggetto di un complesso bilanciamento da parte del legislatore.
7.3. Gli altri istituti prima indicati – menzionati dalla Convenzione di Stoccolma - sono tutti riconducibili al concetto di proprietà industriale (che comprende quindi i diritti relativi alle invenzioni (brevetti) ai modelli ed ai disegni ornamentali, ai marchi, ai segni, alla concorrenza sleale).
La proprietà è detta “industriale” anche se la disciplina dei brevetti e delle invenzioni è il cuore della materia, poiché, a ben vedere, i marchi di fabbrica e di commercio, nonché quelli di servizio, i nomi e le indicazioni commerciali costituiscono oggetto di interesse economico anche e specialmente per le imprese commerciali.
Discussa è anche la natura dei diritti sulle invenzioni e sulla proprietà industriale ; in dottrina c’è chi qualifica il diritto di proprietà industriale un diritto su un bene immateriale, e qualifica la relativa posizione giuridica come diritto di privativa, come diritto soggettivo assoluto avente ad oggetto il bene immateriale (invenzione od altro); c’è chi invece, fermo il concetto di proprietà come disponibilità massima ed esclusiva di un bene riferibile ad ogni oggetto economico e, quindi, anche a beni immateriali, ritiene che si tratti, nel caso della proprietà industriale, di un diritto di proprietà di tipo del tutto particolare, che con la proprietà ha in comune solo il nome, essendovi un regime giuridico dell’acquisto e del godimento speciale, connotato dalla presenza di attività amministrative di accertamento costituivo, da vicende dell’utilizzazione che, di norma, hanno durata temporanea, dando luogo quindi ad una forma di proprietà temporanea.
Si deve a questo proposito riconoscere che una delle caratteristiche salienti della disciplina della proprietà industriale è la sua origine nel mondo dei privilegi regi e delle concessioni, quindi la matrice amministrativistica della disciplina che è ancora evidente negli istituti della brevettazione e della registrazione.
L’utilizzazione del termine proprietà è ormai sintomatico dell’intenzione di riconoscere queste posizioni giuridiche come posizioni giuridiche originarie, legate all’opera del pensiero umano, oggetto principe della proprietà: se è immaginabile un oggetto della proprietà, personale ed indipendente, questo è proprio il pensiero umano.
Ancor oggi si assiste ad un graduale processo di emersione di nuove situazioni giuridiche e di nuovi oggetti che costituiscono punti di riferimento per la proprietà su beni immateriali di cui il codice tiene conto prevedendo i c.d. diritti non titolati, anche se, per altri versi, il campo delle situazioni protette previste dal codice non è completo poiché esso, per le ragioni illustrate in relazione, non comprende il diritto di autore, le invenzioni biotecnologiche e tutti i segni distintivi dell’impresa (ad esempio, non si rinviene nel codice la disciplina della ditta che rimane confinata nel codice civile e che ben potrebbe figurare nel codice di proprietà industriale in considerazione del fatto che la legge delega non esclude la possibilità di “toccare” anche il codice civile, intervendovi con novellazioni o abrogazioni seguite da innesti o trapianti di istituti del codice civile nel codice di settore).
In assenza di questo più vasto riordino si segnala che gli effetti di armonizzazione della materia indubbiamente conseguiti, pur importanti, sono ancora incompleti.
La parte generale della disciplina, gli articoli disciplinanti gli istituti comuni, avrebbero potuto dettare la disciplina comune dell’intervento degli uffici amministrativi competenti alla registrazione e brevettazione, attività aventi natura di accertamento costitutivo, funzioni di certezza, necessarie per configurare il bene immateriale ed assicurarne la spettanza, il sicuro acquisto e la circolazione, ma senza che le attività abbiano connotati discrezionali.
8.1. L’art. 1 apre il Capo I del codice, che contiene disposizioni generali e principi fondamentali.
La norma, dedicata alla definizione dell’ambito dei diritti di proprietà industriale, realizza l’intenzione sistematica di ricomprendervi, oltre alle invenzioni ai modelli di utilità, ai disegni e modelli, alle nuove varietà vegetali, alle topografie dei prodotti a semiconduttori ed ai marchi, anche gli altri segni distintivi tipici ed atipici (che tuttavia non sono poi analiticamente contemplati nel codice che non menziona la ditta e neanche il marchio di fatto nel Capo II), le indicazioni geografiche, le denominazioni di origine ed infine le informazioni aziendali riservate.
Si tratta di una norma nuova, che non costituisce recezione di disposizioni già esistenti.
Il Consiglio osserva che la rubrica recita “(Ambito dei diritti di proprietà industriale)” mentre la disposizione è volta a chiarire non la portata applicativa dei singoli diritti di proprietà industriale ma il contenuto dell’espressione proprietà industriale.
Sarebbe per questo preferibile un'altra intitolazione del genere : “(Diritti di proprietà industriale)”.
Inoltre l’elencazione dei singoli diritti andrebbe preferibilmente effettuata nell’ordine in cui essi appaiono nel Capo II del codice, ossia iniziando dai marchi e finendo alle nuove varietà vegetali, anche se l’ordine prescelto appare chiaramente volto ad indicare una scala decrescente di tipicità, una gradazione dei diritti che va dal tipico all’atipico, scala peraltro che ispira la disposizione di cui all’art. 2. Si segnala peraltro che il marchio viene menzionato senza distinguere fra marchio registrato e marchio di fatto o marchio non registrato, pur trattandosi di posizioni giuridiche non assimilabili.
La norma elenca otto situazioni proprietarie, fra le quali i segni distintivi diversi dal marchio registrato essendo annoverati fra i diritti non titolati meriterebbero una considerazione a sé stante, anche se ciò determinerebbe un non perfetto allineamento alla sistematica del TRIP’s, con il risultato, tuttavia, di evidenziare immediatamente la diversa tipologia e struttura delle situazioni protette.
8.2. L’art. 2, dedicato alla costituzione, serve a mettere in evidenza, per i riflessi sistematici che ne derivano, la distinzione tra i diritti di proprietà industriale titolati e cioè costitutivamente originati dalla brevettazione oppure dalla registrazione, e quelli non titolati che sorgono da determinati presupposti di legge, e che, tuttavia, riferiscono la tutela ad un oggetto specifico.
Nell’ordinamento italiano i diritti di proprietà industriale titolati partecipano alla più generale disciplina dei beni mobili registrati soprattutto per quanto concerne la circolazione e la trascrizione degli atti di trasferimento.
Qui si apprezza l’obiezione, di cui dà conto la relazione, secondo cui l’allargamento dei diritti di proprietà industriale ai diritti non titolati, comportando il riferimento alla normativa della concorrenza sleale, ne determina la divisione in due tronconi.
La relazione nota che la disciplina della concorrenza sleale, più che essere divisa in due tronconi, ne viene ridimensionata, poiché essa non è più applicabile alle situazioni che trovano protezione come diritti reali su beni immateriali, come diritti di proprietà industriale.
Si tratterebbe di assicurare una tutela della stessa natura e degli stessi effetti ma solo più articolata e completa.
La relazione osserva che la giurisprudenza già attualmente assicura protezione al marchio di fatto mediante l’applicazione analogica delle norme sui marchi e protegge i segreti aziendali applicando le sanzioni e le misure cautelari previste dalla legge sulle invenzioni (poiché il segreto industriale è previsto all’art. 6 bis del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 d’ora innanzi “legge sulle invenzioni”).
L’ampliamento delle categorie dei diritti di proprietà industriale ai diritti non titolati non è in discussione poiché già l’accordo TRIP’s prevedeva la tutelabilità di posizioni non titolate (ad esempio indicazioni geografiche e denominazioni di origine), mentre la ragionevolezza della considerazione dei marchi di fatto e delle informazioni riservate come beni direttamente tutelabili e non come espressioni sintetiche che denotano regole dettate per la disciplina dell’attività d’impresa ha un indubbio referente oggettivo nella realtà/realità del segno distintivo atipico e dell’informazione riservata intesa come know-how e nell’ancora imperfetta emersione alla stregua di beni giuridici distinguibili dall’attività d’impresa di oggetti di tutela quali l’avviamento o l’onorabilità dell’impresa.
Con il riconoscimento legislativo delle posizioni non titolate può dirsi avviato un processo legislativo di qualificazione della proprietà industriale come “nuova” e “peculiare” ricchezza dell’impresa, che, ovviamente sarà suscettibile di mostrare in futuro nuove potenzialità in relazione allo sviluppo dei modelli organizzativi delle imprese e dei mercati.
Sul piano del formale si segnala che la rubrica dell’art. 2 andrebbe denominata più esattamente “(Costituzione ed acquisto dei diritti di proprietà industriale)” ovvero, più sinteticamente, “(Costituzione ed acquisto dei diritti)”.
Al comma 4 dopo le parole “ricorrendone i presupposti” andrebbe inserita la parola “di legge”.
Si segnala inoltre che la disposizione di cui all’art. 2 chiarisce che la brevettazione e la registrazione danno luogo ai “titoli” di proprietà industriale ma non definisce la nozione di titolo, che è legata non ad un’attività negoziale privata ma ad un’attività amministrativa di accertamento ed abilitazione.
Ne deriva la necessità di precisare la natura amministrativa dell’attività di brevettazione e registrazione, quali attività costitutive dei diritti di proprietà industriale, attività di accertamento costitutivo, soggette quindi ad un regime speciale di invalidazione, da concepirsi in termini generali, con conseguente arricchimento del Capo I - come già suggerito -con una disciplina comune a tali attività amministrative ed alle cause di nullità e decadenza dei titoli.
8.3. Nell’art. 3, dedicato al trattamento dello straniero, confluiscono, secondo la relazione, gli artt. 23 e 24 della legge marchi (r.d. n. 929/1942); l’art. 21 della legge sulle invenzioni (r.d. n. 1127/1939); l’art. 5 della legge sulle topografie dei prodotti a semiconduttori (legge n. 70/1999); l’art. 10 delle norme di adeguamento alle prescrizioni dell’atto di revisione del 1991 della Convenzione Internazionale per la protezione delle novità vegetali.
Occorre rilevare, a giudizio del Consiglio, che le norme richiamate nella relazione non sono le uniche rilevanti e neanche le principali trasfuse nel testo.
Il testo di cui all’art. 3 infatti appare piuttosto recepire le norme di attuazione della Convenzione di Parigi e del complesso dei trattati che legano l’Italia all’OMC (Organizzazione mondiale del Commercio).
In particolare la convenzione di Parigi sulla proprietà industriale, conclusa nel 1883, e sottoposta a numerose revisioni fino all’atto di Stoccolma del 1967, appare il perno della disposizione, ove estende la tutela anche ai cittadini di Stati non facenti parte di dette convenzioni, ma che siano domiciliati o abbiano uno stabilimento industriale o commerciale effettivo e serio sul territorio di uno Stato facente parte della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (art. 3 della convenzione di Parigi).
Va ricordato che la convenzione di Parigi è stata ratificata dall’Italia con legge 28 aprile 1976, n. 424, è entrata in vigore il 20 aprile del 1977 ed è ancora in vigore.
Pertanto, sono il testo della Convenzione di Parigi e la legge di ratifica (l. n. 424/1976) la vera e propria matrice dell’art. 3, unitamente alle altre norme prima indicate.
Va segnalato anche che viene abrogata, dall’art. 245 del codice, la legge 21 febbraio 1989, n. 70, che all’art. 5 della legge n. 70/1989 detta una normativa più complessa, quanto al riconoscimento dei diritti agli stranieri, di quella contenuta nell’art. 3 del codice che, erroneamente, menziona i cittadini di altro Stato accordando sempre il trattamento a condizione di reciprocità, senza distinguere e considerare separatamente i cittadini che appartengono alla Comunità europea o a Stati che sono stipulanti la convenzione sulla protezione delle topografie dei prodotti a semiconduttori.
Prima di procedere ad abrogazioni, occorre trasfondere completamente il contenuto della disciplina “abroganda” che si vuole (o si deve) salvare nella nuova disciplina.
Inoltre l’art. 3 non menziona, per quanto attiene alle topografie dei prodotti a semiconduttori, le persone giuridiche che sono oggetto di protezione secondo il menzionato art. 5 della legge n. 70/1989.
In materia di nuove varietà vegetali la norma di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 455/1998 non riconosce automaticamente il trattamento accordato ai cittadini italiani ai cittadini di uno Stato facente parte della convenzione per la protezione delle varietà vegetali, mentre non è stata fornita alcuna spiegazione di tale difformità, ossia del superamento della condizione di reciprocità precedentemente sancita per i cittadini di Stati aderenti all’UPOV.
Anche nel caso delle nuove varietà vegetali non v’è più alcun riferimento alle persone giuridiche, che invece erano menzionate nella normativa precedente e sulla soppressione di tale riferimento non è fornita alcuna spiegazione.
8.4. L’art. 4 disciplina il diritto di priorità.
Conviene ricordare le norme che, secondo la relazione, sono confluite nel testo, al fine di verificare la corrispondenza sostanziale della nuova disciplina alla precedente.
In particolare, a tenore della relazione, sono confluite nell’art. 4 gli artt. 16 e 17 del regolamento marchi (d.P.R. n. 795/1948), l’art. 11 del regolamento invenzioni (r.d. 244/1940), l’art. 15 del regolamento modelli (r.d. n. 1354/1941) e l’art. 11 della legge sulle nuove varietà vegetali.
Sul piano formale il comma 1 dell’art. 4 appare una disposizione troppo faticosa da leggere, non comprendendosi dopo il verbo reggente la proposizione “abbia depositato”, quali siano gli oggetti della disciplina (essi appaiono “la domanda di brevetto” o la domanda di “certificato” o la domanda di “registrazione”).
La norma andrebbe più convenientemente riformulata inserendo la congiunzione disgiuntiva “o” prima delle parole “certificato di utilità”, eliminando la parola “certificato” prima di “d’autore d’invenzione”, inserendo la disgiuntiva “o” prima della parola “registrazione”, sostituendo alla disgiuntiva “o” che precede le parole “modello” e “marchio” la preposizione “di”.
Il comma 4, introducendo il diritto di priorità interno valido solo per i brevetti di invenzione, costituisce una disposizione non collocata nella sede appropriata del codice, in quanto l’art. 4, essendo incluso nella parte generale, dovrebbe contenere norme applicabili a tutti gli istituti in modo “generale” o “trasversale”. La norma pertanto dovrebbe essere collocata nella disciplina dei brevetti di invenzione.
La norma, verificata alla luce della conformità al diritto europeo della concorrenza, non pone particolari problemi se interpretata nel senso di assicurare il vantaggio della priorità ad invenzioni che risultino già sufficientemente descritte all’atto della prima iscrizione, costituendo il secondo deposito, sul piano sostanziale, solo una più analitica descrizione di un’ideazione già compiuta all’atto del primo deposito.
8.5. L’art. 5, secondo la relazione, è norma riproduttiva delle disposizioni di cui all’art. 1-bis legge marchi (r.d. 929/1942), art. 1 legge invenzioni (r.d. n. 1127/1939), art. 16 della legge sulle nuove varietà vegetali (d.lgs. n. 455/1998).
La disciplina è meramente riproduttiva di quella esistente per quanto riguarda le disposizioni di cui al comma 1 ed al comma 2.
Opportuna è l’innovazione che fa riferimento non solo alla Unione Europea, ma allo Spazio economico europeo ( che comprende paesi, come la Svizzera e l’Islanda, che non sono nella Unione).
Il comma 3 riproduce la norma di cui all’art. 16 della legge sulle nuove varietà vegetali, con formulazione prolissa e di difficile lettura, se ne consiglia la riformulazione mantenendo, per quanto possibile, la sintesi della disposizione originaria o “spezzando” i periodi con i segni d’interpunzione o formulando più commi nell’ambito della disposizione.
La norma di cui al comma 3, inoltre, riguardando le sole nuove varietà vegetali, potrebbe spostarsi nel capo II.
9. Si devono premettere alcune considerazioni generali sui marchi, disciplinati dagli artt. 7-28 del codice.
L'attitudine del segno a simbolizzare e sintetizzare qualità e rapporti, in termini di diretta inerenza fisica o di astratto riferimento, in una con la sua idoneità ad esprimere valori di situazioni ed oggetto, non poteva non trovare applicazione nei comportamenti a contenuto economico.
Corrispondentemente, con la conseguente assunzione di un rilievo economico, il segno è venuto a formare il punto di riferimento oggettivo di norme giuridiche.
E così come è vasto, concettualmente e praticamente, l'arco di possibili funzioni significanti del segno, così egualmente ampio è stato l'angolo visuale onde il segno, rilevante nei rapporti economici, è stato preso in considerazione dal diritto.
Il segno può essere disciplinato in funzione dell'individuazione di soggetti, situazioni ed oggetti.
Può così essere rilevante ai fini dell'individuazione del soggetto che pone in essere una determinata attività economica (imprenditore) e la stessa attività nella sua oggettività di dato organico di comportamento (impresa) sia in forma individuale attraverso il segno-ditta sia in forma associata, ad esempio attraverso il segno costituito dalla ragione sociale.
Speciale rilievo assume però il segno, come «marchio», con riferimento alla possibile identificazione di rapporti e qualità afferenti alle realtà oggettive, ancorché non necessariamente corporee, formanti oggetto di scambio.
Si passa così dalla considerazione del segno in generale al marchio, come segno di natura particolare, avente rilievo sostanziale nelle vicende dei rapporti economici e rilievo formale, di natura giuridica, come punto di riferimento della relativa previsione, nella inerenza all'oggetto in cui si imprime e nel valore significante che assume rispetto a quest'ultimo nei rapporti di scambio. Inerenza che, realizzatasi all'origine in termini di materiale impressione sull'oggetto, è venuta ad assumere un valore traslato.
In tal senso la normativa vigente in Italia parla di marchio agli art. 2569 ss. del codice civile, riconoscendo un diritto esclusivo di utilizzazione del marchio di impresa definito come denominazione od emblema destinato a distinguere merci od altri prodotti; nozione questa poi estesa, come «marchio di servizio» (l. 24 dicembre 1959, n. 1178, di ratifica dell'accordo di Madrid per la registrazione internazionale dei marchi nel testo di Nizza del 15 dicembre 1957), al segno destinato a contraddistinguere le attività di imprese di trasporti e comunicazioni, pubblicità, costruzioni, assicurazioni e credito, spettacolo, radio e televisione, trattamento di materiali e simili.
Nell’un caso e nell'altro il segno trova disciplina in quanto marchio, come strumento di distinzione di entità, reali o di mero comportamento, formanti oggetto di rapporti di scambio ed in funzione del valore che esso assume in relazione a tali rapporti.
Si parla di marchio e si fornisce la disciplina a segni in forma di marchi, sempre con riferimento alla esplicazione di una funzione significativa afferente ad entità oggettive, nelle disposizioni in tema di denominazioni d'origine, di indicazioni merceologiche, di indicazioni di provenienza e di marchio nazionale per l'esportazione.
In effetti, allorché il marchio, dal riferimento a cose corporee od alla prestazione di energie (ormai considerabili in termini di realità) passa a distinguere dati di comportamento, il diaframma tra segno distintivo di oggetti reali (cose costituenti il punto di riferimento del segno marchio) e segno distintivo di posizioni soggettive di comportamento economico (impresa od azienda, a seconda delle diverse accezioni) sembra farsi quanto mai labile.
In tal senso, ad esempio, deve intendersi la dottrina che attribuisce al marchio, al di là di una generica funzione di indicazione di provenienza, una funzione distintiva dell'azienda (quale «nome proprio» considerato in tale funzione), intesa quale entità di comportamento sostanziale.
Sorge qui il problema delicato, non affrontato dal codice, della definizione del marchio rispetto alla ditta. Pur non potendosi negare l'unità sostanziale di certi fenomeni, va osservato che un criterio di distinzione tra il dato di comportamento rilevante come attività imprenditoriale individuata dalla ditta ed il dato di comportamento individuato dal marchio possa situarsi nel diverso rilievo che nei due istituti riceve la considerazione strutturale dell'impresa.
Il segno denominato “ditta” considerato oggettivamente (in modo svincolato cioè da una funzione specifica di identificazione del soggetto agente economicamente) individua l'organizzazione della impresa e la sua struttura aziendale, intese nel loro complesso quali espressioni e manifestazioni dinamiche di attività economica.
Il marchio individua i prodotti in senso lato (prodotti in senso stretto e servizi offerti e forniti dall'impresa). Ne individua pertanto le prestazioni. Anche se queste si traducono in un dato di comportamento strettamente legato alla organizzazione, intesa in senso dinamico, della impresa, è pur sempre possibile, sia pure in termini di sottocategoria, pervenire ad un principio di distinzione del segno marchio dalla ditta oggettiva, intendendolo come strumento di individuazione, non tanto dell'organizzazione in sé, quanto dei comportamenti organizzati costituenti le prestazioni offerte.
9.1. La disciplina dei marchi si apre con l’art. 7 che disciplina l’oggetto della registrazione e si ispira all’art. 16 della legge sui marchi (r.d. n. 929/1942) dettando, tuttavia, una più analitica descrizione dell’oggetto del marchio (prima limitata a parole, figure o segni) che si vuole comprensiva di nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni, forma del prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche.
Il Consiglio non ha particolari rilievi da svolgere sulla maggiore analiticità dell’elencazione dei segni oggettivabili in marchi, salvo a rilevare che dizioni analitiche possono porre problemi di involontaria esclusione di fattispecie dall’ambito della disciplina nel caso del verificarsi di fenomeni di assunzione a marchio di segni non menzionati dalla norma. Peraltro la tutela, in tal caso, si avrebbe sul piano del marchio di fatto.
L’art. 8 disciplina nomi, ritratti di persone e segni notori. Questa norma riproduce l’art. 21 della legge marchi arricchita con una disciplina dei nomi, segni o denominazioni notori. La rubrica andrebbe meglio indicata come “Ritratti di persone, nomi e segni notori” per seguire l’ordine dell’esposizione.
L’art. 9 disciplina i marchi di forma e riproduce l’art 18 comma 1 lett. c) della legge marchi. Non risolta in questa norma, come nella precedente, appare la difficile questione relativa alla qualificazione come marchio di forma (di cui è vietata la registrazione) delle qualità estetiche del prodotto, come il confezionamento, non tutelabile alla stregua di marchio non per il suo valore ornamentale intrinseco, ma in quanto si tratti di una forma che dà valore sostanziale al prodotto (e quindi con riguardo alla proiezione del segno sul mercato).
La questione del marchio di forma ornamentale andrebbe affrontata quantomeno in relazione, chiarendo la funzione del riferimento al valore sostanziale del prodotto ed i requisiti per ritenere l’ inscindibilità del segno ornamentale (non tutelabile come marchio) e la possibile interferenza di questa fattispecie con la disciplina dei modelli ornamentali e con il diritto di autore, questione che è stata rimessa all’interprete.
Valuti l’Amministrazione, tenendo conto dell’interesse che il mondo delle aziende italiane, operanti in settori ove la creatività artistica può considerarsi “un valore aggiunto”, se vi sia un interesse all’esatta individuazione dei confini delle regole in materia di marchio di forma rispetto alla disciplina dei modelli ornamentali ed al diritto di autore.
Va segnalato che l'art. 16, rubricato "rinnovazione", riproduce l'art. 5 della legge marchi, con esclusione del comma 2 di questa norma che è stato soppresso per precludere la possibilità di apportare al marchio "modifiche nei caratteri non distintivi che non alterino sostanzialmente la identità del marchio inizialmente registrato" e così esonerare l'ufficio da un giudizio di fatto di esito incerto, mentre l'art. 28, rubricato "convalidazione", riproduce l'art. 48 della legge marchi, ad esclusione del comma 2, che in precedenza era stato mantenuto per errore perché incompatibile con la trasformazione in nullità relativa della nullità del marchio derivante dal conflitto con diritti anteriori di terzi a seguito della attuazione, con D.L. 8.10.1999, n. 447, del protocollo relativo all'intesa di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi.
Su questi interventi “manutentivi” non vi sono osservazioni particolari.
10. La disciplina delle indicazioni geografiche è attualmente contenuta nel d.lgs. 19 marzo 1996 n. 198.
Il codice la recepisce agli artt. 29 e 30, dando alla stessa nuova sistemazione nel catalogo dei diritti di proprietà industriale.
Si tratta di una disciplina fondamentale per dare sostegno al c.d. “Made in Italy”, ossia a quelle tipologie di prodotti (moda, agroalimentare) che sono sensibili a connotazioni geografiche legate a tradizioni produttive.
La sempre maggiore frequenza – da più parti segnalata - di episodi di contraffazione di tali denominazioni è indice della necessità di tale tutela.
L'art. 29, rubricato "oggetto della tutela", riproduce l'art. 31 del D. Lgs. 19.3.1996 n. 198 attuativo dei TRIP’s che, a sua volta, riproduce il comma 1 dell'art. 22 dei TRIP’s.
L'art. 30, rubricato "tutela", riproduce, quanto al comma 1, il comma 2 dell'art. 31 del D. Lgs. 19.3.1996, n. 198 e, quanto al comma 2, il comma 3 del suddetto decreto legislativo.
11. Quanto ai disegni e modelli, disciplinati agli artt. 31- 44, va osservato, in via generale, che con l'espressione «modello industriale» il nostro legislatore indica sinteticamente una categoria di creazioni intellettuali che, in prima approssimazione, possono identificarsi con la 'forma originale di un prodotto industriale'.
La precisazione del concetto non è tuttavia agevole e pone, come si è già segnalato trattando dei marchi di forma, delicati problemi di definizione – affrontati dalla più autorevole dottrina - nei confronti delle invenzioni industriali, delle opere dell'arte figurativa ed anche dei segni distintivi; inoltre, al suo interno, possono distinguersi aspetti o momenti particolari, come quello funzionale e quello estetico, la cui separazione è rilevante sul piano normativo, ove si distingue fra modello di utilità e modello o disegno ornamentale.
Il problema del quale conviene preliminarmente occuparsi deriva dalla constatazione che nella forma di un oggetto può realizzarsi una invenzione industriale, una creazione artistica, un segno distintivo, oltre naturalmente ad un modello industriale. È perfettamente concepibile infatti che vere e proprie invenzioni consistano nella forma di determinati oggetti.
Ancor più evidente è che la forma di un oggetto può costituire un’opera d'arte, un'opera dell'ingegno cioè di carattere creativo appartenente alle arti figurative; senza dire dell'imponente fenomeno del design, che, fondendo in sé il momento funzionale con quello estetico e sostanziandosi proprio nella forma originale di prodotti industriali, si identifica con il tema considerato.
Lo stesso può dirsi infine anche per i segni distintivi, poiché, in connessione con la moderna tecnica delle vendite e la grande influenza che ha su di esse la pubblicità, la forma del prodotto acquista sempre maggior rilievo; si assiste all'affiancarsi al segno distintivo classico, costituito dal marchio (inteso come un segno applicato o impresso sul prodotto, ma concettualmente scindibile dal prodotto stesso), di una serie di altri mezzi di distinzione e caratterizzazione consistenti appunto nella forma del prodotto, del recipiente, dell'involucro ed in genere nella confezione del prodotto stesso. La funzione distintiva insomma si realizza anche attraverso la forma (ed il cosiddetto marchio di forma ne costituisce l'esempio più evidente).
Ma a questo collegamento fra le diverse fattispecie considerate, collegamento consistente nella possibilità che la forma ne costituisca l'elemento caratteristico ed il denominatore comune, non corrisponde una identica disciplina. Su questo piano infatti le distinzioni tradizionali sono sempre state nettissime.
Da un lato si pone la categoria delle creazioni intellettuali destinate alla soluzione di un problema tecnico od a conferire una particolare funzionalità a macchine, strumenti, oggetti d'uso; si tratta delle «invenzioni industriali» (art. 12 l. brev.) e dei «modelli di utilità» (art. 2 r.d. 25 agosto 1940, n. 1411), la cui disciplina è caratterizzata dalla essenzialità della brevettazione e dalla durata limitata nel tempo dell'esclusiva attribuita dal brevetto. Le invenzioni industriali e i modelli di utilità si differenziano tuttavia fra loro; i titoli di protezione sono distinti (distinguendosi appunto fra brevetto per invenzione industriale e brevetto per modello di utilità) e la durata dell'esclusiva è diversa (rispettivamente, di venti e di cinque anni). Tale impianto non è sostanzialmente toccato dal codice.
Dall'altro lato, le creazioni delle arti figurative, anche se si realizzano nella forma di un prodotto industriale e sempre che il loro valore artistico sia scindibile dal carattere industriale del prodotto al quale sono associate (art. 2 n. 4 l. 2 aprile 1941, n. 633), sono protette dal diritto d'autore, prescindendo quindi dalla brevettazione e per un tempo pressoché illimitato (cinquanta anni dopo la morte dell'autore elevati a settanta dalla legge 6 febbraio 1996 n. 52 per tener conto della maggiore longevità assicurata dallo sviluppo della medicina e tutelare l’autore per due generazioni).
Se invece manca la dissociabilità concettuale dell'opera artistica dal prodotto industriale, si ha la categoria in esame, quella del modello o disegno ornamentale, al quale non sono applicabili le norme sul diritto d'autore (art. 5, ultimo comma, r.d. n. 1411 del 1940); tale categoria di creazioni è invece tutelata dalla legge sui modelli industriali attraverso la concessione di brevetto per modello o disegno ornamentale che attribuisce un'esclusiva limitata alla durata di quattro anni (poi portati a cinque, durata confermata dal codice), come per i modelli di utilità.
Autonoma, infine, è la disciplina dei segni distintivi, categoria nella quale, come si è notato, possono farsi rientrare alcune creazioni di forma quando se ne consideri essenzialmente la funzione individuatrice del prodotto: questa normativa, sia attraverso il sistema della brevettazione (brevetto per marchio di impresa), sia prescindendone (disciplina della concorrenza sleale), assicura alla forma distintiva una tutela illimitata nel tempo.
A questa preliminare esposizione delle diverse norme applicabili alle creazioni di forma di un prodotto industriale, si debbono aggiungere alcune considerazioni sulla loro reciproca compatibilità o incompatibilità: è infatti evidente che la difficile distinzione delle fattispecie è resa praticamente assai rilevante dall'esclusione del concorso delle diverse normative (oltre che dalle loro profonde differenze); tanto più che, in determinate ipotesi, le fattispecie astratte, pur concettualmente distinte, coesistono nel caso concreto.
Il nostro ordinamento contrappone dunque rigidamente le invenzioni ai modelli industriali, così da escludere, di norma, ogni possibilità di «concorso» o di «passaggio» da una forma di tutela all'altra.
Nonostante l'evanescenza della distinzione, si presuppone che la qualificazione di un trovato come invenzione industriale escluda che esso possa qualificarsi come modello di utilità e viceversa; l'art. 4 r.d. n. 1411 del 1940, consente, nell'incertezza, di presentare due domande di brevetto, contemporanee ed alternative, rispettivamente per invenzione e per modello di utilità, ma la norma espressamente conferma che può essere rilasciato un solo brevetto(tale norma non è stata riprodotta nel codice).
Pur se fondata su un criterio discretivo delle distinte fattispecie estremamente tenue, altrettanto rigida è stata la separazione, sul piano normativo, fra diritto d'autore e modelli o disegni ornamentali.
Ciò risulta tanto dall'art. 5, ultimo comma, del r.d. n. 1411 del 1940, che espressamente stabilisce che ai modelli o disegni ornamentali non sono applicabili le disposizioni sul diritto d'autore (disposizione non riprodotta nel codice), quanto dal già richiamato art. 2 n. 4 l. n. 633 del 1941, cit. che presupponeva, per l'applicazione di tale normativa, la scindibilità del valore artistico dal carattere industriale del prodotto (disposizione poi abrogata dal decreto legislativo n. 95/2001); da tali norme si desumeva che alle creazioni il cui valore artistico fosse limitato all'attribuzione di un particolare pregio formale ad un prodotto industriale, e fosse quindi inscindibile da quest'ultimo, si dovessero applicare le norme sui modelli o disegni ornamentali con assoluta esclusione della disciplina del diritto d'autore.
Una così netta esclusione del cumulo era da ritenersi anche estesa, nei casi limite in cui si volessero prospettare ipotesi di concorso, alla relazione fra la normativa del diritto d'autore e quella propria delle invenzioni e dei modelli di utilità.
Al fondo si trovava sempre l'idea di escludere che attraverso altri istituti giuridici la soluzione di un problema tecnico od una forma funzionale possano essere monopolizzate, senza brevettazione e soprattutto senza limiti di tempo.
La dottrina in proposito riteneva che la nostra legge, riducendo la tutela del design alla durata prima quadriennale (ora quinquennale) dei brevetti per modelli di utilità e per modello o disegno ornamentale, rischiasse di negare ogni effettiva protezione ad un'attività creativa che, proprio nel nostro Paese, raggiunge risultati di grandissimo rilievo, sia in termini assoluti che in termini strettamente economici.
Il problema, come rilevato dalla relazione al codice, non è del tutto risolto dalla nuova disciplina del d.lgs. n. 95/2001 che ha aggiunto all’art. 2 della legge 22 aprile 1941 n. 633 una previsione diretta a contemplare, nell’elenco delle opere dell’ingegno proteggibili, “le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico” (art. 2, comma 1, numero 10).
Il diritto di autore infatti per tale disciplina è protetto, nel caso di modelli o disegni che esprimano una realtà qualitativamente diversa dal (e artisticamente superiore rispetto al) mero design.
Il codice di settore prevede inoltre una durata di questo diritto di autore diversa da quella ordinaria del diritto di autore e di cui si dirà più oltre.
La stessa esigenza ispira infine la soluzione del problema del concorso fra la disciplina dei modelli (e delle invenzioni), da un lato, e quella dei marchi (marchi di forma) e della concorrenza (imitazione servile), dall'altro.
Con riguardo ai marchi, l'art. 18, n. 3, della relativa legge (r.d. 21 giugno 1942, n. 929) nega la brevettabilità delle «figure o segni il cui carattere distintivo è inscindibilmente connesso con quello di utilità e di forma» escludendo quindi il concorso della normativa propria delle invenzioni, dei modelli di utilità e, secondo l'interpretazione dominante, dei modelli o disegni ornamentali, con quella dei marchi; il nostro legislatore dà quindi esplicitamente la prevalenza al principio generale per il quale un qualsiasi trovato, utile od ornamentale, in quanto costituisce un elemento dello sviluppo della tecnica ed un aspetto dell'evoluzione della tecnologia e della produzione industriale, non può essere monopolizzato illimitatamente e comunque al di fuori della disciplina prevista per le invenzioni ed i modelli industriali. La disciplina è ora riprodotta all’art. 18 del codice.
Anche dal punto di vista della disciplina della concorrenza sleale, ed in particolare con riferimento alle ipotesi di imitazione servile (art. 2598 n. 1 c.c.), la soluzione non è diversa: l'ipotesi è che una data forma, funzionale od estetica, brevettata o brevettabile, per esempio, come modello di utilità od ornamentale (ma è concepibile anche l'ipotesi della brevettazione come invenzione industriale) svolga, od abbia comunque acquisita, anche una precisa funzione distintiva, così che l'attività di un imprenditore concorrente, che (senza violare le norme sulla esclusiva brevettuale per l'intervenuta scadenza o decadenza del brevetto od anche per la mancata brevettazione) realizzi l'identico prodotto, possa qualificarsi come un atto di concorrenza sleale.
Ammettendo tale forma di tutela, si perpetuerebbe l'esclusiva sulla forma del prodotto, oltre i limiti di durata del brevetto o addirittura in assenza di brevettazione.
Questo risultato, ritenuto inammissibile perché in contrasto col principio sopra enunciato, viene evitato dalla teoria della «forma necessaria» secondo la quale, quando una determinata forma è «necessaria», cioè inscindibilmente connessa con l'utilità di un qualsiasi trovato (invenzione, modello di utilità, modello ornamentale), l'imitazione è per ciò stesso lecita, sempre che naturalmente sussista questo elemento di inscindibilità e quindi di necessarietà.
Il fondamento di questa conclusione si trova nell'analogia con la ricordata normativa in materia di marchi di forma (art. 18 n. 4 r.d. n. 929/1942) e nel concetto di correttezza (art. 2598 n. 3 c.c.), che costituisce anche il limite della teoria della cosiddetta forma necessaria.
Sempre con riferimento al concorso di questi istituti giuridici, si deve ancora ricordare che il grado di differenziazione che si richiede per escludere la contraffazione varia in funzione delle diverse normative; nel caso, per esempio, delle norme repressive della concorrenza sleale per imitazione servile è sufficiente un qualsiasi elemento idoneo ad escludere la confondibilità, anche se del tutto insignificante dal punto di vista della funzionalità o dell'estetica del prodotto. Perciò l'ipotesi di una forma tanto «necessaria» da escludere addirittura la possibilità di apporre sul prodotto idonei segni distintivi al fine di evitare la confondibilità sembra estremamente improbabile. È da ritenersi, in altre parole, che nei casi concreti il conflitto ipotizzato sia da imputarsi o all'assenza di un'effettiva volontà di evitare ogni confusione usando altri elementi distintivi o, dall'altra parte, ad una sopravalutazione dell'efficacia distintiva della forma che nasconde l'interesse a perpetuare l'esclusiva sulla forma utile od ornamentale.
Da questo quadro, caratterizzato dalla relativa incompatibilità fra la disciplina delle invenzioni e dei modelli industriali (e di questi istituti fra loro) e la normativa che assicura l'utilizzazione economica dell'opera artistica al suo autore o l'uso degli elementi distintivi all'imprenditore, si stacca una ipotesi particolare di concorso: l'art. 8 r.d. n 1411 del 1940 dispone che, se la forma o il disegno di un oggetto conferisce ad esso un nuovo carattere ornamentale e nello stesso tempo ne accresce l'utilità, può essere chiesto (dallo stesso soggetto) contemporaneamente il brevetto, tanto per modello o disegno ornamentale, quanto per modello di utilità. Si tratta di una norma ora riprodotta nell’art. 40 del codice.
Da un certo punto di vista si tratta di una norma molto importante, perché, riconoscendo la possibilità che una data forma sia ad un tempo funzionale ed esteticamente pregevole, apre la via ad una disciplina del design organica e razionale; ed il fatto che tale coincidenza sia considerata come eccezionale, mentre è oggi del tutto normale e costituisce anzi il canone primo di una estetica industriale, non esclude certamente l'interesse di tale normativa.
Da un diverso e più concreto punto di vista, deve invece notarsi che il nostro ordinamento giuridico rimane parco nel consentire una tutela effettiva del design, perché l'accostamento fra momento funzionale e momento estetico (cioè la sostanziale equazione fra modello di utilità e modello o disegno ornamentale, di cui si è detto) avviene, come è stato notato in dottrina, “sul livello più basso, con esclusione della rilevanza del diritto di autore”.
Il codice non risolve tale problematica, giustificando la mancata attuazione della delega (nel punto ove prevede revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti) con riferimento alla sua vaghezza ed alle preoccupazioni che il cumulo delle tutele suscita nella piccola e media impresa italiana, spaventata da una nozione di artisticità applicata all’industria. Eppure, in presenza delle caratteristiche dei prodotti e dei processi dell’industria italiana, che ha le sue punte proprio in settori ove tali innovazioni sono rilevanti, il punto rimane aperto e non può non essere segnalato dal Consiglio.
11.1. Venendo al commento delle singole disposizioni, e limitando le osservazioni ai testi che sono innovativi, il Consiglio rileva che :
L'art. 38, rubricato "Diritto alla registrazione ed effetti", quanto ai commi 1, 2 e 3 riproduce l'art. 7 Legge Modelli; quanto ai commi 4, 5 e 6 riproduce la corrispondente disciplina sulle invenzioni industriali (commi 2 e 3 dell'art. 4 Legge Invenzioni).
Il punto costituisce una novità in quanto viene trasfusa la disciplina in materia di brevetti, ai modelli e disegni industriali, al fine di chiarire la decorrenza degli effetti della registrazione, che viene fatta risalire alla data in cui la domanda di registrazione viene resa accessibile al pubblico. Si prevede la possibilità per il richiedente la registrazione di chiedere l’esclusione dell’accessibilità per un periodo non superiore a trenta mesi e la possibilità di provvedere comunque a notifiche individuali al fine di fare decorrere il termine a favore del richiedente.
Si tratta di una disciplina opportuna, che definisce in termini di certezza gli effetti della registrazione, prevedendo alcune cautele, su un modello consolidato perché tratto dalla disciplina sulle invenzioni.
Va anche considerato che la rilevanza della domanda di registrazione dei modelli, ai fini della decorrenza degli effetti, può trarsi anche dall’esistenza dell’istituto generale del diritto di priorità, con la disposizione in esame se ne chiarisce l’operatività.
L'art. 44, rubricato "Durata del diritto di autorizzazione economica per diritto d'autore" è illustrato diffusamente, per la sua importanza nella relazione al provvedimento. Si tratta della normativa, alla quale si sono già dedicate ampie considerazioni, tesa a dare tutela al diritto di utilizzazione economica del disegno o modello protetto dal diritto di autore, prevedendo una durata di tale diritto che, come la relazione segnala, appare difforme da quella prevista dalla normativa comunitaria (dir. 93/38 CE) che è di settanta anni post mortem autoris.
Il Consiglio ritiene che le argomentazioni offerte dalla relazione non appaiono conferenti al fine di giustificare la scelta della previsione della durata venticinquennale del diritto di utilizzazione.
In primo luogo va rilevato che la norma di cui all’art. 17 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 che prevede tale termine non detta un criterio di delega ma è una norma di carattere materiale; in secondo luogo deve rilevarsi che i diritti connessi aventi per la normativa una durata più limitata nel tempo, non possono considerarsi avere la stessa natura delle opere dell’ingegno in quanto mancano del requisito dell’originalità proprio di queste ultime.
Sul dubbio di compatibilità comunitaria è invece pertinente il richiamo all’art. 17 della direttiva 13 ottobre 1998 n. 71 che recita “i disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d'autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l'estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere.”
Il punto relativo alla legittimità comunitaria della disposizione è legato alla portata da riconoscersi al termine “condizioni alle quali … è concessa” l’estensione della protezione, se da intendersi come comprensiva della durata del diritto di autore oppure no.
Rileva il Consiglio che la disposizione, contenendo l’inciso “compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere” sembrerebbe alludere alla possibilità del legislatore di conformare la disciplina del diritto di autore cumulato al modello anche quanto alla durata, essendo tale aspetto astrattamente sussumibile nel termine “condizioni alle quali … è concessa” l’estensione.
Di contro potrebbe osservarsi che la durata è un elemento essenziale del diritto di autore, sicché riconosciuto il cumulo, la protezione dovrebbe avvenire alle condizioni previste dalla direttiva n. 93/98 CE (settanta anni).
Il Consiglio, in proposito, ritiene che la disposizione della direttiva n.71/98 CE sia sufficientemente ampia , nel suo tenore, da offrire “copertura” comunitaria al più breve termine di durata della protezione del diritto di autore connesso a modelli industriali, come appare confermato da analoghe scelte effettuate da altri Paesi della Comunità ( il Dicastero ha fatto riferimento all’esperienza della Gran Bretagna ).
Inoltre va sottolineato che i redattori del codice si sono limitati a riprodurre la disposizione già attualmente vigente ( e che, verosimilmente, avrebbe continuato ad esserlo anche se non fosse stata trasfusa nel codice ), effettuando quindi una recezione giustificabile in considerazione del fatto che, in virtù dei compiti assegnati con la delega, il Governo deve operare il “riassetto” della normativa e quindi non può, in adempimento di tale criterio direttivo, omettere di considerare la disposizione in questione, salva l’eventuale sua disapplicazione nelle competenti sedi.
12. La disciplina delle invenzioni è contenuta negli artt. 45-81.
E’ stato detto che le capacità creative dell'uomo sono talmente diverse e multiformi che è assai arduo, per non dire impossibile, fissare degli schemi e precostituire delle categorie. La creazione, infatti, è anche, per certi aspetti, intuizione personale; e l'intuizione sfugge a qualsiasi classificazione in quanto è espressione della genialità dell'intelletto umano, cioè di un'attività della persona che è regolata soltanto da una disciplina interiore, unicamente ed esclusivamente soggettiva.
Tuttavia, in via di approssimazione, a seconda dell'oggetto dell'attività intellettiva e soprattutto attraverso una considerazione a posteriori del suo risultato, cioè della singola opera creata, si ritiene possibile distinguere le opere dell'ingegno dalle invenzioni vere e proprie.
Non si tratta, com'è evidente, di una distinzione del tutto e sempre accettabile, specialmente dal punto di vista sostanziale: non soltanto perché non è sempre possibile distinguere le opere dell'ingegno dalle invenzioni, ma soprattutto perché è in certo senso arbitrario, sul piano sostanziale, operare delle discriminazioni relativamente ad un'attività che in ogni caso è espressione dell'estro individuale: in tal senso, infatti, tutta l'attività creativa costituisce opera dell'ingegno individuale, quale che sia il suo oggetto, cioè il campo nel quale si manifesti ed il risultato in cui si concretizzi.
Comunque, tale distinzione viene comunemente praticata dagli interpreti ed è recepita dalla legge. In tali termini, dunque, con quel tanto di arbitrario che essa presenta, può essere accolta ed in tali termini quindi può convenirsi che le opere dell'ingegno sono costituite da tutte quelle attività creative della persona che si concretizzano in manifestazioni riguardanti la letteratura, la musica, le arti figurative, l'architettura, il teatro e la cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione (art. 1 l. 22 aprile 1941, n. 633), mentre le invenzioni sono costituite da tutte le altre attività creative della persona, il cui risultato riguardi metodi o processi di lavorazione industriale, macchine, strumenti, utensili o dispositivi meccanici, prodotti o risultati industriali, applicazioni tecniche di princìpi scientifici (art. 2585 c.c. e art. 12 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127).
In tal modo, la distinzione tra le opere dell'ingegno, propriamente dette, e le invenzioni industriali risiederebbe, dal punto di vista del diritto, in ciò che queste ultime sono destinate ad «essere adoperate per la produzione di altri beni o servizi», a differenza delle prime che sono invece destinate ad altri fini, prevalentemente di natura estetica, che interessano il campo dell'arte (letteraria, musicale e figurativa). In ogni caso, comunque, alla discutibile diversità dell'oggetto dell'attività intellettiva, certamente si contrappone, sul piano del diritto, una diversa regolamentazione: infatti, la disciplina dettata dalla legge, contenuta nel r.d. n. 1127/1939, cit., in gran parte riprodotta nel codice, è affatto speciale e riguarda propriamente le invenzioni industriali, non anche le (altre) opere dell'ingegno.
L'attività creativa della persona, quale che sia il campo nel quale si esplichi, culturale in genere o propriamente tecnico-industriale, ha trovato in passato e trova ancora, nella vigente legislazione, ampia rilevanza. E non potrebbe essere diversamente: ché, lo sviluppo della scienza in generale ed il progresso della tecnica rappresentano fenomeni che trovano vasta eco di natura sociale ed economica, ed anche nell'esperienza giuridica sono, in misura altrettanto notevole, avvertiti e tutelati, tanto più nell’epoca attuale, connotata dalla globalizzazione dei mercati e da un’aspra competitività fra le imprese, che si volge nella cornice della regolamentazione giuridica.
Così, il diritto si preoccupa del progresso, tende a favorirlo; e la legislazione vigente (al pari di quelle che l'hanno preceduta) è ispirata e, per certi versi, condizionata da tale precipua ed imprescindibile finalità.
Le invenzioni industriali hanno una ben precisa rilevanza nell'àmbito dell'esperienza giuridica; e proprio nella misura in cui contribuiscono ad arricchire il patrimonio tecnico della collettività.
In tal modo, nel sistema della legge, è proprio il contributo che apportano al progresso tecnico, la ragione giustificatrice ed al tempo stesso il limite della rilevanza che le invenzioni hanno nell'àmbito dell'esperienza giuridica: sia il diritto riconosciuto all'inventore di utilizzare in via esclusiva il risultato dell'idea, sia la temporaneità di tale diritto sono predisposti e voluti in funzione della specifica finalità perseguita dalla legge, che è appunto quella di favorire, incessantemente, l'incremento del patrimonio tecnico-culturale della collettività.
A ben guardare, infatti, il diritto di esclusiva funge da stimolo all'attività creativa, in quanto l'inventore è sollecitato dalla previsione dei guadagni che può conseguire dallo sfruttamento (esclusivo) della (sua) idea: e, per ciò stesso, il diritto in parola viene a prospettarsi in maniera coerente con l'avvertita finalità di favorire il progresso della tecnica e, anzi, si traduce in una concreta attuazione di essa. Parimenti dicasi con riferimento alla temporaneità dell'esclusiva accordata all'inventore, perché tale limitazione si risolve nel divieto di escludere la collettività dai vantaggi derivanti dalle invenzioni, e finisce quindi con l'arricchire il patrimonio culturale e con il favorirne l'ulteriore sviluppo.
In definitiva, il sistema della legge è preordinato al fine di conseguire il progresso tecnico: e tale risultato è, dunque, lo scopo precipuo della complessa disciplina dettata dalla legge in tema di invenzioni ed in funzione di esso «deve essere ispirata la sua valutazione, onde evitarne degenerazioni che possono riuscire assai pericolose».
Che l'interesse a promuovere il progresso della tecnica rappresenti la fondamentale esigenza perseguita dal legislatore è generalmente ammesso dagli interpreti, secondo cui questo interesse si articolerebbe in tre distinti aspetti, «e cioè nell'interesse ad ottenere sollecitamente la divulgazione di invenzioni, sì che esse servano di base e di stimolo per nuove invenzioni o scoperte; nell'interesse a stimolare la ricerca; infine nell'interesse a che le nuove conoscenze siano poste a disposizione della collettività, sì che essa le possa liberamente attuare».
La disciplina del codice è in gran parte riproduttiva della disciplina esistente. Il codice, per consapevole scelta, non contiene una disciplina delle invenzioni biotecnologiche, oggetto della direttiva 94/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, e ciò per i limiti oggettivi della legge di delega; mantiene distinta la disciplina dei brevetti per invenzioni da quella dei modelli di utilità, nonostante tale distinzione non sia contemplata dalla Convenzione sul brevetto europeo, considerato brevetto per modello quando viene nazionalizzato in Italia. La mancata soppressione della disciplina dei modelli di utilità è giustificata con riferimento ai lavori preparatori della disciplina comunitaria per i modelli di utilità che, quindi, stanno per essere rivitalizzati a livello europeo.
Una particolare attenzione è stata riservata (art. 61) alla disciplina del certificato complementare nazionale, titolo di protezione brevettuale ad esaurimento, disciplinato dal regolamento del Consiglio 1768/1992 /CE del 18 giugno 1992, fatta oggetto di recenti modifiche con la legge 15 aprile 2002, n. 63 e con la legge 15 giugno 2002 n. 112 che, a giudizio dei redattori del codice, ha avuto l’effetto di procrastinare eccessivamente la caduta in pubblico dominio delle invenzioni farmaceutiche.
Altro significativo intervento ha riguardato la disciplina delle invenzioni dei dipendenti che stabilisce dei nuovi specifici parametri per la determinazione dell’equo premio, prevedendo anche l’intervento di un collegio di arbitratori.
La relazione al codice segnala novità in tema di invenzioni realizzate dai ricercatori delle università e degli enti di ricerca, materia che era già stata toccata dalla legge 18 ottobre 2001, n. 383, giustificate dalla ritenuta incongruenza della disciplina del 2001 in quanto attribuisce la titolarità del diritto di utilizzazione al ricercatore universitario ossia ad un soggetto rivelatosi non capace di comportarsi in modo tale da ottenere in concreto lo sfruttamento dell’invenzione in modo diretto od indiretto.
Peraltro tale attribuzione di titolarità del diritti derivanti dall’invenzione al ricercatore non è stata modificata dal testo del codice, che si presenta, così come segnalato più avanti nel parere, difforme dalla relazione e recante un testo di portata assai meno innovativa di quanto preannunciato.
L'art. 52, rubricato “Rivendicazioni”, riproduce nel primo comma l'art. 5 del Regolamento Invenzioni (R.D. 5 febbraio 1940, n. 244); nei commi 2 e 3 riproduce il comma 3 dell'art. 8 della convenzione sull'unificazione di alcuni principi della legislazione sui brevetti di invenzione firmata a Strasburgo il 27 novembre 1963 e l'art. 69 della Convenzione sul brevetto Europeo firmata a Monaco il 5 ottobre 1973; nel comma 3 applica il protocollo interpretativo dell'art. 69 della Convenzione sul brevetto Europeo che, ai sensi dell'art. 164.1, fa parte integrante della convenzione stessa.
I commi 2 e 3 introducono nell’ordinamento interno delle novità rilevanti in tema di interpretazione della portata dell’invenzione, tese ad orientare il giudice all’atto di individuare l’esatta portata del diritto di brevetto, mediando fra l’intento dell’inventore e l’esigenza di ragionevole sicurezza dei terzi.
Si tratta di principî codificati nel diritto internazionale, di cui è senz’altro opportuna l’introduzione.
L'art. 61, rubricato “Certificato complementare”, contiene nel primo comma una avvertenza superflua in funzione della quale i certificati complementari retti dal regolamento 1768/92/CEE sono – ovviamente – disciplinati da tale regolamento; nei commi 2, 3 e 4 riproduce i commi 4 e 5 dell'art. 4 bis Legge Invenzioni (introdotto dalla legge 19 ottobre 1991, n. 349); negli artt. 5 e 6 riproduce la norma dell'art. 8 del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con legge 15 giugno 2002, n. 112.
L'art. 64 del codice, rubricato “Invenzioni dei dipendenti”, riproduce i primi due commi dell'art. 23 Legge Invenzioni, con l'aggiunta nel secondo comma dell'inciso tratto dalla giurisprudenza consolidata dalla Suprema Corte “qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto” e con la modificazione chiarificatrice secondo la quale “per la determinazione dell'equo premio si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione aziendale”. Si tratta della fissazione di parametri di commisurazione dell’equo premio che non può che valutarsi favorevolmente sul piano delle esigenze di certezza del diritto.
Il comma 3 riproduce l'art. 24 della Legge Invenzioni; i commi 4 e 5 riproducono l'art. 25 della Legge Invenzioni con qualche precisazione chiarificatrice in tema di qualificazione del collegio competente alla determinazione dell’equo premio in caso di mancato accordo.
Il collegio è definito come collegio di arbitratori (art. 1349 cod. civ.) e non di arbitri: la definizione potrebbe apparire non consona all’attività svolta ove si ritenesse la stessa diretta alla risoluzione di una lite piuttosto che ad integrare le volontà negoziali.
Rileva in proposito il Consiglio che il dubbio potrebbe superarsi, considerando l’attività degli arbitratori con riferimento alla necessità di integrazione del contratto, che sorge per effetto dell’evenienza, spesso non prevedibile, dell’invenzione.
L’attività di integrazione del contenuto del contratto attiene ovviamente all’oggetto del medesimo, a tale elemento della fattispecie dovendosi riportare la determinazione dell’equo compenso da pagarsi al lavoratore per l’invenzione, equo compenso che costituisce una precisa obbligazione del datore di lavoro.
Il richiamo poi alle regole del codice di procedura civile sull’arbitrato non muta la natura dell’istituto ma assume solo valore di chiarimento per l’interprete.
Si rinvia altresì alla notazione svolta nell’esame degli artt. 143 e 194 sulla eventuale competenza del Presidente della Sezione specializzata del Tribunale di Roma e non del Presidente del Tribunale di Roma; notazione che deve intendersi riferibile anche alla disposizione in esame.
L'art. 65 del Codice, rubricato “invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca”, riproduce la disciplina dell'art. 24 bis Legge Invenzioni come introdotto dalla legge 18.10.2001, n. 383 introducendo diverse novità, (volte a render meglio applicabile la disciplina che costituisce una delle riforme più rilevanti della manovra economica del Governo dell’anno 2001), segnalate dalla relazione ma non riscontrate nel testo trasmesso.
In particolare la relazione (pag. 44) segnala che si è prevista una disciplina del diritto di opzione che tuttavia non è prevista da nessuno dei cinque commi della disposizione.
Il Consiglio richiama quindi il Dicastero ad un’attività volta a rendere coerente la relazione con il testo.
L'art. 77, rubricato “Effetti della nullità” riproduce l'art. 59 bis con l'aggiunta della lettera c) che estende il principio della irretroattività della dichiarazione di nullità anche ai compensi corrisposti ai dipendenti inventori.
Si tratta di una novità che va vista favorevolmente atteso l’intento protettivo del lavoratore-inventore.
L'art. 81, rubricato “Licenza volontaria sui principî attivi mediata dal Ministro”, riproduce gli artt. 8 bis, 8 ter e 8 quater della legge 15 giugno 2003, n. 112 di conversione del decreto legge 15 aprile 2002, n. 63: la norma costituisce un’importante innovazione che va salutata favorevolmente, in quanto è diretta a stabilire un limite alla protezione assicurata dai certificati complementari di cui alla legge 19 ottobre 1991, n. 349, la cui scadenza vede muoversi i contrapposti interessi delle imprese farmaceutiche e delle imprese fabbricanti di principi attivi per l’esportazione.
La norma introduce, anche in pendenza di validità ed efficacia dei certificati, una liberalizzazione della produzione, per l’esportazione, dei principi attivi, disposta con la mediazione del Ministro, garanzia dell’autorevolezza dell’intervento.
Le finalità sociali della disposizione sono evidenti: essa dovrebbe consentire di soddisfare provvisoriamente il fabbisogno di medicinali generici di alcuni Paesi delle aree più povere del pianeta, senza tuttavia deflettere dal rispetto degli standards internazionali sulla protezione della proprietà industriale.
13. La disciplina dei modelli di utilità è contenuta negli artt. 82-86.
La scelta del codice è stata di conservare come distinto diritto di proprietà industriale i modelli di utilità c.d. invenzioni minori. Il riordino è avvenuto senza significative innovazioni.
L'art. 85, rubricato “durata ed effetti della brevettazione”, riproduce il primo comma dell'art. 9 del r.d. 25 agosto 1940, n. 1411, c.d. Legge Modelli; il secondo comma chiarisce ad abundantiam che gli effetti della brevettazione del modello di utilità equivalgono in tutto e per tutto agli effetti della brevettazione delle invenzioni industriali.
La norma è una novità per i modelli di utilità, ma allinea in modo opportuno la disciplina dei brevetti per invenzioni e quella per i modelli e, quindi, va salutata con favore.
14. La disciplina dei prodotti a semiconduttori (artt. 87-97) ha natura di disciplina tecnica ed ha origine nell’accordo TRIP’s.
L'art. 93, rubricato “Decorrenza e durata della tutela”, presenta un primo comma che sembra scritto per errore, per cui esso deve essere riformulato.
15. La disciplina delle informazioni segrete (artt. 98 e 99) costituisce una significativa previsione, volta a dare corpo alla categoria dei diritti di proprietà industriale c.d. non titolati.
L'art. 98, rubricato “Oggetto della tutela” e l’art. 99, rubricato “Tutele”, corrispondono entrambi all'art. 6 bis della Legge Invenzioni. Essi non dànno luogo a rilievi.
16. La disciplina delle nuove varietà vegetali (artt. 110-116) ha origine da fonti convenzionali.
L'art. 108, rubricato “limitazioni del diritto del costitutore”, riproduce l'art. 14 della Legge varietà vegetali, mentre al comma 2 si introduce una nuova disciplina della moltiplicazione del materiale proveniente da varietà oggetto di privativa, che non si coordina con la disposizione dell’art. 107, comma 1, che richiede l’autorizzazione del costitutore, per la moltiplicazione della varietà protetta; va, pertanto, inserito un inciso del tipo “fermo quanto disposto dall’art, 107, comma 1,”.
17. Il capo III del codice è rubricato “Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale” ed è articolato in due sezioni: sezione I “Disposizioni processuali” (artt. 177-143) e sezione II “Misure contro la pirateria” (artt. 144-146).
Il Capo V del codice è rubricato “Procedure speciali” (artt. 194-200).
I due capi vanno esaminati congiuntamente, presentando aspetti disciplinatori comuni.
17.1. Si impone anzitutto una notazione di carattere sistematico in ordine alla distribuzione degli argomenti tra il capo III e il capo V.
Il capo III, ancorché rubricato “Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale”, contiene, nella sezione I, denominata “Disposizioni processuali”, norme che non hanno portata esclusivamente processuale, e, segnatamente, norme che riguardano la espropriazione dei diritti di proprietà industriale e la trascrizione di una serie di atti relativi a tali diritti.
Il capo V, a sua volta, nella eterogenea categoria delle “Procedure speciali”, riunisce sia procedimenti amministrativi che procedimenti giurisdizionali, e, in particolare:
- il procedimento di espropriazione;
- il procedimento di trascrizione;
- il procedimento giurisdizionale di esecuzione e quello giurisdizionale di sequestro;
- il procedimento di segretazione militare;
- il procedimento di licenza obbligatoria e di licenza volontaria sui principi attivi;
- il procedimento giurisdizionale davanti alla Commissione ricorsi.
Si deve evidenziare, allora, la imperfetta distribuzione sistematica degli argomenti e la frammentazione di materie unitarie in due capi distinti.
Infatti:
- il ricorso giurisdizionale davanti alla Commissione ricorsi, è disciplinato, quanto a termini per ricorrere e composizione della Commissione, nel capo III, e per i suoi aspetti procedurali, nel capo V;
- il procedimento giurisdizionale di esecuzione e sequestro di diritti di proprietà industriale, anziché nell’ambito delle disposizioni processuali, è collocato nel capo delle procedure speciali, salva una norma generalissima (art. 137) collocata nel capo III;
- la materia delle espropriazioni e delle trascrizioni è frammentata tra i due capi, contenendo il terzo la disciplina dei presupposti e dell’ambito, e il quinto gli aspetti procedurali.
Tale frammentazione ha forse una spiegazione “storica” nella circostanza che nell’assetto normativo anteriore al codice, gli aspetti essenziali di espropriazione, trascrizione, commissione ricorsi, esecuzione forzata, sono disciplinati nella legislazione sui brevetti, mentre gli aspetti di dettaglio nei relativi regolamenti di attuazione.
E, infatti, da una lettura comparata del nuovo codice e della normativa del 1939 – 1940, emerge che nel capo III del codice risultano trasfuse le disposizioni del r.d. n. 1127/1939 (brevetti per invenzioni industriali) e del r.d. n. 929/1942 (marchi registrati), e nel capo V venendo in tal modo legificate (retro, n. 4.6) le disposizioni del regolamento n. 244/1940 (regolamento relativo ai brevetti) e del regolamento n. 795/1948 (regolamento relativo ai marchi di impresa).
Ma siffatta sistemazione non può più essere seguita una volta che si unifichi tutta la disciplina in un “codice”, atteso che nella logica di una codificazione, ciascuna materia deve essere unitariamente disciplinata in un’unica sede.
Sembra allora corretto:
1) mantenere nel capo III tutta la disciplina strettamente processuale, e, dunque, trasferire in tale capo il contenuto degli articoli 197 (“procedura di esecuzione e sequestro dei titoli di proprietà industriale”), e 200 (“procedura avanti la Commissione dei ricorsi”) dello schema, ora collocati nel capo V; l’attuale articolo 200 andrà collocato dopo gli artt. 135 e 136 (rispettivamente “commissione dei ricorsi” e “funzione consultiva e compensi”), e l’attuale articolo 197 andrà collocato dopo l’attuale art. 137 (“esecuzione forzata”);
2) sottrarre al capo III le discipline non strettamente processuali (anche se presentano pure profili processuali), e dunque trasferire nel capo V il contenuto degli articoli 138, 139, 140 (rispettivamente “trascrizione”, “effetti della trascrizione”, “diritti di garanzia”) e il contenuto degli articoli 142 e 143 (rispettivamente “decreto di espropriazione”, “indennità di espropriazione”).
Gli attuali articoli 138, 139, e 140, andranno collocati nel capo V prima dell’attuale articolo 195 (“domande e procedura di trascrizione”), mentre gli attuali articoli 142 e 143 andranno collocati nel capo V prima dell’articolo 194 (“procedura di espropriazione”).
La rinumerazione degli articoli del codice imporrà attenzione nei rinvii, contenuti all’interno di ciascun articolo, ad altri articoli rinumerati.
17.2. Si formulano le seguenti osservazioni e si suggeriscono le seguenti modifiche.
L’art. 120, co. 2, nell’individuare i criteri di competenza territoriale, trascrive fedelmente l’art. 75, co. 2, r.d. n. 1127/1939 e l’art. 56, co. 2, r.d. n. 929/1942. Tuttavia, la norma non è del tutto chiara, posto che, da un lato, si fa riferimento al foro del “domicilio” del convenuto (con ciò facendo pensare che è irrilevante il luogo di residenza o dimora del convenuto), e dall’altro lato si dice che si utilizza il foro dell’attore quando il convenuto non ha in Italia “residenza, dimora o domicilio eletto”. Sul versante dell’attore, da un lato si dice che si utilizza il criterio del luogo di residenza o domicilio dell’attore, dall’altro si dice che è competente il tribunale di Roma, se né attore né convenuto hanno in Italia domicilio reale o domicilio eletto. Il che farebbe pensare che il tribunale di Roma è competente quando attore o convenuto sono residenti in Italia, ma non abbiano ivi domicilio, il che si tradurrebbe in un evidente carico di lavoro ulteriore per il tribunale di Roma, laddove esistono altri tribunali specializzati nella materia dei brevetti.
Essendo chiaro l’intento di utilizzare un criterio in tutto simile al c.d. “foro generale delle persone fisiche” di cui all’art. 18 cod. proc. civ., va introdotta una norma in tutto simile al citato art. 18.
Sembra allora corretto riscrivere la norma come segue: “Le azioni previste al comma 1 si propongono davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, del luogo il cui il convenuto ha la dimora, salvo quanto previsto nel comma 3. Quando il convenuto non ha residenza, dimora o domicilio nel territorio dello Stato, le azioni sono proposte davanti all’Autorità giudiziaria del luogo in cui l’attore ha la residenza o il domicilio.Qualora né l’attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato residenza, dimora, domicilio, è competente l’Autorità giudiziaria di Roma”.
Nell’art. 120, co. 6,la parola “giurisdizione” va sostituita con quella “circoscrizione”; l’espressione “giurisdizione” infatti, mutuata dall’art. 76, r.d. n. 1127/1939 e dall’art. 57, r.d. n. 929/1942, significa, qui, ambito territoriale di competenza del giudice.
L’art. 121, co. 2,nel riprodurre fedelmente l’art. 77, co. 2, r.d. n. 1127/1939, e l’art. 58 bis, co. 1, r.d. n. 929/1942, utilizza un linguaggio arcaico e contorto; inoltre l’art. 121, co. 2, si limita a prevedere una richiesta del giudice di informazioni alla controparte, laddove lo strumento per tale richiesta era correttamente individuato dall’art. 77 e nell’art. 58 bis previgenti nell’interrogatorio; pertanto l’espressione “essa può ottenere che il giudice ne disponga l’esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte” va sostituita con la seguente: “essa può chiedere al giudice di ordinarne l’esibizione ovvero di disporre l’interrogatorio della controparte”.
L’art. 122, co. 1,stabilisce che l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale “può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa di ufficio dal pubblico ministero”. Occorre coordinare tale previsione con quella di cui all’art. 118, co. 4, secondo cui l’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse solo dopo che siano decorsi due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto o della registrazione, senza che l’avente diritto si sia valso delle azioni ad esso spettanti.
Giova ricordare che nella disciplina vigente è solo previsto che:
- per i brevetti per invenzioni l’azione di nullità può essere proposta da chiunque vi avesse interesse solo decorsi due anni senza iniziative dell’avente diritto (art. 27 bis, r.d. n. 1127/1939);
- per i brevetti per invenzioni l’azione di nullità può essere azionata anche dal pubblico ministero (art. 78, co. 1, r.d. n. 1127/1939);
- per i brevetti per invenzioni non è invece contemplata una norma come quella contenuta nell’art. 122, co. 1, secondo cui l’azione di nullità può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, senza limiti temporali;
- per i marchi è previsto che l’azione possa essere proposta da chiunque vi avesse interesse e dal pubblico ministero (art. 59, co. 1, r.d. n. 929/1942).
Una volta che il nuovo codice abbia optato per mantenere la norma dell’art. 27 bis, r.d. n. 1127/1939, riproducendola nell’art. 118, comma 4, l’art. 120, co. 1, va coordinato con tale previsione.
Si potrebbe, per esempio, alla fine del comma 1 dell’art. 122, fare salvo il disposto dell’art. 118, comma 4, ovvero sancire la legittimazione popolare decorso il termine di cui all’art. 118, comma 4.
Si suggerisce inoltre di scegliere se attribuire al pubblico ministero la legittimazione ad agire senza limite temporale, oppure solo dopo decorsi i due anni di cui al citato art. 118, comma 4. Sembra preferibile questa seconda soluzione, che attenua il rischio che terzi diversi dall’avente diritto sollecitino l’azione del pubblico ministero, prima del decorso dei due anni che costituiscono lo spatium deliberandi per le azioni di esclusiva spettanza dell’avente diritto.
Sul piano formale, si osserva che nell’art. 122, co. 3,si menziona genericamente la “Convenzione di Parigi”, come anche in altri articoli del codice (v. per esempio art. 3), senza che vi sia un articolo del codice contenente le definizioni ovvero gli estremi completi degli atti che vengono citati. Si suggerisce, pertanto, o di introdurre in apertura del codice una norma contenente le definizioni e le citazioni complete, ovvero di completare, in ogni articolo, la indicazione degli estremi degli atti citati.
Nell’art. 124, co. 3,si stabilisce, con norma nuova, non prevista nelle precedenti discipline, che la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può ordinare la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Sarebbe opportuno fare salvo il limite generale alla distruzione, sancito dall’art. 2933, co. 2, cod. civ., laddove la distruzione sia di pregiudizio all’economia nazionale (in tali casi residua solo il rimedio del risarcimento del danno) (si pensi al caso di invenzione, che, ancorché utilizzata in violazione dell’altrui diritto di proprietà industriale, abbia dato luogo alla realizzazione di beni mobili utilizzati da pubbliche amministrazioni o gestori di servizi pubblici a servizio dell’intera collettività).
Nell’art. 124, comma 4, secondo rigo,la parola “ordinata” va sostituita con la parola “ordinato”.
L’art. 124, co. 7,nel riprodurre l’art. 86, co. 3, r.d. n. 1127/1939 e l’art. 66, co. 4, r.d. n. 929/1942, stabilisce che sulle controversie che insorgono nell’esecuzione delle sentenze sui diritti di proprietà industriale, decide il giudice che ha emesso la sentenza, “con ordinanza non soggetta a gravame”. Nel nuovo ordinamento costituzionale, vi è, in relazione a tale ordinanza “non impugnabile”, comunque il rimedio del ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. Trattasi infatti di provvedimento decisorio atto a definire un giudizio. E’ preferibile sostituire l’espressione “ordinanza” con quella “sentenza”, in analogia all’art. 618 c.p.c. (che stabilisce che l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi sono decise con sentenza non impugnabile). Può essere mantenuto l’inciso “non soggetta a gravame”, che compare anche nell’art. 618 c.p.c., inciso che vale ad escludere un giudizio di appello, ma non impedisce in ogni caso il ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.
Nell’art. 127, comma 3,l’espressione “estensibile fino a 2065,83 euro” va sostituita con quella “fino a 2065,83 euro”.
L’art. 128, comma 3,relativamente al procedimento giurisdizionale di descrizione, riproduce formalmente la normativa vigente (art. 82, commi 1 e 4, r.d. n. 1127/1939; art. 62, commi 1 e 4, r.d. n. 929/1942), anche nel rinvio al cod. proc. civ., in relazione alla disciplina del procedimento di istruzione preventiva. Come in precedenza, viene stabilito che non si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 693, l’art. 694 e il comma 2 dell’art. 696. Vi è però un profilo di contraddittorietà, ereditato dalla disciplina attualmente in vigore. Da un lato, infatti, il comma 3 dell’art. 128 dichiara inapplicabili i commi 2 e 3 dell’art. 693, relativi al procedimento di istruzione preventiva in caso di eccezionale urgenza, dall’altro lato il comma 4 dell’art. 128 richiama l’art. 697 che disciplina i provvedimenti da adottarsi in caso di eccezionale urgenza. Sembra perciò corretto dichiarare inapplicabile solo il comma 2 dell’art. 693 (che prevede una regola di competenza territoriale aggiuntiva, in effetti incompatibile con la nuova competenza delle sezioni specializzate), mentre deve ritenersi applicabile il comma 3 dell’art. 693, che disciplina il contenuto del ricorso in caso di eccezionale urgenza. Pertanto va sostituita, all’art. 128, co. 3, l’espressione “non si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 693 del codice di procedura civile” con quella “non si applica il comma 2 dell’art. 693 del codice di procedura civile”.
Nell’art. 128, comma 6,sostituire l’espressione “un esposizione” con quella “un’esposizione”.
Nell’art. 130, comma 3, secondo rigo, l’espressione “di descrizione di sequestro” va sostituita con quella “di descrizione e di sequestro”.
L’art. 134, commi 1 e 3,letti in combinato disposto, estendono la giurisdizione delle sezioni specializzate di cui all’art. 16, legge n. 273 del 2002 e relativo decreto legislativo di attuazione, a materie non direttamente contemplate dalla legge delega. L’art. 16 della legge delega si riferisce infatti ai procedimenti giurisdizionali in materia di proprietà industriale, nonché a quelli in materia di concorrenza sleale connessi con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale. L’articolo in commento contempla anche i processi “in materia di illeciti ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287 e degli articoli 81 e 82 del Trattato UE afferenti all’esercizio dei diritti di proprietà industriale”. In definitiva si attirano nell’orbita delle sezioni specializzate le controversie in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante. Tuttavia, per non eccedere l’oggetto della delega, va chiarito che la competenza delle sezioni specializzate investe soltanto:
- le controversie che la l. n. 287 del 1990 attribuisce al giudice ordinario (e non anche quelle devolute al giudice amministrativo);
- le controversie in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante strettamente connesse alla violazione di diritti di proprietà industriale: e vanno meglio chiariti il senso e la portata di tale connessione.
Nell’art.134, comma 1,l’espressione “sleale concorrenza” va sostituita con quella “concorrenza sleale”, più consona all’usuale linguaggio normativo.
Nell’art.134, comma 3, è preferibile, per evitare dubbi esegetici, specificare che rientrano nella competenza delle sezioni specializzate anche le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario.
In relazione all’art. 135, comma 1, che disciplina i ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio brevetti, proposti alla competente Commissione (che è una giurisdizione speciale preesistente alla Costituzione),anzitutto il Consiglio di Stato sottolinea con favore la innovazione sostanziale di prevedere un termine di impugnazione di sessanta giorni, in sostituzione di quello speciale di trenta giorni previsto dalla disciplina previgente (art. 35, r.d. n. 1127/1939; art. 33, r.d. n. 929/1942): tale innovazione equipara il regime temporale del ricorso alla Commissione a quello del ricorso ai Tribunali amministrativi regionali, garantendo meglio il diritto di difesa. Per evitare dubbi esegetici, è preferibile menzionare espressamente, tra le controversie devolute alla Commissione ricorsi, quelle contro i provvedimenti dell’Ufficio italiano brevetti che rifiutano la trascrizione.
Nell’art. 135, comma 3,vasostituita l’espressione “sono nominati con decreto del Ministro delle attività produttive, durano in carica due anni e sono rinnovabili” con l’espressione “sono nominati con decreto del Ministro delle attività produttive e durano in carica due anni. L’incarico è rinnovabile”, ovvero con quella, utilizzata dall’art. 71, co. 1, r.d. n. 1127/1939, “sono nominati con decreto del Ministro delle attività produttive, durano in carica due anni e sono rieleggibili”.
Nell’art. 135, comma 4,che regola la composizione della commissione ricorsi, prevedendo i tecnici aggregati senza voto deliberativo, va salutata con favore la mancata riproduzione dell’art. 71, comma 2, r.d. n. 1127/1939, a tenore del quale “il direttore dell’Ufficio brevetti fa parte della commissione senza voto deliberativo”.
Invero, l’Ufficio brevetti è amministrazione resistente, quale autorità che ha emesso il provvedimento che viene impugnato davanti alla commissione ricorsi; sicché, appare incostituzionale il ruolo, che riveste attualmente, di componente, ancorché senza voto, della commissione ricorsi, non potendosi cumulare in uno stesso soggetto il ruolo di parte e di giudice, né il ruolo di parte e di consulente.
Per coerenza, occorre anche sopprimere il successivo art. 200, comma 9, che invece mantiene la figura del direttore dell’ufficio brevetti, come partecipante alle sedute della commissione.
L’art. 136,nel prevedere la funzione consultiva della Commissione ricorsi in materia di proprietà industriale, ha portata molto più estesa dell’art. 71, comma 3, r.d. n. 1127/1939, secondo cui tale funzione consultiva si esercitava solo nei confronti del Ministero dell’industria (ora Ministero delle attività produttive). Con la nuova norma, la Commissione ricorsi potrebbe essere investita da richieste di parere da parte di qualsivoglia pubblica amministrazione. Non sembra corretto, sia sul piano sistematico, sia per considerazioni di copertura finanziaria, generalizzare la funzione consultiva della Commissione. Si suggerisce, pertanto, di precisare, nell’art. 136, che la funzione consultiva viene esercitata su richiesta del Ministero delle attività produttive.
Nell’art. 138, comma 1,che elenca gli atti soggetti a trascrizione, alla lettera b), laddove vengono menzionati, come soggetti a trascrizione, gli atti costitutivi di diritti di garanzia, per completezza vanno indicati anche “i privilegi speciali che la legge preveda vadano trascritti”. Giova infatti ricordare che il d.lgs.lgt. n. 367 del 1944, all’art. 7, co. 6, ha previsto un privilegio speciale legale sui brevetti, soggetto a trascrizione. Sebbene si tratti di ipotesi arcaica e probabilmente non più attuale – ma mai formalmente abrogata – non si può escludere l’eventualità di leggi che prevedano privilegi speciali soggetti a trascrizione.
Nell’art. 138, comma 1,la lett. h) contempla, oltre alla trascrizione delle sentenze, la trascrizione, in via facoltativa, delle domande dirette ad ottenere le sentenze che pronunciano la nullità, annullamento, risoluzione, revocazione, rescissione, di un atto trascritto.
Andrebbe invece in un comma a parte stabilito, in termini generali, che può essere chiesta la trascrizione delle domande giudiziali (sempre come facoltà della parte interessata) relative a tutte le sentenze soggette a trascrizione ai sensi dell’art. 138, con la conseguenza che gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla data della trascrizione della domanda giudiziale.
E, invero, nel precedente art. 122 viene stabilito come obbligatorio l’invio all’Ufficio brevetti di una copia dell’atto introduttivo di ogni giudizio civile in materia di diritti di proprietà industriale.
Le norme in commento riproducono fedelmente l’art. 80, commi 1 e 2, r.d. n. 1127/1939 e l’art. 60, commi 1 e 2, r.d. n. 929/1942.
Osserva la Sezione che a tale obbligatorio invio (che costituisce condizione di procedibilità del giudizio di merito), non corrisponde tuttavia alcun obbligo di trascrizione della domanda nel registro tenuto dall’Ufficio brevetti. Solo l’art. 138, comma 1, lett. h), contempla la trascrizione, solo facoltativa, di talune domande giudiziali, e dunque non è stabilito alcun effetto di opponibilità ai terzi della sentenza con effetto dalla data della domanda giudiziale.
Sembra invece opportuno, in analogia con il codice civile, che contempla la trascrizione delle domande giudiziali, ai fini dell’opponibilità delle sentenze di accoglimento ai terzi che abbiano acquistato diritti sulla base di atti trascritti o iscritti dopo la trascrizione delle domande, disciplinare in termini generali la trascrizione delle domande giudiziali relative alle cause sui diritti di proprietà industriale in conformità ai principi sanciti dal codice civile.
Nell’art. 141, comma 1 e comma 3,l’espressione “paese” va sostituita con quella “Paese”.
Nell’art. 142, comma 1,va sostituita l’espressione “Capo dello Stato” con quella “Presidente della Repubblica”, conforme all’attuale assetto costituzionale.
Inrelazioneall’art. 142, comma 2,si segnala che la norma innova in maniera sostanziale rispetto al passato, in quanto impone di determinare l’indennità nel decreto di espropriazione in ogni caso, mentre in passato nell’ipotesi di espropriazione di invenzione nell’interesse della difesa militare del Paese l’indennità poteva essere fissata in un secondo momento (art. 62, r.d. n. 1127/1939).
Si segnala l’opportunità di stabilire un ragionevole criterio guida per la determinazione dell’indennità, ovviamente nella logica dei prezzi di mercato, pur nella consapevolezza che anche la disciplina vigente non stabilisce nessun criterio.
Nell’art. 142, comma 2, secondo rigo, la parola “manato” va sostituita con la parola “emanato”.
In relazione all’art. 143,che prevede un collegio di arbitratori per la determinazione dell’indennità di esproprio, se l’espropriato non accetta quella offerta dall’amministrazione procedente, si segnala l’innovazione sostanziale rispetto al passato, in quanto nella disciplina ora vigente tale meccanismo è previsto solo per le espropriazioni nell’interesse militare (art. 63, r.d. n. 1127/1939).
a. Va anzitutto osservato che l’art. 143 e l’art. 194, commi 4 e 5, vanno meglio coordinati, contenendo disposizioni in parte coincidenti.
b. In secondo luogo va stabilito che il terzo arbitratore, in caso di disaccordo tra le parti, sia nominato dal presidente della sezione specializzata del tribunale di Roma, e non dal presidente del tribunale di Roma, atteso che le competenze giurisdizionali in materia di indennità di esproprio dei diritti di proprietà industriale sembrano da attribuire alle sezioni specializzate previste dalla l. n. 273/2002.
c. La vigente disciplina (art. 63, r.d. n. 1127/1939) fissa dei criteri di professionalità per gli arbitratori. A sua volta il t.u. delle espropriazioni immobiliari richiede che la stima sia effettuata da “tecnici”. Nulla dice invece l’art. 143 sui requisiti di professionalità degli arbitratori. Va pertanto stabilito che per essere nominato arbitratore occorre aver acquisito professionalità ed esperienza nel settore della proprietà industriale.
d. In relazione all’art. 143, comma 2,che prevede la impugnazione della stima degli arbitratori davanti al giudice, è opportuno precisare che la competenza spetta alla sezione specializzata del tribunale di Roma. Inoltre si suggerisce di ricostruire tale giudizio di impugnazione sulla falsariga di quello di opposizione alla stima nelle espropriazioni immobiliari, in quanto si tratta in entrambi i casi di impugnazione di una stima di valore di un bene. Occorrerà dunque anche stabilire il termine per l’impugnazione e la sua decorrenza;
e. In relazione all’art. 143, comma 3, che prevede la giurisdizione del giudice amministrativo sui decreti di espropriazione (eccettuate le questioni indennitarie), si evidenzia la innovazione sostanziale, rispondente ai principi costituzionali, di aver reso giustiziabile il decreto di espropriazione adottato nell’interesse della difesa militare del Paese, decreto che invece l’art. 65, co. 2, r.d. n. 1127/1939, dichiarava non impugnabile. Si segnala che per le espropriazioni immobiliari è prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il rito speciale di cui all’art. 23 bis, l. n. 1034/1971. Andrebbe valutata l’opportunità, stante l’analogia delle materie, di prevedere tali regole anche per i decreti di espropriazione dei diritti sulla proprietà industriale. In particolare quanto al rito, sarebbe opportuno prevedere davanti al giudice amministrativo un rito accelerato (quale è quello di cui al citato art. 23 bis) posto che l’esigenza di un processo celere è sentita in relazione alla proprietà industriale, tanto che davanti al giudice ordinario è stato previsto il rito accelerato societario;
f. in relazione all’art. 143, comma 5,in cui si afferma che “i decreti di espropriazione nell’interesse della difesa devono essere annotati nel Registro dei titoli di proprietà industriale a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi” va soppresso l’inciso “nell’interesse della difesa”, in quanto l’art. 143 riguarda tutti i decreti di espropriazione di diritti di proprietà industriale, e non solo quelli disposti nell’interesse della difesa. Anche nella vigente disciplina (art. 65, co. 3, r.d. n. 1127/1939), l’annotazione riguarda tutti i decreti di espropriazione.
Nell’art. 145, comma 1, primo rigo,vanno sostituite le parole “Comitato nazionale” con le parole “Comitato nazionale anticontraffazione”, utilizzando il nome dato al Comitato dall’art. 4, comma 72, legge n. 350/2003, da cui la norma in commento deriva.
Inrelazioneall’art. 194, comma 2,laddove si stabilisce che il decreto di espropriazione è notificato nelle forme di legge, ancorché la norma costituisca fedele riproduzione delle precedenti (art. 53, co. 1, regolamento n. 244/1940) si suggerisce di chiarire che le forme di legge sono quelle previste per la notificazione degli atti processuali civili.
Nell’art. 194, i commi 4 e 5vanno meglio coordinati, come già osservato, con l’art. 143, commi 1 e 2, di cui sono in parte una ripetizione.
L’art. 195, comma 1,si limita a stabilire che la domanda di trascrizione va redatta in unico esemplare. La vigente disciplina (artt. 59 e 63, regolamento n. 244/1940; artt. 44 e 48, regolamento n. 795/1948), prevede invece che la domanda sia presentata in doppio esemplare, di cui uno viene restituito al richiedente, con la dichiarazione dell’avvenuta trascrizione. Anche nella nuova disciplina va previsto un meccanismo analogo, di rilascio al richiedente di una ricevuta con annotazione dell’avvenuta trascrizione.
Nell’art. 200, comma 1, va previsto che il trattamento economico del personale di segreteria della Commissione ricorsi, costituito da funzionari dell’Ufficio brevetti, è quello stabilito dalla vigente normativa (legislativa, regolamentare o contrattuale).
L’art.200, comma 3,stabilisce che in caso di ricorso alla Commissione, all’originale del ricorso vanno accluse sei copie in carta libera, salva la facoltà della segreteria della Commissione di chiedere un numero maggiore di copie. Si segnala che la disciplina ora vigente (art. 79, co. 2, regolamento n. 244/1940; art 52, co. 2, regolamento n. 795/1948), prevede, oltre all’originale, sei copie libere e una in bollo, in totale dunque sette copie. Si suggerisce di stabilire un numero di copie (oltre all’originale) corrispondente al numero di componenti la Commissione che compongono il Collegio, e al numero di controparti. Inoltre sembra corretto che il numero di copie sia stabilito, in via integrativa, non dalla segreteria della Commissione, bensì con un provvedimento di carattere generale del Presidente della Commissione, trattandosi di disposizione ordinatoria del processo.
Sempre in relazione all’art. 200, in combinato disposto con l’art. 135,il Consiglio di Stato, pur consapevole che le norme riproducono fedelmente il diritto vigente, suggerisce di raccogliere la presente occasione per ammodernare il giudizio davanti alla Commissione, attesa la sua riconosciuta natura giurisdizionale, e renderlo conforme ai dettami costituzionali di un processo celere idoneo ad assicurare una difesa effettiva per tutte le parti. Questo, nella logica della VI disposizione finale della Costituzione, che ipone la revisione delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione medesima, ferma restando la impossibilità di un ampliamento delle relative funzioni.
In particolare si osserva quanto segue.
a. In relazioneall’art. 200, commi 3 e 5, in combinato disposto con l’art. 135, comma 1, si suggerisce di valutare l’opportunità di modificare il vigente sistema di incardinamento del ricorso davanti alla Commissione (deposito, e trasmissione del ricorso alle controparti a cura della Commissione), con un sistema più moderno e conforme ai ricorsi giurisdizionali amministrativi (notifica del ricorso alle controparti a cura del ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni, decorrenti da notificazione, comunicazione o piena conoscenza del provvedimento che si impugna; notifica del ricorso con le forme previste per la notifica del ricorso al T.a.r.; deposito del ricorso entro il termine di giorni trenta decorrenti dall’ultima notificazione); andrebbe altresì chiarito che tra le controparti sono compresi da un lato l’Ufficio brevetti quale amministrazione resistente, e dall’altro lato i controinteressati individuabili in base al provvedimento impugnato.
b. In relazione all’art. 200, comma 8, il Consiglio di Stato suggerisce di valutare l’opportunità di dettare una regola nuova, più confacente alla natura di giurisdizione speciale. La norma stabilisce infatti che le sedute della Commissione non sono valide se non sia presente la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto deliberativo. Ora, posto che la Commissione si compone di un presidente, un presidente aggiunto, e otto membri, divisi in due sezioni, presiedute dal presidente e dal presidente aggiunto, si deve ritenere che a ciascuna sezione siano assegnati 5 membri compresi i presidenti. Sicché, per le sedute di ciascuna sezione in sede giurisdizionale sembra occorrere la presenza di tre membri (maggioranza assoluta rispetto a 5).
Per la verità una lettura ante litteram della norma fa pensare che a ciascuna seduta devono essere presenti sei membri (maggioranza assoluta dei componenti la commissione), ma sembra una soluzione poco logica e poco compatibile con l’articolazione della Commissione in due sezioni.
Oltretutto un collegio giudicante a sei, oltre che contrastare con le esigenze di economia processuale, comporta difficoltà nella votazione ai fini della formazione della maggioranza.
Una soluzione in termini “giurisdizionali” potrebbe essere quella di stabilire che la Commissione, quando decide sui ricorsi, decide con l’intervento di tre membri con potere deliberativo compreso il Presidente; la regola della necessaria presenza della maggioranza assoluta dei componenti la commissione (sei su dieci) potrebbe essere lasciata per le funzioni consultive della Commissione medesima.
L’art. 200, comma 8, potrebbe, allora, essere così riformulato: “Le sedute della Commissione in sede consultiva non sono valide se non sia presente la maggioranza assoluta dei suoi membri aventi voto deliberativo, salvo il disposto del comma 4. Le Sezioni della Commissione, quando decidono sui ricorsi, giudicano con l’intervento di un Presidente e di due membri aventi voto deliberativo, salvo il disposto del comma 4”.
c. In relazioneall’art. 200, commi 9 e 11, attualmente l’amministrazione resistente (ufficio brevetti) ha un ruolo di aiuto e collaborazione nei confronti del collegio, ma non è previsto che si costituisca in giudizio come amministrazione resistente e che possa difendersi con l’assistenza di un legale. Tale sistema non è più confacente all’attuale sistema di giustizia amministrativa, che contempla la tutela risarcitoria a fronte di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione. L’Ufficio brevetti, in caso di accoglimento del ricorso, potrebbe essere esposto a domande risarcitorie, e pertanto ne andrebbe riconosciuta la posizione processuale di parte, e non di collaboratore del giudice, per essere in condizione di espletare una difesa tecnica.
Come già osservato in relazione all’art. 135, va soppresso l’art. 200, comma 9, che attribuisce all’Ufficio brevetti, che è parte processuale, anche il ruolo di componente della Commissione e di consulente della stessa. Si può piuttosto prevedere, nell’art. 200, comma 9, che la Commissione ha facoltà di chiedere all’Ufficio brevetti chiarimenti e documenti: questo, in coerenza con altri riti processuali (p.es. processo davanti al T.a.r.), in cui il giudice può sempre chiedere all’amministrazione chiarimenti e documenti.
d. In considerazione della vigente legislazione sulla durata ragionevole del processo, andrebbero scanditi i tempi del giudizio, anche stabilendo il termine di deposito della sentenza (art. 200, comma 15).
e. Avendo la Corte costituzionale ritenuto che la tutela cautelare fa parte integrante della tutela giurisdizionale, andrebbe disciplinato il procedimento cautelare davanti alla Commissione ricorsi.
Si potrebbe, per evitare una disciplina dettagliata che richiederebbe tempo e riflessione, dettare una norma di rinvio al processo davanti al tribunale amministrativo regionale, nei limiti della compatibilità, per quanto attiene a tutela cautelare e termini di deposito della sentenza.
18. Il Capo IV del codice disciplina l’acquisto ed il mantenimento dei diritti di proprietà industriale e le relative procedure.
In questa parte del provvedimento, che comprende gli articoli da 147 a 193, sono state raccolte le disposizioni, aventi essenzialmente contenuti amministrativi, che dettano la specifica regolamentazione della gestione dei diritti di proprietà industriale.
Il Capo si compone di quattro sezioni: a) la prima (articoli da 147 a 173) regola la presentazione delle domande e delle istanze in generale e disciplina il deposito delle domande di brevetto nazionali, europee ed internazionali, le richieste di registrazione di marchio, quelle per il conseguimento dei certificati complementari per i medicinali e per i prodotti fitosanitari, le istanze per il riconoscimento delle varietà vegetali e le domande per la registrazione delle topografie dei prodotti a semiconduttori. Sono inserite in questa sezione anche le disposizioni sulla rivendicazione di priorità e quelle che regolano l’esame delle domande , il ritiro, la rettifica o l’integrazione delle stesse, i rilievi che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi può muovere sui contenuti delle domande nonché le relative procedure in contraddittorio per consentire la partecipazione del richiedente al procedimento di esame della domanda.
La seconda sezione (articoli da 174 a 184) contiene la regolamentazione delle osservazioni sui marchi e delle opposizioni alla registrazione dei marchi.
La terza sezione (articoli da 185 a 190) disciplina le forme di pubblicità dei titoli di proprietà industriale, mentre la quarta ed ultima sezione (articoli da 191 a 193 ) fissa alcune regole generali sul rispetto dei termini, sulla prorogabilità degli stessi e sull’istituto delle reintegrazione.
18.1. Sul complesso delle disposizioni qui richiamate si devono svolgere alcune osservazioni di carattere generale.
In primo luogo si deve osservare che appaiono rispettati i criteri di delega definiti con l’art. 15, primo comma, lett. a) e b) della legge 12 dicembre 2002 n.273, in quanto la materia è stata riordinata in modo organico e coordinato anche con riguardo alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta nel settore considerato.
E’ stata svolta un’opera sostanzialmente ricognitiva delle norme vigenti e di compilazione di un testo che le raccogliesse tutte in modo sistematico, che consente di ritenere che il Codice che viene proposto corrisponda in definitiva alle esigenze di riassetto della disciplina di settore che il legislatore aveva inteso soddisfare con l’attribuzione della delega di cui al richiamato art. 15.
Appare pertanto corretta la tecnica prescelta per la formulazione del testo in esame, tecnica incentrata per larga parte nella riproposizione dei contenuti delle norme vigenti richiamate analiticamente nelle relazione illustrativa e di cui, coerentemente, si propone l’abrogazione con l’entrata in vigore del Codice.
Una seconda considerazione di carattere generale, il cui rilievo critico deve essere valutato alla stregua dei criteri di delega espressi nelle lett. f) e g) della disposizione di delega richiamata, riguarda la carenza o, quantomeno la scarsa presenza, di istituti che, in linea con i criteri stessi prevedano strumenti di semplificazione e di riduzione degli adempimenti amministrativi.
Appaiono, in effetti, inadeguate a fronte dei criteri di delega ampi ed articolati, le poche disposizioni che recano semplificazioni procedurali contenute negli articoli 147 (previsione di un decreto ministeriale che definisca modalità alternative per il deposito delle domande ed istanze), 156 (riduzione dei documenti necessari per la registrazione del marchio), 158 (divisione della domanda di registrazione del marchio in più istanze nel caso che nascano contestazioni solo su una parte della richiesta) e 159 (esame solo formale della istanza di rinnovazione del marchio).
È necessario in proposito rilevare che, in linea con il criterio di cui alla lett. g) dell’art. 15 della legge n. 273/2002, ampi settori della regolamentazione contenuta nel Codice avrebbero potuto trovare una disciplina adeguata con fonti secondarie, come la procedura di opposizione alla registrazione del marchio di impresa, le modalità di pubblicità dei titoli di proprietà industriale, le norme sull’ordinamento dell’Albo professionale contenute nel successivo Capo VI, la disciplina dei diritti dovuti per i servizi resi in materia di proprietà industriale e la definizione delle funzioni dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (CapoVII).
Da altra angolazione il deposito per via telematica della documentazione richiesta ed il pagamento delle tasse e diritti con lo stesso sistema avrebbero indubbiamente caratterizzato il Codice per un maggiore raccordo con il criterio di cui alla lett. f) dell’art. 15 della legge di delega.
Si deve ancora rilevare che in più occasioni il percorso prescelto è stato quello delle legificazione di norme secondarie, come avviene, in particolare, con gli articoli 164, 165 e 170 per quel che concerne il D.M. 22 ottobre 1976 e con gli articoli 202 e seguenti per quel che riguarda il D.M. n. 342/1995.
Se è comprensibile che non sia del tutto agevole semplificare procedimenti amministrativi in buona parte disciplinati da norme comunitarie ed internazionali ed il Consiglio è, quindi, consapevole delle difficoltà incontrate nella formulazione del testo proposto, tuttavia, almeno con riguardo all’ambito dei procedimenti relativi alle registrazioni nazionali ed alle altre materie innanzi indicate, esisteva oggettivamente uno spazio di attuazione dei criteri di cui trattasi.
Infine è necessario ribadire (v. retro, n. 17.2., sub art. 122, comma 3) che dal punto di vista formale la citazione di atti legislativi e normativi, interni, comunitari ed internazionali non sempre è formulata correttamente con la indicazione completa degli estremi dei relativi atti (così per esempio all’art. 149, primo comma ed all’art. 163); analogamente alcuni organismi sono individuati in modo generico (art. 169, quinto comma), il Ministero delle politiche agricole e forestali che nell’art. 165, comma 1, lett. c, si precisa che verrà individuato in seguito come MIPAF viene invece indicato ancora con l’espressione per esteso (art. 170, primo comma, lett. a). E’, quindi, indispensabile una revisione formale del testo secondo canoni di corretta tecnica legislativa.
18.2. Si rassegnano qui di seguito le osservazioni, sia di carattere formale che con riguardo ai contenuti sostanziali, relative ad alcune disposizioni specifiche.
Art. 147, primo comma: l’espressione “all’atto del ricevimento lo attestano”, essendo riferita al deposito delle domande ed istanze di registrazione presso gli uffici, va sostituita con quella “rilasciano l’ attestazione dell’avvenuto deposito”.
Art. 149, primo comma: l’espressione “nelle modalità” è impropria perché le domande di brevetto possono essere depositate “secondo le modalità” dello specifico regolamento di attuazione, e può essere sostituita con la dizione “secondo le modalità”.
Art.163: il mero riferimento alle norme dei regolamenti comunitari citati nella disposizione in esame non appare sufficiente per chiarire la procedura per il conseguimento del certificato complementare. Sarebbe necessario precisare nel Codice l’organo competente all’esame, le modalità seguite per il rilascio del certificato nonché le fasi procedimentali di istruttoria e contraddittorio che sono espressamente previste per gli altri diritti di proprietà industriale contemplati dal Codice medesimo.
Art.169: nel richiamo contenuto nel terzo comma all’art. 161 va espunto il riferimento al quinto comma dello stesso articolo che non esiste.
Art.183: la disposizione prevede che l’esame delle opposizioni presentate alla registrazione dei marchi sia riservato a funzionari appartenenti alla carriera direttiva o dirigenziale dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi nominati con atto del Direttore Generale competente nel limite massimo di trenta unità. E’ previsto che i funzionari in parola seguano un corso di formazione organizzato dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e, per l’ipotesi che i funzionari nominati esaminatori siano in numero inadeguato rispetto alle esigenze, che si possa ricorrere ad esperti esterni ovvero a funzionari del Ministero delle Attività Produttive. In relazione alla delicatezza e difficoltà delle decisioni relative al procedimento di opposizione ed alla necessità di disporre di competenze anche tecniche e professionali per effettuare le valutazioni che si possono presentare nel corso del procedimento stesso, si sottopone alla valutazione dell’Amministrazione l’opportunità di specificare i requisiti degli esaminatori esterni ed i criteri perla scelta di essi.
Art. 184: non appare opportuna la disposizione contenuta nella seconda parte dell’articolo in questione che prevede la facoltà di graduare l’entrata in vigore delle norme sul procedimento di opposizione soltanto ad alcune delle classi di prodotti e servizi per i quali possono essere registrati i marchi d’impresa secondo l’Accordo di Nizza in relazione ad esigenze organizzative non meglio precisate e che determinerebbero la sospensione della applicabilità di un istituto fondamentale per la efficace tutela dei marchi registrati .
Art. 192: la previsione della possibilità di riaprire i termini non rispettati con l’iniziativa del richiedente o del titolare del diritto di proprietà industriale che provi entro due mesi dalla scadenza del termine di aver adempiuto a quanto era prescritto non può essere condivisa per una duplice ragione: sia in relazione alla norma generale, contenuta nell’art. 191, secondo cui è consentito prima della scadenza del termine chiedere ed ottenere una proroga del termine, per cui chi ritenga di non poter essere tempestivo e sia diligente può evitare gli effetti negativi della scadenza del termine che non può osservare, sia con riguardo alla impossibilità della proroga di termini alla cui inosservanza è collegato un effetto decadenziale, termini che, per loro natura e funzione, sono improrogabili.
19. Il Capo VI contiene la regolamentazione dell’ordinamento professionale dei consulenti in proprietà industriale e disciplina la facoltà dei soggetti che avanzano domande o istanze all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi di farsi rappresentare nei relativi procedimenti (artt. 201-222).
L’ordinamento professionale è stato riordinato nel rispetto delle norme in vigore.
Si formulano, in ordine ai singoli articoli, le seguenti osservazioni:
Art. 203: nella previsione dei requisiti di correttezza formaleper l’iscrizione all’Albo occorre uniformarsi alla vigente disciplina dettata per altri Albi professionali, avendo presente, in particolare, la sopravvenuta normativa in materia di buona condotta civile e morale.
Art. 215: la norma definisce i compiti del Consiglio dell’ordine professionale. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiesto che sia esplicitato nel testo che ai componenti del Consiglio non sia corrisposto alcun compenso nè il rimborso di spese sostenute a qualsiasi titolo (vedi nota del 9 settembre2004 n.83291 dell’Ufficio del coordinamento legislativo). Tale rilievo può essere accolto parzialmente, nel senso di riconoscere unicamente il rimborso delle spese.
Art. 217: fra le attribuzioni del Consiglio dell’Ordine è prevista la facoltà del Ministro delle Attività Produttive di indicare con decreto specifici compiti. La norma, che è innovativa, appare eccessivamente generica e, qualora si intenda conservarla, andrebbe previsto che gli ulteriori compiti individuati dal Ministro abbiano carattere di strumentalità necessaria rispetto a quelli previsti dal Codice.
Art. 220: la disposizione non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare che può condurre alla irrogazione di sanzioni nei confronti di un iscritto all’Albo, una fase di contestazione degli addebiti precedente all’audizione dell’interessato che potrebbe, quindi, non avere notizia dei contenuti dei rilievi mossi nei suoi confronti nel momento in cui viene sentito. La modifica dell’articolo in esame sul punto appare indispensabile.
20. Il Capo VII del Codice (artt. 223-230) contiene la disciplina della gestione dei servizi diretti a garantire un efficace sistema di tutela della proprietà industriale e dei diritti posti a carico degli utenti dei servizi definendo i compiti dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e contemplando una ampia autonomia finanziaria e contabile fondata sulla percezione di diritti per il compimento di ogni attività prevista nel Codice a tutela della proprietà industriale (conseguimento dei titoli di proprietà, concessioni, opposizioni, trascrizioni, rinnovo e mantenimento in vita dei titoli).
L’entità dei diritti è determinata con provvedimento del Ministro per le Attività Produttive di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Le risorse finanziarie dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi sono costituite, inoltre, dalle disponibilità iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero delle Attività produttive e da una quota del cinquanta per cento delle tasse annuali per il mantenimento in vita dei titoli brevettuali europei.
In ordine alla disposizione (art. 224) che disegna questo quadro finanziario vi è il parere negativo espresso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella nota innanzi richiamata, che si fonda su una duplice argomentazione: la mancanza nella legge di delegazione di una norma specifica che autorizzi la riassegnazione dei diritti all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e l’assenza di una idonea copertura finanziaria del provvedimento posto che le somme in questione sono acquisite al bilancio dello Stato.
Merita attenzione anche la norma del Codice che definisce i compiti dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (art. 223) che, al terzo comma, lett.e), prevede l’effettuazione da parte dell’Ufficio, a richiesta di privati di servizi a pagamento.
Anche questa disposizione, in astratto, potrebbe rientrare nell’ambito del criterio di delega ora ricordato, che consente la previsione di forme di autonomia finanziaria dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi; essa tuttavia, almeno nella formulazione adottata, può apparire incompatibile con la natura delle funzioni svolte dall’Ufficio che assumono anche natura contenziosa, come in materia di opposizione alla registrazione dei marchi, e che non si conciliano con rapporti di tipo negoziale con soggetti privati anche se aventi ad oggetto servizi non istituzionali.
La delicatezza delle funzioni svolte dall’Ufficio postula che la sua posizione di imparzialità ed indipendenza sia rafforzata rispetto a quella propria di tutti gli organi della Pubblica Amministrazione, mentre la previsione in esame rischia di far apparire meno neutrale l’operato dell’Ufficio che potrebbe essere chiamato ad istruire domande o istanze di soggetti con i quali è in rapporti contrattuali.
Peraltro nel Codice emerge la preoccupazione di una non assoluta adeguatezza delle strutture istituzionali per far fronte ai compiti attribuiti (l’art. 184 prevede che per esigenze organizzative possa essere rinviata almeno in parte l’operatività del regime delle opposizioni alla registrazione dei marchi), dal che discende quantomeno la inopportunità di una disposizione che potrebbe distogliere risorse personali ed organizzative dall’adempimento dei compiti istituzionali.
21. Il Capo VIII reca le norme transitorie e le abrogazioni (artt. 231-245).
La disciplina transitoria contiene la mera riproposizione delle norme transitorie presenti in testi normativi abrogati di cui è ritenuto utile mantenere l’efficacia per consentirne l’ulteriore applicazione alle fattispecie che rientrano nella disciplina transitoria dei testi stessi. Le relative disposizioni vanno pertanto condivise.
Nell’art. 245, recante le abrogazioni, essendosi seguito il metodo di indicare per ogni lettera un provvedimento normativo abrogato, occorre correggere le lettere p), u), dd) che indicano come abrogati, rispettivamente, due provvedimenti, tre provvedimenti, tre provvedimenti normativi.
P. Q. M.
l’Adunanza generale del Consiglio di Stato esprime parere favorevole con le esposte osservazioni.
Per estratto dal verbale
Il Segretario delegato
per il Consiglio di Stato
(Paolo Troiano)
Visto:
Il Presidente del Consiglio di Stato
(Alberto de Roberto)
CONFERENZA UNIFICATA
Parere, ai sensi dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo 8 agosto 1997, n. 281, sullo schema di decreto legislativo recante il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale, "Codice della proprietà industriale".
Repertorio Atri n. 789/CU del 28 ottobre 2004
LA CONFERENZA UNIFICATA
Nell'odierna seduta del 28 ottobre 2004
VISTA la legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante "Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza" e, in particolare, l'art. 15 che conferisce al Governo la delega per operare il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale, secondo i criteri e i principi direttivi indicati al comma 1;
VISTI gli articoli 16 e 17 della stessa legge n. 273/2002, che delegano il Governo a istituire sezioni dei Tribunali specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale e dispongono affinché si proceda all'operabilità del diritto di autore sui disegni e modelli industriali;
VISTO lo schema di decreto legislativo elaborato dal Ministero delle attività produttive per il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 10 settembre 2004 e trasmesso con nota DAGL n. 16974 del 13: settembre 2004;
CONSIDERATI gli esiti della riunione tecnica svoltasi in data 8 ottobre 2004, nel corso della quale le Regioni non hanno formulato osservazioni di merito e l'ANCI ha espresso il proprio avviso favorevole allo schema di decreto legislativo in esame;
VISTA la nota del coordinamento interregionale; iai materia di industria, trasmesso in data 14 ottobre 2004 (prot.123/24257), con la quale si confèrma il parere favorevole sul provvedimento in esame;
VISTI gli esiti dell'odierna seduta, nel corso della quale le Regioni, l'ANCI, l'UPI e l'UNCEM hanno espresso il proprio avviso favorevole allo schema in esame:
CONFERENZA UNIFICATA
ESPRIME PARERE FAVOREVOLE
sullo schema di decreto legislativo recante il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale, "Codice della proprietà industriale".
Il Segretario Il Presidente
Dott. Riccardo Carpino Prof. Sen. Enrico La Loggia
[1] Il termine per l’esercizio della delega, inizialmente fissato in diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge delega, è stato prolungato di sei mesi dall’art. 2, comma 8, della legge 27 luglio 2004, n. 196 , per cui la scadenza del termine è ora stabilita alla data del 29 dicembre 2004.
[2] Il comma 2 dell’art. 1 della l. n. 229/2003 prevede, segnatamente, che “le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dal presente articolo, si applicano anche alle deleghe legislative in materia di semplificazione e riassetto normativo conferite con leggi approvate dal Parlamento nel corso della presente legislatura prima della data di entrata in vigore della presente legge”.
[3] Soppresso dall’art. 23, comma 3, della l. n. 229 del 2003.
[4] La legge n. 229 del
[5] Nel parere reso dal Consiglio di Stato si afferma come l’eliminazione, ove possibile, dell’intervento normativo-burocratico, sembri costituire il contenuto più chiaramente innovativo dei “codici” di questa nuova fase alla stregua dei nuovi criteri contenuti nell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, applicabili anche alla delega in oggetto.
[6] I criteri di delega di cui all’articolo 15, comma 1, lettere b), c), d), e), h) comportano infatti una vera e propria delega legislativa di “riforma” del settore, posto che essi prevedono: l’adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta (lett.b); la revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti (lett.c); l’adeguamento della disciplina alle moderne tecnologie informatiche (lett.d); il riordino e potenziamento della struttura istituzionale preposta alla gestione della normativa, con previsione dell'estensione della competenza anche alla tutela del diritto d'autore sui disegni e modelli, anche con attribuzione di autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale (lett.e); la previsione che la rivelazione o l'impiego di conoscenze ed esperienze tecnico-industriali, generalmente note e facilmente accessibili agli esperti e operatori del settore, non costituiscono violazioni di segreto aziendale (lett.h).
[7] Nel parere espresso dal Consiglio di Stato sono stati qualificati come criteri metodologici di “codificazione” del settore quelli di cui alle lettere a), f) e g), che prevedono: la ripartizione della materia per settori omogenei e il coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica (lett.a); l’introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi (lett.f); la delegificazione e il rinvio alla normazione regolamentare della disciplina dei procedimenti amministrativi, secondo i criteri di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (lett.g).
[8] Paragrafo 6, pagg. 24 e seguenti.
[9] In attuazione della delega di cui all’art. 16 legge n. 273 del 2002.
[10] L’accordo TRIP’s, ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747 ed attuato con il D.Lgs. n.198/96, costituisce parte integrante del GATT, concluso a Marrakesh il 15 aprile 1994.
[11] Si ricorda, in proposito, come nella materia in oggetto sia originariamente stata prevista una delega al Governo dal’atto camera 2031-TER, risultante dallo stralcio dell’articolo 6 del disegno di legge C.2031, recante misure per favorire la concorrenza. Il disegno di legge in materia di protezione delle invenzioni biotecnologiche è stato quindi approvato dalla Camera il 26 settembre 2002, successivamente è stato approvato, con modificazioni, dal Senato, in data 2 aprile 2003, e poi nuovamente approvato, con modificazioni, dalla Camera, in data 26 giugno 2003; il disegno di legge si trova pertanto attualmente in quarta lettura all’esame del Senato (atto S.1745-B), dove le CommissionI riunite 10° (Industria, commercio e turismo) e 12° (Igiene e sanità) ne hanno concluso l’esame in sede referente.
[12] Nel testo A-R.
[13] Il comma 2 dell’art. 1 della l. n. 229/2003 prevede, segnatamente, che “le disposizioni di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dal presente articolo, si applicano anche alle deleghe legislative in materia di semplificazione e riassetto normativo conferite con leggi approvate dal Parlamento nel corso della presente legislatura prima della data di entrata in vigore della presente legge”.
[14] L’accordo TRIP’s, ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747 ed attuato con il D.Lgs. n.198/96, costituisce parte integrante del GATT, concluso a Marrakesh il 15 aprile 1994.
[15] Si ricorda, in proposito, come nella materia in oggetto sia originariamente stata prevista una delega al Governo dall’atto camera 2031-TER, risultante dallo stralcio dell’articolo 6 del disegno di legge C.2031, recante misure per favorire la concorrenza. Il disegno di legge in materia di protezione delle invenzioni biotecnologiche è stato quindi approvato dalla Camera il 26 settembre 2002, successivamente è stato approvato, con modificazioni, dal Senato, in data 2 aprile 2003, e poi nuovamente approvato, con modificazioni, dalla Camera, in data 26 giugno 2003; il disegno di legge si trova pertanto attualmente in quarta lettura all’esame del Senato (atto S.1745-B), dove le CommissionI riunite 10° (Industria, commercio e turismo) e 12° (Igiene e sanità) ne hanno concluso l’esame in sede referente.
[16] Devono essere richiamati, in proposito, i commi 72, 73, 79, 80 e 81 della legge 24 dicembre 2003, n.350, che vengono pertanto abrogati dall’articolo 45, comma 1, lettera nn) del Codice.
[17] D. lgs. n. 447/1999 “Disposizioni in materia di marchi d'impresa per l'applicazione del protocollo relativo all'intesa di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi”.
[18] Art. 15 lettera f)” introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi”
[19] L’ammontare indicato corrisponde al 50% del costo della ricerca europea svolta dall’EPO moltiplicato per il numero, attualmente registrato in Italia, di domande di brevetto
[20] In quanto è già stata svolta dalla stessa EPO al seguito del deposito di domanda per brevetto nazionale