XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni |
Altri Autori: | Servizio Biblioteca |
Titolo: | Regno Unito (10-12 gennaio 2006) |
Serie: | Missioni di studio Numero: 45 |
Data: | 21/12/05 |
Abstract: | Schede e documentazione |
Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
Servizio studi – Servizio biblioteca |
missioni di studio |
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Regno Unito (10-12 gennaio 2006) |
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n. 45
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xiv legislatura 21 dicembre 2005 |
Camera dei deputati
SIWEB
Il presente dossier è stato realizzato in occasione della missione di studio nel Regno Unito organizzata dalla I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati per i giorni 10-12 gennaio 2006, finalizzata ad acquisire elementi conoscitivi in ordine ai modelli costituzionali e legislativi vigenti nel Regno Unito con riferimento ad una pluralità di materie di interesse della I Commissione.
Il dossier è stato realizzato dal Servizio studi – Dipartimento istituzioni e dal Servizio biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera.
Ha altresì partecipato il Dipartimento affari esteri del Servizio studi.
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ac0817.doc
INDICE
§ La potestà legislativa statale e regionale
§ Premessa
§ Il Dipartimento per gli Affari costituzionali e la riforma costituzionale
§ Il codice per le consultazioni pubbliche
§ Il decentramento territoriale e gli organi dell’autonomia
§ L’autonomia dell’Irlanda del Nord
§ Iniziative per il decentramento in Inghilterra
§ Premessa
§ Ammissione e soggiorno dello straniero
§ Immigrazione e diritto di asilo
§ Matrimonio a scopo di immigrazione
§ Premessa
§ Giustizia penale e tutela dell’ordine pubblico
§ La legislazione anti-terrorismo
§ Prospettive di riforma della legislazione anti-terrorismo e in materia di sicurezza
Documentazione
Ministero degli Affari esteri
§ Scheda Paese (Regno Unito)
Nelle tabelle che seguono sono messi a confronto alcuni aspetti dei sistemi costituzionali britannico e italiano. Per quanto riguarda l’Italia si è preso in considerazione, oltre alla Costituzione vigente, anche l’assetto costituzionale risultante dal testo di legge di riforma della Parte II della Costituzione approvato in via definitiva dalle Camere e pubblicato il 18 novembre 2005. Dal momento che nella seconda deliberazione non è stato raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, dalla data di pubblicazione decorrono i tre mesi entro i quali sarà possibile proporre il referendum ai sensi dell’art. 138 della Costituzione.
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REGNO UNITO |
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ITALIA |
Composizione e durata |
La Camera dei Lord è composta da: 600 Lord vitalizi (Life Peers), nominati dal Sovrano su indicazione del Primo Ministro (e previa consultazione tra questo e i capi degli altri due maggiori partiti in modo da assicurare l’equilibrio della rappresentanza politica); 92 Lord ereditari; l’attuale numero è stato fissato (in luogo dei precedenti 700) a seguito della riforma della Camera dei Lord introdotta nel 1999, in attesa di portare a compimento la progettata abrogazione della carica ereditaria; 12 Lord giudiziari (Law Lords), nominati a vita tra i magistrati cessati, dopo i 70 anni di età, dalle funzioni giurisdizionali esercitate dalla stessa Camera quale Corte di supremo appello; 26 ecclesiastici (Vescovi ed Arcivescovi della Chiesa Anglicana). |
Il Senato della Repubblica, eletto per cinque anni, è composto da: 309 senatori (eletti su base regionale) scelti tra gli elettori ultraquarantenni che abbiano i requisiti previsti dalla legge; 6 senatori eletti nella circoscrizione estero; sino a 5 senatori a vita nominati dal Capo dello Stato; i senatori di diritto a vita (ex Presidenti della Repubblica). (artt. 57-60) Il Presidente della Repubblica può sciogliere anticipatamente le Camere, sentiti i loro Presidenti. (art. 88) |
Il Senato federale della Repubblica è composto da 252 senatori, eletti su base regionale e contestualmente ai consigli regionali, scelti tra gli elettori che hanno compiuto 25 anni di età e che ricoprono o abbiano ricoperto cariche elettive locali, siano stati eletti deputati o senatori nella Regione, o abbiano la residenza nella Regione. La legge elettorale “garantisce la rappresentanza territoriale” dei senatori. Partecipano all’attività del Senato, senza diritto di voto, rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. (artt. 57-60) Il Senato non ha una durata predefinita ma è soggetto a rinnovi parziali in occasione del rinnovo dei singoli consigli regionali che durano un carica 5 anni (fatta salva l’eventualità di scioglimento anticipato). |
Funzioni |
Le funzioni della Camera dei Lord, radicate in larga parte nella tradizione ed attualmente in fase evolutiva nel quadro di una riforma costituzionale, si esplicano nell’ambito legislativo e in quello giurisdizionale. La funzione legislativa è, in linea di principio, identica a quella della Camera dei Comuni. In relazione alla natura non elettiva della Camera Alta la sua competenza legislativa in materia finanziaria e tributaria è formalmente esclusa da una tradizionale riserva di competenza (c.d. privilegio finanziario) a favore della Camera dei Comuni. Tale riserva non preclude in tale ambito iniziative da parte dei Lord ma la decisione finale spetta comunque ai Comuni. Oltre alle competenze legislative, la Camera dei Lord esercita funzioni ispettive e di controllo sull’attività del Governo attraverso le sue Commissioni permanenti. Particolarmente penetrante è il controllo tecnico sulla legislazione delegata (Statutory Instruments). Per quanto concerne la materia comunitaria, attraverso la Commissione per l’Unione europea (articolata in 7 sotto-commissioni) i Lord esaminano le iniziative relative agli atti comunitari e formulano apposite relazioni concernenti le questioni comunitarie. Le funzioni giurisdizionali sono esercitate dalla Camera dei Lord in qualità di suprema corte d’appello del Regno Unito in materia civile e penale. |
Al Senato sono attribuite le medesime funzioni della Camera dei deputati (funzione legislativa, di controllo e di indirizzo politico etc.). (artt. 70 ss.) |
Le funzioni legislative di Camera e Senato sono differenziate. Quest’ultimo: approva i disegni di legge relativi ai princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente Stato-regioni; può proporre modifiche ai progetti di legge di competenza della Camera; partecipa all’approva-zione delle leggi nelle materie il cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere; esprime un parere sullo scioglimento dei Consigli regionali e sulla rimozione dei Presidenti delle Giunte; partecipa (in seno all’Assemblea della Repubblica) all’elezio-ne del Presidente della Repubblica; elegge un sesto dei membri del C.S.M. e (in composizione integrata dai presidenti delle Giunte regionali e delle province autonome) 4 giudici della Corte Costituzionale. (artt. 70, 72, 83, 104, 126, 135) |
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REGNO UNITO |
ITALIA |
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Competenze delle Camere |
Ogni progetto di legge deve essere approvato nel medesimo testo da entrambi i rami del Parlamento. |
Il sistema vigente può definirsi di “bicameralismo perfetto”: ogni progetto di legge è esaminato da entrambe le Camere (“la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle Camere”). (art. 70) |
Prevede il superamento del “bicamera-lismo perfetto”, introducendo leggi ad approvazione monocamerale: la Camera dei deputati approva i progetti di legge concernenti le materie di legislazione statale esclusiva; il Senato federale approva i progetti di legge relativi ai princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente Stato-Re-gioni; le leggi bicamerali sono ancora previste in alcune materie: determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, autonomia finanziaria degli enti territoriali, sistema elettorale, etc.. (art. 70) |
Iniziativa legislativa |
Spetta al Governo ed ai membri del Parlamento. Anche in ragione della rigida ripartizione dei tempi del lavoro parlamentare fra maggioranza ed opposizione, la gran parte dei progetti di legge esaminati ed approvati risale all’iniziativa governativa. Strettamente riservata al Governo è l’iniziativa delle leggi che comportino oneri al bilancio il cui esame, a differenza degli altri progetti di legge, deve per prassi iniziare alla Camera dei Comuni. |
Spetta al Governo, a ciascun parlamentare, a 50.000 elettori, al CNEL, ai Consigli regionali. La presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi è autorizzata dal Presidente della Repubblica. (art. 71, 87, 99, 121) |
Spetta ai medesimi soggetti, ma ciascun parlamentare lo esercita entro le competenze della Camera di appartenenza. Ogni progetto di legge è presentato alla Camera competente. Non è più richiesta l’autorizzazione del Capo dello Stato per la presentazione dei disegni di legge governativi. (artt. 71, 99, 121) |
Esame ed approvazione |
I progetti di legge presentati alla Camera dei Comuni si distinguono in progetti di interesse pubblico (Public bill), che se approvati divengono leggi di portata generale, e in progetti di interesse locale o privato (Local o Private bill). Una terza categoria (Hybrid bill) costituita da progetti che riuniscono disposizioni di interesse pubblico e di interesse locale, richiede il previo esame delle singole disposizioni da parte di un apposito collegio affinché vengano ricondotte, ai fini del procedimento legislativo, ad una delle due principali categorie di progetti di legge. Per la presentazione dei Public bill, che costituiscono la maggior parte dei testi di legge approvati dal Parlamento, le norme di procedura della Camera dei Comuni prevedono distinte modalità secondo l’iniziativa, rispettivamente, del Governo (Government bill) o di singoli deputati (Private Members’ bill). In materia di tassazione e spesa pubblica, l’approvazione finale dei progetti di legge è riservata alla Camera dei Comuni. In determinate circostanze previste dalla legge (Parliament Act del 1911, come modificato dal successivo Parliament Act del 1949), la Camera dei Comuni può trasmettere al Sovrano per l’assenso regio, un progetto di legge da essa approvato e rispetto al quale l’esame da parte dei Lord non è stato ultimato entro i termini di legge. Tale particolare procedura, applicata una sola volta dal 1949 ad oggi per il War Crimes Act 1991, non vale tuttavia per i progetti di legge con cui si intenda prolungare la durata ordinaria della legislatura. |
Ogni progetto di legge, presentato ad una Camera, è esaminato prima da una commissione e poi dall’Assemblea plenaria che lo approva articolo per articolo e infine con votazione finale. Accanto al procedimento ordinario (obbligatorio per alcuni tipi di legge, quali quelle in materia costituzionale ed elettorale) sono previsti due procedimenti abbreviati: l’approvazione in Commissione in sede legislativa che la conclusione del procedimento interamente all’interno di una Commissione senza passare per l’esame dell’Assemblea; e l’esame in sede redigente che comporta l’approvazione in Assemblea di un progetto i cui articoli sono formulati in Commissione, senza che l’Aula possa modificarne il testo. (art. 72) |
Il procedimento di esame dei progetti di legge è integrato da ulteriori disposizioni, rese necessarie a causa della differenziazione delle competenze legislative tra Camera e Senato e dalla introduzione di leggi monocamerali e bicamerali. Leggi monocamerali: il progetto di legge è approvato dalla Camera competente per materia; l’altra Camera può tuttavia esaminarlo e formulare proposte di modifica, sulle quali decide in via definitiva la Camera competente; per i soli progetti di legge di competenza del Senato federale, il Governo può dichiarare che le proprie proposte di modifica siano essenziali per l’attuazione del suo programma ovvero nel caso di interventi legislativi sostitutivi nei confronti delle regioni, e chiedere - previa autorizzazione del Presidente della Repubblica – al Senato di adeguarsi; se le proposte non sono accolte dal Senato il disegno di legge è trasferito alla Camera; le questioni di competenza tra le due Camere sono decise dai rispettivi Presidenti, d’intesa tra di loro, o da un Comitato paritetico composto da quattro deputati e quattro senatori. Leggi bicamerali: il progetto di legge deve essere approvato nel medesimo testo da entrambi i rami del Parlamento; se, dopo una prima lettura, ciò non avviene, è convocata dai Presidenti una Commissione paritetica incaricata di predisporre un testo unificato, da sottoporre al voto finale delle due Camere. (art. 70) |
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REGNO UNITO |
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Nomina del Capo del Governo |
Il Primo ministro è nominato dal Sovrano sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei Comuni. La nomina ricade necessariamente sul leader del partito che nelle elezioni politiche consegue la maggioranza nella Camera dei Comuni che in tal modo costituisce un interlocutore condizionante per la scelta del Sovrano, la cui posizione rimane rigorosamente imparziale. Una situazione potenzialmente critica si determina invece quando le elezioni non esprimano una chiara maggioranza (il c.d. hung Parliament). |
Spetta al Presidente della Repubblica nominare il Presidente del Consiglio dei ministri (l’ampiezza della discrezionalità della scelta del Capo dello Stato dipende dai risultati elettorali e dal quadro politico). (art. 92) |
Il Primo ministro è nominato dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati (la scelta presidenziale, dunque, non presenta più margini di discrezionalità). La candidatura alla carica di Primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione della Camera; la legge disciplina l’elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro (le elezioni dovranno dunque svolgersi secondo modalità che consentano una designazione popolare del premier). (art. 92) |
Poteri del Capo del Governo |
Il Primo ministro: nomina e revoca i ministri; determina la politica generale del Governo, attraverso il Cabinet, e ne è responsabile; garantisce l’unità di indirizzo politico e amministrativo; dirige, promuove e coordina l’attività dei ministri; rappresenta il canale esclusivo di comunicazione con il Sovrano a cui può chiedere, assumendone l’esclusiva responsabilità, lo scioglimento anticipato della Camera dei Comuni; fissa, attraverso il portavoce del Governo nella Camera dei Comuni (Leader of the House of Commons), l’ordine del giorno della Camera dei Comuni; propone al Sovrano un’ampia serie di nomine nelle magistrature superiori, nella pubblica amministrazione, in vari enti ed istituzioni pubbliche e nella Chiesa Anglicana (c.d. patronage). |
Il Presidente del Consiglio dei ministri: propone al Presidente della Repubblica la nomina dei ministri. dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo; promuove e coordina l’attività dei ministri. (artt. 92, 95) |
Il Primo ministro: nomina e revoca i ministri; determina la politica generale del Governo e ne è responsabile; garantisce l’unità di indirizzo politico e amministrativo; dirige, promuove e coordina l’attività dei ministri; può chiedere al Presidente della Repubblica, assumendone l’esclusiva responsabilità, lo scioglimento della Camera dei deputati. (artt. 88, 95) |
Rapporto fiduciario con le Camere |
Per convenzione costituzionale, la fiducia della Camera dei Comuni è presunta nei confronti del Primo Ministro designato dal Sovrano. Alcuni commentatori individuano un momento di espressione formale della fiducia al Governo nell’approvazione parlamentare di un indirizzo di risposta (Address of Reply) al discorso della Corona con cui all’inizio di ogni sessione annuale si annunciano i contenuti salienti del programma legislativo del Governo per la sessione che si apre. In riferimento a tale ricostruzione, l’approvazione di un indirizzo di risposta nettamente contrario ai contenuti del discorso della Corona, così come la reiezione del bilancio, avrebbero valenza analoga all’espressione della sfiducia. Questa può essere invece formalmente espressa mediante una mozione di censura, la cui approvazione induce per prassi il Governo alle dimissioni oppure a richiedere al Sovrano lo scioglimento della Camera dei Comuni. La posizione della questione di fiducia non fa parte della tradizione della Camera dei Comuni. Qualora nelle votazioni parlamentari il Governo venga messo in minoranza, il Primo ministro resta libero di apprezzarne le conseguenze. |
Per entrare nella pienezza delle sue funzioni il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere: a tal fine, entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenta in Parlamento. La mozione di fiducia deve essere motivata e votata per appello nominale; un decimo dei componenti di ciascuna Camera può presentare una mozione di sfiducia che, se accolta, obbliga il Governo alle dimissioni. Tale obbligo non discende, invece, dal voto contrario di una o di entrambe le Camere su un provvedimento del Governo (salvo che su di esso non sia stata posta la c.d. questione di fiducia). La mozione di sfiducia non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere motivata e votata per appello nominale. (art. 94) |
Il rapporto di fiducia non viene meno ma interessa la sola Camera dei deputati: entro dieci giorni dalla formazione del Governo il Primo ministro illustra il programma di legislatura e la composizione del Governo alle Camere. La Camera dei deputati si esprime sul programma con un voto, ma non sono precisati gli effetti di tale votazione. Il Primo ministro presenta ogni anno un rapporto sulla attuazione del programma e sullo stato del Paese; il Primo ministro può porre la questione di fiducia e chiedere che la Camera dei deputati si esprima con voto conforme su una proposta del Governo; in caso di voto contrario egli rassegna le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglie la Camera. Il Primo ministro può altresì chiedere al Presidente della Repubblica, assumendone l’esclusiva responsa-bilità, lo scioglimento della Camera dei deputati; nei due casi precedenti (e in caso di morte o impedimento permanente o dimissioni del Primo ministro) non si procede allo scioglimento e a nuove elezioni se, entro 20 giorni, la maggioranza espressa dalle elezioni voti alla Camera una mozione che indica il nome del nuovo Primo ministro; La Camera può votare in qualsiasi momento una mozione di sfiducia che determina l’obbligo di dimissioni per il Primo ministro. L’obbligo permane anche se la mozione è respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza. L’approvazione della mozione provoca anche lo scioglimento della Camera, a meno che la stessa mozione non indichi contemporaneamente la designazione di un nuovo Primo ministro (sfiducia costruttiva). Anche in questo caso la maggioranza che approva la mozione deve essere la stessa espressa dalle elezioni. (artt. 88, 92, 94) |
La potestà legislativa statale e regionale
REGNO UNITO |
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La competenza legislativa del Parlamento inglese è attualmente limitata alle materie riservate espressamente allo Stato dalle leggi di decentramento politico-istituzionale (Devolution) approvate a partire dal 1998. L’estensione di tale ambito di competenza varia in relazione alla diversa ampiezza delle attribuzioni riconosciute, rispettivamente, alle assemblee legislative istituite in Scozia, nel Galles e nell’Irlanda del Nord. Nel caso dell’autonomia scozzese, che beneficia rispetto alle altre di un più ampio novero di competenze trasferite, sono rimasti comunque riservati al Governo centrale i seguenti gruppi di materie: ordinamento giudiziario, difesa e sicurezza nazionale; politica estera; cooperazione internazionale; ordinamento del pubblico impiego; economia e finanza; ordine pubblico e tutela di diritti fondamentali; industria e commercio; energia; trasporti; politica economica e monetaria; repressione del terrorismo e del traffico e del consumo di stupefacenti; immigrazione, diritto d’asilo, cittadinanza, estradizione; tutela dei dati personali; legislazione elettorale; disciplina della detenzione di armi, del gioco e della scommessa, della sperimentazione su animali, della censura; disciplina societaria e fallimentare, tutela della concorrenza e della proprietà intellettuale, servizio postale, controlli doganali, pesca, tutela dei consumatori; disciplina della sicurezza dei prodotti, dei pesi e delle misure, delle telecomunicazioni, della individuazione delle aree depresse, della tutela degli interessi economici e commerciali nazionali. |
In seguito alla riforma approvata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, allo Stato spetta la potestà legislativa esclusiva in determinate materie espressamente indicate, mentre tutte le altre sono di competenza delle regioni, ad eccezione di alcune materie di “legislazione concorrente”, per le quali allo Stato spetta la determinazione dei principi fondamentali, mentre alle regioni spetta la definizione delle norme di dettaglio. Le principali materie di competenza esclusiva dello Stato sono: politica estera; diritto di asilo e immigrazione; rapporti con le confessioni religiose; difesa; sicurezza e ordine pubblico; tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; organi dello Stato e relative leggi elettorali; ordinamento e organizzazione amministrativa; cittadinanza, stato civile e anagrafi; ordinamento giudiziario; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; norme generali sull’istruzione; previdenza sociale; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali; tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Queste le materie a legislazione concorrente Stato-regioni: rapporti internazionali delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; aziende di credito a carattere regionale. (Art. 117) |
E’ introdotta la competenza legislativa “esclusiva“ delle regioni concernente, oltre che le materie non riservate allo Stato, anche alcune materie espressamente indicate: assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica; polizia amministrativa regionale e locale. Inoltre, alcune materie a legislazione concorrente sono state trasferite, in tutto o in parte, sotto la potestà esclusiva dello Stato: sicurezza del lavoro e norme generali di tutela della salute; ordinamento della comunicazione (ad eccezione della comunicazione di interesse regionale); grandi reti di trasporto; produzione, distribuzione e trasporto nazionali di energia; ordinamento delle professioni intellettuali e ordinamento sportivo nazionale. (Art. 117) |
Il Governo in carica ha delineato e in parte attuato, negli ultimi anni, una riforma che ha interessato differenti ambiti dell’organizzazione costituzionale dello Stato. Assieme all’approvazione, nel 2000, dello Human Rights Act che incorporando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha avuto notevole impatto sull’ordinamento britannico, sono infatti da registrare, tra le più significative innovazioni istituzionali, la modifica della composizione della Camera Alta e del suo ruolo, in particolare attraverso una più accentuata differenziazione tra le competenze legislative e giurisdizionali da questa tradizionalmente esercitate; l’istituzione di un nuovo Dipartimento governativo le cui attribuzioni si correlano in particolare, alla riforma dell’ordinamento giudiziario e alla tutela dei diritti fondamentali; la “codificazione”, ad opera del Governo, delle procedure (finora rimesse alla prassi) per l’esperimento delle consultazioni pubbliche (“public consultations”); il decentramento territoriale e la devoluzione di competenze ad organi di governo locale (“devolution”).
Di sicuro rilievo, per le ricadute di ordine costituzionale su una tradizione giuridica come quella britannica, è stata l’istituzione, il 12 giugno 2003, del nuovo Dipartimento governativo per gli Affari costituzionali (Department for Constitutional Affairs, DCA), le cui attribuzioni si correlano alla riforma dell’ordinamento giudiziario e alla tutela dei diritti fondamentali. Benché le funzioni del Lord Chancellor fossero affidate (come sono tuttora, in una fase che si intende transitoria) al Ministro a capo del nuovo Dipartimento, la riforma anticipava l’obiettivo del superamento della figura tradizionale dello stesso Lord Chancellor (il quale nell’ordinamento previgente rivestiva i ruoli, ad un tempo, di Ministro del Cabinet, di vertice dell’ordinamento giudiziario[1] e di Speaker della Camera dei Lord), e prefigurava l’introduzione di istituti conformi al principio della divisione tra i poteri dello Stato, in particolare per quanto concerne la separazione della funzione legislativa da quella di alta giurisdizione, quest’ultima assegnate ad una Corte Suprema di nuova istituzione e non più alla Camera dei Lord.
Di tali più incisive innovazioni è stato strumento il Constitutional Reform Act del 2005, le cui disposizioni, approvate ad esito di un laborioso iter parlamentare, si inscrivono a loro volta in un più ampio progetto riformatore dell’ordinamento istituzionale delineato dal Governo in carica già nei precedenti programmi elettorali, e finora concretatosi, in particolare, negli interventi legislativi che nel recente passato hanno mutato la composizione della Camera dei Lord.
Principale finalità della legge di riforma, come si è detto, è la separazione tra i poteri dello Stato attraverso il conferimento di un nuovo ed autonomo assetto al potere giudiziario. A ciò il legislatore è giunto, per un verso, riconoscendo e conservando ai Lord (com’era stato annunciato in documenti di studio diffusi a partire dal 2000[2] dopo che erano state accantonate alcune originarie e più dirompenti proposte) un ruolo fondamentale nel quadro di un sistema costituzionale di pesi e contrappesi; per altro verso, ha perseguito di questo ramo del Parlamento, rispetto ai Comuni, una differenziazione di compiti per alcuni versi più esplicita e marcata di quanto prima non fosse per effetto delle convenzioni costituzionali. Le attribuzioni che si sono riservate ai Lord sono espressione, nel complesso, di una funzione di ponderazione e di revisione delle scelte compiute dai Comuni; di controllo sul Governo; di esame e dibattito di questioni di elevato rilievo istituzionale e sociale.
Ciò ha preliminarmente reso indispensabili, secondo il programma del Governo, una serie di iniziative dirette ad una complessiva “democratizzazione” della Camera dei Lord, realizzata mediante l’introduzione di un certo numero di membri elettivi, l’abolizione integrale della carica ereditaria di parte dei suoi membri (dopo la drastica riduzione del loro numero a seguito della riforma introdotta nel 1999 con il House of Lords Act[3]) e la nomina di membri ex officio a seguito della designazione effettuata da una commissione indipendente (Appointments Commission), responsabile del suo operato dinanzi al Parlamento anziché al Governo. I criteri di nomina di questa commissione – a sua volta costituita secondo procedure trasparenti ed immuni da influenze politiche – sono preordinati al fine di rispecchiare, in modo bilanciato, le diverse componenti politiche e sociali ed assicurare inoltre la rappresentanza dei gruppi minoritari o non adeguatamente rappresentati. Al Primo Ministro è riservato il potere di nominare cinque membri della Camera Alta.
A fondamento della riforma delineata nel Constitutional Reform Act sono posti i principi dell’indipendenza dei giudici e della salvaguardia del principio di legalità (rule of law), in relazione ai quali il legislatore esplicitamente preserva il ruolo costituzionale esercitato dal Lord Chancellor, essendo inoltre la carica corrispondente disciplinata sotto il profilo dei requisiti di qualificazione professionale e di esperienza che devono essere posseduti da chi ne sia investito dal Primo Ministro.
Dall’affermazione dell’indipendenza del potere giudiziario conseguono, da un lato, l’investitura del Lord Chief Justice a Presidente della Corte Suprema dell’Inghilterra e del Galles (carica prima detenuta dal Lord Cancelliere), e d’altro lato la creazione della Corte Suprema del Regno Unito, organo collegiale composto da 12 membri di elevata qualificazione ed esperienza giuridica (designati da un’apposita commissione, la Judicial Appointments Commission), e destinato ad assumere, oltre alla funzione di suprema istanza di appello, i compiti giurisdizionali esercitati, nell’ordinamento vigente, dalla Camera dei Lord e, per quanto attiene alle controversie tra Stato e le autonomie locali, dal Privy Council (“devolution jurisdiction”). Della Corte Suprema è prevista la separatezza anche fisica da Westminster e la dotazione di un’autonoma sede (individuata, recentemente, nell’edificio non distante di Middlesex Guidhall, in Parliament Square, le cui opere di adeguamento dovrebbero avere termine nel 2008).
Al Lord Chief Justice sono altresì attribuiti i compiti di organizzazione degli uffici giudiziari e di emanazione delle linee direttive concernenti le regole di procedura delle corti (practice directions), tradizionalmente spettanti al Lord Cancelliere.
E’ tratto tipico dell’ordinamento britannico che, per i provvedimenti di maggior rilievo, l’iniziativa legislativa del Governo sia corredata dalla pubblicazione di "Libri bianchi" - nei quali sono anticipati i salienti contenuti politici dei progetti di legge e i motivi della loro presentazione - o dalla previa diffusione di documenti redatti dai Dipartimenti governativi ed offerti alla consultazione della generalità del pubblico (public consultation). Siffatta attività preparatoria all’esame parlamentare di progetti di legge d’iniziativa governativa ha il fine di sollecitare la formulazione di osservazioni da parte delle componenti sociali a vario titolo interessate dal provvedimento (tra cui: associazioni imprenditoriali o dei consumatori, enti locali, organizzazioni sindacali o di volontariato) e di agevolare, anche attraverso le repliche motivate del Governo (“responses”), una istruttoria del progetto legislativo "partecipata", per quanto possibile, dai destinatari delle future disposizioni, nel presupposto che possano in tal modo formarsi favorevoli condizioni per la loro applicazione ed effettività.
A questo riguardo, la Regulatory Impact Unit (RIU) operante in seno al Cabinet Office ha predisposto (e pubblicato nel gennaio 2004) un codice di buona pratica in materia di consultazioni esperite nella fase pre-legislativa, vincolante nelle sue previsioni per quanto concerne le consultazioni promosse da Dipartimenti ed Agenzie governativi, salvo i casi in cui la elevata complessità della materia e il numero assai limitato di soggetti direttamente interessati rendano preferibili, a giudizio discrezionale degli stessi organi proponenti, modalità alternative di informazione del pubblico, purché conformi ai principi generali del codice. L’applicazione del codice è, inoltre, raccomandata anche per quanto concerne le analoghe procedure avviate, negli ambiti di loro competenza, dagli enti pubblici non governativi (“non-departmental public bodies”), dagli enti locali e dalle pubbliche amministrazioni delle regioni autonome (cosiddette “Devolved Administrations”).
I sei fondamentali criteri enunciati dal codice (con obbligo delle pubbliche amministrazioni di riprodurli in ogni documento da esse destinato alla consultazione pubblica) delineano il quadro formale entro cui si svolgono tali procedure, di guisa che esse devono avere le seguenti caratteristiche:
1) la public consultation deve essere promossa tempestivamente, non appena siano definiti i contenuti delle proposte cui si riferisce il processo decisionale avviato dall’organo proponente, e deve avere una durata non inferiore a 12 settimane (eccettuati casi motivati per i quali si prevedano periodi più brevi), affinché sia garantita la effettiva partecipazione dei soggetti e dei gruppi interessati attraverso la produzione di documenti scritti (written consultation);
2) l’informazione relativa al contenuto della proposte deve essere chiara e completa, affinché i pareri acquisiti dai soggetti interessati siano pertinenti; la formulazione dei pareri e delle risposte delle parti interessate deve essere consentita, ove possibile, indipendentemente da opzioni predeterminate; è incoraggiata, inoltre, la produzione di dati e documenti a corredo delle opinioni espresse;
3) il testo del documento sottoposto alla pubblica consultazione deve essere redatto in un linguaggio chiaro (evitando espressioni tecniche ogni volta ciò sia possibile), conciso (riassumendone i contenuti essenziali in brevi introduzioni) ed accessibile (nei formati tradizionali ed elettronici idonei a garantirne la più ampia diffusione);
4) l’organo che ha promosso la consultazione deve dare riscontro ai soggetti che vi hanno partecipato, in modo che questi ultimi possano apprendere quale incidenza i pareri da loro espressi ha avuto sulle decisioni pubbliche; in particolare, deve essere preliminarmente indicato, nel documento sottoposto alla consultazione pubblica, il termine massimo di pubblicazione (in forma sintetica) dei pareri pervenuti e delle repliche dell’organo proponente (solitamente entro tre mesi dalla conclusione della consultazione);
5) ciascun Dipartimento designa un coordinatore responsabile, con il compito di vigilare sull’applicazione del codice durante lo svolgimento della consultazione, di valutare la complessiva efficacia delle procedure a ciò preordinate, di documentare i casi (e le relative cause) nei quali i suddetti criteri non sono stati osservati;
6) la procedura seguita per le consultazioni pubbliche, infine, deve essere conforme ai più generali criteri di qualità della regolazione prescritti per l’attività normativa (il riferimento è ai Principles of Good Regulation), provvedendo, ogni volta che ciò sia opportuno, ad una preliminare analisi di impatto (Regulatory Impact Assessment, RIA) delle norme che si intendono introdurre, sul quale è anche incoraggiata la formulazione di pareri da parte dei soggetti coinvolti nella consultazione.
L’assetto normativo su cui si fonda il decentramento politico-istituzionale vigente nel Regno Unito è costituito principalmente dalle leggi di devolutionapprovate nel 1998 (Scotland Act, Government of Wales Act, Northern Ireland Act, concernenti il trasferimento di poteri legislativi ed esecutivi ad organi istituiti in ciascuna delle tre regioni) e da una serie di misure attuative, adottate dal Governo centrale mediante atti di legislazione delegata.
Benché introdotte contemporaneamente e in attuazione di un disegno politico unitario, le tre leggi appena richiamate hanno contenuto eterogeneo, e alquanto diverse sono le competenze assegnate alle assemblee legislative locali. La questione del decentramento politico-istituzionale nel Regno Unito si è posta, infatti, in termini differenti in relazione alla diversa tradizione storica degli ambiti regionali interessati: se per la Scozia – dove più forti erano le motivazioni per il conferimento di uno statuto di autonomia – si è giunti alla istituzione di un Parlamento con poteri legislativi autonomi e, correlativamente, di un Esecutivo scozzese distintamente configurato e politicamente responsabile nei confronti del Parlamento locale, per il Galles si è prevista, invece, l’istituzione di un’Assemblea con poteri normativi secondari, che sovrintende democraticamente alle funzioni ricoperte in precedenza dal Welsh Office del Governo centrale. Carattere del tutto peculiare, d’altra parte, hanno le misure autonomistiche disposte per l’Irlanda del Nord, la cui attuazione ha risentito delle particolari e complesse vicende della regione (tra cui gli alterni risultati ottenuti nel quadro del decomissioning, ovvero il graduale processo di disarmo delle contrapposte milizie nord-irlandesi al cui esito, come previsto dalla stessa legge istitutiva, sono condizionate la costituzione e l’operatività dell’Assemblea legislativa locale).
Comune denominatore di tale legislazione è, in sostanza, il trasferimento di un impianto di local government precedentemente incardinato nel Governo centrale sotto il controllo – più o meno ampio e penetrante – di parlamenti e di governi locali. Se la posizione di tali organi debba essere intesa in termini di subordinazione rispetto alle istituzioni politiche centrali, ovvero di coordinamento con queste, è materia di interpretazione giuridica nonché, ancora oggi, tema politico che non ha perso d’attualità e la cui definizione dipenderà dall’assestarsi delle consuetudini costituzionali. E’, però, constatazione ripetuta dalla generalità dei commentatori che il legislatore abbia non certo perseguito, con le leggi di devolution, un modello paragonabile a quello federalista, bensì delegato determinati poteri, trasferendone l’esercizio ad istituzioni di self-government e mantenendone la titolarità.
Occorre tener presente, per completezza, che nell’esperienza britannica il fenomeno comunemente designato con la formula della devolution non esaurisce la sua disciplina nel diritto legislativo. I rapporti tra Governo centrale e Parlamento di Londra da una parte e devolved administrations dall’altra sono regolati, infatti, non solamente dalle leggi menzionate, ma anche – ed è questo, notoriamente, un aspetto peculiare e ricorrente di quell’ordinamento – da norme consuetudinarie ed informali: si fa riferimento al protocollo d’intesa (Memorandum of Understanding) stilato dal Governo centrale con, rispettivamente, l’Esecutivo scozzese, il Cabinet dell’Assemblea Nazionale del Galles e l’Executive Committee dell’Irlanda del Nord, e che, nonostante la sua esplicita natura di atto politico e di dichiarazione di intenti, priva in quanto tale di vincolatività giuridica per le parti contraenti, è tuttavia di indubbia rilevanza ai fini di una compiuta ricostruzione del sistema.
Che tale accordo generale (integrato da singoli Concordats concernenti specifiche materie) abbia rilievo per l’armonioso svolgimento delle relazioni bilaterali è attestato, d’altronde, dalla previsione che vi è fatta dell’adozione di procedure e strumenti idonei ad assicurare il reciproco rispetto delle competenze delineate dalla legge (in ordine alle materie devolute o riservate) e la cooperazione istituzionale tra Governo centrale ed organi regionali. Viene in rilievo, in particolare, l’istituzione di un comitato ministeriale congiunto (Joint Ministerial Committee) in cui siedono membri del Governo centrale e degli esecutivi regionali, di volta in volta designati a seconda della materia in discussione, e che si riunisce in sede plenaria almeno una volta l’anno per esaminare le questioni concernenti il coordinamento tra le rispettive competenze o la soluzione di controversie, oppure per definire – con la necessaria rapidità e sotto la guida, in tal caso, del Ministro degli Esteri – gli indirizzi relativi all’assunzione di impegni in sede comunitaria o alla loro attuazione.
E’ da segnalare, infine, che dal Governo di Londra vengono assegnate risorse finanziarie dal bilancio statale ai devolved governments, con i medesimi incrementi stanziati annualmente per i Dipartimenti governativi che svolgano, a livello centrale, funzioni analoghe. L’entità di tali finanziamenti è determinata in ragione dei programmi di spesa pubblica e della base demografica degli ambiti regionali; altra (e minore) parte delle risorse finanziarie proviene da impegni finanziari assunti dagli stessi governi locali e dal prelievo fiscale regionale.
L’Assemblea Nazionale per il Galles, istituita dal citato Government of Wales Act del 1998, è formata da membri eletti ogni quattro anni, parte in collegi uninominali con sistema maggioritario, parte in circoscrizioni regionali con sistema proporzionale di lista; essa non dispone della disciplina elettorale, dettata per intero dalla legge istitutiva, ed è soggetta, per quanto concerne la corretta applicazione di tale normativa, alla vigilanza del Secretary of State of Wales. Al Ministro competono altresì l’iniziativa per la revisione della legge elettorale, il controllo sulle spese sostenute dai candidati e la decisione circa l’eventuale abbinamento dell’elezione locale con altre consultazioni.
Per l’elezione dell’Assemblea gallese la legge istitutiva reca una puntuale disciplina delle candidature, disponendo, in particolare, che ciascuna candidatura possa essere presentata in un solo collegio uninominale, e che nelle circoscrizioni regionali siano ammesse candidature individuali o sulla base di liste presentate da formazioni politiche riconosciute (registered political parties). Altre disposizioni regolano l’attribuzione dei seggi agli eletti con voto di lista e su base uninominale, prevedendo che eventuali vacanze sopravvenute siano colmate mediante l’indizione di elezioni suppletive o con la proclamazione del primo dei candidati non eletti, a seconda che il seggio vacante sia relativo a un constituency o ad un regional member.
La decadenza dei membri dell’Assemblea regionale dal loro mandato (disqualification) può essere pronunciata, nei confronti di candidati eletti che incorrano in una delle condizioni di incompatibilità o di ineleggibilità stabilite dalla legge, dalla High Court ad esito dell’azione promossa in giudizio da chiunque vi abbia interesse; la verifica dei poteri è rimessa all’Assemblea nelle sole ipotesi prestabilite dalla legge.
Altre disposizioni della legge istitutiva riguardano l’autonomia regolamentare e organizzativa dell’Assemblea: essa si disciplina adottando standing orders (di cui è prescritta la versione bilingue) ed elegge tra i suoi membri i propri organi; è abilitata ad amministrare i beni e le dotazioni finanziarie ad essa trasferite; ha capacità a concludere contratti e a stare in giudizio; organizza i propri uffici, ricoperti da personale dell’amministrazione pubblica statale (home civil service).
Una disciplina particolare è dettata dal testo legislativo con riguardo agli aspetti dell’articolazione interna dell’organo e procedurali. Per quanto concerne i primi, si prescrive, innanzitutto, che in seno all’Assemblea vengano istituite delle commissioni (statutory committees), che a loro volta possono articolarsi in sotto-commissioni. Tra queste, figura quella definita dalla legge (ma che è riservato ai regolamenti di poter diversamente denominare) executive committee, che esercita funzioni di governo e ne risponde dinanzi all’Assemblea; a questa commissione, composta da un numero variabile di membri e presieduta dal First Secretary, fa da contrappeso un audit committee, con compiti di controllo. E’ inoltre prevista l’istituzione di commissioni di merito (subject committes), presiedute da membri designati in modo da rispettare l’equilibrio tra le diverse rappresentanze, nonché di una commissione (subordinate legislation scrutiny committee) preposta al vaglio della normativa secondaria di competenza esclusiva (e cioè senza il concorso del Governo centrale).
Sotto l’aspetto procedurale, è rimessa alla disciplina di dettaglio degli standing orders la previsione regolamentare di fasi procedimentali idonee, nel corso dell’esame e dell’approvazione della normativa secondaria, a valutare i costi e i benefici sociali della sua applicazione (regulatory appraisals).
Per quanto concerne, invece, i suoi rapporti con il Governo centrale e il Parlamento di Westminster, è previsto che l’Assemblea di Cardiff venga consultata dal Governo in occasione di nomine pubbliche di rilevanza per la regione e, ove ciò sia ritenuto opportuno dal Secretary of State of Wales, all’inizio di ciascuna sessione parlamentare, al fine di garantire ad essa l’informazione sul programma legislativo del Governo.
Nel disegno della legge istitutiva, l’Assemblea assomma poteri esecutivi e legislativi (secondari), così da discostarsi dal modello parlamentare "classico", che postula tradizionalmente la separazione del potere legislativo da quello esecutivo. In tale peculiarità dell’organo (definito anche "consensuale" per questa combinazione e concentrazione di poteri diversi) fu ravvisato, da parte di alcuni osservatori, un suo possibile punto di forza, nella misura in cui ciò avrebbe consentito moduli decisionali meno condizionati dalle contrapposizioni partitiche e da logiche di esasperato confronto politico.
Nella prassi, tuttavia, è invalso un modus operandi dell’Assemblea meno lontano da quello parlamentare tradizionale, poiché è venuta affermandosi una separazione netta tra il suo braccio esecutivo e quello propriamente assembleare, al cui vertice è il Presiding Officer. In anni passati ciò ha dato spunto, in sede politica, ad un riflessione – suscitata anche da rinnovate spinte autonomistiche – sulla natura ed estensione dei poteri conferiti all’Assemblea e sull’opportunità di configurarne le procedure in termini più aderenti al suo effettivo assetto; ed è, oggi, all’esame del parlamento un Government of Wales Bill (presentato l’8 dicembre 2005) che raccoglie quelle sollecitazioni (alle quali si è aggiunta, nel febbraio 2002, una mozione approvata dalla stessa Assemblea) delineando un diverso assetto istituzionale, imperniato sull’esistenza, accanto alla National Assembly dotata esclusivamente di competenze legislative, del Welsh Assembly Government.
All’Assemblea regionale sono state trasferite, mediante atti di legislazione delegata (Wales Transfer of Function Orders, adottati nella forma specifica degli orders in Council), funzioni già di competenza del Ministro per il Galles e concernenti materie di cui è riportato l’elenco nella legge istitutiva (nel secondo allegato): agricoltura, patrimonio forestale, pesca ed alimentazione; cultura (compresi i musei, le gallerie e le biblioteche, i monumenti e i siti d’interesse storico); sviluppo economico e industriale; istruzione e formazione professionale; ambiente e tutela delle acque; servizi sanitari e sociali; trasporti ed infrastrutture stradali; politica abitativa; sport, tempo libero e turismo; pianificazione urbanistica; tutela della lingua nazionale (il gaelico).
L’ambito di autonomia attribuito all’Assemblea gallese per l’esercizio di funzioni nelle materie enumerate ha estensione variabile, poiché le competenze devolute possono essere esercitate, a seconda dei casi, in via esclusiva, in via concorrente con quella ministeriale, oppure limitarsi all’espressione di pareri al Ministro (Secretary of State of Wales), il quale, inoltre, può esercitare di concerto con l’Assemblea competenze che abbiano rilievo per l’adempimento di obblighi comunitari. Centro di imputazione degli interessi del Galles in seno al Governo centrale, e figura istituzionale di collegamento tra il Parlamento di Londra e l’Assemblea di Cardiff è, in ogni caso, il Ministro competente, cui spetta rappresentare gli interessi regionali con riguardo all’iniziativa legislativa primaria, e quelli nazionali rispetto alla legislazione secondaria emanata in ambito locale.
Il Northern Ireland Act del 1998 si inscrive nel tormentato processo di pacificazione perseguito dal Governo britannico nell’Irlanda del Nord, e prende luogo del Government of Ireland Act del 1920, che aveva costituito fino a quel momento la base giuridica delle difficili relazioni tra i due Paesi. La soluzione adottata dalla nuova legge è quella del riconoscimento di uno statuto di autonomia alla regione e della devoluzione di rilevanti competenze a locali organi rappresentativi e di governo, come stabilito dagli accordi di Belfast del 10 aprile 1998.
Le disposizioni di principio dettate dal testo legislativo affermano, in via preliminare, che l’Irlanda del Nord è parte del Regno Unito, e che non cesserà di farne parte fino a quando, mediante un referendum appositamente indetto, la maggioranza della sua popolazione abbia deciso l’unificazione della regione con la Repubblica d’Irlanda; in questo caso è previsto che il Governo sottoponga al Parlamento proposte legislative dirette a dare attuazione alla volontà popolare, secondo accordi da definirsi tra i due Stati.
Posta questa condizione, la legge prevede che il Governo inglese, una volta verificato il rispetto ed il sufficiente stato di attuazione degli accordi di Belfast, sottoponga al Parlamento le proprie determinazioni relative alla fissazione del termine (appointed day) da cui far decorrere l’applicazione di alcune sezioni della legge in esame, dando così concreto avvio al processo di autonomia dell’Irlanda del Nord.
Le materie su cui vengono esercitate le funzioni devolute agli organi di governo della regione sono dettagliatamente indicate negli allegati al progetto, e distinte tra excepted, reserved e transferred matters.
Tra le prime figurano – oltre alle competenze di prerogativa regia – le relazioni internazionali; il controllo delle armi nucleari, biologiche e di distruzione di massa; i titoli nobiliari e le onorificenze; la competenza penale con riguardo al reato di tradimento (treason); la disciplina della cittadinanza e dell’immigrazione; i tributi a livello nazionale; la previdenza sociale; l’ordinamento giudiziario; le leggi elettorali e la registrazione dei partiti politici; la moneta; la sicurezza nazionale e i servizi segreti.
Vi sono poi le materie riservate al Governo britannico, anch’esse puntualmente indicate (tra cui la navigazione, l’aviazione civile, la tutela dell’ordine pubblico, il servizio postale), e quelle trasferite all’autonomia dell’Irlanda del Nord: la rilevanza della distinzione tra le excepted e le reserved matters risiede nel carattere transitorio delle seconde, poiché si prevede che possano aggiungersi, in una fase successiva, a quelle di cui è stabilita la devoluzione. Le materie devolute alle istituzioni locali, infine, sono: agricoltura e sviluppo rurale; cultura e tempo libero; istruzione e formazione professionale; tutela ambientale; attività produttive e sviluppo industriale regionale; servizi sanitari e sociali.
Come già rilevato per il Galles, anche le istituzioni delineate nel 1998 dalla legge per l’autonomia dell’Irlanda del Nord (Assemblea ed Esecutivo regionali) non collimano con gli schemi tradizionali dei poteri dello Stato e della loro divisione. L’Esecutivo regionale, infatti, non si configura propriamente come espressione del potere esecutivo, giacché questo continua ad investire l’autorità reale ed è esercitato in suo nome dal Primo Ministro e dal vice Primo Ministro; né si configura come potere diviso dal Legislativo, essendo tale organismo incardinato nella stessa Assemblea. Nel contesto nord-irlandese, tali peculiarità rivelano la primaria finalità della legge, da individuare non solamente nel decentramento politico-amministrativo, ma nella condivisione del potere tra le due Comunità rivali (Nazionalisti ed Unionisti).
Il potere legislativo e d’inchiesta sulle transferred matters è attribuito ad un’assemblea rappresentativa, denominata Northern Ireland Assembly, costituitasi nel dicembre del 1999 ma più volte sospesa dal Governo di Londra – come previsto dalla legge istitutiva – in seguito a rilevate inadempienze delle parti contraenti dell’Accordo di Belfast.
Occorre, infatti, rilevare come il processo autonomistico concernente l’Irlanda del Nord abbia ha subito nel tempo più d’una interruzione (con conseguente “sospensione” degli organi rappresentativi e di governo nord-irlandesi, congegnati in modo da garantire, attraverso la previsione di complessi procedimenti elettorali e deliberativi, pari rappresentanza alle contrapposte comunità politico-religiose); ciò a causa delle difficoltà e dei ritardi insorti nell’attuazione del piano concordato di disimpegno (decommissioning) delle milizie e delle formazioni paramilitari cattoliche ed unioniste, al cui progredire la legge istitutiva condizionava la stessa operatività dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, prevedendo altrimenti il ripristino nella regione della direct rule e l’avocazione alla competenza di Londra delle materie devolute all’autonomia nord-irlandese. Nel 2003, con il nuovo accordo siglato dai Governi britannico ed irlandese a Hillsborough, si è inteso ripristinare le condizioni di fiducia necessarie al ristabilimento della sicurezza, dei diritti di partecipazione politica dei cittadini della regione e al funzionamento delle devolved institutions nord-irlandesi. Parte fondamentale dell’accordo (Agreement on Monitoring and Compliance) concernente la creazione di una commissione indipendente con compiti di controllo sull’attuazione del piano di pace delineato nel 1998, è ora disciplinata dal Northern Ireland (Monitoring Commission etc.) Act 2003, mentre le altre due leggi segnalate vengono indette le elezioni all’Assemblea dell’Irlanda del Nord e se ne disciplina il funzionamento. Infine, con il Police (Northern Ireland) Act 2003 si è inteso dare compiutezza al delicato processo di decentramento e di pacificazione attraverso la riforma delle forze di polizia nella regione, in conformità alle raccomandazioni formulate dalla commissione indipendente appositamente insediata (Independent Commission on Policing for Northern Ireland).
La legge istitutiva reca disposizioni concernenti il procedimento legislativo nell’Assemblea, la cui complessità riflette l’esigenza di scongiurare conflitti di attribuzione con i poteri dello Stato britannico. In tale procedimento è infatti previsto che il Secretary of State for Northern Ireland possa esprimere il suo veto, qualora la materia disciplinata sia correlata alle excepted matters oppure ricompresa tra quelle riservate; l’iniziativa legislativa, inoltre, è sottoposta al vaglio preliminare del Ministro del governo regionale competente per materia, il quale, con propria dichiarazione, accerta che essa non esorbita dalla competenza legislativa dell’Assemblea. Un controllo ulteriore, a questo riguardo, è esercitato dal presidente dell’Assemblea (Presiding Officer) e dal suo Judicial Committee, in applicazione di norme regolamentari e in ogni fase del procedimento.
Gli atti legislativi emanati dall’Assemblea sono soggetti alle norme comuni sulla promulgazione delle leggi; anche in questa fase, però, è previsto l’intervento del Secretary of State, che può riservarsi di non sottoporre il provvedimento al Royal Assent, se lo ritiene viziato da incompetenza. Del pari, egli può non dar luogo al procedimento di promulgazione quando, una volta formulato il suo consent al provvedimento e dopo averne presentato il testo al Parlamento di Westminster, questo si pronunci, entro i successivi 20 giorni, con mozione contraria alla promulgazione.
Il testo in esame, inoltre, detta i criteri direttivi cui deve attenersi il regolamento dell’Assemblea (standing orders) in ordine alla discussione delle linee generali dei progetti di legge e alla loro votazione. Degne di nota sono le previsioni concernenti il parere espresso sui progetti legislativi presentati all’Assemblea dalla Northern Ireland Human Rights Commission (la cui istituzione è espressamente prevista dagli accordi di Belfast), al fine di accertarne la compatibilità con il rispetto dei diritti umani.
Per quanto concerne i membri dell’Assemblea, il testo ne disciplina i casi di ineleggibilità ed incompatibilità, la decadenza (disqualification) e il relativo procedimento, il conflitto di interessi, l’insindacabilità per le opinioni e per i voti espressi.
L’ordinamento delineato dalla legge contempla un Esecutivo, costituito da un Primo Ministro e da un Vice Primo Ministro eletti dall’Assemblea tra i suoi membri, sulla base di una candidatura congiunta e con un numero di voti che sia espressione contemporaneamente della maggioranza dei membri Nazionalisti e della maggioranza di quelli Unionisti (in base al principio cosiddetto del cross-community support).
Il capo dell’Esecutivo e il suo Vice, una volta insediati, provvedono in concerto tra loro a determinare il numero (non maggiore di 10, salvo diversa determinazione del Governo britannico) e le funzioni dei Ministri, e designano, con nomina congiunta, i titolari delle rispettive cariche. Alla ripartizione delle cariche ministeriali tra esponenti delle due comunità presiede un complesso meccanismo, che tiene conto della proporzione tra i gruppi rappresentati nell’Assemblea e si avvale di formule matematiche riportate nel testo. Altre disposizioni riguardano le commissioni istituite in seno all’Assemblea (anche in questo caso, in applicazione di specifici punti degli accordi di Belfast, già richiamati) e ne regolano la composizione, con criteri proporzionali analoghi a quelli prima evidenziati.
Particolare interesse rivestono le previsioni concernenti la sfiducia e la revoca dei ministri da parte dell’Assemblea, quando questa ritenga, con propria risoluzione, che il titolare della carica, con il suo contegno, abbia violato l’impegno alla non-violenza e al ricorso a mezzi pacifici e democratici; in tal caso il Ministro sfiduciato non può assumere incarichi per i dodici mesi successivi, estensibili a venti. Viene in rilievo anche la sfiducia pronunciata dall’Assemblea, con le stesse motivazioni, nei riguardi di un partito politico; in questo caso, i suoi membri non possono ricoprire cariche ministeriali per lo stesso periodo di tempo.
Lo Scotland Act, approvato nel 1998, è seguito ad un lungo dibattito politico-istituzionale, i cui antecedenti possono individuarsi nelle prime proposte di introdurre una “home rule” in Scozia, discusse dal Parlamento britannico dal 1913. Il tema, tornato in auge negli anni ‘70 del secolo passato, ha da quel momento rappresentato un capitolo ricorrente dei programmi di governo.
Nel 1979, un referendum indetto dal Governo allora in carica sulla proposta di istituire una Assemblea scozzese rivelò una maggioritaria opinione favorevole ma non raggiunse il prescritto quorum dei votanti; nel 1989 venne istituita la Scottish Constitutional Convention, formata da esponenti della società civile e dei partiti politici, con il mandato di elaborare un percorso autonomistico della regione incentrato su un Parlamento locale eletto direttamente dal popolo e dotato di piena potestà legislativa. Il rapporto della Convenzione, pubblicato nel 1995, costituì la base delle iniziative adottate dal Governo nel 1997 e rese note nel "Libro Bianco" sul tema (White Paper on Scottish Devolution); tali proposte furono, infine, sottoposte ancora a consultazione referendaria (indetta con il Referendums (Scotland and Wales) Act del 1997), che assegnò il 74% dei voti favorevoli all’istituzione di un parlamento scozzese e il 63% dei voti favorevoli ad attribuire ad esso limitati poteri di modificare le aliquote fiscali in ambito regionale.
Benché l’autonomia sia giunta a maturazione in Scozia assieme a quella realizzata negli altri due ambiti regionali e nel quadro di una visione legislativa unitaria del processo di decentramento, lo Scotland Act ha acquisito, nella prevalente opinione dei commentatori, una sua propria giustificazione in ragione della specificità della questione scozzese e delle peculiarità originate, tra l’altro, da tradizionali differenze dell’ordinamento giudiziario e dell’organizzazione della professione forense e, infine, da un diverso diritto sostanziale, per una parte significativa di derivazione romanistica.
Le materie devolute alla competenza delle istituzioni scozzesi sono individuabili principalmente in via di esclusione delle reserved matters, ossia di quelle riservate al Parlamento di Westminster e riportate nel testo legislativo in minuziosa enumerazione.
E’ innanzitutto esclusa dalla devolution agli organi locali scozzesi, in linea generale (general reservations), ogni competenza relativa ad aspetti costituzionali (la Corona e le prerogative reali, l’unione tra i Regni d’Inghilterra e di Scozia sancita dagli antichi trattati, l’istituzione parlamentare), all’ordinamento giudiziario, alla difesa e alla sicurezza nazionale; alla conduzione della politica estera e della cooperazione internazionale; all’ordinamento del pubblico impiego.
Sono altresì previste alcune specifiche esclusioni (specific reservations) con riguardo a cinque gruppi di materie: economia e finanza; ordine pubblico e tutela di diritti fondamentali; industria e commercio; energia; trasporti. In questi ambiti materiali sono attribuite alle istituzioni locali competenze soltanto residuali, espressamente indicate quali exceptions e ulteriormente delimitate da clausole interpretative.
Per quanto concerne il primo gruppo, in particolare, sono conservate alla competenza delle istituzioni centrali la politica economica e monetaria (controllo della moneta, vigilanza sui servizi e sui mercati finanziari, repressione del riciclaggio dei profitti di attività illecite). Nel secondo sono ricomprese la repressione del terrorismo e del traffico e del consumo di stupefacenti; la disciplina dell’immigrazione, del diritto d’asilo, della cittadinanza, dell’estradizione; la tutela dei dati personali; la legislazione elettorale concernente la Camera dei Comuni e il Parlamento Europeo; la disciplina della detenzione di armi, del gioco e della scommessa, della sperimentazione su animali, della censura delle opere audiovisive e cinematografiche.
Fanno parte del terzo gruppo – e sono pertanto sottratte alla competenza delle istituzioni locali – la materia societaria e fallimentare, la tutela della concorrenza e della proprietà intellettuale, il servizio postale, i controlli doganali, la pesca, la tutela dei consumatori; nonché la disciplina della conformità tecnica e sicurezza dei prodotti e della relativa responsabilità, dei pesi e delle misure, delle telecomunicazioni, della individuazione delle aree depresse al fine di conferimenti finanziari, della tutela degli interessi economici e commerciali nazionali.
Il quarto ambito materiale ricomprende la produzione e distribuzione di energia elettrica; il regime della proprietà e dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi e di gas naturale e delle miniere; la produzione di energia nucleare e le installazioni a ciò destinate; le politiche di conservazione dell’energia; nell’ultimo gruppo rientrano i trasporti stradali, ferroviari e marittimi.
Lo spettro delle competenze devolute, quale si desume dal testo legislativo in base alla regola della competenza residuale (ma anticipato in termini espliciti dal “Libro bianco” precedente all’approvazione dello Scotland Act), appare più ampio ed articolato di quello già rilevato per le altre regioni, ed investe molteplici materie, sulle quali il Parlamento scozzese ha potestà legislativa primaria e secondaria.[4]
Il quadro delle competenze devolute è integrato dalle funzioni assegnate all’Esecutivo scozzese (Scottish Executive) in ordine alla responsabilità dell’attuazione in Scozia della legislazione dell’Unione Europea (e in particolare dell’amministrazione dei fondi strutturali), oppure all’esercizio dei poteri relativi alla fornitura di energia elettrica e della pianificazione dell’emergenza civile nucleare; per molte delle devolved matters è espressamente stabilito, tuttavia, che i poteri devoluti all’esercizio del Governo locale rimangono nella titolarità del Governo centrale, il quale può a sua volta esercitarli. Al Parlamento scozzese, d’altra parte, la legge istitutiva riconosce la facoltà di discutere su tutte le questioni di interesse per la Scozia, sia con riguardo alle materie di propria competenza che a quelle riservate al Parlamento di Londra.
Aspetto saliente della legge sull’autonomia della Scozia è il conferimento della potestà legislativa e del potere di inchiesta – da esercitarsi nell’ambito delle devolved matters – al Parlamento scozzese, formato da una sola Camera e composto da 129 membri eletti ogni quattro anni, parte in collegi uninominali con sistema maggioritario (constituency members), parte in circoscrizioni regionali con sistema proporzionale (regional members).
Affinché l’iniziativa legislativa non esorbiti dall’ambito di competenza del Parlamento locale sono previste particolari procedure di controllo (scrutiny of Bills): in sintesi, i progetti di legge sono sottoposti al vaglio preliminare del Governo scozzese, del Presiding Officer[5] dell’Assemblea e del Judicial Committee, mentre la carente competenza legislativa del Parlamento può essere anche rilevata ex officio dallo stesso Presiding Officer nella fase precedente alla promulgazione del testo approvato (submission of Bills for Royal Assent). E’ introdotto dalla legge istitutiva, inoltre, un sistema di risoluzione giurisdizionale per i conflitti di attribuzione (devolution issues) insorti in ordine all’ambito materiale della legislazione primaria del Parlamento scozzese o di quella delegata del Governo locale.
Il potere esecutivo è attribuito all’Esecutivo scozzese, organo collegiale composto dal First Minister, nominato dal Parlamento fra i suoi membri e sorretto dalla fiducia parlamentare, e da Ministri da questo nominati e revocabili; fanno altresì parte del Governo locale il Lord Advocate ed il Solicitor General for Scotland, figure conservate dall’ordinamento precedente (stante la loro qualità di Law Officials) e connotate dalla particolare procedura di nomina, conclusa dalla recommendation del First Minister alla Regina.
Tra le funzioni trasferite al Governo locale degna di nota è quella – già anticipata – concernente gli affari europei, per quanto concerne l’attuazione nel territorio scozzese degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea; sono però fatti salvi la prioritaria potestà del Governo centrale in relazione all’adempimento nell’ordinamento interno degli impegni assunti in sede internazionale, e il vincolo, per gli atti del Governo scozzese, della compatibilità con il diritto comunitario o con obblighi internazionali, potendo il Secretary of State for Scotland, ove ragionevolmente ravvisi tale incompatibilità, emanare orders nei confronti del Governo locale con i quali viene ad esso ingiunto di accantonare od intraprendere determinati atti.
In tale potere ministeriale di “interdizione” si rispecchia, in realtà, l’esigenza fondamentale di mantenere comunque il primato di Londra, che traspare da altre più generali disposizioni, a tenore delle quali il Governo può sempre riappropriarsi, mediante emanazione di Orders in Council, dell’esercizio di competenze già affidate all’Esecutivo scozzese, ed intervenire sui provvedimenti di questo in funzione correttivo-sanzionatoria.
Rispetto ai casi prima esaminati, i rapporti fra Legislativo ed Esecutivo appaiono in Scozia più prossimi al modello della relazione intercorrente fra il Parlamento ed il Governo di Londra: all’Esecutivo scozzese, composto dal Primo Ministro scozzese e dai Ministri, sono devoluti i poteri attualmente esercitati nella regione dai Ministri della Corona, mentre l’Esecutivo è direttamente responsabile nei confronti del locale Parlamento. Non mancano, tuttavia, evidenti elementi differenziali rispetto all’esempio di Westminster, ravvisabili principalmente nell’assenza di una seconda camera in funzione di ponderazione e bilanciamento (revising Chamber), nel diffuso ricorso al pre-legislative scrutiny, nelle diverse procedure di voto.
Per quanto attiene, in particolare, ai rapporti tra il Parlamento del Regno Unito e quello scozzese, è da puntualizzare che il primo conserva, in ogni caso, la propria sovranità, potendo legiferare anche sulle materie devolute all’autonomia scozzese, configurandosi le rispettive competenze come “shared powers”; ma è operante, su base consuetudinaria (e in ottemperanza alla cosiddetta Sewel Convention) il principio in virtù del quale il Parlamento britannico non legifera, di norma, su materie trasferite alla competenza del Parlamento scozzese senza il suo assenso; mentre quest’ultimo, da parte sua, sempre in via di prassi (e sulla base del precedente noto come Sewel Motion) acconsente all’intervento legislativo di Westminster su materie devolute ogni volta che ciò sia ritenuto conveniente.[6]
Altra conseguenza dell’istituzione del Parlamento scozzese su quello di Londra può cogliersi in alcune modifiche regolamentari della Camera dei Comuni, che pur preservando ai membri scozzesi la possibilità di cumulare i mandati (ricoprendo un seggio a Westminster ed uno ad Edimburgo), hanno abrogato la norma che stabiliva una riserva minima di seggi per i deputati di quella regione, e riformato le regole sulla programmazione dei lavori relativamente alla periodica trattazione delle questioni scozzesi. Sul piano della legislazione elettorale, inoltre, l’autonomia della Scozia ha comportato una revisione delle circoscrizioni elettorali ed una contestuale riduzione, alla Camera dei Comuni, dei seggi destinati a parlamentari scozzesi, ora calcolati secondo i criteri demografici adottati per il resto del Paese[7].
Il raccordo fra gli Esecutivi è imperniato principalmente sulla figura del Segretario di Stato per la Scozia, che si avvale a tale scopo di un apposito ufficio, lo Scotland Office[8], integrato nel Governo centrale e con funzioni consultive con riguardo alla legislazione scozzese; esaurita la fase transitoria in cui è stato suo principale compito quello di vigilare e sull’avvio del Parlamento scozzese e sull’attuazione delle relative disposizioni dello Scotland Act, il Secretary of State cura ora la rappresentanza degli interessi della Scozia rispetto all’iniziativa del Parlamento di Londra nelle materie riservate, ed il coordinamento delle relazioni e comunicazioni fra Parlamento scozzese ed Esecutivo e fra Parlamento del Regno Unito e Governo sulle materie di comune interesse.
I conflitti di attribuzione eventualmente insorti tra i due Parlamenti e le controversie relative ad eccesso di competenza (ultra vires) sono sottoposte, secondo il procedimento delineato dallo Scotland Act, da un Law Officer (ossia da soggetti istituzionali investiti di particolari funzioni nel sistema processuale vigente nel Regno Unito) alla cognizione del Judicial Committee del Privy Council, di cui fanno parte anche alti magistrati provenienti dai tre ambiti regionali recentemente interessati dalla devolution. Allo stato presente, non risulta che alcun caso sia stato sollevato secondo la procedura riferita; in dieci casi vi è stata impugnazione dinanzi al Judicial Committee di altrettante decisioni adottate da corti di merito, e in sei di questi è intervenuto l’Advocate General for Scotland.
Come già accennato, al fine di conciliare l’esigenza di una rappresentanza unitaria nell’ambito della comunità internazionale con la garanzia di considerazione degli interessi di tutte le parti del Regno Unito, le questioni afferenti le relazioni internazionali sono disciplinate da accordi specifici (Concordats) al fine di consentire l’adempimento nell’ordinamento interno degli impegni assunti a livello internazionale.
Per quanto concerne, in particolare, le relazioni con l’Unione Europea, il Parlamento e il Governo del Regno Unito mantengono la titolarità prioritaria ma al Parlamento e all’Esecutivo scozzese è assegnato un ruolo importante nei settori che interessino direttamente il territorio scozzese. Il Governo di Londra promuove, in sede comunitaria, il coinvolgimento dei Ministri scozzesi in carica, che possono partecipare ai consigli dei Ministri e ai comitati di Ministri più significativi; nella fase di elaborazione della normativa comunitaria relativa alle materie devolute alla competenza del Parlamento scozzese è altresì garantita la partecipazione dei Ministri scozzesi sia al momento della elaborazione e formulazione della posizione politica da assumere da parte del Governo del Regno Unito sia ai relativi negoziati in sede europea. Tale cooperazione è regolata, anche
Il Parlamento scozzese può inoltre, nella cosiddetta “fase ascendente”, sottoporre al proprio scrutinio le proposte legislative comunitarie in modo da assicurare che gli interessi scozzesi siano ampiamente rispettati, ed una apposita procedura è vigente, tra Governo centrale ed Esecutivo scozzese, al fine di consentire tale esame preventivo.
Nella fase di applicazione della normativa comunitaria, l’Esecutivo scozzese avrà l’obbligo di assicurare l’adempimento in Scozia degli impegni assunti a livello europeo riguardo alle materie di propria competenza, in tale ambito assumendo, alla medesima stregua degli altri devolved governments la responsabilità – anche finanziaria – per infrazioni del diritto comunitario.
Per quanto concerne, infine, le relazioni dirette con le istituzioni europee, il Governo scozzese propone al Parlamento scozzese le nomine per la quota di rappresentanti all’interno del Comitato delle regioni e di quello economico e sociale, ed è consultato all’occorrenza dal Governo del Regno Unito circa la nomina dei rappresentanti britannici in seno ad altre istituzioni europee.
Sotto il profilo finanziario, le innovazioni introdotte dallo Scotland Act e dalla normativa di attuazione hanno riguardato sia il versante della spesa che quello dell’entrata.
Le disposizioni legislative hanno istituito lo Scottish Consolidated Fund e disposto l’assegnazione alla Scozia una quota della spesa pubblica complessiva del Regno Unito, sulla base di una formula risultante dagli indici di variazione demografica (c.d. formula di Barnett); a differenza del sistema precedente, tuttavia, le priorità di spesa sono autonomamente stabilite dal Parlamento scozzese (e non più dal Segretario di Stato per la Scozia).
L’Esecutivo scozzese è altresì abilitato, a determinate condizioni, ad accedere ai finanziamenti del Tesoro, mentre il Parlamento è abilitato ad autorizzare l’indebitamento a breve termine da parte dell’Esecutivo per fronteggiare squilibri congiunturali fra entrate e spese; ad una legge del Parlamento, inoltre, è rimessa la disciplina della contabilità e del bilancio pubblici.
Sul versante delle entrate fiscali, al Parlamento scozzese è riconosciuta una limitata autonomia impositiva, poiché gli sono attribuiti poteri di variazione dell’imposizione fiscale diretta (tax-varying powers) nei confronti dei contribuenti residenti in Scozia, il cui esercizio è regolato in modo da consentire gli aggiustamenti che si rendessero necessari a seguito di variazioni della struttura o della base imponibile dell’imposta sul reddito stabilite a livello nazionale.
Tale potestà fiscale, in particolare, si esplica nei limiti del 3% in aumento o in diminuzione della aliquota di base, fissata a Londra. Al riguardo, nel Libro Bianco pubblicato prima dell’approvazione dello Scotland Act si stimava che la variazione di un punto percentuale di tale aliquota, a legislazione vigente, avrebbe comportato una corrispondente variazione di gettito di 150 milioni di sterline, così che l’entità massima della variazione di gettito eventualmente disposta dal Parlamento scozzese sarebbe ammontata a 450 milioni di sterline.
La riscossione è curata dall’amministrazione finanziaria nazionale (Inland Revenue), di cui il Parlamento scozzese è chiamato a coprire gli eventuali maggiori spese di carattere amministrativo.
Per quanto concerne, complessivamente, la finanza locale, appare evidente l’obiettivo del legislatore di stabilire un sistema di chiare responsabilità circa la spesa e la tassazione locale, e di porre in primo piano la responsabilità della classe politica locale di fronte ai propri elettori vincolando il Parlamento scozzese a far fronte agli impegni finanziari conseguenti alle decisioni agli enti locali senza ulteriori aggravi per i contribuenti del Regno Unito.
Nello schema di finanza pubblica locale risultante dallo Scotland Act il trasferimento complessivo del Governo centrale alla Scozia (Scottish Block) conserva la voce relativa al parziale finanziamento della spesa locale (c.d. Aggregate External Finance), mentre la spesa locale finanziata attraverso risorse proprie (c.d. Local Authority Self-Financed Expenditure, LASFE) rimane fuori dello Scottish Block; il Parlamento scozzese è responsabile sia della determinazione delle forme di tassazione locale sia diretta che indiretta che del controllo sulla spesa a livello locale. A salvaguardia dei contribuenti, tuttavia, è mantenuto al Governo centrale il controllo sulla spesa pubblica complessiva ed il debito pubblico nel Regno Unito, e sono stabiliti, per quanto concerne la finanza locale, criteri generali relativi sia alla spesa che alla tassazione; il controllo contabile è affidato all’Auditor General for Scotland, organo di nomina reale su designazione del Parlamento scozzese.
Fra le altre fonti di finanziamento, oltre ai fondi provenienti dall’Unione Europea, sarà riconosciuto al Parlamento scozzese il potere di autorizzare l’indebitamento a breve termine da parte dell’Esecutivo locale per far fronte a squilibri congiunturali fra entrate e spese.
Sebbene il termine devolution sia comunemente riferito al decentramento su base regionale realizzato, in forme compiute ancorché non uniformi, nel Galles, in Scozia e nell’Irlanda del Nord, è attualmente avvertita, in sede politica, l’esigenza di conferire maggiore autonomia anche alla regione inglese, mediante l’istituzione o il rafforzamento di local governments direttamente eletti.
L’esempio dato dalle agenzie per lo sviluppo economico costituite in Scozia (Scottish Enterprise) e in Galles (Welsh Development Agency) ha suggerito l’istituzione, nelle otto contee inglesi, di altrettante Regional Development Agencies (RDA[9]), la cui missione statutaria (statutory purposes) è quella di definire strategie per la promozione dello sviluppo economico, dell’efficienza e della competitività nei traffici commerciali, degli investimenti, dell’occupazione, della formazione e dell’aggiornamento professionale, dello sviluppo sostenibile.
I finanziamenti statali destinati alle RDA sono condizionati al raggiungimento di obiettivi concordati, secondo apposite procedure, con il Dipartimento governativo per il commercio e l’industria. E’ degno di nota che a tale responsabilità delle RDA dinanzi al Governo centrale si affianchi, secondo il disegno della legge istitutiva, la loro responsiveness nei riguardi di camere regionali (regional chambers) in cui sono rappresentati gli interessi territoriali; affinché tali organismi possano svilupparsi, ed affinare la loro capacità di contribuire alla definizione di programmi di sviluppo e di vigilare sulla loro attuazione, il Governo ha stanziato, nell’anno finanziario 2001-2002, fondi per 5 milioni di sterline[10].
Il Governo britannico ha successivamente pubblicato un "Libro Bianco" sul governo regionale, dal "Your Region, Your Choice" (del 9 maggio 2002[11]), in cui si prospettava il rafforzamento delle istituzioni regionali esistenti in Inghilterra e la creazione di assemblee elettive.
A tali proponimenti è seguita, nel 2003, una serie di provvedimenti legislativi con finalità di decentramento politico-istituzionale: tra questi, lo Health (Wales) Act, il Regional Assemblies (Preparations) Act ed il Local Government Act.
La prima legge è venuta ad inscriversi nel solco del processo di trasferimento agli ambiti regionali, e sotto il controllo – più o meno ampio e penetrante – di parlamenti e di governi locali (del Galles, dell’Irlanda del Nord e, in termini più accentuati, della Scozia), di competenze di local government precedentemente esercitate dal Governo centrale; per quanto riguarda il Galles, in particolare, si ricorderà come con il Government of Wales Act del 1998 e con successivi atti di legislazione delegata siano state trasferite all’Assemblea nazionale gallese funzioni precedentemente di competenza del Ministro per il Galles, tra cui quelle concernenti la materia dei servizi sanitari e sociali. Le disposizioni introdotte nel 2003 hanno, dal canto loro, innovato la legislazione sul servizio sanitario nazionale (costituita principalmente dal National Health Service Act del 1977), e previsto che la suddetta Assemblea (la quale esercita, secondo il disegno della legge istitutiva, poteri esecutivi e legislativi secondari, così discostandosi dal modello parlamentare "classico") possa modificare, mediante propri atti deliberativi, la distribuzione territoriale degli organi nei quali si articola il sistema sanitario.
Nella seconda legge è rispecchiata l’esigenza, da tempo avvertita in sede politica, di non escludere dal processo autonomistico la regione inglese (in cui risiede la maggior parte della popolazione del Paese), e di conferire maggiore autonomia alle otto contee che la compongono – esclusa l’Area metropolitana di Londra già munita di un proprio statuto – mediante l’istituzione o il rafforzamento di organi di governo locale. Un simile proposito era stato annunciato dal Governo nel già richiamato "Libro Bianco" sul tema del governo regionale pubblicato del del 2002 in cui si prospettava, nel quadro di un rafforzamento delle istituzioni regionali esistenti in Inghilterra, la creazione di assemblee elettive qualora in ciascun ambito locale il corpo elettorale, attraverso un referendum indetto allo scopo, avesse approvato la riforma proposta. Tali innovazioni, che avevano il loro immediato antecedente nei programmi enunciati nel “manifesto” elettorale laburista del 2001, si sono poste, d’altra parte, in linea di continuità con le tendenze regionaliste affermatesi nei decenni precedenti, dirette a promuovere l’autodeterminazione delle comunità locali secondo schemi politico-istituzionali di self-government. Con la legge in esame si è voluto, pertanto, dare seguito a quei progetti, delineando un processo di decentramento su base regionale fondato largamente sulle pronunce referendarie delle popolazioni locali, in conformità al concetto di “democrazia partecipativa” che complessivamente ispira l’intero testo legislativo; esse sono, tuttavia, successive ad una fase istruttoria saldamente ancorata a competenze di supervisione incardinate nel Governo centrale.
La terza legge segnalata (Local Government Act 2003) ha introdotto, infine, la riforma delle disposizioni sulla spesa e sulla amministrazione finanziaria degli enti locali.
L’immigrazione e il diritto d’asilo sono materie oggetto, nel Regno Unito, di una disciplina alquanto articolata, risultante da testi legislativi approvati a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, in attuazione di un programma di interventi legislativi delineato dal Governo in carica in alcuni documenti preparatori [12]: si tratta, principalmente, dell’Immigration Act del 1999, del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 e da, ultimo, dell’Asylum and Immigration (Treatment of Claimant, etc.) Act del 2004.
Queste più recenti disposizioni legislative (del 2004) hanno modificato sotto diversi aspetti la legislazione previgente, che già accomunava in un unico regime normativo i diversi profili attinenti alla condizione giuridica dello straniero: ciò, con l’intento di adeguarla a nuove esigenze e di conferire ad essa maggiore integrazione sistematica. In particolare, si è inteso rafforzare i controlli dell’Immigration Service sull’immigrazione clandestina, introdurre garanzie procedimentali per i richiedenti asilo e, nel contempo, semplificare le procedure per l’ammissione dei soggetti che vi abbiano titolo.
Benché recentemente innovata, la disciplina dell’immigrazione e del diritto d’asilo è dunque suscettibile di ulteriori modifiche ed aggiornamenti, conformemente agli indirizzi enunciati dal Governo e, soprattutto, a seguito dell’intensificarsi della minaccia rappresentata dal terrorismo internazionale: un progetto di legge in materia, l’Immigration, Asylum and Nationality Bill, è all’esame della Camera dei Comuni nella corrente sessione parlamentare.
Le disposizioni del 2004 si applicano alle persone fisiche prima del loro ingresso sul suolo nazionale e ne definiscono lo status in vista della loro richiesta del permesso di soggiorno, oppure, disciplinando l’ammissione dello straniero, trovano applicazione al momento dell’accoglienza al posto di frontiera.
Tra queste ultime possono segnalarsi, in particolare, la norma che abilita lo straniero recatosi nel Regno Unito per ricongiungersi al nucleo familiare, e al quale sia stato negato l’ingresso, ad impugnare il relativo provvedimento con minori oneri formali; degna di nota è anche la previsione (adottata in via sperimentale e con riserva di successiva applicazione generale) che richiede allo straniero di provare, al momento della richiesta del visto d’ingresso, la disponibilità di sufficienti mezzi di sostentamento.
Maggiori poteri, inoltre, sono conferiti alle autorità preposte al controllo sull’immigrazione, abilitate dalla legge ad acquisire informazioni sui passeggeri trasportati (extracomunitari) direttamente dai vettori e prima del loro arrivo nel Regno Unito (advance notification), e a scambiare tali informazioni, mediante un sistema di controlli incrociati (statutory gateways), con gli organi di polizia e gli uffici doganali.
La legge del 2004 ha introdotto sanzioni pecuniarie e misure cautelari (compreso il sequestro dei mezzi di trasporto) che inaspriscono il vigente regime di responsabilità del vettore per violazione delle norme sull’immigrazione. Al fine di prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina, inoltre, è prevista l’elaborazione, affidata al Ministro competente (Secretary of State), di un codice di condotta alle cui prescrizioni debbono attenersi gli autotrasportatori e i vettori marittimi.
Per quanto concerne i provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno o del suo rinnovo, la disciplina del 2004 è intervenuta a riformulare il sistema delle impugnative, che in alcuni documenti preparatori era stato individuato quale motivo di notevole ritardo e di complessiva inefficienza delle norme prima vigenti. Le nuove disposizioni introducono, in luogo delle molteplici forme di impugnazione e dei diversi gradi di appello, un’unica istanza di riesame cui possono rivolgersi gli immigrati regolari (comprehensive one-stop right of appeal). Dello stesso mezzo di impugnativa possono avvalersi gli stranieri richiedenti asilo anche se non in possesso di valido titolo di ingresso e di soggiorno, purché la loro particolare condizione sia specificata al momento del ricorso; esso non è invece azionabile da parte degli immigrati irregolari, entrati clandestinamente o privi di valido permesso di soggiorno (illegal entrants, overstayers), per i quali è previsto (decorso inutilmente il termine prescritto per la regolarizzazione) il rimpatrio mediante "foglio di via" (administrative removal), con eventuale scorta alla frontiera.
Il sistema di impugnative delineato dal legislatore del 2004 si salda, modificandole in parte, con precedenti previsioni (introdotte dallo Special Immigration Appeals Commission Act del 1997 e da altri testi normativi di dettaglio) istitutive della Commissione speciale d’appello preposta alla delibazione dei ricorsi, i quali sono esperibili in seconda istanza (ricorrendo determinate condizioni) dinanzi all’Immigration Appeal Tribunal.
Una procedura di riesame e un diritto di impugnazione delle decisioni ministeriali, d’altra parte, sono stati introdotti e disciplinati dal Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002 a garanzia degli individui nei confronti dei quali sia disposta la revoca del titolo di cittadinanza precedentemente concesso ("deprivation of citizenship"). Ancora con specifico riguardo al diritto d’asilo, la legge appena richiamata ha previsto l’istituzione di centri di accoglienza ("accomodation centres") per i richiedenti asilo, e ne ha disciplinato le competenze e l’organizzazione per quanto attiene all’attività di assistenza nel campo degli aiuti alimentari e finanziari, della fornitura di servizi di trasporto, sanitari ed educativi, delle facilitazioni relative alla pratica religiosa. Ulteriori disposizioni della legge del 2002 regolano le altre forme di sostegno e di assistenza, imperniate sul già esistente National Asylum Support Service (NASS) o relative al finanziamento di programmi di rientro volontario in patria dei rifugiati e richiedenti asilo ("voluntary assisted return programme" - VARP), gestiti dal Ministro dell’Interno (Home Office); e semplificano il procedimento di espulsione dello straniero ("detention and removal") previsto dall’Immigration and Asylum Act del 1999, introducendo, anche in questo caso, alcune garanzie procedimentali.
Il legislatore del 2004 ha altresì disciplinato l’attività esercitata da consulenti e da prestatori di servizi correlati all’immigrazione (immigration adviser, immigration service providers), obbligati alla previa registrazione presso un’autorità di controllo costituita allo scopo (Immigration Services Commissioner) e posti sotto la sua vigilanza, se non già appartenenti a taluni ordini professionali. Detta autorità è competente ad adottare nei loro confronti misure disciplinari, impugnabili dagli interessati - secondo uno schema ricorrente nell’ordinamento britannico - dinanzi ad un organo con funzioni paragiurisdizionali e di riesame (Immigration Services Tribunal), composto da membri nominati dal Lord Chancellor.
Viene in rilievo, tra gli aspetti disciplinati dalle leggi vigenti in materia (così come modificate dalle note disposizioni del 2004), quello del matrimonio di stranieri con cittadini britannici che sia concluso al solo scopo di eludere la normativa sull’immigrazione e i relativi controlli.
Al fine di prevenire il fenomeno, gli uffici dello stato civile (registrars) sono abilitati ad accertare la capacità dei soggetti interessati e ad acquisire elementi probatori relativi al loro nome, età, nazionalità e stato civile; in mancanza dei necessari requisiti, detti uffici possono rifiutare la registrazione del matrimonio, e in ogni caso segnalare alle autorità di polizia le unioni che si sospettano concluse in modo strumentale.
Le leggi del 1999 e del 2004 contengono disposizioni finalizzate al rafforzamento dei poteri di polizia esercitati dagli immigration officers. Alla stregua della vigente disciplina, essi possono, in particolare, procedere alla perquisizione o all’arresto di stranieri immigrati - per violazione degli obblighi di legge - anche senza la previa emissione di un mandato, prevedendosi inoltre la possibilità di rilevarne, in casi predeterminati, le impronte digitali. Sono altresì disciplinate, in modo assai dettagliato, le condizioni di esercizio dei poteri anzidetti e le modalità di esecuzione degli ordini di espulsione e dei provvedimenti restrittivi della libertà personale (deportation orders); altre disposizioni recano criteri direttivi per la gestione delle strutture residenziale (detention centres), che possono essere anche affidati alla conduzione di soggetti privati.
La discrezionalità degli officers nell’esercizio delle loro competenze, rispondente, negli intenti del legislatore britannico, ad esigenze di flessibilità e speditezza degli interventi, è tuttavia limitata, oltre che dalle stesse previsioni di legge, da direttive contenute in codici di condotta - già noti alla legislazione penale britannica - alle quali deve costantemente attenersi la prassi. A salvaguardia dei diritti degli immigrati sottoposti a custodia è inoltre riconosciuta la facoltà di richiedere l’interrogatorio da parte del magistrato al fine di ottenere la libertà provvisoria su cauzione (bail hearing), fermo restando il diritto di ricorrere contro i provvedimenti restrittivi per violazione dei diritti umani.
Come già anticipato, è attualmente all’esame del Parlamento un progetto di legge in materia di immigrazione (Immigration, Asylum and Nationality Bill, presentato alla Camera dei Comuni il 17 novembre 2005). Tra i principali profili incisi dal provvedimento si segnalano: la disciplina sull’impugnazione delle decisioni relative al permesso di soggiorno, che il legislatore intende integrare con la previsione di limiti e condizioni alla esperibilità dei relativi ricorsi; la sanzionabilità penale, nei riguardi del datore di lavoro, dell’assunzione di stranieri privi del necessario permesso di soggiorno, e la contestuale adozione di un codice di condotta di emanazione ministeriale finalizzato ad evitare che attraverso l’applicazione di tale precetto legislativo vengano poste in essere forme di discriminazione razziale; la modifica, al fine di incrementarne l’efficacia, delle regole circa l’acquisizione, da parte delle autorità doganali e degli Immigration officers, delle informazioni e dei dati identificativi concernenti gli stranieri che fanno ingresso sul terriTorio nazionale; il rafforzamento dei poteri delle autorità di polizia nei riguardi dei vettori, in particolare quelli concernenti l’ispezione, la perquisizione e il sequestro dei mezzi di trasporto.
La legislazione penalistica, sostanziale e processuale, è stata in anni recenti oggetto di rilevanti riforme, le quali, adottate in attuazione degli impegni programmatici del Governo e dirette particolarmente ad innovare il sistema della giustizia penale, hanno richiesto ulteriori e successivi assestamenti per far fronte alla minaccia rappresentata dal terrorismo internazionale, specie di matrice islamica.
Il più recente testo legislativo di riferimento in materia di sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico, il Criminal Justice Act, è stato approvato nel 2003 ad esito di un intenso lavoro preparatorio, culminato nella pubblicazione da parte del Governo di un “libro bianco” (dal titolo “Justice for All”) in cui venivano raccolte le conclusioni di due precedenti consultation documents diffusi ad esito di inchieste condotte da apposite commissioni di studio [13].
La legge appena richiamata è intervenuta in due principali aree della giustizia penale, investendo, da una parte, la procedura delle Corti, che si è voluta rendere più efficiente e rapida mediante un maggiore coinvolgimento dell’organo titolare dell’azione penale - il Crown Prosecution Service - nella assegnazione dei procedimenti (allocation of cases); e riformulando, d’altra parte, il potere della ordinaria magistratura giudicante, delle cui attribuzioni il legislatore ha ampliato la portata con l’intento di rendere meno necessario, in determinate ipotesi, il ricorso alla Crown Court.
Lo scopo di imprimere alla procedura penale una maggiore rapidità ed efficienza, anche mediante restrizioni poste ad utilizzazioni sostanzialmente dilatorie od ostruzionistiche dei meccanismi processuali, è stato perseguito dal legislatore attraverso la previsione di una gamma di interventi puntuali, diretti a integrare o a modificare la cospicua legislazione penalistica vigente nel Regno Unito. Tra i molteplici ambiti incisi dal provvedimento, possono menzionarsi la competenza esclusiva affidata al giudice monocratico nei casi di minacce od intimidazioni a membri della giuria popolare o in relazione a procedimenti relativi a materie di particolare complessità; la rilevanza da assegnare a condanne precedentemente riportate dall’imputato per la valutazione delle aggravanti; la possibilità di ammettere prove o testimonianze anche in mancanza della fonte diretta e mediante sistemi di comunicazione a distanza (live links); le condizioni per la concessione della libertà provvisoria su cauzione (bail); la omogeneizzazione di determinati provvedimenti cautelari e restrittivi della libertà personale (community orders).
Per quanto riguarda la determinazione e l’esecuzione della sanzione penale, la legge ha fornito indicazione (per la prima volta in un testo legislativo) dei criteri generali che debbono sovrintendere alla irrogazione della pena nei confronti di persone maggiori d’età (sentencing of adults), individuandoli in alcune finalità di interesse generale: la punizione del reo e la sua riabilitazione, la riduzione del crimine, la riparazione sociale e la tutela della collettività.
Il legislatore ha inoltre modificato in alcune parti la disciplina dei poteri di polizia (costituita, principalmente, dal Police and Criminal Evidence Act del 1984), al fine di rafforzarne l’efficacia: sono stati delineati con maggiore ampiezza i poteri di arresto e di perquisizione (stop and search), e si è estesa, per i reati passibili di arresto, da 24 a 36 ore la durata massima del fermo di polizia prima che venga formulata l’incriminazione (charge); su questo particolare aspetto il Governo è tornato, più di recente, con proposte di tenore più restrittivo nel quadro della legislazione anti-terrorismo, le quali - come si dirà in prosieguo - non hanno però ottenuto finora l’approvazione parlamentare.
Tra le ulteriori modifiche alla previgente legislazione penalistica apportate dal Criminal Justice Act del 2003 si segnalano le disposizioni in materia di consumo di stupefacenti, dirette a consentire la sottoposizione ai relativi tests anche delle persone in stato di fermo con almeno 14 anni di età; il conferimento alle autorità di polizia del potere di arresto in caso di consumo di cannabis; la devoluzione al giudice, anziché al Ministro dell’Interno, del potere di fissare la pena detentiva minima in caso di condanna per omicidio; la fissazione di una pena minima di 5 anni di reclusione per il reato di possesso illecito di armi da fuoco; l’elevazione da 10 a 14 anni di reclusione per il reo che abbia causato incidenti mortali con la propria guida pericolosa.
La finalità di semplificazione che ha in questa materia ispirato il legislatore, nel presupposto che ciò possa valere a rendere più incisivi gli strumenti legislativi e procedurali per la prevenzione e repressione della criminalità, può cogliersi anche nelle disposizioni che, modifiche quelle previgenti, disciplinano le modalità di redazione e di successiva revisione dei codici di condotta da cui sono settorialmente regolate le attività delle forze di polizia (ad esempio, l’arresto e la perquisizione; le procedure di identificazione; gli interrogatori). Mentre, sotto il vigore del Police and Criminal Evidence Act del 1984, per l’emanazione di un nuovo codice di condotta o la revisione di un codice esistente si richiedevano una estesa consultazione pubblica e il vaglio del Parlamento (nella forma della risoluzione espressa mediante affermative procedure), le attuali disposizioni prevedono una fase istruttoria resa più snella dall’intervento di un minor numero di soggetti (targeted consultation), e, nel caso di modificazioni a codici già vigenti, un esame parlamentare proporzionato agli emendamenti proposti.
Specifiche iniziative legislative sono state adottate nel Regno Unito per affinare l’azione di contrasto verso il terrorismo e la criminalità internazionale, precedentemente fondata sulle previsioni del Terrorism Act del 2000. A seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, il Governo britannico provvedeva infatti ad una riforma della legge approvata da appena un anno, giungendo all’adozione di un testo legislativo – Anti-Terrorism, Crime And Security Act del 2001 – la cui elaborazione aveva suscitato le preoccupazioni di alcune componenti dell’opinione pubblica circa il rischio di negative ricadute per il godimento di libertà fondamentali.
Tali previsioni, entrate in vigore poche settimane dopo i tragici avvenimenti di New York, si sono saldate alla già vigente legislazione penalistica e in materia di ordine pubblico apportandovi numerose modifiche, concernenti, in principal modo, la individuazione e la confisca dei beni e dei flussi di finanziamento in possesso o diretti ad organizzazioni terroristiche; la raccolta e condivisione di informazioni da parte degli organi di polizia; la repressione di atti di violenza o di fanatismo a sfondo religioso (e non soltanto a sfondo razziale, come prima previsto); i controlli sull’immigrazione; le misure di sicurezza delle installazioni nucleari, aeronautiche ed aeroportuali; il controllo delle sostanze tossiche o pericolose che possano essere utilizzate per scopi criminali; i poteri di polizia e la cooperazione giudiziaria internazionale.
Il legislatore ha così inteso rendere più facilmente perseguibili i soggetti accusati, o ragionevolmente sospettati, di essere coinvolti nella preparazione, nella esecuzione o nella istigazione di atti terroristici, oppure di intrattenere rapporti con organizzazioni terroristiche internazionali, quali si ritengono i gruppi sotto il controllo o l’influenza di persone operanti al di fuori del Regno Unito e responsabili, a giudizio del Segretario di Stato, di essere implicati nella preparazione, esecuzione od istigazione di questi atti.
In tali definizioni legislative - tanto ampie da apparire, ai critici, arbitrarie - e nel carattere eccezionale di talune disposizioni non è mancato chi abbia ravvisato un rischio per le libertà e i diritti fondamentali; ed anche durante il serrato esame parlamentare sono state espresse riserve, oltre che da settori dell’opinione pubblica e da organizzazioni non governative impegnate sul fronte dei diritti umani, dalla Joint Parliamentary Committee on Human Rights e dalla Home Affairs Select Committee, mentre per la prima volta dopo il 1958, su richiesta dei liberali, la Camera dei Comuni si è riunita in seduta segreta.
Volendo isolare dell’ampio e articolato testo legislativo i principali ambiti di disciplina, occorrerà soffermarsi sui profili richiamati di seguito, avvertendo che, mentre è intervenuto nel 2005 il Prevention of Terrorism Act a recare puntuali modifiche alla disciplina delle misure cautelari e restrittive della libertà personale (“control orders”), nuove iniziative in materia – come si dirà più avanti – sono state intanto adottate dal Governo in materia e poste all’esame del Parlamento.
Tra le materie disciplinate dalla legge del 2001 vi è quella, in primo luogo, della confisca giudiziale dei patrimoni (nella forma di conti bancari, di denaro contante, di titoli di credito o di pagamento) destinati ad essere utilizzati per scopi terroristici, o che siano in possesso di organizzazioni illegittime (ovvero di proscribed organizations ai sensi del Terrorism Act del 2000) o rappresentino i proventi di attività terroristiche.
Il Ministro del Tesoro, d’altro canto, è dalla legge abilitato ad emanare provvedimenti diretti ad ordinare il "congelamento" di patrimoni, ovvero a sottrarne, per la durata di due anni, la disponibilità ai rispettivi titolari qualora questi ultimi siano ragionevolmente ritenuti in grado di intraprendere azioni dannose per l’economia nazionale o per la sicurezza delle persone; per l’aspetto formale si segnala che tali provvedimenti (denominati freezing orders) sono emessi nella forma di statutory instruments e sottoposti, a pena di decadenza, all’approvazione parlamentare (mediante resolution) entro 28 giorni.
In secondo luogo, il testo legislativo amplia l’ambito di circolazione dei dati in possesso delle autorità, prevedendone la comunicazione agli organi investigativi; e dispone espressamente, in questo caso, che tali comunicazioni (disclosure) non infrangono le leggi vigenti (il riferimento implicito è alle norme sulla tutela dei dati personali) ma ricadono nelle delle deroghe in esse previste in quanto effettuate, nel rispetto del criterio di proporzionalità, per finalità di polizia e processuali.
E’ espressamente stabilito, in particolare, che l’amministrazione fiscale e doganale possa trasmettere le informazioni e i documenti in suo possesso agli organi di polizia e ai servizi di intelligence, mentre sono a questi consentiti più penetranti controlli sui conti bancari.
L’Anti-Terrorism, Crime And Security Act del 2001 ha recato alcune modifiche anche alle norme vigenti in materia di immigrazione, disponendo che nei confronti dei soggetti i quali, sulla base di valutazioni (certifications) del Ministro competente, siano sospettati di appartenere a formazioni terroristiche internazionali o ad esse comunque collegati (suspected international terrorists), sono ammesse misure restrittive della libertà personale (detention) anche qualora non sia possibile nell’immediato il rimpatrio (le precedenti norme, conformemente all’art. 5 della Convenzione europea sui diritti umani e all’interpretazione datane dalla Corte europea, ammettevano la detenzione solo nei casi in cui il rimpatrio fosse certo e programmato a termine ragionevolmente breve).
In considerazione del loro carattere eccezionale, per tali misure (adottate in base alla deroga prevista dall’art. 15 dello Human Rights Act del 1998 per i casi di guerra o di grave pericolo per la nazione) si è stabilita la vigenza fino al 2006, ferma restando la soggezione dei relativi atti al riesame indipendente, su istanza dell’interessato, dell’organo settoriale di vigilanza, la Special Immigration Appeals Commission (SIAC). La speditezza dei procedimenti è stata tuttavia perseguita, in questo caso, prevedendo che le decisioni assunte dalla SIAC (ai fini della legge equiparate a quelle emesse dal giudice di merito) siano a loro volta impugnabili dinanzi alla Court of Appeal soltanto per vizi di legittimità.
Altre previsioni contenute nel testo legislativo qui esaminato sono riferite agli stranieri richiedenti asilo, e conferiscono al Ministro competente la potestà di precludere ad essi il relativo procedimento ogni volta che la loro espulsione sia dichiarata, mediante l’emanazione di un apposito certificate – anche questo impugnabile dinanzi alla SIAC –, opportuna per la sicurezza nazionale ("conducive to the the public good"); analogamente il Ministro può, con proprio atto, escludere in casi specifici l’applicazione della Convenzione sui rifugiati, qualora, pur ricorrendone i presupposti, vi siano ragioni per ritenere la permanenza di uno straniero nel territorio nazionale pericolosa per la collettività.
Per completezza, occorre richiamare, del testo normativo in esame, le disposizioni che in modifica di leggi vigenti (segnatamente il Police and Criminal Evidence Act del 1984 ed il Criminal Justice and Police Act del 2001) hanno ampliato i poteri di polizia (di fermo, di perquisizione) esercitabili in caso di mancata collaborazione nell’ambito delle procedure di identificazione personale; degna di nota è la disposizione sulla conservazione decennale delle impronte digitali rilevate nel corso dei suddetti procedimenti, allo scopo di prevenire che nuove richieste di immigrazione od asilo vengano riproposte, sotto falsa identità, da persone precedentemente dichiarate indesiderate.
Altre disposizioni del testo legislativo del 2001 sono rivolte a rafforzare le misure di sicurezza concernenti le sostanze chimiche, nucleari e batteriologiche suscettibili di essere impiegate per la costruzione di armi di distruzione di massa.
Al riguardo si dispone, in particolare, l’obbligo per i dirigenti di laboratori in cui siano custodite determinate sostanze tossiche o patogene di notificarne il possesso, e di adempiere ai requisiti di sicurezza prescritti dagli organi di polizia.
Per quanto concerne l’industria nucleare, la legge ha ampliato le competenze dell’ente di vigilanza (Atomic Energy Authority Constabulary - AEAC), di guisa che i controlli sono ora estesi a tutti gli operatori presenti sul territorio nazionale e non soltanto ad alcuni impianti specifici; vengono inasprite, inoltre, le sanzioni per la diffusione non autorizzata di informazioni sulle tecnologie nucleari che possano agevolarne la proliferazione e sulle misure di sicurezza adottate nei singoli impianti. Per alcune delle nuove figure di reato introdotte dalla legge, relative principalmente al traffico di tali sostanze e all’elusione degli obblighi informativi, è prevista la perseguibilità anche all’estero.
Ulteriori disposizioni del medesimo testo rafforzano i requisiti di sicurezza nell’ambito dei trasporti aerei, e rafforzano gli strumenti normativi idonei a gestire con maggiore tempestività ed efficacia le situazioni di pericolo negli aeroporti e a bordo degli aerei.
L’Anti-Terrorism, Crime And Security Act del 2001 contiene altresì disposizioni (nella sezione dal titolo: Retention of communications data) che agevolano, se motivate da esigenze di sicurezza nazionale e su richiesta degli organi di polizia, la conservazione da parte dei fornitori di servizi telefonici e di telecomunicazione (providers) dei dati relativi alle comunicazioni effettuate per loro tramite, e di conseguenza rendono costoro immuni dalle sanzioni altrimenti previste - per omessa cancellazione dei cosiddetti "dati transazionali" - dalla disciplina di derivazione comunitaria sulla tutela dei dati personali (dettata dal Data Protection Act del 1998, segnalato in questo Bollettino, n. 2/1998, e dalle regulations attuative). Per quanto concerne i limiti e gli scopi cui devono attenersi le autorità nell’accedere ai dati suddetti, enunciati già nella recente disciplina legislativa dei poteri e delle attività di investigazione (Regulation of Investigatory Powers Act del 2000, segnalato in questo Bollettino, n. 2/2000), è prevista l’emanazione di un puntuale codice di condotta da parte del Secretary of State e, in caso di inosservanza od inefficacia di questo, l’adozione di più stringenti direttive.
Ulteriori misure contenute nel testo legislativo, rimesse alla legislazione secondaria, hanno fondamento nel Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea (sulla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) e tendono ad attuare gli impegni assunti in sede europea con riferimento al "Terzo pilastro", segnatamente per quanto concerne l’estradizione, la lotta al terrorismo, l’assistenza reciproca e le indagini congiunte.
Di rilievo, nella ricognizione dei provvedimenti in materia di sicurezza e di lotta la terrorismo, sono due progetti di legge d’iniziativa governativa - l’Identity Cards Bill e il Terrorism Bill – i quali, presentati già nella precedente sessione parlamentare senza però che i testi giungessero in tempo all’approvazione, sono ora nuovamente all’esame del parlamento.
L’Identity Cards Bill ha per finalità è quella di introdurre, in modo graduale e a partire dal 2008, l’obbligo del documento personale di riconoscimento, non più vigente nel Regno Unito dal 1952 se non su base volontaria e per alcuni ambiti circoscritti, dopo essere stato oggetto di specifiche e cogenti prescrizioni in determinati periodi storici (durante le due guerre mondiali).
Il Governo intende così perseguire determinati obiettivi di interesse generale, quali la riduzione dell’immigrazione illegale e del lavoro irregolare (con conseguente beneficio anche del sistema delle relazioni sociali, come si legge nei documenti preparatori del testo normativo); l’efficace contrasto delle attività della criminalità organizzata, di tipo soprattutto finanziario e terroristico; l’individuazione e la repressione delle frodi; la maggiore efficienza nell’ambito della prestazione dei servizi pubblici. A tale scopo è delineato nel progetto un quadro normativo caratterizzato dall’istituzione di un registro anagrafico nazionale (National Identity Register) e dalla prevista attribuzione, ad autorità pubbliche appositamente designate, della potestà di emettere carte di identità (identity cards), il cui rilascio ai titolari può aver luogo in forma separata o contestualmente ad altri documenti (come il passaporto), od essere altrimenti surrogato dalla registrazione di documenti diversi e già esistenti, che le predette autorità, in base a normative ministeriali, provvedano a dichiarare validi per l’identificazione personale.
L’inserimento dei dati nel registro – ai quali è collegato un numero unico di identificazione (National Identity Registration Number) - e l’emissione delle relative attestazioni hanno luogo, in conformità con l’approccio gradualistico adottato dal legislatore, generalmente su iniziativa dell’interessato, ed è fatto divieto, fintantoché ciò non venga prescritto da puntuali disposizioni legislative, di porre l’accesso a beni o servizi sotto condizione del possesso del documento d’identità. E’, d’altro canto, evidente l’intento di incentivare la più ampia diffusione di tali documenti, dal momento che diversi Dipartimenti governativi hanno già prospettato, negli ambiti e per le prestazioni di loro competenza (sanità, lavoro e pensioni, istruzione) semplificazioni correlate al previo rilascio della carta di identità.
Quello delle possibili discriminazioni effettuabili in relazione al possesso della carta d’identità non è l’unico profilo che ha richiesto approfondimenti in fase di elaborazione del progetto. Al momento della pubblica consultazione promossa sul tema nel 2002, e durante l’esame preliminare effettuato, nel 2004, su una prima versione del progetto dalla commissione competente della Camera dei Comuni (Home Affair Select Committee), erano state formulate osservazioni critiche con riguardo alla paventata lesione dei diritti fondamentali attraverso indebite utilizzazioni dei dati personali concentrati nel National Register. Accogliendo alcune delle raccomandazioni espresse in quelle sedi, il Governo ha incluso nel testo normativo previsioni dirette a delimitare l’ambito della legittima raccolta ed utilizzazione dei dati identificativi, nonché a rafforzare complessivamente il quadro delle garanzie.
E’ infatti precisato, nel testo normativo, che i dati identificativi possano essere raccolti per il solo fine istituzionale del National Register, ossia per l’espletamento delle operazioni relative all’identificazione, motivata da ragioni di pubblico interesse, delle persone maggiori di 16 anni residenti nel Regno Unito. Gli stessi dati identificativi di cui si assume lecita la raccolta e la conservazione sono tipologicamente individuati, essendo consentita la registrazione delle sole informazioni (registrable facts) concernenti le generalità dell’individuo (luogo e data di nascita, nazionalità, residenza), le caratteristiche fisiche rilevanti per la sua identificazione (compresi i dati biometrici, quali le impronte digitali e la scansione dell’iride) nonché le informazioni incluse su richiesta dell’interessato; non è prevista, invece, l’inclusione di dati particolari ovvero di natura sensibile, come quelli riferiti alle condizioni di salute o alle opinioni religiose. La comunicazione o diffusione dei dati, inoltre, non può prescindere dalla previa acquisizione del consenso dell’interessato, fatte salve le rilevanti eccezioni previste in relazione alla utilizzazione dei dati medesimi per finalità di ordine pubblico.
Il progetto di legge di cui qui si riferisce è completato dalla previsione di sanzioni penali per i reati concernenti le false dichiarazioni rese al National Register, la comunicazione non autorizzata di informazioni da esso detenute, l’uso fraudolento dei documenti d’identità.
Poiché l’immigrazione e l’ordine pubblico sono materie riservate allo Stato centrale, il testo normativo è destinato all’applicazione estesa all’intero territorio nazionale; i governi locali (della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord) sono abilitati, tuttavia, a disciplinare autonomamente l’emissione di documenti di identità personale in corrispondenza dell’espletamento di attività finalizzate alla prestazione di servizi pubblici ricadenti nelle loro autonome competenze.
Di sicuro interesse, ai fini della presente indagine, è infine il Terrorism Bill ora all’esame della Camera dei Lord dopo il suo esame ai Comuni. Il testo normativo reca modifiche della legislazione in materia di ordine pubblico e di terrorismo; ciò al fine di rafforzare, negli intendimenti del Governo, i poteri degli organi di polizia e dei servizi segreti e di renderli adeguati ad affrontare la minaccia del terrorismo internazionale concretatasi nei gravi attentati di Londra del 7 e 21 luglio 2005, che le normative vigenti, benché recentemente introdotte, non sono valse a scongiurare (si tratta, principalmente, del Prevention of Terrorism Act del 2005, del Criminal Justice Act del 2003 e del Terrorism Act del 2000).
Come già rilevato con riferimento a precedenti testi legislativi, alcune misure contenute nel progetto hanno determinato, in ragione dell’affievolimento di garanzie fondamentali che dalla loro adozione deriverebbe, le reazioni critiche di settori dell’opinione pubblica e l’accendersi di un teso dibattito in seno alla stessa Camera dei Comuni, dove una delle previsioni qualificanti, e più controverse, del progetto (concernente l’estensione fino a 90 giorni del fermo di polizia per i sospetti terroristi) non è riuscita a conseguire, il 9 novembre 2005, l’approvazione per il voto contrario anche di esponenti della stessa maggioranza.
Divergenti opinioni sul tema, che investe la portata e l’effettività dei diritti fondamentali, si sono, del resto, delineate anche fuori delle aule parlamentari, poiché le associazioni e i gruppi impegnati nel campo dei diritti dell’uomo hanno denunciato la sostanziale incompatibilità delle misure restrittive proposte con il quadro normativo internazionale; è stata altresì contestata l’attendibilità e l’imparzialità della documentazione diffusa, a sostegno delle proprie iniziative, dal Governo circa la vigenza di analoghe misure in altri ordinamenti, poiché a giudizio degli oppositori vi sono stati riportati, in modo indifferenziato, i dati relativi alla durata del fermo di polizia e della detenzione in attesa di giudizio.
D’altra parte, alcuni temperamenti al progetto nelle sue diverse versioni, e segnatamente alla disposizione sul fermo di polizia, sono stati suggeriti nel rapporto redatto, per la seconda volta, dall’osservatore indipendente (Independent Reviewer) designato in applicazione delle clausole di salvaguardia dei diritti fondamentali contenute nel Prevention of Terrorism Act del 2005. In questo rapporto, per la cui pubblicazione l’estensore, Lord Carlisle, ha ritenuto che non fosse opportuno, data la rilevanza del tema, attendere la prevista scadenza del 2006, sono state infatti avanzate perplessità circa l’insufficiente tutela riconosciuta ai sospetti sottoposti a fermo in assenza di una formale incriminazione (pre-charge detention).
Per contro, la necessità di estendere fino a tre mesi la durata di tali misure restrittive è stata affermata dalla sezione anti-terrorismo della polizia londinese (Anti Terrorist Branch della Metropolitan Police) in un proprio documento del 5 ottobre 2005, corredato di esemplificazioni e di casi di studio che comproverebbero l’efficacia di un tale prolungamento temporale per la conduzione delle indagini; se ciò è quanto si è potuto proficuamente sperimentare – questa la tesi della polizia – nel caso del terrorismo nord-irlandese, l’estensione del fermo potrebbe accrescere l’efficacia anche delle attività inquirenti riferite alle reti terroristiche islamiche, soprattutto quando si tratti di accertare l’identità dei sospetti, tradurre gli interrogatori, decrittare documenti informatici, intercettare comunicazioni, svolgere indagini all’estero.
La soluzione adottata nel testo all’esame del Parlamento è quella dell’estensione della durata massima del fermo di polizia - purché convalidata dall’autorità giudiziaria - dagli attuali quattordici giorni (come disposto dal Criminal Justice Act del 2003) ad un massimo di tre mesi attraverso proroghe di non più di sette giorni per volta. Viene, inoltre, ampliato il novero di pubblici ufficiali abilitati a disporre il fermo, e rafforzato il potere di proscrivere e disciogliere le organizzazioni che promuovono od incoraggiano le attività terroristiche, nonché quello di impedire ad esse di ricostituirsi sotto diversa denominazione.
Altre disposizioni del progetto, così come formulate in precedenti versioni, avevano attirato critiche per l’ampiezza delle relative clausole e per le controversie che avrebbero potuto sorgere in fase di applicazione. Tra queste, è da segnalare la disposizione che, nel testo attuale, introduce il reato di “incoraggiamento al terrorismo” e ne reca specificazione enumerando i comportamenti criminosi che lo integrano, anche alla luce delle previsioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo (art. 1); tali comportamenti includono, in particolare, il contegno diretto a “glorificare” gli atti terroristici, che nella precedente versione del progetto costituiva una separata figura di reato in ragione della sua idoneità a suscitare l’emulazione. Si è ricercato, in questo modo, il bilanciamento tra la libertà di espressione e il pericolo rappresentato dall’influenza che, in contesti religiosi o a questi assimilabili, può essere esercitata sugli elementi più radicali di taluni gruppi sociali.
Gli altri reati, in parte previsti già nella precedente legislazione, sono nel testo in esame più ampiamente formulati, oppure ne vengono inasprite le correlate sanzioni: è il caso, ad esempio, della diffusione di pubblicazioni che possano in vario modo incentivare il terrorismo (incluso il mezzo telematico), dell’addestramento ad attività di natura terroristica, del possesso di armi, materiali o dispositivi suscettibili di essere impiegati in attentati.
Per converso, l’esercizio dell’azione penale concernente i reati suddetti, qualora essi riguardino anche solo in parte gli interessi o le attribuzioni di uno Stato estero, è sottoposta all’assenso concorrente dell’organo che ne ha la titolarità in ambito nazionale (ossia il Director of Public Prosecution attraverso il suo Ufficio competente per territorio) e dell’Attorney General (investito di compiti di consulenza giuridica nei confronti del Governo). Ciò vale a precostituire, nei propositi del legislatore, una garanzia rispetto a decisioni inappropriate che possono essere assunte nel quadro delle eventuali attività ultraterritoriali di repressione del terrorismo, rese necessarie dalla stessa natura del fenomeno.
[1] Nel sistema attuale, il Lord Chancellor, nella sua veste giudiziaria, tradizionalmente presiede lo Appellate Committee della Camera dei Lord e il Judicial Committee del Privy Council; tra le sue attribuzioni, benché mai esercitata in pratica, vi è anche quella di presiedere la Supreme Court for England and Wales (formata dalla Court of Appeal, dalla High Court e dalla Crown Court). Dei due organi giurisdizionali, il primo (Appellate Committe) compete il riesame delle cause decise dai tribunali ordinari dell’ Inghilterra, del Galles, dell’Irlanda del Nord e (limitatamente alle cause civili) della Scozia; il secondo (Privy Council) esercita la propria alta giurisdizione, oltre che in materia ecclesiastica e per quanto attiene agli Stati del Commonwealth, sulle controversie insorte tra lo Stato centrale e le autonomie regionali (devolved ladministrations) in ordine all’esercizio delle rispettive competenze.
[2] Si fa riferimento al rapporto della Royal Commission, A House for the Future, (2000), e al successivo “Libro bianco” del Governo (2001), dal titolo: The House of Lords: Completing the Reform.
[3] A seguito della riforma della Camera dei Lord introdotta nel 1999 (House of Lords Act), e in previsione di portare a compimento la progettata abrogazione della carica ereditaria, la Camera Alta è ora composta da 600 Lord vitalizi (Life Peers), nominati dal Sovrano su indicazione del Primo Ministro (e previa consultazione tra questo e i capi degli altri due maggiori partiti in modo da assicurare l’equilibrio della rappresentanza politica), e da 92 Lord ereditari (in luogo dei precedenti 700).
E’ forse utile, con particolare riferimento all’autonomia scozzese - rispetto alle altre connotata da un più ampio novero di competenze trasferite - riportare l’indicazione sintetica dei gruppi di materie riservati, alla stregua dello Scotland Act del 1998, al Governo centrale:
- ordinamento giudiziario, difesa e sicurezza nazionale; conduzione della politica estera e della cooperazione internazionale; ordinamento del pubblico impiego;
- economia e finanza; ordine pubblico e tutela di diritti fondamentali; industria e commercio; energia; trasporti (in questi ambiti materiali sono attribuite alle istituzioni locali competenze soltanto residuali e ulteriormente delimitate da clausole interpretative contenute nelle leggi che hanno dato attuazione al processo di devolution).
- politica economica e monetaria (controllo della moneta, vigilanza sui servizi e sui mercati finanziari, repressione del riciclaggio dei profitti di attività illecite);
- repressione del terrorismo e del traffico e del consumo di stupefacenti; immigrazione, diritto d’asilo, cittadinanza, estradizione; tutela dei dati personali; legislazione elettorale; disciplina della detenzione di armi, del gioco e della scommessa, della sperimentazione su animali, della censura delle opere audiovisive e cinematografiche;
- disciplina societaria e fallimentare, tutela della concorrenza e della proprietà intellettuale, servizio postale, controlli doganali, pesca, tutela dei consumatori; disciplina della conformità tecnica e sicurezza dei prodotti e della relativa responsabilità, dei pesi e delle misure, delle telecomunicazioni, della individuazione delle aree depresse al fine di conferimenti finanziari, della tutela degli interessi economici e commerciali nazionali;
- produzione e distribuzione di energia elettrica; regime della proprietà e dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi e di gas naturale e delle miniere; produzione di energia nucleare; trasporti stradali, ferroviari e marittimi.
[5] Il Presiding Officer, eletto dall’Assemblea nel proprio seno, è Ufficio del Parlamento con funzioni in parte coincidenti con quelle del Presidente dell’Assemblea ma anche inerenti, ad esempio, il procedimento di formazione dell’Esecutivo e lo scioglimento anticipato del Parlamento.
[6] Negli anni 2001-2002, oltre la metà dei progetti di legge presentati al Parlamento di Londra sono stati destinati ad essere applicati anche in Scozia.
[7] I seggi relativi a constituencies scozzesi sono discesi, alla Camera dei Comuni, da 72 a 59.
[8] Tale Ufficio (http://www.scottishsecretary.gov.uk) ha preso il posto del più risalente Scottish Office, istituito da Gladstone già nel secolo XIX e guidato da un Secretary for Scotland divenuto, in seguito, membro a pieno titolo del Governo di Londra.
[9] Le RDAs sono state istituite con il Regional Development Agencies Act del 1998.
[10] Fonte: Dipartimento per il commercio e l'industria, al sito: http://www.dti.gov.uk/rda/info/index.htm.
[11] Il documento è consultabile al sito del Vice Primo Ministro: http://www.regions.odpm.gov.uk/governance/whitepaper/index.htm
[12] Tra i più recenti documenti programmatici pubblicati in materia dallo Home Office si segnalano quelli in cui i profili dell’immigrazione sono esaminati in relazione a quelli della sicurezza: Confident Communities in a Secure Britain (del febbraio 2004) e Controlling our Borders: Making migration work for Britain (del luglio 2004).
[13] Si fa riferimento, in particolare, al “Rapporto Auld” (dal nome dell’estensore della Review of the Criminal Courts of England and Wales) ed al coevo “Rapporto Halliday” (“Making Punishment Work: report of a review of the sentencing framework of England and Wales).